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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 10 gennaio 2017

INDICE

Variazione nella composizione della Commissione:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione del professor Claudio Favre, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze, e del professor Alberto Garaventa, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova.
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Garaventa Alberto , responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova ... 3 
Zampa Sandra , Presidente ... 6 
Favre Claudio , direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze ... 6 
Zampa Sandra , Presidente ... 10 
Zanin Giorgio (PD)  ... 10 
Favre Claudio , direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze ... 10 
Zampa Sandra , Presidente ... 11 
Mattesini Donella  ... 11 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 12 
Silvestro Annalisa  ... 12 
Bertorotta Ornella  ... 12 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 12 
Garaventa Alberto , responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova ... 12 
Favre Claudio , direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze ... 13 
Garaventa Alberto , responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova ... 13 
Favre Claudio , direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze ... 14 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 14 
Garaventa Alberto , responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova ... 14 
Favre Claudio , direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze ... 15 
Mattesini Donella  ... 15 
Favre Claudio , direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze ... 15 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 16 
Garaventa Alberto , responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova ... 16 
Mattesini Donella  ... 16 
Garaventa Alberto , responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova ... 16 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 16 
Garaventa Alberto , responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova ... 16 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 17 
Favre Claudio , direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze ... 17 
Blundo Rosetta Enza , Presidente ... 17 

ALLEGATO 1: Documentazione presentata dal professor Alberto Garaventa ... 18 

ALLEGATO 2: Documentazione presentata dal professor Claudio Favre ... 47

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 13.55.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Variazione nella composizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera, in data 17 novembre 2016, ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza il deputato Francesco Prina, in sostituzione della deputata Simona Flavia Malpezzi dimissionaria.

(La Commissione prende atto).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Claudio Favre, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze, e del professor Alberto Garaventa, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione del professor Claudio Favre, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze, e del professor Alberto Garaventa, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) dell'Istituto G. Gaslini di Genova.
  Do la parola al professor Garaventa.

  ALBERTO GARAVENTA, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova. Vi ringrazio di averci invitato per ascoltarci e mi associo agli auguri di buon anno. Ovviamente, la mia non vuole assolutamente essere una lezione didattica, quindi vi prego di interrompermi se ci saranno alcuni punti che, magari, posso lanciare come provocazione.
  Ho pensato di fare una breve introduzione su che cos'è l'oncologia pediatrica per poi affrontare il problema delle cure palliative e della terapia del dolore.
  Per situare il problema, i tumori in età pediatrica sono un evento raro. Abbiamo circa 1.500 casi all'anno in Italia, ma sono la prima causa di morte per malattia. La prima in assoluto sono gli incidenti, ma tra le cause per malattia abbiamo le neoplasie.
  Come incidenza, oggi abbiamo circa un 30 per cento di leucemie linfoblastiche, un 20 per cento di tumori del sistema nervoso centrale e il neuroblastoma, che è un tumore del sistema nervoso simpatico molto particolare, poi via via linfomi, linfoma di Hodgkin e sarcomi dei tessuti molli. Abbiamo, dunque, 1.500 casi di neoplasie all'anno in Italia per circa 160-170 morti.
  C'è stato un momento in cui è stata richiamata una certa attenzione su un aumento di incidenza annua. Questo avveniva tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Pag. 4Duemila, probabilmente per una migliore diagnosi, ma anche per un'aumentata sopravvivenza dei bambini di basso peso alla nascita e per un aumento dell'età dei genitori. Poi il dato si è andato stabilizzando, anzi leggermente regredendo.
  Quella che sicuramente è aumentata è la sopravvivenza, che è passata, dagli anni Cinquanta, in cui era intorno al 40 per cento, all'80 per cento di oggi, in generale. Si parla di sopravvivenza a cinque anni. Questo non vuol dire essere guariti, ma abbiamo bambini a cinque anni in recidiva ancora vivi, che lottano con la malattia. Tuttavia, una buona parte di questo 80 per cento sono bambini guariti.
  Questo successo è soprattutto relativo ai linfomi ed alle leucemie. Ci sono, invece, delle patologie come i neuroblastomi o i sarcomi in cui questo successo, legato soprattutto alla chemioterapia, non è ancora così evidente. Siamo, quindi, intorno al 60 per cento, pertanto ancora lontani da quello che vorremmo come target. Purtroppo oggi questo target – ne parleremo dopo – è ancora gravato di molti esiti tardivi.
  Come potete vedere dalla nostra documentazione, la percentuale di guarigione in Italia è leggermente sopra la media europea ed in linea con la media di Paesi come Francia e Germania. Siamo sopra l'Inghilterra, ma un po’ sotto piccole nazioni come Austria e Svizzera. Lì ci sono dei problemi soprattutto di registro. Ad ogni modo credo che il risultato nel complesso sia buono.
  Questo porta a dire che oggi circa un individuo su 550 in età adulta è un bambino guarito da tumore. Questo significa anche che abbiamo una popolazione di almeno 30.000 pazienti registrati come tumori in età pediatrica oggi arrivati in età adulta.
  Questo è importante perché c'è sicuramente l'aumento della sopravvivenza, ovvero una riduzione della mortalità per qualsiasi tipo di problematica legata al cancro, sia alla recidiva di malattia sia al trattamento.
  Il problema grosso è che i trattamenti oggi utilizzati in oncologia pediatrica sono essenzialmente chemioterapia, radioterapia e chirurgia, quindi hanno degli esiti invalidanti. La mortalità è la punta dell’iceberg, ma certamente c'è – ripeto – un grosso problema sottostante alla mortalità, ovvero quello delle patologie croniche.
  Se vediamo un lavoro pubblicato dagli olandesi, su circa 5.000 bambini guariti di tumore tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta avevamo un 60 per cento di esiti tardivi. Di questi, complessivamente il 30 per cento sono esiti tardivi severi, soprattutto a carico della sfera endocrina della fertilità.
  Oggi si sta lavorando su questo aspetto per preservare la fertilità dei maschi in età adolescenziale, ma anche delle bambine in età prepuberale. È chiaro che questo ha un grosso impatto sulla donna e sui genitori perché poter dire loro che pensiamo alla fertilità della figlia è dare una grossa spinta e un incoraggiamento per il futuro.
  Ci sono, comunque, grossi problemi di tipo endocrino, ortopedico, psicologico e sociale. Sono bambini che, in generale, hanno una minore scolarità. Possono avere, dunque, dei problemi in questo senso. Su questo torniamo dopo perché è un aspetto che richiama l'attenzione.
  Oggi sono stati fatti grossi passi avanti in oncologia. Si sta personalizzando la terapia e soprattutto si sta facendo una terapia per target, cioè si cerca di trovare il meccanismo biologico che dà origine al cancro per poi individuare i farmaci che interagiscono con esso. È chiaro che si tratta di una terapia che potrebbe risparmiare tutti gli effetti collaterali.
  Questo approccio, però, in pediatria è ancora poco sviluppato, da un lato per problemi inerenti alla biologia dei tumori pediatrici e dall'altro anche per uno scarso interesse delle case farmaceutiche a sviluppare farmaci per l'età pediatrica perché ci sono pochi casi, dunque poco mercato, per dirlo molto sinteticamente.
  Invece, l'aspetto su cui si sono sicuramente fatti dei grossi passi avanti è la personalizzazione della terapia, ovvero dare ad ogni gruppetto di pazienti, in base alle caratteristiche biologiche del tumore, il giusto trattamento. Questo vuol dire che, pur essendo ammalati di un tumore grave come il neuroblastoma, che come vi dicevo ha Pag. 5ancora il 60 per cento di sopravvivenza e non l'80 per cento, alcuni bambini possono guarire spontaneamente, pur essendo metastatici; altri – non entro nel discorso perché sarebbe lungo, ma certamente è uno degli aspetti affascinanti dell'oncologia pediatrica – possono essere guariti con la sola chirurgia; altri bambini, invece, pur avendo delle patologie localizzate, quindi non metastatiche, hanno bisogno di chemioterapia, radioterapia, chirurgia, immunoterapia, quindi di una tempesta di trattamenti che lascia gli esiti di cui vi parlavo.
  Al Gaslini abbiamo fatto recentemente un convegno sui quarant'anni di protocolli nel neuroblastoma. Quarant'anni fa tutti i bambini con neuroblastoma venivano trattati nello stesso modo, oggi abbiamo almeno otto gruppi (nessun trattamento, trattamento solo chirurgico, chemioterapico standard e così via).
  Altri progressi sono stati fatti nello standard delle cure. Per il bambino con cancro esiste una rete internazionale e una rete nazionale, l'Associazione italiana ematologia ed oncologia pediatrica (AIEOP), che si è data delle regole – non entro nei dettagli – emanando nel 2008 un decalogo in cui è detto quali sono i requisiti che dovrebbe avere la cura e i diritti fondamentali di cui deve godere un bambino affetto da una patologia oncologica in età pediatrica.
  Innanzitutto, è necessario un team multidisciplinare adeguatamente formato. Questo è un problema perché non esistono scuole di oncologia pediatrica. La formazione deve essere soprattutto sul campo, ma in questo momento non c'è ricambio nei centri di oncologia pediatrica. Molti centri di oncologia pediatrica sono fatti da cinquantacinque-sessantacinquenni, non vengono assunte persone giovani, le quali, per essere formate adeguatamente, hanno bisogno – è stato calcolato – di almeno sei o sette anni di esperienza in emato-oncologia pediatrica. Il rischio è di trovarsi, fra alcuni anni, con un grosso vuoto di persone adeguatamente formate in questo campo.
  Vi devono essere, inoltre, ambienti adeguati all'età. L'oncologia pediatrica va dal neonato all'adolescente, ma non si può mettere un adolescente in un reparto strettamente pediatrico, così come non si deve mettere un bambino piccolo in un reparto di adolescenti. Si pone, dunque, anche questo problema di ambienti adeguati all'età.
  Un altro punto è il diritto alle adeguate informazioni, alla continuità delle cure, ai giochi e alle strutture per l'istruzione. Occorre, quindi, mantenere questi bambini adeguatamente istruiti, quindi procedere nell'educazione scolastica.
  Ci sono ormai delle realtà in cui questo accade, anche grazie alla computerizzazione e all'informatica. Oggi i nostri bambini non perdono l'anno, anche quando si ammalano a ottobre-novembre.
  Inoltre, ci vuole una sistemazione adeguata per i genitori in ospedale. Anche questo è un problema, ma siamo andati avanti. Negli anni Settanta, quando ho iniziato a fare l'oncologo pediatrico, avevamo la seggiola accanto al letto, su cui la madre dormiva. Oggi questo aspetto è sicuramente cambiato, almeno nella maggior parte dei centri di oncologia pediatrica.
  Ancora, c'è un diritto alla privacy, al rispetto dei diritti umani e al sostegno psicologico e sociale per il bambino e la sua famiglia sia durante sia dopo il percorso terapeutico. Anche questo è un problema. Ho detto che sono bambini che possono avere degli esiti psicologici o anche motori, per cui avere una rete di appoggio post trattamento è sicuramente importante.
  L'ultimo aspetto che vorrei toccare è quello delle cure palliative e della terapia del dolore. È un aspetto sul quale negli ultimi anni si sono fatti dei grossi progressi, ma è un ambito ancora variegato in Italia.
  Deve essere chiaro che le cure palliative non vogliono dire cura del paziente terminale nei trenta giorni prima della morte, ma riguardano l'attenzione al dolore ed ai sintomi della malattia, quindi sono un elemento che deve essere presente fin dalla diagnosi.
  Peraltro, per poter assistere adeguatamente un bambino in fase terminale e la sua famiglia, è chiaro che se c'è un rapporto fin dall'inizio sarà un'assistenza diversa rispetto a quella di prendersene carico negli ultimi 15-20 giorni. Pag. 6
  Poi ci sono tutte le fasi in cui il sintomo dolore, dalla fase di esordio alla fase di recidiva, è certamente un problema importante.
  Recentemente, come AIEOP, abbiamo fatto un'indagine conoscitiva: su 55 centri pediatrici italiani hanno risposto solo in 22 per il momento. Può darsi che gli altri prima o poi si muovano. Devo dire che di questi 22 la maggior parte sono i grossi centri (Istituto tumori di Milano, Monza, Firenze, Gaslini) e sono soprattutto al nord. Infatti 12 di quelli che hanno risposto sono centri del nord, sei nell'Italia del sud e quattro nel centro.
  Con questo caveat, cioè coscienti che è un dato parziale perché hanno risposto solo quelli più interessati al problema, la maggior parte dice che le cure pediatriche palliative sono presenti nel proprio centro già dalla diagnosi. C'è un'assistenza specialistica, ma è prevalentemente infermieristica e di assistenza domiciliare territoriale, questo già dice che qualcosa non va: non è specialistica per l'oncologia pediatrica.
  La maggior parte dei centri di oncologia pediatrica dice di avere persone che praticano cure palliative formate sia come medici sia come personale infermieristico. Solo il 10 per cento dice che nel suo centro non c'è personale formato. Tuttavia, la maggior parte di questi centri (il 45 per cento), pur essendoci una certa soddisfazione, dice che la formazione è un problema. Inoltre, il 65 per cento dice che manca personale per fare cure palliative.
  Allora torno a dirvi di fare attenzione perché quelli che hanno risposto sono i centri maggiori, i più interessati al problema, quindi probabilmente sono la faccia illuminata della luna.
  Un indicatore della situazione è il luogo dove muoiono questi bambini. Su 180 bambini morti nel 2015 per tumore, 80 sono morti a domicilio. Questo è un dato positivo, ma è meno della metà. Il 15 per cento (20) sono morti in terapia intensiva. Ecco, si espone ancora un bambino in fase terminale a cure che non dovrebbe ricevere, per cui viene portato negli ultimi giorni in terapia intensiva, allontanato dai familiari e isolato in una situazione certamente non idonea.
  Per quanto riguarda la situazione delle delibere, delle realizzazioni e delle indicazioni di legge a livello regionale, ci sono tredici regioni e due province autonome che hanno fatto delibere sulla terapia del dolore e le cure palliative; cinque regioni le hanno attivate e le due province autonome hanno istituito una rete di terapia del dolore e cure palliative.
  In questo momento ci sono due soli hospice in Italia in piena attività come hospice pediatrici. Sono uno nel Veneto, che ha già datato qualche anno, e uno a Napoli, di più recente apertura (avrà assistito tre pazienti). Poi ci sono tre hospice in via di realizzazione, uno in Liguria, uno in Basilicata e uno in Piemonte.
  Della Toscana parlerà il collega, perché è una situazione particolare. Io avrei finito. Poi, semmai, dirò ancora due cose su Genova nel dettaglio.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Successivamente ci saranno anche le domande dei colleghi. Passerei ora la parola al professor Favre, che dirige il centro di oncologia dell'azienda Meyer di Firenze, ben nota a tutti.
  Noi abbiamo notizie di altre aperture di hospice – in questa sede ne sono state annunciate alcune – o anche di lavori in corso.
  Anticipo una domanda al professor Garaventa, perché potrei non esserci più tardi. Lei ha fatto cenno alla possibilità di guarigione qualche volta in maniera più «facile». Stamattina, ma anche nei giorni scorsi, sono uscite notizie di immunoterapie, cioè di terapie che fanno leva sul sistema immunitario e che danno risultati qualche volta, anche se non sempre, miracolosi perché la risposta è diversa da soggetto a soggetto.
  Ci ha raggiunto ora la vicepresidente Blundo, per cui se dovessi allontanarmi prima della conclusione, chiederò a lei di presiedere.
  Cedo la parola al professor Favre.

  CLAUDIO FAVRE, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda Pag. 7 ospedaliero universitaria Meyer di Firenze. Grazie, è un onore anche per me essere qui. È importante che abbiate invitato noi oncologi pediatrici, che siamo un po’ la cenerentola dell'oncologia. Tuttavia, grazie all'AIEOP, che è già attiva da più di quarant'anni, stiamo funzionando abbastanza bene in Italia.
  Io e il professore ci siamo messi d'accordo. Lui ha fatto la parte generale, invece io parlerò della situazione in Toscana.
  La Toscana è stata attiva in questo senso. Ha creato centri di eccellenza, ha attivato anche centri interaziendali, come quello fra il CNR di Pisa e il Meyer di Firenze, per non fare doppioni anche su diagnostiche importanti.
  C'è stata una legge regionale, riattivata proprio nel 2016, in cui il Meyer è il fulcro di tutta la rete pediatrica, quindi deve coordinare effettivamente. Era una rete pediatrica che era già partita, ma che non aveva un coordinatore vero e proprio. Ora, invece, il direttore generale del Meyer la coordina.
  Importante è anche l'istituzione del centro che ho voluto io. I politici – devo ringraziare tutti – mi hanno dato retta e hanno istituito un Centro regionale di oncologia pediatrica (CROP), che ho l'onore di dirigere, di cui vi dirò.
  Queste sono le cose importanti. Il centro cerca di attivare percorsi diagnostici terapeutici e assistenziali per i pazienti pediatrici in Toscana, quindi fornisce risposte immediate vicine alle esigenze della popolazione ed è garante delle cure più appropriate.
  Per esempio, visto che a Siena c'è una grossissima esperienza sul retinoblastoma, forse la più importante in Europa, è inutile intervenire sul retinoblastoma altrove. Siccome ci sono il chirurgo e il neuroradiologico bravi, né a Pisa né a Firenze ce ne occupiamo. Mandiamo tutto a Siena, che prende casi da tutta Italia. Questo è un coordinamento per risparmiare, dando un'alta specialità ai pazienti.
  Come direttivo del CROP, abbiamo la funzione di coordinare l'innovazione clinica, la qualificazione professionale e l'integrazione multiprofessionale.
  Cosa vuol dire questo? Per esempio, il Meyer, che è un grosso ospedale, come il Gaslini, e che ha praticamente tutto per curare un bambino, a volte manca del pediatra o del chirurgo più esperto di una patologia particolarmente rara. Allora, è giusto cercare prima in Toscana per vedere se c'è l'esperto massimo, come può essere l'oculista del retinoblastoma o il chirurgo che fa il trapianto di fegato. Questo deve essere coordinato affinché tutti abbiano la maggiore efficacia di terapia diagnostica.
  Dentro questo centro regionale ci sono anche le associazioni, che ci consigliano – in Toscana, nell'oncologia pediatrica, sono numerose – e ci aiutano nel nostro percorso.
  Un aspetto importante è che, grazie a questo centro, abbiamo creato un laboratorio di ricerca di base, che è stato allargato enormemente. Inoltre, anche la gestione delle tecnologie è, come dicevo coordinata, altrimenti i direttori generali potrebbero comprare uno strumento per la risonanza, per esempio, nei vari ospedali dove non c'è bisogno di apparecchiature specifiche.
  Come ho detto prima, per fare la risonanza al cuore c'è il CNR di Pisa, per cui i pazienti che devono fare questo esame specifico per controllare l'accumulo di ferro, che richiede anche una cultura specialistica da parte del medico che lo fa, è bene che vadano tutti al CNR. A Pisa, infatti, vengono da tutta Italia e quindi anche da tutta la Toscana. Sono controlli rari, ma importanti.
  Il CROP è così organizzato: ci sono i tre centri nelle tre città universitarie, il coordinamento è del Meyer, e poi c'è l'oncologia di Pisa, dove pure viene fatto il trapianto di midollo – il Meyer e Pisa fanno anche il trapianto di midollo osseo di cellule staminali periferiche – e poi la sezione di oncologia dove si fa soprattutto retinoblastoma.
  Queste sono le unità costituenti. Ci sono, poi, le unità di appoggio che si stanno attivando man mano. Ad Arezzo ormai siamo a un buon punto, abbiamo già una collaborazione ottima, ma è importante avere anche le unità di Livorno, Lucca, Pag. 8Pistoia e delle altre province in modo che, se abbiamo bisogno, possano essere attivate con un rapporto diretto con noi del centro di coordinamento.
  Prima eravamo un po’ campanilistici, quando sono arrivato io ho detto basta: non siamo più fiorentini e pisani, ma siamo toscani. Quindi, sono diventati amici e si stanno scambiando i pazienti. È così che bisogna fare perché risparmiamo risorse, oltre che, ovviamente, svolgiamo un'attività di assistenza migliore.
  In relazione a quello che ci avete chiesto, come sapete, purtroppo, i bambini e tutta la famiglia hanno bisogni anche sul piano psicologico. Al Meyer abbiamo la presenza continua in reparto di numerose psicologhe, tre solo per l'oncologia. Fanno comunicazione della diagnosi, insieme ai medici, agli infermieri e al pediatra di famiglia, e accompagnamento nel percorso di malattia dall'inizio fino alla fine, se va male, o anche alla fine della terapia (off therapy) e nel follow up successivo. Questo è importante.
  Ci sono, quindi, colloqui individuali con i genitori e con il minore, nonché gruppi di sostegno per i genitori e per gli adolescenti. Questo aspetto è importante sia per gli adolescenti che per i bambini.
  Per i più piccoli abbiamo i nostri educatori, che li fanno giocare tutte le mattine, ma se c'è bisogno, lo psicologo coordina il percorso e a volte interviene direttamente nel gioco.
  Ormai abbiamo tutti la scuola dell'ospedale. Anche qui, però, c'è il coordinamento delle psicologhe con la scuola e con le maestre.
  Un altro progetto importante è quello dei volontari a domicilio. I maestri e i professori, soprattutto per i bimbi stranieri, vanno a casa per insegnare la lingua.
  Ormai in tutti i centri dell'AIEOP di Italia abbiamo i clown. Noi abbiamo anche i musicisti, con il violino, la chitarra e quant'altro: vengono tutti i pomeriggi, per cui chi vuole fare un progetto può farlo. Abbiamo l'armadio della musica donato da un'associazione. In tanti hanno imparato a suonare.
  Abbiamo anche la pet therapy negli spazi comuni, anche se dobbiamo stare attenti ad introdurre il cane nel nostro ambiente di immunodepressi. Tuttavia, lo abbiamo fatto molte volte ed è importantissimo proprio per i bimbi, non solo terminali, ma anche per quelli per i quali è difficile attuare bene la terapia.
  Ci sono anche le visite di personaggi famosi. Ne abbiamo avuti tanti, al Mayer vengono giocatori, poi Carlo Conti, Pieraccioni e Panariello. Anche questi ci aiutano.
  Come dicevo, c'è l'accompagnamento psicologico anche dopo, per il follow up, dopo la fine della terapia, perché spesso si entra in uno stato d'ansia, e c'è bisogno di questo supporto.
  È stata creata un'unità operativa di psicologia al Meyer, con diverse psicologhe. Questo ci permette di coordinare, anche a distanza, con altri colleghi, il passaggio dall'ospedale al territorio.
  Aggiungo alcune cose. Per esempio, per gli adolescenti è stata creata la team room, uno spazio dove si va a suonare la chitarra, leggere un libro e così via. Spesso intervengono le psicologhe con la psicoterapia espressiva, ormai nota dal 1940, che è importante per chi non riesce a tirar fuori i propri sentimenti e le proprie angosce. C'è un laboratorio di autobiografia. Facciamo proiezioni di film. L'ultima iniziativa è di un regista che ha offerto un'esperienza di doppiaggio, quindi i ragazzi si divertono a doppiare dei film famosi.
  Lo ShopTalk è un gioco psicologico innovativo del National Cancer Institute: è una specie di Monopoli, in cui ci sono delle cartine. Il paziente tira su la cartina dietro la quale ci sono domande anche dirette: «cosa pensi del tuo tumore?» Tante volte l'adolescente dice «io non ho un tumore, ho un linfoma». Anche per noi, quindi, è importante per capire come approcciare il paziente o la famiglia stessa. Questo gioco è, infatti, anche per i genitori.
  Si spera, con le psicologhe, di poterlo donare a tutte le pediatrie dell'AIEOP, se ce la facciamo con i fondi, perché è un gioco che abbiamo importato dagli Stati Uniti e abbiamo tradotto in italiano. Questa è la nostra team room. Pag. 9
  Ci sono, poi, i numerosi volontari e le associazioni. Purtroppo, le associazioni sono tante, quindi le ho gestite, perché c'era un po’ confusione, in modo che possano venire il pomeriggio ed essere disponibili per chi vuole avere un colloquio volontario. Questo per non farle entrare in tutte le stanze, sia per motivi di sterilità, sia perché si può trovare anche il paziente e la famiglia che non vuole vedere nessuno. Quindi, a richiesta, sono a disposizione.
  A domicilio, abbiamo due associazioni, una a Pisa e una a Firenze. Quella di Firenze fa attività in quasi in tutta la provincia. Offrono un percorso domiciliare, con le psicologhe dell'associazione che vengono coordinate da quelle del Meyer per il lavoro nel territorio.
  La realtà virtuale è un casco sperimentato inizialmente per i bambini ustionati, invece ora è usato anche per altro. Per esempio, tirano delle palle di neve o vedono un'immagine per essere distratti durante l'attesa, la cura o la puntura stessa. Anche questo è importante.
  Quest'anno il nostro direttore ha voluto delle bellissime «finestre dei sogni». Sono schermi enormi su cui passano continuamente immagini. I bambini, con quattro touch screen, possono anche giocare, scrivere o disegnare su queste grosse lavagne.
  Non so quando sarà pronta, ma un'associazione vuole fare un’app, Feel Better, per cercare di portare gli adolescenti a condividere le loro ansie e per ascoltare, parlare insieme e così via.
  Ci sono altre attività di supporto. Abbiamo 15 fisioterapisti, 9 dietiste e tre assistenti sociali, le quali, appena la famiglia arriva, si mettono in contatto e se c'è la necessità di una casa di accoglienza, come spesso accade, o anche di un supporto di altro genere sono subito pronte anche per le poche cose burocratiche che dobbiamo fare.
  Abbiamo anche mediatori culturali a chiamata e forse – ripeto – troppe associazioni. Avrei preferito un'associazione unica, ma non ce la facciamo. Per l'oncologia, saranno una quindicina, ma stanno aumentando, quindi le dobbiamo coordinare. Ad ogni modo, sono tutte sono utili perché c'è chi fa una cosa e chi un'altra. Per esempio, un'associazione, fatta dai genitori di un bimbo che è deceduto, viene la domenica a suonare o a fare altro.
  È importante, inoltre, anche la terapia domiciliare. Lo devo dire perché ho visto, con la convenzione con l'Associazione nazionale tumori, che non conoscevo, che funziona bene anche per i bimbi piccoli.
  Abbiamo anche un'unità di riabilitazione funzionale. Nel 2014 ci sono stati diversi interventi, 153 per extraregionali e 92 in regione. Sono interventi preventivi, ricostruttivi, di supporto e di cura, sempre collegati. Peraltro, sono presenti al giro che facciamo ogni mattina in reparto, insieme ai medici, il fisioterapista, il farmacista e le dietiste.
  Abbiamo nove dietiste. Il rapporto nutrizionale è uno degli aspetti fisici importanti perché contribuisce alla salute. Le nostre dietiste accompagnano, insieme al team, il paziente e la famiglia, monitorano sempre lo stato nutrizionale, aiutano e sostengono la famiglia.
  È importante anche la realizzazione di strumenti per un'adeguata informazione della famiglia. Abbiamo fatto dei libretti, anche uno per l'alimentazione di bambini con patologia tumorale neuroncologica.
  Riguardo alla rete e alle cure palliative in Toscana, grazie alla legge 38 del 2010, i bambini sono stati compresi nelle norme sulla terapia del dolore e le cure palliative, quindi ne hanno il diritto. Le regioni hanno attuato la legge. In particolare, la Toscana ha fatto due delibere regionali nel 2014 ed ha identificato nel Mayer il Centro regionale per l'organizzazione della rete della terapia del dolore e delle cure palliative.
  Da anni è istituita un'unità operativa complessa di terapia del dolore e cure palliative. I colleghi vengono in reparto per fare procedure invasive come biopsie o aspirati midollari. Quindi, dall'inizio alla fine questi colleghi seguono i nostri pazienti per praticare la terapia del dolore.
  Il coordinamento è sempre del Meyer, con i servizi sociali, reti palliative, reparti di pediatria e assistenza domiciliare toscani. Pag. 10
  Come dicevo, c'è uno squilibrio. È difficile per un genitore decidere, quando si arriva alla fine. Lo diceva anche il professor Garaventa. Per ogni famiglia, ci dobbiamo rapportare per capire bene cosa desidera per il fine vita.
  Non siamo anglosassoni. Non tutti siamo uguali. Siamo italiani. Peraltro, c'è già una differenza fra il nord e il sud, quindi, a seconda dei casi, dobbiamo adattarci alle necessità ed alle aspettative della famiglia, cercando di far capire che a volte l'aggressività delle terapie e l'accanimento terapeutico non serve ai nostri bambini quando siamo alla fine. Se la famiglia è davvero «compliante» riusciamo a fare un percorso idoneo.
  Ho visto dei percorsi idonei a casa, ma a volte ci sono alcune famiglie che non sono così predisposte o non accettano, quindi vogliono fare terapie che non alleviano la fine del bambino.
  Quando noi, anche attraverso qualcuno del territorio, riceviamo la segnalazione al nostro centro delle terapie palliative, facciamo una riunione multidisciplinare, condividiamo con la famiglia la scelta del percorso e poi decidiamo se farlo a domicilio, nella pediatria periferica o nel nostro hospice al Meyer. Come vedete, c'è bisogno anche di informazione, ma tutto è coordinato dal gruppo del Meyer per le cure palliative e la terapia del dolore. Il servizio è attivo 24 ore su 24, con consulenze via telefono e Skype.
  Vorrei, infine, parlarvi della struttura residenziale di leniterapia che abbiamo da più di sette anni, dove abbiamo la presenza multidisciplinare di più pazienti. Accogliamo i nostri bimbi che non devono finire in rianimazione. Praticamente, è un appartamento nell'ultima ala, al pianterreno, del nostro ospedale, con una cameretta e la cucina. C'è un ingresso autonomo, e i genitori e tutti i parenti entrano tranquillamente senza passare dall'ospedale. Quando un bimbo finisce il suo percorso nell’hospice, per tutti i parenti e gli amici sembra che sia a casa. Insomma, almeno apparentemente ci si sente più coccolati dalla famiglia.

  PRESIDENTE. Molte grazie, professore. Siamo molto orgogliosi di realtà come quelle che ci sono state mostrate oggi.
  Naturalmente, la nostra preoccupazione deve essere anche quella di capire quanta omogeneità ci sia nel Paese, cioè quanto si sia in grado di offrire risposte così avanzate, sul piano delle terapie, ma anche su quello dell'accoglienza e dell'aiuto alle famiglie e ai ragazzi.
  Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti.

  GIORGIO ZANIN. Vi ringrazio della mole delle informazioni e della sintesi e qualità dell'esposizione, che ci aiutano rispetto agli obiettivi che abbiamo come Commissione.
  Una specificità che abbiamo raccolto nell'ambito di questa indagine è legata anche al tema dell'adolescenza. Spesso ci dimentichiamo che questa Commissione ha un doppio titolo, infanzia e adolescenza, come aspetti omogenei, ma in parte, evidentemente, anche separati e distinti.
  Vi chiedo, quindi, un surplus di informazione nel merito delle cure legate al tema degli adolescenti che, con tutta evidenza, sotto un profilo anche della psicologia e del percorso di crescita, nonché della pedagogia e della cura stessa, presentano aspetti con una rilevanza a sé stante, per cui ritengo che su questo dovremmo avere una certa attenzione. Grazie.

  CLAUDIO FAVRE, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze. Avevo già accennato alla creazione della team room, ma forse non sono stato chiaro. L'attenzione che stiamo dando, come Associazione italiana di ematologia e oncologia pediatrica, è rivolta proprio al tema degli adolescenti. Si è creata un'associazione per gli adolescenti, che si chiama Società italiana adolescenti con malattie onco-ematologiche (SIAMO), partita dall'Istituto Tumori di Milano, alla quale stiamo aderendo tutti.
  L'idea, oltre che creare dei luoghi di ritrovo, è di fare dei reparti divisi fra adolescenti e bambini nell'età dell'infanzia. Quindi, l'adolescente dovrebbe avere attenzione Pag. 11 specifica, come aveva già accennato il professor Garaventa. Questo vale soprattutto per noi che siamo esperti di tumori degli adolescenti, anche se ci arrivano pazienti adulti, di 24-25 anni, con tumori dell'osso.
  In Toscana, per esempio, c'è il CTO di Firenze che opera insieme al Rizzoli, dove abbiamo tanti tumori dell'osso con pazienti che vengono da tutta Italia.
  Abbiamo la necessità di dividere questi pazienti, che dobbiamo curare noi come talassemici. Su questo aspetto forse ci potete aiutare. Infatti, voglio insistere per avere più spazio per gli adolescenti perché è una cosa davvero importante.
  Come vedete al Meyer – visto anche quello che è successo ieri a Nola – in oncologia pediatrica siamo dei «privilegiati» come terapia perché siamo organizzati. Anche grazie alla nostra associazione in tutta Italia abbiamo un livello veramente buono.
  Lei mi sembra essere della zona del Veneto, di Padova. Ebbene, a Padova e Verona c'è un livello eccezionale. Il nord e il centro non hanno problemi. Il sud può avere qualche problema, ma nonostante tutto l'oncologia pediatrica si sta difendendo anche lì.
  Quello che vi chiediamo è di riconoscere all'oncologia pediatrica una terapia sempre subintensiva, con il personale adeguato. Inoltre, vorremmo avere più locali sia per i bambini piccoli, ma soprattutto per gli adolescenti.
  I talassemici e i pazienti con tumore dell'osso li curiamo noi perché siamo esperti. Il medico o l'ematologo dell'adulto non è esperto come noi. Noi siamo esperti di talassemia perché prendiamo in cura i bambini appena nati, quindi dopo non vogliono più andar via. La difficoltà c'è perché abbiamo dei pazienti talassemici di oltre sessant'anni che vengono in day hospital.

  PRESIDENTE. Nel dare la parola ai colleghi, mi allontano lasciando la presidenza alla collega.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
ROSETTA ENZA BLUNDO

  DONELLA MATTESINI. Faccio mie le parole del collega Zanin, perché ci avete dato un quadro esaustivo, sintetico e chiaro. Vi ringrazio anche perché questo quadro rappresenta l'esito del vostro lavoro. Vi dico grazie, inoltre, per la qualità e le buone prassi che rappresentate in un'Italia che è ancora comunque molto disomogenea.
  Noi facciamo un'indagine conoscitiva perché abbiamo bisogno di sapere per poter fare proposte al Parlamento, ma anche al Governo. Quindi, vi chiedo di svolgere un compito che può sembrare improprio, domandando a voi che avete un quadro conoscitivo generale su che cosa dovremmo intervenire.
  Faccio degli esempi che ho colto ascoltandovi. Giustamente, parlate di interdisciplinarità e del fatto che l'oncologia pediatrica ha bisogno di una rete nel territorio che chiama in campo le strutture sanitarie, ma anche i volontari o l'istituzione scolastica.
  Voi avete difficoltà nei rapporti, per esempio, per quanto riguarda il percorso scolastico? Siamo ancora nella fase in cui la differenza la fa la discrezione di quel dirigente o altro? Questo è un tema su cui lavorare oppure no?
  Se non ho capito male, un altro aspetto, che pure è un tema che riguarda le cure palliative in generale, è che mancano i medici palliativisti. Qualche amico palliativista mi dice che questo ha a che fare anche con la preparazione universitaria, quindi con il percorso universitario sul quale dovremmo intervenire. Secondo voi, come bisogna intervenire su questo? Facendo sì che il tema del dolore sia compreso in tutte le discipline o deve esserci un percorso a parte? Siccome mi sembra che questo sia un problema, chiedo se ho capito bene oppure no. Pag. 12
  In generale, c'è un rischio vero perché, ad oggi, gran parte delle strutture utilizzano le cure palliative solo in fase terminale – questo vale anche per gli adulti, non solo per i minori – ma questo attiene anche al fatto che non ci sono proprio medici palliativisti. Infatti, mi veniva spiegato – questo è un argomento a latere – che in realtà non c'è uno sviluppo di carriera, quindi si nasce e si muore palliativista. Allora, forse, si pone questo tema più complesso. La domanda può essere a latere, ma sentivo di farla per avere suggerimenti.

  PRESIDENTE. Aggiungiamo le altre domande, dopodiché rispondete direttamente.

  ANNALISA SILVESTRO. Grazie, presidente, anche perché dopo abbiamo altre Commissioni. Ringrazio i nostri ospiti per gli interventi molto interessanti. Quanto ci avete presentato è di riferimento per quanto riguarda le fasi dell'accoglienza, della gestione, della quotidianità di vita e clinico-assistenziale di questi bambini.
  Mi ha molto colpito il discorso che è stato fatto sulla personalizzazione delle cure anche in relazione alla tipologia di cancro ed agli elementi che lo costituiscono, che ormai mi pare un leitmotiv per gli adulti, ma vedo anche per i bambini.
  La cosa che mi interessava, anche rispetto al discorso che faceva la collega, è che sarebbe necessario avere un aumento dei centri come quelli che voi ci avete presentato per poter dare una risposta omogenea a livello nazionale. Ecco, è interessante capire questo punto.
  Un altro aspetto è che vedo che si continua a ragionare sul quinquennio. Lo si fa per gli adulti, come per i bambini. È ancora utile questo tipo di range temporale?
  È chiaro che se spostiamo il range temporale di osservazione, potremmo avere degli esiti diversi, che potrebbero incidere su quello che ci dobbiamo impegnare a fare perché ci possa essere un riscontro, come diceva prima la senatrice Matesini, rispetto al prosieguo delle cure. L'80 per cento di sopravvivenza al quinquennio è un dato importante. Lo è anche per gli adulti. Ovviamente generalizzo, perché dipende dalla tipologia di cancro. Tuttavia, se lo spostassimo al decennio cosa succederebbe? Come possiamo ragionare rispetto a questa tematica?

  ORNELLA BERTOROTTA. Ho una curiosità. Visto che la Ryanair ci bombarda con i finanziamenti che vanno al Meyer, vorrei chiedervi se arrivano e se vi aiutano. A che ordine di cifre – se lo sapete – siete arrivati l'anno scorso?
  Inoltre, vista l'esperienza specifica del Gaslini da tanti anni, non specificatamente per le malattie oncologiche, ma per tutte le malattie, vorrei sapere se state elaborando delle statistiche che possano far capire se questi tumori sono dovuti all'inquinamento ambientale o ad altre cause, anche per cercare di fare prevenzione.
  Io sono siciliana. Ci sono delle zone come Melilli o Priolo dove ci sono le raffinerie, dove pare che ci siano delle impennate notevoli e un numero molto più alto di casi rispetto alla media nazionale. Quindi, vi chiedo se avete fatto questo riscontro e se attenzionate questo aspetto anche per la scelta dei luoghi dove far nascere ulteriori centri.
  Ho, infine, un'ultima domanda, che forse esula un po’ dal tema dell'oncologia. Vorrei sapere se lo screening neonatale esteso alle malattie rare, secondo voi, è utile. Insomma, vi chiedo se aggiungere allo screening neonatale che si fa per poche malattie – quello proposto che, però, non credo che sia ancora in vigore – potrebbe aiutarci a intervenire in maniera precoce rispetto a malattie rare specifiche.

  PRESIDENTE. Do la parola agli ospiti per la replica.

  ALBERTO GARAVENTA, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova. Avremmo bisogno di un intero pomeriggio. Comunque, per essere telegrafici, francamente lo screening neonatale in oncologia pediatrica – parto dall'ultima domanda – non serve. Ha sicuramente senso per tutte le malattie metaboliche e quant'altro, ma Pag. 13francamente non per l'oncologia pediatrica.
  Ci hanno provato i giapponesi per il neuroblastoma, che è il mio cavallo di battaglia, facendo lo screening a sei mesi sulla pipì. Hanno visto un aumento di incidenza del neuroblastoma, ma non un miglioramento della sopravvivenza. Esistono in oncologia pediatrica dei casi che, se non fossero stati diagnosticati precocemente con metodiche di screening, non sarebbero mai arrivati a una diagnosi. Infatti nei paesi dove è stato fatto lo screening per il neuroblastoma non è cambiata la mortalità per questa neoplasia.

  CLAUDIO FAVRE, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze. Aggiungo che per alcune malattie rare è utile. Per quanto riguarda la domanda che ha fatto sulla predisposizione, effettivamente l'ambiente ha un'importanza fondamentale. Basta vedere Taranto. Si sa anche dei campi magnetici intorno a cavi di alta tensione o degli idrocarburi.
  Quand'ero giovane, circa trent'anni fa – sono nativo di Pisa, anche se il mio nome è di origine svizzera; peraltro, si sente che sono toscano al massimo – notai un'incidenza altissima di leucemie intorno a una zona dove c'erano idrocarburi vicino a Livorno. Tuttavia, l'ho notato solo per un periodo di uno o due anni. Purtroppo, però, non abbiamo mai dimostrato nulla.
  La cosa importante è che la genetica e tutto quello che stiamo scoprendo dimostrano che c'è una grossa predisposizione genetica. Pertanto, fare la mappa genetica può essere utile per un consiglio in relazione alla predisposizione ai tumori, quindi al controllo per alcune famiglie. Tuttavia, a lungo andare, in futuro rischieremmo di non vivere più, se una persona nasce sapendo che entro trenta anni avrà un tumore dell'intestino. Ecco, non si vivrà certo bene.
  Comunque, l'ambiente è importante, come i virus e altre cose, però la genetica...

  ALBERTO GARAVENTA, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova. Su questo aspetto vorrei spendere due parole in più. Sono importanti sicuramente gli stili di vita. Abbiamo pochi dati finora sui campi magnetici e sull'inquinamento. Per esempio, alcuni dati sui telefonini non sembrerebbero chiamarli in causa.
  Quello che sicuramente è importante è lo stile di vita. Vi ho fatto vedere alcuni grafici. Come causa di morte non c'è solo la recidiva di malattia, ma anche le complicanze legate al trattamento. Su queste, lo stile di vita può avere un'estrema importanza.
  Il secondo tumore è derivante dal fumo. Inoltre, abbiamo l'obesità. Sappiamo, infatti, che l'infiammazione legata all'obesità cronica è causa di tumore. Ecco, questi stili di vita sicuramente incidono sugli effetti tardivi.
  Un bambino cardiopatico perché ha preso un antraciclinico, avendo fatto la radioterapia sul mediastino, se ha uno stile di vita scorretto ha un'aumentata incidenza di mortalità. Pertanto, richiamo l'attenzione sul fatto che noi curiamo dei bambini a dieci anni, ma poi questi hanno sopra i sessant'anni di attesa di vita, ma sono sessant'anni complicati. Quindi, in questo senso lo stile di vita è importante.
  Sui centri – non so cosa ne pensa il professor Favre – in Italia 55 centri AIEOP di onco-ematologia pediatrica sono troppi.
  Tempo fa parlavo con una collega di Taranto. Sono andato in uno splendido paesino a parlare di neuroblastoma. Lei mi diceva che a Taranto c'è un problema – io sono assolutamente d'accordo – e quindi di volere un centro di oncologia pediatrica a Taranto, ma le ho risposto che stava facendo una stupidaggine. In Puglia c'è San Giovanni Rotondo, Bari, Lecce e Tricase. In tutto, ci sono quattro centri in Puglia, mentre ne basterebbe uno buono.
  In Sicilia ci sono due grossi centri perfettamente funzionanti, Palermo e Catania. Va bene così. La Sardegna, per esempio, ha dei problemi perché ha Cagliari e Sassari, ma sono due centri che «funzionicchiano». La Toscana è un esempio virtuoso, come il Piemonte. C'è un centro coordinatore e dei centri pediatrici satelliti. Pag. 14
  Insomma, avere quattro centri equipotenti in Puglia francamente, secondo me, ha poco senso.

  CLAUDIO FAVRE, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze. Su questo voglio aggiungere una cosa. Penso che abbiate partecipato alla Commissione per la neonatologia. Ad ogni modo, secondo me ci sono troppi centri di neonatologia. Ho fatto uno studio perché mi occupavo di un dipartimento importante di neonatologia e ho visto che dove c'è un centro piccolo ci sono più rischi sia per la mamma sia per il bambino. La neonatologia in Sicilia è virtuosa. In Toscana lo è un po’ meno.
  Bisogna ridurre i centri. Lo dico alla presenza dell'onorevole toscana. Se abbiamo un centro per 200 parti a 35 minuti da Arezzo, anche se è in montagna, corriamo un rischio perché ci va il pediatra o il neonatologo giovane e il ginecologo di turno. Invece, nel grosso centro ad Arezzo c'è la neonatologia attrezzata.
  Vi ricordo, infatti, che il parto è fisiologico finché non è finito, per la mamma e il bimbo. Di parto si muore anche quando va tutto bene. Lo dico veramente con tutto il cuore. Ho due figlie e le farò partorire a Pisa, a Firenze, a Siena o ad Arezzo, che ha una neonatologia importantissima.
  Ci sono troppi centri. Il problema non deve essere il solito campanilismo o la presenza dell'onorevole o del sindaco che vuole il centro. Anche per l'oncologia è la stessa cosa. Insomma, coordiniamoci, così risparmiamo e facciamo le cose senz'altro meglio.

  PRESIDENTE. Avete altre risposte?

  ALBERTO GARAVENTA, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova. Ne ho un elenco infinito. Ci sono il problema della scuola e la questione del quinquennio.
  Il quinquennio in oncologia pediatrica può avere un senso. Noi abbiamo fatto un'analisi sui cinque anni legati all'avanzamento delle cure. In cinque anni non c'era il trapianto, poi c'è stato il trapianto, poi le immunoterapie. Allora, l'analisi sui cinque anni può avere un senso. Ovviamente, dopo cinque anni i bambini non sono guariti. C'è l'80 per cento di sopravvivenza. Se lo porto a dieci anni, questa sopravvivenza scende al 70 per cento. Questo è un problema perché è uno strumento imperfetto. È uno strumento internazionale, sicuramente imperfetto, ma qualcosa ci può dire al momento.
  Sulla scuola, qualcuno chiedeva se abbiamo buoni rapporti con la scuola. Noi abbiamo degli ottimi rapporti con la scuola a Genova e a Firenze. Credo che, in generale, il problema tra scuola e mondo dell'oncologia pediatrica sia non dico risolto, ma quasi. Stanno partendo anche le superiori.
  C'è un grosso coinvolgimento dei docenti. La psicologa del mio centro, quando le ho detto che sarei venuto qui, mi ha chiesto di richiamare l'attenzione sugli aspetti sociosanitari. Per esempio, il centro di Genova si rapporta molto bene con il centro di Imperia, ma se dobbiamo trasferire un bambino – purtroppo devo dirlo ancora una volta – al sud l'aspetto sociosanitario è una rete che manca. Se dobbiamo stimolare una bambina affinché venga assistita del sistema sociosanitario per andare a scuola, in piscina o a fare fisioterapia, tutti questi aspetti mancano. Ecco, forse questo, più che la scuola, è un aspetto dolente.
  Posso spendere una parola sulla personalizzazione delle cure, sulla quale stiamo lavorando, ma è una cosa che costa molto. Noi, francamente, abbiamo ancora un sistema di Diagnosis-related Group (DRG) che è rimasto a dieci anni fa.
  Per esempio, dieci anni fa facevo diagnosi di neuroblastoma, che è la mia passione, con una TAC, con una scintigrafia obsoleta o con un aspirato midollare, prendendo il midollo e mettendolo sotto un vetrino. Oggi faccio la diagnosi di neuroblastoma sulla biologia molecolare del tumore, sulla biologia molecolare del sangue periferico, sulle scintigrafie più moderne, Pag. 15sulla genetica del tumore. Questi, però, sono tutti esami che costano.
  Pensate che oggi il costo di questi esami viene sostenuto dalle associazioni private, cioè dalle charities. L'associazione per il neuroblastoma finanzia in tutta Italia la raccolta del materiale, il trasporto a Genova e la tipizzazione a Genova di tutti i bambini italiani.
  Questo vale per le leucemie, a Monza e a Padova, e per i sarcomi. Sono tutte sostenute da charities che, soprattutto in questo periodo, fanno fatica. Inoltre, si chiedono se davvero devono sostenere lo standard. Loro dovrebbero aiutare a fare ricerca, cioè dare dei fondi perché si cerchi la nuova cura oppure il nuovo gene che fa stadiazione, non perché un bambino riceva quello che oggi è lo standard di cura. Tuttavia, ancora oggi è così.
  Il presidente precedente parlava di immunoterapia. L'immunoterapia è un campo affascinante. Il tumore stimola il sistema immunitario in generale. La maggior parte dei tumori pediatrici ha, però, dei sistemi di «nascondimento» (escape, non so se la traduzione sia corretta perché è una brutta parola). Il linfocita, cioè il sistema immunitario che riconosce il tumore, si attiva, ma immediatamente il tumore attiva dei meccanismi di blocco del sistema immunitario, quindi non c'è una risposta. Oggi ci sono dei farmaci nell'adulto ormai molto sviluppati. Nel bambino c'è ancora poco, soprattutto per il problema degli interessi di mercato su questi farmaci.
  Un altro aspetto importante sono gli anticorpi monoclonali specifici. Sul tumore c'è un sistema di riconoscimento, quindi se do un anticorpo, cioè una sostanza che va a legarsi a questo antigene di riconoscimento, è possibile che la cellula tumorale venga in qualche modo attaccata e scoppi. Ci sono sistemi anche più complessi. Questo è solo per farvi un esempio.
  La prima malattia in cui è stato identificato un sistema di immunoterapia in questo senso, con un anticorpo monoclonale specifico, è il neuroblastoma. Tutta la produzione di questo anticorpo è stata finanziata da charities. Abbiamo fatto un consorzio europeo perché, appunto, stiamo lavorando a livello europeo. Si sono messi insieme tra ricerca sul cancro francese e Fondazione neuroblastoma italiana con le altre varie fondazioni per finanziare la linea di produzione. È stato prodotto un anticorpo che adesso finalmente è stato comprato da una casa farmaceutica, che ce lo rivenderà a decine di migliaia di euro.
  Questo è un problema per tutta l'oncologia, ma soprattutto per quella pediatrica.

  CLAUDIO FAVRE, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze. Mi aveva chiesto dei fondi che arrivano al Meyer. Non lo so perché abbiamo una fondazione che gestisce i fondi e poi li distribuisce a seconda delle necessità dei vari centri del Meyer. Le volevo, però, assicurare che arrivano tanti ragazzini dalla Sicilia, dalla Calabria e da altri luoghi per i quali, oltre all'assistenza nell'ospedale, c'è anche una cura molto importante per l'aspetto sociale, per sistemare le famiglie nelle case e così via. Ecco, tutte queste cose sono gratis. Arrivano fondi anche dal sud, che vengono ricambiati.
  A volte, devono venire da noi o in altri centri perché non hanno possibilità sul posto. A dire il vero spesso c'è anche la cultura della mancanza di fiducia, quando invece ci sono dei colleghi molto bravi in Sicilia. Entrambi i centri sono buoni, come ha detto il professor Garaventa, per cui possono intervenire tranquillamente.
  L'aspetto della fine terapia e degli effetti collaterali è importante per le cliniche di transizione. Si parla tanto delle cliniche di transizione, cioè di passaggio del bambino che avrà dei problemi da adulto. Per ora siamo ancora noi a gestire questo aspetto, anche giustamente, ma l'importante è che si sappia che il bambino è guarito, ma con molti effetti collaterali.

  DONELLA MATTESINI. E a proposito dei palliativisti?

  CLAUDIO FAVRE, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze. Per quello ci stiamo organizzando. Pag. 16Tuttavia, qualcosa di più a livello universitario ci vorrebbe, anche e soprattutto nel senso di una specializzazione per l'onco-ematologia pediatrica. Ecco, io chiederei questo. Manca la specializzazione. A questo dovremmo fare attenzione.
  Comunque, l'anestesista palliativista, come succede al Meyer, ha un'unità operativa. Lo stesso potrebbe accadere anche nel territorio. Si devono specializzare di più sui bambini. Tuttavia, abbiamo fatto dei passi da gigante negli ultimi anni su questo, proprio per la collaborazione sul territorio tra i palliativisti dell'adulto e i pediatri degli ospedali periferici.

  PRESIDENTE. Prima di ringraziarvi e salutarvi, vorrei chiedere due semplicissime cose. Una riguarda il discorso del registro dei tumori. Due anni fa, feci una richiesta alle ASL della mia regione, l'Abruzzo, quindi L'Aquila, Teramo e Pescara. Alcuni mi hanno mandato dei dati segnalati in un certo modo, altri lacunosi e altri addirittura ancora non me li hanno mandati. Vi chiedo, allora, se questo potrebbe essere utile anche per intervenire come prevenzione.
  Ovviamente, noi siamo ben lieti e vi siamo grati di tutto il lavoro che viene fatto per chi purtroppo attraversa questi stati di difficoltà e affronta problemi di salute così pesanti e devastanti per la vita delle persone, sia per chi lo vive sia per i familiari che gli sono intorno, tuttavia credo che uno sguardo alla prevenzione vada dato proprio da chi ha già affrontato il dramma di chi vive queste situazioni.
  L'altro aspetto riguarda, invece, lo stato alcalino dell'essere umano. Ci sono studi notevoli sullo stato di alcalinità. L'università «La Sapienza» di Roma ha fatto ultimamente delle sperimentazioni che riguardano, appunto, cellule tumorali e hanno notato delle buone risposte in questo senso, cioè la cellula riesce ad avere una reazione importante rispetto alla presenza di alcalinità e non di acido.

  ALBERTO GARAVENTA, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova. Non sono un esperto di registri, però in AIEOP esiste un registro nazionale in cui viene annotato praticamente il 93 per cento dei casi occorsi in Italia. Questo è diverso, però, da un registro dei tumori su base territoriale: al momento ne esiste solo uno, ed è quello del Piemonte. So che stanno cercando di farne uno a Napoli. Peraltro, ho avuto una grossa querelle con il registro di Napoli perché mancano disposizioni normative in materia. Il registro tumori di Napoli chiede al Gaslini dati protetti dalla legge sulla privacy. Se il Garante venisse a sapere che vengono inviati tali dati, sarebbe un problema. In questo momento non esiste una legge sui registri, vi è l'impossibilità di avere dati dai vari ospedali.

  DONELLA MATTESINI. È una querelle su cui possiamo intervenire. Di questa cosa mi ero resa conto già quando abbiamo fatto la richiesta dei dati. Non c'era uniformità neppure di registrazione.

  ALBERTO GARAVENTA, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova. Non è un aspetto legato alla cattiveria o alla manica larga del singolo ricercatore, ma al fatto che si andrebbe contro la legge.

  PRESIDENTE. Bisognerebbe trovare una forma che tuteli la privacy nella circolazione dei dati, garantendo la possibilità di approfondire la ricerca.

  ALBERTO GARAVENTA, responsabile del Dipartimento di emato-oncologia pediatrica IRCCS dell'Istituto G. Gaslini di Genova. Esatto. Per quanto riguarda l'alcalinità, da un lato credo che, almeno in oncologia pediatrica, tutti questi aspetti richiedano un tempo ampio, che la cellula neoplastica dell'oncologia pediatrica non ha. Infatti, sono patologie che hanno un'evoluzione rapidissima, con un turnover estremamente alto per cui forse l'ambiente ha scarso significato.
  È comunque un argomento estremamente complesso. Ad esempio, nell'adulto stanno sviluppando dei protocolli sul digiuno, cioè si affama la cellula neoplastica Pag. 17e la si espone alla chemioterapia dopo averla affamata, ma questo è possibile laddove ci sono dei protocolli in cui è previsto un giorno di terapia. Si fanno due giorni di terapia e può funzionare. In oncologia pediatrica tutti i protocolli sono su 5-6 giorni di terapia. Non si può affamare per 5-6 giorni, così come, forse, alcalinizzare per 5-6 giorni diventa un problema.
  È un campo affascinante, ma su cui dobbiamo ancora lavorare molto.

  PRESIDENTE. Sì, più che altro perché oltre al discorso del simil-digiuno c'è anche l'aspetto dell'alimentazione. Ci sono alcuni alimenti che mantengono lo stato fisico del nostro benessere in condizioni di alcalinità piuttosto che di acidità. Forse mantenere quel livello di alcalinità può favorire. Credo, però, che su questo sia bene fare degli studi approfonditi, proprio perché possono aiutare dal punto di vista della reazione anche immunitaria.

  CLAUDIO FAVRE, direttore del Centro di oncologia ed ematologia pediatrica dell'Azienda ospedaliero universitaria Meyer di Firenze. Vorrei aggiungere che ci sono tanti studi su vari aspetti. Per esempio, un altro aspetto è che la cellula tumorale riesce a crescere in ipossia, cosa che la cellula normale non fa. Quindi, la cellula tumorale si crea degli spazi diversi. Gli aspetti sono molteplici.

  PRESIDENTE. A nome mio e di tutta la Commissione infanzia e adolescenza, salutiamo e ringraziamo il professor Claudio Favre e il professor Garaventa, rispettivamente degli Istituti oncologici Meyer di Firenze e Gaslini di Genova.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.

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ALLEGATO 1

Documentazione presentata dal professor Alberto Garaventa

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ALLEGATO 2

Documentazione presentata dal professor Claudio Favre

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