Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 19 giugno 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in Friuli Venezia Giulia, dal 2005, è stato avviato il progetto pubblico-privato (con la banca FriulAdria, l'Eurispes, l'ICE e l'amministrazione regionale) denominato «International Desk/Italy-South-East Europe»;
    tale progetto ha l'obiettivo strategico di far diventare la regione Friuli Venezia Giulia il punto di riferimento della cooperazione economica tra l'Italia e l'area balcanico-danubiana;
    nel 2008 al progetto hanno preso parte i delegati di istituzioni, associazioni di categoria, enti camerali, agenzie di sviluppo, università e imprenditori, in rappresentanza di Slovenia, Croazia, Kosovo, Bulgaria, Bosnia, Romani, Serbia, Slovacchia, Macedonia, Albania e Montenegro;
    va considerata, più in generale, la necessità di sfruttare le opportunità che ne derivano dall'ampliamento ad est e verso i Balcani dell'Unione europea con l'imminente adesione della Repubblica di Croazia e la necessità di contrastare gli effetti negativi che, per alcune realtà territoriali come le città di Gorizia e Trieste e la fascia del confine orientale, si trovano maggiormente esposte a fattori di competitività con i Paesi viciniori;
    va rimarcata la necessità di sostenere e intraprendere azioni tese a rivitalizzare il settore industriale delle piccole e medie imprese, il settore commerciale e turistico insediato in Friuli-Venezia Giulia,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni atto che garantisca una cooperazione correlata allo sviluppo dei settori industriale e turistico al fine di tutelare le imprese italiane;
   a sostenere ed affiancare la regione Friuli-Venezia Giulia nelle politiche di cooperazione economica internazionale rivolte ai Balcani armonizzando ogni eventuale difficoltà derivante dalla maggior competitività economica e istituzionale dei Paesi affacciati al confine geografico della penisola a nord-est.
(1-00107) «Rizzetto, Prodani, Ciprini, Tripiedi, Turco, Brugnerotto, Mucci, Baldassarre, Fantinati, Crippa».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è agli ultimi posti in Europa negli indicatori principali relativi al benessere e ai diritti dell'infanzia;
    la povertà minorile non è solo un fenomeno inaccettabile dal punto di vista etico e della violazione dei diritti, ma anche una pesante ipoteca sul destino di centinaia di migliaia di bambini e bambine nonché sul futuro dell'intero Paese;
    la critica situazione economica che sta attraversando il Paese viene pagata duramente dalle nuove generazioni e rischia di creare nei prossimi anni drammatiche ripercussioni sociali;
    come, evidenziano, gli ultimi dati Istat in Italia 1.822.000 tra bambini e adolescenti (pari al 17,6 per cento) vive in condizioni di povertà. Anche il rapporto UNICEF rileva che siamo di fronte ad una vera e propria «emergenza infanzia»; sul tema è intervenuto anche il Garante per l'infanzia Vincenzo Spadafora, sottolineando che il 7 per cento dei suddetti minorenni vive in povertà assoluta e che questa grave deprivazione materiale riguarda, nel Mezzogiorno, il 70 per cento di coloro che vivono in nuclei familiari con 3 o più minorenni; molte sono le segnalazioni di enti locali riguardanti il crescente numero di bambini e bambine che arrivano a scuola la mattina senza aver consumato un pasto adeguato la sera precedente;
    diversi problemi rilevanti derivano da questa situazione: oltre ai rischi per la salute fisica connessi alla malnutrizione/denutrizione, anche problematiche correlate all'abbandono scolastico e a diverse forme di dipendenze e devianza sociale;
    le conseguenze della povertà infantile connesse alla scarsa scolarità si traducono poi in scarso sviluppo delle conoscenze e, quindi, in bassa produttività, bassa occupazionalità; e quindi maggiori costi sociali e una maggiore domanda di servizi di welfare, con evidenti ricadute sulla spesa pubblica;
    la situazione, che continua a peggiorare con l'aggravarsi della crisi economica, deriva anche da politiche socio-educative carenti e frammentarie, ben lontane da quelle degli altri Paesi europei;
    in Italia negli ultimi anni c’è stata una costante riduzione dei finanziamenti destinati a famiglie, infanzia e maternità; il Fondo nazionale delle politiche sociali è passato da 1 miliardo di euro nel 2007 a 45 milioni nel 2013;
    sono stati pesantemente ridotti i fondi per i servizi educativi e scolastici e depauperati i bilanci degli enti locali, rendendo insostenibili molte reti di welfare inclusivo, anche nelle realtà in cui esiste una forte tradizione culturale di sostegno sociale e comunitario;
    complessivamente, nello studio Unicef che ha esaminato le condizioni di vita dei bambini dei 29 Paesi dalle economie più avanzate, l'Italia si trova al 22° posto; nello specifico, l'Italia è nelle retrovie in particolare per quanto riguarda l'istruzione (al 25° posto), al 22° per la partecipazione a forme di istruzione superiore, al 24° per i risultati scolastici conseguiti e, viceversa, al secondo posto per i neet (bambini e adolescenti che non studiano e non lavorano);
    la Commissione europea nella sua raccomandazione «Investire sui bambini: rompere il ciclo vizioso di svantaggio» sollecita gli Stati membri a metter al centro della loro agenda il tema dell'infanzia e degli investimenti necessari per combattere la povertà dei bambini per garantire a tutti di crescere uguali;
    nella raccomandazione la Commissione ricorda inoltre che la riduzione della povertà e dell'esclusione sociale è uno degli obiettivi della Strategia Europa 2010, la prevenzione e la lotta alla povertà minorile devono dunque essere tra gli obiettivi prioritari dei Governi degli Stati membri;
    sempre nella raccomandazione la Commissione sprona gli Stati a fare uso di alcuni strumenti in favore dei minori svantaggiati che già esistono come il Fondo di aiuti europei agli indigenti – creato nel 2012 al fine di rafforzare l'inclusione sociale e combattere la povertà nell'Unione a sostegno dei programmi nazionali che prestano un'assistenza non finanziaria alle persone indigenti per ridurre la deprivazione alimentare e la deprivazione materiale grave – il programma di distribuzione di frutta e latte nelle scuole, attivo dal 2009, il Fondo sociale europeo e il Fondo per lo sviluppo regionale;
    la povertà è strettamente legata anche al fenomeno della dispersione scolastica, limita le opportunità educative e di crescita, aggrava i già pesanti divari territoriali che affliggono il Paese;
    la povertà infantile è acuita dalla diminuzione nell'accesso alle cure mediche e alla prevenzione sanitaria che sono drasticamente crollate di fronte ad una mancanza di mezzi economici delle famiglie;
    è peggiorata, inoltre, la qualità dell'alimentazione di bambini e bambine ed adolescenti;
    un dato ancora più drammatico è l'allontanamento dei minorenni dal nucleo familiare per questioni di indigenza della famiglia di origine che arriva sino alla perdita della capacità genitoriale;
    particolare rilievo rivestono le povertà immateriali, tra cui la situazione dei figli coinvolti nelle separazioni genitoriali altamente conflittuali, spesso vittime innocenti dei rancori di coppia,

impegna il Governo:

   a dotarsi di una strategia nazionale che preveda una pluralità di misure per contrastare le diverse manifestazioni della povertà che agisca su diverse dimensioni, anche sfruttando a pieno gli strumenti finanziari che l'Unione europea mette a disposizione;
   ad elaborare un apposito piano di contrasto alla povertà minorile e giovanile, finalizzato anche a combattere la dispersione scolastica e a favorire l'inclusione lavorativa dei giovani che escono dalle comunità di tipo familiare, reperendo le necessarie risorse e considerando lo stanziamento delle medesime non una spesa che crea debito, ma un investimento sul capitale umano, per il progresso sociale ed economico del Paese;
   ad assumere iniziative per istituire un apposito Fondo nazionale cui possano accedere gli enti locali, su parametri che tengano in considerazione le condizioni di povertà minorile e che permettano la garanzia di diritti di cittadinanza (come il diritto all'istruzione, alla fruizione delle mense, del trasporto scolastico, e altro), stabilendo meccanismi di monitoraggio e sanzionatori per evitare che finanziamenti e obiettivi concordati con le regioni e gli enti locali vengano disattesi;
   ad assumere iniziative per rifinanziare in modo adeguato la legge n. 285 del 1997 «disposizioni per la promozione dei diritti e le opportunità dell'infanzia e l'adolescenza»;
   a prevedere misure urgenti ed interventi di sostegno per consentire ai minori di essere educati nell'ambito della propria famiglia, anche dando immediata attuazione, attraverso l'emanazione dei previsti decreti legislativi, alla legge n. 219 del 10 dicembre 2012;
   a prevedere iniziative urgenti atte a specificare che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia;
   a favorire il consolidamento delle reti di associazioni di volontariato nell'ambito familiare che sviluppino legami solidali tra famiglie e tra le generazioni nella direzione del welfare solidale e relazionale, fondato su un mix di risorse economiche e relazionali;
   a mettere a sistema tutte le sperimentazioni positive e le buone pratiche già esistenti in Italia.
(1-00108) «Scuvera, Iori, Zampa, Capone, Roberta Agostini, Albanella, Argentin, Basso, Bazoli, Beni, Biondelli, Boschi, Cardinale, Carnevali, Carocci, Carra, Casati, Cenni, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Coscia, D'Incecco, Marco Di Maio, Ermini, Fabbri, Fossati, Gadda, Gandolfi, Gasparini, Giorgis, Giulietti, Gnecchi, Gozi, Gregori, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Guerra, Iacono, Incerti, La Marca, Laforgia, Lattuca, Lenzi, Maestri, Malpezzi, Manzi, Marantelli, Marzano, Mongiello, Morani, Moretti, Moscatt, Mura, Narduolo, Nicoletti, Patriarca, Porta, Rostan, Sbrollini, Tidei, Tullo, Velo, Zappulla, Zardini, Capodicasa, Crivellari, Rubinato, Rocchi, Rigoni, Mogherini, Cani, Culotta».


   La Camera,
   premesso che:
    dal 1o luglio 2013 prossimo la Croazia diventerà il ventottesimo Paese dell'Unione europea proprio mentre la stessa Unione che la accoglie attraversa uno dei momenti di crisi più profonda dalla sua nascita, emersa in conseguenza della crisi, economica mondiale ma originata da una crisi in realtà ben più profonda, identitaria, istituzionale, e di legittimazione democratica;
   i precedenti allargamenti, in particolare quello del 2007 che ha riguardato Romania e Bulgaria, hanno evidenziato l'esistenza di numerosi profili problematici ai quali i negoziati di adesione non hanno saputo dare adeguata risposta, tanto che per questi alcuni di questi paesi permangono a distanza di molti anni problemi di corruzione, criminalità, e di gestione difficile di un flusso di cittadini di quei paesi che si dirigono verso gli altri territori europei pur non avendo possibilità di soggiornarvi in condizioni di vita e di lavoro dignitosi;
   il negoziato con la Croazia, seppur positivo sotto molti profili, non ha superato le problematicità emerse in passato, ed ha portato ad una adesione all'unione europea che coincide con un momento di grave tensione per l'intero mercato del lavoro dell'Unione, ma soprattutto per alcuni Paesi, tra cui il nostro, vicino diretto del Paese balcanico;
   in occasione degli ultimi due allargamenti a nuovi Stati membri erano state previste alcune disposizioni transitorie, peraltro non congruenti per le adesioni del 2004 e quelle del 2007; in particolare era stata prevista la possibilità di applicare bilateralmente, in base alla scelta di ciascuno Stato già membro, una moratoria pluriennale, anche rinnovabile fino ad un massimo di 7 anni, alla libera circolazione di lavoratori provenienti dai Paesi di nuova adesione, al fine di monitorare gli effetti sul mercato del lavoro nazionale e moderare l'impatto sul comparto occupazionale di ciascun territorio. A suo tempo le misure furono applicate da molti Paesi europei, compresa l'Italia, seppure la situazione economica generale fosse meno deteriorata che ad oggi;
   simili misure potrebbero essere applicate anche nel caso della Croazia, per periodi di tempo limitati a partire dal momento dell'adesione, per dare la possibilità di valutare le conseguenze dell'ingresso di un numero potenzialmente illimitato di lavoratori croati nel mercato del lavoro del nostro Paese, anche limitatamente a particolari settori produttivi particolarmente a rischio in conseguenza dell'attuale congiuntura;
   altri Paesi europei, anche di recente adesione, stanno adottando misure simili, come la stessa Slovenia, diretta confinante della Croazia;
   la grave situazione di crisi economica e finanziaria mondiale, che ha investito ormai da almeno 6 anni molti Paesi europei, ed in modo particolare il nostro, ha causato la perdita di migliaia di posti di lavoro con un aumento vertiginoso della disoccupazione, soprattutto tra le fasce giovanili, la chiusura di numerose aziende e, conseguentemente, una situazione di estrema difficoltà anche dal punto di vista sociale, con riflessi pesantissimi anche in materia di fondi per la cassa integrazione, per forme di sostegno al reddito dei disoccupati, per varie forme di sostegno sociale messi in atto anche dagli enti locali e territoriali;
   un grido d'allarme in questo senso è stato lanciato di recente anche da amministratori locali e territoriali, rappresentanti delle aree e dei lavoratori nazionali geograficamente più esposti al flusso di possibili lavoratori croati, che hanno chiesto forme di limitazione dell'accesso dei lavoratori croati, al fine di evitare il rischio di una «guerra tra disoccupati», una triste concorrenza ai lavoratori locali che già attraversano in un momento di forte crisi occupazionale,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni misura utile per impedire ulteriori fattori di aggravamento della già difficile situazione occupazionale del nostro Paese, riconoscendo che la gravità della situazione economica attuale è del tutto eccezionale e richiede l'adozione di decisioni immediate straordinarie ed incisive;
   ad assumere iniziative per adottare una moratoria di almeno due anni, compatibile con il diritto comunitario, sulla libera circolazione dei lavoratori croati a partire dall'adesione della Croazia all'Unione europea, al fine di monitorare l'impatto di tali lavoratori sul mercato del lavoro nazionale ed evitare ogni possibile ricaduta negativa o ai danni dei nostri lavoratori;
   a sostenere le richieste e le iniziative degli amministratori, dei territori e delle aziende dei territori maggiormente esposti alla circolazione di lavoratori provenienti dal nuovo Paese aderente dal 1o luglio 2013, in considerazione della loro particolare vulnerabilità da parte di un evento che non avrà un effetto uniforme sull'intero territorio nazionale.
(1-00109) «Giancarlo Giorgetti, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   BUONANNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che il Ministro per le pari opportunità, sport e le politiche giovanili Josefa Idem abbia subito un accertamento relativamente alle imposte locali da parte degli uffici comunali di Ravenna;
   a seguito di tale operazione veniva stabilito che negli anni dal 2008 al 2011 Josefa Idem e il marito non abbiano versato un euro di Ici risultando, la prima, abitante in immobile nel quale vi sarebbe inoltre al pian terreno una palestra di sua proprietà in carraia Bezzi, mentre il secondo, nella loro abitazione di via Argine Destro Lamone;
   dai resoconti appare che la situazione sia stata sanata solo il 4 febbraio 2013 quando, con una dichiarazione Imu, il Ministro ha dichiarato di essere domiciliata dalla stessa data, in via Argine Destro Lamone, indicando l'immobile con palestra come seconda casa;
   singolare appare all'interrogante come, il 5 giugno, dopo solo 3 giorni che un quotidiano locale, «La voce di Romagna» abbia reso pubblica la cosa, la signora Idem ed il marito abbiano operato un ravvedimento operoso e il versamento della parte mancante dell'Imu anche per il 2012;
   dai commenti pubblicati sorgono alcuni dubbi circa la tempistica riguardo al ravvedimento: prima è quella del marito del ministro, Guerrini, che in un'intervista ha parlato di un «errore» trascinato avanti negli anni e di cui ci si è accorti tempo dopo. La famiglia ha abitato per quattro anni in carraia Bezzi 104, nel momento del trasferimento vi è stata la «dimenticanza» di spostare anche la residenza del Ministro;
   la seconda chiave di lettura dell'operato appare forse più credibile tra il 2008 e il 2011 l'esenzione dall'Ici ha giocato la sua parte, ma poi è arrivata l'Imu che – a differenza della precedente tassa – obbliga i coniugi a dichiarare una stessa residenza a meno che non si dimostri diversamente. L'Imu, introdotta da Berlusconi, doveva entrare in vigore dal 2014, ma un decreto Monti del dicembre 2011 l'ha anticipata al 2012. Anche il ravvedimento operoso suscita più di una perplessità in quanto operato il 5 giugno, a tre giorni dai primi dubbi mossi sulla stampa locale;
   gli accertamenti non sembrano terminati. Oltre al fronte fiscale ora pare aprirsi anche quello edilizio: al Comune, infatti, non risulterebbe esserci una palestra in quell'edificio, bensì un'abitazione e dunque potrebbe essere necessario valutare la conformità dell'immobile;
   appare inoltre difficile la pretesa di sostenere sacrifici da parte dei cittadini da parte di un Governo che ha fatto del rigore e delle regole, della lotta all'evasione, uno dei suoi cavalli di battaglia, quando uno dei membri più autorevoli e noti pare non rispettare le regole –:
   di quali elementi disponga sulla vicenda e quali conseguenti iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (4-00940)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha stipulato una serie di convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione fiscale;
   le convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni sono accordi internazionali che individuano quale dei due Stati contraenti debba esercitare la propria potestà impositiva nei confronti di soggetti giuridici residenti in uno di essi che abbiano maturato redditi nell'altro;
   con riferimento alle pensioni erogate da un ente previdenziale di uno Stato contraente ad un residente dell'altro Stato contraente, la maggior parte delle convenzioni prevede la detassazione della pensione nel Paese di erogazione e la tassazione nel Paese di residenza. Si tratta di convenzioni che hanno mutuato il testo-guida definito nella convenzione base dell'OCSE che all'articolo 18 recita così: «le pensioni e le altre remunerazioni analoghe, pagate ad un residente di uno Stato contraente in relazione ad un cessato impiego, sono imponibili soltanto in detto Stato»;
   alcune convenzioni prevedono invece delle regole di detassazione diversificate rispetto alla normativa generale sopra esaminata: si tratta delle convenzioni stipulate con Brasile, Canada, Francia, Svezia, Lussemburgo, Finlandia e Tailandia in base alle quali è prevista o la tassazione della pensione nel solo Stato di erogazione in luogo di quello di residenza oppure la doppia tassazione con eventuale credito di imposta a carico di un Paese contraente;
   la convenzione contro le doppie imposizioni fiscali tra Italia e Brasile, ratificata nel 1980, e che è l'oggetto di questa interrogazione, pur prevedendo come normativa di base la tassazione delle pensioni private (quelle dell'Inps) nel solo Paese di residenza, contempla eccezioni, in merito ai limiti di imponibile e alla natura (previdenziale o assistenziale) della pensione, eccezioni che consentono paradossalmente la tassazione concorrente o doppia tassazione, contravvenendo così al valore fondativo delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali;
   la convenzione infatti stabilisce all'articolo 18, comma 1, che l'ammontare delle pensioni che eccede nell'anno solare una somma pari a 5.000 dollari statunitensi è imponibile in entrambi gli Stati contraenti;
   migliaia di pensionati italiani residenti in Brasile subiscono quindi su una parte delle loro pensioni un doppio pre- lievo fiscale che in teoria dovrebbe essere evitato con il metodo indicato dall'articolo 23 della convenzione che stabilisce che, se un residente del Brasile ricava redditi imponibili in Italia in base alla convenzione, il Brasile dovrebbe accordare sui redditi degli interessati una deduzione (o credito di imposta) pari all'ammontare dell'imposta pagata in Italia;
   in realtà il doppio prelievo fiscale non è evitato perché il Brasile si rifiuta di concedere tale deduzione invocando l'articolo 19, comma 4, della convenzione che indica – in palese contrasto con l'articolo 18 succitato e che il Brasile non riconosce – che le pensioni pagate nel quadro del sistema di sicurezza sociale italiano ad un pensionato residente in Brasile sono imponibili soltanto in Brasile e non anche in Italia;
   le diverse e contrastanti interpretazioni della convenzione hanno innescato un contenzioso tra i due Stati che dura sin dall'anno 2000 e che ha penalizzato migliaia di nostri pensionati residenti in Brasile i quali vengono tassati due volte senza vedersi riconosciuto dal Brasile il diritto alla deduzione fiscale previsto dall'articolo 23 dell'accordo;
   quindi il contenzioso in questione vede da una parte lo Stato brasiliano sostenere che in virtù dell'articolo 19, comma 4, della convenzione, la potestà fiscale sulle pensioni italiane pagate in Brasile è esclusivo appannaggio del Brasile, come d'altronde si era in pratica verificato fino al 2000 (quando improvvisamente lo Stato italiano ha iniziato ad assoggettare a tassazione alla fonte tali pensioni per la parte eccedente i 5.000 dollari statunitensi); dall'altra parte vede lo Stato italiano sostenere la prevalenza del principio fiscale contenuto nell'articolo 18, comma 1, che dispone appunto la doppia tassazione superata la soglia pensionistica di 5.000 dollari statunitensi;
   i tentativi di trovare una soluzione al problema da parte dei due Stati contraenti sono finora naufragati in un nulla di fatto anche se le autorità competenti sono consapevoli di essere responsabili di un trattamento iniquo e normativamente incongruo ai danni dei nostri connazionali pensionati residenti in Brasile –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda adottare per evitare che migliaia di nostri connazionali continuino ad essere penalizzati a causa di un contenzioso tecnico addebitabile, ad avviso degli interroganti, esclusivamente all'inadempienza delle autorità competenti in materia, che in tutti questi anni non hanno voluto o non sono riuscite a dirimere la controversia interpretativa;
   quali urgenti iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire la riapertura dei negoziati con il Brasile al fine di eliminare la doppia imposizione anche promuovendo la modifica dell'articolo 18 dell'accordo e introdurre il principio della tassazione in un solo Paese come previsto dal modello OCSE attualmente applicato nella stragrande maggioranza delle convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali stipulate dall'Italia, o perlomeno al fine di garantire l'elevazione dell'importo soglia al di sopra del quale si applica la doppia tassazione (attualmente pari a 5.000 dollari statunitensi) ad un importo più adeguato;
   quali iniziative il Governo intenda attuare per trovare un'intesa con le autorità brasiliane al fine di rimborsare ai pensionati italiani le somme loro indebitamente trattenute a causa della contrastante interpretazione dell'accordo da parte dei due Stati contraenti e conseguentemente dell'impropria applicazione del principio della tassazione concorrente o doppia tassazione finora mai compensata dalla deduzione fiscale prevista invece dall'articolo 23 dell'accordo stesso.
(4-00924)


   LA MARCA. —Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 22 maggio 1995, fu firmato a Roma il nuovo accordo italo-canadese di sicurezza sociale che avrebbe dovuto sostituire il precedente accordo, firmato nel 1977 ed entrato in vigore nel 1979 ed unitamente al nuovo accordo fu firmata l'intesa amministrativa di applicazione;
   il 6 dicembre 2000, dopo l'approvazione da parte del Senato, la III Commissione della Camera dei deputati espresse parere favorevole al disegno di legge n. 7210 relativo alla ratifica del nuovo accordo di sicurezza sociale tra Italia e Canada;
   a 18 anni dalla firma del nuovo accordo di sicurezza sociale tra Italia e Canada e a 13 anni dal parere favorevole della III Commissione della Camera dei deputati, il Parlamento italiano non ha ancora ratificato tale importante accordo;
   il Parlamento canadese ha invece già da tempo approvato il nuovo accordo e sottolineato come esso rafforzerebbe le relazioni tra i due Paesi; i Governi canadesi succedutisi nel tempo hanno ripetutamente sollecitato le autorità italiane a rispettare gli impegni internazionali assunti ed a ratificare l'accordo;
   il nuovo accordo era nato dall'esigenza di considerare l'evoluzione normativa intervenuta nelle legislazioni dei due Paesi dall'entrata in vigore del precedente accordo (1979) e di migliorare la qualità di uno strumento di tutela sociale dei lavoratori migranti garantendo, tra l'altro, una più rapida erogazione delle prestazioni previdenziali;
   l'accordo non solo conferma e consolida i benefìci già previsti dal 1979 ma prevede dei miglioramenti della normativa relativi alle prestazioni pensionistiche, ai distacchi dei lavoratori e ai collegamenti tra gli enti previdenziali dei due Paesi, che rendono più ampia, equa ed aggiornata la tutela sociale;
   come illustrato nella relazione tecnica al disegno di legge di ratifica mai approvato dal Parlamento italiano, l'entrata in vigore del nuovo accordo non comporta oneri amministrativi aggiuntivi, non prevede oneri organizzativi a carico di regioni o enti locali, non prevede oneri finanziari, organizzativi e burocratici a carico dei cittadini e delle imprese, ma solo oneri finanziari aggiuntivi, per il pagamento delle prestazioni, di modesta entità rispetto a quelli già esistenti in costanza di vigenza dell'accordo attualmente in vigore;
   le collettività di pensionati, lavoratori e imprenditori italiani residenti in Canada e canadesi residenti in Italia trarrebbero importanti vantaggi dal rinnovo dell'accordo e perciò a fronte dell'importanza sociale e politica della sua ratifica non è giustificabile né comprensibile che lo Stato italiano continui ad opporre presunte difficoltà di bilancio e limitatezze dei fondi disponibili disonorando così un impegno già sottoscritto con il Canada –:
   quali iniziative urgenti di competenza i Ministri interrogati intendano adottare affinché si possa pervenire alla ratifica dell'Accordo di sicurezza sociale tra l'Italia e il Canada, firmato dalle due parti contraenti nel 1995 e già approvato dal Parlamento canadese, per onorare così gli impegni presi con il Governo canadese e con lei collettività dei cittadini italiani residenti in Canada e dei cittadini canadesi residenti in Italia. (4-00937)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARIANI, BORGHI, BRAGA, BRATTI e MARIANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la diffusione di un cortometraggio dell'associazione ambientalista Greenpeace sui danni alla salute delle persone provocati dalle centrali a carbone, ha riportato all'attenzione dell'opinione pubblica l'opportunità di mantenere nel nostro Paese una quota consistente della produzione elettrica attraverso l'utilizzo del carbone, in luogo dell'olio combustibile o di altre fonti energetiche, come il gas, meno inquinanti;
   secondo la tesi della citata associazione la produzione di energia dal carbone provocherebbe un decesso al giorno. La campagna che Greenpeace porta avanti, da anni, si basa sui dati forniti da un rapporto della fondazione olandese Somo e dallo studio della Eea (European environmental agency), l'agenzia per l'ambiente dell'Unione europea che individua i 20 impianti di produzione di energia più inquinanti in Europa. Per quanto riguarda l'Italia, al primo posto c’è la centrale a carbone dell'Enel «Federico II» di Brindisi, che causerebbe da sola 119 decessi all'anno, i cui costi esterni (calcolati dall'Eea) ammontavano a 707 milioni di euro nel 2009. Nel nostro Paese operano altre dodici centrali a carbone, tra le altre giova segnalare quelle di Fusina, Torrevaldaliga e La Spezia, fonti di non minori preoccupazioni tra le popolazioni residenti in quei luoghi. Nel rapporto diffuso dal gruppo ambientalista si legge: «I costi esterni delle centrali a carbone sono di 1,7 miliardi di euro, oltre il 40 per cento dell'utile che Enel ha ottenuto a livello consolidato, in tutto il mondo, nel 2011. Se alle attuali centrali si dovessero aggiungere quelle di Porto Tolle e Rossano Calabro – che potrebbero presto essere convertite da olio a carbone – i costi esterni potrebbero toccare i 2,5 miliardi di euro all'anno, suddivisi in costi per la salute, danni alle colture agricole, da inquinamento dell'aria e da emissioni di CO2»;
   contro questa campagna, Enel ha avviato più di una azione legale. L'azienda, che definisce le accuse frutto di dati «non basati su una effettiva analisi delle emissioni delle centrali termoelettriche italiane», ma «su un astratto fattore di rischio che non considera il reale contributo delle centrali rispetto a tutte le fonti di inquinamento che incidono sulla qualità dell'aria», ha precisato che: «le attività sono sottoposte alle norme e ai controlli delle istituzioni locali, nazionali e internazionali e si svolgono nel pieno rispetto delle leggi»;
   è necessario ricordare che sono attualmente in discussione in Italia, tra riconversioni e nuovi progetti, centrali a carbone per oltre 5mila megawatt, da Porto Tolle a Saline Ioniche, a Rossano. Iniziative che non sembrano corrispondere alle reali necessità del Paese. Dal 2002 ad oggi, infatti, l'entrata in funzione di nuove centrali a gas e la riconversione di centrali da olio combustibile a carbone ha portato, secondo i dati di Tema, il totale di centrali termoelettriche installate a 78mila megawatt, a cui si devono aggiungere almeno 45mila megawatt da fonti rinnovabili. Considerando che il record assoluto di consumi di elettricità in Italia è di 56.822 megawatt ore, richiesti complessivamente alla rete, si comprende come il tema della sicurezza, e quindi la necessità di valutare la realizzare nuove centrali, oggi in Italia appaia giustificata. Eppure le centrali in fase di realizzazione, secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, sono 8, per 4.763 megawatt, e quelle in corso di autorizzazione, ben 38 tra gas, metano, carbone, per 23.810 megawatt;
   tale ultima considerazione, come ha recentemente sottolineato in uno specifico rapporto l'associazione «Legambiente», non sembra essere stata oggetto di adeguata riflessione in sede di elaborazione della Strategia energetica nazionale, emanata nel marzo 2013 dai Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   la strategia energetica nazionale, invece, dovrebbe tenere in conto anche questi elementi «perché è interesse del nostro Paese ridurre le emissioni di gas serra, nell'ambito della strategia europea, ridurre i costi delle bollette e contemporaneamente la sovrabbondanza di centrali alimentate a carbone che già oggi comportano effetti rilevanti in termini di costi per i cittadini e per l'ambiente –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati su quanto esposto in premessa;
   se non reputino opportuno chiarire quale sia l'impatto delle centrali a carbone, attualmente in produzione nel nostro Paese, sull'ambiente e sulla salute dei cittadini; con quali strumenti tale impatto (o danno) sia rilevato, monitorato e valutato, se tale monitoraggio sia giudicato efficace ed attendibile e se tale rilevazione sia omogenea in tutte le aree del Paese che ospitano centrali a carbone;
   anche considerando l'evoluzione dello scenario europeo, che punta con chiarezza alla decarbonizzazione dell'economia e, in particolare, con riferimento agli obiettivi contenuti nella strategia energetica normale che vedono al 2020 un forte incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili, fino al 35-38 per cento quota paragonabile a quella ottenuta con il gas, se non reputino doveroso avviare una riflessione, coinvolgendo pienamente il Parlamento, sul mix energetico italiano che, nel rispetto degli obiettivi di contenimento delle emissioni di CO2, consideri realisticamente l'evoluzione della domanda e dell'offerta e le conseguenze per la salute delle scelte produttive.
(4-00920)


   TARICCO, BARGERO, BOBBA, BORGHI, FIORIO e GRIBAUDO. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ex Acna di Cengio, oggi Syndial, ha alle spalle una storia di inquinamento lunga oltre cento anni, a testimonianza della quale l'area interessata dall'impianto custodisce ancora oggi 4 milioni di metri cubi di rifiuti speciali;
   a seguito della sua chiusura definitiva, avvenuta nel marzo 1999, viene nominato il primo commissario straordinario per il risanamento del sito inquinato di Cengio-Saliceto e vengono siglati accordi di programma che stabiliscono le linee guida finalizzate al risanamento ambientale dell'area;
   nel marzo del 2003, il commissario straordinario per il sito Cengio – Saliceto cita in giudizio l'Acna per l'inquinamento causato ai territori piemontese e ligure, chiedendo il risarcimento per le parti lese;
   nell'aprile del 2006, la Regione Liguria avanza la richiesta di acquisto del sito ex-Acna per effettuarvi una reindustrializzazione, dopo una messa in sicurezza, ma non una bonifica integrale. Nelle bozze dell'accordo per l'acquisto dell'area, la Syndial, proprietaria dell'Acna, inserisce la clausola secondo cui essa non sarebbe responsabile di contaminazioni, passate o future, che si verificassero dopo il 6o anno dalla certificazione dell'avvenuta bonifica. Tale clausola non tiene conto degli interessi della regione Piemonte, escluso dall'accordo, poiché le conseguenze di eventuali inquinamenti ricadrebbero, in buona parte, proprio sul territorio piemontese. Vale la pena al proposito, citare uno studio pubblicato nel marzo 2009 sul quotidiano Il Sole 24 Ore, secondo il quale il risarcimento complessivo per il danno provocato dall'ACNA sarebbe quantificabile in almeno 253 milioni di euro e che in caso di cessione del sito alla regione Liguria, il Piemonte perderebbe quasi 190 milioni di Euro;
   alla fine del 2008, la Syndial propone alla regione Liguria la cessione gratuita del sito ex-Acna, in cambio della rinuncia all'azione risarcitoria;
   in data 13 ottobre 2010, dopo dieci anni di interventi e 400 milioni di euro di investimenti pubblici e privati, in occasione di un incontro a Cengio (SV), al quale hanno preso parte il Capo della protezione civile, il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, nonché i presidenti delle regioni Liguria e Piemonte ed il nuovo commissario delegato, è stata annunciata la fine dei lavori di bonifica;
   ripetutamente dal 2010 alcuni gruppi ambientalisti e comitati di cittadini della Val Bormida hanno espresso pubblicamente forti preoccupazioni in merito agli interventi di bonifica del sito chimico, che avrebbero, a loro dire, lasciato fuori alcune aree, ed alla presenza, all'interno della stessa area bonificata, come si è detto, di circa 4 milioni di metri cubi di rifiuti pericolosi;
   nel marzo del 2011, la Commissione europea invia all'Italia un «parere motivato» nel quale mette sotto accusa i lavori realizzati nel sito ex-Acna. Più precisamente, secondo l'UE le autorità italiane avrebbero autorizzato il progetto di risanamento senza effettuare la valutazione di impatto ambientale e omettendo di applicare la direttiva 99/31/CE, sulle discariche di rifiuti, in relazione alle operazioni di deposito e interramento di terreno contaminato e rifiuti giacenti nell'area industriale di cui trattasi;
   risulta agli interroganti che sulla questione, l'Associazione ambientalista WWF-Italia avrebbe presentato un esposto alla Corte dei conti per danno erariale;
   nel novembre del 2010 la comunità montana Langa Astigiana-Val Bormida ha trasmesso alla regione Piemonte un ordine del giorno, avente ad oggetto l'accordo tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Piemonte e regione Liguria per la bonifica della Valle Bormida, in cui si chiede di procedere alla nomina del gruppo di esperti per la quantificazione dell'entità del danno ambientale previsto negli accordi con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché di stabilire che la regione Piemonte debba essere destinataria del 75 per cento dell'intero risarcimento previsto, come contemplato negli accordi siglati tra le parti e, infine, di far si che le risorse vadano a beneficio di tutta la Valle Bormida di Millesimo, in proporzione rispetto alla vicinanza dei comuni al sito ex ACNA;
   dopo decenni di inquinamento subito dai cittadini liguri e piemontesi, a quattordici anni dalla chiusura dell'impianto e dopo tre anni dalla chiusura delle procedura di bonifica permangono forti dubbi sulla reale situazione del sito ex-Acna, in particolare per quanto concerne le zone dove sarebbero presenti i suddetti 4 milioni di metri cubi di rifiuti pericolosi, nonché l'area Bazzaretti nel comune di Saliceto (Cuneo), per la quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel 2008, prescrisse la messa in sicurezza, ma nella quale, ad oggi, non risulterebbe compiuto alcun lavoro di bonifica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto narrato in premessa e quali siano i suoi orientamenti al riguardo; se non ritenga opportuno verificare la fondatezza delle numerose critiche avanzate rispetto alla correttezza e completezza dei lavori di bonifica; se non ritenga necessario avviare una indagine per valutare la pericolosità del permanere nell'area industriale di cui trattasi, di una grandissima quantità di rifiuti tossici; se non reputi, infine, di dover accertare l’iter e l'esito della procedura per il risarcimento del danno ambientale, considerando un'equa ripartizione, sulla base del danno realmente subito, tra i territori delle regioni Liguria e Piemonte;
   se il Ministro sia a conoscenza della avviata procedura di messa in vendita del sito dello stabilimento Syndial ex Acna e delle modalità con cui si sta svolgendo la stessa e quali garanzie vi siano sulla manutenzione e completamento delle bonifiche, anche relativamente alla fideiussione che su tale processo era stata rilasciata dalla Syndial stessa. (4-00938)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BINDI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso inverno, nei mesi di gennaio e febbraio, in diverse occasioni l'esondazione del fiume Crati a causa delle abbondanti precipitazioni ha allagato l'area archeologica di Sibari sommergendola;
   vi è stata una fortissima mobilitazione in quei giorni affinché l'area archeologica più vasta e importante della Calabria fosse salvata dal fango;
   il Governo nazionale a seguito dell'alluvione ha stanziato 21 milioni di euro a cui si sono aggiunte ulteriori risorse stanziate dal governo regionale;
   come spesso accade dopo il clamore dovuto alla mobilitazione degli organi di informazione cala il silenzio proprio come un fiume che passata la piena rientra nell'alveo;
   le risorse stanziate sono state utilizzate per liberare l'area dal fango e ripristinare un minimo di agibilità per i visitatori del sito archeologico;
   l'amministrazione comunale di Cassano allo Jonio ha lanciato l'allarme sulla necessità di valorizzare maggiormente l'area archeologica della «Sibaritide»;
   occorre passare da una fase dell'emergenza ad una della programmazione per la tutela, la valorizzazione e la promozione del sito archeologico al fine di renderlo uno dei veri attrattori turistici della Calabria ed in particolare del versante dell'alto Jonio –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare per raggiungere gli obiettivi di cui in premessa e riportare il sito archeologico di Sibari tra le grandi eccellenze culturali del nostro Paese. (5-00384)


   BURTONE. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   nel 1963 un movimento franoso colpisce il centro abitato di Craco (Matera) provocando smottamenti, cedimenti e lesioni di infrastrutture e abitazioni;
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 800 del 1965 Craco viene incluso, sentito il parere favorevole del Consiglio superiore dei lavori pubblici, tra gli abitati da trasferire a cura e spese dello stato (tabella E della legge 445 n. 1908);
   nel 1968 dopo aspre vicende politiche locali e alla luce di presunte nuove indagini, senza il parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, con nuovo decreto del Presidente della Repubblica (1393 del 14 ottobre del 1968) l'abitato viene sezionato in due, una parte da trasferire ai sensi del decreto 800 citato e una parte da consolidare. Di fatto l'abitato viene inserito nella tabella D (consolidamenti di frane minaccianti abitati);
   con un processo iniziato il 1963 e conclusosi nel 1981 l'intero centro viene sgomberato, ma paradossalmente Craco è rimasto tra gli abitati da consolidare e né lo Stato né la regione hanno più stanziato risorse il trasferimento;
   il centro storico di assoluta e straordinaria bellezza è stato abbandonato e divenuto preda di saccheggi, sono state rubate anche acquasantiere, ringhiere, pavimenti, affreschi, ornamenti degli edifici, tegole, mattoni, pietre che hanno finito per ornare case di chissà chi e chissà dove;
   Craco nella sua parte abbandonata è diventata una straordinaria location cinematografica con film di grandi registi italiani e internazionali ambientati proprio a Craco come «La Lupa» di Alberto Lattuada, «Cristo si è fermato ad Eboli» di Francesco Rosi, «Il sole anche di notte» di Taviani, «King David» di Bruce Beresford, «La passione di Cristo» di Mel Gibson, «Agente 007 – Quantum of solace» di Marc Forster solo per citare i più famosi e tanti altri;
   a Craco si realizza ormai da circa 2 anni il monitoraggio satellitare e strumentale della frana con la collaborazione dell'Agenzia spaziale italiana (centro spaziale di Matera);
   la Wacth List 2010 del World Monuments Fund comprende il centro storico di Craco;
   nel mese di marzo 2013 il sito Buzz feed ha stilato una classifica dei 30 posti dimenticati da Dio più belli al mondo e Craco ve ne fa parte;
   purtroppo i movimenti franosi sono ancora in corso e interessano diverse parti del paese tra cui il vecchio cimitero;
   occorrerebbero nuove risorse e sarebbe necessario che il Ministero prendesse in carico, attraverso un accordo di programma con la regione Basilicata, questo sito di rara bellezza a tutela della sua specificità paesaggistica –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per istituire un tavolo ministeriale per la salvaguardia di Craco, attivando risorse per la messa in sicurezza del sito e la sua tutela sul piano culturale e turistico. (5-00386)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, L'ABBATE, GAGNARLI, BENEDETTI, D'UVA, MARZANA, LUIGI GALLO, VACCA, FRUSONE, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI e PARENTELA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   gli affreschi rinvenuti nel 1857 nella tomba François a Vulci, nel territorio del comune di Canino, sono considerati unanimemente dalla comunità scientifica internazionale una delle testimonianze più grandiose e significative della civiltà etrusca;
   tali affreschi furono fatti staccare poco dopo la scoperta dalle pareti d'origine dai Torlonia, allora proprietari del fondo, e furono trasportati a Roma, in una delle sedi della famiglia;
   i preziosi reperti non sono mai stati liberamente fruibili al pubblico (se si esclude la mostra presso il castello di Vulci per alcuni mesi del 2004) e alla comunità scientifica. Quel che è peggio, sono stati conservati in maniera indecorosa in un magazzino seminterrato esposti alla luce a alla polvere.
   una sentenza della Corte di Cassazione (n. 2284, Sez. III penale del 27 aprile 1979) censurava il comportamento dei Torlonia in merito alla conservazione degli affreschi e di tutta la collezione d'arte, concludendo che «un simile tesoro d'arte va difeso con la rigorosa applicazione delle leggi» e che «il privato che abbia disperso o distrutto una cosa artisticamente protetta, e che non sia quindi suscettibile di riduzione in pristino, è condannato al pagamento in favore dello Stato di una somma pari al valore della cosa perduta o della diminuzione di valore subìta per effetto del suo comportamento»;
   tale sentenza è rimasta incredibilmente inapplicata e ci risulta che gli affreschi giacciono ancora oggi ammassati insieme ad altre opere d'arte nello stesso seminterrato;
   il codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) all'articolo 20 comma 1, stabilisce che: «I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione»;
   gli affreschi della tomba François appartengono idealmente alla comunità di Canino e il loro trasferimento ed esposizione nei luoghi d'origine costituirebbe un grande volano per lo sviluppo del turismo del territorio –:
   se il Ministro interrogato intenda finalmente dare applicazione alla succitata sentenza di Cassazione e alle leggi vigenti in materia di beni culturali e quali altre iniziative intenda assumere per mettere a disposizione del pubblico questi beni di grande bellezza e straordinario valore culturale, malamente conservati dall'amministrazione Torlonia. (4-00928)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   il CREDIOP Consorzio di Credito per le opere pubbliche – oggi Dexia Crediop s.p.a. – è una banca italiana che si occupa del finanziamento delle opere pubbliche;
   nell'ambito del processo di privatizzazione avviato nei primi anni Novanta, il CREDIOP è stato prima trasformato in società per azioni e poi ceduto dallo Stato al gruppo San Paolo di Torino e da questo al Credit Local de France (Gruppo Dexia);
   nell'ambito di questo gruppo transnazionale (franco-belga-lussemburghese), che finanziava gli enti locali europei e contemporaneamente trattava la finanza dei subprime, il CREDIOP ha perso la sua vocazione di volano per lo sviluppo del Paese;
   il «fallimento» del gruppo DEXIA è stato gestito, d'accordo anche con la Commissione europea, attraverso un processo di nazionalizzazione che ha visto alla fine la creazione di una società veicolo garantita da Francia, Belgio e Lussemburgo e dentro la quale sono ancora le partecipazioni nelle società estere, inclusa quella del CREDIOP;
   il CREDIOP è l'unica banca che non è stata ancora ceduta nonostante i ripetuti inviti in tal senso della Commissione europea;
   il CREDIOP è partecipato tra l'altro per il 30 per cento da tre banche popolari italiane (esposte quindi ognuna per il 10 per cento ai rischi propri dell'azionista);
   il Governo italiano con la cessione del CREDIOP negli anni Novanta, ha, secondo l'interpellante, determinato il declino di una realtà fino ad allora considerata uno dei principali e dei migliori attori del sistema di finanziamento delle opere pubbliche, vantando un expertise che nessun'altra realtà possedeva ma oggi si disinteressa completamente del suo destino, senza prendere affatto in considerazione le potenzialità positive che è in grado di esprimere in un momento in cui è quanto mai necessario ridare slancio agli investimenti in infrastrutture;
   sarebbe opportuno chiarire, qualora CREDIOP dovesse rimanere nell'orbita del Gruppo Dexia, svuotato di qualsiasi capacità operativa, a chi spetterebbe coprire le inevitabili future perdite di esercizio, in particolare se ai contribuenti francesi, belgi e lussemburghesi mediante la sottoscrizione degli aumenti di capitale necessari, ovvero vi sia il rischio che sarebbero costrette a pagare pro quota anche le banche popolari azioniste del CREDIOP –:
   se il CREDIOP abbia ricevuto sostegno pubblico da parte dello Stato italiano in forma di garanzia su titoli di propria emissione o direttamente sotto forma di sottoscrizione dei Tremonti/Monti bond e, in tal caso, se e quali eventuali misure siano state prese per assicurare che i contributi pubblici rimanessero effettivamente nell'ambito della banca a tutela della stabilità del sistema finanziario italiano per evitare il loro trasferimento al Gruppo DEXIA per il finanziamento della sua esposizione;
   se, qualora gli attuali azionisti non provvedessero a sostenere le necessarie ricapitalizzazioni, lo Stato italiano intenda intervenire mediante iniziative normative per garantire la provvista necessaria a pagare puntualmente i sottoscrittori delle obbligazioni o se le perdite finiranno per gravare sugli obbligazionisti che hanno sottoscritto i titoli CREDIOP.
(2-00105) «Melilla».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

V Commissione:


   BOCCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 337, della legge 23 dicembre 2005, n. 226 (legge finanziaria per il 2006), ha introdotto nel nostro ordinamento, a titolo iniziale e sperimentale, la possibilità da parte dei contribuenti di destinare una quota pari al 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche per finalità di sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità o promozione sociale, nonché al fine di promuovere il finanziamento della ricerca scientifica, dell'università e della ricerca sanitaria;
   la disposizione è stata successivamente prorogata di anno in anno, ricollegando ad essa un limite massimo di spesa, da ultimo quantificato per l'anno 2013 in 400 milioni di euro;
   circa 16 milioni di cittadini italiani, in sede di presentazione delle dichiarazioni contributive, sceglie di destinare una quota pari al 5 per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche alle finalità sopra richiamate, in tal modo attestando l'importanza del ruolo e delle azioni svolte dalle organizzazioni operanti nel «terzo settore»;
   l'istituto del 5 per mille rappresenta uno strumento fondamentale per la tutela della salute, dei diritti civili e degli interessi sociali di milioni di beneficiari del «terzo settore», tanto più in un periodo, come quello attuale, in cui la crisi economica rende più difficile il reperimento da altre fonti delle risorse necessarie;
   l'istituto del 5 per mille riveste ancora natura precaria, come dimostrato dal fatto che annualmente occorre procedere all'adozione di misure normative volte a prorogarne l'efficacia, non consentendo alle organizzazioni no profit di programmare in maniera adeguata le proprie attività;
   il tetto di spesa di 400 milioni di euro annui risulta inferiore alle risorse che dovrebbero essere destinate in favore delle organizzazioni sopra indicate, sulla base delle scelte effettivamente compiute dai contribuenti italiani;
   numerose organizzazioni no profit italiane rappresentative del «terzo settore» – tra cui, a puro titolo esemplificativo, l'AIRC (Associazione italiana ricerca sul cancro), Amnesty International, Emergency, il FAI (Fondo ambientale italiano), Greenpeace Italia e il WWF Italia onlus – hanno rappresentato l'esigenza che il Governo introduca, tra i suoi primi provvedimenti, una norma volta ad assicurare la stabilizzazione dello strumento del 5 per mille, con parallela eliminazione del tetto attualmente previsto –:
   se il Governo, allo scopo di promuovere opportunità di crescita del «terzo settore», intenda adottare iniziative normative volte a rendere permanente l'istituto del 5 per mille, anche attraverso la definizione di tempi certi per l'erogazione degli importi spettanti a ciascun ente, e a sopprimere o, quantomeno, ad elevare in misura congrua il tetto di spesa da destinare alle organizzazioni beneficiarie.
(5-00391)


   ANDREA ROMANO, ZANETTI e GALGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7 del decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 6 giugno 2013, n. 64, introduce disposizioni dirette ad assicurare la ricognizione e certificazione di somme dovute dalle amministrazioni pubbliche per somministrazioni, forniture e appalti, al fine di garantire la completa liquidazione di tali tipologie di debiti commerciali maturati al 31 dicembre 2012;
   in particolare, il comma 1 prevede che le amministrazioni pubbliche debitrici, ai fini della certificazione delle somme dovute ai sensi della disciplina vigente, sono obbligate a registrarsi entro il 29 aprile 2013 sulla piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze, dipartimento ragioneria generale dello Stato;
   ai sensi dell'articolo 9, commi 3-bis e 3-ter, del decreto-legge n. 185 del 2008, e dell'articolo 12, comma 11-quinquies, del decreto-legge n. 16 del 2012, la certificazione del credito è rilasciata, su istanza del creditore di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti, qualora il credito è certo, liquido ed esigibile – anche al fine di consentirne la cessione pro soluto o pro solvendo a banche o intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente;
   il comma 2 del citato articolo 7 del decreto-legge n. 35 del 2013 dispone che la mancata registrazione sulla piattaforma elettronica entro il termine del 29 aprile 2013 è rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare, ai sensi di quanto previsto dal decreto legislativo sul pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001); i dirigenti responsabili sono inoltre assoggettati ad una sanzione pecuniaria pari a 100 euro per ogni giorno di ritardo nella registrazione sulla piattaforma elettronica;
   la certificazione dei crediti di cui al comma 1 è effettuata esclusivamente mediante la piattaforma elettronica (ai sensi del decreto ministeriale 25 giugno 2012, come modificato dal decreto ministeriale 19 ottobre 2012 e del decreto ministeriale 22 maggio 2012, come modificato dal decreto ministeriale 24 settembre 2012), che ha sostituito la forma ordinaria/cartacea di certificazione;
   il comma 4 del medesimo articolo 7, pur mantenendo ferma la possibilità di acquisire la certificazione di somme dovute per somministrazioni, forniture e appalti e per obbligazioni relative a prestazioni professionali secondo le procedure previste dalla disciplina vigente, prevede che le pubbliche amministrazioni debitrici sono obbligate a comunicare, a partire dal 1o giugno 2013 ed entro il termine del 15 settembre 2013, utilizzando la piattaforma elettronica, l'elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2012 e non estinti alla data della comunicazione, con l'indicazione dei dati identificativi del creditore;
   il successivo comma 4-bis rende permanente a decorrere dal 1o gennaio 2014 l'obbligo di comunicazione, da parte delle amministrazioni pubbliche, dell'elenco completo dei debiti certi, liquidi ed esigibili: la comunicazione deve avvenire annualmente, attraverso la piattaforma elettronica, entro il 30 aprile di ciascun anno e deve riguardare i debiti certi, liquidi ed esigibili alla data del 31 dicembre dell'anno precedente;
   ai sensi del comma 5, il mancato adempimento da parte delle pubbliche amministrazioni debitrici dell'obbligo di comunicazione dell'elenco completo dei propri creditori è considerato, analogamente alla violazione dell'obbligo di registrazione sulla piattaforma, come rilevante ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comporta responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi di quanto previsto dal decreto legislativo sul pubblico impiego, nonché l'applicazione della sanzione pecuniaria di 100 euro per ogni giorno di ritardo;
   il comma 6 dispone che, per i crediti diversi da quelli già oggetto di cessione o certificazione, la comunicazione dell'elenco equivale a certificazione del credito e rende obbligatoria l'indicazione, da parte delle amministrazioni pubbliche, in sede di comunicazione dei propri debiti, della data prevista per il pagamento degli stessi e di parte di essi;
   il comma 7-ter estende l'obbligo di comunicazione dell'elenco completo dei debiti maturati alla data del 31 dicembre 2012 anche alle pubbliche amministrazioni rientranti nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, alle amministrazioni di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001 e alle autorità indipendenti, che a tal fine sono tenute a registrarsi sulla piattaforma elettronica entro 29 aprile 2013, mentre la comunicazione dell'elenco completo dei debiti deve essere effettuata entro il 15 settembre 2013; in caso di inadempimento dei predetti obblighi, si applicano la sanzione pecuniaria e i principi di responsabilità disciplinare e dirigenziale già citati –:
   allo stato attuale quante siano le pubbliche amministrazioni debitrici di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 35 del 2013 che si sono registrate sulla piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze, dipartimento ragioneria generale dello Stato, entro il 29 aprile 2013 e quante invece non hanno ottemperato a tale obbligo nei termini previsti dalla disciplina vigente per cui i loro dirigenti responsabili incorrono nelle relative sanzioni e procedimenti disciplinari, nonché quante siano ad oggi le pubbliche amministrazioni che hanno concretamente comunicato l'elenco dei debiti certi, liquidi ed esigibili, maturati alla data del 31 dicembre 2012. (5-00392)


   MARCON, BOCCADUTRI e MELILLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'introduzione al DEF 2013, l'allora Presidente del Consiglio Mario Monti scriveva con riferimento allo stesso, che «coerentemente con la fase di “prorogatio” il Governo in carica non può formulare orientamenti per il futuro che presuppongano scelte d'indirizzo politico-legislativo o l'avvio di nuove politiche di vasto respiro che non siano già state condivise dal Parlamento»;
   tale orientamento di provvisorietà del DEF presentato, veniva confermato alla conferenza stampa di presentazione dello stesso, il 10 aprile 2013, allorquando si sosteneva che «il nuovo Governo dovrà intervenire per integrare e aggiornare il DEF»;
   il Ministro dell'economia e delle finanze, nell'audizione alle commissioni speciali riunite di Camera e Senato il 2 maggio dichiarava che «il Governo si impegna a presentare una Nota Aggiuntiva nei tempi compatibili con la chiusura della procedura dei disavanzi eccessivi, mediante la quale potrà assumere a pieno titolo gli obiettivi strategici recentemente espressi dal Presidente del Consiglio»;
   il 29 maggio la Commissione europea ha raccomandato al Consiglio di abrogare la procedura per i disavanzi eccessivi per l'Italia. Tale raccomandazione verrà discussa dal Consiglio ECOFIN che si terrà il prossimo 21 giugno a Lussemburgo;
   la presentazione di tale Nota appare un passaggio non omissibile, determinante per definire le politiche pubbliche che il Governo intende adottare nei prossime mesi e per comprendere quali misure concrete il Governo intenda assumere per il conseguimento degli obiettivi di crescita intelligente, sostenibile e solidale come definiti nella strategia «Europa 2020»;
   nel discorso alle Camere, il Presidente del Consiglio, ha dichiarato che il Governo agirà con primi interventi per dare ossigeno alle famiglie, in particolare a quelle meno abbienti, e alle imprese tramite la riduzione fiscale sul lavoro, il superamento della tassazione sulla prima casa, l'alleggerimento dell'Iva, senza tuttavia indicare con quali misure tali riduzioni di entrate e maggiori spese saranno compensate;
   a parere dell'interrogante questi interventi, nonché il conseguimento degli obiettivi assunti dalla strategia «Europa 2020» devono essere quanto prima inclusi nella nota aggiuntiva –:
   quali siano gli intendimenti del Ministro in merito alla presentazione della nota aggiuntiva al DEF, alla luce di quanto esposto in premessa e in particolare sui tempi della sua presentazione al Parlamento. (5-00393)


   CASTELLI e FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 68 del Codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, al comma 1, come da ultimo modificato dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, dispone che le «pubbliche amministrazioni acquisiscono programmi informatici o parti di essi nel rispetto dei principi di economicità e di efficienza, tutela degli investimenti, riuso e neutralità tecnologica, a seguito di una valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico» tra una serie di soluzioni disponibili sul mercato, tra cui software liberi o a codice sorgente aperto;
   il successivo comma 1-ter, dispone che solo ove dalla valutazione comparativa di tipo tecnico ed economico risulti motivatamente l'impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all'interno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codice sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l'acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso;
   la dismissione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso, al fine del passaggio a software liberi o a codice sorgente aperto, rappresenta un importante strumento di razionalizzazione della spesa pubblica;
   allo stato, non risulta disponibile una esatta quantificazione delle risorse destinate all'acquisto dei richiamati programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d'uso e dei risparmi di spesa che si potrebbero conseguire dall'applicazione del citato articolo 68 del Codice dell'amministrazione digitale, che non sembra essere stato pienamente attuato –:
   a quanto ammontino e su quali capitoli, o piani di gestione, insistano le risorse iscritte in bilancio destinate all'acquisto di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza. (5-00394)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PETRINI, LODOLINI, LUCIANO AGOSTINI, MARCHETTI, MANZI e MORANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi iniziata nel 2008 sta tuttora esercitando un forte impatto sul sistema creditizio italiano, portando in evidenza situazioni patrimoniali messe a dura prova. La Banca d'Italia ha più volte rammentato l'esigenza di rispettare adeguati parametri patrimoniali (in aderenza ai cosiddetti indicatori Basilea 2) e di sollecitare innovazioni e rigore nella governance degli istituti di credito, all'altezza della sfida di assicurare al sistema economico nel suo complesso il sostegno da parte di un sistema del credito adeguato. Il panorama del mercato del credito in Italia, come è noto, è stato caratterizzato da alcune tendenze di lungo periodo: dall'ingresso nell'euro si sono rafforzati il ruolo di vigilanza della Banca d'Italia e l'esplicarsi delle precipue possibilità di impulso, con l'effetto visibile di fusioni ed acquisizioni virtuose e, in alcuni casi, necessarie;
   si riscontra un panorama di rarefazione degli istituti di credito marchigiani, in cui diverse realtà pur con sedi e denominazioni regionali hanno ormai proprietà e testa pensante in altre regioni italiane. Il credito nelle Marche è progressivamente divenuto «terra di conquista» da parte di istituti provenienti da altre regioni o da altri Paesi europei, interessati a drenare risparmi da convogliare verso impieghi prevalentemente in altre aree territoriali;
   da tale desertificazione del mercato del credito regionale emergono ormai soltanto qualche banca di credito cooperativo e la Banca delle Marche, al momento la principale espressione regionale;
   vi è una profonda differenza, in termini sostanziali, fra un sistema di credito gestito a livello locale ed uno gestito a livello remoto, fra una governance radicata e una non radicata. Le banche del territorio, operando in un ambito geografico ristretto, con rapporti di relazione durevoli e una profonda conoscenza del contesto, hanno contribuito alla industrializzazione diffusa dei sistemi di piccole e medie imprese, come nelle Marche. Le imprese «banche» ricoprono una duplice responsabilità: sia gestionale («fare utili» – con scelte strategiche, operative e organizzative orientate alla redditività), sia territoriale («fare sviluppo» – perché la banca è un fondamentale agente di sviluppo: non solo eroga credito, ma anche seleziona progetti, veicola innovazioni, valuta le potenzialità delle imprese locali, afferma i princìpi della trasparenza, della fiducia, della solidarietà, del merito professionale; inoltre contribuisce a formare una classe dirigente locale di imprenditori, professionisti, amministratori, dirigenti). È però auspicabile una responsabilità territoriale, che richiede la propensione ad adattarsi a molteplici esigenze di sviluppo economico-sociale locale. Infatti, forti istituti di credito locali inducono anche le banche esterne a confrontarsi su specifici obiettivi di sviluppo locale: in altre parole la presenza di robuste banche del territorio costringe le banche esterne a fare maggiore attenzione alle esigenze del territorio stesso;
   la problematica del ruolo delle Fondazioni bancarie, proprietarie degli istituti di credito, è dibattuta, a partire dalla cosiddetta riforma Amato. Riemerge periodicamente la proposta che le Fondazioni escano definitivamente, ma allora il rischio è che la gestione del credito perda radici territoriali. Resta invece convincente l'idea che le condizioni di rappresentatività delle Fondazioni possano e debbano essere riviste, evitando contrapposizioni personali o tensioni che rischiano di dilaniare la stessa potenzialità di intervento economico sul territorio, allorquando la visuale resti autocentrata ed autoriferita;
   appare opportuno mobilitare l'aggregazione e la valorizzazione delle forze economiche e sociali locali nel sostegno agli istituti di credito territoriali, mettendo a disposizione la massa finanziaria critica eventualmente necessaria in una fase di crisi congiunturale come l'attuale, evitando prospettive di acquisizione da parte di un unico soggetto economico, magari esterno al contesto territoriale;
   l'amministrazione regionale ribadisce il proprio sostegno integrato sul versante del credito, in un disegno organico che comprende la riorganizzazione della rete dei Confidi, la valorizzazione degli strumenti finanziari disponibili a livello comunitario, la velocizzazione dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione anche grazie alla cessione agli enti locali di spazi finanziari a valere sul patto di stabilità interno;
   si segnalano:
    a) l'azione di responsabilità formalmente richiesta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata (Carima);
    b) la censurabile presa di posizione della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (Carisj) a proposito della revisione delle incompatibilità in merito alle condizioni e requisiti di eleggibilità per quanti ricoprano cariche negli organi di indirizzo e governo e la conseguente nomina del presidente della Fondazione;
    c) l'assottigliamento del margine di intervento nel capitale da parte di tutte e tre le Fondazioni partecipanti;
    d) le iniziative legali di natura sia civile che penale nei confronti della precedente dirigenza;
    e) la grave situazione amministrativa e gestionale maturata negli ultimi anni;
    f) la necessità di ridefinire il ruolo, la governance e l'area operativa della Banca delle Marche;
    g) l'esigenza di promuovere una attività di vigilanza sulle Fondazioni, sia in termini di persuasione morale che di eventuale censura di comportamenti volti a perpetuare pratiche contrarie alle finalità di buona governance dell'istituto di credito;
    h) la profondità della situazione della Banca delle Marche, rappresentabile in:
     1) forte esposizione alla crisi, con rischio di vendita a valori inferiori a quelli effettivi e sradicamento dalla realtà territoriale;
     2) bilancio approvato recentemente da Banca delle Marche che certifica perdite per 518 milioni di euro, ma con stime che, a quanto consta agli interroganti, ipotizzano cifre anche superiori;
     3) necessità, evidenziata dalla Banca d'Italia, di portare da circa 250 milioni di euro a circa 300 il fondo per la necessaria ricapitalizzazione;
     4) necessità di riorganizzare il raggio operativo della Banca, mediante la vendita o la compartecipazione delle sedi extraregionali o le sedi regionali in sovrapposizione;
     5) presenza di un piano industriale che privilegi l'efficienza ma non solo scaricandosi sul fattore lavoro;
     6) studio e proposta di alleanze funzionali per esigenze di sviluppo della Banca a livello sia nazionale che internazionale –:
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per verificare la sana e prudente gestione da parte delle fondazioni che detengono partecipazioni della Banca delle Marche;
   quali iniziative, anche normative, intenda assumere in merito alla governance delle fondazioni bancarie. (5-00396)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2013 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto, firmato dall'ex Ministro dell'economia e delle finanze, Vittorio Grilli, di costituzione della società «Investimenti immobiliari italiani società di gestione del risparmio società per azioni» (InvImIt SGR spa);
   la costituzione della società era stata prevista dall'articolo 33 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria, ai fini della valorizzazione, trasformazione, gestione ed alienazione del patrimonio immobiliare di proprietà dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle regioni, dello Stato, e degli enti vigilati dagli stessi;
   a tal fine la InvImIt potrà istituire uno o più fondi d'investimento per partecipare in fondi d'investimento immobiliari chiusi promossi da regioni, province, comuni, anche in forma consorziata, ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, ed altri enti pubblici, ovvero da società interamente partecipate dai predetti enti;
   il capitale sociale ammonta a due milioni di euro ed è interamente detenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'articolo 33 del decreto-legge n. 98 del 2011, prevede, inoltre, che le azioni della società di gestione del risparmio, con un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, possano essere trasferite a titolo gratuito all'Agenzia del demanio;
   la durata della società è stabilita al 31 dicembre 2100, salvo anticipato scioglimento od eventuale proroga deliberata dall'Assemblea;
   all'atto della costituzione della società sono stati nominati sia il consiglio di amministrazione sia il collegio sindacale, ma sul documento pubblicato in Gazzetta i nomi non sono stati indicati e sostituiti da omissis, né vi è alcun riferimento alle procedure adottate per la selezione dei candidati e le nomine –:
   come si ritenga di procedere per la individuazione degli immobili da alienare;
   quali garanzie si intendano adottare affinché il patrimonio immobiliare italiano sia valorizzato attraverso la vendita a piccoli e medi imprenditori, al fine di alimentare il circuito dell'economia reale, e non a grandi aziende immobiliari o a istituti di credito e società finanziarie organizzate su attività speculative;
   se corrisponda al vero che stia per ricoprire l'incarico di presidente dell'agenzia l'ex capo di gabinetto dei Ministri Tremonti, Monti e Grilli, dottor Vincenzo Fortunato;
   quali siano gli emolumenti percepiti dalla presidenza, dal consiglio di amministrazione e dal collegio sindacale della società in questione. (4-00922)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ”Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini (nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, nell'articolo 4 tratta il tema della riduzione di spese, messa in liquidazione e privatizzazione di società pubbliche;
   l'articolo 4 del predetto decreto-legge ha creato incertezze interpretative per molte società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni che rispondono già ai requisiti richiesti dalla legislazione comunitaria in materia di in house providing; che abbiano conseguito nell'anno 2011 un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell'intero fatturato;
   per le suddette società si procederebbe, alternativamente:
    a) allo scioglimento della società entro il 31 dicembre 2013. Gli atti e le operazioni posti in essere in favore delle pubbliche amministrazioni di cui al presente comma in seguito allo scioglimento della società sono esenti da imposizione fiscale, fatta salva l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, e assoggettati in misura fissa alle imposte di registro, ipotecarie e catastali;
    b) all'alienazione, con procedure di evidenza pubblica, delle partecipazioni detenute alla data di entrata in vigore del presente decreto entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione dei servizio per cinque anni, non rinnovabili, a decorrere dal 1o gennaio 2014. Il bando di gara considera, tra gli elementi rilevanti di valutazione dell'offerta, l'adozione di strumenti di tutela dei livelli di occupazione. L'alienazione deve riguardare l'intera partecipazione della pubblica amministrazione controllante;
   il comma 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 già prima della modifica apportata dal decreto-legge n. 179 del 2012 che ha abolito il limite di 200.000 euro, consentiva che, a partire dal 1o gennaio 2014, l'affidamento diretto di beni e servizi strumentali potesse avvenire solo a favore di società a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house;
   il comma 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 delimiterebbe quindi l'ambito di applicazione del comma 1, escludendo dallo stesso le società che rispondono ai requisiti richiesti dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria in materia di in house providing:
   se questa interpretazione è confermata, le società che in forza del comma 1 dell'articolo 4 dovrebbero essere sciolte entro il 31 dicembre 2013, sarebbero le società a capitale misto controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 e le società a capitale interamente pubblico, non in house –:
   quale si possa considerare l'interpretazione più valida rispetto alle finalità della spending review e alle esigenze di tante società controllate dalle pubbliche amministrazioni già operanti nelle nostre città e se non ritenga comunque necessario assumere una iniziativa normativa diretta a modificare i commi successivi al comma 1 dell'articolo 4 in armonia con questa interpretazione. (4-00933)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, NICCHI e PIAZZONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito di una recente visita effettuata nel carcere femminile di Rebibbia, sono stati riscontrati diversi problemi che affiggono l'istituto, la maggior parte conseguenza dei tagli operati nel settore;
   i reparti sono sovraffollati, si registrano infatti 380 presenze a fronte di una capienza massima di 281 unità e le celle previste per 3 detenute, ospitano in realtà 5 donne;
   il servizio docce è fatiscente, sarebbero agibili solo 4 docce su 16. Le docce presentano muffa e scrostamenti con evidenti problemi relativamente alla tenuta dell'acqua che si riversa ai piani sottostanti, nonché ai locali di fianco dove alloggiano le detenute. Vengono conseguentemente utilizzate le docce presenti al pianterreno, in locali fatiscenti, che non sarebbero autorizzate in quanto non soggette a manutenzione;
   nell'istituto sono presenti circa 17 detenute madri e, nonostante le numerose sollecitazioni, le puericultrici, che da 25 anni lavorano all'interno della struttura nido con un'anomala consulenza, non sono mai state stabilizzate, nonostante le numerose sollecitazioni;
   le occasioni di lavoro dentro il carcere sono state tagliate del 70 per cento a causa dei mancati stanziamenti;
   il monte ore lavoro, che era fissato a 4 ore, attualmente è stato portato a 2, tuttavia le detenute, pur di praticare attività fuori dalle celle, sono disposte a lavorare per il totale delle ore inizialmente previste, anche senza remunerazione per le 2 ore eccedenti;
   le detenute devono provvedere a proprie spese anche a quanto relativo all'igiene intima e, considerata la riduzione del lavoro all'interno della struttura, risulta difficile avere quel che serve se le famiglie dall'esterno non si fanno carico delle necessità delle loro congiunte;
   la presenza di personale penitenziario è inadeguata per un corretto rapporto detenuta/agente e uno dei 3 piani dell'istituto non ha alcun tipo di vigilanza;
   il 20 per cento delle detenute è tossicodipendente. Viene somministrato il metadone, ma non vi sono spazi né personale che si occupi delle altre dipendenze (quali, ad esempio, quella da cocaina);
   vi è un unico ambulatorio, all'interno del quale vi è un presidio del SERT. L'unica stanza ambulatoriale a disposizione, dunque, è destinata a tutte le necessità mediche, a prescindere dallo stato di tossicodipendenti o meno delle detenute;
   nell'istituto, a fronte dell'alta presenza di detenute, non è prevista la presenza fissa di un ginecologo; lo specialista è presente nel carcere Rebibbia solo una volta ogni 10 giorni circa –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati rispetto quanto riportato in premessa e se non ritengano, per quanto di competenza, di intervenire – e in quali tempi – sulle delicate problematiche che affliggono il carcere femminile di Rebibbia. (4-00918)


   SCOTTO e NICCHI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Ministro di grazia e giustizia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23 settembre 1986 venne bandito un concorso pubblico per la copertura di sei posti di «operaio specializzato con qualifica professionale di padrone marittimo di seconda classe per il traffico»;
   del suddetto concorso risultarono, tra gli altri, vincitori i signori S. P. e G. S., nominati in prova, nel profilo professionale di padrone marittimo di seconda classe con decreto ministeriale 20 febbraio 1990 ed assegnati alla C. R. dell'isola di Gorgona;
   presso tale sede i suddetti hanno svolto mansioni proprie del profilo professionale di cui al decreto ministeriale 20 febbraio 1990;
   con decreto ministeriale 23 settembre 1990 gli stessi furono nominati definitivamente nel profilo professionale di comandante con decorrenza giuridica dal 20 febbraio 1990 e con inquadramento alla quinta qualifica funzionale;
   dal maggio 1990 il S. ed il P. sono imbarcati in qualità di comandanti su imbarcazioni del Ministero della giustizia adibite ad attività di pesca, essendo, inoltre, forniti di patente di radiotelefonia;
   gli stessi presentarono ai competenti organi ministeriali istanza di reinquadramento, ritenendo che, essendo stato loro richiesto ai fini concorsuali il possesso della qualifica professionale di padrone marittimo per il traffico di seconda classe, spettasse loro un inquadramento alla sesta qualifica funzionale prevista, del resto, per legge, come da Gazzetta Ufficiale n. 256 del 30 ottobre 1985;
   la predetta istanza di reinquadramento più volte reiterata fu sistematicamente respinta dal dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ritenendo lo stesso non possibile procedere alla revisione delle rispondenze tra le qualifiche del personale del previgente ordinamento e le qualifiche funzionali attribuite e in sede di applicazione dell'articolo 4, comma 8, della legge 11 luglio 1980, n. 312;
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 1219 del 1984, del resto già emanato all'epoca in cui il concorso in questione fu bandito, in attuazione dell'articolo 3 della legge 11 luglio 1980, n. 312, individuava i profili professionali del personale e tra questi quello di padrone marittimo per il traffico di seconda classe, comandante o ufficiale di coperta, inserendo detto personale nella sesta qualifica funzionale e ponendo quali requisiti quelli previsti dall'articolo 253-bis del Codice della navigazione;
   tale titolo professionale, in conformità al decreto del Presidente della Repubblica n. 1219 del 1984, era stato richiesto per l'ammissione al concorso di cui innanzi e che i suddetti, relativamente al prescritto periodo di prova, furono nominati nello specifico profilo professionale di padrone marittimo per il traffico di seconda classe;
   nella fase di inquadramento definitivo il S. ed il P. furono nominati nel profilo professionale di comandante e ad essi fu assegnata la quinta qualifica professionale;
   diverso e più favorevole inquadramento viene riservato al personale svolgente, nell'ambito di diverse amministrazioni dello Stato, analoghe mansioni;
   ai suddetti non verrebbero, tra l'altro, corrisposte le previste indennità di navigazione, comando e missione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, alla luce di quanto esposto innanzi, valutare l'esistenza di elementi che suggeriscano la necessità di un riesame dell'inquadramento professionale dei suddetti dipendenti del Ministero della giustizia al fine di individuare ed eliminare eventuali illegittimità negli atti che lo hanno determinato. (4-00929)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TULLO e QUARANTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 la direzione delle Ferrovie dello Stato Italiano (FS) ha deciso e chiuso l'officina di manutenzione e riparazione delle carrozze dei treni di Genova Trasta;
   tra le motivazione indicate l'esigenza di liberare aree per lo sviluppo produttivo della città. A oltre sette anni dalla chiusura l'area è nel totale abbandono e Ferrovie dello Stato continua ad esempio a pagare l'IMU, inoltre la chiusura ha comportato un peggioramento delle condizioni del materiale rotabile, che spesso comporta anche la cancellazione di treni con gravi disagi per i cittadini;
   l'intenzione della direzione di Ferrovie dello Stato è di procedere anche alla chiusura delle officine di manutenzione di Brignole e Terralba, adottando motivazioni ancora dettate dalle esigenze di sviluppo produttivo, dei lavori sul nodo Ferrovie dello Stato, o dallo sviluppo della metropolitana verso San Fruttuoso, esigenze legittime che possono trovare soluzioni in un ripensamento degli spazi senza intaccare servizi ed occupazione;
   i lavoratori interessati sarebbero 150 a cui si aggiungerebbero circa 100 degli appalti e oltre 250 dei diversi servizi ferroviari;
   la chiusura comporterebbe un inevitabile peggioramento delle condizioni di viaggio di migliaia di pendolari e di turisti, già oggi costretti a subire ritardi e cancellazioni spesso legate alla carenza del materiale rotabile –:
   se sia a conoscenza delle decisioni della direzione di Ferrovie dello Stato;
   se non ritenga che sia possibile pensare alle esigenze di riorganizzare gli spazi delle aree di competenza di Ferrovie dello Stato di Brignole e Terralba senza che questo comporti riduzione degli occupati e soprattutto evitando di procedere alla dismissione delle officine di manutenzione creando un inevitabile peggioramento delle condizioni del servizio. (5-00385)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2013 sarebbero dovuti iniziare, a cura dell'ANAS, i lavori per la riqualificazione sopra il nuovo tunnel di Monza della strada statale 36;
   ad oggi, dopo tre settimane, nulla è accaduto: non sono presenti operai o mezzi ed il sopratunnel è devastato ed abbandonato;
   inoltre, è in ritardo l'apertura del sottopasso di via De Vizzi, che il progetto originario prevedeva addirittura come propedeutico alla costruzione del tunnel;
   altri problemi riguardano l'annunciata e poi cancellata attivazione entro giugno della rampa di accesso dalla superficie alla strada statale 36 in direzione Lecco ed il fatto che diversi passi carrai e ingressi di edifici lungo la statale nella zona sud non sono ancora stati messi in sicurezza;
   nei quartieri di Triante e San Fruttuoso, ma anche da parte dei molti monzesi che transitano ogni giorno, stanno crescendo sfiducia e rabbia; una volta conclusa la galleria, dopo anni di lavori e dopo innumerevoli problemi e disagi per i cittadini, il cantiere è divenuto semideserto;
   l'ex viale Lombardia rimane così completamente devastato, pieno di detriti accatastati alla rinfusa, manti stradali a pezzi pieni di buche e pozze quando piove, percorsi pedonali trascurati, sterrati con acqua stagnante, con problemi relativi anche alla salute;
   i mesi di giugno, luglio e agosto sono gli unici adatti alla esecuzione dei lavori di bonifica in superficie e alla realizzazione della viabilità, operazioni che prevedono altre restrizioni al traffico e incanalamenti su itinerari provvisori dentro i quartieri; mentre settembre, ottobre e novembre sarebbero invece i mesi adatti per la sistemazione a verde e per le piantumazioni –:
   se il Ministro non ritenga opportuno intervenire con urgenza nei confronti di Anas per la celere ripresa dei lavori e se non ritenga opportuno che Anas renda noto nei dettagli il cronoprogramma dei lavori residui, con scadenze chiare e verificabili e con l'impegno a rispettarle.
(4-00917)


   POLIDORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   un'articolata attività investigativa ha di recente portato all'identificazione dei responsabili di decine di furti di bagagli avvenuti durante le operazioni di carico e scarico in otto aeroporti quali: Roma, Lamezia Terme, Bari, Bologna, Milano Linate, Napoli, Palermo e Verona;
   l'operazione per la prima volta condotta con l'ausilio di intercettazioni audiovisive realizzate a bordo degli aeromobili, è iniziata un anno fa a seguito della denuncia di alcuni passeggeri imbarcati a Roma su voli diretti a Lamezia;
   l'interrogante evidenzia come la suesposta vicenda, con riflessi rilevanti sul piano penale e sociale per il grave danno materiale e d'immagine arrecato agli scali aeroportuali nazionali e più complessivamente al settore turistico nazionale, abbia determinato un evidente nocumento procurato ai passeggeri, i quali oltre a subire furti più o meno preziosi di oggetti di diversa natura, subiscono un forte disagio generato dallo stravolgimento delle aspettative di vacanza o di motivi professionali;
   a giudizio dell'interrogante, gli sfortunati viaggiatori che hanno avuto la sventura di affrontare tale disservizio, hanno potuto altresì riscontrare i sentimenti di rabbia e d'impotenza nell'accorgersi della mancanza del proprio bagaglio o scoprire che il suo interno è privo di un oggetto prezioso o d'affezione;
   l'interrogante rileva fra l'altro come nell'ambito di tali vicende, si riscontra l'inadeguatezza nella verifica dei danni economici subiti dai passeggeri, da parte delle autorità preposte, in considerazione che le difficoltà si riscontrano non soltanto nel dimostrare il furto subito, ma anche il valore di quanto è stato sottratto –:
   quali orientamenti intendano esprimere nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano intraprendere al fine di tutelare in modo adeguato la sicurezza dei bagagli e degli oggetti personali dei passeggeri in relazione ai furti avvenuti, come riportato in premessa;
   se non intendano prevedere interventi volti a riorganizzare in modo più efficiente il sistema dell'assistenza dei bagagli a terra, all'interno degli aeroporti, al fine di identificare con chiarezza gli attori che prendono parte al processo e che pertanto ne sono responsabili;
   se non intendano altresì stabilire il potenziamento delle infrastrutture all'interno degli scali aeroportuali, al fine di consentire alle vittime dei furti costrette ad attendere per svariate ore il volo successivo dal momento che non tutti gli aeroporti dispongono di sale allo scopo dedicate, una sosta confacente;
   quale sia infine il ruolo di controllo e di vigilanza espletato dall'Enac nei confronti delle società di handling, considerato che rientra tra i compiti istituzionali dell'ente quello di vigilare costantemente affinché l'organizzazione del sistema sia efficiente e venga assicurato l'ordinato e puntuale svolgimento del servizio.
(4-00932)


   COZZOLINO, SPESSOTTO, D'INCÀ, BUSINAROLO, FANTINATI, BRUGNEROTTO, ROSTELLATO, RIZZETTO, BENEDETTI, DA VILLA e MUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto preliminare dell'opera infrastrutturale denominata passante di Mestre, approvato con delibera del CIPE n. 80 del 2003, prevede la realizzazione di numerose opere complementari. Tra queste opere vi è anche lo spostamento a ovest della barriera di Venezia Ovest, località Villabona in comune di Dolo, località Roncoduro, proprio nell'area del vecchio casello di Dolo (aperto nel 1991 in sostituzione dello svincolo in località Cazzago e chiuso il 12 luglio 2008 per consentire i lavori del Passante di Mestre), in modo da liberalizzare completamente la tratta Venezia Mestre-Dolo;
   lo spostamento della barriera di Villabona a Roncoduro non è però mai stato realizzato, dal momento che a seguito dell'approvazione di un nuovo progetto esecutivo da parte del commissario delegato, contravvenendo a quanto disposto sia dalla delibera CIPE n. 80 del 2003 sia dalle prescrizioni contenute nel parere della commissione nazionale V.I.A. del 16 novembre 2003 relativo all'opera Passante di Mestre, la barriera Venezia Ovest è stata mantenuta in località Villabona; inoltre, a seguito della chiusura del vecchio casello di Dolo e in attesa dell'arretramento della barriera di Villabona a Roncoduro è stato realizzato un casello più a est, in località Vetrego (comune di Mirano), che avrebbe dovuto essere provvisorio ma che di fatto è divenuto definitivo;
   proprio il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore rispondendo all'atto di sindacato ispettivo n. 4-00500 depositato al Senato in data 17 settembre 2008 affermava «Per quanto riguarda il nodo autostradale di Dolo, va precisato che l'apertura del casello provvisorio di Mirano-Vetrego in luogo di quello di Dolo-Mirano si è resa necessaria per evitare di dover realizzare velocemente subito la nuova barriera di Venezia Ovest in presenza del traffico che oggi grava sulla tratta autostradale Padova-Mestre (circa 80.000-90.000 veicoli al giorno). Infatti, al fine di contenere i disagi per la circolazione autostradale ed i possibili effetti di conseguente congestione sulla viabilità ordinaria dell'area interessata, si è optato per realizzare i lavori della barriera Venezia Ovest... solo ad avvenuta apertura al traffico del passante autostradale di Mestre. Nella configurazione definitiva resta comunque confermata l'originale realizzazione progettuale con la liberalizzazione della tratta autostradale di Dolo-Villabona...»;
   dal testo della risposta del Ministro pro tempore Matteoli risultano chiaramente tre elementi. Il primo è la conferma dello spostamento della barriera Venezia ovest ad avvenuta apertura al traffico del passante autostradale di Mestre. Il secondo elemento è la conferma della liberalizzazione del tratto autostradale Dolo-Villabona. Il terzo elemento, a giudizio degli interroganti, è costituito dal riferimento all'originale realizzazione progettuale, che per il Ministro restava confermata. Un riferimento che, anche alla luce di una delle premesse dell'atto di sindacato ispettivo in cui si fa esplicito riferimento alla presenza di uno svincolo a Dolo nel progetto approvato e pubblicato, deve essere inteso rivolto a quanto riportato nel progetto originario del passante di Mestre e nella precedente delibera CIPE n. 83 del 2003, che prevedevano lo spostamento a ovest della barriera Venezia Mestre tra l'interconnessione ovest con l'A4 e lo svincolo di Mirano-Dolo e la riapertura dello svincolo diretto per Dolo in località Roncoduro;
   mantenendo invece la barriera a Mestre in località Villabona la tratta Mestre-Dolo non si può dire liberalizzata mentre il tratto Mirano-Mestre è a sistema aperto; infatti, per chi entra ed esce dall'autostrada nella tratta compresa tra il casello di Vetrego e la barriera di Mestre il pedaggio è nullo; ma per chi viaggia nella tratta Vetrego-Padova est si pagano invece 0,80 euro, e 3,20 euro per percorrere la tratta Mestre-Padova est;
   questa differenza di tariffa induce molti automobilisti, ed in particolare gli autoarticolati che percorrono l'autostrada tra Mestre e Padova, ad uscire dall'autostrada per poi subito rientrare presso il casello di Vetrego generando il cosiddetto fenomeno del «tornello»; poiché la viabilità a servizio di quello che doveva essere il casello provvisorio di Vetrego non è stata progettata per accogliere il volume di traffico che questa pratica induce, ciò provoca conseguentemente quotidiane code in uscita al casello, ed intasamenti della viabilità locale, nonché fenomeni di inquinamento acuto, con forte aggravio per la sicurezza degli utenti e della salute della popolazione residente;
   per risolvere questo problema, la società CAV spa partecipata al 50 per cento da ANAS spa e al 50 per cento dalla regione Veneto, ha chiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di uniformare le tariffe autostradali equiparando il pedaggio a 2,70 euro sia per la tratta Vetrego-Padova est, sia per la tratta Mestre-Padova est, con gravi ripercussioni economiche per i residenti e i pendolari che usufruiscono dell'infrastruttura;
   questi disagi sono stati oggetto negli ultimi mesi di numerose proteste e contestazioni da parte di cittadini e comitati, arrivando anche a creare difficoltà alla viabilità proprio nei pressi dello svincolo di Vetrego e presso la sede di CAV spa –:
   quali atti intenda adottare il Ministro ed in quali tempi al fine di dare piena realizzazione al progetto del passante di Mestre, per quanto attiene lo spostamento a ovest della barriera Venezia Mestre tra l'interconnessione ovest con l'A4 e lo svincolo di Mirano-Dolo e la riapertura dello svincolo diretto per Dolo in località Roncoduro, nonché in merito alla prevista liberalizzazione dei relativi tratti autostradali interessati. (4-00934)


   LAFFRANCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 29 gennaio il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti, Corrado Passera, varava il piano nazionale per il riordino degli aeroporti italiani. In esso venivano individuati trentuno scali che, avrebbero mantenuto la concessione nazionale ed oggetto di interventi di ammodernamento e infrastrutturazione a carico dello Stato;
   il piano è stato inviato alla Conferenza Stato regioni per le valutazioni normativamente previste, L'atto di indirizzo del Piano nazionale degli aeroporti, dopo aver ottenuto il parere negativo dalla pre-Conferenza Stato regioni del giorno 5 febbraio 2013, è stato ritirato dall'ordine del giorno della seduta del 7 febbraio 2013;
   la selezione degli aeroporti si è basata su diversi criteri, in particolare: aeroporti inseriti nella cosiddetta «Core Network», (considerati cioè di rilevanza strategica a livello comunitario in quanto pertinenti a città o nodi primari); aeroporti inseriti nella «Comprehensive Network», (con traffico superiore a un milione di passeggeri annui); aeroporti con traffico superiore a 500mila passeggeri annui e con specifiche caratteristiche territoriali (unicità nell'ambito regionale o servizio a un territorio di scarsa accessibilità); scali indispensabili per la continuità territoriale; scali non facenti, parte delle reti europee ma con traffico vicino al milione di passeggeri e con trend in crescita e aeroporti destinati a delocalizzare traffico di grandi aeroporti;
   secondo il piano, gli aeroporti esclusi dalla lista d'interesse nazionale sarebbero stati trasferiti alle Regioni competenti o ai rispettivi enti locali, per una diversa destinazione d'uso e/o la possibilità di chiusura;
   fra gli aeroporti esclusi dal rinnovo della concessione vi era il San Francesco di Perugia, l'aeroporto è l'unico scalo per voli di linea passeggeri della regione Umbria. È stato completamente rinnovato nel 2011, con la realizzazione di una nuova aerostazione su progetto dall'architetto Gae Aulenti;
   in particolare, occorre ricordare che, negli ultimi cinque anni, sullo scalo perugino sono stati stanziati, ingenti quantitativi di capitale pubblico, pari ad un totale di oltre 60 milioni di euro. In assenza della concessione ventennale, sarà impossibile implementare le attività private e commerciali ed attrarre capitali al fine di garantire l'equilibrio economico-finanziario della società di gestione e consentire il definitivo sviluppo dell'infrastrutture;
   più nel dettaglio, tra il 2007 ed il 2012 gli investimenti infrastrutturali sullo scalo umbro si sono realizzati in due distinte fasi: una prima fase (2007-2008) ha visto l'esecuzione del prolungamento della pista di atterraggio/decollo, l'adeguamento del piazzale aeromobili, l'adeguamento degli impianti tecnologici, l'adeguamento collegamento viario per un totale di 18 milioni di euro finanziati per il cinquanta per cento dall'ENAC e per il restante cinquanta per cento dalla regione Umbria;
   una seconda fase (2008-2012) ha visto l'adeguamento delle infrastrutture sulla base del progetto dell'architetto Gae Aulenti (nuova aerostazione, nuovi parcheggi, edificio rampa SASE, ampliamento piazzale aeromobili, nuova taxi way, adeguamento raccordi esistenti, e nuova caserma Vigili del Fuoco), per un investimento complessivo di 42,5 milioni così ripartiti: Presidenza del Consiglio dei ministri (27 milioni), regione Umbria (12 milioni), ENAC (3 milioni), SASE (500 mila);
   tutte le infrastrutture della prima e della seconda fase sono state completamente realizzate e sono attualmente in funzione;
   attualmente l'aeroporto collega con voli di linea Londra, Bruxelles-Charleroi, Barcellona-Girona, Trapani, Tirana, Cagliari, Milano/Bergamo. Nei periodi estivi voli charter collegano Perugia con le località di Palma de Maiorca, Ibiza, Creta, Sharm el-Sheik, Rodi, Santiago de Compostela, Mostar e la Terra Santa. Attualmente sono in corso trattative per aprire rotte verso Parigi, Amsterdam, Colonia, Brindisi, e Lamezia Terme;
   l'andamento dei passeggeri risulta in costante incremento, passando dai 47.000 del 2006 ai 200.000 del 2012 con stime che vedono ulteriori incrementi per l'anno in corso (250/300 mila passeggeri a fine 2013);
   la decisione assunta dal Governo Monti, in ordinaria amministrazione esclude un aeroporto che per almeno due requisiti – quello di essere unico su scala regionale e quello della salvaguardia di importanti investimenti nazionali – rientrerebbe fra quelli considerati essenziali per l'inclusione nel Piano in cui compaiono invece scali di minore rilevanza:
    il 20 marzo 2013 è stato presentato il manifesto di candidatura di «Perugiassisi» a Capitale europea della cultura per il 2019. La candidatura congiunta delle due città umbre rischierebbe pertanto di ricevere un forte depotenziamento se non una vera e propria battuta d'arresto con la scelta di escludere l'aeroporto San Francesco dalla concessione nazionale;
   la società SASE, che gestisce lo scalo perugino, si è rivolta al Tar contro le decisioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, allegando al ricorso cospicua documentazione dalla quale emerge una stima dei danni causati dal mancato rinnovo della convenzione, calcolati in circa dieci milioni di euro di perdite subite nel corso degli anni e riequilibrate attraverso le ricapitalizzazioni da parte degli enti pubblici proprietari. L'udienza è prevista il prossimo 7 luglio –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda e se non ritenga paradossale, a seguito degli ingenti investimenti, condannare di fatto alla chiusura uno scalo ristrutturato e inaugurato nel 2012;
   se, anche a seguito delle enormi polemiche sollevate dalla presentazione del piano, il Governo intenda rivalutare, pur mantenendo fermo il principio della riduzione della frammentazione e favorendo virtuosi processi di riorganizzazione, quanto predisposto dal precedente esecutivo. (4-00936)


   BARBANTI, MICILLO, TACCONI, BUSTO, MANTERO, CIPRINI, BALDASSARRE, D'UVA, SPESSOTTO, PAOLO BERNINI, PISANO, ROSTELLATO, GAGNARLI, ARTINI, LIUZZI, MUCCI, PESCO, LUPO, CURRÒ, MANLIO DI STEFANO, D'AMBROSIO, ZACCAGNINI, DE LORENZIS, TERZONI, BUSINAROLO, PARENTELA, RUOCCO, L'ABBATE, TOFALO, MASSIMILIANO BERNINI e GALLINELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta dagli interroganti da qualche mese ormai, il tratto della strada statale 18 tirrenica in località «Principessa» nel comune di Amantea (CS), unica via di comunicazione stradale fra le aree tirreniche del cosentino e del catanzarese, nonché unica strada capace di collegare una amplissima area territoriale interprovinciale con la grande area urbana del lametino e l'aeroporto internazionale di Lamezia Terme, risulta parzialmente ma fortemente erosa dalle mareggiate che hanno colpito la costa, con evidente risultato la difficile praticabilità di tale arteria se non attraverso l'ausilio delle forze dell'ordine e di interventi tampone dell'ente competente (regione Calabria) che garantiscono a fasi alterne la circolazione su gomma in entrambe le direzioni nord-sud, con grave limitazione dei diritti dell'utenza;
   tra le ultime mareggiate, quelle del 14 e 15 marzo 2013 hanno richiesto, oltre l'immediato intervento dell'ANAS diretto a rimettere in sicurezza tramite scogliera il corpo stradale della strada statale 18 in Località «Principessa», un impegno delle risorse del comune di Amantea per 200.000,00 euro;
   la costruzione del cosiddetto porticciolo turistico nel comune di Amantea, realizzato con fonti regionali e parzialmente ricadente nel demanio marittimo, gestito dal comune di Amantea, ha fortemente contribuito (se non come causa principale sicuramente in modo prevalente) al progressivo incremento dei danni accusati nell'ultimo periodo dalla strada statale 18; conclusione peraltro sancita in un provvedimento giudiziale emesso dal Tribunale di Paola, in sede civile, in seguito a ricorso per accertamento tecnico preventivo instaurato da un imprenditore del luogo e che non ha comunque indotto gli enti interessati all'adozione di qualsivoglia provvedimento decisivo né ad una verifica amministrativa e/o tecnica, seppur in sede di autotutela;
   la questione sulla verifica dell'impatto ambientale dell'opera, sulle conseguenze prodotte negli anni e che potranno ancora prodursi in futuro, con conseguenze di natura pubblica per il pregiudizio dei diritti degli utenti e cittadini e per il corretto andamento della amministrazione (per l'eventuale esborso di denaro pubblico, anche sotto il profilo risarcitorio), non sembra aver indotto alcuno degli enti interessati – almeno sinora – ad avanzare una proposta tendente all'accertamento della potenziale pericolosità, inutilità e antieconomicità della gestione di un'opera discutibile ab origine (peraltro sottoposta a vincoli di bilancio e controllo giurisdizionale contabile), atteso che, dalla sua inaugurazione ed apertura ad oggi, il comune di Amantea ha dovuto sostenere ingenti costi di manutenzione (40.000 euro di contributi richiesti solo nel 2012) derivanti dal continuo e costante insabbiamento dell'imbocco che ne ha reso, da un lato, praticamente impossibile la fruizione per la maggior parte del tempo nel corso dell'anno, dall'altro, ha provocato il concreto annullamento della battigia a ovest dell'imbocco del cosiddetto porticciolo turistico;
   ad oggi solo il prefetto di Cosenza, giustamente interessato alla situazione, ha convocato su esplicita richiesta una delegazione del Movimento 5 Stelle di Amantea che ha provveduto a sensibilizzare l'autorità che egli rappresenta ai gravi problemi del territorio interessato;
   si ritiene di dover rimarcare l'inerzia degli organi competenti che nel corso degli anni hanno ampiamente sottovalutato le evidenti conseguenze manifestate dal ripetersi di certi eventi naturali, e come tali facilmente prevedibili, oltre l'omissione di indagine su cause e concause che hanno contribuito ad alimentare il fenomeno erosivo per porvi rimedio: obiettivo fondamentale dell'esercizio del potere decisionale ad osservanza del dovere pubblico di garantire i diritti fondamentali dei cittadini;
   il fenomeno erosivo appare accresciuto ictu oculi dalla realizzazione dell'opera, che doveva rivelarsi fondamentale per il turismo del territorio, nell'interesse superiore della cittadinanza di affrancarsi dalla terribile recente crisi economica;
   gli interventi estemporanei succedutisi nel tempo a giudizio degli interroganti sono non risolutivi ed, anzi, volti a procrastinare unicamente la soluzione della problematica esposta con l'aggravante di inutili esborsi di denaro pubblico –:
   di quali elementi disponga il Governo, anche per il tramite di ANAS, in ordine agli effetti della realizzazione del porticciolo turistico nel comune di Amantea sulla praticabilità della strada statale 18 Tirrenica e quali eventuali iniziative ANAS abbia intrapreso affinché siano sanate eventuali criticità del progetto; quali siano le iniziative assunte dai vari enti coinvolti a seguito dell'incontro con il prefetto di Cosenza di cui in premessa. (4-00939)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO e ZOGGIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 2 giugno 2013 quattro cittadini di nazionalità tedesca hanno subito un controllo da parte della polizia locale di Jesolo perché trovati a guidare contromano nella via principale della nota località turistica, hanno ricevuto contravvenzione per guida in stato di ebbrezza e hanno aggredito la pattuglia coinvolgendo gli agenti in una colluttazione sedata a fatica dagli agenti stessi;
   uno di loro è stato fermato per resistenza a pubblico ufficiale e portato al pronto soccorso: ritrovata la calma i suoi connazionali, credendolo al comando di Polizia di Stato hanno fatto irruzione armati di una spranga nel comando locale ove hanno incontrato l'unico agente in servizio che è rimasto per qualche tempo barricato negli uffici attendendo l'arrivo dei rinforzi che hanno potuto fermare e denunciare i tre ragazzi;
   il comando in questione si trova nella difficile situazione di far fronte alle crescenti emergenze potendo contare su un personale decisamente sotto organico, tanto che, nei primi 13 giorni del mese di giugno 2013, solo una giornata ha visto coprire 3 dei 4 turni previsti per le volanti, per quattro giorni sono stati coperti 2 turni su 4 e i restanti 8 giorni soltanto 1 turno su 4;
   dopo i fatti del 2 giugno è stato disposto un turno di sorveglianza al comando di polizia di due guardie al posto del solo agente aggredito ma tale provvedimento è stato applicato solo in 6 dei 30 turni previsti per la drammatica carenza di personale;
   è noto che a partire dalla seconda metà del mese di maggio le località di villeggiatura sono meta di un numero crescente di turisti che si aggiungono ai residenti e ai lavoratori stagionali: tale crescita di popolazione aumenta più che proporzionalmente il fabbisogno di vigilanza e di sicurezza;
   a riprova di questa affermazione è utile ricordare che soltanto nella prima settimana di giugno si sono registrati furti per oltre 160.000 euro nel solo territorio di competenza del commissariato di Jesolo;
   nella vicina Caorle nella notte del 14 di giugno 2013 sono stati dati alle fiamme quattro mezzi della polizia locale: all'origine dell'incendio doloso pare si possa indicare una ritorsione per l'attività svolta dai vigili urbani contro il commercio abusivo in spiaggia, altro fenomeno in forte crescita nei mesi estivi;
   l'incendio ha coinvolto anche parte del magazzino dove era custodita la merce sequestrata, fortunatamente senza conseguenze, ma questo fatto dà la dimensione della pericolosità dell'attentato incendiario che costituisce solo l'ultimo gesto gravissimo di una serie di atti che è destinata a crescere se non si destinano le risorse e il personale adeguato ad un territorio soggetto a forte densità turistica in questo periodo dell'anno;
   il personale attualmente in servizio non riesce a garantire l'ordinaria amministrazione, né i turni previsti con conseguente inefficacia dell'attività di prevenzione e contrasto degli atti illeciti e delle emergenze;
   le organizzazioni sindacali hanno più volte fatto presente la situazione senza ottenere il distaccamento di uomini e mezzi sufficienti a far fronte quantomeno ai turni previsti dalla normale attività di controllo del territorio –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra descritti;
   quali provvedimenti intenda assumere per garantire un numero congruo di agenti a disposizione del commissariato di Jesolo tale da far fronte alle crescenti necessità di presidio del territorio da parte delle forze dell'ordine. (4-00919)


   TIDEI, FERRO, MICCOLI, GREGORI e IORI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la città di Tivoli, famosa nel mondo per avere ben due siti iscritti nella World Heritage List dell'UNESCO (Villa Adriana e Villa d'Este), è meta di centinaia di migliaia di turisti ogni anno;
   la città, in questi giorni di alta stagione turistica, per giunta con l'approssimarsi dell'estate, sta vivendo una emergenza rifiuti a causa della crisi finanziaria dell'azienda comunale ASA Tivoli spa, che si occupa della raccolta dei rifiuti solidi urbani;
   la società, ancorché in equilibrio economico, subisce lo squilibrio finanziario dovuto alla morosità degli utenti nel pagamento della tariffa (sono diversi milioni di euro i crediti che l'azienda vanta nei confronti degli utenti);
   il comune è stato commissariato a seguito dell'approvazione da parte del consiglio comunale della mozione di sfiducia al sindaco;
   è stato nominato commissario straordinario il vice-prefetto Alessandra De Notaristefani Di Vastogirardi;
   il commissario non risulta aver firmato il contratto di servizio con la società ormai scaduto il 31 dicembre 2012, non consentendo all'azienda di poter scontare in banca le fatture emesse e così saldare gli stipendi ai lavoratori e le prestazioni ai fornitori;
   il commissario ha nominato un proprio consulente esterno, a quanto consta agli interroganti senza procedere ad un bando ad evidenza pubblica e senza rendere pubblico, la ripartizione del compenso tra comune e ASA;
   il consulente ha depositato una relazione, a quanto consta agli interroganti anch'essa mai resa pubblica;
   il commissario, per quanto risulta agli interroganti inaudita altera parte, ha approvato l'accordo di ristrutturazione del debito ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare;
   l'azienda, quindi, si trova sull'orlo del fallimento;
   le organizzazioni sindacali aziendali hanno proclamato lo stato di agitazione;
   appare ormai improcrastinabile la firma del contratto dell'igiene urbana per il 2013 e l'affido del servizio per più anni (ai sensi dei commi 3 e 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 e della sentenza n. 199 del 2012 della Corte Costituzionale) –:
   quali iniziative i Ministri intendano assumere, alla luce delle ragioni descritte in premessa, per approfondire:
    a) le motivazioni per le quali il commissario straordinario di Tivoli non procede a firmare il contratto dell'igiene urbana per il 2013 e affidare il servizio per più anni (ai sensi dei commi 3 e 8 dell'articolo 4 del decreto-legge n.  95 del 2012 e della sentenza n. 199 del 2012 della Corte Costituzionale), cosa che permetterebbe di garantire il servizio di raccolta dei rifiuti e di tutelare le lavoratrici e i lavoratori;
    b) le motivazioni per cui non si proceda all'approvazione del piano industriale dell'Asa spa che prevede la realizzazione di un impianto per la raccolta differenziata e l'introduzione della raccolta porta a porta;
    c) le motivazioni per le quali un funzionario pubblico, quale il commissario straordinario di Tivoli, abbia provveduto alla nomina, intuitu personae, di un consulente esterno al comune e all'azienda senza il preventivo riscontro sulle professionalità interne agli enti e senza la pubblicazione di un avviso per la valutazione di ulteriori profili professionali;
    d) il curriculum del consulente incaricato (in particolare con riferimento ai rapporti avuti nel passato con gli enti locali), precisando se sia stato richiesto al professionista di produrre al protocollo del comune il certificato dei carichi pendenti e quello del casellario giudiziale, la relazione depositata dal consulente, le motivazioni per le quali non sia stata resa pubblica ed il costo della parcella a carico del comune e di quella a carico della società ASA Tivoli spa. (4-00926)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con modificazioni dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213, dispone all'articolo 2 («riduzione dei costi della politica») che le regioni riducano i costi collegati agli apparati politici;
   dette riduzioni dovevano essere decise dalle regioni entro il 23 dicembre 2012 ovvero entro il 7 giugno 2013 qualora occorrano modifiche statutarie;
   la norma prevede altresì che l'80 per cento dei trasferimenti dovuti a ciascuna regione sia assegnabile ed erogabile solo a condizione che la medesima regione abbia attuato le citate disposizioni di contenimento dei costi della politica. Sono esclusi dall'applicazione di questa sanzione solo gli stanziamenti destinati al servizio sanitario nazionale e al trasporto pubblico locale;
   da quanto risulta solo alcune regioni non hanno effettuato ancora tutto quanto disposto ma la maggioranza delle regioni sì;
   per quanto è dato di sapere sono stati accantonati circa 160 milioni di euro del fondo destinato ai trasferimenti alle regioni per il sostegno alle scuole paritarie (Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca capitolo bilancio 1299);
   tale accantonamento riguarderebbe tutte le regioni, anche quelle che hanno effettuato le disposizioni di contenimento dei costi della politica;
   tale trasferimento non è un trasferimento effettivo alle regioni bensì una mera partita di giro verso le quasi 14.000 scuole paritarie, che, come previsto dalla legge finanziaria per il 2013, sanno di poter contare su un contributo complessivo di 502 milioni di euro per l'anno in corso;
   la situazione delle scuole paritarie del Paese risulta essere particolarmente grave a causa di numerosi fattori tra i quali le difficoltà economiche di molte famiglie, la lentezza dei trasferimenti dei contributi statali e della maggioranza delle amministrazioni regionali e comunali che generalmente concorrono al sostegno delle scuole paritarie gestite da enti no-profit;
   la situazione di difficoltà di cui sopra rischia di causare la chiusura di numerosi istituti con una conseguente e gravissima complicazione per i bambini e le famiglie e per le altre scuole (in primis scuole statali) incapaci di assorbire un eventuale flusso di bambini –:
   quali siano le intenzioni del Governo in merito alle risorse 2013 accantonate da destinare alle scuole paritarie e quali siano i tempi previsti per l'acquisizione del parere della Conferenza Stato-regioni, l'emanazione del decreto interministeriale e l'effettiva assegnazione alle scuole paritarie delle somme previste dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 263).
(5-00383)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA, MARZANA, DI BENEDETTO, BATTELLI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   durante l'assemblea della conferenza dei rettori delle università italiane, tenutasi il 23 maggio 2013, è stata approfondita l'analisi sullo stato dell'università italiana, facendo emergere al termine della stessa un quadro generale di assoluta emergenza per la maggioranza degli atenei del nostro Paese;
   le politiche che negli ultimi anni hanno introdotto una lunga serie di tagli alla spesa da destinare alle università italiane, con una progressiva riduzione del fondo di finanziamento ordinario, del 4,6 per cento rispetto al solo 2012, riducendo la cifra dello stesso dai 7450 milioni di euro dell'anno 2009 agli attuali 6690 milioni dell'anno 2013, con una decurtazione nell'intervallo considerato di quasi 11 punti percentuali;
   il finanziamento previsto per l'anno 2014 ha raggiunto cifre non più accettabili per uno Stato che intenda effettuare politiche serie sul diritto allo studio e consentire ai giovani l'accesso ad un'offerta formativa che realmente accresca le loro capacità e le loro competenze, allo stesso tempo, permettendo ai meritevoli di accedere a borse di studio che premino il merito e ai ricercatori universitari di ottenere i fondi che siano sufficienti a finanziare il loro indispensabile lavoro;
   in particolare, secondo una media effettuata su base nazionale, l'attuale copertura finanziaria per l'erogazione delle borse di studio in favore di studenti capaci e meritevoli non supera il 60 per cento; con casi particolari di atenei che non raggiungono neanche il 50 per cento della copertura, compromettendo così la possibilità per molti giovani di raggiungere livelli di eccellenza nella ricerca universitaria, con la drammatica prospettiva, così come evidenziata dal CRUI, di vedere assegnate nell'anno accademico 2014 solamente 2000 borse di studio;
   a norma dell'articolo 5 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, che disciplina la programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di reclutamento degli atenei, si prevede che l'indicatore per l'applicazione del limite massimo alle spese di personale delle università, così come previsto dalla normativa in esame, venga calcolato rapportando le spese complessive di personale di competenza dell'anno di riferimento alla somma algebrica dei contributi statali per il funzionamento assegnati nello stesso anno e delle tasse, e senza la possibilità che l'indicatore possa superare una soglia massima pari all'80 per cento;
   attraverso una sistematica comparazione delle condizioni richieste dall'articolo 5 sulle effettive disponibilità finanziare in rapporto alla spesa complessiva del personale universitario, dati gli attuali costi per la spesa del personale pari a circa il 95 per cento dei trasferimenti dallo Stato italiano, e data la già evidenziata riduzione di spesa per il fondo di finanziamento ordinario, risulta una inevitabile quanto imminente situazione di stato di default per circa la metà degli atenei italiani, con conseguente blocco del reclutamento laddove necessario;
   il già prospettato blocco delle assunzioni di personale, in assenza di eventuali provvedimenti urgenti, andrà ad aumentare uno stato di criticità già elevato per gli atenei italiani, quale diretta conseguenza sia delle disposizioni normative introdotte dalla legge n. 135 del 2012, che disciplinando il blocco del turnover ha introdotto un limite di spesa pari al 20 per cento di quella relativa al corrispondente personale complessivamente cessato dal servizio nell'anno precedente, sia a causa del reclutamento dei docenti di prima fascia ormai fermo da circa sei anni;
   il metodo di calcolo delle spese per l'assunzione di personale deve ora essere basato sul concetto di «punti organico» (PO), secondo il quale ogni punto rappresenta il costo medio nazionale di un professore di I fascia cui corrisponde il coefficiente stipendiale di 1 punto organico pari a euro 120.151, e ogni ateneo al quale vengono distribuiti i punti organico da utilizzare per la spesa disponibile così come previsto dal decreto ministeriale 22 ottobre 2012 n. 297, articoli 2 e 3, può utilizzarli nella misura in cui il rapporto tra la rispettiva attribuzione di punti organico e la somma di quelli già utilizzati nell'anno in corso per i diversi regimi assunzionali determini una differenza positiva, da utilizzare però entro il termine ultimo del 30 giugno 2013;
   quanto sinora riportato ha determinato una situazione di generale invecchiamento del personale universitario, con medie difficilmente riscontrabili in altri Paesi europei, una generale situazione di default per la maggior parte delle Università italiane e, allo stesso tempo, una inevitabile preclusione per centinaia di giovani dottori di ricerca che, a causa delle crescenti difficoltà a continuare il naturale percorso professionale all'interno degli atenei, ovvero a ottenere una borsa di studio di merito, sono costretti a trasferire le proprie conoscenze e capacità in Paesi che, grazie a continui investimenti sulla formazione scolastica e universitaria progrediscono sotto l'aspetto culturale e scientifico-tecnologico, comportando così un danno per la ricerca italiana –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative, attraverso un piano pluriennale, per realizzare una strutturale programmazione finanziaria delle università italiane e del relativo diritto allo studio finalmente di ampio respiro, provvedendo a ripristinare in modo adeguato le voci di spesa da destinare al fondo di finanziamento ordinario, e impedendo così che la generale situazione di default di numerosi atenei, così come prospettato dal Comitato dei rettori delle università italiane, diventi effettiva;
   se si stia valutando la possibilità di assumere iniziative per rimuovere i conflitti in essere dalle normative introdotte nel corso degli anni che impediscono di fatto, vista la continua diminuzione dei fondi di finanziamento e, soprattutto, la previsione di un livello di turnover del tutto inadeguato, l'assunzione di personale essenziale per ottenere una migliore offerta formativa e, allo stesso tempo, un necessario ricambio generazionale;
   se intenda promuovere ogni iniziativa di competenza affinché la copertura finanziaria per l'erogazione delle borse di studio in favore di studenti capaci e meritevoli possa raggiungere percentuali adeguate almeno a garantire il superamento dell'attuale soglia media di 60 punti percentuali, evitando l'ulteriore decremento così come previsto per l'anno accademico 2014;
   se stia predisponendo le iniziative per una necessaria quanto urgente proroga, così come prevista dalla legge di stabilità, circa le disponibilità dei punti organico assegnate alle università italiane dal decreto ministeriale 22 ottobre 2012 n. 297, in scadenza il 30 giugno 2013 e da estendere almeno fino al termine dell'anno in corso. (4-00930)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XI Commissione:


   PIZZOLANTE e CICU. —Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 1o ottobre 2012, è stata approvata la legge n. 177, che ha apportato modifiche al decreto legislativo n. 81 del 2008 relativo alla sicurezza sul lavoro;
   tale provvedimento stabilisce la valutazione obbligatoria del rischio di ritrovamento di ordigni bellici durante la realizzazione di opere di scavo;
   la problematica, nonostante i circa 70 anni dall'ultimo conflitto mondiale è purtroppo ancora oggi attuale. Infatti, dai dati ufficiali del Ministero della difesa, si evince che sono circa 100.000 i ritrovamenti che ogni anno mediamente vengono effettuati nel corso di operazioni di bonifica preventiva e nel nord-est del Paese si ritrovano addirittura ancora numerosi ordigni risalenti alla Prima guerra mondiale. Una parte di questi ordigni è a caricamento chimico. A tali ritrovamenti vanno aggiunti quelli accidentali che spesso vengono riportati dalla cronaca anche recente e a volte con danno alle persone;
   la legge n. 177 del 2012, al fine di poter produrre tutti gli effetti per il raggiungimento di una maggiore sicurezza delle maestranze impegnate in opere di scavo, deve essere seguita da un decreto interministeriale; con tale decreto, previsto nella stessa legge, viene nominata una commissione di esperti per la formazione di un albo entro il termine di sei mesi dalla entrata in vigore della stessa legge: tale termine è scaduto il giorno 2 maggio 2013. È da porre in evidenza che l'albo diventa essenziale per l'accertamento preventivo dei requisiti che debbono essere posseduti dai soggetti ai quali conferire il servizio di bonifica quando il coordinatore della progettazione abbia ritenuto doversi procedere alla bonifica preventiva del sito nel quale è collocato il cantiere. Allo stato attuale per la carenza normativa i controlli sui requisiti sono solo cartacei e limitati, d'altra parte non può essere bloccata un'attività tanto delicata ed, inoltre, è altresì possibile eludere i controlli da parte dell'autorità militare per le imprese –:
   come mai tale provvedimento non sia stato ancora emanato nonostante le delicatezza della materia da normare.
(5-00387)


   BECHIS, BALDASSARRE, CIPRINI, COMINARDI, RIZZETTO, ROSTELLATO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la cosiddetta «Riforma Fornero» ha importato nel nostro sistema previdenziale contraddizioni che si sono tradotte nel multiforme insorgere delle più varie criticità le quali tuttora pongono i destinatari della medesima riforma in enorme difficoltà;
   nella platea dei cosiddetti «esodati» sono spontaneamente sorti vari comitati che denunciano, di giorno in giorno, l'emergere di problematiche tra le più disparate ed il relativo concretizzarsi di emergenze pressoché quotidiane e non esclusivamente legate agli aspetti socio-economici ma, anche, ascrivibili alle opacità delle prescrizioni e circolari INPS talora non sufficientemente chiare ed esemplificative;
   secondo le segnalazioni fatte dai comitati di «esodati» affiorerebbe come grave la situazione di quei soggetti cui sono state offerte forme di salvaguardia dalla legislazione vigente ma che non hanno ad oggi ricevuto, rispetto alla propria personale posizione, alcuna comunicazione formale da parte di INPS la quale avrebbe invece già inviato ai medesimi destinatari i bollettini per il versamento della contribuzione volontaria senza, dunque, previamente comunicare alcunché;
   tale circostanza, se confermata, porrebbe il destinatario davanti alla necessità di dover procedere al pagamento dei bollettini entro il termine perentorio del 30 giugno 2013 e pena l'esclusione dei diritti derivanti, senza aver previamente ricevuto la comunicazione formale da parte di INPS relativa all'accesso ai benefici di legge –:
   se sia a conoscenza dell'esposta situazione e pertanto sia intervenuto, per quanto di competenza, al fine di porre rimedio a quanto descritto. (5-00388)


   DI SALVO, PAGLIA e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 maggio 2013 è stata depositata una interrogazione a risposta scritta (4-00361), ancora in attesa di riscontro, in cui si chiedeva ai Ministri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali quali iniziative intendessero assumere per scongiurare il ridimensionamento di Berco spa;
   nonostante la perdurante crisi del settore macchine movimento terra, la società Berco spa, con i suoi oltre 3.000 lavoratori occupati sul territorio nazionale, un fatturato nel 2011 di 530 milioni di euro, esportazioni in 84 Paesi del 90 per cento della produzione, può ben dirsi un campione dell'economia manifatturiera italiana;
   dal 1999 la società è parte del gruppo Thyssen-Krupp, che da agosto 2011 ha annunciato di volersi concentrare a livello globale su attività produttive diverse da quelle in capo a Berco spa, che di conseguenza risulta ufficialmente in vendita da agosto 2012;
   dal 2010 che Berco sta assottigliando la propria forza lavoro. In tre anni sono stati 470 i lavoratori che con incentivi e prepensionamenti hanno lasciato l'azienda; il 30 aprile è scaduta, invece, la cassa integrazione a zero ore per altri 611 lavoratori che dal 2 maggio scorso sono privi di ammortizzatori sociali;
   in un comunicato inviato ai sindacati, nel marzo scorso, redatto dalla sede centrale della Thissen-Krupp si riferisce che la «Berco deve affrontare condizioni di mercato congiunturali negative ma negli ultimi anni ha anche perso competitività ed ha partecipato in modo insufficiente alla crescita nei mercati strategici. È necessario quindi un nuovo inizio». Il consiglio di amministrazione di Berco ha deliberato «di avviare un programma di ristrutturazione per rendere la società profittevole e con nuove prospettive di sviluppo»;
   il sospetto è che l'eventuale cessione di Berco spa non sia finalizzata al rilancio produttivo, ma al ridimensionamento. Parrebbe che per aprire una trattativa seria di cessione dell'azienda a degli investitori stranieri che sarebbero interessati servono altri tagli, e cioè proprio gli oltre 600 lavoratori con la prospettiva della mobilità;
   il 21 maggio 2013 l'amministratore delegato di Berco spa Lucia Morselli confermava le 611 lettere di mobilità, ribadendo così la volontà di disimpegno della controllante Thyssen-Krupp;
   la procedura di mobilità veniva annunciata unilateralmente dalla proprietà, senza il coinvolgimento di sindacati e istituzioni dello Stato, aggravando un quadro di relazioni già deteriorato dalla mancata presentazione di un piano industriale;
   in data 12 giugno 2013 Berco spa ha provveduto a disdire unilateralmente il Contratto integrativo aziendale, con valenza retroattiva al 1o maggio 2013, con ciò incidendo pesantemente su retribuzioni e diritti di tutte le lavoratrici e lavoratori –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere per garantire la continuità di reddito dei lavoratori posti in mobilità, alla luce della strategicità della Berco spa nel panorama dell'industria manifatturiera italiana. (5-00389)


   PARIS, GNECCHI, BELLANOVA e GIORGIO PICCOLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   1.425 esuberi complessivi su un totale di 4.300 occupati in Italia, così distribuiti: 540 a Caserta in Campania, 480 a Fabriano e 230 a Comunanza nelle Marche. Questi sono i drammatici numeri del piano recentemente annunciato dalla Indesit company;
   un piano presentato come di «salvaguardia e razionalizzazione dell'assetto in Italia» del gruppo, che prevederebbe il ridisegno della missione strategica degli stabilimenti italiani, affidando agli impianti di Fabriano il ruolo di driver dell'innovazione per i forni da incasso, allo stabilimento di Comunanza quello per le lavabiancheria a carica frontale e all'impianto di Caserta quello per i frigoriferi e i piani di cottura a gas da incasso, per un investimento totale di 70 milioni nel triennio 2014-2016. Contestualmente, si prevederebbe il trasferimento delle altre produzioni in Polonia e Turchia dove sarebbero, a quanto risulta agli interroganti, previsti investimenti per 65 milioni e la creazione di 5 mila nuovi posti di lavoro;
   è evidente come, nonostante le rassicurazioni sulla volontà di non abbandonare le produzioni in Italia fatte dall'amministratore delegato e presidente del gruppo, la preoccupazioni tra i lavoratori, le organizzazioni sindacali, le regioni e le amministrazioni locali interessate appaiano più che giustificate stante la dimensione delle riduzioni occupazionali annunciate;
   peraltro, in base alle anticipazioni disponibili sui contenuti di detto piano, non si evince se gli esuberi debbano intendersi momentanei, in vista degli effetti degli investimenti annunciati, o strutturali, così ampliando le tensioni occupazionali e sociali in territori, in specie quello casertano, che già subiscono pesantemente le conseguenze del protrarsi della recessione che ha colpito il Paese;
   tali iniziative appaiono inserirsi in una pericolosa tendenza di delocalizzazione delle produzioni nazionali, spesso in territori extra Unione europea, che rischia di compromettere definitivamente la vocazione industriale di interi territori e che, a parere degli interroganti, appaiono in contrasto con la credibilità del made in Italy –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di favorire l'individuazione di una sede di confronto con la dirigenza del gruppo Indesit, le organizzazioni sindacali, le regioni e le amministrazioni locali interessate, per verificare le concrete intenzioni sottese al citato piano, scongiurando l'ipotesi della drastica riduzione occupazionale annunciata e verificando la sussistenza di possibili misure per la formazione professionale e la riqualificazione del personale interessato. (5-00390)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nonostante le sentenze n. 306/2008 e 11/2009 della Corte Costituzionale abbiano sancito in progressione l'illegittimità degli articoli 80, comma 19, della legge n. 388 del 2000 e 9 del decreto legislativo n. 286 del 1998 nella parte in cui si escludono l'accesso ad indennità di accompagnamento e prestazioni economiche per gli invalidi civili extracomunitari privi di carta di soggiorno (ora permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo), l'INPS nega tali prestazioni e le riconosce solo dopo un ricorso amministrativo ai comitati provinciali dell'INPS annullando il provvedimento di diniego attraverso una procedura di autotutela per evitare un contenzioso giudiziario dall'esito scontato;
   non appare accettabile questo comportamento dell'INPS teso a riconoscere un diritto solo se i cittadini extracomunitari promuoveranno il ricorso, nel qual caso, comunque occorrerà aspettare, per la liquidazione della prestazione, tempi molto più lunghi di quelli che devono attendere i cittadini italiani, comunitari o i titolari di permesso CE per soggiornanti di lungo soggiorno (per i primi i tempi di liquidazione sono dai 10 ai 20 giorni, per i secondi dai 6 mesi a un anno); ci sono casi addirittura in cui anche i ricorsi amministrativi sono respinti e gli immigrati sono costretti a proporre ricorsi giudiziari, con ulteriori lungaggini e disagi –:
   se non ritenga necessario un intervento risolutivo tendente a dare un indirizzo chiaro e inequivocabile al comportamento dell'INPS, stabilendo un principio coerente da applicare per tutte le prestazioni sociali ed assistenziali inerenti i cittadini immigrati. (4-00921)


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Tecnowind produce cappe e piani cottura vetroceramici e ad induzione; ha circa 350 dipendenti tra impiegati e operai in Italia, più una filiale in Romania ed una in Cina. Trai suoi clienti, conta grandi marchi, come la Indesit, Candy, Samsung, Atag, V-Zug;
   Tecnowind è un'azienda che lavora ed ha sempre lavorato; ha un buon portafoglio clienti, con 8 milioni circa di ordini da evadere, ma a cui non è possibile far fronte, per oggettive difficoltà non avendo più materiali per produrre e liquidi per acquistare. È paradossale che un'azienda che ha sempre lavorato, e che attualmente ha ordinativi sufficienti per andare avanti, corra il rischio di essere affondata da azioni speculative passate e dalla mancanza di credito da parte delle banche;
   l'azienda è senza la guida di un amministratore delegato, da quando, un anno fa circa, al fondo d'investimento proprietario (Biesse) è subentrato il fondo Synergo;
   Synergo dopo poco tempo ha annunciato le sue intenzioni rispetto alla Tecnowind, ovvero nessuna ricapitalizzazione, disponibilità a rimettere le quote di proprietà;
   nel corso di questi mesi, da inizio 2013 ad oggi, sono stati fatti diversi nomi di possibili, probabili compratori, ci sono state delegazioni in visita, non solo in Italia, ma anche nei siti produttivi rumeni e cinesi, ma nessuno di questi poi ha formalizzato un'offerta d'acquisto;
   se esistesse un'ultima offerta vincolante che comportasse una minore ricapitalizzazione di Tecnowind, questa sarebbe più vantaggiosa per le banche perché offrirebbe un minore stralcio del debito –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in relazione alla situazione della Tecnowind, con particolare riferimento alla ricerca di eventuali potenziali acquirenti dell'azienda che offrano una prospettiva industriale e occupazionale, e all'accelerazione dell’iter di attivazione degli ammortizzatori sociali per garantire il sostegno dei redditi dei lavoratori e delle loro famiglie. (4-00925)


   LODOLINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Azienda Bagherra Italia srl è stata dichiarata fallita in data 24 gennaio 2013 con sentenza del tribunale di Ancona n. 14 del 2013;
   l'Azienda Bagherra Italia srl è stata costituita in data 28 dicembre 2009, iniziando la propria attività con dipendenti in data 1o febbraio 2010, a seguito di cessione di ramo d'azienda a mezzo affitto dell'unità produttiva di Monte San Vito da Andelini srl, con contestuale trasferimento ex articolo 2112 codice civile dei dipendenti ivi impiegati;
   in data 31 gennaio 2013 veniva approvato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali il programma per crisi aziendale, relativamente al periodo dal 15 ottobre 2012 al 14 ottobre 2013, autorizzando la corresponsione del trattamento straordinario di integrazione salariale in favore dei lavoratori dipendenti della srl Bagherra Italia con sede in Monte San Vito per un massimo di 66 unità lavorative; previa verifica da parte dell'Inps dell'inquadramento aziendale per il periodo dal 15 ottobre 2012-14 ottobre 2013;
   in data 14 febbraio 2013 il curatore del fallimento Bagherra Italia srl, già precedentemente nominato curatore del fallimento Andelini srl, recandosi presso il Ministero per esporre la situazione, coinvolgente per l'appunto due procedure di particolare complessità, riceve l'invito a formulare richiesta di parere scritto;
   in data 23 marzo 2013 il curatore del fallimento formula istanza di parere al Ministero del lavoro (direzione generale degli ammortizzatori sociali e incentivi all'occupazione) descrivendo nel dettaglio la questione e le azioni che intende intraprendere e se sussistono i requisiti affinché i lavoratori della Bagherra Italia possano godere dei benefici della cassa integrazione guadagni straordinaria per procedure concorsuali così come da recenti modifiche introdotte dal legislatore all'articolo 3, comma 1, della legge n. 223 del 1991, la concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria per procedure concorsuali è ammessa «quando sussistano prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività e di salvaguardia, anche parziale, dei livelli di occupazione, da valutare in base a parametri oggettivi, definiti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali» e tali parametri oggettivi, individuati con decreto ministeriale n. 70750 del 4 dicembre 2012, devono essere attinenti, rispettivamente, alla sussistenza di prospettive di continuazione o di ripresa dell'attività ed alla sussistenza della salvaguardia, anche parziale dei livelli di occupazione;
   nel frattempo il comune di Monte San Vito, la regione Marche, la curatrice fallimentare e le organizzazioni sindacali si sono adoperati affinché si potesse dare risposta alle richieste del dispositivo del suddetto decreto, in particolare si è aperto un tavolo istituzionale di monitoraggio della situazione occupazionale del fallimento Bagherra Srl presso la regione Marche e si è dato il via alle procedure per vendere e/o affittare l'azienda;
   di fatto però i lavoratori versano in una situazione di «limbo normativo» che ne configura la pendenza del rapporto di lavoro senza intervento di ammortizzazione sociale sino a concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria (come confermato anche da recente giurisprudenza di legittimità, vedasi Cassazione n. 7473/2012) e si vedono costretti a scegliere la via del licenziamento pur di poter garantire una continuità di reddito alle proprie famiglie. Di fatto, in assenza della necessaria mano d'opera e del necessario know how funzionali alla funzionamento di macchinari complessi, si rischia di impossibilitare la ripartenza di questa e di altre aziende;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali a distanza di oltre un mese dall'invio dell'istanza di parere, a quanto consta all'interrogante, non ha fornito risposta alla medesima, invitando la curatela alla presentazione dell'istanza di cassa integrazione guadagni straordinaria;
   nel frattempo si affacciano altri imprenditori che vorrebbero ripartire con l'azienda (che era operativamente sana, con un ottimo mercato e con clienti pronti a riprendere i rapporti commerciali fin dalla ripartenza) tanto è vero che circolano diversi business plan, ma di fatto nessuno rischia di firmare una dichiarazione di interesse, come richiesto dal dispositivo del «decreto Fornero», che non specifica a quali responsabilità si va incontro qualora detto interesse non si concretizzi, con particolare riferimento al rischio di revoca del provvedimento di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria conseguente alla mancata circolazione dell'azienda –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per favorire la tutela dei livelli occupazionali;
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di poter fornire ai lavoratori dipendenti della procedura chiarimenti in merito al loro status giuridico attuale, anche in considerazione del fatto che dalla direzione generale degli ammortizzatori sociali e incentivi alla occupazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali non ha fornito risposta in merito e che la situazione dei lavoratori dipendenti è oggettivamente divenuta insostenibile in assenza di un chiarimento, dovendosi attualmente il rapporto di lavoro ritenersi sospeso in base alla legge fallimentare. (4-00927)


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Selex Electronic Systems è stata costituita dal 1o gennaio 2013 ed è frutto di una importante riorganizzazione aziendale per fusione tra le società Selex Galileo, Selex Elsag e Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica). La società Selex è una delle società leader nel settore della tecnologia e della ricerca e occupa in Italia dal 1o gennaio 2013 circa 10.784 dipendenti;
   è noto al Governo che la Selex ES, secondo il piano di riorganizzazione aziendale, prevede oltre 2.500 esuberi, di cui 1.938 in Italia, nonché il ridimensionamento dei siti italiani; i tagli prospettati sono fonte di preoccupazione non solo per i lavoratori attualmente occupati e le parti sociali ma anche per le conseguenze che comporta il futuro di una realtà all'avanguardia e strategica per l'economia locale e nazionale;
   la società Selex, a fronte di esuberi strutturali, ha proposto il ricorso allo strumento della cassa integrazione guadagni straordinaria per i 10.784 lavoratori. Tutti i siti della Selex Italia sembrano interessati e coinvolti da tale ridimensionamento: Toscana, Lazio, Campania, Liguria e Lombardia. Il giorno 11 giugno 2013 si è svolto lo sciopero dichiarato da Fim, Fiom e Uilm che ha visto, secondo i dati del sindacato, una massiccia partecipazione dei lavoratori. I sindacati hanno aperto trattative con l'azienda per gestire gli esuberi con le forme dei contratti di solidarietà;
   il lavoro e l'occupazione rappresentano nel programma di Governo «la priorità» e senza di esso il Paese rischia di affondare;
   il gruppo Finmeccanica (con circa 40.000 dipendenti) è uno dei pochi gruppi industriali italiani in grado di competere nel mondo dei settori avanzati dell'alta tecnologia, della ricerca e dello sviluppo, quelli che possono ancora creare occupazione. Il Ministero dell'economia e delle finanze, è inoltre l'azionista di riferimento di Finmeccanica, gruppo «strategico» (di cui fa parte Selex) che ha incentrato la propria forza proprio sull'innovazione tecnologica e sul collegamento tra mondo del lavoro e ricerca –:
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, conoscano i dati dei lavoratori interessati dagli esuberi e il piano di riorganizzazione aziendale della Selex;
   se i Ministri intendano assumere iniziative e quali a tutela dell'occupazione e degli effetti sociali degli annunciati esuberi;
   quali iniziative urgenti i Ministri intendano assumere per promuovere il dialogo con le parti sociali allo scopo di predisporre un piano industriale credibile per salvaguardare la produzione e i livelli occupazionali del gruppo;
   se i Ministri, ciascuno per le proprie competenze, abbiano predisposto una strategia per gestire la situazione e quali impegni intendano assumere per lo sviluppo del gruppo. (4-00935)

PARI OPPORTUNITÀ, SPORT E POLITICHE GIOVANILI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALERIA VALENTE, ROBERTA AGOSTINI, BOSSA, PALMA, ROSTAN, TARTAGLIONE, MANFREDI, PAOLUCCI e VALIANTE. — Al Ministro per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili. — Per sapere – premesso che:
   i brutali episodi di violenza sulle donne che si sono verificati in Campania negli ultimi giorni vanno ad aggiungersi all'allarmante dato che vede proprio la regione Campania al primo posto, in Italia, per episodi di violenza ai danni delle donne, violenze troppe volte sfociate in femminicidi o in devastanti lesioni all'integrità fisica e psicologica delle vittime;
   è noto, peraltro, che la effettiva dimensione di questa emergenza, nel Paese come nella regione Campania, deve ritenersi assolutamente sottostimata, considerato che la maggior parte delle violenze perpetrate ai danni delle donne, di ogni estrazione sociale e livello culturale, si verifica tra le mura domestiche, nell'ambito di rapporti familiari o di relazioni interpersonali consolidate, senza che gli episodi di violenza vengano denunciati o resi noti, almeno fintanto che non si traducono in cruenti fatti di cronaca;
   gli episodi di violenza sulle donne non possono essere affrontati esclusivamente con riferimento alla responsabilità personale degli autori dei delitti, considerato che il ripetersi di questi episodi è sintomo di grave disagio socio-familiare, dovuto a problemi culturali che non riguardano esclusivamente i soggetti coinvolti e le loro famiglie, ma che interessano l'intera collettività;
   appare indifferibile e urgente individuare le risorse finanziarie necessarie a garantire una dotazione adeguata del fondo contro la violenza alle donne, finalizzato alla prevenzione, all'informazione, alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno, nonché al sostegno dei centri antiviolenza e delle case-rifugio, in raccordo con le istituzioni locali, con le forze dell'ordine, con l'associazionismo, il volontariato e con gli operatori sociali e della cultura;
   è ugualmente urgente realizzare, in concorso con le regioni, ciascuno per quanto di competenza, un piano formativo uniforme su tutto il territorio nazionale, con l'obiettivo di sensibilizzare anche gli operatori sanitari ospedalieri e territoriali al riconoscimento di possibili situazioni di soggezione psico-fisica e alla interazione con le vittime;
   l'Unione europea ha definito «standard di qualità» per i centri antiviolenza e le case rifugio in numerosi documenti sottoscritti anche dal nostro Paese ed è stata, altresì, affermata l'obbligatorietà, per tutti i Governi nazionali dell'Unione, della elaborazione del «piano nazionale sulla violenza contro le donne, in collaborazione con le associazioni di donne»;
   l'avvenuta approvazione della legge di ratifica delle convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne impone allo Stato italiano di risolvere, senza ulteriori differimenti, le tante criticità – normative, interpretative, di organizzazione amministrativa – già segnalate con le raccomandazioni del Comitato CEDAW (convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna), convenzione Onu ratificata dal nostro Paese sin dal 1985, con successiva adesione dell'Italia al protocollo opzionale nel 2002;
   all'Italia è stato, infatti, contestato di non aver applicato in maniera coerente le linee di intervento fissate dal Comitato Cedaw, della cui attuazione, peraltro, il Governo dovrà, a breve, rendere conto al Comitato Cedaw medesimo;
   la convenzione di Istanbul impone di affrontare il problema della violenza come fenomeno complesso che connette la discriminazione con il femminicidio, con un approccio interdisciplinare e globale di tipo «olistico», che superi, perciò, anche nella indicazione di attività, progetti, interventi, soggetti coinvolti, visioni settoriali e approcci disomogenei al problema;
   con l'espressione violenza nei confronti delle donne – secondo quanto dettato dalla convenzione di Istanbul – si intende «... designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano, o sono suscettibili di provocare, danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata»;
   il Ministro interrogato nel suo intervento alla Camera riguardante la ratifica della convenzione di Istanbul, ha ribadito la necessità di sensibilizzare l'intera collettività sul fenomeno della violenza di genere, formando adeguatamente operatori socio-sanitari e forze dell'ordine istituzionalmente competenti, potenziando i centri antiviolenza esistenti sul territorio, reperendo maggiori risorse finanziarie da destinare alla prevenzione e al contrasto alla violenza di genere, considerando la convenzione un utile strumento per introdurre nell'ordinamento italiano misure più adeguate ad affrontare il problema, sia di carattere amministrativo, sia di carattere normativo;
   l'ordine degli psicologici della Campania ha realizzato lo studio «Osservatorio sulla violenza alle donne» – con il diretto coinvolgimento dei 17 centri antiviolenza della Campania – con cui si sono, fra l'altro, evidenziate le enormi difficoltà che dette strutture incontrano per lo svolgimento dei loro compiti, sia a causa della carenza di risorse, di personale, di strutture adeguate (alcuni centri antiviolenza non dispongono neppure di spazi per accogliere ed ospitare le donne che intendono sottrarsi ai loro persecutori), sia per la inadeguata dislocazione dei centri antiviolenza sul territorio regionale (9 dei quali nel napoletano, 1 per l'intera provincia di Avellino, 1 per Benevento e 2 per Salerno);
   la regione Campania, con legge regionale 23 febbraio 2005, n. 1, ha disciplinato la «Istituzione dei centri e case di accoglienza e assistenza per le donne maltrattate» e con successiva legge regionale 11 febbraio 2011, n. 2, ha disciplinato le «Misure di prevenzione e di contrasto alla violenza di genere», dotandosi, così, di strumenti legislativi e presidi antiviolenza che la regione stessa ha l'onere di utilizzare correttamente, in concorso con gli altri soggetti coinvolti, nel quadro dei compiti e delle funzioni istituzionali di competenza –:
   alla luce dell'urgenza imposta dalla gravità degli episodi verificatisi in Campania, quali iniziative intenda adottare il Ministro, nell'ambito delle sue competenze, d'intesa con la regione Campania, al fine di facilitare la piena attuazione alle norme richiamate in premessa;
   in che tempi e con quali modalità il Ministro intenda pervenire alla sollecita adozione del piano nazionale sulla violenza contro le donne e alla dotazione di un apposito fondo contro la violenza alle donne;
   in che tempi e con quali modalità il Ministro, con il coinvolgimento di tutti i Ministeri a vario titolo interessati (Ministero dell'interno, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, della salute) intenda promuovere gli interventi, dallo stesso Ministro preannunciati, per attivare i percorsi formativi volti alla sensibilizzazione degli operatori sanitari ospedalieri e territoriali in favore delle donne vittime di violenza e gli ulteriori interventi destinati a realizzare una specifica campagna contro la violenza sulle donne, che coinvolga regioni, enti locali, associazioni, forze dell'ordine, mezzi di informazione, anche al fine di attivare collegamenti funzionali fra scuola, servizi territoriali, presidi istituzionali e sanitari, per realizzare politiche educative sulla relazione fra uomo e donna, sull'educazione all'uguaglianza, sulle pari opportunità. (5-00395)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore lattiero-caseario rappresenta una delle componenti principali del sistema agro-alimentare nazionale e in Sicilia ha rappresentato, prima della devastante crisi, il comparto trainante per l'economia isolana, considerando che solo dal territorio della provincia di Ragusa la produzione supera il 70 per cento in tutta la Sicilia, visto che le aziende zootecniche sono orientate prevalentemente verso l'allevamento bovino per la produzione del latte e dei suoi derivati;
   il latte siciliano risulta essere sottopagato dalle industrie di trasformazione nonostante la sua ottima qualità e le ripetute e inascoltate richieste dei produttori isolani di vedersi riconoscere un prezzo che, almeno, ripaghi i costi di produzione;
   si assiste ad una situazione paradossale per il comparto, considerato che i prezzi per i mangimi ed il foraggio sono in continuo aumento, mentre il prezzo del latte rimane invariato o addirittura si abbassa ulteriormente, con la conseguenza che gli operatori zootecnici non riescono a fronteggiare le spese e sono costretti ad insostenibili sacrifici economici. A ciò si aggiungono gli aumenti indiscriminati delle materie prime e del gasolio per i mezzi agricoli;
   l'importazione dall'estero di ingenti quantità di latte privo di tracciabilità rischia di compromettere la qualità dei prodotti ottenuti dalla sua trasformazione e nel contempo penalizza la produzione locale di latte che rischia, seriamente, di subire un colpo mortale con gravi conseguenze economiche e sociali per la Sicilia e la provincia di Ragusa, considerato l'alto numero di aziende agricole interessate che stanno attraversando una delle peggiori crisi dal dopoguerra ad oggi;
   ciascun soggetto, che sia titolare di allevamento, acquirente, titolare di centri di raccolta, titolare di centri di standardizzazione e responsabile delle aziende di trattamento deve consentire l'identificazione dell'origine del latte crudo impiegato in ogni lotto di prodotto ottenuto nelle medesime circostanze, così come recita il comma 1 dell'articolo 4 del decreto ministeriale del 27 maggio 2004; il comma 2 dello stesso articolo obbliga i soggetti a realizzare un sistema di rintracciabilità contenente le informazioni previste dall'allegato al decreto ministeriale; sempre il decreto ministeriale del 27 maggio 2004 prevede che gli stessi soggetti realizzino il manuale aziendale per la rintracciabilità del latte –:
   se il Governo intenda avviare iniziative politiche e amministrative allo scopo di salvaguardare il latte siciliano e tutti i suoi prodotti derivati, così da rendere remunerativa la produzione di latte da vendere alle aziende di trasformazione e ai consumatori;
   se intenda promuovere l'istituzione di un tavolo di trattative a livello regionale per il prezzo del latte;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attivare iniziative concrete provvedendo a intensificare i controlli sulla rintracciabilità e tracciabilità dei prodotti importati, che, spesso, vengono spacciati per prodotto locale al punto che, anche all'atto della trasformazione, quanto ottenuto verrebbe rivenduto come prodotto locale. (4-00923)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   TARICCO, OLIVERIO, ZANIN, DAL MORO, CARRA, CENNI, MONGIELLO, VENITTELLI, VALIANTE e ANTEZZA. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la farraginosità del sistema burocratico rappresenta una delle cause principali dello svantaggio competitivo del nostro paese nel contesto europeo e nell'intera area OCSE, generando costi ormai insostenibili per le imprese;
   in particolare, si stima che in Italia un'azienda agricola debba dedicare mediamente cento giorni l'anno agli adempimenti burocratici e che ciò comporti un costo complessivo a livello nazionale di circa 3 miliardi di euro l'anno;
   per affrontare e risolvere le criticità determinate dal sovraccarico burocratico, il Governo Monti ha introdotto numerose norme in tema di semplificazione, tra cui il decreto legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito dalla legge 4 aprile 2012, n. 35;
   un aspetto cruciale viene affrontato dall'articolo 14 del suddetto decreto che reca «Semplificazione dei controlli sulle imprese» e, al comma 1, afferma che «la disciplina dei controlli sulle imprese, comprese le aziende agricole, è ispirata... ai principi della semplicità, della proporzionalità dei controlli stessi e dei relativi adempimenti burocratici alla effettiva tutela del rischio, nonché del coordinamento dell'azione svolta dalle amministrazioni statali, regionali e locali»;
   inoltre, l'articolo 25 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (cosiddetto decreto trasparenza), che ha soppresso e contemporaneamente ampliato inserendo in un contesto organico, le disposizioni prima recate dal comma 2 dell'articolo 14, prevede che «Le pubbliche amministrazioni, in modo dettagliato e facilmente comprensibile, pubblicano sul proprio sito istituzionale e sul sito: www.impresainungiorno.gov.it:
    a) l'elenco delle tipologie di controllo a cui sono assoggettate le imprese in ragione della dimensione e del settore di attività, indicando per ciascuna di esse i criteri e le relative modalità di svolgimento;
    b) l'elenco degli obblighi e degli adempimenti oggetto delle attività di controllo che le imprese sono tenute a rispettare per ottemperare alle disposizioni normative»;
   ad oggi risulta che soltanto il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali abbia parzialmente adempiuto a tale prescrizione;
   infine, in base al comma 3 dell'articolo 14 «il Governo è autorizzato ad adottare ... uno o più regolamenti ... volti a razionalizzare, semplificare e coordinare i controlli sulle imprese»;
   ad oggi, però, non risulta emanato dal Governo alcun regolamento che dia finalmente l'avvio ad un percorso di semplificazione dei controlli sulle imprese assolutamente ineludibile se si vuole, come si dice nel testo stesso del decreto, «promuovere lo sviluppo del sistema produttivo e la competitività delle imprese e assicurare la migliore tutela degli interessi pubblici»;
   di contro, in attuazione del comma 5 del decreto, il Governo, le regioni, le Province autonome di Trento e Bolzano e gli enti locali hanno siglato, nella Conferenza unificata del 24 gennaio 2013, l'intesa sulle linee guida in materia di controlli;
   tali linee guida definiscono in modo dettagliato i principi, le finalità e le metodologie da applicare per conseguire l'obiettivo prioritario di un consistente snellimento burocratico nel sistema di controlli sulle imprese, ma in assenza della cornice giuridica nazionale dei regolamenti –:
   a che punto sia l'attuazione delle procedure di trasparenza da parte delle pubbliche amministrazioni, previste dall'articolo 25 del cosiddetto decreto semplificazione di marzo 2013, che rappresentano un passaggio essenziale per raggiungere l'obiettivo di una effettiva semplificazione dei controlli sulle imprese;
   a che punto sia il processo di semplificazione avviato con vari provvedimenti dal Governo Monti e, in particolare, l'attuazione dell'articolo 14 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, in relazione soprattutto all'emanazione dei regolamenti;
   se le imprese agricole siano coinvolte a pieno titolo nel processo di semplificazione dei controlli sulle imprese delineato dal citato articolo 14. (4-00931)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   LOCATELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 24 del 2013, convertito dalla legge n. 57 del 2013, all'articolo 2, come è noto, reca disposizioni in materia di impiego di medicinali per terapie avanzate e impiego terapeutico dei medicinali sottoposti a sperimentazione clinica;
   la norma sopra indicata è volta a garantire il diritto alle cure costituzionalmente protetto (articolo 32 Cost.) e nel contempo a garantire un percorso tecnico-scientifico, in considerazione del fatto che la medesima legge prescrive l'avvio di una sperimentazione clinica dei medicinali per terapie avanzate a base di cellule staminali mesenchimali, da concludersi entro 18 mesi, a decorrere dal 1o luglio 2013, promossa dal Ministero della salute, che si avvale dell'Aifa e del CNT, al fine di giungere a risultati univoci e definitivi;
   ad oggi, nonostante l'entrata in vigore della norma, vengono avanzati ricorsi con carattere d'urgenza ex articolo 700 del codice di procedura civile dai familiari dei malati per poter accedere al trattamento delle staminali; i medesimi ricorsi vengono conclusi con l'adozione di ordinanze che, ritualmente per il carattere d'urgenza, non presentano un approfondimento istruttorio di carattere tecnico-scientifico;
   la sperimentazione delle metodiche prescritta sarà avviata dal 1o luglio 2013 e pertanto ad oggi non sono disponibili dati scientifici in esito alla stessa, né evidenze scientifiche a sostegno del trattamento delle staminali, né sono noti le potenziali controindicazioni allo stesso trattamento –:
   se intenda assumere iniziative normative al fine di garantire che in caso di eventuali e futuri ricorsi ex articolo 700 del codice di procedura civile, le relative ordinanze tengano conto delle innovazioni introdotte dalla citata legge n. 57 del 2013, ed in particolar modo della necessità che ogni metodo di cura debba basarsi su evidenze tecnico-scientifiche e, non appena disponibili, sugli esiti della sperimentazione, quale fondamentale misura per la tutela del diritto alla salute pubblica e del singolo cittadino. (3-00131)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Gregori e altri n. 1-00034, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rigoni.

  La mozione Fiorio e altri n. 1-00052, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 maggio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Narduolo.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Epifani e altri n. 2-00096, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Mongiello e altri n. 3-00117, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 giugno 2013, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Bruno Bossio, Stumpo.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in commissione Rubinato n. 5-00369, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 34 del 17 giugno 2013.

   RUBINATO, ZAMPA e GRIBAUDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'attività di «rassegna stampa», secondo quanto prescritto dalla convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie del 1886 che ne riconosce la liceità, è «un insieme di citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo»;
   sino al 14 marzo 2013 i cittadini hanno avuto la possibilità di consultare varie rassegne stampa, on line, tra le quali anche quella della Camera dei deputati, opportunità che ha certamente contribuito alla realizzazione concreta della libertà di informazione prevista dalla nostra Carta Fondamentale;
   la consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale conferma infatti che la libertà di informazione di cui all'articolo 21 contempla pure un profilo passivo, che va identificato nel diritto a ricevere notizie e quindi nel diritto ad essere informati, comprendente pure l'interesse del cittadino a ricercare informazioni;
   le rassegne stampa concorrono con la loro attività a rendere possibile l'esercizio del diritto di informare ed essere informati, si pensi ad esempio alla valenza del diritto di rettifica;
   l'accesso libero alle rassegna stampa negli ultimi 15 anni ha sicuramente contribuito ad agevolare l'effettiva partecipazione da parte di migliaia di cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese e le rivendicazioni della Federazione Italiana Editori Giornali appaiono poco chiare specie per quanto riguarda l'oscuramento degli archivi delle rassegne stampa pregresse che rappresentano fonte informativa preziosa per cittadini e studiosi «italiani e stranieri» e che nulla hanno a che fare con i cali delle vendite dei quotidiani;
   va considerato altresì che i cittadini, attraverso la fiscalità generale contribuiscono al finanziamento dell'editoria;
   la legislazione per la tutela del diritto d'autore risale al 1941 e non appare al passo coi tempi e l'evoluzione dei mass media;
   il comparto delle società che offrono servizi di rassegna stampa rappresenta un'importante risorsa per una pluralità di soggetti e le aziende italiane che offrono questo servizio hanno realizzato nel corso del 2012 un giro d'affari di 40 milioni di euro occupando circa 600 dipendenti in totale;
   il DIE, Dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio, aveva organizzato nel novembre 2011 un tavolo tecnico per concordare un compenso equo tra editori e società di rassegna stampa che non fosse in contrasto con i diritti ad essere informati e di informare, tavolo tecnico a cui aveva invitato editori (Fieg, Uspi, Fisc, Anes, Mediacoop), giornalisti (FNSI) e assorassegne stampa;
   il settore delle rassegne stampa ha recentemente ribadito di essere disponibile a riconoscere un compenso all'editoria per il materiale trattato, seppure questo non sia previsto ex lege, ma con «garante pubblico» a tutela appunto della libertà di informazione di cui all'articolo 21 della Costituzione;
   la licenza rilasciata da PROMOPRESS s.r.l., società di cui FIEG detiene oltre il 97 per cento, consentirebbe di inserire in rassegna stampa solo le testate che hanno conferito un mandato alla stessa, che ad oggi risultano essere solo il 6 per cento dell'intero settore;
   la discrezionalità della gestione della suddetta società e della revoca della licenza a inserire una testata nelle rassegne stampe, potrebbe comportare grave danno al diritto di essere informati ed informare, specie nelle rassegne stampa dei siti istituzionali –:
   se non ritenga necessario avviare nuovamente il tavolo tecnico presso il dipartimento per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri per la definizione di un accordo sulle regole per l'accesso pubblico alle rassegne stampa con le Associazioni degli Editori ivi comprese quelle delle istruzioni pubbliche;
   se non ritenga utile prevedere iniziative normative che identifichino un ente unico collettore dell'equo compenso per gli editori, capace di assicurare terzietà ed unificare la raccolta dei compensi e la copertura di tutti i soggetti interessati, come la SIAE. (5-00369)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Paglia n. 4-00361 del 6 maggio 2013.