Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 3 ottobre 2013

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante l'amianto sia stato messo al bando circa 20 anni fa con la legge 275 del 1992, studi scientifici ed epidemiologici sostengono che nei prossimi 15/20 anni ci sarà un forte aumento delle malattie asbesto-correlate. Il problema è quindi ancora attuale in ragione dell'utilizzo che se ne è fatto, della lunga latenza delle malattie, della presenza di molti siti contaminati;
    tali considerazioni, unite all'osservazione dei dati del portafoglio INAIL, hanno consentito di formulare ipotesi in merito alla generazione di rendite dirette a superstiti e alle frequenze di eliminazione dei titolari di rendita necessarie ai fini della previsione della platea dei beneficiari del fondo;
    con l'articolo 1, commi 241-246, è stata prevista l'istituzione presso l'Inail di un fondo per le vittime dell'amianto, finanziato con risorse per tre quarti dello Stato e un quarto dalle imprese;
    i beneficiari del fondo sono i titolari di rendita diretta, anche unificata, ai quali sia stata riconosciuta dall'INAIL e dal soppresso IPSEMA, una patologia asbesto-correlata per esposizione all'amianto e alla fibra fiberfrax, individuato ai sensi dell'articolo 85 del testo unico;
    il regolamento del «fondo vittime dell'amianto» (decreto ministeriale 12 gennaio 2011) stabilisce che la prestazione aggiuntiva sia calcolata applicando alla rendita già percepita la misura percentuale definita con decreto interministeriale. Tale prestazione è stata fissata nella misura del 20 per cento per ciascuno degli anni 2008 e 2009 e del 15 per cento per il 2010;
    per gli anni a decorrere dal 2011, il regolamento non fissa la misura della prestazione aggiuntiva ma ne definisce le modalità di calcolo e di erogazione. La prestazione è calcolata sulla base del rapporto tra le risorse annue effettivamente disponibili nel fondo e la spesa sostenuta dall'INAIL per le rendite erogate nell'anno di riferimento ai beneficiari del fondo ed è erogata mediante due acconti (di cui il primo pari al 10 per cento) finanziati utilizzando le risorse provenienti dal bilancio dello Stato e un conguaglio finanziato con le risorse provenienti dall'addizionale riscossa dalle imprese (articolo 2, commi 3 e 4 del decreto ministeriale 12 gennaio 2011);
    al fine di conferire al fondo apposito rilievo contabile si è proceduto ad instaurare un sistema che si basa sull'istituzione di uno specifico articolo relativo ai «Recuperi e rimborsi di spese per prestazioni istituzionali dedicato ad accogliere le evidenze contabili del fondo per le vittime dell'amianto. Ugualmente, anche accade per i pagamenti contabilizzati all'interno di un apposito articolo del capitolo di uscita relativo alla contabilizzazione delle «rendite di inabilità ai superstiti» sull'assunto che tale erogazione consiste in una prestazione aggiuntiva rispetto al pagamento della rendita al beneficiario. Il completo impianto contabile inoltre prevede anche la creazione di diversi articoli tecnici tra le partite di giro relative alle «addizionali dei datori di lavoro», necessari sia per l'iniziale contabilizzazione dei finanziamenti derivanti dalle addizionali, sia il successivo riversamento al capitolo di entrata, ovvero l'eventuale restituzione ai datori di lavoro a seguito di regolazioni addizionali incassate per il fondo vittime dell'amianto;
    la legge n. 244 del 2007 prevede che il fondo sia finanziato per un quarto attraverso il versamento di un'addizionale a carico delle imprese con un gettito complessivo da parte di queste di 10 milioni di euro per gli anni 2008 e 2009 e di 7,3 milioni di euro a decorrere dal 2010;
    per quanto riguarda le prestazioni aggiuntive ad oggi erogate se negli anni 2008, 2009, 2010, 2011 il pagamento è stato effettuato in acconti ma con regolarità e per il 2012 gli importi sono stati erogati entro il 30 giugno 2013, nel 2013 non si è potuto dare corso al pagamento in quanto non sono prevenuti i trasferimenti dello Stato;
    la platea dei beneficiari al 2012 tra reddituali e superstiti era di 17.501 individui;
    in merito alle somme non utilizzate del fondo per il triennio esse assommano a 36,2 milioni di euro, ma tenendo conto delle prestazioni aggiuntive da erogare ai nuovi beneficiari che si evidenzieranno nei prossimi anni, le risorse effettivamente utilizzabili sono valutate in 30,8 milioni di euro;
    la misura della prestazione aggiuntiva nei prossimi anni decresce sensibilmente dal 18,1 per cento calcolato per il 2011 all'8,3 per cento stimato per il 2022;
    nel piano nazionale amianto è prevista l'utilizzazione di 10 milioni di euro e in questa fase si potrebbe quindi utilizzare parte della somma giacente presso il fondo nazionale per la quale i Ministeri competenti a tuttora non si sono ancora pronunciati sui criteri di utilizzazione,

impegna il governo:

   ad assumere iniziative per semplificare le modalità di erogazione della prestazione aggiuntiva, fissandola in una percentuale che rimanga fissa negli anni per garantire le risorse al fondo anche negli anni futuri;
   ad inserire un criterio di utilizzo delle risorse finanziarie complessive disponibili, anche con riferimento al triennio 2008-2010 e pari a 30,8 milioni di euro, che tenga conto degli aventi diritto relativi agli anni successivi per i quali non potrebbe non essere garantita la copertura per l'intero periodo di consolidamento, e ad estendere come previsto dal piano nazionale amianto, la platea dei destinatari comprendendovi non solo gli attuali beneficiari professionali ma anche familiari dei medesimi colpiti da patologie amianto correlate (mesotelioma pleurico, peritoneale e altre neoplasie amianto-correlate).
(1-00200) «Bargero, Speranza, Borghi, Cuperlo, Fiorio, Portas, Boccuzzi, Antezza, Amoddio, Basso, Beni, Baruffi, Berlinghieri, Gnecchi, Lodolini, Zanin, Moscatt, Battaglia, Colaninno».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VIII e X,
   premesso che:
    il decreto-legge n.  83 del 2012, ha introdotto delle modifiche al decreto legislativo n. 152 del 2006, il cosiddetto Codice ambientale, novellando il comma 17, articolo 6, dei suddetto codice, relativamente alla disciplina delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, e volte prevalentemente a fissare un unico limite e un'unica fascia di rispetto di 12 miglia per lo svolgimento di tali attività in mare;
    detto articolo 6, comma 17, fa però salvi i procedimenti concessori in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010 (cioè al 26 agosto 2010), il cosiddetto «correttivo ambientale», nonché i procedimenti ad essi conseguenti e connessi, nonché conferma l'efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data, anche ai fini delle eventuali relative proroghe. Anzi, tale disposizione viene ulteriormente ampliata, come si evince dalla lettura della relazione illustrativa del Governo al disegno di legge di conversione dei suddetto decreto-legge n. 83 del 2012, ove si chiarisce «che nell'ambito dei titoli già rilasciati possono essere svolte, oltre alle attività di esercizio, tutte le altre attività di ricerca, sviluppo e coltivazione di giacimenti già noti o ancora da accertare, consentendo di valorizzare nel migliore dei modi tutte le risorse presenti nell'ambito dei titoli stessi»;
    da un lato quindi si fissa a 12 miglia la distanza dalle linee di costa e dal perimetro delle aree marine e costiere protette entro le quali sono vietate le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e di greggio. Dall'altro, però, «sono fatti salvi i procedimenti concessori in materia di idrocarburi off-shore che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto “correttivo ambientale”» (decreto legislativo n. 128 del 2010);
    il decreto n. 83 del 2012, se estende a tutta la fascia costiera la zona off limits delle 12 miglia per le nuove richieste di estrazione di idrocarburi a mare, fa quindi anche ripartire tutti i procedimenti per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati dall'allora Ministro Prestigiacomo con il decreto-legge n. 128 del 2010 approvato dopo l'incidente alla piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico;
    peraltro, il citato articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012 consente inoltre di non sottoporre al regime di valutazione d'impatto ambientale (VIA) le attività autorizzate dagli uffici territoriale di vigilanza dell'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi, finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, compresa la perforazione;
    inoltre, la fascia off-limits delle 12 miglia parte dalle linee di costa (cioè dalla battigia), e non come era stabilito precedentemente dalle linee di base (linee, che includono golfi e insenature);
    sul sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico, è stato pubblicato il decreto 9 agosto 2013 del Ministro dello sviluppo economico, recante la «rimodulazione della zona marina “E” e la ricognizione e la rimodulazione delle zone marine aperte alla presentazione di nuove istanze» per la prospezione e la ricerca di idrocarburi nei rispetto dei limiti ambientali previsti dall'articolo 35 del decreto-legge 83/2012;
    come recita entusiasta il comunicato del Ministero, «il decreto determina un quasi dimezzamento delle aree complessivamente aperte alle attività offshore, che passano da 255 a 139 mila chilometri quadrati, spostando le nuove attività verso aree lontane dalle coste e comunque già interessate da ricerche di Paesi confinanti, nel rispetto dei vincoli ambientali e di sicurezza italiani ed europei. In particolare, il decreto determina la chiusura a nuove attività delle aree tirreniche e di quelle entro le 12 miglia da tutte le coste e le aree protette, con la contestuale residua apertura di un'area marina nel mare delle Baleari, contigua ad aree di ricerca spagnole e francesi»;
    di fatto il suddetto recente decreto del Ministero dello sviluppo economico nulla modifica rispetto alle trivellazioni che, comprese tra le 5 miglia e le 12, erano state vietate – come suesposto – dall'ex Ministro Prestigiacomo con il «correttivo ambientale» (decreto legislativo n. 128 del 2010) e che sono state successivamente riammesse con il decreto-legge n. 83 del 2012 dall'allora Ministro dello sviluppo economico Passera, che se da una parte ha confermato il limite delle 12 miglia a tutte le coste, dall'altra ha «condonato» di fatto le richieste già in atto, specificando che dalle restrizioni sono fatti salvi i procedimenti concessori che erano in corso alla data di entrata in vigore del cosiddetto «correttivo ambientale» del 2010;
    detto «condono» non viene quindi scalfito dal nuovo decreto emanato dal Ministro Zanonato il 9 agosto 2013. Unica restrizione che il nuovo provvedimento aggiunge è soprattutto la chiusura a nuove attività delle aree tirreniche. Peccato che nessuno abbia mai pensato di andare a trivellare in queste aree, visto che lì di petrolio praticamente non ce n’è;
    in ogni caso, la sbandierata riduzione della superficie trivellabile da parte del Ministero riguarda solo il futuro, dato che il decreto del 9 agosto, ha confermato tutti i procedimenti esistenti, anche quelli entro le 12 miglia;
    il decreto suddetto salva anche il progetto «Ombrina mare». La piattaforma della società inglese Medoilgas sorgerebbe a sole 3 miglia dalla meravigliosa Costa dei Trabocchi della provincia di Chieti in Abruzzo, un'area di pregio naturalistico tale da essere individuata dal Parlamento italiano nel 2001 come Parco nazionale. Il tutto in una regione che ospita tre parchi nazionali, un parco regionale, 25 riserve regionali e decine di siti di interesse comunitario (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS);
    si ricorda inoltre che al 31 maggio 2012, nel mare italiano risultano vigenti 30 permessi di ricerca di idrocarburi e 80 concessioni di coltivazione, compresi i titoli autorizzati per la regione Sicilia, dove la materia, è regolamentata da una normativa autonoma. A questi numeri potrebbero aggiungersi nuovi permessi e nuove concessioni, considerando che le istanze per ottenere ulteriori autorizzazioni per permessi e concessioni sono, complessivamente, una sessantina, 57 per la precisione;
    il mare maggiormente interessato è l'Adriatico. Tra Pesaro e Urbino, nelle Marche, e Pescara, in Abruzzo, sono già state autorizzate 19 concessioni di coltivazioni, con 8 richieste di nuovi permessi di ricerca in arrivo. A seguire la costa ionica della Calabria e la Puglia, Tremiti e Salerno inclusi;
    è evidente quindi l'impatto sull'ambiente e soprattutto i gravissimi potenziali rischi di inquinamento di queste attività in un mare sostanzialmente «chiuso» quale è il Mediterraneo, e che minacciano maggiormente un mare quale quello Adriatico sul quale insistono un gran numero di richieste di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di gas e di greggio;
    si è recentemente svolta a Venezia la «Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche», al termine della quale le regioni promotrici hanno votato un ordine del giorno unitario che invita il Parlamento italiano ad adottare una nuova regolamentazione delle attività di estrazione, finalizzata a tutelare prioritariamente le risorse marine, anche in coerenza con le nuove disposizioni dell'Unione europea;
    va altresì rilevato come, nonostante il prodotto estratto sia poco e di scarsa qualità, l'Italia è una sorta di paradiso, in questo caso fiscale, per i petrolieri. Estrarre idrocarburi nei nostro Paese è vantaggioso solo perché esistono meccanismi che riducono a nulla il rischio d'impresa, mettendo però ad alto rischio l'ambiente. Ad esempio, le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate di petrolio estratte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni di metri cubi in mare sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. Ma non è finita qui. Le aliquote (royalties) sul prodotto estratto sono di gran lunga le più basse al mondo;
    un rapporto del Wwf titolato: «Milioni di regali. Italia: Far West delle trivelle», elaborando ciò che emerge da un dossier della Cygam Energy, società che attraverso la Vega Oil opera in Italia con permessi di ricerca nel mare Adriatico e nel canale di Sicilia, e, sulla terraferma, in Abruzzo, Puglia e Basilicata, evidenzia che il nostro Paese garantisce un regime fiscale particolarmente favorevole per i produttori, sia in ragione dell'entità dei canoni annui per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione e di stoccaggio nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale italiana, sia in ragione delle aliquote di prodotto della coltivazione;
    la situazione italiana dimostra, inoltre, che la quota delle royalties spettanti per legge alle regioni, difficilmente riesce ad avere un valore di compensazione rispetto ai danni ambientali ed economici che le attività estrattive comportano. A riguardo, il caso della Val d'Agri, in Basilicata, e della Calabria sono emblematici. In tali regioni, le risorse generate dalle royalties non hanno prodotto la nascita di nuove imprese, né hanno avuto significative ricadute occupazionali sull'indotto, né tantomeno sono state utilizzate per interventi nel campo della tutela, e della conservazione della biodiversità;
    secondo quanto previsto dal decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, e successive modificazioni e integrazioni, le royalties gravano per il 10 per cento sugli idrocarburi liquidi e gassosi estratti, con l'eccezione degli idrocarburi liquidi estratti in mare per i quali l'aliquota è dei 4 per cento. In Russia sono dell'80 per cento, in Alaska del 60 per cento, in Canada del 45 per cento, negli USA del 30 per cento;
    e tutto ciò quando le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi (sono centinaia le concessioni e più di 1.000 i pozzi produttivi in Italia, tra terraferma e mare) stanno mettendo a repentaglio l'integrità, del nostro territorio e dell'ambiente marino;
    ricordiamo peraltro che gli idrocarburi sono composti chimici costituiti da atomi di carbonio e di idrogeno cancerogeni per l'uomo, che una volta dispersi nel mare vengono assorbiti dai tessuti dei pesci entrando nella catena alimentare anche per un raggio di 10 chilometri,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative dirette a prevedere che la fascia di rispetto delle 12 miglia debba valere, senza alcuna deroga, anche ai procedimenti concessori e ai procedimenti autorizzatori e concessori conseguenti e connessi, in corso alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 128 del 2010;
   a prendere a riferimento le linee di base delle acque territoriali lungo l'intero perimetro costiero nazionale, e non le linee di costa come attualmente previsto, ai fini dei divieto entro le 12 miglia delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare;
   a sospendere l’iter di tutte le autorizzazioni per nuove attività di prospezione e coltivazione di giacimenti di idrocarburi nel Mediterraneo in attesa della definitiva approvazione e dell'entrata in vigore del nuovo regolamento in materia, e in corso di adozione in sede di Unione europea, accogliendo inoltre la richiesta formulata in tal senso dalla Conferenza internazionale delle regioni adriatiche e ioniche;
   a prevedere le opportune iniziative normative volte a sottoporre al regime di valutazione d'impatto ambientale (VIA) le attività autorizzate dagli uffici territoriali di vigilanza dell'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi, finalizzate a migliorare le prestazioni degli impianti di coltivazione di idrocarburi, compresa la perforazione;
   a prendere le opportune iniziative volte a prevedere un sensibile incremento delle aliquote di prodotto attualmente vigenti, per le produzioni di idrocarburi, liquidi e gassosi, ottenuti in terraferma e in mare.
(7-00113) «Zan, Pellegrino, Zaratti, Lacquaniti, Ferrara, Matarrelli, Melilla, Paglia».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il TAR del Lazio si è pronunciato su di un ricorso per l'annullamento del decreto ministeriale 4 maggio 2012 recante definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 28 aprile 2009, n. 132. In tale occasione, il giudice adito ha respinto in parte il ricorso accogliendolo in merito all'articolo 5, comma 2, del decreto, annullando la norma nella parte in cui esclude dalle transazioni coloro che abbiano subito una trasfusione in epoca anteriore al luglio 1978,

impegna il Governo

a recepire con apposita iniziativa normativa quanto stabilito dalla sentenza del Tar Lazio n. 7078 del 16 luglio 2013 emessa nel proc. n. 9717/12 annullando la prescrizione contenuta nel comma 2 dell'articolo 5 dell'impugnato decreto ministeriale del 2012.
(7-00114) «Lorefice, Cecconi, Baroni, Dall'Osso, Di Vita, Grillo, Silvia Giordano, Mantero».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOMBARDI e D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio di amministrazione della Polizia di Stato nella seduta del 28 giugno 2013 ha provveduto ad effettuare lo scrutinio per merito comparativo per la promozione a dirigente superiore e per l'ammissione al corso di formazione dirigenziale per la nomina a primo dirigente (tra i quali il dottor Maurizio Improta e il dottor Lamberto Giannini, i responsabili degli uffici che hanno partecipato alla rendition di Alma Shalabayeva e della figlia di anni sei). Con il sistema normativo e regolamentare specifico si sta provvedendo, già da diversi anni, alla selezione della classe dirigente della Polizia di Stato. Da un esame attento della normativa e soprattutto dei «criteri di massima», adottati con il consenso delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative, si evince con estrema chiarezza che è il consiglio di amministrazione stesso, che approvando l'operato della commissione (di avanzamento) all'uopo preposta composta da alti dirigenti della Polizia di Stato, che in definitiva decide discrezionalmente, quali candidati debbano essere promossi. Infatti, il punteggio discrezionale (oltre il 60 per cento), molto elevato, a disposizione del consiglio di amministrazione finisce per creare potenziali possibilità di stravolgimento delle graduatorie di merito e rendere vani tutti i titoli oggettivi in possesso dei canditati, con grave nocumento per i principi della meritocrazia reale;
   tra gli altri, si segnala la situazione del dottor Maurizio Improta che, se pure sembrerebbe aver svolto, «sulla carta», il corso di formazione per vice commissari, risulta in un solo anno aver compiuto «un balzo» di cinquantadue posizioni, dalla settantatreesima alla ventunesima, nella graduatoria che consente di accedere al corso di questore;
   molti dei funzionari promossi nell'ultimo consiglio di amministrazione (ma anche in precedenti) appartengono ad uffici centrali (spesso con funzioni di segreteria dei prefetti e/o direttori centrali), e alcuni di loro con pochissima esperienza di territorio (ovvero questure);
   l'articolo 1 (Assunzione di personale nei ruoli della Polizia di Stato) del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1983, n. 903, prevede che: «... l'accesso ai ruoli del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia avviene mediante pubblico concorso per esami...»;
   l'articolo 28 (Nomina) del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1983, n. 903, prevede che «... i vincitori del concorso sono nominati vice commissari in prova del ruolo dei commissari della Polizia di Stato e sono inviati a frequentare il corso di formazione di cui all'articolo 56 della legge 1° aprile 1981, n. 121...»;
   l'articolo 56 (Corsi per la nomina a commissario di polizia) della legge n. 121 del 1981, prevede che «... ottenuta la nomina, i commissari in prova frequentano un corso di formazione teorico-pratico della durata di nove mesi presso l'apposita sezione dell'Istituto superiore di polizia, di cui all'articolo 58 (legge n. 121 del 1981);
   l'articolo 57, lettera d), (Dimissioni dal corso per la nomina a commissario di polizia) della legge n. 121 del 1981 prevede che «... sono dimessi dal corso i commissari in prova che: .... omissis... d) sono stati per qualsiasi motivo assenti dal corso per più di trenta giorni, anche se non consecutivi, e di novanta giorni per infermità contratta durante il corso, salvo che essa sia stata contratta a causa delle esercitazioni pratiche, nel qual caso il commissario in prova è ammesso a partecipare al primo corso successivo al riconoscimento della sua idoneità psico-fisica...» –:
   quali verifiche urgenti il Ministro dell'interno intenda adottare in relazione a casi quali quelli del dottor Maurizio Improta, nonché più in generale quali iniziative intenda assumere per definire – una volta per tutte – criteri oggettivi che assicurino il merito reale (così come prevedrebbero le norme vigenti), riducendo a «zero» (nella griglia di valutazione per gli avanzamenti dei dipendenti della Polizia di Stato) la discrezionalità in modo tale da cominciare, da un lato, a ridefinire una classe dirigente realmente meritevole e più competente e, dall'altro, a scongiurare una sempre più tangibile e pericolosa «demotivazione» di quei poliziotti che non hanno la fortuna di appartenere alle cosiddette «cordate vincenti». (5-01126)


   PAOLO BERNINI, FRUSONE, ALBERTI, BASILIO, CORDA, ARTINI e RIZZO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 24 agosto 2013 il consigliere di amministrazione di Finmeccanica Alessandro Minuto Rizzo ha dichiarato che L'Italia dovrebbe stare «nel gruppo di testa» dei Paesi che interverranno contro Assad, per non essere costretta ad «accordarsi in un secondo tempo e fare le cose che fanno gli altri, ma senza riscuotere meriti»;
   a luglio 2012 sono trapelate, tramite Wikileaks, mail che mostrano il rapporto tra l'affiliato di Finmeccanica Selex Elsag e il regime di Assad;
   Selex Elsag ha venduto ad Assad la sua rete per le comunicazioni criptate «Tetra», che funziona ovunque ed in grado di captare veicoli in movimento, inclusi gli elicotteri;
   alcune componenti di Tetra, come i programmi di cifratura, sono dual use e l'esportazione deve essere autorizzata dal Governo italiano. I cablo di Wikileaks hanno raccontato le pressioni dell'ambasciata americana di Roma proprio per impedire che nel 2006 lo stesso prodotto venisse venduto alla polizia iraniana;
   l'accordo è stato realizzato nel 2008, ben prima dell'inizio della Primavera araba, ma le e-mail trapelate hanno mostrato continui e frequenti contatti tra Selex e l'Organizzazione siriana «Syrian Wireless Organisation» con la compagnia greca Intracom, in qualità di intermediaria. In particolare, una e-mail datata 2 febbraio 2012, quando la repressione della rivolta era già in atto, discute dell'arrivo degli ingegneri della Selex a Damasco per formare tecnici di Intracom, sulla tecnologia Tetra, anche per i terminali degli elicotteri»;
   tutto questo veniva fatto proprio mentre l'Europa imponeva un embargo contro il regime siriano per la sua violenta campagna militare volta a sopprimere le rivolte interne –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   se e che tipi di iniziative abbia preso il Ministero della difesa nei confronti dei responsabili della vicenda;
   per quale motivo Finmeccanica e/o le sue controllate, abbiano venduto questi sistemi d'arma al regime siriano durante l'embargo imposto dall'Europa. (5-01128)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica e sociale che coinvolge l'Italia ha impegnato il Governo Berlusconi a mettere in atto delle strategie al fine di garantire i livelli retributivi ai dipendenti pubblici;
   infatti, in data 4 febbraio 2011 veniva sottoscritto dal Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, dal Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazioni pro tempore e dalle organizzazioni sindacali l'accordo avente ad oggetto «Intesa per la regolazione del regime transitorio conseguente al blocco del rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro nel pubblico impiego» concernente – tra l'altro – il sistema delle relazioni sindacali, il miglioramento delle condizioni lavorative e le conseguenze del blocco della contrattazione nel pubblico impiego a far data dal 2010 anche alla luce del decreto legislativo n. 150 del 2009;
   il blocco contrattuale, come è noto, è stato prorogato fino alla fine del 2014;
   nell'accordo le parti convenivano che «le retribuzioni complessive comprensive della parte accessoria, conseguite dai lavoratori nel corso del 2010 non devono diminuire per effetto dell'applicazione dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2009». In buona sostanza si prevede che il valore del trattamento economico comprensivo della parte relativa all'accessorio dei singoli dipendenti, non dovesse essere inferiore rispetto a quanto percepito nel 2010;
   in merito all'accordo raggiunto riguardante il salario accessorio, secondo quanto riferito da sigle sindacali, l'intesa veniva definita come un accordo importante perché avrebbe chiarito definitivamente che le buste paga del pubblico impiego sarebbero state esattamente quelle che erano e inoltre che pur nel blocco dei contratti, non avrebbe diminuito neanche di un euro le retribuzioni dei pubblici dipendenti dando la possibilità di erogazioni ulteriori;
   successivamente con decreto-legge n. 201 del 2011 il Governo Monti ha deciso di inglobare, sopprimendoli, gli enti previdenziali INPDAP e ENPALS all'interno dell'ente previdenziale INPS al fine di armonizzare il sistema pensionistico attraverso l'applicazione del metodo contributivo;
   l'Inps è subentrato in tutti i rapporti attivi e passivi dei due enti previdenziali. La scelta di tale unificazione è stata dettata dall'esigenza di realizzare un cospicuo risparmio delle spese di personale e di funzionamento attraverso il processo di razionalizzazione organizzativa che ne sarebbe conseguito;
   nonostante siano passati molti mesi dall'integrazione, accade che quanto previsto nell'accordo non viene rispettato, ponendo in essere una grave pratica discriminatoria;
   infatti, il personale soppresso ex Inpdap si troverebbe attualmente a percepire un importo accessorio, che risulterebbe inferiore a quello in precedenza percepito. Inoltre risulterebbe altresì messe in discussione altre voci accessorie della retribuzione per importi ulteriori.
   l'Inps non pare prendere una chiara soluzione in merito al salario accessorio. Tanto premesso, evidente che i dipendenti, in base a quanto previsto nell'accordo del 4 febbraio 2011, potrebbero intentare – legittimamente – numerose cause davanti al giudice del lavoro al fine di vedere riconosciuto il diritto al non subire la riduzione del trattamento economico del 2010;
   a ciò si aggiunga che, oltre alla pesante decurtazione economica che colpisce i dipendenti pubblici, gli stessi subiscono un'ulteriore penalizzazione legata al pagamento dei mutui le cui rate mensili sono calcolate sulla retribuzione comprensiva della parte accessoria –:
   se il Governo sia a conoscenza della descritta situazione;
   quali iniziative – anche di tipo normativo – il Governo intenda adottare per far rispettare e dare attuazione all'accordo del 4 febbraio 2011 ed evitare che i dipendenti del settore pubblico, già duramente colpiti dal blocco contrattuale e dalla crisi, subiscano un ulteriore diminuzione della retribuzione. (4-02046)


   RUBINATO e DE MENECH. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella puntata della trasmissione televisiva dell'emittente La7 «La Gabbia», dal titolo «L'Italia, un paese in svendita», andata in onda il 26 settembre 2013 il dirigente generale Lorenzo Codogno, a capo della direzione I analisi economico-finanziaria del Dipartimento del Tesoro, del Ministero dell'economia e delle finanze, intervistato nel corso della Fiera del Levante di Bari sulla vendita di partecipazioni Eni, Finmeccanica, Enel ha dichiarato: «Il problema è che non prendi tantissimo perché ho fatto il calcolo un po’ di tempo fa sono 12 miliardi, non è una gran cifra, meno di un punto di Pil. La vera risorsa sono le utilities a livello locale. Lì sono veramente tanti, tanti miliardi, il problema è che non sono nostri, dello Stato, sono dei Comuni, delle Regioni»;
   alla successiva domanda del giornalista allora su cosa fare il dottor Codogno ha concluso «E quindi bisogna cambiare il titolo V della Costituzione. Ed espropriare i Comuni e le Regioni» –:
   se siano a conoscenza delle gravissime affermazioni del dirigente del Ministero dell'economia e delle finanze Lorenzo Codogno trasmesse nel corso della summenzionata trasmissione «La Gabbia»;
   se le stesse abbiano una qualche attinenza con eventuali indirizzi dati alla struttura da organi politici;
   se ravvisino gli estremi di un'eventuale responsabilità disciplinare in capo al predetto dirigente e, in caso affermativo, se intendano o meno assumere qualche iniziativa in merito;
   se il Governo intenda adottare iniziative normative volte a modificare il Titolo V della Costituzione in attuazione dei principi costituzionali di salvaguardia delle autonomie locali e del federalismo responsabile. (4-02050)


   MANNINO, TERZONI, PARENTELA, DE ROSA, DE LORENZIS, NUTI, LOREFICE e D'UVA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la miniera di Pasquasia, è stata la più importante miniera per l'estrazione di sali alcalini misti, produceva 2 milioni di tonnellate di sali potassici e kainite, rendendo da sola l'Italia autosufficiente per la produzione di potassio;
   sin dal 1919, a Pasquasia, era nota la presenza di giacimenti di sali potassici che erano stati utilizzati per qualche anno dalla società S.P.E.M. poi liquidata nel 1931. Le miniere furono riaperte nel 1959 dalla Montecatini; nel 1972 l'Ente minerario siciliano e l'ENI acquistarono la maggioranza della società e costituirono una nuova società ISPEA (Industria sali potassici e affini). Già nel 1961 la produzione raggiungeva le 150 mila tonnellate, rendendo così l'Italia autosufficiente per il minerale di potassio, per arrivare poi ad esportare negli anni Sessanta e Settanta il minerale che è usato nei fertilizzanti in agricoltura;
   nel 1985 nella produzione di solfato di potassio subentrò la società Italkali, le attività della miniera cessarono repentinamente il 27 luglio 1992, ufficialmente in risposta ad una sentenza del tribunale di Enna in merito ad un problema di inquinamento del fiume Morello dovuto alle attività della stesso impianto di estrazione;
   modernamente attrezzata, utilizzava per l'estrazione ed il trasporto del minerale mezzi meccanici all'avanguardia e veniva coltivata con il metodo detto a: «camere e pilastri abbandonati»;
   agli inizi degli anni 80 l'ENEA ha effettuato studi per definire l'eventuale possibilità di stoccaggio definitivo di scorie nucleari;
   nel 1995 Italkali, dopo la chiusura della miniera, consegna al distretto minerario di Caltanissetta gli stabilimenti di superficie e le gallerie in buono stato di conservazione, fatte salve le gallerie profonde;
   prima del 1992 il Ministero dell'industria aveva stanziato un finanziamento di 30 miliardi di lire per investimenti, pari al doppio della somma elargita, finalizzati a potenziare le attività di estrazione della miniera; questi finanziamenti vengono revocati nel 1996 per la sopraggiunta inattività della miniera;
   nell'aprile del 1996 l'ente minerario siciliano ha provveduto alla chiusura ermetica delle porte di accesso alle gallerie;
   dal 1o gennaio 1999 la proprietà, con lo scioglimento dell'EMS, è passata alla Regione Sicilia che ne cura la sorveglianza;
   il 24 maggio 2002 TARPA ha l'incarico di redigere un piano di caratterizzazione relativo al sito minerario di Pasquasia, in conformità al decreto ministeriale n. 471/99 recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17 del decreto-legge 05/01/97 n. 22 e successive modificazioni;
   il 17 novembre 2008, con Delibera n. 66 del Consiglio Provinciale Enna, viene istituita una «Commissione Speciale per lo studio delle problematiche riguardanti la Miniera di Pasquasia» per sovraintendere alle attività future della miniera abbandonata, al fine di redigere uno studio che valuti, nel dettaglio, la eventuale possibilità di riapertura e messa in produzione della miniera e dello stabilimento di lavorazione dei sali ad essa collegato. A quella data l'area risulta parzialmente controllata da personale di sorveglianza;
   la relazione finale, depositata il 21 ottobre 2009, prevede che, qualora gli esperti riterranno in futuro non economicamente produttiva la miniera, tenendo anche conto delle più recenti tecnologie di estrazione, si debba comunque mettere in sicurezza la stessa da eventuali fenomeni di inquinamento e provvedere alla valorizzazione della stessa. Tenendo anche conto che il sito rientra nel Rocca di Cerere Geopark, sito riconosciuto dall'UNESCO, e come tale esso può rappresentare uno splendido monumento di archeologia industriale da valorizzare in una logica di tipo turistico;
   nel 2012 sono stati stanziati circa 24 milioni di euro messi a disposizione interamente dalla regione per bonificare la miniera di Pasquasia e l'avvio dei lavori era previsto per settembre dello stesso anno;
   a seguito di un contenzioso tra due ditte che hanno partecipato alla gara d'appalto per l'assegnazione dei lavori, ossia tra la «1 Emme» di Brescia e la «Consap» di Milano, l'operazione di bonifica prevista per settembre 2012, ha subito ulteriori ritardi sino a quando, il Tar del Lazio, nel mese di maggio 2013, ha sciolto le riserve aggiudicando l'appalto alla società «1 Emme» di Brescia;
   il 28 luglio 2013 viene comunicato l'inizio dei lavori di bonifica della miniera dai residui di amianto ed oli cancerogeni. Verrà successivamente valutata la possibilità di riprendere l'attività estrattiva, ciò visto anche, l'esistenza di autorevoli stime, secondo le quali il magnesio presente arriva al 16 per cento come mgo e il 10 per cento con mg puro materiale sufficiente per i prossimi venti anni o anche più;
   la miniera di Pasquasia a partire dagli anni sessanta ha rappresentato una delle più importanti fonti occupazionali per le provincia di Enna e di Caltanissetta, tanto che la sua chiusura è stata seguita da durissime proteste delle popolazioni locali. Infatti, durante l'attività dell'ultima fase, Pasquasia dava direttamente lavoro a circa 500 dipendenti con un indotto altrettanto numeroso. Grazie alla sua produzione, l'Italkali, azienda gestore, era la terza fornitrice mondiale di sali potassici (solfato di potassio), per il cui trattamento di flottazione era stato anche creato l'invaso sul fiume Morello;
   la chiusura della miniera ha decretato, a livello mondiale, la dismissione della Sicilia alla fornitura di sali potassici e derivati;
   secondo alcune stime, Pasquasia sarebbe potuta rimanere in attività per altri 8 anni, ma altre fonti autorevoli parlano di un periodo di produzione utile di anche venti anni;
   secondo dati del 1998 della stessa Italkali, la miniera era prevedibilmente produttiva per almeno un trentennio, con un livello produttivo medio annuo pari a due milioni di tonnellate del minerale kainite;
   oggi il principale produttore mondiale di sali potassici è il Canada con i giacimenti di silvite del Saskatchewan, seguita dalla Russia con i suoi giacimenti di Solikamsk nella regione di Perm, negli Urali, dalla Bielorussia, dalla Germania con giacimenti in Alsazia, da Israele e dalla Giordania, queste ultime due utilizzano le acque del Mar Morto molto saligne;
   sul perché la miniera è stata chiusa, in modo così repentino malgrado l'abbondanza di minerale, negli anni si sono sostenute due tesi contrapposte;
   una ipotesi, sosterrebbe che la chiusura sia avvenuta per consentire lo stoccaggio di rifiuti radioattivi, visti anche gli studi geologici fatti nel sito precedentemente la sua chiusura. Questa ipotesi fu sostenuta anche nel 2001 dal deputato Ugo Grimaldi, già Assessore al Territorio e all'Ambiente della Regione Siciliana nel 1997. Infatti in un'intervista fatta dal giornalista Angelo Severino, egli solleva la questione che all'interno della miniera si trovino scorie radioattive, visti anche i diversi tentativi di occultamento, quali il riempimento del pozzo grande (sfiatatoio profondo 1000 metri);
   inoltre, secondo il giornalista, la presenza di Cesio-137, che è stato rilevato nei dintorni della miniera, potrebbe essere dovuto ad «un inaspettato incidente nucleare verificatosi probabilmente intorno al 1995 durante una fase sperimentale di laboratorio da parte dell'ENEA.»;
   infatti è noto che l'ENEA, con il professore Enzo Farabegoli, avesse in precedenza studiato la fattibilità dello stoccaggio di scorie nucleari nel sito di Pasquasia, sito che era già stato censito come idoneo allo stoccaggio in una conferenza tenutasi a Washington, D.C. il 15-16 luglio 1989;
   la presenza del Cesio-137 nelle vicinanze di Pasquasia, venne riscontrata, dall'Usi nel 1997, «in concentrazione ben superiore alla norma»;
   la procura della Repubblica di Caltanissetta e la direzione distrettuale antimafia hanno confermato l'esistenza di «un procedimento penale, archiviato nel 2003, a carico di noti indagati per reati ambientali correlati allo smaltimento dei rifiuti» e soprattutto «anche radioattivi all'interno della miniera in questione». Ma l'accesso alla documentazione non è possibile in quando la stessa Procura conferma che «tali atti tuttavia non sono ostensibili in quanto coperti da segreto»;
   nel 2008 l'allora Governo di Romano Prodi, ha esteso il segreto di Stato sull'individuazione del sito unico di stoccaggio delle scorie nucleari (G.U. 16 aprile 2008 n. 90);
   il 18 gennaio 2013, RaiNews ha messo in onda una videoinchiesta a cura di Rosario Sardella e Saul Caia intitolata «Miniere di Stato» di durata 25 minuti sul sito dismesso, ricostruendo la possibilità di smaltimento di rifiuti, anche radioattivi, all'interno della cava mineraria;
   vi sono alcune ricostruzioni giornalistiche che correlano la morte per omicidio dell'avvocato Vincenzo Fragalà, noto penalista palermitano e deputato alla camera barbaramente ucciso il 23 gennaio 2010, con la sua attività di inchiesta e denunzia sugli abusi fatti dalla mafia nella miniera (si veda il suo atto ispettivo numero 2-00308 del 22 aprile 2002);
   desta inquietudine la notizia secondo cui il giudice Paolo Borsellino sarebbe stato ucciso anche per le vicende mafiose che riguardavano la miniera. Infatti il giornalista Gianni Lannes su un suo articolo: «Una tomba nucleare» del gennaio 2012 scrive che: «Nel giugno 1992 Messina raccontò a Paolo Borsellino che le gallerie sotterranee venivano utilizzate per smaltire scorie radioattive, al riguardo l'allora capo della Polizia, Antonio Manganelli, ebbe modi di dichiarare che «il contributo delle confessioni del pentito Leonardo Messina era assimilabile a quello portato da Tommaso Buscetta.»;
   all'ipotesi che il sito sia stato utilizzato come fonte di stoccaggio di rifiuti radioattivi, si contrappone la tesi sostenuta da fonti interne al personale della miniera, secondo la quale la chiusura della miniera potrebbe essere dovuta alla mancata volontà politica di riconvertire il sito verso la più profittevole e strategica produzione di magnesio, presente come solfato nella kainite. La riconversione si era resa necessaria perché la produzione del sale potassico a quel tempo avveniva con costi troppo elevati. Secondo questa tesi la riconversione, che era ormai necessaria ed urgente, veniva osteggiata e bloccata da interessi forti di multinazionali statunitensi e tedesche, le stesse che oggi hanno il monopolio della produzione di magnesio;
   a sostegno di quest'ultima tesi Giuseppe Fava, direttore della rivista «I Siciliani», scrisse: «che Pasquasia possa essere stata abbandonata al suo destino per volere di grossi interessi di compagnie minerarie, poiché il vero potenziale economico della miniera era legato non tanto all'uso del sale potassico come fertilizzante, quanto al ruolo che, nel minerale Kainite, è dato dal magnesio. Minerale di cui è ricca la miniera.» Va ricordato che il magnesio ha un utilizzo strategico anche in importanti le applicazioni militari e tecnologiche;
   questa tesi è stata ripresa nell'ambito di un'intervista a Giuseppe Regalbuto (presidente della Commissione Miniere dismesse dell'Urps) che sostiene che la miniera è stata chiusa malgrado un attivo di 5 miliardi di lire e con una produzione complessiva di circa 6 mila tonnellate di salgemma; lo stesso autore sostiene che insieme ai rifiuti radioattivi la miniera possa essere stata oggetto di stoccaggio di rifiuti a base di amianto, come l'Eternit;
   queste ed altre criticità afferenti la miniera sono state sollevate più volte con atti di sindacato ispettivo parlamentare, senza che il Governo abbia dato risposta, si pensi, nella sola XVI legislatura, alle interrogazioni dei senatori Oliva e Giambrone, rispettivamente le numero 4-05006 e 4-04640 o all'interrogazione a risposta a scritta n. 4-11414 a prima firma della deputata Zamparutti anche essa priva di risposta nonostante sia stata sollecitata ben undici volte tra l'aprile 2011 e il dicembre 2012;
   in questa legislatura è stato presentato, ed è tuttora privo di risposta, l'atto di sindacato ispettivo n. 4-01650 a prima firma della deputata Cancelleri inerente profili di tutela ambientale e rischi per la salute pubblica –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati;
   se non ritenga opportuno intraprendere ogni iniziativa idonea e necessaria affinché siano desecretati tutti gli atti inerenti le indagini relativi alla miniera di Pasquasia;
   se non ritenga necessario fare chiarezza sulla vicenda rendendo pubblico ogni documento e testimonianza utile acquisita da qualsivoglia apparato dello Stato, sulle ragioni che portarono alla chiusura della miniera;
   se il Governo abbia contezza dell'esatta natura dell'attività di sperimentazione svolta dall'Enea negli anni ottanta e dell'impatto ambientale che la stessa abbia potuto avere su quel territorio;
   se ha svolto o ha intenzione di svolgere ai fini dello sviluppo economico delle aree interessate e del Paese, nel quadro della leale collaborazione tra Stato e regione, studi circa la fattibilità ed economicità dei progetti di riapertura della miniera e/o di realizzazione del parco minerario. (4-02069)

AFFARI ESTERI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   la dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, firmata nel settembre del 2000, ha impegnato tutti i 191 Stati membri al raggiungimento di otto obiettivi di sviluppo;
   la data entro cui riuscire nell'intento, il 2015, è ormai dietro l'angolo, eppure non si registrano sufficienti e concreti passi in avanti nell'adeguamento della legislazione italiana in merito alle politiche di cooperazione che siano in grado di dotare il Paese di strumenti più efficaci per raggiungere tali obiettivi, e ancora per fronteggiare le tante questioni internazionali con cui ci si deve confrontare in questa fase storica;
   da qualche settimana, peraltro, la direzione generale per la cooperazione allo sviluppo ha inviato al comitato di aiuto pubblico dell'Ocse un memorandum per la «peer review» che si svolgerà in questi mesi, come sempre volta alla consueta valutazione delle politiche di cooperazione;
   in quello stesso memorandum si è rassicurata l'Ocse dell'ormai prossima conclusione del processo di riforma legge, esercizio che da Parigi chiedono da diverso tempo;
   di questo approssimarsi non si ha alcuna traccia, nonostante il Parlamento, per questioni di buona cooperazione interistituzionale, stia attendendo ormai da tempo il testo del progetto di legge governativo sulla riforma;
   la pazienza non è illimitata e non può esserlo relativamente ad un tema di questa rilevanza, specie se si considera che vi sono diverse proposte di legge a riguardo, compreso una proposta di legge del gruppo Sinistra ecologia e libertà nella cui bontà gli interroganti credono fortemente;
   è da sottolineare, inoltre, come il Presidente del Consiglio dei ministri stia impegnando il Governo, all'interno delle più recenti conferenze internazionali, a contribuzioni importanti a favore delle azioni internazionali volte ad alleviare i problemi dei profughi siriani ed a contrastare altre emergenze;
   se ciò è cosa buona e giusta in generale, gli interpellanti non vorrebbero invece che tali «una tantum» di aiuto diventassero una partita di giro con le risorse ordinarie della cooperazione stanziate nella legge di stabilità, già chiaramente insufficienti per lo scopo che si prefiggono;
   lo scorso anno, dopo troppo tempo, si è invertito il declino dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano, e quindi non sarebbe oggi assolutamente ammissibile discostarsi da quel sentiero di riallineamento che deve portare il Paese a destinare all'aiuto pubblico allo sviluppo lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo come da impegni internazionali;
   notizie che circolano negli ambienti governativi paventano già una riduzione di circa 100 milioni di euro degli stanziamenti per la cooperazione e ulteriori passi d'allontanamenti dalla rotta tracciata andrebbero a ledere la credibilità e la affidabilità del Paese –:
   se il Ministro intenda comunicare con esattezza a che punto sia l'elaborazione del disegno di legge governativo, e quali siano le linee politiche di cui tale disegno di legge sarà espressione, specie in merito alle risorse, giacche nelle azioni di cooperazione non si può continuamente veder variare le risorse su cui far conto.
(2-00240) «Migliore, Scotto, Marcon».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   lo studio «Sentieri» (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento finanziato dal Ministero della salute e svoltosi tra il 2007 e il 2010) inserisce ben 77 comuni del litorale domizio flegreo e agro aversano (Acerra, Arienzo, Aversa, Bacoli, Brusciano, Caivano, Camposano, Cancello ed Arnone, Capodrise, Capua, Carinaro, Carinola, Casagiove, Casal di Principe, Casaluce, Casamarciano, Casapesenna, Casapulla, Caserta, Castel Volturno, Castello di Cisterna, Cellole, Cervino, Cesa, Cicciano, Cimitile, Comiziano, Curti, Falciano del Massico, Francolise, Frignano, Giugliano in Campania, Grazzanise, Gricignano di Aversa, Lusciano, Macerata Campania, Maddaloni, Marcianise, Mariglianella, Marigliano, Melito di Napoli, Mondragone, Monte di Procida, Nola, Orta di Atella, Parete, Pomigliano d'Arco, Portico di Caserta, Pozzuoli, Qualiano, Quarto, Recale, Roccarainola, San Cipriano d'Aversa, San Felice a Cancello, San Marcellino, San Marco Evangelista, San Nicola la Strada, San Paolo Bel Sito, San Prisco, San Tammaro, San Vitaliano, Santa Maria a Vico, Santa Maria Capua Vetere, Santa Maria la Fossa, Sant'Arpino, Saviano, Scisciano, Sessa Aurunca, Succivo, Teverola, Trentola-Ducenta, Tufino, Villa di Briano, Villa Litemo, Villaricca, Visciano) e ben 11 comuni dell'area del litorale vesuviano (Boscoreale, Boscotrecase, Castellammare di Stabia, Ercolano, Pompei, Portici, San Giorgio a Cremano, Terzigno, Torre Annunziata, Torre del Greco, Trecase) tra i SIN, ovvero siti di interesse nazionale che necessitano con urgenza di un piano di bonifica;
   gli abitanti dell'intera area, una delle più densamente popolate d'Europa, in molti casi senza percepire il reale pericolo, sono costretti a vivere in un luogo altamente inquinato da sostanze molto tossiche (diossine, pcb, pcbdl e altri) e ad altissime percentuali;
   tali sostanze procurano una serie di malattie a partire dalla semplice «depressione» fino a quelle più gravi e serie, come le malattie tumorali, SLA, sclerosi, lupus e altro. L'inquinamento ambientale, infatti, procura uno stress ossidativo cellulare e mitocondriale che a sua volta produce una serie di danni seri ed irreversibili all'organismo umano;
   recenti studi statunitensi del professor Martin Pall della Washington State University, avrebbero accertato che gli agenti inquinanti innestano un circolo vizioso in cui le sostanze tossiche con le quali si viene in contatto a livello «locale» (attraverso la cute, gli occhi, nel tratto delle alte vie respiratorie o anche di quello gastrico-intestinale), e cioè molte sostanze chimiche o anche altri fattori stressogeni di tipo «naturale» come i virus o i batteri e le muffe, attivando a più livelli i recettori NMDA (N-Metil-D-Aspartato), molecole presenti in diversi organi, portano alla trasformazione continua di NO (Ossido nitrico) in ONOO (perossinitrito). Tale trasformazione – sempre secondo il professor Pall – una volta «cronicizzatasi», genera, poi, processi di tipo infiammatorio e ossidativo e la diminuzione delle capacità «detossificante» negli organi deputati allo smaltimento delle scorie metaboliche, processi difficili da fermare e che scatenano meccanismi di sensibilizzazione locale che agiscono, di fatto, «aprendo la porta» a pesanti patologie di tipo sistemico;
   in altre parole, tali reazioni – denominate ciclo NO-ONOO – rovinerebbero la membrana cellulare che da impermeabile diventa permeabile permettendo, in questo modo, di far entrare nella cellula sostanze che non dovrebbero esserci, alterando il funzionamento della cellula stessa, formando mutazioni epigenetiche e bloccando il funzionamento di alcuni geni. Tali mutazioni epigenetiche si trasformerebbero in mutazioni genetiche per le future generazioni causando nascite di bambini già ammalati o predisposti ad una serie di terribili malattie;
   sono pochissime le famiglie della zona risparmiate da malattie e soprattutto le percentuali di tumori, cancri, leucemie e linfomi sono aumentate in maniera considerevole: è sufficiente controllare le percentuali di casi in tutto il territorio per rendersi conto che nella zona c’è il più alto tasso di questi tipi di malattie e una riduzione della vita media rispetto al resto dell'Italia;
   alla luce di quanto esposto, è di tutta evidenza come sia urgentissimo procedere ad interventi di bonifica del territorio, anche perché la situazione dei danni genetici, che aumenteranno di padre in figlio, causerà un «genocidio»: è stato infatti stimato che rebus sic stantibus restano circa 5 generazioni prima che il «genocidio» si compia;
   peraltro, l'ultima stima sui tempi di eventuali bonifiche fatta dal Ministro della salute pro tempore Renato Balduzzi ha rilevato che, partendo subito, ci vorranno circa 50 anni per decontaminare il territorio in questione e che comunque il carico tossico maggiore, pur eliminando da subito tutte le cause, ci sarà nei prossimi 25-35 anni: un'intera generazione, pur non colpevole, dovrà pagare un conto salatissimo per gli errori fatti dalle istituzioni e da chi ha permesso questo orribile scempio;
   a conferma di quanto esposto, si segnalano gli studi che la NATO di prassi svolge sulla condizione ambientale dei luoghi dove risiedono e lavorano i suoi dipendenti civili e militari. Da tali studi, che rappresentano uno dei pochi rapporti pubblici sulla condizione ambientale campana, emerge che molti comuni della zona sono indicati come luoghi nei quali è assolutamente sconsigliabile vivere e che il famoso «triangolo della morte» è diventato una figura geometrica molto più complessa. Le zone altamente tossiche sono aumentate a dismisura negli ultimi decenni e sono molto vicine tra di loro: tutta la provincia di Napoli, la zona del vesuviano, il casertano fino al confine con il Lazio risultano essere territori fortemente contaminati da sostanze tossiche –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in merito;
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati in merito;
   se il Governo, alla luce dell'atroce situazione delineata in premessa, non ritenga di dover al più presto e con la massima urgenza:
    a) porre in essere tutte le forme di controllo incisivo del territorio campano atte a far cessare il criminale e illecito sversamento di rifiuti tossici in zone agricole e ad alta densità abitativa;
    b) intraprendere, per quanto di competenza, gli improrogabili interventi di bonifica del territorio campano, al fine di cercare almeno di limitare i danni di decenni di scellerate politiche di gestione ambientale del territorio;
    c) istituire un tavolo tecnico permanente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel quale siano coinvolte le associazioni e i comitati di cittadini da anni impegnati nelle lotte a difesa del territorio, personalità del mondo scientifico competenti in materia e rappresentanti di regione ed enti locali, al fine di monitorare la ingravescente situazione sopra illustrata e valutare le soluzioni più adatte alla risoluzione dei disastrosi problemi.
(2-00241) «Luigi Di Maio, Colonnese, Fico, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Micillo, Pisano, Sibilia, Tofalo».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fiume Isonzo, che scorre dal Monte Gialuz (Slovenia) fino al Golfo di Trieste, con il suo bacino idrografico di 3400 chilometri quadrati costituisce una risorsa fondamentale per i territori limitrofi, fungendo da corridoio transfrontaliero, da fonte di energia rinnovabile e da cruciale elemento di valorizzazione del paesaggio;
   la parte italiana del fiume costituisce anche un'attrattiva turistica ma, nell'ottica del potenziamento dell'offerta ricettiva ecocompatibile, il suo degrado ambientale, oltre a minare la biodiversità e la peculiare area paesaggistica, ne frena ampiamente lo sviluppo;
   un grave disordine idraulico e fognario, infatti, affligge buona parte del bacino del fiume sia nell'area settentrionale – nel territorio sloveno – che meridionale, contribuendo all'inquinamento del litorale del Monfalconese (Gorizia) come più volte denunciato dalla cittadinanza e dal monitoraggio dei biologi di «Goletta Verde» di Legambiente (2013) che ha esaminato l'acqua della foce;
   la competenza ad adottare interventi di risanamento delle acque, per la fruizione e la gestione del patrimonio idrico e la tutela degli aspetti ambientali è dell'Autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta e Bacchiglione, istituita ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 183 del 1989 sulle «Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo»;
   l'autorità è un organismo misto – costituito da rappresentati dello Stato e delle regioni – che opera sui bacini idrografici considerandoli come sistemi unitari, adottando quindi misure indipendentemente dalle suddivisioni amministrative territoriali;
   con sede a Venezia, è costituita da due comitati uno istituzionale e l'altro tecnico. Il comitato istituzionale è composto da rappresentanti dei Ministeri delle infrastrutture e dei trasporti, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole alimentari e forestali, dei beni e delle attività culturali e del turismo, della protezione civile e delle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e delle province autonome di Trento e Bolzano;
   a seguito dell'entrata in vigore del codice ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006), che ha riordinato la normativa del settore, le regioni parte dell'autorità di bacino devono trasmettere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare copia dei piani di tutela ed entro tre anni dalla loro pubblicazione o dal loro aggiornamento inviano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una relazione sui progressi realizzati nell'attuazione delle misure di base o supplementari (articolo 123) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione in cui versa la parte italiana del fiume Isonzo, in particolare l'area della foce;
   se siano state trasmesse le relazioni sui progressi realizzati nell'attuazione delle misure a salvaguardia del bacino idrografico del fiume. (5-01123)


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il reticolo idrografico posto a nord del territorio milanese è interessato dalla programmazione di interventi di messa in sicurezza idraulica e difesa del suolo definiti nell'AQST «Contratto di Fiume Olona, Bozzente, Lura» approvato con DGR n. VII/18202/2004 e sottoscritto in data 22 luglio 2004, come successivamente aggiornato e integrato con DGR n. VIII/11316 del 10 febbraio 2010;
   con atto integrativo dell'accordo di programma per la salvaguardia idraulica e la riqualificazione dei corsi d'acqua dell'area metropolitana milanese, sottoscritto in data 23 ottobre 2009 (presa d'atto dalla regione Lombardia con DGR 9 novembre 2009 n. 10503) è stato inserito l'intervento di controllo delle piene nei comuni di Bregnano e Lomazzo;
   in data 24 maggio 2011 è stata stipulata un'intesa preliminare tra regione Lombardia il commissario straordinario delegato all'attuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico di cui all'accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regione Lombardia (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 dicembre 2010), i comuni di Bregnano e Lomazzo ed il consorzio parco del Lura per la realizzazione dell'intervento denominato «Realizzazione di opere per la riduzione del rischio idraulico, laminazione controllata delle piene e riqualificazione ambientale del torrente Lura nei Comuni di Bregnano e Lomazzo»;
   la progettazione preliminare dell'intervento si articola nei seguenti lotti funzionali:
    LOTTO 1A, relativo alle opere connesse alla realizzazione delle vasche di laminazione 1 e 2 in sponda destra del torrente Lura, a sua volta suddiviso in un I stralcio funzionale riguardante tutti i movimenti terra che garantiscono le due golene per un invaso idrico senza regolazione ed un II stralcio funzionale inerente al completamento strutturale e paesaggistico del primo stralcio con opere di regolazione, viabilità, ecc., per un costo complessivo di euro 14.800.000,00-, di cui euro 8.500.000,00 per il I stralcio funzionale ed euro 6.300.000,00=;
    LOTTO 1B, relativo alle opere connesse alla realizzazione della vasca 3 in sponda sinistra del torrente Lura e delle opere di alimentazione sino all'uscita dei pozzi che dal terrazzo di Bregnano recapitano le acque al fondovalle, per un costo complessivo di euro 12.000.000,00=;
    LOTTO 2, relativo alle opere di competenza Autostrada Pedemontana Lombarda Spa per la gestione delle acque di ruscellamento da nord, delle acque di piattaforma e delle acque di prima pioggia nel tratto autostradale compreso tra la ferrovia Saronno-Grandate a ovest e la S.S. 35 ad est, in alternativa al sistema contenuto nel progetto definitivo e fondato su un insieme di vasche in successione poste in fregio alla trincea stradale, per un costo complessivo di euro 16.000.000,00=;
    LOTTO 3, relativo alle opere di competenza Lura Ambiente Spa per la realizzazione di una gronda di alleggerimento della dorsale di Cermenate (Como) nel sedime già reso disponibile da Autostrada Pedemontana Lombarda Spa, per un costo complessivo di euro 7.000.000,00=;
   il medesimo territorio risulta ulteriormente interessato dal progetto dell'autostrada Pedemontana Lombarda – tratta B1 – nei comuni di Lazzate, Cermenate e Bregnano; la realizzazione del tracciato, secondo il progetto definitivo approvato, è previsto interamente in trincea. Conseguentemente, al fine di contrastare il possibile allagamento della piattaforma autostradale causato dalle acque meteoriche derivante dal bacino idrografico collinare a nord della nuova sede autostradale, è prevista la realizzazione di una serie di opere di laminazione tra cui vasche e canali di gronda;
   l'articolazione progettuale in lotti funzionali sopra descritta è scaturita anche dalla necessità, condivisa con i soggetti attuatori, gli Enti territoriali, nonché con il commissario straordinario delegato per l'attuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico e con regione Lombardia di garantire la migliore sinergia e coordinamento possibili tra le diverse progettualità esistenti sul territorio, in particolare con quanto previsto nel progetto dell'autostrada Pedemontma Lombarda, con l'obiettivo di perseguire un migliore inserimento paesaggistico-ambientale ed un risparmio economico complessivi;
   in particolare il progetto così come redatto dal consorzio parco del Lura, coordinato dal commissario straordinario delegato per l'attuazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico di cui all'Accordo di programma con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e da regione Lombardia D.G. Territorio, consente di attuare le politiche promosse nell'ambito del contratto di Fiume Olona Bozzente Lura e le direttive comunitarie 2000/60 e 2007/60; ottemperare alle prescrizioni e raccomandazioni di cui alle delibera CIPE 97/2009 di approvazione del progetto definitivo dell'autostrada Pedemontana Lombarda; ottimizzare il funzionamento idraulico delle vasche di limitazione, grazie all'interconnessione tra quelle dedicate al torrente Lura e quella dedicata ad Autostrada Pedemontana Lombarda, garantendo una maggiore efficacia del contenimento delle piene del torrente Lura, il cui assetto di bacino secondo quanto stabilito da AdBPo, non prevede e non potrebbe sostenere l'apporto dei 5 metri cubi, secondo delle acque provenienti dalle opere di convogliamento previste nel progetto autostradale; risparmiare suolo agricolo pregiato per oltre 11 ettari; ottimizzare l'impiego di risorse economiche pubbliche sia in fase di realizzazione sia in fase di gestione delle opere;
   a riguardo la direzione generale territorio, urbanistica e difesa del suolo e la direzione generale ambiente, energia e sviluppo sostenibile hanno da tempo perseguito l'esigenza di promuovere l'attuazione di interventi sinergici e coordinati attraverso la stipula di un accordo tra commissario straordinario, regione Lombardia, concessioni autostradali lombarde spa, autostrada Pedemontana Lombarda spa, consorzio parco del Lura che regoli i rapporti fra le parti riguardanti la progettazione la realizzazione, la proprietà, la gestione e la manutenzione ordinaria e straordinaria degli interventi;
   in maniera del tutto inaspettata ed opinabile autostrada Pedemontana spa ha manifestato la volontà di venir meno alla ricerca di detto accordo finalizzato a coniugare l'esecuzione delle proprie opere idrauliche con quelle progettate dal consorzio, già dimensionate per accogliere i flussi idraulici di provenienza autostradale; tale scelta sarebbe motivata da una discrasia temporale tra i rispettivi stati di avanzamento, condizione del tutto infondata alla luce dell'effettivo sviluppo dei percorsi progettuali delle due opere;
   l'eventuale realizzazione di opere idrauliche autonome relative al percorso autostradale rischia di determinare un impatto territoriale ed ambientale pesantemente negativo, comportando la realizzazione di una vasca di dimensioni notevoli e di una tratta di trincea autostradale la cui unica funzionalità parziale sarebbe l'equilibrio di bilancio delle terre occorrenti la realizzazione dello svincolo di Lomazzo, che risulta ad oggi essere l'unico stralcio dell'intera seconda parte di autostrada di cui sono in corso i lavori;
   al fine di ricondurre la società concessionaria autostrada Pedemontana spa a proseguire nello sviluppo di un progetto esecutivo dell'opera autostradale coerente con l'obiettivo di realizzare un intervento organico e compatibile con il regime idraulico del torrente Lura è stato richiesto, attraverso una mozione consiliare, anche un intervento specifico di regione Lombardia –:
   se non ritenga opportuno attivarsi, per quanto di propria competenza, presso concessioni autostradali Lombarde spa e Autostrada Pedemontana Lombarda spa al fine di assicurare che la progettazione e conseguente realizzazione delle opere idrauliche per la laminazione delle acque provenienti dalla tratta B1 del sistema viabilistico pedemontano nei comuni di Lomazzo, Bregnano e Cermenate avvenga in modo integrato e coerente rispetto agli interventi previsti dall'intesa preliminare tra regione Lombardia, il commissario straordinario, i comuni di Bregnano e Lomazzo ed il consorzio Parco del Lura per la realizzazione dell'intervento denominato «Realizzazione di opere per la riduzione del rischio idraulico, laminazione controllata delle piene e riqualificazione ambientale del torrente Lura nei Comuni di Bregnano e Lomazzo», garantendo in tal modo la sostenibilità economica ed ambientale complessiva degli interventi;
   se ed in quale misura risulta confermata la capacità finanziaria della concessionaria a sostenere l'onere contrattuale relativo alla realizzazione dell'Autostrada Pedemontana Lombarda ed in particolare della tratta B1 nei Comuni di Lazzate, Cermenate e Bregnano. (5-01132)


   BRAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle dichiarazioni programmatiche rese durante l'audizione del 22 maggio 2013 in Commissione ambiente alla Camera dei deputati, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sottolineato la necessità di porre mano al sistema delle sanzioni per gli illeciti ambientali, indicando come obiettivo una complessiva riforma normativa che riequilibri il rapporto tra delitti e contravvenzioni e riveda il complesso delle sanzioni amministrative;
   ferma restando la necessità di confermare e possibilmente rafforzare la tutela penale dell'ambiente, delle risorse naturali, del patrimonio naturale e paesaggistico, in alcuni settori i meccanismi sanzionatori rischiano in concreto di penalizzare eccessivamente soggetti che non intendono deliberatamente porsi in contrasto con le norme ma che incontrano obiettive difficoltà di conformare le loro attività – di ridotta dimensione e ridotto impatto ambientale – alle prescrizioni di legge;
   in particolare, la normativa che regola le autorizzazioni per le emissioni in atmosfera sta creando disagi agli imprenditori ed artigiani che non sono riusciti a regolarizzare la propria posizione nei tempi prescritti e che conseguentemente incorrono nelle sanzioni penali per le contravvenzioni di cui all'articolo 279 decreto legislativo n. 152 del 2006;
   il comma 3 dell'articolo 279 prevede infatti che chi mette in esercizio un impianto o inizia ad esercitare un'attività senza averne dato la preventiva comunicazione sui dati relativi alle emissioni, come prescritta ai sensi dell'articolo 269, comma 6, o sull'autorizzazione ai sensi dell'articolo 272, comma 1, è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda fino a milletrentadue euro;
   la prevalente scelta di esercizio dell'azione penale, mediante richiesta (e successiva emissione) di decreto penale di condanna, disincentiva l'esercizio del diritto di difesa nel processo penale da parte dei piccoli imprenditori e artigiani, fa percepire la legislazione regolatrice della materia come vessatoria, rischia in taluni casi di spingere questi soggetti in un'area di franca illegalità e di sottrazione totale ai controlli –:
   se il Ministro, nell'ambito della revisione del sistema delle sanzioni per gli illeciti ambientali, intenda considerare la possibilità di assumere iniziative normative per trasformare in illeciti amministrativi i reati contravvenzionali di pura condotta quali quelli in premessa indicati (relativi nel caso di specie al rinnovo delle autorizzazioni per le emissioni in atmosfera) non immediatamente lesivi del bene giuridico tutelato, ovvero prevedere forme di intervento procedurale analoghe a quelle previste dal decreto legislativo n. 578 del 1994 in materia di diritto penale del lavoro, che consentano di evitare il processo penale a fronte di un adeguamento alle prescrizioni imposte dalle autorità e del pagamento di una somma a titolo di oblazione. (5-01133)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANCARLO GIORGETTI, BORGHESI, CAPARINI, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. – Per sapere — premesso che:
   organi di stampa locale (Corriere della Lombardia, edizione di Brescia) riportano la notizia, in questi ultimi giorni, secondo la quale la Guardia di finanza, su ordine del GIP, ha disposto la custodia cautelare a carico del sindaco di Montichiari (Brescia);
   accusa nei confronti del primo cittadino ipotizza i reati di tentata estorsione, abuso d'ufficio e falso in atto pubblico: la vittima della tentata estorsione sarebbe la Gedit, società che nella stessa Montichiari dal 2010 gestisce una discarica in cui finiscono scorie industriali e fanghi dei depuratori tanto da essere da tempo contestata da un comitato di cittadini;
   secondo la stessa accusa, il sindaco, ora agli arresti domiciliari, non avrebbe tentato di estorcere mazzette personali ma «compensazioni ambientali» a favore del paese, orchestrando una campagna denigratoria nei confronti dei titolari della discarica Gedit per costringerli a firmare una convenzione particolarmente onerosa;
   l'attenzione degli inquirenti si era già posata sulla questione mesi fa, e precisamente nel gennaio 2012, quando l'attuale sindaco, in quanto autorità a tutela della sicurezza pubblica nel suo comune, dopo il presidio di un gruppo di mamme contro i miasmi prodotti dalla Gedit, con un'ordinanza «contingibile e urgente» – a seguito di malori manifestati da bambini e genitori fuori dalla scuola e dai lavoratori della zona – aveva disposto la chiusura della discarica di Vighizzolo affinché Arpa e asl avessero il tempo di approfondire i controlli, ma lo stop durò solo un giorno in quanto dichiarato illegittimo dal Tar che accolse il ricorso dell'azienda;
   contro la discarica in questione, così come ribadito anche dallo stesso sindaco, da tempo è infatti in atto una mobilitazione popolare e tale protesta è capeggiata dagli abitanti, ed in particolare dalle mamme, nonne e figlie di Vighizzolo, esasperate dai miasmi mefitici di origine mai accertata, ed è stata cavalcata dal comitato Sos Terra che poi ha incassato il sostegno della giunta;
   negli scorsi mesi, a Montichiari era stato effettuato uno studio di impatto ambientale cumulativo disposto da un comitato locale e dall'amministrazione comunale il quale in soli 3 mesi ha permesso di raccogliere 1.500 segnalazioni riguardanti le discariche del luogo basato su un sistema che attraverso un modello matematico ha calcolato la correlazione delle segnalazioni con la direzione del vento indicando da dove arrivano gli odori sgradevoli e le sostanze nocive; tale studio, basato sulla partecipazione della cittadinanza, viene utilizzato anche in altre città ed altre nazioni, come Portogallo e Argentina;
   secondo gli inquirenti, i questionari sottoposti alla popolazione per denunciare le molestie olfattive e il sistema di segnalazione on line sarebbero stati ammaestrati a proprio uso e consumo dal primo cittadino, e sempre secondo gli inquirenti, il sindaco avrebbe attuato le «ritorsioni» dopo che la Gedit si è rifiutata di pagare una cifra triplicata per ogni metro cubo di rifiuti conferito in discarica, nonostante, di fatto, nel corso delle assemblee pubbliche e nelle sedi istituzionali si sia parlato in più occasioni di benefit pubblici per compensare la comunità dell'impatto ambientale della Gedit;
   la città di Montichiari, con 12,2 milioni di metri cubi di rifiuti stoccati, è tristemente nota per essere uno dei centri del Nord Italia dove maggiore è la presenza di rifiuti; già in passato molte società hanno compensato il disagio dei residenti finanziando opere pubbliche, così che il Paese ha ottenuto scuole, parchi e persino una caserma;
   i cittadini di Montichiari, a mezzo stampa, hanno esternato la loro incredulità per la vicenda giudiziaria esprimendo il pieno sostegno al sindaco e la vicenda è arrivata anche parlamento europeo, dove rappresentanti istituzionali hanno interessato della vicenda il commissario all'ambiente Janez Potocnik sul macroscopico caso di malagiustizia che ha investito un sindaco «colpevole» di aver sollecitato ad un'azienda ad alto impatto ambientale delle legittime compensazioni;
   con l'emanazione del decreto legislativo n. 267 del 2000, (TUEL, testo unico degli enti locali), sono state definite ed ampliate rispetto al passato le mansioni svolte da, sindaco in qualità di capo dell'amministrazione locale, e questo, quale ufficiale del Governo, interviene quando sia necessario prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini, così come stabilito dall'articolo 54, comma secondo, anche nei casi di emergenza, connessi con il traffico e/o l'inquinamento atmosferico o acustico o in altre circostanze straordinarie –:
   di quali elementi disponga il Governo sulla vicenda, nell'ambito delle proprie competenze. (4-02054)


   MANNINO, TERZONI, GRILLO, PARENTELA, DE ROSA, DE LORENZIS, NUTI e LOREFICE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155 è stata data attuazione alla direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa che ha abrogato, a partire dall'11 giugno 2010, le direttive 96/62/CE, 1999/30/CE, 2000/69/CE e 2002/3/CE;
   con il citato decreto legislativo 155 del 2010 sono state abrogate le norme con le quali l'Italia aveva recepito e dato attuazione alle citate direttive europee – in special modo i decreti legislativi n. 351 del 1999, n. 183 del 2004 e n. 152 del 2007 – stabilendo, all'articolo 19, apposite norme transitorie e prevedendo delle regioni e delle province autonome e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di provvedere al riesame e all'aggiornamento degli atti adottati in base alla normativa previgente;
   l'articolo 3 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito che per il riesame della zonizzazione del territorio nazionale in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto, il progetto di zonizzazione e di classificazione – di competenza delle regioni e delle province autonome – deve essere trasmesso, per l'adozione, al Ministero dell'Ambiente della tutela del territorio e del mare entro i successivi quattro mesi dall'entrata in vigore del decreto stesso, unitamente agli esiti dell'attività di monitoraggio e valutazione, in base ai quali vengono classificati le zone e gli agglomerati;
   l'articolo 4 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito che la classificazione, in base alla presenza e ai livelli di inquinanti nell'aria ambiente, delle zone e degli agglomerati – di competenza delle regioni e delle province autonome – deve essere riesaminata almeno ogni cinque anni e, comunque, ogni volta che si registrino eventi che incidono sulle concentrazioni nell'aria ambiente degli stessi inquinanti;
   l'articolo 5 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito che le regioni e le province autonome trasmettono al Ministero dell'Ambiente della tutela del territorio e del mare, all'ISPRA e all'ENEA – entro otto mesi dall'entrata in vigore del decreto – un progetto di adeguamento delle reti di misura, in conformità alla zonizzazione e alla classificazione risultanti dal primo riesame previsto dal citato articolo 3, che deve indicare anche la data prevista per l'adeguamento e il programma di valutazione da attuare nelle zone e negli agglomerati individuati;
   l'articolo 9 ha stabilito l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome, di adottare un piano per la qualità dell'aria che assicuri il rispetto dei cosiddetti valori limite, quantificati nell'allegato XI dello stesso Decreto, rispetto alla concentrazione di sostanze inquinanti nell'aria ambiente, nel caso in cui all'interno di una o più aree comprese negli agglomerati o nelle zone classificati gli stessi valori limite vengano superati;
   l'articolo 9 ha stabilito l'obbligo a carico delle regioni e delle province autonome di adottare misure che assicurino il raggiungimento – entro il 31 dicembre 2012 – dei cosiddetti valori obiettivo relativi alle diverse sostanze inquinanti, quantificati nell'allegato XIII dello stesso decreto, nel caso in cui si registrino scostamenti rispetto agli stessi valori obiettivo;
   l'articolo 9 ha stabilito, altresì, l'obbligo a carico delle regioni e delle province autonome di adottare misure che assicurino il rispetto dei cosiddetti livelli critici relativi alle diverse sostanze inquinanti, quantificati nell'allegato XI dello stesso decreto, nel caso in cui gli stessi livelli critici vengono superati;
   in base all'articolo 9 del decreto legislativo 155 del 2010, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, spetta il compito di curare la procedura finalizzata ad ottenere, dalla Commissione europea, le deroghe previste dall'articolo 22 della Direttiva 2008/50/CE relativamente al superamento dei valori limite per il biossido di azoto e per il benzene in determinate zone e agglomerati presenti nel territorio nazionale;
   l'articolo 10 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome, di adottare un piano d'azione che contenga le misure da implementare a breve termine per prevenire il superamento delle cosiddette soglie di allarme, quantificate nell'allegato XII dello stesso Decreto, rispetto alla concentrazione di sostanze inquinanti nell'aria ambiente, nel caso in cui all'interno di una o più aree comprese negli agglomerati o nelle zone classificati si presenti il rischio che le stesse soglie di allarme vengano superate;
   l'articolo 10 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome, di adottare un piano d'azione che contenga le misure da implementare a breve termine per prevenire il superamento dei cosiddetti valori limite o dei valori obiettivo, quantificati negli allegati XI e XII dello stesso Decreto, rispetto alla concentrazione di sostanze inquinanti nell'aria ambiente, nel caso in cui all'interno di una o più aree comprese negli agglomerati o nelle zone classificati si presenti il rischio che gli stessi valori vengano superati, per effetto di specifiche circostanze contingenti che non siano strutturali e ricorrenti;
   l'articolo 13 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome, di adottare un piano – da integrare con i piani di qualità dell'aria di cui all'articolo 9 – che contenga le misure idonee a raggiungere, nei termini previsti, i cosiddetti valori obiettivo, di cui all'allegato XV dello stesso decreto, rispetto alla presenza di ozono nell'aria ambiente, nel caso in cui all'interno di una o più aree comprese negli agglomerati o nelle zone classificati, gli stessi valori obiettivo vengano superati;
   lo stesso articolo 13 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome, di adottare misure idonee a raggiungere gli obiettivi a lungo termine concernenti la presenza di ozono nell'aria ambiente, nel caso in cui all'interno di una o più aree comprese negli agglomerati o nelle zone classificati, i livelli dell'ozono superano gli stessi obiettivi a lungo termine, pur essendo inferiori o uguali ai cosiddetti valori obiettivo;
   l'articolo 14 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito che, nel caso in cui i livelli degli inquinanti superino la cosiddetta soglia di informazione o la soglia di allarme, le regioni e le province autonome informano il pubblico e trasmettono informazioni circa i livelli misurati e la durata del superamento al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ne da comunicazione alla Commissione;
   l'articolo 15 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito l'obbligo, da parte delle regioni e delle province autonome, di comunicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – per l'approvazione e il successivo invio alfa Commissione – l'elenco delle zone e degli agglomerati in cui, relativamente ad un determinato anno, i livelli degli inquinanti superano i rispettivi valori limite o i livelli critici a causa del contributo di fonti naturali, corredato delle informazioni circa i livelli registrati e delle prove del contributo delle stesse fonti naturali;
   lo stesso articolo 15 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito l'obbligo, da parte delle regioni e delle province autonome, di comunicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – per l'approvazione e il successivo invio alla Commissione – l'elenco delle zone e degli agglomerati in cui, i livelli del PM10 superano il rispettivo valore limite per effetto della risospensione del particolato a seguito della sabbiatura o della salatura delle strade nella stagione invernale;
   l'articolo 18 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito gli obblighi, a carico di tutti delle amministrazioni e degli enti che applicano lo stesso Decreto, concernenti l'informazione del pubblico prevedendo, tra le altre cose, che i piani per la qualità dell'aria e i piani di azione e un documento riepilogativo delle misure adottate dalle regioni e dalle province autonome in base all'articolo 9 comma 2 e all'articolo 13 comma 2 debbono essere, in tutti i casi, pubblicato su pagina web;
   l'articolo 19 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito che le regioni e le province autonome, per le zone nelle quali si registri dei cosiddetti valori limite, trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le seguenti informazioni:
    a) i livelli degli inquinanti superiori ai valori limite che sono stati misurati, le date o i periodi in cui è stato rilevato il superamento, e i motivi di ciascun superamento, entro sei mesi dalla fine di ciascun anno;
    b) i piani per la qualità dell'aria, entro diciotto mesi dalla fine dell'anno durante il quale è stato rilevato il superamento dei valori limite;
    c) le modifiche, le integrazioni e gli aggiornamenti dei piani per la qualità dell'aria entro due mesi dalla relativa adozione;
    d) gli aggiornamenti dell'elenco delle zone e degli agglomerati nei quali vengono superati i valori limite e per i quali vengono adottati i piani per la qualità dell'aria, e di quelli nei quali i livelli degli inquinanti rispettano i valori limite e i valori obiettivo, per i quali le regioni adottano misure per la preservazione della qualità dell'aria;
   per le zone e gli agglomerati nei quali si registra il superamento dei cosiddetti valori obiettivo di cui all'allegato XIII, l'articolo 19 del decreto legislativo 165 del 2010 ha stabilito che le regioni e le province autonome trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le seguenti informazioni:
    a) l'elenco di tali zone e agglomerati, con l'individuazione delle aree di superamento, i livelli di concentrazione degli inquinanti oggetto di valutazione, le informazioni sui motivi dei superamenti, con particolare riferimento alle fonti, e le informazioni sulla popolazione esposta ai superamenti, con cadenza annuale entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello a cui si riferiscono;
    b) la documentazione relativa all'istruttoria effettuata al fine di individuare le misure necessarie a perseguire il raggiungimento dei valori obiettivo di cui all'allegato XIII e di individuare, tra le stesse, quelle che non comportano costi sproporzionati nei casi in cui l'istruttoria svolta dalla regione o provincia autonoma ha esito positivo, le misure adottate ai sensi dell'articolo 9, comma 2;
   per quel che concerne la presenza dell'ozono, l'articolo 19 del decreto legislativo 155 del 2010 stabilisce che le regioni e le province autonome trasmettono al Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare le seguenti informazioni:
    a) gli aggiornamenti dell'elenco delle zone e degli agglomerati, per i quali si rende necessario adottare piani per la gestione della, qualità dell'aria rispetto all'ozono, entro 6 mesi dalla fine di ciascun anno;
    b) i livelli dell'ozono superiori al valore obiettivo e all'obiettivo a lungo termine che sono stati misurati, le date o i periodi in cui è stato rilevato il Superamento, e i motivi di ciascun superamento, entro sei mesi dalla fine di ciascun anno;
    c) i livelli dell'ozono superiori che hanno superato le soglie di informazioni e di allarme, le date in cui è stato rilevato il superamento, e i motivi di ciascun superamento, entro sei mesi dalla fine di ciascun anno;
    d) le informazioni sulla presenza dell'ozono e dei relativi precursori, relative a tutte le zone e gli agglomerati, entro sei mesi dalla fine di ciascun anno;
    e) gli atti dell'istruttoria finalizzata ad individuare le misure necessarie ad assicurare il raggiungimento dell'obiettivo a lungo termine, con una cadenza triennale;
   lo stesso articolo 19 prevede che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare comunica alla Commissione europea le informazioni acquisite dalle regioni e dalle province autonome, in merito al superamento dei valori limite, dei valori obiettivo, della soglia di informazione e della soglia di allarme, ed ai piani per la qualità dell'aria, i piani di azione e le misure adottati per assicurare la qualità dell'aria ambiente;
   l'articolo 22 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito che i provvedimenti di zonizzazione e di classificazione, la rete di misura, i piani e le misure di qualità dell'aria – approvati in base alla normativa previgente – devono essere adeguati alle disposizioni dello stesso decreto 155 del 2010, in base alle procedure e secondo i termini fissati, e che, in caso di mancato adeguamento trova applicazione i poteri sostitutivi di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131;
   lo stesso articolo 22 del decreto legislativo 155 del 2010 ha stabilito che la reiterata violazione – da parte delle regioni e delle province autonome – degli obblighi di predisporre e di trasmettere informazioni e di adeguare i piani e le misure alle richieste del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, determina la mancata erogazione di finanziamenti previsti all'interno di provvedimenti ministeriali, e che lo stesso Ministero deve provvedere all'inserimento di una clausola analoga anche con riferimento a provvedimenti generali vigenti in materia;
   all'interno del portale del Ministero dell'ambiente, nella pagina dedicata alla gestione della qualità dell'aria, è pubblicato il link al Piano regionale di coordinamento per a qualità dell'aria ambiente approvato con decreto assessoriale n. 176/GAB del 9 agosto 2007 dalla regione siciliana;
   all'interno della banca dati «Misure di risanamento della qualità dell'aria» pubblicata all'interno del sito dell'Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale – che costituisce un archivio delle informazioni trasmesse dalle regioni e dalle province autonome a partire dal 2005 in ottemperanza a quanto previsto dalla normativa nazionale ed europea in materia di Piani di risanamento della qualità dell'aria – non sono reperibili informazioni concernenti le situazioni di superamento dei livelli stabiliti e le misure di risanamento dell'aria adottate dalla regione Siciliana;
   disattendere gli obblighi di comunicazione alla Commissione europea di cui in premessa può costituire circostanza idonea e sufficiente perché si realizzi la violazione del diritti comunitario esponendo così l'Italia ad ulteriori e gravose procedure di infrazione;
   come denunciato dall'associazione ambientalista Legambiente Sicilia, sin dal 2007, il Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria ambiente approvato con decreto assessoriale n. 176/GAB del 9/8/2007 è il frutto di un lavoro di «copiatura» del Piano regionale del Veneto che era stato approvato in precedenza;
   l'operazione di plagio è provata dal fatto che nel testo del Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria ambiente della Sicilia si faceva riferimento al sistema aerologico padano, alla rigidità del clima, alla realizzazione di piste ciclabili lungo gli argini dei fiumi e dei canali presenti all'interno delle città siciliane;
   con decreto n. 43/Gab del 12 marzo 2008, l'assessore pro-tempore Interlandi ha provveduto ad eliminare dal testo le parti che risultavano palesemente «copiate» senza provvedere a una revoca integrale del Piano;
   a partire dalla fine del 2012, sono pervenute alla competente Regione Siciliana richieste di revoca del Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria ambiente del 2007, da parte di Legambiente, dalla CGIL e dalle associazioni Comitato Cittadino Isola Pulita, AugustAmbiente, Italia Nostra e WWF Palermo;
   nel mese di gennaio 2013, il tribunale di Palermo ha depositato le motivazioni della sentenza n.5455 del 2012 con la quale l'allora responsabile del Servizio 3 del dipartimento ambiente, nonché coordinatore del Piano, è stato condannato per diffamazione in relazione alle dichiarazioni rese nei confronti del presidente regionale di legambiente che aveva scoperto e reso pubblica la notizia delle vistose copiature contenute nel pieno regionale del 2007 –:
   se risulti che la Regione Siciliana abbia trasmesso al Ministero dell'ambiente del territorio e del mare il progetto di zonizzazione e l'individuazione delle zone e degli se risulta che la Regione Sicilia abbia provveduto avvero stia provvedendo al riesame della classificazione delle zone e degli agglomerati, come previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo 155 del 2010;
   se risulti che la Regione Siciliana abbia trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e dei mare, il progetto di adeguamento delle reti di misura dei livelli degli inquinanti nell'aria ambiente, come previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo 155 del 2010;
   se, e in quali occasioni, risulti che la regione Siciliana abbia trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare informazioni in merito al superamento della soglia di informazione o della soglia di allarme, come stabilito dall'articolo 14 del decreto legislativo 155 del 2012;
   se risulti che la regione Siciliana abbia trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per l'approvazione e il successivo invio alla Commissione, l'elenco delle zone e degli agglomerati nei quali, relativamente ad un determinato anno, i livelli degli inquinanti superano i rispettivi valori limite o i livelli critici a causa del contributo di fonti naturali, e di quelli nei quali i livelli del PM10 superano il rispettivo valore limite per effetto della nuova sospensione del particolato a seguito della sabbiatura o della salatura delle strade nella stagione invernale;
   se e quando risulti che la regione Siciliana abbia trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le comunicazioni e le informazioni richieste, relativamente alle zone e agli agglomerati nei quali si sia registrato il superamento dei valori limite e dei valori obiettivo degli inquinanti rilevati nell'aria ambiente, e dei valori obiettivo e degli obiettivi di lungo termine relativi all'ozono, come previsto dall'articolo 15 decreto legislativo 155 del 2010;
   se e quando abbia provveduto a trasmettere alla Commissione europea le informazioni acquisite dalla regione siciliana in merito al superamento dei valori limite, dei valori obiettivo, della soglia di informazione e della soglia di allarme, ed ai piani per la qualità dell'aria, i piani di azione e le misure adottati per assicurare la qualità dell'aria ambiente;
   se qualora tali dati non siano stati trasmessi si sia provveduto a comunicare alla Commissione europea l'impossibilità di trasmissione di detti dati stante la «non collaborazione» della regione Siciliana, o se la Commissione europea abbia sollecitato e/o chiesto informazioni sul mancato invio delle informazioni ambientali relative alla qualità dell'aria siciliana;
   quale sia lo stato di avanzamento della procedura finalizzata ad ottenere, dalla Commissione europea, le deroghe previste dall'articolo 22 della Direttiva 2008/50/CE relativamente al superamento dei valori limite per il biossido di azoto e per il benzene in zone e agglomerati presenti in Sicilia;
   se il Governo non intenda attivare, con la necessaria urgenza e determinazione, la procedura di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e a (l'articolo 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, come previsto dall'articolo 22 del decreto legislativo 155 del 2010, in considerazione del fatto che la Regione Siciliana non ha provveduto ad adeguare i piani e le misure per la qualità dell'aria, ovvero sia venuta meno agli altri obblighi stabiliti dal decreto e richiamati nel citato articolo 22;
   se, e in quanti casi, sia stata sospesa l'erogazione di risorse previste da programmi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a beneficio della regione siciliana, in relazione alla mancata ottemperanza agli obblighi stabiliti dal decreto legislativo 155 del 2010, così come previsto dall'articolo 22, comma 2, dello stesso decreto. (4-02066)


   MANNINO, TERZONI, GRILLO, PARENTELA, DE ROSA, DE LORENZIS, NUTI, LOREFICE e D'UVA. – Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 155 è stata data attuazione alla Direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa che ha abrogato, a partire dall'11 giugno 2010, le direttive 96/62/CE, 1999/30/CE, 2000/69/CE e 2002/3/CE;
   con il citato Decreto Legislativo 155/2010 sono state abrogate le norme con le quali l'Italia aveva recepito e dato attuazione alle citate Direttive Europee – in special modo i Decreti legislativi n. 351/1999, n. 183/2004 e n. 152/2007 – stabilendo, all'articolo 19, apposite norme transitorie e prevedendo l'obbligo, a carico delle regioni e delle province autonome e del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, di provvedere al riesame e all'aggiornamento degli atti adottati in base alla normativa previgente;
   l'articolo 3 del decreto legislativo n. 155 del 2010 ha stabilito che per il riesame della zonizzazione del territorio nazionale in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto, il progetto di zonizzazione e di classificazione – di competenza delle regioni e delle province autonome – deve essere trasmesso, per l'adozione, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro i successivi quattro mesi dall'entrata in vigore del decreto stesso, unitamente agli esiti dell'attività di monitoraggio e valutazione, in base ai quali vengono classificati le zone e gli agglomerati;
   l'articolo 4 del decreto legislativo n. 155 del 2010 ha stabilito che la classificazione, in base alla presenza e ai livelli di inquinanti nell'aria ambiente, delle zone e degli agglomerati – di competenza delle regioni e delle province autonome – deve essere riesaminata almeno ogni cinque anni e, comunque, ogni volta che si registrino eventi che incidono sulle concentrazioni nell'aria ambiente degli stessi inquinanti;
   l'articolo 5 del decreto legislativo n. 155 del 2010 ha stabilito che le regioni e le province autonome trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'ISPRA e all'ENEA – entro otto mesi dall'entrata in vigore del decreto – un progetto di adeguamento delle reti di misura, in conformità alla zonizzazione e alla classificazione risultanti dal primo riesame previsto dal citato articolo 3, che deve indicare anche la data prevista per l'adeguamento e il programma di valutazione da attuare nelle zone e negli agglomerati individuati;
   in base all'articolo 9 del decreto legislativo n. 155 del 2010, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, spetta il compito di curare la procedura finalizzata ad ottenere, dalla Commissione Europea, le deroghe previste dall'articolo 22 della Direttiva 2008/50/CE relativamente al superamento dei valori limite per il biossido di azoto e per il benzene in determinate zone e agglomerati presenti nel territorio nazionale;
   l'articolo 22 del decreto legislativo n. 155 del 2010 ha stabilito che i provvedimenti di zonizzazione e di classificazione, la rete di misura, i piani e le misure di qualità dell'aria – approvati in base alla normativa previgente – devono essere adeguati alle disposizioni dello stesso decreto 155/2010, in base alle procedure e secondo i termini fissati, e che, in caso di mancato adeguamento trova applicazione i poteri sostitutivi di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131;
   lo stesso articolo 22 del decreto legislativo n. 155 del 2010 ha stabilito che la reiterata violazione – da parte delle regioni e delle province autonome – degli obblighi di predisporre e di trasmettere informazioni e di adeguare i piani e le misure alle richieste del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, determina la mancata erogazione di finanziamenti previsti all'interno di provvedimenti ministeriali, e che lo stesso Ministero deve provvedere all'inserimento di una clausola analoga anche con riferimento a provvedimenti generali vigenti in materia;
   all'interno del portale del Ministero dell'Ambiente, nella pagina dedicata alla gestione della qualità dell'aria, sono pubblicati i link ai piani regionali di qualità dell'aria di Abruzzo, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Bolzano Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle d'Aosta, Veneto, province dell'Emilia Romagna, tutti approvati anteriormente all'approvazione del decreto legislativo 155 del 2010;
   nella stessa pagina web, viene pubblicato il cosiddetto documento di pianificazione nazionale all'interno del quale si trova la zonizzazione del territorio nazionale, i dati relativi alle zone e agli agglomerati e ai livelli registrati, aggiornati all'anno 2008 –:
   se e quali regioni abbiano trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il progetto di zonizzazione e l'individuazione delle zone e degli agglomerati, ai fini del riesame della zonizzazione del territorio nazionale, come richiesto dall'articolo 3 del decreto legislativo 155 del 2010;
   se e con quali tempi, le regioni e le province autonome abbiano trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il progetto di adeguamento delle reti di misura dei livelli degli inquinanti nell'aria ambiente, come previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 155 del 2010;
   quale sia lo stato di avanzamento della procedura finalizzata ad ottenere, dalla Commissione Europea, le deroghe previste dall'articolo 22 della Direttiva 2008/50/CE relativamente al superamento dei valori limite per il biossido di azoto e per il benzene in zone e agglomerati presenti all'interno del territorio, nazionale;
   se il Ministro abbia utilizzato ovvero ritenga necessario utilizzare i poteri sostitutivi, di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, come previsto dall'articolo 22 del decreto legislativo n. 155 del 2010, in relazione al mancato adeguamento dei provvedimenti di zonizzazione e di classificazione, della rete di misura, e dei piani e delle misure di qualità dell'aria;
   se, e in quanti casi, sia stata sospesa l'erogazione di risorse previste da programmi del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a beneficio delle regioni e delle province autonome, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 22 comma 2;
   se, e con riferimento a quali provvedimenti generali in materia, sono state inserite disposizioni che subordinano, l'erogazione delle risorse previste all'adempimento degli obblighi stabiliti dal decreto legislativo n. 155 del 2010, come disposto dall'articolo 22 dello stesso decreto, e in che modo venga assicurato il rispetto di queste stesse disposizioni.
(4-02068)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO, TERZONI, GRILLO, PARENTELA, DE ROSA, DE LORENZIS, NUTI e LOREFICE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   lo Statuto della Regione Siciliana, all'articolo 14, stabilisce che l'Assemblea regionale ha la legislazione esclusiva, tra le altre materie, su turismo, la vigilanza alberghiera e la tutela del paesaggio e conservazione delle antichità e delle opere artistiche;
   con decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1975 n 637 (di seguito decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975) sono state dettate le norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti, stabilendo che «l'amministrazione regionale esercita nel territorio della regione tutte le attribuzioni delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato in materia di antichità, opere artistiche e musei, nonché di tutela del paesaggio»;
   con lo stesso decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975, è stato stabilito che tutti gli atti previsti dalle leggi 1° giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497 – successivamente confluite nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio – e da ogni altra disposizione comunque concernente le materie indicate al punto precedente sono adottati dall'amministrazione regionale, e che la stessa amministrazione ha l'obbligo di darne comunicazione bimestrale per conoscenza al Ministero per i beni culturali ed ambientali;
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975 ha stabilito, a questo scopo, che gli uffici periferici del Ministero per i beni culturali e ambientali, allora esistenti nel territorio della Regione Siciliana, competenti in materia di protezione dei beni culturali e del paesaggio, passassero alle dipendenze della medesima regione Siciliana ed entrassero a far parte integrante della sua organizzazione amministrativa;
   le soprintendenze statali – trasferite per effetto della norma citata nei punti precedenti all'interno della Regione Siciliana – sono state sostituite, in base all'articolo della legge Regione Siciliana 1° agosto 1977 n. 80 (di seguito legge regionale 80 1977) dalle Soprintendenze uniche per i beni Culturali ed ambientali che integrano le competenze spettanti alla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e quelle per i beni archeologici;
   le coste della Sicilia sono caratterizzate dalla presenza di torri costiere edificate prevalentemente tra il XV ed il XVI secolo per fronteggiare le incursioni di navi turche e barbaresche che per secoli costituirono una grave minaccia per la navigazione e per le popolazioni costiere;
   tali torri, dall'architettura riconducibile a note tipologie standardizzate, costituivano un sistema unico di avvistamento realizzato al fine di intercettare con il maggiore anticipo possibile l'avvicinarsi alle coste dell'isola di navi corsare e consentire così alle popolazioni locali di mettersi in salvo;
   tali torri costiere – testimonianza di un passato cruento che ha comunque legato le storie dell'umanità delle due rive opposte del Mar Mediterraneo – costituiscono un simbolo di identità dei luoghi, un enorme ma sottovalutato giacimento scientifico e culturale da valorizzare anche ai fini turistici;
   molte di queste torri – indipendentemente dal fatto che siano di proprietà pubblica oppure di soggetti privati – versano in uno stato di allarmante degrado strutturale ed incuria, comprovato dal verificarsi di repentini crolli come quello della Torre Toleda nel Comune di Terrasini che ha portato al ferimento di alcune persone;
   questo importante e diffuso patrimonio monumentale – rappresentato dalle circa 200 torri costiere esistenti e dai contesti di elevato valore paesaggistico nel quale le stesse strutture architettoniche sono collocate – non risulta adeguatamente conosciuto, protetto e valorizzato dalle strutture regionali competenti;
   una adeguata e appropriata tutela e valorizzazione dei siti in questione potrebbe rafforzare e qualificare l'offerta turistico-culturale della regione Sicilia –:
   se l'amministrazione della regione Siciliana, nelle comunicazioni bimestrali da rendere al Ministero per i beni culturali ed ambientali (ora Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975, abbia dato conto di atti e provvedimenti concernenti il patrimonio delle torri che punteggiano le coste siciliane;
   se e con quale periodicità l'amministrazione della regione Siciliana provvederà dare a dare comunicazione degli atti concernenti la protezione dei beni culturali e del paesaggio, adottati in base alle disposizione del Codice del beni colturali e del paesaggio;
   se le funzioni elencate dagli articoli 7, 8 e 9 del decreto del Presidente della Repubblica (173 del 2004 – che di norma sono delegate alle direzioni regionali – con riferimento alla Regione Siciliana, sono svolte dalla direzione generale per i beni archeologici, da quella per i beni architettonici e paesaggistici, e da quella per il patrimonio storico, artistico ed etno-antropologico ovvero dalle soprintendenze uniche per i beni culturali ed ambientali istituite con la legge regionale n. 80 del 1977;
   se l'amministrazione della Regione Siciliana, nelle comunicazioni bimestrali al Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975, abbia dato conto di provvedimenti adottati dalle Soprintendenze uniche per i beni culturali ed ambientali, in base ai citati articoli 12, 13 e 45 del codice, aventi ad oggetto le torri costiere presenti in Sicilia;
   se l'amministrazione della regione Siciliana, nelle comunicazioni bimestrali al Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975, abbia dato conto di provvedimenti concernenti la dichiarazione di notevole interesse pubblico, l'acquisizione coattiva, e l'acquisto a trattativa privata aventi ad oggetto le torri costiere presenti in Sicilia;
   se l'amministrazione della regione siciliana, nelle comunicazioni bimestrali al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 673 del 1975, abbia dato conto di proposte riguardanti l'esercizio della prelazione ai sensi dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 42 del 2004, ovvero l'irrogazione di sanzioni ripristinatorie e pecuniarie con riferimento alle torri costiere presenti in Sicilia;
   se l'amministrazione della regione siciliana, nelle comunicazioni bimestrali al Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 673 del 1975, abbia dato conto di proposte riguardanti l'adozione in via sostitutiva della dichiarazione di interesse pubblico aventi ad oggetto le torri costiere presenti in Sicilia;
   se l'amministrazione della regione siciliana, nelle comunicazioni bimestrali al Ministero dei beni culturali, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975, abbia dato conto di richieste avanzate dalle soprintendenze uniche per i beni culturali ed ambientali istituite con legge regionale n. 80 del 1977, alle commissioni provinciali in merito all'adozione della proposta di dichiarazione di interesse pubblico per i beni paesaggistici, ai sensi dell'articolo 138 del Codice, aventi ad oggetto le torri costiere presenti in Sicilia;
   se l'amministrazione della regione Siciliana nelle comunicazioni bimestrali al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 637 del 1975, abbia dato conto del fatto che le Soprintendenze uniche per i Beni culturali ed ambientali, istituite con legge regionale n. 80 del 1977, abbiano predisposto programmi e piani finalizzati all'attuazione degli interventi di riqualificazione, recupero e valorizzazione delle aree, all'interno delle quali sono presenti una, o più torri costiere, sottoposte alle disposizioni di tutela dei beni paesaggistici;
   se, con riferimento alla generalità dei beni sottoposti alla disciplina del Codice presenti in Sicilia, ritenga che la disciplina legislativa concernente i beni culturali e il paesaggio, e i rapporti tra l'amministrazione centrale e quella periferica del Ministero siano appropriati e idonei ad assicurare la tutela e la conservazione di quegli stessi beni, ovvero necessitino di una revisione mirata a stabilire una più efficace cooperazione e sinergia tra il Ministero la regione Siciliana e gli enti locali. (4-02067)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   SCANU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'audizione svolta nella giornata di martedì 1o ottobre 2013, dalla Commissione Difesa, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, il coordinatore della rete italiana disarmo ha riferito di acquisizioni da parte del Ministero della difesa sul programma F35 che sarebbero avvenute all'indomani della mozione 1/00125 votata il 26 giugno 2013;
   il coordinatore della rete italiana disarmo ha aggiunto che le acquisizioni sarebbero relative ad altri tre velivoli portando così a 6 i velivoli per i quali sono stati sottoscritti dal Ministero della difesa impegni di spesa, oltretutto non comunicati alla Commissione parlamentare, mentre la stessa sta conducendo l'indagine conoscitiva sopracitata;
   un passaggio non secondario della mozione, accolta dal Governo, prevedeva la rinuncia ad ulteriori acquisizioni relative al programma F35 in attesa delle conclusioni della stessa indagine conoscitiva –:
   se il Ministro intenda depositare in Commissione con assoluta immediatezza il quadro esatto delle acquisizioni relative al programma F35 che hanno avuto luogo nel corso di quest'anno indicando in maniera circostanziata l'oggetto dell'acquisizione, il relativo importo finanziario nonché la data e la natura dell'impegno sottoscritto. (3-00356)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBERTI, CORDA, ARTINI, BASILIO, RIZZO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il superamento del servizio militare di leva ha fatto venire meno tutta una serie di illeciti tipici del rapporto fra autorità dello Stato e cittadino chiamato alle armi e diminuito drasticamente il numero di militari sottoposti alla giurisdizione dei tribunali militari;
   numerose sentenze della Corte costituzionale hanno negli anni determinato la progressiva «erosione» della giurisdizione speciale militare in favore di quella ordinaria;
   si è assistito negli ultimi anni ad una caduta verticale del lavoro delle procure militari e dei relativi tribunali e l'emergere di una sottoutilizzazione degli apparati della giurisdizione militare che ha posto seriamente in dubbio l'opportunità e l'utilità di una struttura, che è così divenuta, per di più, chiaramente antieconomica;
   la legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, commi da 603 a 611, ha effettuato una prima timida modifica della «geografia» dei tribunali militari, riducendoli, e limitando il numero dei componenti del Consiglio della magistratura militare;
   nonostante la soppressione di alcuni tribunali militari con la suddetta riforma del 2007, la permanenza delle tre sedi di tribunale militare a Roma, Napoli e Verona, risulta del tutto palesemente sproporzionata ed antieconomica rispetto ai limitati carichi di lavoro che caratterizzano oggi la giustizia militare e la cosiddetta spending review della XVI legislatura non ha saputo intervenire in materia, né tantomeno sulla riduzione degli organici della magistratura militare;
   presso gli uffici giudiziari militari di Roma, Napoli e Verona risultano vieppiù comandati numerosi militari delle Forze armate con compiti amministrativi che ben potrebbero essere maggiormente utilizzati in termini di servizi ai cittadini presso i rispettivi comandi di appartenenza;
   ad onta dei ridottissimi carichi di lavoro si registra addirittura la continua richiesta alla direzione generale per il personale civile del Ministero della difesa di personale da destinare agli uffici giudiziari militari, in particolare da parte del tribunale militare di Verona, per quanto il personale civile e militare in servizio sia già numericamente sovrabbondante anche in rapporto alle dotazioni organiche assegnate;
   del tutto irrisori sono poi i carichi di lavoro del tribunale e dell'ufficio militare di sorveglianza di Roma che pure ha complessivamente assegnato un contingente di ben tre magistrati e quindici dipendenti fra civili e militari, i cui compiti ben potrebbero essere agevolmente devoluti alla corte militare di appello di Roma;
   nelle more di una riforma integrale della giustizia militare, stanti i limitati carichi di lavoro, risulterebbe del tutto opportuno unificare quanto prima la competenza per l'intero territorio nazionale nel tribunale militare di Roma e nella procura militare della Repubblica di Roma, sopprimendo per l'effetto gli uffici giudiziari militari di Napoli e di Verona;
   con la soppressione del tribunale e dell'ufficio militare di sorveglianza di Roma e dei tribunali militari e delle procure militari della Repubblica di Napoli e di Verona, il relativo personale ben potrebbe integralmente transitare negli uffici giudiziari ordinari onde far fronte alla cronica carenza di personale in rapporto ai notevoli carichi di lavoro esistenti;
   la stessa esistenza degli uffici giudiziari militari deve ritenersi, istituzionalmente, storicamente e socialmente del tutto superata;
   in attesa di una riforma costituzionale dell'articolo 103, terzo comma, che preveda il definitivo superamento dei tribunali militari con l'istituzione presso ogni distretto di corte d'appello di una sezione specializzata per i reati militari, risulta palese la pressante necessità, anche in considerazione della grave crisi economica che sta vivendo il nostro Paese e tenuto conto di quanto testé motivato, di razionalizzare le risorse destinate all'amministrazione della giustizia militare, riducendo gli organici e gli uffici, nonché facendo transitare il relativo personale, sia magistratuale che amministrativo, negli uffici giudiziari ordinari per fronteggiare le ben note vacanze organiche –:
   se il Ministro interrogato, intenda o meno assumere iniziative per sopprimere definitivamente i tribunali militari e le procure militari della Repubblica di Napoli e di Verona, trasferendo le relative competenze agli uffici giudiziari militari di Roma, nonché sopprimere definitivamente il tribunale e l'ufficio militare di sorveglianza di Roma, trasferendo le relative competenze corte militare d'appello di Roma;
   se il Ministro interrogato intenda o meno assumere iniziative per la riduzione della consistenza degli organici della magistratura militare e del relativo personale, sia magistratuale che amministrativo, per calibrarli sulle effettive esigenze di servizio, al fine dell'integrale transito del personale addetto agli uffici giudiziari militari oggetto di soppressione agli organi della giurisdizione ordinaria nell'ambito del Ministero della giustizia;
   se il Ministro interrogato intenda o meno considerare di proporre la novella dell'articolo 103 della Costituzione al fine del definitivo superamento della giustizia militare attraverso il definitivo passaggio della relativa competenza alla giurisdizione ordinaria con la creazione di apposite sezioni specializzate per la giustizia militare presso ogni capoluogo di distretto di corte d'appello. (5-01121)


   PAOLO BERNINI, ALBERTI, CORDA, ARTINI, BASILIO, RIZZO e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 23, comma 18, lettera b), del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, poi trasfuso nell'articolo 60, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il «codice dell'ordinamento militare», ha introdotto la disposizione che prevede per i magistrati militari componenti elettivi del Consiglio della magistratura militare il collocamento fuori ruolo per il tempo del mandato quadriennale con indisponibilità per la medesima durata del posto in organico;
   atteso che il Consiglio della magistratura militare è chiamato ad amministrare un numero ridotto di magistrati, a fronte di un organico attuale di sole cinquantotto unità, nonché di uffici, vieppiù dopo una prima razionalizzazione dei medesimi posta in essere con l'articolo 1, comma 603 e seguenti, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (finanziaria per il 2008), all'interrogante non appare in alcun modo giustificato l'esonero dei componenti togati dall'attività giudiziaria (diversamente da quanto previsto per gli organi di autogoverno della giustizia amministrativa e contabile);
   l'ulteriore previsione relativa al mantenimento del posto libero in organico per tutta la durata del mandato, specie nel caso in cui il componente elettivo abbia funzioni direttive o semidirettive, appare inoltre in grado di compromettere l'efficienza dell'ufficio di appartenenza del magistrato, per quanto molto ridotto sia il carico di lavoro degli uffici giudiziari militari e per i quali si rende altresì necessaria un'opera di riduzione nell'ottica del definitivo superamento della giustizia militare;
   a fronte del ridotto carico di lavoro nei tribunali e procure militari, risultano numerose le autorizzazioni rilasciate Consiglio della magistratura militare agli appartenenti a tale giurisdizione al fine dello svolgimento di incarichi extragiudiziari da parte di magistrati militari in servizio, particolarmente per lo svolgimento di attività di docenza in atenei e scuole di formazione militari e private –:
   se il Ministro interrogato intenda o meno adottare iniziative normative per una modifica delle disposizioni che consentono il collocamento fuori ruolo con l'esonero dalle funzioni giurisdizionali per i magistrati militari componenti elettivi del Consiglio della magistratura militare;
   se il Ministro interrogato intenda o meno adottare iniziative normative volte a limitare l'autorizzazione al conferimento di incarichi extragiudiziari ai magistrati militari, vieppiù nel quadro della riduzione degli uffici giudiziari militari ancora esistenti nell'ottica del definitivo superamento della giustizia militare, attraverso il definitivo transito del personale magistratuale militare agli uffici della giurisdizione ordinaria sovente in carenza organica a fronte di notevoli procedimenti da gestire, affinché anche i magistrati già militari possano finalmente trovare adeguati e congrui carichi di lavoro conformi a quelli della magistratura ordinaria. (5-01122)


   ARTINI, ALBERTI, CORDA, BASILIO, RIZZO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la scuola allievi carabinieri di Fossano (CN) è nata come polverificio del Regio Esercito e dal 1966 è adibita a scuola allievi Carabinieri;
   la scuola si estende su una superficie di circa 60 ettari immersi nel verde, dei quali circa 40 ospitano un parco;
   la scuola dispone di 21 alloggi per il quadro permanente, due poligoni di tiro a cielo chiuso, un poligono per il tiro virtuale Fats, due percorsi di guerra in parallelo di cento metri ciascuno, una sala convegno e un'innumerevole numero di sale polifunzionali, impianti sportivi e palestre. Così come nuovi magazzini di grandi dimensioni e un'infermeria che soddisfa anche le esigenze del comando provinciale dei Carabinieri di Cuneo;
   non esiste una struttura similare in uso all'Arma, se non quella di Reggio Calabria, comunque meno estesa: la scuola di Fossano rappresenta un'eccellenza italiana;
   con l'abolizione del servizio di leva obbligatorio, l'Arma sta portando avanti ormai da diversi anni un programma di razionalizzazione per recuperare risorse per destinarle agli impieghi operativi;
   dal 2007 la scuola allievi di Fossano è considerata a rischio chiusura. In risposta a due interrogazioni parlamentari, una alla Camera dei deputati, l'altra al Senato della Repubblica, l'allora Ministro Parisi assicurò: «Nel sottolineare come finora non sia stato adottato alcun provvedimento afferente eventuali ridimensionamenti o riconversioni degli enti addestrativi, si assicura che nel piano di riorganizzazione delle scuole allievi carabinieri – tuttora in fase di studio – non è prevista la soppressione del II Battaglione allievi carabinieri di Fossano, che sarà esclusivamente interessato da un parziale adeguamento di talune componenti, in ragione delle prevedibili minori esigenze operative»;
   il 6 dicembre 2012 il Consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare un provvedimento per il riordino delle scuole militari e degli istituti militari di formazione che attua il decreto-legge n. 95 del 2012 concernente la spending review;
   il 26 giugno 2013 il Consiglio dei ministri ha approvato il «Regolamento recante disposizioni per il riordino delle scuole militari e degli istituti militari di formazione, a norma dell'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135»;
   a causa della spending review la scuola allievi di Fossano verrà chiusa definitivamente a fine del 2013;
   la scuola allievi è per la città di Fossano una risorsa di rilievo non solo per le attività commerciali ma anche per tutto l'indotto;
   una sua eventuale chiusura sarebbe un colpo letale per la città e l'intera provincia di Cuneo;
   la scuola di Fossano è idonea per capienza e dotazioni a svolgere più corsi in contemporanea, come del resto più volte accaduto nel corso della sua storia;
   la scuola allievi di Torino necessita della struttura di Fossano per l'addestramento dei propri allievi, perché mancante di spazi e attrezzature necessarie;
   l'ultimo corso della Scuola è terminato nell'autunno dello scorso anno, mentre sono stati già trasferiti gran parte degli effettivi all'interno;
   la chiusura della scuola allievi di Fossano produrrà risparmi minimi;
   al posto dei corsi per i Carabinieri di leva la struttura accoglierà dal 2015 il 32° genio guastatori dell'esercito, attualmente di stanza a Torino;
   nella caserma torinese del 32° genio guastatori si dovrebbero invece insediare i carabinieri del 1° Battaglione «Piemonte», che ora occupano il Castello di Moncalieri;
   la scuola allievi di Torino nella caserma di Cernaia viene mantenuta attiva, nonostante le problematiche legate alla vetustà delle strutture: non ci siano poligoni di tiro, in quanto utilizzati quelli del Castello di Moncalieri –:
   se quanto riportato in premessa corrisponda a verità;
   quale sia il motivo della scelta di mantenere aperta la scuola allievi di Torino, a discapito della scuola allievi di Fossano, che può vantare strutture più accoglienti e funzionali;
   quanti siano i carabinieri ancora in servizio a Fossano;
   quanti siano i carabinieri in servizio a Cernaia;
   quanti siano i carabinieri in servizio a Cernaia;
   quali siano i costi derivanti dalla chiusura della scuola allievi di Fossano, in particolare riferendosi al trasferimento ed al ricollocamento dei carabinieri in servizio;
   quali siano i risparmi effettivi derivanti dalla chiusura della scuola allievi di Fossano per l'anno 2013;
   quali siano i costi della caserma di Cernaia, in relazione al numero di allievi attualmente in formazione;
   se non si intenda modificare l'uso della caserma di Cernaia verso altre funzioni sempre dell'arma dei Carabinieri;
   per quale motivo il Governo non consideri la scuola allievi di Fossano un'eccellenza da tutelare e salvaguardare;
   se il Governo intenda intervenire in extremis per scongiurare la chiusura della scuola allievi di Fossano. (5-01124)


   ARTINI, ALBERTI, CORDA, BASILIO, RIZZO, PAOLO BERNINI e FRUSONE. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è apparso sul sito www.grnet.it un articolo dal titolo «Co.Ce.R. Marina i compiti militare affidata a privati»;
   il 19 settembre 2013 il Co.ce.R, sezione Marina è stato convocato presso lo Stato Maggiore della Marina per partecipare ad un incontro con un ufficiale delegato dal Capo di Stato Maggiore della Marina e i rappresentanti di una società denominata «Eudaimon»;
   da quanto si apprende, dal sito della «Eudaimon» essa si presenta come «l'unica in Italia con proposta completa per il welfare-aziendale e soluzioni per agevolare la conciliazione tra vita-lavoro del personale»;
   tale società avrebbe ricevuto l'incarico dalla Forza armata di svolgere uno studio sulle problematiche che riguardano il benessere del personale e proporre delle soluzioni da attuare direttamente o indirettamente;
   i compiti affidati alla Eudaimon sono gli stessi che il nuovo codice dell'ordinamento e T.U.O.M. affida agli uffici benessere della Forza armata e alle rappresentanze militari;
   mentre dell'incarico e dei compiti affidati alla Eudaimon è stata data notizia al Co.Ce.R. non si ha notizia di analoghe riunioni tenute con i sindacati civili della difesa –:
   a quanto ammontino i costi dell'affidamento del benessere del personale Marina, alla società «Eudaimon» e perché si sia rinunciato ad avvalersi di competenze interne al Ministero stesso;
   se la «Eudaimon» tratterà solo il benessere del personale militare o anche di quello civile;
   se tale convenzione riguarderà anche il personale della Guardia costiera che come è noto dipende funzionalmente dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ed è pagato con risorse dello stesso Ministero; in caso di risposta affermativa, se sia stato portato a conoscenza della questione il Consiglio nazionale della guardia costiera;
   se il Ministro della difesa e il Capo di Stato Maggiore della difesa siano al corrente di tale iniziativa e perché non si sia data pronta informazione al Co.Ce.R. Interforze. (5-01129)


   VALERIA VALENTE, STUMPO, VILLECCO CALIPARI, BOLOGNESI e GIUDITTA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che la Marina militare, attraverso propri uffici tecnici avrebbe sottoscritto un contratto con la società «Eudaimon», finalizzato alla fornitura di una ricerca sulle esigenze del personale militare;
   la stessa società attraverso la responsabile per le attività di marketing e commerciali ha reso pubblica la notizia di aver siglato tale accordo al fine di «concorrere al miglioramento del benessere del personale militare attraverso lo studio delle specifiche esigenze»;
   questa iniziativa – a quanto sembra – assunta dal commissariato della marina militare, è stata confermata ai rappresentanti del Cocer – sezione Marina – in un apposito incontro con rappresentanti della «Eudaimon»;
   il particolare momento che attraversano le Forze armate italiane segnato da una pesante riduzione delle risorse destinate all'esercizio, da una programmata drastica riduzione di personale dell'ordine di 35 mila unità che nei prossimi anni inciderà negativamente sui volumi di reclutamento, da un'accentuarsi della condizione di precariato e comunque dell'incertezza della trasformazione delle ferme a tempo determinato in servizio continuativo, dal blocco dei trattamenti stipendiali comprensivo anche dei miglioramenti economici derivanti da promozioni o dall'assunzione di funzioni più elevate;
   si tratta di un insieme di fattori negativi che sicuramente incidono profondamente sul benessere del personale e ne mettono a dura prova il morale –:
   in un quadro di situazione così complesso e delicato, quali siano i contenuti dell'accordo contrattuale sottoscritto, o in via di sottoscrizione con la società «Eudaimon». (5-01130)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Sito di San Nicola Imbuti presso Cagnano Varano (FG), chiamato così per la forma ad imbuto che si sviluppa verso il lago, era già importante per la presenza di un Monastero Benedettino, luogo di passaggio di molti pellegrini diretti alla Città del Monte;
   questa località rappresenta certamente un capitolo importantissimo tra le bellezze di interesse storico e paesaggistico del territorio in oggetto;
   la sua importanza, in seguito, divenne ancora maggiore quando fu realizzato l'idroscalo Ivo Monti. Si tratta di un grande insediamento costituito di tre hangar e diverse palazzine atte a svolgere tutte le attività necessarie in una base militare, dai dormitori agli uffici, dalle infermerie alle cucine;
   in occasione della prima guerra mondiale, la predetta base militare ha assunto importanti funzioni nel conflitto Italo-Austriaco ma a guerra finita molte opere non furono più ultimate. Successivamente la base funzionò anche nel secondo conflitto mondiale ma da allora cadde in disuso. L'idroscalo che è di proprietà della marina militare, non viene utilizzato ormai da tempo ed è in stato di abbandono;
   tale sito potrebbe essere utilizzato proficuamente, magari anche per operazioni connesse alla protezione civile, sottraendolo all'attuale situazione di degrado –:
   se si intenda sottrarre l'idroscalo Ivo Monti all'attuale stato di degrado ed a quale utilizzo lo si intenda destinare.
(4-02058)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   LIBRANDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 2 agosto 2001 (Numerazione progressiva dei bollini apposti sulle confezioni dei medicinali erogabili dal Servizio sanitario nazionale), emanato dal Ministro interrogato, è stato introdotto il nuovo bollino farmaceutico anticontraffazione, con le relative specifiche di stampa e relativa supporto cartaceo; le rigidissime specifiche riportate nell'allegato tecnico, stabiliscono tutte le caratteristiche che deve avere il bollino, sia come layout, che come tecniche di stampa e di lettura dei dati in chiaro e codificati;
   col decreto 4 agosto 2003 del Ministro dell'economia e delle finanze nell'ambito del quale si aggiornano le procedure di produzione dell'Istituto poligrafico e zecca dello Stato (IPZS), il bollino farmaceutico è equiparato alle carte valori al pari dei francobolli o dei valori bollati, pertanto con caratteristiche tecniche dai parametri estremamente rigidi;
   tuttavia a quanto consta all'interrogante a partir almeno dal 2010 l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato, incaricato della stampa di suddetto bollino, ha introdotto talune modifiche su alcuni aspetti qualificanti della stampa di sicurezza;
   l'articolo 9, comma 3, del decreto del 2 agosto 2001 stabilisce che: «Eventuali modifiche ai requisiti tecnici della numerazione progressiva delle confezioni dei medicinali, che si dovessero rendere necessarie per adeguamenti alla evoluzione tecnologica del settore o per semplificazioni procedurali, saranno adottate attraverso l'emanazione di un apposito decreto ministeriale» –:
   in base a quale provvedimento o autorizzazione Istituto poligrafico e zecca dello Stato abbia modificato il sistema di stampa del bollino farmaceutico anticontraffazione di cui al citato decreto 2 agosto 2001;
   se non ritenga procedere all'immediato fermo della produzione presso gli impianti cartografici che non ottemperano i requisiti dell'allegato tecnico del citato decreto 2 agosto 2001, fino al loro adeguamento. (3-00357)

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAUSI e TARANTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con i comunicati diffusi nella giornata del 24 settembre 2013, è stata data notizia delle modifiche intervenute nell'accordo parasociale tra gli azionisti di Telco. Tali modifiche si sostanziano nella diluizione della partecipazione dei soci italiani e nella concessione al socio Telefonica, a decorrere dal 1o gennaio 2014, di un'opzione call sull'intero pacchetto delle azioni con diritto di voto di Telco: con le modifiche all'accordo parasociale, si avvia, dunque, il percorso per l'assunzione da parte di Telefonica del controllo di Telco e, conseguentemente, del ruolo di azionista di riferimento del gruppo Telecom Italia; fermo restando che il Gruppo resterà comunque – come ha sottolineato il Presidente di Telecom, dottor Franco Bernabè, in apertura della sua audizione del 25 settembre presso il Senato della Repubblica – una società quotata con circa l'85 per cento del capitale sul mercato, incluse le azioni di risparmio;
   quanto è accaduto suscita stupore: perché gli azionisti di Telco hanno ritenuto di procedere senza avvertire l'esigenza di qualsiasi preliminare, e sia pure informale, informativa al Governo su un'operazione nella quale sono in gioco anche rilevantissimi interessi pubblici generali; entra, cioè, in gioco il ruolo strategico della rete delle telecomunicazioni per il presente ed il futuro del nostro Paese: sia sotto il profilo delle esigenze della difesa e della sicurezza, sia sotto il profilo delle ricadute sul versante occupazionale e sull'avanzamento dei processi di innovazione tecnologica e digitale tanto cruciali per l'agenda italiana della competitività; al riguardo, non può non essere sottolineato che l'esigenza di un preventivo chiarimento sui contorni e le prospettive dell'operazione non sia stata avvertita né dal gruppo Telefonica, né – ed ancor più stupisce – dai soci italiani di Telco, che pure sono attori di primissimo piano del nostro sistema economico-finanziario e che, del resto, in più di una circostanza, non hanno essi stessi mancato di sottolineare il proprio ruolo sistemico;
   il dottor Bernabè, nell'audizione già richiamata, ha ricordato gli elevati livelli di debito che gravano sul gruppo Telecom e che sono anzitutto il risultato della storia societaria dei suoi assetti di controllo, sottolineando che, per affrontare la sfida dell'evoluzione del settore delle comunicazioni elettroniche, occorrerebbe, invece, un nuovo ciclo di investimenti fondato su una più solida situazione patrimoniale; altrettanto rilevanti sono i livelli di debito che gravano sul gruppo Telefonica e, inoltre, sono note le sovrapposizioni, in America Latina, tra le attività di Telecom Italia e quelle di Telefonica: peraltro, il perfezionamento dell'operazione Telco dovrà acquisire la preventiva autorizzazione delle Autorità antitrust di Argentina e Brasile, ed è altamente probabile che da tali Autorità verrà la richiesta di vendita delle attività Telecom, poiché sommando, questa con quelle di proprietà Telefonica, in quei mercati, si superano le soglie anti-trust previste dalle normative di quei Paesi;
   sul piano industriale, quindi, l'acquisizione di una posizione dominante di Telefonica in Telecom rischia di produrre la vendita delle attività sudamericane del gruppo italiano, e cioè di quelle che hanno la migliore redditività e le più interessanti prospettive di crescita, per la natura di quei mercati e del grado di sviluppo socio-economico di quei Paesi;
   il decreto-legge n. 21 del 2012, ha riformato i poteri speciali che il Governo può esercitare in presenza di minaccia di grave pregiudizio per le società, di qualsiasi assetto proprietario, e quindi anche private, operanti nei settori strategici della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le società che comunque possiedano asset strategici nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni come «le reti e gli impianti, ivi compresi quelli necessari ad assicurare l'approvvigionamento minimo e l'operatività dei servizi pubblici essenziali, i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale»;
   i nuovi poteri speciali – «golden power» – si fondano su una filosofia nuova e diversa rispetto a quella della «golden share», già oggetto di procedura comunitaria d'infrazione: una filosofia «di tipo oppositivo e prescrittivo, e solo in ultima istanza interdittivo» con «un ambito di applicazione di tipo oggettivo»;
   il che si traduce in una possibilità d'intervento da parte del Governo, a tutela degli interessi nazionali, con modalità «adeguate e proporzionali» alle minacce: dalle condizioni prescrittive all'acquisto di partecipazioni al veto di adozione di delibere da parte degli organi societari fino all'opposizione all'acquisto di partecipazioni, esercitabile nei confronti di qualsiasi soggetto per i settori della difesa e della sicurezza nazionali, ma soltanto nei confronti di soggetti esterni all'Unione europea negli altri settori;
   soprattutto, quel che vale la pena di sottolineare è che la filosofia del «golden power» si presenta scevra da ogni astratto, fuorviante e comunitariamente incompatibile rinvio alle presunte ragioni del «nazionalismo» economico, scegliendo piuttosto la via dell'oggettivazione giuridica ed economica del concetto degli interessi strategici nazionali;
   tuttavia, il regolamento previsto dal decreto-legge n. 21 sul settore delle telecomunicazioni non risulta ancora emanato, pur essendoci notizia, negli ambienti tecnici e degli addetti ai lavori, che una bozza dettagliata sarebbe già pronta fin dal mese di marzo;
   per parte sua, poi, il Presidente della Consob, Giuseppe Vegas, ha osservato – in sede di audizione presso il Senato – che, decorrendo dal 1o gennaio del 2014 l'opzione call in favore di Telefonica, eventuali modifiche alla disciplina dell'offerta pubblica di acquisto adottate entro il 31 dicembre del 2013 – non avrebbero effetti retroattivi sulla vicenda Telco;
   come è noto, il riferimento va, al riguardo, agli approfondimenti in corso circa la possibile riduzione della vigente soglia di possesso del 30 per cento del capitale di una società quotata quale condizione che obbliga chi consegue una simile partecipazione a lanciare una pubblica offerta di acquisto, al medesimo prezzo, sul 100 per cento delle azioni societarie;
   nel caso Telco, dunque, la prospettiva del suo controllo da parte di Telefonica, che deterrà così il 22,4 per cento delle azioni del gruppo Telecom Italia, non comporta, a regole vigenti, obbligo di offerta pubblica di acquisto. Resta così escluso il 78 per cento circa dell'azionariato dai valori offerti dal gruppo spagnolo ai soci italiani della stessa Telco, cioè circa il doppio delle quotazioni correnti delle azioni di Telecom –:
   perché il Governo non abbia adottato il regolamento di attuazione dei poteri speciali previsti dal decreto-legge n. 21 del 2012 nel settore delle comunicazioni e se intenda velocemente approvarlo, e se intenda eventualmente intervenire anche tramite iniziative volte a modificare la disciplina sull'offerta pubblica di acquisto.
(5-01120)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   negli anni passati sono state introdotte rilevanti novità in tema di competenza della magistratura di pace, in specie il raddoppio della competenza per valore nella materia civile e nuove attribuzioni in materia previdenziale e ulteriori competenze in campo penale con la previsione del reato di clandestinità;
   risulta lodevole lo scopo delle innovazioni in oggetto, finalizzate a deflazionare il carico di lavoro gravante sui tribunali e a valorizzare il ruolo dei giudici più vicini al cittadino;
   l'amministrazione della giustizia obiettivamente non può oramai prescindere dalla magistratura di pace, che amministra giustizia in tempi molto contenuti – in media la durata di un giudizio è inferiore ad un anno, il che sta a significare un quarto del tempo necessario per celebrare un processo dinanzi ad un tribunale;
   dinanzi ai giudici di pace sono iscritti circa due milioni l'anno con una percentuale di impugnazione delle sentenze che si attesta intorno al 2 per cento;
   l'Associazione nazionale giudici di pace ha denunciato il rischio di paralisi degli uffici giudiziari, atteso che, a fronte dei due milioni di procedimenti da trattare, dal gennaio 2014 in pratica tutti i magistrati in servizio dovranno progressivamente in breve tempo lasciare l'incarico per scadenza del mandato; i magistrati chiedono l'adozione di un provvedimento che assicuri la continuità della funzione, attraverso la rinnovabilità dell'incarico, come è accaduto nel 2005 per i magistrati tributari e nel 2010 per i magistrati onorari minorili e che presenta diversi aspetti positivi: garantire piena autonomia ed indipendenza della magistratura di pace;
   impedire la dispersione di professionalità acquisite in circa un ventennio di attività e consentire un risparmio di spesa per lo Stato, in quanto un turn over di tutti i magistrati in servizio costerebbe al Paese molti milioni di euro per l'espletamento dei concorsi e la formazione dei nuovi assunti;
   i giudici di pace lamentano, inoltre, il mancato riconoscimento di qualsivoglia tutela previdenziale ed assistenziale, costituzionalmente prevista per tutti i lavoratori –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di superare la condizione di precarietà che notevoli sofferenze procura al corpo dei magistrati di pace e che soprattutto ne mina l'autonomia e l'indipendenza. (5-01119)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIORIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la «Carta dei Servizi a Tutela del Viaggiatore» è il documento attraverso il quale i clienti possono conoscere, in maniera chiara ed immediata, gli impegni programmatici di Trenitalia, i principi fondamentali che la guidano nello svolgimento della propria attività, i servizi offerti e gli obiettivi che si è prefissata di raggiungere. Trenitalia, che gestisce i servizi di trasporto ed Rfi (ovvero le stazioni ed i binari), fa parte del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane (partecipata al 100 per cento del Ministero dell'economia e delle finanze). Trenitalia offre una gamma di servizi di qualità in grado di soddisfare in maniera capillare le esigenze di mobilità dei viaggiatori, proponendo al mercato sia servizi di media e lunga percorrenza che di tipo regionale e metropolitano;
   tra lo Stato (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Ministero dell'economia e finanze) e Trenitalia vi è un apposito «Contratto di Servizio», che impegna l'azienda a garantire un servizio di trasporto su tutto il territorio nazionale;
   dal 22 luglio 2013 la biglietteria della stazione ferroviaria di Asti è chiusa al pubblico la domenica: è quanto emergerebbe da appositi avvisi presenti sugli stessi sportelli della biglietteria e da notizie pubblicate dagli organi di stampa;
   nella stazione sono anche presenti quattro biglietterie automatiche «self service»;
   da numerose segnalazioni di utenti, pendolari e passeggeri, riportate anche da specifici articoli di stampa, è emerso che si sono verificati recentemente gravi e continui disservizi nel funzionamento dei terminali «self service» che hanno reso impossibile prenotare e pagare con bancomat o carte di credito e conseguentemente acquistare il biglietto;
   quanto appena esposto contrasta palesemente con le informazioni presenti sul sito internet istituzionale Trenitalia dove viene riportato che ad Asti è attiva una biglietteria sempre aperta, dal lunedì alla domenica, compresi i giorni festivi, con orario dalle 6 alle 20.40. Si tratterebbe di un'indicazione che contiene due errori: la domenica, infatti, la biglietteria è chiusa mentre l'orario di apertura degli sportelli, dal lunedì al sabato, è dalle 6.30 alle 20.20;
   risulta evidente che l'utenza della stazione ferroviaria di una città capoluogo come Asti non possa tollerare le criticità evidenziate ed una difformità di informazioni così palese e perdurante;
   politiche per la promozione di acquisti online, comprensibili per la razionalizzazione delle risorse e per l'incentivazione dell'utilizzo della moneta elettronica, non possono essere promosse con efficacia se non adeguatamente supportate da una efficienza del servizio e dalla puntualità delle informazioni –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, possano verificare l'oggettiva situazione dei servizi di biglietteria presso la stazione ferroviaria di Asti ed in particolare la chiusura degli sportelli la domenica;
   quali iniziative intendano quindi intraprendere nei confronti di Trenitalia per assicurare il rispetto degli impegni contenuti nella «Carta dei Servizi a Tutela del Viaggiatore». (5-01118)


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Genova è pubblico, la società che gestisce lo scalo Cristoforo Colombo di Genova è partecipata per il 60 per cento dall'autorità portuale di Genova, per il 15 per cento dagli Aeroporti di Roma SPA e per il restante 25 per cento dalla camera di commercio di Genova;
   i traffici dell'anno 2013 hanno inizialmente registrato un trend negativo del 20 per cento recuperato, poi, con la stagione estiva facendo assestare il bilancio parziale sui traffici attorno ad un meno 8 per cento;
   i suddetti traffici sono costituiti, per la maggior parte, da turisti stranieri, alcuni voli russi possono arrivare ad un riempimento del quasi 94 per cento; la compagnia Turkish Airlines ha aumentato del 26 per cento i passeggeri; British Airways è cresciuta del 2 per cento, mentre Ryan Air e Lufthansa hanno incrementato i passeggeri del 15 per cento;
   il Governo precedente, con il Ministro pro tempore Passera, ha inserito lo scalo genovese nella «top ten» degli scali strategici italiani alla luce delle sue potenzialità in quanto unico scalo ad essere posizionato su una piattaforma logistica naturale in grado di unire quattro differenti modalità: cielo, ferrovia, autostrada e mare;
   il 29 settembre 2013 circa 500 passeggeri, sbarcati da una crociera MSC, sono rimasti «prigionieri» dello scalo dell'aeroporto genovese in quanto questo risulta sprovvisto di un deposito bagagli;
   i suddetti turisti erano sbarcati al porto di Genova la mattina per poi recarsi allo scalo di Sestri Ponente con l'intenzione di lasciare i bagagli in custodia presso lo scalo e visitare la città di Genova come ultima tappa delle loro ferie;
   l'aeroporto di Pisa, in un suo spot, afferma: «se vuoi visitare la città e hai dei bagagli ingombranti lasciali in aeroporto. Presso l'ufficio informazioni è attivo il servizio di Deposito Bagagli.»; la stessa filosofia è abbracciata dagli scali di Bergamo Orio al Serio, Olbia, Bologna scali delle stesse «dimensioni» del Colombo;
   difficilmente uno scalo che ambisce a rimanere nella «top ten» degli scali strategici può ritenere opportuno il fatto di non essere dotato di un deposito bagagli;
   il presidente dell'aeroporto Marco Arato, interpellato sulla questione, ha affermato: «La normativa prevede che il deposito sia situato in un'area separata dello scalo, lontano dalle partenze e sempre sorvegliata. Un intervento troppo oneroso che allo stato non ci possiamo permettere» –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative di competenza ritenga di assumere affinché venga posta fine all'evidente carenza infrastrutturale ed organizzativa che ha portato al culmine della vicenda dei 500 passeggeri bloccati nello scalo genovese. (5-01131)


   BRAGA e GUERRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria di Como San Giovanni dotata di servizi ferroviari suburbani, regionali e internazionali, passanti e di superficie, è la principale porta d'ingresso alla città e alle zone turistiche del lago di Como nonché snodo fondamentale per i transiti turistici e commerciali posto sulla direttrice Nord-Sud d'Europa sulla linea del Gottardo;
   secondo quanto appreso da Ferrovie federali svizzere, la stazione di Como San Giovanni si appresterebbe a subire un rilevante declassamento rischiando di non essere più di fatto considerata stazione destinata a servire gli scali internazionali;
   le Ferrovie federali svizzere (FFS), d'intesa con il gruppo Rete ferroviaria italiana (Rfi), hanno di recente comunicato in un documento il programma di revisione completa, anche se ancora in via di definizione, della linea Eurocity Milano-Zurigo dal quale si prevede che a partire «dal 15 giugno 2014», un anno prima di Expo 2015, «entrerà in servizio un nuovo concetto per i treni internazionali della linea del Gottardo concordato con tutti i partner che ad esso fanno capo, quindi Regione Lombardia con Trenitalia e Trenord, il Canto Ticino e le FFS Tilo per il versante svizzero. Nello specifico, per i treni internazionali Eurocity Zurigo-Milano Centrale è stata creata una nuova traccia. Le nuove relazioni che circoleranno ogni due ore, in alcune fasce orarie, all'arrivo a Como San Giovanni, entrerebbero in conflitto con il traffico regionale Chiasso-Como-Milano che viaggia sulla linea S11. Per questo motivo, alcune relazioni Eurocity transiteranno dalla galleria di Monte Olipino 2. Tale percorso non permetterà di servire la stazione di Como San Giovanni»;
   le corse che faranno scalo a Como, sempre secondo quanto previsto da Ferrovie federali svizzere e Rete ferroviaria italiana, passeranno infatti da 14 collegamenti presenti oggi, di cui 8 da e per Zurigo, a soli 2 collegamenti da e per Lucerna, mentre non sarà più possibile raggiungere direttamente lo scalo di Zurigo. Como verrà quindi servita da due soli Eurocity, uno che partendo da Lucerna farà scalo alle 12,15 a Como San Giovanni per poi proseguire la sua corsa verso Milano centrale, e un altro che partito dalla stazione di Milano Centrale fermerà alle 15,44 a Como San Giovanni con destinazione Lucerna. Lo scalo comasco perderà circa l'86 per cento del volume di traffico a favore, presumibilmente, della stazione di Chiasso, destinata a trasformarsi nel vero capolinea internazionale della linea del Gottardo;
   nonostante il gruppo Rete ferroviaria italiana si limiti a sottolineare che «la stazione di Como San Giovanni resta internazionale», precisando però che «è ancora presto stabilire cosa accadrà da qui a giugno 2014», è di tutta evidenza il declassamento sostanziale della principale stazione lariana con conseguenze pesantissime per la vocazione turistica del territorio comasco e della città di Como in particolare, che si troverebbe di fatto tagliata fuori dai maggiori collegamenti internazionali lungo l'asse Nord-Sud d'Europa;
   l'esclusione della stazione di San Giovanni dai collegamenti internazionali comporterebbe ricadute negative, in termini di qualità e quantità del servizio offerto, per tutto il territorio comasco: nel settore del turismo su cui si concentra buona parte dello sforzo e dello viluppo economico del lago di Como; nei riguardi dei flussi di persone, viaggiatori pendolari e turisti da e verso l'Europa, costretti a subire disagi sempre più rilevanti; per il ruolo e la capacità attrattiva, reale e potenziale, che la città capoluogo di provincia di Como è in grado di esprimere, anche in vista della manifestazione universale dell'Expo 2015 di Milano;
   nella stazione di Como San Giovanni si riscontrano inefficienze e situazioni di degrado non più sostenibili: i sette teleindicatori sono da tempo fuori servizio, nessun pannello luminoso indica in stazione i treni in arrivo e in partenza, il soffitto della pensilina del secondo marciapiede di stazione rischia di recare danni ai passeggeri, mancano scale mobili e ascensori che consentano di facilitare il trasporto dei bagagli, le sale d'aspetto sono fatiscenti e inadeguate per i viaggiatori in attesa, al primo piano il bagno per i disabili risulta chiuso così come gli sportelli dell'Infopoint;
   Trenitalia ha da poco comunicato di voler chiudere la biglietteria della stazione di Como San Giovanni la domenica e i festivi a partire dal 16 giugno fino al 30 settembre 2013 con un'ulteriore riduzione d'orario prevista per le giornate di sabato quando la biglietteria rimarrà aperta non più, come gli anni precedenti, dalle ore 6,00 alle ore 20,20 ma dalle ore 9,00 alle ore 18,40. Inoltre, le emettitrici informatizzate di biglietti e abbonamenti che dovrebbero funzionare da alternativa agli sportelli con operatori, oltre a creare difficoltà nel reperire moneta metallica e cartacea da poter impiegare nei distributori automatici, risultano molto spesso fuori uso o mal funzionanti;
   a tali carenze e inefficienze Rete ferroviaria italiana, nel corso di un incontro avvenuto poche settimane fa con il comune e camera di commercio di Como, ha annunciato la decisione di finanziare l'esecuzione di interventi di ristrutturazione e riqualificazione della stazione San Giovanni di Como per un importo pari a 4 milioni di euro, da qui al biennio 2014-2015, così distribuiti: un primo milione da investire nel 2013 per il rinnovo completo dell'impianto di informazione al pubblico, visivo e di diffusione sonora, la ristrutturazione della pensilina del secondo marciapiede della stazione con i relativi impianti di illuminazione; i restanti 3 milioni di euro da utilizzare entro il 2015 per «adeguare la stazione a standard qualitativi più elevati propri di un impianto inserito in un contesto turistico di carattere internazionale»;
   il declassamento della stazione San Giovanni di Como emarginata dai collegamenti internazionali, nato dall'esigenza di Ferrovie federali svizzere e Rete ferroviaria italiana di creare una nuova traccia per i treni internazionali Eurocity Zurigo-Milano centrale, arriva quindi all'indomani dell'incontro tra la stessa Rete ferroviaria italiana, comune di Como e camera di commercio comasca nel corso del quale sono stati invece programmati investimenti per 4 milioni di euro per interventi sulla stessa stazione lariana –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'intenzione da parte di Rete ferroviaria italiana di operare il sostanziale declassamento dello snodo ferroviario fondamentale per i transiti turistici e commerciali posti sulla direttrice Nord-Sud d'Europa sulla linea del Gottardo;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, il Governo intenda adottare per garantire agli utenti del trasporto ferroviario collegamenti e servizi adeguati per qualità, velocità e frequenza in una logica di sistema integrato tra corse regionali, nazionali e in particolare, internazionali anche in considerazione della vocazione turistica e produttiva della città di Como e del ruolo internazionale che sino ad ora ha avuto la stazione San Giovanni, questo alla luce del tentativo in atto di revisione completa della linea Eurocity Milano-Zurigo da parte delle Ferrovie federali svizzere e di Rete ferroviaria italiana;
   come intenda il Governo adoperarsi al fine di garantire ai numerosi utenti pendolari e turisti della stazione di Como San Giovanni il diritto ad un servizio pubblico efficiente, anche per quanto riguarda il servizio di biglietteria, di modo che la principale stazione della provincia di Como possa rispondere in modo adeguato alle esigenze attuali e future dei suoi utilizzatori. (5-01134)


   BRAGA, GADDA, GUERRA, MARIANI, MAURI, FIANO, PELUFFO, CINZIA MARIA FONTANA, REALACCI, GARAVINI, LOCATELLI, TENTORI, MARANTELLI, COVA, FRAGOMELI, SENALDI, BASSO e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel contesto strategico delle reti europee di trasporto, TEN-T (Trans-european networks-transport), risulta evidente che il territorio del Nord Italia rappresenta un punto di intersezione di tre corridoi: il corridoio Est-Ovest, che attraversa l'intera area padana e connette le regioni del Nord Italia con l'occidente d'Europa e i nuovi territori dell'Est (Lione-Torino-Milano-Trieste-Lubiana-Budapest-Kiev) e i due corridoi Nord-Sud (Brennero e Genova-Rotterdam), che implementano i collegamenti verso il Nord Europa e si connettono con il corridoio Est-Ovest;
   il commercio internazionale sull'asse Nord-Sud è in forte espansione; dalle previsioni nei prossimi vent'anni il traffico merci attraverso le Alpi potrà aumentare anche del 70 per cento e quello dei passeggeri del 75 per cento, rendendo inadeguate le attuali linee di comunicazione all'assorbimento di un tale traffico;
   in questo contesto, nel quadro del corridoio ferroviario n° 1 che unisce il Mare del Nord ed il Mediterraneo (Rotterdam-Genova) attraverso quattro Paesi europei, sviluppandosi per oltre 1.400 chilometri si colloca la Nuova trasversale ferroviaria alpina (AlpTransit), porzione svizzera del Corridoio 1 e progetto strategico dell'infrastrutturazione ferroviaria a livello europeo. La nuova infrastruttura ferroviaria ad alta velocità si sviluppa lungo tre nuovi tunnel ferroviari alpini, sui quali la Svizzera ha deciso di investire ingenti risorse, lungo gli assi del Lötschberg-Sempione, del San Gottardo e del Ceneri;
   la galleria di base del Lötschberg, lunga 34,6 chilometri, elemento centrale del primo asse della nuova trasversale ferroviaria alpina, è stata inaugurata nel 2007 ed è ormai vicina al punto di massima capacità;
   la seconda direttrice si sviluppa lungo l'asse del Gottardo, dove i lavori procedono a ritmo serrato; la galleria di base del Gottardo, con i suoi 57 chilometri, una volta completato sarà il più lungo tunnel ferroviario del mondo e consentirà di diminuire radicalmente i tempi di percorrenza attraverso l'utilizzo di treni ad alta velocità che raggiungeranno i 250 chilometri orari; le previsioni di realizzazione lo danno pronto ad ospitare il trasporto di merci e passeggeri già nel dicembre 2016;
   la galleria di base del Ceneri permetterà invece di realizzare una ferrovia pianeggiante ininterrotta lungo l'asse del Gottardo, sul versante meridionale, consentendo vantaggi per il traffico merci e a lunga percorrenza; la sua apertura è prevista per la primavera del 2019;
   recentemente AlpTransit ha reso noto che «nella Galleria di base del San Gottardo tra Ersfeld e Sedrun i binari senza massicciata sono stati posti in entrambe le canne. Complessivamente è stato installato più del 40 per cento della tecnica ferroviaria». Inoltre, come da programma dei lavori, nel mese di dicembre 2013, verrà messa in esercizio la tratta di prova tra Faido e il portale sud a Bodio. Una tratta lunga 16 chilometri già attrezzata sulla quale si procederà a delle corse di prova che raggiungeranno i 230 chilometri orari. Nella Galleria di base del Ceneri, AlpTransit ha invece specificato che dei complessivi 40 chilometri di sistema di galleria è stato scavato oltre il 60 per cento del percorso. In questo modo la complessa collaborazione tra processi ferroviari e i sistemi della Galleria di base del San Gottardo potrà essere testata. La messa in servizio delle gallerie di base del San Gottardo e del Ceneri permetterà così, secondo quando indicato dal dipartimento federale dell'ambiente, dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni (DATEC) di ridurre progressivamente a circa tre ore i tempi di percorrenza da Zurigo a Milano;
   la costruzione delle linee di base della NTFA è stata interamente finanziata dalla Svizzera, per 17,5 miliardi di euro; tuttavia per l'efficacia del progetto è fondamentale che gli assi in corso di completamento siano adeguatamente collegati, in direzione sud, alla rete italiana ad alta capacità;
   gli obiettivi di collaborazione tra i due Paesi nel settore dei trasporti sono fissati da una convenzione in vigore dal 2001; un comitato direttivo, costituito da rappresentanti italiani e svizzeri e coadiuvato da gruppi di lavoro tecnici, sta da tempo esaminando le soluzioni necessarie a consentire un corretto collegamento sul territorio italiano della nuova infrastruttura;
   in particolare, in vista dell'apertura al traffico merci e passeggeri della galleria del San Gottardo, nell'ambito del completamento del progetto AlpTransit, era previsto in corrispondenza dello sbocco italiano il quadruplicamento dei binari che oggi collegano il Bivio di Rosales, nel territorio comasco, con il capoluogo lombardo; progetto che allo stato attuale, secondo le indicazioni di FSI e del precedente Governo, appare accantonato e ridotto a generiche «misure tecniche atte a migliorare il grado di efficienza della tratta attuale»;
   con il voto favorevole a larghissima maggioranza, il Parlamento italiano il 21 novembre 2012, ha ratificato, dopo oltre dieci anni di attesa, il Protocollo di attuazione, nell'ambito dei trasporti, della Convenzione per la protezione delle Alpi del 1991, stilato a Lucerna il 31 ottobre 2000. La Convenzione rappresenta il primo trattato internazionale sottoscritto dai Paesi alpini (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Monaco, Slovenia e Svizzera) e dall'Unione Europea con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo di una politica globale diretta a tutelare l'ambiente alpino con lo scopo di salvaguardare l'ecosistema naturale delle Alpi e promuovere lo sviluppo sostenibile di quest'area. L'obiettivo generale del Protocollo sul trasporto è rivolto all'attuazione di una politica organica e sostenibile dei trasporti tesa a ridurre gli effetti negativi e i rischi derivanti dal traffico intraalpino e transalpino a un livello tollerabile per l'uomo e l'ambiente circostante, privilegiando, tra l'altro, un più consistente trasferimento su rotaia dei trasporti. In particolare del trasporto merci, soprattutto mediante la creazione di infrastrutture adeguate, rispettose dei requisiti di sicurezza dei territori attraversati anche da merci pericolose e di incentivi conformi al mercato. Il protocollo prospetta infatti di incrementare l'efficacia e l'efficienza dei sistemi di trasporto favorendo i vettori meno inquinanti e con minore consumo di risorse;
   il 21 settembre 2012, il Consiglio Federale della Confederazione elvetica ha pubblicato in un comunicato ufficiale, di essere pronto a investire per rendere possibile il trasporto di semirimorchi con un'altezza agli angoli di quattro metri lungo l'asse ferroviario Basilea-San Gottardo-Chiasso e sulla linea di Luino. In tal modo intende rafforzare la politica di trasferimento del traffico dalla strada alla rotaia. I necessari ampliamenti dell'infrastruttura ferroviaria costeranno alla Svizzera circa 940 milioni di franchi. In questo importo vi è compreso anche il prefinanziamento dei lavori sulla rete ferroviaria a Sud dell'AlpTransit in Italia di importo pari a circa 230 milioni di franchi (oltre 180 milioni di euro). Il previsto ampliamento, si legge sempre nella nota, potrà esplicare tutti si suoi benefici «solo se sarà proseguito sul versante italiano». Per tanto «il Consiglio federale prevede di incentivare con un prefinanziamento i lavori di ampliamento lungo le tratte Chiasso-Milano e lungo la parte italiana della linea di Luino tra Ranzo (Ticino) e Gallarate». Inoltre «intende stipulare con il Ministero italiano dei trasporti un'apposita dichiarazione d'intenti volta a disciplinare anche la creazione di capacità aggiuntive nei terminali dell'area di Milano»;
   lo scorso 17 dicembre 2012 il Ministro per lo sviluppo economico e delle infrastrutture e trasporti, Corrado Passera per l'Italia, e il Ministro svizzero titolare del Dipartimento federale dell'Ambiente, dei Trasporti, dell'Energia e delle Comunicazioni (DATEC), Doris Leuthard, hanno firmato a Berna due dichiarazioni d'intenti per intensificare la collaborazione del settore energetico e del trasporto ferroviario. In quest'ultimo ambito, nel memorandum of understanding (MoU) si concorda un ampliamento ad un'altezza agli angoli di quattro metri della sagoma di galleria e ponti tra Chiasso e Milano nonché sulla tratta Ranzo-Luino-Gallarate. Questo intervento consentirà a container e semirimorchi di essere trasportati direttamente su rotaia fino ai principali poli economici del nord Italia. Nel progetto per l'ampliamento del corridoio a quattro metri, così come già comunicato lo scorso 21 settembre 2012, il Consiglio federale chiederà al Parlamento di Berna di impegnarsi affinché la Svizzera sia «disposta a finanziare completamente i necessari adeguamenti delle sagome sulla linea di Luino e sulla tratta Chiasso-Milano, visto che è nell'interesse della politica elvetica di trasferimento del traffico intervenire rapidamente in questo settore». Nella dichiarazione d'intenti, Italia e Svizzera hanno inoltre convenuto di realizzare un nuovo terminale per il trasbordo delle merci dalla strada alla rotaia nello scalo di Milano. Anche in questo caso la Confederazione parteciperà, nei limiti dell'attuale legislazione, alla realizzazione del terminale di Milano «come pure di eventuali altri terminali»;
   a fronte dell'approssimarsi del completamento del tratto svizzero dell'AlpTransit, risulta quanto mai necessario definire con certezza e tempestività le scelte di potenziamento della rete ferroviaria sul territorio italiano, sciogliendo il nodo della direzione da privilegiare per il collegamento verso sud, ancora incerta tra le ipotesi di collegamento in direzione Milano, attraverso la direttrice Chiasso-Como-Milano, o verso Malpensa, attraverso Varese, tenuto conto delle enormi potenzialità economiche di un efficace collegamento, in grado di garantire gli essenziali requisiti di sicurezza anche relativamente al trasporto di merci pericolose, dell'intera Lombardia, e più in generale del paese, verso il Nord Europa e i principali scali portuali europei per il traffico merci –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di definire con chiarezza e tempestività le scelte nazionali di sviluppo delle infrastrutture ferroviarie italiane ad alta capacità, necessarie a garantire un efficace collegamento in direzione sud del Corridoio Genova-Rotterdam, in particolare della Nuova trasversale ferroviaria alpina – Alptransit, ormai prossima al completamento, e del Terzo Valico dei Giovi, tenendo conto delle importanti ricadute che la stesse avranno sul tessuto economico e produttivo regionale e nazionale e sulla competitività del sistema portuale;
   quali siano gli orientamenti del Ministro in merito al prefinanziamento svizzero dei lavori in Italia per un importo pari a circa 230 milioni di franchi necessari per l'adeguamento delle sagome sulla linea di Luino e sulla tratta Chiasso-Milano, e al dichiarato intento elvetico di creare un nuovo terminale per il trasbordo delle merci nello scalo di Milano come pure di altri terminali. (5-01135)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DECARO, CASSANO, GINEFRA, GRASSI e VENTRICELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Statale 172 «dei Trulli» e in particolare il tratto Casamassima-Putignano a causa delle peculiari caratteristiche plano-altimetriche del tracciato (strada a due corsie con presenza di numerosi dossi) registra un significativo tasso di incidentalità con conseguenze anche in termini di perdita di vite umane;
   ANAS S.p.a., quale gestore della rete stradale nazionale ha trasmesso al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti il progetto preliminare per l'ammodernamento di un tratto di circa quindici chilometri compreso tra lo svincolo di innesto con la strada statale 100 nei pressi di Casamassima e l'abitato di Putignano, con esclusione della variante di Turi;
   al fine di rendere compatibile la realizzazione dell'intervento con le risorse finanziarie disponibili, è stato individuato un primo stralcio funzionale, il cui costo ammonta a 20 milioni di euro, da finanziare con le risorse di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 98 del 2011 per 9,55 milioni di euro e dell'articolo 32, commi 2, 3 e 4, del medesimo provvedimento per 10,45 milioni di euro;
   con delibera del 23 marzo 2012 il CIPE ha disposto l'assegnazione programmatica, a favore di ANAS, di 9 milioni di euro a valere sulle risorse di cui all'articolo 32 del decreto-legge, con la precisazione che tale assegnazione sarebbe divenuta definitiva all'atto dell'approvazione, sempre da parte del CIPE, del progetto preliminare;
   nella seduta del 31 maggio 2013 il predetto comitato ha differito al 2016 parte dei finanziamenti stanziati per l'intervento in argomento già previsti per il 2014 –:
   quali iniziative immediate ed urgenti si intendano porre in essere al fine di rendere disponibili le risorse finanziarie necessarie almeno alla realizzazione di un primo stralcio funzionale;
   quali prospettive temporali siano previste per addivenire al completo ammodernamento della strada statale 172 «dei Trulli», tratto Casamassima-Putignano-Alberobello al fine di elevare il livello di sicurezza dell'infrastruttura. (4-02045)


   MARCO DI MAIO e MOLEA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
    negli ultimi dieci anni enti pubblici (comune di Forlì, regione, provincia e camera di commercio) hanno finanziato la società Seaf spa, gestore dell'aeroporto «Luigi Ridolfi» di Forlì, per un importo complessivo di circa 40 milioni di euro che sono serviti a coprire le perdite di esercizio;
   dal 2008 le varie compagnie che si sono susseguite (Ryanair, Wind Jet e Wizz Air) hanno lasciato lo scalo perché hanno ottenuto condizioni e contratti più vantaggiosi da parte degli aeroporti limitrofi («Marconi» di Bologna e «Fellini» di Rimini);
   il 10 ottobre 2012 da ENAC viene pubblicato un bando internazionale per l'affidamento della gestione dello scalo di Forlì la cui scadenza viene prorogata più volte fino al 25 marzo 2013; la successiva mancanza di acquirenti non fornisce la possibilità di riassegnare la licenza totale dello scalo;
   a seguito dei fatti di cui sopra, ENAC chiude la pista il 15 maggio 2013;
   ciò ha causato un importante danno economico per il territorio e per le famiglie dei 42 lavoratori che hanno perso il proprio impiego;
   la struttura aeroportuale attuale è perfettamente attrezzata per far fronte ad importanti sviluppi senza nessun ulteriore fabbisogno di investimenti infrastrutturali. Allo stato attuale l'aeroporto sarebbe in grado di raggiungere più di un milione di passeggeri senza alcun intervento;
   gli investimenti fatti dalla società al 31 dicembre 2011 al netto dei fondi di ammortamento ammontano a 12,8 milioni di euro e hanno reso lo scalo perfettamente funzionante e all'avanguardia sotto il profilo funzionale e delle tecnologie implementate (in alcuni settori superiore ad aeroporti che registrano più di 3 milioni di euro di passeggeri);
   attorno all'aeroporto è sorto un polo tecnologico e aeronautico con due scuole di addestramento al volo (circa 100 allievi), con il centro di formazione Enav Academy (circa 200 allievi), con l'Istituto tecnico aeronautico (circa 500 studenti), con il corso di laurea in ingegneria aerospaziale e in ingegneria meccanica (otre 800 studenti);
   sono al vaglio degli enti locali, d'intesa con ENAV, ipotesi operative che possano consentire al «Ridolfi» di riprendere l'attività aerea commerciale e le istituzioni forlivesi hanno a più riprese manifestato la propria disponibilità a inserire l'aeroporto «Ridolfi» all'interno di un sistema integrato di dimensione regionale, che coinvolgesse anche gli aeroporti di Bologna e Rimini (operazione mai compiuta, con relative conseguenze negative anche per gli altri scali interessi, in particolare quello di Rimini, su cui grava un pesante sbilancio finanziario);
   secondo indiscrezioni di stampa (non smentite e non confermate) relative al piano aeroporti al vaglio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quello di Forlì verrebbe declassato a scalo di interesse e competenza regionale –:
   quali siano le intenzioni del Ministro circa l'aeroporto di Forlì nel quadro del piano aeroporti nazionali, quali sarebbero gli effetti del declassamento di cui sopra (nella spiacevole evenienza in cui fosse confermato) e in quali tempi il piano di competenza del Ministero verrà approvato in via definitiva. (4-02057)

INTEGRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   FRUSONE, RIZZO, CORDA, BASILIO, PAOLO BERNINI, ALBERTI e ARTINI. — Al Ministro per l'integrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha deciso di aprire una struttura sul modello C.A.R.A. (Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo) a San Giuliano di Puglia in Molise, comune di 1100 abitanti;
   per attuare questo progetto il 12 settembre 2013 si è tenuta nel comune molisano, una riunione, convocata dal prefetto di Campobasso, a cui hanno partecipato il capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, prefetto Pria, il direttore centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo, prefetto Scotto Lavina e i dirigenti competenti del dicastero dell'interno. Tra i soggetti invitati a partecipare la regione, la provincia e i rappresentanti nazionali e regionali dell'ANCI e dell'UPI, il questore, l'Agenzia regionale di protezione civile, i comandanti provinciali dei carabinieri, della Guardia di finanza, del corpo forestale dello Stato e dei vigili del fuoco, l'ASREM, i sindaci dei comuni limitrofi (Bonefro, Colletorto, Santa Croce di Magliano) nonché rappresentanti delle organizzazioni sindacali, della Caritas, del volontariato e dell'associazionismo cooperativo;
   il progetto prevede la capacità di accogliere 800 persone nelle strutture prefabbricate utilizzate per i cittadini molisani dopo il terremoto del 2002. Tale scelta rischia – come denunciato da diverse associazioni – di rispondere, dato il contesto socioeconomico, ad esigenze di reclutamento di manodopera a basso costo da utilizzare nelle campagne piuttosto che alle esigenze di accoglienza dei richiedenti asilo che necessitano di protezione e servizi nel territorio adeguati alla loro condizione di soggetti vulnerabili;
   lo status giuridico del centro appare alquanto aleatorio. Secondo diversi articoli riportati dalla stampa si parla di un centro hub, con un intreccio fra i vari status giuridici dei centri previsti dalla normativa (cda – centro di accoglienza, cara – centro accoglienza per richiedenti asilo, Cie – centro di identificazione ed espulsione);
   sempre da fonti di stampa emerge che le persone rimarrebbero in questo centro per il tempo necessario ad espletare le pratiche. Questa dichiarazione farebbe ipotizzare l'uso di quel centro come CARA, ma non ci sono le condizioni perché possa essere un CARA, visto che questi sono centri dove ha sede la commissione territoriale per la valutazione della domanda d'asilo e ci vorrebbe un apposito decreto per istituirla;
   ulteriore contraddizione sullo status giuridico deriva dal fatto che, nel caso in cui lo straniero non dovesse avere l'accesso alla procedura d'asilo, sarebbe di fatto una persona in fase di espulsione, quindi il centro si trasformerebbe di in un centro di trattenimento ed espulsione (un CIE) –:
   quale sia l'effettivo status giuridico del centro che sorgerà nel comune di San Giuliano di Puglia;
   se il Governo non reputi inadeguato aprire un centro con una capacità di accoglienza tra le 800 e le 1000 persone in un paese come San Giuliano di Puglia che conta 1100 abitanti, peraltro privo dei servizi essenziali per accogliere e «proteggere» le condizioni delicate di un richiedente asilo;
   se non reputi in particolare che quella zona a fortissima economia agricola possa implementare il fenomeno dello sfruttamento in agricoltura ed il caporalato, posto che, la sua vicinanza con il foggiano ed i suoi «ghetti» per esempio, può essere foriera di uno sviluppo di quel fenomeno di allargamento di zone franche che ben si conoscono (il «ghetto» di Rignano Garganico dista qualche decina di chilometri). (4-02063)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOMBARDI e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso gennaio 2013 il tribunale ordinario di Napoli ha proceduto all'arresto di alcuni alti dirigenti della Polizia di Stato e all'interdizione dai pubblici uffici di altri alti dirigenti della Polizia di Stato (tra i quali il prefetto Fioriolli, il prefetto Izzo e il prefetto Iurato);
   dall'analisi della nutrita rassegna stampa sulla questione di cui al punto precedente e da notizie collegate (ordinanza del tribunale di Napoli, n. 2/2013 O.C.C., procedimento penale n. 44783/09 R.G.N.R.) emerge anche il coinvolgimento di altri alti funzionari dello Stato (sebbene non destinatari nel provvedimento giudiziario de qua, di misure giudiziarie) tra i quali anche l'ex Prefetto di Siracusa, dottor Renato Franceschelli (al momento direttore centrale della direzione per i Servizi tecnico-logistici del dipartimento della pubblica. Sicurezza del Ministero dell'interno); 
   il Titolo primo, Capo III (Trasparenza e rendicontazione della performance) articolo 11 (Trasparenza) del decreto legislativo n. 150 del 2009 (attuativo della legge n. 15 del 4 marzo 2009) recita: «1) La trasparenza è intesa come accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni pubbliche, delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione ...»;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) articolo 9, così recita: «... (Trasparenza e tracciabilità). 1) Il dipendente assicura l'adempimento degli obblighi di trasparenza previsti in capo alle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni normative vigenti, prestando la massima collaborazione nell'elaborazione, reperimento e trasmissione dei dati sottoposti all'obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale...»;
   il Titolo quarto, capo II (Dirigenza Pubblica), articolo 40 del decreto legislativo n. 150 del 2000 (attuativo della Legge n. 15 del 4 marzo 2009) recita: «(Modifica all'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165) – 1) All'articolo 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Ai fini del conferimento di ciascun incarico di funzione dirigenziale si tiene conto, in relazione alla natura e alle caratteristiche degli obiettivi prefissati ed alla complessità della struttura interessata, delle attitudini e delle capacità professionali del singolo dirigente ...»;
   il Titolo quarto, capo V (Disposizioni relative al procedimento disciplinare), articolo 69 del decreto legislativo n. 150 del 2009 (attuativo della Legge n. 15 del 4 marzo 2009) recita: «... Art. 55-sexies (Responsabilità disciplinare per condotte pregiudizievoli per l'amministrazione e limitazione della responsabilità per l'esercizio dell'azione disciplinare). 1) La condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'articolo 54, comporta applicazione nei suoi confronti, ove già non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio...»; che il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62 (Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), articolo 13, comma 8, così recita: «...(Disposizioni particolari per i dirigenti). » ... il dirigente intraprende con tempestività le iniziative necessarie ove venga a conoscenza di un illecito, attiva e conclude, se competente, il procedimento disciplinare, ovvero segnala (...)» –:
   se e quali provvedimenti disciplinari siano stati presi nei confronti dei funzionari e/o dirigenti coinvolti nelle inchieste ricordate in premessa, volendo indicare chi di tali funzionari e/o dirigenti coinvolti – a vario titolo – nelle inchieste di cui alla presente interrogazione siano ancora titolari di incarichi presso il Ministero dell'interno e con quale retribuzione, specificando – anche – se gli stessi, in relazione ai nuovi (o vecchi incarichi) siano – ancora oggi – titolari di «alloggi di servizio» o abbiano ancora il benefit di «autista» e «auto di servizio», e a quale titolo;
   in base a quali criteri sia stato scelto proprio il Prefetto Renato Franceschelli – coinvolto (sebbene non raggiunto da provvedimenti giudiziari) nell'inchiesta che ha condotto all'arresto dell'ex Prefetto Fioriolli e altri – per dirigere la direzione Centrale dei servizi tecnico-logistici che, a quanto risulta, è una delle direzioni del Ministero dell'interno con grande capacità di spesa;
   se il Ministero dell'interno – oltre ad avviare un'approfondita inchiesta interna sulla gestione dei fondi del Viminale per scongiurare ulteriori nicchie di «malaffare» – non intenda costituirsi parte civile nei procedimenti riguardanti tutti i funzionari e/o dirigenti coinvolti nelle indagini della magistratura napoletana, dove l'immagine e il prestigio di un Ministero, così importante, sono scalfiti irreversibilmente dall'infedeltà di pochi. (5-01125)


   LOMBARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 maggio 1994, è apparsa sull'agenzia Adnkronos la notizia relativa ad una dichiarazione del Ministro dell'interno pro tempore, Roberto Maroni in cui lo stesso affermava che aveva dovuto far uso «... dei fondi riservati del Ministero di sua spettanza: per acquistare computer per l'ufficio legislativo ...», proseguendo che si sarebbe impegnato «... ad aprire gli armadi e tirar fuori gli scheletri dal Viminale ...»;
   nel 1993 scoppiò lo scandalo SISDE (oggi AISI), relativo alla gestione di fondi riservati. Partita dalla bancarotta fraudolenta di un'agenzia di viaggi i cui titolari erano funzionari del servizio segreto del Viminale, un'inchiesta della magistratura fece emergere fondi neri per circa 14 miliardi di lire depositati a favore di altri 5 funzionari. Ci furono l'intervento del Consiglio superiore della magistratura per dissidi fra il magistrato che indagava e il suo procuratore capo, quello della commissione parlamentare d'inchiesta sui servizi segreti, presieduta da Ugo Pecchioli, e quello del Ministro dell'interno Nicola Mancino, e tutti si misero a indagare sull'operato del servizio, mentre a San Marino venivano individuati altri 35 miliardi di uguale sospetta provenienza;
   la storia del Viminale è costellata – come si evince da un'approfondita lettura del saggio (ben documentato) «Il cuore occulto del potere» di Giacomo Pacini – dell'uso di «fondi riservati»;
   i recenti fatti di cronaca di quest'anno hanno ulteriormente confermato un «cattivo» uso dei soldi pubblici (in carico al Viminale), come si evince dal caso del recentissimo arresto del prefetto Francesco La Motta (oltreché da quelli relativi all'arresto dell'ex prefetto Oscar Fioriolli nonché dalle vicende riguardanti il prefetto Izzo e il prefetto Iurato e altro);
   il recente articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano online – nel quale viene sottolineato che «... la Corte dei Conti, nelle sue relazioni al Parlamento, chiede di far luce da anni ...» sul »... mare magno degli appalti da centinaia di milioni di euro ...» del Ministero dell'interno – segnala un'anomalia dilagante per cui le amministrazioni centrali dello Stato (nel caso specifico il Ministero dell'interno) «secretano» anche quelle gare che non avrebbero i requisiti (la legge che lo consente ammette la classificazione solo per casi specifici, la tutela degli interessi essenziali dello Stato e speciali misure di sicurezza), non consentendo (neppure a posteriori) di poter accertare la regolarità delle procedure e la congruità effettiva delle spese sostenute, creando – di fatto – «...una sorta di camera oscura dello Stato in cui si spendono...» centinaia di milioni di euro di soldi pubblici –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda avviare per rendere finalmente trasparente la gestione contabile del Ministero dell'interno, chiarendo – anche alla luce delle dichiarazioni in premessa del Ministro pro tempore Roberto Maroni – se, sotto la gestione attuale del Ministero dell'interno, esistono ancora «fondi riservati» al Viminale in generale e, in particolare, al dipartimento della pubblica sicurezza, indicando se questi vengano ancora oggi utilizzati per attività «estranee» a previsioni di legge (pagamento informatori) ovvero se – come nel richiamato caso dichiarato del Ministro pro tempore Maroni – vengono «distratti» per acquisti vari o per spese che nulla hanno a che vedere con la «sicurezza nazionale»;
   se il Ministro intenda fornire comunque informazioni minime relative all'ammontare annuo di tali fondi e se gli stessi – anche se con un sistema «riservato» – vengano comunque rendicontati punto per punto (e non genericamente/complessivamente) al Ministero dell'economia e delle finanze, al COPASIR e alla Commissione parlamentare antimafia (dato che si tratta di soldi pubblici finalizzati alla sicurezza nazionale nel suo complesso), nonché attraverso quali criteri oggettivi e pubblici di selezione del personale (oltre quelli «fiduciari») vengano scelti i funzionari e/o dirigenti chiamati a gestire un capitolo economico così delicato e complesso, indicando anche quale sia il range temporale di turn over di tali funzionari e/o dirigenti;
   se il Ministro interrogato intenda anche far conoscere se sia invalso nel «costume» del Ministero dell'interno (e nelle sue articolazioni centrali e periferiche) il pagamento (con l'uso di fondi riservati) di «fuori busta» per i funzionari e/o dirigenti appartenenti a quella struttura e se tali «fuori busta» vengano dichiarati al «fisco». (5-01127)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GARAVINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   su diversi quotidiani locali e nazionali è apparsa la notizia che il direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, il prefetto Giuseppe Caruso, avrebbe immesso in servizio, presso la sede di Palermo, l'ex sindaco della stessa città, Diego Cammarata;
   secondo quanto dichiarato dallo stesso prefetto tale distacco, da lui definito impropriamente assunzione, sarebbe avvenuto a seguito di richiesta avanzata dallo stesso Cammarata;
   i costi relativi allo stipendio del Cammarata sarebbero rimasti a carico dell'amministrazione di appartenenza, nel caso specifico il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   lo stesso Cammarata, oltre ad altre vicende nelle quali risulta indagato, è già stato condannato in primo grado, per i reati di abuso d'ufficio e falso, a 3 anni di reclusione ed a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici –:
   in base a quali atti sia stata avviata la procedura di distacco e se la disponibilità di posti all'interno dell'Agenzia sia stata divulgata e portata a conoscenza di tutti i possibili aspiranti nell'ambito della pubblica amministrazione;
   in base a quali competenze sia stata riconosciuta idonea alle necessità dell'Agenzia l'esperienza lavorativa del Cammarata;
   quali siano le modalità di rilevazione della presenza in ufficio e quali i compiti affidati, o da affidare, al Cammarata;
   quali siano le motivazioni con le quali il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia autorizzato il distacco del proprio dipendente e quali siano gli interessi del Ministero che giustificano il distacco;
   se non si ritenga che, in base alle delicate competenze dell'Agenzia, alla possibilità di accedere a materiale riservato inerente anche indagini in corso, alla necessità di mantenere assolutamente specchiata l'immagine della stessa Agenzia, si debba procedere a revocare detto distacco. (4-02053)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalla stampa, nella notte di sabato 21 settembre 2013, alcuni agenti della Polstrada di Crema hanno tentato di bloccare due malviventi intenti a rubare gasolio da una cisterna del deposito di gas a Sergnano (CR);
   i ladri sono fuggiti in auto ad alta velocità e si sono rifugiati in un condominio sito a Castelleone (CR) in via Sgazzini;
   si tratta di un condominio ormai da tempo abitato soltanto da rumeni ed extracomunitari, in tutto una cinquantina di persone;
   quando gli agenti sono entrati nello stabile per procedere all'arresto dei ladri, tutti gli abitanti del condominio hanno cominciato ad inveire contro le forze dell'ordine ed a lanciare oggetti dalle finestre e dai balconi. Conseguentemente, l'auto degli agenti è stata danneggiata;
   a fronte di tale rivolta, le forze dell'ordine si sono viste costrette a chiamare i rinforzi e successivamente i due ladri sono stati arrestati;
   la vicenda ha provocato la reazione della cittadinanza e del sindaco Luigi Comandulli, il quale ha lanciato l'allarme, dichiarando che «La situazione è esplosiva e la cosa che ci atterrisce è che peggiora di giorno in giorno. [...] Si tratta di un condominio, ma dobbiamo pensarlo come un campo rom dentro la nostra città (inviatoquotidiano.it del 23 settembre 2013);
   secondo il sindaco, questo episodio non sarebbe isolato, anzi, la situazione non sarebbe più tollerabile;
   nel condominio, che verserebbe in una condizione di evidente degrado, ci sono anche minori. Alcuni giorni prima del fatto, «[...] i vigili del fuoco sono stati costretti a intervenire. Un bambino è entrato nel locale dei contatori e ha aperto una saracinesca provocando un allagamento» (inviatoquotidiano.it del 23 settembre 2013);
   per il sindaco, «anche il fatto che le stesse forze dell'ordine faticano a farsi rispettare nel condominio di via Sgazzini significa che siamo arrivati al punto di non ritorno» (inviatoquotidiano.it del 23 settembre 2013) –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali provvedimenti urgenti intenda assumere al fine di impedire che la questione possa degenerare al punto da mettere a repentaglio la pubblica sicurezza;
   se il Ministro intenda accertare se presso l'area ove sorge il caseggiato risultino situazioni di degrado, ed in caso affermativo, quali iniziative ritenga opportuno adottare al fine di tutelare la sicurezza e l'incolumità dei cittadini. (4-02059)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   CECCONI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto n. 333 del 24 aprile 2013 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca assegnava i contratti per l'anno accademico 2012/2013 alla diverse scuole di specializzazione medica dislocate sul territorio nazionale, dando così impulso ad uno degli iter concorsuali ad avviso dell'interrogante più oscuri dei nostri tempi;
   non risulta, infatti, comprensibile il motivo per cui il Ministero si occupi di calendarizzare, redigere e correggere la sola prova scritta, lasciando poi a ciascuna scuola l'onere di istituire le commissioni esaminanti e scegliere le modalità di svolgimento per la prova pratica;
   trattandosi di istruzione volta al conferimento di un titolo di studi universalmente riconosciuto, vige senz'altro quanto affermato al riguardo dal terzo comma dell'articolo 117 Cost., ossia che ci si trovi in un ambito a legislatura concorrente Stato-regioni, in cui allo Stato è assegnato l'onere di legiferare con leggi cosiddette cornice al fine di garantire degli standard qualitativi uniformi su tutto il territorio nazionale, lasciando poi alle autonomie locali la facoltà di determinare i dettagli della formazione;
   ecco perché appare all'interrogante del tutto irragionevole e privo di fondamento rinunciare alla determinazione per intero delle modalità di accesso a tale percorso formativo;
   parte dell'assurdità risiede anche nel fatto che persino le materie su cui la prova pratica va a vertere sono determinate dalle singole scuole attraverso un bando distinto da quello ministeriale;
   non fosse altro che si sta discutendo delle modalità di accesso ad uno dei rari esempi di formazione remunerata istituzionalizzata sul nostro territorio, giova ricordare che gli alunni ammessi alle scuole di cui si discute riceveranno la propria istruzione all'interno delle strutture sanitarie universitarie, quindi a diretto contatto con i cittadini fruitori dei servizi sanitari da queste forniti;
   la massiva intersezione con l'ambito sanitario non distoglie, anzi, acuisce le istanze per una legge che individui gli standard di preparazione minimi ed uniformi per tutti gli aspiranti specializzandi, sia in virtù dell'innegabile delicatezza dei compiti che saranno chiamati a svolgere sia, sul piano giuridico, alla luce dell'allocazione della tutela della salute tra le stesse materie a legislazione concorrente di cui al terzo comma dell'articolo 117 Cost.;
   ma vi è di più. Analizzando gli esiti degli ultimi anni delle selezioni per l'accesso alla scuole di specializzazioni mediche, si riscontra una preoccupante tendenza. Un semplice confronto delle liste degli ammessi alle scuole di specializzazione dei differenti anni porta all'evidenza un dato piuttosto bizzarro: sempre più spesso coloro che vengono ammessi sono stati i primi esclusi agli esami di ammissione dell'anno precedente;
   il dato assume i toni del grottesco se si accerta che quasi sempre questi studenti hanno passato l'anno che separava le due sessioni d'esame a prestare servizio in corsia, all'interno delle strutture ospedaliere che ospitano le scuole, imparando da quelli che sarebbero poi diventati i loro docenti una volta ammessi alla scuola e che altro non sono che i direttori della scuola stessa e, talvolta, dello stesso reparto ospedaliero;
   osservando il fenomeno con uno sguardo scevro da qualsiasi malizia, vi è senz'altro una tendenza viziosa delle modalità di esame che ha portato la selezione a livelli decisamente troppo alti. A quanto pare, i neolaureati appena usciti dalle università italiane, anche i più brillanti fra loro, non risultano dotati di una preparazione sufficiente per essere ammessi al gradino immediatamente successivo della loro formazione, per via di un esame che risulta senz'altro troppo selettivo. Sarà per loro indispensabile continuare a lavorare presso le strutture ospedaliere che sono anche sedi delle scuole di specializzazione e beneficiare di una ulteriore formazione non retribuita e non riconosciuta, dal taglio pratico e volta solo al fine di superare l'ammissione alla scuola di specializzazione, costringendo così di fatto i giovani medici ad un esercizio gratuito della loro professione volto ad approfondire le stesse materie che formeranno oggetto di esame per l'ammissione alla scuola di specializzazione e programma di studio all'interno della scuola stessa;
   qualora, invece, si voglia osservare il fenomeno con sguardo meno benevolo, si potrebbe addirittura pensare che il servizio gratuito di un anno sotto la direzione dei docenti sia un percorso obbligato, finalizzato ad ingraziarsi i docenti stessi e ad entrare in una sorta di graduatoria non ufficiale stilata ben prima che i soggetti sostengano la prova pratica di cui sopra. L'accentramento delle modalità di esame nelle mani dei direttori delle scuole di specializzazione pare aver provocato una distorsione tale per cui, a fronte di un concorso pubblico (o che tale dovrebbe essere) e della concessione di borse di contratti ministeriali, il potere decisionale ricada nella discrezionalità dei direttori delle scuole di specializzazione. Agli zelanti giovani medici, infatti, dopo un anno o più di servizio gratuito non rimarrà che superare il test ministeriale formato da domande estratte da una lista determinata e resa nota a tutti gli aspiranti specializzandi per vedersi così ammettere alla scuola di specializzazione con regolare contratto del ministero stesso;
   secondo quanto appreso dall'interrogante, anomalie simili si sarebbero verificate per le scuole di cardiologia di Roma e di Chieti, nonché di pediatria di Roma è evidente che la concessione di contratti da parte del Ministero richieda un controllo più stretto da parte dello stesso. Le modalità con cui il concorso pubblico è ad oggi strutturato risultano palesemente inidonee a garantire un accesso ai contratti pubblici che sia meritocratico e paritario –:
   come intenda intervenire al fine di uniformare e regolamentare le ammissioni alle scuole di specializzazione medica che risposta intenda dare alle istanze di quanti si ritrovano a vedere la propria istruzione ed il proprio futuro in balia di prassi che appaiano tutt'altro che limpide. (4-02064)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo stage, introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla legge n. 196 del 1997 (cosiddetto pacchetto Treu), è stato nel tempo più volte modificato dal legislatore fino a pervenire alla distinzione tra stage extracurriculari (tirocinio avviato con un laureato entro dodici mesi dal conseguimento del titolo di studio) e curriculari (che si rivolgono allo studente durante il periodo accademico finalizzato alla realizzazione di momenti di alternanza studio-lavoro);
   per i tirocini e gli stage extracurriculare, in particolare, le ultime linee-guida emanate prevedono un compenso minimo garantito, stabiliscono una durata massima del contratto in base al titolo di studio ed impongono una serie di requisiti per le aziende al fine di evitare abusi nell'utilizzo di questo istituto;
   pur riconoscendo lo stage un validissimo strumento di inserimento lavorativo, purtroppo si constata ancora oggi un utilizzo distorto di questo istituto, nel senso che i datori di lavoro ricorrono ad espedienti del tipo di sostituire uno stagista con un altro allo scadere del periodo di formazione per contenere il costo del lavoro –:
   quale sia annualmente la percentuale di stagisti assunta con contratto di natura subordinata a tempo indeterminato al termine dello stage/tirocinio;
   se non convenga sull'opportunità di assumere iniziative per prevedere la facoltà di riscatto ai fini contributivi del periodo di stage/tirocinio, così come previsto per gli anni accademici. (4-02047)


   MAGORNO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Dolce Forno industria alimentare srl con sede in San Marco Argentano (CS), nel 2009 ha chiuso per fallimento del gruppo di riferimento;
   tutti gli operai che vi lavoravano sono stati messi in mobilità ordinaria fino al 2011 e dal 2012 sono passati in mobilità in deroga con la regione Calabria;
   i suddetti operai dal mese di marzo non percepiscono l'indennità di mobilità in deroga;
   le famiglie di questi lavoratori stanno vivendo una situazione di estremo disagio economico e sociale vedendosi private dell'unica fonte di reddito e per questo non essendo più in grado di far fronte alle necessità primarie;
   il problema che si pone è emblematico e rappresentativo di altri casi simili di tanti lavoratori calabresi che dal mese di marzo non ricevono più il pagamento dell'indennità di mobilità in deroga con la regione Calabria –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto su esposto e voglia verificare i veri motivi per cui dal mese di marzo i lavoratori calabresi in questione non percepiscono più l'indennità di mobilità in deroga;
   se, per quanto di competenza, il Governo intenda intervenire affinché vengano ripristinati al più presto i pagamenti.
(4-02051)


   GIANCARLO GIORGETTI, FEDRIGA e GUIDESI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dopo la vicenda esodati, un'altra altrettanto assurda sta emergendo quale conseguenza della dannosa riforma pensionistica attuata dalla ex Ministra Fornero e che colpirebbe, questa volta, i donatori di sangue;
   sembrerebbe, infatti, che gli iscritti all'Avis in procinto di andare in pensione debbano lavorare ancora per circa dieci mesi per recuperare i giorni in cui, con regolare permesso, sono rimasti a casa per il prelievo;
   l'allarme è stato lanciato dalla sede dell'associazione a Cremona, comune che registra il maggior numero di iscritti (circa 6.000 che diventano 17.000 con la provincia);
   ipotizzando un iscritto che dona il sangue da quando è maggiorenne e con regolarità (cioè quattro volte l'anno), in quarant'anni di vita avrà accumulato 160 giorni di astensione dal lavoro, che si traducono in almeno sette mesi in più di servizio;
   l'alternativa, per costoro, stante la vigente normativa, è di andare comunque in pensione ma con una decurtazione del 2 per cento sull'importo del trattamento;
   come spiegato dal presidente dell'Avis di Cremona, Ferruccio Giovetti, ai microfoni di Radio 24 lo scorso 23 settembre 2013, il rischio di tale situazione è una drastica diminuzione del numero dei donatori di sangue, con rilevanti conseguenze per gli ospedali sulla disponibilità e reperibilità di un farmaco salvavita –:
   se il Governo non ritenga di assumere urgentemente adeguate iniziative, anche di carattere normativo, al fine di tutelare il diritto a pensione dei donatori di sangue, affinché non diventino per colpa della legge Fornero gli «esodati del sangue», nonché a salvaguardia della salute della collettività, che potrebbe esser compromessa dalla difficoltà di reperire sacche di sangue necessarie in sala operatoria. (4-02052)


   DONATI, MARCO DI MAIO, CARRESCIA, FARAONE, BIFFONI, FANUCCI, ANZALDI, MAGORNO, RICHETTI, BONIFAZI, CRIMÌ, DE MENECH, LODOLINI, SANI, PELUFFO, CARBONE, CINZIA MARIA FONTANA, ERMINI, PARRINI, LOTTI, BENI, FREGOLENT, SENALDI, BAZOLI, RAMPI, BONOMO, BINDI, MARCHETTI, GASPARINI, GANDOLFI, TARICCO, TENTORI, NARDELLA, BENAMATI, COVA, DECARO, DALLAI, GELLI e D'INCECCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il lavoratore è autorizzato in base all'articolo 8, comma 1, della legge n. 219 del 2005, al riconoscimento della retribuzione e dei contributi per la giornata in cui effettua una donazione di sangue;
   tale norma legittima il valore della donazione e contribuisce fortemente al raggiungimento dell'obbiettivo dell'autosufficienza nazionale nella raccolta di sangue ed emocomponenti;
   con l'approvazione dell'articolo 24, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, detto «Salva Italia» è entrata in vigore la riforma previdenziale nota come riforma Fornero –:
   se corrisponda al vero, così come riportato da alcuni organi di stampa, che a seguito della riforma l'Istituto nazionale per la previdenza sociale non conteggia più nel calcolo pensionistico le giornate in cui i lavoratori sono stati assenti dal lavoro perché impegnati nella donazione di sangue e, in caso affermativo, quali iniziative intenda adottare per non penalizzare coloro che compiono questa scelta di solidarietà. (4-02062)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOCCADUTRI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale n. 70 del 1997 ha definito diversi profili professionali sanitari, tra i quali quello di infermiere pediatrico, individuandone altresì i campi di attività e le competenze; con tale decreto ministeriale n. 70 del 1997 si stabilisce, quindi, che l'infermiere pediatrico è una figura professionale a sé stante, e quindi separata da quella dell'infermiere generico;
   è tuttavia prevista per coloro che hanno conseguito la laurea infermieristica generale (di cui al decreto ministeriale n. 739 del 1994) – la facoltà si conseguire il master in infermieristica area pediatrica (di cui alla legge n. 43 del 2006), acquisendo così la qualifica di infermiere pediatrico;
   tale ultima previsione contraddice, quindi, l'impostazione di cui al decreto ministeriale n. 70 del 1997 con cui si è voluto separare tali due figure professionali di infermiere generico e pediatrico, dando la possibilità al generico di acquisire il titolo di pediatrico mediante un master – di un 1 anno – ma impedendo, di contro, all'infermiere pediatrico di acquisire il titolo di generico, imponendo dunque a quest'ultimo di conseguire un nuovo diploma di laurea di durata triennale, ovvero quello in infermieristica generale;
   tale «separazione imperfetta» delle professioni è aggravata dal fatto che in molti casi le strutture sanitarie non bandiscono concorsi per lo specifico profilo professionale – esistente ed espressamente previsto dalla normativa di riferimento – di infermiere pediatrico, ma nella maggior parte dei casi vengono richiesti infermieri generici, alcuni dei quali vengono però adibiti ad infermieri pediatrici (anche senza averne la qualifica);
   la mancata indizione di concorsi per tale specifica figura professionale è legata anche alla mancata previsione di tale profilo professionale nell'ambito delle piante organiche delle strutture sanitarie –:
   se i Ministri interrogati ritengano opportuno promuovere un riordino dei due citati profili professionali di infermiere generico e pediatrico, optando per una netta separazione degli stessi con conseguente abolizione del master in infermieristica pediatrica, o viceversa inquadrando la figura di infermiere pediatrico quale specializzazione riservata agli infermieri generici, e di conseguenza abolendo il corso di laurea in infermieristica pediatrica, garantendo altresì a quanti hanno già conseguito tale corso di laurea l'equipollenza rispetto al diploma di infermieristica generica, anche eventualmente previo sostenimento di esami integrativi;
   se i Ministri ritengano opportuno adottare ogni iniziativa di competenza affinché ciascuna struttura sanitaria introduca nella rispettiva pianta organica il profilo professionale di infermiere pediatrico – in presenza di reparti di pediatria o di servizi sanitari che richiedano o giustifichino tale figura professionale – superando la prassi che vuole la copertura di tali posti con diversi profili professionali di diversa natura, quali gli infermieri generici, al fine di prevedere l'indizione di procedure concorsuali ad hoc per gli infermieri pediatrici. (4-02048)


   TONINELLI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dalla stampa, i riscontri effettuati dai periti nominati nell'ambito del cosiddetto «caso Tamoil» evidenzierebbero che la falda nell'area vicino la raffineria Tamoil di Cremona, chiusa ormai da due anni, sarebbe «contaminata da una presenza significativa di inquinanti di origine petrolchimica: benzene, altri idrocarburi aromatici (toluene, xileni, etilbenzene) e metil terbutil etere (mtbe), l'additivo usato per la benzina verde, contaminanti costruiti da sostanze pericolose per la salute e oggetti di limiti specifici, in relazione al possibile utilizzo delle acque» (Ansa, 25 settembre 2013);
   il quadro sarebbe allarmante, in quanto gli interventi di messa in sicurezza per la bonifica risulterebbero inadeguati. L'inquinamento dunque sarebbe ancora in atto, infatti «la barriera idraulica realizzata nel luglio del 2007, quando è iniziata l'inchiesta della magistratura, non è sufficiente ad impedire alle acque sotterranee contaminate dall'area dello stabilimento Tamoil di scorrere verso le canottieri e più a valle, verso il Po. E la bonifica delle aree delle canottieri non è garantita» (Ansa, 25 settembre 2013);
   secondo i periti (gli stessi che lavorarono al caso Ilva), i valori riscontrati denuncerebbero una situazione di rischio igienico-sanitario, ed in alcuni casi, la concentrazione di benzene sarebbe mille volte superiore al valore previsto per le acque potabili;
   «Più in generale, i valori di concentrazione riscontrati per benzene, idrocarburi come toluene e etilbenzene e mtbe superano i valori massimi stabiliti quale soglia limite per definire un potenziale pericolo per la salute delle persone» (Ansa, 25 settembre 2013) –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei gravi fatti riportati in premessa e quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere al fine di tutelare la salute dei cittadini. (4-02049)


   MAGORNO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il presidio ospedaliero di Praia a Mare (Cosenza) è stato convertito in Centro di Assistenza, Primaria Territoriale (CAPT);
   tale conversione ha di conseguenza determinato la trasformazione del Pronto Soccorso dell'Ospedale di Praia in Punto di Primo Intervento rendendo arduo se non impossibile garantire interventi tempestivi agli utenti a causa sia della distanza dagli altri presidi in cui devono essere trasportati che della rete viaria gravemente compromessa e trafficata e dell'esiguo numero di ambulanze;
   nei mesi scorsi si sono verificati decessi di cittadini dell'alto Tirreno cosentino, tra cui l'ultimo relativo a un noto imprenditore di Praia a Mare (Cosenza), imputabili anche alla difficoltà di raggiungere in breve tempo gli ospedali più vicini;
   il bacino d'utenza è alquanto vasto e abbraccia più comuni, molti dei quali montani o premontani, in un territorio a riconosciuta vocazione turistica che registra un notevole incremento del numero di abitanti soprattutto nel periodo estivo;
   è notevole la distanza dai centri ospedalieri «Hub» o «Spoke» di riferimento, i cui tempi di raggiungimento superano quelli previsti per un servizio di emergenza efficace;
   il tutto è ulteriormente aggravato dal verificarsi di condizioni meteorologiche sfavorevoli che spesso impediscono il trasporto dei pazienti urgenti anche per periodi di tempo molto lunghi;
   sulla base di queste considerazioni molti utenti costretti a raggiungere mediante l'unica arteria di collegamento, la strada statale 18, Cetraro (che dista 70 chilometri) se non addirittura Cosenza (che dista 104 chilometri percorribili in non meno di 90 minuti in condizioni ottimali) scelgono di migrare verso nosocomi confinanti in Basilicata o Campania;
   ad avviso dell'interrogante, ancora una volta viene ad essere leso il principio della tutela della salute del cittadino –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Ministro, per quanto di competenza, intenda intervenire, al fine di garantire ai cittadini i livelli essenziali di assistenza, con concrete e immediate iniziative atte a ripristinare la rete di emergenza-urgenza attualmente inesistente sull'Alto Tirreno Cosentino. (4-02056)


   GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il «Nomenclatore tariffario» è la lista del ministero della Salute che regolamenta prezzi e tipologie di protesi e ausili per disabili, composta da centinaia di pagine, codici e prezzi;
   è un settore dal costo iperbolico di 1,9 miliardi di euro per anno;
   le Asl spendono anche il triplo rispetto al reale valore odierno in commercio dei medesimi presidi;
   i citati strumenti sono all'interno dei LEA, livelli essenziali di assistenza;
   il «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» è nei fatti uno di quegli scandali sui quali è improrogabile ed urgente intervenire in tempi strettissimi;
   la stessa interrogante con altri deputati ha già presentato sul merito la mozione n. 1-00135 del 3 luglio 2013;
   il decreto per rinnovare il nomenclatore viene emanato sempre a fine legislatura quasi che il Governo in carica tendesse a ribaltare gli effetti al Governo successivo; puntualmente tutto resta come prima. È accaduto con il decreto Turco del 2008. È accaduto con il decreto Balduzzi dell'ottobre 2012 convertito con modificazioni dalla legge n. 189 dell'8 novembre 2012, che all'articolo 5 comma 2-bis, aggiunto durante l'esame parlamentare, prevede come il Ministro della salute debba procedere, entro il 31 maggio 2013, all'aggiornamento del Nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili (come dal regolamento di cui al Decreto del Ministro della sanità n. 332 del 27 agosto 1999);
   ma, in realtà, lo stato delle cose resta sempre fermo al 1999;
   il 12 giugno 2013 le famiglie e i malati hanno manifestato sotto la sede del Ministero dell'economia e delle finanze per sapere dove sono i fondi promessi per l'assistenza e per capire quanto tempo ci vorrà per l'aggiornamento del nomenclatore tariffario; il mancato aggiornamento del nomenclatore tariffario è un'ingiustizia che tocca una larga fetta della popolazione decisamente debole visto che quasi la metà ha più di ottant'anni, ed i bambini sono circa 130 mila in età scolare, 78 mila nella scuola primaria 61 mila nella scuola secondaria. Una percentuale tra il 12 e il 20 per cento di questi studenti non è autonoma nel muoversi all'interno dell'edificio scolastico, nel mangiare, nel recarsi al bagno da sola. Ogni ausilio, ogni protesi, è necessario a crescere e inserirsi nella vita sociale. Milioni di utenti, migliaia di imprese, decine di migliaia di dipendenti: si è dinanzi a un giro d'affari milionario, un affare come detto da almeno 1,9 miliardi di euro, visto che nessuno sa con certezza quale sia la spesa sostenuta dallo Stato –:
   quale sia il motivo, in ogni caso ingiustificabile, di tale colpevole ritardo che causa ulteriore danno economico allo Stato
   se sia a conoscenza di quali siano le ditte che dal 1999 forniscono le protesi e gli ausili al servizio sanitario nazionale e di quale sia l'importo corrisposto alle suddette ditte dal 1999 ad oggi ed ogni altro dettaglio relativo alle spese sostenute dal servizio sanitario nazionale;
   se e quando il Ministro provvederà all'aggiornamento del «nomenclatore tariffario per protesi ed ausili» e a mettere in atto tutte le iniziative necessarie affinché l'aggiornamento sia biennale;
   se provvederà a indicare per i rimborsi prezzi medi rilevati all'interno della Unione europea;
   se vorrà con urgenza far conoscere alle competenti commissioni parlamentari il reale costo annuale sostenuto dallo Stato per il rimborso di protesi ed ausili per i disabili. (4-02060)


   GRILLO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA, DALL'OSSO, BARONI e CECCONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'assessore regionale alla salute dottoressa Lucia Borsellino con nota 59677 del 22 luglio 2013 fa riferimento al decreto ARS n. 1 del 5 gennaio 2012 per giustificare la mancata deroga alla chiusura del punto nascita di Paternò (provincia di Catania) adducendo il vincolo di almeno 500 parti/annui;
   il punto nascite di Paternò (città di 50.000 abitanti) solo per 7 unità non raggiunge la quota minima dei 500 parti per anno e dall'esame della tabella ISTAT sulle nascite, avvenute nei distretti sanitari di Adrano e Paternò nel 2010 vi sono 841 nascite nel distretto di Paternò. Tale punto nascite svolge al meglio questa funzione e garantisce il necessario contato col territorio della fascia pedemontana a nord di Catania. Il piano del governo regionale, vuol quindi sopprimere un reparto efficiente e all'avanguardia come quello di ostetricia e ginecologia del SS. Salvatore», visto che il 4 gennaio 2012 è avvenuta la prima nascita col parto indolore, tecnica utilizzata prevalentemente in strutture private, per la quale il nosocomio paternese è stata la prima struttura (pubblica) dell'ASP Catania ad averla introdotta;
   la difficile congiuntura economica impone grande attenzione nell'individuare eventuali fonti di spreco e nel razionalizzare le spese senza tagli lineari ma mirati e profondi là dove sono evidenti spese inutili, cosa che alla luce di quanto esposto non appare nelle decisioni dell'assessore Borsellino che peraltro salva con varie scuse i punti nascita di Mistretta, Nicosia, Pantelleria, Lipari, Bronte, Mussomeli, Petralia.;
   a Catania, al primo posto per stima dei parti previsti, c’è l'Ospedale «Garibaldi» con 2999 nascite. A seguire:
    «Cannizzaro» con 1179;
    «S. Bambino» 3091;
    Policlinico «Rodolico» 428, con un numero di parti inferiore al punto nascite Paternò;
   Caltagirone 818;
   Biancavilla 530;
   Acireale 825;
   puntualmente, e proprio a questo fine, il «Patto per la Salute 2010-2012», tra Governo, le regioni e pubblic amministrazione e l'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 concordano nell'obiettivo per la «promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione della pratica del taglio cesareo» ed a questi stessi obiettivi fa riferimento il «Manuale» che l'Agenas ha ritenuto di promuovere;
   il criterio delle dimensioni si ripresenta anche nell'Accordo Stato-regioni del Dicembre 2010, nel quale è sancito in almeno 1000 nascite/anno lo standard cui tendere nel triennio, con una novità rappresentata dall'abbinamento per pari complessità di attività delle unità operative ostetrico – ginecologiche con quelle pediatriche;
   lo stesso Accordo preveda eccezioni. La possibilità di punti nascita con numerosità inferiore e comunque non al di sotto di 500 parti/anno, potrà essere prevista solo sulla base di motivate valutazioni legate alla specificità dei bisogni reali delle varie aree geografiche interessate con rilevanti difficoltà di attivazione dello STAM (servizi di trasporto assistito materno), sulla base di motivate valutazioni legate a specifiche condizioni geografiche;
   tali specifiche disagiate condizioni geografiche (zona pedemontana) e stradali sono presenti nell'area del distretto di Paternò;
   come da nota di stampa del 1 aprile 2013 il presidente Crocetta avrebbe telefonato al sindaco di Bronte Firrarello per confermargli il mantenimento del punto nascita del «Castiglione-Prestianni» di Bronte. Salvare Bronte significa, infatti, chiudere senza appello il reparto nascite del nosocomio paternese del «Santissimo Salvatore». La storia è tutta qua. Dalla Riforma Russo all'ottimizzazione dell'attuale giunta regionale si è, alla fine, giunti al dunque;
   il reparto negli anni scorsi è stato interessato da lavori di ristrutturazione molto costosi, e riaperto dal 2005, è dotato di un pronto soccorso ostetrico-ginecologico, di oltre 12 posti letto, di una sala operatoria, di una sala parto e pre-parto a due posti –:
   se tale decisione sia connessa all'attuazione del piano di rientro del deficit sanitario e se sia stata pertanto oggetto di valutazione da parte dei rappresentanti dei Ministri interrogati al tavolo tecnico e al comitato permanente. (4-02061)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS, FANTINATI, D'UVA, PINNA, MUCCI, PRODANI, DA VILLA, DELLA VALLE, PETRAROLI e CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale quadro normativo sulla regolamentazione dell'Agenzia nazionale per le nuove Tecnologie l'energia e lo sviluppo economico sostenibile sia riferibile alla legge n. 99 del 23 luglio 2009;
   suddetta legge in ottemperanza all'articolo 37 prevedeva a suo tempo l'insediamento del commissario e dei sub commissari, avvenuto il 15 settembre 2009, allorquando prese avvio l'Agenzia per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico (ENEA);
   come previsto dal quarto comma dell'articolo suddetto, un apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico, da adottare di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e sentite le Commissioni parlamentari competenti, concluderà il processo di definizione e di organizzazione dell'Agenzia e nelle more dell'emanazione di tale decreto ministeriale è stata imposta una struttura organizzativa commissariale ad avviso dell'interrogante assolutamente non idonea al conseguimento di configurazione strategica dell'ENEA e che a distanza ormai di 4 anni dall'emanazione del provvedimento definire transitoria pare un insulto alla ragione;
   allo stato dell'arte l'ENEA svolge attività di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico avvalendosi di competenze ad ampio spettro e di avanzate infrastrutture impiantistiche e strumentali dislocate presso i nove centri di ricerca e cinque laboratori di ricerca e che tali infrastrutture, oltre ad operare nell'ambito dei programmi dell'Agenzia, sono a disposizione del mondo scientifico e imprenditoriale del Paese con una notevole potenzialità di impatto sulle dinamiche di sviluppo industriale; un patrimonio di conoscenze spesso serbatoio di cervelli costretti a volare verso Paesi più sensibile al valore della ricerca;
   l'attuale configurazione ibrida dell'ENEA, divisa tra la sua peculiare missione di ricerca nell'ambito dell'Energia e le attribuzioni di servizio cui via via le sono state attribuite negli anni fino ad affievolire e a rendere assolutamente insufficienti le risorse ad essa destinate, abbia dimostrato talvolta di non rispondere alle finalità proprie della ricerca scientifica per una evidente mancanza di visione strategica interna e cronica mancanza di risorse altrimenti destinate;
   da più parti arrivano segnali sulla volontà dell'attuale Governo di non pervenire a una soluzione di riordino che faccia uscire l'ENEA dall'ultradecennale impasse determinato dalla evoluzione di una strategia energetica nazionale sempre in balia di interessi e correnti trasversali che stenta a recepire gli indirizzi determinati da un quadro energetico profondamente variato dal punto di vista dell'innovazione tecnologica in atto;
   in alcuni dei centri di ricerca, come quello della Casaccia, l'invasività di quell'oggetto misterioso rappresentato dalla SOGIN S.p.A. rende ormai impossibile l'operatività istituzionale del centro stesso e impossibile il suo rapporto con il territorio;
   ad avviso degli interroganti malgrado i proclami di facciata questo Governo ha continuato, allineandosi al passato, nel percorrere strada del taglio delle risorse e nella mancata riorganizzazione del sistema complessivo della ricerca italiana –:
   quali iniziative intenda porre in essere per:
    a) la definitiva uscita dell'ENEA dalla condizione di commissariamento ormai ultradecennale;
    b) una ricostruzione dell'ENEA attraverso una determinazione funzionale definita e definibile delle sue funzioni di ricerca con focalizzazione sulle attività energetiche da un lato e di rivisitazione supporto amministrativo e tecnico-consulenziale dall'altro, in particolare in riguardo alla sorte futura di tutte le unità di ricerca impegnate in progetti non direttamente riconducibili ad problematiche energetiche quali ad esempio:
    1) caratterizzazione, prevenzione e risanamento ambientale;
    2) biologia e biotecnologie;
    3) tecnologie, valutazione ambientale;
    4) innovazione sistema agro-industriale;
    5) nano materiali per dispositivi elettronici e sensori;
    6) conservazione del patrimonio artistico e culturale;
    7) geologia e osservazioni del sistema terra;
    8) ingegneria sismica;
    9) monitoraggio ambiente marino;
    10) sorgenti laser, fotonica e acceleratori di particelle;
    11) robotica;
    12) metrologia delle radiazioni ionizzanti;
   con ricollocamento non fisico ma organizzativo delle stesse presso Istituti di ricerca vigilati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e dal Ministero della salute, attraverso una trasformazione dei centri attuali in poli di ricerca multi-istituzionali;
    c) definire in modo inequivocabile se la fusione termonucleare debba essere considerata inevitabilmente un'attività di ricerca «energetica» di pertinenza dell'ENEA o se, più correttamente un'attività di ricerca di base che può essere meglio svolta all'interno dell'Istituto nazionale di fisica naturale;
    d) la definizione di una specifica missione dell'ENEA legata da una parte alla visione strategica della politica energetica nazionale e dall'altra alla necessità che essa allacci i suoi rapporti con le realtà industriali che ad essa si rivolgono in un rapporto di interscambio tecnico-operativo;
    e) la disposizione per l'ENEA di adeguate risorse finalizzate alla ricerca, distinte da quanto è necessario per il sostenimento della sua attività amministrativa e tecnico-consulenziale istituzionale;
    f) una ridefinizione delle prerogative dell'ENEA in rapporto all'operatività della società SOGIN SpA con la ricostruzione di un organismo per la sicurezza nucleare che svolga funzioni di controllo ravvicinato delle operazioni della suddetta SOGIN S.p.A.;
    g) riconsiderare il quadro complessivo in un ottica di riorganizzazione del sistema della ricerca italiana e delle sue molteplici strutture operanti spesso in palese competizione tra loro nell'aggiudicarsi le scarse risorse a disposizione;
    h) fare definitivamente chiarezza sull'attuazione o meno di quanto disposto dalla legge 23 Luglio 2009 n. 99 e su quanto previsto dalla SEN vigente circa l'obiettivo di focalizzazione delle attività di ENEA sulle seguenti aree:
     1) tecnologie rinnovabili innovative, in particolare quelle su cui si parte già da una situazione di forza in cui l'Italia è ben posizionata come Paese, come quelle in ambito solare a concentrazione e dei biocarburanti di seconda generazione;
     2) reti intelligenti (smart grids) settore emergente nel quale l'Italia ha recentemente consolidato la sua leadership coordinando la costituzione della partnership internazionale ISGAN (International Smart Grids Action Network);
     3) sistemi di accumulo, anche in ottica di mobilità sostenibile;
     4) la ricerca su materiali e soluzioni di efficienza energetica e il loro trasferimento tecnologico;
     5) cattura e confinamento della CO2;
     6) sicurezza e studi sui reattori nucleari a fissione di IV generazione;
     7) fusione nucleare («ITER»).
(5-01117)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PICCONE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del comune di Celano (L'Aquila) lo stabilimento Trafilerie – Zincherie di Celano – L'Aquila – (gruppo Pittini – Ferriere del Nord – di OSOPPO) è in piena crisi;
   le difficoltà che sta vivendo si inseriscono in un quadro più vasto di crisi aziendali nell'intero territorio provinciale già pesantemente provato dal sisma del 2009;
   per la Marsica, l'annunciata chiusura di questo sito industriale, costituisce un ulteriore aggravio della situazione economica ed occupazionale;
   nel 2010 c’è stato un passaggio di consegne dello stabilimento di Celano, dal prestigioso marchio Officine Maccaferri di Bologna, al Gruppo Pittini, attraverso un accordo sindacale siglato presso il Ministero dello sviluppo economico, contenente le garanzie produttive e occupazionali concordate;
   dopo appena 3 anni, la Pittini, a giudizio dell'interrogante, reticente sotto il profilo della presentazione di un serio piano industriale, ha comunicato la cessazione delle attività con la conseguente messa in mobilità delle 86 maestranze, scaricando le colpe sulla crisi del mercato di riferimento e sull'elevato costo energetico;
   lo stabilimento di Celano rappresenta un vanto dell'intero territorio marsicano, quando dal 1977 assunse nel tempo elevate specializzazioni nelle lavorazioni di filo (rivestimenti in zinco, Galfan, pvc), fino al 1998, anno in cui ci fu l'ampliamento con la costruzione della trafileria e della zincheria che, di fatto, ampliarono la gamma di prodotti impiegati, tanto nell'industria, quanto in agricoltura, in Italia e all'estero;
   nulla è stato fatto, dopo il passaggio tra le due aziende, per portare lo stabilimento ad un livello di autosufficienza, utilizzando tecnologie avanzate, limitando, nei fatti, la capacità produttiva;
   durante le recentissime trattative sindacali, è emersa l'indisponibilità della proprietà di cedere a terzi probabilmente per un disimpegno industriale;
   il 25 settembre 2013 presso la sede di Confindustria dell'Aquila, la Trafilerie – Zincherie di Celano, ha comunicato a FIM-FIOM-UILM e alla Rappresentanza sindacale unitaria, in modo irrevocabile, la chiusura del sito e l'apertura dello stato di mobilità con conseguente licenziamento delle 86 unità a partire dal 1o gennaio 2014 –:
   quali iniziative intendano intraprendere su questa vicenda e se non ritengano doveroso riaprire un tavolo di trattativa volto a raggiungere un accordo per la riattivazione dello stabilimento di Celano, al fine di poter riavviare ed eventualmente riconvertire lo stabilimento stesso e non aggravare ulteriormente la crisi occupazionale nel territorio della Provincia di l'Aquila. (4-02055)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   diverse imprese denunciano da mesi il verificarsi di pratiche ingannevoli compiute ai loro danni;
   la società Kuadra Srl ha inviato a molte imprese iscritte alla camere di commercio dei bollettini postali relativi all'adesione ad una proposta commerciale con messaggi ambigui, tali da indurre i destinatari della proposta in inganno;
   nei bollettini appare la seguente dicitura: «Quota d'iscrizione – l'iscrizione è obbligatoria, per le ditte iscritte a: Camera di commercio, Industria Agricoltura e Artigianato, qualora si desideri usufruire dei servizi offerti, totalmente detraibili ai fini IVA. L'accettazione della nostra proposta e l'utilizzo del nostro portale multiservizi ha finalità esclusivamente commerciale e non surroga, né in alcun modo sostituisce gli adempimenti imposti dallo Stato italiano e/o dalla Pubblica Amministrazione in tema di iscrizione al Registro delle Imprese (C.C.I.A.A. e quant'altro) ed in tema di esazione di diritti dovuti per legge»;
   la camera di commercio è intervenuta ribadendo la propria estraneità a tale iniziativa e ricordando che l'unico tributo da corrispondere all'ente, tramite modello F24, è quello relativo al diritto annuale;
   il pagamento per l'iscrizione al portale multiservizi, non sembra quindi un diritto effettivamente dovuto ma esclusivamente un costo di inserimento ad un portale, tra l'altro non obbligatorio;
   la società Kuadra, con sede a Napoli, sembra abbia negato ogni coinvolgimento nella vicenda, dichiarandosi essa stessa parte lesa;
   servirebbe un chiarimento sulla vicenda anche per capire se il comportamento dell'azienda possa rappresentare un illecito ai danni delle imprese coinvolte –:
   di quali elementi disponga il Ministro in relazione a quanto esposto in premessa;
   se intenda adottare iniziative normative al fine di contrastare pratiche come quelle descritte ed eventualmente prevedere forme di ristoro economico per le imprese danneggiate. (4-02065)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Lenzi e altri n. 2-00236, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cominelli.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rigoni n. 5-00581, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 luglio 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manfredi.

  L'interrogazione a risposta scritta Scanu e Mura n. 4-01754, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Giovanna Sanna.

  L'interrogazione a risposta scritta Garavini ed altri n. 4-02040, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 2 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fedi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Scanu n. 4-01754, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 73 del 9 settembre 2013.

    SCANU e MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 4 settembre 2013 è stato nominato il commissario dell'autorità portuale del nord Sardegna, costituita dai porti di Golfo Aranci, Olbia e Porto Torres;
   la nomina del commissario è avvenuta dopo la proroga di 45 giorni del presidente uscente, ed è stata fatta in luogo della normale procedura di nomina del presidente attraverso la ricerca delle opportune intese sulla base delle terne dei soggetti interessati in base alla normativa prevista dalla legge n. 84 del 1994;
   il 26 settembre 2013 con sentenza n. 04768/2013 REG. PROV. COLL. n. 08214/2012 REG. RIC., il Consiglio di Stato ha stabilito l'illegittimità dell'atto di designazione del presidente dell'autorità portuale di Cagliari per carenza di competenze –:
   quali siano i motivi che hanno indotto il Ministro a procedere alla nomina di un commissario invece che alla nomina del presidente secondo le procedure previste dalla legge dopo 45 giorni di proroga al presidente uscente;
   quali siano le ragioni che hanno portato ad individuare il commissario all'interno delle terne indicate da un ente locale piuttosto che nella figura di un tecnico del Ministero o tra esperti provenienti dalle capitanerie;
   quali siano le ragioni che hanno portato alla scelta del commissario individuato che, secondo le notizie giornalistiche, sarebbe privo dei requisiti previsti dalla legge e quali siano invece i titoli scolastici, professionali e di esperienza specifica;
   per quale motivo, se fosse vero che il commissario non ha i requisiti previsti dalla normativa per fare il presidente dell'autorità, il Ministro abbia ritenuto di doverlo indicare in una funzione commissariale che comporta maggiori competenze e responsabilità perché agisce in assenza degli organismi ordinari, come il comitato portuale;
   se il Ministro non ritenga, in base a quanto previsto dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 04768 del 26 settembre 2013, agire in autotutela e revocare la nomina del commissario dell'autorità portuale del nord Sardegna. (4-01754)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio n. 4-01021 del 26 giugno 2013;
   interpellanza urgente Migliore n. 2-00213 del 17 settembre 2013;
   interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00228 del 24 settembre 2013;
   interpellanza urgente Donati n. 2-00230 del 25 settembre 2013;
   interpellanza urgente Giancarlo Giorgetti n. 2-00239 del 2 ottobre 2013.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Braga e altri n. 4-00268 del 29 aprile 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01135;
   interrogazione a risposta scritta Braga e Guerra n. 4-01045 del 27 giugno 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01134;
   interrogazione a risposta scritta Braga n. 4-01102 del 2 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01133;
   interrogazione a risposta scritta Lombardi e D'Ambrosio n. 4-01484 del 29 luglio 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01125;
   interrogazione a risposta scritta Lombardi e D'Ambrosio n. 4-01550 del 1o agosto 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01126;
   interrogazione a risposta scritta Braga n. 4-01571 del 5 agosto 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01132;
   interrogazione a risposta scritta Lombardi n. 4-01631 del 7 agosto 2013 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01127;  

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BARONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la metà della ricerca italiana, in particolare quella che si riferisce ai settori delle scienze umanistiche e sociali, ha bisogno delle biblioteche e di tutti i supporti bibliotecari;
   per tutti coloro che hanno incarichi didattici e amministrativi, nelle università, l'attività di ricerca basata sulla documentazione reperibile presso le biblioteche, si svolge, in particolare, in modo intenso, proprio nei mesi estivi;
   la biblioteca nazionale di Roma, per il periodo estivo osserva il seguente orario: dal 15 luglio al 10 agosto e dal 26 al 31 agosto: lunedì-sabato: 8.30-13.30; la distribuzione del materiale librario:lunedì-venerdì: 9.00-12.00 Sabato: a seconda del periodo tre le ore 9.30 e le ore 11.30; dal 12 24 agosto: lunedì-sabato: 10.00-11.00;
   all'interrogante e a numerosi colleghi è accaduto di partire in agosto per lavorare in luoghi in cui è possibile trovare aperte importanti biblioteche, infatti l'interrogante ha potuto personalmente verificare che la Bibliothèque Nationale di Parigi, i periodi di chiusura sono di soli quattro giorni all'anno: natale, capodanno, pasqua e la festa nazionale del 14 luglio;
   appare all'interrogante incredibile che non sia possibile un sistema di turni, rotazioni, sostituzioni in modo da permettere l'apertura normale e continuativa della biblioteca nazionale di Roma –:
   quali iniziative intenda avviare al fine di rendere accessibile anche nel periodo estivo e in maniera continuativa la biblioteca nazionale di Roma al pari di quello che accade per le più importanti biblioteche nazionali europee come nel caso della biblioteca di Parigi. (4-01249)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede quali iniziative questa amministrazione intenda avviare per rendere accessibile in maniera continuativa anche nel periodo estivo, al pari delle più importanti biblioteche nazionali europee, la Biblioteca nazionale centrale di Roma, il cui orario nel periodo compreso tra il 15 luglio e il 31 agosto è limitato al solo servizio antimeridiano, ulteriormente limitato a una sola ora nel periodo 12-24 agosto, si precisa quanto segue.
  In merito alla chiusura annuale, cui corrisponde l'orario ridotto ad un'ora giornaliera, osservato dalla biblioteca nel periodo compreso tra il 12 e il 24 agosto, si precisa che essa è disciplinata dall'articolo 28 del decreto del Presidente della Repubblica 5 luglio 1995, n. 417, «Regolamento recante norme sulle biblioteche pubbliche statali», che consente al direttore di disporre la chiusura al pubblico dell'istituto per non più di due settimane nel corso dell'anno allo scopo di effettuare interventi di revisione e riordinamento, nonché di prevenzione, conservazione o restauro.
  L'orario estivo della Biblioteca è stato definito in base ad elementi oggettivi e concreti, che hanno tenuto obbligatoriamente conto di situazioni contingenti e ricorrenti, quali la chiusura estiva degli atenei universitari (con conseguente minore afflusso di studiosi e ricercatori), l'obbligo contrattuale di concedere almeno quindici giorni di ferie ininterrotte al personale nel periodo estivo, la riduzione dell'organico dalle 398 unità originarie, previste nel 1997, alle 195 attualmente in servizio, equivalente a una diminuzione di oltre il 50 per cento un quindicennio. Tali elementi hanno concorso a determinare una inevitabile contrazione dell'orario e dei servizi.
  Gli attuali livelli di funzionamento della biblioteca nazionale centrale di Roma sono garantiti non solo da un sistema di utilizzo a rotazione dello scarso personale disponibile, ma anche da una serie di misure organizzative e di supporti tecnologici, che non possono, però, reintegrare le 203 unità cessate dal servizio.
  Nel complesso, malgrado i consistenti tagli operati sulla dotazione finanziaria della biblioteca per il funzionamento negli ultimi dieci anni (nell'anno 2002 era pari a 2.797.000 euro, ridotta a 1.022.972 euro nel 2013) ed il progressivo depauperamento delle risorse umane, la biblioteca ha continuato ad assicurare l'apertura consueta dalle ore 8.30 alle 19.00, dal lunedì al venerdì, e dalle ore 8.30 alle 13.30 il sabato.
  Inoltre, per andare incontro alle esigenze dell'utenza, da oltre tre anni è stata istituita la procedura telematica delle richieste del materiale librario per la consultazione, il prestito e la riproduzione: tramite il sito web della Biblioteca l'utente può effettuare le prenotazioni da qualunque accesso ad internet e ritirare i documenti prenotati anche nell'orario di chiusura della distribuzione.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   BATTELLI, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, MARZANA, BRESCIA e D'UVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   una delibera commissariale della SIAE, datata 15 novembre 2011, in presunta conformità al mandato presidenziale di risanamento economico della società, ha modificato il Fondo di solidarietà, interrompendo dall'oggi al domani l'erogazione degli assegni di professionalità dell'importo di 615 euro mensili;
   gli autori italiani avevano acquisito il diritto agli assegni di professionalità, accantonando i loro soldi versati negli anni con il 4 per cento dei proventi maturati;
   da decenni gli autori considerano i sussidi erogati dal Fondo di solidarietà un diritto acquisito, sul quale contare per compensare in età avanzata la mancanza di regolari entrate da lavoro – comunque precario ad ogni età – o l'assenza di pensione, a volte impossibile da ottenere per la difficoltà di raggiungere i requisiti per l'accesso alle prestazioni previdenziali;
   la condizione di insicurezza economica riguarda la stragrande maggioranza dei beneficiari del Fondo di solidarietà e, con la firma della delibera, il loro diritto ad un sostegno economico, per altro piccolo, è stato totalmente cancellato con effetto immediato. Con esso la polizza assicurativa collettiva collegata al Fondo;
   si tratta di autori di musica, teatro, radio, cinema, televisione, ma anche di vedove e orfani di professionisti che hanno fatto la storia della cultura e dello spettacolo italiani; ci sono anziani e disabili; alcuni sono personaggi noti ancora sulla cresta dell'onda, tanti sono coloro in prossimità di uscire dal mercato del lavoro;
   gli «artisti», si erano organizzati attraverso la Siae, che tratteneva una percentuale dai diritti d'autore costituendo un Fondo di solidarietà, alimentato in maniera più consistente dai più fortunati, per garantire un piccolo assegno mensile per gli anni più difficili, perché il mestiere dell'autore è fatto di alti e bassi; in tal modo sono riusciti ad accantonare ben 87 milioni di euro; considerato che il fondo che si erogava ammontava a circa 10 milioni di euro all'anno, erano disponibili fondi per la copertura di 9 anni, anche sufficienti nella gradualità per eventuali allargamenti della platea dei richiedenti;
   inoltre, gli autori criticano duramente che sia la sola gestione commissariale a decidere il nuovo utilizzo dei circa 87 milioni del Fondo di solidarietà, in quanto questi soldi, frutto del versamento di una percentuale dei diritti di ogni autore (il 4 per cento) e di ogni editore (il 2 per cento), a scopo solidaristico, debbano essere per decisione commissariale solo parzialmente usati a tale scopo e per il resto genericamente utilizzati a «favore degli autori»;
   sarebbe senz'altro più opportuno che spettasse a chi, per imposizione statutaria, ha versato questi soldi, decidere se chiederne la restituzione o stabilirne un differente e dettagliato utilizzo;
   pur comprendendo e condividendo le finalità di «risanamento e rifondazione» della SIAE contenute nel mandato presidenziale e concordando che il regolamento del Fondo vada riformato per non contravvenire alle leggi normative delle casse previdenziali, si contesta l'affermazione della gestione commissariale che l'erogazione dei sussidi, una volta estesa a tutti gli autori professionisti, non sia sostenibile dal Fondo stesso e dunque dannosa per la SIAE;
   la questione è stata a lungo vagliata da un comitato di autori ed esperti, in precedenza incaricato della stesura di un nuovo regolamento per il Fondo; regolamento oggi non accettato dagli organi di vigilanza, nonostante i loro rappresentanti seduti nel consiglio di amministrazione, per anni abbiano condiviso le discussioni sull'argomento senza mai sollevare eccezioni di illegittimità;
   sarebbe auspicabile che si tenga conto delle indicazioni fornite da questo regolamento, efficace in senso economico e rispettoso della finalità di mutua assistenza, per cui autori più fortunati offrono sostegno a colleghi professionisti, nella comune consapevolezza che si tratta di un lavoro precario e sempre suscettibile di alterne fortune; in attesa, ovviamente, che anche per gli autori arrivi finalmente il tempo di una legge che ne garantisca ammortizzatori sociali e welfare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione esposta in premessa e di come intendano adoperarsi affinché venga annullata la delibera relativa al Fondo di solidarietà e sia restituita validità al vigente regolamento finché organi sociali democraticamente eletti non provvedano tempestivamente alle modifiche più opportune, anche perché la SIAE ritorni al più presto alla gestione ordinaria, durante la quale le esigenze e i diritti degli autori vengano rispettati. (4-01507)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali interventi intendano attuare i ministri interessati affinché venga annullata la delibera del 15 novembre 2011 con cui i commissari della Siae modificavano il funzionamento del fondo di solidarietà, si precisa quanto segue.
  Come è noto, in seguito ad una recente grave crisi gestionale che non ha consentito agli organi deliberativi della Siae di statuire su argomenti di imprescindibile rilevanza per la vita dell'Ente, è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 9 marzo 2011 di nomina del Commissario straordinario della Siae e di due sub commissari (incarichi confermati fino al 30 novembre 2012, con decreto del Presidente della Repubblica del 5 aprile 2012, ed ancora fino al 31 marzo 2013, con decreto del Presidente della Repubblica del 23 novembre 2012), al fine di evitare l'ulteriore aggravamento della paralisi gestionale e di adottare gli atti necessari ad assicurare il risanamento finanziario e l'equilibrio economico gestionale della Società. Il commissariamento, come si legge nel relativo decreto, era finalizzato ad «adottare le misure preordinate all'instaurarsi di una dialettica interna più equilibrata, anche attraverso l'introduzione delle modifiche statutarie idonee ad assicurare una effettiva rappresentatività in seno agli organi sociali della Siae ai titolari dei diritti in rapporto ai relativi contributi economici nonché, attraverso eventuali altre modifiche che dovessero emergere come necessarie e idonee a garantire la funzionalità della società, anche con riferimento alle modalità di costituzione e funzionamento degli organi deliberativi».
  In considerazione del tenore del predetto incarico, la gestione commissariale ha, quindi, indirizzato la propria attività verso il perseguimento degli obiettivi decretati, provvedendo, in primo luogo, ad approvare il bilancio preventivo 2011, attività propedeutica all'attuazione del piano strategico 2010-2013, la cui adozione era stata considerata dal Collegio dei revisori dell'ente come indispensabile per un adeguato risanamento economico-finanziario della Società, nonché a concepire le modifiche statutarie ritenute necessarie secondo quanto declinato nel provvedimento di nomina.
  Fra queste, la gestione commissariale ha individuato la riformulazione delle disposizioni statutarie inerenti il fondo di solidarietà e l'adozione del relativo regolamento, che si inseriscono, quindi, nel più ampio spettro degli interventi idonei ad «assicurare il risanamento finanziario e l'equilibrio economico gestionale della società», per una serie di circostanze esplicitate ed adeguatamente motivate dal commissario straordinario nella delibera n. 86 del 15 novembre 2011.
  Tale provvedimento, attraverso la modifica dell'articolo 20 e l'abrogazione dell'articolo 20-bis e del comma 3 dell'articolo 23 dello Statuto allora vigente, ha inteso, da un lato, ricondurre le prestazioni erogabili dal fondo di solidarietà nell'alveo di quelle compatibili con la disciplina dettata dalla normativa in materia previdenziale, nonché con le finalità istituzionali statutarie del fondo stesso, dall'altro scongiurare il disequilibrio finanziario del fondo provocato, in gran parte, proprio della tipologia delle prestazioni fino allora erogate, in relazione all'inevitabile incremento della popolazione di beneficiari conseguente alla decisione del Consiglio di Stato n. 97 del 1992, relativa alla illegittimità della distinzione tra soci ed iscritti per cui le prestazioni del fondo, che erano rivolte solo ai soci e non anche agli iscritti, dovevano essere prestate anche nei confronti di questi ultimi.
  Appare utile evidenziare come dalla nota esplicativa inoltrata dal direttore generale della Siae alle amministrazioni vigilanti in occasione della trasmissione della citata delibera n. 86 del 2011, si evinca chiaramente che il peso del Fondo di solidarietà sulla gestione finanziaria della Siae, qualora la gestione commissariale non fosse intervenuta, sarebbe stato tale da non garantire la sopravvivenza del fondo stesso oltre l'anno 2013.
  Il fondo di solidarietà, inoltre, non è dotato di una personalità giuridica distinta e la circostanza che per esso sia previsto un regime di contabilità separata rispetto alla Siae non equivale a limitare la responsabilità dell'Ente in ordine alle obbligazioni relative al fondo. Degli eventuali squilibri patrimoniali e delle deficienze di cassa del Fondo stesso, infatti, sarebbe chiamata a rispondere la Siae, in virtù del principio generale di responsabilità patrimoniale di cui all'articolo 2740 del codice civile.
  A ciò si aggiunga, infine, che le operazioni condotte dalla gestione commissariale, oltre a rappresentare il puntuale adempimento dell'incarico governativo, sono state attuate in adesione ad un quadro normativo che non prevede più la libera costituzione di forme di «assistenza privata» di tipo anche previdenziale e che, prima con l'intervento del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, poi con il decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, ha espressamente sancito il divieto di esercizio dell'attività previdenziale senza autorizzazione della Covip, autorità che ha il compito di garantire ed assicurare la trasparenza e la correttezza nella gestione e nell'amministrazione dei fondi pensione.
  Il fondo di solidarietà degli associati Siae non soggiaceva a nessuno dei citati protocolli di verifica, né a quelli previsti per gli Istituti di previdenza obbligatoria, ancorché privatizzati. Attraverso l'operazione condotta sul fondo, la gestione commissariale ha modificato la tipologia delle prestazioni erogabili, riconducendole nel novero di quelle solidaristiche, come previsto dall'articolo 20 del vecchio Statuto e come confermato dal tenore dell'articolo 1 dello Statuto recentemente approvato.
  Quanto appena esposto ha, peraltro, trovato conferma nella sentenza n. 6957 dell'11 luglio 2013, con la quale il Tar del Lazio, Sezione III, ha respinto il ricorso proposti da svariati autori sul fondo di solidarietà, confermando la legittimità dei provvedimenti adottati dalla gestione commissariale dell'ente.
  Tuttavia, fermo restando che le amministrazioni vigilanti esercitano le loro funzioni in ambiti ben delimitati dalla legge n. 2 del 2008, da specifiche disposizioni normative e dall'attuale Statuto dell'ente, non può non condividersi l'auspicio che la questione dell'attuale conformazione della disciplina della previdenza per la categoria degli autori possa trovare adeguata risoluzione, conformemente però a quanto previsto dalla normativa in materia.
  Già durante la gestione straordinaria, l'appello degli autori aveva trovato voce nella delibera n. 34 del 2012 con la quale il Commissario straordinario determinava di «dare mandato ai sub commissari di avviare, d'intesa con il direttore generale, la consultazione delle associazioni, al fine di promuovere la possibile istituzione di un fondo pensioni per la previdenza complementare degli autori associati Siae.
  Tale possibilità trova conferma nell'articolo 2, comma 3 dell'attuale Statuto della Siae, approvato dalle autorità di vigilanza con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 novembre 2012, laddove si prevede che il regolamento del fondo di solidarietà possa, entro determinati limiti, stabilire erogazioni a favore di fondi pensioni o di enti previdenziali costituiti tra gli autori.
  Infine, è utile ricordare che l'attività dei commissari straordinari della Siae si è conclusa lo scorso 31 marzo 2013 e che, dunque, attualmente la Siae è già tornata a quella gestione ordinaria con organi democraticamente eletti auspicata dall'interrogante.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   MASSIMILIANO BERNINI, LUPO, L'ABBATE, GAGNARLI, BENEDETTI, D'UVA, MARZANA, LUIGI GALLO, VACCA, FRUSONE, CRISTIAN IANNUZZI, NICOLA BIANCHI e PARENTELA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   gli affreschi rinvenuti nel 1857 nella tomba Fran fcois a Vulci, nel territorio del comune di Canino, sono considerati unanimemente dalla comunità scientifica internazionale una delle testimonianze più grandiose e significative della civiltà etrusca;
   tali affreschi furono fatti staccare poco dopo la scoperta dalle pareti d'origine dai Torlonia, allora proprietari del fondo, e furono trasportati a Roma, in una delle sedi della famiglia;
   i preziosi reperti non sono mai stati liberamente fruibili al pubblico (se si esclude la mostra presso il castello di Vulci per alcuni mesi del 2004) e alla comunità scientifica. Quel che è peggio, sono stati conservati in maniera indecorosa in un magazzino seminterrato esposti alla luce a alla polvere.
   una sentenza della Corte di Cassazione (n. 2284, Sez. III penale del 27 aprile 1979) censurava il comportamento dei Torlonia in merito alla conservazione degli affreschi e di tutta la collezione d'arte, concludendo che «un simile tesoro d'arte va difeso con la rigorosa applicazione delle leggi» e che «il privato che abbia disperso o distrutto una cosa artisticamente protetta, e che non sia quindi suscettibile di riduzione in pristino, è condannato al pagamento in favore dello Stato di una somma pari al valore della cosa perduta o della diminuzione di valore subìta per effetto del suo comportamento»;
   tale sentenza è rimasta incredibilmente inapplicata e ci risulta che gli affreschi giacciono ancora oggi ammassati insieme ad altre opere d'arte nello stesso seminterrato;
   il codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42) all'articolo 20 comma 1, stabilisce che: «I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione»;
   gli affreschi della tomba Fran fcois appartengono idealmente alla comunità di Canino e il loro trasferimento ed esposizione nei luoghi d'origine costituirebbe un grande volano per lo sviluppo del turismo del territorio –:
   se il Ministro interrogato intenda finalmente dare applicazione alla succitata sentenza di Cassazione e alle leggi vigenti in materia di beni culturali e quali altre iniziative intenda assumere per mettere a disposizione del pubblico questi beni di grande bellezza e straordinario valore culturale, malamente conservati dall'amministrazione Torlonia. (4-00928)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame con la quale l'interrogante chiede informazioni in merito alle modalità di conservazione degli affreschi rinvenuti nella tomba François a Vulci e su quali eventuali iniziative saranno assunte per mettere a disposizione del pubblico questi straordinari beni culturali, si comunica quanto segue.
  La monumentale tomba François, situata nella necropoli vulcente di Ponte Rotto, è stata scoperta nel 1857, mentre il ciclo di dipinti che ne ornavano l'atrio e il tablino è stato staccato nel 1863 per iniziativa dei principi Torlonia, allora proprietari del monumento. Attualmente il ciclo è conservato in un salone della Villa Albani Torlonia, più precisamente nella Diaeta del Kaffeehaus, ed è attualmente visitabile dietro richiesta da rivolgere all'amministrazione Principe Torlonia.
  Nel mese di maggio 2013 è stato eseguito un sopralluogo da parte di funzionari responsabili dell’«Istituto superiore per la conservazione e il restauro», che ha tra i suoi fini istituzionali la promozione e l'espletamento di attività di ricerca, la progettazione, la sperimentazione e la verifica nel campo della tutela dei beni culturali. I funzionari hanno verificato che le condizioni ambientali del locale non sembrano determinare situazioni di rischio e che il luogo di conservazione, per quanto riguarda l'umidità e la temperatura, risulta controllato attraverso l'uso di un termoigrografo.
  Le raccomandazioni relative alla conservazione, emanate dal suddetto istituto, di concerto con la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma, sono state, pertanto, recepite e attuate dagli attuali detentori e proprietari delle opere.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 189 del 2002 meglio conosciuta come legge Bossi-Fini prevede che ogni anno vengano stabilite delle quote d'ingresso per lavoratori stranieri extra Unione europea stagionali da impiegarsi nel settore agricolo e turistico;
   anche per l'anno in corso, con decreto del Consiglio dei ministri del 15 febbraio 2013 sono state fissate le quote di lavoratori stagionali e pluriennali extracomunitari che possono fare ingresso nel nostro Paese;
   tale decreto riserva alla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il compito di ripartire a livello regionale le quote di lavoratori accordate;
   con la circolare del 26 marzo 2013 della suddetta direzione generale sono stati previsti 30.000 ingressi per il settore agricoltura;
   per la regione Lombardia sono previsti 480 ingressi in quota stagionale, di cui 240 nella sola provincia di Mantova, e 200 stagionali pluriennali, di cui 80 nella provincia di Mantova –:
   se prima di determinare le quote siano stati attivati e consultati i consigli territoriali per l'immigrazione;
   se non si ritenga opportuno, per la determinazione delle quote, verificare la disponibilità di lavoratori, locali ed immigrati, già iscritti a liste di disoccupazione o in mobilità;
   se non si ritenga di dover promuovere a livello territoriale un piano annuale per il lavoro stagionale, frutto di intesa tra organizzazioni di categoria e organizzazioni sindacali. (4-00522)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con cui si chiedono chiarimenti in merito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente la programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori non comunitari stagionali per l'anno 2013, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto sopra riferito attribuisce le quote di ingresso di lavoratori non comunitari stagionali per l'anno in corso al fine di rendere disponibili i lavoratori indispensabili – in particolare, per le esigenze del settore agricolo e del settore turistico-alberghiero – nel limite della quota di 30mila unità da ripartire tra le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano.
  Nell'ambito della suddetta quota, 5mila unità sono riservate ai lavoratori non comunitari stagionali pluriennali che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale per almeno due anni consecutivi e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale.
  La suddetta quota riguarda i lavoratori subordinati stagionali non comunitari dei seguenti Paesi: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Egitto, Repubblica delle Filippine, Gambia, Ghana, India, Kosovo, Repubblica ex Jugoslava di Macedonia, Marocco, Mauritius, Moldavia, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Ucraina e Tunisia.
  Nell'ambito delle suddette quote è consentita anche la presentazione di domande a favore di lavoratori appartenenti a nazionalità non comprese nel suddetto elenco (articolo 1, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri) che siano già entrati in Italia per lavoro stagionale nell'anno precedente poiché tali lavoratori maturano un diritto di precedenza per il rientro in Italia nell'anno successivo per ragioni di lavoro stagionale in virtù dell'articolo 24 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e dell'articolo 38, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286).
  Come specificato nella circolare del 26 marzo del 2013 della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche d'integrazione, la ripartizione delle quote è stata predisposta sulla base del fabbisogno di manodopera stagionale non comunitaria segnalato, in fase di consultazione, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano, dalle Direzioni regionali del lavoro e dalle parti sociali a livello nazionale, sollecitati a farsi parte attiva per il miglioramento della qualità della programmazione e della gestione delle quote disponibili.
  La ripartizione delle quote è stata effettuata ricorrendo ad una media tra il numero dei nulla osta rilasciati e il numero dei contratti di soggiorno sottoscritti/permessi di soggiorno richiesti. Dal monitoraggio effettuato sulle quote effettivamente trasformate in rapporti di lavoro, sono emersi in più ambiti territoriali forti scostamenti tra le due grandezze che hanno segnalato la necessità di un intervento orientato a ridimensionare fenomeni di elusione della normativa in materia di rilascio del permesso di soggiorno. A fronte di fabbisogni locali che si rivelassero superiori alle quote disponibili a livello provinciale, le Direzioni territoriali del lavoro provvederanno a richiedere a questo Ministero ulteriori quote auspicando che tali richieste siano formulate a seguito di ampie consultazioni a livello locale di tutte le istituzioni e le parti sociali coinvolte.
  La Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche d'integrazione di questo Ministero provvede ad attribuire le quote direttamente alle Direzioni territoriali del lavoro tramite il sistema informatizzato Silen, ai fini del rapido rilascio dei nulla osta al lavoro da parte degli sportelli unici per l'immigrazione.
  Giova segnalare che questo Ministero, d'intesa con il Ministero dell'interno, sollecita da tempo le istituzioni locali e le parti sociali interessate, ad avviare forme di consultazione e di collaborazione permanenti volte a migliorare la programmazione e la gestione delle quote d'ingresso.
  Si evidenzia che sono in fase di attuazione le innovazioni normative recentemente introdotte (nulla osta pluriennale e silenzio assenso per le domande inoltrate dalle imprese per i lavoratori che hanno già lavorato in Italia negli anni precedenti) che possono consentire una più efficace programmazione e gestione delle quote d'ingresso per lavoro stagionale. A tal fine nel corso del 2013 si sono tenuti con le istituzioni e le parti sociali 12 incontri e ne sono in programmazione ulteriori 4.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMaria Cecilia Guerra.


   BUONANNO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il censimento 2011 generale della popolazione e delle abitazioni, primo censimento online, dove i questionari potevano essere compilati ed inviati anche via web, numera la popolazione italiana al 9 ottobre 2011 e i dati definitivi della popolazione legale di ogni comune italiano sono stati diffusi dall'Istat il 19 dicembre 2012;
   il comune di Volpiano (Torino) conta, ad oggi, secondo i dati risultanti da questo censimento, una popolazione di 14.998 abitanti;
   il dato tuttavia non trova corrispondenza con i dati dello stesso comune pubblicati sul sito web dell'Istat laddove la popolazione residente al 1° gennaio 2011 risultava essere pari a 15.097 unità, ovvero 99 in più rispetto al dato del censimento dello stesso anno;
   il sito web ufficiale del comune di Volpiano visualizza una apposita sezione dedicata al censimento Istat dove si rimanda anche ad alcuni link di siti internet dove si quantifica la popolazione del comune al 1° gennaio 2012 in 15.043 abitanti;
   il dato di 15.043 è confermato dalla stessa Istat che ad un preciso link web (http://demo.istat.it/bil2012/index.html) presenta i dati aggiornati della popolazione residente a Volpiano al 1° gennaio 2012 e quantificata, per l'appunto, in 15.043 unità;
   il comune di Volpiano, sempre sul sito web ufficiale, invita i propri cittadini, ovvero «tutte le persone non censite alla data del 9 ottobre 2011» e «visti i dati rilevati al 15° Censimento generale della popolazione del 9 ottobre 2011 e i dati contenuti nell'anagrafe della popolazione residente», chiaramente evidente lo scostamento tra i dati in possesso dell'ente presso l'Ufficio Anagrafe e i dati riportati al censimento Istat, «a presentarsi urgentemente, all'Ufficio Anagrafe di questo Comune per confermare il requisito della dimora abituale (residenza) oppure indicare in quale Comune siano state eventualmente censite»;
   l'amministrazione comunale di Volpiano, con delibera di giunta n. 5 del 17 gennaio 2013, «Determinazione indennità di funzione agli amministratori locali ai sensi dell'articolo 82 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 e s.m.i., del decreto ministeriale 4 aprile 2000, n. 119 e dell'articolo 1, comma 54, della legge n. 266 del 2005», ha fissato le indennità degli amministratori locali sulla base della popolazione residente al 31 dicembre 2011 e determinata in 15.372 unità, così che le indennità di funzione percepite dagli amministratori, fissate dalla Giunta Comunale pur in diminuzione rispetto agli importi previsti dal decreto ministeriale n. 119 del 2000 al fine di non gravare sulle risorse finanziarie dell'ente, mantengono inalterate le percentuali nei rapporti previsti per le diverse categorie di amministratori;
   l'attuale sistema elettorale prevede modalità diverse in base alla popolazione legale di un comune, e che nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti il sindaco viene eletto in un turno unico mentre nei comuni con popolazione oltre tale soglia il sistema prevede un turno di ballottaggio tra i candidati sindaci, qualora nessuno di essi ottenga la maggioranza assoluta dei voti validi –:
   se alla luce della difformità dei dati relativi alla popolazione residente a Volpiano ed in vista delle prossime elezioni amministrative, non ritenga opportuno adottare le iniziative all'interno delle proprie competenze per chiarire precisamente a quanto ammonti la popolazione di Volpiano così da valutare se sussistano difformità nell'utilizzo dei dati della popolazione a fini elettorali e a scopi di indennità di funzione degli amministratori. (4-01262)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede chiarimenti circa il preciso numero di residenti nel comune di Volpiano (Torino), alla luce dello scostamento tra quanto risultante dal censimento ISTAT 2011 (14.998 abitanti) e quanto riportato dal sito ufficiale del comune medesimo (15.043 abitanti), che a sua volta rimanda ad apposito link al sito ISTAT (http://demo.istat.it/bil2012/12 index.html).
  Il superamento della soglia dei 15.000 residenti, si fa notare, produce rilevanti conseguenze dal punto di vista amministrativo, incidendo sia sul sistema di elezione del consiglio comunale e del sindaco (doppio turno con ballottaggio in luogo del turno unico), sia sulle indennità di funzione spettanti agli amministratori.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 50 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, ha indetto e finanziato il 15° Censimento generale della popolazione e delle abitazioni, quale rilevazione che coinvolge la totalità della popolazione del Paese, delle abitazioni e degli edifici in un momento determinato.
  L'articolo 50 ha stabilito che l'Istat organizzi le operazioni censuarie attraverso il piano generale di censimento e apposite circolari. Il Piano generale di censimento, emanato con delibera presidenziale (deliberazione n. 6/PRES) il 18 febbraio 2011, ha fissato alla mezzanotte fa l'8 e il 9 ottobre 2011 la data cui riferire le informazioni censuarie relative alla popolazione residente e presente.
  Ai sensi della medesima disposizione è stato emanato il decreto del Presidente della Repubblica 6 novembre 2012, con il quale è stata determinata la popolazione legale del Paese, suddivisa per comuni, sulla base dei dati del censimento relativi alla popolazione residente alla mezzanotte fra l'8 e il 9 ottobre 2011.
  La popolazione legale del comune di Volpiano (Torino), in base al predetto decreto del Presidente della Repubblica ammonta a 14.998 residenti.
  Al termine dell'attività di confronto tra i dati rilevati al censimento e i dati contenuti nelle anagrafi (attività prevista dall'articolo 50, comma 2, lettera d), del decreto-legge n. 78 del 2010 e al paragrafo n. 7 del Piano generale di censimento), il bilancio contenente i relativi risultati, trasmesso all'ufficio di censimento del comune, riportava 15.015 persone censite come residenti, di cui 14.911 presenti nelle liste anagrafiche comunali e 104 censite ma non presenti nelle anzidette liste; inoltre, 418 persone risultavano irreperibili (cioè iscritte nelle liste anagrafiche comunali, ma non trovate al censimento).
  A seguito delle operazioni di validazione effettuate dall'ISTAT, sono state individuate:
   2 persone censite due volte nel Comune di Volpiano e quindi conteggiate una sola volta ai fini della determinazione della popolazione;
   45 persone censite sia nel comune di Volpiano che in altri Comuni. Per effetto delle regole di deduplicazione, 15 persone sono state conteggiate nella popolazione legale dell'altro Comune in cui sono state censite, mentre 30 persone sono state conteggiate nella popolazione legale di Volpiano.

  Sottraendo dai 15.015 censiti i 15 «doppi censiti» conteggiati in altri comuni e le 2 occorrenze delle 2 persone censite due volte, il dato della popolazione legale di Volpiano è stato quindi determinato in 14.998.
  Il dato di 15.043 abitanti, citato nel testo dell'interrogazione e riportato sul sito ISTAT delle statistiche demografiche (http://demo.istat.it), è riferito al 1° gennaio 2012; esso deriva dal ricalcolo della popolazione residente ottenuto aggiungendo al dato della popolazione legale (14.998 residenti) il bilancio dei movimenti anagrafici verificatisi successivamente alla data del censimento.
  Ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 (Nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente), i comuni sono tenuti ad effettuare l'operazione di revisione anagrafica post-censuaria. Si tratta dell'accertamento della corrispondenza quantitativa e qualitativa dei dati anagrafici con le risultanze del censimento generale della popolazione; ciò comporta, per il comune di Volpiano, la verifica dei 418 irreperibili al censimento e dei 104 censiti non iscritti nelle liste anagrafiche comunali. L'operazione, a seconda degli esiti, può portare alla cancellazione anagrafica o alla conferma di dimora abituale per gli irreperibili, oppure ad una nuova iscrizione di un censito non iscritto.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   CARIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto ha attualmente in organico 38 operatori in servizio di polizia; la pianta organica prevista nelle tabelle del decreto ministeriale 1989 è di 47 unità di personale che espleta servizio di polizia; questi uomini e donne operano su un territorio, urbano ed agricolo, fra i più vasti e popolati della provincia di Bari e con un indice di criminosità fra i più alti della regione intera; la popolazione residente nel comune di Bitonto è di circa 64.000 abitanti e risulta distribuita in tre centri abitati includendo le due frazioni di Palombaio e Mariotto distanti rispettivamente circa 10 e 15 chilometri dal centro città; a fronteggiare continui eventi delittuosi, che spaziano dai furti di auto e furti in abitazione, ai più gravi scontri a mano armata tra diversi clan malavitosi, vi sono, oltre agli uomini e donne del commissariato di pubblica sicurezza, circa 12 militari della locale stazione carabinieri e circa 16 finanzieri della locale tenenza della guardia di finanza (che operano anche su altre città limitrofe);
   è evidente che pur essendo possibile e realizzabile garantire la presenza di una pattuglia addetta al controllo del territorio nell'arco delle 24 ore, è anche vero che un così esiguo dispiegamento di forze non è sufficiente ad assicurare un livello ottimale di presenza su tutto il territorio comunale ed un adeguato e duraturo contrasto degli eventi criminosi oltre che una profonda azione preventiva che soffocano l'economia ed il vivere civile della città di Bitonto;
   ciò nonostante, il locale commissariato ha condotto negli ultimi giorni una operazione di polizia giudiziaria che ha attenuato una escalation di violenza tra pregiudicati che non disdegnano il confronto armato fra loro allo scopo di controllare il territorio e le «piazze di spaccio» di sostanze stupefacenti, culminata il giorno 2 luglio 2013 in una sparatoria in pieno centro urbano frequentato da numerosi cittadini esposti al rischio di ferimento da arma da fuoco; ne sono testimonianza i video diffusi dalla questura di Bari il giorno 11 luglio 2013 a seguito del fermo dei relativi protagonisti;
   è tuttavia probabile che quest'ultimo episodio possa determinare un notevole incremento della guerriglia armata nel territorio della città di Bitonto e frazioni;
   è altresì vero che i sistemi di videosorveglianza recentemente attivati hanno contribuito a portare a buon esito le indagini sull'episodio sopra citato, tanto che è stato richiesto al Ministero dell'interno (dipartimento della pubblica sicurezza), un incremento del numero di apparati da installare in altre zone al momento non servite da tale utile sistema di sicurezza e vigilanza elettronica;
   è fuori di dubbio che un adeguamento di organico e mezzi, anche ai livelli di quanto previsto dalla non recente decretazione ministeriale del 1989, gioverebbe al miglioramento della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica ed alla «copertura» ottimale di tutto il territorio di Bitonto e frazioni –:
   se il Ministro sia stato messo a conoscenza dell'intensificarsi di fenomeni criminosi nel comune di Bitonto e della provincia di Bari che hanno riguardato, nel recente passato, anche il tentativo di intimidazione di funzionari della pubblica amministrazione e di amministratori pubblici;
   quali provvedimenti intenda assumere a partire dal potenziamento dell'organico, dall'auspicabile insediamento di un avamposto di forze dell'ordine (nelle piazze principali delle due frazioni) e per il potenziamento del servizio di videosorveglianza in tutte le aree non ancora coperte da tale servizio;
   quali provvedimenti si intendano assumere al fine di intensificare le azioni di prevenzione e repressione condotte dalle forze di polizia nel centro urbano di Bitonto, di concerto con le amministrazioni locali ed in sinergia con tutte le forze dell'ordine presenti sul territorio.
(4-01251)

  Risposta. — Il comune di Bitonto occupa un territorio molto esteso, formato da un centro urbano abitato da 56.000 persone e due frazioni, Mariotto e Palombaio, con circa 3.000 abitanti ciascuna, distanti rispettivamente 15 e 8 chilometri. Negli ultimi anni l'area è stata soggetta a un notevole sviluppo demografico. La cittadina è situata in un contesto servito da una fitta rete viaria di arterie stradali a grande scorrimento e di numerosi collegamenti minori con i centri urbani vicini che la rendono un crocevia strategico per la malavita, non solo locale ma anche delle zone limitrofe.
  La Puglia, la città di Bari e la sua provincia registrano da circa un trentennio una presenza costante di gruppi mafiosi nel panorama criminale. La criminalità organizzata della provincia, in questo periodo storico, sta subendo un delicato passaggio, sia per effetto dello stato di detenzione di una buona parte delle figure criminali apicali, sia in conseguenza degli omicidi di alcuni esponenti di spicco. I sodalizi malavitosi «storici» di Bitonto sono ora inquadrabili in tre clan: i Cassano, i Cipriano e i Conte, dediti in prevalenza allo spaccio di sostanze stupefacenti, alle estorsioni e alle rapine ai danni di auto trasportatori.
  Come suffragato dai risultati di recenti attività info-investigative, i maggiori esponenti della malavita locale, sebbene siano in stato di detenzione carceraria, continuano a far pervenire direttive organizzative e gestionali ai sodali di nuova generazione e ancora in libertà. Ne consegue che i gruppi criminali, verosimilmente, potrebbero transitare sotto il controllo delinquenziale delle «seconde file», di giovane età, che allo stato, pur non essendo nelle condizioni di concepire strategie criminali vere e proprie, sono spesso coinvolte in gravi fatti di sangue.
  Per contrastare efficacemente tale situazione, la questura di Bari mantiene alta l'attenzione nei confronti di questa specifica realtà territoriale favorendo ogni sinergia operativa tra la sezione criminalità organizzata della squadra mobile e il personale del commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto.
  Nonostante l'intensificazione delle attività di controllo del territorio e la mirata azione investigativa di contrasto, concretatesi in importanti operazioni di polizia eseguite su disposizione del Tribunale e della Direzione distrettuale antimafia di Bari, che hanno contribuito all'azzeramento dei fatti di sangue più efferati nei primi mesi dell'anno in corso, per i reati cosiddetti predatori (rapine a mano armata e furti a danno di agricoltori e ambulanti) si è purtroppo registrato un incremento, con intenso interessamento delle zone periferiche e delle aree extraurbane del territorio di Bitonto. Ne è conseguito un fisiologico aumento dei reati connessi, quali la ricettazione e le lesioni dolose. Di contro, si è registrato un consistente decremento degli incendi dolosi, dei danneggiamenti e dei reati legati all'uso di stupefacenti.
  L'attività di contrasto delle Forze dell'ordine nel primo trimestre 2013 è stata particolarmente efficace e ha fatto registrare 108 delitti scoperti (104 nell'analogo periodo dell'anno precedente) e 188 persone denunciate o arrestate (159 nel primo trimestre 2012).
  Oltre all'azione di prevenzione e di repressione dei reati, le Forze di polizia sono impegnate quotidianamente in tutta la provincia di Bari per il sequestro dei beni e per la ricerca dei latitanti della criminalità organizzata, per lo svolgimento dei servizi connessi al fenomeno dell'immigrazione e, non ultimo, per il mantenimento dell'ordine pubblico, legato anche all'attuale crisi occupazionale. La lotta alla criminalità organizzata richiede, inoltre, sacrifici sempre maggiori agli operatori impegnati nella tutela e nella protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia della provincia barese, le cui famiglie scelgono spesso di continuare a vivere nella zona di origine.
  La situazione della criminalità, nel comune di Bitonto e nelle aree limitrofe ha formato oggetto nel tempo di numerosi comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, allargati anche a soggetti esterni all'amministrazione della pubblica sicurezza.
  Nello scorso mese di febbraio, a seguito dell'atto intimidatorio attuato contro un amministratore pubblico di Bitonto, destinatario di una missiva contenente un proiettile calibro 9, il Prefetto della provincia ha tempestivamente riunito il comitato al fine di adottare le necessarie misure tutorie in favore dell'interessato e della moglie, a sua volta vittima dell'incendio doloso della sua autovettura.
  Nell'incontro del 24 maggio 2013 dello stesso comitato, allargato anche al Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Bari e ai rappresentanti dei comuni di Bitonto, Giovinazzo, Palo del Colle, Ruvo di Puglia, Sannicandro, Terlizzi e Toritto, è stato fatto il punto sulla sicurezza pubblica nei territori dei comuni interessati ed è stata garantita la massima disponibilità a interventi mirati nello specifico alla repressione dei reati nelle campagne, con il coordinamento dell'azione sul territorio delle forze dell'ordine e il potenziamento dei servizi già effettuato dal comando dei Carabinieri di Bari per i comuni di Bitonto, di Palo del Colle e di Toritto.
  Il 5 settembre 2013 il comitato ha dedicato la riunione all'analisi dell'ordine e della sicurezza pubblica nel capoluogo e nella provincia, con particolare riferimento al comune di Bitonto, con un richiamo significativo alla sparatoria del 2 luglio 2013. I tre pregiudicati, autori del tentato omicidio, sono stati identificati e fermati dopo qualche giorno dal personale della squadra mobile di Bari e del locale commissariato di Polizia, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia.
  Durante la riunione si è dato atto del notevole sforzo messo in campo, anche questa volta, sul fronte investigativo dalle forze di polizia locali i cui organici risentono di una carenza importante, seppur minoritaria rispetto alla media nazionale.
  Si evidenzia che presso il commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto risaltano effettive 42 unità mentre la stazione dei Carabinieri e la tenenza della Guardia di finanza presentano una forza effettiva rispettivamente di 22 e 28 militari.
  La vigente normativa sulla riduzione della spesa pubblica e i tagli relativi al settore della sicurezza, hanno gravato notevolmente sulle nuove assunzioni del personale concesse limitatamente al cinquanta per cento dei pensionamenti per ciascuno degli anni 2013 e 2014, fino al settanta per cento per l'anno 2015 e soltanto a decorrere dal 2016 le assunzioni potranno essere pari al cento per cento dei pensionamenti.
  Nonostante ciò, il dipartimento della pubblica sicurezza ha disposto che nel periodo settembre-ottobre 2013, la polizia di Stato della provincia di Bari sarà incrementata di 86 unità e che il commissariato di Bitonto beneficerà del potenziamento di 5 operatori.
  In atto e fino al 31 dicembre 2013, è operativo un contingente di 166 militari delle Forze armate, che concorrono nelle attività di controllo del territorio ai sensi dell'articolo 7-bis decreto-legge n. 92 del 2008.
  Per ciò che concerne, infine, il sistema integrato di videosorveglianza territoriale e di monitoraggio del traffico veicolare, finalizzato al potenziamento dell'efficacia e dell'efficienza del controllo del territorio da parte delle Forze di Polizia e dell'ottimizzazione della capacità d'intervento ed impiego delle risorse, nel quadro del «PON Sicurezza», per l'intera Regione Puglia sono stati stanziati 46.668.902,73 euro.
  In particolare, nelle aree urbane sono acquisite e dislocate «telecamere di osservazione», «telecamere di contesto» e «lettori di rilevamento targhe e transiti» per un numero complessivo di 636 per l'intero territorio pugliese. Nello specifico, nella città di Bitonto sono stati installati 16 apparati, di cui 10 fissi e 6 rimovibili. I flussi video delle telecamere sono inviati di continuo per la visualizzazione e gestione operativa in loco, presso le questure e i comandi provinciali dell'Arma dei carabinieri. Inoltre, per le videosorveglianze a carattere locale, proposte con progetto dai comuni interessati, sono stati ammessi al finanziamento, per la Puglia, 29 progetti per un importo complessivo pari a 7.730.998,47 euro.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CATANOSO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è stata trasmessa dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, alle regioni e province autonome una proposta di modifica alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio», il cui esame da parte della competente X Commissione della conferenza delle regioni è imminente;
   si registra la drammatica assenza di applicazione attiva delle prioritarie finalità di tutela e conservazione delle specie animali selvatiche omeoterme espressamente previste dalla citata legge n. 157 del 1992, azioni che avrebbero dovuto costituire precondizione ineludibile alla successiva concessione e regolamentazione sostenibile del prelievo, di parte del patrimonio indisponibile dello Stato, quale mera attività del tempo libero;
   sussiste una evidente cresciuta correlazione, nel corso degli ultimi venti anni, tra la modalità italiana di gestione della caccia e i danni da fauna alle attività agricole fonte di crescente allarme sociale ed economico, come si evince dal fatto che oltre il 95 per cento dei danni sono causati da specie animali immesse a scopo venatorio (cinghiale, lepre e fagiano, in primis) che divengono così doppiamente vittime solo a causa di tale pessima gestione venatoria; 
   il nostro Paese è attualmente oggetto della fase conclusiva della procedura d'infrazione n. 2131/2006, solo in parte dei punti sanata con modifica normativa intercorsa nel 2010, ed in assenza di una efficace e completa risposta alla reiterata pessima applicazione da parte delle regioni italiane del prelievo in deroga ai sensi dell'articolo 9 della direttiva 147/09/CE sono imminenti la seconda condanna della Corte di giustizia europea e la relativa sanzione;
   l'Italia è oggetto di particolare osservazione da parte dell'Unione europea per quanto riguarda l'obbligo di garantire a tutte le specie di avifauna un soddisfacente stato di conservazione, altro punto fondamentale della medesima direttiva 147/09/CE, attraverso l'adozione di specifici piani di conservazione e gestione di tali specie, in assenza dei quali ne dovrebbe vietare ogni prelievo;
   la modifica della legge 11 febbraio 1992, n. 157, dovrebbe prioritariamente e urgentemente interessare la tutela attiva delle specie animali selvatiche, essendo radicalmente e drammaticamente mutate in peggio le condizioni, in termini di frammentazione di habitat, cambiamenti climatici, inquinamento, consumo di suolo che le popolazioni delle diverse specie di animali selvatici hanno dovuto affrontare in Italia negli ultimi venti anni;
   accanto a marginali misure positive, la proposta trasmessa dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali tende a dilatare tempi, luoghi e modi di caccia e, soprattutto, non reca nessuna urgente revisione alla modalità italiana di gestione del prelievo del patrimonio indisponibile dello Stato che renda effettiva, a distanza di oltre venti anni, la regolare, misurabile ed oggettiva sostenibilità dello stesso quale precondizione per la sua concessione, né pone seppur minime tutele passive, con un'azione in senso restrittivo all'elenco delle specie cacciabili e ai tempi della stagione venatoria;
   rimane infatti inalterata la possibilità di abbattere, per mera attività del tempo libero, tutte le 19 specie di uccelli selvatici che a livello europeo sono considerate in uno status di conservazione sfavorevole (SPEC2 e SPEC3);
   rimane inoltre immutata la possibilità di abbattere, per mera attività del tempo libero, le popolazioni naturali di avifauna nelle fasi biologicamente delicate e fondamentali per la loro sopravvivenza, durante il periodo di migrazione, di nidificazione e dipendenza della prole autorizzandole regolarmente, anche se in modo che all'interrogante appare illegittimo, attraverso incoerenti ed inadeguati calendari venatori regionali;
   di peggio, ritiene opportuno concedere a tale pessima gestione venatoria italiana, per quello che all'interrogante appare mero diletto nel tempo libero, di abbattere una parte fondamentale del patrimonio indisponibile dello Stato, rappresentato da cervi, caprioli, daini, mufloni e cinghiali, tutto l'anno senza limiti temporali, nei momenti di maggiore difficoltà climatico-trofiche, ossia in presenza di superficie completamente coperta da neve, e financo nelle oasi di protezione della fauna;
   infine la proposta trasmessa dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ignora completamente anche le ultimissime valutazioni tecnico-scientifiche ampiamente illustrate dall'ISPRA nella «guida per la stesura dei calendari venatori ai sensi della legge n. 157/92, così come modificata dalla legge comunitaria 2009, articolo 42», per cui risulta incomprensibile che tale proposta trasmessa sia stata concordata con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e l'ISPRA stesso, in un apposito tavolo di lavoro, così come, scritto nella lettera di accompagnamento –:
   se l'iniziativa di cui in premessa di «riforma» della legge 11 febbraio 1992, n. 157, sia stata concordata tra i Ministri interrogati;
   se ritengano rendere note le relazioni tecniche-scientifiche dei rispettivi uffici e dell'ISPRA da cui si evinca che le modifiche proposte alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, sono, in toto, concordate, e soprattutto che emergano quali modifiche più urgenti ed indispensabili per dare piena attuazione alle convenzioni internazionali, alle direttive europee e alle prioritarie finalità di tutela della fauna selvatica enunciate dalla stessa legge oltre venti anni fa;
   se non ritengano necessario intervenire per fermare un testo inopportuno e pericoloso, chiarendo il quadro delle relative responsabilità politiche. (4-01103)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame vorrei anzitutto far presente che, a seguito delle numerose problematiche da anni segnalate relativamente all'applicazione della legge n. 157 del 1992 questo Ministero, con i rappresentanti delle regioni, ha tenuto una serie di incontri che hanno portato all'individuazione delle questioni di importanza prioritaria da sottoporre ad aggiornamento normativo.
  Pertanto, in accordo con il Ministero dell'ambiente, il 24 ottobre 2012 è stato individuato un gruppo di lavoro (costituito da rappresentanti dei due ministeri, con l'ausilio tecnico-scientifico dell'Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) con il compito di esaminare le principali criticità della norma suddetta.
  In tale contesto, è stata concordata una «bozza» di proposta di modifica della legge 157 citata, riguardante la gestione venatoria degli ungulati selvatici (con riferimento ai periodi e alle modalità di prelievo in selezione); le modalità di gestione venatoria del cinghiale (per i danni prodotti alla produzione agricola); la gestione delle specie alloctone e l'adeguamento del quadro normativo italiano in materia di uso di munizioni prive di piombo. È stato altresì predisposto un nuovo testo dell'articolo 19-bis della citata legge (caccia in deroga), divenuto necessario dopo la condanna subita dal nostro Paese a seguito della procedura di infrazione comunitaria 2006/2131.
  Riguardo a tale ultimo punto, vorrei precisare che si tratta di un testo consolidato, cui si è pervenuti nel corso di numerose riunioni tenutesi anche presso il dipartimento delle politiche europee e già inserito nella legge europea 2013 (legge n. 97 del 2013, articolo 26).
  Faccio infine presente che la regione Puglia nell'ambito dell'attività di coordinamento della Commissione politiche agricole della conferenza delle regioni e delle province autonome, ha chiesto l'avvio di un confronto in materia di attività venatoria e l'attivazione di uno specifico gruppo di lavoro con le regioni, il Ministero dell'ambiente e l'Ispra.
  Pertanto, al fine di proseguire il lavoro e condividere ulteriori soluzioni, abbiamo richiesto la designazione di qualificati rappresentanti delle regioni da inserire nel gruppo di lavoro in questione.
  Colgo l'occasione per chiarire che la nota inviata alle regioni nel mese di aprile 2013, in risposta alle istanze a suo tempo avanzate, rappresenta una mera base di partenza per una rivisitazione della legge n. 157 del 1992.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 aprile 2010 il signor Alberico Gambino è stato proclamato eletto alla carica di consigliere regionale della Campania;
   in data 6 settembre 2011, a seguito dell'applicazione della misura cautelare disposta dal GIP del tribunale di Salerno, il Presidente del Consiglio dei ministri, con proprio decreto, ha disposto la sospensione del signor Gambino dalla suddetta carica consiliare, ai sensi dell'articolo 15, comma 4-bis, della legge n. 55 del 1990, con effetto dal 14 luglio 2011;
   il signor Gambino è stato di fatto impossibilitato e interdetto dall'espletamento del suo mandato elettorale di consigliere regionale per un anno e otto mesi, dal 14 luglio 2011 al 12 marzo 2013, data in cui il tribunale di Nocera Inferiore (Salerno), con sentenza non ancora definitiva, lo ha rimesso in libertà, assolvendolo peraltro dall'imputazione che aveva generato il provvedimento cautelare;
   ai sensi dell'articolo 4-quater della citata legge n. 55 del 1990 la sospensione dalle cariche politiche in essa elencate, tra le quali rientra la carica a consigliere regionale, «cessa nel caso in cui nei confronti dell'interessato venga meno l'efficacia della misura coercitiva di cui al comma 4-bis, ovvero venga emessa sentenza, anche se non passata in giudicato, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione o sentenza di annullamento ancorché con rinvio»;
   la sentenza o il provvedimento di revoca devono essere comunicati alla prima adunanza dell'organo che ha proceduto all'elezione, alla convalida dell'elezione o alla nomina;
   il signor Gambino avrebbe pertanto dovuto essere reintegrato nella carica di consigliere regionale già alla prima seduta utile dell'organo legislativo regionale;
   ad oggi il presidente del consiglio regionale della Campania non avrebbe invece ancora adottato alcuna determinazione in merito alla vicenda, nonostante l'intervenuta cessazione dello stato di restrizione della libertà personale, seguita alla sentenza assolutoria;
   tale situazione che l'interrogante giudica illegittima, lede irrimediabilmente il diritto alla rappresentanza legittima nelle assemblee legislative dei cittadini della provincia di Salerno, oltre il diritto del signor Gambino a esercitare il mandato conferitogli dal corpo elettorale;
   l'ingiustificata inerzia del consiglio regionale della Campania integra una grave violazione delle disposizioni di legge e della legalità costituzionale, comprimendo i diritti del corpo elettorale e dell'elettorato passivo, fondamento della norma fondamentale;
   in verità, la presidenza del consiglio regionale accampa, quale motivazione per la sospensione, una successiva condanna per uno dei reati di cui al comma 1 dell'articolo 58 del decreto legislativo n. 267 del 2000, ma un'eventuale ulteriore sospensione potrebbe essere disposta, in ogni caso, esclusivamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   il tribunale di Nocera Inferiore ha, sì, condannato l'interessato, sempre in primo grado, per un altro reato capace in astratto di supportare misure di ulteriore sospensione, ma è pur vero che il periodo di sospensione già trascorso è superiore all'anno e mezzo previsto dal testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
   in ogni caso un eventuale ulteriore stato di sospensione cautelare, può e deve essere disposto esclusivamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e non certo, come invece sta succedendo, dalla presidenza del consiglio regionale;
   a ciò si aggiunga l'ulteriore considerazione che dottrina e giurisprudenza sono ormai concordi nel riconoscere che il principio della «fungibilità» della pena definitiva rispetto a quella preventivamente sofferta, ancorché normativamente previsto soltanto per la pena principale della reclusione, vada applicato, sia per interpretazione analogica, sia per effetto del principio del «favor libertatis», anche alle pene accessorie, alle misure di prevenzione e a quelle amministrative cautelari;
   anche il periodo di un anno di interdizione dai pubblici uffici riconosciuto dal tribunale di Nocera Inferiore risulterebbe largamente assorbito dal periodo di un anno e otto mesi di interdizione dall'espletamento del mandato elettorale già patito dal signor Gambino;
   il perdurare dello stato di sospensione cautelare del signor Gambino dalla carica di consigliere regionale, che supera di gran lunga il periodo che perfino il tribunale di Nocera ha ritenuto «adeguato imporre nella misura minima di un anno», così come disposto in sentenza di primo grado, lede pertanto l'ulteriore fondamentale diritto all'inviolabilità della libertà personale dell'individuo e legittima uno stato di illegalità inaccettabile –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità e gravità degli stessi, quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di chiarire gli elementi controversi che impediscono al signor Alberico Gambino di espletare regolarmente il suo mandato elettorale, cosa che all'interrogante appare comunque una grave compromissione della legalità democratica. (4-00751)

  Risposta. — Il rappresentante dello Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie in Campania, con la nota n. 0047148 del 14 luglio 2011, ha trasmesso a questo Dipartimento gli atti relativi al fascicolo processuale n. 8318/10 R.G.N.R. e n. 7251/2011 R.G.GIP concernenti l'ordinanza, emessa il 14 luglio 2011, con la quale il Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Salerno ha disposto nei confronti del Consigliere regionale della regione Campania, signor Alberico Gambino, proclamato eletto nelle consultazioni regionali del 28 e 29 marzo 2010, la misura della custodia cautelare in carcere (articolo 285 del codice di procedura penale), per le fattispecie delittuose di cui agli articoli 110, 81 capoverso, 317 del codice penale, articolo 7 legge n. 203 del 1991, 416-ter del codice penale e articolo 7, legge n. 203 del 1991.
  Ai sensi dell'allora vigente normativa statale, articolo 15, commi 4-bis e 4-ter, della legge n. 55 del 1990 e successive modificazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previo assenso del Ministro dell'interno, è stata accertata la sospensione del signor Alberico Gambino dalla carica di consigliere regionale della regione Campania a decorrere dal 14 luglio 2011.
  Successivamente il tribunale di Nocera Inferiore, presso il quale si è instaurato il procedimento penale, con sentenza emessa il 12 marzo 2013, ha condannato il signor Gambino alla pena di due anni e dieci mesi di reclusione, con l'interdizione per un anno dai pubblici uffici, per il reato di violenza privata, mentre ha assolto l'imputato dai reati di cui agli articoli 110, 81 capoverso e 416-ter del codice penale perché i fatti non sussistono e ha disposto la liberazione da ogni costrizione giudiziale. I legali del signor Gambino e, successivamente, l'interrogazione in esame hanno evidenziato che il periodo di un anno di interdizione dai pubblici uffici, riconosciuta quale pena accessoria dal tribunale di Nocera Inferiore risulterebbe largamente assorbito dal periodo di un anno e otto mesi di custodia cautelare (14 luglio 2011-12 marzo 2013) e quindi lo stesso dovrebbe essere reintegrato nel consiglio regionale. Nell'interrogazione si sottolinea che il presidente del consiglio regionale della Campania non avrebbe ancora adottato alcuna determinazione in merito alla vicenda, nonostante la cessazione dello stato di restrizione della libertà personale, a seguito della sentenza del 12 marzo 2013.
  Si ritiene prioritariamente che l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di sospensione dalla carica di consigliere regionale, per la durata di 18 mesi, previsto dall'articolo 8, commi 3 e 4 del decreto legislativo n. 235 del 2012 (normativa intervenuta di recente che ha sostituito la legge n. 55 del 1990), non ha carattere sanzionatorio ma cautelare, avente natura speciale, il cui fondamento riveste carattere di doverosità, in quanto la sospensione di diritto dall'incarico ricoperto è diretta conseguenza del provvedimento del giudice penale. La sospensione di cui all'articolo 8 determina l'impossibilità per il sospeso di essere computato per la verifica del numero legale o per la «determinazione di qualsivoglia quorum o maggioranza qualificata». Essa, dunque, produce l'effetto dell'immediato allontanamento dalla carica, con conseguente impossibilità di compiere qualunque atto.
  A seguito della predetta sentenza, è stata inoltrata dall'ufficio territoriale di Governo di Salerno, in data 26 marzo 2013, un'istanza (mai pervenuta in originale al dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport), redatta dai legali del signor Gambino, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Consiglio e alla Giunta regionale della Campania, di revoca della sospensione disposta dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri datato 6 settembre 2011. Tale istanza affermava che essendo stato revocato il periodo di custodia cautelare, la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici di un anno risulterebbe largamente assorbita dal periodo di un anno e otto mesi di custodia cautelare.
  Pur non avendo ricevuto mai l'originale dell'istanza, comunque, l'ufficio per l'esame di legittimità della legislazione regionale e delle province autonome ed il contenzioso costituzionale del dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport, ha valutato le richieste ed ha ritenuto di non dare seguito all'istanza in quanto, in virtù della revoca della custodia cautelare, la sospensione dalla carica di consigliere regionale, disposta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, cessa quando viene meno l'efficacia della misura coercitiva, ossia, in questo caso, alla data di emanazione della sentenza stessa.
  Da ultimo si fa rilevare che, a seguito dell'emanazione della citata sentenza, che revoca la misura coercitiva nei confronti del signor Gambino, ma nello stesso tempo prevede una pena accessoria di interdizione per un anno dai pubblici uffici, rientra nella competenza del consiglio regionale della Campania poter assumere, nella sua autonomia, le ulteriori determinazioni circa il reintegro o meno nel consiglio regionale dell'istante.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieGraziano Delrio.


   COZZOLINO, BENEDETTI, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, SPESSOTTO, DA VILLA, ROSTELLATO, COMINARDI, D'INCÀ, MUCCI e TURCO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la ditta Cosmo Ambiente srl che ha sede nel comune di Noale (Venezia) e che ha il proprio stabilimento su un terreno confinante con il comune di Salzano (Venezia) svolge come attività la gestione di un impianto per il trattamento e lo stoccaggio di rifiuti anche tossici. In data 26 febbraio 2013 ha ottenuto dalla regione Veneto, con la delibera di giunta n. 213, il parere positivo al progetto di adeguamento tecnologico presentato. Il progetto prevede, tra l'altro, la realizzazione di nuovi locali, l'installazione di un nuovo ciclo di lavorazione e nuovi silos per lo stoccaggio di sostanze pericolose appartenenti a 130 diversi codici CER;
   a seguito dell'approvazione della regione la ditta avrà tempo dodici mesi per partire con i lavori, mentre la messa in esercizio provvisorio dell'impianto dovrà avvenire entro i successivi trentasei mesi dalla data di partenza del cantiere. In questa fase, la ditta è autorizzata a gestire 21.500 tonnellate di rifiuti, di cui, per un massimo di 9.000 tonnellate, speciali pericolosi;
   l'impianto attuale della ditta Cosmo Ambiente sorge su un terreno sottoposto a vincolo ambientale essendo limitrofo all'argine del fiume Marzenego fiume che attraversando la città di Mestre, sfocia nella laguna veneta area tutelata dalla legge speciale. L'ampliamento previsto degli impianti andrà ad occupare in misura ancora maggiore l'area che costeggia il fiume, di proprietà del comune di Noale, nonché area urbanistica di rispetto ambientale con previsione di «area a parco urbano», entro la fascia di rispetto dei 150 metri dai fiumi Marzenego e Draganziolo; tali fasce di rispetto sono pertanto considerate un bene ambientale tutelato, bene per il quale viene richiesta istanza di autorizzazione paesaggistica;
   il proponente ha provveduto, contestualmente alla presentazione dell'istanza presso la regione Veneto, a trasmettere la documentazione progettuale alla direzione regionale del Ministero per i beni e le attività culturali, alla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, e alla soprintendenza beni archeologici del Veneto, ai fini dell'espressione, da parte del medesimo Ministero, del parere vincolante ai sensi dell'articolo 146, comma 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni;
   la direzione regionale del Ministero per i beni e le attività culturali, con nota prot. n. 17131 del 19 settembre 2012 (acquisita con protocollo n. 430459 del 25 settembre 2012) ha espresso il proprio parere favorevole di compatibilità paesaggistica, subordinato al rispetto di prescrizioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se tutte le normative in materia di tutela del paesaggio siano state rispettate dagli organi competenti relativamente all'approvazione del progetto di adeguamento tecnologico presentato dalla Cosmo Ambiente Srl. (4-01025)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede se questo ministero sia a conoscenza del progetto di adeguamento tecnologico in oggetto indicato, si comunica quanto segue.
  Il progetto di adeguamento tecnologico dell'impianto per il trattamento e lo stoccaggio di rifiuti, sito a Noale (Venezia), in via Mestrina n. 46, di proprietà di Cosmo Ambiente srl., è stato sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale («Via»), ai sensi degli articoli 23 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  Trattandosi di intervento su di un'area sottoposta a tutela paesaggistica ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, la documentazione relativa al predetto progetto veniva inviata ai competenti uffici periferici di questa amministrazione, ai fini dell'espressione del parere di cui all'articolo 146, comma 5, del medesimo codice dei beni culturali e del paesaggio.
  In proposito, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Veneto, acquisiti i pareri endoprocedimentali delle soprintendenze di settore interessate, rilevato che, secondo quanto ivi espresso, l'intervento de quo poteva ritenersi compatibile con il paesaggio tutelato, esprimeva il parere favorevole di questa amministrazione alla realizzazione del progetto. Tale parere favorevole veniva subordinato al rispetto delle prescrizioni indicate nei suddetti pareri endoprocedimentali.
  In relazione al parere favorevole espresso, si sottolinea che l'intervento di cui si discute interessa un ambito già fortemente caratterizzato come industriale, con presenza di manufatti a carattere produttivo e di un sistema di viabilità ad elevata percorrenza. Esso risulta poco percepibile in quanto sull'area interessata, in prossimità dei corsi d'acqua, sono presenti specie arboree e arbustive che mitigano la visibilità dei manufatti. Dall'analisi della documentazione progettuale operata dalla soprintendenza per i beni archeologici del Veneto emerge un impatto superficiale delle opere nel sottosuolo che, peraltro, sono mirate da ampliare e modificare parte degli impianti esistenti, che hanno già modificato in via definitiva lo stato dei luoghi. Le profondità raggiunte dalle nuove opere e le aree interessate dalle stesse non comportano, apparentemente, rischi per l'eventuale presenza di resti archeologici.
  In relazione, infine, alle prescrizioni imposte, si precisa che esse consistono nell'obbligo, a carico dell'impresa proponente, di assicurare e garantire un adeguato programma di manutenzione e conservazione e, laddove possibile, anche di incrementare la fascia perimetrale arborea e arbustiva di mitigazione presente sul confine dell'area che costeggia i corsi d'acqua. Ulteriori prescrizioni riguardano la tempestiva denuncia alla competente soprintendenza di eventuali ritrovamenti di beni archeologici e la necessità di far conoscere con congruo anticipo la data di inizio lavori.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   D'UVA, MARZANA, BATTELLI, DI BATTISTA, SIMONE VALENTE e DI BENEDETTO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il Ninfeo di Genazzano, sito di straordinaria bellezza e di eccezionale importanza storica e artistica, fu edificato nei primi decenni del Cinquecento, stando alle fonti più accreditate, su commissione del cardinale Pompeo Colonna a Donato di Angelo di Pascuccio detto il Bramante, architetto e pittore italiano tra i più influenti artisti del Rinascimento italiano;
   l'edificio costituiva un luogo di sosta lungo la via che da Genazzano conduceva a Paliano, nella quale la famiglia Colonna possedeva la propria riserva di caccia, un rifugio in quella che è ancora oggi una delle più belle valli italiane, affacciato su un corso d'acqua che costituiva la tipica struttura raffinata e idillica della cultura umanistica del Rinascimento;
   in seguito a recenti lavori di restauro effettuati nel sito, l'originale status del Ninfeo di Genazzano risulta irrimediabilmente compromesso, dal momento che questi ne hanno gravemente alterato la bellezza artistica, facendo così sorgere forti dubbi circa il regolare svolgimento delle operazioni di restauro considerato che queste hanno, a giudizio degli interroganti palesemente violato i fondamentali principi del mantenimento e della conservazione dei caratteri storico e artistici del sito;
   in particolare il restauro avvenuto alle colonne del Ninfeo ne ha gravemente pregiudicato l'originaria bellezza, attraverso l'applicazione alle stesse di stucchi e malte cementizie a base resinosa non certo idonei a preservare il fascino e la tipicità della struttura rinascimentale del Ninfeo, con una conseguente quanto grave diminuzione del suo valore artistico e storico;
   il travertino poroso, che conferiva alla struttura una naturale bellezza estetica e un fascino storico che sin dalle sue origini caratterizzava il Ninfeo di Genazzano, è stato sottoposto a saturazione, a seguito delle operazioni di restauro, attraverso l'utilizzo di una malta del tutto estranea alla struttura, con conseguente deturpamento dell'originario aspetto;
   data la presenza di una tipologia di malta del tutto estranea alla materia travertino, sia fisicamente che chimicamente, utilizzata per la sua saturazione, sorgono forti preoccupazioni non solo dal punto di vista del deturpamento estetico, ma anche dal punto di vista strutturale;
   dal momento che l'applicazione di materiale estraneo può provocare, nel corso degli anni e attraverso fenomeni chimico-fisici dovuti alla compresenza di due o più tipologie di materiale all'interno di una struttura così antica, un grave danneggiamento alle colonne che costituiscono il Ninfeo di Genazzano, è elevato il rischio di vedere irrimediabilmente compromessi la conservazione e il mantenimento di un sito che, dato il suo elevatissimo valore storico e artistico, non può essere oggetto di interventi approssimativi e superficiali e che per questo necessita di tutela adeguata alla sua importanza per il patrimonio culturale italiano –:
   se il Ministro sia a conoscenza dell'attuale stato del Ninfeo di Genazzano così come restituito alla comunità a seguito di lavori di restauro apparentemente non adeguati;
   se il Ministro intenda assumere urgenti iniziative per ripristinare l'autentico status del Ninfeo di Genazzano, facendo sostituire il materiale che, applicato allo stesso, ha gravemente deturpato l'originaria bellezza artistica di un sito dall'elevato valore storico e culturale, anche attraverso l'avviamento di nuovi lavori di restauro;
   se il Ministro intenda assumere urgenti iniziative per verificare se, a seguito dei lavori di restauro, non sia stata irrimediabilmente compromessa la sicurezza strutturale delle colonne del Ninfeo di Genazzano. (4-01129)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con il quale l'interrogante chiede di verificare l'attuale stato del Ninfeo di Genazzano, la sicurezza strutturale delle sue colonne e l'opportunità di una sostituzione di materiale utilizzato per il suo precedente restauro, che ne starebbe deturpando la bellezza artistica, alla luce degli elementi raccolti, si comunica quanto segue.
  I lavori di restauro del Ninfeo bramantesco di Genazzano sono stati svolti dalla soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Frosinone, Latina, Rieti e Viterbo. Il progetto, suddiviso in quattro distinte perizie afferenti ad altrettante annualità di programmazione (2000-2003) aveva un importo complessivo di euro 542.345,60 e, appaltato in un'unica soluzione, venne aggiudicato a seguito di gara pubblica esperita il 5 novembre 2003 alla ditta Lattanzi srl, per un importo a base d'appalto di euro 425.536.22 (di cui 29.374,41 per oneri relativi alla sicurezza del cantiere non soggetti a ribasso). La ditta aggiudicataria possedeva tutti i requisiti di qualificazione, sia formali che di esperienza concreta, previsti per il tipo di gara indetto. Inoltre, all'interno della squadra di progettazione e direzione dei lavori della soprintendenza, è stata inserita la figura del restauratore per gli adempimenti di cui all'articolo 202, comma 1, del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni.
  Sulla base della lettura degli atti dell'ufficio, i rilievi avanzati sembrano destituiti di effettivo fondamento. In merito, si riportano alcuni passaggi significativi della relazione finale elaborata all'epoca: «le murature risultavano tutte sconnesse con le malte decoese, numerosi blocchi frammentati dal gelo, o caduti, fratture e fessure dovute a dissesti statici o all'insediamento di piante. I colmi risultano protetti da una soletta armata, collegata con chiodature alle sottostanti strutture, realizzata nei restauri degli anni settanta. Alcune zone della copertine presentavano a vista i ferri d'armatura ammalorati; considerate le caratteristiche d'irreversibilità degli interventi è stato necessario neutralizzare l'ossidazione dei ferri ed applicare uno strato protettivo di malta composta da cemento LEDAN ed inerti. Le malte in opera, a parte quelle cementizie dei restauri degli anni settanta, sono a base pozzolanica ma non sono omogenee tra loro. Si sono conservati inoltre consistenti lacerti d'intonaci originari, di rivestimento delle murature, assai degradato e senza segni superficiali di finitura. Al contrario essi sembrano essere rimasti allo stato di strato primario senza successive finiture. Nei sottarchi sono conservati gli intonaci con i segni delle tavole delle centine utilizzate per la costruzione delle volte. I pennacchi delle volte conservano ancora l'impronta dell'incannucciata... [omissis]... Accertato l'avanzato stato di degrado del monumento e l'aspetto ormai ruderizzato dell'architettura le operazioni di restauro dovevano pertanto garantire prioritariamente la conservazione del manufatto e considerare in subordine la restituzione dell'immagine per quanto possibile. Il criterio rigorosamente filologico di tipo archeologico e quello architettonico dovevano fondersi con le più idonee metodologie di restauro.
  Le murature sono state consolidate iniettandovi all'interno un impasto di malta pozzolanica, le pietre spaccate dal gelo sono state consolidate localmente con resina epossidica per fare aderire i piccoli pezzi tra loro e successivamente ricostruite con malta a base di calce pigmentata come i tufi. Di seguito dopo la ricostruzione le pietre sono state ulteriormente consolidate con silicato di etile.
  Le malte cementizie e quelle decoese e degradate in profondità da radici, licheni, muschi, sono state rimosse. Tutti i giunti e le mancanze sono state risarcite con malta a base di grassello di calce stagionata e pozzolana.
  I lacerti di malte antiche sono stati consolidati.
  Le parti cadute ricostruite con materiali di recupero.
  Le superfici infine sono state stuccate con lungo lavoro d'integrazione con malte mimetiche. Queste dovevano svolgere siauna funzione conservativa sia d'integrazione estetica. Sono pertanto stati studiati impasti (sempre a base di calce ed inerti di vario colore) che avessero la funzione di proteggere le superfici, consentire la lettura delle tessiture murarie (variate nell'ambito della stessa fabbrica e a causa dei risarcimenti eseguiti nel corso dei precedenti restauri), ricostruire un'unità visiva senza proporsi come «nuove», infine rimanere sotto livello rispetto ai resti delle malte antiche ancora in opera seppure degradate. Anche le mancanze di pietra sono state risarcite in modo da non dovere intervenire sul materiale originale rimasto in opera. Pertanto ove non sia stato possibile recuperare le pietre originali le lacune sono state risarcite con laterizi successivamente rivestiti di due strati malta: uno pozzolanico di profondità ed uno «mimetico» di finitura.
  Per i travertini, dopo avere rimosso le malte cementizie, stese per risarcire grosse lacune della pietra, si è seguito il medesimo criterio utilizzato per le murature, variando ovviamente il colore dell'impasto. In questo caso, le piccole mancanze sono state risarcite creando una vera e propria piccola struttura armata con chiodi d'acciaio successivamente rivestita. Sono stati imperniati tutti i frammenti che ne avevano necessità.
  A reintegrazione ultimata il monumento viene protetto dapprima con un consolidante con biocida a lento rilascio e successivamente con un sottile film polisilossano.
  Tutte le operazioni specialistiche di restauro delle superfici (dall'iniziale applicazione di biocidi al protettivo finale) sono state eseguite da maestranze qualificate e sotto la continua sorveglianza di restauratore».
  I corretti criteri da seguire per il restauro sembrano essere stati rispettati e la situazione non appare particolarmente grave o urgente, alla luce degli elementi pervenuti.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   FITZGERALD NISSOLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella delibera CIPE 44 del 23 marzo 2012 in favore del provveditorato interregionale alle opere pubbliche in Abruzzo sono previsti finanziamenti per la ricostruzione di 23 edifici pubblici della città e della provincia de L'Aquila danneggiati dagli eventi sismici verificatisi nel mese di aprile 2009;
   viene disposta – ai sensi e per le finalità dell'articolo 4, comma, 1 lettera b), del decreto-legge n. 39 del 2009, convertito dalla legge 24 giugno 2009, n. 77 – l'assegnazione dell'importo complessivo di 167,65 milioni di euro, per l'anno 2012 e, in particolare, per gli immobili del Corpo forestale dello Stato in provincia de L'Aquila si prevedono i seguenti importi: 5,1 milioni da destinare al comando provinciale dell'Aquila; 1,1 milioni per la ristrutturazione e messa in sicurezza del comando regionale del Corpo forestale dello Stato sito in L'Aquila; 1,6 milioni di euro da destinare al Comando stazione di Fontecchio;
   la struttura del comando regionale del Corpo forestale dello Stato per l'Abruzzo e dell'adiacente Comando provinciale de’ L'Aquila necessitano entrambe di adeguati ed urgenti interventi di consolidamento, ampliamento e adeguamenti volti anche alla tutela e alla salute dei dipendenti;
   il Comando stazione di Fontecchio non ha mai avuto la disponibilità di un edificio di proprietà in comune di Fontecchio per cui il Corpo forestale dello Stato non ha avuto alcun edificio danneggiato dal sisma in quel comune. Lo stesso Comando stazione di Fontecchio è tra le strutture del Corpo che l'amministrazione, con decreto del capo del Corpo forestale dello Stato il 27 giugno 2011, emanato ben prima della delibera CIPE in argomento, ha deciso di sopprimere (per una razionalizzazione della dotazione organica delCorpo forestale dello Stato volta a consentire una migliore organizzazione dell'attività operativa e in attuazione della così detta spending review) e di accorpare al Comando stazione di Secinaro, dove tra l'altro prestano servizio solo due elementi, ubicato in un edificio di proprietà del Corpo forestale dello Stato di recente costruzione e dotato di alloggi di servizio, tra l'altro non utilizzati, posto a soli 10 chilometri di distanza stradale dall'immobile che si vorrebbe, ad avviso dell'interrogante, ingiustificatamente e illogicamente realizzare a Fontecchio;
   appare immediatamente comprensibile che le risorse economiche stanziate debbano essere al più presto utilizzate per i comandi regionale e provinciale de L'Aquila e non per realizzare un edificio «ex novo» per ospitare, tra l'altro, un Comando Stazione già destinato alla chiusura –:
   se il Governo alla luce di quanto esposto in premessa, reputi utile e opportuno che le spese previste nella delibera in argomento per la realizzazione ex novo dell'edificio di Fontecchio (previsione contrastante con quanto stabilito dall'articolo 1 della delibera stessa e dall'articolo 4, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 39 del 2009, convertito dalla legge 24 giugno 2009, n. 77), vengano rese disponibili: per la messa in sicurezza di tutte le strutture del Corpo della provincia lese dal sisma; per l'adeguamento alle norme di tutte quelle che non posseggono i requisiti igienico-sanitari e che non hanno le volumetrie necessarie per ospitare il numero di unità previsto dalla rispettiva dotazione organica; per realizzare bagni e spogliatoi distinti per uomini e donne, nonché per realizzare le indispensabili celle di sicurezza;
   se i Ministri interrogati non reputino doveroso e corretto che vengano resi pubblici e forniti ai soggetti interessati che ne hanno fatto e ne faranno richiesta gli atti e le informazioni inerenti: lavori propedeutici e istruttori che hanno portato l'amministrazione del Corpo forestale dello Stato ed il provveditorato interregionale per le opere pubbliche Lazio Abruzzo Sardegna ad assumere tali decisioni di richiesta di fondi al CIPE; ai nominativi degli esecutori materiali dei progetti; ai nominativi dei responsabili dei procedimenti e dei provvedimenti ad essi collegati. (4-00743)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente l'opportunità di trasferire ad altri fini una parte delle risorse stanziate (a seguito degli eventi sismici di aprile 2009) per la ricostruzione e messa in sicurezza di taluni edifici pubblici siti nella città e nella provincia di L'Aquila, vorrei anzitutto evidenziare che la decisione di inserire il comando stazione forestale di Fontecchio (l'Aquila) tra le opere della ricostruzione post terremoto non proviene da questo Ministero.
  Infatti, avuto contezza dello specifico inserimento del predetto comando tra le opere finanziate dalla delibera Cipe n. 44 del 23 marzo 2012, abbiamo meramente confermato l'interesse alla sua realizzazione.
  La scelta di favorire il comando di Fontecchio potrebbe essere scaturita a seguito di ricognizioni iniziali effettuate (sui danni subiti dagli immobili in cui erano allocati presidi dello Stato effettuate) dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche, per le cui valutazioni è probabile che siano state coinvolte le istituzioni territoriali sia riguardo alla disponibilità di suoli edificabili ove realizzare le nuove strutture, che nella scelta di adeguamento alle norme di strutture preesistenti.
  Peraltro, non va dimenticato che le procedure di approvazione dei progetti per la realizzazione di immobili di proprietà statale in provincia di L'Aquila nonché l'eventuale successivo finanziamento da parte del Cipe sono di competenza del provveditorato interregionale alle opere pubbliche Lazio, Abruzzo e Sardegna cui spetta, tra l'altro, il conferimento degli incarichi e tutti gli atti e le informazioni connessi.
  Premesso quanto sopra, vorrei tuttavia far presente che la scelta di mantenere o dismettere le sedi dei comandi stazione forestali avviene (in coerenza con le esigenze di razionalizzazione delle strutture impiegate) considerando la disponibilità di strutture di proprietà demaniale in buono stato di manutenzione nonché le necessità operative sul territorio.
  A tal fine, tenendo conto del quadro normativo di riferimento, delle esigenze operative dell'amministrazione forestale nonché delle priorità ineludibili di valenza nazionale di razionalizzazione delle risorse e di contenimento della spesa, si provvede ad un sempre più mirato processo di definizione delle piante organiche del corpo forestale dello Stato (e dei relativi presidi da mantenere attivi sul territorio) attraverso decreti del capo del corpo forestale dello Stato che rappresentano lo strumento flessibile di revisione biennale della struttura operativa.
  Colgo l'occasione per far presente che la disponibilità futura di una struttura statale da adibire a comando stazione di Fontecchio (finanziata con fondi Cipe e realizzata dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche Lazio, Abruzzo e Sardegna) nonché la messa a disposizione di locali a titolo gratuito da parte del relativo comune, hanno consentito di realizzare un'opportuna revisione dei comandi stazione del corpo forestale dello Stato in provincia dell'Aquila che, pur eliminandone uno locato a titolo oneroso, ha tuttavia conservato lo stesso numero di presidi nella provincia mediante la revisione delle giurisdizioni degli altri comandi stazione, sulla base di criteri geografici e operativi quali l'orografia, l'omogeneità territoriale e l'accessibilità.
  Questa nuova realtà delineatasi per la provincia di L'Aquila, insieme a tutte le altre modifiche resesi necessarie sul territorio nazionale sulla base dei soprarichiamati criteri, sono state sancite, nell'ambito della menzionata revisione biennale delle piante organiche, con l'emanazione del decreto del capo del corpo del 28 marzo 2013 concernente, appunto, la definizione delle piante organiche del corpo forestale dello Stato per il biennio 2013/2014.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   GAROFALO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 10 aprile 2013 è stato registrato dalla Corte dei conti il decreto interministeriale pubblicato il 10 gennaio, che avvia la sperimentazione della nuova carta sociale che coinvolgerà le dodici città più grandi del Paese: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona, con la durata di un anno avente un piano finanziario a disposizione pari a 50 milioni di euro;
   il beneficio calcolato sulla base della numerosità del nucleo familiare, sarà notevolmente superiore a quello previsto dalla carta sociale ordinaria, in considerazione che la capienza finanziaria di essa potrà arrivare ad un importo mensile di circa 400 euro per le famiglie con 5 o più componenti;
   il suddetto decreto ministeriale in particolare, definisce attraverso l'articolo 4, una serie di caratteristiche e di requisiti necessari per accedere ai benefici previsti dalla carta acquisti, a favore dei nuclei familiari svantaggiati che affrontano particolari condizioni economiche e sociali disagiate;
   il medesimo provvedimento legislativo inoltre indica attraverso le lettere a) e b) dell'articolo 1 che i comuni in cui è attuata la sperimentazione, di cui all'articolo 60, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito con modificazioni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35 con popolazione residente, secondo le rilevazioni Istat, siano superiori a 250 mila abitanti;
   l'interrogante rileva come le caratteristiche della carta acquisti, istituita con l'articolo 81, comma 32 decreto-legge n. 112 del 2008, che aveva disposto l'istituzione di un Fondo di solidarietà per i cittadini meno abbienti, ovvero ai richiedenti e residenti con cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disagio economico, all'interno della fascia di bisogno assoluto, coinvolgano nel complesso un insieme di peculiarità che interessano, in particolare nel Mezzogiorno, ampie ed importanti aree territoriali e comunità locali ad alto indice di povertà, di degrado e di malessere sociale;
   l'interrogante evidenzia infatti come in particolare in Sicilia, nonostante siano state incluse le città di Catania e di Palermo all'interno dei comuni superiori a 250 mila abitanti indicati dal decreto ministeriale del 10 gennaio 2013 come precedentemente esposto, siano state tuttavia escluse dal beneficio previsto dalla carta acquisti sperimentale altre realtà locali all'interno della medesima regione i cui requisiti e connotati, nel complesso rientrano nell'ambito di quelle finalità e prerogative necessarie per beneficiare delle risorse finanziarie di cui la medesima carta acquisti dispone;
   città capoluogo come Messina, la cui densità abitativa è pressoché limitrofa ai 250 mila abitanti come indicato dall'articolo 1 del decreto ministeriale suesposto, rappresentando subito dopo Catania e Palermo il comune più popoloso, la cui soglia di povertà è particolarmente accresciuta negli ultimi tempi, non rientra infatti all'interno dei comuni previsti dal decreto ministeriale interessato;
   altre importanti comunità cittadine del Mezzogiorno, la cui densità della popolazione non si avvicina alla soglia necessaria dei 250 mila abitanti, ma che ciononostante necessitano adeguati strumenti finanziari di sostegno sociali ed economici a favore delle famiglie meno abbienti, il cui livello di povertà è divenuto di dimensioni preoccupanti, non sono infatti comprese all'interno dei dodici comuni beneficiari della carta sociale;
   l'interrogante in definitiva rileva come in considerazione della gravissima crisi economica in corso da anni, che impone la necessità di interventi di carattere d'urgenza, occorra prevedere una serie di modifiche al decreto ministeriale del 10 gennaio 2013, volte a correggere i parametri evidentemente restrittivi che identificano i requisiti necessari per beneficiare della carta sociale e prevedere invece maggiore flessibilità nella disciplina sull'individuazione dei titolari del beneficio e sulle modalità di fruizione dello stesso, anche in termini di densità di popolazione residente –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se non convengano che, in considerazione della grave crisi economica che persiste nel Paese ed in particolare nel Mezzogiorno, come confermano negativamente i maggiori organismi di rilevazione statistica attraverso i principali indicatori economici, sia urgente e necessario intervenire attraverso una serie di modifiche al decreto ministeriale del 10 gennaio 2013 indicato in premessa, al fine di impostare in maniera più flessibile ed estensiva i criteri ed i parametri necessari per l'ottenimento della carta sociale e considerare in via prioritaria sia la soglia di povertà in continuo aumento, sia la densità degli abitanti la cui rilevazione, superiore a 250 mila, come è stabilita attualmente, non considera adeguatamente l'ampia fascia di cittadini meno abbienti che sono esclusi dai benefici previsti dalla carta sociale.
(4-00394)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale, in considerazione della grave crisi economica che persiste nel Paese ed in particolare nel Mezzogiorno, si propongono una serie di modifiche al decreto interministeriale del 10 gennaio 2013 al fine di impostare in maniera più flessibile ed estensiva i criteri ed i parametri necessari per l'ottenimento della carta sociale, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si rammenta che, ai sensi dell'articolo 60, comma 3, del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, la sperimentazione dispone di risorse limitate, fino al limite massimo di 50 milioni di euro, a valere sul Fondo carta acquisti di cui all'articolo 81, comma 29, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che viene corrispondentemente ridotto.
  Il legislatore, anche alla luce della limitata disponibilità finanziaria, ha quindi stabilito di avviare la sperimentazione della nuova carta acquisti nelle 12 città italiane di maggiori dimensioni, per la durata di un anno, come specificato nel comma 1, del citato articolo 60.
  Pertanto, in riferimento ai comuni coinvolti nella sperimentazione, le indicazioni presenti nel decreto interministeriale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, che avvia la sperimentazione della nuova social card pubblicato il 3 maggio 2013 sulla Gazzetta Ufficiale n. 102, si limitano ad attuare il dettato normativo. Per quanto riguarda invece i criteri di identificazione dei beneficiari si rappresenta che, viste le limitate risorse disponibili, la platea dei beneficiari non aumenterebbe, se non riducendo il beneficio previsto per ciascun nucleo familiare.
  Si rappresenta, tuttavia, che nonostante l'attuale quadro di limitate risorse finanziarie, l'obiettivo del programma è l'acquisizione degli elementi necessari di valutazione per la successiva proroga del programma carta acquisti istituita dall'articolo 81, comma 32, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e la valutazione della possibile generalizzazione della nuova social card sperimentale come strumento di contrasto alla povertà assoluta.
  Con particolare riferimento alla richiesta di ampliare i criteri economici di accesso ed estendere ai comuni di dimensione minore l'attuazione della sperimentazione, si rappresenta che il comma 2 dell'articolo 3 del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, ha introdotto misure urgenti contro la povertà nel Mezzogiorno. In particolare è prevista l'estensione della sperimentazione della cosiddetta nuova carta acquisti ai territori del Mezzogiorno che non siano già interessati dall'intervento previsto a legislazione vigente (cioè le città di Bari, Napoli, Catania e Palermo). L'intervento è rivolto alle famiglie con minori in condizione di estremo disagio lavorativo. Ciò al fine di dare risposta alle condizioni di povertà assoluta in cui si trova la popolazione del Mezzogiorno che, secondo i dati Istat, ha un'incidenza più che doppia rispetto al resto del paese. Le risorse finanziarie occorrenti all'estensione sono a valere sulla riprogrammazione dei programmi nazionali cofinanziati dai Fondi strutturali per il periodo 2007-2013 e sulla rimodulazione del Piano di azione coesione. È altresì previsto che ulteriori finanziamenti della sperimentazione o ampliamenti dell'ambito territoriale di sua applicazione possono essere disposti da regioni e province autonome, anche se non rientranti nel Mezzogiorno.
  Da ultimo, si segnala che al tavolo sull'inclusione sociale – uno dei quattro avviati dal Ministero per la coesione territoriale per la definizione dell'Accordo di partenariato – nel quale si stabiliscono gli interventi da finanziare con i fondi europei per il periodo 2014-2020 – si è proposto un programma nazionale volto a estendere per territori e per tipologia di beneficiari la sperimentazione della nuova social card, secondo i principi della raccomandazione comunitaria sull'inclusione attiva.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMaria Cecilia Guerra.


   GINEFRA, BOCCIA, CASSANO, DECARO, GRASSI, LAFORGIA, LOSACCO, SCALFAROTTO e VENTRICELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Toritto, comune in provincia di Bari di circa 8.700 abitanti, negli ultimi anni è stato funestato da episodi di violenza legati alla presenza di organizzazioni criminali dedite principalmente allo spaccio di sostanze stupefacenti;
   il più grave di questi è stato l'omicidio di Ilario Lorusso, il giovane di 22 anni ucciso in piazza con quattro colpi di pistola all'addome il 9 ottobre 2010 e i cui autori rei confessi, Francesco Laforgia di 23 anni e Alberto Modugno di 24 anni, sono stati condannati a 17 anni di reclusione;
   a seguito del sopra richiamato assassinio e su richiesta dell'amministrazione comunale, Toritto veniva ammessa, nel mese di luglio 2012, al finanziamento per il «progetto videosorveglianza». La gara prevedeva l'impegno di 190 mila euro per garantire maggiore sicurezza, fondi assegnati con decreto dell'Autorità di gestione del programma operativo di «sicurezza per lo sviluppo – obiettivo convergenza 2007-2013». Il sistema di videosorveglianza prevede l'installazione di telecamere in punti strategici del paese e nei vari centri di aggregazione come chiese, scuole e piazze;
   nei mesi successivi all'annuncio dell'aggiudicazione dei suddetti fondi avevano inizio gli attentati nei confronti dei componenti dell'amministrazione torittese;
   a fine gennaio, infatti, vandali prendevano d'assalto in località Quasano (Bari), la villa del sindaco di Toritto, l'avvocato Michele Geronimo. Dopo aver divelto le finestre e smontato le zanzariere, ignoti gettavano le stesse all'interno dell'abitazione, appiccando il fuoco;
   il successivo 7 febbraio, veniva data alle fiamme la Fiat Punto del presidente del consiglio comunale di Toritto, Fabrizio Mongelli. Il rogo divampava poco dopo mezzanotte e le fiamme venivano spente grazie all'intervento dei vigili del fuoco che poi trovavano, nei pressi della vettura, la bottiglia da cui sarebbe stato versato il liquido infiammabile;
   nelle ore successive era il turno dell'assessore alla polizia municipale, Domenico Turtolo. Nelle campagne di sua proprietà, alla periferia di Toritto, venivano segati dal fusto 44 alberi;
   l’escalation di minacce e intimidazioni finiva all'attenzione della prefettura di Bari. Il sindaco Geronimo, infatti, veniva ricevuto l'8 febbraio dal prefetto di Bari Mario Tafaro al quale veniva rappresentata la gravità della situazione e al quale veniva richiesto un repentino intervento. Questi, al termine dell'incontro, s'impegnava a garantire un rafforzamento della presenza delle forze dell'ordine nel comune del barese e assicurava una vigilanza «discreta» al sindaco;
   la notte del 24 dello stesso mese sconosciuti tentavano di dare fuoco all'auto del vicesindaco di Toritto, Sergio Borgia. Ad accorgersi di quanto stava per accadere era lo stesso Borgia che provvedeva a spegnere le fiamme che stavano avvolgendo la parte posteriore dell'auto, cosparsa di liquido infiammabile. La vettura era parcheggiata nelle vicinanze dell'abitazione del vicesindaco;
   da ultimo l'amministrazione comunale di Toritto (Bari) è stata colpita, nella persona del suo sindaco dal quinto attentato negli ultimi due mesi. Il sindaco è rimasto vittima nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2013 di un ennesimo attentato intimidatorio: persone non ancora identificate versavano olio per motori sul portone di ingresso del suo studio legale –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per offrire un immediato segnale di presenza dello Stato ad una comunità che qualcuno, attraverso i suddetti scellerati atti, tenta di intimidire e per garantire alla giustizia, in tempi brevi, i responsabili degli stessi. (4-00201)

  Risposta. — L'interrogazione presentata dall'interrogante richiama alcuni episodi di cronaca verificatisi nel comune di Toritto (BA) tra il 9 ottobre 2010 e il 6 aprile 2013.
  Le indagini condotte dal nucleo investigativo del comando provinciale carabinieri di Bari, sotto la direzione della D.D.A. e della procura della Repubblica di Bari, hanno escluso il diretto coinvolgimento della locale criminalità organizzata.
  Con particolare rifermento al primo episodio – che si caratterizza per la particolare efferatezza – la tempestiva attività investigativa ha consentito di emettere un decreto di fermo, poi trasformato in condanna, nei confronti dei responsabili dopo appena 12 ore dall'evento criminoso.
  Tuttavia, già a partire da tale primo episodio ed in seguito alle decisioni assunte nell'ambito dei diversi comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, la questura di Bari ha predisposto numerosi servizi straordinari di controllo del territorio, con l'ausilio del reparto prevenzione crimine «Puglia». Nei primi cinque mesi di quest'anno, sono state impiegate nella zona di Toritto complessivamente 58 pattuglie per 18 giorni.
  In particolare, lo scorso 16 aprile – nel corso di una specifica attività di prevenzione dei reati e di controllo del territorio compreso tra Toritto, Bitonto e zone limitrofe di campagna – personale della locale squadra mobile e del predetto reparto, con l'ausilio di unità cinofile antidroga ed antiesplosivo e con il supporto di un elicottero del reparto volo, ha effettuato diverse perquisizioni nei confronti di persone legate alla criminalità locale sospettate di gestire traffici di sostanze stupefacenti, usura ed estorsioni.
  Con particolare riferimento al sindaco di Toritto e di altri amministratori locali, destinatari di atti intimidatori, è stata, invece, decisa l'adozione di adeguata misure di protezione.
  Più in generale nel comune di Toritto, opera una stazione dell'arma dei carabinieri – con un organico effettivo di 6 militari – supportata dagli organi operativi della compagnia di Modugno e del comando provinciale di Bari.
  L'analisi dei dati statistici riferiti alla situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nel territorio mostra una diminuzione – nei primi cinque mesi del corrente anno – del numero complessivo dei delitti consumati (da 92 a 68), rispetto allo stesso periodo del 2012. L'attività di contrasto svolta dalla stazione dei Carabinieri ha permesso, invece, di deferire in stato di libertà 32 persone e di trarne in arresto 4.
  Per completezza di informazione, relativamente all'attività di polizia giudiziaria, si segnala che lo scorso 19 febbraio, personale del commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto ha eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due affiliati al clan attivo a Toritto e capeggiato dal pregiudicato Cosimo Zonno, in quanto responsabili di tentata estorsione e lesioni personali aggravate.
  Si assicura che la situazione della criminalità nel comune di Toritto è seguita con particolare attenzione e sottoposta a costante monitoraggio dalle forze dell'ordine che garantiscono un capillare controllo del territorio, fornendo tempestive e adeguate risposte alle esigenze di sicurezza di tutti i cittadini.
  Vengono in particolare effettuati, ormai da tempo, servizi straordinari di controllo del territorio, ai quali si aggiunge l'intensa attività di indagine condotta dai reparti investigativi delle forze di polizia.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GINEFRA e CARIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il commissariato di P.S. di Bitonto ha attualmente in organico 38 operatori in servizio di polizia;
   la pianta organica prevista nelle tabelle del decreto ministeriale 1989 è di 47 unità di personale che espleta servizio di polizia;
   questi uomini e donne operano su un territorio, urbano ed agricolo, fra i più vasti e popolati della provincia di Bari e con un indice di criminosità fra i più alti della regione intera;
   la popolazione residente in Bitonto e frazioni (Palombaio e Mariotto) è di circa 64.000 abitanti;
   a fronteggiare continui eventi delittuosi, che spaziano dagli «ordinari» furti di auto e furti in abitazione, ai più gravi delitti di sangue, vi sono, oltre agli uomini e donne del commissariato di pubblica sicurezza, circa 12 militari della locale stazione carabinieri, e circa 16 finanzieri della locale tenenza della Guardia di Finanza (che però operano anche su varie città viciniore);
   è evidente che pur essendo possibile e realizzabile garantire la presenza di una pattuglia addetta al controllo del territorio nell'arco delle 24 ore, è anche vero che un così esiguo dispiegamento di forze non è sufficiente ad assicurare un livello ottimale di presenza sul territorio ed un adeguato e duraturo contrasto degli eventi criminosi che soffocano l'economia ed il vivere civile della città di Bitonto;
   ciò nonostante, il solo commissariato ha condotto negli ultimi tre anni numerose operazioni di polizia giudiziaria che hanno indebolito in maniera significativa alcuni gruppi criminali organizzati per realizzare attività di spaccio per traffico di sostanze stupefacenti e che non disdegnavano il confronto armato fra loro allo scopo di controllare il territorio e le «piazze di spaccio»; ne sono testimonianza triste gli omicidi, compiuti e tentati, dal 2009 ad oggi in questo centro urbano;
   negli ultimi mesi, inoltre, si è acuita l'aggressione delinquenziale nei centri periferici di Mariotto e Palombaio, ove si sono registrati numerosi furti in appartamenti e case rurali ed anche alcune rapine a mano armata;
   si sarebbero verificate, nelle ultime settimane, lungo la vicina strada statale 96 nel tratto compreso tra Mellitto e la deviazione per le frazioni bitontine, rapine regolarmente denunciate ai danni di venditori ambulanti «spogliati» di ogni bene strumentale e funzionale alla loro attività commerciale;
   è tuttavia probabile che questa nuova incidenza criminale nelle frazioni sia dovuta ad un parallelo intensificarsi delle azioni di prevenzione e repressione condotte dalle forte di polizia nel centro urbano di Bitonto, per cui l'attività illecita dei pur noti malviventi locali si sia spostata in territori meno controllati e meno presidiati dalle forze dell'ordine;
   è altresì vero che i sistemi di videosorveglianza recentemente attivati hanno contribuito a portare a buon esito alcune indagini su reati contro il patrimonio e la persona, tanto che si è richiesto al Ministero dell'interno – dipartimento della pubblica sicurezza, un incremento del numero di apparati da installare in altre zone al momento non servite da tale utile sistema di sicurezza e vigilanza elettronica;
   è fuori di dubbio che un adeguamento di organico e mezzi, anche ai livelli di quanto previsto dalla non recente decretazione ministeriale del 1989, gioverebbe al miglioramento della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica ed alla «copertura» ottimale di tutto il territorio di Bitonto e frazioni –:
   se il Ministro sia stato messo a conoscenza dell'intensificarsi di fenomeni criminosi nel comune del barese che hanno riguardato, nel recente passato, anche il tentativo di intimidazione di funzionari della pubblica amministrazione e di amministratori pubblici;
   quali provvedimenti intenda assumere a partire dal potenziamento dell'organico, dall'auspicabile insediamento di un avamposto di forze dell'ordine (almeno in una delle due frazioni) e per il potenziamento nelle stesse frazioni del servizio di videosorveglianza. (4-00296)

  Risposta. — Il comune di Bitonto occupa un territorio molto esteso, formato da un centro urbano abitato da 56.000 persone e due frazioni, Mariotto e Palombaio, con circa 3.000 abitanti ciascuna, distanti rispettivamente 15 e 8 chilometri. Negli ultimi anni l'area è stata soggetta a un notevole sviluppo demografico. La cittadina è situata in un contesto servito da una fitta rete viaria di arterie stradali a grande scorrimento e di numerosi collegamenti minori con i centri urbani vicini che la rendono un crocevia strategico per la malavita, non solo locale ma anche delle zone limitrofe.
  La Puglia, la città di Bari e la sua provincia registrano da circa un trentennio una presenza costante di gruppi mafiosi nel panorama criminale. La criminalità organizzata della provincia, in questo periodo storico, sta subendo un delicato passaggio, sia per effetto dello stato di detenzione di una buona parte delle figure criminali apicali, sia in conseguenza degli omicidi di alcuni esponenti di spicco. I sodalizi malavitosi «storici» di Bitonto sono ora inquadrabili in tre clan: i Cassano, i Cipriano e i Conte, dediti in prevalenza allo spaccio di sostanze stupefacenti, alle estorsioni e alle rapine ai danni di autotrasportatori.
  Come suffragato dai risultati di recenti attività info-investigative, i maggiori esponenti della malavita locale, sebbene siano in stato di detenzione carceraria, continuano a far pervenire direttive organizzative e gestionali ai sodali di nuova generazione e ancora in libertà. Ne consegue che i gruppi criminali, verosimilmente, potrebbero transitare sotto il controllo delinquenziale delle «seconde file», di giovane età, che allo stato, pur non essendo nelle condizioni di concepire strategie criminali vere e proprie, sono spesso coinvolte in gravi fatti di sangue.
  Per contrastare efficacemente tale situazione, la questura di Bari mantiene alta l'attenzione nei confronti di questa specifica realtà territoriale favorendo ogni sinergia operativa tra la sezione criminalità organizzata della squadra mobile e il personale del commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto.
  Nonostante l'intensificazione delle attività di controllo del territorio e la mirata azione investigativa di contrasto, concretatesi, in importanti operazioni di polizia eseguite su disposizione del tribunale e della Direzione distrettuale antimafia di Bari, che hanno contribuito all'azzeramento dei fatti di sangue più efferati nei primi mesi dell'anno in corso, per i reati cosiddetti predatori (rapine a mano armata e furti a danno di agricoltori e ambulanti) si è purtroppo registrato un incremento, con intenso interessamento delle zone periferiche e delle aree extraurbane del territorio di Bitonto. Ne è conseguito un fisiologico aumento dei reati connessi, quali la ricettazione e le lesioni dolose. Di contro, si è registrato un consistente decremento degli incendi dolosi, dei danneggiamenti e dei reati legati all'uso di stupefacenti.
  L'attività di contrasto delle Forze dell'ordine nel primo trimestre 2013 è stata particolarmente efficace e ha fatto registrare 108 delitti scoperti (104 nell'analogo periodo dell'anno precedente) e 188 persone denunciate o arrestate (159 nel primo trimestre 2012).
  Oltre all'azione di prevenzione e di repressione dei reati, le Forze di polizia sono impegnate quotidianamente in tutta la provincia di Bari per il sequestro dei beni e per la ricerca dei latitanti della criminalità organizzata, per lo svolgimento dei servizi connessi al fenomeno dell'immigrazione e, non ultimo, per il mantenimento dell'ordine pubblico, legato anche all'attuale crisi occupazionale. La lotta alla criminalità organizzata richiede, inoltre, sacrifici sempre maggiori agli operatori impegnati nella tutela e nella protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia della provincia barese, le cui famiglie scelgono spesso di continuare a vivere nella zona di origine.
  La situazione della criminalità nel comune di Bitonto e nelle aree limitrofe ha formato oggetto nel tempo di numerosi comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, allargati anche a soggetti esterni all'amministrazione della pubblica sicurezza.
  Nello scorso mese di febbraio, a seguito dell'atto intimidatorio attuato contro un amministratore pubblico di Bitonto, destinatario di una missiva contenente un proiettile calibro 9, il prefetto della provincia ha tempestivamente riunito il comitato al fine di adottare le necessarie misure tutorie in favore dell'interessato e della moglie, a sua volta vittima dell'incendio doloso della sua autovettura.
  Nell'incontro del 24 maggio 2013 dello stesso comitato, allargato anche al procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Bari e ai rappresentanti dei comuni di Bitonto, Giovinazzo, Palo del Colle, Ruvo di Puglia, Sannicandro, Terlizzi e Toritto, è stato fatto il punto sulla sicurezza pubblica nei territori dei comuni interessati ed è stata garantita la massima disponibilità a interventi mirati nello specifico alla repressione dei reati nelle campagne, con il coordinamento dell'azione sul territorio delle forze dell'ordine e il potenziamento dei servizi già effettuato dal comando dei Carabinieri di Bari per i comuni di Bitonto, di Palo del Colle e di Toritto.
  Il 5 settembre 2013 il comitato ha dedicato la riunione all'analisi dell'ordine e della sicurezza pubblica nel capoluogo e nella provincia, con particolare riferimento al comune di Bitonto, con un richiamo significativo alla sparatoria del 2 luglio 2013. I tre pregiudicati, autori del tentato omicidio, sono stati identificati e fermati dopo qualche giorno dal personale della squadra mobile di Bari e del locale commissariato di Polizia, su disposizione della Direzione distrettuale antimafia.
  Durante la riunione si è dato atto del notevole sforzo messo in campo, anche questa volta, sul fronte investigativo dalle forze di polizia locali i cui organici risentono di una carenza importante, seppur minoritaria rispetto alla media nazionale.
  Si evidenzia che presso il commissariato di pubblica sicurezza di Bitonto risultano effettive 42 unità mentre la stazione dei Carabinieri e la tenenza della Guardia di finanza presentano una forza effettiva rispettivamente di 22 e 28 militari.
  La vigente normativa sulla riduzione della spesa pubblica e i tagli relativi al settore della sicurezza, hanno gravato notevolmente sulle nuove assunzioni del personale concesse limitatamente al cinquanta per cento dei pensionamenti per ciascuno degli anni 2013 e 2014, fino al settanta per cento per l'anno 2015 e soltanto a decorrere dal 2016 le assunzioni potranno essere pari al cento per cento dei pensionamenti.
  Nonostante ciò, il dipartimento della pubblica sicurezza ha disposto che nel periodo settembre-ottobre 2013, la polizia di Stato della provincia di Bari sarà incrementata di 86 unità e che il commissariato di Bitonto beneficerà del potenziamento di 5 operatori.
  In atto e fino al 31 dicembre 2013, è operativo un contingente di 166 militari delle Forze armate, che concorrono nelle attività di controllo del territorio ai sensi dell'articolo 7-bis decreto-legge n. 92 del 2008.
  Per ciò che concerne, infine, il sistema integrato di videosorveglianza territoriale e di monitoraggio del traffico veicolare, finalizzato al potenziamento dell'efficacia e dell'efficienza del controllo del territorio da parte delle Forze di Polizia e dell'ottimizzazione della capacità d'intervento ed impiego delle risorse, nel quadro del «PON Sicurezza», per l'intera regione Puglia sono stati stanziati 46.668.902,73 euro.
  In particolare, nelle aree urbane sono acquisite e dislocate «telecamere di osservazione», «telecamere di contesto» e «lettori di rilevamento targhe e transiti» per un numero complessivo di 636 per l'intero territorio pugliese. Nello specifico, nella città di Bitonto sono stati installati 16 apparati, di cui 10 fissi e 6 rimovibili. I flussi video delle telecamere sono inviati di continuo per la visualizzazione e gestione operativa in loco, presso le questure e i comandi provinciali dell'Arma dei carabinieri. Inoltre, per le videosorveglianze a carattere locale, proposte con progetto dai comuni interessati, sono stati ammessi al finanziamento, per la Puglia, 29 progetti per un importo complessivo pari a 7.730.998,47 euro.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GREGORI, FASSINA, PASTORINO, TIDEI, FERRO, MICCOLI, MAZZOLI, TERROSI, MARRONI, STUMPO, MORASSUT, DAMIANO, VILLECCO CALIPARI, TINO IANNUZZI, CARELLA e VALIANTE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la coesione territoriale. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta all'interrogante:
    a quattro anni dal terribile terremoto che ha colpito la città dell'Aquila, causando 309 vittime e 10 miliardi di danni, la ricostruzione leggera è a buon punto, ma quella pesante è partita solo nelle periferie, non occupandosi in maniera sufficientemente adeguata del centro storico;
    in occasione delle cerimonie di commemorazione per il quarto anniversario del sisma la popolazione tutta ha lanciato l'ennesimo grido di dolore e di denuncia nei confronti di una situazione sempre più insostenibile, dove alla tragedia si è aggiunta anche una profonda crisi sociale ed economica;
    la città dell'Aquila si candida a diventare Capitale europea della cultura per il 2019, un'iniziativa lodevole quale fattore di riaggregazione della comunità intorno ad un progetto ben avvertibile d'interesse generale, ma che tuttavia presuppone lo stanziamento di risorse certe e costanti, ed un chiaro impegno di ricostruzione economica e materiale del centro storico e dell’hinterland;
    le persone ancora assistite sono 22.206, di cui 12.318 vivono nelle C.a.s.e. (complessi antisismici sostenibili ecocompatibili), 2.700 in moduli provvisori, 240 in abitazioni del Fondo immobiliare, 259 sono alloggiati in varie strutture ricettive, come le 116 persone che vivono ancora presso la caserma a Coppito, mentre i 6.686 aquilani rimasti senza un tetto ricevono un contributo autonoma sistemazione, che il comune ha continuato con fatica ad erogare anche in assenza di trasferimenti dello Stato;
    secondo quanto riferito in una recente intervista radiofonica dal sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, nell'ultimo anno se ne sono andate via dalla città 6.000 persone e vi è il rischio concreto che, a questi ritmi, nel 2016, non ci saranno neanche 40 mila abitanti a popolare il capoluogo di regione;
    stando ai vertici di Confcommercio Abruzzo continuano le perdite economiche visto che con la chiusura del centro storico i negozi hanno dovuto spostarsi verso l'esterno della città e ciò ha fatto crollare gli acquisti d'impulso, che coprono il 50-60 per cento dell'attuale giro di affari;
    le principali associazioni di categoria, i commercianti, gli artigiani e gli imprenditori accusano la presenza di uno Stato che invece di semplificare e agevolare il rientro alla normalità ha, al contrario, messo in piedi un apparato burocratico fatto di decreti, ordinanze, leggi e direttive, per un totale di circa 1.109 disposizioni, che sembra giustificato solo in parte e certamente non aiuta chi, in buona fede e nel rispetto della legge, deve vedersi garantita la necessaria snellezza amministrativa e burocratica per poter far ripartire le proprie attività;
    il Ministro per la coesione territoriale, in qualità di inviato speciale del Governo per la ricostruzione dell'Aquila e dei comuni del cratere, ha recentemente illustrato le tappe future della ricostruzione e descritto l'attività svolta negli ultimi 14 mesi;
    solo qualche settimana fa, il Ministro dell'economia e delle finanze ha firmato il decreto di variazione di bilancio dei fondi per L'Aquila e i comuni del cratere e tali fondi, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, consentiranno in primo luogo di avviare in modo sistematico la ricostruzione del centro storico dell'Aquila e degli altri comuni del cratere, sia nella parte privata che pubblica –:
   se alla luce di quanto esposto, non si ritenga doveroso, in accordo con il Commissario delegato per la ricostruzione e gli altri organi interessati, procedere ad una riduzione dello stock normativo intervenuto nel corso degli anni nella gestione post-sisma, al fine di semplificare e introdurre elementi di chiarezza e sistematicità amministrativa certamente utili alla ripresa economica e sociale della città dell'Aquila e dei comuni del cratere;
   quali iniziative di propria competenza il Governo intenda mettere in atto per cercare di accelerare le tappe della ricostruzione ordinaria e abbassare le attuali stime temporali di completamento dei lavori o comunque per fornire elementi di priorità che, ad oggi, sembrano essere particolarmente pressanti per la popolazione come, ad esempio, il ripristino dell'indotto commerciale nel centro storico o l'alleviamento delle condizioni di crisi in cui versano sia il settore edile che i lavoratori in cassa integrazione. (4-00224)

  Risposta. — L'interrogante chiede se non sì ritenga doveroso procedere ad una riduzione dello stock normativo intervenuto nel corso degli anni nella gestione post-sisma in Abruzzo e quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per accelerare le tappe della ricostruzione ordinaria e favorire il ripristino dell'indotto commerciale nel centro storico.
  Al riguardo per i profili di competenza si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento alla prima parte del quesito, laddove si parla di una «riduzione dello stock normativo», si segnala all'interrogante, che il problema è pienamente condiviso dal Governo. Sono, infatti, stati già avviati i lavori per la predisposizione di un testo unico che raccolga con sistematicità tutte le disposizioni normative emanate, nella fase di emergenza post-sisma, attraverso ordinanze del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti, circolari del Commissario delegato e così via.
  I suddetti lavori trovano fondamento giuridico nell'articolo 61-quinquies, comma 2, della legge 7 agosto 2012, n. 134, che ha previsto espressamente che il coordinamento e la raccolta di tutte queste disposizioni, avvenga attraverso lo strumento normativo del testo unico.
  Un primo gruppo di lavoro è stato costituito presso il gabinetto del Ministro per la coesione territoriale: il compito è stato quello di procedere alla ricognizione delle disposizioni normative emanate e di porre in essere un'opera di coordinamento. Un secondo gruppo di lavoro, di natura interministeriale, è stato costituito presso il Dipartimento per gli affari giuridici della Presidenza del Consiglio dei ministri: i lavori sono partiti dalla suddetta ricognizione e stanno procedendo verso la stesura del testo unico.
  Con riferimento alla seconda parte del quesito, relativa a quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per accelerare le tappe della ricostruzione ordinaria e favorire il ripristino dell'indotto commerciale nel centro storico, mi corre l'obbligo di evidenziare come il nuovo assetto organizzativo, definito dal precedente Governo, per amministrare il processo della ricostruzione nei territori abruzzesi, sia oggi pienamente operativo. Il modello, adottato con la citata legge 134 del 2012, articoli 67-bis e successivi, come è noto, prevede che all'autonomia delle decisioni prese, in sede locale, dai comuni, si affianchi il supporto di due uffici speciali, uno per l'Aquila e uno per i 56 comuni del cratere. Gli uffici speciali hanno, da qualche mese, cominciato ad operare con impegno nei territori attuando quell'opera di intermediazione tra livello centrale e livelli locali di governo che sta dando un forte impulso alla ricostruzione. Si segnala, fra l'altro, che nella fase di avvio alcuni degli uffici territoriali hanno avuto piena assistenza da parte degli organi dell'Amministrazione centrale e sono stati messi in condizione di funzionare con piena operatività.
  Il Governo è poi intervenuto anche sul piano delle procedure per il riconoscimento dei contributi: con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri emanato il 4 febbraio 2013 è stato introdotto il modello cosiddetto parametrico che ha modificato, semplificandole, le procedure per l'erogazione dei contributi destinati alla ricostruzione privata.
  Il nuovo modello organizzativo e le semplificazioni introdotte stanno oggi dando i loro frutti, consentendo alla macchina della ricostruzione di realizzare una sensibile accelerazione nell'esame delle pratiche, tale da poter destinare ai cittadini, integralmente, i 2,2 miliardi di euro già stanziati dallo Stato e resi disponibili per la ricostruzione. A questo fine si segnala oltre all'introduzione, nell'articolo 4 del recente decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, di norme atte a consentire ai comuni interessati di avvalersi delle competenze tecniche necessarie ad evitare interruzioni nello svolgimento dei compiti ad essi assegnati, anche il finanziamento di circa 1.200 milioni di euro, intervenuto con la legge 24 giugno 2013, n. 71, per assicurare la prosecuzione degli interventi per la ricostruzione privata.
  Infine, si stanno accompagnando le attività per la ricostruzione con importanti interventi per lo sviluppo e l'occupazione. Un primo intervento ha riguardato la destinazione di 80 milioni di euro al sostegno e alla promozione dell'attività di piccole e medie imprese, messe in difficoltà dalla crisi, con regimi di aiuto de minimis, attraverso la pubblicazione di un bando finalizzato alla richiesta del contributo. La procedura ha avuto ampia partecipazione con oltre 4000 domande pervenute e ritenute valide, di cui il 13 per cento per il solo centro storico dell'Aquila.
  Inoltre, con decreto dell'8 aprile 2013 sono stati ripartiti 100 milioni di euro che il Cipe aveva destinato alla parte sviluppo, collegandoli ad interventi relativi alla promozione di attività di forte innovazione, di attrazione turistica e di rafforzamento del tessuto industriale presente nell'area del cratere. Si segnala che verrà aggiudicato entro il mese di settembre 2013 il primo bando di progetto per i sottoservizi pari a 33 milioni di euro e sta per essere pubblicato un secondo bando per 47 milioni di euro la cui aggiudicazione è prevista per febbraio 2014.
Il Ministro per la coesione territorialeCarlo Trigilia.


   IACONO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Agrigento è interessata da numerosi sbarchi di cittadini extracomunitari, molti dei quali si trovano nello status di minori extracomunitari non accompagnati;
   sino al 1° marzo 2013 il Governo nazionale ha reso possibile garantire l'accoglienza e la prestazione di un adeguato servizio sociale e assistenziale a questi soggetti attraverso misure e progetti finalizzati a garantire la permanenza di questi giovani nel territorio italiano;
   in questo senso il Progetto «Emergenza Nord Africa» del Ministero dell'interno finalizzato all'accompagnamento e sostegno nelle strutture del terzo settore e del no profit ha rappresentato uno strumento diretto a favorire l'accoglienza e a combattere l'emergenza anche a seguito dell'esplosione della Primavera Araba del 2011;
   il suddetto «Progetto emergenza Nord Africa» si è concluso il 1° marzo 2013 e la successiva proroga emanata dal Ministero dell'interno il 5 marzo 2013, riguarda solo ed esclusivamente i minori già allocati nelle comunità alloggio e per l'appunto proroga di soli 6 mesi la permanenza in struttura dei minori stranieri non accompagnati;
   l'approssimarsi della stagione estiva porterà con sé un naturale incremento degli sbarchi di cittadini extracomunitari con il conseguente arrivo nelle coste italiane di soggetti minori non accompagnati, e questi, vista la scadenza del suddetto progetto non troveranno adeguati strumenti di tutela e di accompagnamento e di accoglienza, va considerata la gravissima situazione economica e finanziaria in cui versa la stragrande maggioranza dei comuni siciliani, impossibilitati a coprire con risorse proprie le rette per il mantenimento nelle strutture del no profit sociale;
   molte strutture del privato sociale, della cooperazione sociale e dell'associazionismo non hanno ancora ricevuto i pagamenti dovuti relative al progetto emergenza Nord Africa per gli anni 2011 e 2012 –:
   se e di quali strumenti finanziari il Governo intenda dotarsi per potere consentire alle strutture finalizzate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di potere continuare il servizio di assistenza anche dopo la scadenza della proroga del progetto emergenza Nord Africa;
   se il Governo abbia previsto la copertura finanziaria delle rette per l'accoglienza in strutture adeguate dei minori arrivati in Italia dopo il 1° marzo 2013 e in capo a quale ente sia il pagamento di tali rette;
   quali siano i tempi di erogazione delle rette per il mantenimento dei minori stranieri non accompagnati in riferimento al progetto emergenza Nord Africa annualità 2011-2012. (4-00448)

  Risposta. — Con riferimento alla problematica dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati si fa presente che, sulla base dei dati disponibili, al 31 agosto 2013, sul sito www.lavoro.gov.it, risultano presenti sul territorio nazionale 6044 minori stranieri non accompagnati. Al riguardo si precisa che tali dati vengono aggiornati periodicamente dalla Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, in attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 95 del 2012, (convertito dalla legge n. 135 del 2012), ha assunto le funzioni già del Comitato per i minori stranieri disciplinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535.
  La rilevante presenza di minori stranieri non accompagnati sul territorio nazionale ha portato all'adozione di interventi specifici di tutela e integrazione; sin dal loro arrivo sul territorio nazionale, i minori sono accolti nei centri di primo soccorso e accoglienza – ma in aree riservate e dedicate esclusivamente alle categorie vulnerabili – per il tempo strettamente necessario a prestare loro le prime cure e, nei casi dubbi, a svolgere gli esami medici volti all'accertamento dell'età, qualora si rendano necessari per difetto di documentazione o di evidenza visiva. Anche nella disciplina dell'ingresso e soggiorno del minore straniero prevale una particolare forma di tutela: i minori, infatti, non possono essere espulsi, stante il divieto previsto dall'articolo 19 del testo unico in materia di immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286). In questi casi, infatti, il Questore rilascia al minore un permesso di soggiorno per minore età ovvero un permesso per integrazione sociale e civile.
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è ben consapevole che la situazione dell'accoglienza debba essere affrontata attraverso una «governance» multi-livello che coinvolga le istituzioni centrali e locali competenti in materia. Per tale ragione, a seguito della chiusura dello stato di emergenza umanitaria legato all'eccezionale afflusso di cittadini provenienti dal nord Africa e del rientro nella gestione ordinaria, ha aperto un tavolo interistituzionale nel quale proseguire, con le altre amministrazioni competenti in materia (Ministero dell'interno, Ministero della giustizia, Anci, Upi, coordinamento delle regioni), la proficua collaborazione istituzionale sul tema dei minori stranieri non accompagnati già messa a punto nel tavolo di coordinamento presso il Dipartimento della protezione civile e nel tavolo di coordinamento nazionale presso il Ministero dell'interno.
  Al fine di potenziare le attività di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio nazionale, il tavolo ha approvato la realizzazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un sistema informativo on-line finalizzato alla tracciabilità del loro percorso di accoglienza dal momento dell'arrivo nel territorio italiano. Tale sistema consentirà a tutti gli attori coinvolti (Questure, regioni, comuni, comunità, tribunali, eccetera) di accedere ad una base dati condivisa nella quale ciascuno, in relazione alle proprie competenze, possa inserire e visualizzare le informazioni sul minore, al fine di organizzare in modo più funzionale i percorsi di accoglienza e integrazione dei minori.
  Con l'intento di collaborare alla ricerca di soluzioni alle problematiche connesse all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in aree particolarmente sensibili in quanto interessate da frequenti sbarchi, il Ministero intrattiene rapporti costanti con la regione Sicilia.
  I costi per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati sono, in base alla attuale normativa, a carico dei comuni sul cui territorio il minore è rintracciato. In occasione della emergenza nord Africa è stata però riconosciuta una copertura finanziaria per l'accoglienza dei minori provenienti dai paesi coinvolti. La competente direzione generale ha provveduto ad effettuare tutti i pagamenti relativi all'anno 2011. Per quanto riguarda invece l'anno 2012, tenuto conto che le relative risorse sono state trasferite soltanto nel mese di marzo del corrente anno, l'erogazione dei contributi è ancora in fase attiva.
  Al fine di assicurare la prosecuzione degli interventi finanziari centrali a favore dei minori stranieri non accompagnati, è stato istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (articolo 23, comma 11, decreto-legge n. 95 del 2012) la cui dotazione, per l'anno 2012, ammontava a 5 milioni di euro. In attuazione della citata disposizione legislativa, con decreto ministeriale del 31 ottobre 2012, sono state stabilite le modalità di utilizzo del Fondo, fondate su un sistema di riparto delle risorse finanziarie tra i Comuni che hanno sostenuto i costi per l'accoglienza dei minori entrati nel territorio nazionale e segnalati nei primi nove mesi del 2012, con esclusione di coloro per i quali gli oneri dell'accoglienza sono stati imputati all'emergenza nord Africa.
  Per l'anno 2013, il Fondo non è stato però rifinanziato. Il decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti» ha comunque previsto, all'articolo 9, comma 9, su proposta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la riassegnazione al Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri dei residui maturandi dalla gestione emergenziale di cui alle ordinanze di protezione civile riguardanti lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale, in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del nord Africa nonché per il contrasto e la gestione dell'afflusso di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea.
  Per l'anno 2013, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella consapevolezza della grave situazione di criticità in cui versano i territori a causa dei costi sostenuti per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, in accordo con l'intesa raggiunta in Conferenza unificata, ha destinato 5 milioni di euro del Fondo politiche sociali ai costi dell'accoglienza per i minori stranieri non accompagnati.
  La predetta somma sarà materialmente distribuibile dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro la fine del corrente anno.
  La drastica riduzione del Fondo per le politiche sociali, pressoché azzerato nel 2012 e rifinanziato dalla legge di stabilità solo per il 2013, nell'ambito del quale viene individuata la quota parte del Fondo per le politiche migratorie, ha portato alla rilevante diminuzione delle disponibilità di quest'ultimo e ha impedito un rifinanziamento del «Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati», realizzato in collaborazione con l'Anci al fine di creare un sistema nazionale, decentrato e in rete, di presa in carico e integrazione sul territorio dei minori stranieri non accompagnati. Il programma è stato finanziato per due fasi (dal 2007 al 2012).
  Con riferimento agli interventi in corso, si evidenzia che nel 2012 sono stati finanziati specifici percorsi di integrazione socio-lavorativa a favore dei minori stranieri non accompagnati, al fine di garantire il proseguimento della loro permanenza in Italia al compimento del diciottesimo anno di età. L'intervento si basa sul finanziamento di una «dote individuale» per la realizzazione di un Piano di intervento personalizzato (Pip) in relazione allo sviluppo di competenze e per la promozione e la gestione di percorsi individualizzati di inserimento lavorativo (euro 3 mila di «dote qualificazione» ovvero euro 5 mila di «dote occupazione»). L'azione è stata finanziata con risorse provenienti dal fondo sociale europeo, nelle Regioni obiettivo convergenza, e con fondi nazionali nel resto d'Italia, per un finanziamento totale di 1126 doti individuali e un ammontare complessivo di risorse pari ad euro 5.498.000,00.
  Nell'ambito del programma annuale 2012 del Fondo europeo per l'integrazione di cittadini di Paesi terzi, è stato approvato il progetto «Autonomia e integrazione per giovani donne straniere», per un finanziamento complessivo di 1 milione di euro. Il progetto si pone l'obiettivo generale di promuovere sul territorio nazionale lo sviluppo, la diffusione e lo scambio di modelli e strumenti di intervento innovativi per il supporto all'autonomia di una fascia particolarmente vulnerabile di persone migranti, ossia le minori straniere non accompagnate in fase di transizione verso l'età adulta (16-17 anni) e le giovani donne migranti a rischio di esclusione sociale fino al 24esimo anno di età.
  Relativamente ai minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, il competente Ministero dell'interno ha destinato la somma di 5 milioni di euro per il rimborso dei costi degli enti locali per le spese sostenute per l'accoglienza di tali minori. Tale rimborso deve essere richiesto alle Prefetture competenti, in relazione ai costi sostenuti dal momento della formalizzazione della domanda di asilo da parte del minore e sino all'inserimento nelle strutture dello Sprar per il periodo 1o gennaio-31 dicembre 2013. Il limite massimo del costo dell'accoglienza rimborsabile pro die e pro capite è fissato in 70 euro Iva inclusa.
  Per incrementare i livelli di efficienza dei sistemi di accoglienza, è stato previsto l'ampliamento del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), che era già stato implementato nel 2012 (di 702 posti), ed è stato ulteriormente incrementato (di 800 nuovi posti), portando complessivamente la ricettività a 4.500 posti.
  Si fa presente inoltre che è operativo il progetto «Praesidium», finalizzato a rafforzare le capacità di accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano le località strategiche di frontiera, situate sulle coste meridionali del Paese. Il progetto – al quale partecipano la Croce rossa italiana, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati e Save the Children – fornisce un primo orientamento legale e un supporto informativo, relativamente alla legislazione italiana in tema di immigrazione, alla tratta di esseri umani e alla riduzione in schiavitù. In proposito, al fine di elaborare il piano d'azione nazionale contro la tratta, nel gennaio scorso, è stato costituito un tavolo tecnico, presieduto dal Ministro per le pari opportunità e collegato alla commissione interministeriale per il sostegno alle vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento. A tale tavolo partecipano, oltre ai rappresentanti delle amministrazioni interessate e delle forze di polizia, anche operatori del privato sociale e soggetti che hanno maturato una significativa esperienza nella delicata materia.
  Da ultimo si informa che il Ministero dell'interno ha promosso, in partenariato con diverse organizzazioni internazionali, il progetto pilota europeo «Analisi delle politiche di accoglienza, protezione e integrazione dei minori non accompagnati nell'ambito dell'Unione europea». Tale progetto, finanziato anche dalla Commissione europea, ha la finalità di adottare particolari misure e procedure a garanzia dei minori non accompagnati nell'ambito dell'Unione europea.
Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMaria Cecilia Guerra.


   MELILLA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione di Francavilla a Mare (provincia di Chieti) nel 2012 ha deciso di abbattere ben 55 tigli cinquantenari, nel pieno centro cittadino, col pretesto di dover rifare i marciapiedi (attività per la quale non è necessario l'abbattimento degli alberi, come giustamente sostiene il Corpo forestale dello Stato);
   contro questo progetto sono scese in campo tutte le maggiori associazioni ambientaliste (WWF, Legambiente, Italia nostra, CONALPA, ecc.) ed è nato un comitato di cittadini per contrastare il progetto, proponendo soluzioni alternative al tagli di alberi che, per quanto ragionevoli, sono rimaste inascoltate. È stato inoltre inviato un esposto all'autorità giudiziaria contro il taglio dei 55 tigli;
   il comune ha già approvato il progetto esecutivo e ha aggiudicato l'appalto a una ditta che a breve potrebbe radere al suolo gli alberi;
   nel frattempo è entrata in vigore la legge 10 del 14 gennaio 2013 recante «Norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani» che disciplina la tutela degli alberi di particolare pregio in ambito urbano e stabilisce che tali alberi possono essere abbattuti solo in determinati casi e previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato. In particolare l'articolo 7 della legge 10 del 2013 inserisce tra le piante monumentali anche «i filari e le alberate di particolare pregio paesaggistico, naturalistico, storico e colturali» come è appunto il caso dei 55 tigli di Francavilla a Mare (CH);
   il Corpo forestale dello Stato ha avuto un incontro con l'amministrazione comunale di Francavilla a Mare e successivamente ha scritto una lettera a firma della comandante provinciale di Chieti con la quale si evidenzia un parere negativo all'abbattimento invitando l'amministrazione ad adottare un atteggiamento prudente nei confronti dei suddetti tigli, che sono stati piantati negli anni cinquanta ed hanno un importante valore, non solo ambientale, per la capacità di abbattere l'inquinamento e le polveri sottili, ma anche storico e paesaggistico, per le dimensioni, per il fatto di essere disposti a doppio filare per più di due chilometri, per la loro bellezza. La lettera del Corpo forestale dello Stato di Chieti si conclude «confermando il concetto per cui appare difficilmente accettabile, anche alla luce del recente inquadramento normativo, un taglio a raso come unica soluzione percorribile»;
   secondo stime scientifiche del «Coordinamento Nazionale per gli alberi e il Paesaggio» ognuno di quei tigli ha un valore economico di 8 mila euro per un totale di 440 mila euro per non parlare del decoro e della bellezza che conferiscono al centro di Francavilla a Mare, e della tutela della salute dei cittadini per il contrasto che operano nei confronti dell'inquinamento;
   ciononostante l'amministrazione comunale di Francavilla a Mare è intenzionata a procedere al taglio dei 55 tigli –:
   quali iniziative intendano assumere per evitare una scelta irreparabile che contraddice la legge nazionale n. 10 del 2013, laddove prevede un parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato che ha proposto soluzione radicalmente diverse dall'abbattimento a raso. (4-00100)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente le iniziative da intraprendere per evitare l'abbattimento di 55 alberi di tiglio (disposto dall'amministrazione comunale di Francavilla a Mare — Chieti), evidenzio che la legge n. 10 del 2013, oltre a dettare norme per lo sviluppo degli spazi verdi urbani, potenzia anche il preesistente quadro normativo in materia di tutela e valorizzazione degli alberi monumentali (decreto legislativo n. 42 del 2004, così come modificato e integrato dal decreto legislativo n. 63 del 2008, e normative regionali promulgate negli ultimi decenni).
  In particolare, l'articolo 7 della legge n. 10 citata, oltre ad introdurre una definizione univoca di «albero monumentale» (che le regioni dovranno recepire a livello legislativo), estesa anche alle formazioni vegetali costituite in filare o gruppi, ne vieta l'abbattimento nonché le modifiche dei relativi apparati, limitando gli interventi di tale tipo solo a casi motivati e improcrastinabili e a fronte di autorizzazione comunale, previo parere obbligatorio e vincolante del Corpo forestale dello Stato.
  Detta legge prevede, tuttavia, anche una serie di adempimenti per l'amministrazione centrale e quelle locali, necessari affinché le disposizioni in essa contenuta possano effettivamente attuarsi.
  Infatti, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore (avvenuta il 16 febbraio 2013), devono essere individuati con mio decreto emanato, di concerto con i ministri per i beni e le attività culturali e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la conferenza unificata di cui al decreto legislativo n. 281 del 1997, i princìpi e i criteri direttivi per il censimento degli alberi monumentali d'Italia.
  I comuni, dal canto loro, hanno un anno di tempo dal predetto termine per censire gli alberi monumentali del territorio di competenza e trasmetterne i risultati alle regioni. Queste ultime, compilato un apposito elenco, devono inoltrarlo al corpo forestale dello Stato per la successiva redazione di un elenco nazionale degli alberi monumentali, da aggiornate costantemente.
  Ciò premesso, nelle more dell'attribuzione al singolo elemento arboreo o filare del carattere di monumentalità ai sensi della suddetta legge, attraverso l'inserimento nell'elenco nazionale e il successivo provvedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico di cui agli articoli 137 e successivi del decreto legislativo n. 41 del 2004, ogni parere fornito dal C.f.s. non ha carattere vincolante, a meno che non sia stabilito da normative regionali.
  Peraltro, la competente avvocatura distrettuale dello Stato (interpellata dal comando provinciale del C.f.s. di Chieti), ha ritenuto la tutela delle alberature prevista della legge regionale n. 24 del 1986 (che sottopone a regime vincolistico le specie forestali che abbiano raggiunto portamento arboreo e richiede, ove necessario l'abbattimento, il previo parere dell'ispettorato ripartimentale del C.f.s.) applicabile solo alle aree extraurbane con esclusione, quindi, della zona urbana in questione.
  Chiarito quanto sopra, informo l'interrogante che stiamo predisponendo lo schema di decreto interministeriale grazie al quale, una volta stabiliti i principi e i criteri direttivi per il censimento degli alberi monumentali d'Italia, potrà essere data esatta e piena attuazione alla legge n. 10 del 2013, anche riguardo alla formulazione del parere obbligatorio e vincolante da parte del C.f.s.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   MICILLO, BUSINAROLO, TURCO, CANCELLERI, VILLAROSA, CHIMIENTI, RUOCCO, BATTELLI, D'UVA, MARZANA, LUIGI GALLO, FERRARESI, D'AMBROSIO, COLONNESE, COLLETTI, MANLIO DI STEFANO, SILVIA GIORDANO, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, BARONI, CASTELLI, TOFALO, BALDASSARRE, FICO, CARIELLO, CASO, SARTI e CURRÒ. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il «Sancarluccio» è una sala storica nel panorama teatrale napoletano e italiano; nato nel dicembre del 1972, il teatro sorge nel quartiere di Ghiaia, a ridosso di via dei Mille, il cuore del centro storico ottocentesco della città;
   esso ha supportato autori e attori napoletani e non, tra i quali il suo primo eccellente scritturato Roberto Benigni;
   nel corso degli anni Settanta il Sancarluccio si connota come fucina di giovani talenti, da Leopoldo Mastelloni a Massimo Troisi, che qui debuttava nella Smorfia con Lello Arena ed Enzo De Caro;
   a questa attività si affiancò l'ospitalità di compagnie, registi e attori napoletani emergenti o di tradizione (Nello Mascia, Ida Di Benedetto, Tato Russo);
   negli anni Ottanta il Sancarluccio divenne laboratorio della nuova drammaturgia napoletana, ospitando Annibale Ruccello, che qui presentò la prima edizione di «Le cinque rose di Jennifer» in veste di autore e attore e producendo diversi lavori del teatro di Enzo Moscato;
   altri artisti da ricordare: Mario Martone, Tony Servillo, Renato Carpentieri, capostipiti dell'avanguardia napoletana, Silvio Orlando e Tonino Taiuti, Peppe Lanzetta, Vincenzo Salemme, Marina Gonfalone, Lucia Poli, Laura Morante, Luigi Lo Gascio – e tanti altri nomi;
   negli anni Novanta, con l'ideazione di «UnderTeatro – Rassegna per un Teatro di Creazione e Formazione», dedicata alle giovani compagnie di teatro italiano non inserite in circuiti ufficiali, il Sancarluccio si riconferma come luogo di sperimentazione e proposta di nuovi percorsi teatrali;
   alcune testate di informazione locale riferiscono che per mancanza di fondi la sala è destinata dopo 40 anni di attività a chiudere;
   il «corrieredelmezzogiorno.it» in un articolo del 30 aprile 2013 informa i lettori che sul «Sancarluccio» pende uno sfratto esecutivo da eseguirsi entro il 30 giugno 2013;
   per scongiurare la chiusura e sensibilizzare le istituzioni preposte è stata promossa una petizione on line;
   molte altre piccole realtà teatrali esistenti su tutto il territorio italiano versano in gravi difficoltà;
   i piccoli teatri oltre a rappresentare un laboratorio per attori emergenti, offrono spesso un'occasione di socializzazione, di creatività, di arricchimento culturale, una vera palestra di vita per tanti giovani –:
   quali iniziative intenda altresì intraprendere rispetto alla problematica crescente di diversi piccoli teatri italiani versanti nelle condizioni, descritte in premessa, tra i quali il teatro Sancarluccio, che per oltre 40 anni ha segnato la storia della cultura sperimentale napoletana senza la quale probabilmente non sarebbero emersi alcuni tra i più straordinari talenti nazionali, rappresenta senz'altro una eccellenza. (4-00984)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale l'interrogante chiede quali iniziative si intenda adottare in relazione alle difficoltà economiche di diversi teatri italiani, con particolare riferimento al teatro Sancarluccio di Napoli, si rappresenta quanto segue.
  La direzione generale per lo spettacolo dal vivo sostiene finanziariamente una serie di organismi gestori di piccoli teatri, fra i quali la ditta individuale Caterino Giuseppina che gestisce il teatro Sancarluccio di Napoli, sulla base dei criteri e delle modalità stabilite dal decreto ministeriale 12 novembre 2007 e successive modifiche.
  Il contributo annualmente assegnato da questa amministrazione è finalizzato al sostegno dell'attività teatrale svolta dalle compagnie ospitate nella sala teatrale, nonché ai correlati costi di gestione del teatro stesso.
  In relazione, poi, alle problematiche puntuali esposte dall'interrogante, si rappresenta che alla succitata ditta individuale sono stati assegnati i seguenti contributi economici.
  Nell'anno 2009 è stato assegnato l'importo di euro 13.517,00, nell'anno 2010 è stato assegnato l'importo di euro 11.556,00, nell'anno 2011 è stato assegnato l'importo di euro 11.511,00, nell'anno 2012 è stato assegnato l'importo di euro 11.529,00 e, infine, nell'anno 2013 è stato assegnato l'importo di euro 10.000,00.
Il Ministro per i beni e le attività culturali e il turismoMassimo Bray.


   MINARDO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore lattiero-caseario rappresenta una delle componenti principali del sistema agro-alimentare nazionale e in Sicilia ha rappresentato, prima della devastante crisi, il comparto trainante per l'economia isolana, considerando che solo dal territorio della provincia di Ragusa la produzione supera il 70 per cento in tutta la Sicilia, visto che le aziende zootecniche sono orientate prevalentemente verso l'allevamento bovino per la produzione del latte e dei suoi derivati;
   il latte siciliano risulta essere sottopagato dalle industrie di trasformazione nonostante la sua ottima qualità e le ripetute e inascoltate richieste dei produttori isolani di vedersi riconoscere un prezzo che, almeno, ripaghi i costi di produzione;
   si assiste ad una situazione paradossale per il comparto, considerato che i prezzi per i mangimi ed il foraggio sono in continuo aumento, mentre il prezzo del latte rimane invariato o addirittura si abbassa ulteriormente, con la conseguenza che gli operatori zootecnici non riescono a fronteggiare le spese e sono costretti ad insostenibili sacrifici economici. A ciò si aggiungono gli aumenti indiscriminati delle materie prime e del gasolio per i mezzi agricoli;
   l'importazione dall'estero di ingenti quantità di latte privo di tracciabilità rischia di compromettere la qualità dei prodotti ottenuti dalla sua trasformazione e nel contempo penalizza la produzione locale di latte che rischia, seriamente, di subire un colpo mortale con gravi conseguenze economiche e sociali per la Sicilia e la provincia di Ragusa, considerato l'alto numero di aziende agricole interessate che stanno attraversando una delle peggiori crisi dal dopoguerra ad oggi;
   ciascun soggetto, che sia titolare di allevamento, acquirente, titolare di centri di raccolta, titolare di centri di standardizzazione e responsabile delle aziende di trattamento deve consentire l'identificazione dell'origine del latte crudo impiegato in ogni lotto di prodotto ottenuto nelle medesime circostanze, così come recita il comma 1 dell'articolo 4 del decreto ministeriale del 27 maggio 2004; il comma 2 dello stesso articolo obbliga i soggetti a realizzare un sistema di rintracciabilità contenente le informazioni previste dall'allegato al decreto ministeriale; sempre il decreto ministeriale del 27 maggio 2004 prevede che gli stessi soggetti realizzino il manuale aziendale per la rintracciabilità del latte –:
   se il Governo intenda avviare iniziative politiche e amministrative allo scopo di salvaguardare il latte siciliano e tutti i suoi prodotti derivati, così da rendere remunerativa la produzione di latte da vendere alle aziende di trasformazione e ai consumatori;
   se intenda promuovere l'istituzione di un tavolo di trattative a livello regionale per il prezzo del latte;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attivare iniziative concrete provvedendo a intensificare i controlli sulla rintracciabilità e tracciabilità dei prodotti importati, che, spesso, vengono spacciati per prodotto locale al punto che, anche all'atto della trasformazione, quanto ottenuto verrebbe rivenduto come prodotto locale. (4-00923)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame concernente, tra l'altro, l'opportunità di intervenire riguardo al prezzo corrisposto agli allevatori per il latte crudo alla stalla, evidenzio che la normativa sulla concorrenza esclude la possibilità di trattative collettive finalizzate alla fissazione dei prezzi, in quanto suscettibili di provocare distorsioni.
  Tuttavia, nell'intento di superare i vincoli stabiliti dalle norme sulla concorrenza, la normativa comunitaria sull'organizzazione comune di mercato è stata di recente modificata con l'introduzione del cosiddetto «pacchetto latte» che consente alle «Organizzazioni di produttori» (Op) la possibilità di concentrare l'offerta ai fini della fissazione del prezzo.
  Il «pacchetto latte» è stato recepito con il decreto ministeriale 12 ottobre 2012 predisposto anche con il contributo fornito dalle organizzazioni delle categorie interessate nel corso di apposite riunioni convocate dall'amministrazione per illustrare ed esaminare in modo approfondito le nuove disposizioni comunitarie.
  In tale contesto, e in successive occasioni, considerata la rilevanza del tema della revisione del prezzo del latte alla stalla, abbiamo più volte richiamato l'attenzione sulle prospettive offerte dal «pacchetto latte» riguardo alle deroghe concesse alle organizzazioni di produttori per la negoziazione collettiva del prezzo del latte.
  Peraltro, considerato che l'attuale normativa non prevede alcun intervento diretto dell'amministrazione nella trattativa per la definizione del prezzo del latte alla stalla (che assume un carattere privatistico), abbiamo ripetutamente esortato gli attori della filiera a valutare la possibilità di instaurare un costruttivo programma di «interprofessione» nell'ambito della pertinente normativa comunitaria.
  Tuttavia, ad oggi, non sono state presentate domande per il riconoscimento di nuove organizzazioni di produttori, né di organizzazioni interprofessionali evidenziando, in tal modo, un marcato disinteresse per l'argomento in parola da parte di tutta la filiera lattiero-casearia.
  In ogni caso, qualora dovesse essere manifestato l'interesse da parte degli operatori della filiera, rinnovo la disponibilità di questo ministero a svolgere azioni di mediazione al fine di sensibilizzare maggiormente gli interessati su una migliore utilizzazione delle opportunità offerte dal «pacchetto latte».
  Per quanto concerne i controlli sulla rintracciabilità e tracciabilità dei prodotti della filiera in parola, ritengo opportuno evidenziare il costante impegno dell'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi (organo tecnico di controllo della mia amministrazione) nella lotta alle frodi e nella salvaguardia del «Made in Italy».
  L'attività di controllo è sempre improntata alla verifica della qualità merceologica degli alimenti e dei mezzi tecnici di produzione nonché all'accertamento della conformità delle produzioni agroalimentari alle relative norme di settore.
  L'ispettorato, spesso, proprio al fine di rendere più efficace l'attività di controllo, opera in collaborazione con altri organi di controllo ufficiali, quali il corpo forestale dello Stato, il comando carabinieri politiche agricole, il comando generale del corpo delle capitanerie di porto, il comando carabinieri salute (Nas), i nuclei di polizia tributaria della guardia di finanza, e la polizia di Stato.
  Inoltre, per contrastare in maniera più incisiva l'eventuale ed illecita importazione di prodotti agroalimentari sul territorio nazionale da anni ha instaurato un rapporto di collaborazione con l'agenzia delle dogane, al fine di monitorare i flussi d'introduzione delle derrate alimentari provenienti da Paesi extra Unione europea ed ostacolare più efficacemente il commercio fraudolento di falsi alimenti «made in Italy» sul territorio nazionale.
  Proprio dall'analisi di questi flussi, scaturiscono i dati per predisporre specifici controlli indirizzati all'accertamento della rispondenza dell'origine dichiarata sui documenti doganali all'atto dell'importazione dei prodotti agroalimentari, e della veridicità delle indicazioni riportate sui documenti commerciali e nella successiva etichettatura.
  Mi preme, infine, sottolineare che l'ispettorato, in continuità con le azioni svolte negli anni precedenti, anche nel settore lattiero-caseario, continuerà a mantenere un elevato livello di attenzione nel monitoraggio dei flussi commerciali dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi extra comunitari, per assicurare la corretta commercializzazione dei prodotti esteri che se fraudolentemente come italiani creerebbero situazioni di concorrenza sleale nei confronti degli operatori nazionali, non assicurando altresì una giusta informazione al consumatore finale circa l'origine dichiarata in etichetta.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   MOLTENI e MATTEO BRAGANTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, riunitosi il 15 giugno 2013, ha approvato un decreto-legge recante misure urgenti in materia di crescita;
   nel comunicato stampa n. 9 del Consiglio dei ministri, in cui si da notizia del varo di tale decreto e dei suoi contenuti, si può leggere al capitolo «impresa»: «10) Certificati medici inutili. Sono eliminate tutte le certificazioni mediche oggi necessarie per accedere a impieghi pubblici e privati»;
   i bandi per la selezione di volontari da impiegare in progetti di servizio civile in Italia e all'estero, ai sensi della legge n. 64 del 2001, prevedono che i candidati utilmente collocati nelle graduatorie producano un «certificato medico di idoneità fisica, rilasciato dagli organi del servizio sanitario nazionale» –:
   se il Governo non ritenga opportuno avviare azioni immediate affinché nel prossimo bando per la selezione di volontari in servizio civile, previsto per il mese di settembre 2013, sia eliminato l'obbligo, da parte dei giovani utilmente selezionati, di produrre il certificato medico di idoneità indicato in premessa. (4-00963)

  Risposta. — Con l'atto in esame, l'interrogante chiede se, in relazione a quanto riportato nel comunicato n. 9 del Consiglio dei ministri circa l'approvazione da parte del medesimo Consiglio di un provvedimento d'urgenza nel quale, tra l'altro, è stata prevista l'eliminazione di tutte le certificazioni mediche finora necessarie per accedere a impieghi pubblici e privati, il Governo non ritenga opportuno avviare azioni immediate affinché, nel prossimo bando per la selezione di volontari in servizio civile che sarà emanato entro il mese di settembre 2013, sia eliminato l'obbligo di produrre il certificato medico di idoneità da parte dei giovani utilmente selezionati.
  Al riguardo, si segnala che il provvedimento d'urgenza cui fa riferimento il comunicato stampa n. 9 riportato dall'interrogante è il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», che è stato convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98. Tale provvedimento contiene, tra l'altro, una serie di interventi volti a semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese.
  In tale ambito si colloca l'articolo 42 del predetto decreto-legge, concernente «Soppressione delle certificazioni sanitarie», il cui comma 5 ha apportato una modifica all'articolo 3 del decreto legislativo n. 77 del 2002, recante la disciplina del Servizio civile nazionale, volta ad eliminare il requisito dell'idoneità fisica tra quelli ivi previsti per l'ammissione allo svolgimento del servizio civile.
  Posso, quindi, confermare all'interrogante che il bando per la prossima selezione dei volontari, non prevederà più l'obbligo di produrre il certificato medico di idoneità per i volontari da avviare al servizio civile, nel rispetto di quanto previsto dalle nuove disposizioni.
  Cordiali saluti.
Il Ministro per l'integrazioneCécile Kyenge.


   NACCARATO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la città di Padova ospita diverse caserme delle forze armate che non sono più utilizzate, come la caserma Prandina e caserma Romagnoli;
   in particolare la caserma Romagnoli in via Chiesanuova, da tempo non più attiva, rientra nei beni del demanio militare e per la sua collocazione è oggetto di interesse manifestato più volte al Ministero da parte dell'amministrazione comunale;
   oggi questo insediamento di circa 145 mila metri quadrati rischia di subire un processo di progressivo degrado dovuto al tempo, agli agenti atmosferici e all'abbandono delle attività precedentemente connesse all'area militare, nonostante la sorveglianza delle forze armate che ne garantiscono i confini per evitare l'accesso di soggetti non autorizzati o malintenzionati;
   l'intera area rappresenta da molti anni un luogo di interesse per lo sviluppo urbanistico della città di Padova poiché si trova in un quartiere che ha più volte manifestato la volontà di destinare l'area alla creazione di un centro per le diverse funzioni sociali economiche e culturali situate nelle vicinanze che soffrono della presenza di una strada intensamente trafficata;
   sull'area si sono concentrati diversi studi di professionisti e associazioni che convengono sull'opportunità di stabilire proprio nel sedime della caserma il detto centro di quartiere immaginando diverse soluzioni alle quali è comune la costruzione di una piazza, opera sulla quale l'Amministrazione comunale ha più volte manifestato interesse e apprezzamento;
   inoltre, la caserma comprende una polveriera nella sua sezione meridionale che consentirebbe, una volta bonificata, l'ampliamento del vicino parco sportivo polifunzionale recentemente intitolato alla memoria dell'ispettore Filippo Raciti, medaglia d'oro al valor civile;
   questo parco ospita quotidianamente centinaia di persone coinvolte in attività sportive e di divertimento;
   l'amministrazione comunale ritiene che dando seguito al passaggio di titolarità tra il demanio militare e quello civile si potrebbe procedere alla cessione al comune di Padova di quest'area così importante per la città, togliendola dal degrado e valorizzandola secondo le funzioni da tempo studiate da diversi soggetti e dalla stessa amministrazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopraesposti;
   quali iniziative intenda adottare per facilitare la cessione dell'area dell'ex-caserma Romagnoli al comune di Padova.
(4-01005)

  Risposta. — In relazione ai quesiti posti con l'atto di sindacato ispettivo in esame, si evidenzia che la caserma «Romagnoli» di Padova risulta inserita nell'elenco dei beni di cui al decreto direttoriale n. 88/2/5/2012 del 24 agosto 2012, promulgato dalla competente direzione del dicastero e riguardante gli immobili da retrocedere all'Agenzia del Demanio, ai sensi della legge n. 135 del 2012 (cosiddetta «Spending Review»).
  In ragione di tale circostanza, un'eventuale cessione dell'infrastruttura in parola in favore dell'amministrazione comunale potrà essere definita, in via esclusiva, dal competente organo finanziario del Ministero dell'economia e delle finanze, al quale sarà retrocesso lo stesso cespite ai sensi della vigente normativa in materia.
Il Ministro della difesaMario Mauro.


   OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FERRARI, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, SANI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VALIANTE, VENITTELLI e ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che i 19 dipendenti della Società Buonitalia spa sono stati oggetto di una procedura di licenziamento conclusasi il 16 maggio 2013;
   la società Buonitalia nasce quale società per azioni a capitale interamente pubblico il 4 luglio 2003 quale strumento operativo-funzionale ed organico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, con le finalità di promuovere e diffondere nel mondo la conoscenza del patrimonio agricolo e agroalimentare italiano; erogare servizi al sistema delle imprese agroalimentari al fine di favorirne l'internazionalizzazione; tutelare le produzioni italiane attraverso la registrazione e la difesa giuridica internazionale dei marchi associati alle produzioni nazionali di origine;
   nel corso dell'assemblea straordinaria dei soci del 13 settembre 2012, preso atto della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, sono stati deliberati lo scioglimento e la messa in liquidazione di Buonitalia spa, ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, numero 4, del codice civile, e dell'articolo 30.1 dello statuto della società;  
   la XIII Commissione agricoltura della Camera dei deputati della scorsa legislatura, nella seduta dell'11 aprile 2012, ha approvato la risoluzione n. 7-00823 con la quale si impegnava, tra l'altro, il Governo a valutare l'opportunità di salvaguardare le posizioni dei lavoratori dipendenti dalla società, anche attraverso il trasferimento al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali o ad altri organismi;
   il comma 18-bis dell'articolo 12 del decreto-legge n. 94 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha previsto che con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sia disposto il trasferimento delle funzioni e delle risorse umane della società Buonitalia spa, che contestualmente veniva soppressa, all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane e che con ulteriore decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione venga disposto il trasferimento delle eventuali risorse strumentali e finanziarie residue di Buonitalia spa in liquidazione all'Agenzia;
   sempre il medesimo comma dispone che i dipendenti a tempo indeterminato in servizio presso la predetta società al 31 dicembre 2011, previo espletamento di apposita procedura selettiva da espletare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente, di verifica dell'idoneità, sono inquadrati nei ruoli dell'ente di destinazione sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza approvata con il predetto decreto. I dipendenti trasferiti mantengono il trattamento economico fondamentale, percepito al momento dell'inquadramento. Nel caso in cui il trattamento economico predetto risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell'Agenzia i dipendenti percepiscono per la differenza un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti;
   in attuazione del comma 18-bis è stato emanato il decreto ministeriale 28 febbraio 2013, recante disposizioni per il trasferimento delle funzioni e delle risorse della società Buonitalia spa all'ICE, contenente un allegato con l'elenco delle risorse umane di Buonitalia spa in liquidazione a tempo indeterminato al 31 dicembre 2011 –:
   quali siano le ragioni che hanno ostato all'attuazione della norma contenuta nel comma 8-bis dell'articolo 12 del decreto-legge n. 95 del 2012 e come intenda il Governo agire per risolvere gli eventuali ostacoli burocratici che si sono frapposti alla volontà espressa nel dettato normativo richiamato di salvaguardare il personale di Buonitalia dal rischio di licenziamento, attraverso il loro inquadramento nei ruoli dell'ICE. (4-00573)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, vorrei ricordare che le funzioni e le risorse umane di Buonitalia Spa in liquidazione sono state trasferite, come previsto dall'articolo 12, comma 18-bis, della legge n. 135 del 2012, all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane (ex ICE) con il decreto 28 febbraio 2013 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro delle sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
  La citata norma di legge prevede altresì che i dipendenti a tempo indeterminato, in servizio presso la predetta Società al 31 dicembre 2011, siano inquadrati, previo espletamento di apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità (da espletare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali dell'agenzia incorporante), nei ruoli dell'ente di destinazione, sulla base di un'apposita «tabella di corrispondenza» approvata con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro delle sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
  Sussistendo, tuttavia, fondate perplessità in ordine alla corretta successione temporale dei suddetti procedimenti, abbiamo sottoposto la questione alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica – dal cui parere è emerso che l'inquadramento del personale in questione è subordinato alla disponibilità di posti nella dotazione organica dell'ente, alla programmazione del fabbisogno di personale e ai vincoli assunzionali previsti dalla vigente normativa.
  Pertanto, fermo restando che la procedura selettiva è volta a verificare l'idoneità del personale stesso allo svolgimento dei compiti e delle mansioni relativi alla qualifica di possibile inquadramento (definita in virtù dell'apposita tabella di corrispondenza), è necessario che il predetto iter sia preceduto dalla stesura della tabella in questione.
  Chiarito quanto sopra, abbiamo provveduto a richiedere alla società in parola i dati relativi allo stato giuridico e al trattamento economico del personale. Ricevute tali informazioni, provvederemo tempestivamente a definire la tabella de qua e ad emanare il relativo decreto di approvazione.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 febbraio 2011 il Governo italiano ha dichiarato con decreto lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale, in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa;
   i movimenti migratori hanno raggiunto picchi ulteriori dopo lo scoppio dell'insurrezione in Libia contro il regime di Gheddafi e l'intervento militare internazionale seguito alla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza;
   fra i migranti in fuga dalla Libia vi erano molti cittadini di Paesi sub-sahariani, prevalentemente provenienti da Nigeria, Somalia ed Eritrea, prima soggiornanti in Libia per ragioni di lavoro o di transito;
   il  28 febbraio 2013 si è chiuso il piano di accoglienza e protezione dei profughi, con oltre 13.000 persone soggiornanti, a quella data, nei centri di accoglienza;
   nei due anni di intervento lo Stato ha investito quasi un miliardo di euro in percorsi di supporto e formazione per le persone coinvolte nel programma;
   il nostro ordinamento, in assenza di una specifica normativa sul diritto di asilo, prevede tre possibilità, ovvero la concessione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria, la protezione umanitaria;
   la valutazione in merito alle richieste spetta in primis alla Commissione territoriale competente del Ministero dell'interno, con possibilità di ricorso per il richiedente presso l'organo giudiziario;
   sembrerebbe che nel tempo siano aumentati esponenzialmente, fino a divenire quasi prassi, i ricorsi del Ministero dell'interno, tramite Avvocatura dello Stato, avverso sentenze di primo grado favorevoli ai richiedenti protezione sussidiaria o umanitaria;
   se corrispondente al vero, tale prassi non potrebbe non porsi in contrasto con i principi generali di buona amministrazione, esponendo lo Stato a dover impiegare risorse per sostenere il ricorso tramite l'Avvocatura, ad impegnare il lavoro delle corti di appello, nonché a corrispondere le spese relative al gratuito patrocinio agli avvocati di parte –:
   di quali informazioni disponga il Ministro riguardo al numero dei ricorsi del proprio dicastero, tramite Avvocatura dello Stato, avverso le sentenze di primo grado favorevoli ai richiedenti protezione sussidiaria o umanitaria e, in particolare, se corrisponda al vero l'aumento esponenziale – sino a diventare prassi – degli stessi;
   in caso affermativo, se non ritenga che tale fenomeno confligga con i principi generali di buona amministrazione, alla luce di quanto evidenziato in premessa;
   se non ritenga irragionevole l'impugnazione di decisioni dell'autorità giudiziaria che, dopo l'impegno da parte dello Stato di risorse destinate a percorsi di integrazione e formazione lavoro, riconoscono il diritto alla protezione internazionale a soggetti soggiornanti già da anni sul territorio nazionale con sentenza, seppur di primo grado e, ancor più, la presentazione in modo sistematico di ricorsi contro il rilascio dei permessi di soggiorno di 3 anni o anche inferiori, considerato che i tempi di conclusione dei relativi procedimenti sono spesso più lunghi di quelli concernenti la durata dei permessi stessi.
(4-00230)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, si lamenta un aumento «esponenziale» dei ricorsi in appello proposti per il tramite dell'avvocatura dello Stato avverso le sentenze di primo grado favorevoli ai richiedenti protezione internazionale.
  Al riguardo si informa che, all'esito di specifica rilevazione effettuata presso le competenti commissioni territoriali, non sono stati evidenziati particolari aspetti patologici.
  Risulta, infatti, che nel periodo 1o gennaio 2012 – 30 aprile 2013, sull'intero territorio nazionale, sono state impugnate solo 66 sentenze sfavorevoli all'amministrazione di cui 31 dalla commissione territoriale di Bologna.
  Si rappresenta, inoltre, che la proposizione del gravame è frutto di una approfondita valutazione dei singoli casi che, successivamente, vengono sottoposti al vaglio dell'avvocatura dello Stato chiamata a rappresentare l'amministrazione in giudizio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PALAZZOTTO e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Telespazio è una società mista, al 67 per cento di Finmeccanica e al 33 per cento di Thales, tra i principali operatori mondiali nella gestione dei servizi satellitari. La società ha sede a Roma e uno dei centri ha sede in Sicilia, a Piana degli Albanesi, nello Scanzano. In Italia ne esistono altri in Abruzzo, in Lombardia e in Basilicata;
   il Centro spaziale dello Scanzano è situato nei pressi dell'omonimo lago artificiale, a circa 40 chilometri da Palermo. L'orizzonte circolare garantisce un'ampia visibilità dell'arco di orbite geostazionarie con elevazione minima di 6o. La posizione del centro assicura una eccellente protezione naturale dalle interferenze elettromagnetiche. La favorevole posizione geografica del centro, rispetto alle regioni oceaniche dell'Atlantico e dell'Indiano, relativamente agli angoli di elevazione, permette la visibilità di gran parte dei satelliti delle due aree con condizioni operative ottimali. Il centro conta 7 antenne e dispone, inoltre, di 2 gruppi elettrogeni che garantiscono il non interrompimento dei servizi;
   nel giugno 2012, alla presentazione del piano industriale, l'amministratore delegato di Telespazio ha esposto i dati di ripresa della società in ambito nazionale e internazionale. In merito ai centri spaziali italiani ha dichiarato di avere raggiunto gli obiettivi di copertura per i centri del Fucino, in Abruzzo, e del Lario, in Lombardia, e di avere invece un problema per il centro dello Scanzano, in Sicilia;
   nell'ottobre del 2012, in un'audizione presso la Commissione attività produttive del Senato, l'amministratore delegato di Telespazio conferma la situazione di disagio del Centro siciliano, dichiarando perdite per circa 2 milioni di euro l'anno. Successivamente l'azienda ricorre alla cassa integrazione ordinaria a rotazione per 19 dei 26 lavoratori per 13 settimane;
   nel giugno del 2013 la società annuncia l'intenzione di voler passare dalla cassa integrazione ordinaria per carenza di commesse alla cassa integrazione straordinaria per dismissione del sito. La società non ha, dunque, proceduto al riequilibrio interno, ridistribuendo il lavoro nei vari centri in applicazione del principio solidaristico. Tale soluzione sarebbe stata auspicabile, considerato che gli altri centri spaziali nazionali sono pressoché saturi, come dichiarato dallo stesso amministratore delegato di Telespazio;
   il centro spaziale dello Scanzano ha un costo complessivo di circa 2 milioni di euro l'anno, mentre l'utile ricavato dagli altri centri nazionali è superiore ai 30 milioni di euro annui –:
   se il Governo conosca le ragioni che inducono la società a ritenere non redditizio il sito siciliano, pur dichiarando saturi i restanti siti esistenti sul territorio nazionale;
   se il Governo non intenda intervenire per salvaguardare il livello occupazionale del Centro Spaziale dello Scanzano e del relativo indotto, situati in un'area già fortemente depressa dal punto di vista economico come la Sicilia, che risulta penalizzata dalla scelta di investire sui poli produttivi situati nel resto del territorio nazionale e quali azioni, diverse dall'utilizzo degli ammortizzatori sociali, intenda intraprendere a tutela dei lavoratori;
   se non intenda utile l'istituzione di un tavolo con la regione siciliana, il comune di Piana degli Albanesi, Finmeccanica, Telespazio e le parti sociali utile a elaborare una nuova strategia, che salvaguardi il livello occupazionale e la sopravvivenza del Centro stesso dello Scanzano.
(4-01067)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  In data 17 luglio 2013, presso il Ministero dello sviluppo economico si è tenuto un incontro riguardante la società TELESPAZIO alla presenza del rappresentante della regione Sicilia, dell'amministratore delegato della società stessa delle rappresentanze nazionali e territoriali delle organizzazioni sindacali, unitamente alle RSU.
  Nella riunione sono state illustrate le problematiche legate al sito di Scansano e, in particolare, sono state evidenziate le carenze di carattere strutturale che interessano il sito, descrivendo le alternative che erano state ipotizzate in fase iniziale contemporaneamente al progetto EGNOS (programma europeo di navigazione satellitare), deciso da GSA (– European – GNSS Agency, Global Navigation Satellite System – Agenzia europea per il sistema di navigazione globale satellitare).
  È stato confermato che, nella fase iniziale del progetto, Telespazio sarebbe stata candidata come capofila per l'intera attività e il sito di Scansano avrebbe dovuto assumere un ruolo diverso nell'ambito progetto EGNOS. In una fase successiva, Telespazio, a seguito di proprie valutazioni di natura economica e commerciale, ha deciso di partecipare alla gara non più come «prime contractor» bensì in cordata con ESSP, azienda di diritto francese, con base a Tolosa e composta dai maggiori enti europei per il controllo del traffico aereo, tra cui ENAV, originariamente competitor di Telespazio.
  ESSP è un consorzio con il quale Telespazio, a valle dell'aggiudicazione della gara, ha siglato un contratto di subfornitura per supportare la stessa nella fornitura dei servizi EGNOS. Pertanto, a valle della conversione del ruolo di Telespazio, non più capofila, è venuta a mancare l'ipotesi-cardine sulla quale definire e rafforzare il ruolo del sito di Scansano, a causa del dimezzamento delle risorse a disposizione di Telespazio, in forza della suddivisione delle attività con il consorzio ESSP.
  Rispetto al futuro del personale, qualora la situazione nel breve periodo non dovesse mutare, Telespazio procederà, d'intesa con Finmeccanica, a ricollocare il personale ritenuto di alto profilo nell'ambito del gruppo.
  Tutto ciò passerà, se necessario, attraverso un percorso di CIGS a partire presumibilmente da settembre.
  Nella stessa sede, le organizzazioni sindacali hanno richiesto ulteriori chiarimenti in ordine alla ragione di cambiamento del ruolo di Telespazio nel progetto EGNOS (se, per esempio, dovuto ad eventuale modifica del bando di gara), ed hanno ribadito la necessità di operare affinché il sito di Scansano non chiuda. Inoltre hanno richiesto chiarimenti sul tipo di problemi strutturali del sito nonché riguardo all'annunciato progetto di espansione in Nord Africa, attraverso un impianto da realizzarsi a Lampedusa, così come dichiarato dall'ENAV successivamente all'aggiudicazione della gara del progetto «EGNOS». Infine, hanno invitato la società a voler operare, unitamente alle Istituzioni territoriali, affinché fosse possibile individuare una soluzione per garantire la permanenza di Telespazio in Sicilia e per rendere il sito nuovamente competitivo, poiché già dotato di personale qualificato e di infrastrutture.
  Dall'azienda è stato riconfermato l'impegno, d'intesa con Finmeccanica, di garantire una soluzione per i lavoratori, precisando, inoltre, che non vi sono stati cambiamenti nel bando di gara ma nella strategia di Telespazio, che ha ritenuto di dover partecipare in partenariato alla gara, in considerazione delle ridotte possibilità di aggiudicazione singola. Ciò ha dunque determinato una riduzione sostanziale delle risorse da gestire.
  Con riferimento all'attività dei servizi logistici, la società ha dichiarato che verranno comunque gestiti nel centro spaziale del Fucino, giacché si tratta di attività ridotte e parametrate per il sito stesso e che, per tale motivo, non ne è consentito lo spostamento in altre unità.
  Riguardo al chiarimento richiesto sui problemi di carattere strutturale, ha ribadito che il sito in esame ha sempre operato sulla base delle attività che derivavano dalla presenza di Telecom Italia nell'ambito dello stesso perimetro e che, a valle dell'uscita della stessa, sono venute meno da più di 10 anni.
  Nonostante ciò, Telespazio ha operato per attirare ulteriori e diverse tipologie di attività ma, ad oggi, non è stata individuata alcuna soluzione alternativa, circostanza che comporta, per la Società, un costo di mantenimento di più di due milioni di euro annui.
  In ordine al progetto di Lampedusa, così come dichiarato da ENAV, si tratterebbe di una semplice stazione fissa RIMS (Ranging and Integrity Monitoring Station) che non necessiterebbe di particolari forze lavoro.
  È stato ribadito l'interessamento nonché la disponibilità della regione Siciliana a discutere di eventuali strumenti, sulla scorta della nuova programmazione, che possano facilitare l'operatività del sito di Scansano, soprattutto per la parte delle misure sulle telecomunicazioni.
  Preso atto di quanto esposto dalle parti, il Ministero dello sviluppo economico, ha confermato la disponibilità a riconvocare, anche alla presenza delle Istituzioni territoriali, un prossimo incontro all'inizio di settembre, preliminarmente all'eventuale apertura dell'annunciata procedura di CIGS.
  Il Ministero dello sviluppo economico, si attiverà per valutare le proposte per il rilancio dell'area, intensificando gli incontri con tutte le parti coinvolte, al fine di favorire la ripresa economica e garantirne i livelli occupazionali.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   PILI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la questione insularità e il suo pieno ed attuativo riconoscimento rappresenta elemento centrale del rapporto Stato-Regione;
   l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 (Perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
    (...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
   risulta urgente predisporre un apposito decreto attuativo ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente al divario insulare, alla sua misurazione e alla conseguente compensazione;
   è indispensabile intervenire sin dalla prossima decisione di finanza pubblica con un piano di recupero sia del divario infrastrutturale, come previsto dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, sia del grave squilibrio di stanziamenti registrato ed evidenziato nel rapporto decennale sull'infrastrutturazione del Paese e l'attuazione della legge Obiettivo;
   risulta indispensabile predisporre con urgenza un piano di riequilibrio da sottoporre al Cipe che preveda l'immediato sblocco dei fondi per le aree sottoutilizzate (Fas) delle singole regioni, già penalizzate da tale ripartizione, e ad utilizzare i fondi indistinti a disposizione Governo per colmare i mancati stanziamenti sin qui registrati;
   è necessario definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale –:
   se il Ministro della coesione territoriale di concerto con quello dell'economia, dello sviluppo economico e delle infrastrutture non ritengano di dover promuovere iniziative normative urgenti al fine di definire la questione insularità con l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009. (4-00002)

  Risposta. — L'interrogante con l'atto in esame chiede che siano promosse iniziative normative urgenti per l'attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, al fine di definire la questione della specificità insulare, della sua misurazione e della conseguente compensazione.
  Al riguardo si rappresenta, per quanto di competenza, quanto segue.
  Analogamente a quanto effettuato nel precedente periodo 2000-2006, nel periodo di programmazione 2007-2013, la quantificazione delle quote di riparto tra le regioni del Mezzogiorno delle risorse del Fondo sviluppo e coesione ha tenuto conto, tra l'altro, dello svantaggio specifico legato all'insularità, in termini di isolamento territoriale dal resto del Paese, con il conseguente riconoscimento di apposite quote correttive in favore della regione Sardegna e della regione Sicilia.
  In particolare, nel periodo di programmazione 2007-2013 il Cipe ha assegnato, a valere sul Fondo sviluppo e coesione (Fsc), per la realizzazione di interventi di rilevanza strategica «nazionale» e «regionale», complessivamente 2001,6 milioni di euro alla regione Sardegna e 4.492,9 milioni di euro alla regione Sicilia, finanziati nell'ambito delle delibere Cipe n. 62 del 2011, n. 78 del 2011, n. 8 del 2012, n. 60 del 2012, n. 87 del 2012 e n. 93 del 2012.
  Tra gli interventi infrastrutturali strategici per la regione Sardegna, si segnala quello relativo alla realizzazione dei lavori di adeguamento dell'itinerario stradale Sassari-Olbia, con un costo pari a 930,7 milioni di euro. Il Cipe a tal fine ha già assegnato le seguenti risorse:
   606,45 milioni di euro (delibera Cipe n. 62 del 2011 e delibera n. 93 del 2012 – a valere sulle risorse del Fondo sviluppo e coesione 2007/2013);
   162 milioni di euro (delibera Cipe n. 120 del 2009, a valere sulle risorse nazionali del Fondo strategico a sostegno dell'economia reale);
   14 milioni di euro (delibera Cipe n. 103 del 2009, a valere sulle risorse per opere minori e interventi finalizzati al servizio di trasporto).

  Le rimanenti risorse sono state così individuate:
   21,6 milioni di euro, quale quota parte delle risorse assegnate dall'ordinanza Presidenza del Consiglio dei ministri n. 3841 del 2010 e provenienti da risorse Fsc del periodo 2000-2006;
   21,6 milioni di euro a valere sul Piano azione coesione;
   105 milioni di euro a valere sulle risorse liberate da Programmi operativi nazionali 2000-2006.

  La citata delibera Cipe n. 62 del 2011, come rimodulata dalla delibera n. 93 del 2012, ha altresì assegnato 456 milioni di euro del Fondo sviluppo e coesione per infrastrutture strategiche regionali nei settori viabilità e mobilità (portuali e aeroportuali), per l'attuazione delle quali la Regione Sardegna è in procinto di sottoscrivere specifici accordi di programma quadro. Proprio riguardo alle infrastrutturazioni aeroportuali si segnala che il Cipe con delibera n. 131 del 2012 ha espresso parere favorevole sullo schema di contratto di programma Enacc-Sogaer 2012-2015, relativo allo scalo aeroportuale di Cagliari, sbloccando investimenti programmati fino al 2015 per 41,48 milioni di euro oltre una quota di lavori da effettuare nel corso del 2016 per 2,52 milioni di euro: tali investimenti sono finanziati con risorse pubbliche per 16,23 milioni di euro.
  Per quanto riguarda il territorio siciliano, le risorse assegnate risultano destinate prevalentemente ad infrastrutture per la mobilità (1.197,9 milioni di euro) e alla manutenzione straordinaria del territorio, alla depurazione delle acque e alle bonifiche di siti inquinati (1.259,1 milioni di euro). Riguardo agli interventi di infrastrutturazione per la mobilità, il 28 febbraio 2013, è stato sottoscritto un contratto istituzionale di sviluppo tra il Ministro per la coesione territoriale, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Presidente della regione Siciliana e Ferrovie dello Stato, per la realizzazione della direttrice ferroviaria Messina-Catania-Palermo. Il costo complessivo dell'opera infrastrutturale è pari a 5.061 milioni di euro, per i quali è prevista – allo stato — una copertura finanziaria di 2.426 milioni di euro.
  In ragione di quanto sopra esposto e in considerazione del contesto economico-finanziario in cui il nostro Paese è costretto a operare, si ritiene che gli interventi previsti e l'impegno finanziario, che il Governo ha finora assunto, siano già concretamente in linea con quelle misure compensative richiamate dall'interrogante circa la specificità insulare.
  In ogni caso appare evidente come sia necessario adoperarsi, con tutti gli attori istituzionali interessati, anche in previsione della nuova programmazione 2014-2020, affinché gli sforzi finanziari futuri vengano concentrati su pochi ma qualificati obiettivi, atti effettivamente a recuperare il divario di sviluppo economico-sociale presente nei territori insulari e del Mezzogiorno d'Italia.
Il Ministro per la coesione territorialeCarlo Trigilia.


   PILI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Cabras Cristiano Carrus e l'assessore comunale Sergio Troncia hanno rivolto all'interrogante l'appello di un'intera comunità affinché le statue dei giganti di Monte Prama trovino accoglienza nel comune dove è stato fatto lo straordinario ritrovamento;
   i giganti di Monte Prama assieme alla testa di Narbolia sono sculture sarde i cui frammenti sono stati trovati casualmente nel marzo del 1974 presso un terreno agricolo del comune di Cabras, in provincia di Oristano;
   attualmente è in corso il loro restauro mediante l'assemblaggio di circa 5172 frammenti, tra i quali 15 teste, e 22 busti. A seconda delle ipotesi, la datazione, oscilla dal VIII secolo a.C. al IX o addirittura al X secolo a.C., ipotesi che ne fanno comunque le più antiche statue del bacino mediterraneo occidentale, ed antecedenti ai Kouroi greci. Dalle valutazioni più recenti si stima che i frammenti appartengano a circa 40 statue. Finora sono state individuate e restaurate 25 figure umane e 13 modelli di Nuraghe. Sono inoltre stati rinvenuti diversi betili del tipo cosiddetto Oraggiana;
   le statue furono rinvenute presso quella che poi si rivelerà una necropoli formata da 33 tombe a pozzetto irregolare e prive di corredo funerario eccetto che per uno scarabeo. La necropoli di Monte Prama si trova in un territorio che registra un'altissima densità di monumenti nuragici. Quasi ogni rilievo collinare ha sulla sua sommità un nuraghe, di dimensioni variabili. Il colle Monte Prama ne ha uno; immediatamente di fronte, spostato a sud di poche centinaia di metri, si trova il Nuraghe Cann'e Vadosu dopo pochi altri centinaia di metri un altro e così via. Non di molto distante c’è poi un monumento imponente e gigantesco: il nuraghe S'Uraki di San Vero Milis, spostato a circa chilometri 13 a nord-est rispetto alla necropoli;
   l'altezza delle statue non è mai inferiore ai 2 metri e talvolta giunge ai 2,50 metri. Sono state scolpite su pietra di arenaria estratta da cave nei pressi di Oristano. Raffigurano pugili, arcieri e guerrieri, tutti in posizione eretta;
   si tratta di statue fortemente stilizzate e geometriche improntate a quello che gli studiosi definiscono lo stile dedalico, che le rende un modello unico nel panorama mediterraneo e mondiale;
   la tipologia e il numero dei frammenti, così come il loro stato di conservazione, fanno di questo ritrovamento uno degli eventi culturali più importanti di fine millennio;
   le statue, di dimensioni monumentali, rappresentano la manifestazione di una civiltà che non ha uguali in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo e proiettano nuova luce sull'arte e la cultura delle popolazioni della Sardegna;
   i frammenti delle sculture di Monte ’e Prama sono raccolte nel Centro di conservazione e restauro di Sassari, a Li Punti;
   l'attuale intervento di conservazione e restauro comprende anche alcuni frammenti già restaurati negli anni settanta;
   le sculture di Monte ’e Prama costituiscono una manifestazione molto significativa dell'arte antica, in quanto materializzano in un'unica collezione valori storico-archeologici e artistici;
   la salvaguardia, lo studio, la conoscenza e la divulgazione di tutto questo sono il presupposto del progetto culturale concepito con l'obiettivo di facilitare il passaggio dei 4880 frammenti lapidei dal loro attuale stato di reperti a quello di attori protagonisti del patrimonio culturale regionale;
   il Centro di conservazione archeologica opera nel settore delle conservazione archeologica e fin dai progetti eseguiti nei primi anni ’80 ha investito grandi risorse nel trasformare gli interventi di restauro tipicamente tecnici, in programmi dal forte contenuto culturale: sono di quella data le prime aperture al pubblico dei cantieri, le iniziative di sensibilizzazione dei cittadini e dei media e di divulgazione;
   il sindaco di Cabras e l'intera amministrazione comunale con il sostegno di quella provinciale hanno chiesto l'intervento del Ministro per i beni e le attività culturali affinché venga definito un piano culturale espositivo che riporti nel luogo del ritrovamento le straordinarie statue di Monte ’e Prama;
   le amministrazioni statali hanno promosso un incontro al fine di esaminare la questione;
   l'amministrazione comunale ha espresso la propria insoddisfazione perché non sarebbe stata prospettata nessuna ipotesi di allocazione del patrimonio nel luogo del ritrovamento;
   la collocazione nel comune di Cabras, nel luogo e nelle modalità da definire, è quella più naturale e costituirebbe la più consona valorizzazione delle statue nell'ambito dello straordinario contesto paesaggistico, archeologico e culturale del Sinis;
   risulterebbe del tutto incomprensibile una sistemazione del patrimonio in un sito diverso, considerato che il contesto storico in cui le statue si inseriscono è unico ed esclusivo;
   una decisione di diversa natura vedrebbe il comune di Cabras, l'intera provincia di Oristano ma la Sardegna tutta schierarsi contro una decisione illogica e irrispettosa della storia, fuori dal contesto ambientale e naturale in cui l'eccezionale ritrovamento è stato fatto;
   l'esigenza di ricomporre l'unitarietà, sia sul piano storico che culturale, del grande patrimonio archeologico del Sinis rappresenta un obiettivo irrinunciabile anche sul piano economico e strategico per la crescita di quel territorio, vero museo a cielo aperto del Mediterraneo –:
   se non ritenga di dover promuovere un incontro con gli amministratori comunali di Cabras e della provincia di Oristano al fine di definire un percorso di valorizzazione dell'immenso patrimonio dei giganti di Monte ’e Prama a partire dalla sistemazione degli stessi nel loro contesto naturale;
   se non ritenga di dover intervenire affinché nessuna iniziativa venga assunta in contrasto con le comunità locali e con le legittime aspettative delle stesse;
   se non ritenga di dover valutare tutte le possibili soluzioni al fine di riallocare nel luogo originario le statue e predisporre, con gli organi competenti e di concerto con le amministrazioni locali, un piano di valorizzazione e promozione delle stesse;
   se non ritenga di dover promuovere un intervento finanziario al fine di individuare le soluzioni logistiche più idonee e adeguate per la riallocazione delle statue nel territorio nel quale sono state rinvenute. (4-00060)

  Risposta. — Si fa riferimento all'atto di sindacato ispettivo, indicato in oggetto, con il quale l'interrogante chiede di conoscere quali azioni l'amministrazione statale intenda intraprendere per salvaguardare e valorizzare, al meglio e nel contesto del rinvenimento, il patrimonio archeologico del Sinis, in particolare delle statue note come i «giganti» di Mont'e Prama.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  Contrariamente a quanto riportato nell'interrogazione, l'amministrazione statale ha collaborato con le amministrazioni locali ed ha trovato con le stesse un'intesa.
  Difatti, in data 12 dicembre 2011 è intervenuta la firma congiunta di un protocollo d'intesa tra la regione autonoma della Sardegna, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Sardegna, le soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano e il comune di Cabras, che ha sancito la costituzione e articolazione del sistema museale di Mont'e Prama.
  La complessità e la rilevanza euro-mediterranea del fenomeno scultoreo di Mont'e Prama richiedono, infatti, l'elaborazione di un progetto culturale di valorizzazione di livello eccezionale. Un progetto all'altezza della sfida è condizione imprescindibile per la programmazione dei futuri interventi e per la collocazione definitiva delle statue. Pertanto la soprintendenza per i beni archeologici per le province di Cagliari e Oristano ha elaborato le linee essenziali di un programma di valorizzazione, che tende a esaltare le potenzialità del contesto in un sistema espositivo plurale, frutto di una progettazione strettamente unitaria.
  Si sottolinea che la predetta soprintendenza, in virtù della particolare articolazione del progetto e dell'importanza dei beni coinvolti, aveva sottoposto al parere del comitato tecnico-scientifico di settore, nella seduta del 18 ottobre 2010, l'intero progetto, riportando una valutazione pienamente positiva. Tale parere è stato, poi, condiviso e suffragato dalla direzione generale per le antichità.
  Il progetto sopra richiamato prevede la presentazione delle statue e dei modelli di nuraghe di Mont'e Prama attraverso un unico percorso che li valorizzi sia secondo una visione di sviluppo artistico-culturale di respiro insulare e, in prospettiva mediterranea, come il frutto più maturo della civiltà nuragica sarda, sia anche secondo un'impostazione aderente al contesto territoriale della penisola del Sinis e allo sviluppo temporale dei processi storici che ne hanno segnato il divenire, dalle più remote manifestazioni prenuragiche agli orizzonti iniziali del medievale Giudicato di Arborea.
  Questa ipotesi articolata individua come poli espositivi il museo archeologico nazionale di Cagliari, che costituisce la principale vetrina dell'archeologia sarda e che espone la più significativa e completa raccolta storica dei bronzetti nuragici, e il Civico Museo archeologico di Cabras, che conserva testimonianze d'alto livello delle civiltà preistoriche e storiche succedutesi nel territorio comunale e nel mare antistante, dall'insediamento prenuragico di Cuccuru'e is Arrius al centro urbano punico-romano di Tharros e al relitto romano di Mal di Ventre.
  Nella forma definitiva, l'esposizione di Cagliari si concentrerà sull'analisi di quattro sculture originali, in relazione alle quali non si pone la questione di una pretesa selezione dei «modelli più significativi», in quanto essi verranno individuati su base tipologica e in considerazione della leggibilità e dello stato di conservazione.
  L'esposizione di Cabras accoglierà trentaquattro delle trentotto sculture montate su sostegno, tutti i frammenti lapidei leggibili e interpretabili, tutti gli elementi rinvenuti nelle tombe e nell'area di pertinenza.
  Oltre agli originali, le due esposizioni saranno integrate da accuratissime riproduzioni sulla base di un rilevamento tridimensionale con laser scanner. Tale rilevamento è stato già eseguito per conto della soprintendenza dal «CRS4», il centro di ricerca della regione autonoma della Sardegna, e potrà essere seguito dalla realizzazione delle copie materiche senza il minimo contatto con gli originali.
  Infine, un terzo polo del sistema museale, non espositivo ma esclusivamente documentale, sarà costituito dal centro di documentazione sui lavori di restauro delle stesse sculture di Mont'e Prama, che troverà sede presso il centro di restauro di Li Punti (Sassari).
  Con specifico riferimento al Museo Civico di Cabras, si sottolinea infine che, in attuazione del protocollo d'intesa, la regione autonoma della Sardegna ha finanziato il progetto di costruzione e allestimento di una nuova ala espositiva, destinata per l'appunto al patrimonio scultoreo di Mont'e Prama. Sono in corso le relative attività tecnico-amministrative connesse alla progettazione dell'intervento, con la collaborazione della direzione regionale e della soprintendenza.
  L'atto di intesa sottoscritto a dicembre 2011 e i finanziamenti concessi dalla regione Sardegna per l'ampliamento del museo civico di Cabras rappresentano il risultato della fattiva collaborazione tra i diversi soggetti coinvolti, finalizzata alla piena valorizzazione del patrimonio archeologico, architettonico e territoriale del Sinis.
Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismoMassimo Bray.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli ultimi Governi hanno intrapreso, attraverso una serie di diverse disposizioni, una continua opera di revisione dei livelli di spesa nella pubblica amministrazione, anche in conformità alla difficile situazione economica e che impone da parte di tutti i livelli di governo una profonda e seria rimodulazione di spesa;
   tra i numerosi casi di utilizzo eccessivo di risorse pubbliche, senza dubbio rientra l'utilizzo delle auto di servizio da parte di dipendenti pubblici o di persone che rivestono cariche istituzionali relativamente a viaggi che di fatto sono estranei ad esigenze d'ufficio;
   organi di stampa nazionali riportano, su rispettivi siti web, la notizia secondo cui la Consip (azienda partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze) a maggio ha bandito in soli 5 giorni 2 gare per l'acquisto e il noleggio di auto ad uso della pubblica amministrazione, e più precisamente un bando da 80 milioni di euro per un totale di 3.775 vetture da noleggiare, ed un secondo bando da 133 milioni per un totale di 6.450 vetture da acquistare, cui vanno aggiunte altre spese (benzina, acquisto, noleggio e manutenzione) e che porteranno il costo complessivo dei bandi ad oltre 560 milioni di euro;
   secondo l'ultimo rapporto su «Le auto di servizio della PA» del 13 febbraio 2013, alla fine del 2012 il parco auto degli enti pubblici ammontava a 59.202, segnando una diminuzione del 3,3 per cento (-1.823 vetture) rispetto allo stock di auto censito al 31 dicembre 2011 –:
   se non si ritenga opportuno, all'interno delle proprie competenze, affrontare la vicenda sopra descritta specificando le finalità per cui verrebbero acquistati o noleggiati questi automezzi e precisando altresì, oltre all'attuale parco auto di servizio della pubblica amministrazione, gli attuali criteri e le modalità per l'utilizzo dell'auto di servizio da parte dei titolari di cariche elettive e dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni. (4-01055)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame concernente l'acquisto e l‘utilizzo di auto blu da parte della pubblica amministrazione.
  In particolare, l'interrogante, facendo riferimento a notizie riportate da organi di stampa nazionali, chiede chiarimenti in merito alla notizia secondo cui la Consip avrebbe bandito, nel mese di maggio, due gare per l'acquisto e il noleggio di auto da parte della pubblica amministrazione.
  Dalla nota pervenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze, a seguito dell'istruttoria avviata presso gli uffici competenti, è emerso che, sulla base delle due gare bandite, Consip s.p.a. stipulerà, con l'aggiudicatario delle suddette gare, una convenzione; tale convenzione consentirà alle pubbliche amministrazioni, che ne facciano richiesta, di ottenere la fornitura di beni e di servizi ai prezzi ribassati in sede di offerta economica e aventi le qualità stabiliti nella gara, fino all'esaurimento del quantitativo massimo determinato nella singola convenzione.
  Come indicato nella documentazione di gara, i quantitativi indicati nella convenzione, invero, non sono vincolanti per Consip s.p.a. né, tanto meno, per le amministrazioni contraenti.
  Come noto, infatti, la convenzione rappresenta uno strumento d'acquisto messo a disposizione delle pubbliche amministrazioni che, tuttavia, conservano la discrezionalità di decidere se e quando utilizzare tale strumento, in base alle proprie effettive esigenze e, soprattutto, nel rispetto dei vincoli normativi; entrambe le convenzioni consentiranno, pertanto, alle amministrazioni, di sostituire i veicoli divenuti obsoleti o antieconomici o, addirittura, non più funzionanti, laddove ne avessero realmente necessità.
  Va infine precisato, come risulta dalla nota del Ministero dell'economia e delle finanze, che la gara di acquisto avrà per oggetto l'acquisto di autovetture destinate alle sole «esigenze del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, dei servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e dei servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza», e di veicoli commerciali.
  Tanto premesso, si fa presente che sulla materia in questione è intervenuto di recente il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni».
  Com’è noto, il provvedimento d'urgenza, è volto a proseguire l'azione di revisione della spesa pubblica, in un'ottica di eliminazione degli sprechi e di migliore riallocazione delle risorse disponibili, al fine di migliorare gli equilibri di finanza pubblica, nonché di favorire una maggiore efficienza delle pubbliche amministrazioni, potenziandone l'efficacia.
  In particolare, si ricorda l'articolo 1 rubricato «Disposizioni per l'ulteriore riduzione della spesa per auto di servizio e consulenze nella pubblica amministrazione» che, in materia di autovetture, ha approntato misure maggiormente restrittive nei confronti delle amministrazioni, con particolare riferimento a quelle che non hanno dato segnali chiari sulla corretta attuazione della precedente disciplina di riduzione della relativa spesa.
  Nello specifico, il comma 1 dell'articolo in esame proroga al 31 dicembre 2015 il divieto per le pubbliche amministrazioni – già fissato al 31 dicembre 2014 dalla legge n. 288 del 2012 – di acquistare autovetture e di stipulare contratti di locazione finanziaria aventi ad oggetto autovetture.
  Tale divieto e la relativa proroga riguardano le amministrazioni indicate dall'articolo 1, comma 141, della legge n. 228 del 2012, ovvero le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall'istituto nazionale di statistica (ISTAT), nonché le autorità indipendenti e la commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB).
  Rimangono, pertanto, esclusi dal divieto, come già previsto dalla legge di stabilità 2013 (articolo 1, comma 143), il Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica e i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza.
  Il comma 2, primo periodo, fa salvo poi il disposto di cui all'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (spending review) ai sensi del quale le suddette amministrazioni «... a decorrere dall'anno 2013... non possono effettuare spese di ammontare superiore al 50 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2011 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi...», ferme restando, in ogni caso, le deroghe previste dal medesimo articolo per «... le autovetture utilizzate dall'ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco o per i servizi istituzionali di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, per i servizi sociali e sanitari svolti per garantire i livelli essenziali di assistenza, ovvero per i servizi istituzionali svolti nell'area tecnico-operativa della difesa».
  Il citato comma stabilisce inoltre il divieto, a decorrere dall'anno 2014, per le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, le autorità indipendenti – ivi inclusa la commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) – e le società dalle stesse amministrazioni controllate, «... di effettuare spese di ammontare superiore all'80 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2012 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi...», qualora non abbiano provveduto ad effettuare la comunicazione, relativa al censimento permanente delle autovetture di servizio, al dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Si tratta di una misura che rafforza l'obbligo di comunicazione concernente l'utilizzo delle auto di servizio al fine di vigilare sul rispetto degli obblighi di contenimento della spesa previsti dalla normativa vigente. Al riguardo va segnalato che la riduzione ulteriore di spesa opera solo nei confronti delle amministrazioni pubbliche le quali non ottemperino al predetto obbligo di riduzione; per le amministrazioni che si allineano agli obblighi connessi con il censimento permanente delle auto di servizio rimane fermo, invece, il tetto di spesa previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge n. 95 del 2012, fatto salvo il periodo di vigenza del divieto di acquisto sopra descritto, i criteri di calcolo della spesa sostenibile e le deroghe previste dal predetto articolo 5, comma 2, già richiamate.
  Alla sanzione dell'ulteriore riduzione del tetto di spesa si aggiunge anche quella di cui all'articolo 46 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni»), ovvero la valutazione della responsabilità dirigenziale anche ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance.
  Infine, in caso di violazione delle disposizioni suindicate, sono state previste sanzioni civilistiche, forme di responsabilità rafforzate, nonché sanzioni disciplinari e amministrative-pecuniarie, ferma restando la responsabilità amministrativa per danno erariale.
  Il comma 3 del citato articolo stabilisce infatti che «Gli atti adottati in violazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2 in materia di riduzione della spesa per auto di servizio e i relativi contratti sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono, altresì, puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria, a carico del responsabile della violazione, da mille a cinquemila euro, alla cui irrogazione provvede l'autorità amministrativa competente in base a quanto previsto dalla legge 24 novembre 1981, n. 269, salva l'azione di responsabilità amministrativa per danno erariale».
  In ragione delle suddette disposizioni, il comma 4 prevede, da ultimo, l'aggiornamento del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 3 agosto 2011, in materia di utilizzo delle autovetture di servizio e di rappresentanza da parte delle pubbliche amministrazioni, al fine di disporre modalità e limiti ulteriori di utilizzo delle autovetture di servizio, ferme restando le esclusioni previste dalla normativa vigente.
Il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazioneGianpiero D'Alia.


   POLVERINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2009 è stato sottoscritto il contratto per il cosiddetto «Recepimento dell'accordo sindacale per le forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione per le forze di polizia ad ordinamento militare, integrativo del decreto del Presidente della Repubblica 11 settembre 2007, n. 170, relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006-2007»;
   all'atto della sottoscrizione, del sopra citato contratto, l'amministrazione del Corpo forestale dello Stato firmava una dichiarazione con la quale si impegnava ad adeguare lo statuto del fondo di assistenza, previdenza e premi del personale del Corpo forestale dello Stato in analogia con quelli delle altre forze di polizia;
   successivamente, più volte, il sindacato di categoria UGL invitava l'ufficio relazioni sindacali dell'amministrazione ad adempiere, con un confronto, all'impegno assunto;
   il 4 ottobre 2012 con nota n. 1725 il vice capo del Corpo forestale dello Stato istituiva un tavolo tecnico paritetico tra amministrazione ed organizzazioni sindacali purtroppo mai riunitosi;
   ad oggi, stante la situazione, non si è ancora riusciti ad addivenire ad una nuova formulazione del fondo che deve necessariamente essere adeguato ai tempi attuali essendo fermo al 1981 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per adempiere, con sollecitudine, all'impegno preso in sede di contratto. (4-00525)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente le iniziative da adottare per adeguare lo statuto del Fondo di assistenza, previdenza e premi del personale del Corpo forestale dello Stato a quelli, di analoga finalità, istituiti presso le altre forze di polizia, ricordo che il competente Ufficio relazioni sindacali aveva già presentato alle organizzazioni sindacali un apposito testo da esaminare in un confronto indetto nel mese di marzo 2010.
  In tale occasione, tuttavia, non ritenendosi completamente soddisfatta, la parte sindacale ha chiesto un ulteriore approfondimento affinché fosse consentito alle organizzazioni sindacali di partecipare attivamente alle riunioni del consiglio di amministrazione del Fondo.
  Al riguardo evidenzio che, nonostante l'iniziale proposta di istituire un «tavolo tecnico di lavoro paritetico a partecipazione sindacale», l'amministrazione ha ritenuto successivamente più opportuno (al fine di contenere la spesa pubblica), instaurare uno specifico «gruppo di lavoro» che, istituito formalmente il 31 maggio 2013, concluderà i lavori di competenza entro i tre mesi successivi.
  Tengo a sottolineare, in ogni caso, che la sostituzione dei suddetti organismi non comporta pregiudizio al confronto con le organizzazioni sindacali, che rimane comunque attivo.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel primo incontro del tavolo di crisi del gruppo Lucchini, svoltosi il 22 gennaio 2013 a Roma presso il Ministero dello sviluppo economico, il Governo ha preso l'impegno per una rapida apertura del confronto con i territori in cui sono presenti gli stabilimenti Lucchini di maggiore dimensione (impianto di Piombino e la Ferriera di Servola a Trieste), affinché venga riconosciuto il caso di crisi industriale complessa e l'avvio della discussione sui processi di riconversione produttiva;
   è stato espresso il parere favorevole del 24 gennaio 2013 da parte della Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell'articolo 27, comma 8, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico recante: «Riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva delle aree di crisi industriale complessa»;
   è prossimo il varo dell’action plan sulla siderurgia della Commissione europea previsto per il 5 giugno a Bruxelles, cui è interessato il gruppo Lucchini –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di dare attuazione al percorso scaturito dall'ultimo tavolo sopracitato del 24 gennaio 2013;
   se intenda attivarsi al fine di avviare le procedure in corso per l'effettivo inserimento dello stabilimento Ferriera di Servola di Trieste del gruppo Lucchini nell'area di crisi complessa, quali siano i criteri di attuazione e se sia stata formulata la bozza di programma che avrebbe dovuto essere inviata dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. (4-00207)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Ferriera di Servola (Trieste) è uno degli stabilimenti industriali del gruppo Lucchini per il quale il Governo ha avviato un tavolo di crisi il 22 gennaio 2013 a Roma, presso il Ministero dello sviluppo economico;
   l'Esecutivo si è impegnato ad avviare il confronto con i territori in cui sono presenti gli stabilimenti Lucchini maggiori, Trieste inclusa, in modo da riconoscere lo stato di crisi industriale complessa e avviare il processo di riconversione produttiva;
   il 24 gennaio 2013 la Conferenza Stato-regioni ha espresso il proprio parere favorevole sullo schema di decreto del Ministro dello sviluppo economico di «Riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva delle aree di crisi industriale complessa»;
   secondo quanto riportato dal quotidiano triestino Il Piccolo del 17 maggio 2013, il vicepresidente della Commissione dell'Unione europea Antonio Tajani – al termine della tavola rotonda di alto livello sull'acciaio tenutasi a Bruxelles il 16 maggio 2013 – ha assicurato che la Ferriera di Servola (Trieste) sarà inclusa nel prossimo Piano dell'Unione europea per la siderurgia. «La ristrutturazione può sostenere il progresso economico e sociale, ma – ha dichiarato Tajani alla stampa – si devono anticipare i cambiamenti strutturali», e questo è fattibile «se le aziende prendono misure correttive e se le autorità pubbliche aiutano a creare le condizioni giuste»;
   alla tavola rotonda ha partecipato, come rappresentante italiano, il sottosegretario di Stato allo sviluppo pro tempore economico Claudio De Vincenti;
   il presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha commentato le esternazioni di Tajani auspicando che «soluzioni per la Ferriera di Servola sono possibili solo con l'impegno congiunto a livello europeo, nazionale e locale»;
   il 5 giugno 2013 la Commissione europea approverà l’action plan sulla siderurgia che interessa anche il gruppo Lucchini e la Ferriera di Servola –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire ogni utile informazione sull'esito della tavola rotonda di alto livello sull'acciaio tenutasi a Bruxelles;
   se intenda attivarsi al fine di avviare le procedure in corso per l'effettivo inserimento dello stabilimento Ferriera di Servola nell'area di crisi complessa, favorendo così la soluzione ad una grave crisi lavorativa ed occupazionale in grado di minare il tessuto produttivo di Trieste. (4-00518)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle interrogazioni in esame, rappresentando quanto segue.
  Il Governo sta seguendo con particolare impegno le vicende del Gruppo Lucchini, ben prima che questa importante azienda del nostro sistema industriale fosse ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria.
  Il dissesto generato dal gruppo Severstal ha comportato interventi straordinari di tutto il sistema nazionale per impedire un fallimento disastroso per molte migliaia di lavoratori e per interi territori. Il polo siderurgico di Piombino, la ferriera di Servola e le altre unità della «Lucchini», infatti, sono stati e sono ancora oggi essenziali per il nostro sistema produttivo.
  Proprio per queste ragioni abbiamo voluto seguire una strada eccezionale, quella del decreto-legge, per riconoscere Piombino e Trieste aree di crisi complessa ai sensi della Legge 71 del 2013. Aver esteso l'intervento anche a Trieste non è stato un fatto «automatico», ma il risultato di un vero convincimento che quel territorio avesse bisogno di uno strumento straordinario per governare il proprio futuro.
  Al Ministero dello sviluppo economico è in corso un lavoro che vede impegnati, oltre al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Friuli Venezia Giulia insieme al comune ed alla provincia di Trieste con l'autorità portuale, per la definizione dell'accordo di programma. Ovvero dello strumento fondamentale che preciserà in modo puntuale i concreti obiettivi da raggiungere (piani di bonifica delle aree, di valorizzazione della attività portuale e retroportuale, progetti di nuove attività produttive) con l'obiettivo di ridisegnare il futuro di una area fondamentale per la città di Trieste.
  Ovviamente nell'accordo di programma dovranno essere precisate le risorse impegnate per il raggiungimento degli obiettivi definiti, oltre alle responsabilità assegnate a ciascuno dei soggetti che sottoscriveranno il documento. È un lavoro molto impegnativo che, tuttavia, sta procedendo in modo celere perché vi è la consapevolezza che è necessario fare bene ma anche in fretta. La situazione occupazionale dell'area triestina è grave e richiede interventi concreti; a questo tutti i soggetti che ho richiamato stanno lavorando.
  In tale contesto si inserisce la recente decisione del gruppo Arvedi di avanzare al commissario straordinario del gruppo Lucchini in amministrazione straordinaria una proposta di affitto temporaneo della ferriera di Servola, con la previsione di una futura acquisizione definitiva. Il commissario, ricevute le necessarie autorizzazioni, ha accettato la proposta del gruppo Arvedi che, pertanto, è impegnato a garantire il funzionamento della ferriera fino al prossimo mese di novembre data entro la quale scioglierà la riserva dell'acquisto.
  È del tutto evidente che l'ingresso di Arvedi non può far dimenticare nessuno dei problemi che il territorio da tempo solleva e, primariamente (ma non solo) quelli importantissimi della bonifica ambientale e della sicurezza degli impianti. Con i rappresentanti dell'azienda, con il commissario di Lucchini e con le autorità nazionali e territoriali competenti, è in corso un serrato confronto per definire gli interventi impiantistici e di bonifica delle aree necessari ed urgenti, nonché le risorse finanziarie per realizzarli.
  È un lavoro impegnativo che tuttavia posso dire si sta svolgendo con spirito costruttivo e di collaborazione da parte di tutti. Nelle prossime settimane ritengo si possa giungere ad una conclusione che, allo stato del confronto, penso si possa concludere positivamente.
  È del tutto evidente che la prosecuzione o meno della attività lavorativa presso la ferriera, costituisce un elemento centrale nella definizione dell'accordo di programma. Non solo per gli aspetti occupazionali già richiamati, ma soprattutto per l'impegno richiesto nel recupero delle aree qualora l'impianto venisse definitivamente fermato. Nessuno infatti può immaginare che dopo la ferriera si possa tenere per lungo tempo una area molto vasta e centrale per il futuro di Trieste inutilizzata e senza una concreta destinazione da attuarsi in tempi ragionevolmente brevi.
  Concludo rassicurando gli interroganti che Trieste, insieme a poche altre aree del Paese, sta impegnando il Governo ed i Ministeri direttamente interessati in un lavoro importante (per molti aspetti anche innovativo) per dare nuove e concrete prospettive ad un territorio ancora oggi strategico per il Paese.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 13 e 14 aprile 2010 si è tenuta a Barcellona la Conferenza dei Ministri di 43 Paesi dell'Unione per il Mediterraneo (UpM) competente sulle risorse idriche, per la approvazione del piano d'azione strategico per il Mediterraneo a valere per i prossimi dieci anni;
   conseguentemente ad un forte contrasto in sede di negoziati tra Israele e i Paesi del mondo arabo, la Conferenza, dopo un giorno di ininterrotte negoziazioni, non ha approvato il previsto Piano d'Azione e il processo politico dell'Unione da allora si è interrotto;
   il 24 maggio 2011, convocata dal segretario dell'Unione per il Mediterraneo si è tenuta a Barcellona una conferenza degli esperti nazionali acqua per una valutazione di carattere tecnico dei progetti da istruire in attesa di un auspicato sblocco politico del processo;
   in quella occasione l'Italia, non risparmiando parole di forte preoccupazione per la mancanza di risultati concreti dalla nascita dell'UpM – nessun progetto approvato ed oltre 100 i progetti in attesa di istruttoria – ha richiamato l'attenzione di tutti i paesi partner sulla grave situazione in cui versa la popolazione palestinese di Gaza a causa della mancanza di acqua potabile, non sufficiente a far fronte alla crescente domanda. Il nostro Paese ha dunque insistito, benché il tema non fosse iscritto all'ordine del giorno, e invitando ad evitare ulteriori ingiustificabili ritardi, per la approvazione del progetto presentato dal governo palestinese da oltre due anni, per la realizzazione di un impianto di desalinizzazione dell'acqua di mare nella Striscia di Gaza;
   l'iniziativa italiana ha suscitato la positiva reazione, l'apprezzamento dei paesi partner e la piena loro condivisione sulla necessità di approvare il progetto. Nei giorni seguenti L'Autorità palestinese, attraverso il suo presidente ha ringraziato l'UpM per la approvazione del progetto per il quale si sta cercando ora di reperire i necessari finanziamenti, ben oltre 400 milioni di dollari. La BEI ha concesso un contributo per la realizzazione del progetto esecutivo. Sono in corso trattative con la Commissione europea e i Paesi del Golfo. Il Governo francese ha concesso un finanziamento di 10 milioni di euro. Altri Paesi europei, quali Germania e Paesi Bassi sono ad oggi in procinto di manifestare concretamente il loro sostegno al progetto;
   salutarono a suo tempo con estremo favore il successo italiano il Ministro degli affari esteri e il Ministro per la cooperazione internazionale –:
   se il Ministro interrogato intenda dare effettivo seguito alla posizione diplomatica italiana e contribuire al finanziamento del progetto di desalinizzazione dell'acqua di mare nei territori amministrati dall'Autorità palestinese anche in ossequio ad una tradizionale amicizia del Governo italiano verso i Paesi arabi del Mediterraneo. (4-01083)

  Risposta. — La questione della gestione delle risorse idriche in Medio Oriente, tradizionalmente motivo di controversie tra israeliani e palestinesi, negli ultimi anni ha cominciato ad essere affrontata con un approccio più pragmatico, che ha consentito di avviare forme di cooperazione ed organismi comuni di controllo e pianificazione. Appare indispensabile che alla questione venga prestata attenzione prioritaria, in modo che questa risorsa fondamentale favorisca lo sviluppo della Palestina, a cui il nostro Paese da sempre dedica grande attenzione e risorse. Assicurare uno sviluppo adeguato e sostenibile delle risorse idriche, mediante un'equa ed efficiente gestione delle acque, è tra gli obiettivi principali del sostegno italiano alla Palestina.
  In merito all'iniziativa di cooperazione di desalinizzazione dell'acqua marina nei territori amministrati dall'Autorità palestinese, dallo studio di fattibilità della Banca europea per gli investimenti (BEI), il progetto avrebbe un costo totale di 475 milioni di dollari, prevedendo quattro componenti: 200 milioni per il dissalatore, 140 milioni per la rete di distribuzione, 40 milioni per l'impianto di produzione elettrica e una quarta componente a coprire i costi di funzionamento per i primi anni di operatività dell'impianto. Secondo le previsioni, l'infrastruttura dovrebbe essere ultimata nel 2018.
  Da un punto di vista finanziario il progetto prevede una copertura dei costi da parte dei Paesi del Golfo fino al 50 per cento dell'ammontare totale, tramite Islamic development bank, ma solo qualora il resto dell'impegno fosse garantito dalla Comunità internazionale.
  Tra i Paesi europei favorevoli alla realizzazione vi sarebbe la Francia, che ha annunciato lo scorso novembre un contributo di 10 milioni di euro e ha ribadito il proprio intendimento con la proposta di una pledging conference da tenere nel breve periodo. Anche l'Austria vi avrebbe già allocato delle risorse, mentre la BEI e la Banca mondiale finanzierebbero le fasi di progettazione e assistenza tecnica. La BEI si offrirebbe inoltre di costituire un trust fund per la gestione dei potenziali contributori europei.
  In loco, l'iniziativa godrebbe dell'apprezzamento in linea generale della comunità dei donatori nei Territori palestinesi, ma gli stessi donatori hanno d'altra parte rilevato in più occasioni la necessità di approfondire alcuni importanti aspetti del progetto: in particolare quelli relativi alla sua sostenibilità ambientale, alla struttura di gestione dell'ingente iniziativa e soprattutto quelli relativi alla sostenibilità economico/finanziaria dell'investimento.
  Sussiste inoltre, ed è stata segnalata da più parti, in occasione degli incontri di coordinamento tra i donatori, l'opportunità di verificare l'esistenza delle condizioni politiche relative alla realizzazione dei lavori, localizzati in prossimità dei confini egiziano e israeliano.
  Alla luce delle considerazioni sopra espresse, non sono mai state fornite infatti, indicazioni, impegni o promesse di finanziamento da parte italiana. Al contrario, da parte della Cooperazione italiana, è stato sottolineato il notevole impegno finanziario che sottende al suo varo a fronte di un investimento certamente importante e significativo in termini di sviluppo dell'area, ma al contempo non privo di rischi per la sicurezza e l'integrità stessa dell'impianto.
Il Viceministro degli affari esteriLapo Pistelli.


   REALACCI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   alcune agenzie di stampa, comunicati di Greenpeace Italia, un articolo de La Repubblica online riportano la notizia dell'abbordaggio, il 19 settembre 2013 da parte della guardia costiera della Federazione Russa della nave di Greenpeace Arctic Sunrise nel mar Artico. Le operazione si sono concluse con l'arresto di 30 attivisti a seguito di una protesta pacifica contro le operazioni di trivellazione nell'Artico per opera della multinazionale russa «Gazprom»;
   la posizione della nave Arctic Sunrise viene descritta univocamente come in acque internazionali. Elemento questo che renderebbe l'irruzione della guardia costiera federale russa un atto illegale secondo il diritto internazionale;
   nelle operazione di polizia anche un attivista italiano di Greenpeace è stato poi arrestato dalla forze di sicurezza russe. L'uomo è stato fermato insieme ad altri 24 militanti dell'associazione ambientalista in seguito all'azione dimostrativa sulla piattaforma petrolifera artica della «Gazprom»;
   secondo l'organizzazione ecologista, otto militari russi si sono calati da un elicottero con delle corde circondando gli attivisti dopo aver sparato 11 colpi di avvertimento contro la nave. Alcuni membri dell'equipaggio sono riusciti a chiudersi a chiave nella sala radio e hanno riferito di aver visto gli altri costretti a inginocchiarsi con pistole puntate contro di loro alla nuca;
   Greenpeace contesta con forza la legittimità e sproporzionata aggressività di una «irruzione illegale su una nave che protestava pacificamente»;
   sempre la guardia costiera aveva già arrestato, il 18 settembre, e «trattenuto senza accuse formali», altri due attivisti di Greenpeace che avevano scalato la piattaforma della Gazprom, che ora sembrano essere stati rilasciati. In seguito agli arresti il Ministro russo degli affari internazionali aveva dichiarato che «la guardia costiera è intervenuta perché l’Arctic Sunrise rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza e all'ambiente», un'affermazione che Greenpeace contesta fortemente –:
   se il Ministro interrogato intenda prendere contatto con le autorità russe, anche per tramite del personale diplomatico accreditato presso la Repubblica italiana, per chiarire le circostanze e le modalità dell'accaduto;
   se non intenda altresì mettere in campo con la massima urgenza tutti gli strumenti di protezione diplomatica nei confronti del cittadino italiano condotto in arresto dalle forze di polizia russe affinché si provveda al suo immediato rilascio.
(4-01920)

  Risposta. — Non appena informata dell'accaduto, su istruzioni della Ministro Bonino, la Farnesina, per il tramite dell'ambasciata a Mosca e del consolato generale a San Pietroburgo, si è immediatamente attivata per assistere il connazionale Cristian D'Alessandro. Le nostre Rappresentanze diplomatiche hanno contattato ripetutamente le istituzioni russe a vario titolo coinvolte nella gestione del caso per acquisire informazioni ed in particolare per sapere se il nostro connazionale o altri cittadini italiani fossero stati sottoposti a misure restrittive e/o coinvolti in incidenti. Hanno preso contatto, inoltre, con l'ambasciata olandese (la nave batte bandiera olandese) e con diplomatici britannici e finlandesi a San Pietroburgo per coordinare le azioni da intraprendere a tutela dell'equipaggio.
  L'ambasciata e il consolato generale hanno avuto conferma che la Arctic Sunrise era stata posta sotto sequestro e che, con le persone a bordo, veniva scortata presso il porto di Murmansk, con il connazionale D'Alessandro in stato di fermo. Il console generale ha, inoltre, personalmente approfondito le informazioni acquisite con i consoli generali dell'Unione europea accreditati a San Pietroburgo in una riunione presieduta dal nuovo capo delegazione dell'UE a Mosca. La nave è arrivata il 24 settembre nei pressi di Murmansk dove era già arrivato il vice console d'Italia a San Pietroburgo, che ha visitato il nostro connazionale trovandolo in buone condizioni psico-fisiche.
  Il 26 settembre il tribunale di Murmansk ha convalidato il fermo del signor D'Alessandro, disponendone l'arresto per due mesi come misura cautelare. La decisione è stata assunta in un'udienza pubblica nel corso della quale gli è stato contestato il reato di pirateria in associazione. Analoga decisione è stata assunta nei confronti di tutti gli altri membri dell'equipaggio (di varie nazionalità), già sentiti nel corso di precedenti udienze. Gli inquirenti hanno preannunciato che sull'accaduto verranno avviate a breve approfondite indagini. All'udienza erano presenti anche il vice console a San Pietroburgo ed un interprete del consolato generale. Assistenza legale è stata fornita al D'Alessandro dall’equipe di avvocati messi a disposizione da Greenpeace, che hanno manifestato l'intenzione di ricorrere in appello contro la decisione.
  In un incontro con il direttore generale del I dipartimento europeo del Ministero degli esteri russo, responsabile per i Paesi dell'Europa occidentale, l'ambasciata ha manifestato la viva attesa che la situazione del connazionale possa essere rapidamente chiarita, che prevalga una lettura dell'accaduto che metta in luce il carattere pacifico e puramente dimostrativo della sua azione e che, pertanto, l'intero caso possa chiudersi positivamente.
  Di tutti gli sviluppi della vicenda sono stati costantemente informati la famiglia del signor D'Alessandro e Greenpeace.
  La Farnesina, anche per il tramite dell'ambasciata a Mosca e del consolato generale a San Pietroburgo, continuerà a sensibilizzare le competenti autorità russe affinché il caso possa trovare una positiva soluzione e a fornire ogni consentita assistenza al nostro connazionale.
Il Viceministro degli affari esteriBruno Archi.


   RUOCCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il problema dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione di immobili ad uso abitativo è un fenomeno in continua crescita;
   dopo svariati anni in cui tale problematica ha assunto i tratti di vera e propria emergenza, è necessario che l'Esecutivo preveda un intervento, per impedire che molte famiglie in difficoltà con il pagamento degli affitti, viste anche le richieste degli aumenti dei canoni, che eccedono in alcuni casi aumenti del 100 per cento, si trovino a perdere irrimediabilmente l'uso di un'abitazione;
   secondo il sito asia.usb.it, nella pagina «Bloccare gli sfratti subito per dare voce alla politica per il diritto alla casa, molti sarebbero gli inquilini che non hanno accettato il rinnovo dei contratti di affitto con aumenti che vanno da un minimo dell'80 per cento fino ad arrivare anche al 300 per cento dei canoni pagati;
   questi nuovi canoni, sempre secondo lo stesso sito, sarebbero stati richiesti applicando prezzi che vanno oltre il libero mercato, anche in base agli accordi sottoscritti dai sindacati concertativi, gli stessi sindacati che siedono nei consigli di amministrazione di molti enti previdenziali e non (Enpaia, Enasarco e altri);
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228, ha inteso sanare per l'ennesima volta in modo solo provvisorio e del tutto parziale la problematica sopra esposta;
   il comma n. 412 proroga al 31 dicembre 2013 il termine per l'esecuzione dei provvedimenti di rilascio per finita locazione di immobili ad uso abitativo prevista dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 158 del 2008, come da ultimo modificato dall'articolo 29, comma 16, del decreto-legge n. 216 del 2011;
   la proroga riguarda gli immobili adibiti ad uso abitativo situati nel comuni di cui all'articolo 1, comma 1, della legge n. 9 del 2007, cioè comuni capoluoghi di provincia, comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10.000 abitanti e comuni ad alta tensione abitativa di cui alla delibera CIPE n. 87/03 del 13 novembre 2003;
   è impossibile, inoltre, non collegare l'attuale situazione di criticità relativa agli sfratti anche alla crisi economica che ha approfondito le problematiche che già nel 2008 avevano portato alla normativa prorogata con la suddetta iniziativa dal Governo Monti;
   secondo alcuni documenti pubblicati su internet dall'Unione inquilini, nel nostro Paese sono 56 mila le famiglie che nel 2011 sono state colpite da un provvedimento di sfratto per morosità, un dato in linea con l'andamento del 2010 che negli ultimi cinque anni è aumentato costantemente con un balzo complessivo dal 2006 alle rilevazioni attuali del 64 per cento;
   la crisi nel 2013, secondo il sopra citato articolo di asia.usb.it, starebbe producendo effetti ancora più drammatici sulla condizione abitativa in Italia: oltre 250.000 sono gli sfratti esecutivi (quasi il 90 per cento per morosità), centinaia di migliaia sono le famiglie insolventi con i mutui per la casa, altrettante vivono in situazione di precarietà abitativa;
   è oggi fondamentale dare risposte attendibili e definitive ai cittadini, in un periodo in cui la mancanza di una casa potrebbe accompagnarsi alla mancanza di lavoro, facendo finire molte famiglie in mezzo alla strada –:
   se il Governo intenda, attraverso lo studio di misure concordate con gli inquilini, pervenire a una o più iniziative normative che riescano a definire in modo organico una soluzione per la cosiddetta «emergenza casa», andando oltre i provvedimenti di semplice proroga degli sfratti;
   se sia intenzione dell'Esecutivo avviare un piano organico di housing sociale tale da contribuire a risolvere in via definitiva una questione che affligge il nostro Paese da troppo tempo. (4-00171)

  Risposta. — Con l'atto in esame, l'interrogante porta all'attenzione la questione della cosiddetta «emergenza casa» e dell'aumento dei provvedimenti di rilascio per finita locazione di immobili adibiti ad uso abitativo.
  In proposito, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – Direzione generale per le politiche abitative ha rappresentato che la situazione di difficoltà dovuta all'aumento degli sfratti è nota all'amministrazione che si sta attivamente adoperando per trovare un'idonea soluzione.
  Un primo intervento in tal senso, come riportato anche dall'interrogante, è stato attuato tramite la proroga, disposta dall'articolo 1, comma 412, della legge n. 228 del 2012, del termine di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 158 del 2008.
  Con tale disposizione si è stabilita la sospensione fino al 31 dicembre 2013 delle esecuzioni dei provvedimenti di rilascio per finita locazione degli immobili adibiti ad uso abitativo nei comuni capoluoghi di provincia, nei comuni con essi confinanti con popolazione superiore a 10 mila abitanti e nei comuni ad alta tensione abitativa di cui alla delibera CIPE n. 87103 del 13 novembre 2003, nei confronti dei conduttori con reddito annuo lordo complessivo familiare inferiore a 27 mila euro, che siano o abbiano nel proprio nucleo familiare persone ultrasessantacinquenni, malati terminali o portatori di handicap con invalidità superiore al 66 per cento, purché non siano in possesso di altra abitazione adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza. La sospensione si applica, alle stesse condizioni, anche ai conduttori che abbiano, nel proprio nucleo familiare, figli fiscalmente a carico.
  Si evidenzia, inoltre, che il tema del disagio abitativo è stato trattato nell'ambito di uno dei tavoli di partenariato istituzionale promossi dal Ministro della coesione territoriale nell'ambito delle consultazioni per la definizione della programmazione dei fondi comunitari 2014-2020.
  In particolare, con riferimento all'obiettivo tematico «Inclusione e lotta alla povertà» è stata definita, di comune accordo fra le regioni e le amministrazioni centrali competenti, una proposta di misure volte alla riduzione del disagio abitativo da finanziare attraverso il Fondo sociale europeo (Fse) e il Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr).
  La citata proposta include, nell'ambito del risultato atteso sovraordinato intitolato «Contrastare il disagio abitativo» il risultato/obiettivo specifico «Riduzione del numero di famiglie in condizione di disagio abitativo» da misurare attraverso appositi indicatori.
  Per raggiungere il risultato atteso specifico, la proposta mette in campo le seguenti azioni:
   interventi di potenziamento del patrimonio pubblico e privato esistente per incrementare la disponibilità di alloggi sociali e servizi abitativi per categorie fragili per ragioni economiche e sociali (giovani fra i 25 e i 35 anni con lavoro precario, famiglie monoparentali, anziani, separati, disoccupati);
   recupero di alloggi di risulta di proprietà dei comuni o ex istituti autonomi case popolari di rapida fattibilità da destinare a categorie fragili per ragioni economiche e sociali con priorità per lavoratori disoccupati sottoposti a sfratto per morosità incolpevole o per persone sfrattate per finita locazione;
   sperimentazione di modelli innovativi sociali e abitativi (quali, a titolo esemplificativo,
cohousing, borgo assistito), finalizzati a soddisfare i bisogni di specifici soggetti-target (ad esempio residenzialità delle persone anziane, l'inclusione per gli immigrati, la prima residenzialità di soggetti in uscita dai servizi sociali, donne vittime di violenza);
   promozione di attività di mediazione e supporto alla costituzione delle cooperative per l'autocostruzione e ristrutturazione e riutilizzo;
   promozione di appalti sociali per la ristrutturazione di alloggi sfitti e degli spazi comuni, che consentano un
social return;
   misure a sostegno dei costi dell'abitare (
fuelpoverty, morosità incolpevole);
   adeguamento infrastrutturale per il miglioramento dell'offerta a favore di persone con disabilità;
   potenziamento dell'anagrafe degli assegnatari dell'edilizia residenziale per contrastare le frodi, migliorare i processi di gestione e favorire l'accesso agli alloggi sociali da parte delle categorie deboli.

  Tali misure saranno indirizzate a specifici soggetti appartenenti alle cosiddette categorie deboli, in particolare persone disabili, anziani soli, giovani con lavoro precario, disoccupati, donne vittime di violenza, immigrati, famiglie monoparentali.
  La proposta sarà oggetto di negoziato con la Commissione europea in vista della definizione dell'Accordo di partenariato con il quale andranno concordate le strategie di impiego dei Fondi comunitari per il settennio 2014-2020.
  Per quanto attiene, invece, agli immobili di proprietà degli enti previdenziali privatizzati (Enpaia, Enasarco eccetera), si specifica che pur essendo i margini di intervento del legislatore nazionale limitati in quanto gli immobili in questione sono di proprietà privata, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha stabilito un contatto con i vertici dell'Aepp (associazione degli enti previdenziali privati) con incontri programmati al fine di individuare una soluzione concordata.
  In conclusione, si evidenzia che il tema del disagio abitativo è all'attenzione delle varie amministrazioni competenti che, tramite una serie di strumenti non solo di carattere normativo, sono attivamente impegnate nella ricerca di una soluzione che permetta di ottenere risultati durevoli.

Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMaria Cecilia Guerra.


   SPADONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2006 è stata varata una riforma relativa alla struttura e all'organizzazione del personale del Corpo dei vigili del fuoco che attualmente fa capo al dipartimento vigili del fuoco, soccorso pubblico e difesa civile presso il Ministero dell'interno;
   dal mese di gennaio del 2006 risultano bloccati i concorsi per l'assunzione dell'organico dei vigili del fuoco e dal biennio 2008/2009 risulta scaduto il relativo contratto nazionale collettivo, con la previsione che esso non potrà essere rinnovato fino al 2014 causa carenza di risorse economiche a livello ministeriale;
   allo stato attuale, e in riferimento alle piante organiche vigenti, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco presenta una carenza di personale a livello operativo, escluso cioè quello amministrativo e tecnico, stimato in circa 4.000 unità, e ciò sta compromettendo il regolare andamento dei diversi servizi di competenza del Corpo stesso, compresi gli interventi straordinari nel caso di calamità;
   l'insufficienza di risorse destinate al Corpo dei vigili del fuoco si riflette anche sulla carenza delle dotazioni e dei mezzi di soccorso messi a disposizione dei diversi Comandi territoriali, tutte ragioni, compresa quella indicata al punto precedente, che hanno spinto i vigili del fuoco a continui scioperi;
   nella fattispecie, la Regione Emilia Romagna è stata colpita nel 2012 da un disastroso terremoto, prevalentemente nelle province di Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia, Bologna e Rovigo;
   il Corpo dei vigili del fuoco verte in una situazione generale umiliante, sia dal punto di vista della retribuzione ma ancor di più della disparità esistente tra le risorse economiche a disposizione e quelle utilizzate per stipendi dirigenziali o sprechi inutili;
   sono anni che il Corpo denuncia l'arretratezza di mezzi e il taglio delle risorse, diminuite del 35 per cento in 10 anni in conseguenza soprattutto dei disastrosi «tagli lineari» di precedenti manovre economiche;
   a seguito del sisma gli interventi sono raddoppiati, a differenza dei fondi che sono diminuiti; va ricordato, tra l'altro, che tali tipi di interventi risultano di necessario supporto in particolare nei casi di affiancamento al personale sanitario il quale, muovendosi con i mezzi propri in gestione all'amministrazione regionale, risulta limitato nella capacità di intervento in condizioni particolarmente difficoltose;
   l'assicurazione sanitaria del Corpo che copre gli infortuni sul campo, l'ONA, è scaduta e non è stata rinnovata, per cui tutti gli esami e cure mediche obbligatorie sono a carico dei singoli;
   qualora si dovesse presentare un'altra situazione emergenziale i vigili del fuoco non sarebbero in grado di operare anche perché molti strumenti del Corpo dei vigili del fuoco, in particolare quelli di Bologna, utilizzati durante gli interventi sul territorio, sono inutilizzabili causa usura;
   esiste un preventivo per la riparazione degli stessi, già stilato dai vigili del fuoco del comando di Bologna, pari a soli 3.700 euro;
   a Modena l'aggravio delle spese del sisma ha comportato la cessazione della fornitura di carburante da parte del fornitore di zona, che con un insoluto di 130 mila euro non riusciva più a garantire la fornitura di carburante;
   lo stato di degrado di alcune caserme è inaccettabile –:
   quali misure intenda adottare al più presto per far fronte a tale inaccettabile situazione, sia per le spese di manutenzione ordinaria che di quella straordinaria per eventuali futuri interventi. (4-01073)

  Risposta. — Un sommario bilancio annuale delle attività svolte dal personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco rende, in termini oggettivamente riscontrabili, la fondamentale risposta che i Vigili del fuoco offrono alle esigenze di tutela dell'intera comunità nazionale: oltre 800.000 interventi di soccorso (più di 2.000 al giorno), di cui il 33 per cento per incendio; oltre 134.000 esami progetto e sopralluoghi per il rilascio del certificato di prevenzione incendi; oltre 50.000 servizi di vigilanza nei locali di pubblico spettacolo.
  Le manovre di finanza pubblica attuate nelle ultime legislature hanno, come è noto, determinato decurtazioni percentuali degli stanziamenti ordinari di bilancio.
  A causa delle ripetute riduzioni dei fondi disponibili è stato, pertanto, necessario adottare misure di razionalizzazione della spesa, che hanno riguardato particolarmente la retribuzione del personale volontario, i mezzi, le locazioni passive, gli accertamenti sanitari e la formazione.
  Per quanto concerne le carenze di organico, la legge di stabilità per il 2013, legge 24 dicembre 2012 n. 228, ha mitigato parzialmente il rigore del decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79, prevedendo per le peculiari esigenze del comparto sicurezza-difesa e del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco la possibilità di incrementare la percentuale di copertura del
turn-over fino al 50 per cento per ciascuno degli anni 2013 e 2014 e fino al 70 per cento per l'anno 2015, tramite l'istituzione di un apposito fondo.
  In ordine alle retribuzioni, si segnalano le iniziative finalizzate a garantire una maggiore integrazione del Corpo nazionale nella struttura dipartimentale del Ministero dell'interno e l'omogeneizzazione del comparto del soccorso con il comparto sicurezza attraverso l'equiparazione del trattamento retributivo e previdenziale, del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a quello delle Forze di Polizia.
  Sono state, inoltre, proposte apposite iniziative normative finalizzate a modificare l'attuale disciplina del finanziamento delle attività socio-assistenziali in favore del personale dei Vigili del fuoco, espletate per il tramite dell'opera nazionale di assistenza che, in linea di massima, non hanno trovato accoglienza in sede legislativa.
  Al riguardo, si prevede comunque l'adozione di apposita misura volta ad assicurare il rifinanziamento dell'opera nazionale, per il ripristino delle attività socio-assistenziali a favore del predetto personale.
  Per quanto concerne la cessazione della fornitura di gasolio per autotrazione nella provincia di Modena è stata assicurata la regolare ripresa del servizio, a seguito del pagamento degli arretrati al fornitore.
  Inoltre il Ministero dell'interno lo scorso 15 luglio ha disposto un accreditamento di euro 100.000,00 a favore del comando provinciale di Bologna per la manutenzione delle attrezzature e dei mezzi di colonna mobile impiegati nell'emergenza sismica.
  Si soggiunge che il recente decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza in genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province» ha previsto, all'articolo 11, l'istituzione di un fondo per l'anticipazione delle spese sostenute in occasione di interventi in emergenze di protezione civile, dotato di uno stanziamento iniziale di 15 milioni di euro.
  Il fondo verrà, di volta in volta, ripristinato con le risorse rimborsate al Corpo nazionale per le spese sostenute in occasione delle predette emergenze.
  Inoltre, con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», è stato fissato, all'articolo 8, l'incremento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco.
  Tale norma consente di potenziare l'organico del Corpo nella qualifica iniziale di vigile del fuoco di 1000 unità attingendo dalle risorse già assegnate al dipartimento per il richiamo del personale volontario. Le relative assunzioni saranno effettuate ricorrendo al 50 per cento alla graduatoria dell'ultimo concorso pubblico bandito e per il 50 per cento alla graduatoria dell'ultima procedura di stabilizzazione riservata al personale volontario.
  È stata, infine, garantita la prosecuzione delle procedure di copertura del
turn-over mediante ulteriore proroga al 31 dicembre 2015 dell'efficacia delle graduatorie approvate a partire dal 1o gennaio 2008, di cui all'articolo 4-ter del decreto-legge 20 giugno 2012, n. 79.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   ZACCAGNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 15 marzo 2013, la Commissione europea si è espressa sulla sospensione dell'uso dei pesticidi neonicotinoidi, utilizzati spesso in agricoltura ma considerati i maggiori responsabili della morte di intere colonie di api, indispensabili alla sopravvivenza dell'ecosistema;
   la votazione all'interno della Commissione europea ha visto il voto favorevole per la messa al bando di tali pesticidi di 13 Paesi, tra i quali l'Italia, 9 voti contrari e 5 astenuti. Nonostante la volontà degli Stati membri appaia chiara, la Commissione non ha potuto far altro che prendere atto e rinviare la decisione, in mancanza di una maggioranza qualificata;
   è necessario ricordare che le api impollinano il 50 per cento dei fiori garantendo così la riproduzione della metà delle piante presenti sul pianeta; la loro scomparsa significherebbe quindi compromettere il benessere e l'equilibrio di tutta la flora terrestre e di conseguenza della fauna. La comunità scientifica italiana, europea e mondiale, secondo quanto ricordato dalla responsabile agricoltura di Greenpeace, Federica Ferrarlo, ha messo in guardia più volte sul pesante contributo che neonicotinoidi e altri pesticidi apportano al drammatico declino delle api ed appare quindi urgente agire per vietare l'uso di tali prodotti e tutelare il nostro ecosistema;
   gli interroganti ritengono fondamentale il ruolo che le api hanno nella «valutazione» della qualità dell'ambiente in cui vivono e viviamo: «Se un giorno le api dovessero scomparire, all'uomo resterebbero soltanto quattro anni di vita». Queste sono le parole pronunciate dal genio Albert Einstein;
   esse sono, infatti, considerate una sorta di «sentinella» dell'ambiente, poiché nel loro corpo, se pur in concentrazioni che non fanno temere per la salute umana, sono stati spesso rinvenuti contaminanti ambientali quali metalli pesanti, radionuclidi gamma emittenti, microinquinanti organici, idrocarburi policiclici aromatici, policlorobifenili, pesticidi, microrganismi patogeni;
   le misure di sospensione e i divieti proposti dalla Commissione europea riguardavano tre pesticidi commercializzati da Syngenta e Bayer (imidacloprid, clothianidin e/o thiamethoxam) che in Italia sono già al bando per la concia delle sementi;
   nel nostro Paese, inoltre, da quattro anni vige una normativa nazionale di cautela rispetto all'uso di tali principi attivi, con attuale scadenza al 30 giugno 2013;
   la pericolosità dei pesticidi è stata evidenziata, in più occasioni, da parte dell'EFSA (Autorità europea per la sicurezza alimentare) che ha sottolineato come non sia stata ancora individuata un'unica causa della diminuzione del numero di api. Tuttavia sono stati indicati diversi fattori concomitanti, che agiscono in combinazione fra loro o separatamente. Fra questi vi sono gli effetti dell'agricoltura intensiva e dell'uso di pesticidi contenenti il principio attivo neonicotinoide thiamethoxam –:
   se, in attesa che la Commissione europea si pronunci nuovamente, proponendo una nuova soluzione a livello comunitario, i Ministri interrogati intendano rendere definitivo il bando dei neonicotinoidi per la concia dei semi di mais, in scadenza il 30 giugno 2013;
   se abbiano promosso o intendano promuovere al più presto un nuovo studio nazionale sul ruolo che i pesticidi neocotinoidi giocano nella morte di intere colonie di api, compromettendo oltre ad uno dei settori più importanti e fiorenti della produzione agricola italiana, anche la qualità dell'ambiente e, di conseguenza, della salute. (4-00141)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in oggetto, concernente le iniziative da intraprendere per il definitivo bando dei pesticidi ritenuti nocivi per le api ricordo che, a seguito dell'incremento della mortalità di detta specie (registrato nel 2008), la mia amministrazione, in virtù del principio di precauzione, ha proposto al Ministero della salute la sospensione dell'autorizzazione all'impiego delle sostanze attive clothianidin, thiamethoxam, imidacloprid (neonicotinoidi) e fipronil nella concia della semente di mais. Pertanto, da settembre 2008, l'uso delle predette sostanze attive come concianti è stato vietato nel territorio nazionale fino al 30 giugno 2013.
  Nel frattempo la Commissione europea, ravvisata l'estensione della problematica in parola anche ad altri Paesi comunitari, ha ritenuto opportuno chiedere in proposito un parere dell'EFSA che, lo scorso gennaio, ha confermato uno stretto legame tra l'uso di alcune formulazioni dei prodotti in questione e la mortalità degli apiari.
  Alla luce di tale parere, la commissione dell'Unione europea ha proposto una bozza di Regolamento, al cui riguardo il comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali non ha espresso alcun parere.
  Reputando tuttavia necessario un atto di esecuzione, e dopo aver sottoposto la proposta in questione anche al comitato di appello (che non ha reso il parere richiesto), la Commissione europea ha adottato il regolamento n. 485/2013 del 24 maggio 2013 che, modificando le condizioni di approvazione delle sostanze attive clothianidin, tiametoxam e imidacloprid, vieta l'utilizzo e la vendita di sementi conciate con prodotti fitosanitari contenenti tali sostanze attive, consentendone l'uso solo per i trattamenti fogliari in fase di
post fioritura.
  La restrizione d'uso delle tre sostanze attive appartenenti alla famiglia dei neonicotinoidi (clotianidin, imidacloprid e tiametoxam) entrerà in vigore dal prossimo 1o dicembre e sarà riesaminata (al più tardi, entro due anni) alla luce di nuove informazioni scientifiche che permetteranno di escludere un rischio di esposizione delle api e degli insetti impollinatori alle sostanze attive in questione.
  Informo l'interrogante che, in attuazione al citato regolamento, il competente Ministero della salute sta predisponendo un decreto per la revoca, dal 30 giugno 2013, delle autorizzazioni all'immissione in commercio e all'impiego di prodotti fitosanitari contenenti le suddette sostanze attive, utilizzati per il trattamento delle sementi e del terreno. Entro il 30 settembre 2013 sarà inoltre predisposto, a cura della predetta Amministrazione, un decreto dirigenziale per la modifica delle autorizzazioni dei prodotti fitosanitari in questione, onde limitarne l'impiego fogliare solo in post-raccolta, così come previsto dal Regolamento citato.
  Per quanto riguarda la realizzazione di un'apposita ricerca sulla correlazione tra l'uso delle citate sostanze attive e la morte di colonie di api ricordo che, a livello nazionale, si è svolto il progetto APENET, di durata triennale, le cui risultanze hanno contribuito alla revisione della valutazione del rischio di esposizione delle api ai neonicotinoidi effettuata dall'EFSA. Attualmente è in corso il programma di monitoraggio nazionale
«bee-net» il cui obiettivo è la sistematica raccolta d'informazioni sullo stato di salute delle famiglie di api tramite rilievi apistico-ambientali e prelievi di campioni.
  I risultati del monitoraggio vengono resi noti mediante relazioni trimestrali prodotte con il sistema
geo data warehouse (sistema informativo beenet) disponibile sul sito web nazionale della rete rurale «SOS api» (http: //www.reterurale.it/api).
  Non va, peraltro, dimenticato che l'Italia partecipa anche al progetto «COLOSS» che coinvolge diversi gruppi europei di ricerca con l'obiettivo di studiare in modo più ampio la situazione in cui api e apicoltura versano in questi anni.
  Evidenzio, infine, che la legge n. 313/2004 demanda alle regioni la competenza in materia di gestione dei prodotti fitosanitari al fine di salvaguardare la salute delle api.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliNunzia De Girolamo.


   ZAMPA, CHAOUKI e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero» si disciplinano, tra l'altro, le modalità di soggiorno dei minori stranieri temporaneamente ammessi sul territorio dello Stato;
   tra le norme previste dall'ordinamento italiano si prevede che i minori non accompagnati che arrivino illegalmente nel territorio nazionale vengano accolti nei centri di primo soccorso e accoglienza, identificati e lì trattenuti non oltre 48 ore e destinati poi a strutture di accoglienza;
   il quadro normativo di riferimento per la tutela dei diritti dei minori è costituito dalla convenzione sui diritti del fanciullo fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176;
   la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha svolto nel corso della scorsa legislatura una indagine conoscitiva sui minori stranieri non accompagnati, al termine della quale ha adottato un documento conclusivo che conteneva proposte concrete per sopperire alla criticità della situazione a tutela dei diritti dei minori;
   il nostro Paese è da sempre crocevia cruciale dei flussi migratori del sud-est del Mediterraneo e terra di primo approdo di migranti nordafricani (soprattutto del Maghreb e dell'Africa subsahariana) e dell'Asia centrale;
   i dati del Ministero dell'interno a settembre 2011 in materia di flussi migratori di minori non accompagnati nel nostro Paese riportano che il fenomeno è in forte crescita: nel 2010 erano 698; dal primo gennaio 2011 al 24 settembre 2013 erano 739; nel 2012 sono diventati 5821;
   da fonti a mezzo stampa si apprende che nel centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa vi sarebbero ancora 111 minori trattenuti nel centro (ben oltre i 48 previsti dalla legge) e che la suddetta struttura ospiterebbe i minori insieme agli adulti e accoglierebbe 701 persone in spazi che dovrebbero contenerne al massimo 300;
   le condizioni in cui queste persone versano sarebbero non accettabili e non dignitose e, secondo fonti a mezzo stampa, in alcuni casi si ravviserebbe la mancanza di acqua calda e persino l'assenza di un letto su cui dormire;
   il Garante per l'infanzia, Vincenzo Spadafora, in visita al Centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa avrebbe dichiarato che è pura follia trattenere in condizioni disumane i minori stranieri che arrivano qui in fuga dai loro Paesi, tanto più se vogliono solo transitare nel nostro Paese;
   tra le proposte avanzate nel documento della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza adottato nella scorsa legislatura vi sono: «la creazione di una task force (...) in grado di procedere tempestivamente all'identificazione dei minori stranieri non accompagnati; l'espletamento di una procedura certa e uniforme di identificazione; la promozione di collaborazioni bilaterali tra l'Italia e i Paesi di provenienza; il rifinanziamento del Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati gestito dall'ANCI; l'attivazione di procedura di affidamento familiare temporaneo (...) secondo le norme previste in materia dell'ordinamento» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare allo scopo di porre fine, senza altri ritardi, alle gravi violazioni dei diritti dei minori di età e se e come intenda recepire le raccomandazioni contenute nel testo della indagine conoscitiva della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza.
(4-00475)

  Risposta. — Con riferimento all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati si fa presente che, sulla base dei dati disponibili, al 31 agosto 2013, sul sito www.lavoro.gov.it, risultano presenti sul territorio nazionale 6044 minori stranieri non accompagnati. Al riguardo si precisa che tali dati vengono aggiornati periodicamente dalla direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, in attuazione di quanto previsto dal decreto-legge n. 95 del 2012, (convertito dalla legge n. 135 del 2012), ha assunto le funzioni già del comitato per i minori stranieri disciplinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 dicembre 1999, n. 535.
  La rilevante presenza di minori stranieri non accompagnati sul territorio nazionale ha portato all'adozione di interventi specifici di tutela e integrazione; sin dal loro arrivo sul territorio nazionale, i minori sono accolti nei centri di primo soccorso e accoglienza – ma in aree riservate e dedicate esclusivamente alle categorie vulnerabili – per il tempo strettamente necessario a prestare loro le prime cure e, nei casi dubbi, a svolgere gli esami medici volti all'accertamento dell'età, qualora si rendano necessari per difetto di documentazione o di evidenza visiva. Anche nella disciplina dell'ingresso e soggiorno del minore straniero prevale una particolare forma di tutela: i minori, infatti, non possono essere espulsi, stante il divieto previsto dall'articolo 19 del testo unico in materia di immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286). In questi casi, infatti, il questore rilascia al minore un permesso di soggiorno per minore età ovvero un permesso per integrazione sociale e civile.
  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è ben consapevole che la situazione dell'accoglienza debba essere affrontata attraverso una
governance multi-livello che coinvolga le istituzioni centrali e locali competenti in materia. Per tale ragione, a seguito della chiusura dello stato di emergenza umanitaria legato all'eccezionale afflusso di cittadini provenienti dal Nord Africa e del rientro nella gestione ordinaria, ha aperto un tavolo interistituzionale nel quale proseguire, con le altre amministrazioni competenti in materia (Ministero dell'interno, Ministero della giustizia, ANCI, UPI, coordinamento delle regioni), la proficua collaborazione istituzionale sul tema dei minori stranieri non accompagnati già messa a punto nel tavolo di coordinamento presso il dipartimento della protezione civile e nel tavolo di coordinamento nazionale presso il Ministero dell'interno.
  Al fine di potenziare le attività di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati rintracciati sul territorio nazionale, il tavolo ha approvato la realizzazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali di un sistema informativo
on-line finalizzato alla tracciabilità del loro percorso di accoglienza dal momento dell'arrivo nel territorio italiano. Tale sistema consentirà a tutti gli attori coinvolti (questure, regioni, comuni, comunità, tribunali, eccetera) di accedere ad una base dati condivisa nella quale ciascuno, in relazione alle proprie competenze, possa inserire e visualizzare le informazioni sul minore, al fine di organizzare in modo più funzionale i percorsi di accoglienza e integrazione dei minori.
  Con l'intento di collaborare alla ricerca di soluzioni alle problematiche connesse all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in aree particolarmente sensibili in quanto interessate da frequenti sbarchi, il Ministero intrattiene rapporti costanti con la regione Sicilia.
  I costi per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati sono, in base alla attuale normativa, a carico dei comuni sul cui territorio il minore è rintracciato. In occasione della emergenza Nord Africa è stata però riconosciuta una copertura finanziaria per l'accoglienza dei minori provenienti dai paesi coinvolti. La competente direzione generale ha provveduto ad effettuare tutti i pagamenti relativi all'anno 2011. Per quanto riguarda invece l'anno 2012, tenuto conto che le relative risorse sono state trasferite soltanto nel mese di marzo del corrente anno, l'erogazione dei contributi è ancora in fase attiva.
  Al fine di assicurare la prosecuzione degli interventi finanziari centrali a favore dei minori stranieri non accompagnati, è stato istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (articolo 23, comma 11, decreto-legge n. 95 del 2012) la cui dotazione, per l'anno 2012, ammontava a 5 milioni di euro. In attuazione della citata disposizione legislativa, con decreto ministeriale del 31 ottobre 2012, sono state stabilite le modalità di utilizzo del fondo, fondate su un sistema di riparto delle risorse finanziarie tra i comuni che hanno sostenuto i costi per l'accoglienza dei minori entrati nel territorio nazionale e segnalati nei primi nove mesi del 2012, con esclusione di coloro per i quali gli oneri dell'accoglienza sono stati imputati all'emergenza Nord Africa.
  Per l'anno 2013, il fondo non è stato però rifinanziato. Il decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante «Primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti» ha comunque previsto, all'articolo 9, comma 9, su proposta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la riassegnazione al fondo per l'accoglienza dei minori stranieri dei residui maturandi dalla gestione emergenziale di cui alle ordinanze di protezione civile riguardanti lo stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale, in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa nonché per il contrasto e la gestione dell'afflusso di cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea.
  Per l'anno 2013, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella consapevolezza della grave situazione di criticità in cui versano i territori a causa dei costi sostenuti per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, in accordo con l'intesa raggiunta in conferenza unificata, ha destinato 5 milioni di euro del fondo politiche sociali ai costi dell'accoglienza per i minori stranieri non accompagnati.
  La predetta somma sarà materialmente distribuibile dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali entro la fine del corrente anno.
  La drastica riduzione del fondo per le politiche sociali, pressoché azzerato nel 2012 e rifinanziato dalla legge di stabilità solo per il 2013, nell'ambito del quale viene individuata la quota parte del fondo per le politiche migratorie, ha portato alla rilevante diminuzione delle disponibilità di quest'ultimo e ha impedito un rifinanziamento del «Programma nazionale di protezione dei minori stranieri non accompagnati», realizzato in collaborazione con l'ANCI al fine di creare un sistema nazionale, decentrato e in rete, di presa in carico e integrazione sul territorio dei minori stranieri non accompagnati. Il programma è stato finanziato per due fasi (dal 2007 al 2012).
  Con riferimento agli interventi in corso, si evidenzia che nel 2012 sono stati finanziati specifici percorsi di integrazione socio-lavorativa a favore dei minori stranieri non accompagnati, al fine di garantire il proseguimento della loro permanenza in Italia al compimento del diciottesimo anno di età. L'intervento si basa sul finanziamento di una «dote individuale» per la realizzazione di un piano di intervento personalizzato (PIP) in relazione allo sviluppo di competenze e per la promozione e la gestione di percorsi individualizzati di inserimento lavorativo (euro 3.000 di «dote qualificazione» ovvero euro 5.000 di «dote occupazione»). L'azione è stata finanziata con risorse provenienti dal fondo sociale europeo, nelle regioni obiettivo convergenza, e con fondi nazionali nel resto d'Italia, per un finanziamento totale di 1126 doti individuali e un ammontare complessivo di risorse pari ad euro 5.498.000,00.
  Nell'ambito del programma annuale 2012 del fondo europeo per l'integrazione di cittadini di Paesi terzi, è stato approvato il progetto «Autonomia e integrazione per giovani donne straniere», per un finanziamento complessivo di euro 1.000.000,00. Il progetto si pone l'obiettivo generale di promuovere sul territorio nazionale lo sviluppo, la diffusione e lo scambio di modelli e strumenti di intervento innovativi per il supporto all'autonomia di una fascia particolarmente vulnerabile di persone migranti, ossia le minori straniere non accompagnate in fase di transizione verso l'età adulta (16-17 anni) e le giovani donne migranti a rischio di esclusione sociale fino al 24esimo anno di età.
  Relativamente ai minori stranieri non accompagnati richiedenti asilo, il competente Ministero dell'interno ha destinato la somma di 5 milioni di euro per il rimborso dei costi degli enti locali per le spese sostenute per l'accoglienza di tali minori. Tale rimborso deve essere richiesto alle prefetture competenti, in relazione ai costi sostenuti dal momento della formalizzazione della domanda di asilo da parte del minore e sino all'inserimento nelle strutture dello SPRAR per il periodo 1o gennaio-31 dicembre 2013. Il limite massimo del costo dell'accoglienza rimborsabile
pro die e pro capite è fissato in 70 euro IVA inclusa.
  Per incrementare i livelli di efficienza dei sistemi di accoglienza, è stato previsto l'ampliamento del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), che era già stato implementato nel 2012 (di 702 posti), ed è stato ulteriormente incrementato (di 800 nuovi posti), portando complessivamente la ricettività a 4.500 posti.
  Si fa presente inoltre che è operativo il progetto «Praesidium», finalizzato a rafforzare le capacità di accoglienza rispetto ai flussi migratori che interessano le località strategiche di frontiera, situate sulle coste meridionali del Paese. Il progetto – al quale partecipano la Croce rossa italiana, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e
Save the Children – fornisce un primo orientamento legale e un supporto informativo, relativamente alla legislazione italiana in tema di immigrazione, alla tratta di esseri umani e alla riduzione in schiavitù. In proposito, al fine di elaborare il piano d'azione nazionale contro la tratta, nel gennaio scorso, è stato costituito un tavolo tecnico, presieduto dal Ministro per le pari opportunità e collegato alla commissione interministeriale per il sostegno alle vittime di tratta, violenza e grave sfruttamento. A tale tavolo partecipano, oltre ai rappresentanti delle amministrazioni interessate e delle forze di polizia, anche operatori del privato sociale e soggetti che hanno maturato una significativa esperienza nella delicata materia.
  Da ultimo si informa che il Ministero dell'interno ha promosso, in partenariato con diverse organizzazioni internazionali, il progetto pilota europeo «Analisi delle politiche di accoglienza, protezione e integrazione dei minori non accompagnati nell'ambito dell'Unione europea». Tale progetto, finanziato anche dalla Commissione europea, ha la finalità di adottare particolari misure e procedure a garanzia dei minori non accompagnati nell'ambito dell'Unione Europea.

Il Viceministro del lavoro e delle politiche socialiMaria Cecilia Guerra.