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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 38 di Mercoledì 15 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI.

Audizione del Ministro dell'Interno,
senatore Marco Minniti.

Ravetto Laura , Presidente ... 2 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 4 
Ravetto Laura , Presidente ... 14 
Filippi Marco  ... 14 
Ravetto Laura , Presidente ... 15 
Filippi Marco  ... 15 
Conti Riccardo  ... 15 
Arrigoni Paolo  ... 15 
Ravetto Laura , Presidente ... 16 
Arrigoni Paolo  ... 16 
Mazzoni Riccardo  ... 16 
Orellana Luis Alberto  ... 16 
Frusone Luca (M5S)  ... 17 
Ginetti Nadia  ... 17 
Fasiolo Laura  ... 17 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 17 
Ravetto Laura , Presidente ... 18 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 18 
Distaso Antonio (Misto-CR)  ... 18 
Brandolin Giorgio (PD)  ... 18 
Ravetto Laura , Presidente ... 18 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 18 
Ravetto Laura , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Risposte trasmesse dal Ministro dell'interno, Sen. Marco Minniti ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'Interno,
senatore Marco Minniti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro dell'Interno, senatore Marco Minniti, che è già stato da noi con altro ruolo governativo. Lo ringraziamo moltissimo di essere qui con noi. Siamo la prima Commissione che riceve il Ministro, dopo le Commissioni affari costituzionali riunite di Camera e Senato.
  Ministro, sappiamo che lei recentemente ha avanzato dei nuovi indirizzi in materia di immigrazione, che sono stati recepiti dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio scorso con un decreto-legge, con cui si introducono disposizioni in materia di protezione internazionale, oltre a misure per l'identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e per il contrasto dell'immigrazione illegale. Circa le procedure per l'esame delle domande di asilo, risulta al Comitato, anche da notizie di Ansa del 10 febbraio 2017, che il Governo, nel medesimo provvedimento, avrebbe deciso di sopprimere un grado di giudizio per i ricorsi e di assumere 250 specialisti per rafforzare le Commissioni d'asilo territoriali. Abbiamo ascoltato molti responsabili per gli esami delle Commissioni e abbiamo visto l'audizione tenuta dal Prefetto Trovato, che inviteremo anche da noi nelle prossime settimane e che ha riferito, di fronte ad altra Commissione, che i tempi medi di esame delle domande di protezione internazionale sono di 257 giorni.
  In merito, le chiediamo, da una parte, se ci illustra la questione dei ricorsi e, dall'altra, se può farci capire meglio. È vero che i tempi medi delle Commissioni sono diminuiti, però è anche vero che ci risulta che, di fatto, ci sono ancora moltissime domande pendenti, perché c'è un problema anche di apertura e di chiusura della pratica, per cui le chiediamo se lei ha contezza di problematiche all'interno delle Commissioni e come intende procedere per la questione dei ricorsi.
  In più, le rinnovo anche il quesito che io stessa le ho posto in Commissione affari costituzionali per sapere se ha una posizione in merito all'istituto della protezione umanitaria, che è un unicum in Italia. In effetti, a livello internazionale abbiamo il diritto di asilo e la protezione sussidiaria come istituti riconosciuti in tutti i Paesi europei, ma noi in più abbiamo questo istituto, che spesso viene applicato dai giudici, perché giustamente lo hanno a disposizione e non certo perché utilizzano creatività o discrezionalità. Tuttavia, tale istituto porta molto spesso a un ribaltamento – addirittura, secondo i dati del Comitato, del 70 per cento – dei risultati di diniego derivanti dall'analisi della Commissione territoriale, per cui di fatto si crea una discrasia tra le decisioni delle Commissioni territoriali e le decisioni dei tribunali. Naturalmente, eliminando un grado di giudizio, questa discrasia di fatto si accelererebbe, quindi la valutazione è assolutamente positiva sulle sue intenzioni, ma Pag. 3vogliamo capire come ci si pone rispetto a questo istituto giuridico.
  La seconda domanda è relativa alla cooperazione antiterrorismo e alla libera circolazione nell'area Schengen. Lei, parlando di fronte alle Commissioni riunite affari costituzionali di Camera e Senato mercoledì scorso, ha dichiarato di essere un sostenitore di Schengen e che, se vogliamo tutelarlo, l'Europa deve proteggere i suoi confini interni ed esterni. Tra l'altro, il Consiglio dell'Unione europea il 7 febbraio scorso ha dato parere favorevole all'estensione per altri tre mesi dei controlli alle frontiere in Austria, Germania, Danimarca, Svezia e Norvegia, quindi siamo in un momento certamente delicato per Schengen. Le chiediamo un commento su quest'aspetto e qual è lo stato dei lavori per il rafforzamento della protezione delle frontiere esterne.
  Poi, ci ha molto colpito quanto è accaduto con il tunisino Amis Amri, il quale, ha passato tranquillamente le frontiere della nostra area. Questo fatto ha portato alcuni commentatori, tra cui certamente non la sottoscritta o questo Comitato – a parte alcune eccezioni, perché in generale siamo tutti sostenitori di Schengen – a dire: «la libera circolazione, di fatto, porta anche questi effetti collaterali, per cui un terrorista può liberamente circolare, quindi probabilmente andrebbero ridefiniti i controlli o comunque ripensata l'area Schengen relativamente a queste situazioni». Le chiediamo se lei può dirci qualcosa a riguardo.
  Relativamente, invece, alla proposta della Commissione europea di stabilire una lista europea di Paesi terzi sicuri, posso dirle che questo è un tema che il Comitato ha affrontato spesso, perché abbiamo registrato che, all'interno del dibattito europeo, l'adozione di questa lista comune, è ancora indietro. Sappiamo che alcuni Stati membri hanno stabilito liste nazionali, però queste liste sono una differente dall'altra e spesso ci sono delle contraddizioni. Le chiediamo, da una parte, se lei ritiene di avviare all'interno del Governo italiano un dibattito sullo stilare una lista di Paesi terzi sicuri e, dall'altra – anche se naturalmente le competenze probabilmente sono più relative al Sottosegretario che si occupa dei rapporti comunitari – le chiediamo se, secondo lei, a livello europeo si sta muovendo qualcosa per creare in qualche modo una lista comune.
  Sull'accordo di riammissione per i rimpatri lei è stato molto chiaro e ha parlato di CPR (Centri permanenti per il rimpatrio). Le saremmo grati se anche a noi volesse dire qualche cosa e, in particolare, come sono andati gli incontri con gli enti locali, per sapere che cosa si è detto, anche con i presidenti delle regioni e con i sindaci e se ha delle notizie in più in merito.
  Per quanto riguarda l'accordo di riammissione per i rimpatri, lei ha fornito dei dati, anche in Commissione affari costituzionali, sulle vie di transito principali, descrivendo la differenza rispetto alla via mediterranea, dove ci sono degli aumenti. In tal senso, le chiediamo se può fare dei commenti. In particolare, risulta al Comitato che il vertice di Malta ha accolto con favore il Memorandum d'intesa firmato il 2 febbraio 2017 dal Governo italiano e dal Governo di accordo nazionale libico, che riguarda la cooperazione nel campo dello sviluppo e della lotta all'immigrazione illegale. Tuttavia, è notizia di oggi che non ci sarebbe stato l'incontro già previsto tra Sarraj e Haftar, quindi le chiediamo se, in tal senso, ritiene che ci potrebbe essere un rallentamento o comunque un problema relativamente anche al Memorandum da lei sottoscritto.
  Alcune ultime questioni; una è relativa al nuovo capitolato per la gestione degli appalti per i centri di accoglienza. Lei ha introdotto un concetto molto innovativo, che penso sia condivisibile da tutti, cioè quello di creare una sorta di accordo quadro, che dia maggiori garanzie nella gestione, anche concorrenziale, e dia la possibilità di una gestione non unica, quindi le chiediamo se può spiegarcelo.
  L'ultima questione riguarda l'operazione «Sophia». Anche questa è sicuramente una competenza di altri Ministeri, però le domandiamo se ci può fare un commento. C'è un dibattito su Eunavfor Med per la necessità di entrare nella terza fase. Lei ritiene che questo sia un elemento fondamentale per la lotta al traffico di esseri umani e sappiamo che, di fatto, si Pag. 4tratta anche di un'operazione di soccorso. Tuttavia, bisogna considerare anche, perché si tratta di un aspetto importante, che senza Eunavfor Med ci sarebbero comunque obblighi internazionali di soccorso in mare, invece l'obiettivo ultimo di Eunavfor Med era appunto quello del presidio – scusi la tecnicità – delle coste libiche. A che punto siamo, secondo lei, e che cosa si dovrebbe fare per andare avanti con quest'operazione?
  Do la parola al Ministro dell'interno, Marco Minniti, per lo svolgimento della relazione, ricordando che la seduta è pubblica, per cui, anche se non credo che debba dire cose da secretare, se ne dovesse avere, la interrompiamo.

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Grazie, presidente. Grazie per l'invito innanzitutto e, in secondo luogo, grazie anche per la sequenza di questioni, che ha voluto porre e che in ogni caso testimoniano – a mio avviso, questo è molto importante – una conoscenza e un'attenzione verso il lavoro che in queste settimane si è svolto. Com'è giusto che sia, naturalmente, il Parlamento ha un'attenzione critica verso queste questioni, ma, se mi è consentito, esprimo veramente un sincero apprezzamento per l'attenzione dimostrata rispetto al lavoro che si è cercato di fare in queste settimane. Risponderò a tutte le questioni, naturalmente cercando, se mi è consentito, di dare anche un disegno, anche se poi è chiaro che, come tutti i disegni, il mio può essere condiviso o non condiviso.
  Partirei innanzitutto dalla questione che è stata posta, cioè quella della minaccia sul versante del terrorismo internazionale. Lei, presidente, ha citato la vicenda di Amri, che è una vicenda particolarmente rilevante. Ci troviamo, in questo momento, in una situazione che può essere così riassunta. Abbiamo l'Islamic State sulla difensiva per quanto riguarda la componente più propriamente militare, perché ha perso terreno e capacità di finanziamento in Siria e in Iraq, com'è noto. Tuttavia, appare abbastanza evidente che, nel momento in cui si fa più forte la pressione militare e appare ancora più evidente la possibilità di una sconfitta militare sul campo di Islamic State, è ragionevole pensare che a questa pressione sul terreno propriamente simmetrico, quello del campo militare, possa seguire una reazione di carattere asimmetrico. D'altro canto, su queste questioni ci eravamo già intrattenuti precedentemente, anche per le funzioni che svolgevo. Non solo ricordo l'audizione qui, ma ricordo anche un'audizione in Commissione affari costituzionali, in cui questo quadro venne riferito come possibilità e venne riferito prima dell'attacco di Berlino del dicembre dello scorso anno, che ha segnato appunto una ripresa di attacchi terroristici in Europa. Tuttavia, l'attacco di Berlino ci consegna una situazione, che, da questo punto di vista, propone un ulteriore slittamento verso il principio di spontaneità dell'azione terroristica. Come voi ricorderete, c'è stato un attacco attraverso l'uso di un camion, ma non era la prima volta che accadeva in Europa, perché c'era stato già un attacco di questo tipo a Nizza. Tuttavia, tra Berlino e Nizza c'è qualche differenza.
  L'attacco di Nizza avviene con un camion affittato qualche giorno prima. Naturalmente, è evidente che anche quell'attacco ha un margine di imprevedibilità altissimo, tuttavia, se c'è un affitto qualche giorno prima, può scattare in qualche modo un warning, che consenta di fare un'azione di prevenzione. Nella vicenda di Berlino, per qual è al momento la ricostruzione fatta anche dalle autorità tedesche, con le quali c'è stata e c'è una importante collaborazione, pare che il camion sia stato sequestrato poche ore prima con l'autista a bordo. L'autista non era in alcun modo coinvolto dentro la vicenda terroristica ed era arrivato a Berlino perché doveva fare uno scarico. Amri è salito a bordo e ha ammazzato l'autista, quindi si è impossessato del camion e, nel giro di pochissimi minuti, ha fatto l'attacco al mercatino di Natale.
  Siamo di fronte, quindi, a uno slittamento ulteriore sul terreno della spontaneità e della imprevedibilità, cioè si abbattono drasticamente i tempi di reazione. Tutto ciò comporta, come voi avete visto e come noi abbiamo fatto, una rivisitazione anche dei modelli di sicurezza, che parta da un presupposto, cioè che il modello di Pag. 5sicurezza nel nostro Paese funziona, anche perché, se avessimo avuto qualche esitazione, il dubbio è stato anche in qualche modo fugato dal fatto che – poi, aggiungerò qualcosa – Amri, dopo aver girato mezza Europa, è arrivato a Sesto San Giovanni ed è stato fermato in un controllo ordinario da parte di una volante della Polizia di Stato. Tuttavia, è chiaro che questo modello di sicurezza debba essere continuamente aggiornato, perché, di fronte all'alto tasso di imprevedibilità, la cosa più importante è tenere insieme due presupposti di un modello di sicurezza.
  Il primo presupposto è quello dell’intelligence, cioè la capacità di conoscere prima gli eventi, che si riferisce naturalmente alle agenzie a tal uopo preposte, ma anche a tutta l'attività delle Forze di Polizia nel nostro Paese. Accanto all'azione di intelligence, quindi di prevenzione, c'è bisogno di un'azione molto attenta di controllo del territorio, perché è evidente che, nel momento in cui tu hai un alto tasso di imprevedibilità, l'unico modo per prevenire tale imprevedibilità è controllare permanentemente il territorio. Su quest'aspetto è stato fatto un ulteriore passo in avanti, anche durante le festività natalizie. Come avete visto, c'è stato un imponente dispiegamento di Forze, che, tuttavia, è stato fatto in un rapporto molto intenso e molto diretto con i sindaci, in maniera tale da avere un controllo del territorio intelligente, quindi teso ad avere il massimo della sicurezza, senza portare in alcun modo disagi ai cittadini. Naturalmente, non mi sentirete mai dire che la minaccia si è attenuata o che la minaccia è passata, perché questa sarebbe una cosa sbagliata e, a mio avviso, del tutto non fondata. Tuttavia, è importante dire che un passaggio così delicato, come quello del post-Berlino, nel nostro Paese ha consentito di avere un principio di sicurezza, che è stato coniugato anche con un principio di fruizione libera degli spazi di socialità. C'è stata una fruizione libera degli spazi di socialità, il che è molto importante anche nella risposta al terrorismo, perché la cosa più importante, secondo me, è il fatto di garantire sicurezza, senza rinunciare a principi fondamentali di libertà. Il principio di fruizione di spazi di socialità, in generale durante il corso della propria vita, ma in particolare anche nei momenti festivi, rappresenta uno spazio di libertà, a mio avviso, assolutamente molto importante.
  La vicenda di Amri ripropone una questione molto delicata. La Presidente ha posto il tema con una certa forza. Si tratta di una questione sulla quale non solo abbiamo riflettuto, ma abbiamo anche lavorato, perché è chiaro che sono emersi problemi che è giusto affrontare con lo spirito di chi lavora per il non ripetersi di situazioni, quindi voi dovete comprendere che, quando anche il Ministro dell'interno prende iniziative e assume decisioni, lo fa perché è suo dovere fare di tutto affinché situazioni, che pure possono essersi presentate, non abbiano più a ripetersi. Poi, nessuno ha mai la matematica certezza che queste cose non si ripeteranno, ma penso che agire per diminuire al massimo la possibilità del loro ripetersi sia doveroso, cioè che rappresenti niente di più e niente di meno di un dovere.
  Dopo l'attacco a Berlino, Amri, di cui vengono ritrovati i documenti a bordo del TIR che ha prodotto la strage di Berlino, viene considerato the most wanted in Europe, il più ricercato in Europa, perché appunto era il terrorista che aveva compiuto da poche ore una strage. Amri arriva alle 3 del mattino a Sesto San Giovanni e, attraverso una ricostruzione, sappiamo che ha fatto questo percorso: Berlino-Amsterdam; Amsterdam-Bruxelles; Bruxelles-Parigi; Parigi-Lione; Lione-Torino; Torino-Milano; Milano-Sesto San Giovanni. Certo, voi comprendete che tutto ciò pone delle questioni abbastanza impegnative. Lo dico perché, altrimenti, non si capisce come mai siamo intervenuti con provvedimenti anche abbastanza straordinari. In effetti, se il capo della Polizia, a ridosso delle festività natalizie e in pieno accordo con me, ha fatto una direttiva, è del tutto evidente che riteniamo quella direttiva indispensabile; su quest'aspetto vorrei essere abbastanza chiaro.
  Inoltre, è evidente che la questione – siamo nel Comitato Schengen – pone problemi di una certa rilevanza, che vanno anche accoppiati ad un'altra questione, perché Pag. 6 noi abbiamo affrontato il tema, come dicevamo, del percorso di Amri, ma abbiamo un'altra questione ancora aperta. Abbiamo una pressione militare molto forte sull'Islamic State nei quadranti siriano-iracheni e sappiamo che una componente fondamentale delle forze militari dell’Islamic State è composta da foreign fighters. Insomma, si è parlato, nel momento di massima forza dell’Islamic State, di una cifra tra i 25.000 e i 26.000 foreign fighters. Su questa questione, nessuno ha le cifre precise e noi parliamo sempre di cifre orientative, ma ci sono state 25.000-26.000 persone provenienti da 100 Paesi del mondo. Si tratta della più straordinaria e drammatica legione straniera dei tempi moderni, perché 25.000-26.000 uomini che vengono da 100 Paesi è una cosa senza precedenti. Una parte di questi è morta durante i combattimenti e una parte, adesso impegnata in combattimenti, potrebbe ritornare. Il tema fondamentale è che noi potremmo avere una diaspora di ritorno.
  Tutte queste questioni ci portano a fare una riflessione, che è stata anche proposta qui. Per essere molto chiaro, vorrei ricordare che è stata qui citata una frase da me pronunciata alle Commissioni riunite che non solo non rinnego, ma considero assolutamente fondamentale. Ora, non la ripeto per ovvie ragioni, tuttavia penso che noi dobbiamo molto ragionare sul fatto che la libera circolazione di uomini e merci all'interno dell'Europa, che è un punto fondamentale, per reggere, ha bisogno di una politica seria e severa per quanto riguarda il controllo dei confini esterni dell'Europa.
  Da questo punto di vista, mi si chiedeva cosa è stato fatto e cosa si può fare. Alcune cose sono state fatte. Per esempio, nell'ottobre scorso si è costituita la Guardia costiera e di frontiera europea, quindi un corpo specializzato europeo, che, d'intesa con i corpi nazionali, ha il compito di proteggere le frontiere esterne dell'Europa. Questo è particolarmente rilevante per l'Italia, perché, come voi sapete, l'Italia è frontiera esterna dell'Europa. La cosa marcia attraverso un doppio punto di coordinamento, fatto dall'Agenzia europea e dalle autorità nazionali, quindi, c'è una relazione tra il lavoro dell'Agenzia europea e le autorità nazionali di controllo dei confini del nostro Paese. Poi, ci sono alcune misure specifiche. Della prima misura, come voi sapete, a lungo si è discusso in Europa. Qualcuno potrebbe dire «troppo a lungo» e, se lo facesse, io non mi sentirei di criticarlo. Il tema riguarda il PNR (Passenger name record), quindi la possibilità di avere l'elenco dei passeggeri, che volano verso e dall'Europa.
  Come voi sapete, c'è stata una lunghissima fase di gestazione, tuttavia adesso siamo arrivati alla conclusione. In Italia, nella legge di bilancio abbiamo previsto una posta, che consente di costruire le infrastrutture informatiche necessarie per rendere operativo questo meccanismo, che ritengo sia molto importante. Penso anche che ci siamo mossi dentro un equilibrio tra l'esigenza di informazione e quella di tutela degli elementi della privacy, che sono in ogni caso importanti e di cui è giusto tenere conto. Il PNR è una cosa già fatta, per cui dobbiamo pensare a un'altra serie di questioni, sulle quali l'Europa sta discutendo e che io mi sento di portare alla vostra attenzione.
  Vi riempirò di acronimi, quindi vi chiedo scusa, anche perché si tratta di acronimi particolarmente complessi. La prima questione riguarda l’European travel information and authorisation system, il cui acronimo è ETIAS. Mi riferisco ai controlli preventivi nei confronti dei migranti che arrivano in Europa senza visto. Insomma, siamo nel Comitato Schengen, quindi sapete perfettamente di cosa stiamo parlando. Intendo dire che, se c'è un visto, c'è stato un controllo e, se non c'è un visto, il controllo non c'è stato. Tuttavia, stiamo parlando di una massa enorme di popolazione del mondo, per cui l'idea di avere una qualche forma di controllo, naturalmente senza rimettere i visti perché sarebbero una complicazione particolarmente elevata, si può considerare molto importante. Mi riferisco a controlli preventivi, che consentono anche poi di costruire una banca dati. Vedrete come questo tema della banca dati ritornerà, perché il PNR è una banca dati e l'ETIAS è un controllo preventivo che consente di costruire una banca dati, che Pag. 7deve essere vista insieme con un altro sistema, il cui acronimo è EES (Entry/Exit System), cioè il sistema di entrata e uscita dall'Unione europea.
  È evidente che, se tu devi fare un controllo delle frontiere esterne, devi avere un sistema di entrata e uscita, che registra e conserva i dati delle entrate e delle uscite. È molto importante, quindi, avere ETIAS e EES come punto di riferimento di un processo, che ha già portato a un primo aggiornamento del Sistema informativo Schengen, noto con l'acronimo SIS. Come dicevo, il sistema – con tutti questi acronimi a un certo punto impazziremo – ha portato a un aggiornamento, che è già stato introdotto, tuttavia, se si riuscisse a dotarsi degli altri due sistemi, noi avremmo un sistema complesso e, a mio avviso, assolutamente interoperativo. Con PNR, ETIAS, EES e l'aggiornamento del SIS, noi avremmo un sistema a maglie strette, che si muove, però, in equilibrio tra l'esigenza di avere maglie strette e non riproporre un'idea di un'Europa protezionista, che si chiude in se stessa, per cui ritorniamo al sistema dell'isolamento nello scenario internazionale.
  Questo è particolarmente cruciale, perché è evidente che su questo terreno si confrontano vari approcci anche nel mondo, perché quello di cui stiamo parlando non è un problema italiano o europeo, ma è un problema del pianeta. Poi, vedremo come tutti questi problemi, di cui stiamo discutendo, sono problemi del pianeta e non sono problemi italiani, per cui sbaglieremmo a vederli soltanto come problemi italiani.
  Quello che io ho proposto è un sistema che consente di rafforzare i controlli, senza entrare nella logica della fortezza assediata, e basta guardare in giro per comprendere che ci sono stati e vengono proposti altri tipi di approcci rispetto a queste cose. Tuttavia, quando parliamo dei dati, il punto fondamentale non è la massa dei dati, perché noi abbiamo già moltissimi dati, ma il problema è la interoperabilità dei dati, cioè come far entrare questi dati dentro un sistema che li riconosca e li metta in collegamento l'uno con l'altro. Questo punto cruciale abbiamo di fronte nella fase che stiamo affrontando e, per questo motivo, il sistema proposto, se realizzato, consente di avere le maglie e l'interoperabilità assolutamente indispensabili per poter fare un confronto dei dati. Lo dico perché, se ci limitiamo soltanto a una raccolta passiva dei dati, questi finiscono per sommergere la realtà e non ci aiutano a comprenderla. Una mancata gestione dei dati può portare al fatto che i dati sommergano la capacità di leggere la realtà. L'interoperabilità dei dati, invece, ci consente di avere una giusta e saggia lettura della realtà.
  In quest'ambito, si pongono le questioni da affrontare sul tema dell'immigrazione. L'ho ripetuto più volte, ma non prendete il mio come un mantra, perché ne sono profondamente convinto, e il fatto che lo ripeta sempre per me è cruciale, perché si tratta di un punto fondamentale di interpretazione della realtà. Mi riferisco al fatto che l'equazione terrorismo-immigrazione non solo è un errore, ma ci porta a una lettura non corretta della realtà, quindi, da questo punto di vista, ripeterlo non è mai pleonastico e non è mai ultroneo. In quest'ambito, dobbiamo sapere – lo dico in questa Commissione, che è sempre molto attenta a queste questioni – che, quando discutiamo di immigrazione, noi parliamo della gestione di fondo degli equilibri del pianeta. Naturalmente, anche noi siamo dentro questa discussione e, in qualche modo, rappresentiamo un punto di particolare evidenza di questi problemi, perché il nostro è il Paese di primo approdo in Europa, perché sta di fronte all'Africa, quindi al continente più esposto ai fenomeni migratori nel complesso di una visione geopolitica del nostro pianeta.
  I dati sono abbastanza chiari e ci dicono che, nel 2016, noi abbiamo avuto questo andamento dei flussi migratori verso l'Europa: per la rotta balcanica occidentale, il meno 84 per cento; per la rotta balcanica orientale, il meno 72 per cento; per la rotta del Mediterraneo centrale, quella che ci riguarda direttamente, il più 18 per cento. Questi numeri sono chiari di per sé e ci dicono che noi abbiamo avuto un intervento che ha portato non proprio alla chiusura, ma a una forte capacità di controllo della rotta balcanica, anche se rimane aperto Pag. 8il problema della rotta del Mediterraneo centrale.
  Mi si chiedeva a che punto sono le relocation e che valutazione c'è sull'Accordo di Dublino. Il quadro delle relocation, come voi sapete, perché non vi dico cose nuovissime, è del tutto insoddisfacente, nel senso che erano state fissate per l'Italia 40.000 relocation, ma ne abbiamo operative 3.200. Nelle settimane scorse, abbiamo chiuso quello che, da questo punto di vista, ritengo molto importante, cioè un accordo con la Germania per 500 relocation al mese, tuttavia la disponibilità della Germania non risolve il problema dell'intera Europa. Faccio presente che le relocation erano obbligatorie, ma è intervenuto il problema dell'Accordo di Dublino, che, come voi sapete, è un po’ il peccato originale di tutta la vicenda, perché, nel momento in cui tu stabilisci che il Paese di primo approdo deve affrontare il problema, è chiaro che non si tiene conto di un principio di impegno solidale dell'Europa. Come voi sapete, abbiamo posto il tema di un cambiamento e non lo abbiamo fatto solo noi, perché è stato posto anche da altri Paesi, tuttavia, se vogliamo fare un punto della situazione, dobbiamo dire che le risposte, che al momento vengono rispetto all'esigenza di un cambiamento, nel senso di un approccio più solidale e più comunitario della vicenda dell'immigrazione, non vanno nella direzione auspicata.
  Bisogna discuterne molto di più e, da questo punto di vista, dobbiamo comprendere che questa situazione comporta un dato, di cui io sono profondamente convinto. Penso che, se vogliamo affrontare la questione di una maggiore presa di responsabilità dell'Europa sul tema del sud dell'Europa, sul tema del Mediterraneo e sul tema dei flussi migratori, è, a mio avviso, importante che, accanto alla richiesta politica fatta all'Europa, ci sia anche una forte iniziativa nazionale. Non basta soltanto dire con forza quanto abbiamo detto e continuiamo a ripetere, su cui mi auguro, anche come sistema Paese, siamo fortemente uniti. C'è bisogno anche di dimostrare una capacità di iniziativa con carattere nazionale, come si è tentato di fare anche in queste settimane, perché è evidente che abbiamo un obiettivo.
  Siamo di fronte a un fenomeno molto impegnativo, che qualcuno, usando un termine molto forte e, a mio avviso, assolutamente convincente, definisce «epocale». Tale fenomeno ha accompagnato negli anni passati il mondo e l'accompagnerà ancora per molti anni in futuro, quindi non stiamo parlando di una cosa «transitoria», ma stiamo parlando di una cosa che riguarda gli assetti demografici e quelli economico-sociali del pianeta, per cui ha bisogno di iniziative molto complesse, che non possono durare poche settimane e pochi mesi, perché non c'è una facile ricetta. Rispetto a questo fenomeno, è importante avere un approccio che consenta di governare questi processi e non di inseguirli né tanto meno di subirli, ma governarli. Si tratta di un aspetto fondamentale perché nel governo di questi processi si trova un punto d'incontro, che io considero cruciale per il futuro delle nostre democrazie, in quanto concilia l'esigenza di protezione di chi scappa da una guerra o da una carestia, quindi da condizioni assolutamente inaccettabili, per cui ha bisogno di protezione, con il sentimento delle popolazioni. Ho usato la parola «sentimento», che è molto impegnativa, perché su queste cose si misurano sentimenti.
  Dobbiamo trovare un punto di equilibrio e l'unico modo per farlo è quello di governare i fenomeni per questo motivo ho proposto una strategia alle Commissioni riunite, per cui la presidente Ravetto mi sentirà dire cose che ha avuto già la cortesia di ascoltare nella precedente audizione. Mi dispiace se le provocherò una certa noia, ma purtroppo non posso cambiare linea per non annoiarla. Sono convinto che su questa strada noi abbiamo tre capisaldi fondamentali. Il primo caposaldo è quello di comprendere che una parte fondamentale della partita dell'immigrazione si gioca fuori dai confini nazionali, al di là del Mediterraneo, perché si gioca innanzitutto in Africa, nel medio periodo e nel lungo periodo sulla partita dello sviluppo, della crescita e della stabilizzazione democratica dell'Africa. Continuo a pensare Pag. 9 che l'Africa sia specchio dell'Europa perché, se l'Africa sta bene, anche l'Europa sta bene, quindi non è lo specchio dell'Italia, ma dell'Europa. Dovremmo essere profondamente consapevoli che il problema dell'Africa non è italiano, ma è un gigantesco problema dell'Europa. Lo dico anche pensando che il rapporto con l'Africa è una straordinaria opportunità di sviluppo per l'Europa e non è soltanto un problema. Basta pensare a quello che fanno altre grandi potenze mondiali nel rapporto con l'Africa. Da questo punto di vista, è evidente che c'è una straordinaria opportunità.
  In tale ambito, c'è il problema del nord Africa, dove ci sono due Paesi molto importanti, con i quali noi abbiamo sviluppato da qualche settimana, ma anche più di recente, un rapporto di cooperazione. Il primo di questi due Paesi è il Niger, con cui abbiamo firmato nei mesi scorsi un accordo di cooperazione fatto insieme con l'Europa, che rappresenta un punto cruciale. Poi c'è la Libia, su cui, fra un attimo, riferirò anche per la questione posta dalla presidente. La Libia è in una singolare condizione: il 90 per cento dei traffici arrivati in Italia nel 2016 sono passati dalla Libia, tuttavia non c'è nessun libico tra i migranti. Per questo motivo, per esempio, quando si fanno ragionamenti sul fatto che non si possono rimpatriare in Libia i migranti arrivati da quel Paese, la questione non si pone, non solo perché c'è un problema di rispetto dei diritti umani, cui siamo molto attenti e su cui dirò qualcosa dopo, ma anche perché non sono libici. A volte, ci aggrovigliamo in questioni, che pure appassionano, ma il punto è che quei migranti non sono libici e che noi rimpatriamo i migranti nei Paesi di provenienza. Da quest'aspetto dipende la complessità del tema dell'identificazione, di cui parlerò fra qualche minuto, anche perché, se il problema avesse riguardato il fatto che, una volta arrivato, avremmo dovuto rimpatriare il migrante nel Paese da cui è venuto, sarebbe stato tutto più semplice, ma questo non corrisponde a quanto previsto dalla legge né a quello che noi vogliamo fare.
  Con la Libia abbiamo firmato un accordo, che testimonia, a mio avviso, una volontà molto esplicita e molto forte del Governo libico, riconosciuta anche dalle autorità internazionali, quindi dalle Nazioni Unite, e del Presidente Al Sarraj: affrontare il tema dei trafficanti di uomini. Si tratta di una questione non semplice perché, come ho detto, il traffico di uomini è una realtà molto forte della Libia, per cui, per usare un termine adeguato, possiamo dire che entrambi i due Paesi firmatari dell'accordo sono «vittime» del traffico di esseri umani. Naturalmente, ne è vittima l'Italia, perché appunto si fa carico di una straordinaria capacità di accoglienza, e ne è vittima la Libia, per ovvie ragioni, essendo un Paese di transito. Non c'è stata soltanto la disponibilità del Consiglio presidenziale di firmare quell'accordo, ma la cosa importante è che ha suscitato anche una certa sensibilizzazione di settori della società civile libica. Mi è capitato di parlare anche con sindaci e la cosa straordinaria è che si è messo in moto un movimento.
  Adesso naturalmente abbiamo la sfida di quello che dobbiamo fare e il compito di implementare e realizzare l'accordo secondo tre punti fondamentali. Il primo punto (siamo a Frontex, è sempre il problema fondamentale) è la protezione delle frontiere. L'accordo prevede un doppio livello di intervento. Innanzitutto la protezione delle frontiere a sud della Libia, questione cruciale per quanto riguarda il traffico di esseri umani, questione cruciale per quanto riguarda la lotta al terrorismo, perché il confine sud della Libia, se presidiato, diventa un elemento molto importante di sicurezza generale dell'area del Mediterraneo, cioè non è soltanto un problema del rapporto italo-libico, ma è di sicurezza generale dell'area del Mediterraneo. Lì c'è l'idea di una cooperazione, naturalmente il controllo dei confini non spetta all'Italia, ma spetta alle autorità libiche, come mi sembra sia molto chiaro, ma l'Italia può mettere a disposizione tecnologie, know how, formazione, qualificazione, cosa sulla quale ci siamo impegnati attraverso l'accordo. Pag. 10
  L'altro aspetto riguarda il controllo delle frontiere marine, cosa di grandissimo rilievo, quindi la prima questione è il rafforzamento della Coast Guard libica, della Guardia costiera, che, come avete visto, ha fatto importanti operazioni di intervento e anche di salvataggio in mare nelle settimane passate, ma va rafforzata perché il punto cruciale è che la terza fase di Eunavfor Med, cioè l'intervento nelle acque territoriali libiche, si può fare soltanto a due condizioni: 1) che ci sia l'autorizzazione da parte delle autorità libiche, cosa che al momento non c'è e non mi sembra ci possa essere; 2) un'autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, cosa che al momento non mi sembra alle viste. La cosa molto più importante è che nel momento in cui le autorità libiche dicono no all'ingresso nelle acque territoriali libiche, dicono tuttavia: «lo facciamo noi» quindi questo è un punto importante, e mettere la Coast Guard in condizioni di fare l'intervento nelle acque territoriali libiche; quindi, da questo punto di vista la cooperazione, la fornitura di materiali, di mezzi, di motovedette, tutte cose che si stanno già realizzando. Lunedì scorso si è fatta una riunione della sala operativa congiunta italo-libica, che ha esaminato il trattato e ha lavorato molto su questi elementi. Noi abbiamo completato la formazione di un primo nucleo di equipaggi libici per quanto riguarda la Coast Guard, è stata completata attraverso il contributo europeo e si è fatta a bordo della San Giorgio, una nave militare italiana, e adesso gli equipaggi sono pronti e si può ricominciare a restituire le motovedette alle autorità libiche, in maniera tale che ci sia una Coast Guard in grado di operare nelle acque territoriali libiche.
  Seconda questione: accanto al controllo delle frontiere, il tema è il contrasto ai trafficanti di uomini. Anche questa è una cosa prevista e anche su questo la sala operativa congiunta italo-libica di lunedì ha ragionato su cosa fare concretamente. Naturalmente è una partita molto impegnativa per ovvie ragioni, perché i trafficanti di uomini costituiscono una potenza economica e una potenza anche «militare», quindi è una cosa molto impegnativa, ma su questo c'è la piena volontà.
  Terzo, il sostegno economico-sociale alle popolazioni libiche. Il senso dell'accordo è che la lotta contro i trafficanti di uomini produce un elemento di crescita di civiltà, di riscatto, di crescita economica e sociale, cioè far capire che liberarsi dal ruolo di trafficanti di uomini comporta una liberazione di risorse e un miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. In questo ambito si pone il tema della stabilizzazione della Libia, questione cruciale, stabilizzazione che non può non passare attraverso un rapporto tra est e ovest, tuttavia faccio presente che, pur essendo l'Italia fortissimamente impegnata a un rapporto di cooperazione e di collaborazione tra est ed ovest, è evidente che in questo momento, per quanto riguarda soprattutto la tratta di esseri umani, il punto fondamentale sta ad ovest, non ad est, cioè il punto fondamentale di passaggio è la Tripolitania, non è la Cirenaica, ma, detto questo, è importante che ci sia la stabilizzazione.
  Adesso non posso, né voglio commentare notizie giornalistiche che possono essere «imprecise», tuttavia è evidente che questa stabilizzazione non è una cosa semplicissima da fare, cioè noi non siamo di fronte alla presa d'atto di una prevalenza, cioè non c'è una parte che prevale sull'altra perché, se ci fosse una parte che prevalesse sull'altra, vi posso garantire che il principio di stabilizzazione sarebbe più semplice da gestire. Il problema è che tu hai una fase «di equilibrio» e quindi la stabilizzazione nasce attraverso una cooperazione, attraverso un reciproco riconoscimento, è difficile pensare che la stabilizzazione possa nascere dal prevalere di una parte sull'altra, cosa che io al momento considero abbastanza difficile.
  In questo ambito il vertice di Malta ha stabilito un elemento che considero molto importante. Sulla base dell'attività italiana, sulla base del MOU (memorandum of understanding) firmato dall'Italia, l'Unione europea si è mossa in maniera significativamente importante con una posizione del vertice di Malta dei Capi di Governo che fissa nel Mediterraneo centrale un punto Pag. 11fondamentale, strategico per quanto riguarda l'Europa. Non era scontato che ciò avvenisse, lo considero molto importante e lo considero (lo dico sommessamente) anche il frutto dell'attività italiana, che ha consentito all'Europa di porsi di fronte a un nuovo scenario, documento del vertice di Malta che non è qui il caso di commentare tutto per ragioni di tempo, e tuttavia riporta il tema del Mediterraneo centrale come una sfida strategica dell'intera Europa, cosa di cui c'era fortemente bisogno.
  Due ultime questioni e finisco, anche perché vorrei chiedere venia, ma il quadro delle domande era molto preciso, mi avevate chiesto delle cose e io devo rispondere, poi se voi volete posso anche rispondere a tappe, non c'è problema. Il secondo caposaldo è l'accoglienza, perché è chiaro l'intervento fuori dai confini nazionali per frenare i flussi, secondo il tema dell'accoglienza. Noi abbiamo fatto una scelta molto netta, naturalmente una scelta tutta da costruire, cioè di puntare decisamente sull'accoglienza diffusa. Lo abbiamo fatto attraverso un accordo con l'ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) siglato nel dicembre scorso, imperniato sull'idea di andare a un superamento progressivo dei grandi centri di accoglienza. I numeri più piccoli o medi non solo sono più gestibili, ma garantiscono un atteggiamento nell'accoglienza che è insieme più rispettoso di coloro che vengono accolti e più capace di creare un rapporto positivo con le comunità che accolgono, perché i piccoli numeri consentono di avere una gestione nella capacità di integrazione, di ospitalità, più semplice. Ci lavoriamo molto, l'accordo adesso deve essere concretamente realizzato, si sta lavorando d'intesa con le Prefetture e con l'ANCI, tireremo una valutazione di qui a qualche settimana. L'accoglienza diffusa è praticabile se noi facciamo un'altra cosa, cioè abbattiamo significativamente i tempi per quanto riguarda la decisione sul diritto di asilo.
  Quello è un punto cruciale (qui è stato detto), i tempi sono lunghi mediamente due anni, è chiaro che questi numeri a mio avviso vanno significativamente abbattuti per una ragione semplicissima: perché tempi così lunghi impattano direttamente sul diritto del richiedente di avere il più rapidamente possibile riconosciuto il «sì» o il «no» a una propria richiesta, e impattano sulla sensibilità delle comunità. Sono due cose che dobbiamo tenere fortemente in conto, per questo su tale questione venerdì scorso abbiamo agito per decreto, nel senso che il Governo si è assunto la responsabilità di affrontare attraverso un decreto il tema del superamento della cancellazione di un grado di giudizio, cosa non semplice, molto impegnativa, e tuttavia è stato fatto (poi naturalmente il Parlamento discuterà) perché noi riteniamo molto importante avere tempi rapidi, perché questo consente di avere una valutazione che permette il turnover delle presenze, perché a chi ha diritto viene riconosciuto il diritto, chi non ha diritto viene rimpatriato, evitando una permanenza così lunga nel tempo.
  È prevista anche la possibilità come strumento di integrazione (non essendomi stata fatta la domanda, lo accenno soltanto) di svolgere attraverso progetti con i comuni, finanziati con provvedimenti ad hoc dell'Unione europea, lavori di pubblica utilità per i richiedenti asilo, lavori di pubblica utilità che sono volontari e gratuiti. In questo ambito si pone il tema, che è stato posto nella domanda, del contratto tipo che abbiamo stipulato e concordato con ANAC (Autorità nazionale anticorruzione). Io lo considero un punto cruciale per una ragione semplicissima (se volete, mi interrompo qui e continuo un'altra volta, ma non vorrei apparire evasivo rispetto alle domande): il contratto tipo affronta tre questioni che considero molto importanti, ossia il superamento del gestore unico, la tracciabilità dei servizi e i poteri ispettivi da parte del Ministero dell'interno. Alla luce dell'esperienza ritenevo fondamentale avere questo genere di contratto tipo. Dico questo anche per consentire ai prefetti, che sono chiamati a gestire queste adesioni a volte in situazioni di emergenza, di avere un riferimento unico, che io considero molto importante, che è di tutela per coloro che gestiscono gli appalti e per coloro che sono «i fruitori» degli appalti in tutti i sensi, sia per quanto riguarda gli enti di gestione che Pag. 12per quanto riguarda coloro che vengono ospitati, perché ritengo che la tracciabilità dei servizi sia un elemento molto importante per coloro che vengono ospitati.
  Il terzo caposaldo riguarda i rimpatri, laddove – per essere molto chiari – l'accoglienza diffusa ha bisogno anche di una politica dei rimpatri, perché è evidente che noi accogliamo tutti quelli che hanno bisogno di protezione, valutiamo se hanno bisogno di protezione o meno, nel momento in cui c'è una pronuncia definitiva (lavoriamo perché ci sia un abbattimento dei tempi) chi ha diritto rimane e chi è fuori dalle regole deve essere rimpatriato. Da questo punto di vista, abbiamo lavorato per contenere con i Paesi di rimpatrio i tempi di identificazione, abbiamo affrontato questo tema con la Tunisia trovando una collaborazione molto importante, e l'idea, se ce la facciamo, è ridurli a meno di un mese, laddove voi sapete che i tempi sono molto più lunghi e, se riusciamo a ridurli a meno di un mese, è un importantissimo risultato.
  Voi mi chiederete perché serva tanto tempo, ma il problema è che noi abbiamo sistemi informatici che sul terreno delle identità sono molto più veloci, altri Paesi hanno sistemi informatici non immediatamente collegabili al nostro, per cui il lavoro che si fa con questi Paesi è aiutarli a dotarsi di sistemi informatici sempre più efficienti, e da questo punto di vista è veramente un lavoro di cooperazione. Il 16 gennaio si è riunita la Commissione mista italo-tunisino a livello delle forze di polizia per ragionare proprio su questi temi. In questo ambito ho avanzato la proposta di costituire, cosa che è prevista nel decreto licenziato dal Consiglio dei Ministri venerdì, Centri permanenti per il rimpatrio. Mi si chiedeva delle loro caratteristiche, che sono esattamente queste: piccoli centri, il totale è 1.600 posti su tutto il territorio nazionale, mi si è chiesto che tipo di rapporto con la distribuzione regionale e l'ipotesi è uno per ogni regione. Lo stiamo facendo insieme con le regioni, ho incontrato la Conferenza delle regioni che ha, a mio avviso, positivamente proposto un nucleo ristretto per ragionare intorno a questi temi. Il nucleo ristretto si è già incontrato con me e adesso siamo nella fase tecnica, ci sono i gruppi tecnici che stanno lavorando su come affrontare questi temi.
  Il testo del decreto, a costo di apparire troppo dettagliato, è veramente molto preciso. A volte si preferisce avere nella legislazione elementi più ampi, ma ho chiesto che fosse veramente molto preciso, per evitare qualunque equivoco, quindi queste cose che io vi sto dicendo, cioè centri piccoli, preferibilmente fuori dai centri urbani, preferibilmente vicini a nodi infrastrutturali in cui ci sia il potere di indagine da parte dell'autorità garante dei cittadini privati e delle libertà individuali, non sono cose che dice il Ministro dell'interno in audizione, ma sono scritte nel decreto. Naturalmente poi il Parlamento deciderà se confermarle o cambiarle, ma a me sembrava giusto, perché sembrava giusto trasmettere il messaggio che stiamo parlando di un'altra cosa rispetto ai Centri di identificazione e di espulsione, quindi era giusto anche cambiare il nome perché nomina sunt consequentia rerum, se è un'altra cosa si chiamano in un altro modo, non si può essere una cosa diversa e chiamarsi allo stesso modo della precedente.
  Mi auguro che il Parlamento valuti positivamente tutto questo, sapendo naturalmente che per i Centri permanenti per il rimpatrio i numeri sono così contenuti perché penso a coloro che sono irregolari e a coloro che costituiscono una potenziale minaccia per la sicurezza nel nostro Paese. Quindi questo è il senso, ossia c'è un progetto di rimpatrio e nel momento in cui ci sono elementi più specifici, si trova il punto di passaggio tra l'identificazione e la possibilità di avere un irregolare con quelle caratteristiche potenziali: nel momento in cui bisogna aspettare l'identificazione lo si trattiene in un Centro permanente per il rimpatrio.
  Se si fanno i rimpatri forzati (si chiamano così per legge, nessuno pensi che voglia usare il termine per un eccesso di dimostrazione di forza), noi possiamo veramente praticare i rimpatri volontari assistiti, perché è chiaro che se trasmetti il messaggio che fai rimpatri forzati, a quel Pag. 13punto avrai anche un'adesione per i rimpatri volontari assistiti, mentre se non si fanno i rimpatri forzati non si capisce perché uno dovrebbe aderire ai rimpatri volontari assistiti. Se si fanno i rimpatri forzati avrai anche un rilancio di questo istituto, che considero talmente importante che abbiamo già raddoppiato la posta in bilancio del Ministero dell'interno per sostenere questo tipo di iniziativa.
  Infine, ho concluso e mi scuso per averla fatta molto lunga, è chiaro che da questo punto di vista si pone il problema che è stato qui chiesto: è possibile tenere insieme tre livelli nel nostro Paese, cioè status di rifugiato, protezione sussidiaria e protezione umanitaria? In Europa abbiamo situazioni variegate, non c'è una posizione univoca sul punto. Mi consento tuttavia di fare presente che noi abbiamo un'importante sentenza della Corte di Cassazione, che ritiene che la protezione umanitaria in senso lato debba fondarsi su questi tre istituti, quindi la soppressione di uno non è cosa semplicissima da fare, perché c'è una sentenza della Corte di Cassazione, che da questo punto di vista è molto forte. Penso anche che il progetto qui illustrato non faccia diventare la questione meno urgente, ma tuttavia la collochi in uno scenario più ampio.
  Infine, su questo terreno il tema dei Paesi sicuri, che è una questione antica su cui l'Unione europea si è cimentata molto, è arrivata ad un primo elenco, ma tuttavia il primo elenco a cui è giunta non è un elenco che impatta su quello che facciamo noi, cioè i flussi nostri non vengono dai Paesi identificati come Paesi sicuri, è tutt'altra cosa, quindi noi ci muoviamo con un'iniziativa di carattere bilaterale per rafforzare gli accordi di riammissione, elevarli di livello, ulteriormente aggiornarli. Abbiamo infatti un quadro abbastanza ampio di accordi di riammissione, alcuni fatti a livello governativo, altri a livello delle forze di polizia, e adesso bisogna rafforzarli, rimetterli a regime, se possibile portarli sempre di più a livello governativo, insomma questo è il lavoro. Penso che questo abbia una ricaduta immediata, perché ci consente, presidente, di ottenere immediatamente un risultato, e noi abbiamo bisogno su questo terreno di avere immediati risultati.
  È evidente qual è l'istanza di questo progetto, severità verso chi è fuori dalle regole e chi non rispetta le regole, integrazione per chi è nelle regole e rispetta le regole. Le due cose si tengono insieme: più si è severi, più si può essere capaci di integrazione. Lo dico perché sono molto contento di un passo che abbiamo fatto sull'integrazione, che riguarda il Patto con l'Islam italiano, che considero una finestra importante sul presente e sul futuro del nostro Paese. Non entro nel dettaglio, ma sono questioni sulle quali per lungo tempo ci si è chiesto che si facesse, ad esempio il fatto che i sermoni vengano fatti in italiano, il fatto che ci sia trasparenza sui finanziamenti per quanto riguarda le moschee, cosa che da un arco ampio di forze politiche è stato chiesto che si facesse e si è fatto. Si è fatto non imponendo per legge, perché quando si impone per legge su una religione è sempre una cosa molto delicata, lo si è fatto attraverso un patto. La cosa più importante sapete qual è? Se qualcuno di voi ha voglia di leggere questo patto, vedrà che la prima parte del patto è un richiamo alla Costituzione italiana, cioè sono citati i principali articoli della nostra Costituzione, perché la cosa più importante di quel patto, accanto a cose come la formazione degli imam, l'identificazione degli imam, la possibilità dei sermoni in italiano, i finanziamenti interni ed esteri, la pubblicità delle moschee, cose a mio avviso molto importanti, è quel richiamo agli articoli della Costituzione che pone un problema molto serio, cioè che i firmatari di quel patto sono di un'altra religione, di una religione che magari non è la mia e non è di qualcuno dei presenti, e tuttavia sono italiani. Questo è il punto cruciale: professano una religione, ma sono italiani, e il punto fondamentale è coniugare la professione di una religione con il loro essere italiani. Guardate, questo è molto importante, e il fatto che la Costituzione italiana sia messa prima della discussione di merito su come praticare una religione non è una cosa casuale. Pag. 14
  Abbiamo fatto un altro decreto che riguarda la sicurezza urbana, non entro nel dettaglio perché non è il caso, ma ha l'obiettivo di proporre un migliore controllo del territorio. Come avete visto, in tutta questa mia esposizione si insiste molto sul rapporto tra lo Stato e il territorio, io ho parlato dell'incontro con la Conferenza delle regioni, dell'incontro con l'ANCI, e voglio dirvi che su questa partita considero regioni e comuni interlocutori fondamentali, perché su questo terreno ritengo che avere uno Stato che può contare su un'alleanza con i poteri locali rappresenti un punto di rafforzamento della capacità di intervento dello Stato, senza nulla perdere sul principio di essere autorità nazionale per quanto riguarda la pubblica sicurezza, che in questo caso è indegnamente rappresentata purtroppo per legge dalla mia persona.
  Come voi avete ascoltato, tra l'audizione alle Commissioni riunite ed oggi noi abbiamo fatto un Consiglio dei Ministri, abbiamo fatto due decreti, uno sul tema dell'immigrazione e l'altro sulla sicurezza urbana. Vorrei spiegare bene che i decreti sono un'assunzione di responsabilità del Governo, a mio avviso come è giusto, ma naturalmente su questo si può discutere, tuttavia vorrei che fosse evidente che sono assunzioni di responsabilità, non significa in alcun modo sottovalutare (anzi esattamente l'opposto) il rapporto con il Parlamento. Le proposte che ho avanzato sono qui fatte in maniera aperta, mi auguro che si possa svolgere il dialogo più ampio, più concreto, critico, non critico, tutto quello che si vuole, però affrontiamolo per quello che è, cioè per un tentativo di proporre al Parlamento una strategia. Naturalmente si può essere d'accordo o non essere d'accordo, la si può condividere, si possono contestare pezzi, parti, e tuttavia l'impegno è questo: discutere su una visione, non su singoli pezzi, perché la mia convinzione è che su questi temi si tratti di suonare più tasti contemporaneamente, cioè abbiamo davanti una tastiera e dobbiamo suonare più tasti contemporaneamente, se ne suoniamo uno per volta non viene fuori una buona sintonia.
  Lo so che è più difficile suonare più tasti contemporaneamente, ma sta dentro questa vicenda la complessità della situazione, sapendo che sulle questioni su cui ci siamo intrattenuti oggi si gioca (questa è la mia profonda convinzione, ma non pretendo che voi siate d'accordo) una sfida che riguarda gli equilibri delle nostre democrazie. Non è una questione marginale, è una sfida che riguarda gli equilibri delle nostre democrazie. Su questo si gioca veramente un pezzo grande del futuro delle democrazie e credo che, essendo nel Parlamento italiano, non ci sia dubbio alcuno che il Parlamento italiano voglia cogliere questa come una sfida che possa essere affrontata positivamente e con una capacità di reciproco ascolto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, ministro, per l'attenzione dimostrata al Parlamento anche in questa sede, e per gli elementi di informazione preziosissimi che ci ha dato. Lascio immediatamente la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARCO FILIPPI. Grazie, presidente. Devo dire che dopo l'ampia e più che esaustiva relazione del ministro ho davvero poche cose da dire e da chiedere nel merito, però vorrei sollevare una questione. Lei, ministro, ha la mia più profonda e sincera stima, e credo con convinzione che sia la persona giusta nel posto giusto, davvero la raccomanderei a qualsiasi tipo di Governo, in una situazione che, come ci ha tratteggiato, è davvero particolarmente delicata, però c'è un punto, un evento che magari è a latere, però che non ho compreso bene. Mi riferisco ad un'uscita del capo della polizia che francamente non ho gradito, quindi la domanda è una richiesta di comprendere.
  Mi riferisco a un'intervista del capo della polizia a Il Giornale di diverso tempo fa, dove parlava di un inevitabile prezzo da pagare da parte del nostro Paese rispetto ad eventuali attentati terroristici. Non l'ho compresa, perché generalmente un capo della polizia deve essere più uso ad operare che a parlare, in quell'intervista si profuse Pag. 15in un intervento in cui si rammaricava della scarsa preparazione della polizia, in generale delle forze dell'ordine, nell'intervento tempestivo a poter sparare...

  PRESIDENTE. Senatore, mi perdoni se la interrompo. Chiedo a tutti, poiché alle 10.20 c'è il voto sulle pregiudiziali, di fare le domande più brevi possibili. Mi scuso infinitamente per questo, ma così riusciamo ad ascoltarle.

  MARCO FILIPPI. Riguardo a quell'intervista che sicuramente il ministro ha capito e che riprenderemo in un'altra occasione, quale prezzo dobbiamo pagare? È vero che vi è una così scarsa preparazione delle forze dell'ordine? Perché fu fatta quell'intervista, per mettere le mani avanti? Il capo della polizia, che gode di particolare fiducia da parte sua, perché non...? Tutto qua.

  RICCARDO CONTI. Signor ministro, visto che lei parla in latino che è la lingua della legge e della Chiesa cattolica, le riferisco rapidamente di un incontro che ho avuto ieri, così non faccio perdere tempo ai colleghi. Ieri ho incontrato un eminente personaggio della diplomazia vaticana che mi ha chiesto cosa sia cambiato in questo periodo, visto che il Governo è lo stesso, i capi dei servizi e delle Forze dell'ordine uguali, è cambiato il Ministro ed è cambiata la politica italiana rispetto a questi problemi? Ho risposto che il ministro è persona seria e competente, è un uomo delle istituzioni, quello che c'era prima deve essere anche bravo, perché è stato Ministro dell'interno, Ministro della giustizia, adesso è Ministro degli esteri, quindi non credo che sia solo il problema personale... ora, io non la voglio imbarazzare, ma vorrei capire, perché in giro c'è per fortuna la percezione che le cose oggi vadano meglio, siano affrontate in maniera più incisiva, e vorrei capire se questo dipenda solo dall'input che lei ha dato al Ministero o vi sia una consapevolezza del Governo e quindi un cambio sostanziale di linea rispetto a questi problemi. Grazie.

  PAOLO ARRIGONI. Grazie, ministro. Lei ha detto che nella sua relazione non avrebbe cambiato linea rispetto a quanto dichiarato presso le Commissioni congiunte, però devo sottolineare il fatto che la linea di questo Governo, almeno nelle intenzioni, è totalmente cambiata rispetto a quella del Governo Renzi di tre anni fa. Lei parla infatti incisivamente di cooperazione con l'Africa, di accordi bilaterali, uno dei tre pilastri dell'Unione europea, non sottovaluta i lunghi tempi per la valutazione delle domande di asilo, peraltro prevede nel decreto l'assunzione di un numero importante di funzionari, qualcuno prima di lei diceva che questo sarebbe costato per le casse dello Stato, inverte la tendenza in ordine ai CIE (Centri di identificazione ed espulsione), vuole cambiare il nome, però si passa da un processo di chiusura a uno di riapertura, le parole d'ordine sono severità e integrazione, le consiglio magari di aggiungere anche la deterrenza, che non guasterebbe.
  Vengo alle domande (ne ho una caterva, però mi limito). Sui centri di permanenza e di rimpatrio, la direttiva europea consente agli Stati membri di trattenere in apposite strutture i richiedenti asilo irregolari per il rimpatrio fino a 18 mesi; nel 2014 questa tempistica è stata ridotta a 90 giorni. Nel decreto lei intende confermare questa tempistica o aumentarla?
  In termini di rimpatri lei ha parlato prima di accordi di cooperazione con la Libia e con il Niger. Ci sono già accordi operativi con i Paesi delle nazionalità di maggior ingresso come Nigeria, Gambia, Guinea, Costa d'Avorio e Senegal?
  I dati dello scorso anno dicono che hanno fatto richiesta di asilo 13.510 pachistani, una nazionalità che acquisisce poi il 4 per cento di percentuali di rifugiati; i dati sugli sbarchi dicono che i pachistani sono stati circa 2.500, quindi vuol dire che i pachistani così come gli afgani, arrivano in Italia attraverso la rotta dei Balcani, che non è assolutamente interrotta, arrivano in Italia attraverso le frontiere interne, Slovenia ed Austria. Mi domando come mai succeda questo, visto che Slovenia e Austria sono Paesi di area Schengen e quindi queste Pag. 16 persone dovrebbero essere controllate e come minimo respinte. Cosa intende fare per evitare questo problema? Nella contabilizzazione degli ingressi in cui oggi abbiamo solo gli sbarchi intende aggiungere anche quelli che arrivano via terra?
  Un altro problema importante che grava sui comuni è l'iscrizione all'anagrafe comunale per chi richiede asilo. C'è il problema, molto sentito dai comuni, del rilascio della carta d'identità ai richiedenti asilo, che hanno il diritto di richiederla, e il problema della lunga procedura costosa da parte dei comuni per cancellarli dall'anagrafe qualora se ne perdano le tracce o si trasferiscano altrove. Lei intende rivedere questa norma e quindi impedire il rilascio della carta d'identità a chi è ancora richiedente asilo?
  Ricollocazione. Lei ha parlato di egoismo da parte degli altri Paesi, però bisogna ricordare che l'accordo firmato dall'Italia prevedeva un ricollocamento per le nazionalità che avessero effettivamente bisogno di protezione internazionale, quindi siriani, eritrei ed iracheni che in Italia sono veramente pochi. Lei non ritiene che questa sia l'altra motivazione per cui quell'obiettivo di 39.600 ricollocamenti non sarà perseguito? Intende modificare l'accordo con la UE per aggiungere queste altre nazionalità che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale?
  Un'altra domanda....

  PRESIDENTE. Il collega Filippi giustamente si arrabbia con me perché l'ho troncato, quindi ponga velocemente la domanda, senatore, altrimenti vengo correttamente contestata...

  PAOLO ARRIGONI. Se lei intenda di fronte a questi numeri enormi (500.000 ingressi in questi tre anni) pensare di introdurre lo stato di emergenza e, parlando di cooperazione, se intenda lavorare fortemente per istituire dei campi profughi nel nord Africa, onde consentire lì la valutazione delle richieste di asilo. Mi scuso con i colleghi.

  RICCARDO MAZZONI. Grazie, ministro, grazie, presidente. I nuovi Centri per il rimpatrio sono centri di detenzione amministrativa come i CIE? Visto che le procedure di rimpatrio finora sono state molto complesse, molto costose e molto lunghe, non c'è il rischio che la permanenza in questi centri si protragga per mesi invece che per settimane, come è nelle intenzioni? I CIE che fine faranno, hanno ancora un senso? Quattro su dieci sono aperti, sei sono chiusi e in un paio ci sono solo badanti moldave o rumene, mentre la ratio per cui furono costituiti era una ratio di prevenzione di elementi molto pericolosi, quindi le chiedo se saranno sostituiti interamente dai Centri per il rimpatrio o se continueranno a vivere.
  Ultima cosa, i minori stranieri non accompagnati: ne spariscono 28 al giorno, 10.000 in un anno in Europa, di cui la metà in Italia. Lei è d'accordo con l'approvazione rapida della legge ora al Senato che arriva oggi in Commissione? Grazie.

  LUIS ALBERTO ORELLANA. Alcune domande sono state anticipate dai colleghi, però anch'io vorrei sapere se ci siano interventi sui minori stranieri non accompagnati, tema che ci ha preoccupato tutti. Sul discorso che lei ci ha fatto sull'accordo tra ANCI e Interno sulla diffusione dei centri dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) volevo sapere se siano confermati i termini del rapporto 2,5 migranti per 1.000 abitanti, quali vantaggi economici ci siano per i comuni, se possa essere garantita loro la riduzione del turnover dei propri dipendenti in modo da garantire una maggiore disponibilità di personale.
  Anticipo una critica sull'eventualità che il migrante non possa fare ricorso per il rigetto della domanda, perché mi sembra in contraddizione con il rafforzamento dei 14 tribunali (faccio riferimento alle dichiarazioni che si trovano anche sul sito del Governo) e credo che crei un precedente pericoloso per il nostro ordinamento giuridico, perché hanno diritto di fare ricorso e avere tempi veloci, cose che non devono entrare in contraddizione. Mi interessava conoscere in particolare i motivi di questo rafforzamento dei 14 tribunali. Grazie.

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  LUCA FRUSONE. Sempre in merito al rapporto di 2,5, io non sono mai riuscito a capire cosa inserire in questo rapporto, se anche CAS (Centri di accoglienza straordinaria) e SPRAR, cioè se si definisca in questo rapporto tutta la presenza dei migranti oppure solamente quella di secondo livello e quindi SPRAR.
  Come il presidente ha accennato inizialmente, noi abbiamo letto alcune notizie in merito al decreto di venerdì sull'eliminazione di un grado di giudizio, lei non ha approfondito questa cosa o forse mi è sfuggito, perché mi pare che ci siano solo delle sezioni speciali che vengono create all'interno... . Quindi chiedo un approfondimento su questo, grazie.

  NADIA GINETTI. Grazie, ministro, io approfitterei della sua capacità di dare una visione finalmente lungimirante a questo fenomeno che abbiamo affrontato in questo Comitato Schengen e che tiene indissolubilmente insieme, come lei ha dimostrato, sicurezza, accoglienza, libera circolazione nello spazio interno dell'Unione europea con il controllo delle frontiere, che finalmente diventano frontiera esterna europea e non frontiera di ogni singolo Paese. Questo è un enorme passo avanti, da cui discende tutto il corollario, compresa la banca dati e l'interoperabilità che ancora non esiste (non esistono nemmeno banche dati accessibili nel nostro Paese).
  Vengo alla domanda, sfruttando questa sua capacità di visione lungimirante. Proprio perché l'Europa si gioca tutto su questa sfida della soluzione o capacità di governo delle migrazioni e la sfida del terrorismo, non è arrivato il tempo di battere i famosi pugni in Europa per pretendere non un diritto d'asilo nazionale, ma un diritto d'asilo comune europeo, che significa rafforzamento dei poteri dell'EASO (Ufficio europeo di sostegno per l'asilo) e la targhetta EASO dei tribunali che concedono il diritto d'asilo? Questo risolverebbe tutta la questione degli accordi sulle relocation e sarebbe il punto di svolta totale, anche nell'ottica di un processo che vada nella direzione dell'integrazione europea e non del rafforzamento delle sovranità delle competenze nazionali. Grazie.

  LAURA FASIOLO. Grazie. Ho molto apprezzato la sua relazione, ministro, perché mette mano in modo compiuto e organico a questa materia, e vorrei focalizzare l'attenzione sui 250 assunti nelle Commissioni territoriali. A me pare molto importante quanto lei ha annunciato, però vorrei accertarmi rispetto alla tempistica di eventuali bandi e concorsi per questo incremento del numero dei presenti nelle Commissioni che andranno decisamente rimpolpate. Oltre a questo è prevista la presenza di tirocinanti?
  Molte domande sono state già poste dai colleghi, ma in merito ai Centri di permanenza per il rimpatrio quale sarà il ruolo esercitato dall'ANCI, come saranno ascoltati i comuni e quanto peso potranno avere? Si terrà conto anche della presenza in alcuni centri di CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e CIE trasformati in CARA, per evitare uno scontro con sensibilità territoriali? Grazie.

  MARIA CHIARA GADDA. Ringrazio il ministro per la sua relazione così approfondita, che peraltro recepisce il lungo lavoro svolto da questo Governo e da altre Commissioni (la Commissione Schengen sicuramente, ma anche la Commissione d'inchiesta sui Centri migranti) e i decreti recepiscono molti degli spunti discussi in questi anni. Vorrei porre velocemente alcune domande, una più generale che riguarda il fenomeno migratorio. Vorrei capire se sul tavolo delle discussioni internazionali vi sia anche la definizione di una politica comune dei flussi migratori legati alla migrazione di tipo economico, quindi una politica d'ingressi controllata, governata, e definita.
  Un tema che si è posto spesso alle Commissioni territoriali è legato alla mancanza di specializzazione di queste Commissioni, che ha portato a decisioni spesso difformi sul territorio nazionale, quindi, oltre alle questioni numeriche poste dai colleghi, vorrei capire se attraverso il decreto e altri provvedimenti del Governo si andrà verso una maggiore specializzazione di queste Commissioni. Pag. 18
  Per quanto riguarda il tema della valutazione dei controlli, anche questo è un tema significativo...

  PRESIDENTE. Scusi, le chiedo un po’ di sintesi, onorevole Gadda, perché così riusciamo a rispondere ai senatori.

  MARIA CHIARA GADDA. Hanno parlato in molti. Tema della valutazione dei controlli: è valutabile una blacklist degli enti gestori? Alcuni enti gestori non hanno infatti dimostrato di essere all'altezza di questo compito.
  Ultima questione, integrazione e interoperabilità dei dati, che riguarda anche la gestione dei dati a livello nazionale, in quanto spesso abbiamo riscontrato che non esiste sempre una sovrapposizione e un'integrazione dei dati tra i diversi Ministeri, quindi da questo punto di vista cosa si sta facendo per avere una banca dati comune che possa interrogare il sistema in modo univoco?

  ANTONIO DISTASO. Sono adesso di Direzione Italia, sono nel Gruppo misto. Da componente dell'opposizione, ministro, non mi aggiungo ai complimenti che le sono stati fatti, ma mi sento in dovere di ringraziarla per la chiarezza espositiva che lei ha avuto. Una sola domanda per brevità.
  Lei ha declinato la questione riguardo l'intervento fuori dai confini nazionali per fermare i flussi, ma le chiederei un leggero approfondimento, anche perché sono arrivato più tardi e questo mi sembra un tema assolutamente strategico, quindi cosa si intende esattamente per intervento fuori dai confini nazionali, cioè fin dove e con quali modalità? Grazie.

  GIORGIO BRANDOLIN. La Polizia di frontiera esterna europea funziona ancora in modo opzionale, quando lo chiede il Paese di confine esterno, oppure è l'Europa che decide dove mandare questi 1.500 uomini per confermare e potenziare il controllo delle frontiere esterne, che è fondamentale?
  Lei ha parlato di accordi con i Paesi di origine per fare dei rimpatri non soltanto tra Governi, ma anche tra forze di polizia. È possibile avere un quadro? Fino ad oggi sapevo che gli accordi bilaterali erano con cinque Paesi e quindi la possibilità di espulsione era molto ridotta, quindi vorrei capire se bastino questi accordi tra polizie o sia necessario avere accordi bilaterali. Grazie.

  PRESIDENTE. Il ministro, essendo altresì senatore, deve andare a votare anche lui. Se vuole aggiungere qualcosa....

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Vi chiedo scusa, se voi consentite, vi risponderò per iscritto, in maniera tale che vi sia tempestività nella risposta (vedi allegato). Volevo dire solo una cosa che è stata qui posta: considero molto importante che si possa completare l'iter del disegno di legge per i minori non accompagnati, lo considero veramente cruciale. L'anno scorso abbiamo avuto un raddoppio delle presenze dei minori non accompagnati nel nostro Paese e, se posso impegnare il Parlamento dal punto di vista del Governo, su questo terreno si gioca il livello di civiltà di un Paese, ed è per questo che considero molto importante l'accordo e la cooperazione che si è costruita in questo momento in Senato perché si porti in Aula il disegno di legge e si possa arrivare alla sua più rapida approvazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro e i colleghi tutti. Scusate l'incisività per le domande. Saluto la delegazione che accompagna il ministro, cioè il prefetto Felice Colombrino, capo ufficio stampa, il prefetto Marco Valentini, direttore dell'Ufficio legislativo, il senatore Achille Passoni, capo segreteria del ministro, e il vice prefetto dottor Antonio Cananà, direttore dell'Ufficio X – Relazioni parlamentari.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.05.

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ALLEGATO

RISPOSTE TRASMESSE DAL MINISTRO DELL'INTERNO,
SEN. MARCO MINNITI

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