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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 32 di Mercoledì 3 agosto 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI

Audizione del Ministro della giustizia, Andrea Orlando.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Fasiolo Laura  ... 11 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 12 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 12 
Artini Massimo (Misto-AL-P)  ... 12 
Ravetto Laura , Presidente ... 13 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 14 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 14 
Frusone Luca (M5S)  ... 15 
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 15 
Ravetto Laura , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della giustizia, Andrea Orlando.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ringraziamo di essere tornato da noi, tra l'altro, in una data non esattamente agevole.
  Avverto che la seduta odierna è pubblica, per cui, se il Ministro volesse dire qualcosa, che ritiene debba essere secretata, interrompiamo la pubblicità dei lavori.
  I punti su cui ci piacerebbe ascoltarla – naturalmente, poi, lascerò anche la parola ai colleghi per le domande – riguardano, in primo luogo, la sua prospettiva di disciplina della riforma giudiziaria. Lei ha già avuto di modo di pronunciarsi, parzialmente anche in Aula, relativamente a una sua proposta di revisione delle procedure giudiziarie. In particolare, con riferimento alla questione della migrazione, lei ha prospettato la costituzione di sezioni specializzate presso i tribunali, anche in linea con delle mozioni già votate dal Parlamento. Sappiamo che lei ha, di fatto, già concretizzato una proposta, che ha presentato al Consiglio dei ministri, però non è ancora calendarizzata. In merito, c'è un po’ di preoccupazione da parte del Comitato, perché riteniamo che questo potrebbe essere un elemento importante per un'accelerazione dell'identificazione dei soggetti che arrivano sul nostro territorio, quindi anche per la possibilità di decidere con celerità chi ha titolo e chi non ha titolo per rimanervi o, senza troppi aggravi sulle casse dello Stato, chi ha diritto a entrare nel circuito dell'accoglienza e chi non ne ha, così come chi, invece, debba essere rimpatriato. Lei si è detto sempre ottimista, però non abbiamo visto ancora questa calendarizzazione. Certo, lei non fa l'ordine del giorno del Consiglio dei ministri, ma le chiediamo se ci può dare una prospettiva, cioè se, secondo lei, c'è un minimo di speranza per questa calendarizzazione, almeno per il rientro dalle vacanze o l'inizio del 2017. Inoltre, vorremmo sapere qual è il problema. Chi è che non mette all'ordine del giorno questa proposta? C'è qualche perplessità da parte di qualche collega? Lo chiediamo perché non possiamo immaginare che questa non sia ritenuta una priorità.
  Sappiamo che lei è anche impegnato nella predisposizione – questo probabilmente già è stato attuato – di misure antiradicalizzazione, con particolare riferimento alle sedi carcerarie. Le chiediamo se ci può dire che cosa sta facendo in merito. Ci sono delle proposte legislative, tra l'altro sottoscritte in maniera bipartisan, pendenti alla Camera, per lo stanziamento di risorse nelle carceri e nelle scuole, oltre che naturalmente sul web, quindi le chiediamo se anche su questo ci può dare degli elementi.
  Sulla questione in materia di protezione umanitaria, il Comitato ha analizzato i dati relativi alle decisioni delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, rispetto a quelli delle Pag. 4decisioni assunte dai tribunali, a seguito del ricorso di coloro che hanno avuto un diniego dalle Commissioni territoriali di qualunque tipo di protezione, cioè non sono stati individuati né come rifugiati né hanno potuto beneficiare della protezione umanitaria o sussidiaria, tuttavia permangono sul nostro territorio, appunto in attesa che i tribunali decidano sui loro ricorsi. Sappiamo che lei, presso la Commissione che si occupa dei migranti, ha già risposto a una domanda di un collega su questo tema perché c'è una differenza notevole tra le decisioni delle Commissioni territoriali e le decisioni dei tribunali: al 70 per cento – mi pare – i tribunali ribaltano, di fatto, le decisioni di diniego delle commissioni. Noi sappiamo che i tribunali sicuramente sono i competenti per eccellenza dell'applicazione legislativa, quindi dobbiamo ritenere che, in base agli strumenti legislativi che hanno, naturalmente ne siano gli interpreti autentici. Tuttavia, non possiamo dire che nelle commissioni territoriali ci siano persone incompetenti, perché sono commissioni collegiali, in cui è presentata anche l'UNHCR, quindi c'è un'attenzione forte ai diritti dei migranti. Si applicano le medesime leggi e, naturalmente, si sta anche in un perimetro e in un quadro di convenzioni internazionali. In tal senso, le chiediamo a che cosa è dovuta questa discrasia e se, secondo lei, questa discrasia potrebbe essere in parte ovviata o comunque ridotta, magari con modifiche legislative. Penso, per esempio, all'interpretazione e alla discrezionalità nell'applicazione della protezione umanitaria da parte del giudice.
  Ho un'ultima domanda. Mi pare che sia di ieri un'agenzia del Ministero dell'interno, in cui il Ministro dell'interno annuncia – ora, non ricordo i dettagli, per cui prenda le mie parole con il beneficio del dubbio sui dettagli – che un soggetto, se non sbaglio, pachistano avesse il proposito o che comunque ci fossero delle indicazioni di proposito di compiere atti terroristici sul nostro territorio, per cui questo soggetto è stato rimpatriato. La domanda che le pongo è: in questi casi, pur sapendo che c'è la discrezionalità delle forze di pubblica sicurezza, quando c'è un soggetto, per il quale si hanno delle prove, come immagino in questo caso, che sta per compiere o che vorrebbe compiere un atto terroristico sul nostro territorio, la cosa migliore è rimpatriarlo o sarebbe stata arrestarlo? Probabilmente, questa domanda non è di sua stretta competenza, però forse ci può spiegare se ci sono gli strumenti o se, anche in questo caso, ci sono delle lacune legislative, per cui il Parlamento dovrebbe impegnarsi ad aprire una discussione in questo senso.
  Inoltre, vorremmo sapere, in questi casi, come si pone lei, naturalmente nei limiti delle sue competenze. Lo chiediamo perché si tratta di una notizia importante, che può destare preoccupazione nell'opinione pubblica e che può far ritenere che forse, prima del rimpatrio, andrebbero condotte delle indagini, anche per comprendere se c'è una rete. È veramente il rimpatrio la soluzione in questi casi o lei, come Ministro della giustizia, probabilmente può, in qualche modo, intervenire, valutando altre strade?
  Grazie, Ministro. Le lascio la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Grazie, presidente, per questo nuovo invito e questa nuova audizione. Vorrei partire da una considerazione di carattere generale. Il fenomeno migratorio, cui assistiamo, ci impone di avere una visione di insieme su quello che sta accadendo e sulla strada, che ha preso o sembra voler prendere su questo tema la storia. Credo che, per non cedere a delle derive populiste o xenofobe, sia nostro dovere elaborare gli strumenti giuridici, oltre che economici, affinché questo fenomeno sia governato e non abbandonato a un suo imprevedibile sviluppo spontaneo. La complessità dello scenario internazionale rende necessario intensificare il costante dialogo tra tutte le parti coinvolte per lo sviluppo di efficaci politiche di gestione e di accoglienza.

  Ritengo fondamentale partire dai dati relativi alle richieste di protezione internazionale, che sono state rivolte alle commissioni amministrative territoriali, negli anni 2013-2016. L'incremento delle domande di asilo si è tradotto inevitabilmente in un Pag. 5altrettanto ed esponenziale aumento del numero delle impugnazioni in sede giurisdizionale. Durante i primi cinque mesi del 2016, nei tribunali sono stati scritti ben 15.008 ricorsi, in materia di protezione internazionale, con un flusso in crescita di circa 3.500 nuovi ricorsi al mese. Le sedi giudiziarie con il maggior numero di iscrizioni sono quelle di Napoli e Milano, seguite da quella di Roma e di Venezia. Non appare altrettanto elevato il numero delle definizioni, che, nello stesso periodo, è stato di 985. D'altra parte, il lasso di tempo necessario a esaminare e trattare i ricorsi determina uno slittamento in avanti del momento definitorio, rispetto a quello della mera iscrizione. Sul punto, merita di essere evidenziato che la competenza giurisdizionale in materia è, per lo più, di derivazione europea: il giudice italiano è anzitutto un giudice dell'Unione europea. Si tratta di un'attività estremamente onerosa per il singolo giudice, vigendo, nel giudizio di protezione, il principio dell'onere della prova attenuato. La conseguenza è che i riscontri esterni, alle dichiarazioni di ciascun migrante richiedente asilo, devono essere ricercati dallo stesso giudice del procedimento con un lavoro complesso di analisi delle dichiarazioni e di ricerca dei riscontri esterni, che rallenta i tempi delle decisioni.
  In proiezione futura, appare evidente che se le iscrizioni di nuovi ricorsi manterranno lo stesso passo nei prossimi mesi del 2016 e, di contro, le definizioni non seguiranno a un ritmo corrispondente, ci troveremmo di fronte a una materia ad alto accumulo di pendenze. Dai dati forniti, emerge come le circa 1.000 decisioni del 2016 presentino una bassissima percentuale di accoglimenti totali (solo il 6 per cento). Quanto alla durata dei procedimenti, la media dei 2016 si attesta su 167 giorni. Siamo, dunque, di fronte a un procedimento relativamente snello, se comparato al contenzioso civile, ma più lento, se comparato ai riti di volontaria giurisdizione. Per poter fronteggiare la situazione, scongiurando l'accumulo di arretrato, si rende indifferibile un ulteriore snellimento della procedura di riconoscimento della protezione internazionale, che consenta ai tribunali di tenere il passo con le iscrizioni. Già il decreto legislativo n. 142 del 2015 aveva introdotto un primo gruppo di importanti modifiche processuali, per semplificare le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, estendendo a tali procedimenti l'applicazione del rito sommario, previsto per la cognizione civile. Su questa direttrice, appare indispensabile un'ulteriore semplificazione, pur nella salvaguardia delle garanzie fondamentali, così il dicastero, che dirigo, ha assunto l'iniziativa di presentare ulteriori interventi normativi, attraverso un disegno di legge, che attualmente è al vaglio del Governo. Sulla base di un'analisi comparativa degli ordinamenti europei e delle disposizioni degli organismi sovranazionali, questo disegno di legge promuove la specializzazione dell'organo giurisdizionale, come un elemento decisivo per l'accelerazione dei procedimenti. Non è un caso che, nella maggior parte degli Stati membri, gli organi di impugnazione di primo grado siano specializzati. Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svezia e Grecia sono alcuni esempi di specializzazione, in materia di asilo e migrazione.
  L'altro punto focale, su cui è stato improntato il disegno di legge, riguarda il sistema delle impugnazioni di secondo grado, ossia l'appello contro le decisioni dei tribunali. Nella realtà europea, i sistemi di impugnazione si articolano su un numero variabile di gradi di giudizio. La maggior parte degli Stati membri, tra cui Francia, Spagna e Belgio, prevede solo due gradi di giudizio: un primo grado di merito e un secondo grado di legittimità. Lo schema di disegno di legge fa tesoro delle esperienze europee più efficaci, prevedendo importanti disposizioni per la semplificazione del ricorso giurisdizionale contro le decisioni delle commissioni territoriali. Secondo l'architettura proposta, alle sezioni specializzate sono attribuite le controversie in materia di protezione internazionale, compresa la convalida del trattenimento del richiedente asilo, ma anche in materia di migrazione e libera circolazione dei cittadini comunitari, di accertamento dello stato di apolidia, attualmente di competenza del Pag. 6tribunale di composizione monocratica. Viene, inoltre, prevista la soppressione dell'appello contro la decisione del tribunale e la sostituzione dell'attuale rito sommario di cognizione con un procedimento camerale, di regola senza udienza, che consente l'acquisizione, da parte dell'autorità giudiziaria, della videoregistrazione del colloquio del richiedente davanti alla commissione.
  In proposito, voglio precisare che procedure più rapide non mettono in pericolo i diritti. Le garanzie restano comunque salvaguardate, dal momento che la partecipazione dell'interessato all'udienza di convalida del trattenimento è assicurata attraverso un collegamento audiovisivo tra i centri di trattenimento e gli uffici giudiziari competenti. L'attenzione verso la tutela dei diritti costituzionali non può rimanere indietro rispetto alla legittima urgenza delle risposte di controllo. Diritti e sicurezza non sono i capoversi di due soluzioni politiche alternative, ma sono vocaboli nati e cresciuti insieme nel patrimonio della civiltà democratica europea, per cui, soprattutto nelle fasi più convulse, vanno stretti insieme. Ci tengo a precisare che il rito processuale descritto, con contraddittorio scritto e udienza eventuale, si presenta conforme al modello internazionale di giusto processo e pienamente in linea con i principi espressi dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e che si misurano le garanzie sulla natura degli interessi tutelati. L'udienza orale è ineludibile per i processi penali, mentre sono permesse restrizioni nei processi civili o amministrativi. In ogni caso, l'udienza orale rimane assicurata, quando sia necessario sentire l'interessato o richiedere oralmente chiarimenti alle parti o ancora quando occorra ai fini dell'attività di raccolta e di apprezzamento delle prove.
  In questa breve descrizione, sono partito dall'esigenza di specializzazione. Vorrei, ora, chiudere la stessa descrizione, ricordando un intervento sulla formazione. Il disegno di legge prevede, infatti, che alla Scuola superiore della magistratura sia attribuita la formazione specializzata dei giudici, anche onorari, sia in fase iniziale sia per il periodico aggiornamento obbligatorio. D'altra parte, solo un'adeguata formazione dei magistrati, chiamati a valutare, può garantire l'effettiva tutela del richiedente, imposta dalle disposizioni europee. Merita una sottolineatura il profilo organizzativo. In accordo con il Consiglio superiore della magistratura, abbiamo avviato un piano straordinario di applicazioni extradistrettuali di magistrati presso le sedi più gravate. Questo, fino a ora, ha consentito di impiegare dodici giudici, dedicati in via esclusiva alla trattazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale.
  Voglio segnalare, su questo, che il tema degli organici e del personale della magistratura è al centro delle politiche del Ministero della giustizia e che, appunto in questi giorni, è stato trasmesso al Consiglio superiore della magistratura lo schema di decreto ministeriale, recante la nuova determinazione delle piante organiche degli uffici giudicanti e requirenti di primo grado. Tale progetto, che tiene conto anche delle esigenze prodotte dall'intensificazione dei flussi migratori, consentirà un complessivo rafforzamento degli uffici distrettuali. Il Ministero della giustizia ha anche intrapreso un progetto di collaborazione con il presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, finalizzato al censimento delle Commissioni territoriali nel registro delle pubbliche amministrazioni. Questo permetterà, già nel brevissimo periodo, lo scambio di atti, comunicazioni e notificazioni, tra Commissioni e uffici giudiziari, utilizzando la piattaforma del processo civile telematico. Inoltre, ultimate le necessarie attività sperimentali verranno impartite specifiche istruzioni agli uffici giudiziari, con l'obiettivo di rendere omogeneo il procedimento su tutto il territorio nazionale.
  Naturalmente, quando parliamo di accoglienza e di tutela dei diritti, ricopre un'importanza particolare la tutela dei minori stranieri, specie di quelli non accompagnati, perché sono i soggetti a maggior rischio di sfruttamento illegale, in mancanza di un sistema efficace di accoglienza. Anche per i minori, i dati parlano di numero crescente, nell'ordine di decine di migliaia all'anno, di minori, che fanno ingresso e che transitano nel territorio italiano. Pag. 7 Questi segnali non possono essere sottovalutati. L'Europol ha denunciato l'esistenza di una sofisticata infrastruttura criminale europea, che prende di mira i migranti minori ai fini di sfruttamento. Di molti di loro, si perdono le tracce all'ingresso in Europa. Al 31 dicembre 2015, sono stati registrati, in Italia, ben 6.135 minori non accompagnati, che risultano irreperibili. Il decreto n. 142 del 2015 disciplina la procedura di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, equiparandone diritti e tutela, a prescindere dal fatto che abbiano o meno richiesto asilo o protezione internazionale. Tra gli altri aspetti, la norma interviene primariamente sulla rapida collocazione del minore non accompagnato. Inoltre, è prevista una fase di prima accoglienza in strutture governative ad alta specializzazione, che, però, non può superare i 60 giorni. In seguito, i minori hanno accesso a misure di accoglienza di secondo livello, nell'ambito del sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Permangono, tuttavia, anche nella nuova normativa, competenze concorrenti e frammentate fra gli organi amministrativi e giudiziari, che producono rallentamenti e farraginosità. Tali criticità sono state in parte fronteggiate con buone prassi, applicate sul territorio e diffuse dal Ministero della giustizia, attraverso linee guide e accordi assunti a livello centrale dal Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità. Gli aspetti più delicati del procedimento giurisdizionale riguardano la nomina del tutore e l'accertamento dell'età del soggetto, in assenza di documenti autentici del minore o di dubbi sull'età anagrafica. Questi sono inconvenienti, che possono richiedere una complessa istruttoria e la necessità di avvalersi di mediatori culturali, psicologi e pediatri, quindi si tratta di passaggi, che rallentano spesso la procedura di nomina del tutore e l'esercizio conseguente dei diritti e della facoltà del minore.
  Su proposta del Ministero della giustizia, è all'esame del Governo un provvedimento che consenta procedure più leggere e semplificate per la determinazione dell'età dei minori non accompagnati, che sono vittime di tratta. Sul piano operativo, il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero sta, inoltre, recependo un documento del Tavolo interregionale Immigrati e servizi sanitari, per rendere più agevole l'accertamento preliminare sull'età effettiva e valorizzare i tempi di nomina del tutore. C'è, poi, la proposta di legge, su iniziativa dell'onorevole Zampa e di altri, che mira all'istituzione di un elenco di tutori volontari, a cui potranno iscriversi privati cittadini, selezionati e adeguatamente formati, che siano disponibili ad assumere la tutela di un minore straniero non accompagnato o di più minori. Tale proposta è all'esame della Commissione alla Camera i deputati e mi auguro che abbia tempi di approvazione celeri.
  Un altro passo fondamentale è quello di consentire la regolarizzazione del permesso di soggiorno, attraverso adeguati strumenti di informazione e conoscenza. A tale scopo, tutte le direzioni dei Centri di giustizia minorile territoriali sono state dotate di un opuscolo informativo, che fornisce, in varie lingue, ogni informazione o indicazione riguardo alle tutele predisposte, a cui si accede. È previsto, inoltre, l'avvio tempestivo di ogni iniziativa per l'individuazione dei familiari del minore non accompagnato, richiedente protezione internazionale. I minori che approdano in Italia, dunque, sono inseriti in un percorso non solo di assistenza, ma anche di tutela e di garanzia, che assicura il pieno dispiegamento dei loro diritti costituzionalmente garantiti.
  Le vicende attuali dimostrano che la gestione sostenibile del fenomeno migratorio è un tema estremamente ampio, che coinvolge le politiche per lo sviluppo socio-economico e la tutela dei diritti dell'uomo, quindi la politica estera, l'ordine pubblico e la sicurezza, e che chiama in causa, in misura sempre più crescente, il sistema giudiziario nel suo complesso. Ci tengo a evidenziare che sia la magistratura, sia le strutture investigative, che da esse dipendono, hanno maturato una lunga esperienza nel contrasto al terrorismo e che gli strumenti a nostra disposizione sono adeguati. In proposito, voglio soltanto ricordare Pag. 8 l'intervento legislativo, che, dal 2015, ha previsto la possibilità anche di azioni offensive, in grado di contrastare l'utilizzo del web da parte delle organizzazioni terroristiche. Il profilo che deve ricevere la massima attenzione è, ora, quello della condivisione delle informazioni, in modo da ridurre le ancora profonde divergenze tra i vari ordinamenti europei. Qui, risiedono gli ostacoli per il dialogo e lo scambio delle informazioni raccolte, come per la loro effettiva utilizzabilità ai fini processuali. Auspichiamo, pertanto, che a livello europeo si lavori rapidamente per rendere più uniformi i sistemi processuali e le normative in materia di intercettazioni, di accessi ai dati informatici e di utilizzazione processuale degli esiti. Sulla stessa linea, occorre potenziare il controllo sulle frontiere esterne dell'Unione europea e verificare attentamente il grado di integrazione dei soggetti, che hanno varcato le frontiere dell'Unione europea.
  Sotto il primo profilo, riteniamo fondamentale continuare a sostenere il processo di transizione verso un democratico Stato di diritto nei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori, nella prospettiva di realizzare una cooperazione giudiziaria celere ed efficace. Si inserisce, in tale contesto, il ripristino della figura del magistrato di collegamento, figura che abbiamo voluto istituire in Paesi strategicamente rilevanti, per il contrasto al terrorismo di matrice jihadista. È già operativo il magistrato italiano di collegamento in Francia ed è stato, nei giorni scorsi, designato quello destinato a operare in Albania, mentre è in corso la procedura di selezione per il Marocco. Questo consentirà una più stretta e sistematica collaborazione tra amministrazione e autorità giudiziarie dei vari Paesi, in vista dei comuni obiettivi di lotta alle principali forme di criminalità. Sotto il secondo profilo, sono state adottate politiche concrete, volte alla prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo violento nonché alla promozione e alla tolleranza del rispetto dell'altro. Sul versante della lotta contro la discriminazione, il razzismo e l'incitamento all'odio e alla violenza, esprimo soddisfazione per l'adozione del Codice di condotta sull'illecito incitamento all'odio online, che abbiamo con forza sollecitato alla Commissione europea. Si tratta di uno strumento innovativo, che richiama a un'azione congiunta le grandi piattaforme di internet, le autorità statuali e le organizzazioni della società civile, in una virtuosa e capillare azione di contrasto a chi semina odio online.
  Sul versante della minaccia terroristica, sono molteplici i livelli di intervento. L'attenzione, in merito, si è concretizzata nella creazione presso l'Ufficio di Gabinetto del dicastero, che dirigo, di un gruppo di analisi strategica, che si avvale anche della collaborazione dei vertici degli uffici giudiziari, impegnati nell'attività di contrasto. Inoltre, abbiamo proposto un emendamento al disegno di legge delega sulla riforma del processo penale, volto a razionalizzare le attribuzioni delle procure distrettuali, che permetterà una migliore concentrazione delle risorse sui reati tipicamente connessi a strutture organizzate del crimine. In generale, è costante ed efficace l'azione delle procure della Repubblica, grazie anche al coordinamento della Direzione nazionale antimafia, cui come è noto abbiamo, già dall'aprile 2015, assegnato la responsabilità del coordinamento investigativo, anche nella materia del terrorismo. Si tratta di una scelta, a lungo attesa, che rivendico all'azione del Governo.
  I rischi da fronteggiare sono elevati. Dalle informazioni disponibili, risulta essere in corso una serrata verifica investigativa sull'ipotesi che fiduciari dell'ISIS svolgano ruoli cruciali di controllo e di indirizzo nella gestione dei flussi migratori verso l'Italia, provvedendo anche a dare direttive sui criteri di distribuzione territoriale dei migranti. Il segreto investigativo, gravante sulle attività, impedisce allo stato di disporre di ulteriori informazioni. Tuttavia, ancor più abbiamo avviato un'intensa attività sulle carceri, con lo scopo di analizzare, neutralizzare e contrastare quella zona grigia di proselitismo dei terrorismi di matrice jihadista, che fa presa soprattutto sulla seconda generazione di immigrati. È questa la fascia, che, in altri Paesi, ha subito maggiormente l'influenza delle predicazioni Pag. 9 estremiste e che, per questo motivo, è più esposta al rischio di radicalizzazione. Il carcere è una realtà, in qualche misura, privilegiata, in cui è possibile acquisire notizie sulla radicalizzazione con una maggiore facilità. Un aspetto, che perciò deve essere curato, riguarda, dunque, la condivisione delle informazioni acquisite attraverso il monitoraggio. È stato istituito, presso il dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, un apposito servizio per il coordinamento delle informazioni, che giungono da istituti penitenziari, e per il collegamento con le altre forze di polizia nonché l'accesso alle banche dati nazionali ed estere. Il fenomeno del proselitismo, radicalizzato in carcere, è stato individuato sin dal 2004 ed è divenuto oggetto di studio continuativo da parte del Ministero della giustizia, perciò abbiamo realizzato un sistema informatico in grado di alimentare il Sistema informativo di Schengen.
  Certamente, anche la disposizione interna dei detenuti è funzionale a ridurre i rischi di proselitismo e di pericolosi sodalizi con le altre consorterie criminali. I detenuti per i reati di terrorismo internazionale sono, perciò, inseriti in un circuito penitenziario, che prevede la rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta. La guardia non va abbassata neanche nei circuiti comuni, perché vi possono essere integralisti di spessore, arrestati per reati minori e circondati da una larga schiera di soggetti deboli e facilmente influenzabili. Per questo motivo, attualmente il Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria effettua una ricognizione capillare, al fine di rilevare alcuni degli indicatori elaborati a livello europeo per il rischio di radicalizzazione, come la politica religiosa, i cambiamenti fisici, la routine quotidiana, l'organizzazione della stanza detentiva, il comportamento con le altre persone e il commento su eventi politici e di attualità.
  I soggetti segnalati dagli istituti penitenziari, per aver mostrato in vario modo adesione o compiacimento per gli attentati, sono stati immediatamente inseriti nel monitoraggio. Nei loro confronti, è stato modificato il tipo di custodia, da aperto a chiuso. Inoltre, per consentire agli agenti della Polizia penitenziaria di comprendere più a fondo le realtà da fronteggiare, sono stati istituiti corsi di formazione specifici, indirizzati a quanti prestano servizio presso gli istituti penitenziari a rischio di radicalizzazione. È stata rafforzata la collaborazione con il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, con ripercussioni sulla sicurezza nazionale, infatti i soggetti ritenuti pericolosi sono stati segnalati e, al momento della scarcerazione, sono stati espulsi o sottoposti a specifiche attività di prevenzione da parte di altre forze di polizia.
  In questo ambito di interventi, è a disposizione uno strumento tecnologico, che consente l'accesso ai nominativi dei soggetti, ritenuti pericolosi sotto il profilo per terroristico e segnalati da 80 Paesi del mondo. Attraverso questo programma, è possibile stringere le maglie e rilevare, per esempio, se un soggetto ristretto per reati comuni, in realtà sia stato segnalato da un Paese come pericoloso dal punto di vista terroristico. L'attuazione di questa politica ha avuto, come presupposto, la messa a punto di meccanismi, in grado di consentire una rapida individuazione di identificazione delle nazionalità dei detenuti stranieri. In quest'ottica, il Ministero della giustizia e il Ministero dell'interno hanno sottoscritto un protocollo per la costante condivisione dei dati e delle informazioni tra le due amministrazioni. Sempre sotto il profilo dell'identificazione e della sicurezza, voglio sottolineare l'importanza della banca dati del DNA, già prevista della legge n. 85 del 2009, di ratifica al Trattato di Prüm. Il suo regolamento esecutivo è entrato in vigore, dopo una lunga gestazione, il 10 giugno scorso, con l'istituzione, presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, del laboratorio centrale per la banca dati del DNA.
  Per ciò che attiene alla radicalizzazione, è opportuno porre l'attenzione sulle dinamiche, spesso non lineari, all'origine di questi fenomeni. È stato, per esempio, dimostrato che, decontestualizzando il soggetto radicalizzato, attraverso un trasferimento presso un altro istituto, questi ha cambiato completamente comportamento, abbandonando le posizioni estremiste, assunte Pag. 10 in precedenza. Altre volte, si è constatato, invece, che, pur mantenendo questi atteggiamenti, in sezioni dove non sono presenti i detenuti stranieri, il soggetto monitorato non riesce a portare a termine attività di proselitismo in modo efficace. I dati, acquisiti attraverso il monitoraggio in corso, mostrano che la situazione in Italia non è così allarmante come quella di altri Paesi europei. Sono complessivamente 345 i detenuti, interessati dal fenomeno della radicalizzazione e di cui è possibile fornire una distinzione in base al grado di pericolosità. Tra questi, ce ne sono 93, per i quali non sono emersi segnali concreti di radicalizzazione, restando, però, sospettati o sottoposti a osservazione, e ce ne sono 99, che, pur essendo ancora classificati come radicalizzati, hanno manifestato un atteggiamento di approvazione in occasione degli attentati, avvenuti a Parigi, in Belgio e a Dacca. Dei totali 345, 153 sono detenuti, classificati a forte rischio di radicalizzazione, di cui 39 sottoposti a regime detentivo di alta sicurezza, essendo imputati per reati di terrorismo. I detenuti, che provengono da Paesi di fede musulmana, sono complessivamente 10.500 e sono 7.500 quelli che la professano.
  Per quanto la situazione, come già detto, non sia allarmante, non possiamo permetterci di sottovalutare nulla, perché il carcere è un luogo dove si realizzano forme di radicalizzazione rapida, e perché si tratta di soggetti vulnerabili. In carcere, è alto il rischio che si diffondano forme di esclusione e di isolamento e sono queste le condizioni, su cui il radicalismo fa leva, per trasformare l'isolamento in senso di vendetta e di odio contro la società. In quest'ottica, occorre prestare la massima attenzione, affinché sia garantito l'esercizio del culto, perché, così facendo, oltre a tutelare un diritto fondamentale di ciascun individuo, andiamo a scongiurare ogni strumentalizzazione in chiave di propaganda fondamentalista. Per questo motivo, stiamo stipulando protocolli d'intesa con le associazioni religiose disponibili a svolgere un'azione di predicazione a sostegno del diritto di culto, che possano concorrere a favorire, all'interno degli istituti penitenziari, alla circolazione di anticorpi in grado di debellare focolai di odio sociale e religioso.
  Voglio anche segnalare che abbiamo molto curato il profilo dell'informazione sui diritti dei detenuti e, in particolare, sulla possibilità, loro riservata, di chiedere il trasferimento nello Stato di provenienza, per scontare la pena inflitta. Nell'ambito dell'accordo quadro nei mesi scorsi, sottoposto alla conferenza dei rettori delle università italiane, è previsto lo sviluppo di azioni comuni, anche al fine dell'evoluzione progressiva delle tecniche di prevenzione della radicalizzazione e del trattamento di soggetti già radicalizzati. Si tratta di una collaborazione istituzionale importante, che favorirà anche lo scambio fra esperienze di analisi e di ricerche in ambito internazionale. Inoltre, a livello europeo, abbiamo sollecitato l'esigenza dell'individuazione di un modello comune di esecuzione della pena, che tenga conto anche di questa specifica questione. Il rischio della radicalizzazione ha fatto sì che la Commissione accogliesse un'istanza, che era nostra e della Romania e a cui è seguita quella di altri Paesi, che hanno sottoscritto questa lettera, e che, già da due vertici, questo tema sia al centro della discussione, anche se, al momento, le indicazioni, fin qui pervenute, sono prevalentemente riguardo alla possibilità di attingere ad alcuni fondi, tanto per gli interventi di carattere strutturale, quanto per gli interventi legati al trattamento.
  Per quanto riguarda gli strumenti pattizi di carattere generale, posso dire che ne abbiamo siglati con l'Albania e con la Romania e che abbiamo ampliato, poi, il ventaglio, concludendo due specifiche convenzioni bilaterali con i paesi extra-europei strategici, quali il Marocco e l'Egitto. Ricordo, in questa sede, che il Ministero della giustizia prende parte al progetto europeo denominato «RAN» (Radicalisation awareness network), istituito dalla Commissione europea con lo scopo di creare una rete tra esperti e operatori, coinvolti nel contrasto al fenomeno della radicalizzazione violenta. Siamo convinti, infatti, che la cooperazione, la tempestività nello scambio di informazioni e la convergenza dell'attività Pag. 11d'indagine siano elementi determinanti per sconfiggere il terrorismo e la criminalità organizzata. Per questo motivo, abbiamo sostenuto e continueremo a sostenere un approccio più ambizioso nell'ambito dei negoziati per la costruzione di strumenti comuni e davvero efficaci, di una procura europea forte e con ampi poteri d'indagine. Un'Europa timida nel costruire strumenti giurisdizionali comuni dà un segnale di debolezza e di arretramento in una fase, che, invece, esige coraggio e fiducia reciproca.
  Abbiamo davanti scelte, che credo siano politicamente molto importanti e urgenti e che riguardano la sicurezza dei nostri cittadini e delle nostre città. Intendo queste scelte non come un appesantimento repressivo e preventivo delle restrizioni normative e credo che noi dobbiamo continuare sulla strada, che questo Governo ha imboccato, cioè uscire da una logica improntata soltanto all'emergenza, per badare, invece, all'efficacia effettiva delle politiche di sicurezza, fatte di analisi, monitoraggio e interventi. Certo, questa è una prova irta di difficoltà per l'Europa democratica, che tutti insieme abbiamo costruito nei decenni passati. Tuttavia, è appunto la sua carta identità a testimoniare che essa possiede le risorse politiche ideali per vincere questa battaglia.
  Riguardo alle informazioni che il Presidente mi richiedeva su un caso di cronaca recente, devo dire che non ho sufficienti elementi per poter dare una valutazione su quello specifico caso.
  Riguardo alle difficoltà, che incontra l'attività di carattere legislativo, ritengo che, al momento, si sia guardato alla particolare congestione del calendario, che caratterizza le Commissioni chiamate a valutare il provvedimento. In merito, non ho altri elementi per poter dire che ci siano difficoltà di carattere tecnico, che non consentano l'emanazione di questa normativa. La ringrazio.

  PRESIDENTE. Prima di lasciare la parola ai colleghi, vorrei dire che io, come presidente, non le ho fatto una domanda, che pongo, adesso, come componente di una parte politica. Ci sono delle proposte legislative alla Camera su reati specifici e relativi alla radicalizzazione. Alcuni dicono che tali proposte siano corrette e altri dicono che siano meno corrette, quindi le chiedo se può darci una sua opinione in merito. Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA FASIOLO. Grazie, Ministro. Io mi scuso in anticipo perché ci attende la verifica del numero legale al Senato, quindi dovrò scappare e ascolterò la sua risposta successivamente.
  Voglio, intanto, sottolineare che, effettivamente, ho anche verificato e sperimentato sul campo quanta sia l'attenzione nuova di questo Governo, nei confronti del suo Ministero, rispetto al problema carcere. Ho avuto modo di visitare in più occasioni, per esempio, un carcere in un territorio di confine, come quello di Gorizia, e devo dire che gli investimenti sono veramente stati significativi e apprezzati.
  L'altro aspetto, di cui speravo appunto parlasse e che mi dà, senz'altro, soddisfazione, è quello di una presa in carico appunto dello snellimento e della semplificazione, rispetto alle procedure processuali, che saranno senz'altro più rapide per questi soggetti. Lo dico perché il tempo di permanenza è infinito sul territorio, anche a seguito dei ricorsi, quindi è indifferibile lo snellimento del processo. Questo non va sicuramente, come lei ha sottolineato nel suo intervento, a discapito del rispetto dei diritti dei singoli. Quest'aspetto è assolutamente essenziale, come anche la necessità, che si rivela, di un'attenzione anche ai criteri di gestione a livello europeo, quindi di un sistema, che deve essere sempre più conforme e sempre più omogeneo a quelli europei.
  Un aspetto, su cui, invece, pongo un interrogativo, è quello relativo alla bozza del quadro delle piante organiche che è stata trasmessa al Consiglio superiore della magistratura. Lei dice che, in questa che è meno di una bozza delle piante organiche, si terrà conto delle situazioni di complessità, legate alle tematiche relative all'immigrazione. Io spero che questo veramente accada, perché avrei l'esigenza di rappresentarla, Pag. 12 specialmente nelle aree confinarie, dove pare che più o meno le situazioni siano rimaste analoghe. Chiederei di considerare ed, eventualmente, di rivalutare alcune specificità, perché devo dire che, in alcuni tribunali, c'è addirittura la necessità di applicazioni extraterritoriali, in cui si richiedono in prestito, per quattro mesi con proroghe, i magistrati, che non sono assolutamente sufficienti per l'espletamento della normale attività processuale. Complessivamente, devo dire che sono fortemente soddisfatta della sua risposta, con questa sottolineatura di alcune esigenze specifiche, qualora si debba passare da una bozza – cosa che si farà – a un provvedimento definitivo. Grazie.

  GIORGIO BRANDOLIN. Grazie, Ministro. Ho due domande secche da porre.
  Riguardo alla prima domanda, lei ha dichiarato – e mi ha impressionato il numero – che, nel 2015, sono «spariti» 6.000 minori in Italia. Le chiedo se può darmi qualche informazione in proposito, cioè rispetto a quanti sono i minori arrivati nel 2015 e quanti ne sono spariti. Capisco che questo è di competenza del Ministero dell'interno, ma insomma è un grande problema, anche perché, rispetto alla bozza del progetto Zampa, che anch'io ho sottoscritto ovviamente, abbiamo difficoltà sul territorio con i nostri sindaci ad aiutare questi minori.
  La seconda domanda riguarda quanto la presidente ricordava: nel 2014-2015, le decisioni dei tribunali hanno ribaltato quelle delle Commissioni territoriali per il 70 per cento dei casi. Lei ci ha, oggi, detto che, se ho ben capito, dall'inizio del 2016 a oggi, su 1.000 ricorsi espletati dai tribunali, soltanto per il 6 cento è stato accolto, ribaltando la situazione. Vorrei chiedere se anche su questo può dirmi se le mie sono informazioni discordanti e magari, in qualche maniera, non precise oppure se c'è stato un cambio, sia nella velocità, sia nella razionalizzazione, sia nelle modalità con cui queste decisioni vengono prese. Grazie.

  MARIA CHIARA GADDA. Anch'io ho delle brevi domande. La prima riguarda l'aspetto della radicalizzazione. Lei ha citato il fenomeno legato alle carceri e al web, ma la mia domanda è relativa a un altro tipo di luogo spesso citato come luogo di radicalizzazione. Mi riferisco ai luoghi di culto. Vorrei sapere se riscontra un nesso relativamente a questo fenomeno nei luoghi di culto. Lo chiedo perché esistono, per esempio, delle leggi regionali, in merito. Io provengo dalla Lombardia, dove il consiglio regionale ha approvato una normativa che, di fatto, limita la costruzione di nuovi luoghi di culto in termini generici, ma con riferimento particolare alle moschee. Questo crea sul territorio diverse difficoltà, quindi la mia domanda è legata a questo tema. Le chiedo se esistono appunto dei nessi specifici legati ai luoghi di culto o se il tema è esattamente l'opposto, cioè se un luogo di culto rende più possibile un monitoraggio, grazie anche alla collaborazione delle diverse associazioni.
  L'altro tema riguarda la gestione dei dati. Questo elemento è emerso in più occasioni in questo Comitato, ma anche in altre Commissioni, come, per esempio, in quella d'inchiesta che si occupa dei centri d'accoglienza per i migranti. Le chiedo, riguardo al sistema di gestione dei dati, quindi alle schede relative alle diverse persone, che entrano nel sistema di accoglienza e poi nell'amministrazione giudiziaria, se i due sistemi del Ministero dell'interno e del Ministero della giustizia sono in grado di parlarsi, se sono sovrapponibili e se è pensabile appunto uno sviluppo in questa direzione.
  L'altra domanda riguarda gli hotspot. Anche in questo caso, in questi mesi, è emersa una discussione legata al fatto che questo tipo di strutture, che esistono sul territorio nazionale, non sono, di fatto, definite a livello normativo. Le chiedo se ritiene opportuno che queste strutture vengano appunto definite all'interno dell'ordinamento o se semplicemente la transizione da Centri di prima accoglienza a hotspot possa essere, comunque, gestita.

  MASSIMO ARTINI. Signor Ministro, io vorrei tornare, per approfondirlo, all'argomento introdotto inizialmente dal vicepresidente Brandolin, in merito ai minori. Le Pag. 13chiedo due spunti, quindi non solamente il numero del 2015 e l'aggiornamento attuale, ma anche quali sono le fasce d'età, perché la problematica consiste nel fatto che spesso si tratta di minori tra i 15 e i 17 anni. Vorrei sapere anche quale tipo di mercato illegale c'è dietro a questo tipo di minori. In merito, le chiedo se per la proposta Zampa, cui faceva riferimento sia il collega Brandolin che lei, ha suggerimenti migliorativi da poter introdurre e effettivamente da poter portare avanti. Grazie.

  PRESIDENTE. Io mi riferivo espressamente alle proposte legislative, relative al reato di integralismo islamico. Vorrei precisarlo perché forse non sono stata chiara.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Per quanto riguarda il tema delle piante organiche, noi abbiamo sottoposto la valutazione al Consiglio superiore della magistratura. Credo che il parere possa essere dato in termini relativamente brevi, anche perché si tratta, in qualche modo, di una valutazione su un atto, che è stato preventivamente costruito con il Ministero, quindi naturalmente il mio non può che essere un auspicio, ma credo che non ci siano ragioni particolari per un'istruttoria eccessivamente lunga.
  Per quanto riguarda la questione dell'integralismo islamico, francamente non ho capito neanche come si configurino esattamente i presupposti dell'incriminazione. Ci sono già reati che colpiscono le forme di incitamento all'odio e abbiamo introdotto la fattispecie del negazionismo, per cui, francamente, non capisco quale possa essere esattamente il presupposto o la fattispecie che inquadra questa metamorfosi, che credo sia prevalentemente di carattere interiore, quindi non credo che sempre dia dei segnali esteriori, a meno che non si voglia punire chi si fa crescere la barba e si mette una tunica, ma questo rischia di colpire anche persone che con il fenomeno religioso non hanno nessun rapporto. La difficoltà, prima ancora che essere di carattere politico-culturale, mi pare di configurazione giuridica. Sicuramente i parlamentari proponenti, sostenuti da giuristi, immagino che avranno risolto questo problema.
  Per quanto riguarda il tema dei minori non accompagnati, io non posso sapere esattamente quale sia il destino di questi minori. Presumo che la parte più prossima al compimento della maggiore età segua esattamente la stessa dinamica degli altri, cioè sostanzialmente l'emigrazione verso altri Paesi e, nella migliore delle ipotesi, dei percorsi di integrazione, ma, talvolta, il coinvolgimento nel lavoro nero. Suscita particolare preoccupazione la parte che non è prossima al compimento della maggiore età, rispetto alla quale mi pare che il disegno di legge Zampa dia risposte assolutamente congrue, quindi la valutazione in questo senso, che ho espresso nella mia relazione, è meditata perché ritengo vi siano delle risposte adeguate.
  La statistica ci dice che l'inizio dell'attività si discosta significativamente dall'andamento precedente, per quanto riguarda la valutazione dei ricorsi. Ancora attenderei per dire che c'è un andamento diverso, ma è probabile – siamo nell'ambito delle valutazioni spannometriche – che l'andamento sia dovuto al fatto che sono stati prioritariamente definiti i casi di più semplice valutazione, cioè quelli che sono manifestamente infondati o che, comunque, con chiarezza non avevano i presupposti per il ricorso, quindi è possibile che ci sia un'omogeneizzazione della valutazione o almeno una maggiore omogeneità di valutazione rispetto al passato, ma attenderei per dirlo solo quando disporremo di un consolidato.
  Sulla questione dei luoghi di culto, si tratta di definire quale deve essere la strategia, a prescindere dai principi costituzionali, che, volendo citare il lessico costituzionale, «valgono per ogni persona». Tuttavia, c'è anche un problema di strategia per la sicurezza. Io credo che il nostro Paese abbia interesse a una piena emersione del fenomeno religioso, perché questo consentirebbe anche un maggior controllo sulla dinamica di potenziale radicalizzazione. Noi non abbiamo, al momento, elementi per dire che c'è un rapporto di causa-effetto, anzi abbiamo visto, talvolta, Pag. 14osservando i casi europei, che il fenomeno della radicalizzazione non segue necessariamente un percorso di conversione esplicita. Talvolta, si tratta di persone che apparivano, fino a un periodo relativamente recente, fortemente integrate, anzi addirittura integrate nei fenomeni più patologici della società occidentale, fino a forme di crimine e stili di vita tipicamente propri delle società occidentali e con cui facciamo i conti da molti anni, per cui non si tratta esattamente di specifici comportamenti che riguardano persone radicalizzate. Abbiamo visto, invece, che il fenomeno della radicalizzazione, in pochissimo tempo, si è manifestato e non necessariamente all'interno di una traiettoria di carattere religioso, anzi non la possiamo definire religiosa perché il piano religioso è un fenomeno interiore, per cui non sappiamo quale sia esattamente la dinamica interiore. Comunque, apparentemente, non si è passati attraverso un percorso di pratica del culto. Tuttavia, possiamo pensare, anche in ragione di una casistica che riguarda la predicazione in molti Paesi occidentali, che il culto possa avere un ruolo. Per questa ragione, io credo che abbiamo interesse a un'emersione del culto e la possibilità, compatibilmente con le indicazioni costituzionali, di valutare esattamente qual è la fenomenologia in corso, anche perché noi sappiamo da dati di carattere storico che il culto non è, in alcun modo, comprimibile, al di là del fatto che lo Stato lo riconosca o meno. Il fatto che si sviluppi una rete clandestina di pratica del culto rischia di costituire un pericolo per la sicurezza del nostro Paese, piuttosto che un elemento di contrasto e di contenimento.
  Per quanto riguarda la questione dell'integrazione dei dati tra il Ministero dell'interno e il Ministero della giustizia, dobbiamo dire che, al momento, ancora non vi è una piena integrazione dei dati disponibili, tant'è che uno dei punti previsti nel disegno di legge è esattamente quello dell'individuazione di un percorso, che consenta di integrare questi dati.
  Per quanto attiene il tema degli hotspot, si tratta di una struttura, indicata dalla normativa europea, la cui compatibilità con il nostro ordinamento e con i principi di carattere costituzionale dovrà essere attentamente valutata, al momento di un'eventuale definizione giuridica. Allo stato attuale, non abbiamo elementi per dire che queste strutture, tout court, si pongano in conflitto, anzi riterrei che ci siano tutte le modalità, affinché, tenendo presenti alcuni presupposti e alcuni vincoli, queste possano essere collocate all'interno della nostra impalcatura ordinamentale.

  PRESIDENTE. L'onorevole Gadda le ha chiesto appunto se, secondo lei, bisogna dare una definizione di carattere normativo.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Al momento, non avvertiamo l'esigenza di una definizione di carattere normativo.

  GIORGIO BRANDOLIN. All'epoca, abbiamo parlato molto dei CIE. So che questi Centri sono di competenza del Ministero dell'interno, ma vorrei segnalare che, nei CIE, transitavano persone che venivano dalle carceri eccetera, e che, praticamente, c'è ancora qualche centinaio di persone nei CIE, in Italia. Le chiedo come si pensa di superare le problematiche, che sono state affrontate, in modo forse anche sbagliato, nei CIE.

  PRESIDENTE. Anche se questa è una domanda propriamente per il Ministro dell'interno. Non so se il Ministro vuole dare una sua opinione, ma vorrei precisare che i CIE dovrebbero essere chiusi.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. I CIE, come sapete, sono in fase avanzata di superamento. Come regolare il fenomeno, ho cercato di dirlo nella mia relazione, quindi, in qualche modo, penso di aver risposto alla sua domanda. Ritengo che il tema fondamentale sia quello di una celerità delle procedure previste, che siano in grado di distinguere tra rifugiati e emigranti per altra causa e, sulla base di questo, per i secondi disporre degli strumenti per un rapido rimpatrio. Pag. 15
  Per quanto riguarda la questione della gestione dei rifugiati, credo che questa si debba rinviare al Ministero dell'interno, anche se mi pare che, in qualche modo, un modello anche di accoglienza a livello europeo, seppure con grandissima fatica, incominci a profilarsi.

  LUCA FRUSONE. Io mi scuso per il ritardo. Forse queste tematiche sono già state affrontate nella relazione, però, con le domande dei colleghi, mi sono venute in mente.
  Per quanto riguarda l'identificazione, c'è un problema, che ci veniva sottoposto da alcuni operatori. Per esempio, per i cosiddetti «transitanti», che appunto non hanno ancora ricevuto una vera e propria identificazione e che, magari, vengono arrestati e portati in carcere, c'era chi lamentava che il processo di identificazione si fermava, quindi si perdeva del tempo all'interno del carcere, e che, scontata la pena, ritornavano fuori col medesimo status. Le chiedo se questo fenomeno esiste tuttora e se sono state messe in campo delle buone pratiche per ovviare a questo problema, quindi accelerare il tutto e avere successivamente un'identificazione del soggetto ed, eventualmente, l'espulsione oppure qualsiasi altra forma.
  Per quanto riguarda i ricorsi, naturalmente non dico di creare delle sezione speciali, anzi chiedo se una cosa del genere sia stata fatta. Se ne avete già parlato, chiederò il resoconto stenografico per leggere quanto avete detto.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Per quanto riguarda la questione delle procedure, si è definito un accordo tra il Ministero della giustizia e il Ministero dell'interno, in merito a quelle di identificazione in carcere. In più, crediamo che tale accordo possa dare un significativo supporto alla banca dati per il DNA, che – lo faccio presente – è una struttura che raccoglie i dati di tutte le persone arrestate, che passano attraverso il circuito penitenziario, quindi consente un'identificazione sostanziale del soggetto. Questo è un dato di cui disponiamo e di cui crediamo di poterci avvalere con un successo, anche sotto questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro e i colleghi. Vorrei anche ringraziare quanti hanno accompagnato il Ministro, ossia il dottor Giovanni Melillo, Capo di Gabinetto, il dottor Luca Spataro, Segretario particolare, e il dottor Guido Ruotolo il portavoce del Ministro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.