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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Martedì 19 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione della dottoressa Liviana Marelli, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa», e del dottor Vittorio Carlo Vezzetti, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre».
Zampa Sandra , Presidente ... 2 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 2 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 8 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 8 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 13 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 13 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 13 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 13 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 13 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 14 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 14 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 14 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 15 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 15 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 15 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 15 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 15 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 15 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 15 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 16 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 16 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 16 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 16 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 17 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 17 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 17 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 17 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 17 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 18 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 18 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 18 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 19 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 19 
Marelli Liviana , Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa» ... 19 
Vezzetti Vittorio Carlo , Membro del Comitato scientifico dell’ ... 19 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 19 

ALLEGATO: Documentazione presentata dottor Vezzetti ... 20

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 13.55.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTEPag. 2. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione della dottoressa Liviana Marelli, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa», e del dottor Vittorio Carlo Vezzetti, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito di una complessa e ormai abbastanza lunga indagine conoscitiva sul tema dei minori fuori famiglia, della dottoressa Liviana Marelli, responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e direttore generale della Società cooperativa sociale ONLUS «La Grande Casa», e del dottor Vittorio Carlo Vezzetti, membro del comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e presidente dell'associazione «Figli per sempre».
  Anzitutto alla dottoressa Marelli va un grande ringraziamento per essere qui. La dottoressa è molto impegnata su questo tema, che conosce molto bene, quindi siamo molto desiderosi e interessati a quello che avrà da dirci. Le lascio subito la parola. Avverto i colleghi che, come sapete, alle 15.00 riprendono i lavori d'Aula e le votazioni, quindi comunque entro le 14.50 sarebbe bene concludere.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ROSETTA ENZA BLUNDO

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Innanzitutto, ringrazio davvero la presidente, e la Commissione tutta per quest'opportunità. È sempre importante per noi riuscire a formulare proposte, pensieri e sottolineature rispetto al tema della tutela dei diritti dei minorenni.
  Io rappresento il CNCA. Peraltro, per comodità ho predisposto del materiale che lascerò e anche il mio intervento scritto, così da facilitare i lavori della segreteria. Ho provato, sapendo che i tempi non sono mai lunghissimi, a sintetizzare alcune questioni, magari anche leggendo alcune parti, così non mi dilungherò. Se ci saranno delle domande, ben volentieri risponderò.
  Vi dico che cos'è il CNCA, di cui sono membro dell'esecutivo nazionale. CNCA è un acronimo che sta per Coordinamento nazionale comunità di accoglienza. Ho la delega nell'esecutivo nazionale alle politiche minorili per le famiglie. Il CNCA non è un ente gestore. Lo preciso subito. È un'associazione Pag. 3 nazionale di promozione sociale laica e pluralista, che opera da più di trent'anni ed è organizzata in diciassette federazioni regionali, a cui aderiscono 256 organizzazioni presenti in diciannove regioni d'Italia. Le organizzazioni, quindi, sono loro che quotidianamente gestiscono e operano sul tema dell'accoglienza. Si tratta prevalentemente di cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato e anche enti religiosi.
  Il CNCA è presente praticamente in tutti i settori del disagio e dell'emarginazione con l'intento di promuovere i diritti di cittadinanza e di benessere sociale. Potremmo dire, quindi, che è un'organizzazione di advocacy e non di gestione.
  Per quanto riguarda la tematica relativa ai minorenni italiani e stranieri e alle famiglie, le varie organizzazioni afferenti al CNCA promuovono diverse forme di accoglienza residenziale, attraverso comunità famigliari che sono all'origine del CNCA, comunità educative di tipo famigliare, comunità diurne, centri di aggregazione giovanili, politiche giovanili, progetti e interventi a sostegno educativo domiciliare territoriale. Allo stesso modo, propone oramai da moltissimi anni diverse forme di accoglienza famigliare e di affido famigliare, di reti di famiglie aperte. In tale contesto e grazie all'esperienza che abbiamo anche sull'affido, facciamo parte insieme ad altre organizzazioni del Tavolo nazionale affido.
  Complessivamente, in ogni anno le organizzazioni associate al CNCA si fanno carico di circa 4.000 nuclei famigliari, 45.000 persone, mentre entrano in contatto con circa 20.000 famiglie e 153.000 persone, adulti e anche minorenni. Come dicevo, per favorire una conoscenza ho provato a riassumere e vi lascio una scheda informativa, lo yearbook, che raccoglie l'esperienza dell'affido, e un piccolo testo elaborativo proprio sul tema delle comunità, su cui poi proverò a dire alcune cose.
  Pensando a quest'opportunità, ecco le questioni che mi sembra utile sottoporre. La prima è sicuramente relativa ad un necessario ripensamento del sistema di welfare e del sostegno alle famiglie. Noi pensiamo che rendere esigibile il diritto di ogni bambino a crescere in una famiglia a partire dalla propria, così come peraltro è previsto dalla legge ma anche dalla Convention of the Rights of the Child (CRC), e quindi prevenire l'allontanamento, ripropone ancora una volta l'urgenza di dare priorità alle politiche di sostegno alla famiglia, alle reti parentali, superando – speriamo presto e per sempre – le storiche carenze del sistema italiano di welfare attraverso irrinunciabili definizioni dei livelli essenziali delle prestazioni e la conseguente allocazione delle risorse umane.
  Mi riferisco agli organici dei professionisti, per esempio, dei servizi sociali della tutela, ma non solo. L'investimento di risorse attraverso la definizione dei livelli essenziali ci sembra un passaggio obbligatorio anche per ragionare davvero sul sostegno alle famiglie, e quindi prevenire l'allontanamento laddove non necessario.
  Oggi, in realtà, siamo di fronte ad una situazione ancora inaccettabile di grandi discriminazioni tra regioni. Abbiamo in Italia venti sistemi di welfare, e non certo uno. Questo è emblematico se ragioniamo e guardiamo alle informazioni che arrivano dall'ISTAT, ma non solo, rispetto alle quote pro capite. Passiamo da 30 euro in Calabria per arrivare a 200 e oltre a Milano, a poco meno di 300 in Trentino. È evidente che questo è contro il principio della non discriminazione previsto anche dalla CRC. L'unico modo, a nostro parere, ma non solo nostro – ho letto le audizioni precedenti e ho visto che è un tema ricorrente anche per coloro che mi hanno preceduto – è la definizione dei livelli essenziali, quell'asticella minima sotto cui non si deve andare affinché il principio di non discriminazione sia davvero attuato e i diritti siano resi esigibili.
  Mi permetto di apprezzare il parere che so la Commissione infanzia e adolescenza ha già dato al quarto Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Da un lato, apprezzo e sono molto contenta. So che è passato anche alla Conferenza Stato-Regioni, ma è ancora fermo. Mi verrebbe da chiedere a questa Commissione un ulteriore sforzo. Pag. 4
  Questo quarto Piano davvero conclude l’iter previsto, è stato approvato dall'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, di cui faccio parte, il 28 luglio: è un buon Piano, che ha trovato davvero una convergenza su molti elementi: contiene l'indicazione della definizione dei livelli essenziali, per cui a maggior ragione ritengo che debba essere promulgato e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il prima possibile, perché diversamente non può essere praticato, e il tempo intanto passa.
  Il secondo passaggio – so essere questo uno dei temi centrali oggi quando parliamo di tutela dei minorenni – è quello dell'accoglienza dei minorenni in comunità. Ho precisato che il CNCA non si occupa solo di comunità. L'acronimo a volte induce in confusione. Con Coordinamento nazionale comunità di accoglienza si è portati a pensare che ci occupiamo solo di quello.
  Ci occupiamo anche di comunità, rispetto alle quali le questioni che mi sembra di dover sottoporre sono un po’ queste. Chiaramente, il tema va definito. Quando parliamo di accoglienza di minorenni in comunità dobbiamo ragionare, da questo punto di vista, senza prescindere da un quadro complessivo organico e coordinato di politiche sociali. L'allontanamento del minorenne deve essere sempre a scopo di tutela e di protezione nel suo superiore interesse.
  È un po’ come dire che l'allontanamento non può mai essere pensato o proposto come una modalità di sottrazione alla famiglia, ma fa riferimento ad una scelta di mettere in protezione il bambino, stante il reale pregiudizio per il suo benessere psicofisico. L'allontanamento, quindi, e il successivo inserimento in comunità, deve rispondere a princìpi di appropriatezza. Ciascun minorenne ha diritto a un progetto per sé, mai preconfezionato, mai ispirato a ideologiche affermazioni più o meno di principio, mai strumentalizzato.
  Occorre, quindi, una società adulta e responsabile, capace di farsi carico della sofferenza, della fatica, del dramma, per cercare e ricercare sempre, tutte le volte, pazientemente, con passione e competenza, la risposta giusta per quel minorenne, accogliendo la sua storia come unica e irripetibile, senza – lo diciamo dall'esperienza quotidiana – alcuna contrapposizione forzata tra comunità e affido. Si tratta, a nostro parere, di moltiplicare le opportunità piuttosto che di ridurle, costruendo sempre sapiente complementarietà tra le diverse risposte.
  L'altro passaggio riguarda chi e quanti sono i minorenni in comunità. Mi soffermo su questo, perché sappiamo che il tema dei numeri a volte attraversa la stampa in maniera per alcuni versi anche un po’ inappropriata. Prima di entrare nel merito di quanti e di chi sono, segnalo anche a questa Commissione, quindi riconoscendole un ruolo importante anche in questa direzione, che oggi in Italia siamo ancora di fronte a una reiterata mancanza di un sistema informativo nazionale.
  Lo ripetiamo in tutti i report della CRC, in Osservatorio, dappertutto: oggi questa mancanza di un sistema informativo nazionale costantemente monitorato, capace di restituire con coerenza i dati dei minorenni in affido e ospitati nei servizi residenziali al fine di avere una chiara e documentata conoscenza del percorso di vita di ogni minorenne, è priorità. È priorità per evitare, da un lato, una scarsa chiarezza.
  Come vedremo tra un attimo, sono fermi al 31 dicembre 2012 i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al 31 dicembre 2013 quelli dell'ISTAT; il precedente Garante nazionale, il dottor Spadafora, ha fatto un lavoro che però è fermo al 31 dicembre 2014. Anche temporalmente siamo un po’ in balìa di scarse difficoltà di comparazione dei dati.
  Da un lato, riteniamo che anche la Commissione debba adoperarsi affinché sull'intero territorio nazionale venga esteso il sistema di rilevazione chiamato Sistema nazionale bambini e adolescenti (SINBA), che solo alcune regioni adottano, un sistema informativo nazionale sulla cura e la protezione dei bambini e delle loro famiglie. Parliamo di un sistema unico di rilevazioni dei dati, coordinato tra enti locali, regioni e procure, che sia in grado di fornire delle cifre che siano sensate, coerenti Pag. 5tra loro e, soprattutto, non arrivino dopo tre anni, ma abbiano anche una scadenza temporale più accettabile rispetto alla situazione attuale.
  Credo che sia anche necessario che la raccolta dati, accanto ai numeri, riesca a discernere o a favorire un discernimento chiaro di che tipo di comunità si tratta. Oggi non abbiamo questo tipo di evidenza per sapere se il minorenne è in comunità da solo o con il genitore, se la comunità è educativa, famigliare o terapeutica, se appunto ci sono percorsi di tipo terapeutico. La differenza di tipologia nell'inserimento in comunità è fondamentale, soprattutto se pensiamo ai bambini molto piccoli.
  Abbiamo ancora una percentuale troppo alta di bambini piccoli in comunità. Occorre individuare strategie di contrasto affinché i bambini sotto i cinque anni abbiano solo un'accoglienza di tipo famigliare. D'altro canto, i dati che oggi abbiamo ci rendono difficile discernere se il minorenne molto piccolo è in comunità da solo o, per esempio, con un genitore. I numeri adeguati vanno raccolti in maniera omogenea, ma anche correlati con un sistema e con una possibilità di comprendere in quale realtà di accoglienza questi minori sono ospitati.
  Sui dati si è fatta anche sulla stampa a volte molta confusione. Cito solo un riferimento, il dato del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ci dice che i minorenni fuori famiglia sono 28.449 al 31 dicembre 2012, quindi un po’ in là. Di questi, 14.255 sono in comunità residenziale, quindi circa la metà. Se vogliamo riflettere anche su un dato comparativo, a volte si ragiona sul fatto che in Italia si allontana troppo o poco: secondo me, non è il numero che fa la differenza che dà il contenuto. Credo che sia importante dire che in Italia i minori fuori famiglia sono il 2,8 per mille – è l'ISTAT che lo dice, non io – a fronte di percentuali più alte negli Stati europei: il 9 per mille in Francia, l'8 per mille in Germania, il 6 per mille nel Regno Unito, il 4 per mille in Spagna, e così via.
  Da un lato, conoscere meglio chi allontaniamo e dove i minorenni allontanati sono accolti è importante; dall'altro, forse dobbiamo anche essere consapevoli che oggi il dato di minorenni fuori famiglia, almeno la percentuale in confronto con gli altri Stati europei, non è alta come a volte anche la stampa dice.
  Oltre ai bambini molto piccoli in comunità su cui bisogna intervenire, l'altro dato che segnalo è certamente la necessità di accorciare i tempi dei processi di adozione per i bambini oggi in comunità. Al 31 dicembre 2013, i dati dell'ISTAT ci dicono che sono 779 i minorenni adottabili in comunità, pari al 5 per cento. Può essere una percentuale non altissima, ma lì non devono starci. Se hanno una dichiarazione di adottabilità, è opportuno che il percorso adottivo venga condotto il più rapidamente possibile.
  Allo stesso modo, 1.894 minorenni sono in comunità, secondo i dati che ho recuperato dal Dipartimento giustizia minorile, quindi più recente rispetto a quelli del ministero, per procedimenti ex DPR 448/1988, quindi perché hanno un procedimento penale. Pertanto, non sono allontanati a scopo di tutela o per problematiche di altra natura.
  I numeri ci dicono che oggi la composizione dei minorenni in comunità è estremamente variegata. Va conosciuta meglio, ma – qui mi fermo – dobbiamo anche essere consapevoli che i numeri dell'Italia non sono così alti come a volte per certi aspetti in maniera un po’ inopportuna viene detto, comunicato. Non tutti i minorenni fuori famiglia sono in comunità. La metà è in affido. Ovviamente, anche sull'affido occorre aumentare le forme di supporto e di verifica.
  Passo ad altre questioni. Chi sono i ragazzi oggi in comunità? Lo dicono i dati, ma lo dice anche l'esperienza delle numerose organizzazioni del CNCA: sono prevalentemente adolescenti o preadolescenti. Ho già detto che i bambini piccoli non devono stare in comunità, d'altro canto i dati che abbiamo ci dicono che il 14 per cento dei minorenni nelle comunità è tra gli 11 e i 13 anni, e il 57 per cento è tra i 14 e i 17, il che vuol dire che il 71 per cento dei ragazzi in comunità sono preadolescenti e adolescenti. Questo Pag. 6 dato deve farci riflettere: oltretutto, il trend è in aumento, come vediamo anche nella nostra esperienza quotidiana. Il 57 per cento di minorenni sono italiani, il 43 per cento sono stranieri, del quale il 50 per cento sono minorenni stranieri non accompagnati.
  Oggi che cosa caratterizza l'esperienza dell'accoglienza nelle comunità? C'è un'accoglienza prevalente di adolescenti, di minorenni stranieri non accompagnati, e quindi c'è una necessità, anche per le comunità e per il mondo che si occupa di questa realtà, di riflettervi e di preoccuparsi di costruire contesti di comunicazione, formazione e aggiornamento che possano sostenere l'evoluzione che il sistema di accoglienza sta avendo.
  Dico un'unica parola sui minorenni stranieri non accompagnati. A noi sembra utile sottolineare, come abbiamo fatto nel report della CRC e in Osservatorio, di fare attenzione a costruire percorsi paralleli di accoglienza per i minorenni stranieri non accompagnati. È ancora giacente un disegno di legge assolutamente importante, che sarebbe ora vedesse veramente la fine di un iter peraltro lungo e tormentoso, i cui contenuti sono sostenuti da molti.
  Assistiamo, sotto l'onda dell'emergenza – mentre la migrazione dovrebbe essere una realtà ormai storica – alla reale prefigurazione, ma anche attuazione, di percorsi differenziati di accoglienza per minorenni stranieri non accompagnati. Il principio di non discriminazione non dovrebbe prevedere comunità specifiche solo per i minorenni stranieri. In realtà, questo oggi avviene. Allo stesso modo, non dovrebbe prevedere standard diversi dalla normale comunità di accoglienza e – permettetemi di dire – neanche rette diverse. Se si pretende qualità, questa va sostenuta, mentre l'attuale retta prevista per i minori stranieri è indecorosa a sostenere una qualità significativa.
  L'altro passaggio che faccio è solo richiamare le cause di allontanamento dalla famiglia. Sono partita dicendo che va rivisto un sistema di welfare, che sostenga realmente la famiglia affinché l'allontanamento possa essere davvero a scopo di tutela. Mi sembra, però, importante correggere alcune percezioni: i minorenni allontanati in Italia per il 61,5 per cento sono allontanati a causa di difficoltà famigliari, e il 43,2 per cento per incapacità educativa, problemi psicofisici dei genitori, problemi socio-economici.
  Su questo aspetto socio-economico richiamo la Commissione ad una forte attenzione. La norma, la legge 149 del 2001, proibisce che il minorenne sia allontanato perché la famiglia è in difficoltà economica. Va capito bene se la difficoltà socio-economica è una concausa, e quindi l'allontanamento deriva da altre motivazioni a cui si aggiunge anche la difficoltà economica, che però di per sé non può essere motivo di allontanamento. Lo dice la 149. Vanno previste altre forme di sostegno alla famiglia d'origine in difficoltà, se davvero la motivazione è solo di tipo socio-economico.
  D'altro canto, in comunità abbiamo anche il 7 per cento di minori vittime di abuso, il 22 per cento di ragazzi che evidenziano dipendenze patologiche, quindi anche minorenni con percorsi di dipendenza, e il 15 per cento con patologie psichiatriche o disabilità. Questi oggi sono anche nelle comunità educative.
  Qualche battuta sui tempi. Ho messo in fila le questioni che oggi di solito ricorrono nel dibattito quando ragioniamo di minorenni fuori famiglia ed in comunità. Memore che la norma prevede un tempo, che non dovrebbe essere superiore ai 24 mesi salvo verifiche, il dato per certi aspetti sicuramente perfettibile, e da non sottovalutare, ci dice che il 73,5 per cento – faccio riferimento ai dati ISTAT del 31 dicembre 2013 – ha una permanenza inferiore ai 24 mesi. Il dato che, però, mi viene da sottolineare, lasciando gli altri dati alla lettura del testo che lascio, riguarda il tema dei neomaggiorenni.
  Ho detto che il 71 per cento di ragazzi accolti in comunità è di preadolescenti o adolescenti. Il 57 per cento sono adolescenti, di cui un numero significativo è di stranieri. La riflessione che propongo è che, mentre abbiamo una percentuale comunque di minorenni che rientrano in Pag. 7famiglia, nello specifico il 31,1 per cento, altri che vanno in affido e altri che vanno in adozione, l'8,1 per cento dei ragazzi che escono dalle comunità è di neomaggiorenni, cioè ragazzi arrivati adolescenti, a volte intorno ai 17 anni se pensiamo agli stranieri, ma non solo.
  Una questione sicuramente forte su cui bisogna continuare a lavorare è rendersi conto che il termine dei 18 anni, termine dell'obbligo di tutela, non può coincidere con la conclusione dei percorsi di accompagnamento all'età adulta. Uno dei temi sicuramente scoperti su cui occorre intervenire in maniera massiccia è, certamente, quello dei sostegni e dei percorsi di avvio all'autonomia per i ragazzi in uscita dai percorsi di tutela, siano essi in uscita dalle comunità o dai percorsi di affido famigliare.
  Quella 18-21 anni è oggi una fascia estremamente scoperta, non solo perché sono di meno i prosiegui amministrativi, ma forse perché dobbiamo anche immaginarci interventi non necessariamente di carattere giuridico. Oggi la copertura di questi ragazzi avviene solo se c'è un provvedimento di prosieguo del Tribunale per i minorenni. Forse è improprio l'uso del Tribunale per i minorenni in questa direzione. Forse si possono, si devono immaginare strategie e interventi che vanno all'interno delle politiche sociali degli enti locali senza necessariamente doversi appellare al Tribunale per i minorenni, che oggi è l'unico scudo che permette a volte a questi ragazzi di andare avanti, perché i comuni continuino a seguirli. Secondo me, vanno immaginate, a partire dal diritto al futuro, politiche diverse.
  L'altra questione che tratto riguarda il numero di comunità oggi in Italia. Vi rimando poi al testo preparato dal Garante, ma al 31 dicembre 2014 sono 3.192 le comunità in Italia, e hanno ospiti medi pari a 6,7 minorenni. Perché cito questo dato? Mi sembra importante per sottolineare che, se la legge 149 indicava la chiusura degli istituti e se comunque va mantenuta alta l'attenzione affinché non ci siano riproposizioni scorrette di istituti sotto altre forme, oggi siamo in condizione di dire che non abbiamo forme di accoglienza comunitaria con numeri altissimi, perché la media è 6,7.
  D'altro canto, propongo la necessità di un sistema di definizione unitaria per tutta Italia delle tipologie, che siano più chiare, più evidenti, più omogenee, riconoscibili sull'intero territorio nazionale. In questo senso, giudico molto utile il lavoro che si sta svolgendo sul tavolo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che va in questa direzione. CNCA ne fa parte con altre organizzazioni, e l'obiettivo è definire le linee d'indirizzo omogenee per tutta la Nazione rispetto ai criteri di qualità delle comunità.
  Auspico che il lavoro che il tavolo sta svolgendo possa trovare anche un momento di connessione e di confronto con la Commissione e che, una volta approvate le linee, siano sostenute in maniera adeguata un po’ da tutti coloro che sono coinvolti, Commissione compresa.
  Non dico nulla sui costi, perché ho visto che altri che mi hanno preceduto hanno precisato l'idea che le comunità educative costino 400 euro al giorno. Abbiamo dimostrato che i costi vanno da 188 a 69 euro. I 400 euro sono a volte legati alle comunità terapeutiche o sono assolutamente decontestualizzati.
  Concludo con due richieste e due preoccupazioni e sottolineature. La prima riguarda il tema dei controlli. Tengo a dire che il controllo su come si esercita l'attività di protezione dei minorenni e il lavoro di accoglienza nelle comunità è doveroso e va intensificato. Non lo diciamo solo noi come CNCA, lo scriviamo dappertutto, anche nei report della CRC e così via.
  Non c'è nessuna sottrazione rispetto al tema del controllo, anzi continuiamo a dire che va intensificato e reso ancora più efficace il controllo delle procure, degli enti locali, attraverso anche la possibilità di dati incrociati che permettano di restituire verità alle questioni. Laddove ci sono realtà che non funzionano, queste vanno chiuse senza nessuna pietà. L'importante è non generalizzare e non fare di tutta l'erba un fascio, perché questo è ingiusto, esattamente come è ingiusto lasciare aperte le comunità che non funzionano. Pag. 8
  Concludo davvero con una richiesta. Sappiamo tutti, sicuramente lo sanno i membri della Commissione, le vicepresidenti, che si sta oggi discutendo alla Commissione giustizia il grande tema della cosiddetta riforma del Tribunale per i minorenni. Chiediamo che anche la Commissione si adoperi perché questa riforma venga almeno temporaneamente sospesa e si dia il tempo di ragionare e riflettere. Così com'è non va bene.
  La soppressione del Tribunale per i minorenni non è nell'interesse del minore. Abbiamo un sistema di giustizia minorile che ci invidia l'Europa, e va conservato. Certamente, è migliorabile, ma non sopprimibile. Il Tribunale per i minorenni, la Procura per i minorenni hanno bisogno di restare quali sono attualmente. Le sezioni specializzate senza un giudice dedicato ed esclusivo non sono, a nostro parere, la strada da seguire. Mi permetto di chiedere anche alla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza di condividere questo pensiero e di adoperarsi perché questa riforma venga fermata e si ascolti il mondo della società civile, composto in maniera plurale ed eterogenea. Il nostro dissenso è motivato e fondato. Siamo pronti a dialogare affinché questa riforma non vada avanti in questa maniera. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottoressa Marelli, per l'illustrazione e per i documenti che ci lascia.
  Do ora la parola al dottor Vezzetti.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Sono un medico specialista in pediatria. Sono, soprattutto, uno studioso delle conseguenze che la giustizia famigliare può causare sulla salute dei minori, e ho potuto presentare alcuni miei studi, visto che sono stati reputati d'interesse, presso le Nazioni Unite, il Parlamento europeo e un convegno europeo degli assistenti sociali a Lubiana.
  Le conseguenze sulla salute derivanti dalla perdita di un genitore, o peggio, di due, sono importanti e spesso a scoppio ritardato nell'età adulta, quando sfuggono alle rilevazioni ufficiali perché ormai non più riconducibili a fatti avvenuti magari decenni prima. I danni che possiamo avere nel contesto in cui ci muoviamo in quest'audizione sono, secondo la letteratura internazionale, di due tipi: la parental loss, o perdita genitoriale, e la childhood adversity, ovvero le difficoltà nell'infanzia.
  La parental loss è la perdita di un genitore che sia stato un fornitore di cure, un care giver per la letteratura internazionale. Più complessa è la definizione di childhood adversity, che include due differenti gruppi eterogenei cause di disagio. Da un lato, ci sono i fattori cronici di stress, o chronic stressors, conflitto famigliare, separazione dei genitori, educazione genitoriale carente, stato di salute mentale dei genitori, trascuratezza, povertà, uso di droghe in famiglia.
  Anche la perdita di un genitore fa parte dei fattori cronici di stress, ma molti autori, come il sottoscritto, preferiscono trattarlo come un fattore a parte nel gruppo della parental loss. Il secondo fattore sono le esperienze traumatiche, traumatic experience, abuso fisico, abuso verbale, abuso mentale, violenza assistita in famiglia, malattia severa cronica.
  Come vediamo, l'allontanamento dalla famiglia può, da un lato, causare danni importanti, ma dall'altro potrebbe anche allontanare il minore da situazioni di rischio, e quindi è necessario che venga gestito con grande sensibilità secondo delle linee guida condivise, scientificamente fondate, molto precise e stringenti, che lascino pochissimo spazio all'inventiva, all'epidermicità, alla soggettività e agli eventuali pregiudizi degli operatori.
  Visto che siamo in Commissione infanzia e che sono pediatra, dico da studioso della giustizia famigliare, che un discorso analogo andrebbe fatto per il milione e mezzo di minori figli di separati, di cui circa un terzo perde in Italia contatto con uno dei genitori per consuetudini giurisprudenziali contrarie a ben due raccomandazioni Pag. 9 del Consiglio d'Europa ed alle evidenze scientifiche della letteratura internazionale dal 1977 al 2014.
  Vorrei rapidamente ricordare alcuni tipi di danni riscontrati a distanza di molti anni in soggetti sottoposti a parental loss o a childhood adversity. Questo è un terreno molto nuovo, molto interessante. Sono abbastanza un pioniere in questo settore. Importanti e già ben studiate sono le alterazioni ormonali, tra cui l'aumento cronico del cortisolo, l'ormone dello stress, con un grave corollario di patologie correlate, magari a distanza di venti o di trent'anni. Ricordiamo che la childhood adversity può causare una diminuzione cronica dei livelli di ossitocina, l'ormone dell'empatia, dell'innamoramento, correlati poi con stati depressivi e ansiosi anche molto gravi nell'età adulta.
  È stato anche dimostrato un incremento della proteina C reattiva nei ragazzi i cui genitori siano separati. Quest'aumento cronico della proteina C reattiva correla col diabete 2, la malattia coronarica e la depressione nell'età adulta. Preciso che lo studio è stato eseguito da Rebecca Lacey in Gran Bretagna, che è quasi come l'Italia un Paese rigidamente monogenitoriale, in cui dopo la separazione il 30 per cento dei minori perde contatto con uno dei genitori. Mancano verifiche su questo punto particolare in Paesi come la Svezia, dove il 40 per cento dei minori dopo la separazione vive tempi uguali con mamma e papà, e solo il 13 per cento dei minori perde contatto con un genitore, in Danimarca addirittura il 12 per cento.
  Pensate che le childhood adversity possono egualmente danneggiare i cromosomi e aumentare le citochine, cosa che avrà gravissime conseguenze a lungo termine. Il danneggiamento dei cromosomi è legato a uno stato di sofferenza e difficoltà cronico, quale potrebbe essere quello di vivere in una comunità senza che ce ne sia bisogno, ma anche quello di vivere in una famiglia inadeguata. Si danneggia la porzione terminale dei cromosomi, che ha una funzione di protezione del materiale genetico. Si arriva, quindi, addirittura ad avere un danno cromosomico che può essere trasmesso alla progenie, e questo è campo di studio di una nuova materia, l'epigenetica.
  La perdita genitoriale può essere correlata, nei soggetti con predisposizione genetica, al rischio di avere crisi di panico in età adulta. Questi dati non sono assolutamente sorprendenti, perché ci sono decine e decine, anzi centinaia di testimonianze nel mondo animale. Si tratta di animali prevalentemente monogami, anche primati, molti uccelli – il 92 per cento degli uccelli è monogamo – e a cura bigenitoriale della prole.
  Ebbene, esistono prove di danni organici, strutturali e funzionali a livello dell'encefalo causati dalla perdita di un genitore, per cui non dobbiamo stupirci se ormai delle evidenze ci dimostrano, anche se non possiamo sezionare il cervello di un minore, che questo tipo di danni si può avere anche nei cuccioli d'uomo.
  Nella mia relazione mi baserò su una mia ricerca, che lascio agli atti, pubblicata dalla rivista della Società italiana di pediatria preventiva e sociale, che analizza in modo molto dettagliato il report elaborato dell'Istituto degli innocenti col patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero del lavoro nel 2009, e fotografa la situazione al 31 dicembre 2008.
  I dati potrebbero in apparenza apparire superati, ma non vi sono stati da allora grandi cambiamenti, tranne il fatto che l'affidamento famigliare, come ha detto la relatrice che mi ha preceduto, ha superato di poco quello residenziale, e che sicuramente i numeri totali possono aumentare a causa dell'afflusso di minori stranieri non accompagnati. Dall'altro lato, le importanti considerazioni critiche generali e metodologiche mantengono inalterata la loro totale validità nei concetti.
  È errato, e in questo mi conformo a quanto detto dalla relatrice che mi ha preceduto, sostenere che in Italia si inviino troppi minori fuori famiglia. Le criticità sono altre. Nella mia ricerca, all'epoca in Europa il tasso calcolato per mille bambini e ragazzi inviati fuori famiglia varia molto da Paese a Paese, e questo dipende sicuramente anche dai differenti contesti culturali. In Bulgaria era il 5,7, in Romania il Pag. 1017,1 su mille – in queste nazioni è notevole l'influenza dell'etnia rom – in Francia l'8 per mille, in Spagna il 4,9, in Gran Bretagna il 5,9, in Germania l'8,5, in Lituania il 15,3, in Ungheria il 9,8, in Svezia l'8,1, Svezia che è considerata tutto sommato a livello mondiale un faro di civiltà per la tutela dell'infanzia. Pochi sono, in effetti, i Paesi al di sotto del 3 per mille italiano.
  In Italia, la media nazionale è appunto di 3 su mille minori residenti. Questo potrebbe essere dovuto, però, a due fattori differenti. Da un lato, potrebbe essere ascritto ad un meritorio senso del valore della famiglia, per cui è più difficile mandare fuori famiglia dei minori, ma anche ad una soglia di attenzione critica verso il benessere del minore più alta. Non è detto che questo debba sempre essere positivo. Spesso, per esempio, vediamo nelle metropolitane minori che chiedono l'elemosina, leggiamo sui giornali di nomadi che continuano a borseggiare i turisti con minori di pochi anni al seguito. Questo sarebbe impensabile in Svezia. Dopo vi allego alcuni articoli di situazioni estreme.
  La prima vera criticità, quella secondo me fondamentale da medico, dando un taglio scientifico, è che l'invio dei minori non segue linee certe scientificamente e giuridicamente fondate e omogenee. Questo comporta dei gravi abusi. In Italia, si variava all'epoca – ma la situazione alla fine non è cambiata, il concetto resta – da un tasso di 5,2 su mille minori della Liguria ad uno di 3,9 del Trentino, a un 2 del Veneto. È tanta o è poca questa differenza? Per capire se tanta o poca, la cosa meno ideologica e più neutrale che esista è un test di validazione statistica, il test del chi quadro.
  Questo test ci dice che la probabilità che tale differenza di Liguria e Trentino dai parametri del Veneto sia casuale e non motivata da diversissimi criteri di invio è inferiore allo 0,05 per la provincia di Trento ed allo 0,01 per la regione Liguria. In soldoni, considerando anche il fatto che in Veneto vi erano, vi sono, percentualmente anche molti più extracomunitari, popolazione a rischio, che in Liguria e in Trentino, pare chiaro, inequivocabile che la differenza è ascrivibile ad un differente criterio regionale per l'invio fuori famiglia. Con questo sistema si valuta anche la validità dei farmaci, si fa un test di valutazione di natura statistica.
  Posso dimostrare con i dati che mi ha fornito la Presidenza del Consiglio dei ministri le differenze da regione a regione, perché questi sono i dati di cui dispongo, ma vi assicuro che potrei anche con la mia esperienza personale, non con una base statistica, dimostrare che i criteri cambiano da servizio sociale a servizio sociale. Ho visto storie che, cambiato servizio sociale di competenza, hanno preso una piega completamente diversa.
  La media delle regioni del centro-nord era 3,4, mentre quella delle regioni del centro-sud era 2,94. Risulta, quindi, inequivocabile questo: secondo la risoluzione ONU del 18 dicembre 2009, il rapporto del minore con la sua famiglia è da preservare e tutelare al massimo del possibile, privilegiando i parenti fino al quarto grado, indicazione spesso disattesa. Poi ogni regione, e financo ogni operatore, dà una sua interpretazione soggettiva di quest'asserzione, e ciò è inaccettabile. Basta varcare il confine tra Belluno e la provincia di Trento, ed ecco che il criterio cambia totalmente in maniera inequivocabile e validata statisticamente.
  Questa situazione a macchia di leopardo significa che, in assenza di linee stringenti, l'operatore si affida a personali convinzioni, in buona fede per carità, che nei vari contesti possono costituire delle scuole di pensiero non fondate su dati scientifici. Questo per me, che ragiono con una mentalità da medico, è incredibile, assurdo. Poi vedremo altri elementi di variazione tra regione e regione.
  Solo una minoranza di minori fuori famiglia è stata allontanata per abbandono, maltrattamenti e violenza. Ci spieghiamo così, e tiro fuori dal mio archivio, come a Basiglio due fratellini possano essere stati messi in comunità da degli operatori per un disegno a sfondo erotico ritrovato a scuola, che dopo mesi e solo mesi risulterà essere opera di un'altra bambina. Ci spieghiamo pure perché, per rifiuto di vivere Pag. 11con la madre e ostinato desiderio di vivere col padre, noto avvocato milanese, si sia inviato in comunità il futuro divo dell’hip-hop Mondo Marcio, mentre a Roma non finisce in comunità, ma viene riaffidata ai genitori, una dodicenne fermata per la quindicesima volta in flagranza di reato, borseggio.
  A Milano, ancora, non vengono inviati fuori famiglia venticinque figli di cinque nomadi, già arrestati 78 volte per furti e borseggio. A Roma, secondo Panorama, recentissimamente decine di minori non accompagnati si prostituiscono liberamente nei pressi della stazione Termini.
  Evidentemente, non esiste un criterio omogeneo nell'invio dei minori fuori famiglia se la conflittualità dell'avvocato di Milano viene considerata un elemento talmente negativo da produrre l'allontanamento e situazioni di questa portata, che in Svezia non sarebbero state minimamente considerate dal punto di vista del mantenimento di questo tipo di rapporto famigliare.
  La coesistenza di questi gruppi di situazioni dimostra che ogni assistente sociale può fare quello che vuole, che non ci sono linee stringenti. In effetti, sono tutte situazioni possibili in Italia, ma avendo io girato un po’ l'Europa posso dirvi che non si sarebbero mai verificate in Svezia, dove gli operatori devono seguire linee guida molto precise, dettagliate, senza molte possibilità di soluzioni dettate dalla creatività del momento, e dove non esiste che per pregiudizio sessista – questo è un altro punto interessante – in caso di inidoneità materna, piuttosto che lasciare un minore a vivere col padre, si preferisca inviarlo fuori famiglia.
  La seconda criticità è stata citata dalla relatrice che mi ha preceduto: la mancanza di un'anagrafe centrale aggiornata semestralmente, o almeno anno per anno, che ci dica quanti davvero siano i minori inviati e quelli residenti fuori famiglia, in maniera che non ci scappino quei brevi periodi, di due o tre mesi, che sfuggirebbe alla rilevazione annuale.
  Passiamo alle caratteristiche dell'affido etero-famigliare dei minori ospitati. Un altro parametro che qualifica i diversi Paesi, che normalmente qualifica anche la qualità dell'assistenza, è il rapporto tra minori fuori famiglia inviati in contesti famigliari e minori inviati in comunità. Una volta allontanato dal nucleo famigliare, dove vai a finire? In Italia, questo apporto è pari a circa uno, adesso siamo migliorati leggermente. In Svezia, modello europeo, è circa 3,5. Nel momento in cui, quindi, c'è stato un allontanamento, 3,5 minori finiscono in un'altra famiglia affidataria, e soltanto uno finisce in un istituto.
  Questo è il modello mondiale di tutela dell'infanzia: in Gran Bretagna 2, in Romania e Ungheria il rapporto e 1,8, in Spagna 1,7, in Francia 1,4. Molto peggio di noi stanno la Bulgaria, 0,02, ma è una magra consolazione, la Lituania, 0,015, e la Germania, 0,72.
  Dobbiamo rimarcare che al centro-nord il rapporto tra affidamento famigliare e affidamento residenziale era all'epoca 1,39, al centro-sud di 0,7, una differenza enorme. In pratica, al centro-nord è mediamente più facile per un minore finire fuori famiglia, ma una volta avvenuto ciò, è più difficile finire in un regime residenziale, in comunità. Al centro-sud avviene il contrario: è più difficile essere allontanati dalla famiglia, ma se vieni allontanato dalla famiglia, finisci in comunità. Questo è in buona parte dovuto ad una minore promozione dell'affido famigliare tipica del nostro Meridione.
  Queste disomogeneità e il basso tasso di minori inviati presso famiglie affidatarie, almeno se ci paragoniamo agli Stati guida, rappresentano ulteriori criticità. Prima di procedere ad un affidamento eterofamigliare, bisognerebbe obbligatoriamente verificare per legge – non deve essere l'utente che va con la risoluzione dell'ONU dall'assistente sociale – la presenza di parenti entro il quarto grado disponibili, idonei, con un significativo e positivo rapporto col bambino e motivare adeguatamente il ricorso straordinario all'affido in comunità o presso altra famiglia.
  Questo non avviene. Ho potuto personalmente vedere, nel caso di una mia paziente, che i servizi sociali, di fronte all'inidoneità Pag. 12 materna, hanno ignorato la risorsa rappresentata dal padre con nonna paterna, due famiglie di zii coadiuvati dai nonni materni residenti nelle vicinanze e preferito inviare la minore, oltretutto gravemente disabile, in una comunità a 40 chilometri di distanza. Non c'è stato niente da fare.
  Altra criticità è la mancanza di progettualità. Chi invia il minore fuori famiglia spesso non segue un filo logico di progettualità, mentre ad esempio le esperienze estere ci dicono che sono sufficienti brevi periodi, se non pochi giorni – come ci insegnano i campus americani di Warshak e Sullivan – di stazionamento in un luogo neutro, come potrebbe essere la comunità, per recuperare quelle situazioni di disturbo relazionale definite con le attribuzioni negative dell'intenzione dell'altro, ostilità, biasimo dell'altro, e sentimenti ingiustificati di estraniamento o alienazione, cosiddetta alienazione parentale. Spesso in questi casi il minore viene allontanato per anni da ambedue le figure genitoriali, mentre negli Stati Uniti in cinque giorni si ha un riavvicinamento al genitore bersaglio.
  Allora c'è un grave deficit informativo. Parlo di Warshak e Sullivan, che ho studiato, tradotto, ma alla fine nessun operatore sa come si sviluppano questi campus. Si è creata così una sorta di collegamento tra stazionamento in comunità e alienazione genitoriale, con polemiche conseguenti contro il riconoscimento di questo disturbo relazionale da parte di molte associazioni. È, però, una deviazione assoluta del pensiero italiano, perché non è scritto da nessuna parte che per una forma di alienazione genitoriale un minore debba soggiornare due o anche più anni, come ho potuto vedere, in casa-famiglia.
  Un'altra criticità, che mi sembra forse sia stata risolta con la circolare del CSM del 26 ottobre 2015, è che il 20 per cento dei giudici onorari è proprietario, direttore o ha rapporti di cointeressenza con case famiglia. Pare che dopo colpevole latenza ci si sia messi al riparo con tale circolare, ma dopo anni di latenza.
  L'ulteriore criticità è rappresentata da una mancanza di controlli sulla situazione delle case famiglia. Questo è un altro punto fondamentale. In archivio ho decine e decine di casi incredibili. Ad Agrigento, il responsabile di una comunità alloggio per anni organizzava orge, per anni – nessuno è mai andato a controllare? – con ragazzini disabili mentali accompagnate dalla somministrazione di alcol e droga e dalle visioni di film porno girati in casa.
  Non parliamo degli abusi ultradecennali, ripeto ultradecennali – nessuno è mai andato a controllare?– consumatisi nella comunità del Forteto, in provincia di Firenze, sotto gli occhi distratti delle istituzioni, o dei minori che venivano fatti lavorare come manovali in nero dal gestore della casa-famiglia di Avezzano. Una volta che avevano effettuato un controllo i minori non c'erano, ma erano a 200 metri con la carriola in un cantiere edile.
  La situazione poi risulta disdicevole, invece, per quelle comunità che lavorano magari secondo standard non dico di tipo svedese, ma di tipo europeo. È necessario un serio programma previsto dal dettato legislativo per la periodica verifica dei requisiti di qualità delle strutture. Questo a tutt'oggi manca.
  Quali sono le conclusioni? Malgrado l'Italia, da un punto di vista puramente numerico, non sia posizionata male nel contesto europeo – siamo intorno al 2,8-3 su mille – certo assai meglio di quanto avviene per altri settori della giustizia famigliare, ridurre ulteriormente gli invii fuori della famiglia con una politica più accorta è sicuramente possibile. Pensate che solo nel decennio 1998-2008 il tasso di invii in Lombardia, che già era basso, è sceso del 9,5 per cento, in Calabria del 16,5, in Valle d'Aosta dell'11,5 per cento.
  L'esperienza ci dice, però, che in questo clima di anarchia è anche possibile peggiorare. Nello stesso decennio, in Abruzzo il tasso è aumentato del 216,5 per cento, come se in una regione la prescrizione di un farmaco aumentasse del 216 e in quell'accanto diminuisse magari del 10 per cento. Nelle Marche, la variazione è stata del 77 per cento, in Basilicata del 50,1, in Umbria del 63,3 e in Toscana del 45,8. Pag. 13
  Sono dati sicuramente degni di attenzione, soprattutto laddove si tenga in considerazione che in nessuna di queste regioni la percentuale di stranieri era aumentata come in Lombardia. Aumenti di questo genere non possono avere nessun fondamento oggettivo, e testimoniano piuttosto l'assoluta mancanza di linee guida e conseguente anarchia di magistrati e servizi sociali. Sono variazioni inspiegabili e, da un punto di vista scientifico, inaccettabili.
  Concludo con due riflessioni finali, che ci dimostrano come, nonostante l'Italia non sia posizionata male, ci siano dei margini di miglioramento. Se tutte le regioni avessero seguìto i parametri di allontanamento propri del Veneto, i minori fuori famiglia sarebbero stati nel periodo considerato 18.000 anziché 30.700. Poi vedremo, come abbiamo detto, chi viene mandato e chi no. Se poi tutte le regioni avessero attuato i criteri affidativi del Piemonte per i minori fuori famiglia, solo 6.000 anziché 15.500 sarebbero stati i minori ricoverati nei servizi residenziali, con notevole risparmio per la collettività.
  Concludendo, ho elencato alcune criticità, ma ritengo che quella più importante per il legislatore dovrebbe restare lo stabilire e far rispettare dei criteri stringenti, oggettivi, uniformi per il territorio nazionale per l'allontanamento dalla famiglia.

  PRESIDENTE. Grazie infinite, dottor Vezzetti, per quest'illustrazione, che ci dà una dimensione abbastanza obiettiva, perché appunto deriva da dati certi.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Da validazioni statistiche.

  PRESIDENTE. Esatto, da validazioni statistiche, sulle quali stiamo riflettendo. Quest'indagine conoscitiva ormai ha avuto, come diceva anche la dottoressa Marelli, un notevole numero di audizioni, che hanno permesso a noi della Commissione di prendere consapevolezza di questa varietà e di questa situazione.
  Mi preme anzitutto sottolineare, come purtroppo faccio molto spesso, che i dati sono fermi al 2012, ma sono quelli. Di fatto, quando si parla di questo numero di minori fuori famiglia, facciamo riferimento al 2012. Mi preme sottolineare che forse è poco adeguato dire che la percentuale dei minori fuori famiglia in Italia è ben diversa da quella degli altri Paesi d'Europa. Probabilmente, dobbiamo prima aggiornare i dati, a meno che – qui nasce la domanda – non vi risulti che anche negli altri Paesi d'Europa sono fermi al 2012. In quel caso, il paragone che faceva prima la dottoressa Marelli ha un fondamento per dire che possiamo in qualche modo tranquillizzarci.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Mi perdoni, ma la dottoressa ha parlato di 2,8 e nel mio studio c'è il 2,99: non c'è questa grande differenza, i dati sono sostanzialmente stabili, non ci troviamo di fronte a variazioni enormi. In quattro anni il dato è variato di pochissimo.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Certamente, della questione dei dati abbiamo detto e stradetto, l'abbiamo scritto nella premessa del capitolo dell'8° libro della CRC l'anno scorso. Lo ripeterò nel 9°, quello che stiamo scrivendo come organizzazione.
  È ovvio che quello dei dati è un problema serio. Per scrivere il 9° report abbiamo tenuto conto dei dati del 2012, quelli del Ministero, dei dati dell'ISTAT e dei dati del Garante, che hanno tempi diversi (Ministero 31 dicembre 2012, ISTAT 2013, Garante 2014), ma il problema è che dobbiamo anche decidere a quali dati fare riferimento. Forse quelli del Ministero dovrebbero essere i più attendibili. Non sappiamo come sono stati raccolti gli altri. Pag. 14
  Continuiamo a dirlo, e quindi su questo si sfonda una porta aperta, che occorre nella maniera più assoluta, come dicevo precedentemente ed è scritto dappertutto, che il sistema SINBA sia esteso a tutte le regioni, un sistema unitario che raccolga i dati semestralmente, o almeno annualmente, vivaddio. Non si può nel 2016 avere dati del 2012, del 2013 e del 2014 senza sapere esattamente come sono stati raccolti.
  Oltretutto, soltanto a fronte di dati precisi riusciamo a sostenere processi evolutivi, altrimenti davvero l'autoreferenzialità diventa la regola. Oggi non sappiamo, del 15 per cento di bambini sotto i sei anni che sono in comunità, se sono in comunità famigliare – se hanno una famiglia residente è diverso che se sono in comunità educativa – se sono in comunità con un genitore, prevalentemente la mamma, ma oggi ci sono esperienze anche di accoglienza di bambini con il padre.
  Se non abbiamo quest'informazione, è chiaro che possiamo dire tutto e il contrario di tutto. Se non abbiamo l'informazione rispetto all’iter di raccolta dati uguale per tutte le regioni, i dati sono comparabili solo con uno sforzo notevole, che a volte noi facciamo. Certo, quella sui dati è una questione che non possono risolvere le organizzazioni della società civile, ma che deve risolvere lo Stato. Su questo non ho dubbi.

  PRESIDENTE. Passo alle altre domande che volevo porre.
  Per quanto riguarda il discorso delle linee guida, le abbiamo chieste, io personalmente sin dall'inizio nella mozione povertà minorile, e sono state anche elaborate. Il problema, e pongo anche a voi la questione, è a mio avviso piuttosto il fatto che le linee guida comunque tracciate, elaborate e date agli assistenti sociali, siano eccessivamente un riferimento che volontariamente si può seguire o meno. Forse, più che le linee guida, bisognerebbe inserire qualcosa nel loro regolamento, nello statuto, e bisognerebbe probabilmente rivedere anche quello.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Bisognerebbe inserire nel dettato legislativo alcuni aspetti. Alla fine, la risoluzione dell'ONU, che ci dice che bisogna tutelare il rapporto del minore con la sua famiglia, non ha un valore giuridico cogente. Ho potuto vedere più volte che l'assistente sociale dice che non è legge dello Stato.
  Anche di fronte alla situazione di questa mia paziente che aveva tutti questi nuclei famigliari assolutamente affidabili, con altri figli, cuginetti e così via, se n'è letteralmente infischiata, e nessuno ha potuto fare niente da un punto di vista giuridico. Peraltro, si è creata un'ecolalia: l'assistente sociale ha fatto quel report, il Tribunale per i minorenni ha detto che contava quello che diceva l'assistente sociale, e con questo palleggio la bambina sordomuta si è trovata a 40 chilometri di distanza, ha dovuto cambiare tutto, casa, scuola e così via.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Ricordo, però, e non perché io sia un'assistente sociale – non l'ho detto prima, ma questa è la mia competenza professionale – che l'Ordine nazionale degli assistenti sociali ha costruito un codice deontologico. Non so se sono già stati auditi.
  Credo che ci siano, dal mio punto di vista, diverse variabili incrociate. La legge 149 prevede quasi una graduatoria: il diritto del minore a stare con la sua famiglia, altrimenti con la propria rete parentale, altrimenti in affido, altrimenti in adozione, altrimenti in comunità di tipo famigliare. Lo dice la legge, quindi non lo dobbiamo riaffermare. Si tratta di metterlo in pratica.
  Per praticare percorsi adeguati a rispondere al diritto del minore a crescere in una famiglia a partire dalla propria, secondo me vanno messi insieme più elementi. Se oggi abbiamo un sistema di welfare molto scarno dal punto di vista anche delle risorse – non sto difendendo nessuno, perché l'incompetenza è una cosa, il sovraccarico è un altro – dobbiamo anche ragionare Pag. 15 su quali politiche e quali risorse attivare perché i servizi sociali siano adeguati. Poi vanno formati.
  Nella CRC – non voglio continuare ad insistere troppo su questo, ma è così – certo che viene raccomandato al Ministero, ancora una volta, e quindi anche allo Stato, di garantire e rafforzare le misure preventive degli allontanamenti, assicurando sostegno alla famiglia d'origine e definendo i livelli essenziali. Ma se prendiamo solo un pezzo, secondo me rischiamo ancora una volta di essere parziali. Se non abbiamo livelli essenziali e non garantiamo servizi sociali numericamente adeguati e formati, è ovvio che gli errori ci siano.
  Teniamo presente che la famiglia d'origine, però, ha anche diritto al legale quando si apre un procedimento davanti al Tribunale per i minorenni. Vogliamo lavorare con gli avvocati delle famiglie? Vogliamo lavorare con i curatori? Vogliamo immaginare che ci siano tutori per i minori stranieri non accompagnati? Mettiamo una rete intorno al minorenne. Laddove ci sono errori, come nel caso delle comunità che lavorano male, si deve chiudere subito. La Procura della Repubblica, il procuratore ha già questo compito. Se chiudiamo i tribunali per i minorenni, secondo me andiamo anche peggio da questo punto di vista.
  Facciamo funzionare le cose che ci sono, definiamo livelli essenziali, e poi lavoriamo sulla formazione congiunta, sui controlli da parte delle autorità competenti, del tribunale, della magistratura, rispetto all'inadeguatezza. Io vengo da Milano e certo che il caso dei fratellini di Basiglio tolti alla madre per un disegno osé è stato un errore macroscopico, anche professionale mi vien da dire. Attenzione, però, a non pensare che tutti i servizi sociali funzionino così.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Attenzione, però, trovare un disegno erotico rappresenta un'indicazione per l'allontanamento? Lasciamo perdere che abbiano sbagliato anche la persona, ci è finita di mezzo anche la sorellina o il fratellino che è in un'altra classe.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». È giusto che abbia pagato.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Alla fine, non ha pagato niente.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Sbagliano anche i medici, però.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». I medici, infatti, hanno un'assicurazione e moltissime cause, molte di più.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Era per dire che, laddove c'è un errore, questo va perseguito. Diverso è prendere un singolo esempio e farlo diventare la norma.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». No, non ho detto che è la norma. Ho, però, un archivio pieno di situazioni del genere. Ho una certa esperienza, faccio il pediatra di una comunità di bambini piccoli accompagnati dalla mamma, e ho visto situazioni che francamente definire disdicevoli è poco. Pag. 16Soprattutto, c'è l'impotenza. Al di sopra del servizio sociale incaricato, c'è il magistrato.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». C'è anche l'avvocato della famiglia, il curatore del minore.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Sì, ma le strutture richiedono mesi, spesso anche soldi se si vuole avere un buon avvocato, la situazione magari...

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, se possibile vorrei completare le domande, altrimenti diventa un dibattito, che non è opportuno.
  È stata ben illustrata la disparità tra le regioni, ma anche tra le stesse persone che si adoperano, gli assistenti sociali, che probabilmente hanno anche delle difficoltà oggettive, come può essere il carico della quantità di casi loro affidati, per cui diventa complicato a livello proprio organizzativo e logistico portarli avanti tutti con la dovuta accortezza. Secondo voi, non sarebbe anche necessario limitare il potere che oggi è stato assegnato agli assistenti sociali come riferimento unico per il processo? Di fatto, i giudici si appoggiano esclusivamente a quel tipo di relazioni.
  Accolgo volentieri anche la sollecitazione che ci è venuta dalla dottoressa Marelli sulla permanenza del Tribunale per i minorenni. Raccolgo anche la sua opinione, che non è soltanto la sua ma di moltissimi, che il Tribunale per i minorenni così com'è va semmai un po’ migliorato, ma è quello che forse funziona meglio in tutto l'istituto giudiziario che abbiamo in Italia. Se c'è una realtà che va valorizzata e riconosciuta, è proprio quella del Tribunale per i minorenni. Ci faremo sicuramente portavoci nelle varie Commissioni in cui sediamo, ma in particolare con i nostri colleghi della Commissione giustizia, di sollecitare anche sotto quest'aspetto.
  Vedo difficile un intervento verso la decisione del ministro, perché ha una valenza di tipo organizzativo, ma anche economico. Per come lui l'ha prospettata anche a questa Commissione, c'è un aspetto anche dovuto a difficoltà di investimento economico. Si necessita di tagli. Chiedo anche a voi in questo senso se avete delle idee, delle proposte per intervenire dove ci sono stati aspetti di sovrapposizioni, sprechi, com'è stato illustrato. Si può fare un intervento di altro tipo, salvaguardando il valore e la specificità dei tribunali per i minorenni?
  Un'ultima domanda è riferita alla questione delle case-famiglia che manifestano queste problematiche, che come diceva il dottor Vezzetti non sono di poco tempo né improvvise, ma sono perdurate negli anni. La figura del Garante per l'infanzia ha delle responsabilità, secondo voi, in questo senso, almeno da quando è stata istituita, o erano altri gli organi, e quali, che avrebbero dovuto vigilare per evitare che vi fossero queste situazioni veramente vergognose in Italia? Come ritenete che si possa continuare a lavorare nonostante ci siano stati scandali come quello del Forteto, che non mi risulta sia stato chiuso?
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Mi sembra che i mezzi a disposizione del Garante nazionale non siano eccelsi. Mi risulta che si lamenti spesso di avere poche risorse. Se guardiamo ai garanti regionali, più o meno la situazione è la stessa. Da un certo punto di vista, al di là della volontà, tutta da verificare, effettivamente esiste anche un problema di mezzi e risorse.
  Ho avuto contatto con il Garante regionale della Lombardia e dice che i mezzi, a prescindere da volontà e capacità, sono quelli che sono. Il problema è che, se non esiste un'anagrafe centralizzata, non si possono fare neanche dei controlli random. Questo è il vero punto. Se non c'è un'anagrafe, Pag. 17 come si fa a stabilire dei controlli? Dei medici vengono a fare i controlli... Ma quando, però, ce l'ha detto?

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Nel 2014.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Esatto, questo è il punto.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Chissà se sono giusti...

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». «Chissà se sono giusti» è un'illazione. Diciamo di sì, ma per situazioni che risalgono a dieci, quindici anni prima bisogna avere un'anagrafe aggiornata, e poi stabilire con una certa cadenza un controllo random, casuale.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Su questo torniamo a quanto già detto. Le comunità, tutte, sono tenute ogni sei mesi a segnalare i minori che hanno in accoglienza sia alla Procura sia alla Regione. Le regioni magari raccolgono i dati in un modo e la Procura in un altro. In Lombardia, con Minori Web da settembre dell'anno scorso i due linguaggi si parlano.
  Intanto, vanno rafforzati in tutte le regioni meccanismi di rilevazione, magari con delle schede un po’ più approfondite: su quelle della Procura mettiamo le crocette. Costruiamo un sistema di rilevazione sensato e omogeneo in tutta Italia. Che il Tribunale per i minorenni, o meglio Procura per i minorenni e Regione si parlino con un'anagrafe sensata.
  Tutte le comunità devono essere autorizzate o accreditate, a seconda delle regioni o dei distretti, comunque almeno autorizzate. L'autorizzazione prevede che l'ASL, l'ATS, o come altro si chiama nelle varie regioni, comunque il soggetto della sanità pubblica, verifichi che le condizioni strutturali ci siano. Gli enti invianti titolari della competenza sul minore inserito devono verificare i progetti. Sono questi i soggetti che la norma prevede perché facciano i controlli.
  Se una cosa non va, si fa la denuncia. Se so di un minorenne maltrattato, non posso continuare a chiedere di chi sia la responsabilità: va fatta la denuncia, se siamo certi dei fatti che abbiamo rilevato. L’iter di verifica è: quanti minorenni si hanno, che cosa fanno nella comunità, da quanti anni, che progetto hanno. Sono le schede di cui parlavo prima.
  Io conosco la Lombardia perché da lì vengo. Certo, la legge dice, e lo abbiamo ribadito nel report CRC, che le procure vanno rinforzate, ma non so se in tutte le regioni le procure funzionano. Non in tutte le regioni i garanti ci sono. A livello nazionale, adesso siamo in attesa che arrivi la Garante nuova, e si comincerà da capo. Il Garante ha la funzione di raccogliere eventualmente denunce, ma deve avvalersi, per le responsabilità preposte, dello Stato.
  Il rischio è di moltiplicare piuttosto che far funzionare quello che abbiamo. Procura, Regione, enti invianti e ASL sono i soggetti che devono garantire che una comunità abbia degli standard strutturali adeguati e che i progetti dei minorenni siano congruenti, appropriati. Il procuratore che riceve la scheda e vede che un minore vive in comunità da tre anni, deve porsi una domanda, se non c'è ragione perché sia lì. O questo percorso funziona o altrimenti – lo dico per brevità – arrivano gli scoop. Personalmente, avrei chiuso il Forteto, senza ombra di dubbio. Laddove abbiamo delle certezze, questi percorsi vanno fatti con le Pag. 18norme che lo Stato italiano ha. Non inventerei processi diversi, farei funzionare quello che abbiamo.
  Quanto allo strapotere degli assistenti sociali, non lo so, non mi pare. Forse c'è qualcuno che sbaglia, ma teniamo presente che il giudice può chiedere la consulenza tecnica d'ufficio (CTU), gli interessati possono chiedere una perizia di parte, c'è l'avvocato, c'è il curatore. Non è l'unico soggetto che il magistrato può interpellare. Non è vero che ha questo potere autoritario. Esprime il suo parere, giusto o sbagliato che sia. Questo ha a che fare con la competenza professionale, con la formazione, con gli svarioni e con gli errori, ma francamente con l’iter, a partire dal 2007, prevede che, appena si apre il fascicolo, la famiglia abbia diritto al difensore, anche d'ufficio, se non ha una capacità economica. È così, anzi facciamo formazione perché questo avvenga.

  PRESIDENTE. C'è un problema, e cioè che gli atti non vengono neppure dati agli avvocati della famiglia, che non possono leggerli. Posso dirle che, purtroppo, questa è una realtà, e non lo dico solo io. Sono venuti degli avvocati e abbiamo avuto come notizia che, nel momento in cui viene avviato il processo, gli avvocati della famiglia del bambino allontanato non hanno tutti i documenti, ma una parte. È una possibilità di difesa parziale e inficiata da questa non completezza di informazione.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Su questo non so cosa dire. Per me, l'accesso agli atti deve esserci. Se non funziona, è un aspetto procedurale che va posto.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Effettivamente, c'è uno squilibrio. Con tutto il rispetto – su alcune tematiche sono uno studioso di fama internazionale, ad esempio delle tematiche dell'affidamento condiviso – noto un grandissimo deficit formativo, non solo negli assistenti sociali, ma anche nei magistrati. Effettivamente, c'è un problema formativo che riguarda un po’ tutto il sistema della giustizia famigliare. Questo è il grosso problema.
  La causa di tutto è che siamo sempre stati abituati a ragionare in termini di diritto e non in termini scientifici. In termini di diritto, ogni realtà si chiude a riccio in se stessa, ogni Stato ha le sue consuetudini, o addirittura ogni regione, come possiamo vedere. Se ragioniamo, invece, in termini scientifici, allora dobbiamo avvalerci di modelli esteri che hanno dimostrato di funzionare, di ricerca scientifica, e ne esiste molta. Da questo punto di vista, devo dire che i servizi sociali, ma non solo quelli, sono parte di un intero sistema da riformare.
  Quando faccio presentare le interrogazioni parlamentari con il top, the best della letteratura scientifica internazionale, praticamente gli operatori del servizio quando tengo delle conferenze mi guardano come se venissi dalla luna, e in realtà vengo magari dal convegno di Bonn o dalla telefonata via Skype con Boston. C'è un problema formativo molto importante.
  Ho avuto esperienza anche personale con i servizi sociali e su alcune tematiche ho trovato, neanche per cattiva volontà – probabilmente, deve esserci un deficit a monte, come in tutto il sistema della giustizia famigliare – concetti desueti e ormai superati da studi e ricerche. Bisogna tener presente che l'Italia ha una giustizia famigliare che per molti parametri – che posso oggettivizzare come oggi ho oggettivizzato gli altri – si colloca tra gli ultimi posti in Europa, ma non particolarmente nel caso delle case-famiglia e dell'allontanamento dei minori.
  Per quanto concerne, però, la gestione standard delle separazioni, siamo ai livelli della Grecia. Io, che ho viaggiato, ho visto come viene gestita in Danimarca, in Svezia, anche in Spagna, una realtà molto vicina alla nostra. C'è un problema formativo a livello globale.

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  PRESIDENTE. Per quanto riguarda le soluzioni per il Tribunale per i minorenni in vista di quello che, invece, prospettava il nostro Ministro della giustizia?

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Se la motivazione è economica, penso anch'io che non ci sarà molto da fare. Non credo che sarà un grandissimo vantaggio, perché alla fine lo stesso personale si troverà con la stessa formazione, con lo stesso background carente, a mio giudizio personale. Si troverà ad operare sotto un'altra veste, ma non è che questo comporti un trapianto di convinzioni, di nozioni o di cervello. Alla fine, non credo che ci sarà questo miglioramento. Sì, si passa da un regime speciale ad uno ordinario, e questo potrebbe essere un lato positivo, a fronte di altri negativi che vanno bilanciati.

  LIVIANA MARELLI, Responsabile Minori e famiglie del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e Direttore generale della Società Cooperativa Sociale ONLUS «La Grande Casa». Sul risparmio non ho idea. Bisognerebbe cercare di capire che cosa ha in mente il ministro Orlando quando parla di risparmio. Da un lato, condivido quanto diceva il relatore precedente; dall'altro, lo scioglimento del Tribunale per i minorenni e la ricomposizione in sezioni speciali secondo me non migliora né la prestazione e neanche i costi, a meno che non si abbia in mente di licenziare una parte del personale, ma non avverrà, e quindi ci sarà un trasferimento in sezioni specializzate nelle sedi che si possono accorpare.
  Quello che a noi interessa – non sono l'unica a pensarla così, non è solo il CNCA – è che non si butti via l'esperienza di un tribunale specializzato, che ha comunque imparato, pur con tutte le mancanze e i difetti, a trattare il minorenne come soggetto in fase evolutiva, e quindi in chiave educativa. Questo, secondo me, lo perderemmo con il passaggio alla magistratura ordinaria, consapevoli che non in tutti i tribunali ordinari potremo avere magistrati specializzati e dedicati in via esclusiva. Sarebbe, secondo noi, una perdita anche culturale.

  VITTORIO CARLO VEZZETTI, Membro del Comitato scientifico dell’International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre». Quanto al discorso sul futuribile Tribunale della famiglia, non penso che cambierà molto. Le maggiori competenze saranno da un punto di vista esclusivamente procedurale, ma non sostanziale. Si genererà un gruppo di magistrati che sarà bravissimo nel gestire cavilli, ma questo verrà finalizzato a che cosa? Spesso, a convinzioni errate e a pregiudizi atavici. Non penso che il Tribunale della famiglia a tutt'oggi, senza un lavoro formativo a monte secondo nuovi criteri e nuovi orizzonti extranazionali, possa portare un beneficio.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto. Vi ricordo che comunque, al termine delle audizioni per quest'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, produrremo una relazione, che servirà anche per trasmettere ai vari ministeri, compreso quello della giustizia, quanto emerso da tutte le audizioni. Siamo contenti che abbiate avuto modo di esporre tutte le vostre positività e perplessità e proposte in merito.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.

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