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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 11 di Martedì 9 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione di rappresentanti del Centro Alfredo Rampi Onlus, dottor Daniele Biondo, psicanalista infantile e referente area bambini Centro romano di psicoanalisi (CRP), e dottor Tommaso Romani, psicologo infantile, e della rappresentante dell'associazione Amici dei bambini (AIBI), dottoressa Marzia Masiello.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 ,
Biondo Daniele , rappresentante del Centro Alfredo Rampi Onlus ... 3 ,
Romani Tommaso , rappresentante del Centro Alfredo Rampi Onlus ... 6 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 8 ,
Masiello Marzia , rappresentante dell'associazione Amici dei bambini (AIBI) ... 8 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 12 ,
Blundo Rosetta Enza  ... 13 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 13 ,
Mattesini Donella  ... 13 ,
Valdinosi Mara  ... 14 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 14 ,
Biondo Daniele , rappresentante del Centro Alfredo Rampi Onlus ... 14 ,
Masiello Marzia , rappresentante dell'associazione Amici dei bambini (AIBI) ... 16 ,
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 17 

ALLEGATO 1: Documentazione presentata dal dottor Daniele Biondo ... 18 

ALLEGATO 2: Documentazione presentata dal dottor Tommaso Rossini ... 22

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 13.10.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Centro Alfredo Rampi Onlus, dottor Daniele Biondo, psicanalista infantile e referente area bambini Centro romano di psicoanalisi (CRP), e dottor Tommaso Romani, psicologo infantile, e della rappresentante dell'associazione Amici dei bambini (AIBI), dottoressa Marzia Masiello.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione di rappresentanti del Centro Alfredo Rampi Onlus, il dottor Daniele Biondo, psicanalista infantile e referente per l'area bambini del Centro romano di psicoanalisi (CRP), e il dottor Tommaso Romani, psicologo infantile.
  Ricordo che la Fondazione Rampi ha un progetto per fornire aiuto psicologico ai bambini e agli adolescenti delle case famiglia.
  È altresì presente la dottoressa Marzia Masiello in rappresentanza dell'associazione Amici dei bambini (AIBI).
  Prima di dare la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento delle relazioni, vorrei precisare che ci saranno i lavori in Aula, per cui, probabilmente, dovremo interrompere l'audizione, anche se penso che ci sarà lo spazio per le vostre relazioni e magari per qualche domanda.
  Do la parola al dottor Daniele Biondo.

  DANIELE BIONDO, rappresentante del Centro Alfredo Rampi Onlus. Mi occupo da quarant'anni di bambini e di adolescenti, prima ancora di laurearmi in psicologia, come educatore, ho continuato a lavorare in quelli che allora si chiamavano «istituti per bambini», cioè gli orfanotrofi. Adesso, mi occupo della cura del disagio e del malessere dei bambini.
  Con la signora Rampi, nell'anno 1981, ho fondato il Centro Alfredo Rampi Onlus, dopo la tragedia di Vermicino che immagino alcuni di voi ricorderanno o conosceranno. Si trattò della tragica conseguenza della mancanza di prevenzione, per cui da quel giorno ci siamo impegnati a fare sì che nessun bambino dovesse soffrire quello che ha sofferto quel bimbo.
  All'inizio, abbiamo realizzato una serie di interventi di prevenzione primaria e secondaria degli incidenti, su tutta l'area del rischio ambientale, per occuparci, in una seconda fase, di tutto il rischio comportamentale, sociale, educativo e mentale che può coinvolgere un bambino o un adolescente.
  Posso dire che l'impegno nel campo del soccorso ha avuto buoni risultati. Il nostro Paese, fondamentalmente, è oggi attrezzato per il soccorso in emergenza ai bambini e agli adolescenti.
  Molto meno si riesce a fare nel campo della prevenzione. Eravamo riusciti a fare grandi passi, ma abbiamo il timore – ve lo segnaliamo già come primo punto – che Pag. 4nel nostro Paese, nel campo della prevenzione primaria e secondaria dei comportamenti a rischio e delle condizioni che attentano l'incolumità dei bambini e degli adolescenti, ci sia un arretramento in questa battaglia e in questo impegno che noi facciamo come società civile da un lato e voi come parlamentari e come istituzioni pubbliche dall'altro.
  Per esempio, da diciotto anni circa e in maniera continuativa, gestiamo un servizio territoriale per bambini e adolescenti finalizzato alla prevenzione dei comportamenti a rischio. Questo servizio è un CAG, cioè un Centro di aggregazione giovanile, realizzato a Roma, in uno dei quartieri più a rischio della città (Prenestino, Casilino, Centocelle eccetera). Chi è di Roma sa bene le difficoltà che ci sono in quello che è il municipio con più alta presenza di migranti e stranieri di Roma.
  In quel caso, ci siamo resi conto che il problema della prevenzione dei comportamenti a rischio non poteva non passare attraverso la presa in carico del loro disagio e del loro malessere famigliare; infatti, ancor prima di parlarvi di bambini e adolescenti fuori dalla famiglia, mi sembra importante attrarre la vostra attenzione sull'aiuto che si può dare ai bambini dentro la famiglia perché rimangano, per quanto possibile, nel loro territorio, senza sradicarli. Per quest'aspetto che ci sembra molto importante sono state occupate molte delle nostre energie.
  Nella seconda parte della relazione, il mio collega, invece, vi parlerà dell'impegno dentro le case famiglia, quindi c'è un doppio aspetto che voglio segnalarvi.
  Ci sembra importante che si sviluppino e si continuino a sviluppare servizi di prossimità perché i bambini e i ragazzi hanno bisogno di andare da soli in questi posti, con i loro piedi, e di andarci perché sono nel loro quartiere, quindi facilmente raggiungibili, possibilmente senza un invio da parte di qualcuno.
  Ormai, visti la storia e il radicamento del nostro centro nel territorio, i bambini e i ragazzi vengono da soli e non hanno bisogno di nessuno che li invii; ecco perché l'autoreferenzialità ci sembra importante.
  Si tratta, per intenderci, di una specie di oratorio laico. Tuttavia, abbiamo visto che non bastava fare l'oratorio laico e che, appunto, non bastava tirarli fuori dalla strada, intrattenerli, farli studiare, fare insieme merenda, giocare o altro. Tutto ciò non è sufficiente perché già le agenzie educative del nostro Paese sarebbero in grado di farlo, ma non ci riescono.
  Il problema è che molto spesso questi bambini e questi ragazzi deprivati, che hanno un trauma all'origine della loro vita o una ferita, non riescono a stare nei contesti educativi pensati per loro, infatti vengono facilmente espulsi dalla scuola – vi ricordo che il nostro è uno dei Paesi a più alta dispersione scolastica – e non vengono tenuti neanche nei luoghi informali ed extrascolastici, come i centri sportivi, per i loro comportamenti difficili, aggressivi. Si tratta di bambini arrabbiati e di ragazzi violenti facilmente preda della piccola criminalità e che magari spacciano perché quella è ormai diventata la loro vita.
  Quello che voglio dire è che, per tirarli fuori, non basta dargli una merenda, farli giocare e farli studiare, perché non riescono proprio a farlo.
  Bisogna affiancare, accanto a quel tipo di intervento educativo classico, degli interventi più professionali e più specializzati che sappiano prendersi carico del dolore di questi ragazzi, cioè del dolore di crescere, delle difficoltà e dell'angoscia del fallimento, perché questi ragazzi ci portano continuamente l'angoscia del futuro e l'angoscia del fallimento. Essi non hanno gli strumenti per potercela fare in un mondo che vivono come difficile e competitivo, e dove altri hanno ciò che loro non hanno, dunque pensano sia meglio scegliere di rubare o rapinare o altre scorciatoie, la droga e così via.
  Riteniamo importante che i servizi siano di prossimità e a bassa soglia. Inoltre, è importante l'autoreferenzialità, cioè il fatto che i bambini e i ragazzi entrino da soli senza un invio, e che i servizi siano capaci di prendersi pure cura del dolore di questi ragazzi che abbiamo definito «dolore evolutivo». Pag. 5
  Per questo motivo, a nostro avviso, occorre tornare a investire sui bambini e sui ragazzi, come è già stato fatto nel nostro Paese, per esempio, con la legge n. 285 del 1997 (sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza) e con la legge n. 328 del 2000 (legge quadro sui servizi sociali), e difendere queste leggi e questi impianti perché hanno prodotto tanto nel campo della prevenzione secondaria.
  Nella fase della prevenzione secondaria già c'è una difficoltà, ma non è evoluta in un comportamento criminale o in una psicopatologia, quindi siamo ancora in grado di aiutare moltissimo questi ragazzi.
  Quest'aspetto è importante perché, come segnala un documento della cartellina che vi è stata consegnata e di cui vi parlerò facendo l'esempio di Roma, noi stiamo osservando che c'è il rischio – già reale nella nostra città – di depotenziare gli interventi, a favore dei bambini e degli adolescenti, di prevenzione primaria e secondaria.
  Inoltre, senza prevenzione, la rabbia e la disperazione aumenteranno – lo sapete meglio di noi – gettando le basi per il terrorismo di domani. Lo dico perché dei ragazzi delle banlieue parigine non si sono occupati dieci anni fa né noi l'abbiamo fatto finora nel nostro Paese con i nostri ragazzi. È importante rivendicare e non perdere di vista quest'aspetto che noi, purtroppo, stiamo osservando.
  Oggi, investire sui servizi della prevenzione ci fa risparmiare, oltre che tante sofferenze, veri e propri soldi.
  Un solo esempio: un bambino nel nostro Centro di aggregazione giovanile, uno delle miriadi di centri che ci sono in Italia grazie alla legge n. 285, costa oggi 7 euro al giorno. Noi abbiamo in questo quartiere un centro di due stanze frequentato da trenta ragazzi ogni giorno.
  Certo, ogni ragazzo costa 7 euro al giorno, ma è un ragazzo che ha l'80 per cento di probabilità di non delinquere più. Abbiamo un successo dell'80 per cento e il 20 per cento – lo ammettiamo – di fallimenti.
  Un bambino che entra in una casa famiglia nel Lazio costa 70 euro, con un rapporto di 7 a 70, cioè dieci volte maggiore. Anche in quel caso, però, grazie alla prossimità e alla lunga durata dell'intervento, abbiamo buoni risultati. Un adolescente che entra in comunità terapeutica, perché ha già un disturbo comportamentale grave, costa 180 euro, o anche di più, al giorno, mentre un adolescente nel nostro carcere minorile di Roma, a Casal del Marmo, costa dai 400 ai 600 euro al giorno. Sto parlando solo della permanenza in carcere, senza considerare tutto quello che si è speso in termini di processo, di giudice, di avvocati, di poliziotti che l'hanno arrestato e di vittime che hanno subìto il danno della rapina o di quello che sia.
  Questi 400-600 euro al giorno non servono a nulla, perché c'è una recidiva dell'85 per cento, cioè l'85 per cento di questi ragazzi escono dal carcere e ricominciano a fare quello che facevano prima, quindi il carcere non è servito a niente. Non a caso gli operatori carcerari lo chiamano «l'università del crimine».
  Pensate che noi riusciamo a raddoppiare il 15 per cento di successi – lavoro anche per la giustizia minorile, quindi so di cosa sto parlando perché sono un tecnico – con i progetti di un anno della messa alla prova, cioè già con la messa alla prova dal 15 per cento arriviamo a un 30 per cento di successi, quindi al 70 per cento di recidiva. Lo dico per farvi capire quanto è importante continuare a investire nel campo della prevenzione primaria e secondaria e aumentare la professionalità degli operatori di questo tipo di servizi, insieme alla continuità, al radicamento nel territorio, alla bassa soglia.
  Questi princìpi che sono nella legge n. 328 e nella legge n. 285, nella città di Roma sono completamente traditi. Da più di un anno a questa parte, stanno completamente danneggiando tutto quello che abbiamo fatto in quindici anni. C'è tutto il terzo settore romano che in questo momento sta protestando in piazza perché hanno rimesso a bando questi servizi che, attenzione, chiamano «progetti».
  Questa è una stortura che bisognerebbe correggere. Il progetto è qualcosa che inizia e finisce, mentre un bambino che sto seguendo a dicembre non smette di avere il Pag. 6disturbo perché il progetto, visto che funziona con l'anno solare, scade.
  Per esempio, se lo aiutiamo nella scuola, a gennaio che succede? Certo, ogni anno rifanno il bando cui tu devi partecipare per vincere e, finora, con continuità siamo riusciti a farlo. Tuttavia, hanno completamente modificato il dispositivo dei bandi per i servizi per l'infanzia e l'adolescenza previsti dalla legge n. 285 e dalla legge n. 328 nella città di Roma, per cui ci sono dei bandi che sostanzialmente hanno inserito delle norme assurde.
  Ve ne cito solo una perché trovate le altre in un primo documento firmato dal coordinamento romano di tutti gli enti del terzo settore che lavorano per i servizi per l'infanzia e l'adolescenza previsti dalla legge n. 285 nel Comune di Roma e che rappresentiamo oggi e firmato dal Forum del terzo settore di tutto il Lazio. Questo, Presidente, è il primo documento che le consegno.
  Come vi dicevo, vorrei citarvi solo un aspetto. Applicare la norma del maggior ribasso significa che vincerà il bando colui che offre il maggior ribasso e che fino al 30 per cento dei punti viene dato per quest'aspetto, mentre nessun punteggio viene dato in questa normativa alla esperienza dell'ente che fornisce il servizio ai bambini.
  È la prima volta che nella storia di Roma nessun punteggio viene dato per l'esperienza dell'ente. Può essere anche un'agenzia di pulizie e va bene, perché, se fa risparmiare, viene dato il 30 per cento dei punti.
  Ora, su una strada che devo asfaltare può essere giusto come principio perché per i grandi appalti pubblici può andare bene, ma non va bene per i servizi alla persona e, ancor di più, per i servizi ai bambini e agli adolescenti. Capite che a perdere è la qualità o i contratti di lavoro dei nostri operatori? Come riesci a rispettarli, se devi abbattere del 30 per cento la cifra? Questo è quello che sta succedendo.
  Abbiamo segnalato al Comune di Roma, già ad aprile del 2015, la necessità di mettere a bando questi servizi prima della loro naturale conclusione, in modo da garantirne la continuità. Lo dico perché la continuità educativa è il primo elemento.
  Negli anni, noi creiamo una relazione con questi ragazzi. Tuttavia, se io ti sto aiutando e tu ti fidi di me, quindi ti do una mano e tu la prendi, non posso, poi, tirarla indietro e chiedere, come è successo, scusa. Purtroppo, i bandi non sono stati fatti in tempo, nonostante le nostre sollecitazioni, perché risalgono a fine dicembre e probabilmente le graduatorie usciranno a marzo o ad aprile. Nel frattempo, i servizi sono stati sospesi.
  In merito, abbiamo chiesto cosa dovevamo fare e il Comune di Roma ci ha risposto: «chiudete». Noi ovviamente non abbiamo chiuso e siamo rimasti aperti. Inoltre, ci è stato detto «lo fate come volontariato, ma noi non lo dobbiamo sapere». Questa è l'ipocrisia, oggi, del terzo settore.
  Il terzo settore, previsto dalla legge n. 328 come partner principale di questo tipo di servizio, oggi è diventato il problema, a causa delle note vicende di «Roma Capitale». C'è stata purtroppo una cooperativa che ha criminalizzato tutto il settore e si sta buttando, insieme all'acqua sporca, il bambino, cioè tutto il terzo settore è stato messo per strada oggi a Roma e nel Lazio. Questa è la situazione che intendevo segnalarvi. Grazie per la vostra attenzione. Passo la parola al dottor Tommaso Romani.

  TOMMASO ROMANI, rappresentante del Centro Alfredo Rampi Onlus. Grazie dell'invito.
  Io collaboro al Centro Alfredo Rampi Onlus col dottor Daniele Biondo e lavoro in casa famiglia per adolescenti da una decina d'anni. Sono uno psicologo.
  Abbiamo – lo trovate nella cartellina – preparato una relazione rispetto allo stato attuale dei lavori delle case famiglia per bambini e adolescenti che vorrei riassumervi.
  In linea di massima, la situazione che ho potuto vedere e studiare nell'ultimo decennio – il mio tempo di osservazione – è fatta di profondi cambiamenti, non solo delle case famiglia, ma anche in risposta a mutamenti sociali e economici, alla crisi economica, ai migranti. Pag. 7
  Le strutture, dopo la chiusura degli istituti, si sono moltiplicate nella forma, il che può rappresentare in un certo senso una ricchezza. Tuttavia, tali strutture sono anche molto eterogenee, per cui spesso, come si vede anche in televisione o si legge sui giornali, c'è una sorta di generalizzazione della struttura che lavora peggio e che diventa poi la rappresentazione di tutto il mondo dell'accoglienza.
  L'utenza che abbiamo in casa famiglia, soprattutto rispetto all'adolescenza, è un'utenza sempre più difficile e sofferente. Qualche decennio fa, gli istituti accoglievano bimbi ai quali pesava forse più la condizione economica e sociale. Oggi, quello che si vede nell'accoglienza è un adolescente sofferente, in modo medio-grave, che scivola verso una psicopatologia.
  Abbiamo distinto tre forme di accoglienza.
  Innanzitutto, c'è un livello base, molto spesso composto dai gruppi di volontari, che funziona magari bene nelle emergenze. Poi, ci sono le comunità terapeutiche che sono altamente specializzate e che, avendo un'organizzazione psichiatrica e sanitaria, intervengono dove la sofferenza è diventata una diagnosi. Infine, vorrei sottolineare che c'è tutto un mondo di mezzo che si è altamente professionalizzato, rispetto all'intervento degli educatori e degli psicologi per accogliere i ragazzi.
  Metodologicamente, in casa famiglia questi ragazzi ripetono il sintomo, ovvero gli stessi comportamenti disordinati che avevano per strada. L'accoglienza in casa famiglia fa sì che lo stesso adolescente riproponga la rappresentazione della sua sofferenza da noi. Il passaggio successivo di questo metodo è quello di lavorarci in gruppo per riuscire, quando il ragazzo avrà investito sugli altri ragazzi e sugli operatori, a dare a questi sintomi un significato sia affettivo, perché la casa famiglia lavora su dei legami, sia di senso compiuto. Questo ha chiaramente un significato profondo.
  Bene o male, questi piccoli gruppi che lavorano in casa famiglia provengono da una formazione nella psicoanalisi che va dal sintomo a uno stato più profondo del funzionamento mentale.
  Tutto ciò mantiene comunque una vocazione sociale. Si tratta di ragazzi che il pomeriggio vanno a giocare a pallone o in piscina e la mattina vanno a scuola. È un piccolo gruppo che solitamente è aperto al territorio, senza darsi una configurazione psichiatrica o psichiatrizzante che, come diceva il dottor Biondo, tra l'altro ha un costo specifico molto più alto dell'intervento in casa famiglia.
  Sto parlando di quelle strutture che nel Lazio si chiamano «case famiglia per minori» e in altre regioni «comunità educative» e che hanno un piccolo gruppo di educatori e non la coppia famigliare e i volontari.
  Queste strutture hanno la capacità di intervenire su situazioni molto gravi che vanno dall'adolescente antisociale, che, compiuti dei reati, neanche a Casal del Marmo riesce a stare e per il quale molto spesso si pensano percorsi alternativi in comunità, fino al ragazzo migrante che ha subìto la ferita di una storia terribile e ai ragazzi abusati nelle stesse famiglie. Negli ultimi anni, una percentuale altissima è costituita dai ragazzi che vengono dal duplice abbandono delle adozioni fallite.
  In linea di massima, i ragazzi che accogliamo, nell'arco della loro adolescenza, cioè in quattro o cinque anni, sono in grado di vivere da soli; spesso molto prima – purtroppo – dei ragazzi di buona famiglia. Noi, quando hanno tra i diciotto e i ventuno anni, non abbiamo più la possibilità di lavorarci e, finito il ruolo della casa famiglia, questi ragazzi escono dai servizi sociali che sono servizi sociali per i minori.
  Spesso già intorno ai ventuno anni questi ragazzi magari riescono a vivere da soli perché hanno un lavoretto e, bene o male, sono rientrati in un contesto sociale e altri addirittura si sono iscritti all'università per fare gli educatori a loro volta; quindi un riconoscimento legislativo formale e un investimento economico maggiore sarebbero opportuni rispetto a questo mondo delle case famiglia, così come ve lo stiamo raccontando. Pag. 8
  In ultimo, vorrei dire che gli operatori che lavorano in queste strutture sono fondamentalmente giovani. Quello in casa famiglia non è un lavoro per vecchi. Certo, lo dico un po’ ironicamente, ma il senso è che non ci si può invecchiare.
  Basta guardare la popolazione degli operatori per rendersi conto che magari un operatore, arrivato ai 35 anni, non riesce a prendere un mutuo o che, mancando le risorse economiche, non ha la possibilità di avere un contratto.
  Si tratta di quei giovani su cui molto spesso si dice di voler investire e che tra l'altro – lasciatemelo dire – sono anche molto eroici, in quanto hanno scelto un lavoro che, per quanto altamente professionale, ha anche un livello di dedizione molto impegnativo.
  Vorrei che la vostra attenzione guardasse non solo ai ragazzi della casa famiglia, ma anche a quei giovani che se ne occupano e che appunto hanno tra i 25 e i 35 anni. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Marzia Masiello.

  MARZIA MASIELLO, rappresentante dell'associazione Amici dei bambini (AIBI). Grazie, Presidente e onorevoli parlamentari.
  Sono Marzia Masiello e rappresento l'AIBI, che lavora e si impegna per il diritto del bambino ad essere figlio, in Italia e in trenta Paesi del mondo, con tutta una serie di opere che mettono in campo la sussidiarietà dell'accoglienza, cioè facendo interventi sul territorio con la promozione dell'affido e l'infrastrutturazione del welfare locale nei Paesi d'intervento, come elemento fondamentale, per poi arrivare all'adozione internazionale, come elemento sussidiario.
  In ogni Paese, l'associazione vince nel momento in cui vincono i bambini e, soprattutto, si inverte un processo di accoglienza, facendo in modo che possano esserci accoglienze soprattutto nel Paese di origine del bambino o comunque, ove possibile, che rientri in famiglia.
  Personalmente, lavoro per Amici dei bambini dal 2002.
  Inoltre, sono stata impegnata per diversi anni nell'ambito dell'adozione internazionale presso la Federazione Russa e, per alcuni periodi, in Mongolia e in Ucraina.
  Sono rientrata successivamente in Italia, per recarmi nel territorio, estremamente difficile, di San Giovanni a Teduccio presso Napoli, dove il nostro prioritario impegno era quello di svolgere soprattutto la promozione dell'affido familiare, in particolar modo con un lavoro intenso sulle famiglie di origine e in un'ottica di prevenzione più che di intervento, visto che la situazione era già in una difficoltà conclamata.
  Dal 2007, mi occupo delle relazioni istituzionali per Amici dei bambini a Roma.
  Per quanto riguarda le attività di questa specifica indagine per la quale ringraziamo profondamente la Commissione, vorrei riportare soltanto una brevissima descrizione degli interventi che Amici dei bambini fa in Italia.
  Abbiamo due case famiglia attive con una capienza massima di sei minori e una casa famiglia di prossima apertura a Lodi. Inoltre, abbiamo due Comunità mamma-bambino con al massimo dieci persone attualmente in pieno funzionamento, un appartamento di semi-autonomia rivolto a nuclei monoparentali con cinque persone, due appartamenti di alta-autonomia rivolti a nuclei monoparentali e un centro di accoglienza familiare per migranti con nove nuclei familiari per un totale di ventisei persone, di cui nove sono minori e diciassette adulti.
  Alcuni di questi in servizi – mi piace anche sottolinearlo – sono all'interno di una struttura denominata Family house, che abbiamo recentemente realizzato come casa dell'accoglienza che prevede anche una «culla per la vita», spazi di formazione per famiglie e operatori, un consultorio familiare e un centro servizi alle famiglie.
  Tenterò di articolare in breve tempo il mio discorso attraverso un momento che sia una pars destruens di tutte le cose che non vanno e che pure conosciamo molto bene, soprattutto grazie alla dovizia di particolari che non riporterò, se non per sommi Pag. 9capi a questa Commissione, dell'8° rapporto della Convention of the Rights of the Child (CRC), con cui Amici dei bambini collabora annualmente, che è stato presentato appunto nell'estate scorsa. Passerò su questi aspetti a volo d'uccello per poi raccontare anche qualche piccola buona prassi.
  Inoltre, vorrei tentare di valorizzare un orizzonte verso cui vorremmo tendere per fare in modo che l'Italia sia davvero contestualizzata in una direzione di global player che ponga i minori e l'infanzia tutta, con particolare attenzione per l'infanzia e l'adolescenza fuori dalla famiglia, come priorità nelle agende, che siano esse regionali, nazionali, europee o internazionali, volendo possibilmente anche fare più Europa a casa nostra.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva – ho guardato un po’ gli atti degli incontri pregressi – è stata già ampiamente evidenziata una delle problematiche fondamentali rispetto alla frammentazione delle competenze, all'assenza di una cabina di regia vera e propria dei vari interventi settoriali, alla scarsa conoscenza degli interventi e dell'entità delle risorse che vengono investite, finanche alla difficoltà di confronto, sui dati di cui noi oggi siamo in possesso nella fotografia del nostro sistema-Paese ancora da costruire, con altri Paesi.
  Certo, un regolamento concernente requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale di fatto esiste, ma sappiamo che esistono tanti sistemi di welfare a seconda delle regioni dove andiamo a intervenire.
  Rispetto alla questione che CRC evidenzia, come sottolineavo poc'anzi, con molta puntualità, vorrei riportare alcune preoccupazioni a noi care.
  In particolar modo, il fatto che minori tra i zero e i due anni, per esempio, vengano ancora collocati preferibilmente in strutture di accoglienza piuttosto che in affido. Sono soltanto il 35,8 per cento i minori di questa fascia di età che vengono affidati. È importante segnalare a questo proposito che nella fascia di età 0-2 anni per il 64,2 per cento dei bambini si ricorre alla comunità residenziale come scelta di accoglienza e nella fascia di età fino ai cinque anni per il 42,7 per cento. Tra l'altro, sarebbe importante, anche per questo range (0-5 anni), capire, quando sono in comunità, se in effetti sono soli o comunque collocati insieme a un genitore.
  Chiaramente preoccupa anche moltissimo il fatto che ci troviamo di fronte ancora a un istituto dell'affido forse poco praticato in termini di prevenzione, come dicevamo poco fa, perché sappiamo che il 74,2 per cento degli affidamenti ancora procede per via giudiziale.
  Naturalmente tutti questi aspetti sono elementi che ci fanno interrogare e sono un indicatore fortissimo di quanto ci sia ancora da fare in termini di prevenzione. Inoltre, sicuramente gli strumenti citati poc'anzi della legge n. 328 e della legge n. 285 sono essenziali e fondamentali, per cui da riprendere in mano, come è stato detto anche in precedenza da questa Commissione, e da rivitalizzare.
  Lo dico perché l'esperienza che noi stessi abbiamo avuto su «Roma Capitale» purtroppo non differisce molto da quella già raccontata, nonostante le petizioni di famiglie che si sono servite dei servizi che erano gratuiti e a disposizione per l'accoglienza e anche per il sostegno alle competenze genitoriali.
  Non è valso in questo senso mostrare la bontà di un servizio che veniva collocato e identificato come «progetto» e che, invece, dovrebbe essere valorizzato nell'ottica e nel ragionamento del processo e della continuità.
  Si pone, nell'ambito della progettualità, la problematica rispetto al follow up e anche alla conoscenza dei risultati perché non è sufficiente dare fondi, se poi non si verifica che tipo di impatto sociale c'è stato su quel territorio, come sono stati qualificati gli operatori e se effettivamente in questa filiera, come sottolineavamo poco fa, i destinatari primi e ultimi che sono i bambini con le loro famiglie si portano dietro un ambiente favorevole in cui gli stessi operatori siano in grado di poter continuare nel loro intervento un percorso che non sia spezzettato; altrimenti manca Pag. 10un percorso armonico, che di fatto dovrebbe essere proprio la base.
  Uno degli elementi fondamentali, su cui la stessa CRC insiste e che mi piace qui ricordare, circa l'attuazione della Convenzione dell'ONU, è anche la raccomandazione che gli allontanamenti non vengano fatti per motivi di carattere strettamente economico perché questo sarebbe estremamente gravissimo.
  Certo, l'aspetto economico può essere una concausa, ma sappiamo bene quali sono i dati della povertà assoluta. Per i dati del 2013, si sottolineava come in Italia 1.434.000 minori risultano poveri assoluti e che questa povertà assoluta coinvolge 2.028.000 famiglie. Sono dati che probabilmente avete sentito più volte, per cui non mi ci soffermerò più di tanto. Certo, la narrativa, per una costruzione strategica di un Paese che vuole andare avanti, va fatta appunto sulla base di dati che sono estremamente carenti.
  Avete visto voi stessi e avete avuto modo di constatare la difformità di rilevazione dei dati, quindi dei criteri con cui vengono rilevati, nell'ambito dell'affido e delle strutture di accoglienza. Questi dati sono stati rilevati dal Ministero della giustizia da una parte e dall'altra dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali; in ultimo anche dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza.
  Ora, se andate a vedere i numeri, vi accorgerete che è vero che parliamo di circa 30.000 minori fuori dalla famiglia. Tuttavia, è dentro quel «circa» che sta la gravità delle ombre, perché non si sa effettivamente quanti siano.
  Nella scheda dell'Autorità garante – ho con me degli appunti – si parla di circa 21.317 ospiti presenti complessivamente all'interno delle comunità, invece complessivamente, tra affidi e collocati in strutture, secondo il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ce ne sono 28.449, di cui 14.255 in comunità residenziali e 14.191 in affido. Non solo, bisogna poi entrare nel dettaglio e guardare bene questi dati perché non si sa ancora quanti affidi consensuali poi diventano giudiziali e collocamenti in comunità.
  Altri dati significativi sono quelli che riguardano la fascia tra i diciotto e i ventuno anni. Anche in quel caso, per esempio, abbiamo il dato rispetto ai ragazzi e alle ragazze che sono all'interno delle comunità; il rapporto ne evidenzia 1.094 nei servizi residenziali di età compresa tra i diciotto e i ventuno anni, di cui 635 di cittadinanza straniera. Tuttavia, non sappiamo nulla rispetto ai dati di ragazzi che, essendo in affido, continuano a vivere in quella fascia d'età con i loro affidatari. Anche questo potrebbe essere un elemento estremamente significativo per fare dei ragionamenti.
  Sui fallimenti adottivi citati poc'anzi occorre fare una riflessione, perché dall'esperienza specifica si evidenzia quanto sia aumentato il numero di questi fallimenti. Inoltre, siamo ancora indietro rispetto a questi dati.
  Vi cito testualmente la Relazione del ministri Cancellieri e Giovannini sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori nonché al titolo VIII del libro I del codice civile che era stata trasmessa alla Presidenza della Camera il 16 dicembre 2013 (Doc. CV, n. 1): «i tribunali raramente annotano le restituzioni sia nella fase di affidamento preadottivo, sia dopo la definizione dell'adozione; lo stesso avviene per le cause dei fallimenti adottivi. Ciò si deve sia all'esiguità dei casi sia alla mancanza di collegamento tra il registro della Cancelleria civile e quello della Cancelleria adozioni [...] I Tribunali ritengono in generale che le cause dei fallimenti dipendano da fattori non governabili da interventi normativi».
  Tuttavia, è importante conoscere i numeri perché, se questi fallimenti sono effettivamente moltissimi, bisognerà fare anche dei ragionamenti di strategia di intervento in quella direzione.
  Per quanto riguarda la banca dati dei minori adottabili, devo dire che c'è un altro tormentone che purtroppo ci portiamo dietro dal 2001, per cui speriamo che arriveremo presto a una situazione in cui non soltanto undici ma tutti e ventinove i Tribunali Pag. 11 per i minorenni possano essere informatizzati.
  Altro elemento di profonda criticità sono i dati dei 1.900 minorenni adottabili che si trovavano in affido e in comunità, secondo una stima del 2010 realizzata dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza. Il monitoraggio più recente da parte del Ministero della giustizia, non pubblicato e aggiornato a febbraio del 2014, riporta, invece, 300 minorenni adottabili di cui, però, non si conosce lo stato di salute psicologico e sanitario, per cui non sappiamo per quale motivo siano ancora all'interno delle strutture e non siano adottati.
  In ultimo, rispetto alle cose che restano veramente difficili da accettare perché sono sotto gli occhi di tutti noi, vorrei aggiungere che l'Europol ha sottolineato – già conoscevamo i dati che riguardano l'Italia – che sono 10.000 i migranti minorenni scomparsi in Europa e che sono 5.000 in Italia i minori stranieri non accompagnati scomparsi.
  Per quanto riguarda la raccolta dei dati e la fotografia che ci restituisce, vorrei sottolineare ancora una volta che è da qui che passano la buona strategia e il buon cammino di un Paese che vuole fare sistema.
  Rispetto alle buone notizie che comunque possiamo evidenziare, altrimenti il cielo sembra tutto nero, mi piace ricordare anche il lavoro dello scorso anno fatto dall'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, in particolar modo, come il Ministro Poletti sottolineava, «l'approccio olistico nuovo» dato in maniera anche trasversale. È stata data particolare attenzione anche alle questioni interconnesse, in maniera tale da fare sintesi tra i diversi settori e non cadere nel rischio di tornare a pensare per interventi settorializzati.
  Mi piace ricordare il fatto che l'Osservatorio, quindi, abbia fatto parlare il Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza che speriamo sarà presto licenziato con altri, come quello sulla povertà, quello sulla disabilità e quello di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori.
  Un'altra piccola buona prassi, anche di incitamento dei comportamenti virtuosi, è quella che leggevo dagli atti e che recentemente il presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM) sottolineava, dicendo: «noi, nel nostro coordinamento, facciamo aderire solo ed esclusivamente quegli enti e quelle realtà che gestiscono comunità di un massimo di otto minori». Si tratta di far fiorire la dimensione della relazione umana nel rapporto con i minori con comunità di piccoli numeri.
  Per quanto riguarda una piccola buona prassi dell'AIBI, vorrei raccontarvi brevemente, visto che, guardando l'orologio, noto che manca pochissimo al termine dell'audizione, del progetto «Diritti alla meta», che di fatto individua la figura dell'intermediario sociale.
  Si tratta di una figura molto interessante, perché abbiamo formato degli operatori che possano traghettare i ragazzi che escono dal sistema dell'accoglienza in comunità e vengono nell'ambito sociale, attraverso un'assistenza volta a far fiorire le competenze del ragazzo stesso dal punto di vista abitativo, dal punto di vista legale e dal punto di vista dell'accesso a tutti quei servizi di cui un ragazzo che vive in comunità magari non ha contezza e conoscenza.
  A Roma, abbiamo lavorato su varie realtà, tra cui il Centro Astalli, e abbiamo seguito trenta ragazzi con otto operatori formati e quattro poi selezionati per seguire tutto questo percorso.
  Passo ora a una proposta di visione, per cui parlerò ancora un paio di minuti.
  Vedo che non è presente l'onorevole Iori, ma la cito per il suo contributo a un cenacolo che si chiama «Pane e olio» e che porto avanti con l'ufficio per la famiglia del Vicariato di Roma. In occasione del nostro incontro con Transparency international a cui erano presenti tutte le constituency più rappresentative, dal Forum nazionale del terzo settore al Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete (Care) – soltanto per citarne alcune – all'Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI), abbiamo deciso di metterci Pag. 12insieme per capire come anche la trasparenza possa essere un cammino che lo stesso associazionismo deve fare. Certo, è fondamentale richiedere trasparenza alla pubblica amministrazione, ma anche lavorare insieme in questa direzione nell'ambito del terzo settore per dare sempre più chiarezza e contezza dell'operato di ognuno.
  Salto tutto l'intervento per arrivare alla conclusione dell'onorevole Iori che è stata una vera e propria spinta propulsiva perché sottolineava: «è innegabile che si pone in maniera urgente la necessità di rafforzare l'educazione alla legalità come vera emergenza del Paese e del pianeta per fronteggiare modelli culturali pericolosi e criminali. Al di là della politica, del governo e del civismo, credo che uno degli ingredienti più forti per rafforzare la legalità sia la fiducia; esercitare la fiducia verso se stessi e verso il prossimo è lavoro duro che richiede coerenza, delicatezza e attenzione».
  Vorrei aggiungere due elementi in chiusura, rispetto a tutte le buone prassi che sono state evidenziate e agli auspici della CRC che, però, non vengono mai nominati.
  Innanzitutto, credo che sia utilissima l'implementazione della responsabilità sociale d'impresa. In luoghi molto autorevoli, anche di fronte a situazioni di mancanza di fondi e di economie significative, proponendo l'implementazione della responsabilità sociale d'impresa, mi è stato detto che questa non esista più. Tuttavia, io ritengo che non sia così.
  In merito, c'è un lavoro molto bello che sta facendo il Ministero dello sviluppo economico con l'applicazione da parte delle multinazionali e delle aziende, quindi a livello nazionale e internazionale, di linee guida che devono promuovere un approfondito dialogo tra i Governi e le imprese attraverso la partecipazione e il coinvolgimento di sindacati, di associazioni e organizzazioni non governative, di rappresentanti della società civile e di tutti coloro che perseguono gli stessi fini, tra cui i diritti umani.
  Vorrei spendere una parola sui minori stranieri non accompagnati. Ci auspichiamo che il progetto di legge C.1658 possa approdare ad una conclusione perché anche in quel caso viene valorizzato l'affido.
  Inoltre, il family to family approach, cioè delle famiglie che si avvicinano alle famiglie, è un elemento che «Amici dei bambini» sta promuovendo a tutti i livelli. Pensate che in Italia abbiamo fatto un appello per famiglie che si sono dichiarate disponibili ad una prima formazione finalizzata a capire cosa sono i minori fuori famiglia, visto che si tratta di un affido totalmente diverso rispetto a quello tradizionale. Ci hanno risposto più di 2.000 famiglie italiane.
  In merito, la grande difficoltà è mettere a sistema con una cabina di regia tutte queste risorse perché non avrebbe senso gestirle da soli. È importante, invece, farlo insieme alle istituzioni e in un'ottica, anche in questo caso, di tracciabilità dei processi, per far sì che si possa promuovere un affido che sia anche di carattere internazionale.
  Il caso di un ragazzo che viene accolto in Italia da una famiglia-ponte che magari si avvicina alla struttura in cui il minore straniero non accompagnato vive, facendo delle attività prima di carattere informale e poi stabilendo delle relazioni, può diventare un affido di carattere internazionale. Questa famiglia che magari investe sul minore straniero non accompagnato può renderlo un adulto, facendolo diventare davvero un «luogo di riscatto», cioè con una soggettività di riscatto sociale e economico. Lo dico perché l'elemento economico è molto presente nell'arrivo dei minori stranieri non accompagnati.
  Quello che fanno queste famiglie-ponte nel percorso per arrivare anche in Europa può essere un valore aggiunto su cui, però, si deve lavorare insieme, se il Governo e il Parlamento hanno la sensibilità di portare avanti questa tematica. Non aggiungo altro, anche se ci sarebbe ancora molto da dire, perché ho esaurito il tempo a disposizione.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Abbiamo a disposizione pochi minuti in cui vorrei dare spazio ai colleghi, a cominciare dalla senatrice Blundo che è la relatrice di questa indagine conoscitiva. Pag. 13
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare domande.

  ROSETTA ENZA BLUNDO. Anch'io la ringrazio per questa esposizione molto esaustiva e puntuale che ci ha dato un quadro generale della situazione.
  Noi, più volte, abbiamo individuato, in questa carenza dei dati, una condizione di base abbastanza preoccupante perché non si può facilmente intervenire, se non si ha contezza della reale situazione.
  A parte questo, vorrei porre alcune domande. Per quanto concerne la prassi dell'affido, voi considerate prioritaria o quanto meno di maggiore valore un inserimento in una struttura ben definita dove, come diceva prima anche il dottor Romani, mi sembra ci siano condizioni di accoglienza più strutturate, con un gruppo di lavoro e con un'attenzione al percorso per la ripresa delle dinamiche profonde che chiaramente i genitori affidatari si troverebbero ad affrontare in maniera un po’ diversa?
  Vorrei anche capire da voi che tipo di problematiche possano esserci dal punto di vista normativo nella legge che è stata varata ultimamente e che avvicina in maniera molto veloce e facile l'affido all'adozione. In merito a questo passaggio, vi chiedo se al momento è davvero così semplice farlo o bisognerebbe rivedere l'istituto dell'affido e le situazioni che ci sono per evitare dinamiche non rispondenti al bene vero del bambino; soprattutto sapendo di tutta questa carenza di dati e di tutta questa mancanza di chiarezza sulla realtà dei minori fuori famiglia.
  Vorrei farvi anche un'altra domanda: sulla base delle vostre esperienze quanto può incidere nella prevenzione anche il lavoro del Centro diurno, quindi con residenza parziale? Grazie.

  PRESIDENTE. Aggiungerei anche la domanda della senatrice Mattesini, così possiamo ricevere una risposta unica.

  DONELLA MATTESINI. Presidente, le chiedo che le prossime volte non si mettano insieme più persone perché è un gran peccato. Ci hanno esposto cose importanti e rischiamo, in assenza di un dibattito, di assorbire solo alcune valutazioni.
  Un'altra questione che vorrei ricordare anche a noi stessi riguarda il fatto che, durante la scorsa legislatura, è stata fatta un'indagine conoscitiva sull'affido e sulle adozioni, per cui forse dovremmo riprenderne le conclusioni. Lo dico perché in quell'indagine c'erano conclusioni importanti e condivise e perché rischiamo di rifare sempre le stesse cose da capo, anche se naturalmente è interessantissimo ricevere aggiornamenti.
  C'è poi una valutazione che vorrei fare. Il dottor Biondo ha più volte parlato della necessità di riprendere lo spirito della legge n. 328 e della legge n. 285. Certo, io condivido in pieno quanto ha detto il dottor Biondo, ma devo dirvi che, anche a volerlo riprendere, fintanto che non approveremo – e io spero che l'approveremo – la riforma del Titolo V della Costituzione, quelle leggi non sono più valide perché le competenze sono delle regioni.
  Il tema vero è, caso mai, capire come, anche insieme, possiamo fare una battaglia – lo dico come informazione – perché nel parere che questa Commissione ha dato sul IV Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza è stata inserita, all'unanimità, una parte centrale che riguarda la questione di avere una cabina di regia, cioè il fatto che, in assenza di questa, intanto ci sia una Conferenza Stato-regioni, come avviene per la salute, che abbia un proprio Piano nazionale.
  Diversamente, abbiamo solo una frammentazione, per cui possiamo fare tutte le leggi che vogliamo, però di fatto poi tale piano diventa inapplicabile. Su questo penso che ci dovrebbe essere un'alleanza forte, trasversale. Personalmente mi sto battendo da parecchio tempo e mi sembra che già il gruppo CRC ed altri si muovano nella stessa direzione.
  Ho apprezzato moltissimo – quindi vi chiedo anche quali siano i risultati – che nella sua relazione il dottor Biondo abbia detto che il punto è fare in modo che i bambini che sono in comunità vadano in Pag. 14famiglia, quindi in affido o in adozione, ma anche far sì che questi bambini non vengano poi allontanati dalle famiglie stesse. Vi chiedo se c'è qualche dato indicativo che forse ci ha già fornito, ma mi è sfuggito.
  Il Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza introduce un elemento fondamentale che è quello del sostegno alla genitorialità, per cui il punto è esattamente quello che lei diceva, cioè, se noi vogliamo far ritornare i bambini o non allontanarli, dobbiamo far in modo che le famiglie diventino il punto fondamentale non residuale.
  In merito, vi chiedo se nella vostra esperienza effettivamente quest'approccio dia risultati o meno. In questo modo, non facciamo altro, come avviene per altre questioni, che pensare che il problema si risolva con le istituzioni. Io spero, invece, che arriveremo anche a non avere più le case famiglia. Certo, troveremo un nuovo modo per collocare quei giovani, però l'obiettivo è quello, quindi chiedo cosa ne pensate e se ci sono, da questo punto di vista, anche dei dati che possano aiutare.

  MARA VALDINOSI. Intanto, ringrazio gli auditi. Poi, vorrei sottolineare un tema che è stato richiamato in premessa dal dottor Biondo e da cui loro sono partiti, cioè il tema della prevenzione dei rischi ambientali.
  Io penso che bisognerebbe di nuovo focalizzare l'attenzione su questo tema perché, soprattutto in relazione alla presenza sul territorio italiano di bambini immigrati, mi ha colpito una particolare incidenza di vittime che sono figli di immigrati. Si tratta di incidenti che non sono solo domestici, ma anche di tipo ambientale, come per esempio i bambini che muoiono affogati nei fiumi. C'è questo problema anche di mancanza di conoscenza del territorio e di informazioni che è un'ulteriore denuncia della mancata integrazione di queste famiglie e di questi bambini.
  Inoltre, vorrei chiedere una precisazione, se possibile, visto che il tempo è poco. Tutti lamentano questa mancanza di dati generali, invece a me sembrerebbe molto interessante che ogni vostra singola esperienza potesse dare un contributo in questi termini. Vorrei, intanto, chiedere di indicarci quali potrebbero essere i dati da porre all'attenzione e da mettere sotto i riflettori. Inoltre, vorrei chiedervi se, in base alla vostra esperienza, voi avete una gestione dei dati per ogni struttura di ogni vostra associazione e, in base a questi dati, che tipo di proposta e di soluzione voi ci potete indicare per il nostro lavoro. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  DANIELE BIONDO, rappresentante del Centro Alfredo Rampi Onlus. Vorrei partire del tema della casa-famiglia o dell'affido che poneva la senatrice Blundo per parlare appunto della prevenzione e rispondere alle domande che mi sono state fatte direttamente.
  Mi avete chiesto se può funzionare meglio il Centro diurno rispetto alla casa famiglia o all'affido. Posso dirvi che si tratta puramente di una questione tecnica di valutazione della situazione di ogni singolo minore e non può prescindere da questo perché ci sono dei criteri e degli indici in base ai quali possiamo stabilire qual è il progetto migliore per quel ragazzo.
  Tutto ciò dipende dall'età, dal tipo di trauma e dalla famiglia che ha o che non ha o che ha avuto. Inoltre, se c'è una famiglia anche a brandelli che può essere recuperata, noi crediamo che vada data la priorità a quella famiglia. In merito, credo che la senatrice abbia già dato una risposta: il lavoro di sostegno alla genitorialità è il vero focus su cui ci dobbiamo concentrare.
  Per quanto ci riguarda, si tratta di un'esperienza parallela, anche se non ho avuto il tempo di parlarne, a quella che facciamo con i ragazzi perché, ugualmente, lavoriamo con i genitori per aiutarli a comprendere le difficoltà di quello specifico ragazzo.
  Certo, sono diversi i modi con cui lo facciamo, perché ci sono degli incontri e ci sono dei gruppi, ma, senza entrare nel merito, l'obiettivo è di aiutarli a tenere presenti quei figli perché, al di là poi della povertà, delle mille cose da fare e del Pag. 15lavoro, rischiano di perderli. L'obiettivo è proprio quello di ridare uno spazio. Il fatto stesso di venire da noi a parlare dei figli ridà uno spazio nella loro mente ai figli e bonifica tante situazioni la cui conflittualità, senza questo lavoro, diventerebbe esplosiva; con l'espulsione del minore dalla famiglia e per noi con una decuplicazione dei costi. Come vi dicevo, si passa da 7 a 70 euro.
  Oltre a tutta una serie di altri aspetti, tenete conto che il lavoro è o progressivo o regressivo, il che significa che, se io ho un ragazzo in casa famiglia, non ce lo posso lasciare per una vita, ma deve andare in una famiglia che comunque lo possa sostenere. Come potete notare, si ritorna sempre allo stesso punto, cioè il lavoro di inserimento del minore che ha bisogno per crescere bene di una famiglia è inevitabile, quindi prima lo faccio e meglio è.
  Diversamente, ho solo speso tanti soldi per collocarlo in una casa-famiglia o per curarlo in un carcere o in un ospedale perché si è fatto male – poi vi parlerò anche degli incidenti – e non ho fatto quello che comunque dovrò fare. Ho speso un mare di soldi come Stato e non ho fatto quello che dovevo fare, cioè sostenerlo dentro la famiglia, quindi prima lo faccio e meglio è.
  Per rispondere alla vostra domanda, vi dico che è più funzionale il Centro diurno. Tra l'altro, il Centro diurno, attenzione, è diverso dal Centro di aggregazione giovanile perché è già un presidio sanitario e costa dieci volte di più.
  Vado orgoglioso – ho scritto trenta pubblicazioni e vengo chiamato in tutte le parti d'Italia dalle ASL e dai grandi ospedali, come per l'ultima conferenza all'Ospedale Molinette a Torino – del fatto di aver inventato nel nostro Paese il modo per far funzionare un centro a bassa soglia, come un Centro di aggregazione che costa pochissimo, ma che sia anche un luogo di presa in carico del disagio dell'adolescente e della sua famiglia.
  Guardate che, se attrezzato e se professionalizzato, quel centro dove, come vi ho già detto, si gioca e si fanno i compiti, può accogliere anche la sofferenza di questi ragazzi e curarla, cioè prendersene cura, non nel senso sanitario. Ecco perché ci dobbiamo inventare questi nuovi servizi a metà strada fra l'aspetto educativo-sociale e quello sanitario. Questa è la nuova frontiera a mio avviso. In merito, ho scritto tantissime pubblicazioni scientifiche in Italia e in Europa, quindi, se volete, quanto sto dicendo è documentabile.
  Certo, è vero che con i bambini e ragazzi migranti senza dimora dobbiamo rifare il percorso che abbiamo fatto noi vent'anni fa. Noi, come Centro Alfredo Rampi Onlus, abbiamo formato direttamente 300.000 bambini della città di Roma a comportamenti che chiamiamo «auto-protettivi». Lasciamo agli atti della Commissione del materiale che documenta le nostre attività.
  Per quanto riguarda la conoscenza del territorio e il sapersi difendere dai rischi, posso dirvi che effettivamente questi bambini che arrivano non hanno questo patrimonio che, invece, oggi la famiglia ha, perché abbiamo lavorato con i genitori e con gli insegnanti e abbiamo creato, in questi 35 anni di lavoro, strumenti specifici per educare i bambini e i ragazzi ai comportamenti auto-protetti.
  Questi ragazzi non hanno queste conoscenze e sono effettivamente più soggetti a incidenti e a rischi ambientali. Inoltre, il disagio minorile, anche dei nostri italiani, si presenta molto spesso non con una malattia mentale o con la criminalità, ma con l'incidente stradale. Nelle fasce povere, l'incidente col motorino o di altra natura è l'indice di questa situazione.
  Noi magari aggiustiamo le ossa in ortopedia; anche al terzo o quarto incidente. Lo dico perché il fatto che il 35 per cento di questi ragazzi ripete l'incidente sta a segnalare che quel ragazzo ha dei problemi e che c'è qualcosa che non funziona nel suo rapporto con l'ambiente. Noi gli curiamo le ossa, invece di cercare di capire cosa sta succedendo in quella famiglia. Accade che questi ragazzi poi prendono il motorino perché glielo ridanno i genitori. Naturalmente, c'è da fare tutto un lavoro, anche da parte nostra, per cui condivido pienamente quanto è stato detto.

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  MARZIA MASIELLO, rappresentante dell'associazione Amici dei bambini (AIBI). In breve, vorrei dire che la consapevolezza dell'appropriatezza di ogni intervento è l'elemento fondamentale che poi deve tracciare ogni fare. Inoltre, dal punto di vista della legge sulla continuità degli affetti di cui si parlava poc'anzi, questo è sicuramente stato un passaggio importantissimo e fondamentale per sanare – ne abbiamo parlato più volte anche con la senatrice Puglisi – situazioni già conclamate in cui si doveva regolamentare in qualche modo questa continuità affettiva.
  Certo, va posta grande attenzione affinché la continuità non diventi appunto un escamotage per non fare tutto l’iter sulle adozioni, anche perché poi l'affido, che non è nato come strumento per il prolungamento dell'istituto stesso, diventerebbe qualcosa d'altro. Sappiamo bene qual è il problema dei sine die, però la natura fondamentale di questo strumento è la temporaneità che poi va valutata con appropriatezza.
  Ci avete chiesto se funziona meglio la comunità o l'affido. Vorrei precisare che l'appropriatezza deve essere valutata sulla base del caso specifico. In tal senso, l'attenzione e l'ascolto del minore e della sua famiglia sono fondamentali, quindi non si può dire, andando per generalizzazioni, se funziona meglio una cosa o l'altra.
  Noi, come AIBI, teniamo moltissimo al riconoscimento giuridico delle case-famiglia che abbiano una caratteristica specifica, quella di essere di tipo familiare ma con una famiglia all'interno, quindi con una coppia che fa una scelta di vita per un determinato periodo piuttosto lungo e che dia una continuità e una solidità di relazione nel rapporto appunto con i minori che vengono accolti.
  Riguardo ai rischi ambientali, ritengo sia molto importante quanto sottolineato. In merito, vorrei prendere in considerazione l'Abruzzo non solo perché è una regione che, essendo io aquilana, mi è molto cara, ma anche perché, ovunque vada, voglio porre l'attenzione sulla situazione dell'infanzia e dell'adolescenza in quel territorio particolare.
  Dopo il terremoto del 2009, sicuramente un approfondimento e un'attenzione specifica ci vorrebbero, perché in quel caso il disastro ambientale è stato talmente conclamato e profondo – lo sappiamo bene – che non si può fare a meno di verificare quali siano gli effetti devastanti nei confronti di tanti adolescenti che vedono, quindi, la loro vita sicuramente più precoce rispetto a tante situazioni psicologiche che riguardano la sessualità o l'utilizzo dell'alcol e di droghe e che sono molto pesanti e molto difficili.
  Riguardo alla gestione dei dati, è sicuramente importantissimo a livello associativo avere sotto mano il quadro della situazione non soltanto settimanale ma anche mensile, con i confronti di anno in anno su che cosa sta succedendo su uno specifico settore. Magari è più nota la questione delle adozioni internazionali, ma questo non vuol dire che non è posta la stessa attenzione specifica per l'affido e per tutto ciò che ci riguarda, come l'ambito del sostegno a distanza.
  Lo dico perché il sostegno a distanza, che oggi, per esempio, non è stato citato, potrebbe essere uno strumento molto bello, se normato adeguatamente per evitare che ci siano delle fuoriuscite di zone grigie che comunque ci possono essere sempre nell'opacità.
  Certo, vanno monitorati tutti gli andamenti di positività o di negatività per stabilire delle strategie che possano essere specifiche rispetto all'accesso alle informazioni, perché le stesse informazioni possano fornire consapevolezza e costruire la coscienza dei bambini e degli adolescenti e delle loro famiglie.
  Vorrei chiudere con una piccola nota positiva, cioè il fatto che l'Osservatorio farà una versione del Piano per l'infanzia e l'adolescenza anche per i bambini. Lo dico perché, se vogliamo costruire una consapevolezza anche della trasparenza e del diritto che ho da cittadino, sin da piccolo, di conoscere ciò che mi riguarda e il contesto in cui vivo, sicuramente questo sarà un passaggio che vuole essere veramente di buono auspicio.

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  PRESIDENTE. Vi ringrazio per essere intervenuti.
  Probabilmente, organizzeremo un evento con cui presenteremo quest'indagine conoscitiva, al quale vi chiederemo di partecipare e di intervenire. Certo, dobbiamo ancora definire le modalità, però la vostra partecipazione deve essere molto chiara e qualificante.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20.

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ALLEGATO 1

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DA DANIELE BIONDO, RAPPRESENTANTE DEL CENTRO ALFREDO RAMPI ONLUS ATTUAZIONE DELLA LEGGE 285/1997 NELLA CITTÀ DI ROMA CAPITALE

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ALLEGATO 2

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DA TOMMASO ROMANI, RAPPRESENTANTE DEL CENTRO ALFREDO RAMPI ONLUS: RELAZIONE SULLO STATO ATTUALE DEL LAVORO DELLE CASE FAMIGLIA

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