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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 101 di lunedì 21 ottobre 2013

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

  La seduta comincia alle 16,05.

  ANNALISA PANNARALE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 30 settembre 2013.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Alfreider, Amici, Archi, Baretta, Bocci, Boccia, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Bray, Brunetta, Caparini, Carrozza, Casero, Castiglione, Cicchitto, Culotta, D'Alia, Dambruoso, De Girolamo, Dell'Aringa, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Fassina, Ferranti, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Galan, Giachetti, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Kyenge, Legnini, Letta, Lorenzin, Lupi, Giorgia Meloni, Merlo, Migliore, Moscatt, Orlando, Pinna, Pisicchio, Pistelli, Prataviera, Realacci, Sani, Santelli, Speranza, Spessotto, Tabacci, Tancredi, Tofalo e Ventricelli sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della mozione Speranza ed altri n. 1-00162 concernente iniziative per una politica industriale volta alla riqualificazione e alla reindustrializzazione dei poli chimici.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Speranza ed altri n. 1-00162 concernente iniziative per una politica industriale volta alla riqualificazione e alla reindustrializzazione dei poli chimici (Vedi l'allegato A – Mozioni).
  La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
  Avverto che in data odierna sono state presentate le mozioni Brunetta ed altri n. 1-00212 e Rondini ed altri n. 1-00213 (Vedi l'allegato A – Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
  È iscritto a parlare l'onorevole Zardini, che illustrerà la mozione n. 1-00162, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  DIEGO ZARDINI. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, mi è stato affidato oggi il compito di illustrare la mozione Speranza ed altri n. 1-00162 concernente iniziative per una politica industriale volta alla riqualificazione e alla Pag. 2reindustrializzazione dei poli chimici, presentata dal gruppo del Partito Democratico.
  La nostra mozione vuole affrontare un tema di rilevanza strategica per il nostro futuro, visto il ruolo importante che gioca l'industria chimica per lo sviluppo economico del nostro Paese, non solo per le sue dimensioni in termini di occupazione, produzione e valore aggiunto ma anche, e forse soprattutto, per la sua forte integrazione con il resto del sistema industriale, con settori fondamentali quali il tessile, la meccanica di precisione, l'agroalimentare, la farmaceutica e tanti altri.
  L'Italia, con circa tremila imprese che occupano 115 mila addetti, è il terzo produttore chimico europeo dopo Germania e Francia, l'industria chimica italiana è attiva in tutte le aree, dalla chimica di base a quella fine e specialistica. Secondo i dati di Federchimica la produzione chimica in Italia è suddivisa fra il 37 per cento di imprese a capitale estero, il 22 per cento di gruppi italiani medio-grandi con vendite mondiali superiori ai 100 milioni di euro e il 41 per cento di PMI attive soprattutto nei settori a valle.
  Considerando le imprese con più di dieci addetti, le imprese chimiche innovative in Italia dal 2000 al 2008 sono passate dal 50 per cento al 67 per cento, mentre le imprese con ricerca e sviluppo intra-muros sono passate dal 38 per cento al 47 per cento. Le PMI si concentrano soprattutto in Lombardia, che in termini occupazionali rappresenta circa il 40 per cento, in Veneto con circa il 10 per cento, in Emilia-Romagna con altrettanto 10 per cento e poi nel Mezzogiorno che conta quasi un quinto dell'occupazione. I principali poli chimici italiani sono localizzati a Porto Marghera, Mantova, Ferrara, Ravenna, Novara, Tor Viscosa, Livorno, Busi, Terni, Pisticci, Brindisi, Priolo, Gela, Ragusa, Porto Torres, Assemini, Ottana, dimostrando così una capillare diffusione su tutto il territorio nazionale.
  Il settore chimico è fornitore importante di tutti i comparti industriali, ma in particolar modo di quel cosiddetto made in Italy, settori che detengono un'elevata competitività internazionale e che generano un saldo attivo del commercio estero. L'industria chimica rappresenta infatti un partner produttivo e tecnologico in grado di interagire positivamente con le principali filiere produttive del made in Italy, a cui fornisce prodotti e sostanze chimiche che aumentano il valore aggiunto della produzione. A dispetto della crisi l'industria chimica italiana resiste e meglio di quanto avvenga per il comparto manifatturiero in genere, basta guardare i numeri.
  Nell'ultimo quadriennio, segnato dalla grande crisi, le vendite mondiali dei maggiori gruppi chimici a capitale italiano, sono cresciute del 10 per cento e la quota di produzione estera è aumentata dal 32 al 41 per cento, nonostante la retrocessione di due settori-clienti di capitale importanza, quali sono l'auto e le costruzioni. La quota di export sul fatturato è cresciuta di undici punti negli ultimi dieci anni. Se il 2012 ha segnato un arretramento della produzione destinata al mercato italiano e dell'Unione europea, del -4,8 per cento in valore, mentre in pari tempo sono aumentate le vendite destinate al mercato extra europeo del + 6,5 per cento, sempre a valore, il 2013 porta un segno positivo, con una stabilizzazione della domanda interna con qualche spunto di crescita nel secondo semestre dell'anno, mentre l'export mostra un importante rafforzamento. Dopo il pesante calo della produzione nel 2009, la chimica ha chiuso nel 2010 con un recupero significativo e superiore alle aspettative. La produzione chimica italiana, stimata pari a 52, 3 miliardi di euro nel 2012 dovrebbe crescere, a fine 2013, dell'1,9 per cento in valore e dello 0,6 per cento in volume, trainata da una domanda in ripresa a livello mondiale soprattutto nei Paesi extra Unione europea. La chimica dunque può – e secondo me dovrebbe – essere un fondamentale motore di innovazione per tutti gli altri settori, sotto forma di nuovi materiali e nuovi processi. Quasi tre quarti dei prodotti chimici sono destinati ad altri settori industriali. In Europa, la chimica italiana è seconda solo alla Germania per un numero di imprese innovative, circa mille e 300, e di imprese Pag. 3attive nella ricerca, oltre 800. Se si considera l'introduzione di prodotti nuovi, non solo per l'impresa, ma anche per il mercato, l'Italia supera addirittura la Germania: con quattromila e 900 addetti, la quota del personale dell'industria chimica dedicato alla ricerca è più che doppia rispetto alla media industriale. Nella chimica italiana, la quota di imprese impegnate nell'attività di ricerca e sviluppo, è doppia rispetto all'industria manifatturiera e persino superiore a settori, quali l'hi-tech. In particolare, fanno ricerca anche tantissime piccole e medie imprese.
  In dieci anni, la quota di imprese chimiche italiane attive nella ricerca è fortemente aumentata. La chimica è un settore industriale sul quale l'Italia deve puntare perché le nostre imprese hanno una forte base tecnologica e tantissime investono appunto sulla ricerca. Queste hanno saputo internazionalizzarsi per inserirsi nei mercati esteri: diventano così forti esportatori anche di prodotti di eccellenza sul piano mondiale. Le imprese sono in grado di mettere a disposizione un alto livello di specializzazione a disposizione dei settori utilizzatori, soddisfacendo le richieste tecnologiche dettate dai mutamenti degli scenari competitivi.
  La chimica è un settore ad elevata intensità di ricerca, le spese di innovazione sfiorano il miliardo di euro, l'11,5 per cento del valore aggiunto, e una quota maggioritaria è rappresentata dalla ricerca e sviluppo intra-muros, che ammonta a poco più di mezzo miliardo di euro. Il grado di internazionalizzazione, ossia il rapporto tra addetti delle partecipate estere e dipendenti in Italia di imprese a controllo nazionale, consiste nel 26 per cento. Sono ben 130 le aziende italiane che hanno stabilimenti all'estero e il 70 per cento di queste sono PMI. Le quote di produzione estera, che di norma non ha sostituito impianti preesistenti in Italia, ma ha cercato piuttosto di servire nuovi mercati, è salita dal 32 per cento nel 2007, al 41 per cento del 2011, tuttavia non mancano le criticità se ampliamo lo sguardo temporale e analizziamo l'andamento del settore negli ultimi trent'anni e se prendiamo in considerazione lo stato di salute di alcune grandi imprese operanti nella chimica, in quella di base in particolare. L'Italia infatti è, tra i Paesi europei più industrializzati, quello con il più elevato deficit di bilancio commerciale, sia nell'insieme del settore chimico, sia nella chimica di base. Dal punto di vista dell’export, l'industria chimica italiana, pur registrando un deficit nella bilancia commerciale, mostra una propensione al commercio estero. Il processo di dismissioni, attuato da ENI negli ultimi decenni, ha provocato gravi conseguenze, non soltanto dal punto di vista occupazionale per la bilancia di settore, ma anche per la competitività del comparto e dell'intero sistema produttivo del Paese. La ridotta presenza di investimenti in ricerca e innovazione si concretizza nell'annunciato taglio al Centro ricerche «Natta» di Ferrara, nella definizione del cracker di Marghera. Il piano Versalis, sui territori da essa presidiati, in Sicilia, a Mantova, a Ravenna e Ferrara, si inserisce in questo quadro strutturale reso più urgente dalle novità che nel settore della chimica dei materiali plastici e delle specialties si stanno orientando l'attenzione e la ricerca dei grandi gruppi europei, che non rinunciano alla petrolchimica, ma contemporaneamente guardano ai possibili terreni competitivi per i prossimi anni.
  L'importanza della chimica in Italia dal punto di vista dell'occupazione è fortemente diminuita, passando dal 4,5 per cento del 1971 al 2,6 per cento del 2009 dell'intero sistema industriale italiano. La piccola e media impresa chimica, localizzata prevalentemente al nord del Paese, continua a mostrare segni di vitalità. Nel 1971 la PMI impiegava il 29 per cento degli addetti, mentre nel 2009 tale percentuale è passata al 69 per cento degli addetti della chimica in Italia. La maggiore incidenza delle PMI è attribuibile, in realtà, alle dismissione della grande impresa. Dal 1981 al 1996 la grande impresa chimica ha perso il 43 per cento degli addetti, mentre la piccola circa il 9.
  L'industria chimica in Italia, riducendosi il peso dei colossi industriali della Pag. 4cosiddetta chimica di base intermedia, si va configurando come un sistema di imprese piccole e di medie dimensioni, fortemente orientate alla innovazione e ai prodotti speciali. Il costo dell'energia, tra i più alti in Europa, incide fortemente sull'economia della chimica di base, mentre gioca un ruolo meno importante per i cosiddetti prodotti speciali, dove il livello di scala ottimale non è molto elevato e giocano un ruolo assai più importante i cosiddetti aspetti intangibili di know-how che non i grandi investimenti fissi.
  Il processo di dismissione dell'ENI ha comportato una pesante contrazione produttiva e occupazionale. Le conseguenze sono lo smantellamento di fabbriche in cui anni prima si erano investiti miliardi di vecchie lire per ammodernarle e la distruzione sociale, culturale e identitaria di un forte nucleo storico di operai, tecnici e dirigenti. Vi è stato un lunghissimo processo di bonifica delle aree volto al suo rilancio produttivo con altre destinazioni, peraltro ancora oggi in fase del tutto iniziale, e la cancellazione di una grande memoria di storie e di lotte collettive che sono state tanta parte del movimento operaio. Anche molti centri urbani nel territorio del Mezzogiorno hanno conosciuto, nell'ultimo ventennio, smantellamenti di antichi comparti industriali, che per decenni costituirono non solo punti di forza produttivi delle rispettive aree ma luoghi di formazione e di accumulazione di saperi ed esperienze di fabbrica.
  Processi di deindustrializzazione, quelli appena ricordati, con cui poi si è cercato di sostituire l’«attivo» di nuovi insediamenti, favoriti da costosi strumenti della programmazione negoziata come i contratti d'area, con cui lo Stato ha tentato, in qualche modo, di risarcire i territori e le popolazioni delle città che erano state colpite dalle pesanti crisi industriali. Ma quei processi di rigenerazione economica non solo ancora oggi, a molti anni di distanza dal loro avvio, non hanno prodotto i risultati attesi in termini di occupazione e di rilancio delle economie locali, ma già subiscono gli effetti negativi della globalizzazione.
  Una via per rilanciare il settore, quindi, non è solo possibile, ma deve essere ricercata con determinazione. La crescita deve essere sostenibile dal punto di vista economico, sociale e ambientale, affinché dopo gli anni di crisi si possa parlare di una ripresa reale, in grado di rispondere alle sfide che dobbiamo affrontare. Le sostenibilità economica, sociale e ambientale hanno bisogno l'una dell'altra e tutte hanno bisogno della chimica. L'innovazione di prodotto o di processo creata dalla chimica si trasferisce agli altri settori utilizzatori, che possono così offrire un prodotto migliore e più economico rispetto alla concorrenza estera, spesso avvantaggiata dal basso costo del lavoro e da oneri inferiori per la tutela di sicurezza, salute e ambiente. Ecco perché la chimica e la sua industria devono avere un ruolo da protagonista nelle politiche di rilancio dell'economia del Paese. La chimica può far risparmiare risorse naturali, ridurre l'inquinamento, migliorare l'efficienza energetica delle abitazioni, dei trasporti e delle industrie, aiutare a trovare nuove fonti di energia.
  In Italia l'industria chimica ha già superato l'obiettivo per la riduzione dei gas serra fissato dall'Unione europea per il 2020. Sono state evitate emissioni per 34 milioni di tonnellate l'anno, pari a quelle di 18 milioni di automobili. L'efficienza energetica è migliorata del 45 per cento contro la media della manifatturiera del 13. Dal 1989 ad oggi le emissioni in aria dell'industria chimica sono diminuite del 90 per cento. Le spese delle industrie chimiche in questo ambito superano gli 1,1 miliardi di euro, con un'incidenza sul fatturato pari al 2,1 per cento. Tali spese includono le bonifiche e il risanamento di siti inquinati, per renderli disponibili a nuovi usi, e si suddividono in investimenti e costi operativi.
  La chimica verde è, dunque, essenzialmente una risposta alternativa a una serie di problematiche negative della chimica tradizionale, in quanto tiene conto del nuovo ordine di priorità dell'innovazione scientifica e tecnologica basate sull'eliminazione o sulla drastica riduzione di procedure Pag. 5e di sostanze pericolose secondo strategie di minimizzazione dei reflui, dei costi energetici, l'utilizzo di materie prime ricavate da fonti rinnovabili e l'elevata biodegradabilità. A tutto ciò si aggiunge un bilancio più favorevole dal punto di vista dell'emissione di anidride carbonica e la sostituzione di composti obsoleti con altri che mantengono la loro stessa efficacia funzionale riducendone, al contempo, la tossicità, il fattore di rischio nei confronti dell'uomo e dell'ambiente, fino al potenziale che la chimica verde offre quale alternativa per l'agricoltura e per le economie locali.
  È uno sviluppo che si fonda sull'innovazione e la sostenibilità, cioè sulle frontiere dei nuovi saperi e delle nuove tecniche, sapientemente innestate sul nostro tradizionale saper fare manifattura, il tutto coniugato con la ricerca dell'efficienza delle rinnovabilità nello sfruttamento delle risorse. La chimica verde si propone quindi di ottenere combustibili e prodotti chimici a partire da biomasse, senza utilizzare il petrolio come materia prima e favorendo il graduale affrancamento dall'importazione di idrocarburi, una scelta tecnologica che porterà ad un sistema economico basato su un crescente utilizzo di prodotti vegetali, che per natura sono rinnovabili. L'uso di materie prime alternative nell'industria chimica sta guadagnando importanza anche alla luce dell'aumento sempre crescente dei prezzi del petrolio e delle limitate risorse fossili. La petrolchimica, infatti, rappresenta in Europa 50 miliardi di euro di valore aggiunto e una infrastruttura strategica per l'industria, in quanto fornisce materie prime e semilavorati a numerosi settori industriali, trasferendo le innovazioni contenute nei propri prodotti all'intero sistema produttivo. L'industria chimica nei prossimi decenni rimarrà basata in modo predominante sulla petrolchimica, ma esiste un enorme potenziale per un maggior ricorso alle materie prime biologiche non solo nelle produzioni di carattere specialistico, ma anche come principale elemento costitutivo di sostanze chimiche ad alto volume. La chimica verde si applica nei settori dei biocombustibili, dei biocarburanti, dei biolubrificanti, degli oli tecnici, dei tensioattivi, delle bioplastiche e dei biopolimeri, dei solventi e così via. Le materie prime utilizzate sono oli vergini di colza, soia, girasole, palma, oli esausti di varia natura provenienti principalmente da importazioni e in parte dall'agricoltura e dalla raccolta differenziata italiana. In una prima fase, i prodotti utilizzati dall'industria potevano anche avere un uso alimentare. Per esempio, la ricerca ha dimostrato che ci sono prodotti vegetali che potrebbero sostituire il silicio nella produzione di pannelli fotovoltaici. La seconda fase vede la rapida affermazione di nuovi processi produttivi a grande potenzialità che sfruttano i prodotti di scarto dell'industria alimentare o piante a rapido accrescimento non destinate ad uso alimentare, fornendo una grande opportunità per l'industria, ma anche per il settore delle imprese agricole. Questa novità può contribuire ad affermare un settore primario meno dipendente dal settore secondario e motore di innovazione per la stessa industria manifatturiera in crisi. Questo richiede un maggior coordinamento tra lo sviluppo agricolo e lo sviluppo industriale per quanto riguarda tutti gli aspetti: maggiori rendimenti e qualità delle materie prime grazie alla ricerca agricola, in particolare biotech, miglioramento della logistica, affidabilità della fornitura, visibilità del prezzo attraverso contratti a medio e lungo termine, preferenza dei clienti. È evidente tuttavia il rischio che i progressi verso l'economia basata su prodotti a base biologica siano troppo lenti rispetto allo sviluppo in Europa della domanda verso questi stessi prodotti. In tal caso, la produzione si svolgerà in altre regioni del mondo per le quali l'accesso a forniture competitive e permanenti di materie prime rinnovabili, così come l'energia, è maggiormente garantito rispetto all'industria europea. Dunque limitarsi alla sola importazione di biomasse non può considerarsi un'opzione valida. Le politiche agricole dell'Unione europea dovrebbero quindi essere adottate in modo da promuovere la produzione di materie Pag. 6prime rinnovabili e per tutti gli usi industriali, senza interrompere l'approvvigionamento alimentare. La chimica verde ha alla base una dimensione dove il know how assume maggiore rilevanza del possesso delle materie prime stesse. Esistono molti progetti guidati e iniziative dell'Unione europea per la costruzione di impianti di produzione per la chimica basati sulle biologie e sui biomateriali, ad esempio la bioplastica. Anche in Europa è prevista la costruzione di impianti dimostrativi e si stanno sviluppando alcuni impianti pilota per la produzione di etanolo da scarti e da rifiuti solidi urbani. Oggi operano circa 120 impianti situati in Germania, Italia, Austria, Francia e Svezia, che producono oltre sei milioni di tonnellate annue di biodiesel. Il tasso di crescita reale della chimica verde sarà determinato da un certo numero di fattori: il prezzo del petrolio e delle materie prime agricole, la velocità del progresso tecnologico, le politiche di supporto e sviluppo delle tecnologie di base in Europa, il supporto da parte degli Stati ai progetti dimostrativi, essenziali per la diffusione di tecnologie sostenibili e per lo sviluppo delle competenze. Le criticità maggiori che lo sviluppo di una chimica verde può indurre sono l'impatto sui prezzi delle materie prime agricole, anche in rapporto alle produzioni alimentari, e l'impatto sugli ecosistemi locali in relazione alla sostenibilità delle filiere.
  Lo sforzo di tutti gli attori, dalla scienza alla politica all'industria, per raggiungere una piena innovazione dell'intero ciclo, dalla ricerca alla diffusione di mercato, sarà il fattore chiave determinante per il successo della chimica verde. Esiste, dunque, l'esigenza di principi guida per l'utilizzo globale delle risorse rinnovabili fondati sul mantenimento della biodiversità, l'uso sostenibile delle biomasse e la distribuzione delle diverse risorse e dei vantaggi derivanti dalle diverse fonti in modo equilibrato e giusto.
  Le diverse politiche di promozione dell'uso delle biomasse dovrebbero, pertanto, essere complementari e garantire un complessivo impatto positivo volto alla sostenibilità. La sostenibilità di un prodotto deve, quindi, essere valutata caso per caso, non solo sulla materia prima, ma sull'intero ciclo di vita, ivi incluso l'uso dell'acqua. Le metodologie generalmente accettate per misurare la sostenibilità devono considerarsi obbligatorie ed essere usate, come prioritari programmi, nei progetti e nelle azioni politiche. La valutazione deve essere fatta sull'intera filiera, dalla produzione delle materie prime fino al ciclo-vita finale dei prodotti, incluso il riciclo, che deve includere parametri come l'interferenza con le altre priorità quali cibo, gestione dell'acqua e così via. Un approccio che consenta all'industria di fornire alla società prodotti sempre più sostenibili dovrebbe essere incentivato da aiuti nella forma di finanziamenti e da azioni coerenti del quadro politico.
  Occorre, dunque, che il Governo punti alla promozione di queste potenzialità. Per l'affermarsi della chimica verde è infatti necessario diffondere tra i cittadini italiani informazioni legate agli obblighi derivanti dalla normativa che sarà applicata nei prossimi anni in materia di emissioni e di ambiente, dalle alternative di consumo più compatibili con la salvaguardia ambientale, per aumentare la disponibilità a operare scelte ecosostenibili, alla diffusione di dati reali sulla sicurezza degli impianti di chimica verde per la salute e per l'ambiente, per limitare l'ostilità da parte del territorio verso le nuove iniziative industriali.
  Infine, la chimica da fonti rinnovabili ha bisogno del sostegno pubblico, in ricerca, ma non soltanto, ed in questo caso tale sostegno sarebbe coerente con la necessità di sviluppare iniziative industriali e prodotti a minore impatto ambientale e sociale, con lo sviluppo della strategia europea e internazionale. L'intervento pubblico è ancor più necessario se visto dal punto di vista della crisi, se considerato come modalità di politica industriale, in funzione anticrisi, per il salvataggio dei poli chimici e la tutela dell'occupazione.
  Ciò premesso, con la nostra mozione chiediamo al Governo di impegnarsi: ad avviare una politica industriale finalizzata Pag. 7a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici, concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali, dando come priorità la bonifica dei siti contaminati; a mettere in campo strumenti di sostegno per la tenuta della chimica nazionale, evitando, ove possibile, ulteriori chiusure di impianti e promuovendo la realizzazione degli investimenti necessari a riportare a livello competitivo le produzioni presenti in Italia; a promuovere l'avvio di processi di reindustrializzazione e sviluppo in una logica di filiera e nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde, avviando, a tal fine, iniziative per favorire i rapporti tra le grandi imprese e PMI; a sviluppare una nuova politica di sostegno all'innovazione che tenga in considerazione i legami tra le varie filiere industriali; a ridurre il differenziale del costo dell'energia con gli altri Paesi concorrenti, adottando in tempi certi un piano energetico nazionale; ad accelerare le bonifiche dei siti chimici di interesse nazionale, promuovendo la rivisitazione dei processi produttivi in chiave di sostenibilità ambientale e favorendo l'insediamento, all'interno di tali siti, di piccole e medie aziende, creando un anello virtuoso di crescita sia per le PMI, grazie alla presenza di centri di ricerca, servizi, energia e disponibilità di personale altamente specializzato, sia per la grande industria, grazie alla riduzione dei costi della logistica e alla produzione mirata al servizio del territorio; a semplificare le procedure burocratiche di autorizzazione per le nuove imprese, al fine di facilitare gli investimenti e attrarre nuovi capitali esteri nel settore; a battersi in sede europea per interventi legislativi a sostegno di imprese e di poli chimici che rispettino le norme ambientali; a sviluppare una politica nazionale di sostegno alla bioeconomia che tenga in considerazione il ruolo chiave delle bioraffinerie nel generare valore a livello locale; a focalizzare le politiche italiane nel campo della gestione integrata dei rifiuti solidi urbani, mettendo al centro la trasformazione in compost di qualità della frazione organica; a fissare target per incentivare, mediante apposite normative e standard, la sostituzione di prodotti critici per l'ambiente; ad attivare misure di incentivo alla domanda di prodotti bio-based di nicchia, quali biolubrificanti, bioerbicidi e pacciamatura agricola, per permettere di trainare lo sviluppo nel mercato finale dei prodotti; a sostenere fortemente l'attivazione del cluster della chimica verde, in quanto strumento chiave per permettere sviluppi dei settori prioritari per l'Italia; ad attivare un tavolo di alto livello tra stakeholder sul tema della chimica verde, mutuandolo dal panel di alto livello sulla bioeconomia da poco lanciato dalla Commissione europea; infine, a riattivare presso il Ministero dello sviluppo economico l'Osservatorio chimico nazionale soppresso dai precedenti Governi, come strumento di monitoraggio, valutazione e di proposta per l'intera filiera della chimica.
  Ecco queste sono le cose che noi riteniamo fondamentali per cercare di rilanciare un settore fondamentale per il nostro Paese che ha un grande margine di sviluppo, e che può dare veramente una misura migliore del nostro sviluppo economico per il nostro Paese.

  PRESIDENTE. Salutiamo i giovanissimi studenti, e i loro accompagnatori, dell'Istituto Comprensivo Bettona-Cannara di Perugia e dell'Istituto Comprensivo Centro Storico-Scuola primaria Toti di Rimini, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  È iscritta a parlare l'onorevole Dorina Bianchi, che illustrerà anche la mozione Brunetta ed altri n. 1-00212, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

  DORINA BIANCHI. Signor Presidente, l'industria italiana della chimica, con un valore della produzione pari a 52,8 miliardi di euro nel 2012, si conferma il terzo produttore europeo, dopo Germania e Francia, e il decimo a livello mondiale.
  Il settore impegna 2.800 imprese e 113 mila addetti, e rappresenta circa il 6 per cento dell'intero fatturato dell'industria manifatturiera nazionale e il quarto esportatore italiano dopo meccanica, metallurgia Pag. 8e alimentare. Il 2012 si chiude con un calo della produzione pari al 2,8 per cento in valore, sostenuto dall'aumento dei prezzi, a fronte di una contrazione più marcata in termini di volumi. Il settore risente del crollo della domanda di chimica italiana, che è pari a meno 4 per cento circa, anche se con intensità diverse. Praticamente riguarda tutti i settori di clienti, compresi quelli legati ai consumi finali, cioè detergenti, cosmetici, alimentare, imballaggio, oltre ad alcune tipologie di pitture e di vernici che negli anni passati avevano risentito meno della crisi.
  La caduta della domanda interna si è riflessa anche sulle importazioni, in calo nel 2012 del 2,3 per cento. Invece, fortunatamente, l’export si conferma in crescita, con un valore pari a più 1,6 per cento, nonostante il calo del mercato europeo, che è pari allo 0,7 per cento, e un generale rallentamento della domanda mondiale, trainato dalla forte espansione nei mercati extraeuropei, che vedono un più 5,8 per cento, e dai settori della chimica fine e specialistica, che si attesta a più 5 per cento. Si tratta di un risultato importante, tenuto conto che l’export rappresenterà una leva centrale per sostenere l'attività chimica in Italia nei prossimi anni, e che già dal 2013 si prospetta un rafforzamento della domanda mondiale e almeno una stabilizzazione a livello europeo.
  La chimica è complessivamente solida, nonostante il grave momento di difficoltà in generale dell'industria italiana, e non evidenzia segni di declino, nonostante le marcate pressioni sui margini, in presenza, per tutti gli anni Duemila, di forti rincari nei costi delle materie prime e debolezza e contrazione della domanda interna.
  La redditività caratteristica, pari al 6 per cento, è decisamente superiore alla media manifatturiera, che è pari al 4 per cento. Anche l'incidenza delle sofferenze bancarie sui prestiti è la più bassa nel panorama industriale italiano, pari al 3,6 per cento, a fronte del 12,8 medio a fine 2012, e segnala che le cessazioni di attività non sono diffuse per quanto riguarda la chimica.
  La capacità dell'industria chimica di resistere in un contesto economico e industriale difficile discende dal percorso di cambiamento che è stato intrapreso con decisione da molte imprese a partire dagli anni Duemila, in qualche caso anche prima, ed è fondato su due pilastri principali che sono la ricerca e l'orientamento dei mercati esteri. Inoltre, il settore, essendo caratterizzato da risorse umane altamente qualificate – la quota dei laureati nell'industria chimica è pari al 19 per cento – ed elevati investimenti materiali e immateriali, riesce meglio di molti altri a difendersi dall'aggressività dei Paesi emergenti.
  La chimica vede la presenza bilanciata di imprese a capitale estero, che rappresentano circa il 36 per cento del valore della produzione, di gruppi medio-grandi a capitale italiano, che rappresentano il 26 per cento, e di piccole e medie imprese italiane, che invece sono presenti per il 38 per cento. Le imprese a capitale estero rappresentano una risorsa importante per il settore, anche perché la loro presenza è radicata sul territorio, comportando spesso attività di ricerca in Italia e flussi di export. Tenendo conto dei gruppi industriali, la dimensione media d'impresa sfiora i 50 addetti e testimonia l'esistenza di un nucleo ampio di realtà dotate della massa critica necessaria per affacciarsi sul mercato internazionale e affrontare la sfida impegnativa della ricerca.
  La classifica dei principali gruppi chimici a proprietà italiana evidenza numerose realtà sconosciute per lo più al grande pubblico, ma spesso leader nel loro segmento di specializzazione a livello europeo, se non addirittura mondiale, e in misura prevalente dotate di presenze produttive internazionali. Nella chimica, inoltre, anche le piccole e medie imprese sono imprese avanzate dal punto di vista tecnologico, come dimostra la produttività del lavoro superiore del 75 per cento rispetto alla media delle piccole e medie imprese industriali.
  La chimica è un settore ad elevata intensità di ricerca. Lo abbiamo detto, la quota degli addetti dedicati alla ricerca e Pag. 9sviluppo è pari al 4,3 per cento ed è più che doppia della media manifatturiera, che invece è dell'1,9 per cento. Nel corso degli anni Duemila, in un contesto di accresciuta concorrenza internazionale e di esplosione nei costi delle materie prime, molte imprese chimiche, anche piccole e medie, hanno rafforzato la ricerca al fine di aumentare il contenuto tecnologico dei prodotti e di sottrarsi a una competizione incentrata solo su fattori di costo.
  In dieci anni la quota di imprese chimiche attive nella ricerca è aumentata di 10 punti percentuali e ha raggiunto il 48 per cento, una quota più che doppia rispetto alla media industriale – che è del 23 per cento – e superiore anche a quei settori high tech, come la farmaceutica e l'elettronica, che hanno un'innovazione pari al 44 per cento. In effetti, in ambito europeo la chimica italiana è seconda solo alla chimica tedesca per nucleo di imprese attive nella ricerca e nello sviluppo, oltre 800, e siamo davanti a Francia e a Spagna. Questa diffusione rappresenta una ricchezza in termini di integrazione con il tessuto industriale italiano al quale la chimica, attraverso i suoi beni intermedi, trasferisce innovazione tecnologica e competitività.
  L'industria chimica mostra una forte e crescente vocazione internazionale, attraverso il canale di export e investimenti produttivi all'estero. È il comparto con la più elevata incidenza di imprese esportatrici (54 per cento), dopo la farmaceutica, e in dieci anni la quota di export sul fatturato è aumentata di 11 punti percentuali, consentendo al settore di diventare meno dipendente da una domanda interna in generale poco brillante e più recentemente in caduta, e di contrastare l'erosione dei margini di produttività.
  La performance dell’export è in linea con gli altri Paesi europei e persino migliore di importanti concorrenti come la Francia e il Regno Unito, in un contesto in cui l'Italia nel suo complesso ha invece perso terreno nel confronto europeo. In effetti, l'Italia vanta una specializzazione in numerosi segmenti della chimica fine e specialistica, quella che acquista gli intermedi della chimica di base per tramutarli in prodotti differenziati per tutti i settori manifatturieri, che complessivamente genera un surplus commerciale prossimo a 4 miliardi di euro. Tra questi figurano i cosmetici, le pitture e vernici, i detergenti, i prodotti per la cura della casa, gli additivi per oli lubrificanti, gli adesivi.
  In questo quadro, non del tutto negativo, tuttavia bisogna rilevare che l'industria chimica italiana sconta ancora oggi tre elementi sfavorevoli, che sono l'elevato costo dell'energia, la notevole complessità delle procedure burocratiche e la conseguente proliferazione di oneri amministrativi e l'arretratezza infrastrutturale che rende la logistica molto più costosa di quanto non lo sia negli altri Paesi.
  Nell'industria chimica agli acquisti di materie prime ricoprono il 60 per cento del valore della produzione e le spese per gli acquisti di servizi, energia inclusa, il 21 per cento. La chimica è il primo settore industriale per consumo di gas naturale e il secondo per consumo di energia elettrica. L'energia rappresenta una voce di costo importante per il settore chimico, pari in media al 5 per cento del valore della produzione.
  Nel nostro Paese, infatti, su un fatturato di 53 miliardi, la bolletta energetica della chimica lo scorso anno è stata di 5,3 miliardi, un'incidenza del 10 per cento, che è la media fra il 70-80 per cento della chimica del fluoro e il 2 per cento della cosmetica.
  Le difficoltà sopra evidenziate non hanno impedito all'industria chimica italiana, attraverso gli importanti processi di riconversione di impianti non competitivi, di essere lo stimolo alla creazione di condizioni per ricadute positive a livello occupazionale, a livello dell'ambiente, della redditività dei prodotti e dell'integrazione con la chimica tradizionale, dando nuovo impulso anche a settori maturi dell'economia.
  In linea con i più recenti indirizzi della Commissione europea in tema di biotecnologie, nel 2013 si è costituito, su impulso del MIUR, un cluster tecnologico nazionale «Chimica verde», che si propone l'obiettivo Pag. 10di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia, attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione. I soggetti aderenti al cluster vedono nella costruzione di bioraffinerie di seconda e terza generazione, integrate nel territorio e dedicate principalmente ai prodotti innovativi ad alto valore, un'opportunità per affermare un nuovo modello socio-economico e culturale, prima ancora che industriale, dando una corretta priorità all'uso delle biomasse, nel rispetto delle biodiversità locali e delle culture alimentari e con creazione di nuovi posti di lavoro.
  In questo contesto, si rende opportuno promuovere le tecnologie che valorizzino complessivamente le biomasse e che dimostrino di essere sostenibili e competitive. Questo evitando che i sussidi, se utilizzati in maniera errata, creino distorsioni di mercato, spreco di risorse pubbliche ed alterino le condizioni di concorrenza tra i diversi comparti produttivi. Di fatto l'industria chimica permette un utilizzo molto più efficace delle biomasse rispetto ad un utilizzo puramente energetico; una corretta programmazione di filiera e una vera strategia che prevengano distorsioni della concorrenza e del mercato sono necessarie per applicare in modo oggettivo i criteri di sostenibilità fissati dall'Unione europea.
  In tale contesto va sottolineato altresì che la filiera della plastica in Italia e in Europa ha grandissima importanza per numero di imprese, fatturato ed occupati e vanta una forte tradizione in termini di innovazione. L'Italia infatti è al terzo posto in Europa per numero di occupati, fatturato e valore aggiunto delle fasi di produzione e trasformazione delle materie plastiche, è il secondo mercato di consumo ed è il secondo produttore di macchinari, con eccellenze industriali e della ricerca, anche a livello industriale.
  In questo quadro, la mozione presentata dal Popolo della Libertà chiede al Governo di assumere precisi impegni finalizzati a favorire nuove iniziative per sostenere la competitività dell'industria chimica italiana; ad avviare una politica industriale finalizzata a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali, dando come priorità la bonifica dei siti contaminati; a promuovere l'attuazione di percorsi di reindustrializzazione e di sviluppo nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde; a sviluppare una politica di forte sostegno all'innovazione, che veda la ricerca come elemento fondamentale, anche attraverso la destinazione di fondi e di incentivi; a mettere in campo strumenti, anche di natura normativa, finalizzati a ridurre il forte impatto negativo del costo dell'energia sulla produzione dell'industria chimica italiana; a procedere con tempestività alla bonifica dei siti chimici di interesse nazionale; a provvedere allo snellimento delle procedure burocratiche, con particolare riferimento alla riduzione degli oneri amministrativi, a tutela degli impianti e delle produzioni già esistenti e di quelli di nuova costituzione, con riguardo alla chimica fine e delle specialità, al fine di attrarre capitale e facilitare i nuovi investimenti, sia italiani che esteri; a sostenere a livello europeo la public private partnership, il cui obiettivo è quello di aiutare le industrie europee a colmare il «divario di innovazione» tra lo sviluppo tecnologico e la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto e a cercare, in questo ambito, di valorizzare le azioni di cluster «Chimica verde», al fine di permettere un allineamento di azioni a livello nazionale ed europeo.
  Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto del testo integrale del mio intervento (la Presidenza lo consente sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rondini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00213. Ne ha facoltà.

  MARCO RONDINI. Signor Presidente, come sempre la chimica, bene intermedio per eccellenza, si sta dimostrando come una cartina di tornasole dell'evoluzione del quadro congiunturale che, nonostante alcuni segnali di ripresa, resta preoccupante. Pag. 11La crisi economica ha avuto un effetto dirompente sulla chimica: guardando agli ultimi anni, dopo un 2012 in contrazione del 3 per cento in valore e del 5 per cento in volume, la produzione chimica nazionale non mostra ancora segnali di stabilizzazione.
  La fase di recupero ad inizio anno, infatti, si è rivelata solo temporanea e la prima parte dell'anno segna un calo del 3,3 per cento in meno in volume, in presenza di prezzi pressoché stazionari. A pesare in modo determinante sul settore è la caduta della domanda interna che coinvolge praticamente tutti i settori chimici, comprese le filiere connesse ai consumi finali (detergenti, cosmetici, alimentare e imballaggio), le quali avevano superato quasi indenni la recessione del periodo 2008-2009. Il crollo della domanda interna si riflette anche sulle importazioni che, nei primi quattro mesi dell'anno, hanno perso il 2,8 per cento in valore, dopo aver chiuso il 2012 con un calo del 2,3 per cento. Ad incidere sull'industria chimica italiana è il ridimensionamento di importanti settori utilizzatori, come l'auto e le costruzioni, nonché i crescenti problemi di liquidità di molte imprese clienti che spingono molte di esse a ritardare i pagamenti nei confronti dei loro fornitori.
  Il prolungarsi della recessione a livello europeo ha frenato le esportazioni, tenuto conto che l'Unione europea rappresenta il mercato di destinazione di oltre il 60 per cento delle esportazioni chimiche italiane. Un positivo andamento si registra, invece, nel mercato extraeuropeo. In sofferenza è principalmente la chimica di base, mentre si confermano in espansione i settori della chimica fine e specialistica. Con particolare riferimento ai comparti della chimica che vendono al made in Italy, oltre alla situazione di crisi attuale, pesano gli aspetti strutturali legati al decentramento degli insediamenti industriali, strategia questa che ha comportato una riduzione della domanda da parte dell'industria con conseguenze assolutamente dannose per la produzione e l'occupazione. Lo scenario economico descritto e le dinamiche in atto nel Paese hanno determinato una revisione al ribasso delle stime di crescita per il 2013. Infatti, contrariamente alle buone aspettative iniziali, il 2013 si chiuderà con un altro arretramento della produzione chimica in Italia intorno al 2 per cento in volume e valutabile nell'1,5 per cento in valore.
  A tale situazione si aggiunge il costo dell'energia, tra i più alti in Europa, che è ormai divenuto insostenibile per le aziende di settore, specie per quelle legate alla chimica di base, rappresentando una delle principali cause della loro perdita di competitività nei confronti delle concorrenti europee ed estere. Le drammatiche vicende della Vinyls Italia hanno lasciato un segno sulla possibilità di ripresa del comparto. Il gruppo chimico del ciclo del cloro, unico produttore in Italia di pvc, da quattro anni in amministrazione straordinaria, è ora in esercizio provvisorio con cinquecento addetti ripartiti nei tre stabilimenti di Porto Torres, Porto Marghera e Ravenna, ad esclusione dell'indotto.
  La vertenza Vinyls è divenuta ormai il simbolo della crisi della chimica italiana e, più in generale, riflette la mancanza di un'organica azione politica di rilancio del sistema industriale del Paese. I processi di riconversione di impianti industriali non competitivi che, nel caso di Vinyls Italia, hanno portato all'apertura di un negoziato con l'Oleificio Medio Piave, società che svolge attività di estrazione dell'olio vegetale da semi oleosi, potrebbero aprire la strada alla realizzazione di importanti progetti industriali ed occupazionali di grande impatto per l'economia di tutto il Paese. La regione Lombardia ha promosso con successo l'adozione di accordi di sviluppo territoriale per favorire l'insediamento di nuove attività di impresa nelle aree industriali dismesse, realizzando diversi interventi, sia di carattere finanziario che di semplificazione amministrativa, per attrarre e mantenere sul territorio le attività e le risorse necessarie alla crescita e allo sviluppo dello stesso. Riteniamo, inoltre, sia impensabile che l'Italia rinunci al suo ruolo da protagonista nel settore della chimica perdendo il valore strategico di questo importante comparto, fondamentale Pag. 12per riportare il Paese su più alti livelli competitivi. Dopo gli interventi di politica economica funzionali ad evitare un avvitamento della crisi, è necessario adottare quanto prima strumenti di politica industriale che siano in grado di salvaguardare le imprese del territorio e l'occupazione.
  Chiediamo, quindi, un impegno da parte del Governo a realizzare una politica industriale per la riqualificazione dei poli chimici concordando con le regioni e gli enti locali percorsi da attuare, anche sulla base delle positive esperienze realizzate a livello territoriale, che abbiano come priorità la bonifica dei siti contaminati. Priorità che fino ad oggi è stata evasa talvolta in modo molto superficiale. Basta pensare alle inchieste giudiziarie che hanno accompagnato gli interventi di bonifica, ad esempio dell'ex polo chimico di Pioltello.
  Quindi chiediamo un impegno ancora al Governo ad adottare iniziative di rilancio della chimica italiana, promuovendo la realizzazione degli investimenti necessari a restituire competitività al settore ed evitando il ripetersi di scenari simili a quelli verificatisi nella vicenda Vinyls, dove è a rischio il futuro di molti lavoratori; a sostenere la competitività delle produzioni italiane attraverso l'adozione di misure di riduzione del costo dell'energia, riportandolo sui livelli degli altri Paesi concorrenti; ad orientare le imprese verso un'attività di ricerca scientifica strutturata con l'adozione di incentivi automatici e di programmi specifici; ancora a sostenere in sede europea interventi normativi a sostegno di imprese e di poli chimici che rispettino le norme ambientali, evitando delocalizzazioni e trasferimenti in Paesi meno rigorosi nella regolamentazione ambientale e adottando incentivi, anche di natura fiscale, in favore delle imprese che stabiliscano i loro insediamenti in Italia ed, infine, ad adottare opportune iniziative per la semplificazione del quadro normativo di riferimento al fine di restituire maggiore competitività alle imprese della chimica italiana, al pari degli altri Paesi europei.

  PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione Crippa ed altri n. 1-00214 e che il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'Allegato A – Mozioni).
  È iscritto a parlare il deputato Da Villa, che illustrerà la mozione Crippa ed altri n. 1-00214, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

  MARCO DA VILLA. Signor Presidente, la chimica italiana ha una lunga storia fatta di numerosi insediamenti industriali sparsi in tutta la penisola, oltre che di ricerca e sviluppo ai massimi livelli. Basti pensare al premio Nobel Natta che inventò nel 1963 il polipropilene isotattico ed e il polietilene ad alta densità.
  A livello mondiale questo comparto rappresenta ancora una realtà industriale dinamica, con un mercato di oltre 3 mila miliardi di dollari. Oggi si vive una contraddittoria dicotomia: da un lato la chimica mondiale che è in sviluppo grazie soprattutto ai crescenti consumi globali di prodotti chimici nei Paesi emergenti, dall'altro l'Europa, e l'Italia in particolare, che vede sempre maggiori difficoltà per il comparto.
  Il continuo sviluppo del settore, a livello globale, è legato all'effetto traino della domanda crescente nei cosiddetti Paesi emergenti in cui si è sviluppata rapidamente una fiorente industria chimica laddove, congiuntamente ad un ridotto costo del lavoro, è possibile, in alcuni casi, disporre di materie prime – in particolare di petrolio – ed energia a costi estremamente competitivi.
  In Europa, invece, il prezzo del greggio ha ormai raggiunto stabilmente prezzi superiori a 100 dollari al barile, che tenderanno verosimilmente ad aumentare ancora nei prossimi anni grazie alla crescente domanda di energia e di consumi in Paesi quali Cina, India, Brasile ed altre economie emergenti, penalizzando al contempo l'industria chimica comunitaria e nazionale che utilizza proprio il greggio come materia prima, la cosiddetta petrolchimica.
  Ma è opportuno ricordare che proprio la petrolchimica ha comportato ingenti Pag. 13danni all'ambiente e alla salute in diverse località italiane come Porto Marghera, Porto Torres, Gela e Priolo. La popolazione delle città menzionate e dei territori limitrofi presenta, infatti, un tasso di mortalità per malattie tumorali ben al di sopra della media nazionale.
  In Italia non esiste ad oggi un quadro completo e aggiornato a livello nazionale dello stato di attuazione degli interventi di bonifica. A ciò si aggiunge un quadro di applicazione della normativa vigente particolarmente vasto e complesso, nel quale sarebbe auspicabile un processo di semplificazione al fine di accelerare le attuali procedure amministrative la cui farraginosità sta rallentando ulteriormente l'attuazione degli interventi stessi.
  Nell'ambito di un riordino normativo della materia, con l'articolo 2 del decreto-legge n. 208 del 2008 sulle risorse idriche, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 13 del 2009, è stata introdotta una procedura alternativa a quella previgente in materia di copertura di oneri di bonifica e risarcimento del danno ambientale nei siti di interesse nazionale. La novità ha riguardato l'introduzione della stipula di contratti di transazione con le imprese direttamente interessate, in ordine al rimborso degli oneri di bonifica e alla rinuncia di ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale.
  Attualmente sussiste una prioritaria esigenza di alleggerimento e riordino della normativa e della procedura amministrativa di bonifica, a cui deve associarsi la necessità di garantire che le attività di vigilanza e di controllo sulle relative operazioni nei siti siano svolte da strutture e da realtà adeguate e competenti.
  Da un punto di vista industriale e sanitario, i procedimenti di riciclo e recupero meccanico della plastica potrebbero rappresentare una grande opportunità di rilancio dell'intero comparto industriale nel nostro Paese. Grazie ai sopra citati procedimenti, la plastica da «rifiuto» diventa «risorsa». Esempi dei prodotti derivanti dai procedimenti chimici possono essere polimeri, come il polietilentereftalato, eccetera.
  Oggi, il 55 per cento della plastica usata viene riciclata, mentre il restante 45 per cento incenerita. Con le attuali procedure di riciclaggio e trasformazione si potrebbe arrivare al recupero della quasi totalità della plastica raccolta con la differenziata.
  Altra problematica del mercato della plastica è il cosiddetto contributo CONAI (Consorzio nazionale imballaggi). Gli operatori del settore, infatti, per ogni tonnellata di plastica prodotta devono pagare circa 110 euro al consorzio (non molto, considerando che, già nel 2010, il corrispettivo in Italia era di 160 euro a tonnellata, la media dell'Unione europea era di 222 euro a tonnellata, ma la media tra i principali Paesi europei è di 440 euro a tonnellata), consorzio il quale, a sua volta, dovrebbe girare buona parte dei proventi ai comuni per contribuire alle spese di gestione dei processi di raccolta differenziata.
  Nel 2011, però, dei circa 812 milioni raccolti da CONAI, solo 300 sono arrivati ai comuni; il resto pare sia stato assorbito da ipotetiche spese di gestione. Quindi, solo il 37 per cento del totale netto raccolto da CONAI va ai comuni, che copre concretamente solo il 20 per cento delle spese di gestione della raccolta differenziata. In Francia, per fare un esempio, ai comuni arriva il 92 per cento del contributo corrispondente al nostro, che contribuisce a coprire i procedimenti di raccolta e riciclo per il 70 per cento dei costi.
  Dal punto di vista dei consumi, è emblematico l'esempio delle cosiddette bioplastiche, cioè le plastiche biodegradabili. Questo è un settore industriale che sta trovando, negli ultimi anni, un notevole sviluppo nel nostro Paese, ma che necessita per la sua produzione di ingenti quantità di materie prime organiche, come l'amido di mais, che potrebbero distogliere in misura cospicua colture altrimenti destinata alla produzione alimentare.
  Dal punto di vista occupazionale, oggi, tra gli addetti alla produzione e alla trasformazione nel settore chimica vi è un rapporto di uno a 50. Tali dati fanno pensare che sarebbe più conveniente investire Pag. 14sul recupero e la trasformazione dei prodotti plastici, piuttosto che partire dalla materia prima vergine.
  Attualmente, in Italia, circa il 40 per cento dei 7 milioni di tonnellate di plastiche prodotti ogni anno è destinato agli imballaggi. Difendere il livello occupazionale di questo settore industriale non può e non deve significare mantenere invariata la produzione annuale di plastiche vergini, in quanto questo significherebbe minare ancora di più le filiere dei riciclo locale e nazionale, contribuendo paradossalmente a fornire rifiuto agli inceneritori.
  La chimica da fonti rinnovabili o chimica verde potrebbe rappresentare un'opportunità per la reindustrializzazione dei poli chimici nel medio e lungo periodo, se accompagnata da politiche di bonifiche e di riciclaggio, poiché l'obiettivo della chimica verde è di ridurre le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera, grazie all'affrancamento dalle fonti fossili come materia prima, nonché di valorizzare le risorse del territorio, riducendo, al contempo, il peso dell’import di materie prime quali il greggio.
  Prima di intraprendere investimenti in questo senso, occorre uno studio di insieme che consenta di tirare conclusioni più certe circa l'impatto della cosiddetta chimica verde, la cui evoluzione ventennale si è indirizzata secondo linee spontanee, con preminente attenzione alla convenienza economica, senza un'attenzione organica al suo complessivo contributo in materia strettamente ambientale.
  Quindi, noi del MoVimento 5 Stelle riteniamo che sia necessario avviare un tavolo di concertazione nazionale a cui partecipino, oltre ai rappresentanti della grande e piccola industria chimica, anche le parti sociali, le università, i laboratori e gli istituti di ricerca, con l'obiettivo di definire un piano di sviluppo compatibile con le esigenze del comparto.
  È necessario, poi, adottare le misure necessarie per garantire che i grandi e piccoli produttori chimici si facciano carico, in applicazione del principio «chi inquina paga», delle operazioni e delle spese economiche legate alla bonifica dei siti utilizzati per la produzione, impedendo, al contempo, qualsiasi forma di agevolazione del passaggio di proprietà del sito stesso prima che siano state completate le operazioni di recupero ambientale.
  È necessario, poi, sostenere la chimica verde in ossequio alla strategia della biochimica lanciata dalla Commissione europea attraverso l'istituzione di un tavolo tecnico presso il Ministero dello sviluppo economico che ne analizzi la validità tecnico-scientifica, al fine di individuare gli interventi più efficaci per lo sviluppo di tecnologie semplici e di maggior rendimento per la riconversione dei poli chimici.
  È, altresì, necessario realizzare un piano di investimenti per il sostegno della ricerca pubblica e privata nel settore della chimica verde, con particolare attenzione alla necessità di promuovere sinergie tra discipline diverse quali l'ingegneria, la chimica, le biotecnologie, l'agraria e la biologia.
  È necessario, inoltre, intraprendere ogni iniziativa per accelerare i processi di bonifica dei siti chimici di interesse nazionale concordando i percorsi con gli enti locali e le regioni e, infine, individuare nuove linee di sviluppo industriale del Paese, in particolare nel campo della cosiddetta green economy, dell'ecoinnovazione e dell'efficienza energetica, dei nuovi materiali, della bioingegneria e della nuova chimica verde, facilitando la nascita di piccole e medie imprese nel campo ed incentivando le imprese al passaggio a produzioni maggiormente sostenibili ed ecoefficienti.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luigi Lacquaniti. Ne ha facoltà.

  LUIGI LACQUANITI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghe e colleghi deputati, comincerei questo intervento da quell'osservazione semplice che la mozione Speranza ed altri n. 1-00162 pone al principio delle proprie argomentazioni e che, pur scontata com’è, ritengo centrale per comprendere sia il ruolo che la chimica italiana ha avuto Pag. 15nella storia industriale del Paese sia il ruolo che può rivestire ancora oggi al punto in cui l'economia italiana si trova. Davanti a noi abbiamo due strade: da un lato la decadenza definitiva del Paese, destinato a diventare e a rimanere stabilmente un soggetto marginale e periferico nell'assetto europeo e internazionale, dall'altro una riacquisita posizione di primo piano del nostro manifatturiero proprio in uno dei settori dove esso si è affermato storicamente come volano dell'economia italiana, appunto, il settore chimico. Dunque, correttamente argomenta la mozione Speranza ed altri n. 1-00162, la chimica influisce ed è legata a tutti gli altri settori industriali; tutti devono, in qualche modo, alla chimica, direttamente o indirettamente, lo sviluppo di comparti più o meno determinanti del proprio processo produttivo. La chimica produce materie prime, semilavorati e materiali finiti per tutti i settori industriali, dall'elettronica alla sanità e all'edilizia. Il made in Italy, che solo pochi giorni fa è stato al centro del nostro dibattito in vista della costituzione della Commissione di inchiesta contro la contraffazione, tutto il made in Italy, ha un intuibile debito originario nei confronti del settore chimico, non solo l'agroalimentare, ma anche l'abbigliamento, le auto, i detergenti e gli elettrodomestici. Questa peculiarità costituisce allo stesso tempo un punto di forza e un punto di debolezza di tutto il sistema; da un lato nessun settore può fare a meno della chimica, è evidente, dall'altro, però, la chimica rischia di seguire la sorte di tutti gli altri settori produttivi, la buona e la cattiva sorte. Infatti, la crisi economica presente si è riflessa nel comparto chimico: la contrazione che già negli ultimi due anni aveva colpito le aziende interessate è proseguita anche nella prima parte del 2013 con un ulteriore calo del 5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. Il comparto, tuttavia, manifesta una costante vitalità grazie all’export che segna un calo contenuto nel mercato interno europeo e addirittura una crescita significativa sui mercati esteri. E, grazie ai mercati esteri, possiamo ragionevolmente attenderci una ripresa della produzione nel corso del 2014. Ancora oggi la chimica italiana nel quadro europeo è seconda solo alla Germania e alla Francia, e contenuta, almeno negli ultimi anni, è stata anche la perdita di posti di lavoro; nel 2009 erano 120 mila gli occupati anche se con un notevole ricorso alla cassa integrazione guadagni.
  La storia della chimica italiana, com’è noto, ha visto al centro della scena internazionale grandi gruppi industriali. Montedison nel 1966 eredita la storia e le attività dei gruppi Montecatini ed Edison, unendo con grande intuito la chimica al settore energetico in una visione strategica che, conclusa la fase espansiva del Dopoguerra, avrebbe potuto dare nuovo impulso all'economia nazionale; avrebbe potuto se non fossero intervenuti elementi turbativi molteplici, ancora oggi non del tutto esplorati dagli storici, ma che trovavano sostanzialmente nelle vicende delle politica italiana dell'epoca e nelle sue contese la propria origine. Venivano così di fatto vanificate le potenzialità che pure all'economia potevano venire dalla razionalizzazione dello strumento delle partecipazioni statali, e Montedison andava a collezionare bilanci in rosso durante tutto il decennio.
  Tuttavia la chimica italiana a lungo continua a mantenere una posizione strategica per l'economia italiana, sia sul piano nazionale che internazionale, e per l'occupazione. La successiva privatizzazione degli anni Ottanta, che ebbe in Mediobanca il maggiore artefice e proprio nel momento in cui i bilanci di Montedison tornavano in attivo, permise alla finanza di conquistare il controllo del gruppo in una parabola che in meno di vent'anni, fra alterne vicende, avrebbe condotto il colosso della chimica italiana prima ad essere in gran parte svuotato del proprio comparto produttivo per divenire una potente holding e infine, dopo i giorni di tangentopoli, dopo un difficile risanamento e il mutamento del nome, a trasformarsi in un semplice fornitore di energia.
  Dunque non fu il «pubblico» della nazionalizzazione delle partecipazioni statali Pag. 16ad affossare la chimica italiana e non fu il «privato» dei grandi gruppi finanziari; cooperarono – in alcuni casi – entrambi, in tal senso a ricordarci che anche per la chimica il problema non risiede tutto nel pubblico e non risiede tutto nel privato, il problema risiede nella gestione aziendale, cattiva e rapace quando è tale, uno dei tanti esempi di sperpero a cui è andato incontro il nostro potenziale produttivo.
  Oggi il settore chimico italiano si è trasformato, appare diffuso soprattutto nelle regioni settentrionali, articolato prevalentemente in piccole e medie imprese che, come tali, sono in Italia elementi costitutivi del comparto, ora fornitori della chimica di base, ora produttori di lavorati complessi, ora imprese di trasformazione in rapporto di partnership con gli uni e gli altri. Migliora invece il ruolo delle grandi aziende, ridotte ormai a un quarto del totale.
  Terminata la stagione delle dismissioni di ENI, l'ubriacatura delle privatizzazioni degli anni Ottanta, il comparto è stato investito in misura minore dal fenomeno generalizzato delle delocalizzazioni, nonostante sconti le difficoltà che incontrano in Italia tutte le imprese, dalle lungaggini della burocrazia ai costi energetici elevati. Ingenti rimangono gli investimenti, soprattutto a favore della ricerca; la chimica è consapevole che senza ricerca muore. Un sistema produttivo che si sviluppa facendo leva prevalentemente su piccole e medie imprese non sopravvive senza coltivare continuamente l'innovazione, attraverso un sistema di ricerca interno, di laboratorio, o sfruttando la collaborazione di università ed enti preposti.
  La Lombardia in particolare è un esempio di quanto finora detto, vanta un altissimo livello di specializzazione nella chimica e una posizione di leadership europea per numero di imprese, una cultura industriale da sempre ben radicata, la presenza capillare della piccola e media impresa, l'attenzione costante alla ricerca scientifica. Possiamo ricordare, fra i tantissimi esempi che potremmo fare, l'esempio – dire quasi come caso di scuola – dell'Acciaieria Pernici in provincia di Bergamo, azienda fondata nel 1892, che impiega 13 dipendenti – quindi a pieno titolo una piccola impresa – dotata di personale altamente specializzato, una clientela distribuita in 60 Paesi esteri e un giro d'affari che nel 2009 si attestava a due milioni di euro.
  Pertanto se questa è la realtà della chimica italiana, qualsiasi intervento pubblico non deve tradursi in un dispendio di risorse pubbliche ma deve permettere di trasformare quello che potrebbe rivelarsi un elemento di debolezza, un sistema articolato in una miriade di aziende prevalentemente medio-piccole, in elemento di forza, e qualsiasi intervento pubblico volto a rilanciare il settore deve necessariamente considerare tutti questi aspetti: investimenti nella ricerca, la formazione continua degli addetti, la coltivazione della creatività e dell'iniziativa delle risorse umane appositamente formate e dunque una rinnovata capacità formativa delle università.
  Ma la storia della chimica italiana è anche storia di aree di smisurate dimensioni, che, una volta dismessa l'azienda e una volta chiusi i cancelli, hanno rivelato macroscopici problemi di inquinamento che hanno imposto onerosi programmi di bonifica, a tutt'oggi in alcuni casi nemmeno avviati.
  Dopo il disastro della smisurata area siderurgica di Taranto, un altro disastro ambientale da produzione di agenti chimici, anche se non riconducibile alla Montedison, scuote oggi il Paese. A Brescia, il sito cittadino dove un tempo sorse la Caffaro, costituisce ormai un caso italiano ed europeo di inquinamento da policlorobifenili, la cui bonifica è stata calcolato che imponga un investimento di almeno un miliardo di euro. Si tratta di un problema già oggetto di un'interrogazione da parte di chi parla – e qui mi rivolgo al rappresentante del Governo – un'interrogazione che ancora attende risposta. Brescia, a giugno, è stata visitata da una delegazione della Camera, cui ho avuto modo di partecipare, guidata dall'onorevole Realacci. Successivamente, anche il Pag. 17Ministro Orlando, si è recato a Brescia e vi ha incontrato il sindaco e la nuova amministrazione comunale. Ancora, tuttavia, non è ben chiaro dove saranno reperiti i fondi per questa opera di bonifica che si prevede colossale. Le dimensioni ridotte delle aziende che oggi costituiscono il comparto della chimica italiana – come si diceva, piccole e medie imprese – dovrebbe costituire, da questo punto di vista, sufficiente garanzia che in futuro non vi saranno altre Caffaro e tuttavia sappiamo che questo non è sufficiente: la ridotta dimensione dell'azienda, il ridotto numero di addetti, il fatturato limitato, non sono una garanzia sufficiente. Qualsiasi intervento pubblico a sostegno del comparto, qualsiasi politica finalizzata alla reindustrializzazione deve vigilare attentamente e pretendere, come condizione necessaria, opportune garanzie che l'ambiente sarà preservato e che l'azienda assumerà ogni mezzo a difesa dei lavoratori.
  L'ultima frontiera della chimica è quella che viene definita chimica verde, che pure vediamo oggetto di particolare attenzione dalla mozione Speranza oggi in discussione. La conversione della produzione chimica verso le bioplastiche, i bioadditivi e i biolubrificanti, effettivamente può rivelarsi col tempo un investimento per il Paese. Il piano industriale «Chimica verde» di Porto Torres può assumere qui valore di esempio. A Porto Torres, è prevista in tre fasi successive la realizzazione di impianti che, a regime, permetteranno la produzione di additivi, lubrificanti e polimeri biodegradabili derivati da oli vegetali, come l'olio ottenibile dai semi di cardo, e da scarti vari della produzione agricola. Analogamente, a Crescentino, viene eretto un grande impianto per la produzione di bioetanolo.
  Soltanto il futuro ci rivelerà se l'avvenire della chimica risiede nella cosiddetta chimica verde, se essa sarà capace di produrre nuova occupazione, di fare fatturato e, soprattutto, se dietro questo nome così impegnativo, chimica verde, non si nasconda l'ennesimo caso di sfruttamento ambientale.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crippa. Ne ha facoltà.

  DAVIDE CRIPPA. Signor Presidente, come MoVimento 5 Stelle, vorremmo, a questo punto, dopo aver presentato la nostra mozione, in qualche modo, dettagliare come mai non ci troviamo soddisfatti dalla mozione calendarizzata a prima firma Speranza. Ciò perché, Presidente e spettabile sottosegretario, noi, in qualche modo, abbiamo riscontrato numerose criticità.
  Abbiamo parlato prima del fatto che abbiamo una storia fatta di insediamenti produttivi che si sono sviluppati in tutta la penisola e che, negli scorsi cinquant'anni, in qualche modo, hanno dato sviluppo lavorativo ed occupazionale a tutta una serie di località italiane; però vorrei anche ricordare che queste località oggi sono tristemente note anche per fenomeni di inquinamento ambientale e di nessi di causalità di fenomeni di malattia e di morte.
  Sono citati a titolo esemplificativo Porto Marghera, Porto Torres, Gela e Priolo come, diciamo, siti dove si è fatta chimica un po’ a discapito di quelle che erano la tutela della salute e dell'ambiente.
  Volevo citare anche, però, un passaggio importante sul fatto che oggi – ed è un'industria attualmente attiva – assistiamo alla Solvay di Rosignano, dove sembra di vivere in un paesaggio caraibico ma, in realtà, quella spiaggia bianca, tipica di un fenomeno caraibico e, quindi, ben lontano dalle coste toscane, in qualche modo attira un sacco di turisti un attimino ignari di quelle che siano le conseguenze ambientali del loro soggiornare su quelle spiagge. E, allora, diciamo che in qualche modo bisogna anche fare un passo indietro, cioè capire che in passato effettivamente, quando abbiamo assistito a questa dismissione del parco nazionale produttivo della chimica italiana, abbiamo dato una bella fetta del mercato in mano totalmente a Enichem, oggi Syndial, perché oggi avendo cambiato nome in realtà però forse non cambiano le responsabilità che sono in gioco, perché ci ricordiamo, ad esempio, Pag. 18che la Syndial detiene ancora la proprietà di numerosi stabilimenti ex Enichem e il possesso dei terreni su cui in alcuni casi sono state cedute, ad esempio, le parti produttive come a Pieve Vergonte (Pieve Vergonte, in provincia di Verbania, località vicina al mio collegio elettorale).
  A questo punto, vi chiedo perché la Syndial ha una serie di numerosi processi aperti con delle vertenze per fenomeni di inquinamento di stabilimenti. L'8 luglio 2008 il tribunale di Torino ha comminato alla società una multa record di 1,9 miliardi di euro per inquinamento da DDT del lago Maggiore e, in qualche modo, l'ENI poi ha prontamente fatto ricorso in appello e, quindi, oggi ci troviamo ENI e Syndial di nuovo con questa problematica che vede un sito, come quello di Pieve Vergonte, totalmente inattivo dal punto di vista delle bonifiche in atto. È un problema che ha causato fenomeni di malattie tumorali e fenomeni di inquinamento ambientale, ma che non trova una soluzione ben chiara e nitida. Sono troppi anni che parliamo di progetti di bonifica: qualcosa è stato fatto ma, in realtà, vorremmo avere una prospettiva di lunga durata su quello che sarà lo sviluppo di questo sito come di tutti gli altri (questo ovviamente era a titolo esemplificativo).
  Chi può essere visto come responsabile di queste tragedie ? In qualche modo, forse, una responsabilità delle aziende che hanno portato avanti queste lavorazioni ai limiti della normativa in essere del tempo e, forse, senza prestare troppa attenzione a quelle che erano le misure di prevenzione per la popolazione e, soprattutto, per i lavoratori che ci lavoravano. Lo Stato nei passati decenni si è ben guardato di normare a dovere la materia, anche se poi una legislazione, diciamo, sempre dal punto di vista sanitario, siamo sempre stati i primi, dal punto di vista lavorativo, ad avere legislazioni anche, direi, alcune volte stringenti. Poi, peccato che ci dimentichiamo sempre la fase del controllo e, soprattutto, della sanzione e, soprattutto, della bonifica delle inadempienze. Non sto a citare l'Ilva, per adesso, ma la citerò poi più avanti, perché anche in quel caso, nonostante ci sia un apparato sanzionatorio che sta funzionando, si rivelano problematiche e si manda avanti la produzione senza troppo preoccuparci di quelli che sono fenomeni di malattie e morte collegate all'attività aziendale.
  Sì, Presidente, perché oggi siamo qui a parlare di una mozione dei colleghi del PD con la quale si impegna il Governo, tra i vari punti, a fare il possibile per mantenere i posti di lavoro che dipendono dall'industria chimica. Io direi che come premessa in qualche modo mi lascia un po’ perplesso, perché è vero – è vero e nessuno lo nasconde – che il settore della chimica è un settore strategico. A parte il fatto che forse qualcuno dovrebbe ricordarsi di 20, 30 anni fa, quando in qualche modo si è deciso di dismettere questo settore per fare posto totalmente ai privati e oggi rincorriamo il settore, riconsiderandolo strategico e, quindi, lo Stato deve intervenire in qualche modo perché ha perso di mano quella che ormai è finita nelle mani delle concorrenza e che pian piano chiude gli stabilimenti per diminuire la concorrenza, e di per sé crea dei cartelli con le proprie aziende e con la produzione fatta altrove.
  Ma non è solo l'esempio della chimica, parliamo anche dell'acciaio, ma potremmo parlare di tantissimi settori dove in qualche modo, quando abbiamo smantellato, forse troppo in fretta e furia, l'apparato statale, forse bisognava ricordarsi di dare delle linee programmatiche e di indirizzo.
  Certo, le linee programmatiche e di indirizzo, però, date da chi ? In effetti uno può pensare che all'interno di Eni abbiamo comunque una partecipazione del 30 per cento con la Cassa depositi e prestiti. Allora uno si immagina che in qualche modo riusciremo a governare questo processo di influenza, cioè questo processo per il quale riusciamo a dare un via libera ad una situazione di pianificazione, ossia di rilancio, di bonifica, dando una priorità all'interno della gestione di Eni, dei processi di bonifica di alcuni stabilimenti. In realtà non è così e ho paura che in alcuni casi oggi Eni in qualche modo sia molto più attento a fare Pag. 19profitti direttamente sulle estrazioni di gas e petrolio e nel remunerare i propri amministratori delegati, che tutto sono tranne che essere personaggi eticamente trasparenti, come Scaroni.
  A questo punto, bisogna anche porsi un attimino dei punti ben chiari. Il primo punto: a livello mondiale questo è un comparto che rappresenta una realtà industriale dinamica, un mercato di oltre 3.000 miliardi di dollari, ma di fatto l'Italia è ormai da anni ai margini di questo settore. Buona parte dei poli chimici italiani sono ormai dismessi o venduti per pochi euro a investitori esteri, come vi dicevo prima. Pertanto, a questo punto li abbiamo svenduti, oggi li chiudono e ci troviamo a dover dire: ma forse non possiamo completamente perdere tutto il panorama produttivo italiano.
  Secondo punto: si sottovaluta l'investimento in ballo. Certo, perché noi stiamo pensando che per poter essere competitivo in realtà un impianto petrolchimico dovrebbe dotarsi anche di una raffineria e di un collegamento diretto con essa. Chi può con la crisi attuale del settore garantire un investimento importante come questo ? Qual è l'alternativa ? Rilanciare la Syndial o rilanciare l'Enichem ? Direi che a questo punto ci sono una serie di scenari all'interno di questa mozione per cui essa forse sembra più un libro dei sogni. Allora ci chiediamo se in qualche modo dovremmo finanziare delle nuove attività di natura petrolchimica o forse varrebbe la pena rivedere un attimo la strategia, un piano industriale globale dell'Italia, di dove voglia andare.
  La terza criticità che rileviamo è quella di un discorso di senso. All'interno della mozione presentata dal PD riscontriamo che abbiamo la necessità, in qualche modo, da sempre – lo troviamo anche spesso nei loro programmi elettorali – di ridurre la produzione di imballaggi e di ridurre quindi il consumo di plastica. Dall'altro lato, notiamo che all'interno di questa mozione bisogna in qualche modo mantenere e garantire un comparto produttivo, perché bisogna garantire l'occupazione. Allora in questo modo forse bisognerebbe anche pensare in che modo si garantisce l'occupazione, perché se si deve garantire l'occupazione producendo nuove materie plastiche, allora probabilmente varrebbe la pena di aprire un canale nuovo, di rilanciare e di finanziare sì un'attività di ricerca verso questo canale, che è quello delle plastiche di seconda generazione e quindi di recupero proveniente dalla raccolta differenziata. Cioè portiamo a compimento quelle che sono oggi le ricerche di settore e merceologiche che hanno portato a fare degli impianti di trattamento altamente tecnologici che permettono di separare plastiche di colori diversi e di materiali diversi. Senonché, poi ci si inventa che alcuni tipi di etichette devono diventare non più di carta ma di plastica. Allora, immaginate come possa essere contento il lettore ottico di non riuscire più a capire se quella che legge è l'etichetta oppure la bottiglietta di plastica, quindi non si sa bene se è PET o altro materiale plastico, tipico quello del film che la fascia. A questo punto è la programmazione politica che deve dare un indirizzo chiaro. Se la programmazione politica in un certo senso deve essere quella di ridurre la produzione di imballaggi, allora dall'altro lato noi abbiamo la necessità di portarla nel nuovo comparto produttivo, che è quello che si dovrà occupare di come le plastiche recuperate dalla raccolta differenziata possano diventare nuove materie secondarie, quindi nuove materie plastiche.
  Certo, il processo produttivo non sarà scontato, in alcuni casi, anche se ormai la tecnologia è molto avanti su questo punto e non è più una mera ricerca, ma si tratta di realtà produttive. Però, purtroppo, in Italia, oggi, come diceva prima il collega Da Villa, abbiamo una bella fetta di produzione di plastiche destinate a imballaggi, che è ancora il 40 per cento. Allora, ci chiediamo: come mai ? Poi andiamo a vedere che, sulla quantità di tonnellate di plastica immessa sul mercato, l'Italia, probabilmente, paga, a livello europeo, il prezzo più basso per ogni tonnellata immessa sul mercato rispetto a scenari come quelli scandinavi o tedeschi.Pag. 20
  Allora, ci chiediamo: se lì, in qualche modo, hanno dato un indirizzo politico – perché quello è un indirizzo politico – nel dire che, in qualche modo, quella è una materia che va valorizzata, non si può pensare che la stessa debba essere invece termovalorizzata, cioè quello che molti di voi, all'interno di questi scranni, ha in mente, che è la termovalorizzazione della materia plastica. Certo, il contenuto energetico della plastica fa gola, soprattutto a quegli impianti che ormai sono avviati e che, come dei Pac-Man, hanno necessità di mangiarsi un sacco di bottigliette energetiche.
  A questo punto, la pianificazione che noi cerchiamo di dare e cerchiamo di imporre è quella di rilanciare un settore di trasformazione della plastica secondaria. Quindi, quello che rileviamo è: se l'analisi e le premesse nella mozione del Partito Democratico erano quelle, giustamente, di sollevare un rapporto di produzione di 1 a 50 tra il comparto della produzione della plastica e i meccanismi di trasformazione della stessa, noi crediamo che quei 50, in realtà, vengano anche ad essere aumentati nel momento in cui, in qualche modo, diamo spazio alla trasformazione e al recupero delle plastiche da raccolta differenziata.
  Poi vi è la parte conclusiva, quella nella quale di nuovo viene rilanciata la questione che siamo un Paese dove il costo dell'energia è troppo alto, per cui bisogna far sì che il gap del prezzo dell'energia venga rivisto all'interno, addirittura, della SEN, che viene citata nella mozione.
  Peccato che a un'interrogazione fatta dal sottoscritto all'inizio della legislatura il Governo abbia risposto che, in qualche modo, condivideva per filo e per segno quella che era la SEN nella sua strategia e nella sua misura di indirizzo politico. Quindi, a questo punto, sono ben contento che qualcuno voglia rivederla, perché era una delle nostre richieste iniziali.
  Poi, non spostiamo sempre la questione su un problema di costo dell'energia elettrica, perché, in realtà, mi piacerebbe fare un approccio molto più globale. Anche sulla produzione dell'acciaio, non credo sia soltanto una questione di prezzo energetico. In molti casi, alcune attività vengono spostate in altri Paesi per altri motivi: ad esempio, assistiamo alla migrazione anche di piccole aziende al di là del confine con il Ticino, perché vi sono i soliti problemi della burocrazia e della defiscalizzazione degli utili aziendali.
  Dall'altro lato, dobbiamo anche dirci che alcune realtà produttive, in qualche modo, hanno superato oggi la loro necessità produttiva in Italia. In qualche modo, i giganti del settore si sono mangiati delle fette di mercato in maniera, direi, purtroppo critica e difficilmente si potrà tornare indietro su questo processo.
  Quello su cui si potrà, invece, andare avanti è sul cercare di incentivare – questo sì – anche la ricerca nel settore delle bioplastiche. Il settore delle bioplastiche non vuole dire, attenzione, almeno nel nostro immaginario, di coltivare distese e distese di campi per sostituire attualmente la produzione di plastiche da fossili, perché, in qualche modo, forse non ci siamo resi conto che l'Italia non ha una superficie coltivabile che possa giustificare questo scenario e, parallelamente, arrivare, quanto meno, a dare una sussistenza agricola a quella che è l'economia agricola necessaria.
  Ad esempio, oggi ci troviamo – faccio questa digressione – a dover gestire l'emergenza dei biogas provenienti dalla fermentazione di mais coltivato, e quindi sottratto sempre alla frazione alimentare.
  Come si concilierà il biogas con le bioplastiche ? Direi che in questo momento non possiamo più permetterci di sottrarre sempre delle fette destinate al consumo umano. Andrebbe pianificato correttamente. Allora, sì, investire nella ricerca, ad esempio, nell'utilizzo di alghe, oppure di sottoprodotti che non siano prodotti utili ai fini alimentari, ma sottoprodotti degli stessi. Allora probabilmente potremmo, sì, dar vita a un settore dove peraltro un'azienda sempre con sede a Novara, la Novamont, in qualche modo è stata uno dei pionieri in questo settore, e oggi porta avanti queste iniziative in maniera importante. Questi prodotti non vedono Pag. 21però, a mio avviso, uno sbocco diretto nel mercato, perché ancora è viziato da un costo di immissione dell'imballaggio stesso troppo basso per poter dare una linea di indirizzo chiara a quella che è l'economia di un Paese.
  In sintesi, noi vorremmo arrivare ad attirare anche gli investitori esteri, allargando non però le maglie della nostra normativa, come viene fatto per gli investitori che hanno investito, ad esempio, sull'ILVA di Taranto, dove per anni non hanno pensato né provveduto ad ammodernare l'azienda e oggi ci troviamo a fare decreti su decreti per allargare, in qualche modo, le maglie della responsabilità, sempre con il ricatto della crisi occupazionale. Allora, ci chiediamo: siamo certi che vi siano degli imprenditori che abbiano voglia di fare gli imprenditori non a discapito della società e non a discapito, sicuramente, dei lavoratori ? Ma hanno bisogno di essere aiutati. Quindi, coloro i quali vanno verso linee produttive che sono quelle tipiche della chimica verde, della sostenibilità, del recupero delle plastiche e del riutilizzo delle stesse, troveranno, a nostro avviso, devono trovare, degli strumenti di supporto opportuni. Difficilmente, mi sembra di cercare di fare un «Amarcord» della produzione delle plastiche, cioè non pensiamo di tornare a produrre il PVC in Italia, perché in qualche modo abbiamo perso questo comparto produttivo. Allora, proviamo a orientarlo verso una tecnologia di ricerca e una tecnologia per la quale diventiamo nuovamente pionieri della situazione. Io direi che a questo punto una riflessione poi è d'obbligo, ed è quella di non parlare sempre e solo in termini di parole, di concetti astratti, ma provare a metterli in campo realmente. Se infatti parliamo di concetti di riduzione (le famose «r») della plastica, del recupero dei rifiuti e della riduzione degli stessi, quando però ci troviamo davanti ad una possibilità di, in qualche modo, orientare il Governo a fare degli atti di indirizzo, non possiamo sottrarci a considerare che tutti, tutti indistintamente, i partiti e i movimenti presenti oggi in Aula hanno da sempre fatto della necessità di ridurre i rifiuti e di ridurre gli imballaggi un loro cavallo di battaglia. A questo punto, questo diventa uno strumento essenziale. Non possiamo mantenere un comparto produttivo alto, perché in qualche modo dobbiamo garantire occupazione. L'occupazione, la garantiamo diversificando questi settori e concentrandoci sulla problematica del recupero e delle modalità tecnologiche per usare il recupero della plastica come plastica vergine.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

  PRESIDENTE. Chiedo al rappresentante del Governo se intenda intervenire o se si riservi di farlo successivamente. Prego, sottosegretario De Vincenti.

  CLAUDIO DE VINCENTI, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico. Signor Presidente, credo sia utile una breve risposta agli interventi degli onorevoli che hanno presentato le mozioni, riservandomi invece poi di intervenire e dare il parere del Governo sugli impegni proposti nelle mozioni in seduta successiva.
  La chimica, in particolare la chimica di base, svolge, come è stato rilevato da diversi interventi, per il sistema industriale di un Paese un ruolo assimilabile a quello assolto dalle infrastrutture per un sistema economico, entrando con i suoi prodotti in numerosissimi settori produttivi e trasferendo loro, in questo modo, innovazione e ricerca e creando condizioni favorevoli allo sviluppo dell'intero sistema industriale.
  In tal senso, alla chimica è legata la stessa competitività del made in Italy e di numerosi importanti distretti industriali. Non è casuale il fatto che in Germania, dove si continua a investire nella petrolchimica, sia molto vitale anche la chimica fine e delle specialità.Pag. 22
  Tuttavia, l'Italia, che in passato ha occupato posizioni di primo piano in Europa per l'intero comparto, detenendo per alcuni ambiti della petrolchimica addirittura la leadership mondiale, è oggi tra i Paesi europei quello con il più elevato deficit della bilancia commerciale di settore. Rispetto ai Paesi europei più industrializzati, l'Italia è il Paese in cui, nell'ambito dell'intero sistema produttivo, sia il settore chimico sia la chimica di base assumono minore rilevanza in termini occupazionali e di valore aggiunto.
  Si tratta di una situazione determinata dalle difficoltà della grande impresa degli ultimi decenni, difficoltà che hanno provocato anche recentemente la chiusura di impianti industriali localizzati nei poli chimici e la perdita di intere importanti filiere produttive. Va rilevato che parallelamente la piccola e media impresa di chimica fine e specialistica, localizzata prevalentemente al nord del Paese, continua a mostrare segni di vitalità, surplus commerciali, crescenti orientamenti ai mercati esteri. Questi sono segnali che noi riteniamo importanti e che vanno assolutamente valorizzati.
  In considerazione dell'importanza che l'industria assume per la ripresa economica del Paese e del carattere strategico dell'industria chimica per la competitività dell'intero sistema produttivo, l'obiettivo del Governo è quello di promuovere la qualificazione e la reindustrializzazione dei poli chimici, favorendo il consolidamento della chimica di base presente e l'insediamento in queste aree di nuove attività produttive di filiera e di piccole e medie imprese di chimica fine e specialistica o, comunque, ad elevato contenuto innovativo e sostenibili dal punto di vista ambientale. In parte alcuni esempi sono stati anche ricordati dai presentatori delle mozioni, da ultimo, per esempio, le innovazioni in corso nel sito di Porto Torres.
  L'insediamento di nuove iniziative industriali nei poli chimici permetterebbe di valorizzare il patrimonio che queste aree rappresentano e che oggi, in seguito alla riduzione della domanda derivata dalle difficoltà cui ho fatto cenno, risulta utilizzato solo in parte. Un maggior numero di imprese coinsediate, permettendo un abbattimento dei costi generali di sito imputabili a ciascuna impresa, determinerebbe una maggiore competitività dell'intera area industriale e una più elevata capacità di attrarre nuovi imprenditori. Verrebbero avviati processi di industrializzazione senza aggredire dal punto di vista ambientale nuovi territori. Per perseguire questo disegno si ritiene prioritario intervenire per rimuovere i fattori di ambiente esterno che ne potrebbero ostacolare la realizzazione, in primo luogo la complessità delle procedure autorizzative e i costi energetici.
  L'esperienza legata all'accordo di programma per la qualificazione e la reindustrializzazione del polo petrolchimico di Priolo dimostra che essenziale alla realizzazione del progetto è la facilità di accesso per chi voglia investire alla disponibilità delle aree, in gran parte di proprietà ENI. Nell'accordo di programma citato l'ENI ha assunto precisi impegni che sono in corso di esecuzione.
  Per quanto concerne in particolare lo sviluppo della chimica verde il settore dei biocarburanti è oggetto di sempre maggiore attenzione. A tal proposito il Ministero dell'ambiente ha rappresentato che attualmente è in discussione presso il Consiglio europeo a Bruxelles una direttiva che, emendando la direttiva sulla promozione dell'energia da fonti rinnovabili, vuole limitare l'utilizzo di biocarburanti prodotti da materie prime in competizione con il settore alimentare. L'Italia è assolutamente favorevole alla promozione di biocarburanti avanzati prodotti mediante tecnologie innovative non in competizione con il settore alimentare, che inoltre permettono un elevato risparmio di emissioni di gas serra durante il ciclo di vita rispetto al corrispondente fossile. L'Italia si è fatta promotrice dell'inserimento di un sub target specifico al 2020 per questo tipo di biocarburanti. Tale proposta ha raccolto il consenso del Parlamento europeo.
  L'inserimento di tali target ha come conseguenza la necessità di aumentare la produzione nazionale dei biocarburanti Pag. 23avanzati, appunto, non in competizione con il settore alimentare. Nei giorni scorsi si è tenuta a Crescentino – nel vercellese – l'inaugurazione del primo impianto di produzione di bioetanolo di seconda generazione (utilizzo di materia lignocellulosica non in competizione con il settore alimentare), che rappresenta un'eccellenza per il nostro Paese. È fondamentale che a breve si dia inizio alla costruzione di analoghi impianti sul territorio nazionale, propedeutici ad un'esportazione della tecnologia verso l'estero.
  Al riguardo è stato approvato un decreto del Ministro per lo sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente, con lo scopo di promuovere la realizzazione di impianti di bioraffinazione attraverso la semplificazione del regime autorizzativo per la realizzazione degli impianti stessi nel rispetto dell'ambiente, con l'obiettivo di ottimizzare l'utilizzazione delle biomasse attraverso l'efficientamento dell'intero ciclo produttivo degli stabilimenti ed anche con l'installazione di impianti di cogenerazione, che utilizzino i sottoprodotti delle biomasse impiegate.
  Un settore delle bioenergie particolarmente promettente poi è quello del biogas/biometano. È attualmente in fase di finalizzazione una bozza di direttiva della Commissione europea che introdurrà criteri di sostenibilità per le biomasse solide e gassose, che dovrebbe essere presentata al Consiglio europeo entro la fine dell'anno. L'Italia, durante una prima consultazione informale, ha dichiarato che il biometano rappresenta una priorità nazionale e che è fondamentale che i criteri di sostenibilità previsti per il biogas siano i medesimi di quelli già in vigore per il biometano per autotrazione.
  Infine è in fase conclusiva la predisposizione di un decreto per l'incentivazione del biometano, come previsto dalla direttiva sulle fonti rinnovabili e dal relativo provvedimento di recepimento.
  Per quanto riguarda infine la promozione di biometano immesso nella rete, lo schema di decreto ha l'obiettivo di disciplinare le diverse modalità di incentivazione, nel rispetto delle indicazioni sulle matrici biologiche da privilegiare per la relativa produzione.
  Il Ministero dell'ambiente ha precisato, per quanto di sua competenza, che la chimica tradizionale possa essere superata dalla chimica verde e dalle nuove tecnologie a basso contenuto di carbonio, con le innovazioni tecnologiche che richiedano un impegno notevole di ricerca e sviluppo, al quale la pubblica amministrazione dovrà fornire un proprio contributo, non solo nella parte iniziale del processo, quella caratterizzata da un'attività di ricerca di base maggiormente scollegata agli interessi commerciali, ma lungo tutta la catena tecnologica. L'intervento pubblico deve di fatto garantire un «ponte», che consenta il superamento della fase più critica, quella che collega sperimentazione e commercializzazione che poi, con un peso via via crescente dei soggetti privati, si concluda con la diffusione della tecnologia. Per dosare e dare continuità all'azione di supporto devono quindi essere utilizzati strumenti che interessano i differenti passaggi del percorso innovativo. In questa direzione alcuni passi sono stati fatti, altri ne restano da fare.
  All'inizio della catena tecnologica bisogna favorire la nascita di incubatori, programmi dimostrativi, progetti pilota: sul piano operativo si tratta di potenziare e migliorare esperienze positive e di battere nuove strade.
  Si devono poi aggredire le barriere amministrative dando velocità e, soprattutto, certezze alle procedure autorizzative: un'azienda italiana fatica a scommettere sulle innovazioni verdi, sopportando tempi medi di autorizzazione degli impianti 5-10 volte superiori a quelli medi europei. Più a valle, c’è l'impegno a garantire un sostegno della domanda finale di tecnologie verdi. Sinora il supporto si è fondato prevalentemente sui diversi schemi di incentivazione, ma adesso gli spazi finanziari di manovra sono più ridotti. Si deve allora agire con misure estremamente selettive, capaci di accelerare i percorsi innovativi verso i quali orientare gli investimenti della pubblica Pag. 24amministrazione e delle imprese con strumenti quali il credito agevolato ed il credito di imposta e perciò, più in generale, con una revisione profonda della regolamentazione della finanza e della fiscalità.
  Nelle mozioni viene chiesto al Governo l'impegno ad accelerare le bonifiche nelle aree chimiche dei siti di interesse nazionale. Questo impegno corrisponde, è coerente con l'obiettivo delle politiche ambientali che il Governo ha individuato nella riqualificazione ambientale ed economico-produttiva dei siti segnati da gravi fenomeni di contaminazione.
  A tal fine sono in fase di elaborazione numerose iniziative, che spaziano da misure di carattere normativo e di semplificazione ad interventi di sostegno finanziario.
  Tra le misure che già si sono dimostrate efficaci a tali fini meritano di essere ricordati gli accordi di programma attuativi stipulati per la messa in sicurezza delle aree di porto Marghera.
  Lo scorso 15 ottobre il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha presenziato all'apertura dei lavori della Conferenza dei servizi convocata a Venezia per esaminare dodici progetti di messa in sicurezza e bonifica proprio per confermare la validità e l'efficacia di detto accordo di programma. Alcuni interventi normativi vanno nella medesima direzione, altri sono in cantiere per dare certezza sugli obiettivi di messa in sicurezza e bonifica che gli interessati devono conseguire per poter riutilizzare in condizioni di sicurezza ambientale e sanitaria un sito attualmente inquinato. Certezza di obiettivi che si deve tradurre in certezza di tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi e di valutazione economica della sostenibilità degli interventi di riconversione e investimento industriale da effettuare.
  Come dicevo all'inizio, mi riservo poi nella prossima seduta di esporre le posizioni del Governo sugli impegni previsti dalle diverse mozioni. In linea generale, anticipo che la posizione del Governo è favorevole. Sono tutti impegni che, in linea generale, corrispondono alle linee programmatiche del Governo. Sottolineo solo un punto riguardante un tema posto da una o due mozioni – adesso non ricordo – e che riguarda la riduzione del costo dell'energia, che è uno degli obiettivi prioritari del Governo. Segnalo anche che, proprio i provvedimenti che il Governo ha preso negli ultimi due anni, hanno cominciato a portare risultati importanti di riduzione del prezzo del gas e, a seguire, riduzione del prezzo dell'energia elettrica, che nel gas trova un input molto importante e fondamentale di produzione. Tutto ciò, come segnalo, è assolutamente coerente con la strategia energetica nazionale che, varata dal precedente Governo, è stata fatta propria dall'attuale Governo in carica. La riduzione del costo dell'energia è uno dei quattro obiettivi prioritari della Strategia energetica nazionale, insieme con la tutela ambientale, la sicurezza degli approvvigionamenti e l'apporto e il sostegno alla crescita economica. La riduzione del costo dell'energia è un punto chiave della strategia e non a caso stiamo assistendo – finalmente – a prime importanti riduzioni del costo dell'energia nel nostro Paese.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Salutiamo i giovanissimi studenti, gli insegnanti e gli accompagnatori della scuola primaria Piave, di Foligno, in provincia di Perugia, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 22 ottobre 2013, alle 10:

  1. – Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo di Bruxelles del 24 e 25 ottobre 2013.

Pag. 25

  2. – Deliberazione in merito alla ratifica della costituzione in giudizio della Camera dei deputati in relazione ad un conflitto di attribuzione sollevato innanzi alla Corte costituzionale dalla Corte di Cassazione di cui all'ordinanza della Corte costituzionale n. 14 del 2013.

  3. – Discussione delle mozioni Busto ed altri n. 1-00030, Zan ed altri n. 1-00188, Grimoldi ed altri n. 1-00189 e Borghi, Latronico, Matarrese ed altri n. 1-00193 concernenti iniziative in materia di utilizzo di alcune tipologie di combustibili solidi secondari nei forni dei cementifici.

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   DELL'ORCO ed altri: Modifica all'articolo 3 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, e altre disposizioni in materia di disciplina degli orari di apertura degli esercizi commerciali (C. 750-A).
  – Relatori: Nardella, per la maggioranza; Dell'Orco, di minoranza.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Molteni ed altri n. 1-00183, Braga ed altri n. 1-00013, Di Salvo ed altri n. 1-00204 e Pizzolante ed altri n. 1-00205 concernenti iniziative a favore dei lavoratori frontalieri.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni Speranza ed altri n. 1-00162, Brunetta ed altri n. 1-00212, Rondini ed altri n. 1-00213 e Crippa ed altri n. 1-00214 concernenti iniziative per una politica industriale volta alla riqualificazione e alla reindustrializzazione dei poli chimici.

  (p.m., al termine delle votazioni)

  7. – Discussione del disegno di legge (per la discussione sulle linee generali):
   S. 1015 – Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni (Approvato dal Senato) (C. 1682).

  La seduta termina alle 17,50.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO DORINA BIANCHI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DELLA MOZIONE N. 1-00162

  DORINA BIANCHI. L'industria chimica italiana, con un valore della produzione pari a 52,8 miliardi di euro nel 2012, si conferma il terzo produttore europeo, dopo Germania e Francia, e il decimo a livello mondiale. Il settore, con 2.800 imprese e 113 mila addetti, rappresenta il 6 per cento circa dell'intero fatturato dell'industria manifatturiera nazionale ed è il quarto esportatore italiano dopo meccanica, metallurgia e alimentare.
  Il 2012 si chiude con un calo della produzione pari al 2.8 per cento in valore, sostenuto dall'aumento dei prezzi (+2.5 per cento) a fronte di una contrazione più marcata in termini di volumi (-5.3 per cento). Il settore risente del crollo della domanda di chimica in Italia (-4.2 per cento in valore) diffuso, anche se con intensità diverse, praticamente a tutti i settori clienti, compresi quelli legati ai consumi finali (detergenti, cosmetici, alimentare, imballaggio oltre ad alcune tipologie di pitture e vernici) che negli anni passati avevano risentito meno della crisi.
  La caduta della domanda interna si è riflessa anche sulle importazioni, in calo nel 2012 del 2.3 per cento a valore, e ha portato con sé il miglioramento del deficit commerciale, che si attesta a 10,3 miliardi di euro rispetto agli 11,6 miliardi del 2011. L'export si conferma in crescita (+1.6 per cento in valore) nonostante il calo del mercato europeo (-0.7 per cento) e un generale rallentamento della domanda mondiale, trainato dalla forte espansione nei mercati extra-europei (+5.8 per cento) Pag. 26e dai settori della chimica fine e specialistica (+5.0 per cento). Si tratta di un risultato importante, tenuto conto che, l'export rappresenterà una leva centrale per sostenere l'attività chimica in Italia nei prossimi anni e che – già dal 2013 – si prospetta un rafforzamento della domanda mondiale e almeno una stabilizzazione a livello europeo.
  In un contesto di grave difficoltà dell'industria italiana, la chimica pur soffrendo la crisi di importanti settori clienti, è complessivamente solida e non evidenzia segni di declino irreversibile. Nonostante le marcate pressioni sui margini, in presenza per tutti gli anni Duemila di forti rincari nei costi delle materie prime e debolezza/contrazione della domanda interna. La redditività caratteristica, pari al 6 per cento, è decisamente superiore alle media manifatturiera (4 per cento). Anche l'incidenza delle sofferenze bancarie sui prestiti, pur essendo in leggero aumento dall'inizio della grande recessione (+1.6 punti percentuali da inizio 2009), è la più bassa nel panorama industriale italiano (3.6 per cento a fronte del 12.4 per cento medio a fine 2012) e segnala che le cessazioni di attività non sono diffuse. La restrizione creditizia normalmente non colpisce direttamente le imprese chimiche, solide dal punto di vista patrimoniale e finanziario, ma agisce indirettamente aggravando il problema dei ritardati pagamenti della clientela e dei rischi di insolvenza.
  La capacità dell'industria chimica di resistere in un contesto economico e industriale difficile discende dal percorso di cambiamento intrapreso con decisione da molte imprese a partire dagli anni Duemila (in qualche caso anche prima) e fondato su due pilastri: ricerca e orientamento ai mercati esteri. Inoltre, il settore, essendo caratterizzato da risorse umane altamente qualificate (quota di laureati pari al 19 per cento) ed elevati investimenti materiali e immateriali, riesce, meglio di molti altri, a difendersi dall'aggressività dei paesi emergenti.
  La chimica vede la presenza bilanciata di imprese a capitale estero (36 per cento del valore della produzione), medi-grandi gruppi a capitale italiano (26 per cento) e PMI italiane (38 per cento). Le imprese a capitale estero rappresentano una risorsa importante per il settore, anche perché la loro presenza è radicata sul territorio comportando spesso attività di ricerca in Italia e flussi di export.
  Tenendo conto dei gruppi industriali, la dimensione media di impresa sfiora i 50 addetti e testimonia l'esistenza di un nucleo abbastanza ampio di realtà dotate della massa critica necessaria ad affacciarsi sul mercato internazionale e affrontare la sfida impegnativa della ricerca. La classifica dei principali gruppi chimici a proprietà italiana evidenzia numerose realtà, sconosciute al grande pubblico, ma spesso leader nel loro segmento di specializzazione, a livello europeo se non addirittura mondiale e, in misura prevalente, dotate di presenza produttiva internazionale. Nella chimica, inoltre, anche le PMI sono imprese avanzate dal punto di vista tecnologico, come dimostra la produttività del lavoro superiore del 75 per cento rispetto alla media delle PMI industriali.
  La chimica è un settore ad elevata intensità di ricerca. La quota di addetti dedicati alla R&S (Ricerca e Sviluppo), pari al 4.3 per cento, è più che doppia della media manifatturiera (1.9 per cento). Nel corso degli anni Duemila, in un contesto di accresciuta concorrenza internazionale e di esplosione nei costi delle materie prime, molte imprese chimiche, anche piccole e medie, hanno rafforzato la ricerca al fine di aumentare il contenuto tecnologico dei prodotti, di sottrarsi a una competizione incentrata solo sui fattori di costo. In 10 anni la quota di imprese chimiche attive nella ricerca è aumentata di 10 punti percentuali e ha raggiunto il 48 per cento, una quota più che doppia della media industriale (23 per cento) e superiore anche a settori high tech come la farmaceutica e l'elettronica (44 per cento).
  In effetti, in ambito europeo, la chimica italiana è seconda solo alla Germania o per numero di imprese attive nella R&S, oltre 800, davanti a Francia e Spagna. Questa diffusione rappresenta una ricchezza Pag. 27in termini di interazioni con il tessuto industriale italiano al quale la chimica, attraverso i suoi beni intermedi, trasferisce innovazione tecnologica e competitività.
  L'industria chimica mostra una forte e crescente vocazione internazionale, attraverso il canale dell'export e investimenti produttivi all'estero. È il comparto con la più elevata incidenza di imprese esportatrici (54 per cento), dopo la farmaceutica, e in 10 anni la quota di export sul fatturato è aumentata di 11 punti percentuali, consentendo al settore di diventare meno dipendente da una domanda interna, in generale poco brillante e più recentemente in caduta, e di contrastare l'erosione dei margini di produttività. La performance all'export è in linea con gli altri paesi europei e persino migliore di importanti concorrenti come Francia e Regno Unito, in un contesto in cui l'Italia nel suo complesso ha, invece, perso terreno nel confronto europeo. In effetti l'Italia vanta una specializzazione in numerosi segmenti della chimica fine e specialistica (quella che acquista gli intermedi dalla chimica di base per tramutarli in prodotti differenziati per tutti i settori manifatturieri) che complessivamente generano un surplus commerciale prossimo ai 4 miliardi di euro. Tra questi figurano i cosmetici, le pitture e vernici, i detergenti e prodotti per la cura della casa, gli additivi per oli lubrificanti, gli adesivi.
  In questo quadro non del tutto negativo, tuttavia, bisogna rilevare che l'industria chimica italiana sconta, ancora oggi, tre elementi sfavorevoli: l'elevato costo dell'energia, la notevole complessità delle procedure burocratiche e la conseguente proliferazione di oneri amministrativi e l'arretratezza infrastrutturale che rende la logistica molto più costosa di quanto non lo sia negli altri Paesi.
  Nell'industria chimica gli acquisti di materie prime ricoprono il 60 per cento del valore della produzione e le spese per gli acquisti di servizi (energia inclusa) il 21 per cento. La chimica è il primo settore industriale per consumo di gas naturale e il secondo per consumo di energia elettrica. L'energia rappresenta una voce di costo importante per il settore chimico, pari in media al 5 per cento del valore della produzione (esclusi gli utilizzi come materia prima).
  L'incidenza del costo dell'energia sul valore aggiunto, pari al 27 per cento, evidenzia – altresì – il forte impatto negativo che una disparità di prezzo in tale settore rispetto agli altri Paesi provoca nell'industria chimica italiana in termini di competitività e di minore capacità di remunerare i fattori produttivi (definita, appunto, dal valore aggiunto). Nonostante i processi di liberalizzazione, infatti, il costo dell'elettricità per le imprese industriali in Italia è più elevato della media degli altri Paesi europei di oltre il 30 per cento ed è quasi il doppio rispetto alla confinante Francia. Il prezzo del gas naturale è più allineato alla media europea, tuttavia risulta elevato nel confronto internazionale con i Paesi extra-europei. Inoltre recentemente sono stati introdotti extra-costi legati anche in questo caso al finanziamento delle rinnovabili che rischiano di danneggiare la competitività anche in ambito europeo.
  Nel nostro Paese, infatti, su un fatturato di 53 miliardi, la bolletta energetica della chimica lo scorso anno è stata di 5,3 miliardi. Un'incidenza del 10 per cento, che è la media tra il 70-80 per cento della chimica del fluoro e il 2 per cento della cosmetica.
  Le difficoltà sopra evidenziate non hanno impedito all'industria chimica italiana, attraverso gli importanti processi di riconversione d'impianti non competitivi, di essere lo stimolo alla creazione di condizioni per ricadute positive a livello di occupazione, dell'ambiente, della redditività dei prodotti e dell'integrazione con la chimica tradizionale, dando nuovo impulso anche a settori maturi dell'economia.
  In linea con i più recenti indirizzi della Commissione europea in tema di bioeconomia, nel 2013 si è costituito, su impulso del MIUR, il Cluster Tecnologico Nazionale «Chimica Verde», che si propone l'obiettivo di incoraggiare lo sviluppo delle Pag. 28bioindustrie in Italia attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione. I soggetti aderenti al Cluster vedono nella costruzione di bioraffinerie di seconda e terza generazione integrate nel territorio e dedicate principalmente ai prodotti innovativi ad alto valore, un'opportunità per affermare un nuovo modello socio-economico e culturale, prima ancora che industriale, dando una corretta priorità all'uso delle biomasse, nel rispetto della biodiversità locale e delle colture alimentari e con la creazione di nuovi posti di lavoro.
  In questo contesto si rende opportuno promuovere le tecnologie che valorizzino completamente le biomasse e che dimostrino di essere sostenibili e competitive. Questo evitando che i sussidi, se utilizzati in maniera errata, creino distorsioni di mercato, spreco di risorse pubbliche e alterino le condizioni di concorrenza tra i diversi comparti produttivi. Di fatto l'industria chimica permette un utilizzo molto più efficace delle biomasse rispetto ad un utilizzo puramente energetico. Una corretta programmazione di filiera e una strategia che prevengano distorsioni della concorrenza e del mercato sono necessari per applicare in modo oggettivo i criteri di sostenibilità fissati dall'Unione europea.
  Nel quadro dell'iniziativa europea, dunque, la chimica delle biomasse è da considerarsi un tassello molto importante della chimica sostenibile e questo settore deve essere sviluppato in una logica complessiva che unisca biotecnologie, bioraffinerie, biocarburanti e bioprodotti chimici in modo coordinato.
  In tale contesto va sottolineato – altresì – che la filiera della plastica in Italia e in Europa ha grandissima importanza per numero di imprese, fatturato e occupati, e vanta una forte tradizione in termini di innovazione; l'Italia è, infatti, al terzo posto in Europa per numero di occupati, fatturato e valore aggiunto delle fasi di produzione e trasformazione delle materie plastiche, è il secondo mercato di consumo ed è il secondo produttore di macchinari, con eccellenze industriali e della ricerca, anche a livello mondiale.
  Nel 2012, l'andamento del mercato delle materie plastiche in Italia è stato deludente. Complessivamente, la domanda di polimeri in forma primaria da parte dei trasformatori è stata di poco superiore alle 5.600 Kton (-7 per cento rispetto al 2011). Le cause sono molteplici e sono da ricercarsi, oltre che nella contrazione dei consumi delle famiglie, nel ristagno del settore delle costruzioni, nel deludente andamento della produzione industriale, nei tagli agli investimenti in infrastrutture.
  In questo quadro critico la nota positiva per quanto riguarda la produzione di materie plastiche è rappresentata dalla cosiddetta «chimica verde» e dalla bioeconomia, con particolare riferimento alla conversione di siti non competitivi in bioraffinerie integrate nel territorio, funzionali alla produzione delle cosiddette bioplastiche e di altri prodotti ad alto valore aggiunto; nel merito, la Commissione Europea ha lanciato, il 13 febbraio 2012, la prima strategia dedicata alla Bioeconomia «Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe» (COM(2012) 60final). Il peso economico del settore viene stimato dalla UE con un fatturato di circa 2.000 miliardi di euro ed oltre 22 milioni di persone impiegate, che rappresentano il 9 per cento dell'occupazione complessiva della Comunità Europea. Viene inoltre stimato che per ogni euro investito in ricerca e innovazione nella bioeconomia, con adeguate politiche di sostegno a livello nazionale ed europeo, la ricaduta in valore aggiunto nei settori di comparti quali quello dei prodotti biobased sarà pari a dieci euro entro il 2025. In base a tale strategia, per mantenere la propria competitività l'Unione europea dovrà trasformarsi in una società caratterizzata da basse emissioni di carbonio, nella quale la crescita sostenibile e la competitività stessa siano alimentate sinergicamente da industrie che usano in modo efficiente le risorse e dal ricorso a prodotti biobased.
  In questo quadro la mozione presentata dal Popolo della libertà chiede al Governo di assumere precisi impegni finalizzati: a favorire nuove iniziative per sostenere la competitività dell'industria Pag. 29chimica italiana; ad avviare una politica industriale finalizzata a riqualificare e reindustrializzare i poli chimici concordando i percorsi con le amministrazioni locali e regionali dando come priorità la bonifica dei siti contaminati; a promuovere l'attuazione di percorsi di reindustrializzazione e di sviluppo nei settori della chimica fine, delle specialità e della chimica verde; a sviluppare una politica di forte sostegno all'innovazione, che veda la ricerca come elemento fondamentale anche attraverso la destinazione di fondi ed i incentivi; a mettere in campo strumenti, anche di natura normativa, finalizzati a ridurre il forte impatto negativo del costo dell'energia sulla produzione dell'industria chimica italiana, in particolare per i consumatori «energy intensive», al fine di conservare il posizionamento competitivo; a procedere con tempestività alla bonifica dei siti chimici di interesse nazionale; a provvedere allo snellimento delle procedure burocratiche, con particolare riferimento alla riduzione degli oneri amministrativi, a tutela degli impianti e delle produzioni già esistenti e di quelli di nuova costituzione, con riguardo alla chimica fine e delle specialità, al fine di attrarre capitale e facilitare i nuovi investimenti sia italiani che esteri; a promuovere a livello europeo interventi normativi di supporto sia alle imprese e ai poli chimici che siano in regola con le norme ambientali; a sostenere fortemente lo sviluppo delle bioindustrie in Italia, anche attraverso u n approccio interdisciplinare e globale all'innovazione; a sostenere a livello europeo la Public Private Partnership BRIDGE 20/20 (Biobased and Renowable Industries for Development and Growth), il cui obiettivo è quello di aiutare le industrie europee a colmare il «divario di innovazione» tra lo sviluppo tecnologico e la commercializzazione di prodotti ad alto valore aggiunto e cercare in questo ambito di valorizzare le azioni del cluster chimica verde al fine di permettere un allineamento di azioni a livello nazionale ed europeo.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI RELATIVI ALLE COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI BRUXELLES DEL 24 E 25 OTTOBRE 2013

Tempo complessivo per la discussione e per le dichiarazioni di voto: 3 ore.

Governo 30 minuti
Interventi a titolo personale 28 minuti (con il limite massimo di 4 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 2 ore e 2 minuti
 Partito Democratico 35 minuti
 MoVimento 5 Stelle 18 minuti
 Popolo della Libertà – Berlusconi Pre sidente 17 minuti
 Scelta civica per l'Italia 12 minuti
 Sinistra Ecologia Libertà 11 minuti
 Lega Nord e Autonomie 10 minuti
 Fratelli d'Italia 9 minuti
 Misto: 10 minuti
  Centro Democratico 3 minuti
  Minoranze linguistiche 3 minuti
  Socialisti italiani 2 minuti
  MAIE – Movimento Associativo italiani all'estero 2 minuti