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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 25 di Martedì 28 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI MINORI FUORI FAMIGLIA

Audizione dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Filomena Albano.
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Albano Filomena , Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza ... 3 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 7 
Mattesini Donella  ... 7 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 9 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 9 
Albano Filomena , Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza ... 9 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 14.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Filomena Albano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, l'audizione della Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, la dottoressa Filomena Albano, alla quale diamo un caloroso benvenuto. Come sapete, da pochissime settimane ha infatti assunto questo prestigioso incarico. Sono certa che svolgerà un ottimo lavoro. Le diamo il nostro in bocca al lupo per gli anni a venire.
  La dottoressa Albano è accompagnata dalla dottoressa Cristiana Corinaldesi, la dirigente coordinatrice dell'ufficio, e dalla dottoressa Antonella Bellino, l'addetto stampa.
  Do quindi la parola alla Garante, che ringrazio ancora per la sua presenza, che ci illustrerà una relazione su questo tema. Approfitto per chiederle, anche se non è prettamente legato all'indagine conoscitiva per la quale viene audita, il suo punto di vista e i suoi suggerimenti e giudizi anche sulla riforma che vede il Tribunale per i minorenni subire grandi modificazioni.

  FILOMENA ALBANO, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza. Oggi sono qui a presentarmi davanti a questa Commissione bicamerale. Due mesi fa, il 28 aprile, ho assunto la guida dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, e considero questa un'occasione veramente bella per iniziare quelle sinergie che la legge istitutiva dell'Autorità garante prevede che siano instaurate tra questi due organismi istituzionali.
  Provengo io stessa dal mondo delle istituzioni, e precisamente da quello della giurisdizione, e considero un privilegio potermi occupare delle persone di minore età non più solo con l'occhio del giudice, ma anche con quello dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza; figura, come tutti sapete, istituita dalla legge n. 112 del 2011 con finalità nobili, in attuazione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, di cui proprio quest'anno nei giorni scorsi sono ricorsi i 25 anni dalla ratifica italiana. Considero questo un segno benaugurante.
  Tante sono le sfide che mi attendono e che ci attendono. Ne cito solo alcune: la povertà, anche educativa; l'implementazione dei livelli essenziali di prestazione; gli abusi e le violenze che vedono i minori vittime e autori; i minori stranieri non accompagnati; le riforme in materia di giustizia, di cittadinanza, di adozioni/affido di minori stranieri, di cyberbullismo, di accesso alle origini dei bambini adottati, solo per ricordarne alcune.
  Occorre stabilire per l'ufficio dell'Autorità garante un ordine di priorità nel rispetto del principio di sussidiarietà fissato dalla legge istitutiva, che intendo come complementarietà Pag. 4 rispetto all'azione degli altri organi istituzionali. La legge istitutiva prevede, infatti, una molteplicità di compiti dell'Autorità garante, che vanno da quelli di sensibilizzazione e diffusione di conoscenza dei diritti dell'infanzia a segnalazioni attive e passive, a pareri in ordine agli atti normativi del Parlamento e in ordine ai disegni di legge del Governo, a diffusione di prassi e protocolli, al rafforzamento del diritto alla salute e dell'istruzione. Potrei continuare.
  Vi cito anche l'attività che l'ufficio dell'Autorità garante dovrebbe svolgere in sede internazionale nell'ambito dell'ENOC (European Network of Ombudspersons for Children), la rete dei garanti nell'ambito dell'Europa, e in tutti gli organismi sovranazionali. Ricordo infine la circostanza che l'Autorità garante presiede la Conferenza nazionale dei garanti regionali.
  A fronte di tutti questi compiti, la dotazione strumentale e personale è veramente contenuta e ridotta. Parliamo di dieci unità di personale, con l'unica arma che si tratta di personale in comando obbligatorio, che deve giungere dalle amministrazioni di provenienza entro quindici giorni, almeno in teoria. L'Autorità garante non ha, infatti, un suo ruolo organico, e quindi deve avvalersi di personale di altre amministrazioni.
  Vi faccio questa presentazione per dirvi che, vista la differenza tra la molteplicità dei compiti e le risorse, intendo procedere in due maniere: da un lato, necessariamente, quella di stabilire un ordine di priorità tra le urgenze, tante e innumerevoli, che riguardano le persone di minore età; dall'altro, è mia intenzione stringere alleanze, perché solo questo ci può consentire di ottimizzare le risorse in vista del raggiungimento di un obiettivo comune.
  Vengo adesso al tema oggetto più specificamente della presente indagine conoscitiva, che è quello dei minori fuori famiglia.
  Tutte le fonti nazionali e sovranazionali sottolineano la centralità della relazione affettiva tra i figli e i genitori. È per questo che l'allontanamento di un figlio dalla famiglia di origine deve costituire l’extrema ratio, praticabile solo laddove tutte le misure di sostegno al suo nucleo familiare non abbiano dato gli esiti sperati.
  Il nostro Paese ha dato una risposta articolata, completa, ai princìpi dell'accoglienza con la legge del 1983, n. 184, calibrata su una realtà forse adesso datata. Si pensi, solo per citare un esempio, ai minori stranieri non accompagnati, una realtà molto complessa, relativa ad una categoria di particolare vulnerabilità e fragilità; di questo, se mi consentirete, parlerò al termine del mio intervento proprio per la sua specificità.
  Quanto, invece, ai minori fuori famiglia tradizionalmente intesi, i cosiddetti minori nativi, l'allontanamento deve avvenire appunto solo dopo che ogni misura di sostegno alla famiglia sia venuta meno. Ovviamente, questo comporta che si tratta di minori spesso maltrattati, abusati, soggetti a ogni forma di deprivazione, che hanno perso legami familiari e affettivi significativi.
  Anche in queste situazioni la famiglia di origine deve, però, continuare ad essere supportata, perché l'allontanamento, per sua vocazione, o il collocamento in comunità hanno finalità provvisorie. Per far sì che questi due strumenti si utilizzino soltanto quando strettamente indispensabile, direi che va potenziato l'istituto dell'affido, appunto a metà strada tra il collocamento in comunità e la permanenza nella famiglia di origine.
  L'affido andrebbe potenziato con centri specializzati, adatti alle singole necessità dei bambini. Un conto sono le esigenze di affido dei bambini in tenera età, un altro quelle degli adolescenti, un altro ancora quelle dei minori stranieri non accompagnati. Vanno valutate e sperimentate realtà già operative in ambito territoriale, quali le esperienze delle famiglie di appoggio e di vicinanza, al fine di diffondere il più possibile anche dal punto di vista culturale l'idea dell'accoglienza e contenere il più possibile il collocamento in comunità, che deve rappresentare l’extrema ratio.
  Consentitemi, a questo punto, brevi cenni sul rapporto tra l'istituto dell'affido e la legge in materia di continuità affettiva, la Pag. 5n. 173 del 2015. È una legge importante, perché salvaguarda il legame di affetti che si è creato tra i bambini, i ragazzi, e la famiglia affidataria, prevedendo una sorta di corsia preferenziale nell'eventualità in cui il ritorno al nucleo originario non sia possibile e ritenendo che la famiglia affidataria debba essere privilegiata in vista dell'adozione.
  Questa legge, importante, positiva, deve essere monitorata nelle sue prime prassi applicative, perché può creare delle criticità per quanto riguarda la riduzione degli affidi consensuali, nel senso che la famiglia di origine del bambino può essere meno disponibile a dare il proprio consenso nel timore che il bambino, proprio in virtù della salvaguardia delle relazioni affettive, possa poi andare in adozione alla famiglia affidataria.
  In secondo luogo, si può creare un timore di snaturamento dell'istituto dell'affido, nel senso che danno la disponibilità all'affido anche coppie che in realtà si erano formate e avevano realmente dato la loro disponibilità per il percorso dell'adozione.
  Molte di queste probabili, verosimili criticità potrebbero essere superate qualora il nostro ordinamento giuridico conoscesse l'istituto dell'adozione aperta, qualora superassimo l'idea dell'adozione come seconda nascita e pensassimo ad un istituto il più possibile calibrato sulle esigenze e le specificità del bambino.
  La ricerca del punto di equilibrio tra tutte queste esigenze non può che essere cercata in vista della realizzazione dell'interesse del minore, che appunto viene realizzato salvaguardando le relazioni affettive che si sono instaurate nel frattempo. In questo la giurisprudenza italiana, che ha sempre dato prova di equilibrio, farà le sue prime applicazioni. In ogni modo, l'Autorità garante intende monitorare le prime prassi applicative della legge in materia di continuità affettiva.
  Passo adesso a parlarvi, invece, dei minori collocati nelle comunità residenziali e nelle case famiglia. Come ho detto, si tratta della misura estrema. Cionondimeno, è indispensabile in talune particolari situazioni in cui il permanere del minore nel nucleo familiare originario contrasta con il suo interesse.
  Si tratta di ragazzi sfiduciati, soli, incapaci di pensare ad un futuro possibile. Vanno tutelati attraverso un progetto individualizzato, calibrato su di loro. Ecco perché la scelta della casa famiglia o della comunità residenziale dovrebbe essere mirata alle specifiche esigenze del ragazzo e del bambino, e per questo occorrerebbe un'anagrafe ragionata delle comunità, che le differenzi a seconda della tipologia, con informazioni dettagliate e aggiornate per consentire un corretto abbinamento tra minore e comunità.
  Un'azione sicuramente da potenziare, da rafforzare, è quella di vigilanza e controllo. Adesso fa capo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che riceve ogni sei mesi i dati da parte delle singole comunità di accoglienza di minori, e che può disporre delle ispezioni. A fare, invece, i controlli sui requisiti degli accreditamenti è, come sapete, la Regione, che accredita le case famiglia e le comunità residenziali. Gli enti territoriali, attraverso i servizi sociali o le ASL, hanno un'ulteriore competenza per quanto riguarda il rispetto dei requisiti igienico-sanitari delle comunità residenziali per i minori.
  Ovviamente, il problema è innanzitutto la sinergia tra queste tipologie di controlli, che devono essere effettivi. Se la comunità non corrisponde all'interesse del minore, deve essere immediatamente chiusa. Naturalmente, questo significa però potenziare questi soggetti di controllo, ad esempio attraverso una polizia giudiziaria specializzata per quanto riguarda il Procuratore della Repubblica, o comunque un raccordo tra Procura, regioni e comuni.
  L'attuale situazione italiana presenta, invece, delle notevoli differenze in ordine alle dotazioni strumentali e di personale nell'ambito del territorio nazionale. In questo occorre un potenziamento.
  Sempre in ambito territoriale, notevoli sono le differenze anche in ordine agli standard delle comunità di accoglienza. Su questo il Ministero del lavoro ha promosso, Pag. 6anche a seguito di un documento di proposta dell'Autorità garante, un tavolo interistituzionale per elaborare delle linee guida comuni sugli standard delle comunità residenziali che accolgono bambini e adolescenti fuori dalla famiglia di origine.
  Definire standard uniformi significa anche poter definire il giusto prezzo per l'accoglienza del bambino e dell'adolescente nella comunità. Anche il prezzo dell'accoglienza, infatti, deve essere calibrato a seconda dell'offerta che dà la casa famiglia.
  Un altro auspicio è che siano completate le nomine dei garanti regionali, in modo che in tutte le regioni ci sia un'autorità garante di salvaguardia e di prossimità sul territorio affinché queste verifiche diventino effettive.
  Infine, consentitemi un breve cenno ai dati dei minorenni collocati fuori famiglia. È un tema spinoso. In Italia, ci sono diverse fonti. Quella del Ministero del lavoro e delle politiche sociali è aggiornata al 31 dicembre 2012, e indica in 28.000 i minori collocati fuori famiglia, di cui 14.000 tuttavia in affido e i rimanenti 14.000 in comunità residenziali.
  C'è anche un'ulteriore fonte rappresentata dall'ISTAT. Alcune regioni hanno fatto dei progetti pilota per monitorare il numero dei minori collocati fuori famiglia in ambito regionale, lo stesso hanno fatto alcuni comuni, e l'Autorità garante ha fatto anche un'opera di raccolta di dati avvalendosi del contributo dei procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni.
  Quest'ultima dell'Autorità garante, la raccolta più aggiornata, risale al 31 dicembre 2014, e indica un numero ulteriormente diverso di minori collocati fuori famiglia, che è di 19.000. I dati ISTAT indicano il numero fermo al 2013 in 17.000. Ovviamente, la ragione di queste differenze è nel fatto che le rilevazioni fanno riferimento a periodi temporali diversi, a quesiti diversi. Nella rilevazione dell'Autorità garante, per esempio, è indicato come dato da raccogliere anche quello della comunità alloggio madre-bambino. Pur trattandosi di un minore collocato in comunità residenziale, non è però un minore fuori famiglia, perché è lì con la madre.
  Un'altra criticità di queste rilevazioni è che i procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni non dispongono di risorse organiche per effettuare le rilevazioni. Le schede molto spesso arrivano incomplete o vi sono delle comunità residenziali che non trasmettono le schede, ma delle relazioni discorsive, dalle quali è difficile estrapolare i dati. Soprattutto, la difficoltà più grossa è il mancato raccordo tra enti territoriali, regioni e procure della Repubblica. Molto spesso le regioni non comunicano alla Procura la revoca degli accreditamenti o l'apertura di nuove comunità residenziali.
  È, quindi, necessaria una sinergia tra tutti questi soggetti. Se la Regione dispone dei dati relativi alla comunità e la Procura di quelli relativi ai minori collocati nella comunità, regioni e procure dovrebbero dialogare tra di loro, come sta accadendo adesso nell'ambito della Procura per i minorenni del Tribunale di Milano, che sta sperimentando un progetto pilota che prevede, appunto, un dialogo costante attraverso un'alimentazione automatica di dati tra Regione e Procura.
  I dati sono importanti, perché ci indicano la direzione da seguire. In Italia non abbiamo, a esempio, dati sui minori fuori famiglia collocati a seguito di criticità del loro percorso adottivo. Vi sto citando questo a titolo di esempio per dirvi che, se avessimo questi dati, potrebbero essere un'utile indicazione in ordine ai futuri percorsi di adozione.
  Bisogna, quindi, proseguire in un rapporto interistituzionale al fine di far diventare strutturale, periodica e completa la raccolta dei dati dei minorenni in comunità con un lavoro di rete.
  Un ultimo accenno è ai minori stranieri non accompagnati. Come sapete, il numero dei minori stranieri collocati in comunità residenziale è in aumento. Si tratta di minori che hanno una situazione di vulnerabilità e di fragilità particolari.
  Sono arrivate all'Autorità garante delle segnalazioni, che ci riserviamo di approfondire, che indicano che in talune regioni, Pag. 7e segnatamente in Sicilia, vi sarebbero degli standard diversi per quanto riguarda le comunità di accoglienza dei minori nativi rispetto a quelle dei minori stranieri non accompagnati. La differenza riguarderebbe anche il quantum della retta corrisposta, che per i minori stranieri non accompagnati sarebbe di 45 euro a fronte dei 78 previsti dalla legge regionale per i minori nativi.
  Infine, passo alla domanda che mi ha rivolto specificamente la presidente, che riguarda la riforma della giustizia civile, e segnatamente la riforma della giustizia del processo civile nella parte che riguarda l'eliminazione dei tribunali per i minorenni.
  Confesso che non sono arrivata preparata a questa domanda, ma voglio offrirvi il mio contributo, sia pure approssimativo e suscettibile di essere affinato nel corso del tempo e nel prosieguo dell’iter parlamentare della riforma.
  La riforma risponde sicuramente ad un'esigenza importante. L'esigenza è nata dalla legge n. 219 del 2012 e successivo decreto legislativo n. 154 del 2013, che ha introdotto il principio di unicità dello status di figlio. I figli sono tutti uguali, sia che siano nati da una coppia coniugata sia che siano nati da una coppia non matrimoniale.
  A seguito di questo principio, introdotto nel nostro ordinamento con varie altre conseguenze, tra cui il concetto di responsabilità genitoriale, che prende il posto dell'antica potestà genitoriale, si è verificata una trasmigrazione di competenze dal Tribunale per i minorenni a quello ordinario, diventato competente non solo per i procedimenti di affidamento e di mantenimento dei figli nell'ambito di separazioni e divorzi, ma anche dei procedimenti di affidamento dei figli non matrimoniali, prima di competenza del Tribunale per i minorenni.
  A fronte di questa trasmigrazione di competenza, si è posto il problema di quale fosse il tribunale competente in ordine ai procedimenti cosiddetti de potestate, i procedimenti di decadenza e sospensione dalla responsabilità genitoriale. La soluzione è stata affidata ad una norma abbastanza criptica, l'articolo 38 delle disposizioni di attuazione. Questo ha comportato un difficile dialogo tra il Tribunale ordinario e quello per i minorenni.
  La riforma, quindi, arriva in questo momento storico e vuole venire incontro ad un'esigenza concreta, quella di unificare queste due anime prima distinte, istituendo un unico tribunale. Le modalità con cui questo si è realizzato nella proposta di legge allo stato in discussione devono essere perfezionate.
  Sul lato giudicante, nonostante la dichiarazione di intenti, continua ad essere previsto un doppio binario: da un lato, il Tribunale per i minorenni viene eliminato, ma al suo posto vengono istituite delle sezioni specializzate distrettuali, che hanno sostanzialmente le stesse competenze, con taluni ampliamenti; dall'altro, vengono mantenute le sezioni specializzate circondariali. Non è chiaro in che modo queste due anime, questo doppio binario continui a dialogare.
  Tuttavia, l'elemento di maggiore criticità nella proposta di legge mi sembra l'assorbimento della Procura presso il Tribunale per i minorenni nell'ambito della Procura ordinaria. Proprio per tutti i compiti che ho evidenziato anche di carattere civile in merito alla vigilanza delle comunità residenziali per i minorenni e in materia penale dal punto di vista della prevenzione, sarebbe opportuno che la Procura del Tribunale per i minorenni conservasse una sua specificità. Peraltro, a fronte dell'assorbimento nella Procura ordinaria, è prevista la salvaguardia della specializzazione, ma non dell'esclusività delle funzioni. Spero di aver risposto alla domanda.

  PRESIDENTE. Assolutamente, sì.
  Immagino che la collega Mattesini voglia rivolgere una domanda al nostro ospite.

  DONELLA MATTESINI. Ringrazio la dottoressa Albano e le sue collaboratrici.
  Sono passati due mesi, ma mi sembra che le idee siano sufficientemente chiare sulla lettura dei problemi, ma anche sulle questioni su cui lavorare in modo prioritario. Condivido pienamente le priorità che Pag. 8ha dato e, le ripeto, la lettura. Ho due domande da rivolgerle.
  Anzitutto, abbiamo il dato che lei ci ha offerto della situazione complicata dal punto di vista organizzativo del servizio di cui lei può dotarsi, un tema vero, che si accompagna anche all'altra questione dei garanti regionali. È vero, infatti, che lei presiede l'organismo dei garanti regionali, però è anche vero che ci sono alcune regioni che non hanno nominato o rinominato i garanti. Vorrei porle, quindi, la questione.
  Noi lavoriamo su un tema molto delicato, ma che non è sempre all'attenzione, come dovrebbe, della politica e delle istituzioni, ossia quello della sinergia e dell'accordo, perché darci forza reciprocamente è un punto fondamentale: lei intende, e come, sollecitare le regioni – tema che appartiene anche a noi, presidente – per la nomina dei garanti? Diversamente, davvero il depotenziamento è grande. Lo segnalo come un pezzo importante dell'organizzazione, altrimenti lavoriamo un po’ con una gamba zoppa.
  L'altra questione è quella dei minori fuori famiglia. Ha ragione quando parte dal lavoro importante fatto dal precedente Garante per l'infanzia, con tutta la definizione di standard e così via, dopo di che abbiamo la necessità anche qui di un lavoro comune. Abbiamo depositato in Parlamento, soprattutto alla Camera, proposte di legge che definiscono meglio gli standard, anche all'interno dei livelli essenziali di assistenza (LEA), per quanto riguarda le comunità per minori.
  Effettivamente, c'è una grande differenziazione tra regioni e regioni, trattandosi di una competenza delle regioni stesse, con diverse articolazioni e diverse modalità anche della qualità dei servizi, che vuol dire anche avere o non avere la stessa modalità nella verifica rispetto a quello che succede nelle comunità come qualità della risposta.
  C'è anche la questione – stiamo, appunto, concludendo l'indagine conoscitiva – della grande differenza dei costi tra regione e regione, ma anche tra comunità e comunità. Qui si pone tutto il tema che la questione della qualità delle comunità e di come si utilizzano le risorse ha a che fare anche con l'altra grande partita degli affidi.
  Sulla cultura dell'affido e dell'adozione abbiamo bisogno di investire. È molto più semplice, in assenza di una cultura, di una promozione, assegnare il minore alla comunità piuttosto che impegnare la comunità, quella sociale, ad essere capace di accoglienza. Giudico anche questo un punto importante.
  Ha ragione quando parla anche della questione dell'affido e dell'adozione. Segnalo un problema che ritengo necessiti di un'attenzione particolare. Mi riferisco, pensando anche ai minori fuori famiglia, a quelli che sono fuori famiglia perché all'interno del percorso penale. Sto pensando a tutti i minori che sono sia dentro il carcere sia assegnati all'esecuzione esterna della pena. Ritengo che sia uno dei punti prioritari, così lo sento come Commissione, e vorrei chiederle se anche lei lo giudica tale. In mezzo a tante povertà minorili, davvero i giovani, le giovani che sono in pena alternativa, comunque già dentro il circuito penale, sono forse coloro che hanno più necessità di una presa in carico.
  Per la mia esperienza, pur venendo dalla Toscana, dal centro Italia, una delle zone in cui sicuramente c'è un'attenzione più forte come rete dei servizi, trovo che qui ci sia un grande vuoto. In tema di comunità, nonostante l'impegno anche attuale del Ministro della Giustizia, la questione dell'esecuzione penale esterna e della costruzione intorno al minore fuori famiglia necessita della strutturazione di una rete di accoglienza più grande, su cui le chiedo se anche lei ritenga che sia una delle priorità e, eventualmente, come poterci lavorare.
  Nella mia esperienza, vedo che questa è effettivamente una situazione tanto complicata. Oltretutto, le comunità che dovrebbero essere per legge vicine al luogo di residenza del minore, a meno che non siano situazioni particolari che necessitano dell'allontanamento, sono poche, e anzi spesso sono lontane dal luogo di residenza.
  Questo vale anche per le altre comunità, ma relativamente al tema del ritorno nella famiglia dentro la quale si è costruito un percorso di alleanza col minore, davvero Pag. 9abbiamo necessità che sia un luogo vicino casa, di modo che la famiglia possa partecipare, mentre così non è. Non lo è in generale per le comunità, non lo è tanto più per quelle alternative alla carcerazione.
  Infine, non so se ho ben capito quando parlava della legge sulla continuità affettiva. La ritengo una grande legge, perché permette di mettere dentro il percorso fuori famiglia davvero l'interesse prioritario del minore. Lei ha detto, se non ho capito male, che però giustamente vuole monitorare, per evitare che una così buona legge di fatto non venga applicata o possa produrre delle distorsioni rispetto all'obiettivo. Lei parlava di rischio che le famiglie di origine possano non favorire l'affido per la preoccupazione che questo possa essere motivo di allontanamento del figlio.
  Personalmente, credo che rispetto a questo il diritto prioritario del minore sia quello di tornare nella famiglia di origine. Il tema è caso mai quello di capire come costruire meglio le condizioni affinché la famiglia di origine sia considerata una risorsa, almeno quando può esserlo, e lavorare sulle possibilità residue per quella famiglia di accogliere al suo interno il figlio.
  Non ho capito perché secondo lei è un rischio. Può diventare un rischio se non c'è un lavoro a monte e a valle sia di chi procede all'affido sia di chi dovrebbe valutare e sostenere in termini di servizi, anche sociali, il sostegno alla famiglia.

  PRESIDENTE. Sentiamo anche l'onorevole Romanini, dopo di che cederemo la parola alla dottoressa Albano per una replica unica.

  GIUSEPPE ROMANINI. Ringrazio anch'io la Garante per questa sua panoramica.
  Ha già detto Donella Mattesini dei temi fondamentali che riguardano l'oggetto di quest'incontro. Io forse ho una questione un po’ fuori tema, ma approfitto della sua presenza per chiedere quale sia la percezione su un argomento che stiamo affrontando come Commissione agricoltura, ma anche come Commissione lavoro alla Camera, ossia il tema del caporalato, ma alla fine anche del lavoro nero, dell'accordo con le imprese agricole per il lavoro agricolo di qualità e così via.
  Il lavoro minorile, un tempo strettamente collegato alla dispersione scolastica – probabilmente, oggi meno – può essere un aspetto, nella percezione del Garante, che valga la pena approfondire e mettere al centro dei nostri ragionamenti, se non altro in collegamento diretto con l'attivismo della Camera sul tema del lavoro? Qual è il livello di percezione? Questo può essere un tema che ci riguarda da vicino come Commissione bicamerale perché ancora di attualità?

  FILOMENA ALBANO, Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza. Ringrazio entrambi per l'occasione che mi fornite di rispondere ad alcune domande e precisare meglio alcuni pensieri.
  In ordine ai garanti regionali, qualche passo in avanti è stato fatto di recente. È stato nominato il Garante regionale per il Lazio. La notizia è di qualche giorno fa. Ciononostante, ne mancano molti, anche in regioni nevralgiche, come la Toscana e la Sicilia. Vi sono, peraltro, regioni la cui legge istitutiva prevede il Garante regionale, e non l'hanno nominato; vi sono anche regioni che non sono proprio dotate di una legge che preveda la figura del Garante regionale. Ci sono, quindi, due differenti ipotesi. E ce n'è una terza ancora, in realtà.
  Mi riferisco a regioni che mirano ad accorpare varie figure di garanzia, e precisamente il Garante per l'infanzia insieme con il Garante per i detenuti e il Difensore civico, figure non solo ontologicamente diverse l'una dall'altra, ma a volte anche in potenziale conflitto d'interessi. Ne abbiamo allo stato due o tre più una provincia autonoma, che hanno già previsto quest'accorpamento.
  Ad accorpare le tre figure sono state le Marche, il Friuli-Venezia Giulia, se non sbaglio, e il Veneto, nonché la Provincia autonoma di Trento.
  Ovviamente, la Garante nazionale preferirebbe, auspicherebbe che le figure di garanzia fossero tenute distinte. L'infanzia ha una sua specificità, che merita una Pag. 10tutela a parte. Preferiremmo, altresì, che tutte le regioni – penso anche, in particolar modo, alla Sicilia, che adesso vive l'emergenza dei minori stranieri non accompagnati – avessero una figura di garanzia e di prossimità sul territorio.
  In questa direzione abbiamo tentato un'interlocuzione. Ho fatto la Sicilia oggetto della mia prima missione ufficiale, allo stato rimasta senza esito. Ho intenzione di attivarmi anche con le altre regioni per tentare un'opera di pressing per la nomina dei garanti regionali. Non è facile, anche perché la competenza in ordine alla nomina è anche questa diversificata, e dipende dalla singola legge regionale. In taluni casi, la competenza è del Presidente della Regione, in altri invece è del Presidente del Consiglio regionale.
  Vengo alla seconda domanda, che riguarda gli standard delle comunità di accoglienza dei minori differenziate a seconda delle regioni, e quindi la necessità di introdurre degli standard uniformi. Nel frattempo che l’iter legislativo a cui lei accennava vada avanti, è già istituito presso il Ministero del lavoro un tavolo interistituzionale, di cui anche l'Autorità garante è parte, diretto a predisporre delle linee guida sugli standard uniformi delle comunità di accoglienza dei minori.
  Oltretutto, come giustamente notava, onorevole, gli standard sono importanti anche al fine di determinare i costi. Il costo è proporzionato alla qualità del servizio offerto. Quanto più il servizio è professionale, tanto più il costo deve essere parametrato a quel servizio.
  Ha perfettamente ragione in ordine all'opportunità come Paese di fare un investimento sulla cultura dell'accoglienza, sull'affido come strategia preferibile rispetto al collocamento in comunità. Bisogna diffondere la cultura dell'accoglienza, perché tutti noi pensiamo che accogliere sia un'avventura. Pochi sanno che è una bellissima avventura, capace di arricchire non solo il bambino, l'adolescente, ma anche l'adulto che dà la sua disponibilità.
  In questo potrebbe essere coinvolta la scuola, come destinataria di progetti di formazione dei ragazzi e degli studenti, che a loro volta potrebbero diffondere la cultura dell'accoglienza anche nelle loro famiglie di origine.
  Vengo ai minori coinvolti nel circuito penale. Nella mia prima missione ufficiale ho scelto di visitare l'istituto penale per i minorenni di Palermo. Gli istituti penali per i minorenni sono una realtà molto particolare. Accanto ai minorenni propriamente intesi, oggi ci sono anche tanti giovani adulti dopo che la legge ha innalzato l'età della detenzione.
  Confesso che non ho ancora approfondito il tema dal punto di vista penale. Ho una cultura giuridica, perché prima facevo il giudice, ma vengo dal mondo della famiglia, ero un giudice civile della famiglia. Mi riservo di accogliere il suo suggerimento e di approfondire gli aspetti dei minori coinvolti nell'esecuzione penale esterna.
  Con l'occasione faccio una precisazione in ordine alla legge in materia di continuità affettiva. Ribadisco che è una bellissima legge, che consacra un principio che era già visibile in tutti noi, quella della continuità delle relazioni d'amore tra le persone.
  Preciso il mio pensiero dicendole che ci sono due tipi di affidamento: quello consensuale e quello giudiziale. L'affidamento giudiziale è disposto dall'autorità giudiziaria in presenza di talune situazioni di criticità della famiglia di origine. L'affidamento consensuale è, invece, rimesso a un accordo tra la famiglia di origine e la famiglia affidataria.
  Il mio pensiero è di monitorare se non si dovesse verificare una diminuzione degli affidamenti consensuali. È vero che l'affido per sua natura è temporaneo e provvisorio, e presuppone il rientro del bambino, dell'adolescente, nella famiglia di origine; è anche vero che, dovendo auspicabilmente salvaguardare le relazioni affettive che nel frattempo si sono consolidate, questo potrebbe rappresentare un disincentivo agli affidi consensuali, nel senso che la famiglia di origine potrebbe temere in questo caso il subentro della nuova famiglia.
  Ritengo, però, che la soluzione potrebbe essere, nell'ipotesi non auspicabile in cui il bambino non possa rientrare nella famiglia di origine, non già il ritorno all'indietro, ma Pag. 11un andare in avanti, verso nuove forme di adozione, calibrate alle specifiche esigenze del minore, come la cosiddetta adozione mite o adozione aperta. Spero di aver chiarito meglio il mio pensiero.
  In ordine all'opportunità che mi ha offerto l'onorevole Romanini su caporalato e lavoro nero, mi sono posta tante volte in questo ultimo mese la domanda che lei ha fatto, soprattutto relativamente ai minori stranieri non accompagnati, che rischiano di diventare i nuovi schiavi di questo secolo.
  Se come Paese ci eravamo strutturati anche innalzando l'età della frequenza scolastica d'obbligo per sconfiggere, superare la dispersione scolastica e le forme di lavoro nero, rischiamo proprio in questi anni un arretramento per la nostra incapacità di reale inclusione sociale dei minori stranieri non accompagnati, minori particolarmente fragili e che rischiano di essere sfruttati nelle maglie del lavoro nero.

  PRESIDENTE. Ricordo infine che i commissari che non hanno potuto partecipare all'odierna seduta potranno comunque consultarne il resoconto stenografico.
  Ringrazio ancora la dottoressa Albano, che ha da poco assunto il delicato incarico di Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, alla quale rinnovo i nostri auguri di buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.