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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 31 di Mercoledì 27 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee, onorevole Sandro Gozi.
Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 9 
Mazzoni Riccardo  ... 9 
Arrigoni Paolo  ... 10 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee ... 10 
Arrigoni Paolo  ... 10 
Filippi Marco  ... 10 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee ... 10 
Arrigoni Paolo  ... 11 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee ... 11 
Ravetto Laura , Presidente ... 12 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 13 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Gozi Sandro (PD) , Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee, onorevole Sandro Gozi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee, onorevole Sandro Gozi, che ringraziamo per la costante partecipazione ai lavori del nostro Comitato e per gli aggiornamenti continui sulla situazione in Europa. Per brevità, mi limito ai titoli degli argomenti su cui le chiediamo approfondimenti. Ovviamente, però, tutto ciò che vorrà dire sarà ben accolto.
  Il primo punto che ci piacerebbe trattare è quello dell'accordo tra l'Unione europea e la Turchia. Sappiamo tutti che il 18 marzo l'Unione europea e la Turchia hanno raggiunto un accordo che, di fatto, mira a limitare i flussi di rifugiati e che, secondo notizie di stampa, in effetti, ha già dato dei risultati. Tuttavia, abbiamo visto tutti che cosa è successo in Turchia. Sono state fornite delle immagini che mi permetto di definire raccapriccianti sulla situazione della tutela dei diritti in quello Stato. Abbiamo visto golpisti o presunti tali legati in palestre e sappiamo che c'è una sorta di epurazione in atto nei confronti addirittura di accademici e magistrati. Lei è sempre stato molto attento a queste tematiche. Infatti, il 25 luglio 2016 dichiarò a La Presse che «dobbiamo promuovere la sicurezza dei diritti, introducendo una revisione annuale per il rispetto e la promozione dello Stato di diritto all'interno di tutti gli Stati membri UE, così come nei Paesi candidati, a cominciare dalla Turchia». Le chiediamo, quindi, se, secondo lei e il Governo che rappresenta, questo accordo può proseguire ed eventualmente a quali condizioni.
  Le domandiamo, inoltre, se può dirci qualcosa sull'effetto Brexit. Sappiamo che la Gran Bretagna, almeno per ciò che riguarda Schengen, era già esterna, quindi non si poteva considerare nelle stesse condizioni degli altri Paesi europei. Ciò nonostante, penso che abbiano impressionato tutti – credo anche i colleghi – le code che si sono formate per i controlli tra la Francia e la Gran Bretagna. Immagino quali siano, quindi, anche gli impatti economici che queste code possono avere determinato, oltre, ovviamente, ai disagi. In generale, le chiediamo, pertanto, una considerazione sulla situazione sia dell'Europa post Brexit, sia su quale potrà essere l'andamento della vicenda. L'attivazione dell'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea (TUE), peraltro, ci risulta essere soggetto ad una decisione unilaterale della Gran Bretagna, nel senso che l'Europa non può forzare per una fuoriuscita veloce, ovvero per un divorzio breve che non crei incertezza sui mercati. Secondo lei, l'uscita sarà veloce o comporterà un dilungamento nei tempi che potrebbe creare problemi all'Europa? A questo proposito, le domandiamo anche aggiornamenti sulle vostre iniziative in sede europea. Pag. 4
  Lei si è molto impegnato sulla difesa europea. Ci sono stati dei passi avanti? Inoltre, vorremmo sapere se ci sono novità in ordine a Dublino. Lei, peraltro, è stato uno di quelli che più si è attivato per far comprendere che anche la tutela di Schengen passava da una riflessione su Dublino.
  Le chiediamo, inoltre, se ci sono novità sui ricollocamenti e sull'implementazione degli hotspot, nonché qual è la posizione del Governo sulle proposte di riforma del sistema di asilo. Sappiamo che c'è un nuovo quadro dell'Unione europea in materia di reinsediamento, può dirci qualcosa anche su questo?
  Ci sono, ancora, altri due temi che stanno particolarmente a cuore al Comitato. Uno è quello della cosiddetta «lista europea dei Paesi sicuri». Sappiamo che la direttiva 2013/32/UE permette agli Stati membri di applicare delle regole di procedura specifica nel caso in cui il richiedente asilo provenga da un Paese che è stato designato come Paese d'origine sicuro nell'ordinamento nazionale. Tuttavia, solo alcuni Stati membri hanno stabilito delle liste nazionali, parzialmente diverse tra di loro. La Commissione avrebbe, pertanto, proposto di stabilire una lista comune europea di Paesi terzi sicuri. Sulla proposta, il 7 luglio si è pronunciata la Commissione delle libertà civili del Parlamento europeo. Non ci risulta ancora disponibile il testo, ma sappiamo che ci sono stati degli emendamenti in discussione e che i deputati europei avrebbero chiesto che la lista sostituisca quelle nazionali entro tre anni. Non si sarebbero, però, pronunciati sui Paesi da inserire nella lista perché stanno aspettando il parere dell'Ufficio europeo di supporto all'asilo, il quale deve analizzare la situazione nei Paesi che la Commissione aveva proposto di inserire. Le chiediamo, dunque, qual è lo stato dei lavori.
  L'ultimo punto riguarda il migration compact. Il Consiglio europeo del 28 giugno 2016 ha discusso delle relazioni dell'Unione europea con i Paesi di partenza e di transito dei migranti. Secondo le conclusioni adottate in materia dal Consiglio europeo, tra le altre cose, l'Unione dovrebbe cercare di concludere partenariati con i principali Paesi terzi di origine e di transito. La Commissione europea è, quindi, invitata a presentare, entro settembre 2016, una proposta relativa a un piano di investimenti.
  Vorremmo sapere se anche su questo ha delle novità per noi. Le cedo, pertanto, la parola.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee. Non sapevo che intendevate rimanere qui fino al 28 di agosto. Se me lo dicevate prima, mi preparavo almeno con un rasoio. Scherzi a parte, abbiamo molti temi da affrontare. Riguardo al primo, la posizione del Governo è stata espressa in maniera molto esplicita e chiara dal Presidente del Consiglio. L'Unione europea ha sempre distinto le due questioni. L'accordo sulla migrazione con la Turchia sta funzionando perché i flussi si sono fermati, peraltro il lavoro della gestione dei rifugiati provenienti dalla Siria attraverso la Turchia è svolto con la presenza delle ONG e delle organizzazioni internazionali.
  Questo, però, è stato sempre distinto dal riavvio di dialogo con la Turchia, che era condizionato al rispetto di alcuni principi che, ovviamente, oggi rendono impossibile, dal punto di vista dell'Unione europea, procedere su quella via. Il tema dello Stato di diritto è sotto gli occhi di tutti. La posizione del Governo italiano è che non c'è nessuno scambio tra l'accordo sulla migrazione e il rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali. C'è, pertanto, molta preoccupazione per il ritardo del ritorno alla normalità. Stiamo, infatti, chiedendo alla Turchia di tornare rapidamente alla normalità dopo lo sventato colpo di Stato. Questa è la nostra posizione. In ogni caso, se il dialogo dovesse riattivarsi, per noi deve partire proprio dai temi legati al rispetto dei diritti fondamentali e alla giustizia. Questi sono – ripeto – i due temi su cui siamo pronti a riavviare un dialogo con la Turchia, nel contesto di quanto è stato deciso dall'ultimo Consiglio europeo.
  Per quanto riguarda, invece, il tema del Regno Unito, la procedura, che lei ha evocato, è quella ex articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, che viene avviata, per Pag. 5quanto riguarda il recesso, su iniziativa dello Stato che intende recedere. Il referendum ha un grandissimo valore politico interno, ma non ha un valore giuridico europeo, che avrà nel momento in cui il Regno Unito notificherà all'Unione europea l'intenzione di recedere dall'Unione stessa. Di questo, tra l'altro, proprio oggi, la Prima Ministra Theresa May parlerà con il Presidente del Consiglio perché è in vista a Roma. I nostri contatti britannici – a meno che oggi la signora May dica cose diverse, ma non credo – hanno detto che non intendono avviare la procedura di notifica prima della fine dell'anno. Questo è un aspetto che rende impossibile il negoziato perché per noi non c'è, appunto, negoziato senza la notifica. Non abbiamo assolutamente intenzione di avviare negoziati informali bilaterali prima che quello formale sia avviato con la notifica. Questa è la posizione rispetto alla questione Brexit. Per quanto riguarda le implicazioni possibili, è chiaro che le stiamo già valutando in chiave sia italiana sia europea. C'è, comunque, un'implicazione politica ampia, nel senso che la volontà degli altri 27 è di rimanere nell'Unione europea. Pertanto, la volontà del Governo italiano e degli altri Governi è di andare verso un'Unione sempre più stretta. L'obiettivo stabilito nel preambolo dei Trattati, che avevamo già ribadito nel momento in cui avevamo negoziato un possibile accordo con i britannici nel febbraio di quest'anno, per noi rimane valido, con la volontà di dare subito delle risposte concrete su quei temi che sono stati al centro anche del dibattito sul referendum britannico, in particolare quello della sicurezza.
  Riteniamo, infatti, che occorra sfruttare tutte le potenzialità del Trattato, dando la possibilità anche a gruppi di Paesi di approfondire la cooperazione in materia di sicurezza e di difesa. A questo proposito, penso, innanzitutto, alle risposte in materia di immigrazione, ovvero alla rapida attuazione di quanto deciso in giugno, in particolare al migration compact e ai rapporti con l'Africa (tornerò su questo successivamente). C'è bisogno, inoltre, di più forti politiche giovanili, innanzitutto per i giovani esclusi da tutto, cioè quelli che non sono né in formazione, né lavorano, né hanno studi universitari, ma anche per la lotta contro la disoccupazione giovanile e per moltiplicare le opportunità (mobilità, progetto Erasmus e così via). Attorno a questi tre pilastri vorremmo organizzare nell'immediato una risposta politica, posto che il nostro auspicio è di lavorare a un nuovo patto politico per l'Europa da qui al 25 marzo 2017, allorquando ricorderemo i 60 anni del Trattato di Roma, oltre che i trent'anni del Programma Erasmus. Quello potrebbe essere, infatti, un momento di rilancio politico più ampio dell'Unione europea.
  Mi sembrava importante inquadrare le dinamiche legate sia al Regno Unito, sia alla Turchia anche alla volontà dei 27 affermata a giugno – c'è stato, infatti, un Consiglio europeo a 28, seguito il giorno dopo da un vertice europeo dei 27 – che verrà ribadita e approfondita a Bratislava il 16 settembre di quest'anno, dove i Capi di Stato e di governo dei 27 Paesi si riuniranno in un vertice formale per discutere dei temi di cui ho detto, ovvero come dare una risposta immediata alle varie crisi europee attuali. La crisi della sicurezza, la questione dell'immigrazione, che è sia crisi sia questione strutturale (non devo dirlo di fronte a questo Comitato), e la questione giovanile ci sembrano, infatti, le tre grandi questioni legate alla disoccupazione e alla crescita, a cui bisogna dare una risposta più forte e di tipo diverso.
  La questione Brexit è molto complessa perché ha delle implicazioni di tipo sia multilaterale sia bilaterale. Innanzitutto, riguardo alla posizione che abbiamo tenuto rispetto al Regno Unito al vertice di giugno, nella dichiarazione finale dei 27 è chiaramente indicato che se i britannici – starà a loro deciderlo – vogliono continuare a mantenere un rapporto, attraverso forme da definire, con il mercato unico europeo, devono tenere presente che esso è fatto di quattro libertà, non solo di libera circolazione dei capitali (non è fatto solo per la finanza), ma anche dei servizi, delle merci e delle persone. Se i britannici vogliono tenere un rapporto forte con il mercato unico si pone, quindi, anche la questione Pag. 6della libera circolazione delle persone. Anche da questo punto di vista, nel momento in cui procederanno alla notifica, ovvero alla dichiarazione formale della volontà di recesso, dovranno essere i britannici a indicare le strade. È facile pensare che ci saranno due processi paralleli, uno di recesso e l'altro di impostazione del nuovo rapporto. Questo non è scritto da nessuna parte e i trattati non lo prevedono esplicitamente, ma è una facile previsione, dato che il processo deve terminare in due anni, a meno che, con decisione unanime, il Consiglio europeo non decida di allungare i tempi. Allora, è verosimile pensare che in questi due anni da una parte ci sarà il processo di ritiro e dall'altra la riorganizzazione di un rapporto di tipo diverso. Sta, però, ai britannici dirci quale. Sono stati evocati vari modelli. Si è citato, per esempio, il modello norvegese, che è quello della partecipazione completa al mercato unico, con contributo al bilancio comunitario. Si è pensato al modello di un accordo commerciale molto stretto, come quello sul commercio tra Unione europea e Canada. Sono stati evocati, però, anche altri tipi di rapporto. Tuttavia, è prematuro andare nel dettaglio perché tutto dipenderà, appunto, dai britannici. Il punto politico più importante è, però, che il mercato unico si tiene nel suo insieme, non si prende a pezzi.
  L'altra questione – poi vengo ad altri aspetti direttamente legati ai temi più specificamente di vostro forte interesse, come Schengen, Dublino e così via – riguarda lo status dei cittadini aventi nazionalità di uno degli Stati membri dell'Unione europea nel Regno Unito. Su questo ci sono stati contatti della nostra ambasciata e delle varie ambasciate degli Stati membri con l'amministrazione britannica. A questo proposito, Whitehall ha fatto una dichiarazione circa la situazione giuridica dei cittadini di Stati membri dell'Unione europea che sono già residenti nel Regno Unito. Innanzitutto, finché il Regno Unito non avrà notificato ex articolo 50 – questo vale per tutti gli aspetti – i diritti e gli obblighi sono esattamente quelli di uno Stato membro. Nulla cambia, quindi, per quanto riguarda i nostri connazionali che si trovano nel Regno Unito. Dopodiché, bisogna distinguere tra coloro che sono nel Regno Unito da più o meno di 5 anni, perché i cittadini aventi la nazionalità di uno dei Paesi dell'Unione europea che hanno vissuto in maniera continua e legale per almeno cinque anni nel Regno Unito hanno automaticamente un diritto alla residenza permanente. Secondo il comunicato ufficiale del Governo britannico, questo significa che non ci sono ulteriori adempimenti, anche nel momento in cui successivamente potrà cambiare lo status del Regno Unito. Inoltre, coloro che hanno vissuto in maniera continua e legale per almeno sei anni, se lo desiderano, hanno diritto di presentare domanda per la cittadinanza britannica. Questo è spiegato – ripeto – nel comunicato del Governo britannico. Se, invece, hanno vissuto meno di cinque anni nel Regno Unito, possono continuare a rimanerci nel rispetto del diritto comunitario. Al momento non hanno bisogno di procedere con nessun adempimento specifico, ma è chiaro che lo status di questi cittadini sarà uno dei temi oggetto di negoziato nel momento in cui il Regno Unito deciderà di recedere. Credo che possa essere utile che vi lasci il documento perché ne facciate una fotocopia, visto che dà tutte le informazioni specifiche. Questo è, infatti, il punto più importante che andava chiarito. Potete, dunque, acquisire alla vostra documentazione anche la dichiarazione dell'amministrazione britannica.
  In merito ai settori più specifici legati alla sicurezza, alla cooperazione di polizia e a Schengen, le possibili implicazioni sono minori rispetto a un altro Stato membro, perché, come sapete, lo status dei britannici rispetto a questi temi era molto speciale. Non erano, infatti, parte dell'accordo di Schengen e avevano degli opting out-opting in su diverse politiche che riguardano questi settori. Dobbiamo, quindi, partire non dai trattati, ma dalle scelte specifiche di partecipazione che i britannici avevano fatto sui temi oggetto delle nostre discussioni. Ricordo che, in base al protocollo n. 36 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ci sono dei provvedimenti rilevanti, legati a Europol, a Eurojust, Pag. 7 alle squadre comuni d'indagine e al mandato di arresto europeo. Ho citato i principali temi su cui i britanni avevano deciso di optare per partecipare. È chiaro, quindi, che questi saranno oggetto del negoziato perché il recesso dei britannici, in assenza di un altro accordo, comporta anche l'uscita da questo tipo di politiche. In materia di lotta contro il terrorismo, soprattutto per quanto riguarda i britannici, si tratta di rapporti di scambio informativo, alimentati più a livello multilaterale, ad esempio entro il G6, e bilaterale che comunitario. Da questo punto di vista non dovrebbero esserci, pertanto, cambiamenti particolari derivanti dal recesso del Regno Unito. Questo vale anche per quanto riguarda alcune specifiche misure antiterrorismo. Abbiamo un gruppo di alto livello italo-britannico – è competente il Ministro dell'interno, quindi vi invito a sentire i rappresentanti del Viminale – in materia di terrorismo, che continuerà a fare i suoi lavori anche in caso di recesso del Regno Unito. Ci sono, invece, possibili conseguenze sui temi su cui da poco abbiamo fatto dei passi in avanti e che prossimamente produrranno degli effetti positivi. Penso, per esempio, al passenger name record (PNR), ovvero alla registrazione dei passeggeri dei voli aerei, secondo una direttiva appena adottata, che, come sapete, consente lo scambio di informazioni PNR a determinate condizioni. In questo caso, se c'è accordo tra le due parti, ai fini della comunicazione del PNR o comunque dello scambio di informazioni con il Regno Unito, bisogna trattarlo non come Stato membro, ma come Stato terzo. La direttiva già prevede, a determinate condizioni, lo scambio di informazioni del PNR anche con Paesi terzi. Anche questo sarà, però, oggetto del negoziato.
  In materia di gestione delle frontiere non cambia nulla. Sapete che al Regno Unito non si applica il Regolamento n. 399/2016 che istituisce il Codice delle frontiere di Schengen, né alcuno degli strumenti che sono il vostro pane quotidiano e che fanno parte del cosiddetto acquis di Schengen, quindi da questo punto di vista non dovrebbero esserci dei cambiamenti particolari, così come non ci saranno sul sistema dei visti Schengen, dato che il Regno Unito non ne fa parte. L'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea renderà applicabile ai cittadini britannici la sola disciplina relativa agli stranieri. Quindi, i medesimi cittadini non godranno più delle norme di favore contenute, per esempio, nella direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari. Penso anche al tema del diritto di soggiorno dei cittadini comunitari. Ove non diversamente disposto, per poter soggiornare sul territorio nazionale, i cittadini britannici dovranno chiedere al questore della provincia di dimora il permesso di soggiorno, rilasciato in base al motivo dell'ingresso e della permanenza in Italia, analogamente a quanto previsto dalla normativa di settore per tutti i cittadini extracomunitari. Questo è un aspetto che mi sembra importante portare alla vostra attenzione. Poi, sta ai britannici valutare se conviene loro o meno, ma ormai il popolo sovrano ha deciso, quindi ne prendiamo atto. Il popolo sovrano ha deciso che la direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione non si applica più, così come non si applica – questo è uno svantaggio a cui non si è pensato – il regolamento di Dublino.
  Il Regno Unito vorrà sicuramente rafforzare i controlli di frontiera con l'Unione europea. Non entro nel tema del rapporto bilaterale tra Francia e Regno Unito, degli accordi di Touquet e il tema di Calais. Comunque, in generale, il Regno Unito ha più volte sottolineato la necessità di rafforzare i controlli di frontiera con l'Unione europea, sia marittimi sia terrestri (quindi Calais-Dover, treni e traffico automobilistico via Eurotunnel). A questo aggiungo una questione molto delicata, anche se ci riguarda di meno, quella della frontiera tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord. Vi ricordo che dopo i cosiddetti accordi del «venerdì di Pasqua», quella frontiera era sparita, ma giuridicamente potrebbe ritornare, a meno che non si trovi un accordo speciale. L'uscita dall'Unione europea rende non più applicabile al Regno Unito anche il regolamento di Dublino, quindi il Regno Unito non sarà più in grado di rimandare Pag. 8gli immigrati non europei indietro nel Paese di primo ingresso. Infatti, essendo uscito da Dublino, è evidente che esce anche da questa prerogativa. Dunque, è verosimile che ci siano maggiori difficoltà di gestione dei flussi di ingresso nell'isola britannica in conseguenza dell'uscita dal regolamento di Dublino. Anche questo potrebbe essere oggetto di un futuro negoziato con i britannici, ma oggi il contesto giuridico è questo.
  Per vostra informazione abbiamo già cominciato a lavorare, anche a livello politico, su una valutazione ancora più specifica, che è anche frutto del lavoro che abbiamo fatto nel Comitato interministeriale affari europei, che si è riunito dieci giorni fa per fare una valutazione politica delle varie implicazioni. È possibile che occorrano delle strutture specifiche per seguire tutto il negoziato perché sarà equivalente a quello dell'adesione di uno Stato membro, solo che è, appunto, contrario perché invece dell'adesione si negozia l'uscita. Tuttavia, è un lavoro molto complesso, quindi non escludiamo di rafforzare alcuni nostri strumenti amministrativi di coordinamento per ben seguire il negoziato.
  L'altro aspetto su cui mi avete chiesto di intervenire è quello delle migrazioni. Avete ricordato il testo di conclusione del Consiglio europeo di giugno, che ha fatto propria l'impostazione proposta dall'Italia, almeno negli obiettivi, nel cosiddetto migration compact. È stato dato mandato all'Alto rappresentante, nella sua qualità di Vicepresidente della Commissione, di applicare il nuovo approccio, con l'obiettivo di concludere i primi «patti compact» specifici con i Paesi prioritari entro la fine di quest'anno. Si sono già avviati i lavori, in particolare per quanto riguarda Nigeria, Niger, Mali, Senegal ed Etiopia, che sono stati individuati come prioritari. Poi, è stato indicato anche l'obiettivo di aumentare i rimpatri e le riammissioni dei migranti economici come riferimento della cooperazione con i Paesi terzi interessati. Questo per noi è uno dei temi fondamentali. È, infatti, essenziale che questi nuovi patti con i singoli Paesi africani comportino anche un aumento dei rimpatri, oltre che dell'operatività degli accordi di riammissione tra l'Italia, l'Unione europea e i Paesi di provenienza, nonché dell'impegno politico – come il presidente ha ricordato – a mobilitare nuovi strumenti di finanziamento a favore di questo approccio. Dopo la pausa estiva, tra settembre e ottobre, aspettiamo, da parte della Commissione, la presentazione di un nuovo piano di investimenti esterno, con un ruolo importante della Banca europea degli investimenti che dovrebbe, appunto, mobilitare, attraverso un sistema di garanzie pubbliche, nuovi investimenti nei Paesi di origine sulla base di questo scambio e impegno reciproco. Gli obiettivi specifici di questi patti, come la Commissione ha indicato nelle ultime riunioni a livello tecnico, sono la prevenzione e la lotta al traffico di migranti, la collaborazione in materia di rimpatri e riammissioni, il sostegno ai soggetti bisognosi di protezione internazionale e, ovviamente, la rimozione delle cause profonde della migrazione. Occorre, cioè, una politica di investimenti per accelerare lo sviluppo di questi Paesi.
  Passo a un altro tema che abbiamo trattato più volte. Ero qui a presentare gli obiettivi del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea ed eravamo tutti d'accordo, anche se non sicuri, che una delle priorità italiane si sarebbe concretizzata. Parlo della Guardia costiera e delle frontiere esterne dell'Unione europea. Ebbene, oggi questa è una realtà. Due anni e mezzo dopo siamo riusciti a raggiungere un accordo politico anche con il Parlamento europeo, quindi adesso vogliamo, come Italia, che si passi molto rapidamente all'operatività della decisione che è stata presa sulla Guardia di costiera e di frontiera europea. Questo è un risultato importante che passa anche attraverso un rafforzamento del ruolo di Frontex e la messa a disposizione di un certo numero di poliziotti e di personale della Guardia costiera dei vari Paesi membri per la gestione delle frontiere in casi di un incremento di flussi misti e particolari. Credo che questo sia un passo esattamente nella direzione verso cui noi, come Italia, vogliamo che l'Unione europea vada, cioè assumere maggiori responsabilità Pag. 9 condivise nella gestione delle frontiere esterne e farlo anche con la messa a disposizione di nuovi strumenti operativi. C'è anche un aumento delle risorse a disposizione di Frontex. Infatti, dopo la sua adozione in Consiglio il 23 giugno, il 6 luglio il Parlamento europeo si è espresso favorevolmente sulla proposta, che adesso va attuata. Ovviamente, si basa anche sulla valutazione della vulnerabilità di uno Stato membro in caso di particolari crisi.
  L'altro aspetto è la riforma del sistema comune europeo dell'asilo e la revisione del Regolamento di Dublino. La Commissione ha adottato due pacchetti. Quello a cui faceva riferimento la presidente è quello del 13 luglio, con cui la Commissione ha adottato, appunto, un secondo pacchetto composto di quattro proposte legislative nel quadro della riforma del sistema comune europeo dell'asilo, che fa seguito al primo pacchetto del 4 maggio scorso. L'obiettivo della Commissione è di rendere anche la politica in materia di asilo più efficace e più equa e soprattutto più adatta ad agire in periodi di costanti pressioni migratorie. È chiaro che, come avete detto voi stessi più volte, l'impostazione di Dublino appartiene a un'altra fase storica, quindi il sistema europeo dell'asilo va assolutamente riadattato a una fase storica molto diversa, a livello sia quantitativo, sia di qualità delle questioni legate direttamente e indirettamente al fenomeno della migrazione. In generale, le proposte vanno nell'ottica di rafforzare il sistema europeo di asilo, mantenendo la responsabilità della domanda in capo allo Stato membro di primo ingresso. Da parte italiana, questo è un punto che rimane debole perché è bene lavorare sulla redistribuzione e sugli strumenti di maggiore cooperazione e solidarietà – peraltro, gli aspetti della solidarietà e della maggiore cooperazione tra Stati membri erano presenti anche nel primo pacchetto – ma il tema della responsabilità in capo allo Stato membro di primo ingresso deve andare di pari passo con l'applicazione del principio del mutuo riconoscimento. Questa, del resto, è una posizione che conoscete bene. Abbiamo fatto un passo in avanti in merito alle possibilità di redistribuzione in caso di arrivi particolarmente elevati, cosa che non esiste oggi, attraverso incentivi verso gli Stati membri che dovrebbero ricevere alcuni richiedenti asilo. Se vogliamo, però, mantenere, come è nella proposta iniziale della Commissione, la responsabilità giuridica dello Stato di primo ingresso bisogna fare due cose. La prima c'è, ovvero gli strumenti di solidarietà e di assunzione di responsabilità comuni; la seconda è il principio del mutuo riconoscimento. Quest'ultimo, però, è un negoziato che sarà molto difficile e che dovrà vedere un passaggio importante durante la presidenza slovacca.
  Sulla lista dei Paesi sicuri, il negoziato è in corso; non ho informazioni recentissime, ma tornerò a parlarvene. Peraltro, lei ha descritto quali sono i termini del negoziato, quindi rispetto alla sua introduzione non ho molto da aggiungere.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RICCARDO MAZZONI. Grazie, sottosegretario, come sempre, per la dettagliata esposizione. Vorrei soffermarmi sull'accordo con la Turchia, la cui natura giuridica ancora non è chiara. Si tratta, infatti, di una dichiarazione che ha esplicitato l'accordo. Lei ha detto che dopo il golpe non ci sono più le condizioni, nel senso che l'Europa deve fare una riflessione. A mio parere, le condizioni per un accordo con la Turchia non c'erano neanche prima. Infatti, anche prima il sistema di asilo della Turchia non soddisfaceva tre requisiti fondamentali previsti dal diritto internazionale, cioè lo status, una soluzione duratura nel tempo e la disponibilità dei mezzi di sostentamento. Ora, a parte che la Turchia nega lo status di rifugiato a tutti i richiedenti non europei, ci sono attualmente 2,5 milioni di profughi in Turchia che devono vivere senza l'assistenza del Governo turco. Dico questo per dire che anche prima il governo turco bombardava i villaggi curdi, cioè il suo popolo. Insomma, c'erano molti elementi di criticità: la legge antiterrorismo da modificare, che non è stata ancora cambiata; Pag. 10 il sistema dei visti – le chiedo a che punto siamo su questo – e così via, ma la mia preoccupazione è che l'Europa sta prendendo come modello questo accordo per riproporlo anche ad alcuni Stati africani. Il migration compact va, infatti, in quel senso.
  Lei, giustamente, ha esordito dicendo che il primo requisito è il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Io credo che l'Europa abbia fatto un passo indietro sia nell'accordo con la Turchia, sia nelle prime attuazioni del Migration Compact, che è un tentativo di esternalizzare le frontiere europee in Africa. In sostanza, più che piani per lo sviluppo sono fondi dati, anche a dei dittatori, per scongiurare nuovi flussi migratori. Un esempio è il dittatore sudanese al quale l'Unione europea ha dato 200 milioni di euro, mentre il Darfur è un lager a cielo aperto con più di un milione di persone dentro. Queste sono più o meno le riflessioni che volevo fare per dire che bisogna sicuramente mettere un argine a flussi migratori sempre più cospicui, ma senza rinunciare al rispetto dei diritti fondamentali della persona, al quale l'Europa, per bloccare la rotta balcanica, ha ampiamente rinunciato.

  PAOLO ARRIGONI. Avrei due serie di domande. La prima è sulla Turchia. In ordine all'accordo stabilito tra la UE e la Turchia vorrei sapere, a oggi, quanti soldi sono stati liquidati al regime di Erdogan perché interrompesse la rotta dei Balcani e a che punto siamo riguardo alla liberalizzazione dei visti. In occasione della presidenza del semestre europeo italiano, una delle due richieste, quella dell'istituzione della Guardia di frontiera, è stata avallata, ma è sulla carta, quindi non è operativa. La seconda richiesta – che era la prima per il premier Renzi – era quella del mutuo riconoscimento, che, come lei ha confermato, non ha avuto riscontro. Questo, legato al blocco della rotta dei Balcani, al controllo delle frontiere che stanno attuando la Francia, l'Austria e la Svizzera, con Dublino che non viene modificato, quindi rimane il principio del primo approdo, e la lista dei Paesi sicuri che, come ha confermato, non sa nemmeno lei a che punto è...

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee. Siccome non era nei temi che mi avete richiesto di approfondire, non ho informazioni. Può darsi anche che abbiano deciso tutto e io non lo so.

  PAOLO ARRIGONI. È un'accusa che faccio perché è un tema che stiamo monitorando come Comitato Schengen. Lo dico perché era stato preannunciato e consentirebbe il rimpatrio dei migranti economici. Inoltre, il principio di ricollocamento è un totale fallimento. I numeri sono intorno ai 6-700 in diversi mesi rispetto agli 80 giornalieri. Insomma, abbiamo un flusso d'ingresso enorme di persone, di cui il 95 per cento sono migranti economici, senza una valvola di sfogo in uscita, anche perché giustamente la Comunità europea ci ha imposto il fotosegnalamento.
  Ecco, che cosa intende fare l'Italia di fronte a questo drammatico problema, visto che il sistema di accoglienza nel nostro Paese sta scoppiando e arrivano dei diktat da parte del Ministero dell'interno, con obblighi verso i comuni di trovare delle strutture temporanee di accoglienza? È un problema drammatico, non solo economico, ma soprattutto sociale e di sicurezza del Paese.

  MARCO FILIPPI. Vorrei porre al sottosegretario una questione, non a cuor leggero. Vista la sua preparazione e la sua disponibilità, mi sento, però, di offrire il tema alla riflessione. Vorrei chiederle se non ritiene, anche alla luce degli avvenimenti ormai non solo recenti, che esista uno specifico dell'immigrazione di matrice islamica e se al riguardo ritiene adeguata la politica del Governo. Lo chiedo anche in ragione di un intervento di stampa di ieri del professor Cacciari, che parla della necessità di un salto di scala dal punto di vista dell’intelligence, assumendo probabilmente una strategia militare operativa. Ecco, mi farebbe piacere che ci offrisse una sua riflessione su questo.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Pag. 11con delega alle politiche europee. Sul tema posto dai senatori Mazzoni e Arrigoni, ovvero sull'accordo con la Turchia, bisogna distinguere alcuni aspetti. Dal punto di vista della valutazione giuridica, sia il Consiglio dei Ministri sia la Commissione europea, a livello, appunto, di servizi giuridici, hanno dichiarato, prima che si stringesse l'accordo con la Turchia, la compatibilità dell'oggetto dell'accordo stesso con il diritto europeo e con quello internazionale. Quindi, a livello europeo la questione è stata sollevata e risolta. Il punto è che, rispetto alla Turchia non si trattava unicamente di questo accordo, che sta – ripeto – funzionando in base alle valutazioni delle ONG e delle agenzie internazionali nel rispetto delle norme previste sui rifugiati politici, ma c'era anche un'impostazione che riguardava un più ampio rafforzamento del rapporto con la Turchia e che passava attraverso due ulteriori questioni.
  La prima è l'intensificazione del dialogo con la Turchia per un rapporto più ampio con l'Unione europea; la seconda è il tema della liberalizzazione dei visti. Sul primo, come ho detto, per noi già prima del tentato golpe e della reazione ad Ankara, questa nuova fase del dialogo con la Turchia doveva partire dalla giustizia e dai diritti fondamentali. Dato che questa era la posizione del Governo italiano prima del tentato golpe, lo è ancora di più oggi, rispetto alle grandi preoccupazioni che abbiamo circa il rispetto dello Stato di diritto e di alcune importantissime libertà fondamentali. In sostanza, non solo la nostra posizione non è cambiata, ma si è rafforzata, almeno nelle nostre convinzioni, dopo le note vicende. La liberalizzazione dei visti, rispetto alla Turchia, come rispetto ad altri Paesi terzi che richiedono una liberalizzazione dei visti con l'Unione europea, è basata su una serie di criteri. Mi sembra siano 72. Ora, finché questi criteri non sono tutti pienamente soddisfatti, non è possibile procedere alla liberalizzazione dei visti. In base alle informazioni di cui dispongo, al momento la Turchia non ha soddisfatto tutti i criteri necessari. Oltre al nuovo contesto politico, questo, però, valeva anche prima del golpe. Per noi la posizione era che se i criteri non sono soddisfatti, non c'è una spinta politica per andare avanti. Insomma, è un tema che si basa sulla necessità di soddisfare delle condizioni che non erano state completamente soddisfatte dalla Turchia.
  Per il resto, non liquidiamo nulla alla Turchia. Quando si è parlato di eventuali ulteriori 3 miliardi di aiuti negli anni a venire, non sono al bilancio turco, ovvero al Governo turco. Sono dei fondi che vengono dati alle ONG e alle agenzie internazionali per agire in Turchia e per sostenere lo sforzo nella gestione dei rifugiati siriani, che sono oltre 2,7 milioni. Non c'è, dunque, nessun trasferimento al bilancio turco. Da questo punto di vista, la risposta alla sua domanda «quanti soldi avete liquidato alla Turchia?» è zero, perché – ripeto – non liquidiamo nulla direttamente al bilancio della Turchia. Se, invece, mi chiede quanti soldi sono stati utilizzati per la prima attuazione dell'accordo, mi sembra – dovrei, però, verificare perché non vorrei dare una cifra sbagliata – che alle ONG e alle agenzie internazionali siano stati già dati 400 milioni per la gestione dei rifugiati.
  Questo è un punto su cui dobbiamo essere molto chiari. La ringrazio, dunque, della domanda. Credo che la mia risposta sia stata altrettanto chiara.

  PAOLO ARRIGONI. La ringrazio perché l'ambasciatore turco, qui audito, non aveva fatto alcuna specificazione, anzi lamentava, di fronte a questa assemblea, il fatto che non fossero arrivati i soldi al suo Governo.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee. Come ho spiegato al mio omologo Ministro degli affari europei turco, il sistema funziona così. Questo è stato sempre molto chiaro. Sul tema di quanto abbiamo ottenuto, i negoziati danno sempre un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, soprattutto quando si è al governo e all'opposizione. Vi invito, però, a guardare la situazione dal 2014 a oggi. Credo sia importante aver ottenuto la decisione, che nelle prossime settimane e mesi verrà resa operativa, di una polizia Pag. 12europea delle frontiere esterne e di aver portato tutta l'Unione europea a cambiare approccio, indicando nella cooperazione in materia di immigrazione uno degli obiettivi fondamentali che dobbiamo perseguire rispetto ai Paesi sia africani sia mediorientali.
  Voglio ricordare che ci siamo concentrati sull'Africa, ma il migration compact riguarda anche alcuni Paesi del Medioriente, tra cui certamente Libano, Giordania e altri che vi dirò. Inoltre, il fatto di avere portato l'Unione europea ad aumentare non solo gli strumenti politici, ma anche quelli finanziari per gestire, insieme ai Paesi di origine, il fenomeno dell'immigrazione e gli altri aspetti che ho citato, sono dei risultati importanti. Sono misure che, dal punto di vista italiano, tutti chiedevamo due anni fa, quando non c'era distinzione tra maggioranza e opposizione rispetto alla necessità di rafforzare di più il controllo delle frontiere esterne, con l'impegno di tutti i Paesi europei. Ora, siamo arrivati alla creazione della polizia europea delle frontiere esterne.
  C'era, inoltre, la volontà di tutti – semplifico per capire di cosa si tratta – di «aiutarli a casa loro». Ebbene, il Migration Compact mira proprio all'obiettivo di aiutarli a casa loro (vedo che sono parole che vi sono familiari) e ha impegnato tutta l'Unione europea a fare esattamente questo. Mi sembra, dunque, anch'esso un passaggio importante.
  Il tema di Dublino comporta dei passi in avanti altrettanto importanti. Penso, per esempio, ai costi del reinsediamento che con le nuove proposte di Dublino saranno sopportate dal bilancio europeo e non da bilanci nazionali, cosa che l'Italia ha sopportato negli anni scorsi. Penso, inoltre, a strumenti di solidarietà molto più forti e automatici nel momento in cui ci siano dei picchi di crisi come quelli che abbiamo conosciuto in Italia. Ecco, anche questo è un passo in avanti importante. Il Governo Renzi per primo ha posto il principio del mutuo riconoscimento. Per dovere di informazione devo dire che i governi che ci hanno preceduto non hanno mai posto a livello europeo il tema del mutuo riconoscimento, quindi mi fa molto piacere che questo diventi un punto condiviso da tutte le forze politiche. Siamo stati noi i primi a porlo, dunque riteniamo che vada portato avanti perché è un tema politico molto rilevante. Tuttavia, il fatto che ancora non ci sia un accordo su questo non deve portare a valutare come secondari gli altri passi avanti che abbiamo ottenuto per quanto riguarda sia le frontiere sia la questione del rapporto Europa-Africa. Questa è la nostra valutazione.
  Anche il tema dell’intelligence è molto importante per noi. Da Charlie Hebdo a oggi vi sono stati dei passi avanti, per esempio nella banca comune dei dati e quindi nello scambio di informazioni. Credo, tuttavia, che dobbiamo concentrarci sempre di più unicamente sul tema del terrorismo jihadista, nel senso che purtroppo – questa è la mia valutazione personale – gli Stati non sono ancora pronti a integrare pienamente aspetti ancora più ampi come i servizi di intelligence. Secondo me è un errore, ma la valutazione è questa perché è un tema di sovranità nazionale su cui molti Stati membri non vogliono procedere verso un'integrazione ad ampio respiro. Comunque, sul terrorismo jihadista, che è un tema enorme e che è solo una delle attività svolte dai servizi di intelligence – ce ne sono tante altre come sapete – credo che dobbiamo insistere per approfondire la cooperazione e l'integrazione.
  Anche su questo dei passi avanti sono stati fatti, ma è un tema su cui dovreste interrogare, in particolare, il Ministro Alfano o il Viceministro Bubbico, perché hanno gli strumenti per valutare la situazione. A ogni modo, la mia valutazione è che sono stati fatti dei passi in avanti e che se insistiamo non a parlare genericamente di cooperazione tra servizi di intelligence, ma specificatamente di nuovi strumenti di cooperazione e integrazione contro il terrorismo jihadista, possono essere fatti ulteriori progressi.

  PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario. Ringrazio i senatori e ricordo che il 3 agosto ci sarà l'audizione del Ministro della giustizia Orlando. Ci sono, adesso, i colleghi deputati che hanno chiesto di intervenire.

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  MARIA CHIARA GADDA. Ringrazio il Sottosegretario Gozi. Le domande sono davvero residuali rispetto alla relazione molto puntuale e alle risposte che ha appena dato. Ci ha chiarito, infatti, in modo molto netto la questione dei fondi assegnati alla Turchia. Le domande sono le seguenti. Considerato anche il nuovo scenario delineatosi con gli ultimi atti di terrorismo internazionale accaduti nel territorio dell'Unione, chiedo se è ancora pensabile immaginare sul tavolo dei dibattiti un sistema di ricollocamento di tipo obbligatorio sul territorio europeo. L'Italia ha fatto la sua parte relativamente alla creazione degli hotspot, ma dall'altra parte la questione della redistribuzione di richiedenti asilo sul territorio europeo non è stata conseguente e non ha risposto alle aspettative e all'accordo che era stato fatto in questo senso. Chiedo, dunque, se è all'ordine del giorno una discussione sulla gestione dei migranti e richiedenti asilo in modo omogeneo sul territorio europeo, ovvero su un sistema di accoglienza con le stesse caratteristiche, dal momento che oggi ogni Stato membro gestisce il sistema di accoglienza e le procedure di richieste di asilo in modo diverso. Insomma, vorrei sapere se è pensabile avere un sistema omogeneo su tutto il territorio europeo in modo che non ci possa essere da parte di chi arriva sulle nostre coste una scelta per quello che può essere il sistema migliore.
  L'altra domanda – mi scuso se non è all'ordine del giorno della discussione di oggi, ma può essere oggetto di una successiva audizione – riguarda un altro Stato che non fa parte dell'Unione europea, la Svizzera, che nel 2014 ha effettuato un referendum il cui esito ha, di fatto, limitato la libera circolazione delle persone, anche di quelle provenienti dall'Unione europea. Questo è un tema molto sentito in alcune regioni d'Italia, soprattutto in quelle confinanti con la Confederazione elvetica. In questi anni c'è stata una revisione dei trattati e degli accordi con la Confederazione elvetica, ma dopo la Brexit il tema del referendum svizzero del 2014 assume una nuova rilevanza, perché il 30 per cento dei lavoratori non svizzeri che lavorano in Svizzera rappresentano un elemento importante, anche perché il 70 per cento di questo 30 per cento è di origine comunitaria.
  Peraltro, il tema non riguarda soltanto la libera circolazione delle persone, ma anche il rapporto che il nostro Paese ha con la Confederazione elvetica, anche relativamente alla questione dei migranti, quindi alla gestione delle frontiere. Le pongo, quindi, questa domanda a cui può rispondere oggi o eventualmente destinare a un approfondimento successivo.

  GIORGIO BRANDOLIN. Grazie, sottosegretario. La polizia di frontiera è un mio pallino da tre anni, come sa la presidente, per avere vissuto in prima persona questi problemi. In un'audizione (non ricordo di chi perché ormai la mia età si fa veneranda) si è detto che la polizia di frontiera, quando sarà operativa – a questo proposito le chiedo di darmi una tempistica – avrà 1.500 uomini. Si è parlato, però, anche di un suo utilizzo soltanto là dove il Paese di frontiera esterna lo richieda. Non si tratterebbe, cioè, di distribuire le 1.500 persone al confine, da Capodistria fino in Polonia. Inoltre, è stato detto qui – mi sembra dall'ambasciatore dell'Ungheria, ma non ricordo esattamente – che l'utilizzo della polizia di frontiera terrestre è opzionale, ovvero entra in gioco nel momento in cui il Paese va in difficoltà e lo chiede. Ecco, vorrei sapere se questo è vero e se il punto è stato superato, proprio perché la mia idea sarebbe quella di vedere un tedesco che controlli la frontiera tra la Slovenia e la Croazia, anche se la cosa ricorda vicende molto brutte accadute lì 70 anni fa.
  La seconda domanda è relativa agli accordi sull'immigrazione da fare con i Paesi africani e del Medioriente, di cui, appunto, parlava poc'anzi. Anche qui, le chiedo se sono di natura europea o sono bilaterali, quindi tra Italia e Senegal o Nigeria. Questo è importante perché abbiamo già alcuni accordi, come anche altri Paesi. Può darmi, dunque, una spiegazione precisa e definire la tempistica?
  Il terzo problema è stato in parte posto dai colleghi del Senato. Visto che ho una formazione tecnica, dico che gli immigrati Pag. 14che vengono salvati e arrivano nel nostro Paese sono, da circa tre anni a questa parte, circa 150.000, se non ricordo male. Dal 2014 non sono aumentati; diciamo, quindi, che sono 150.000, con qualche punto percentuale in più o in meno. Di quelli del 2014 sono rimasti molto pochi, circa 40-50.000. Nel 2015 ne sono rimasti un poco di più. Nel 2016 ne rimarranno circa 100.000 perché i Paesi del nord hanno bloccato il flusso di trasferimento automatico verso il nord e il centro Europa. Il traguardo del 2017 e del 2018 è aver fermato questo flusso, ma in Italia cominceremo ad avere 3-400.000 persone da sistemare. Questi numeri devono esser presenti al Ministro dell'interno anche rispetto al rapporto con i comuni del nostro territorio per evitare quelle tensioni incredibili e a volte strumentali, ma anche reali, della nostra gente sul territorio. Ecco, avete discusso di questa proiezione e di come affrontarla?

  PRESIDENTE. A questo proposito, abbiamo chiesto la presenza del Ministro dell'interno e del sottosegretario perché c'è un accordo con l'ANCI in cui si discute anche di questo tema, quindi stiamo aspettando. Siamo, però, quasi ad agosto, quindi ci vedremo forse a settembre.

  MARIA CHIARA GADDA. Vorrei farle ancora una domanda che si lega all'ultima considerazione del collega Brandolin. Una preoccupazione che esiste sul territorio è appunto relativa a quello che succede nel percorso successivo. I richiedenti asilo pongono la domanda, ma se c'è un diniego si entra nella giustizia ordinaria. Tuttavia, all'ultimo livello di giudizio, se anche in quel caso avviene un diniego, la persona di fatto rimane qui con uno status diverso. Allora, la gestione di queste persone sul territorio diventa molto complessa perché devono uscire dal sistema di accoglienza in cui sono entrati e in cui sono stati per due o tre anni. Questo dipende anche dai tempi della nostra giustizia ordinaria. Ecco, le chiedo se anche quello che succede dopo l'iter di richiesta di asilo viene posto come tema a livello comunitario, perché credo che tutti abbiano il problema della gestione di persone che, di fatto, non sono più dei richiedenti asilo.

  PRESIDENTE. Conservi anche questa domanda per il Ministro Orlando, che verrà il 3 agosto, allorquando affronteremo il tema delle sezioni specializzate proprio per ovviare al nodo della tempistica. La cosa riguarda l'Interno, ma anche la Giustizia. Il sottosegretario Gozi sa tutto, ma non può rispondere anche su queste cose.

  SANDRO GOZI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con delega alle politiche europee. Il primo punto è molto importante. Mi riferisco alla questione del collega Brandolin sul tema della polizia europea delle frontiere esterne. Credo che sia utile dare tutte le risposte specifiche. Il principio di fondo è quello della responsabilità condivisa nel controllo delle frontiere esterne, che rimane responsabilità primaria dello Stato membro, ma viene effettuato nell'interesse dello Stato membro in questione e di tutti gli altri Stati membri. Insomma, è affermato il principio della responsabilità condivisa. Come dicevo prima, il sistema si basa su una valutazione sulla vulnerabilità dello Stato membro ad affrontare situazioni di crisi. In particolare, a seguito di questa valutazione il consiglio di gestione (management board) dell'Agenzia può adottare raccomandazioni che lo Stato membro è invitato ad attuare. In caso di mancato adempimento il management board adotterà misure vincolanti che, se non attuate, condurranno all'adozione di misure eccezionali. Le misure possono comprendere l'invio delle squadre di intervento rapido alle frontiere (RABIT), che è l'azione più invasiva; l'invio di squadre per la gestione della migrazione negli hotspot; interventi rapidi per le operazioni di rimpatrio; invio di attrezzature tecniche. Ovviamente, in caso di totale inadempimento da parte dello Stato membro, il Consiglio può decidere di raccomandare la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne Schengen.
  Queste sono tutte le opzioni. A tal fine è prevista anche la presentazione di una proposta legislativa ad hoc di modifica dell'articolo Pag. 15 29 del Codice frontiere Schengen. Rispetto alla scelta tra volontario e obbligatorio sta a metà, cioè non è automatico, ma c'è una valutazione e ci sono una serie di strumenti che potrebbero essere anche molto invasivi. È prevista, come lei diceva, la costruzione di una riserva di 1.500 uomini. Si tratta di una contribuzione obbligatoria per gli Stati membri. In sostanza, è obbligatorio che ogni Stati membro contribuisca con uomini e mezzi. Confermo, dunque, che bisogna arrivare a 1.500 unità. Inoltre, si prevede anche il rafforzamento dell'agenzia per i rimpatri. Questo è uno dei punti su cui noi, come Italia, abbiamo insistito in modo particolare.
  Lei ha posto un tema importante, su cui preferirei rimandare la risposta al Ministro dell'interno. È evidente, però, che dobbiamo lavorare su due canali. Non le dico nulla di nuovo. Da una parte abbiamo il tema della rapidità, che ha posto anche la collega Gadda. I tempi di valutazione delle richieste di asilo sono stati accelerati. Le commissioni territoriali di asilo sono state raddoppiate, quindi da questo punto di vista si va verso la direzione giusta. È chiaro, però, che bisogna avere più impatto sui rimpatri. Per questo insistiamo perché anche questa sia sempre di più una responsabilità europea, per cui si pone il tema delle competenze sui rimpatri dell'Agenzia per le frontiere esterne e all'interno del nuovo patto tra Europa e Africa. Insomma, riteniamo che anche i rimpatri debbano essere – ripeto – sempre di più una responsabilità condivisa.
  Dopodiché, c'è il tema dell'integrazione. Infatti, nel momento in cui, attraverso la procedura di valutazione della richiesta d'asilo, stabiliamo che quella persona ha diritto all'asilo, dobbiamo anche costruire un sistema ancora più intenso e rapido di integrazione, sia linguistica sia rispetto al lavoro. Questo tema diventa ancora più importante perché va in parallelo con quello dei rimpatri, perché quando si arriva al termine della procedura di valutazione della richiesta di asilo bisogna essere rapidi a fare due cose: rimpatriare chi non ha diritto e integrare chi lo ha. Questo è l'impegno del Governo, ma rimando l'approfondimento ai miei colleghi.
  Sulla Svizzera il negoziato è in corso. Come ricorda, il pacchetto di otto accordi bilaterali tra Unione europea e Svizzera era basato sulla clausola della ghigliottina (simul stabunt simul cadent). Adesso c'è un negoziato per trovare un nuovo accordo, dato che hanno fatto cadere quello sulla libera circolazione, per vedere quale tipo di compromesso possiamo trovare perché ci sia garantita una libera circolazione, ma con un sistema di allerta, non di quote, semmai con un meccanismo di valutazione. È questo, quindi, l'oggetto del negoziato in corso tra Unione europea e Svizzera.
  Credo di aver risposto a tutte le vostre domande. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, sottosegretario. Le ricordo che è prenotato nuovamente per ottobre. Saluto la dottoressa Giulia Massotti, che è una componente della sua segreteria tecnica. Con i colleghi ci aggiorniamo alla prossima settimana perché il 3 agosto abbiamo il Ministro Orlando.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.50.