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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 13 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 3 della Costituzione afferma che tutti i cittadini, senza distinzione di alcun tipo sono uguali davanti alla legge (uguaglianza formale, comma 1) e impegna lo Stato a rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano l'eguaglianza dei cittadini per varie ragioni, comprese quelle che riguardano la loro salute (uguaglianza sostanziale, comma 2); in tal modo la Costituzione sancisce che «tutti i cittadini hanno pari dignità», intendendo la dignità umana come fondamento costituzionale di tutti i diritti, collegati allo sviluppo della persona, principio cardine dell'ordinamento democratico, su cui si fonda il valore di ogni essere umano; a tale riguardo è d'obbligo precisare che il bene «Salute» è tutelato dall'articolo 32, primo comma della Costituzione, non solo come diritto fondamentale dell'individuo, ma anche come interesse della collettività, per questo richiede piena ed esaustiva tutela in quanto diritto primario ed assoluto pienamente operante anche nei rapporti tra privati;
    al di là delle mere affermazioni di principio, appare evidente che occorre dare a tutti le stesse opportunità e rimuovere i fattori di disparità sociale, territoriale ed economica esistenti. Tale criticità appare maggiormente complessa se applicata al contesto delle malattie rare. Le «malattie rare» sono patologie debilitanti e fortemente invalidanti, potenzialmente letali, caratterizzate da bassa prevalenza ed elevato grado di complessità; in gran parte di origine genetica, circa nell'80 per cento dei casi, mentre per il restante 20 per cento dei casi sono acquisite e comprendono anche forme tumorali rare, malattie autoimmuni, patologie di origine infettiva o tossica;
    ai sensi del Regolamento CE n. 141/2000 e precedenti normative, sono considerate rare quelle patologie «la cui prevalenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti». In Italia si calcola una stima approssimativa di circa 2 milioni di malati, moltissimi dei quali in età pediatrica. Se si raffronta questo dato con quello dei 27 Stati membri dell'Unione europea, si nota che per ciascuna popolazione ci sono 246.000 malati. Oggi, nell'Unione europea, le 5.000-8-000 malattie rare esistenti colpiscono complessivamente il 6-8 per cento della popolazione, ossia da 27 a 36 milioni di persone;
    lo slogan utilizzato dalle loro associazioni afferma: «le malattie sono rare, ma noi siamo tanti!» l'arbitraria definizione di «rara» infatti non ha favorito il processo di ricerca e di attenzione sulle cause di tali patologie, frenando gli investimenti sia in campo diagnostico che terapeutico, per cui se da un lato sono pochi i centri in cui è possibile ottenere in tempi contenuti una diagnosi esatta, è complessivamente scarsa anche la ricerca per la produzione di nuove molecole, con conseguenti ritardi nella diagnosi e nelle cure;
    il decreto del Ministro della sanità 18 maggio 2001, n. 279 (recante «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie») reca, all'allegato 1, l'elenco delle malattie rare riconosciute dal Servizio sanitario nazionale; il decreto prevede un costante aggiornamento sulla base dell'evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche;
    contemporaneamente all'Unione europea, anche l'Italia, a partire dal 1999, ha identificato nelle malattie rare un'area di priorità in sanità pubblica; ha esplicitato priorità ed obiettivi da raggiungere ed è intervenuta con un provvedimento specifico, il decreto ministeriale n. 279 del 2001 – «Regolamento d'istituzione della Rete Nazionale delle Malattie Rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie. Le regioni italiane, trasferita loro la competenza in tema di programmazione ed organizzazione sanitaria, hanno preso in carico l'applicazione della normativa nazionale. Con la modifica del titolo V della Costituzione si sono creati 21 sistemi sanitari regionali con una disparità di trattamento per i pazienti, sulla base della semplice appartenenza regionale sul territorio nazionale;
    il regolamento (CE) n. 141/2000 stabilisce i criteri per l'assegnazione della qualifica di medicinali orfani nell'Unione europea e prevede incentivi per stimolare la ricerca, lo sviluppo e la commercializzazione di farmaci per la profilassi, la diagnosi o la terapia delle malattie rare; con determinazione del 20 marzo 2008, l'AIFA-Agenzia Italiana del Farmaco, ha stabilito le «Linee guida per la classificazione e conduzione degli studi osservazionali sui farmaci»;
    ad oggi in Italia, nonostante un accordo Stato-regioni datato 8 luglio 2010, non esiste una normativa adeguata a sostegno dei malati e delle loro famiglie, che incontrano enormi difficoltà di carattere economico assistenziali, soprattutto per ciò che concerne la terapia domiciliare che si somma alla grave carenza di strutture e farmaci adeguati alla cura di tali patologie;
    in Francia il Piano nazionale per le malattie rare, in vigore già dal 1994, prevede l'ATU-Autorizzazione temporanea di utilizzo dei farmaci, con lo scopo di garantire l'accesso alle cure da parte dei pazienti e l'utilizzo di un farmaco orfano e/o destinato alla cura di malattie rare o gravi, prima che abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio, purché il farmaco sia in fase di sviluppo avanzato e non vi sia una valida alternativa terapeutica con un farmaco regolarmente autorizzato;
    lo schema dell'ATU applicato ai farmaci destinati alla cura di malattie rare o orfane o gravi, consentirebbe ai pazienti di avere a disposizione tali farmaci con largo anticipo rispettò ai tempi necessari alla conclusione degli studi clinici ed all'ottenimento dell'autorizzazione alla commercializzazione; alla insistenza delle famiglie occorre rispondere con la dovuta solidarietà, ma anche con la indispensabile razionalità nella valutazione dei processi e delle procedure;
    la recente vicenda di Stamina, pur nella massima comprensione verso il disagio e la sofferenza dei bambini malati e dei loro genitori, richiede una chiara messa a fuoco del problema, perché – come ricorda un folto gruppo di scienziati italiani ed internazionali – in un appello recentemente pubblicato sulle principali testate giornalistiche: «scegliere per sé una terapia impropria, o anche solo immaginaria, rientra tra i diritti dell'individuo. Non rientra tra i diritti dell'individuo decidere quali terapie debbano essere autorizzate dal Governo, e messe in essere nelle strutture pubbliche o private. Non rientra tra i compiti del Governo assicurare che ogni scelta individuale sia tradotta in scelte terapeutiche e misure organizzative delle strutture sanitarie. Non sono le campagne mediatiche lo strumento in base al quale adottare decisioni di carattere medico e sanitario»;
    il decreto Balduzzi (...) recentemente approvato all'unanimità dal Parlamento propone una sperimentazione controllata e selettiva, anche con metodi non convenzionali, purché siano chiaramente identificati sia il metodo che il prodotto somministrato dalla Fondazione Stamina ai pazienti (cellule staminali mesenchimali). Unica condizione che la produzione delle cellule staminali avvenga sotto il controllo dell'Istituto superiore della sanità e dell'AIFA in laboratori accreditati per il trattamento delle cellule staminali. Il Ministero della salute destina a questa sperimentazione 3 milioni di euro,

impegna il Governo:

   a verificare in che modo e fino a che punto ci si prende cura dei bisogni delle persone affette da malattie rare, tenendo conto che sono spesso lasciate sole anche dal Servizio sanitario nazionale e in questo momento di crisi economica del Paese sono ulteriormente penalizzati;
   ad istituire a livello nazionale e promuovere a livello regionale, i registri delle patologie di rilevante interesse sanitario, in modo da fare chiarezza sul numero reale di pazienti che ne sono affetti, consentendo l'utilizzo mirato delle risorse pubbliche;
   a dare una definizione tempestiva delle «malattie rare» da includere nell'elenco delle patologie da sottoporre a screening neonatale obbligatorio, posto che la diagnosi neonatale consentirebbe, infatti, di iniziare precocemente, ove fosse disponibile, la terapia riducendo i danni derivati dalla patologia;
   ad istituire il Comitato nazionale delle malattie rare, presso il Ministero della salute, tenendo conto nella composizione dei rappresentanti delle regioni, dell'Istituto superiore della sanità e delle associazioni di tutela dei malati, nonché dei rappresentanti dei ministeri competenti in merito (salute, pubblica istruzione, università e ricerca, politiche per la famiglia, solidarietà sociale);
   ad assumere la copertura finanziaria della legge n. 648 del 1996 al fine di permettere un più ampio e veloce accesso a cure innovative, non ancora approvate in Italia, mantenendo un criterio di equità tra le diverse patologie;
   ad attuare ogni disposizione normativa atta a rendere vincolante la valutazione dell'EMA, European Medicines Agency considerato che la norma prevede che il farmaco che ha ricevuto la qualifica di «medicinale orfano», possa beneficiare di una procedura accelerata di autorizzazione, una volta accertata la sicurezza del principio attivo, e nel rispetto delle aspettative del paziente, che potrà beneficiare di un trattamento senza dover aspettare la conclusione dei normali procedimenti autorizzativi;
   a varare misure che consentano di assicurare ai farmaci orfani, sul modello vigente negli USA: l'esenzione dei diritti da versare per l'immissione in commercio; una procedura di registrazione accelerata; un credito di imposta pari al 50 per cento delle spese sostenute per la sperimentazione clinica; un periodo di esclusività di mercato di sette anni;
   ad assicurare su questi temi una tempestiva e qualificata comunicazione con l'opinione pubblica attraverso i media per evitare il diffondersi di false teorie, di false aspettative e di ingiustificati timori.
(1-00094) «Binetti, Balduzzi, Vargiu, Gigli, Cera, Cesa, Vecchio, Cirielli, Gullo, Locatelli».


   La Camera,
   premesso che:
    sono state presentate proposte di Regolamento della nuova programmazione comunitaria 2014-2020;
    sono state diffuse le prime ipotesi di attribuzione delle risorse del bilancio comunitario, per le politiche di coesione 2014/2020 in riferimento ai programmi operativi regionali ed alle ripartizioni di regioni;
    le regioni Molise, Abruzzo, Basilicata e Sardegna appartengono alla nuova categoria delle cosiddette regioni in «transizione», definite come quelle il cui PIL pro-capite si colloca tra il 75 per cento e il 90 per cento del PIL pro capite medio UE27, in posizione intermedia tra le regioni meno sviluppate e quelle più sviluppate;
    l'introduzione della categoria delle regioni in «transizione» è stata voluta dalla Commissione europea proprio per «attenuare la cesura tra la categoria di regioni meno sviluppate e più sviluppate e garantire un trattamento più equo per le regioni con livelli di sviluppo simili»;
    dalle prime simulazioni sulle risorse finanziarie spettanti, i plafond delle quattro regioni potrebbero risultare notevolmente inferiori, in misura pari anche ad oltre il 40 per cento, rispetto alle assegnazioni del periodo 2007-13, con grave pregiudizio particolarmente in un momento in cui, per fronteggiare la conclusione presunta della crisi, vi è necessità di grandi investimenti anche anticiclici in ricerca ed innovazione, infrastrutture e lavoro;
    tale scenario finanziario esprimerebbe una gravissima difficoltà per le quattro regioni in transizione al momento più vicine per parametri significativi alle regioni meno sviluppate del mezzogiorno per le quali è prevista una posta finanziaria per abitante notevolmente più significativa;
    va rilevata la necessità di assicurare che alle regioni in «transizione» siano riservate risorse congruenti con il loro stato, nel rispetto della normativa e delle limitazioni finanziarie e settoriali della Commissione europea, e che siano considerati in modo appropriato i fabbisogni da colmare,

impegna il Governo:

  ad adottare ogni iniziativa utile a risolvere le criticità fin qui esposte attraverso interventi specifici in termini di compensazione che potrebbero essere articolati a mero titolo esemplificativo e non esaustivo mediante:
   a) appostamento di idonee risorse nazionali compensative, anche in termini di maggiore cofinanziamento nazionale dei Programmi operativi regionali;
   b) riequilibrio compensativo finanziario su linee di intervento non vincolate da limitazioni, quali la cooperazione territoriale e/o le opzioni strategiche;
   c) finanziamento di idonei programmi specifici, del modello dei programmi attuativi interregionali riservati attraverso risorse non confliggenti con le ripartizioni e limitazioni dei fondi comunitari per le politiche di coesione 2014-20 alle quattro regioni in transizione di provvista finanziaria e/o di valore aggiunto idoneo a compensare i prevedibili effetti rappresentati.
(1-00095) «Leva, Amendola, Scanu, Folino, Venittelli, Castricone, Ginoble, Amato, D'Incecco, Lattuca».


   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 28/2009/CE «del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE è parte integrante del pacchetto legislativo sull'energia e sul cambiamento climatico che fissa gli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra;
    la direttiva pone come obiettivi prioritari la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, la riduzione dei costi dell'energia, la riduzione dell'emissione di gas clima-alteranti con finalità di tutela ambientale, il miglioramento della competitività dell'industria manifatturiera, lo sviluppo sostenibile e la promozione di filiere tecnologiche innovative;
    la Commissione europea attraverso la relazione al Consiglio e al Parlamento Europeo sui criteri di sostenibilità relativamente all'uso di fonti da biomassa solida e gassosa per l'elettricità, il riscaldamento e il raffreddamento (COM 10), al fine di porre in essere misure efficaci nella gestione dei problemi legati all'uso sostenibile della biomassa, ha enunciato, fra l'altro, l'imprescindibilità della conservazione degli habitat e della biodiversità, la gestione e l'uso delle risorse idriche per prevenire ed attenuare i cambiamenti climatici così come prevede il principio di condizionalità che vige nella politica agricola europea (PAC);
    la necessità di ribadire tale principio si era resa necessaria alla luce del fatto che la biomassa prodotta e usata a scopi energetici aveva registrato un costante e crescente aumento ed il relativo mercato fosse destinato a svilupparsi fortemente negli anni successivi;
    in tale direzione il legislatore delegato con decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 recante: «Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE» aveva individuato dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti utilizzati nei trasporti e i bioliquidi utilizzati per la produzione di energia elettrica, termica o per il raffrescamento che imponevano, tra gli altri, la valutazione della riduzione delle emissioni di gas a effetto serra o la produzione di biocarburanti a partire da materie prime ottenute su terreni che non presentano un elevato valore in termini di biodiversità;
    sul tema delle biomasse diverse dai bioliquidi e dai biocarburanti è intervenuto l'articolo 8 del decreto 6 luglio 2012 del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente, prevedendo disposizioni specifiche al fine di determinare la tariffa incentivante di riferimento solo per impianti alimentati da biomassa, biogas (e bioliquidi) definiti sostenibili sulla base dei criteri individuati dal comma 4 del medesimo articolo;
    la già citata relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sui criteri di sostenibilità stabilisce, oltretutto, che gli Stati membri dovrebbero, nell'ambito dei propri sistemi di sostegno per gli impianti di produzione di elettricità, riscaldamento e raffreddamento, «privilegiare gli impianti che conseguono elevati valori di efficienza della conversione energetica, come gli impianti di cogenerazione ad alta efficienza, così vengono definiti dalla direttiva sulla cogenerazione»;
    tali orientamenti partono dal presupposto, riportato nella medesima relazione richiamata, che la cogenerazione, ovvero la produzione di elettricità e calore, e gli impianti di riscaldamento distrettuale consentono di raggiungere valori di efficienza compresi fra l'80 e il 90 per cento, mentre le grandi centrali elettriche e gli inceneritori di rifiuti su larga scala permettono di registrare valori di efficienza compresi fra il 10 e il 35 per cento;
    risulta, pertanto, che vi è un potenziale significativo di riduzione del consumo energetico attraverso un aumento dell'efficienza;
    la giurisprudenza costituzionale ha, nel corso degli anni, evidenziato la supremazia della conservazione dell'ambiente rispetto alla produzione di energia, sebbene prodotta da fonti rinnovabili;
    la sentenza della Corte costituzionale n. 364 del 2006 ha, infatti, stabilito, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 1, della legge della regione Puglia 11 agosto 2005, n. 9 che «la produzione di energia da fonti rinnovabili è un'esigenza finalizzata alla salvaguardia e alla tutela dell'ambiente»;
    la sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 2009 ha evidenziato come la promozione delle fonti energetiche rinnovabili è finalizzata «alla protezione dell'ambiente e allo sviluppo sostenibile»;
    la sentenza della Corte costituzionale n. 124 del 2010 ha, infine, ribadito il legame tra produzione di energia da fonti rinnovabili e il rispetto degli impegni internazionali ed europei assunti dall'Italia in relazione alla tutela dell'ambiente;
    risulta che ad oggi in Italia sono sorti impianti energetici alimentati a biomasse e biogas in oltre 1400 comuni, per una potenza efficiente lorda totale di oltre 3,8 giga watt alla fine del 2012 (fonte: GSE), più che raddoppiata dal 2008;
    gli impianti sono di varia natura e potenza elettrica nominale, in maggioranza di 0.99 mega watt, alimentati da biomasse, in particolare biogas da mais o altri insilati mescolati in varia percentuale con reflui zootecnici e in minor misura da biomasse legnose, scarti di macello, olio o altro materiale;
    molti impianti sono già in costruzione o terminati;
    la valutazione di sostenibilità economica e ambientale dei nuovi impianti a fonti rinnovabili è stata spesso parziale;
    in particolare gli impianti a biomasse e biogas, pur basandosi su fonti rinnovabili, sono caratterizzati da significativo impatto ambientale: emissioni di circa 10 tonnellate annue di ossidi di azoto (NOx) in atmosfera per impianto a biogas da 1 MW di energia di picco (30 tonnellate di NOx per analogo impianto a biomasse legnose), emissioni importanti di ossidi di zolfo (SOx) e altri gas con i noti effetti sull'incremento del particolato secondario (PM2.5 in particolare), senza contare le emissioni dirette ed indirette legate a produzione agricola, irrigazione, trasporto dei materiali, spandimento dei digestati nel caso del biogas, rischio di depauperamento dei suoli agricoli che dovranno accogliere il digestato ricco di azoto e povero di carbonio e il rischio di peggioramento dell'eutrofizzazione delle falde acquifere;
    molti degli impianti sorti negli ultimi 4 anni non utilizzano reflui ma colture dedicate, sottratte al consumo alimentare umano e animale con un consumo di territorio di 400 ettari per ogni mega watt di energia (impianti a biogas, di solito basati sulla digestione anaerobica del mais, per la maggiore resa energetica rispetto a letame o altri reflui);
    risulta che gli impianti che utilizzano biomasse legnose spesso impiegano materia prima proveniente dall'estero, ricadendo nella spirale della dipendenza da altri Stati e incrementando i costi economici e ambientali legati al trasporto e alla gestione della materia prima;
    le medesime criticità emergono a riguardo degli impianti che utilizzano olio di palma o di colza. Gli impatti ambientali sono aggravati da preesistenti problematiche (sforamento dei limiti delle polveri sottili oltre 35 giorni all'anno, desertificazione) e sono inaccettabili in realtà dove la produzione energetica supera di molte volte i consumi;
    il bilancio economico di molti impianti a biomasse e biogas sarebbe in molti casi negativo in mancanza degli incentivi statali e questo deve suggerire cautela in merito alla prosecuzione degli incentivi senza dare ordine al settore;
    le procedure autorizzate per tale tipologia di impianti non tengono nella debita considerazione l'adozione di criteri di sostenibilità ambientale ed energetica calcolabili mediante indicatori che considerino il ciclo vita delle produzioni energetiche (EROI, LCA). Non tengono inoltre in considerazione l'influenza della potenza (dimensione) dell'impianto, la distanza minima dai centri abitati con annessi parametri dell'impatto odorigeno sui cittadini, le emissioni inquinanti totali verso atmosfera, suolo (digestato o altro refluo), acque superficiali e di falda, così come la gestione dei nitrati;
    non è stato differenziato il contributo in base alla sostenibilità degli impianti stessi, alla resa energetica e alla percentuale di cogenerazione;
    non è stato preso in considerazione che l'utilizzo di colture dedicate è legato a fenomeni emissivi diretti, dovuti alla produzione agricola, ed indiretti, emissioni associate al cambiamento indiretto della destinazione dei terreni (ad esempio emissioni da mais ad uso alimentare prodotto in sostituzione di quello impiegato ad uso energetico);
    non sono state valutate eventuali situazioni sfavorevoli ambientali preesistenti e impianti energetici già in funzione nell'area già oltre il consumo locale;
    un'azienda agricola di medie-grandi dimensioni può produrre reflui che possono alimentare un impianto della potenza di circa 0.05 mega watt di energia, a differenza degli impianti che stanno sorgendo su tutto il territorio nazionale con finalità, secondo i firmatari, speculative, in aziende che non si autoalimentano da reflui e che hanno percentuale energetica inferiore al 5 per cento di autoconsumo;
    la legislazione attuale è flessibile in merito alla sostituzione delle materie prime in entrata: il mais da immettere nei digestori (in caso per esempio di costi eccessivi) può essere rimpiazzato da rifiuto urbano o scarti di macelleria con incremento delle sostanze tossiche emesse in impianti che, peraltro, sorgono anche a poche decine di metri dalle abitazioni ed in molti casi non prevedono il riutilizzo dell'energia termica (cogenerazione) in percentuale significativa;
    in un'ottica di volontà di riduzione delle emissioni inquinanti (dal primo gennaio 2015 – direttiva europea 2008/50 – gli sforamenti delle polveri sottili saranno sanzionate dalla UE), di risparmio energetico, di miglioramento della resa energetica e della cogenerazione, di controllo della spesa corrente al fine di reperire risorse, gli oltre 4.5 miliardi di euro annui spesi in questo specifico settore delle fonti rinnovabili per gli incentivi e i circa 15 miliardi di euro già spesi per l'impiantistica vanno stigmatizzati;
    è necessario un intervento normativo ed amministrativo sulla materia per evitare che a fronte di una scarsa produzione energetica si continui a caricare ulteriormente la bolletta energetica del cittadino e si peggiorino le notevoli criticità ambientali e sanitarie presenti nel nostro Paese. Si rammenta che la potenza attuale da energia solare fotovoltaica ha superato al 31 dicembre 2012 i 16 giga watt di picco, con un impatto molto minore sull'ambiente e un rapporto fra energia prodotta e consumata nel ciclo di vita degli impianti di 8,85 (indice EROI variabile da 5,9 + 11,8 a seconda della tipologia di pannello) contro un rapporto per un impianto a biomasse o biogas medio di 4 (3 + 5 in funzione della tipologia e del contenuto di biomassa coltivata),

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative volte a verificare, anche attraverso ispezioni, nei limiti delle proprie competenze, gli impianti a biomassa già operanti sul territorio nazionale affinché essi non producano inquinamento dell'aria, dei suoli (chimico e biologico), acustico, odorigeno e dell'acqua di falda con particolare riferimento alle zona abitate ricomprese nel raggio di 3 chilometri da ciascun impianto, alla movimentazione dei materiali in entrata e in uscita dagli impianti e con particolare riferimento alle fonti di finanziamento delle società di gestione degli impianti;
   ad esercitare l'attività di monitoraggio sulla corretta applicazione delle «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» di cui al decreto ministeriale Sviluppo economico del 10 settembre 2010, con specifico riferimento all'individuazione di aree non idonee alla realizzazione di impianti a biomasse affinché le autorizzazioni all'esercizio degli impianti a biomassa rilasciate dalla regione o dalla provincia delegata siano state assunte nel rispetto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, della valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, della tutela della biodiversità e del patrimonio culturale e del paesaggio rurale;
   a verificare, sui medesimi presupposti normativi sopra richiamati che le regioni e le province autonome abbiano proceduto prioritariamente all'individuazione delle aree non idonee alla installazione di specifiche tipologie di impianti sulla base dei criteri tecnici oggettivi legati alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale;
   ad intervenire con le opportune iniziative normative ed amministrative affinché, quale espressione di principi fondamentali dello Stato, siano emanate nuove «Linee guida per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione per i nuovi impianti alimentati da fonti rinnovabili», e sia disposta la parziale o totale modifica del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, di attuazione della direttiva 2001/77/Ce relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, con l'obiettivo di prevedere che non vengano realizzati impianti a biogas o biomasse di qualsiasi potenza nei comuni dove già ne sussistano, che gli impianti autorizzati abbiano una potenza massima 0.1 mega watt, che siano utilizzati reflui per oltre il 90 per cento, che sia garantito il monitoraggio precedente e successivo alla realizzazione degli impianti sia della qualità dell'aria nel raggio di 3 chilometri (a varie distanze) dall'impianto, sia della qualità dei suoli alla luce della potenziale presenza di contaminanti chimici e biologici), sia della qualità dell'acqua di falda attraverso il rispetto della distanza minima di 2.5 chilometri dai centri abitati e che siano autorizzati impianti solo in aree dove un ipotetico piano energetico locale individui necessità energetiche locali non soddisfatte da altre fonti rinnovabili meno impattanti.
(1-00096) «Zolezzi, Terzoni, Busto, De Rosa, Daga, Mannino, Segoni, Tofalo, Vignaroli, Zaccagnini, Alberti, Agostinelli, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    l'attuale istituto del Servizio civile nazionale affonda le radici nelle lotte per il diritto all'obiezione di coscienza, che videro un primo riconoscimento da parte del Governo con l'approvazione della legge n. 772 del 1972 «Norme in materia di obiezione di coscienza». Tale legge introdusse per i giovani richiamati al servizio di leva la facoltà di dichiararsi obiettore di coscienza per motivi morali, religiosi e filosofici ed istituì il servizio sostitutivo civile alternativo al servizio militare e, quindi, parimenti rispondente al dovere di servire la Patria;
    con la legge n. 230 del 1998 l'obiezione di coscienza fu finalmente riconosciuta quale diritto soggettivo del cittadino nell'ambito del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e dalla convenzione internazionale sui diritti civili e politici. La stessa legge sanciva che il servizio civile, diverso per natura e autonomo dal servizio militare, rispondesse parimenti al dovere costituzionale di difesa della Patria e fosse ordinato ai fini enunciati nei «Principi fondamentali» della Costituzione;
    la legge n. 230 istituì altresì l'Ufficio nazionale per il servizio civile nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri, sottraendo la gestione del servizio civile al Ministero della difesa. Nacque anche il Fondo nazionale per il servizio civile – per la gestione dei fondi necessari al funzionamento del servizio civile – e la Consulta nazionale per il servizio civile, quale «organismo permanente di consultazione, riferimento e confronto» per l'ufficio nazionale composta da rappresentanti delle amministrazioni centrali dello Stato, dai maggiori enti di servizio civile, dalla rappresentanza dei comuni italiani e dalle associazioni rappresentative degli obiettori; successivamente la consulta fu integrata da un rappresentante delle regioni e delle province autonome, designato dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (decreto legislativo n. 77 del 2002) e dai rappresentanti dei volontari in servizio civile, che hanno sostituito i rappresentanti degli obiettori. Attualmente la Consulta, soppressa dai tagli del 2012, è stata ricostituita con costi zero ed include 15 membri, tra cui rappresentanti dei volontari, degli enti, dei comuni italiani, delle regioni e province autonome e del dipartimento nazionale di protezione civile;
    il 6 marzo 2001 con la legge n. 64 nasce il Servizio civile nazionale, a base volontaria, che ha convissuto con il servizio sostitutivo civile obbligatorio fino al giugno 2005. Il Servizio civile nazionale, nella prima fase, è stato aperto a uomini e donne, cittadini italiani tra i 18 e i 26 anni e poi esteso fino 28 anni compiuti;
    la prima fase del servizio civile volontario iniziò con il significativo ingresso delle donne: nel dicembre del 2001, infatti, i primi progetti videro l'impiego di 180 donne e 1 uomo (i maschi erano ancora in gran parte obbligati ai servizio di leva);
    secondo la legge n. 64 del 2001 il Servizio civile nazionale è finalizzato a (articolo 1):
     a) concorrere, in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari;
     b) favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale;
     c) promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale ed internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli;
     d) partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l'aspetto dell'agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile;
     e) contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti ed amministrazioni operanti all'estero;
    la partecipazione all'interno del servizio civile nazionale crebbe dai 181 ragazzi e ragazze avviati nel 2001 fino ai 45.890 del 2006. Il Governo, infatti, sostenne il servizio civile nazionale aumentando le risorse e il numero di posti con un trend positivo fino al 2006, quando si giunse a 57.119 posti messi a bando e 45.890 volontari avviati al servizio. Dal 2007 le risorse dedicate al servizio civile nazionale sono invece andate verso un continuo decrescendo, fino alla mancata promulgazione del bando ordinario 2012, alla previsione di stanziamenti per soli 15.000 volontari per l'anno in corso e ad una più generale situazione di incertezza per l'esistenza stessa del servizio civile nazionale;
    nel 2006, con l'entrata in vigore del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77 anche le regioni e province autonome entrarono a far parte del meccanismo di gestione del servizio civile nazionale. Parallelamente le regioni iniziarono anche un percorso autonomo con la promulgazione di leggi regionali per un servizio civile regionale, con caratteristiche e, talvolta, finalità diverse da quello nazionale;
    l'articolo 9 della legge n. 64 del 2001 prevede, inoltre, la possibilità per i giovani volontari di prestare servizio anche presso «enti e amministrazioni operanti all'estero, nell'ambito di iniziative assunte dall'Unione europea, nonché in strutture per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dalla stessa Unione europea o da organismi internazionali operanti con le medesime finalità ai quali l'Italia partecipa». Dal 2001 ad oggi 3.782 volontari hanno operato in diversi Paesi dell'Europa, dell'Africa, dell'Asia, dell'Oceania e dell'America Latina, prevalentemente nel settore della cooperazione, dell'assistenza e dell'educazione;
    queste esperienze e un comune percorso sul servizio civile avviato in altri Paesi europei hanno portato nel 2009 ad elaborare il progetto sperimentale europeo «European Civic Service: A Commom Amicus», con lo scopo di stimolare la nascita di un modello europeo di servizio civile. Questa rimane, ad oggi, una sfida aperta;
    il 13 settembre 2011 è stato infine pubblicato il bando speciale a 6 volontari da impiegare nel progetto sperimentale: «Caschi bianchi: oltre la vendetta», proposto dal Comitato per la difesa non armata e non violenta (DCNAN). Il Comitato DCNAN è stato soppresso in seguito alla spending review del 2012;
    il Servizio civile nazionale ha dato, inoltre, in diverse occasioni un contributo a risollevare la situazione di zone colpite da catastrofi naturali, mettendo in campo volontari tramite bandi speciali (Abruzzo 2009, Emilia-Romagna 2012);
    il servizio civile è l'unica forma istituzionale di difesa della Patria non armata e non violenta (articolo 52 della Costituzione italiana) e il suo valore educativo porta i giovani a sperimentare e praticare con maggior consapevolezza la cittadinanza attiva, sviluppando il senso civico ed una maggiore percezione dei valori democratici, ad aiutare la categorie più vulnerabili dei cittadini (persone con disabilità, cittadini stranieri, bambini in situazioni difficili, malati terminali, e altri) nonché ad aiutare a salvaguardare il patrimonio artistico, culturale ed ambientale dello Stato;
    nonostante il ruolo strategico di strumento utile alla coesione sociale, all'educazione alla partecipazione delle nuove generazioni, alla formazione personale e professionale dei giovani nonché ad un loro orientamento verso il mondo del lavoro, questo Istituto della Repubblica non ha ricevuto un adeguato finanziamento da parte dello Stato che permettesse la partecipazione di tutti quei giovani che ne facessero richiesta, evitando quindi il rischio di creare l'ennesima occasione d’élite, anzi i tagli lineari praticati negli ultimi anni dai Governi si sono abbattuti anche sul servizio civile che ha visto le proprie risorse ridursi drasticamente: dai 299 milioni di euro del 2008, ai 170 milioni di euro nel 2009, ai 100 milioni nel 2010-2011, ai 68 milioni nel 2012 con conseguente riduzione dei giovani che vi hanno potuto partecipare (dai 51.273 posti disponibili nel 2007, ai 20.157 posti disponibili nel 2011);
    il 2012 è stato un anno particolarmente travagliato per la sopravvivenza del servizio civile giacché la carenza di fondi non ha reso possibile la pubblicazione di alcun bando per i volontari portando quindi a zero il contingente;
    per il 2013 la legge di stabilità ha stanziato 71 milioni di euro, più altri finanziamenti dovrebbero derivare dalla divisione dell'esiguo fondo pari a 16 milioni di euro previsto dall'articolo 1, comma 270, sempre della legge di stabilità (legge 24 dicembre 2012 n. 228) fra le finalità di cui all'elenco 3 dello stesso comma; a questi finanziamenti si dovrebbero aggiungere i circa 50 milioni di euro reperiti dal Ministro per la cooperazione internazionale e l'integrazione pro tempore Riccardi, che consentirebbe di garantire per il 2013 18.800 posti;
    da una prima analisi predisposta dagli uffici competenti, come confermato dal nuovo Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, calcolando la spesa unitaria di ogni volontario, più le spese di gestione si immagina che potranno essere avviati circa 15.000 ragazzi più 450 all'estero per il bando 2013 del servizio civile, che visti i ripetuti ritardi nello stanziamento dei fonti, non partiranno prima del gennaio 2014, lasciando scoperto in sostanza tutto il 2013 arrestando così l'avvio di migliaia di progetti, di attività, di servizi alle persone bisognose;
    le associazioni e i rappresentanti del mondo del servizio civile, in numerose occasioni hanno evidenziato con forza quanto sia importante mantenere per il prossimo bando, atteso da migliaia di giovani sostanzialmente da oltre un anno, almeno il numero di volontari del bando 2011;
    il servizio civile nazionale è una risorsa fondamentale non soltanto per migliaia di organizzazioni sociali e di enti locali, per la sopravvivenza di moltissimi servizi volti a favorire la coesione sociale e la tutela dei diritti delle fasce deboli, ma rappresenta un'occasione unica e straordinaria per decine di migliaia di giovani ogni anno. In questi ultimi giorni abbiamo ascoltato molti interventi affrontare la questione dei giovani, ripetendoci spesso che se non investiamo su di loro il paese muore. Ecco il servizio civile è un ottimo modo di investire su giovani,

impegna il Governo:

   ad esperire ogni tentativo per stanziare i fondi necessari a garantire gli impegni presi per l'anno in corso;
   ad individuare i fondi per una programmazione triennale del bando per il servizio civile, che renda possibile una regolarizzazione della progettazione e dei bandi;
   ad adottare ogni iniziativa affinché sia attribuita una specifica delega per il Servizio civile nazionale, in modo da garantire agli organismi preposti alla gestione un coerente indirizzo politico in materia di Servizio civile nazionale;
   a favorire, per quanto di competenza, una riforma della disciplina del Servizio civile nazionale in Italia e all'estero garantendo, anzitutto, la stabilità del sistema attraverso la definizione di un contingente fisso annuale di almeno 40.000 volontari da avviare al servizio e garantendo la conseguente copertura economica attraverso una programmazione pluriennale di spesa, affinché il Servizio civile nazionale torni ad essere una risorsa per il Paese e uno strumento di difesa non violenta della patria.
(1-00097) «Bonomo, Narduolo, Ascani, Beni, Bobba, Capone, Carnevali, Casati, Chimienti, Di Vita, Fossati, Gigli, Iori, Lattuca, Lenzi, Marcon, Miotto, Misiani, Mogherini, Piccoli Nardelli, Patriarca, Pelillo, Peluffo, Petitti, Piazzoni, Piccione, Polverini, Quartapelle Procopio, Santerini, Sereni, Borghi, Bonafè, Preziosi, Realacci, Fauttilli, Bellanova, Melilla, Baroni, Dall'Osso, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Nesci, Colonnese, Villecco Calipari, Braga, Gadda, Tentori».


   La Camera,
   premesso che:
    con legge n. 6 del 6 febbraio 2009, il Parlamento italiano ha istituito la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti;
    tale Commissione ha depositato agli atti parlamentari la propria relazione finale, approvata nella seduta della Commissione stessa del 5 febbraio 2013 e comunicata alle Presidenze di Camera e Senato il 6 febbraio 2013;
    la Commissione – tra gli altri temi affrontati – ha avuto modo di approfondire, mediante audizioni, studi, ricerche ed interlocuzioni di vario tipo, l'annosa questione connessa al reiterato fenomeno dei roghi tossici nella cosiddetta «terra dei fuochi»;
    nel corso dell'inchiesta svolta, numerose sono state le voci che hanno denunciato il preoccupante fenomeno dei rifiuti bruciati in strada o nelle campagne e delle gravi conseguenze in termini sanitari che ne possono derivare, derivanti dal fatto che spesso vengono bruciati rifiuti contenenti sostanze tossiche e pericolose;
    tale fenomeno, specie per quanto concerne l'attività di contrasto, ha determinato in via immediata grosse criticità sul piano investigativo – repressivo;
    sul tema, la Commissione, nel luglio del 2009, ha audito anche l'allora prefetto di Napoli, il quale ha avuto modo di stigmatizzare alcune criticità del fenomeno in questione, con particolare riferimento allo smaltimento degli pneumatici, per il quale, è stata posta in evidenza la bassissima percentuale di trattamenti leciti, rispetto a quelli illeciti;
    la Guardia di finanza ha effettuato un'accurata analisi del fenomeno in questione ed è stato verificato come non più del 20 per cento dei rifiuti sia smaltibile legalmente nella provincia di Napoli, il che, ovviamente, incentiva il ricorso al sistema illecito;
    quello degli incendi dei rifiuti nella cosiddetta «terra dei fuochi» è un fenomeno molto diffuso e particolarmente grave, tenuto conto della tipologia dei rifiuti bruciati (rifiuti tossici e pericolosi) nonché della incapacità dimostrata dalle istituzioni di porre freno a fenomeni così imponenti e diffusi di inquinamento ambientale;
    nel tempo, il fenomeno, tanto dannoso quanto irrefrenabile, ha portato alla nascita di numerosi comitati spontanei, associazioni e movimenti civici, sorti con l'intento di informare, contrastare gli illeciti e sensibilizzare la cittadinanza circa gli effetti deleteri dei roghi;
    sul punto, è stato sentito, al termine della missione effettuata dalla Commissione nel luglio 2009, anche il rappresentante dell'associazione denominata «Terra dei fuochi», il quale ha espresso in termini molto duri quella che è la situazione di vasti territori della provincia di Napoli e Caserta, gravemente compromessi dal punto di vista ambientale a causa degli incendi praticamente continui di rifiuti pericolosi, senza che si riesca in alcun modo a porvi freno da parte delle forze dell'ordine;
    lo stesso prefetto, inoltre, ha dichiarato che, in più occasioni, sono state avviate azioni di contrasto rispetto agli autori degli incendi anche attraverso un maggiore controllo del territorio, ma i risultati ottenuti sono stati sempre scarsi;
    recentemente, le istituzioni locali hanno provato ad affrontare in modo sinergico il fenomeno, costituendo un tavolo di confronto al quale hanno partecipato la prefettura di Napoli, la prefettura di Caserta, le forze dell'ordine, i vigili del fuoco, le Aassll, la camera di commercio, le associazioni di categoria, i consorzi preposti alle varie filiere, al fine di adottare una linea univoca per contrastare il fenomeno ed individuare delle misure di contrasto rispetto al fenomeno dei roghi, anche ricorrendo ad ordinanze ex articolo 54 Testo unico n. 267 del 2000;
    nel corso della riunione di cui sopra ed in numerosi ulteriori passaggi, il prefetto ha rappresentato la necessità di intensificare l'attività di controllo del territorio coinvolgendo i corpi di polizia municipale e provinciale negli interventi di prevenzione ambientale, di vigilanza e di rimozione dei rifiuti abbandonati anche nelle ore notturne, nonché la necessità di mettere a punto misure di prevenzione in modo da non privilegiare solo l'azione repressiva;
    anche i magistrati di Napoli sono stati ascoltati dalla Commissione di cui sopra ed hanno confermato tutte le difficoltà prima descritte;
    la problematica dello smaltimento illecito degli pneumatici è stata affrontata anche di recente dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con decreto ministeriale n. 82 del 2011, con il quale il detto Ministero ha dato il via alla costituzione di società consortili, alle quali viene dato l'obbligo di intercettare e smaltire una quantità di pneumatici fuori uso corrispondente almeno a quella immessa sul mercato nazionale nell'annualità precedente;
    la Commissione ha prestato, in sintesi, particolare attenzione al fenomeno dei roghi tossici, acquisendo informazioni oltreché da rappresentanti degli enti territoriali, da magistrati e da appartenenti alle forze dell'ordine, anche da Maurizio Patriciello, parroco di San Paolo Apostolo in Caivano, in ragione del sul diretto contatto con il territorio, da Antonio Marfella, oncologo dell'istituto Pascale di Napoli, in merito alle conseguenze dal punto di vista sanitario del fenomeno in questione, ed, infine, da Lucio Iavarone, rappresentante dei comitati dei cittadini contro i fuochi tossici, il quale, da ultimo, ha rappresentato la situazione di esasperazione dei cittadini che subiscono le conseguenze dannose dei roghi e che hanno più volte denunciato il fenomeno e costituito diversi comitati, precisando che il WWF ha anche organizzato ronde per il controllo del territorio;  
    purtroppo, nonostante l'impegno profuso dalle istituzioni locali, eppur a fronte della piena consapevolezza del problema, deve osservarsi come nessuna attività efficace sia stata messa in atto per sradicare un fenomeno di una gravità inaudita, tanto che le forze dell'ordine interpellate hanno evidenziato l'obiettiva difficoltà di intervento;
    in particolare, l'esperienza degli anni addietro, ha palesato come sia possibile, in realtà, soltanto tamponare i singoli episodi, ma non il fenomeno nel suo complesso, che continua a persistere alimentando una economia illegale dello smaltimento dei rifiuti che è inaccettabile in una regione già ampiamente provata dagli inquinamenti imponenti che si sono consumati in passato e continuano a devastare il territorio;
    non va, inoltre, in alcun modo trascurato il fatto che tali attività criminali determinano conseguenze disastrose per l'ambiente e per la salute dei cittadini, come risultato in modo chiaro ed univoco dai dati statistici elaborati dalle istituzioni sanitarie nazionali e locali circa il rilevante numero di malattie, soprattutto di origine tumorale, accertate nelle province di Napoli e Caserta e nei comuni maggiormente colpiti dal fenomeno dell'illecito smaltimenti di rifiuti tossici e nocivi, come appurato da due recenti e significative indagini epidemiologiche, una coordinata direttamente dall'Istituto superiore della sanità, l'altra dall'Istituto Monaldi di Napoli;
    quanto evidenziato dalla Commissione parlamentare d'inchiesta, trova tristemente conferma, ancora oggi, atteso che non è possibile rilevare una strategia complessiva e sinergica tra le istituzioni centrali e locali tesa a contrastare in maniera radicale tale fenomeno: una strategia che, inevitabilmente non potrà prescindere da uno stringente e continuo supporto agli enti locali che, per primi, quali organi di prossimità, sono costretti a far fronte a tali emergenze;
    nota positiva, tra le tante drammatiche, è che il fenomeno in questione ha portato, nel tempo, alla costituzione di numerosi gruppi spontanei di cittadini e comitati civici, nati per svolgere un'azione di contrasto all'illegalità diffusa sopra descritta, sia attraverso un'azione di sensibilizzazione che attraverso un'opera di presidio del territorio e di denunzia; ciò va tenuto in stretta considerazione, per avere la misura del grado di allarme sociale che il fenomeno della «terra dei fuochi», da anni, genera nella cittadinanza napoletana, esposta ad una vera e propria tragedia collettiva che trova negli impietosi numeri degli studi oncologici ed epidemiologici la più tristemente nota e drammatica conseguenza dell'uso distorto e dissennato che si è fatto del territorio negli ultimi anni,

impegna il Governo:

   a perpetuare una politica di inasprimento delle pene per i reati ambientali, da assimilarsi, a tutti gli effetti, sostanziali e processuali, a quelli di stampo mafioso e/o terroristico;
   ad assumere tutte le iniziative economiche e normative che garantiscano un presidio costante e permanente delle aree delle province di Napoli e Caserta, storicamente, tradizionalmente e notoriamente oggetto di tali attività criminali, adottando ogni metodo e strategia – compreso l'uso dell'esercito e delle unità cinofile – possibili ed in grado di contrastare il fenomeno dei roghi tossici descritto in premessa;
   ad istituire quanto prima un tavolo interministeriale che si occupi delle questioni indicate in premessa, composto dal Ministero della giustizia, dell'interno, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali, anche al fine di assumere ogni iniziativa economica e normativa utile, per assicurare – in tempi rapidi e certi – il rilancio dell'attività di bonifica dei suoli inquinati, ai fini del loro recupero e della loro riconversione;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza, in specie di tipo normativo, per una revisione delle funzioni delle agenzie regionali per la protezione ambientali, valutando – se del caso – di assegnare al personale delle stesse anche i poteri di polizia giudiziaria;
   ad avviare ogni iniziativa di competenza utile a mettere in condizione le aziende sanitarie locali di svolgere l'indispensabile attività di informazione e sensibilizzazione nei confronti della cittadinanza circa le cause e gli effetti nefasti dei roghi tossici sulla popolazione.
(1-00098) «Rostan, Antimo Cesaro, Capozzolo, Valiante, D'Agostino, Cimmino, Sottanelli, Salvatore Piccolo, Giorgio Piccolo, Rocchi, Verini, Realacci, Vargiu, Vecchio, Cera, Rughetti, Ribaudo, Manfredi, Tartaglione».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    la legge n. 244 del 2012 ha delegato il Governo ad emanare due o più decreti al fine di disciplinare una revisione in chiave riduttiva dello strumento militare;
    con l'ordine del giorno 9/5569/22 approvato nella XVI legislatura il Parlamento ha impegnato il Governo pro tempore ad adottare i decreti legislativi in modo da consentire che il nuovo Parlamento potesse esplicare i propri poteri di indirizzo e controllo in relazione ai contenuti degli atti attuativi della delega conferita con il provvedimento in esame e con ciò riaffermando la centralità del Parlamento della delicata materia;
    in assenza dei richiamati decreti legislativi, con decreto del 20 febbraio 2013 il Ministro della difesa ha soppresso 1o comando forze di difesa con sede in Vittorio Veneto (TV);
    il firmatario del presente atto ritiene erroneo procedere alla revisione dello strumento militare tramite un decreto ministeriale quando la legge prevede chiaramente e senza dubbi interpretativi appositi decreti legislativi valutati dal Parlamento e, in alcuni casi, dagli organismi della rappresentanza militare e sindacale;
    è necessario affermare la volontà del Parlamento sulla materia in valutazione,

impegna il Governo

a sospendere l'attuazione di ogni provvedimento per il tempo necessario ad un approfondimento indispensabile e rispettose della volontà del Parlamento espressa con l'ordine del giorno 9/5569/22.
(7-00038) «D'Arienzo».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    il potenziamento della sicurezza stradale e la riduzione dell'incidentalità costituiscono da tempo un obiettivo prioritario della politica nazionale e dell'Unione europea;
    malgrado i successivi obiettivi, stabiliti in sede europea dapprima con il libro bianco della Commissione europea sui trasporti del 2001, di ridurre la mortalità del 50 per cento entro il 2010 e da ultimo con il libro bianco del 2011, di dimezzare le vittime degli incidenti stradali entro il 2020 e di riuscire ad azzerare il numero delle vittime nel 2050, il livello di incidentalità stradale risulta tuttavia ancora assai elevato;
    nel 2011 in Europa sono rimaste ferite in incidenti stradali quasi un milione e mezzo di persone e i feriti gravi sono stati circa 250.000;
    per quanto riguarda l'Italia, le statistiche nazionali più aggiornate segnalano una generale diminuzione del numero degli incidenti e dei feriti rispetto all'anno precedente e una riduzione di più forte entità del numero dei morti, ma nonostante questo non è stato raggiunto l'obiettivo fissato dall'Unione europea nel libro bianco del 2001;
    nonostante negli ultimi anni si sia verificata una positiva riduzione delle vittime e dei feriti in incidenti stradali, il dato relativo ai motociclisti esprime un risultato in controtendenza, sia per cause riferibili al comportamento dei conducenti di ciclomotori e motoveicoli, sia per eventi riconducibili alla deficitaria condizione delle infrastrutture;
    infatti, se è vero che il maggior numero di incidenti in valore assoluto riguarda gli autoveicoli, i motocicli sono responsabili di circa un terzo del numero complessivo di decessi e una persona su tre perde la vita in un incidente in cui è stato coinvolto un motoveicolo;
    il dato risulta poi particolarmente allarmante in considerazione del fatto che i veicoli a due ruote, che rappresentano circa il 21 per cento del parco veicoli totale, hanno una percorrenza chilometrica complessiva pari al 4 per cento del totale dei chilometri percorsi da tutti gli altri veicoli;
    bisogna tener conto altresì che sono in circolazione un numero sempre maggiore di motociclette e ciclomotori che, soprattutto nei centri urbani, rappresentano un'alternativa al traffico in continuo aumento, alla mancanza di parcheggio e agli elevati costi di mantenimento delle auto;
    secondo i dati del MAIDS – Motorcycle Accidents In Depth Study, in Italia le infrastrutture inadeguate sono concausa di incidenti nel 25 per cento dei casi, circa il doppio rispetto alla media europea, con costi valutati in circa 30 miliardi di euro e nel solo 2011 la presenza di ostacoli accidentali o fissi sulla strada ha provocato la morte di 96 centauri e il ferimento di altri 2033;
    tali dati riconfermano la grande importanza che un intervento sulle infrastrutture può avere nella riduzione degli infortuni per i conducenti di motocicli e ciclomotori;
    in particolare i guardrail o barriere di contenimento, ossia i dispositivi di ritenuta passiva atti a contenere i veicoli all'interno della strada o della carreggiata, con lo scopo di ridurre gli effetti degli incidenti dovuti a sbandamento, si rivelano causa essi stessi di danno al conducente per l'urto sui sostegni verticali;
    i guardrail, infatti, costituiscono un sistema efficace nel contenere urti di veicoli a quattro o più ruote, ma risultano inefficaci o addirittura pericolosi quando ad impattare è un motociclo, generando conseguenze gravi e talvolta fatali per il motociclista nel caso di urto ad alta velocità contro i montanti, o anche contro i nastri, nel caso in cui non sia effettuata una puntuale manutenzione in grado di eliminare i bordi taglienti;
    a livello europeo occorre modificare il protocollo di omologazione EN 1317 standard, inserendo crash test specifici per i motoveicoli, secondo quanto previsto dalla risoluzione n. 319 del 2010, del Consiglio di Europa, dal momento che la proposta di protocollo di omologazione dei guardrail (1317-8) diretta a modificare le norme europee, inserendo crash test specifici per i motociclisti, è stata rinviata dal Comitato europeo di formazione e ridotta da proposta di protocollo a specifica tecnica;
    malgrado a livello europeo non sia ancora stata emanata una disciplina finalizzata a promuovere la produzione di prodotti di ritenuta stradale finalizzata anche alla sicurezza dei motociclisti, in diversi Paesi europei e in alcune province italiane sono state sperimentate con successo soluzioni volte al miglioramento della struttura dei guardrail;
    appare ormai improcrastinabile prevedere l'utilizzo esclusivo di guardrail di nuovo tipo per le nuove installazioni e contestualmente imporre la messa in sicurezza delle vecchie barriere con l'installazione di dispositivi aggiuntivi «salva-motociclista», anche con il coinvolgimento degli enti gestori delle strade e delle autostrade,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per individuare i tratti di strada a maggiore incidentalità per i motociclisti, al fine di provvedere in via prioritaria alla loro messa in sicurezza;
   a promuovere l'installazione di barriere stradali più sicure e sistemi di sicurezza idonei a garantire l'incolumità dei conducenti di motoveicoli, prevedendo in particolare il montaggio sui guardrail esistenti di attenuatori d'urto e sistemi per la protezione dei motociclisti su barriere e pali, in particolare nelle curve e nei tratti stradali ad alto tasso di incidentalità per i veicoli a due ruote;
   a promuovere una campagna di informazione e di comunicazione volta a sensibilizzare i conducenti dei veicoli a due ruote sui rischi derivanti dai comportamenti scorretti alla guida, con particolare attenzione ai conducenti più giovani;
   ad assumere iniziative per prevedere che quota parte del gettito delle sanzioni pecuniarie sulla circolazione stradale sia destinato all'adeguamento dei guardrail attraverso l'installazione dei dispositivi «salva-motociclisti» nei tratti stradali e autostradali più a rischio;
   a dare pronta e completa attuazione alla legge n. 120 del 2010 e in particolare all'articolo 47, comma 2, assumendo ogni iniziativa di competenza affinché la sostituzione delle barriere obsolete o danneggiate da parte di enti proprietari e concessionari delle strade e delle autostrade avvenga attraverso l'installazione di guardrail di nuova generazione più sicuri per i motociclisti;
   ad intervenire in sede europea per promuovere l'emanazione di una disciplina finalizzata alla sicurezza dei motociclisti, in particolare prevedendo specifici crash test al momento dell'omologazione delle barriere di ritenuta.
(7-00039) «Biasotti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi sismici di grande intensità che hanno coinvolto l'Italia negli ultimi anni hanno confermato gli allarmi diffusi sulla carenza di misure di prevenzione antisismica degli edifici nel nostro Paese;
   nell'ambito dell'indagine conoscitiva sullo stato della sicurezza sismica in Italia svolta nella passata legislatura dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati in particolare durante le audizioni dei rappresentanti del Consiglio nazionale dei geologi, del Consiglio nazionale degli ingegneri, dell'ENEA e di alcune università, è stato ancora una volta ribadito come nel nostro Paese vi sia una gravissima situazione di scarsa sicurezza del patrimonio edilizio non solo privato, ma anche pubblico, che risulta di qualità scadente e lontano dagli indispensabili standard antisismici. Basti pensare, per limitarsi al patrimonio di edilizia scolastica, che: secondo il Consiglio nazionale dei geologi, 27.920 edifici scolastici sono ubicati in aree ad elevato rischio sismico (4.856 in Sicilia, 4.608 in Campania, 3.130 in Calabria, 2.864 in Toscana, 2.521 nel Lazio); secondo una ricerca di Legambiente, quasi il 60 per cento degli edifici scolastici è stato costruito prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica; secondo uno studio condotto il CRESME, il 49 per cento degli edifici scolastici italiani non possiede la certificazione di agibilità;
   successivamente al terremoto del Molise e della Puglia del 2002, fu emanata l'ordinanza n. 3274 del Presidente del Consiglio dei ministri – emanata il 20 marzo 2003 e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'8 maggio 2003 – frutto della collaborazione dei massimi esperti italiani, in attuazione della normativa comunitaria, che, fra l'altro, dettava norme precise sia per la nuova mappatura sismica che per la definizione delle nuove regole tecniche per costruire nelle zone a rischio;
   con riferimento al versante attuativo, tuttavia, va detto che:
    se è vero che, sia pure con ritardo, si è giunti alla definizione di una nuova classificazione sismica del territorio (ogni comune è stato assegnato ad una delle 4 zone, a pericolosità decrescente, nelle quali è stato riclassificato il territorio nazionale) e che, dopo diversi rinvii, le nuove norme tecniche sulle costruzioni emanate con il decreto ministeriale 14 gennaio 2008 (che riunisce in un corpus normativo unitario la normativa tecnica relativa alle costruzioni civili) sono entrate in vigore a partire dal luglio 2009;
    è altrettanto vero che a distanza di un decennio, resta ancora inattuata la disposizione prevista dall'articolo 2, comma 3, della citata ordinanza n. 3274 del 2003, la quale prevedeva «l'obbligo di procedere a verifica, da effettuarsi a cura dei rispettivi proprietari, sia degli edifici di interesse strategico e delle opere infrastrutturali la cui funzionalità durante gli eventi sismici assume rilievo fondamentale per le finalità di protezione civile, sia degli edifici e delle opere infrastrutturali che possono assumere rilevanza in relazione alle conseguenze di un eventuale collasso» e che ai sensi della medesima norma, si sarebbe dovuta attuare entro 5 anni;
    di proroga in proroga, infatti, a partire dal 2008, il termine di attuazione di tale disposizione è stato «sistematicamente» spostato in avanti fino all'ultima proroga disposta dall'articolo 1, comma 421, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità per il 2013) che ha differito i termini di attuazione della disposizione in questione al 31 marzo 2013;
   lo scorso 15 maggio 2013 la VIII Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera, ha approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva di dibattito n. 8-00001, che tra l'altro impegna il Governo: «ad assumere ogni iniziativa di competenza utile, anche nel quadro della revisione dei vincoli di bilancio e quindi del patto di stabilità, affinché sia consentito agli enti locali che abbiano risorse da investire, di realizzare interventi di [...] messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici, a partire dalle scuole e dagli ospedali, escludendo tali spese dal computo del patto di stabilità interno» –:
   se il Presidente del Consiglio dei Ministri e i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e quale sia lo stato esatto di attuazione della disposizione prevista dall'articolo 2, comma 3, della ordinanza n. 3274 del 2003, al fine di dare piena attuazione alla citata norma, partendo dalla messa in sicurezza di scuole ed ospedali. (5-00355)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   «Natura 2000», istituita ai sensi della Direttiva 92/43/CEE «Habitat» e recepita dal Regolamento contenuto nel decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997 n. 357 e successive modifiche, è una rete ecologica dell'Unione europea per la conservazione della biodiversità;
   questa rete è costituita da Siti di interesse comunitario (SIC) – individuati dai singoli Stati membri e successivamente designati come zone speciali di conservazione (ZSC) – e comprende anche le Zone di protezione speciale (ZPS) istituite ai sensi della direttiva 2009/147/CE «Uccelli» sulla conservazione dei volatili selvatici, recepita nel nostro ordinamento dalla legge n. 157 del 1992 sulle norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   le aree che costituiscono parte integrante di «Natura 2000» non sono riserve protette dove le attività umane sono escluse: la direttiva «Habitat», infatti, garantisce la protezione della natura tenendo anche «conto delle esigenze economiche, sociali e culturali, nonché delle particolarità regionali e locali» (articolo 2). Quindi soggetti privati possono essere proprietari dei siti «Natura 2000», assicurandone però una gestione sostenibile sia dal punto di vista ecologico che economico, ed è prevista una valutazione d'incidenza (articolo 6) per gli interventi umani, demandata alle competenti autorità statali (nel caso italiano alle regioni);
   la valutazione è il procedimento di carattere preventivo al quale è necessario sottoporre qualsiasi piano o progetto che possa avere incidenze significative su un sito della rete Natura 2000, singolarmente o congiuntamente considerato insieme ad altri piani e progetti, tenuto conto degli obiettivi di conservazione del sito stesso;
   il 3 giugno 2013 WWF Italia e Lipu-BirdLife Italia hanno trasmesso alla Commissione europea un dossier di «denuncia trasversale», cioè che non interessa un singolo sito ma la quasi totalità delle aree, in cui si segnalano con reportage fotografici gli interventi, autorizzati e non, che hanno provocato la distruzione o il degrado della biodiversità in numerose zone italiane della rete «Natura 2000»;
   tra le segnalazioni del dossier figurano anche due casi che riguardano il territorio del Friuli Venezia Giulia, cioè quelli della Baia di Sistiana e della Val Rosandra;
   per la Baia di Sistiana, la denuncia riguarda l'escavazione di un ex cava finalizzata ad opere edili per il turismo nel sito «Carso triestino e Goriziano» che ha comportato la distruzione di «habitat prioritario», mentre il precedente reclamo delle due associazioni relativo alla difformità della valutazione d'incidenza della sua realizzazione, non è stato accolto dagli organi comunitari;
   il caso di Val Rosandra riguarda, invece, l'operazione «Alvei puliti 2012» della Protezione Civile, realizzata senza la necessaria valutazione d'incidenza e che ha portato al taglio indiscriminato di vegetazione riparia in molti tratti di corsi d'acqua in tutta la regione, e in particolar modo in Val Rosandra, all'interno della Zona di protezione speciale It3341002 e del Sito di interesse comunitario It3340006, dove l'intervento ha portato alla pressoché totale distruzione dell’habitat preesistente;
   le due associazioni ambientaliste, senza mezzi termini, chiedono all'organo comunitario di avviare una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia «per garantire il pieno rispetto della direttiva comunitaria habitat, tutelando adeguatamente la rete Natura 2000 italiana in progressivo degrado e rilanciando il monitoraggio dei siti di importanza comunitaria e delle Zone di protezione di speciale» –:
   se il Governo sia a conoscenza della grave condizione di degrado dei territori compresi nella rete «Natura 2000» e se intenda assumere iniziative immediate, in accordo con le regioni interessate, in modo da evitare l'avvio di una procedura di infrazione comunitaria che metterebbe il nostro Paese sotto una cattiva luce per non aver rispettato gli impegni assunti a favore della conservazione della biodiversità. (4-00850)


   BALDASSARRE, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'ISTAT ha pubblicato il Report annuale 2013 «La situazione del Paese», nel quale emerge che nel 2012, in presenza di una flessione del prodotto interno lordo reale del 2,4 per cento, il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito del 4,8 per cento;
   la situazione risulta preoccupante se si considera che il reddito disponibile delle famiglie, al netto dell'inflazione, è ritornato a un livello pari a quello di venti anni fa;
   l'incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile alle famiglie è salita al 16,1 per cento: si tratta del livello più alto dal 1990;
   l'aumento dell'aliquota Iva dal 20 al 21 per cento applicato a settembre 2011 e le variazioni delle accise sui carburanti intervenute a partire dal 2011 hanno prodotto un costo maggiore per le famiglie con livelli di spesa medi di circa lo 0,9 per cento, rispetto a quelle con livelli di spesa più elevati;
   la notevole diminuzione del reddito disponibile delle famiglie ha portato ad un forte calo della spesa per i consumi (-1,9) e che allo stesso tempo si è avuta una riduzione della propensione al risparmio, fino a toccare il minimo storico dell'8,2 per cento;
   tutto questo porta ad un generico impoverimento con notevoli effetti negativi anche sulla dimensione psicologica della popolazione, creando elementi di frattura nel tessuto sociale e sfiducia verso qualsiasi azione di politica economica e del lavoro;
   ad avviso dell'interrogante, le politiche a favore della famiglia, dovrebbero porre rimedio al fenomeno messo in evidenza dal Rapporto ISTAT 2013 attraverso riforme organiche e complessive in grado di intervenire «prima» che la situazione dell'individuo o del nucleo familiare raggiunga un livello di criticità elevato –:
   quali urgenti e calibrati interventi il Governo intenda assumere per affrontare, in una dimensione complessiva e organica e non semplicemente frammentaria e dovuta alle situazioni imposte dalle emergenze, il problema della povertà che sta colpendo sempre più cittadini e famiglie italiane;
   quali interventi il governo intenda assumere per restituire fiducia e dignità ai cittadini, per quanto concerne il mondo del lavoro, la congruità del lavoro che viene intrapreso e il sostegno dell'individuo stesso nei periodi di transizione da un lavoro all'altro. (4-00857)


   GALLINELLA, CIPRINI, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 93 del 20 maggio scorso la Corte costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità della legge regionale delle Marche 26 marzo 2012, n. 3 (Disciplina regionale della valutazione di impatto ambientale – VIA) nella parte in cui escludeva dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di impianti per le energie rinnovabili in base al solo criterio dimensionale senza considerare tutti gli altri criteri dettati dalla direttiva 2011/92/UE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati – codificazione): cumulo con altri progetti, utilizzazione di risorse naturali, produzione di rifiuti, inquinamento e disturbi ambientali, localizzazione e impatto sull'area geografica e densità della popolazione interessata;
   nelle Marche – ma anche in Umbria dove vige una normativa identica – il limite dimensionale sopra il quale scattava l'obbligo di sottoporre il progetto alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale è stato fissato in 1 Mwh. In forza di tale previsione normativa è così accaduto che la gran parte dei proponenti per la costruzione di impianti a biomasse ha presentato progetti di potenza pari a 999 Kwh al solo ed evidente scopo di evitare la valutazione di impatto ambientale;
   l'intero territorio italiano è soggetto ad elevati rischi ambientali di varia natura, come inondazioni, frane, smottamenti sempre più spesso presenti;
   le numerose e sempre più frequenti azioni giudiziarie da parte dei comitati di cittadini contro tali opere, generano, inevitabilmente, un costo aggiuntivo per lo Stato e soprattutto una perdita di fiducia nei confronti dello stesso –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non ritenga necessario assumere tutte le iniziative di propria pertinenza per evitare che le regioni italiane emanino normative in contrasto con la direttiva 2011/92/UE, a tutela dell'ambiente e del territorio italiano, nonché della salute dei cittadini;
   se non intenda avviare un monitoraggio delle diverse normative regionali in materia al fine di verificare se presentino degli elementi di illegittimità così come avvenuto nella legislazione delle Marche e, nel caso, se non intenda valutare l'opportunità di impugnare, ove sussistano i presupposti per farlo, tali leggi poiché contrastanti con la normativa comunitaria vigente in materia. (4-00863)


   PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i comuni di Cittaducale (Rieti), Borbona (Rieti), e Forano (Rieti), rispettivamente in data 29 novembre 2011, 28 dicembre 2011 e 21 novembre 2011 e quelli di Labro e Antrodoco, procedevano a sottoscrivere un accordo con la regione Lazio, avente ad oggetto l'assunzione di lavoratori socialmente utili, per i quali la regione Lazio si impegnava a garantirne la copertura finanziaria, utilizzando risorse del fondo sociale europeo;
   sulla base di tali accordi, detti comuni procedevano ad assumere alcune unità (nello specifico sette il comune di Cittaducale, otto il comune di Borbona, e 12 il comune di Forano) come lavoratori socialmente utili;
   successivamente la regione Lazio, con nota protocollo n. 76834 del 29 aprile 2013, comunicava a detti comuni che erano in corso approfondimenti istruttori da parte della Corte dei conti – sezione regionale di controllo per il Lazio, relativi al processo di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili del 2011;
   ad oggi, nonostante i ripetuti solleciti da parte dei suddetti enti locali, la regione Lazio non ha ancora trasferito le risorse necessarie a far fronte alle retribuzioni dei lavoratori socialmente utili in questione (rispettivamente euro 135.212,23 per il comune di Cittaducale, euro 152.419,71 per il comune di Borbona, ed euro 251.529,94 per il comune di Forano), secondo quanto previsto dall'accordo regionale di cui sopra;
   nell'ultimo mese, i comuni coinvolti interessavano le stesse istituzioni interrogate al fine di richiederne interventi volti, se non alla soluzione, quanto meno al chiarimento della vicenda;
   data la difficile congiuntura economica, la situazione in cui versano i comuni interessati (e di conseguenza gli stessi lavoratori socialmente utili coinvolti), non può essere in alcun modo procrastinata, né tollerata, posto che detti enti non possono materialmente far fronte alle retribuzioni dei propri dipendenti;
   situazioni del tutto analoghe sono registrabili in molti comuni della regione Lazio ed, in special modo nella provincia di Rieti, coinvolgendo complessivamente circa 1.350 lavoratori nella predetta regione e 350 nella provincia reatina;
   si auspica che la regione Lazio chiarisca quali sono gli impedimenti di fatto o di diritto che ostacolano il trasferimento delle risorse necessarie –:
   di quali informazioni disponga il Governo, per quanto di competenza, in merito ai fatti riferiti in premessa e se non si intenda avviare un tavolo di concertazione, con la regione Lazio e gli altri enti coinvolti, al fine di tracciare un percorso che consenta di individuare le risorse per una positiva soluzione della vicenda occupazionale che coinvolge un numero cospicuo di lavoratori. (4-00865)


   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, «Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali» all'articolo 53 «Dimissioni, impedimento, rimozione, decadenza, sospensione o decesso del sindaco o del presidente della provincia» sancisce «In caso di impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso del sindaco o del presidente della provincia, la giunta decade e si procede allo scioglimento del consiglio»;
   l'articolo 115 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2013)» dispone che «Nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre 2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino..., o in altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali ai sensi della legislazione vigente, è nominato un commissario straordinario, ai sensi dell'articolo 141 del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, per la provvisoria gestione dell'ente fino al 31 dicembre 2013»;
   sono state indette le elezioni amministrative del 2013 il 26 e 27 maggio, tornata utile anche per le amministrazioni provinciali in scadenza di mandato a qualsiasi titolo;
   con l'approvazione dell'articolo 115 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, definita come legge di stabilità, sono state sospese fino al 31 dicembre 2013 le disposizioni dei decreti legge «Salva Italia» e «Spending Review» e si determina di commissariare le province che avrebbero dovuto rinnovare gli organi istituzionali, come il caso della provincia di Salerno;
   il decreto del 18 marzo 2013 del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno ha sciolto il consiglio provinciale di Napoli avendo ritenuto che ai sensi dell'articolo 53 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ricorrano gli estremi per far luogo allo scioglimento della suddetta rappresentanza;
   la situazione giuridica e di fatto del consiglio provinciale di Salerno è omologa a quella che ha portato allo scioglimento del consiglio provinciale di Napoli;
   l'applicazione confusa e disomogenea delle leggi dello Stato rappresenta lo specchio della volontà della classe politica di disprezzo delle regole;
   il mancato scioglimento del consiglio provinciale di Salerno e la mancata nomina del commissario arrecano un grave danno erariale conseguente alla continuazione di funzioni pubbliche da soggetti privi della legittimazione giuridica nonché uno stato di estrema incertezza nella legittimità degli atti prodotti –:
   se siano state avviate le procedure di scioglimento del consiglio provinciale di Salerno e la relativa contestuale nomina del commissario;
   in caso negativo quali siano le ragioni che ostano a tale decisione e che negano il ripristino della legalità. (4-00866)


   CORDA, FRUSONE, BASILIO, ALBERTI, RIZZO e ARTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa risulta che cento agenti segreti sono impiegati nella scorta di esponenti politici per un costo annuo di 15 milioni all'anno;
   non si capisce per quale motivo i servizi segreti italiani debbano svolgere mansioni che spettano alle forze di polizia, distolti di fatto dal proprio compito istituzionale, ovvero la sicurezza dello Stato, per provvedere a fare da scorta agli esponenti politici (ormai inaccettabile nota dolente della politica italiana) fra i quali il premier;
   il Copasir, infatti, ha più volte espresso l'indicazione che le scorte siano svolte dalle forze dell'ordine proprio in ragione degli organici dei servizi segreti ridotti all'osso;
   tra l'altro, fu l'ex premier Berlusconi, quando si insediò al Governo nel 2001, a volere che la propria sicurezza fosse gestita non più dalle forze dell'ordine, ma dagli 007, operazione che gli consentì di «arruolare» le sue personali guardie del corpo private, dipendenti delle sue aziende, tra le file dell’intelligence;
   per poterlo fare, fu addirittura adottato il decreto-legge 6 maggio 2002, n. 83, recante Disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale e ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell'Amministrazione dell'interno, il quale, al comma 3 dell'articolo 1, recita: «Per specifiche circostanze e casi determinati il Presidente del Consiglio dei Ministri, d'intesa con il Ministro dell'interno, può definire modalità differenziate in ordine alla tutela e alla protezione (...)», un comma che, a parere degli interroganti, ha giustificato per anni sprechi e abusi;
   come previsto dalle disposizioni in materia, tutti i premier avrebbero diritto alla protezione personale per i 12 mesi successivi alla fine del loro mandato; per l'ex premier Berlusconi, questo termine è scaduto nel novembre del 2012, ma il Governo Monti ha disposto che gli 007 proseguissero ancora la sua tutela, (seppur in collaborazione con i carabinieri);
   le scorte dei servizi segreti, rispetto a quelle delle forze dell'ordine, sono molto più costose in quanto il personale beneficia dei trattamenti riservati al controspionaggio, quasi doppi rispetto a quelli degli uomini in divisa. Solo i quaranta agenti che scortavano l'ex premier Berlusconi costavano 200.000 euro al mese, due milioni di euro all'anno –:
   di quali ulteriori informazioni disponga in ordine a quanto già evidenziato in premessa e se risulti che agenti dei servizi siano ancora impegnati per la scorta dell'ex premier Berlusconi;
   se non ritenga, anche nel solco della cosiddetta spending review, di voler accogliere l'appello del Copasir nel senso di restituire alla security di Palazzo Chigi, ovvero al Viminale, il compito di scortare il presidente del Consiglio e tutti gli altri eventuali destinatari del provvedimento.
(4-00871)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 il signor Idris D.P., nato a Monza il 13 dicembre 1974, contraeva matrimonio con la signora Yulia K., nata a Volgograd (Russia) il 18 ottobre 1980;
   nel settembre del 2012 viene richiesta la separazione giudiziaria presso il tribunale di Monza;
   il 12 febbraio 2013 venivano sentenziati i provvedimenti temporanei urgenti, ove il figlio della coppia, M.D.P., nato a Milano il 12 luglio 2005, veniva affidato ad entrambi i genitori, ma veniva collocato presso il signor Idris D.P.;
   in data 24 febbraio 2013 la signora Yulia K. si allontanava col figlio e la suocera Nina K. dall'abitazione senza far rientro; i tre sono riusciti ad imbarcarsi su un aereo direzione Kiev nella stessa data;
   attualmente sembra siano rifugiate presso la loro abitazione di Volgograd (Russia);
   in data 25 febbraio 2013 è stata fatta denuncia presso la stazione dei carabinieri di Biassono (Monza Brianza) prot. verb. MICS482013VD900358, i quali hanno aperto un fascicolo presso la procura della Repubblica di Monza per sottrazione di minore;
   in data 14 marzo 2013 il tribunale civile di Monza modificava i provvedimenti provvisori affidando il minore in via esclusiva al signor Idris D.P. ed intimando alla moglie l'immediato rimpatrio dello stesso in Italia;
   ad oggi purtroppo non si ha alcuna notizia del minore e le autorità che sono intervenute non sono state tuttora in grado di dare alcun riscontro al fine di adempiere ai provvedimenti del tribunale di Monza –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti suddetti e se non ritengano opportuno intervenire urgentemente, anche attraverso canali diplomatici, affinché i provvedimenti del tribunale di Monza possano essere adempiuti ed il minore possa essere riportato in Italia. (4-00870)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   DE ROSA, BARBANTI, BUSTO, DAGA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, TOFALO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la ditta Bieco srl, in data 3 dicembre 2008, proponeva domanda alla regione Calabria al fine di ottenere il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 59 del 2005, e della valutazione di impatto ambientale (VIA) ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 in relazione alla realizzazione di un impianto di discarica per rifiuti speciali non pericolosi sito in località Pipino, nel comune di Scala Coeli (CS);
   la discarica veniva prima autorizzata dalla regione Calabria, con il D.D.G. n. 4180/10, in violazione della normativa nazionale e comunitaria (decreto legislativo n. 36 del 2003 Capo 2.1 «Ubicazione»), poi costruita con gravi difformità rispetto a quanto previsto dall'autorizzazione integrata ambientale, difformità documentate da: 1) nota della provincia di Cosenza – settore difesa del suolo e protezione civile (prot. 59955/12); 2) parere sfavorevole del dipartimento 6 – agricoltura foreste e forestazione della regione Calabria (prot. 1103/12); 3) dalla relazione di ispezione ARPACAL prot. 3148 del 7 maggio 2012;
   in data 25 gennaio 2013, il dipartimento ambiente della regione Calabria decideva di sanare le contestazioni mosse a vario titolo alla ditta Bieco Srl revocando la sospensione dei lavori;
   con nota 44/13 del 17 maggio 2013, la ditta Bieco Srl comunicava al comune di Scala Coeli l'avvio delle operazioni di gestione della discarica in oggetto, a partire dal giorno 20 maggio 2013, asserendo di rispettare tutte le prescrizioni di legge;
   l'apertura della discarica veniva tempestivamente impedita dall'ordinanza n. 5 del 19 maggio 2013 del sindaco di Scala Coeli;
   i mezzi della ditta, carichi, transitavano comunque nella giornata del 20 maggio, lungo la strada provinciale n. 6 di competenza dell'ufficio provinciale territoriale di Crotone, sulla quale vige un'ordinanza di divieto di transito totale dal chilometro 0+000 al chilometro 14+500, ordinanza n. 9 del 2004; i mezzi della ditta, per stessa dichiarazione pubblica della ditta, trasportavano scarti della lavorazione dell'impianto di trattamento di Bucita (Rossano), impianto inserito nel sistema «Calabria Sud» dal piano dei rifiuti vigente;
   il 27 maggio 2013 il dipartimento ambiente della regione Calabria comunicava che gli esiti delle verifiche sulle condizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) erano tutti positivi e che quindi la discarica poteva entrare in funzione;
   al punto (h) delle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale si legge: «La viabilità di accesso deve garantire la percorribilità in ogni periodo dell'anno e devono essere adottati tutti gli accorgimenti per limitare la polverosità e le molestie derivante dal traffico di mezzi in ingresso ed uscita della discarica...»;
   l'unica viabilità di accesso alla discarica è in realtà costituita dal tratto di strada comunale Capoferro/Cordarella che dalla strada provinciale n. 6 dopo 1200 metri circa porta al cancello della discarica, un sentiero di campagna trasformato in una pista mediante l'esecuzione di lavori abusivi e, di conseguenza, non collaudati; pertanto il transito di camion pieni di rifiuti e di autocisterne piene di percolato non può avvenire di certo in condizioni di sicurezza;
   la circolazione su tale pista diviene ancora più pericolosa in caso di pioggia, infatti, in tali condizioni, aumenta sia la quantità di percolato prodotto sia la pericolosità al transito delle autocisterne piene di percolato, sulla pista in condizioni di bagnato, con serio pericolo per l'incolumità pubblica e privata e per il probabile disastro ambientale che si potrebbe arrecare; il tutto avviene a soli 4 chilometri dal mare Jonio;
   la discarica si inserisce in un contesto agricolo di pregio (DOP Bruzio per l'olio e
DOC Cirò per il vino, coltivazioni biologiche) ad avviso degli interroganti in dispregio alle leggi nazionali e  comunitarie (decreto legislativo n. 36 del 2003 Capo 2.1 «Ubicazione») e trova la ferma opposizione degli agricoltori e delle popolazioni del luogo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati alla luce di eventuali verifiche tecniche effettuate sullo stato di inquinamento dell'atmosfera, delle acque e del suolo e sullo stato di conservazione di ambienti naturali disposte ai sensi dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 349 del 1986, in particolare, disponendo verifiche e controlli da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela ambiente (CCTA), in relazione all'oggettivo pericolo che si verifichi un danno ambientale, ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. (4-00868)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SBROLLINI, GINATO, CRIMÌ, MORETTI e BUSIN. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la Basilica Palladiana di Vicenza è un importante monumento il cui nome è legato all'architetto Andrea Palladio. Tale monumento, fiore all'occhiello della città di Vicenza, oltre ad essere di notevole valore storico e architettonico, è dotato di spazi espositivi che permettono di ospitare importanti mostre d'arte;
   dal 1994, insieme alle altre opere vicentine di Palladio, la Basilica è patrimonio dell'umanità Unesco;
   l'Italia è ricca di patrimoni artistici conosciuti e di cui si fa una costante promozione, e di altri, come la Basilica Palladiana, che pur essendo di sicuro interesse, sono meno conosciuti e quindi esclusi dai principali percorsi turistici;
   in quanto monumenti, edifici o zone d'interesse artistico che lo Stato italiano ritiene fondamentali per l'identità della nazione, poiché tracce di documentazione storica, i monumenti nazionali si presentano alla comunità internazionale come punti di sicuro interesse e ciò stimola il turismo verso tali luoghi;
   la normativa italiana sul riconoscimento di un sito come monumento nazionale è complessa e fa riferimento a delle norme che risalgono al Regno d'Italia e che mal si adattano alla realtà contemporanea;
   la Basilica Palladiana è stata oggetto di recente restauro. Ne consegue che la promozione della stessa a monumento nazionale non comporterebbe per lo Stato particolari oneri;
   la promozione a monumento nazionale, oltre ad essere un importante riconoscimento di eccellenza, stimola sensibilmente il turismo –:
   se il Ministro intenda intervenire nell'ambito delle sue competenze, in favore del riconoscimento della Basilica Palladiana come monumento nazionale in considerazione del valore storico e culturale di tale monumento; se il Ministro non intenda promuovere un aggiornamento della normativa secondo criteri più attuali chiarendo l’iter da seguire per la richiesta di tale riconoscimento. (5-00345)


   PICCOLI NARDELLI, GHIZZONI, COSCIA, CAROCCI e NARDUOLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche (ICCU) è riconosciuto come il punto di riferimento nazionale in materia di catalogazione e digitalizzazione del patrimonio librario;
   l'ICCU svolge il ruolo di coordinamento di numerosi progetti europei nel campo della digitalizzazione e dell'accesso in rete al patrimonio culturale ed ha conquistato, in questo settore, una posizione di primo piano tra i Paesi europei;
   l'istituto gestisce molti sistemi quali il portale Internet culturale e la biblioteca digitale italiana, l'anagrafe delle biblioteche italiane, il censimento e la gestione della relativa base dati delle edizioni del XVI secolo possedute dalle biblioteche italiane (EDIT 16), il censimento e la gestione della relativa base dati dei manoscritti posseduti dalle biblioteche italiane (Manus online);
   l'ICCU gestisce il Servizio bibliotecario nazionale (SBN), riconosciuto come una tra le più grandi infrastrutture nazionali per la conoscenza e l'informazione culturale e scientifica;
   nell'anno 2013, il taglio ai finanziamenti destinati all'ICCU, inizialmente del 31 per cento, è stato limitato ad una riduzione del 14 per cento, consentendo sicuramente una riduzione dei danni;
   a distanza di tanti anni dall'avvio del servizio bibliotecario nazionale, stante anche l'attuale situazione recessiva, appare necessario interrogarsi sull'urgenza di avviare un'azione per immettere nuove risorse economiche e di personale nel settore anche per la necessità di far evolvere il livello di tali servizi riconosciuti, dall'intero panorama internazionale, come fiore all'occhiello della cultura italiana;
   si ritiene necessaria una tempestiva inversione di tendenza delle politiche culturali –:
   quali politiche si preveda di avviare per invertire la tendenza dei tagli lineari fin qui applicati e quali iniziative si intendano programmare, in collaborazione con tutte le istituzioni competenti, almeno per salvaguardare – come il Ministro assicura in una sua recente dichiarazione – un livello minimo di risorse sufficienti a garantire la continuità di tutti i servizi gestiti ed erogati dall'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche e in particolare il Servizio bibliotecario nazionale e di conseguenza i poli sul territorio, pur consapevoli che in futuro serviranno risorse anche per progettare una evoluzione del sistema. (5-00353)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSINAROLO, FERRARESI, BONAFEDE, AGOSTINELLI, TURCO, MICILLO, SARTI, COLLETTI, FANTINATI, BRUGNEROTTO, ZOLEZZI, SCAGLIUSI, GALLINELLA e ROSTELLATO. —Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo il recente rapporto ISPRA, il consumo di suolo in Veneto è stato calcolato pari all'8,5 per cento del territorio regionale (dato relativo al 2010), contro una media nazionale al 6,9 per cento e una media dell'Europa al 2,4 per cento; a questi dati, preoccupanti in sé, bisogna aggiungere un altro rilevante elemento di riflessione: solo nella regione Veneto ci sono 400 mila immobili inutilizzati;
   appare evidente che questi numeri contengono tutta l'emergenza e l'urgenza di un presidio forte da parte dello Stato in difesa del territorio da ogni possibile ulteriore consumo di suolo senza una reale motivazione di interesse pubblico; un presidio che deve essere finalizzato al contrasto dell'uso non sostenibile del suolo, alla difesa delle aree di pregio e delle aree sottoposte a vincolo ambientale nonché a tutela dell'assetto idrogeologico; azioni che devono invece stimolare e incentivare estesi piani di recupero edilizio e la riqualificazione delle aree già cementificate e, molto spesso, abbandonate;
   dall'analisi del rapporto ISPRA e delle scelte amministrative compiute dai vari comuni, emerge che la maggior parte del consumo di suolo di questi anni è avvenuto «a norma di legge» – al netto dell'enorme piaga dell'abusivismo edilizio –, utilizzando, magari interpretando, norme e strumenti urbanistici comunali, provinciali, regionali dall'effetto troppo spesso disastroso;
   in Veneto, a partire dal 2004, è stata introdotta la pianificazione attuativa territoriale, ma ad oggi persistono piani regolatori datati e superati, variati ed emendati negli anni e certamente non in grado di dare un sistema regolatorio efficace per garantire la tutela; troppo spesso veti incrociati tra posizioni politiche nascondono interessi privati che portano a enormi difficoltà di approvazione dei piani nei comuni, nelle province e nella stessa regione; anche l'applicazione del Piano casa in Veneto non ha avuto le attenzioni e la visione di strumento per una reale riqualificazione energetica e strutturale del costruito, mentre esempi virtuosi di applicazione possono essere invece considerati la provincia di Bolzano e la regione Toscana;
   in questa situazione di elevata criticità esiste inoltre una estrema difficoltà di tutela del patrimonio storico veneto, troppo spesso assediato dal cemento: eclatante il caso di Villa Emo a Vedelago, salvata con l'intervento della società civile, eccezione rispetto allo scempio di varie Ville Venete mai concretamente valorizzate nel loro potenziale turistico, come segnalato dalla puntata di Report del 21 aprile 2013;
   la cementificazione in Veneto negli ultimi 20 anni ha inoltre compromesso l'assetto idrogeologico in varie aree del territorio sul quale si stanno ripetendo con sempre maggior frequenza eventi catastrofici, come la rottura degli argini a Soave e Monteforte d'Alpone del novembre 2011 ed il tragico stato di pericolo (una vittima il 16 maggio 2013) che le popolazioni hanno vissuto anche in questo maggio 2013, l'elevatissimo numero di eventi di acqua alta a Venezia e a Chioggia, e gli altrettanto numerosi eventi franosi nelle zone collinari;
   talvolta l'attribuzione di un «interesse pubblico» ad alcuni progetti, attiva meccanismi di deroga a tutti gli strumenti urbanistici e di pianificazione, con discutibili conseguenze sulla corretta gestione del territorio;
   i progetti Motorcity e District Park – per la cui realizzazione è prevista l'utilizzazione di 12 milioni di metri quadrati, 4,5 dei quali solo per l'Autodromo – rappresentano proprio quella tipologia di intervento che beneficia di una corsia preferenziale derogatoria che ha consentito di collocarli in un'area agricola di pregio – attualmente destinata alla coltivazione di riso vialone nano e cereali –, con presenza di risorgive e zone umide – Vigasio Trevenzuolo;
   la proposta di realizzare un autodromo – al quale nel 1999, con legge regionale, era stata attribuita «rilevanza pubblica» – ha costituito il pretesto per non rispettare gli strumenti urbanistici esistenti; il progetto si è via via ampliato, fino a diventare una vera e propria operazione speculativa, fino a diventare il più grande centro commerciale d'Europa e in grado di attirare fino a 120 mila persone;
   con delibera del consiglio provinciale di Verona in data 4 giugno 2013 sono state approvate le «nuove modalità di realizzazione per stralci del sistema infrastrutturale viabilistico della zona sud-ovest del territorio provinciale», in base alle quali la realizzazione a carico dei privati delle opere stradali tra Vigasio e Trevenzuolo di quattro corsie per 9,5 chilometri, per complessivi 120 milioni di euro, può essere portata avanti a stralci in base ai tre piani di lottizzazione distinti. I tre progetti sono: il Motorcity (che prevede una pista automobilistica, un centro commerciale grande il doppio di quello costruito a Londra per le olimpiadi, un parco divertimenti, hotel, aree espositive, ed altro) promosso dalla Autodromo del Veneto Spa, il District Park (centro logistico) promosso da Res-Serenissima e il Centro Agroalimentare di Trevenzuolo, promossa da Spalt. I lavori relativi al District Park potrebbero anche partire per primi, al termine dell’iter per la revisione della Via provinciale, senza pertanto lasciar cadere gli effetti della valutazione d'impatto ambientale (VIA), valida ancora per solo un anno e mezzo;
   solo di recente la regione Veneto, con l'istituzione di una commissione speciale antimafia, si è resa conto della necessità di controlli per prevenire le infiltrazioni della criminalità organizzata e i fenomeni di corruzione e di garantire la massima trasparenza in tutte le fasi delle procedure di affidamento dei lavori pubblici, ma i progetti e gli interventi in fase di realizzazione sono troppo numerosi perché se ne riesca a fare un vaglio efficace;
   in questo scenario si aggiunge un'ulteriore criticità: l'uso sistematico dello strumento del project financing per realizzare opere pubbliche, con effetti discutibili dal punto di vista finanziario, di criteri di selezione imprese – ospedale e passante di Mestre, passante autostradale Nord di Verona, tunnel Schio Valdagno – di definizione delle reali esigenze pubbliche;
   oltre a ipotesi di nuove edificazioni, il Veneto deve subire una intensa attività estrattiva, resa più facile dalla mancata approvazione di un piano regionale per le cave, mentre la Direttiva Europea 2008/98/Ce, recepita con il decreto legislativo n. 205 del 2010, impone, entro il 2020, il riciclo degli inerti per almeno il 70 per cento; sono inoltre assenti piani e progetti per gli interventi di recupero ambientale delle cave dismesse, la cui unica proposta di utilizzo è quella di destinarle a discariche di rifiuti –:
   se alla luce di quanto descritto in premessa il Governo intenda acquisire elementi in merito alla possibile compromissione, nelle aree interessate dai progetti descritti, di valori paesaggistici protetti e se la competente soprintendenza sia stata coinvolta nelle procedure o abbia mosso rilievi in relazione ad esse.
(4-00869)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   TULLO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto Idrografico della Marina (I.I.M), che è l'organo cartografico dello Stato designato alla produzione della documentazione nautica ufficiale nazionale obbligatoria per la navigazione dipendente dal Ministero della difesa, ha sede a Genova, sino dalla sua istituzione risalente al 1872, presso il Forte San Giorgio;
   nella sua lunga storia l'Istituto Idrografico della Marina ha naturalmente strutturato un profondo legame non solo occupazionale, ma culturale e scientifico con il tessuto cittadino a partire dall'istituzione del primo sistema di riferimento nazionale italiano alla fine dell'ottocento con la determinazione della città di Genova quale punto di emanazione dell'ellissoide di Bessel e del conseguente sistema di riferimento usato sino al 1940 sino all'attuale operatività presso il Porto Antico di Genova del mareografo, fondamentale riferimento per la determinazione del livello medio marino dei mari d'Italia (s.l.m.) che fa del capoluogo ligure il punto «zero» per il calcolo di tutte le altimetrie italiane;
   il rapporto con la città è proiettato ed inserito anche sul futuro occupazionale, considerate le collaborazioni e sinergie previste con il realizzando parco scientifico e tecnologico degli Erzelli, con il Museo del mare e della navigazione, con l'Acquario di Genova e con l'università degli studi di Genova con l'istituzione del master di II livello in geomatica marina;
   in controtendenza con i tagli operati su altri istituti, lo Stato Maggiore della Marina ha confermato nell'aprile 2012 in 204 unità di personale civile la dotazione organica dell'Istituto Idrografico della Marina prospettando quindi nel prossimo futuro un raddoppio degli attuali posti occupazionali per il personale civile presso l'Istituto stesso, cosa che rappresenta una preziosa opportunità di sostegno in particolare all'occupazione di neolaureati;
    in un necessario quadro di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture in uso, anche per rispondere ai necessari adeguamenti tecnologici, si è aperto da tempo un dialogo con le varie istituzioni al fine di trovare una adeguata soluzione pro futuro;
   nel quadro di riassetto delle aree già di proprietà della Marina militare presso la città di La Spezia si è ventilato un possibile trasferimento dell'Istituto Idrografico della Marina presso tale sede –:
   se le indiscrezioni circa la volontà di operare un trasferimento dopo 150 anni da Genova a La Spezia corrispondano al vero;
   se si siano valutate le conseguenze sulle attuali collaborazioni tecnico-scientifiche poste in essere con successo tra l'Istituto Idrografico della Marina e le molte realtà genovesi;
   quali iniziative si intendano attuare al fine di tutelare gli attuali dipendenti dell'Istituto Idrografico della Marina residenti a Genova. (4-00845)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sono numerosi i poligoni militari che sorgono in aree protette e tra questi, nella regione del Friuli Venezia Giulia, ne spiccano due presenti nei siti d'importanza comunitaria (SIC) del «Cellina-Meduna» di Cordenons (Pordenone) e del Monte Bivera (Udine);
   nel mese di marzo 2013, le forze armate hanno rilevato nel poligono di Cellina-Meduna la presenza nel terreno di numerosi metalli pesanti (come cadmio, antimonio, piombo, nichel, zinco, rame e vanadio) ben oltre il livello di guardia, escludendo comunque l'uranio impoverito;
   a seguito di queste analisi, sono state sospese le attività addestrative da parte della Brigata Ariete dell'Esercito e sono state autorizzate le operazioni di caratterizzazione, in vista della successiva bonifica del territorio;
   per quanto riguarda il poligono del Bivera – impiegato continuamente per prove di fuoco con il lancio di bombe a mano e proiettili di mortaio da 120 millimetri – non risultano essere state disposte procedure di rilevamento e bonifica;
   con una lettera del 6 giugno 2013 il WWF (World Wildlife Fund) Friuli Venezia Giulia ha richiesto l'accesso agli atti della regione e dell'ARPA (Agenzia regionale per la protezione ambientale) per poter consultare tutti i dati ambientali utilizzati per l'istruttoria del piano della caratterizzazione e del progetto di bonifica ambientale del poligono Cellina-Meduna;
   l'organizzazione ambientalista chiede anche l'esclusione del sito di importanza comunitaria del Bivera dal novero dei poligoni militari della regione, visto che il continuo inquinamento del suolo non farebbe che aggravare gli impatti sulla fauna e sull'equilibrio ecosistemico dell'area già provata dalle continue esercitazioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e se intendano, per quanto di competenza e d'intesa con le autorità locali, avviare la verifica dello stato d'inquinamento del poligono militare presente nel sito di importanza comunitaria del Monte Bivera, a tutela dell'ecosistema e della popolazione che vi risiede. (4-00846)


   DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SPADONI, SCAGLIUSI, MANLIO DI STEFANO, TACCONI e SIBILIA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si fa riferimento ad una delle vicende più oscure e nebulose della storia italiana: la vicenda dei due Marò, Massimiliano La Torre e Salvatore Girone;
   in questo caso la pessima gestione della vicenda dei due marò da parte del Governo italiano ad avviso degli interroganti conferma la pessima qualità della gestione politica e tecnico-amministrativa del nostro Paese;
   sussiste una esigenza pratica di protezione dei navigli mercantili dalla pirateria e dal terrorismo, fenomeno complesso che va contrastato in vario modo incluso l'uso della forza armata in conformità agli accordi internazionali esistenti;
   per far fronte a tale esigenza, base della vicenda dei due marò, c’è una pessima legge che coniuga tutti i difetti del «patriottismo» di bassa lega con quelli della galoppante tendenza alla privatizzazione della sicurezza. Ci si riferisce al decreto-legge n. 107 del 12 luglio 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130, il cui articolo 5 istituisce per l'appunto i nuclei militari di protezione. In sostanza, tale legge prevede di imbarcare militari italiani su navi mercantili private per assicurarne la difesa contro eventuali attacchi dei pirati o simili; tale normativa si configura, secondo gli interroganti, come una palese violazione dei principi costituzionali e delle funzioni costituzionalmente previste per le forze armate, il cui compito, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 52 della Costituzione, dovrebbe essere quello della difesa della patria;
   comunque la predetta esigenza va soddisfatta mediante l'impiego di personale specializzato e non già coinvolgendo le forze armate nazionali;
   la predetta norma, inoltre, è tendenzialmente farraginosa e poco comprensibile nella sua utilità confondendo la natura pubblicistica con quella privatista del servizio;
   con il decreto del Ministro dell'interno del 28 dicembre 2012, n. 266, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale al n. 75 del 29 marzo 2013, si è cercato di regolamentare le modalità attuative dell'articolo 5, commi 5 e 5-bis, del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, solo dopo un anno dall'accaduto dei due marò con evidente ritardo;
   infatti tale decreto regolamenta:
    a) l'impiego di guardie giurate a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana che transitano in acque internazionali a rischio pirateria;
    b) le modalità per l'acquisto, l'imbarco, lo sbarco, il porto, il trasporto e l'utilizzo delle armi e del relativo munizionamento;
    c) i rapporti tra guardie giurate e il comandante della nave;
   tuttavia tale decreto all'articolo 3, comma 1, recita che «nei casi in cui il Ministero della difesa abbia reso noto all'armatore che non è previsto l'impiego dei Nuclei Militari di protezione, possono essere svolti da guardie giurate, dipendenti direttamente dagli armatori» i servizi di protezione delle merci e dei valori, senza definire con regole certe l'alveo di discrezionalità che lo stesso Ministero ha nel prevedere o meno l'impiego del nucleo militare di protezione –:
   se a bordo della stessa nave vi fossero solo i due fucilieri della Marina La Torre e Girone o se invece la scorta fosse composta da altri uomini, funzionari pubblici o scorte armate private;
   quale sia la linea di confine che delimita la natura pubblicista da quella privatistica del servizio al fine di chiarire meglio la posizione dei due marò per invocare decisamente, alla luce della prassi internazionale in materia, l'immunità funzionale degli stessi marò. (4-00859)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   è stata presentata in merito alla dismissione del patrimonio immobiliare della fondazione ENASARCO una precedente interpellanza urgente n. 2-00062 discussa nella seduta n. 22 del 23 maggio 2013 alla quale ha risposto in rappresentanza del Governo il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Carlo dell'Aringa;
   situazioni simili a quella rappresentata relativamente a ENASARCO si stanno verificando anche per altri enti, quali CASSA RAGIONIERI, ENPAIA, CASSA NOTARIATO e CASSA GEOMETRI;
   per quel che riguarda l'aspetto normativo e l'esatta qualificazione giuridica degli enti di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 ci si riporta integralmente alla suindicata interpellanza;
   alcune delle contestazioni che verranno analizzate sono già state segnalate in diverse interrogazioni parlamentari ma senza sortire alcun effetto. Si tratta di comportamenti che ormai si ripetono nel tempo e nell'inerzia dei Ministeri vigilanti, con conseguente danno della collettività ed in primis degli inquilini;
   per quel che riguarda CASSA RAGIONIERI, quest'ultima Cassa, in vista della scadenza dei contratti di locazione, ha proceduto ad inviare le proposte di rinnovo con notevoli incrementi dei canoni, in alcuni casi maggiorati addirittura fino al 300 per cento, con aumenti fino a 2.000,00 euro al mese;
   di fronte a tale situazione, che ha indubbiamente generato enorme preoccupazione, gli inquilini hanno deciso di riunirsi in comitati, al fine di tutelare al meglio i propri interessi;
   le prime perplessità sul comportamento di tali enti già risalgono all'anno 2007, allorquando, veniva avviata ufficialmente la procedura di dismissione del patrimonio immobiliare residenziale della Cassa Ragionieri. In occasione di tale dismissione, veniva formata un'apposita commissione consiliare, denominata «commissione scelta e dismissione immobili», che aveva la specifica funzione di svolgere l'attività istruttoria e di supporto all'attività del consiglio di amministrazione dell'ente, dall'anno 2007 all'anno 2009. Tra i componenti di tale commissione, figuravano il ragionier Grimaldi Raffaele ed il ragionier Giglio Raffaele;
   ciò che affiora immediatamente di ambiguo è che gli stessi soggetti erano contemporaneamente membri anche del consiglio di amministrazione della Cassa Ragionieri (tra il 2007 ed il 2008). Ma è solo l'inizio;
   successivamente, negli anni 2009, 2010 e 2011, il ragionier Grimaldi Raffaele continuava ad essere componente del consiglio di amministrazione, in veste di rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quindi, paradossalmente, col compito di svolgere un controllo sull'ente per conto del suddetto Ministero; il ragionier Giglio Raffaele, dal canto suo, nel 2010 e nel 2011, pur non facendo più parte del consiglio di amministrazione, era nondimeno divenuto un componente del collegio sindacale della Cassa, in rappresentanza del Ministero della giustizia, anch'egli, pertanto, con il delicato ed imparziale incarico di sorvegliare il corretto operato dell'ente;
   invero, appare all'interpellante alquanto anomalo che gli stessi ragionier Giglio e ragionier Grimaldi in merito al percorso di dismissione del patrimonio, nel medesimo periodo o comunque in periodi ravvicinati, siano stati sia membri del consiglio di amministrazione che rappresentanti dei Ministeri vigilanti, rispettivamente in seno al collegio sindacale ed al consiglio di amministrazione;
   il tutto accade nell'assoluto silenzio di tutte le istituzioni competenti, nonostante il decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509 che, all'articolo 3, comma 1, prevede che «la vigilanza sulle associazioni o fondazioni di cui all'articolo 1, è esercitata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero del tesoro, nonché dagli altri Ministeri rispettivamente competenti ad esercitare la vigilanza per gli enti trasformati ai sensi dell'articolo 1, comma 1. Nei collegi dei sindaci deve essere assicurata la presenza di rappresentati delle predette Amministrazioni»;
   oltre a quanto sancito da tale decreto, vanno poi tenute in considerazione tutte quelle norme che impongono dei limiti precisi, finalizzati ad assicurare una più ampia e vincolante indipendenza dei componenti del collegio sindacale e che prevedono le ipotesi di incompatibilità con tale delicato incarico;
   vi è altresì la disciplina codicistica che, all'articolo 2399, comma 1, del codice civile, lettera c), individua una serie di cause di ineleggibilità e di decadenza, disponendo che non possono essere eletti alla carica di sindaco coloro che sono legati alla società o alle società da queste controllate o alle società che la controllano o quelle sottoposte a comune controllo da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza;
   dopodiché il legislatore è intervenuto anche con il decreto legislativo n. 88 del 27 gennaio 1992, che ha introdotto le disposizioni comunitarie di cui alla direttiva n. 84/253/CEE. L'articolo 39, comma 2, del suddetto decreto dispone che l'idoneità al corretto svolgimento delle funzioni di controllo dei conti deve ritenersi gravemente compromessa se l'iscritto è legato alla società o all'ente che conferisce l'incarico, ovvero lo sia stato nei tre anni antecedenti al conferimento dell'incarico;
   sempre in materia di indipendenza e di incompatibilità delle funzioni di sindaco, è pure intervenuto il decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, il quale all'articolo 10 stabilisce in via pregiudiziale che il revisore legale dei conti di una società deve essere indipendente da questa e non deve essere in alcun modo coinvolto nel suo processo decisionale;
   più in particolare l'articolo 17, comma 6, del decreto legislativo n. 39 del 2010, sancisce che coloro che siano amministratori, componenti degli organi di controllo, direttori generali o dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari presso un ente di interesse pubblico non possono esercitare la revisione legale dell'ente se non sia decorso almeno un biennio dalla cessazione dei suddetti incarichi a rapporti di lavoro;
   questa considerazione è ancor di più avvalorata dal fatto che sempre il Giglio ed il Grimaldi, hanno, in passato, occupato rispettivamente la carica di presidente e di amministratore delegato nella «PREVIRA IMMOBILIARE», società costituita nel 1999 (ed attualmente messa in liquidazione), e partecipata al 100 per cento dalla CNPR, nata per gestire il patrimonio immobiliare dalla Cassa ragionieri;
   l'incarico che in precedenza era stato affidato alla PREVIRA, è stato successivamente attribuito alla REAG TEKNA SRL mediante procedura negoziata. Ebbene, per quanto consta all'interpellante l'affidamento – tramite procedura negoziata – è intervenuto in evidente violazione di legge e, precisamente, delle procedure previste dal codice dei contratti pubblici, alla cui osservanza è tenuta la Cassa, quindi, con obbligo della gara pubblica, cosa che però non è avvenuta nel caso in esame;
   una circostanza alquanto strana si verifica nel mese di ottobre del 2012 quando la REAG TEKNA SRL sparisce dalla gestione del patrimonio e subentra la società EFM SRL con sede in via del Giorgione 59;
   anche qui non è dato conoscere sulla base di quale procedura intervenisse quest'ultima. Ma la cosa ancor più bizzarra si verifica allorquando la REAG TEKNA SRL nel ciclone delle polemiche, viene cancellata per fusione in altra società: la REAG SPA con sede sempre in via Monte Rosa n. 91 – MILANO;
   ultima società che «inaspettatamente» si aggiudica la gara indetta dalla SGR BNP Paribas per l'espletamento dei servizi complementari e strumentali al piano di dismissione. Tale società è una spa con socio unico: AMERICAN APPRAISAL HOLDING SPA sempre con sede in via Monte Rosa n. 91 – MILANO dove all'interno della visura risulta la fusione con la REAG TEKNA SRL;
   però nessun Ministero vigilante si insospettisce per quanto rappresentato;
   intanto Cassa Ragionieri, con due successivi atti di conferimento, il primo avvenuto in data 22 dicembre 2011 ed il secondo in data 15 maggio 2012 ha apportato al Fondo Scoiattolo, fondo istituito e gestito dalla BNP Paribas REIM Italy SGR p.A., (la stessa SGR che gestisce il Fondo in cui andranno a confluire gli immobili invenduti di ENASARCO) la maggior parte del suo patrimonio immobiliare;
   in seguito all'apporto al fondo, l'Associazione nazionale di previdenza e assistenza dei ragionieri e dei periti commerciali sostiene di aver realizzato una plusvalenza di euro 329,50 milioni. Ma solo sulla carta;
   in primis, preme sottolineare che gli immobili sono stati intestati al Fondo Scoiattolo, soggetto privo di personalità giuridica, compiendo ad avviso dell'interpellante una «forzatura» con l'inserimento agli atti della partita iva della BNP Paribas Reim SGR p.A., pur essendone il fondo privo. Nonostante il conferimento al Fondo Scoiattolo, infatti, la Cassa non può esimersi dall'essere ancora considerata proprietaria degli immobili, contrariamente a quanto si è potuto leggere sulla relazione sulla gestione del bilancio 2011, dove la stessa Cassa afferma che, a dicembre 2011 col conferimento degli immobili al Fondo, ha ceduto la proprietà degli immobili quindi, da quel momento non è più proprietaria di quei beni;
   la normativa vigente in materia di fondi comuni di investimento immobiliari chiusi prevede che, per la valutazione dei beni immobili le società di gestione del risparmio si avvalgano di esperti indipendenti però in possesso dei requisiti di cui all'articolo 17 del decreto ministeriale n. 228 del 1999. Lo svolgimento dell'attività di valutazione (che si estrinseca attraverso site visit, analisi documentale, disponibilità di due diligence, report e altro) si basa sui criteri di valutazione del patrimonio previsti dalla vigente normativa. L'incarico della valutazione degli immobili nel caso di specie è stato dato quale terzo indipendente alla PRAXI spa, la quale ha stabilito complessivamente il valore degli immobili al momento del conferimento al fondo immobiliare. Il tutto però sarebbe avvenuto senza fare alcun sopralluogo negli stabili oggetto di valutazione;
   non si comprende perché se tutto è avvenuto nel rispetto del provvedimento Banca d'Italia e della relazione sulla gestione del bilancio 2011 si è poi giunti a stabilire dei prezzi di vendita al di fuori di qualsiasi logica di mercato. Basta documentare un esempio che può svolgere una funzione chiarificatrice: un appartamento valutato dall'esperto indipendente euro 856.000,00, offerto al conduttore a euro 684.800,00 – in virtù di uno sconto del 20 per cento – è invece stato valutato da un perito giurato euro 249.000,00, con una distanza valutativa di ben 607.000,00 euro;
   ma vi è di più. Tutto questo accade a dispetto del fatto che, nel maggio del 2010, nel corso di una seduta della Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza sociale finalizzata all'audizione del presidente e del direttore generale della CNPR, il dottor Saltarelli (presidente) sottolineava lo scarso valore economico del patrimonio immobiliare di proprietà della Cassa. Nello specifico, lo stesso affermava testualmente: «...Ci apprestiamo a realizzare una dismissione del patrimonio residenziale ...oggi, questo patrimonio è vetusto, perché ha un'età media molto elevata ...oggi ci apprestiamo a strutturare un'operazione che cerchi di andare incontro alle esigenze degli inquilini che sono con noi da parecchio tempo adoperandoci, nell'ambito di una trasparente operazione di mercato, a favorirli nel processo di vendita» e poi ribadiva «...le posso garantire che il valore effettivo di questi immobili – si tratta di circa 1.600 unità immobiliari – è decisamente modesto, a causa dei costi di gestione molto elevati e del loro essere vetusti...»;
   non possono che emergere forti dubbi sia sulla valutazione del patrimonio che sulla presunta plusvalenza rappresentata dalla Cassa ragionieri;
   gli inquilini, di fatto, tramite un legale, l'avvocato Vincenzo Perticaro, che segue da tempo la vicenda relativa agli enti, si sono uniti per sollevare tutte queste perplessità, combinate ad ampie argomentazioni in merito alle procedure utilizzate, che venivano prontamente portate a conoscenza della Cassa ragionieri attraverso una missiva inviata nel mese di marzo 2013, trasmessa per conoscenza ai soggetti preposti dalla legge in casi simili, quali la COVIP, alla BANCA D'ITALIA ed alla CONSOB;
   ebbene, solo il 18 aprile 2013, perveniva all'avvocato, nonché alla Bnp Paribas Reim Sgr, alla Banca d'Italia, alla CONSOB, alla COVIP, e, come se non bastasse, a tutti gli inquilini firmatari della suindicata lettera (circa 80 persone), una raccomandata di risposta a firma del direttore generale della Cassa ragionieri, il signor Alberto Piazza, dal contenuto ad avviso dell'interpellante a dir poco sconcertante. Tale missiva, infatti, lungi dal dare un concreto riscontro alle legittime perplessità sollevate dagli inquilini ed alle loro altrettanto legittime richieste ad avviso dell'interpellante mirava invece ad offendere e ledere l'immagine del legale e degli inquilini attraverso affermazioni gratuite e gravemente lesive dell'onore e del decoro dell'avvocato. Infatti il signor Piazza in uno dei passaggi della missiva di risposta, arriva addirittura a scrivere: «...perché ha indirizzato la lettera alla Banca d'Italia, alla Consob e alla Covip e non a Babbo Natale?...». Infine, la missiva culmina con una palese minaccia, (probabilmente tesa a far desistere l'avvocato Perticaro dalla propria risoluta e costante attività difensiva), che recita testualmente: «...La saluto cordialmente e le do appuntamento all'Ordine degli avvocati, al quale sto inviando un esposto perché valuti la correttezza del suo comportamento nei confronti dei suoi clienti...». La considerazione che i comportamenti dell'avvocato dovrebbe contestarli la parte assistita e non la controparte, evidentemente sfugge al signor Piazza, ma si ritiene necessario ricordare che il signor Piazza in qualità di direttore generale ha percepito per il lavoro che ha svolto nell'anno 2012, o che avrebbe dovuto svolgere, un compenso pari ad euro 206.318,92. Le opportune valutazioni se tale somma è congrua si lasciano ai soggetti preposti a farlo;
   passando ad un altro Ente l'ENPAIA, è opportuno segnalare il problema relativo alla commistione e/o incompatibilità dei sindacati già analizzato nel consiglio di amministrazione di ENASARCO. Nel caso riguardante ENPAIA, si deve rappresentare che all'articolo 7 dello statuto della CGIL è espressamente previsto che: «L'autonomia della CGIL si realizza anche fissando le seguenti incompatibilità con le cariche elettive dell'organizzazione ai vari livelli: a) appartenenza a Consigli di amministrazione, di istituti ed enti pubblici di ogni tipo e organi di gestione in genere»;
   eppure, il segretario nazionale della CGIL Ivana Galli ed il funzionario nazionale nel 2004 della CGIL Stefano Bianchi, fanno parte dell'attuale consiglio di amministrazione della Fondazione Enpaia. Il consiglio di amministrazione della Fondazione Enpaia è in carica per il quadriennio 2009/2013;
   dalla lettura dell'articolo 7 dello statuto, affiora palese che i signori Ivana Galli e Stefano Bianchi non possono far parte del consiglio di amministrazione della Fondazione Enpaia per quanto già detto eppure sono ancora nel consiglio di amministrazione;
   circostanza che già da sola secondo l'interpellante dovrebbe portare alla nomina di un commissario straordinario con il compito di salvaguardare la corretta gestione dell'ente così come previsto dall'articolo 2, comma 6, del decreto legislativo n. 509 del 1994;
   un'ulteriore contestazione che deve essere mossa ad Enpaia ed al collegio dei sindaci è quella attinente ai rinnovi dei contratti di locazione degli immobili di ENPAIA ad uso residenziale. Dal 2010 è sorto tra ENPAIA e gli inquilini un contenzioso circa l'aumento spropositato dei canoni di locazione (fino all'80 per cento) ed i principi utilizzati per arrivare a tale aumento;
   tutto quanto narrato, ha portato il consiglio di amministrazione di ENPAIA a iniziare un contenzioso che ad oggi riguarda circa 200 famiglie di inquilini. Infatti, tra il 2011 ed il 2012 il presidente Siciliani ha conferito mandato a ben 18 avvocati diversi, e molti di questi sono anche politici o ex politici, per presentare delle cause di finita locazione nei confronti degli stessi conduttori, tutti pendenti presso il tribunale civile di Roma sezione VI. Il tutto sebbene gli inquilini Enpaia pagassero regolarmente l'affitto da ben 40 anni, cosa che continuano a fare anche oggi anche versando un aumento del 20 per cento richiesto a titolo di indennità di occupazione dallo stesso presidente Siciliani;
   malgrado ciò, lo stesso presidente Siciliani nel bilancio di previsione del 2011 afferma che: «...Durante il 2011 si avvierà il rinnovo di n. 12 contratti di locazione ad uso abitativo a canone di libero e n. 420 contratti di tipo agevolato. Di tali ultimi contratti si prevede un rinnovo parziale a causa di difficoltà di ordine sociale, con il completamento dell'operazione nel 2012...». Quindi, nulla di tutto quanto riferito in merito al contenzioso appare sul bilancio di previsione del 2012 sotto la voce «Canoni di locazione ed altri proventi degli immobili»;
   dunque, quello che secondo il presidente doveva essere «completato» nel 2012 ad oggi ha portato a centinaia di sfratti e procedimenti esecutivi a danno degli inquilini;
   inoltre, tale contenzioso attuato da presidente e consiglio di amministrazione sta comportando dei costi impressionanti per l'Ente, basta leggere sullo stesso bilancio di previsione i costi indicati sotto la voce «consulenze legali» pari ad euro 1.058.000,00. Invero, si legge nel bilancio che tale politica di costi viene giustificata con: «...la voce riguarda le spese legali necessarie per la tutela degli interessi della Fondazione. Il recupero di somme in contenzioso per l'anno 2012 come risultato dell'attività legale è previsto pari ad euro 1.500.000 ed inoltre si stima il recupero di spese legali per un importo pari a euro 30.000...». Pertanto, la Fondazione spende per spese legali euro 1.058.000,00 (soldi degli iscritti e delle loro pensioni) per recuperare 1.530.000,00 euro. Costi per spese legali che si ripetono anche nel bilancio del 2012;
   ci si chiede se non si poteva incaricare un unico legale per seguire gli sfratti intrapresi da ENPAIA, oppure se non si poteva ricorrere all'avvocatura dello Stato visto che si tratta di enti inseriti nell'elenco della pubblica amministrazione, o semplicemente non era più ingegnoso e produttivo intraprendere una strada di mediazione con i propri conduttori evitando di spendere tali somme in inutili contenziosi;
   tale circostanza, risulta alquanto bizzarra nonché contraddittoria, alla luce del tanto declamato scopo dell'ENPAIA e di tutti gli enti previdenziali: quello di tutelare i diritti previdenziali ed assistenziali dei propri iscritti;
   non da ultimo, l'interpellante è venuta a conoscenza che, in merito alle cause di sfratto per finita locazione attuate dall'Enpaia, il sindacato che tutela gli inquilini dell'ASIA Usb, ha presentato diversi esposti al Ministero della giustizia, oltre che al CSM ed al presidente del tribunale di Roma, denunciando comportamenti discutibili posti in essere da parte di alcuni giudici della sezione VI del tribunale civile di Roma ed in particolare del presidente della stessa sezione;
   tali giudici sono assegnatari delle cause di sfratto per finita locazione che riguardano tutti gli enti previdenziali. In tale esposto si chiedeva un intervento dei soggetti competenti per accertare eventuali violazioni a danno degli inquilini degli immobili in particolare dell'Ente Enpaia, ma con riguardo a tutti gli altri enti previdenziali. Ma ad oggi non sembra essere avvenuto nulla di quanto auspicato dagli esponenti. In realtà, i comportamenti denunciati dal sindacato, fanno sorgere inevitabilmente alcuni dubbi sull'imparzialità e correttezza di alcuni giudici, quindi, si ritiene opportuno sollecitare un intervento del Ministero della giustizia soprattutto alla luce dell'arresto del giudice Chiara Schettini che nell'ultimo anno ha svolto il proprio ruolo nella sezione VI civile del tribunale di Roma;
   infine, si devono altresì rappresentare che problematiche diverse ma significative riguardano anche la dimissione del patrimonio immobiliare di CASSA DEL NOTARIATO;
   tutte queste situazioni stanno portando, moltissimi inquilini degli enti previdenziali (quali ENASARCO, ENPAIA, CASSA NOTARIATO, CASSA RAGIONIERI E CASSA GEOMETRI), pur di non perdere la propria casa ad organizzare numerosi contenziosi civili, tuttora pendenti dinanzi al Tribunale di Roma, per vedere riconosciuti i propri diritti, vista la costante inerzia delle istituzioni –:
   se i ministri interrogati non ritengano opportuno:
    assumere iniziative per abrogare l'articolo 1, comma 38, della legge 23 agosto 2004, n. 243, e l'articolo 168 della legge n. 228 del 2012 nella parte in cui prevede che: «...le disposizioni di cui al comma 11-bis dell'articolo 3 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, non si applicano al piano di dismissioni immobiliari della Fondazione ENASARCO...»;
    assumere le iniziative di competenza per chiarire che alle dismissioni degli enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994, così come prevede la normativa, si applica il decreto legislativo n. 104 del 1996, stabilendo che tale decreto trovi applicazione anche alle dismissioni attuate attraverso fondi immobiliari che hanno avuto il conferimento del loro patrimonio da enti previdenziali di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994;
    disporre in relazione alle dismissioni degli enti previdenziali privatizzati ai sensi del decreto legislativo n. 509 del 1994 un tavolo tecnico interistituzionale finalizzato a definire norme uniformi per tutti gli enti privatizzati in materia di accesso all'acquisto delle unità immobiliari, di affitti da applicare tenuto conto dei redditi degli inquilini, nonché in materia di dismissioni;
    nelle more dell'instaurazione del tavolo tecnico, ad assumere iniziative normative urgenti per sospendere gli sfratti per finita locazione e morosità degli inquilini degli enti previdenziali, anche se attuati attraverso fondi immobiliari o altre società, per un tempo non inferiore a 1 anno;
    inviare un'ispezione ministeriale alla sezione VI del tribunale civile di Roma in relazione a quanto denunciato nell'esposto suindicato;
    valutare la possibilità di assumere iniziative normative per far confluire tutti gli enti privatizzati di cui al decreto legislativo n. 509 del 1994 con i relativi patrimoni immobiliari, anche se conferiti a fondi pensioni SGR, nell'INPS, così come avvenuto per INPDAP e ENPALS, in modo da poter meglio tutelare sia i conduttori dei patrimoni immobiliari che gli iscritti beneficiari dei trattamenti pensionistici.
(2-00094) «Lombardi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOSCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'eccezionale afflusso d'immigranti provenienti dal Nord Africa verificatosi nell'anno 2011, i residenti e le aziende operanti nel territorio di Lampedusa hanno usufruito della sospensione del pagamento dei tributi e dei contributi previdenziali nel periodo compreso tra il 12 febbraio 2011 e il 1o dicembre 2012;
   il suesposto rinvio, inizialmente previsto limitatamente per l'anno 2011, è stato più volte prorogato a seguito di diversi provvedimenti introdotti; in particolare: a) con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 12 febbraio 2011 è stato dichiarato fino al 31 dicembre 2011, lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa; b) con ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3947 del 16 giugno 2011 sono state previste una serie di misure, quali l'autorizzazione per i mutuatari nel richiedere agli istituti di credito la sospensione, fino al 31 dicembre 2011, delle rate dei finanziamenti, optando tra la sospensione dell'intera rata o quella della sola quota capitale e la sospensione, per i datori di lavoro, del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali;
   la suddetta ordinanza che ha inoltre stabilito l'interruzione degli adempimenti per i versamenti tributari è stata successivamente prorogata attraverso una serie di disposizioni indifferibili fra le quali l'ultima prevista con l'articolo 23, comma 12-octies del decreto-legge del 6 luglio 2012, n. 95, che ha stabilito il differimento dei pagamenti dal 30 giugno 2012 al 1o dicembre 2012, data in cui è cessato il termine per la sospensione dei pagamenti dei tributi e contributi;
   l'interrogante evidenzia come tuttora non sia intervenuto alcun provvedimento di proroga da parte del Ministero interrogato che disciplini i termini e le modalità di riscossione delle somme sospese, contrariamente a quanto avvenuto per altri territori colpiti da eventi eccezionali, quali ad esempio il sisma che ha colpito l'Abruzzo o l'Emilia-Romagna;
   la sospensione del pagamento dei tributi relativa agli anni 2011 e 2012, stabilita a seguito degli eventi eccezionali che hanno interessato il territorio di Lampedusa, a giudizio dell'interrogante, determinerà inevitabili problemi finanziari per la comunità locale, obbligata al pagamento degli oneri tributari e fiscali, accumulati durante il periodo di sospensione;
   risulta pertanto evidente a parere dell'interrogante, in considerazione dei profili di criticità precedentemente esposti, la necessità di un intervento normativo ad hoc che stabilisca una dilazione delle modalità di riscossione e i termini per il pagamento delle somme sospese in almeno 72 rate –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non ritenga urgente ed opportuno assumere iniziative normative, in considerazione dei profili di criticità precedentemente riportati, per stabilire una dilazione del pagamento dei tributi nei confronti dei contribuenti dell'isola di Lampedusa, costretti a fronteggiare rilevanti problemi di emergenza umanitaria da diversi anni, attraverso una restituzione delle somme sospese in un periodo temporale pari ad almeno sei anni. (5-00348)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, si prefiggeva lo scopo di equiordinare, sulla base di criteri funzionali, il trattamento economico del personale non dirigente e non direttivo delle forze di polizia dello Stato con l'emanazione di decreti legislativi concernenti le necessarie modificazioni agli ordinamenti per il riordino delle carriere, delle attribuzioni e dei trattamenti economici allo scopo di conseguire una disciplina omogenea, fermi restando i rispettivi compiti istituzionali, le norme fondamentali di stato e le attribuzioni dell'autorità di pubblica sicurezza;
   considerate le iniquità emerse nel corso dell'attuazione dei relativi decreti legislativi, è stato adottato l'articolo 9 della legge 31 marzo 2000, n. 78, al fine di equiordinare le disposizioni integrative e correttive e con previsione espressa di attenersi ai principi, ai criteri direttivi e alle procedure dell'articolo 3 della legge n. 216 del 1992, ma gli ulteriori interventi non hanno completamente definito la problematica, in parte ancora pendente;
   il dettato degli articoli 58 e 65 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199, a differenza di quanto attuato con il corrispondente decreto legislativo n. 197 del 1995 (articoli 13 e 14), peraltro, ha escluso l'adozione dei decreti del Presidente della Repubblica cosicché è venuta meno, anche agli effetti equitativi e sostanziali, la legiferata omogeneità prescritta dal suddetto articolo 3 della legge n. 216 del 1992 ed è l'amministrazione delegata dal decreto legislativo n. 199 del 1995, con modalità atipiche che si discostano dallo spirito normativo primario, a stabilire un ordinamento che, ad avviso della interrogante, risulta reiteratamente penalizzante per taluni e opportunistico per altri, ma anche un sistema basato su una invalicabile anzianità, escludendo sostanzialmente un sistema basato su un criterio meritocratico anche la legiferata e mai attuata concertazione oggettiva nell'ambito interforze avrebbe dovuto invece, non solo formulata ma anche attuata dal Ministro dell'interno, sia in fase di riordino che in fase di interventi correttivi (articolo 3 legge n. 216 del 1992);
   lo stesso articolo 51 del decreto legislativo n. 198 del 1995, sulle eccedenze organiche dei ruoli non dirigenti e non direttivi dell'Arma dei carabinieri, nelle sue disposizioni transitorie e finali, ha testualmente rappresentato che: «1. Le eventuali eccedenze organiche che si dovessero determinare in applicazione delle norme istitutive dei nuovi ruoli potranno sussistere, anche in sovrannumero, fino al riassorbimento con le vacanze che avranno luogo nei ruoli stessi, lasciando altrettanti posti liberi nel ruolo degli appuntati e carabinieri», e che, se da un lato, detto disposto legislativo tenderebbe a determinare il conseguimento di una disciplina omogenea, da un altro lato, lascia all'amministrazione le più ampie facoltà nella rideterminazione delle vacanze, non dettando dei parametri obiettivi con criteri predeterminati sulla base di unici criteri direttivi;
   nessuna analoga previsione avviene, invece, in via transitoria, nemmeno astrattamente, per i marescialli capo e ordinari (esclusi) della Guardia di finanza, non prevedendo il disposto degli articoli 65, 58 e 58-quater del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 (Guardia di finanza), così come integrato dall'articolo 6 del decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 67, alcuna disposizione equitativa al fine di non escludere ulteriori disparità di trattamento;
   vi è il rischio, ad avviso della interrogante, che si profilino criticità, in ordine alla legittimità e alla costituzionalità dell'articolo 6, comma 8, e dell'articolo 8 (Disposizioni integrative e correttive riguardanti l'avanzamento del personale del ruolo degli Ispettori e le Norme transitorie) del decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 67, non avendo mai adottato con il disposto dell'articolo 58-quater del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199, tutti i previsti interventi correttivi e integrativi al riguardo;
   ad avviso dell'interrogante, invece, correttamente, fin dall'origine, sono gli articoli 13 e 14 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (Polizia di Stato) a stabilire, tassativamente e senza riserve, gli inquadramenti e gli avanzamenti transitori quadriennali in sovrannumero fin dall'atto dell'emanazione degli stessi decreti legislativi e in tal senso si ispirano, inequivocabilmente, gli articoli 8 e 9 del corrispondente decreto legislativo n. 200 del 1995, per gli ispettori della polizia penitenziaria nonché l'articolo 53 del decreto legislativo n. 201 del 1995, per gli ispettori, già marescialli del Corpo forestale dello Stato considerata l'esiguità organica di questi ultimi – così come i marescialli dei tre gradi della Guardia di finanza al 10 settembre 1995 – tutti assorbiti in fase di inquadramento;
   ad avviso della interrogante, nel riordino del 1o settembre 1995 (articolo 65 comma 1 di lettera b) decreto legislativo n. 199 del 1995) vengono sproporzionatamente inquadrati nel neo-grado di maresciallo capo, così come i marescialli capo e ordinari in organico ai 31 agosto 1995, tutti «... i brigadieri utilmente iscritti, ai fini della promozione al grado superiore, nei quadri di avanzamento formati alla suddetta data, ai sensi della legge 10 maggio 1983, n. 212, e del presente decreto; ...» e non solo dei corsi ordinari biennali, quindi una rilevantissima aliquota di soggetti ancora da valutare dei quali, ai sensi dell'articolo 38 legge n. 212 del 1983, solo il primo terzo dei promossi aveva ottenuto la promozione a maresciallo ordinario causando sostanziali scavalcamenti e creando nuove disparità di trattamento, in contrasto con i superiori dettati della Corte costituzionale (Corte Cost. Sent. 188/1974, 217/1977, 133/1985, 158/1995, 331/1988, 187/1990, 277/1991, 133/1996, 65/1997, 63/1998, 126/2000 – Ord. 189/1999 e ancora con i principi e criteri direttivi che devono servire a circoscrivere il campo della delega legislativa Sentenza n. 158/1985 esuli assetto delle fonti normative Sent. 171/2007);
   l'interrogante segnala il contesto collegiale nel quale deve esprimersi la potestà normativa, ai sensi dell'articolo 3 comma 1, della legge n.  216 del 1992, ove recita che: «per il personale delle Forze di polizia i decreti legislativi sono adottati sempre su proposta dei Ministri interessati e con la concertazione del Ministro dell'interno»;
   dal riordino del 1995 i criteri predeterminati, con i parametri obiettivi al fine di conseguire una disciplina omogenea, risultano stabiliti con gli stessi decreti legislativi n. 197 del 1995 (articoli 13-14), n. 200 del 1995 (articoli 8-9) e n. 201 del 1995 (articolo 53), mentre le necessarie correzioni e integrazioni avverranno solamente con i decreti legislativi n. 53 del 2001 (articolo 19), n. 76 del 2001 (articolo 15), n. 193 del 2003 (articolo 8 comma 7 e 12) nonché con il decreto-legge 10 settembre 2004, n. 238 (articolo 1) convertito con modificazioni dalla legge 5 novembre 2004, n. 263 sull'eliminazione delle situazioni di squilibrio nelle relative posizioni di carriera e non anche per il corrispondente e identico segnalato contesto;
   l'interrogante ritiene che sia urgente l'adozione di misure transitorie, al fine di ripristinare la necessaria equità ed escludere ulteriori disparità di trattamento, a rischio di violazione degli articoli 3, 35 comma 1-2, 52 comma 3, 76 e 97 della Costituzione: il dettato costituzionale viene leso non solo da un «riordino» atipico effettuato nell'ambito ordinamentale di una forza di polizia dello Stato ma anche in considerazione dello status tipico strutturale di «parte integrante delle forze armate» discostandosi i parametri di riferimento adottati in danno degli ex marescialli capo e ordinari esclusi della Guardia di finanza, nelle fasi d'inquadramento e d'avanzamento transitorio quadriennale, anche dall'informazione dello spirito democratico dell'ordinamento delle forze armate (articolo 52, comma 3 Costituzione) e che tale principio non influenza e né disconosce l'equo riconoscimento di corrispondenti diritti legiferati per altri corrispondenti ruoli in posizioni intermedie, non essendo soggetto il potere legislativo – nel caso in esame – alla adozione di alcuna limitazione di diritti come invece, inverosimilmente, l'Esecutivo delegato pone in essere con azioni restrittive e non oggettivamente condivise –:
   quali iniziative intenda adottare, in rapporto con il varato ordinamento sui corrispondenti ruoli paritetici delle altre forze di polizia dello Stato, al fine di rimuovere delle norme che risultano secondo l'interrogante vessatorie e lesive della dignità nonché dei principi giuridici del conseguimento di una disciplina omogenea per l'esigua consistenza degli ex marescialli capo e ordinari (ruolo esaurimento) della Guardia di finanza in organico al 10 settembre 1995, la cui posizione è stata iniquamente rideterminata per effetto degli articoli 65, 58 e 58-quater del decreto legislativo 2 maggio 1995, n. 199. (4-00849)


   ANTEZZA, OLIVERIO, CENNI, MONGIELLO, DAL MORO, CARRA e FERRARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) dispone l'abrogazione delle norme che consentono alle società agricole di optare per l'applicazione di un regime fiscale più favorevole di cui ai commi 1093 e 1094 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) disponendo altresì che le opzioni esercitate ai sensi dei medesimi commi perdono efficacia con effetto dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2014, ossia a partire dal 2015;
   sulla base di quanto stabilito dal comma 561 della medesima legge di stabilità 2013, le norme da essa recate entrano in vigore dal periodo d'imposta in corso al 1o gennaio 2013;
   sulla base di tali fonti normative l'Agenzia delle entrate con la circolare n. 12/E, del 3 maggio 2013, di commento alle novità fiscali, chiarisce che poiché l'entrata in vigore dell'abrogazione dei regimi agevolati decorre dal 1o gennaio 2013, dal medesimo periodo di imposta in corso, gli imprenditori non possono più esercitare le opzioni per i regimi agevolati di cui ai commi 1093 e 1094, mentre le opzioni già esercitate ai sensi dei predetti commi 1093 e 1094 perdono efficacia a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2014 (dal 2015 per i soggetti con periodo d'imposta coincidente con l'anno solare);
   le norme abrogate sono disposizioni importanti per le imprese agricole;
   infatti, il comma 1093 consente alle società di persone, alle società a responsabilità limitata e alle società cooperative, con la qualifica di società agricola ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, di optare per l'imposizione dei redditi su base catastale ai sensi dell'articolo 32 del testo unico delle imposte sui redditi: in base a tale articolo il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d'esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell'esercizio di attività agricole su di esso; con il successivo articolo 34, si specifica che il reddito agrario è determinato mediante l'applicazione di tariffe d'estimo stabilite per ciascuna qualità e classe secondo le norme della legge catastale;
   il comma 1094, invece, prevede per gli imprenditori agricoli, ovvero società di persone e società a responsabilità limitata, costituite da imprenditori agricoli, che esercitassero esclusivamente le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli ceduti dai soci, la determinazione forfetaria del reddito mediante l'applicazione all'ammontare dei ricavi del coefficiente di redditività del 25 per cento; in queste ipotesi, la tassazione con metodo forfetario rappresenta il regime naturale e non è prevista alcuna possibilità di optare per una tassazione di impresa;
   fino ai chiarimenti dell'Agenzia delle entrate, le disposizioni recate dalla legge di stabilità sono state intese diversamente dal settore agricolo che riteneva di poter fruire di un periodo di transizione di due anni in cui poter ancora esercitare l'opzione verso i suddetti regimi agevolati il cui superamento è stato duramente osteggiato e numerose sono state le proposte di tutto l'arco parlamentare per trovare una soluzione più condivisa e sostenibile dalle imprese agricole in un momento di grave crisi economica come l'attuale;
   ai sensi del comma 514 dell'articolo 1 della citata legge di stabilità si prevede, in ogni caso, la possibilità che il Ministero dell'economia e delle finanze adotti delle disposizioni transitorie per l'applicazione del precedente comma 513 che abroga il regime fiscale più favorevole di cui ai commi 1093 e 1094 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga urgente assumere le adeguate iniziative per consentire alle imprese agricole di poter effettuare l'opzione verso i regimi fiscali più favorevoli di cui ai commi 1093 e 1094 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 anche nei periodi di imposta 2013 e 2014;
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente, nell'ambito del periodo transitorio, definire una nuova disciplina fiscale da applicare ai redditi delle imprese agricole meno penalizzante rispetto a quanto stabilito dalla legge di stabilità 2013, ripensando ad un possibile ripristino della regolamentazione precedente che possa consentire alle società agricole di optare per l'applicazione del regime fiscale più favorevole. (4-00851)


   PAGLIA, LAVAGNO e RAGOSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto di sindacato ispettivo n. 5-00237 il 5 giugno 2013 l'interrogante chiedeva al Ministro interrogato di conoscere l'entità, in termini di andamento nel quinquennio, dei pignoramenti eseguiti da parte del sistema bancario e di Equitalia, del loro stato di esecuzione, della loro ripartizione rispetto all'ente esecutorio, rispetto al territorio, rispetto alla classe di valore del bene pignorato, nonché all'anno di inserimento a ruolo;
   nello stesso atto l'interrogante dimostrava preoccupazione per le dimensioni assunte dal suddetto fenomeno che ci consegna quasi quotidianamente casi drammatici di episodi consequenziali all'espropriazione della casa di abitazione ed al suo pignoramento, scenario che impone al Parlamento, nel quadro di una riforma organica del sistema tributario, di modificare le attuali regole della riscossione dei debiti fiscali e contributivi per adattarle alle reali condizioni dei nostri concittadini, anche con la previsione, per legge, della salvaguardia di un bene primario come quello della casa di abitazione non di lusso attraverso la dichiarazione d'impignorabilità;
   la risposta del Ministro interrogato, seppur tempestiva, ha fornito dati solo con riferimento alle azioni esecutive di Equitalia, lasciando totalmente inevasa la richiesta di dati riguardo ai pignoramenti effettuati dai sistema bancario;
   un rapporto elaborato da Adusbef e Federconsumatori, sulla base dei dati raccolti nei principali tribunali italiani, alla data del 30 settembre 2012 e proiettati al 31 dicembre, consegna un trend allarmante: se tra il 2008 e il 2011 i pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono aumentati di circa il 75 per cento; nello studio si stima che con il +22,8 per cento del 2012, il quinquennio si chiude con un dato praticamente raddoppiato. Ciò significa che nel solo 2012, oltre 45 mila famiglie, circa 8.500 in più rispetto al 2011, sono state costrette ad abbandonare la propria casa nell'impossibilità di reggere il pagamento delle rate del mutuo ed oltre 100 mila case sono finite all'asta –:
   quali siano i dati in possesso del Governo relativamente ai pignoramenti effettuati nell'ultimo quinquennio dal settore bancario con particolare riguardo al loro stato di esecuzione, alla loro ripartizione rispetto al territorio italiano, alla classe di valore del bene pignorato, nonché all'anno di inserimento a ruolo. (4-00864)


   CERA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Cordisco di San Paolo di Civitate, svolge da oltre cinquant'anni una affermata attività casearia e olearia che l'ha portata a rappresentare le produzioni tipicamente pugliesi su scala nazionale;
   lo sforzo per acquisire clientela nazionale, specie nella grande distribuzione, ha portato l'azienda a presentare programmi di sviluppi alle banche che, dopo un approccio collaborativo, precludevano il rapporto alla sottoscrizione di prodotti finanziari e condizioni non in linea con le strategie aziendali, pena, come detto, la revoca degli affidamenti o la non concessione dei prestiti se non, addirittura, la segnalazione alle centrali di allarme;
   la continua vessazione da parte degli istituti bancari ha condotto la Cordisco a mettere in discussione i rapporti con il sistema bancario, andando ad analizzare il passato per verificare la presenza di truffe;
   sulla scorta delle perizie per l'applicazione di interessi anatocistici, l'azienda ha citato in giudizio nel 2009 l'Unicredit per danno stimato in oltre 1,6 milioni di euro;
   contestualmente alla citazione vi è stata una vera corsa al disimpegno nei confronti della Cordisco culminato nel divieto all'utilizzo dei fondi e delle facilitazioni concesse;
   questo ha comportato ulteriori citazioni da parte dell'azienda nei confronti di Banca nazionale del lavoro e di San Paolo – Banco di Napoli per oltre 500 mila euro ciascuna;
   la mancanza di liquidità ed il blocco del credito hanno determinato il mancato approvvigionamento delle materie prime e conseguentemente l'interruzione dell'operatività quotidiana mettendo a rischio i circa 60 dipendenti dell'azienda, fino ad arrivare nel 2012 alla decisione di presentare domanda di concordato preventivo;
   il 28 febbraio 2013, nonostante il concordato predetto fosse in corso, la Banca MPS ha elevato decreto ingiuntivo ai danni della Cordisco che, per opporsi a tale atto, ha incaricato la Società Kipling s.a.s., specialista nel contenzioso bancario, di verificare la rettitudine dei rapporti intrattenuti tra MPS e Cordisco;
   la società Kipling ha peritato l'applicazione di tassi usurai oltre a interessi anatocistici e operazioni finanziarie speculative su titoli tossici;
   in data 17 maggio 2013 la Cordisco e coobbligati hanno esposto denuncia-querela presso la Guardia di Finanza nei confronti della Banca MPS e dei suoi dirigenti;
   il 21 maggio 2013 veniva notificato alla Cordisco il decreto di non ammissibilità del concordato preventivo per il mancato raggiungimento delle maggioranze, con espresso riferimento al voto della classe banche (Unicredit e MPS in primis), che a quanto consta all'interrogante con il loro voto sfavorevole avrebbero inciso maggiormente nella determinazione della maggioranza sfavorevole;
   il risultato è che un'azienda sana con circa 60 dipendenti dovrà chiudere per aver, di fatto, citato in giudizio istituti bancari per interessi anatocistici e altro –:
   se siano state avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa;
   se si intendano assumere iniziative normative volte a contrastare pratiche bancarie come quelle di cui in premessa che finiscono per danneggiare il sistema delle imprese già duramente provato dalla crisi economica. (4-00867)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MATTIELLO e COSTANTINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la signora S. G., orfana di vittima della criminalità organizzata, è stata assunta in virtù della legge n. 302 del 1990 presso l'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, a Locri, come collaboratore professionale esperto;
   la signora G., chiedeva e otteneva il trasferimento dall'azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria al tribunale di Locri, come comando temporaneo, a seguito di una richiesta inoltrata al Ministero di giustizia, e successivamente tale comando veniva prorogato fino alla data del 31 dicembre 2012;
   anche alla luce dell'esito positivo dell'esperienza presso il tribunale di Locri, in data 13 aprile 2011, la signora G. inoltrava formale domanda di trasferimento per mobilità tra enti, ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come modificato dall'articolo 49 del decreto legislativo n. 150 del 2009;
   sono trascorsi più di due anni da quando la signora G. ha inoltrato formale domanda di trasferimento per mobilità senza che le sia giunta alcuna risposta dal Ministero della giustizia, né in senso negativo, né in senso positivo, e nel frattempo, essendo scaduto il periodo di comando temporaneo presso il tribunale di Locri, alla data del 1o gennaio 2013 la signora S. G. ha ripreso servizio presso l'azienda sanitaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati e quali siano i motivi per cui trascorsi più di due anni non si è ancora provveduto a rispondere alla domanda di trasferimento per mobilità inoltrata dalla signora G. (5-00352)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLIDORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un'articolata attività investigativa ha di recente portato all'identificazione dei responsabili di decine di furti nei bagagli dei passeggeri in otto aeroporti italiani;
   l'operazione è scattata un anno fa dopo la denuncia di alcuni passeggeri imbarcati a Roma su voli diretti a Lamezia;
   furti avvenivano a bordo degli aeromobili durante le operazioni di carico e scarico ed hanno coinvolto, oltre a Roma e Lamezia Terme, gli aeroporti di Bari, Bologna, Milano Linate, Napoli, Palermo e Verona;
   nel corso delle indagini sono state effettuate per la prima volta attività di intercettazioni audiovisive a bordo degli aeromobili grazie alle quali è stato possibile identificare i responsabili dei furti, nei confronti dei quali sono scattate misure cautelari;
   si tratta di accadimenti rilevanti sul piano penale e sociale per il danno grave d'immagine e materiale provocato ai nostri scali aeroportuali e più complessivamente al settore turistico nazionale;
   senza parlare del danno arrecato ai passeggeri, non solo materiale, ma anche legato al valore soggettivo degli oggetti sottratti e al disagio generato dallo stravolgimento delle proprie aspettative di vacanza o di affari;
   chi si sia imbattuto in questo genere di disservizio, ha avuto modo di sperimentare la sensazione di rabbia e di impotenza che si prova nel riaprire la valigia e scoprire che manca qualcosa a cui si era affezionati, anche se non di grande valore oggettivo;
   in tali occasioni si riscontra l'inadeguatezza con la quale vengono verificati i danni. La difficoltà per il passeggero, infatti, non sta soltanto nel dimostrare il furto ma anche il valore di quanto è stato portato via –:
   quali iniziative si intendano assumere per tutelare adeguatamente i diritti dei passeggeri in relazione al trasporto dei bagagli;
   in che modo il sistema dell'assistenza a terra sia organizzato al fine di identificare con chiarezza gli attori che prendono parte al processo e che quindi ne sono responsabili ed in che modo si faccia fronte alle esigenze dei passeggeri malcapitati – magari anziani – dal momento che non tutti gli aeroporti dispongono di sale di sosta adeguate e spesso viene suggerito di attendere il volo successivo;
   quali siano le modalità di selezione del personale adottate dalle società di handling soprattutto in merito alla verifica dei requisiti morali degli addetti al servizio, considerato che la riduzione dei margini di guadagno del settore spesso va a incidere negativamente sulla qualità delle risorse selezionate;
   quale sia effettivamente il ruolo di controllo e vigilanza espletato dall'Enac nei confronti delle società di handling, considerato che rientra tra i compiti istituzionali dell'Ente quello di vigilare costantemente affinché l'organizzazione del sistema sia efficiente e venga assicurato l'ordinato e puntuale svolgimento del servizio. (4-00847)


   ROSATO, BLAZINA, COPPOLA e ZANIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2010 il Consiglio superiore dei lavori pubblici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha espresso all'unanimità parere favorevole al nuovo piano regolatore portuale di Trieste;
   il nuovo piano regolatore portuale è indispensabile per qualsiasi processo di sviluppo dello scalo giuliano;
   come previsto dalla legge 28 gennaio 1994, n. 84, il nuovo piano regolatore è, però, ancora in attesa dell'autorizzazione governativa di VIA (valutazione di impatto ambientale) –:
   cosa abbia impedito ad oggi l'approvazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con quali tempi il Governo intenda procedere. (4-00856)


   TENTORI, FRAGOMELI, GIUSEPPE GUERINI, GADDA, MARANTELLI, BRAGA e MAURI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la recente chiusura della strada statale 36 del lago di Como e dello Spluga conseguente al blocco della galleria Monte Piazzo avvenuto nel mese di maggio 2013, riporta di attualità l'esigenza di un adeguamento della rete viaria soprattutto in funzione di una più razionale e sicura interconnessione fra l'asse portante della strada statale 36 e la strada provinciale 72;
   un'attenta e puntuale programmazione di interventi sulla strada statale 36 è necessaria anche in vista della grande affluenza di visitatori prevista per l'Expo di Milano 2015 che avrà importanti ricadute anche sul territorio lariano. È evidente, a parere dell'interrogante, che criticità del genere in un punto strategico della rete viaria durante lo svolgimento di un evento di caratura mondiale come l'Expo, potrebbero avere conseguenze disastrose. La durata semestrale di tale manifestazione impone che sia messa in campo una strategia atta a garantire in maniera stabile, per tutto il periodo interessato, la massima efficienza dell'intera rete di trasporto regionale, in particolare della zona lacuale e della Valtellina, che per i notevoli punti di interesse turistico, culturale ed enogastronomico potrà essere raggiunta e visitata da un sempre maggior numero di visitatori, soprattutto in occasione dell'esposizione universale;
   il peduncolo di collegamento tra la strada statale 36 e la strada provinciale 72 rappresenta il logico completamento dello svincolo di Dervio sulla strada statale 36, senza il quale i veicoli in uscita dallo svincolo sono costretti ad attraversare le strette strade interne al centro di Dervio per potersi immettere sulla strada provinciale 72. Questo problema oggettivo che riguarda il traffico pesante durante tutto l'anno, si manifesta soprattutto nei casi in cui la; strada statale 36 deve essere chiusa per lavori o per cause di forza maggiore, come avvenuto recentemente, e si rende quindi necessario deviare il traffico sulla provinciale a lago;
   da tempo è stato realizzato un progetto preliminare ed è stata sottoscritta una convenzione tra Ministero dei lavori pubblici, regione Lombardia, provincia di Lecco, comune di Dervio e ANAS, che mette a disposizione 5 milioni di euro per la sua realizzazione;
   l'amministrazione provinciale di Lecco ha la titolarità del progetto, di cui sono già state sviluppate diverse soluzioni tecnicamente realizzabili, sulle quali il comune di Dervio ha sempre dimostrato massima disponibilità al fine di attuare il completamento del secondo lotto dello svincolo che prevede, per l'appunto, questa interconnessione;
   alla luce dei disagi conseguenti al blocco della galleria Monte Piazzo e soprattutto al fine di scongiurare il ripetersi di eventuali e possibili situazioni di criticità analoghe, il comune di Dervio ha ritenuto di mettere a disposizione una porzione del proprio territorio per realizzare questa opera che dovrebbe essere intesa non soltanto in funzione di esigenze strettamente locali, ma principalmente come un'infrastruttura al servizio della viabilità interprovinciale;
   l'interconnessione, che si svilupperebbe in un tracciato di lunghezza molto limitata, sarebbe una funzionale valvola di sfogo per la strada statale 36 nel caso di improvvise chiusure della stessa, ma anche un'importante apertura per i comparti turistici e commerciali della Valtellina e per i comuni rivieraschi di Lecco, che nell'attuale situazione di chiusura della galleria Monte Piazzo sono stati fortemente danneggiati;
   il tracciato alternativo alla strada statale 36, che attualmente per il traffico leggero va dallo svincolo di Bellano a quello di Piona attraverso un percorso di circa 15 chilometri, verrebbe contenuto, fra Dervio e Piona, in circa 6 chilometri. Per il traffico pesante la riduzione sarebbe ancora più consistente, considerato che il percorso attuale si sviluppa sugli oltre 30 chilometri che separano Abbadia Lariana da Piona;
   il nuovo collegamento consentirebbe in caso di emergenza di evitare il transito nei due centri abitati di Bellano e Dervio e di evitare inoltre il blocco del traffico, per più di 50 volte durante l'arco di una giornata, in corrispondenza del passaggio a livello delle ferrovie statali, di Bellano e di Dervio, oltre alle problematicità per il traffico pesante determinate dal transito in galleria fra Bellano e Dervio;
   considerando i costi sostenuti anche solo in questa fase di emergenza dalla pubblica amministrazione e dai privati, oltre che le ricadute negative su tutti i settori produttivi della riviera del lago, della Valtellina e della Valchiavenna, si può ragionevolmente ipotizzare che i fondi eventualmente mancanti per il finanziamento completo di un collegamento a doppia corsia siano un onere sicuramente inferiore ai costi sostenuti durante un'emergenza viabilistica come quella recentemente affrontata;
   nell'ambito di una audizione svoltasi martedì 4 giugno 2013 in Commissione V Territorio della regione Lombardia, concernente la strada statale 36 – Galleria Monte Piazzo, alla quale ha partecipato il capo compartimento ANAS della Lombardia, Ingegnere De Lorenzo, è stato confermato l'impegno della regione per la realizzazione dello svincolo –:
   se il Ministro intenda intervenire, per quanto di propria competenza, affinché possa essere attuata la gestione diretta da parte dell'ANAS della realizzazione dell'interconnessione tra la strada statale 36 e la provinciale 72 con la convergenza operativa e finanziaria tra Stato, regione ed enti istituzionali del territorio di Lecco e Sondrio. (4-00858)


   SCOTTO e QUARANTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo EAV è una SRL il cui azionista unico è la regione Campania e raggruppa le ex Ferrovie Concesse SEPSA, Circumvesuviana e Metrocampania Nordest (ex Alifana);
   tale gruppo fornisce un'irrinunciabile servizio di trasporto pubblico nelle province di Napoli, Caserta e Benevento con oltre 2.200 addetti e con un utenza servita tra le più alte dell'intero Paese;
   con il decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012, all'articolo 16, commi 5, 6, 7, 8, 9, 10 convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012 era stato definito un piano di rientro finanziario del gruppo, alimentato sia da risorse di cui al Fondo di sviluppo e coesione per un massimo di 200 milioni euro e sia, eventualmente si rendessero necessarie, dalle risorse rinvenienti dall'aumento delle misure di cui all'articolo 2, comma 86, della legge 23 dicembre 2009;
   la norma perseguiva anche la finalità di riqualificare e potenziare il sistema della mobilità regionale su ferro e definiva una tempistica per la presentazione, da parte del commissario ad acta, da nominarsi ai sensi dell'articolo 14, comma 22, del decreto legislativo n. 78 del 2010, del piano di rientro;
   di concerto i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dell'economia e delle finanze nominavano un commissario ad acta con l'incarico di approntare un piano industriale per la riorganizzazione dell'EAV Ferro e presentare un piano di rientro dai debiti;
   la nomina del commissario ad acta, individuato nel dottor Pietro Voci dei servizi ispettivi del Ministero dell'economia e delle finanze è avvenuta con notevole ritardo e in palese violazione della tempistica definita dal comma 5 del decreto legislativo n. 83 del 2012;
   il suddetto commissario ad acta sembrerebbe aver predisposto il piano industriale ed il piano di rientro senza alcun confronto nel merito con le organizzazioni sindacali, in particolare sulle eventuali modifiche proposte in tema di organizzazione del lavoro e soprattutto senza esplicitare quali siano le azioni che vengono proposte in tema di riorganizzazione, riqualificazione e potenziamento del sistema della mobilità regionale su ferro così come previsto dalla norma;
   tali piani prevederebbero unicamente tagli di personale e di salario per i lavoratori;
   tali piani sembrerebbero già trasmessi ai competenti Ministeri per l'approvazione di cui al comma 5 dell'articolo 16 del citato decreto-legge;
   non è chiaro se sia stato istituito formalmente il tavolo tecnico di cui al comma 8 dell'articolo 16 del citato decreto-legge;
   il notevole ritardo accumulato nella predisposizione del piano e la sua approvazione sta determinando notevoli contrasti tra la società EAV Srl, che pone in essere azioni unilaterali di modifica dell'organizzazione del lavoro sulla base di una applicazione preventiva dei contenuti del piano di rientro, e le organizzazioni sindacali;
   sono già state esperite, con esito negativo, le procedure di raffreddamento;
   tutto ciò si inserisce in un quadro di generale smantellamento del trasporto pubblico locale, sia a carattere metropolitano che regionale, di cui porta principalmente la responsabilità l'amministrazione regionale con gravi disagi per l'utenza ed i lavoratori –:
   se corrisponda al vero che il commissario ad acta ha trasmesso il piano industriale ed il piano di rientro;
   se sia stato istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il tavolo di cui al comma 8 dell'articolo 16 del decreto-legge n. 83 del 2012;
   se, nel caso effettivamente il piano preveda interventi sull'organizzazione del lavoro, sul salario dei lavoratori ovvero sulle iniziative proposte per il potenziamento del sistema di mobilità su ferro in Campania, non si renda necessario, prima della sua approvazione e/o di eventuali modifiche, sottoporlo alle organizzazioni sindacali;
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere per tutelare il diritto al trasporto dei cittadini ed il lavoro dei dipendenti del gruppo EAV. (4-00862)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   AGOSTINELLI, TERZONI, MICILLO, BUSINAROLO, MANNINO, D'INCÀ, D'AMBROSIO e BONAFEDE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alla fine di aprile 2013, si apprendeva dalla stampa che il centro operativo della direzione investigativa antimafia di Milano si apprestava a sopprimere a partire dal primo maggio il nucleo informativo della direzione investigativa antimafia presso l'aeroporto di Milano Malpensa ufficialmente per esigenze di ottimizzazione delle risorse;
   il 12 gennaio 2012, tuttavia, una nota del direttore della direzione investigativa antimafia sosteneva al contrario proprio l'importanza del mantenimento di quel presidio in vista di Expo 2015 per contrastare eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata e che, addirittura, le spese di missione per i servizi da svolgere comunque in loco sarebbero state maggiori rispetto ai risparmi ipotizzati;
   il Presidente del Consiglio Enrico Letta, lunedì 6 maggio 2013, recatosi a Milano per parlare di Expo 2015 aveva ribadito con forza che «le organizzazioni criminali non ci metteranno piede»;
   per il Silp CGIL, come si apprende da dichiarazioni ufficiali rilasciate da Daniele Tissone, segretario generale del Silp stesso, il sindacato di polizia della CGIL: «decidere di sopprimere un presidio indispensabile per un riscontro diretto di così delicate attività investigative, oltre a suscitare la nostra assoluta contrarietà, comunica un preoccupante segnale che di certo non incoraggia la lotta contro la criminalità organizzata»;
   occorre ricordare allora la funzione essenziale del nucleo informativo di Malpensa, istituito nel 2000 in attuazione dell'articolo 5 del decreto ministeriale 30 marzo 1994, che è quella di raccogliere elementi per la prevenzione e l'analisi dei fenomeni criminali legati alla malavita organizzata e di svolgere una funzione di assistenza alle indagini più complesse di polizia giudiziaria;
   ci risulta poi che in realtà i costi di gestione del presidio siano contenuti e che il canone sia da considerarsi meramente retributivo, tale quindi da non giustificarne assolutamente la soppressione per finalità di tipo economico –:
   per quali motivi, nonostante le parole del Governo, siano seguite poi scelte contrarie;
   in base a quali ulteriori valutazioni economiche (in relazione alle quali gli interroganti ritengono opportuno siano comunicati dati certi) e strategiche il Governo abbia cambiato la sua posizione;
   se si intenda valutare l'opportunità di revocare la decisione di chiusura alla luce della suddetta centralità del presidio e del concreto pericolo di infiltrazioni mafiose legate all'Expo 2015. (4-00844)


   SCOTTO, FAVA e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il posto fisso operativo della polizia di Stato di Casapesenna è alle dipendenze della questura di Caserta;
   il suddetto posto di polizia opera anche nei comuni di Casal di Principe, Villa Literno e San Cipriano d'Aversa;
   l'attività del personale della polizia di Stato di Casapesenna ha portato dal 2010 al 2012 a più di 60.000 persone controllate, a 160 arresti effettuati, compreso quelli di pericolosi latitanti, e a più di 30.000 veicoli controllati;
   il Governo Monti, nell'ambito di una politica di risparmio economico, ha deciso per la soppressione del posto fisso operativo della polizia di Stato di Casapesenna;
   l'aver aperto un posto di polizia in quel comune ha significato essere concretamente presenti nel quadrilatero della camorra in cui hanno un ruolo determinante i territori di Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e Villa Literno;
   il personale di polizia di Casapesenna ha dimostrato di essere altamente professionale, sia nella prevenzione, con l'attività istituzionale della squadra volante, sia in operazioni di polizia giudiziaria, di contrasto all'abusivismo edilizio, di lotta alla contraffazione, di sequestro di armi e munizionamento da guerra e con l'arresto di pericolosi latitanti, tra cui il boss dei Casalesi Michele Zagaria;
   i clan presenti in quest'area si sono dimostrati nel corso degli anni particolarmente organizzati e radicati nel territorio, con uno stile mafioso tale da essere spesso paragonato a quello tipico delle organizzazioni criminali siciliane e calabresi;
   tali realtà criminali sono indubbiamente tra le più forti operanti in Campania, e le inchieste della magistratura hanno dimostrato anche i forti legami tra la «camorra» dell'agro aversano e la politica locale e nazionale;
   alla chiusura del posto di polizia di Casapesenna si sono opposti la Silp CGIL, magistrati della DDA come ad esempio il pm Catello Maresca, esponenti del «Coordinamento per il riscatto» e imprenditori locali che con le loro denunce hanno permesso l'arresto di diversi estorsori della «camorra» locale (vedi l'articolo pubblicato da La Repubblica.it il 12 giugno 2013 intitolato «Casapesenna, appello del pm anticlan: non chiudete il commissariato di polizia») –:
   se non si debba valutare la possibilità di non sopprimere il posto di polizia di Casapesenna, perché un'ottica tesa al solo risparmio non può determinare la soppressione di un presidio di legalità così efficace nel contrasto alla «camorra». (4-00855)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le «Indicazioni Nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento in relazione alle attività e agli insegnamenti compresi nel piano di studi», che accompagnano il decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010, concernente il riordino dei licei, relativamente all'insegnamento della letteratura italiana, indicano, per la poesia del Novecento, le esperienze decisive di Ungaretti, Saba e Montale, e successivamente autori come Rebora, Campana, Luzi, Sereni, Caproni, Zanzotto;
   le medesime indicazioni segnalano, sulla narrativa, autori significativi come Gadda, Fenoglio, Calvino, Primo Levi, integrato da Pavese, Pasolini, Meneghello ed Elsa Morante;
   indicazioni raccomandano, infine, la lettura di pagine della migliore prosa saggistica, giornalistica e memorialistica;
   in queste indicazioni come si nota, manca qualunque autore del Sud Italia e compare una sola donna. Si opera sostanzialmente una esclusione di un pezzo significativo della cultura essenziale per la storia del nostro Paese;
   mancano, quindi, figure meridionali e figure di donna (ne cito solo alcuni: Gesualdo Bufalino, Leonardo Sciascia, Matilde Serao, Anna Maria Ortese, Luigi Compagnone, Domenico Rea) che hanno dato lustro alla letteratura italiana del Novecento;
   le case editrici si attengono alle «indicazioni» nel momento in cui elaborano i manuali per i licei e ad esse guardano tutte le programmazioni;
   il Centro di documentazione sulla poesia del sud si sta mobilitando per una richiesta di integrazione delle «Indicazioni nazionali» di cui sopra –:
   se non ritenga opportuno procedere ad una integrazione delle «Indicazioni nazionali» con autori del Sud d'Italia e con autrici di tutte le regioni italiane che hanno dato lustro alla nostra cultura letteraria e risultano erroneamente escluse. (5-00344)


   SBROLLINI e GINATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i comuni montani, tra cui quello di Valli del Pasubio (Vicenza), per le implicanze di carattere demografico, trovano difficoltà nella costituzione e nel dimensionamento delle classi scolastiche;
   in particolare, per effetto della definizione del tetto massimo di 27 bambini per classe, elevabile a 31 o 32, in base al decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, articolo 10, sono in pericolo la qualità e il futuro delle scuole primaria e secondaria di primo grado di Valli del Pasubio (Vicenza), servizi essenziali per la sopravvivenza della stessa comunità montana;
   i comuni montani hanno la responsabilità di garantire agli studenti pari opportunità di istruzione rispetto ai coetanei dei grossi centri urbani, di promuovere e sostenere con azioni di supporto la coerenza e la continuità in verticale e in orizzontale tra i diversi gradi ed ordini di scuole ai sensi dell'articolo 138, comma 3, della legge regionale 13 aprile 2001, n. 11, in attuazione del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112;
   l'andamento demografico negli ultimi anni (2.728 bambini per annata) si è attestato prossimo al limite massimo imposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, articolo 10;
   nella scuola di Valli del Pasubio (Vicenza) sono attivi due tempi scuola, 27 ore e 40 ore. Chiuderne uno impoverirebbe l'offerta della scuola montana. Non permettere una sezione a 27 ore metterebbe ulteriormente in difficoltà le famiglie colpite dalla crisi, che nella vallata sta producendo gravi sofferenze per la chiusura delle poche realtà produttive presenti. Tali famiglie sarebbero costrette a erogare 700 euro per la mensa scolastica, soluzione obbligatoria vista la lontananza del 90 per cento delle abitazioni dalla scuola. Impedendo la costituzione di una sezione a 40 ore, il gruppo insegnanti della scuola primaria in 4 anni scenderebbe dagli attuali 13 a 7, con evidente rischio di perdita della continuità didattica e conseguente impoverimento delle opportunità per i ragazzi di questo paese. Gli stessi effetti si riprodurrebbero, a seguire, nella scuola secondaria;
   Valli del Pasubio (Vicenza) è un comune montano di 3500 abitanti, a molti chilometri dalle città di pianura. Il centro abitato è ridotto, mentre il grosso della popolazione vive in contrade sparse nel territorio a decine di chilometri di distanza dal centro, dove il servizio di trasporto alunni risulta indispensabile nonché costoso. Mentre il centro si trova a circa 200 metri sul livello del mare, le contrade più alte si trovano a circa 900 metri sul livello del mare, per un'estensione comunale totale di circa 60 chilometri;
   i ragazzi delle contrade più alte salgono sul pulmino alle 6,50 del mattino e gli ultimi nel pomeriggio scendono dal pulmino alle 17. Ogni attività extra scolastica comporta spostamenti di decine di minuti. Una sezione con un'unica offerta di tempo scuola, non sarebbe un atto di equità paragonando la complessa situazione del comune montano alla semplicità di accesso ai servizi dei paesi di pianura;
   la perdita di una delle due offerte scolastiche escluderebbe la tutela delle esigenze di parte delle famiglie, soprattutto le più giovani, costringendole all'abbandono del territorio montano –:
   se e quali iniziative di competenza, anche normative, il Ministro intenda assumere per avvantaggiare la costruzione di un sistema di salvaguardia forte delle scuole primarie e secondarie di primo grado presenti nei territori di montagna; se non ritenga di permettere, per le scuole dei comuni montani, la deroga al limite massimo di alunni per classe, consentendo il tetto massimo di 21, e dare così la possibilità di mantenere due offerte di tempo scuola, a 27 e a 40 ore, garantendo le esigenze di tutte le famiglie. (5-00349)


   BUONANNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata sul quotidiano Il Messaggero il 7 giugno 2013 quella di un'indagine su eventuali promozioni facili e sospette all'AND-Accademia nazionale di danza;
   l'Accademia è istituito di alta formazione e specializzazione artistica-AFAM ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 508 del 1999;
   da sempre gode di prestigio e fama per l'elevata professionalità e didattica nel campo della danza;
   purtroppo, però, da un po’ di tempo uno scontro interno tra la Fondazione e la direzione, nonché tra la direzione da un lato ed il corpo docente e gli alunni dall'altro, sta minando la credibilità dell'istituzione;
   secondo l'articolo di stampa citato, la procura della Capitale ha aperto un fascicolo per far luce su alcune promozioni sospette;
   secondo alcuni docenti, infatti, dal 2009 sarebbero saltati troppi scrutini e in compenso si sarebbero registrate promozioni sospette di allievi che non avrebbero superato gli esami o, ancor peggio, non avrebbero neanche frequentato i corsi;
   dalle accuse emergerebbe che addirittura due studenti avrebbero passato l'esame finale senza aver mai frequentato i corsi, dal momento che per impegni artistici si erano trasferiti in Cina;
   sempre secondo quanto riportato sulla stampa «La direzione dell'Accademia – è il contenuto della denuncia – ha consentito ad un numero significativo di allievi di avere accesso all'esame finale di ottavo anno di Tecnica Accademica senza che gli stessi avessero superato gli esami precedenti, come invece disciplinato dalle norme»; ed ancora: «sono stati ammessi d'ufficio in più occasioni, agli anni successivi, allievi che non avevano frequentato alcune materie. E in qualche caso non avevano frequentato per niente»;
   ovviamente la denuncia per falso in atto pubblico ed abuso d'ufficio presentata da alcuni professori non è stata gradita al direttore, aumentando i veleni e le tensioni che oramai da anni caratterizzano l'unica istituzione nazionale di alta formazione coreutica;
   la direzione è affidata a Margherita Parrilla, nominata nel 1996 per volere dell'allora Ministro Berlinguer, con un mandato – pare – privo di scadenza e/o rinnovo –:
   se i fatti di cui in premessa corrispondano a verità e, in caso di risposta affermativa, quali provvedimenti di propria competenza il Ministero – in qualità di ente vigilante – intenda adottare in merito;
   se non convenga sull'opportunità di concludere il ciclo delle nomine «dall'alto» ed «a vita» e di farsi garante di un percorso elettivo interno degli incarichi direzionali, al fine di restituire all'Accademia nazionale di danza credito e prestigio. (5-00354)

Interrogazione a risposta scritta:


   DI VITA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi le cronache dei giornali hanno riportato una notizia aberrante accaduta nel vicentino: un 15enne autistico è stato oggetto di quotidiani e ripetuti atti di violenze fisiche ed offese da parte di due «maestre» di una scuola media;
   i carabinieri di Vicenza, hanno documentato le scene di violenza, sevizie nonché offese, con un filmato shock. Sulla base del filmato hanno chiuso le indagini ed arrestato le due maestre Maria Pia Piron di 59 anni e «l'insegnante di sostegno» Oriana Montesin di 55 anni;
   la liberazione dall'incubo arriva per il 15enne l'8 aprile 2013; verso le 10 e 30, i carabinieri di Vicenza entrano nella scuola media, vanno diretti nella stanzetta degli orrori e pongono fine alle violenze delle insegnanti;
   risulta all'interrogante che «l'assistente di sostegno» Oriana Montesin sia stata disconosciuta dall'ordine nazionale degli assistenti, in quanto non risulta iscritta all'albo professionale degli assistenti sociali;
   gli stessi carabinieri di Vicenza hanno definito le immagini del video insopportabili;
   delle due donne solo una è ancora in carcere, l'assistente Oriana Montesin. Piron ha ottenuto i domiciliari, dopo aver scritto al giudice che intende sottoporsi ad un trattamento terapeutico ed aver versato una prima somma di 10 mila euro come risarcimento alla famiglia del ragazzo autistico. Una strada che pare voglia seguire anche l'altra indagata;
   purtroppo non è il primo caso ma solo l'ennesimo, documentato, di violenze da parte di maestre nei confronti di minori o di bambini diversamente abili, e sui quali è necessario avviare iniziative immediate ed efficaci al fine di stroncare tali atti di violenze inaccettabili nelle scuole pubbliche e private;
   il susseguirsi di atti di violenza nelle scuole nei confronti di minori e di diversamente abili, ha portato alcune associazioni di genitori di bambini autistici a richiedere con una petizione l'ausilio di mezzi audiovisivi a tutela della incolumità dei loro figli nelle scuole –:
   come sia stato possibile che un assistente sociale che non risulta iscritta all'albo professionale degli assistenti sociali abbia potuto lavorare in una scuola media in qualità di assistente di sostegno;
   quali iniziative abbiano intrapreso o intendano intraprendere perché fatti come quelli citati in premessa non abbiano più ad accadere;
   quali siano i dati in possesso dei Ministri interrogati relativi agli atti di violenza nei confronti di minori nelle scuole sia pubbliche che private e se non ritenga necessario avviare una indagine amministrativa nazionale;
   se non ritengano necessario verificare i requisiti degli insegnanti di sostegno che operano nelle scuole pubbliche e private;
   se non vi siano elementi, come nel caso della scuola media di Vicenza, per ravvisare situazioni di mancata denuncia degli abusi da parte dei responsabili delle scuole medie (4-00860)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BALDASSARRE, BECHIS, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i lavori socialmente utili (LSU) sono nati per offrire una possibilità di reinserimento lavorativo a disoccupati e cassintegrati utilizzando l'opportunità di indirizzare le capacità e le competenze in attività utili alla cittadinanza;
   il decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, avente ad oggetto la «revisione delle discipline sui lavori socialmente utili» ha introdotto alcune misure di stabilizzazione per i soggetti impegnati in tale contesto;
   il comma 8 dell'articolo 45 della legge n. 144 del 17 maggio 1999 ha stabilito espressamente che a coloro i quali sono impegnati in lavori socialmente utili, assoggettati alla disciplina di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 1o dicembre 1997, n. 468, viene riservata una quota del 30 per cento dei posti da ricoprire, mediante avviamenti a selezione di cui all'articolo 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e successive modificazioni;
   tra i lavoratori di utilità sociale si annoverano quelli in servizio presso le scuole di ogni ordine e grado applicati come personale ATA;
   a seguito della stipula di una convenzione quadro sottoscritta tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e quattro grandi consorzi di imprese e società cooperative, i lavori socialmente utili sono transitati dai provveditorati scolastici alle effettive dipendenze di aziende private col conseguente emergere di un aggravamento della condizione di precarietà, causato da un abbassamento delle retribuzioni cui si è aggiunto in molti casi il ricorso da parte delle aziende alla cassa integrazione guadagni in deroga;
   non sono mai state poste in essere misure volte alla stabilizzazione dei lavori socialmente utili in seno all'amministrazione, sebbene questi ultimi siano stati da sempre utilizzati per sopperire alle effettive carenze di organico nelle scuole;
   nell'anno scolastico 2013/2014 partirà il nuovo affidamento d'appalto per la fornitura di servizi agli istituti scolastici che comporterà per le casse dello Stato un nuovo ingente stanziamento di somme che potrebbe invece essere enormemente limitato ed utilizzato in favore del cospicuo numerosi lavoratori precari, qualora l'amministrazione decidesse di procedere alla stabilizzazione dei lavori socialmente utili –:
   se i Ministri interrogati intendano valutare l'opportunità di assumere iniziative per l'utilizzo del lavori socialmente utili applicati nelle scuole, di ogni ordine e grado attraverso processi di stabilizzazione alle dirette dipendenze del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. (5-00347)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ORFINI, MADIA e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   in forza dell'articolo 21, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, è stata operata, a far data dal 1o gennaio 2012, la soppressione dell'ENPALS (Ente di previdenza e di assistenza dei lavoratori dello spettacolo) e il trasferimento delle sue funzioni istituzionali nonché delle relative risorse patrimoniali, professionali e strumentali all'INPS allo scopo di razionalizzare e rendere più efficiente la gestione della previdenza pubblica;
   il soppresso ENPALS, anche per effetto delle condizioni di lavoro precarie e discontinue dei lavoratori iscritti al Fondo – che nel settore dello spettacolo costituiscono la ragione che pregiudica, per una larga parte degli assicurati, la possibilità di conseguire i requisiti minimi per il diritto al trattamento pensionistico obbligatorio – aveva accumulato, al 31 dicembre 2011, un patrimonio netto pari a euro 2.282 milioni quale risultato degli avanzi accumulati nel corso degli ultimi esercizi, corrispondenti a circa il 20 per cento-30 per cento delle entrate contributive accertate negli ultimi anni;
   il predetto patrimonio netto deriva principalmente dall'imponente gettito contributivo rinveniente dall'industria dello spettacolo a seguito della riforma delle pensioni operata nel settore nel 1997, sulla scorta di quanto realizzato nel Paese, per il complesso del sistema economico, con la legge n. 335 del 1995;
   prima della citata soppressione dell'ENPALS, le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali del settore dello spettacolo avevano elaborato istanze progettuali finalizzate a favorire l'utilizzo di una parte del predetto avanzo di amministrazione allo scopo di salvaguardare il grande patrimonio artistico e culturale delle istituzioni e degli enti che operano nel settore dello spettacolo e per favorire lo sviluppo dell'occupazione nel settore –:
   se il Governo, a seguito della soppressione dell'ENPALS e del trasferimento delle sue funzioni all'INPS, ritenga soddisfacente l'assetto operativo della previdenza nel settore dello spettacolo, con particolare riguardo:
    a) alla qualità dei servizi previdenziali erogati alle imprese ed agli assicurati ex ENPALS e le iniziative adottate, sul piano organizzativo e funzionale, per favorire la salvaguardia dei livelli di qualità conseguiti prima della soppressione dell'ENPALS, nonché il loro miglioramento;
    b) all'andamento del gettito contributivo afferente al fondo pensioni lavoratori dello spettacolo e le iniziative adottate, sul piano organizzativo e funzionale, allo scopo di rafforzare il controllo del rispetto degli obblighi contributivi da parte delle imprese e degli enti del settore;
    c) alla costituzione, nell'ambito della complessiva gestione INPS, di una gestione speciale per i lavoratori dello spettacolo;
   se il Governo, anche alla luce dell'esigenza di contrastare la situazione di crisi in atto nel settore, che rischia di determinare la definitiva chiusura di importanti istituzioni artistiche del Paese, ritenga opportuno avviare, congiuntamente alle associazioni imprenditoriali e alle organizzazioni sindacali del settore, la progettazione di interventi finalizzati a favorire la riduzione dei costi a carico delle predette imprese e istituzioni e la crescita della base occupazionale attraverso l'utilizzo di una parte del predetto patrimonio netto dell'ex ENPALS ovvero dei futuri avanzi di amministrazione che dovessero venire a determinarsi nel citato Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo. (4-00852)


   BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Fondo sociale per l'occupazione istituito con decreto interministeriale da emanarsi anno per anno fino al 2017, è stato finanziato nei precedenti anni 2011 e 2012 con un ritardo oscillante tra i 13 e i 10 mesi, provocando il conseguente vuoto reddituale per i lavoratori interessati e le loro famiglie;
   secondo i dati forniti da varie associazioni e sindacati i soggetti coinvolti sarebbero 4.455, per un costo già calcolato di circa 43 milioni di euro, di cui 1.494 già beneficiari del Fondo sociale per l'occupazione;
   ad oggi il decreto interministeriale relativo allo sblocco dei fondi per il 2013 non è ancora stato emanato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto;
   se sia possibile ad oggi prevedere la data in cui detti fondi verranno sbloccati. (4-00853)


   BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO, TRIPIEDI e COLLETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   circa 830 dipendenti regionali sono stati posti in esonero dal servizio in base all'articolo 72 del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008;
   con una circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (n. 72987 del 28 novembre 2012) i suddetti 830 dipendenti pubblici regionali sono stati esclusi dalla salvaguardia di cui all'articolo 6, comma 1, lettera e) decreto interministeriale 1o giugno 2012 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 171 del 24 luglio 2012);
   a parere di talune sigle sindacali sarebbero emerse criticità nell'interpretazione della circolare n. 72987 del 28 novembre 2012 –:
   quali e quanti siano i dipendenti su cui ricadono gli effetti della circolare n. 72987 del 28 novembre 2012 e se sia intendimento del Governo, in un periodo di particolare crisi occupazionale, porre in essere azioni volte a favorire l'estensione dei benefici a tutte le categorie di dipendenti su cui possano ricadere gli effetti del provvedimento. (4-00854)


   ZARDINI e ROTTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il recupero di credibilità tra le istituzioni ed i cittadini avviene anche attraverso la gestione democratica e trasparente delle articolazioni dello Stato; l'attuale gestione monocratica dell'Inps non contribuisce, a parere dei proponenti, a rafforzare la fiducia nelle istituzioni e amplia la possibilità di effettuare delle scelte non in sintonia con gli obiettivi di carattere sociale che l'ente persegue;
   negli ultimi anni l'Inps ha subito delle considerevoli modifiche in materia di governance: il decreto-legge n. 78 del 2010 ha trasformato la gestione commissariale dell'ente in una gestione monocratica, attribuendo le competenze del soppresso consiglio di amministrazione al Presidente; inoltre, le funzioni dell'Inpdap e dell'Enpals, a decorrere dal 1o gennaio 2012, sono state incorporate nel medesimo Istituto, allo scopo di migliorare il sistema di welfare in termini di efficienza con i risparmi di gestione previsti e di efficacia con l'incremento della qualità servizi pubblici attraverso l'integrazione delle funzioni previdenziali ed assistenziali in un unico ente;
   a seguito dell'incorporazione degli enti soppressi, l'Inps è chiamato ad amministrare circa 33.556 mila dipendenti, con un onere finanziario di 2.014 milioni, 23 milioni di occupati (99,3 per cento dei lavoratori), 18 milioni di pensionati, per un importo di circa 229 miliardi di euro per il relativo pagamento (14,49 per cento del prodotto interno lordo del 2011) e 4,5 miliardi di spese di funzionamento (1,56 per cento delle spese istituzionali). Da un confronto con gli istituti previdenziali europei risulta che il nuovo Inps rappresenta il più grande ente previdenziale dell'Europa;
   nella precedente legislatura il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore si era assunto l'impegno di presentare un nuovo modello di governance per gli istituti previdenziali ed assistenziali ed a seguito della discussione delle mozioni dei deputati Silvano Moffa e Donata Lenzi; su tale argomento è stata approvata nel mese di maggio 2012 una mozione unitaria dalla Camera dei deputati al fine di superare l'attuale fase di gestione monocratica dell'Inps;
   la Corte dei conti, nella sua relazione del novembre 2011, ha espresso evidenti perplessità sulla gestione monocratica dell'Inps; nonostante tali valutazioni la concentrazione dei poteri nella figura del presidente dell'Inps prosegue in assenza di una concreta presa di posizione finalizzata a superare il metodo dell'uomo solo al comando e a realizzare una gestione democratica trasparente, efficace e partecipata nell'Istituto, ripristinando l'organo previsto nelle imprese private e pubbliche: il consiglio di amministrazione. A parere degli interroganti, la gestione monocratica del presidente, il cui mandato scade il 31 dicembre 2014, ha espresso degli evidenti limiti, evidenziati dal ricorso a numerose consulenze esterne, onerose e pervasive, relativamente a problematiche che potevano essere gestite ad avviso degli interroganti utilizzando le competenze e le capacità esistenti all'interno dell'Inps;
   la riconsiderazione seria e responsabile degli organi dell'Inps e delle loro competenze può essere utile per rilanciare la strategia dell'Istituto e perseguire gli obiettivi di carattere sociale che fanno capo all'Istituto stesso. Inoltre, occorre riflettere sulle nuove competenze del consiglio di indirizzo e vigilanza, composto da 24 membri designati dalle rappresentanze sindacali dei lavoratori, dei datori di lavoro e dei lavoratori autonomi –:
   se non ritengano necessario, per quanto di propria competenza, assumere iniziative per ridefinire la governance dell'Inps, anche agevolando, per quanto di competenza, l’iter della proposta avanzata al riguardo dal Partito democratico (atto Camera 556), che preveda, tra l'altro, la presenza del consiglio di amministrazione – così come avviene in tutte le imprese pubbliche e private, tenendo conto che l'istituto gestisce servizi essenziali per i cittadini e per lo Stato e una quantità notevole di risorse finanziarie – e, in tale quadro, valutare l'opportunità di prevedere una riduzione del numero dei componenti dei suoi organi – quale, a esempio, il consiglio di indirizzo e vigilanza – nonché una più netta ed efficiente distinzione di ruoli e funzioni tra i medesimi;
   come valutino, in termini di opportunità e di efficienza, la molteplicità di incarichi ricoperti dal presidente dell'Inps.
(4-00873)

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SBROLLINI, CARNEVALI, SCUVERA, LENZI, CASATI, D'INCECCO, IORI, PICCIONE, AMATO, BIONDELLI, CAPONE, MIOTTO, MURER e PATRIARCA. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dall'ultimo rapporto pubblicato da Save the Children «Allarme Infanzia – L'isola che non ci sarà», emerge che l'Italia spende troppo poco per la protezione sociale dei bambini e l'istruzione, investendo quindi poco nel suo futuro;
   riguardo la spesa per la protezione sociale della famiglia e dei minori, l'Italia si colloca al 18o posto in Europa con l'1,1 per cento del prodotto interno lordo contro il 5,3 per cento della Danimarca al 1o posto; riguardo la spesa per la scuola dell'infanzia e primaria, l'Italia si colloca al 9o posto con l'1,5 per cento del prodotto interno lordo contro il 3,9 per cento della Danimarca al 1o posto; riguardo la spesa per la scuola secondaria, l'Italia si colloca al 7o posto con l'1,9 per cento del prodotto interno lordo contro il 2,9 per cento della Finlandia;
   adolescenti e giovani italiani si collocano agli ultimi posti per competenze di lettura e conclusione del ciclo di istruzione superiore;
   si segnala il disagio di chi si affaccia alla vita adulta in un Paese segnato dagli effetti della recessione: in Italia nell'ultimo quadrimestre del 2012 la disoccupazione tra i giovani sotto i 25 anni riguarda il 36,9 per cento della popolazione, quarto peggior risultato su scala europea subito dopo Grecia, Spagna e Portogallo; tra i giovani laureati la disoccupazione è più che raddoppiata in meno di 10 anni, passando dal 15 per cento del 2004 al 33,3 per cento del 2012. Tuttavia, si sottolinea che l'Italia è addirittura in ultima posizione per quanto riguarda il livello di riuscita universitaria: solo il 20 per cento dei giovani tra i 30 e i 34 anni ha un titolo di laurea. Un dato minimo che ci colloca alle spalle della Romania e di Malta;
   il rapporto mostra la debolezza del sistema di istruzione italiano e, in particolare, l'assenza di un sistema di formazione professionale adeguato: in Italia il 25 per cento dei giovani tra i 15 e i 34 anni non solo non hanno un lavoro e non sono iscritti a scuola, ma non risultano iscritti a nessun corso di formazione;
   anche le principali condizioni di salute dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia sono lontane dagli standard europei. Considerando la classifica riportata dal rapporto di Save the Children, il nostro Paese è ben 7 volte su 12 oltre la ventesima posizione e occupa per 6 volte gli ultimi 4 posti;
   secondo gli scenari centrali elaborati da Eurostat e Istat, nel 2030 i minori di 18 anni non raggiungeranno i 10 milioni e avranno un'incidenza pari al 15,4 per cento, un punto e mezzo in meno rispetto al loro peso attuale. Ma già oggi l'Italia presenta un indice di vecchiaia tra i più alti d'Europa e una presenza di minori ridotta rispetto agli altri Paesi europei –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra riportato; quali iniziative intenda assumere per favorire l'istruzione come chiave del progresso economico e sociale e per potenziare la protezione sociale dell'infanzia e dell'adolescenza affinché l'Italia rientri negli standard europei. (5-00346)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SBROLLINI e GINATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la pioggia record delle scorse settimane (230 millimetri nel vicentino solo nella giornata di giovedì 16 maggio 2013) ha imbevuto terreni ormai incapaci di assorbire: nei primi quattro mesi dell'anno sono caduti 600 millimetri d'acqua, su una media annuale di circa mille millimetri, vale a dire il 60 per cento dell'intera piovosità annuale;
   si tratta di un flagello per l'agricoltura in maggio, mese destinato per eccellenza a semine e tagli di fieno. Il 40 per cento della superficie destinata alle barbabietole non è ancora stata seminata, stessa sorte per il 30 per cento di superficie a mais; 32 mila ettari di superficie agricola regionale deputata agli ortaggi sono ancora vuoti, gli sfalci di erba medica che servono per i foraggi sono completamente perduti;
   sembra che si assisterà al 40 per cento in meno di raccolti per mancate semine. I problemi riguardano anche la frutta, in particolare pesche e ciliege, poiché sembra compromesso metà del raccolto nel veronese e il 30 per cento nelle altre zone battute dalla pioggia;
   da anni ci sono in cantiere opere importanti tra cui l'idrovia Padova-Venezia per la cui realizzazione servono 200 milioni di euro. Cinque bacini di laminazione (tra cui Caldogno e Trissino) vengono ormai dati per acquisiti, ma i finanziamenti non sembrano arrivare –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra riportato; se e come intenda attivarsi per accelerare lo stanziamento dei finanziamenti promessi ai fini della realizzazione di opere volte alla riduzione del rischio idrogeologico e quali ulteriori iniziative di competenza intenda assumere per alleviare gli ingentissimi danni che l'agricoltura ha subito a causa di una piovosità eccezionale che ha messo in ginocchio il settore. (5-00350)

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   una grave crisi assilla da diversi anni i comparti agricolo e serricolo in provincia di Ragusa;
   i mesi appena trascorsi, caratterizzati da un insistente maltempo che ha investito i comparti, hanno letteralmente messo in ginocchio le aziende agricole e serricole a cui va aggiunta un'altra piaga, ovvero la forte concorrenza extracomunitaria, fattori che hanno pregiudicato seriamente l'economia di tutto il territorio ibleo con riferimento particolare alla fascia trasformata;
   ad oggi si registra un andamento negativo relativamente ai prodotti orticoli con una forte speculazione sui prezzi da parte della grande distribuzione;
   tutto ciò ha provocato la diminuzione del reddito dei produttori e degli allevatori e come ben si sa l'aumento dei costi di produzione –:
   se il Governo intenda assumere iniziative che evitino di far subire conseguenze negative sia ai produttori che ai consumatori, restringendo la forbice tra il prezzo all'origine e quello applicato dalla grande distribuzione così interrompendo il meccanismo dell'intermediazione;
   se intenda assumere iniziative normative urgenti per bloccare con misure più restrittive l'ingresso di prodotti provenienti da altri Paesi evitando così un'ingiusta concorrenza con le produzioni italiane ed iblee in particolare, che sono di elevata qualità ed alle quali sono imposte ferree regole di controllo;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative per imporre gli stessi controlli ed il medesimo standard qualitativo anche ai prodotti importati;
   se il Governo intenda, infine, intervenire concretamente su tutta la problematica generale per non continuare a trovarsi davanti ad un circolo vizioso che fa sì che i prezzi vadano ad aumentare vertiginosamente e che chi ne paga le conseguenze siano i produttori e come sempre i consumatori. (4-00861)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSATO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 78 del 2010, ha previsto – all'articolo 9, comma 21 – la limitazione ai soli effetti giuridici (le cosiddette «promozioni bianche») delle progressioni in carriera dei pubblici dipendenti nel triennio 2011-2013. Lo schema di decreto del Presidente della Repubblica concernente la proroga delle misure di contenimento delle retribuzioni dei pubblici dipendenti prevede la proroga anche al 2014, senza alcuna possibilità di recupero del trattamento economico «congelato», il suddetto blocco;
   in applicazione della norma, ben 92 viceprefetti aggiunti promossi alla qualifica di viceprefetto con decorrenza 1o gennaio 2011 e 1o gennaio 2012 hanno ottenuto l'attribuzione della qualifica superiore a fini esclusivamente giuridici senza la corresponsione del relativo trattamento economico. Analogamente avverrebbe per i promossi nel 2013 e 2014;
   si tratterebbe evidentemente di un danno economico molto rilevante (per quelli promossi nel 2011, la perdita è di tre anni – che potrebbero diventare quattro) non solo ai fini retributivi ma anche pensionistici in ragione del regime contributivo e del fatto che questo congelamento non è sterilizzato ai predetti ultimi fini;
   preme evidenziare, poi, che si tratta di personale che giunge alla promozione dopo un percorso professionale di mediamente 16-17 anni di servizio e dopo uno scrutinio per merito comparato da parte del consiglio di amministrazione e che viene comunque assegnato alle mansioni superiori corrispondenti alla nuova qualifica;
   la disposizione che nega efficacia economica a qualsiasi progressione di carriera per il periodo predetto mostra evidenti profili di illegittimità costituzionale evidenziati nella ordinanza Tar n. 218 del 16 giugno 2012, che ha rimesso la disposizione all'esame della Corte costituzionale (l'udienza è fissata per il 5 novembre 2013);
   l'ordinanza evidenzia come l'articolo 9, comma 21, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte d'interesse, determina anzitutto, in violazione dell'articolo 2 Cost., un'irragionevole disparità di trattamento all'interno del personale appartenente alla medesima carriera. Infatti, a parità di qualifica e con mansioni conseguentemente corrispondenti – con incarichi complessi e responsabilità di uffici apicali – tali dipendenti percepiscono o meno lo stesso trattamento economico, in relazione ad un elemento del tutto aleatorio, costituito dall'anno in cui la qualifica è stata ad essi attribuita, che non ha evidentemente relazione alcuna con il lavoro prestato. D'altro canto, ex articolo 36 Cost. il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro;
   il legislatore, con l'articolo 9, comma 21, persegue la riduzione del passivo del bilancio statale, ma questo – aggiunge l'ordinanza – si deve comunque armonizzare, secondo proporzionalità e ragionevolezza, e nel rispetto dei principi di eguaglianza formale e sostanziale ex articoli 2 e 3 Costituzione, con gli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui appunto quelli definiti dall'articolo 36 della Costituzione. Questo non si verificherebbe invece nella specie: l'eliminazione del miglior trattamento economico, riferibile alla nuova posizione acquisita, contrasta con il principio di proporzionalità testé richiamato, che il legislatore, pur nella sua discrezionalità, è tenuto a rispettare;
   per altro verso, poi, la situazione così descritta, dove il trattamento economico tra colleghi si differenzia non per le mansioni e le conseguenti responsabilità, ma in relazione ad un elemento casuale come il momento in cui la qualifica è stata conferita, non può che interferire negativamente sui rapporti tra i colleghi stessi, alcuni dei quali ingiustamente discriminati, e ciò si riverbera sull'organizzazione degli uffici, incidendo negativamente sul loro buon andamento, così violando l'articolo 97 della Costituzione;
   sotto un diverso profilo, ed in subordine rispetto alle censure precedentemente dedotte, si deve constatare – aggiunge infine la stessa ordinanza – come l'articolo 9, comma 21, sebbene letteralmente prescriva di non accrescere il trattamento economico dovuto a determinate categorie di pubblici dipendenti, con un conseguente risparmio di spesa per l'erario, sotto un profilo sostanziale e degli effetti, impone a quegli stessi dipendenti una prestazione patrimoniale, poiché gli trattiene una parte dei compensi maturati con la promozione e che sono corrisposti agli altri colleghi di pari qualifica. La norma impone, cioè, agli interessati un peculiare concorso alle spese pubbliche, ovvero, in altri termini, istituisce, un tributo anomalo, il quale contrasta con i principi costituzionali in materia, quali stabiliti dagli articoli 2, 3 e 53 della Costituzione. E infatti anzitutto violato il principio di capacità contributiva, poiché il sacrificio è richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza ma al dato, economicamente insignificante, del momento in cui la qualifica è stata acquisita, e senza alcuna considerazione del principio di progressività;
   si aggiunga che, in evidente violazione dei principi costituzionali prima richiamati, il tributo colpisce solo una parte dei dipendenti che hanno raggiunto una determinata qualifica, e, comunque, soltanto i redditi dei pubblici dipendenti, senza invece gravare, a parità capacità contributiva, su analoghe categorie di lavoratori, o di redditi;
   un precedente significativo è comunque costituito dalla sentenza n. 223 del 2012, della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della disposizione del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui disponeva che, a decorrere dal 1o gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2011, i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, superiori a 90.000 euro lordi annui, fossero ridotti del 5 per cento per la parte eccedente il predetto importo fino a 150.000 euro, nonché del 10 per cento per la parte eccedente 150.000 euro (il cosiddetto contributo di solidarietà);
   la predetta sentenza, infatti, fornisce utili considerazioni in ordine alla costituzionalità delle disposizioni limitative delle retribuzioni statali. La Corte, infatti, facendo leva sulla propria giurisprudenza precedente, ha affermato che, «indipendentemente dal nomen iuris attribuitole dal legislatore, al fine di valutare se una decurtazione patrimoniale definitiva integri un tributo, occorre interpretare la disciplina sostanziale che la prevede». Di talché, ha constatato come la disposizione impugnata, pur facendo riferimento alla riduzione di trattamenti economici, contiene comunque tutti gli elementi caratteristici del prelievo tributario;
   a giudizio di numerosi qualificati interpreti, gli effetti della summenzionata pronuncia – avendo chiarito la natura tributaria del contributo di solidarietà posto a carico dei dipendenti pubblici e, al contempo, censurando lo stesso per manifesta arbitrarietà e irragionevolezza – costituiscono un'importante punto di svolta nel giudizio di legittimità costituzionale dei contributi cosiddetto una tantum posti a carico di alcuni determinati soggetti di diritto, dando vita a un orientamento seguito dalla giurisprudenza costituzionale successiva – si veda la sentenza n. 241 del 2012, in tema di contributo di perequazione (o solidarietà) sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro e quali urgenti iniziative intenda adottare, posto che, anche alla luce delle precedenti pronunce della Corte Costituzionale, le disposizioni che riconoscono a dipendenti pubblici, nonostante l'attribuzione di una qualifica superiore, il trattamento economico proprio della qualifica inferiore, con quella che all'interrogante appare una evidente, arbitraria e ingiustificata compressione dei diritti di questi ultimi, sono a forte rischio di pronuncia di incostituzionalità. (4-00872)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   CAPOZZOLO, TINO IANNUZZI e BONAVITACOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dopo le numerose sollecitazioni della comunità territoriale, che lamentava una carenza dei servizi sanitari soprattutto per la gestione delle emergenze-urgenze, nel 2004 è stato inaugurato l'ospedale civile di Agropoli;
   al momento della sua attivazione, il presidio ospedaliero di Agropoli poteva vantare, oltre ad un pronto soccorso, i reparti di allergologia, cardiologia, chirurgia generale, ortopedia, terapia intensiva, coronarica, rianimazione e astanteria;
   tuttavia, già dai primi anni diventò palese che il piano organizzativo preliminare dell'azienda ospedaliera non era stato adeguatamente sviluppato e che la struttura evidenziava già alcune carenze, sia inerenti alle strutture sia al personale;
   nel 2008 con la legge regionale n. 16 del 2008 si stabilivano le misure straordinarie per la riorganizzazione e riqualificazione del servizio sanitario regionale e, in tale contesto, il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario deliberò l'uscita definitiva del presidio ospedaliero di Agropoli dalla rete dell'emergenza;
   successivamente, con l'emanazione del decreto commissariale n. 49 del 2010, recante i princìpi e le direttive per il riassetto della rete ospedaliera e territoriale, fu confermata la decisione presa con la precedente legge regionale n. 16 del 2008 e venne decisa la conversione dell'ospedale di Agropoli in centro ambulatoriale ad indirizzo oncologico e struttura residenziale per le cure palliative;
   la giunta, regionale, preso atto dell'enorme passivo dell'Asl di Salerno, con la delibera n. 90 del 7 marzo 2011, decise di reiterare la gestione commissariale del dell'Asl, nominando come nuovo commissario straordinario il dottor Antonio Squillante;
   la delibera in esame demandava espressamente al nuovo commissario il compito del superamento delle criticità emerse nella precedente gestione, con particolare riferimento al processo di accorpamento dell'azienda, mettendo in evidenza i diversi punti di criticità dell'Asl di Salerno;
   in particolare:
    a) l'elevato squilibrio economico finanziario;
    b) il considerevole ammontare dei pignoramenti in essere;
    c) difficoltà nell'adozione di provvedimenti di integrazione delle procedure e dei ritardi nella ricognizione della consistenza economico-patrimoniale;
    d) criticità nell'ambito delle attività di aggiornamento dei nuovi ambiti territoriale distrettuali;
   con la deliberazione n. 640 del 30 giugno 2011 per la pianificazione attuativa aziendale, la Asl di Salerno confermò la conversione della struttura ospedaliera di Agropoli in day service (struttura per prestazioni ambulatoriali complesse). La delibera, inviata alla regione per la convalida, fu approvata con decreto commissariale n. 73 del 24 ottobre 2011;
   in un secondo momento la Asl di Salerno fece richiesta alla regione di modificare la riconversione. Nello specifico, la Asl raccomandò alla regione di non procedere con la riconversione precedentemente annunciata ma di dare luogo all'accorpamento della struttura di Agropoli, insieme ad altri presidi, nell'unico ospedale di Valle del Sele;
   la richiesta, accolta dalla regione, fu approvata con decreto commissariale n. 73 del 24 ottobre 2011;
   il 26 marzo 2013 la direzione della Asl di Salerno, allo scopo di rendere operativo il decreto n. 49 della regione, con il provvedimento n. 1947 deliberò la cessazione immediata di tutti i ricoveri, il trasferimento di tutti i pazienti e la contemporanea sospensione del servizio di radiologia e laboratorio di analisi. L'attuazione delle predette disposizioni sarebbe dovuta avvenire con decorrenza dal 2 aprile 2013 per terminare non oltre la data del 15 aprile;
   secondo il Piano di edilizia sanitaria regionale, la struttura ospedaliera della «Valle del Sele», dovrebbe essere operativa non prima di circa 7 o 8 anni dall'avviamento dei lavori ma, allo stato dei fatti, i lavori di costruzione sono lontanissimi dall'inizio mancando ancora la progettazione finale ed ancor di più i finanziamenti necessari;
   al momento, pertanto, l'ospedale di Agropoli rimane l'unico presidio ospedaliero raggiungibile dai comuni interessati in tempi ragionevoli, che oscillano tra i 30 e i 45 minuti. La sua dismissione determinerebbe tempi di percorrenza verso gli altri nosocomi limitrofi notevolmente superiori, che abitualmente superano i 60 minuti, fino ad arrivare a punte di 94 minuti. Tempi che potenzialmente possono mettere a rischio la salute e la sopravvivenza stessa dei malati, con un gravissimo pericolo per le intere comunità;
   avverso il provvedimento aziendale n. 1947, il comune di Agropoli presentò immediatamente un ricorso al Tar della Campania, ottenendo le misure presidenziali cautelari;
   il 5 giugno 2013 il Tar della Campania, dopo aver valutato la documentazione richiesta alla Asl, ha respinto l'istanza del comune;
   il sindaco di Agropoli, contestualmente, ha dichiarato di voler proporre al Consiglio di Stato appello alla decisione cautelare del Tar Campania;
   durante la trasmissione «Porta a Porta» andata in onda il 6 giugno 2013, l'ex commissario straordinario della Asl di Salerno, colonnello Bortoletti, ha dichiarato che all'atto di conferimento del suo incarico la Asl di Salerno aveva un passivo di 250 milioni di euro all'anno, che nel primo semestre dal suo insediamento la gestione era in attivo di 11 milioni e, soprattutto, di aver lasciato l'incarico in attivo;
   l'attuale commissario dottor Antonio Squillante, in merito alle esternazioni dell'ex commissario Bortoletti, ha sostenuto che le cifre divulgate non corrispondono al vero e che i bilanci evidenziano una diversa situazione che non trova corrispondenza con quanto dichiarato dal colonnello Bortoletti;
   occorre appurare la reale situazione legata alla gestione economico-finanziaria dell'Asl di Salerno, nell'interesse pubblico della comunità;
   lunedì 10 giugno 2013 il comitato cittadino «Salviamo l'ospedale», al fine di scongiurare l'attuazione del provvedimento di dismissione emesso dalla Asl di Salerno, ha occupato pacificamente la direzione sanitaria l'azienda ospedaliera di Agropoli;
   parimenti, il sindaco di Agropoli ha promosso un tavolo di coordinamento con tutti i sindaci dei paesi limitrofi che si appoggiano all'ospedale di Agropoli, concordando una mobilitazione straordinaria per venerdì 14 giugno, davanti la sede della direzione della Asl di Salerno;
   in concomitanza con tale avvenimento, il sindaco Franco Alfieri, in data 10 giugno 2013, ha emesso un'ordinanza comunale per mantenere la continuità assistenziale del presidio di Agropoli fino al 20 giugno, data in cui la Asl ha previsto l'attivazione della postazione PSAUT (attività di primo soccorso ambulatoriale territoriale);
   tale postazione PSAUT è ben lungi dall'essere in concreto attivata e quindi da poter divenire effettivamente operativa fra qualche giorno;
   il direttore dell'Asl di Salerno a sostegno della deliberazione n. 1947, avrebbe dichiarato che la chiusura dell'ospedale risulta una scelta obbligata, poiché l'ingente passivo di bilancio non consentirebbe altrimenti di mantenere in vita la struttura ospedaliera;
   sarebbe fondamentale nel rapporto istituzionale con la regione Campania e l'Asl di Salerno assumere iniziative in merito alla situazione dell'ospedale civile di Agropoli, per chiarire se la decisione di chiudere il nosocomio agropolese sia supportata da valide motivazioni, riscontrabili nel piano di riorganizzazione e riqualificazione del piano sanitario regionale;
   ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione che individuano la tutela della salute come materia legislativa concorrente tra Stato e regione, occorrerebbe accertare se con la chiusura dell'ospedale di Agropoli, la popolazione stanziale e quella concernente la migrazione turistica durante il periodo estivo, possano incorrere in gravi e reali pericoli alla salute causati dalla carenza di una rete di assistenza ai malati; difatti difetterebbe ogni idoneo punto di primo soccorso per la gestione delle emergenze-urgenze;
   invece la popolazione dei paesi serviti dall'ospedale di Agropoli sarebbe fino alla effettiva costruzione e attivazione dell'ospedale della Val di Sele, per la quale ogni previsione è assolutamente impossibile, privata dei servizi sanitari essenziali che lo Stato deve garantire ad ogni cittadino a tutela del diritto fondamentale ed inviolabile della salute delle persone, che verrebbe ad essere ivi gravemente compromessa –:
   se il Governo non intenda verificare, anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit sanitario, se esista la possibilità di una compromissione dei livelli essenziali di assistenza nel territorio a seguito della chiusura dell'ospedale di Agropoli con conseguente grave pericolo per la salute delle persone. (3-00120)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 311 del 2004 (Legge finanziaria per il 2005), al comma 180 dell'articolo unico, prevede in capo alle regioni in squilibrio economico a necessità di procedere ad una ricognizione delle cause che lo determinano ed alla elaborazione di un programma operativo di riorganizzazione, di riqualificazione o di potenziamento del Servizio sanitario regionale, di durata non superiore al triennio;
   l'articolo 22, comma 4, del decreto-legge n. 78 del 2009, data la necessità ed urgenza di assicurare l'erogazione delle prestazioni sanitarie comprese nei livelli essenziali di assistenza ed il risanamento, il riequilibrio economico-finanziario e la riorganizzazione del sistema sanitario nella regione Calabria, ha stabilito che la regione medesima predisponga un piano di rientro contenente misure di riorganizzazione e di riqualificazione del servizio sanitario regionale; il relativo piano è stato approvato con delibera di giunta regionale n. 845 del 16 dicembre 2009;
   con deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 il presidente pro tempore della regione Calabria è stato nominato commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge n. 159 del 2007;
   in data 31 dicembre 2012 è scaduto il piano di rientro e i risultati insufficienti hanno determinato la proroga dello stesso e del commissariamento della sanità calabrese;
   dall'analisi delle norme che si sono succedute nel tempo emerge che i compiti ed i poteri attribuiti al commissario ad acta attengono, tra l'altro, all'adozione di tutte le misure indicate nel piano nonché degli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali correlati o necessari alla completa attuazione del piano;
   la fissazione dei tetti di spesa costituisce oggetto di atto autoritativo di esclusiva competenza della regione e rappresenta quindi un ineludibile obbligo dettato da esigenze di equilibrio finanziario e razionalizzazione della spesa pubblica secondo gli obiettivi fissati dal piano di rientro;
   con determina n. 35 del 2013, dell'8 maggio 2013, l'azienda sanitaria provinciale di Crotone, sul presupposto che la struttura commissariale regionale, a quella data, non aveva ancora provveduto a definire i tetti di spesa 2013 per l'acquisto di prestazioni sanitarie da privato, liquidava alla casa di cura Calabrodental, a titolo di acconto, la somma di euro 305.883,50, pari al 70 per cento della produzione del mese di marzo 2013 relativa agli episodi di ricovero di chirurgia maxillofacciale;
   tale determinazione, a quanto consta all'interrogante, è stata assunta – data la mancata definizione a quella data dei tetti di spesa da parte della struttura commissariale regionale – sulla base di una clausola del contratto stipulato con la Calabroderital in data 20 dicembre 2012, che prevede che «fino alla stipula dell'eventuale successivo contratto che andrà a svolgere la sua efficacia a decorrere dal 1o gennaio 2013, le condizioni oggi convenute con il presente contratto rimangono provvisoriamente confermate»;
   l'Asp Crotonese si impegna altresì a liquidare le somme maturate per i due posti tetto di odontostomatologia non ancora contrattualizzati, riconoscendo così i ricoveri effettuati anche in assenza di contratto;
   con decreto del presidente della giunta regionale del 23 maggio 2013, sono stati determinati i tetti di spesa per le prestazioni di assistenza specialistica da privato per l'anno 2013, e sono stati definiti i relativi budget per singolo erogatore, come da allegati da 1) a 5) della citata delibera;
   a favore della Calabrodental, a carico dell'azienda sanitaria provinciale di Crotone, è stato definito un budget lordo per il 2013 pari a 1.263.38005 euro;
   alla Calabrodental, di proprietà di Massimo Marrelli, marito della vice presidente della giunta regionale calabrese, Antonelia Stasi, sono stati assegnati dalla regione Calabria con DPRG n. 199 del 2012 altri due posti letto di odontostomatologia; fatto a giudizio dell'interrogante del tutto inspiegabile considerato che con lo stesso DPRG sono stati tagliati, in maniera consistente, posti letto a tutte e altre strutture sanitarie private operanti nel territorio della provincia di Crotone –:
   se il Governo, nel quadro del commissariamento della sanità calabrese e nel rispetto delle competenze regionali in materia, sia in grado di accertare la legittimità dell'operato dell'ASP di Crotone che, richiamando la clausola di un contratto non più efficace tra le parti, ha provveduto a liquidare il citato acconto alla Calabrodental in assenza della determinazione regionale sui tetti di spesa;
   se il Ministro, sempre nel rispetto delle competenze regionali in materia, sia in grado di verificare a congruità delle somme previamente liquidate alla Calabrodental, rispetto al budget 2013 previsto a favore della citata struttura dalla determinazione regionale sui tetti di spesa. (5-00351)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 maggio 2013 è stata depositata una interrogazione a risposta scritta (4-00361), ancora in attesa di riscontro, in cui si chiedeva ai Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali quali iniziative intendessero assumere per scongiurare il ridimensionamento di Berco spa;
   il 21 maggio 2013 l'amministratore delegato di Berco spa Lucia Morselli confermava le 611 lettere di mobilità, ribadendo così la volontà di disimpegno della controllante Thyssen-Krupp;
   fonti di stampa hanno più volte informato circa l'assoluta indisponibilità della direzione aziendale di considerare il Ministero dello sviluppo economico un interlocutore, ritenendo le strategie aziendali materia estranea all'interesse del governo;
   in data 12 giugno 2013 Berco spa ha provveduto a disdire unilateralmente il contratto integrativo aziendale, con valenza retroattiva al 1o maggio 2013, con ciò incidendo pesantemente su retribuzioni e diritti di tutte le lavoratrici e lavoratori
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per tutelare un patrimonio industriale nazionale, quale è la Berco spa, nonché per incoraggiare corrette relazioni industriali, le quali appaiono fortemente compromesse dall'atteggiamento unilaterale dell'impresa, che con la volontà di negare ogni ruolo alle massime autorità di Governo, mette a repentaglio la dignità istituzionale nella sua funzione. (4-00848)

Apposizione di firme a mozioni e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Gregori n. 1-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Raciti, Polverini, Rizzetto, Baruffi, Faraone, Paris, Giorgio Piccolo, Gnecchi, Madia, Speranza, Tentori, Zappulla, Albanella, Pizzolante e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Gregori, Rizzetto, Polverini, Epifani, Speranza, Damiano, Ferro, Miccoli, Bellanova, Pastorino, Carella, Casellato, Carnevali, Culotta, Cinzia Maria Fontana, Tino Iannuzzi, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Lorenzo Guerini, Guerra, Marco Di Maio, Antezza, Moretto, Cominelli, Moscatt, Ascani, Bonomo, Narduolo, Quartapelle Procopio, Raciti, Baruffi, Faraone, Paris, Giorgio Piccolo, Gnecchi, Madia, Tentori, Zappulla, Albanella, Pizzolante, Coccia».

  La mozione Ascani n. 1-00070, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Scotto, Costantino e Ricciatti e, contestualmente con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Ascani, Rostellato, Calabria, Tinagli, Scotto, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider, Speranza, Bonomo, Boschi, Bosco, Braga, Capozzolo, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crimì, Culotta, Marco Di Maio, Donati, Fanucci, Fedriga, Gadda, Gregori, Gribaudo, Laforgia, Lattuca, Lotti, Madia, Moretto, Moscatt, Narduolo, Paris, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rampi, Scopelliti, Tentori, Ventricelli, Zardini, Manzi, Damiano, Rizzetto, Baldassarre, Ciprini, Pinna, Giammanco, D'Incecco, Cardinale, Costantino, Ricciatti».

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Bobba e altri n. 1-00058, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carnevali, Piccione.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Mariastella Bianchi e altri n. 7-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Antezza.

Apposizione di firme ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Bobba e altri n. 2-00076, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Valiante, Mogherini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Gadda e altri n. 5-00222, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.
  L'interrogazione a risposta scritta Carnevali e Misiani n. 4-00778, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lenzi, Paola Bragantini, Beni, Casati, D'Incecco, Grassi, Patriarca, Scuvera.
  L'interrogazione a risposta in Commissione Coscia e Ghizzoni n. 5-00319, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carocci, Malpezzi, Rocchi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Gregori n. 1-00034, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 14 dell'8 maggio 2013.

   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea ha recentemente lanciato un'importante iniziativa a favore dell'occupazione giovanile, mirata, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, i cosiddetti neet, nelle regioni dell'Unione europea con un tasso di disoccupazione giovanile, nel 2012, superiore al 25 per cento. Si tratta della cosiddetta garanzia per i giovani (youth guarantee), il nuovo pacchetto occupazionale europeo;
    la principale novità è legata all'istituzione di un fondo europeo di garanzia per l'occupazione giovanile, circa sei miliardi di euro dal 2014 al 2020, dei quali 3 miliardi di euro provenienti da una linea di bilancio specifica e gli altri 3 miliardi di euro dal Fondo sociale europeo. I fondi destinati all'iniziativa intendono rafforzare e accelerare le misure descritte nel pacchetto per l'occupazione giovanile del dicembre 2012. Tali fondi verranno messi a disposizione degli Stati membri per finanziare, nelle regioni per le quali è ammessa la contribuzione, misure attuative della raccomandazione relativa alla garanzia per i giovani concordata nell'ambito del Consiglio dei ministri del lavoro e degli affari sociali dell'Unione europea del 28 febbraio 2013;
    va ricordato che l'Italia rientra, purtroppo, nei parametri fissati di accesso al fondo. Infatti, secondo quanto riportano i dati Istat, nel gennaio 2013 il tasso di disoccupazione per i 15-24enni è salito al 38,7 per cento rispetto al 37,1 per cento del dicembre 2012. In particolare, il fenomeno dei neet in Italia è cresciuto esponenzialmente. Stando al Rapporto sul benessere equo e sostenibile del 2013, nel 2009, anno di inizio della crisi, i neet erano il 19,5 per cento, mentre in due anni, nel 2011, sono cresciuti di oltre tre punti percentuali, raggiungendo il 22,7 per cento. Il dato sui neet è particolarmente allarmante in quanto spia di un disagio estremo, prima di tutto psicologico, che diventa particolarmente acuto se si considera che tra tutti i neet, l'8,8 per cento è costituito da laureati che, quindi, non possono neppure accedere ad un livello più alto di formazione per potersi rimettere in gioco. Del resto, gli strumenti comunitari di garanzia per i giovani sono già attivi in alcuni Stati membri, come la Svezia e la Finlandia, e si sono dimostrati particolarmente positivi nel rilancio del mercato del lavoro dei giovani;
    l'esperienza della partecipazione italiana agli strumenti finanziari europei dimostra come sia assolutamente necessario approntare meccanismi di coordinamento a livello nazionale e territoriale in grado di operare a livello di sistema Paese, per ottenere i massimi benefici in termini di messa in atto delle politiche europee;
    la garanzia per i giovani dovrebbe essere rivolta, in particolare, a tutti i giovani compresi nella fascia di età dai 15 ai 29 anni che hanno appena terminato gli studi, hanno perso un lavoro, sono inseriti in percorsi formativi e di apprendistato, nel rispetto delle definizioni stabilite dalla normativa europea. A differenza della proposta comunitaria, che fissa il limite di 25 anni per i giovani che possono accedere agli schemi di garanzia per i giovani, tali misure andrebbero estese fino ai 29 anni, in virtù della particolare configurazione demografica del nostro Paese e visto che tale limite è quello utilizzato dai principali istituti di statistica per inquadrare la problematica dei neet in Italia,

impegna il Governo:

   a riconoscere l'estrema importanza degli strumenti comunitari messi in atto per il rilancio dell'occupazione giovanile, mirati, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione (neet);
   a mettere in campo tutte le misure necessarie a recepire il sistema europeo di garanzia per i giovani, istituendo una serie di meccanismi d'intervento differenziati su più livelli, e, quindi: a) misure di contrasto alla dispersione scolastica e di sostegno al rientro nei percorsi di studio; b) misure a sostegno dell'inserimento lavorativo dei giovani diplomati e laureati; c) contrasto alla segmentazione generazionale del mercato del lavoro e della segregazione di genere;
   a potenziare ed armonizzare il ruolo dei centri per l'impiego, e di tutti gli strumenti per le politiche attive sul lavoro, su tutto il territorio nazionale, rafforzandone le prerogative e istituendo una figura professionale di consulenza in materia di politiche europee per l'occupazione, attivazione dei fondi specifici e orientamento mirato;
   ad attivare una sede di confronto stabile con le regioni e le amministrazioni locali nonché con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su base nazionale, al fine di predisporre un'azione coordinata e condivisa per dare attuazione alle misure volte a favorire l'occupazione giovanile previste dal programma di garanzia per i giovani;
   ad assumere le necessarie iniziative per istituire, al più presto e in armonia con le previsioni di bilancio, un fondo nazionale per l'attuazione della garanzia per i giovani, composto dalla quota assegnata al nostro Paese da parte del fondo europeo di garanzia per i giovani e da ulteriori risorse previste da altre linee d'intervento comunitarie, nel quadro della programmazione 2013-2020;
   ad assumere iniziative per dare vita alla defiscalizzazione ed alla decontribuzione delle nuove assunzioni a tempo indeterminato per i giovani, per i primi ventiquattro mesi.
(1-00034)
(Nuova formulazione) «Gregori, Rizzetto, Polverini, Epifani, Speranza, Damiano, Ferro, Miccoli, Bellanova, Pastorino, Carella, Casellato, Carnevali, Culotta, Cinzia Maria Fontana, Tino Iannuzzi, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Lorenzo Guerini, Guerra, Marco Di Maio, Antezza, Moretto, Cominelli, Moscatt, Ascani, Bonomo, Narduolo, Quartapelle Procopio, Raciti, Baruffi, Faraone, Paris, Giorgio Piccolo, Gnecchi, Madia, Tentori, Zappulla, Albanella, Pizzolante, Coccia».
(8 maggio 2013).

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: Mozione Boccuzzi n. 1-00020 del 16 aprile 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Sbrollini n. 4-00773 dell'11 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00349;
   interrogazione a risposta scritta Sbrollini e Ginato n. 4-00785 dell'11 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-00350.