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Comunicati stampa

Intervento della Presidente della Camera, Laura Boldrini, al seminario sulla crescita promosso dal Parlamento italiano e dall'Ocse 'Reforms for growth in Europe' - Sala Koch, Senato della Repubblica

"E' un onore e un piacere ospitare presso il Parlamento italiano questo seminario che ci vedrà impegnati attorno al tema cruciale delle riforme necessarie per favorire la crescita in Europa. Questi due giorni di lavoro costituiscono una preziosa occasione per mettere a confronto punti di vista diversi intrecciando le competenze più tecniche e specialistiche dell'OCSE con le valutazioni più prettamente politiche dei parlamentari sulla questione che deve essere collocata al centro del dibattito pubblico nel nostro continente: la definizione di una strategia coerente ed efficace per consentire all'Europa nel suo complesso di ritrovare la strada dello sviluppo.

Gli ultimi sei anni sono stati fra i più duri per l'Europa: la crisi economico-finanziaria, esplosa negli Stati uniti, ha prodotto conseguenze particolarmente gravi e lunghe nei nostri Paesi. L'economia europea è entrata in una fase di stagnazione che in alcuni Stati membri ha assunto le caratteristiche di vera e propria recessione e ha prodotto pesanti riflessi sul piano sociale, aumentando tra l'altro in modo insopportabile le diseguaglianze. E' difficile negare, ad esempio, che ad alimentare orientamenti demagogici e antieuropeisti, e reazioni spesso apertamente xenofobe di fronte al fenomeno migratorio, contribuiscano anche l'aggravamento della situazione economica e sociale in tanti paesi europei, la perdita di posti di lavoro, la condizione di precarietà e di disagio in cui tanti cittadini europei sono costretti a vivere.

La crisi ha trovato l'Europa impreparata: i ritardi e le incertezze che hanno caratterizzato le risposte delle istituzioni europee appaiono evidenti appena si guarda a quello che è avvenuto altrove, alle reazioni di tutt'altro segno delle autorità statunitensi o giapponesi. L'Europa non ha saputo intuire la gravità della crisi, né trovare le soluzioni tempestive e più adeguate per farvi fronte. Siamo arrivati a un punto tale per cui non è più possibile continuare a coltivare l'illusione che si possa superare l'attuale situazione soltanto con limitati interventi mirati, dalla Youth Guarantee allo European Stability Mechanism e con misure emergenziali assunte fuori dalla cornice della normativa europea, come quelle meritoriamente messe in atto dalla Banca centrale europea.

L'Europa deve trovare il coraggio di guardare in faccia la realtà, di prendere atto che senza cambiamenti significativi il progetto dell'integrazione, uno dei risultati più alti del secondo dopoguerra, rischia di essere travolto dagli egoismi e dalla sfiducia generalizzata, e che la stessa legittimazione del sistema europeo può essere rimessa in discussione. Serve un europeismo realistico, moderno e non ideologico che sottolinei la necessità di superare gelosie e pretese egemoniche. Le dimensioni delle prove da affrontare, in uno scenario globale contraddistinto da una accelerazione delle dinamiche economiche e dal rafforzamento della competizione, richiedono necessariamente all'Europa di far progredire ulteriormente il percorso di integrazione. Nessuno degli Stati membri può illudersi infatti di fronteggiare da solo la forza d'urto della concorrenza delle cosiddette economie emergenti - a partire da quella cinese! - ovvero governare in solitudine fenomeni complessi come i flussi di migranti provenienti dai Paesi degli altri continenti.

Si tratta a quest'ultimo riguardo di una sfida globale che necessita di un approccio condiviso da parte di tutti gli Stati dell'Unione Europea; un approccio che eviti di alimentare paure e tensioni e che invece sappia riconoscere il valore fondamentale del diritto di asilo e del principio di accoglienza come cifra irrinunciabile dei nostri Paesi; un approccio, poi, che sappia cogliere altresì le opportunità e gli effetti positivi sul piano economico e di sostenibilità complessiva dei nostri sistemi che si possono creare attraverso il contributo di lavoratori immigrati. Tra i fattori strutturali delle difficoltà dell'Europa vi è infatti ad esempio, a mio giudizio, il processo di invecchiamento del nostro continente e la difficoltà che ne consegue di rimodellare e aggiornare i modelli di welfare in termini meno sbilanciati, in modo da favorire un equilibrio intergenerazionale. Affrontare tali questioni attraverso la lente della contrapposizione tra rigoristi e fautori di un allentamento delle regole del Patto di stabilità è ovviamente riduttivo: lo sforzo culturale che dobbiamo fare è quello di evitare di banalizzare questioni oggettivamente complesse e ragionare insieme su strategie compiute che tocchino tutti gli aspetti del problema.

Le istituzioni europee sollecitano gli Stati membri a realizzare riforme comunemente definite come 'strutturali'. E' tuttavia necessario che queste riforme siano ben costruite, in modo da rivelarsi utili ad incidere effettivamente sui fattori di criticità che frenano la crescita, evitando di perseguire politiche che si limitano a ridurre le tutele e il costo del lavoro. Costituirebbe infatti un errore gravissimo inseguire le cosiddette economie emergenti con interventi al ribasso sul fattore lavoro quando invece uno dei requisiti indispensabili per recuperare competitività e produttività è proprio la valorizzazione del capitale umano e la qualificazione del lavoro. E' poi evidente che le politiche europee per l'innovazione, la ricerca e, più in generale, a sostegno dello sviluppo, se non sono supportate da finanziamenti adeguati, rischiano di restare obiettivi astratti in quanto finiscono per rimettere a ciascuno Stato membro la responsabilità di farvi fronte.

La conseguenza è che i Paesi più impegnati nei programmi di risanamento della finanza pubblica debbono rinunciarvi, non disponendo di margini di intervento sufficienti. Dobbiamo quindi fare uno sforzo collettivo per trovare soluzioni originali: esperti e politici sono chiamati a misurarsi con una realtà che non corrisponde alle analisi che erano state fatte fino a qualche anno fa e le ricette messe in campo non si sono rivelate efficaci. Si tratta di un lavoro difficile ma che può rivelarsi gratificante: l'innovazione richiede, infatti, quale presupposto imprescindibile, un ambiente aperto e fertile, la disponibilità a liberarsi di paradigmi logorati e la voglia di mettersi alla prova per realizzare obiettivi comuni.

Tra questi obiettivi, il principale, quello da cui dovremmo partire, è quello costitutivo dell'Unione europea: lo sviluppo sostenibile. Sostenibile sul piano sociale, sostenibile sul piano economico, sostenibile sul piano ambientale, sostenibile sul piano delle tutele e dei diritti. E' questa la sfida che ci si pone davanti per rinnovare il disegno di integrazione europea. Sono sicura che anche dal confronto di oggi emergeranno stimoli e contributi di idee e proposte utili ad aprire una nuova fase".

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