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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 5 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la competitività economica di un Paese può essere fortemente contrastata dall'opacità e dall'incertezza del suo sistema giuridico che a loro volta possono essere determinate da una molteplicità di fattori, primo fra tutti una produzione normativa che contiene continui rimandi a fonti di attuazione la cui adozione è differita nel tempo, rendendo la legislazione frammentaria e di difficile applicazione;
    l'ultimo decreto-legge di «Proroga termini», il n. 150 del 2013, recentemente convertito in legge dal Parlamento reca alcune norme i cui effetti finali appaiono destinati a prodursi in un momento significativamente distanziato nel tempo rispetto alla loro entrata in vigore, in quanto prorogano i termini entro i quali il Governo avrebbe dovuto emanare provvedimenti attuativi;
    sempre sul piano dell'efficacia temporale lo stesso provvedimento contiene disposizioni che provvedono a prorogare il termine per l'adozione di provvedimenti applicativi di norme preesistenti, reiterando così l'inapplicabilità della relativa disciplina e determinando il caos interpretativo, una perdurante condizione d'incertezza e perfino il rischio di difformità nell'attuazione di una riforma;
    in verità i cosiddetti «decreti milleproroghe» non sono esempi di corretta ed ordinata produzione legislativa; ed infatti nel caso del decreto-legge n. 225 del 2010 (milleproroghe 2011) il Governo pro tempore e la sua maggioranza si sono distinti per caoticità, episodicità e frammentarietà del provvedimento, perché per la prima volta, è stata conferita la facoltà di modificare, con una fonte di rango secondario come il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il termine di vigenza di normative contenute in fonti di rango primario, in palese difformità con quanto stabilito per i regolamenti di delegificazione dall'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, che prevede invece l'adozione di un decreto del Presidente della Repubblica. Dunque la novità più significativa ed indicativa di una progressiva delegificazione dei contenuti della maxi norma di proroga di quell'anno è stato il ricorso ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per stabilire i confini di ben 65 provvedimenti su varie materie anche di rilevante importanza;
    il ricorso alla delega legislativa, o, come nel suddetto caso, alla delegificazione, pur se contemplato agli articoli 76 e 77 della Costituzione e agli articoli 14, 15 e 17 della legge n. 400 del 1988, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri», costituisce da tempo uno dei tanti aspetti problematici dell'evoluzione del sistema delle fonti normative, che assume oggi un rilievo peculiare data l'ormai affermata tendenza del Governo al suo impiego come strumento privilegiato per l'attuazione del programma politico;
    l'inserimento all'interno di un disegno di legge ad iter abbreviato, quale è quello di conversione di un decreto-legge, della proroga di un termine entro il quale esercitare una delega o emanare un regolamento attuativo ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non fa che attribuire al Governo la piena gestione di una delle modalità di esercizio della delegificazione che dovrebbe, piuttosto, rivestire carattere giuridicamente eccezionale o limitato, o peggio, l'arbitrio di ritardare o impedire l'effettiva entrata in vigore di una disposizione o di una legge, andando contro la volontà del legislatore e, in definitiva, contro il principio di separazione dei poteri legislativo e esecutivo;
    la legge-delega, per definizione, ha un impianto flessibile che consente al Governo di intervenire nuovamente con ulteriori decreti legislativi e con decreti correttivi, prestandosi ad essere «riplasmata» e riadattata nella sua implementazione normativa, condizione questa che contribuisce a determinare il suddetto regime di incertezza normativa;
    infatti, dopo l'approvazione di una legge delega si avvia un lungo processo di implementazione normativa grazie al quale essa viene gradualmente resa operativa attraverso l'emanazione, dei decreti legislativi, eventualmente con il coinvolgimento di organi ed enti locali. Si tratta di un percorso lento e tortuoso nel corso del quale i decreti attuativi adottati non provvedono ad introdurre a loro volta una disciplina di dettaglio, e questo perché a volte le disposizioni di delega si caratterizzano per l'indeterminatezza dell'oggetto o dei principi e criteri direttivi, lasciando così ampi margini di modifica della disciplina contenuta nei decreti legislativi principali;
    completano il suddetto quadro di indeterminatezza ed opacità anche altre figure di incerta definizione come i «decreti ministeriali non regolamentari», previsti semplicemente allo scopo di evitare le lungaggini dell’iter di approvazione dei regolamenti;
    la successiva attività di attuazione di cui necessitano alcune previsioni legislative viene svolta o in autonomia dai singoli Ministeri o attraverso procedure di concerto interministeriale, molto spesso prevedendo l'acquisizione di pareri del Parlamento, di autorità, di rappresentanze del mondo delle autonomie locali e regionali, di organi giurisdizionali, di organi di controllo, che dilatano oltre misura la concreta entrata a regime di importanti riforme. Altre volte le lungaggini sono legate alle difficoltà di ricomporre un conflitto in sede politica – con la conseguenza che la sua più precisa ricomposizione viene affidata all'amministrazione –, o alla complessità tecnica della materia, che necessariamente richiede l'intervento di più livelli istituzionali o amministrazioni competenti;
    in alcune leggi-delega attualmente in vigore, il mancato rispetto da parte del Governo dei termini di trasmissione degli schemi dei decreti legislativi viene sanzionato attraverso la decadenza dall'esercizio della stessa, come ad esempio nel caso della legge n. 308 del 2004, in materia di riordino ed integrazione della normativa ambientale, mentre in altre deleghe, soprattutto leggi comunitarie, al contrario si è consolidata una prassi finalizzata alla «flessibilizzazione del termine» di esercizio della delega, consentendo al Governo di recepire con decreti legislativi atti comunitari integrativi o attuativi di direttive così da trasferirgli il potere pressoché assoluto di decidere se e quando ricorrere alla proroga temporale per l'esercizio della delega: una vera e propria «zona franca» di intervento a favore dell'Esecutivo e delle burocrazie ministeriali;
    inoltre, i suddetti processi d'implementazione normativa esprimono il divenire di un'attività amministrativa dai confini incerti e di un determinato percorso che necessita di pareri vincolanti da parte di una molteplicità di soggetti istituzionali. Sarebbe pertanto buona prassi monitorarne l'evoluzione del procedimento, producendo informazioni sullo stato del suo iter, costringendo le singole amministrazioni a spiegare le ragioni dei ritardi, spingendole o inducendole a rimuovere gli ostacoli, spesso di natura burocratica, che si frappongono alla completa adozione dei provvedimenti necessari. Così come sarebbe utile ridurre i concerti fra i Ministeri, snellire i passaggi velocizzando l’iter dei pareri, seppur essenziali, come quelli di Parlamento, Consiglio di Stato e Corte dei conti, ed emanare norme auto applicative;
    ogni Governo in carica deve dare attuazione soprattutto nei primissimi mesi di attività anche alla normativa non ancora applicabile lasciata in eredità dai precedenti Governi secondo un evidente principio di continuità nella vita amministrativa del Paese. Il Governo Monti ha considerato tra le proprie priorità anche quella di dare seguito ed efficacia alle politiche adottate e nell'ambito di un puntuale monitoraggio dei processi d'implementazione normativa previsti dalle singole leggi effettuato dall'allora Ministro Giarda risulta che sulle Gazzette Ufficiali del solo anno 2012 sono stati pubblicati 254 provvedimenti attuativi la cui provenienza legislativa era risalente a leggi approvate in vigenza di Governi di precedenti legislature, tra i quali ad esempio 2 attuativi di leggi approvate in vigenza del Governo Prodi-I nel 1996-1998; 1 del Governo D'Alema nel 1999-2000; 3 del Governo Amato-II nel 2000-2001; circa 180 dei precedenti Governi Berlusconi. Da un medesimo monitoraggio effettuato dalla cabina di regia per l'attuazione del programma dell'ultimo Governo Letta risulta che al termine dell'esperienza governativa sono circa 852 i regolamenti di mancata attuazione che tengono sospese in un limbo le riforme varate fino ad oggi, dei quali solo 131 derivanti dalla recente legge di stabilità per il 2014;
    solo per dare un'idea di quanto questo travagliato percorso possa rappresentare un freno condizionando la competitività e lo sviluppo dell'intero sistema-Paese, basterebbe citare il caso eclatante della mancata operatività dell'Agenda digitale italiana, che avrebbe dovuto rappresentare una delle principali leve per la modernizzazione dell'Italia, consentendole di recuperare il gap che da anni la separa dalle nazioni più virtuose in materia di utilizzo delle ICT: dei 51 provvedimenti monitorati, soltanto 5 sono stati adottati, mentre ben 22 non sono stati emanati nonostante sia scaduto il termine per la loro adozione addirittura nel dicembre 2012. Ma emblematici sono anche i casi della «riforma Fornero», la cui operatività a regime richiederebbe l'emanazione di 37 decreti attuativi in materia di ammortizzatori sociali, contratti e democrazia d'impresa, nuove norme su paternità e voucher maternità, o della riforma degli atenei, posto che dei 38 decreti di stretta competenza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a tutt'oggi soltanto 4 sono stati emanati, mentre molti altri stazionano alla Corte dei conti per la copertura finanziaria; si registra inoltre la mancata applicazione della gran parte dei decreti attuativi del federalismo fiscale, che ha impedito di introdurre i medesimi livelli essenziali di assistenza sul territorio nazionale sulla base di fabbisogni standard. Così come ancora in via di definizione sono altre misure per i progetti per ricerca ed innovazione, il fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, il fondo garanzia prima casa, l'anagrafe per la spesa sanitaria, la cessione degli immobili pubblici, il piano delle zone a burocrazia zero e altro;
    storicamente, tra le cause principali dell'estenuante lentezza con la quale il Governo esercita il suddetto potere regolamentare, si annovera quel potere pervasivo ed autoreferenziale esercitato dall'alta burocrazia ministeriale lungo le corsie di gestione ed esecuzione dei provvedimenti varati da Governo e Parlamento: una sorta di anomalia che ha finito con assumere risvolti sempre più inibenti e dilatori e, di fatto, paralizzare il varo di numerose riforme;
    dunque i massimi dirigenti della pubblica amministrazione a capo di attività complementari ai processi legislativi, sono giunti così a detenere, in quanto titolari di un determinato dipartimento, consistenti poteri discrezionali, da quelli di esegesi delle diverse normative a quelli di accelerazione o interdizione dei tempi di loro attuazione, senza che si sia mai giunti a ridimensionare questa implicita potestà di opporre rituali formalistici, cavilli procedurali o quesiti superflui, arrivando perfino ad imbrigliare provvedimenti di assoluta emergenza o di notevole rilievo economico e sociale,

impegna il Governo:

   a presentare al Parlamento, entro il 30 giugno di ogni anno, una relazione sullo stato di attuazione del complesso dei decreti attuativi ancora in fieri;
   a promuovere un'azione di sblocco delle procedure d'implementazione normativa in ritardo, attraverso un monitoraggio sistematico e trasparente realizzato con una metodologia condivisa, strutturata e standardizzata, effettuato per amministrazione di competenza e per ogni singola disposizione, anche al fine di individuare il timing dei singoli adempimenti e, conseguentemente, di rilevare gli eventuali ritardi e le difficoltà che ostacolano il completamento del percorso di attuazione normativa e di imprimere una effettiva accelerazione alla fase attuativa;
   a diramare, attraverso il sito della Presidenza del Consiglio, la completa pubblicità on-line dell’iter di adozione dei decreti legislativi e dei provvedimenti normativi secondari, di natura regolamentare e non, predisponendo, per ogni delega ricevuta una scheda che contenga l'indicazione dei soggetti istituzionali coinvolti e dei passaggi conclusi, al fine di esercitare il controllo diffuso su ogni amministrazione incaricata che dovrà rendere note le ragioni che rallentano o impediscono l'adozione degli atti nei termini stabiliti;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema trasparente premiale e sanzionatorio, che, previa individuazione per ogni singolo dicastero di un referente, sulla base di un principio di responsabilità e degli obiettivi concretamente raggiunti, valuti l'operato dei dirigenti.
(1-00356) «Migliore, Di Salvo, Pilozzi, Kronbichler».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia, la maggiore presenza delle donne nella vita economica, sociale e politica – pur offrendo uno straordinario contributo alla crescita del Paese – è ancora lontana dagli obiettivi europei. La carenza di servizi comporta che sulle donne gravino compiti insostenibili, aggravati, in alcuni casi, da una crescita intollerabile di forme di violenza di cui le stesse sono vittime;
    per affrontare l'impegnativa sfida di incrementare l'occupazione femminile, è necessaria una valutazione attenta dell'impatto che la crisi economica e sociale in atto sta producendo sulla situazione occupazionale e sulla qualità della vita delle donne italiane;
    occorre la piena consapevolezza che, già ben prima dell'attuale crisi, il sistema economico italiano risultava strutturalmente penalizzato dalla scarsa partecipazione femminile al lavoro, collocandosi al terz'ultimo posto tra i Paesi OCSE (davanti a Turchia e Messico) per livello di partecipazione femminile nel mercato del lavoro: 51 per cento contro il 58,6 per cento della media dell'Unione europea e il 65 per cento della media OCSE;
    è opportuno tener conto di un contesto economico che, da un lato, vede un peggioramento complessivo della consistenza e della struttura dell'intero mercato del lavoro (a marzo del 2014 il tasso di disoccupazione ha toccato l'11,5 per cento, mentre il tasso di disoccupazione di lunga durata sale di un ulteriore 1,2 per cento); dall'altro, amplia i divari di genere già presenti nel nostro sistema;
    il rapporto ISTAT 2013 mostra con tutta evidenza l'ampia gamma di fattori che concorrono al deterioramento della condizione occupazionale delle donne italiane:
     a) nel 2012 il tasso di occupazione femminile è ulteriormente sceso al 47,1 per cento: il punto più basso toccato dal 2008, anno a partire dal quale è iniziata l'inversione di tendenza rispetto al precedente ciclo positivo per l'occupazione femminile (nel 2008 si erano registrate 1 milione 694 mila occupate in più rispetto al 1993);
     b) nel periodo 2008-2012, il fenomeno della riduzione dell'occupazione qualificata e del contestuale incremento di quella non qualificata colpisce in misura nettamente più elevata le donne: l'occupazione non qualificata femminile cresce del 24,9 per cento, a fronte di un 10,4 per cento di quella maschile;
     c) nel medesimo periodo si dilatano i meccanismi di segregazione verticale e orizzontale: il 23,3 per cento delle occupate risulta relegato in attività che richiedono titoli di studio meno qualificati rispetto a quelli posseduti, contro un'incidenza del 20,6 per cento del medesimo fenomeno per la componente maschile;
     d) si assiste ad una crescita esponenziale nella componente involontaria del part-time (soprattutto nel terziario): nel corso del 2012, diminuiscono i contratti a tempo pieno e aumentano di 199 mila unità le donne impegnate part-time;
     e) anche la dilatazione dei fenomeni di precarizzazione del lavoro colpisce le donne in misura maggiore rispetto agli uomini: le occupate con contratti a termine raggiungono nel 2012 il 20,5 per cento, con un incremento dell'11 per cento (oltre il doppio di quello registrato nella componente maschile); il segmento dei contratti atipici vede la componente femminile crescere del 4 per cento in più rispetto a quella maschile;
     f) si assiste al mantenimento dei gap salariali e di progressione in carriera: in media, la retribuzione netta mensile delle dipendenti resta inferiore di circa il 20 per cento rispetto a quella degli uomini;
    occorre, inoltre, considerare come la crisi stia contribuendo a peggiorare stabilmente alcune anomalie strutturali del sistema economico e sociale italiano, con specifico riferimento alla gravissima situazione delle aree del Mezzogiorno del Paese, che vedono scendere la propria forza lavoro femminile addirittura al 30,5 per cento (contro il 56,1 per cento del Nord);
    è necessario tener presente che – secondo le indagini ISTAT – gli attuali divari di genere nel nostro sistema occupazionale non dipendono da atteggiamenti o scelte culturali delle donne italiane, le quali, anzi, risultano particolarmente disponibili ad entrare nel mercato del lavoro, anche quando «contabilizzate» come statisticamente inattive: la quota di donne inattive (15-74 anni) che «non cercano attivamente lavoro, ma sono subito disponibili a lavorare» in Italia è quasi 4 volte più elevata che in Europa (16,6 per cento vs. 4,4 per cento);
    l'emergenza legata all’«occupazione femminile» non va intesa come omaggio formale alla cultura dei diritti: non possono esservi solide prospettive di ripresa economica e di crescita se le donne rimangono confinate in una condizione di inattività o di attività dequalificata e precaria;
    vanno prese in seria considerazione le proiezioni dell'OCSE, pubblicate all'inizio del 2013, secondo le quali qualora – a parità di altre condizioni – la popolazione attiva femminile raggiungesse i livelli maschili, la forza lavoro italiana crescerebbe in dieci anni del 7 per cento e il prodotto interno lordo pro-capite crescerebbe di 1 punto percentuale l'anno;
    affrontare la sfida della crescita e della riqualificazione dell'occupazione femminile costituisce condizione essenziale per sostenere il reddito familiare e, dunque, per promuovere la ripresa della domanda di beni e servizi;
    il Consiglio dell'Unione europea, in attuazione della Strategia comunitaria «Europa 2020», ha approvato – il 21 ottobre 2010 – il cosiddetto «pacchetto occupazione» (decisione sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione, 2010/707/UE), con il quale l'Unione europea invita gli Stati membri ad adottare misure in grado di «aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e combattere la segmentazione, l'inattività e la disuguaglianza di genere, riducendo nel contempo la disoccupazione strutturale» (orientamento 7);
    il Parlamento europeo, il 19 febbraio 2013, ha approvato una risoluzione sull'impatto della crisi economica sull'uguaglianza di genere e i diritti della donna (2012/2301(INI)), con la quale si invitano gli Stati membri ad «esaminare con grande serietà la dimensione della parità di genere» nel «gestire la crisi e nell'elaborare soluzioni», nonché «a rivedere e a focalizzarsi sull'impatto immediato e a lungo termine della crisi economica sulle donne, esaminando in particolare se, e in che modo, essa accentua le disuguaglianze di genere esistenti, e le relative conseguenze»;
    la risoluzione del Parlamento europeo mette, inoltre, in evidenza il doppio impatto negativo che la crisi sta producendo sulle donne europee: un effetto «diretto», «con la perdita del posto di lavoro, i tagli salariali o la precarizzazione del lavoro» ed un effetto «indiretto», quale conseguenza «dei tagli di bilancio ai servizi pubblici e agli aiuti sociali»;
    il nostro Paese risulta tra quelli maggiormente segnati da tale «doppio impatto negativo», soprattutto con riferimento alle ripercussioni della riduzione della spesa per i servizi alla persona: solo il 12,7 per cento circa dei bambini italiani frequenta gli asili nido (a fronte di una media superiore al 40 per cento di Belgio, Norvegia, Danimarca, Svezia, Francia, Paesi Bassi); la percentuale di donne che dichiara di lavorare part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari risulta del 33 per cento contro una media OCSE del 24 per cento (dati OCDE); il 40,8 per cento delle lavoratrici donne dichiara di aver abbandonato il lavoro dopo la nascita del primogenito, mentre il 5,6 per cento ammette di aver rinunciato alla propria vita professionale per dedicarsi alla famiglia o alla cura di parenti non autosufficienti (dati ISFOL);
    il 7 marzo 2011 è stato siglato un accordo fra Governo e parti sociali per sostenere le politiche di conciliazione fra famiglia e lavoro, assumendo il valore del «family-friendly» come opzione organizzativa e gestionale auspicabile per le imprese. Un indubbio passo avanti collegato alla modulazione degli orari e dei tempi di lavoro coerenti con politiche di conciliazione aziendale, che creeranno benefici fiscali di detassazione nell'ambito di accordi territoriali o aziendali;
    è necessario adottare una strategia complessiva e organica per affrontare con la massima urgenza un fenomeno che, per le dimensioni assunte, esige l'adozione di misure ed iniziative sia di livello nazionale, che di livello europeo, volte a rilanciare la partecipazione attiva delle donne al lavoro e le politiche di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa,

impegna il Governo:

   a convocare entro sei mesi una Conferenza nazionale sulla «Strategia per fronteggiare l'emergenza occupazionale delle donne», che coinvolga tutti gli attori istituzionali, le parti sociali e le organizzazioni della società civile, al fine di programmare e concertare l'adozione di strumenti e misure in tema di politiche di welfare e di politiche di sviluppo, che comprendano agevolazioni ed incentivi, anche di natura fiscale, per il settore dei servizi alla persona e per le imprese che investono sulla crescita dell'occupazione femminile;
   a scegliere quale sede per lo svolgimento della Conferenza, preferibilmente, una regione del Mezzogiorno, in considerazione della particolare gravità che in tale area del Paese ha assunto il fenomeno della disoccupazione e dell'inattività femminile, con grave danno per la vita sociale ed economica di quei territori;
   ad adottare con urgenza i provvedimenti necessari all'attuazione della Strategia definita e concertata durante la Conferenza nazionale.
(1-00357) «Speranza, De Micheli, Grassi, Martella, Fregolent, Garavini, Pollastrini, Mauri, Rosato, De Maria, Gnecchi, Roberta Agostini, D'Incecco, Coscia, Ascani, Mariani, Narduolo, Valeria Valente, Mongiello, Martelli, Quartapelle Procopio, Carocci, Venittelli, Amoddio, Covello, Murer, Berlinghieri, Bargero, Blazina, Fabbri, Giacobbe, Morani, Antezza, Manzi, Capozzolo, Malisani, Scuvera, Villecco Calipari, Giovanna Sanna, Ghizzoni, Sbrollini, Moretto, Lenzi, Piccione, Iacono, Sereni, Maestri, Iori, Rossomando, Gasparini, Cominelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   MATTEO BRAGANTINI, MARCOLIN, BUSIN, CAON, PRATAVIERA e GUIDESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un colloquio con un privato cittadino nell'ambito della preparazione di un'inchiesta per il programma radiotelevisivo Report, il capo redattore Sigfrido Ranucci risulterebbe aver reso affermazioni alquanto compromettenti;
   in particolare, il Ranucci avrebbe esplicitato al suo interlocutore l'intenzione di costruire un dossier diffamatorio da teletrasmettere, gravemente lesivo della personalità politica del sindaco di Verona, Flavio Tosi, sostenendo tra l'altro di avere rapporti con i servizi segreti, con il comandante del Ros del Veneto e con le procure di Verona, Venezia e Padova;
   Ranucci avrebbe altresì cercato di indurre il suo interlocutore a fornirgli materiale compromettente sul sindaco di Verona, in particolare chiedendogli informazioni su presunti rapporti intrattenuti dal sindaco di Verona con esponenti della criminalità organizzata e persino offrendosi di acquisire filmati compromettenti, relativi a situazioni poco edificanti in cui il sindaco di Verona sarebbe stato coinvolto, promettendo in cambio, come corrispettivo, la corresponsione di una somma compresa tra i 10 ed i 15 mila euro, da giustificarsi naturalmente con documentazione fiscale di comodo;
   tali circostanze, che sarebbero comprovate dalla registrazione del colloquio intrattenuto dal Ranucci, sono citate in una missiva che lo stesso Flavio Tosi ha indirizzato al presidente della Rai, Dottoressa Anna Maria Tarantola, al direttore generale Luigi Gubitosi ed a tutti i componenti del consiglio d'amministrazione della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, oltreché nella querela presentata dallo stesse sindaco di Verona presso la procura della Repubblica di Verona;
   ferma restando l'inalienabilità del diritto alla libertà di stampa, appare agli interroganti inammissibile che personale della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo assuma comportamenti del tipo sopra generalizzato –:
   se i rapporti millantati dal Ranucci con l’intelligence italiana, che per legge non può intrattenere rapporti con i giornalisti e il comandante del Ros del Veneto esistano veramente o no e, nel caso in cui non sussistano, se il Governo non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza al fine di disciplinare in modo più stringente l'esercizio dell'attività giornalistica. (4-03849)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   numerose università australiane presso le quali il nostro Paese ha, nel corso degli anni, stabilito proficui rapporti, anche con la presenza di «lettori», esprimono forte preoccupazione in merito alla comunicazione di «nuove riduzioni della nostra presenza» che – di fatto – rischierebbero di compromettere ulteriormente la nostra immagine in Australia;
   lo Stato del South Australia in particolare, dopo la proposta di chiusura del consolato e la riduzione dei fondi per l'insegnamento di lingua e cultura italiane, rischia di rimanere nuovamente penalizzato dalla prospettata chiusura del lettorato;
   il consistente taglio alle risorse finanziarie deciso dal Governo, nonostante il recupero delle risorse in legge di stabilità, non può consentire di ripartire in maniera lineare le riduzioni di bilancio e vanno invece salvaguardate le logiche di investimento e di produttività, anche in termini linguistici e culturali;
   eventuali progressive e drastiche riduzioni dell'impegno dello Stato italiano in Australia, a livello universitario e di lettorati, costituirebbe un segnale gravissimo di disattenzione nei confronti di una realtà politico-economica strategicamente collocata nell'Asia-Pacifico –:
   se non si ritenga necessario intervenire affinché la lingua e la cultura italiane vedano una continuità di impegno anche a livello terziario;
   quali misure urgenti il Governo intenda adottare, immediatamente, per garantire continuità nella presenza italiana a livello universitario in Australia, e nello Stato del South Australia in particolare;
   se non si ritenga indispensabile operare affinché, nel mondo, possa essere mantenuta alta l'immagine di lingua e cultura italiane, anche a livello terziario. (4-03825)


   FEDI. — Al Ministro degli affari esteri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   rispondendo a precedenti interrogazioni il Ministero degli affari esteri ha assunto l'impegno a dare soluzione al problema del versamento delle spettanze previdenziali previste dal regime australiano per i lavoratori a contratto locale assunti presso la nostra rete diplomatico-consolare;
   con decorrenza 1o gennaio 2013, infatti, l'amministrazione degli affari esteri ha disposto la piena applicazione per tutto il personale a contratto a legge italiana e a legge locale, residente in Australia, delle norme della convenzione tra la Repubblica italiana e l'Australia per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito, firmata a Canberra il 14 dicembre 1982, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 145 del 21 giugno 1985 ed entrata in vigore il 5 novembre 1985;
   la normativa locale australiana prevede che il sostituto d'imposta, oltre alle ritenute fiscali da versare all’Australian Taxation Office, sia contemporaneamente responsabile anche dei versamenti obbligatori ai fondi previdenziali e della copertura assicurativa per malattia e infortuni e tale obbligo si applica a tutto il personale a contratto italiano e a contratto locale e riguarda i regimi denominati rispettivamente «superannuation» e «workers compensation»;
   negli ultimi mesi è emersa la volontà da parte dell'amministrazione di procedere unilateralmente, dopo acquisizione di parere da parte dell'Avvocatura generale dello Stato, a convertire i contratti a legge italiana in contratti regolati dalla legge locale;
   la volontà manifestata dall'Amministrazione rispetto alla modifica della natura dei contratti non corrisponde al quadro normativo di riferimento e, ovviamente, alle legittime aspettative dei titolari di contratti di lavoro individuali regolati da sempre dalla legge italiana;
   analoga problematica si è già verificata in Canada garantendo la copertura locale senza alcuna modifica del regime contrattuale;
   l'articolo 158 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, come modificato dal decreto legislativo n. 103 del 2000, prevede che la tutela previdenziale venga assicurata nelle forme previste dalla normativa locale, ovvero, quella del Paese di residenza, ivi comprese le convenzioni e gli accordi internazionali in vigore –:
   quali immediate iniziative si intendano intraprendere per disporre il passaggio dal regime previdenziale italiano INPS a quello locale facente capo alla «superannuation» di tutto il personale a contratto (nazionale italiano e locale) in servizio presso la rete diplomatico consolare in Australia;
   quali urgenti ed immediate iniziative si intendano adottare per garantire la tutela di diritti e garanzie ancorati alla tipologia stessa del contratto di lavoro nazionale italiano. (4-03826)


   ZAN e KRONBICHLER. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il 15 febbraio 2014 si è tenuto a Rovereto presso la sala conferenze del palazzo della Fondazione Cassa di risparmio di Trento e Rovereto un convegno dal titolo «Russia ed Europa la sfida del Terzo Millennio» organizzato da varie associazioni, La Torre, Terra e Identità, Pro Vita, Anthropos e con il patrocinio tra gli altri del Consolato della Federazione Russa a Bolzano;
   nel comunicato stampa diffuso dagli organizzatori e pubblicato sul sito si legge «Tutti hanno voluto porre l'accento soprattutto sulla strisciante e scientifica distruzione dei ruoli sociali in atto in Occidente, sin da bambini, con le scuole che diverranno, secondo le indicazioni di documenti dell'OMS e promossi anche dal Governo italiano, luoghi di diffusione dell'ideologia gender anche tramite un'educazione sessuale che prevede l'inserimento della masturbazione sin dalle scuole d'infanzia. Applausi a scena aperta per l'ambasciatore Alexey Komov, per le sue parole chiare e dirette in materia di tutela della famiglia e della natalità. Il pubblico si è levato con particolare fragore di consenso nei confronti delle normative volute da Putin per vietare ogni forma di pubblicità delle pratiche abortive e contro la propaganda omossessualista rivolta ai minori. A fronte di un Occidente che tutto ciò invece promuove, la Russia assurge a baluardo di buona politica. L'Ambasciatore Komov ha voluto lasciare un simbolico omaggio, chiaro e genuino quanto le sue parole: una matrioska in cui la prima figura è un uomo che contiene una donna la quale, a sua volta, racchiude cinque bambini. Ecco la famiglia tradizionale, senza troppe congetture di ordine sociologico: il marito che protegge e si unisce alla propria moglie per generare ed amare la vita»;
   in un articolo pubblicato sul quotidiano Alto Adige e Trentino del 18 febbraio il titolo è «Gay e immigrati servono per disgregare la società» frase attribuita a Alexey Komov, ambasciatore russo all'Onu del Congresso Mondiale delle Famiglie fotografato insieme al Console onorario della Federazione Russa per il Trentino Alto Adige, Bernard Kiem, anche lui tra i partecipanti al convegno;

   Alexey Konov rispondendo ad una domanda della giornalista nello stesso articolo dichiara: «Anziché utilizzare il proletariato contro la borghesia, oggi, come nuovi agenti della rivoluzione per distruggere la tradizione cristiana dell'Europa, si utilizzano gli omosessuali – che in ogni società non sono più del 2 per cento anche se pretendono, in maniera antidemocratica, di imporre a tutti le loro regole – rafforzati da una massiccia iniezione di immigrati, specie di religione islamica, per creare ulteriore confusione sociale»;
   nelle dichiarazioni di Konov in premessa e nel contenuto del convegno c’è un attacco diretto contro gli omosessuali –:
   se non intenda intervenire presso l'Ambasciata russa in Italia per chiedere chiarimenti circa il coinvolgimento dei diplomatici russi nell'organizzazione del Convegno e censurare a nome del Governo italiano le tesi pro leggi anti gay russe che favoriscono la discriminazione. (4-03843)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   ZAN, DURANTI, ZARATTI, PELLEGRINO, FRATOIANNI, MATARRELLI, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 136 del 2013, modificando il decreto-legge 61 del 2013, è intervenuto tra l'altro, sulle procedure e sui tempi di approvazione del «Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria» dell'ILVA di Taranto predisposto dal comitato di esperti, e sulle relazioni tra il Piano medesimo e le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) dello stabilimento siderurgico;
   in particolare l'articolo 7 del suddetto decreto-legge 136 del 2013, ha differito i tempi previsti dal precedente decreto-legge 61 del 2013 per l'approvazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria, con la conseguenza di un ulteriore slittamento anche nell'adozione del Piano industriale dello stabilimento ILVA;
   l'articolo 7 suddetto dispone che il Piano ambientale «è approvato con DPCM, previa delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministro della salute, entro quindici giorni dalla proposta e comunque entro il 28 febbraio 2014»;
   la data ultima del 28 febbraio non è stata però rispettata, in quanto il Consiglio dei ministri non ha provveduto ad approvare il suddetto DPCM entro detta data, così come imporrebbe la legge;
   questo ulteriore differimento dei tempi per l'approvazione del Piano ambientale è inaccettabile, e rappresenta secondo gli interroganti uno «schiaffo» alla necessità di uscire con urgenza e al più presto dalla profonda emergenza sanitaria e ambientale dell'area tarantina. Sotto questo aspetto la certezza dei tempi di attuazione degli interventi previsti dall'Aia e la verifica dell'efficacia delle misure adottate, costituiscono una necessità assoluta. Una necessità che ancora una volta viene però disattesa –:
   se risultino agli atti le ragioni del mancato rispetto della scadenza prevista per l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di approvazione del «Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria» dell'ILVA di Taranto, e se non ritenga di emanare con urgenza il medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e dare così immediata attuazione a quanto previsto dalla legge. (5-02278)


   DE ROSA, MANNINO, TERZONI, DE LORENZIS, LOREFICE, MANLIO DI STEFANO, BECHIS, BUSTO, DAGA, SEGONI, ZOLEZZI, CARINELLI, PESCO e CASO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Milano, nel quartiere Gallaratese, nella parte di parco Trenno che si affaccia su via Lampugnano, insiste il cantiere della via d'Acqua, una delle opere previste per Expo 2015. Il parco di Trenno, insieme a quello delle Cave e al Pertini, ospiteranno questa opera idraulica che serve a far scorrere l'acqua nel laghetto del sito di Expo, collegando il canale Villoresi al Naviglio Grande di Milano;
   il costo di realizzazione dell'opera è di 89 milioni di euro, i lavori sono stati appaltati a un'azienda già sotto inchiesta per lavori in altre zone d'Italia (la Maltauro spa), mentre il progetto definitivo, a quanto consta agli interroganti, non è mai stato votato dal consiglio comunale di Milano;
   l'opera è stata infatti inserita tra quelle prioritarie e gestite direttamente dalla società Expo spa con il commissario unico Giuseppe Sala;
   il commissario unico di Expo, Giuseppe Sala, nell'ambito dei lavori per Expo 2015 il 12 novembre 2013, ha firmato il declassamento dei limiti degli inquinanti tollerati nei terreni, il parametro di riferimento delle CSC (le concentrazioni di soglia di contaminazione oltre le quali scatta la bonifica) passa da residenziale/aree verdi a industriale;
   tale procedura abbreviata si è resa possibile grazie alla semplificazione delle procedure di gestione degli scavi relativi ai lavori di competenza di Expo spa e la Via d'Acqua è appunto una di quelle opere commissariate dalla società per azioni che gestisce l'Esposizione universale del 2015;
   a dare i poteri speciali al commissario unico è stato il decreto-legge n. 43 del giugno 2013, dove è scritto che il commissario può provvedere in deroga alla legislazione vigente a mezzo di ordinanza;
   il commissario Sala ha quindi deciso che per tutto il sedime della via d'Acqua si potranno applicare i parametri di riferimento degli inquinanti della tabella B del decreto legislativo n. 152 del 2006 invece che quelli della tabella A, come avviene per aree urbane, verdi, residenziali;
   si tratta di un declassamento che deroga alle norme urbanistiche comunali. Il tracciato della Via d'Acqua viene pertanto equiparato ad un'area industriale e come tale va classificato: «il canale è in cemento armato impermeabile» è scritto nel documento firmato da Sala;
   le aree contaminate che preoccupano i cittadini sono quella di via Quarenghi, zona Bonola. Una ex cava sopra cui sono iniziati i lavori della base-cantiere degli operai che lavorano alla Via d'Acqua, la cava di via Cancano al parco cave, in area Cascina Merlata (via Triboniano) e in via Calchi-Taeggi. Il cantiere è stato aperto prima ancora che la valutazione di rischio ambientale fosse trasmessa al consiglio di zona 8 del comune di Milano;
   l'inquinamento dell'area di via Quarenghi e cosa nota dagli anni ’70, dai tempi della vecchia proprietà, Salvatore Ligresti;
   negli anni duemila si è aperto un contenzioso tra comune di Milano e nuova proprietà, la società Grassetto, proprio sulla bonifica;
   un progetto di box interrati è stato respinto anni fa dal comune proprio per il mancato accordo sulla bonifica e il rischio ambientale che ne sarebbe derivato;
   lo sforamento dei limiti di legge è confermato dagli ultimi rilievi disponibili fatti dall'amministrazione milanese nel 2008: Pcb, idrocarburi, metalli pesanti oltre la soglia di legge;
   è necessario che i poteri speciali del commissario unico, concessi per agevolare la realizzazione di un evento importante come l'Expo 2015, non divengano lo strumento ed il pretesto per avallare gli ennesimi abusi su un territorio già ridotto ai minimi termini e diminuire ulteriormente la qualità della vita dei propri cittadini;
   andrebbe valutata la possibilità di un blocco del cantiere al fine di disporre le bonifiche necessarie, evitando sprechi inutili per le casse dello Stato –:
   quali siano i reali poteri di deroga concessi al commissario straordinario Expo, riguardo alle modalità di declassamento delle aree oggetto di bonifica e in particolare in rapporto all'articolo 32 della Costituzione italiana che garantisce la tutela della salute dell'individuo e della collettività, specificando altresì i motivi per i quali l'opera non è stata oggetto di valutazione di impatto ambientale malgrado la stessa indiscutibilmente produca un massiccio impatto paesaggistico e alteri fortemente il sistema ambientale e urbano in cui va ad inserirsi e rendendo pubblica, nella sua completezza, tutta la documentazione relativa al progetto ed alle successive e possibili varianti. (5-02279)


   CERA e BINETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   una recente ordinanza del sindaco Ignazio Marino, la n. 36 del 2014, stabilisce divieto di consumo umano di acqua fino al 31 dicembre in alcune aree di Roma Nord: Malborghetto (XV Municipio), aree ex ente Maremma di Osteria Nuova (XV Municipio), Santa Maria di Galeria (XIV Municipio), Tragliatella (XIV Municipio), Piansaccoccia (XIV Municipio), alcune zone del consorzio di Cerquette Grandi (XIV Municipio);
   saranno circa 500 gli utenti nei municipi XIV e XV di Roma Nord che non potranno utilizzare l'acqua per uso alimentare e per l'igiene personale fino al 31 dicembre 2014, dal momento che l'acqua di queste utenze presenta caratteristiche chimiche e/o batteriologiche inadatte al consumo umano;
   l'ordinanza – dipartimento sviluppo infrastrutture e manutenzione urbana –, firmata il 21 febbraio 2013 e protocollata il 28 febbraio, riguarda gli acquedotti rurali dell'agenzia regionale ARSIAL; Malborghetto, Brandosa, Casaccia, Casal di Galeria, Monte Oliviero, Piansaccoccia, Camuccini;
   l'acqua, nelle strade indicate, risulta inadatta al consumo umano, come risulta dalle analisi condotte dall'azienda USL Roma C, che ha evidenziato negli acquedotti citati «acqua con caratteristiche chimiche e batteriologiche ovvero solo batteriologiche non adatte al consumo umano a causa del superamento dei valori di parametro prescritti di cui al decreto legislativo n. 31/2001»; per questo «ai fini della tutela e della salvaguardia della salute pubblica ordina il divieto dell'utilizzo dell'acqua per il consumo umano fino al 31 dicembre 2014»;
   l'ordinanza continua affermando che all'ACEA ATO2 viene ordinato entro questa data di attuare gli interventi di risanamento relativi agli acquedotti indicati, trasferiti al comune di Roma e al comune di Fiumicino. Il comune informa che: «il provvedimento è stato adottato in base ad un principio di precauzione ed è volto ad intervenire su una situazione nota da molto tempo, che riguarda la riqualificazione degli acquedotti rurali per adattare l'acqua erogata alla modifica dei parametri europei»;
   dal canto suo l'agenzia regionale ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'innovazione dell'Agricoltura) rende noto che da due anni sulle bollette delle proprie utenze è riportata la dicitura «acqua non potabile» –:
   se il Ministro intenda acquisire informazioni in merito anche tramite ispezione del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente. (5-02280)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in numerosi servizi giornalistici viene presentata la figura del «pentito» come fonte di assoluta verità;
   da qualche tempo il pentito Schiavone è una presenza fissa nei programmi di inchiesta e informazione che riguardano la gravissima contaminazione ambientale del territorio della Campania a causa dell'illecito smaltimento dei rifiuti pericolosi e tossici;
   analoghe denunce documentate negli anni sono state presentate da cittadini ai quali non si è dato gran credito;
   ad esempio, nel TG2 delle ore 13 dello scorso 7 novembre 2013, veniva riportava la testimonianza di Antonio Graziano giornalista, conoscitore del territorio ed autore di numerose documentate segnalazioni, il quale affermava che una ex cava nei pressi della superstrada Nola-Villa Literno e dell'asse mediano Marcianise-Giugliano nel territorio di Casaluce in provincia di Caserta, attualmente coltivata a frumento, era imbottita di rifiuti tossici ed affermava ancora che le tecnologie usate per scoprire il reato si potrebbero utilizzare anche per verificare lo stato di altre cave nello stesso territorio;
   è assolutamente urgente venire a capo delle condizioni in cui versa il territorio anche nei suoi livelli profondi dove presumibilmente sono sepolti i rifiuti nocivi;
   non si può permettere che, senza alcun tipo di controllo sulle loro dichiarazioni, i pentiti di camorra indirizzino le indagini e vengano presentati all'opinione pubblica nazionale come «buoni», come se ci fosse una camorra buona che oggi si rende conto del danno procurato al territorio e alla salute, mentre i processi per i responsabili vanno chiudendosi con le prescrizioni –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle denuncia circa il terreno indicato nel territorio di Casaluce;
   se i Ministri interrogati – per gli aspetti di rispettiva competenza, nel rispetto dei diversi livelli territoriali di competenza e alla luce di quanto di quanto previsto dal decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con legge 6 febbraio 2014, n. 6 – non ritengano di dover attivare nel più breve tempo possibile tutti gli strumenti in loro possesso al fine di monitorare la situazione del territorio, soprattutto per fare in modo che i terreni contaminati non vengano utilizzati per coltivazioni destinate al mercato alimentare. (4-03827)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Parco nazionale del Gargano è un'area naturale protetta istituita dalla legge n. 394 del 6 dicembre 1991, collocata nella parte nord-orientale della Puglia;
   all'interno di detto Parco, è compreso il territorio di Vico del Gargano, di cui fa parte anche la Baia di Calenella;
   il comune di Vico del Gargano, ha approvato la nuova pianificazione urbanistica che prevede dieci lottizzazioni localizzate fra Vico del Gargano, San Menaio e la piana di Calenella. Su quest'ultima, dovrebbe sorgere una struttura ricettiva da 300 posti in costruzioni tutte ad un piano, disposte come un quarto di luna con un edificio centrale a due piani. Il complesso turistico verrebbe edificato sul lato sinistro della baia, impedendo la visione del mare;
   l'area destina alla costruzione del villaggio turistico è a ridosso di due importanti aree archeologiche del parco, l'insediamento di Macchia di Mare, un insediamento capannicolo di età neolitica risalente al IV-III millennio a.C. e necropoli di Monte Pucci, cavità naturali all'interno delle quali si trovano numerosi ipogei paleocristiani, grotte nelle quali trovarono sepoltura comunità nei primi periodi del cristianesimo dall'età Costantiniana all'VIII sec. d. C.;
   l'area interessata è ad alto rischio idraulico nel cuore di una piana alluvionale con un elevatissimo valore paesaggistico;
   diversi residenti, preso atto dell'impatto ambientale del progetto, ha avviato una petizione destinata al sindaco del comune di Vico del Gargano, per richiedere di preservare il patrimonio naturale della Baia di Calenella –:
   se si intenda, per quanto di competenza, intervenire nella vicenda, al fine di preservare il predetto patrimonio ambientale ed archeologico oltre per tutelare la pubblica incolumità. (4-03829)


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo spandimento dei fanghi su terreni agricoli è stato fin dagli anni ’80 una prassi nella gestione degli impianti di depurazione, quando, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 319 del 1976 (cosiddetta «Merli» di gestione delle acque), è stata implementata la costruzione di impianti di trattamento delle acque reflue;
   a fronte di un continuo aumento della produzione di fanghi di depurazione è stato necessario, a livello comunitario, definire principi ed obiettivi per la protezione dell'ambiente, ed in particolare del suolo, nell'utilizzo di tali fanghi. La Comunità europea ha infatti emanato una prima direttiva (Dir 86/278/CEE) del Consiglio del 12 giugno 1986 intesa a disciplinare l'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura, al fine di prevenire ed evitare effetti nocivi sul suolo, sulla vegetazione, sugli animali e sull'uomo, incoraggiando nel contempo una corretta utilizzazione degli stessi;
   la suddetta direttiva è stata recepita in Italia dal decreto legislativo n. 99 del 1992, tuttora vigente. Diverse regioni hanno poi ulteriormente regolamentato tale attività mediante l'emanazione di atti e linee guida;
   considerato che nei fanghi di depurazione sono presenti anche metalli pesanti, sono stati definiti dei valori limite alla concentrazione degli stessi, anche in base alle caratteristiche dei terreni agricoli in cui si intende spandere i fanghi ed in base alla tossicità di tali elementi;
   un altro principio che l'Unione europea ha evidenziato per l'utilizzo dei fanghi a scopo agronomico è stato quello di ritenere fondamentale che gli stessi debbano essere trattati prima del loro utilizzo a beneficio dell'agricoltura, a meno di casi specifici;
   le regioni, ai sensi dell'articolo 6, comma 5 del decreto legislativo n. 99 del 1992, redigono ogni anno e trasmettono al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una relazione riassuntiva sui quantitativi di fanghi prodotti in relazione alle diverse tipologie, sulla composizione e le caratteristiche degli stessi, sulla quota fornita per usi agricoli e sulle caratteristiche dei terreni a tal fine destinati;
   le province, ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 99 del 1992, provvedono al controllo sulle attività di raccolta, trasporto, stoccaggio e condizionamento dei fanghi, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, nonché delle attività di utilizzazione dei fanghi;
   in provincia di Arezzo, come risulta dalle mappe pubblicate dall'ARPAT, il comune di Cortona è risultato essere quello con il maggior numero di terreni agricoli abilitati allo sversamento di fanghi di depurazione;
   nello stesso comune ubicato in Valdichiana, zona di intensa attività zootecnica, è diffuso anche lo spandimento degli effluenti di allevamento a scopo agronomico, ai sensi dell'articolo 112 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni e integrazioni. Anche questi spandimenti presentano dei potenziali rischi di inquinamento in caso di impiego irrazionale, in quantità non corrette e in epoche sbagliate da un punto di vista agronomico e meteorologico, in termini di fitotossicità, accumulo di metalli pesanti, aumento del grado di eutrofizzazione delle acque e cattivi odori;
   nonostante lo spandimento dei fanghi di depurazione sia consentito per legge, è opinione diffusa che non sia un esercizio associabile alle «buone pratiche agricole», soprattutto se si vuole promuovere le coltivazioni biologiche e la ricerca della qualità dei propri prodotti. In ultima analisi, i fanghi di depurazione sono a tutti gli effetti dei rifiuti, disciplinati dal decreto legislativo n. 152 del 2006, nel quale all'articolo 127 si legge: «i fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato»;
   alcuni Paesi europei, tra i quali la Svizzera, ed alcuni land in Germania, hanno deciso di vietare l'utilizzo agronomico di sostanze organiche di scarto quali i fanghi di depurazione delle acque reflue –:
   se il Ministro interrogato, in possesso dei dati trasmessi dalle varie regioni, al fine di tutelare la fertilità e la sanità di suoli e sottosuoli, non ritenga opportuno promuovere una revisione della normativa ed una armonizzazione delle linee guida, nel senso di una migliore utilizzazione dei suoli e di una riduzione delle ripercussioni negative sulla loro qualità, anche attraverso nuovi metodi e nuove tecniche per garantire l'efficacia dei controlli, la loro intensificazione ed il loro ampliamento a sostanze non previste dal decreto legislativo n. 99 del 1992. (4-03832)


   RUOCCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. Per sapere – premesso che:
   le frane e le alluvioni in Italia continuano ad aumentare: da poco più di 100 eventi l'anno tra il 2002 e il 2006 siamo gradualmente arrivati ai 351 del 2013 e ai 110 solo nei primi 20 giorni del 2014;
   negli ultimi 60 anni la corsa all'urbanizzazione del territorio ha indotto a sfruttare anche le aree di pertinenza fluviale o inondabili. Questa rapida espansione urbana quasi mai è stata accompagnata da un adeguamento del reticolo idrografico e delle opere di raccolta e smaltimento delle acque meteoriche, che sono aumentate quantitativamente a causa dell'ampliamento delle superfici impermeabilizzate;
   un'errata gestione del territorio, la mancata manutenzione del reticolo idrografico e l'eccessiva impermeabilizzazione dei suoli hanno fatto si che oggi più dell'80 per cento dei comuni italiani si ritrovi con almeno un'area a rischio di frana o di alluvione. I costi per gli interventi di sistemazione di queste aree superano i 40 miliardi di euro;
   da una stima del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, negli ultimi 60 anni per i danni provocati da frane ed alluvioni è stato speso, in media, più di 1 miliardo di euro all'anno, quasi 3 volte quello che è stato stanziato annualmente dal Governo dal 1991 al 2013 per le opere preventive di messa in sicurezza;
   la Protezione civile qualche anno fa ha quantificato le richieste per la riparazione dei danni causati dalle piogge intense in 8 mesi, cioè da ottobre 2008 a giugno 2009, in circa 4,6 miliardi di euro, una cifra più di 10 volte superiore a quella dei fondi assegnati annualmente dallo Stato per le attività preventive di difesa del suolo;
   intanto con la legge di stabilità 2014, lo stanziamento statale per le opere di prevenzione del rischio idrogeologico è passato da circa 350 milioni di euro all'anno a 30 milioni per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016;
   il costo complessivo dei danni provocati in Italia dai terremoti, frane e alluvioni dal 1994 ad oggi è di 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi l'anno. A rivelarlo è l'ultima indagine del Centro ricerche per l'edilizia e il territorio (Creseme 2012) sul nuovo rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia;
   il nostro Paese attualmente si trova stretto in una morsa. Da un lato l'inadeguatezza delle risorse finanziarie impedisce di realizzare opere strutturali di difesa e dall'altro un quadro normativo ancora fondato sui regi decreti del ’900 – con un groviglio di norme – impediscono la creazione di un disegno unitario volto alla prevenzione delle calamità naturali;
   secondo il rapporto Ance-Cresme un piano nazionale per la messa in sicurezza del territorio richiederebbe un investimento di 1,2 miliardi di euro per vent'anni che assorbirebbe una consistente manodopera bilanciando il necessario decremento delle nuove fabbricazioni. Invece negli ultimi anni gli investimenti pubblici per la messa in sicurezza del territorio sono diminuiti mediamente del 50 per cento –:
   quali iniziative, in considerazione della gravità degli eventi alluvionali, si intendano assumere per avviare un programma di messa in sicurezza del territorio nazionale rispetto al rischio idrogeologico e infine se si ritenga necessario spostare sulla difesa del territorio e su connesse politiche di occupazione giovanile, una parte dei 26 miliardi di euro di spese militari. (4-03842)


   MICILLO, PISANO, SILVIA GIORDANO, SIBILIA, COLONNESE, LUIGI DI MAIO, VIGNAROLI, BUSTO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Giugliano in Campania, ad oggi rappresenta una delle realtà territoriali della provincia di Napoli, che mostra i segni più evidenti delle conseguenze scaturite dalla scellerata gestione commissariale dell'emergenza rifiuti in Campania;
   negli anni dell'emergenza rifiuti campana andata avanti dal 1994 al 2009, e anche negli anni successivi, diversi siti presenti sul territorio sono stati individuati più volte come recapito finale di rifiuti urbani rimossi dalle strade della città di Napoli e di altre località alle prese con le difficoltà conseguenti alla crisi nella gestione dei rifiuti;
   nel corso di diverse inchieste giudiziarie sono stati prodotti documenti come la cosiddetta «Perizia tecnica» del dottore Giovanni Balestri (geologo), che hanno rivelato la presenza di un massiccio traffico di rifiuti di origine industriale provenienti dagli insediamenti localizzati nel nord Italia che prima e durante gli anni dell'emergenza rifiuti hanno portato nelle discariche giuglianesi centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tossici;
   questi flussi di rifiuti industriali, sempre secondo le inchieste, venivano sapientemente coperti dal traffico di rifiuti urbani attraverso la cosiddetta tecnica del «giro di bolla» con la quale i formulari di accompagnamento dei rifiuti venivano falsificati per fare in modo che tutte le categorie di rifiuti venissero classificate come urbano e inviate poi insieme agli impianti CDR (oggi STIR) presso i quali venivano prodotte le cosiddette «eco-balle»;
   alcuni di questi traffici di rifiuti industriali invece raggiungevano diverse località sia nel comune di Giugliano che in altri comuni della provincia nord di Napoli o anche in comuni della provincia sud di Caserta per essere scaricati e sotterrate nelle ore notturne presso le numerose cave dismesse ricavate dalla attività di estrazione di sabbia e/o tufo per le costruzioni edili;
   la prova di questi traffici e di questi sversamenti di rifiuti industriali tossici sono le discariche presenti nella cosiddetta «Area vasta» di Giugliano dove insistono le «Resit», «Masseria del Pozzo» e «Novambiente», tutte interessate secondo la perizia tecnica Balestri dalla presenza di anomale concentrazioni di metalli pesanti e sostanza altamente cancerogene;
   a cavallo dei comuni di Giugliano e Villa Literno, nelle località rispettivamente di «Taverna del re» e «Lo Spesso» oggi insiste il più grande deposito di eco-balle presente in Campania che copre una superficie pari a circa 400 campi di calcio e ospita circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti di ogni genere (come dimostrato anche da recenti indagini effettuate dalla regione Campania);
   da anni, il territorio di Giugliano così come quello dei numerosi comuni rientranti nell'area compresa tra la provincia nord di Napoli e sud di Caserta nota alle cronache col nome di «Terra dei fuochi», continua ad essere teatro quotidiano dei cosiddetti roghi tossici nei quali vengono dati alle fiamme tonnellate e tonnellate di rifiuti di ogni genere smaltiti illegalmente;
   da alcuni anni in questi territori si registra un costante incremento di patologie tumorali che, colpiscono in maniera sempre più aggressiva e in età sempre più giovane;
   i dati clinici raccolti in questi anni da numerosi medici e scienziati che hanno deciso di monitorare questo fenomeno hanno evidenziato anche l'insorgere sempre più marcato di malformazioni in età neonatale piuttosto che alterazioni a carico dell'apparato neurologico;
   uno dei territori maggiormente interessati da fenomeni di questo genere è quello a ridosso del cosiddetto termovalorizzatore di Acerra dove vengono bruciate circa 600 mila tonnellate di rifiuti tal quale all'anno;
   la scorsa estate, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale 5a serie speciale – contratti pubblici n. 94 del 12 agosto 2013 è stato dato il via libera alla procedura per la concessione dell'appalto per la progettazione definitiva ed esecutiva, realizzazione e gestione di un nuovo termovalorizzatore per i rifiuti stoccati in balle in regione Campania;
   la località individuata per la realizzazione del nuovo impianto ricade proprio nel comune di Giugliano, al centro delle aree inquinate richiamate in premessa;
   nel corso di incontri tenutisi nei mesi scorsi (anche dal sottoscritto con i colleghi del Senato), con la giunta regionale campana e con il Ministro pro tempore dell'ambiente, Andrea Orlando, si è avuto modo di contestare l'idea di realizzare un nuovo impianto di incenerimento in Campania e nello specifico in un'area già devastata sotto il profilo ambientale come quella di Giugliano;
   il Movimento 5 Stelle ha avuto modo di presentare un piano alternativo all'inceneritore per lo smaltimento delle eco-balle invitando le autorità regionali e nazionali interessate a valutare soluzioni alternative all'incenerimento;
   al momento la procedura per la realizzazione del nuovo impianto è ferma alla fase di dialogo competitivo avviata in seguito alle due uniche offerte pervenute da parte delle società A2A e Astaldi, con quest'ultima che proprio poche settimane fa ha ritirato la propria offerta –:
   se i Ministri siano a conoscenza della procedura finalizzata alla realizzazione del nuovo inceneritore previsto nel comune di Giugliano e degli enormi rischi di carattere ambientale e sanitario che un impianto di questo tipo può indurre in un territorio afflitto da una preesistente condizione di alta concentrazione di fattori inquinanti come quello compreso nel comune di Giugliano a ridosso delle aree richiamate in premessa. (4-03846)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in base ai rilievi riportati sul sito online de Il Fatto Quotidiano, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si appresta a licenziare il decreto per l'adeguamento dell'equo compenso da copia privata, ovvero l'importo che la legge impone di versare ai produttori e distributori di supporti idonei ad essere utilizzati per l'esecuzione, da parte dei consumatori, di copie ad uso personale, ulteriori rispetto a quella legittimamente acquistata;
   in una recente relazione della Commissione giustizia del Parlamento europeo, si chiede agli Stati membri di «semplificare le procedure per la fissazione dei prelievi di concerto con tutte le parti interessate in modo da garantire equità e obiettività» e che si ritiene che «i consumatori debbano essere informati dell'importo, della finalità e dell'utilizzo dei prelievi che pagano», cosa che non è attualmente prevista dalla normativa nazionale;
   le istituzioni europee chiedono agli Stati membri di «garantire che il prelievo per copia privata non debba mai essere pagato allorché i supporti in questione sono utilizzati a fini professionali e che i vari meccanismi di rimborsi dei prelievi versati per gli utenti professionali siano sostituiti da sistemi che garantiscano innanzitutto che tali utenti non siano tenuti a pagare il prelievo» e che la Commissione giuridica UE chiede che gli Stati membri assicurino trasparenza circa la destinazione dei proventi ottenuti dalla raccolta della copia privata e pubblichino relazioni che «descrivano la destinazione dei proventi in formati aperto e con dati interpretabili», mentre in Italia l'unica trasparenza garantita in materia riguarda la ripartizione delle macroquote tra i diversi titolari dei diritti –:
   quali iniziative intenda il Governo porre in essere per adeguare la normativa italiana a quella comunitaria. (4-03828)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in base ai rilievi riportati sul sito online de Il Fatto Quotidiano, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si appresta a licenziare a firma del Ministro interrogato il decreto per l'adeguamento dell'equo compenso da copia privata, ovvero l'importo che la legge impone di versare ai produttori e distributori di supporti idonei ad essere utilizzati per l'esecuzione, da parte dei consumatori, di copie ad uso personale, ulteriori rispetto a quella legittimamente acquistata;
   il Ministro, Massimo Bray, suo predecessore, aveva sospeso la firma per meglio comprendere i termini e le dinamiche del mercato di riferimento, annunciando l'avvio di un tavolo tecnico in seguito ad una ricerca di mercato di cui ancora non sono noti i risultati;
   il decreto porterebbe da 80 a 200 milioni di euro l'anno l'importo complessivo del prelievo raccolto dai produttori e distributori di pc, tablet, smartphone, oltre che di decine di altri supporti e dispositivi, che potrebbe essere riaddebitato sugli acquirenti di tali prodotti;
   in 23 dei 28 Paesi europei nei quali esiste l'equo compenso da copia privata lo scorso anno sono stati raccolti complessivamente 600 milioni di euro, a significare che i consumatori italiani si appresterebbero a contribuire per oltre il 30 per cento della raccolta europea complessiva;
   in una recente relazione della Commissione giustizia del Parlamento Europeo, si chiede agli Stati membri di «semplificare le procedure per la fissazione dei prelievi di concerto con tutte le parti interessate in modo da garantire equità e obiettività» e che si ritiene che «i consumatori debbano essere informati dell'importo, della finalità e dell'utilizzo dei prelievi che pagano», cosa che non è attualmente prevista dalla normativa nazionale;
   le istituzioni europee chiedono agli Stati membri di «garantire che il prelievo per copia privata non debba mai essere pagato allorché i supporti in questione sono utilizzati a fini professionali e che i vari meccanismi di rimborsi dei prelievi versati per gli utenti professionali siano sostituiti da sistemi che garantiscano innanzitutto che tali utenti non siano tenuti a pagare il prelievo» e che la Commissione giuridica UE chiede che gli Stati membri assicurino trasparenza circa la destinazione dei proventi ottenuti dalla raccolta della copia privata e pubblichino relazioni che «descrivano la destinazione dei proventi in formati aperto e con dati interpretabili», mentre in Italia l'unica trasparenza garantita in materia riguarda la ripartizione delle macroquote tra i diversi titolari dei diritti –:
   quali risultati abbia prodotto l'analisi del Ministero in tale materia e quale sia la documentazione prodotta nel caso della citata analisi. (4-03841)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   MATTEO BRAGANTINI e MARCOLIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 dicembre 2013 la IV Commissione permanente della Camera ha espresso il proprio parere favorevole rispetto alla bozza di «Decreto legislativo recante disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonché misure per la funzionalità della medesima amministrazione», subordinandolo tuttavia ad una serie di raccomandazioni e condizioni;
   tra le condizioni inserite nel parere approvato dalla IV Commissione permanente della Camera vi era la seguente: «nell'ambito della riorganizzazione dei Comandi principali espungere la previsione del trasferimento a Roma del Comfoter, al fine di poter riconsiderare in termini di costo/efficacia la riorganizzazione su Roma di questo comando di vertice. Tutto ciò tenuto conto sia della dimostrata operatività del comando in essere e del suo profilo internazionale»;
   ciò nonostante, all'atto della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 34 dell'11 febbraio 2014, nel testo del decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 7, recante disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale e organizzativo delle Forze armate ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettere a), b) e d) della legge 31 dicembre 2012, n. 244, la previsione di cui sopra è risultata confermata, come si evince dalla lettura del suo articolo 5 –:
   se risulti agli atti per quali ragioni il Governo pro tempore abbia ritenuto di dover ignorare una delle condizioni alle quali era stato subordinato il parere favorevole della IV Commissione permanente della Camera relativo alla bozza di decreto legislativo recante disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale e organizzativo delle Forze armate, approvato il 20 dicembre 2013. (4-03845)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FANUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 28, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 — legge finanziaria 2005 — autorizza, nell'ambito delle nuove regole che delimitano la contribuzione statale, alla luce della riforma del Titolo V della Costituzione, un intervento statale in favore degli enti locali per la concessione di contributi al finanziamento di interventi diretti a tutelare l'ambiente e i beni culturali, e comunque a promuovere lo sviluppo economico e sociale del territorio, da destinare agli enti individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sulla base di progetti preliminari;
   il successivo comma 29 dell'articolo 1 prevede l'emanazione di un decreto ministeriale al fine di individuare, sulla base delle priorità individuate dal Parlamento, gli interventi e gli enti destinatari del contributo statale recato dal precedente comma 28;
   il comune di Montecatini Terme ha beneficiato con decreto n. 0021283 del 18 marzo 2005 dei finanziamenti previsti dal Ministero dell'economia e delle finanze per «Lavori interramento ferrovia del comune di Montecatini Terme», contributi erogati in tre tranche a fronte dei quali l'ente ha predisposto quattro stralci;
   in data 10 dicembre 2012, senza ottenere risposta alcuna, il comune di Montecatini Terme ha inviato al Ministero dell'economia e delle finanze il progetto relativo al quarto ed ultimo stralcio precisando che i lavori relativi ai primi tre stralci sono stati compiutamente realizzati;
   per quanto riguarda l'ultimo stralcio, a causa di variazioni sull'idea progettuale che non altereranno la finalità dell'opera, la progettazione ha subito un rallentamento, stante la piena volontà di portare a compimento gli obiettivi per i quali è stato concesso il contributo ministeriale stesso;
   relativamente al quarto stralcio è indicata la cifra di 154.000 euro per la realizzazione dell'opera, ai quali se ne aggiungono ulteriori 48.000 per economie degli stralci precedenti, per un totale di 202.000 euro –:
   se sia possibile, per l'amministrazione comunale di Montecatini Terme, al fine della realizzazione del progetto inviato al Ministero dell'economia e delle finanze il 10 dicembre 2012, utilizzare l'importo totale di euro 202.000 corrispondente alla somma dell'importo relativo al quarto ed ultimo stralcio e le somme che risultano residue dagli stralci precedenti. (5-02273)


   GUIDESI, ALLASIA, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, ha adottato la deliberazione del 20 gennaio 2014 n. 12/2014 nel quale analizza la situazione finanziaria del comune di Napoli alla luce della procedura di riequilibrio finanziario pluriennale ex articolo 243-bis del TUEL;
   il documento messo a punto dalla Corte dei conti rileva una situazione finanziaria di perdurante dissesto con una situazione debitoria; la situazione debitoria è critica da almeno un decennio e il comune è stato già costretto a un enorme piano di svalutazione dei propri crediti per rendere il bilancio più aderente alla reale situazione; ma anche dopo questa maxi-svalutazione, a fine 2013 i magistrati avevano richiesto ulteriori delucidazioni visto che il rendiconto «continuava a presentare una rilevante massa dei residui attivi del titolo I e III (imposte quali Tarsu e Imu e multe, ndr)» per 1,24 miliardi. Precisazioni che dal comune non sono arrivate, almeno per quanto riguarda «la capacità di riscossione» di quei crediti del proprio bilancio tra il 2011 e il 2013, arrivato ad un disavanzo di amministrazione di 783 milioni di euro. Ad oggi però per i magistrati contabili «l'insussistenza potenziale» dei residui attivi – cioè i crediti relativi a imposte, trasferimenti o multe che in futuro rischiano di volatilizzarsi – è di ulteriori 431 milioni di euro;
   elemento particolarmente grave dei rilievi dei giudici contabili è dato dalla constatazione che una delle fonti principali del dissesto è costituita dalla incapacità dell'amministrazione di procedere alla riscossione fiscale di sua competenza, determinando un tasso di evasione da parte dei cittadini partenopei assolutamente patologica: tra il 2009 e il 2011 i tributi propri, così come le multe per infrazioni al codice della strada, sarebbero stati evasi per più del 50 per cento. Tra il 2009 e il 2011 i tributi propri, ovvero IMU, ICI, Tarsu, non sono stati pagati affatto da della metà dei napoletani. Tali entrate pesano per l'88 per cento delle entrate correnti;
   a non essere riscosse sono anche le multe stradali. Scrive infatti la Corte dei conti che «le percentuali di cancellazioni presentano un andamento più consistente negli ultimi 5 anni» avvicinandosi al 30 per cento per una «fisiologica e coerente» difficoltà di riscossione delle contravvenzioni. Un trend che, secondo la Corte, potrebbe solo peggiorare nei prossimi anni;
   le multe e le tasse sui rifiuti, secondo quanto rilevato dalla Corte dei conti, continuano a loro volta a non essere pagate, imponendo così un'ulteriore verifica del bilancio cittadino da parte dei giudici, non convinti dall'intervento del comune, il quale si è ostinato negli ultimi anni a inserire in bilancio crediti che risalivano addirittura al 1993, pur di «ripianare», in modo artificioso, i conti;
   la deliberazione della Corte stigmatizza inoltre il costo del personale del comune, che sarebbero state riportate con valori sottostimati nel bilancio presentato, come sottolineano ancora i giudici; mancano nella voce del personale dai 52 milioni del 2014 ai quasi 100 del 2022 e ciò «non può non destare forte preoccupazione». Un errore che «costituisce non solo un indice di una difficoltà dell'ente a rispettare le ottimistiche quanto irrealistiche previsioni, ma soprattutto incide in modo preoccupante sugli equilibri» del bilancio;
   il comune di Napoli ha proposto un piano di riequilibrio che dovrebbe essere lo strumento per fare uscire il comune dal dissesto, ma il piano è stato rigettato dalla Corte che doveva validarlo, e che ne contesta l'intera impostazione. Quel piano è basato quasi esclusivamente sulle dismissioni immobiliari: dovrebbero generare 730 milioni di euro di ricavi, che coprirebbero quasi tutto il disavanzo dichiarato. Ma secondo i magistrati la mancanza di un dettagliato cronoprogramma «esprime l'assenza, da parte dell'Ente, di un effettivo controllo delle operazioni poste in essere e di quelle da intraprendere». Nel piano scritto dal comune il valore del patrimonio è stimato sei volte sopra quello inventariale: ciò lascia ampi dubbi sul fatto che effettivamente si riesca a realizzare quanto atteso;
   l'unica reazione del sindaco di Napoli alle notizie di stampa che riportano i contenuti della deliberazione della Corte dei conti, che attesta, ad avviso degli interroganti, la palese incapacità dell'amministrazione comunale di assolvere i propri doveri, tra cui quello di riscuotere i tributi e rendere più efficiente l'amministrazione, è stata quella di invocare un «salvanapoli» da parte del Governo, ad imitazione dei decreti «salvaroma» che sono stati ritirati per ben due volte dal Governo e che, a giudizio degli interroganti, si sono caratterizzati per la palese immoralità delle misure che avrebbero premiato cattive gestioni amministrative –:
   quali siano le intenzioni del Governo rispetto alla richiesta del sindaco di Napoli di intervenire da parte del Governo a sostegno del bilancio dell'ente partenopeo. (5-02274)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da oltre 23 anni i contribuenti delle province di Ragusa, Siracusa e Catania, colpite dal sisma del 1990, attendono i rimborsi di somme versate a titolo d'imposta per gli anni 1990, 1991 e 1992;
   in particolare, visti gli ingenti danni provocati dal sisma, specie del sistema produttivo, sono state previste una serie di proroghe anche di natura fiscale, per i contribuenti ivi residenti al fine di attenuare le loro difficoltà;
   è da ricordare, altresì, che la regolamentazione delle situazioni giuridiche dei soggetti interessati, ha poi trovato ulteriore previsione nell'articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 27 dicembre 2002, che prevede il condono per i tributi sospesi e non versati con la possibilità di pagarli solo per il 10 per cento del loro ammontare;
   il testo di questa norma è stato interpretato dall'Agenzia delle entrate in forma restrittiva, in quanto essa ha ritenuto che si facesse esclusivo riferimento ai casi di mancato pagamento e non a quelli in cui il pagamento delle imposte fosse già stato interamente eseguito. Pertanto, l'Agenzia delle entrate non ha previsto alcun rimborso per i contribuenti che avevano versato quanto dovuto. Ciò ha determinato un notevole contenzioso in sede tributaria relativo alle numerose istanze di rimborso che sono state disattese dall'Agenzia –:
   quali iniziative intenda adottare per risolvere i problemi sopra esposti ed, in particolare, per restituire i rimborsi ai contribuenti delle province di Ragusa, Siracusa e Catania. (4-03835)


   LOREFICE, GRILLO, RIZZO, FRUSONE, CECCONI, DALL'OSSO, BARONI e MANTERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seguito al sisma del 13 e 16 dicembre 1990 con epicentro nel golfo di Augusta, la Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore ha sospeso gli adempimenti e i versamenti tributari e contributivi per gli anni 1990-1991-1992 per coloro che risultavano residenti prima di tale data nei comuni interessati dal tragico evento, ricadenti nelle province di Catania, Siracusa e Ragusa, e per coloro che svolgevano, nell'area degli stessi comuni e alla stessa data, un'attività industriale, commerciale, artigiana e agricola, ancorché residenti altrove, limitatamente alle obbligazioni nascenti dalle attività stesse;
   con l'introduzione della legge n. 388 del 2000, tramite l'articolo 138, si è consentito il versamento delle imposte sospese nel triennio ’90-’92, a titolo di capitale, al netto dei versamenti già eseguiti a titolo di capitale e interessi, con possibilità di versare l'importo dovuto in un massimo di dodici rate semestrali, senza aggravio di sanzioni e interessi;
   l'articolo 9, comma 17, della legge n. 289 del 2002, ha consentito ai contribuenti interessati di regolarizzare la propria posizione mediante il versamento entro il 16 marzo 2003 (poi differito al 16 aprile 2004) del 10 per cento delle imposte dovute e non corrisposte per il suddetto triennio, con possibilità di rateizzazione semestrale per importi superiori a 5 mila euro. Tale disposizione è stata poi estesa anche con riferimento ai contributi sospesi nel triennio 1990-1992, prevedendo il versamento del 10 per cento degli stessi entro il 30 giugno 2006 (poi differito al 30 settembre 2006) con possibilità di rateizzazione semestrale (articolo 1, comma 142, della legge n. 311 del 2004);
   il 9 ottobre 2006 l'Agenzia delle entrate, direzione regionale Sicilia, annunciava a mezzo stampa l'intenzione di sospendere in autotutela gli effetti delle cartelle di pagamento notificate ai contribuenti interessati dal sisma del 1990 che appaiono illegittime o infondate, nonché di sospendere i termini per proporre ricorso, per un periodo limitato di 150 giorni a decorrere dal 9 ottobre 2006 e con scadenza 7 marzo 2007 (poi prorogato al 31 dicembre 2007), al fine di consentire agli uffici locali dell'amministrazione finanziaria il completamento delle attività di controllo e di verifica della regolarità delle iscrizioni a ruolo, per il riconoscimento e l'attuazione degli sgravi nei confronti dei soggetti che risultavano aver definito la propria posizione con il fisco;
   con numerosi interventi, tra cui le sentenze 20641/2007 e 9577/2012 e le ordinanze 22507/2012 e 10242/2013, la Corte di Cassazione ha stabilito che il beneficio della riduzione al 10 per cento spetta sia a chi non ha ancora pagato, sia a chi ha già pagato, attraverso il rimborso di quanto versato al medesimo titolo, ancorché risultato parzialmente non dovuto ex post, cui va riconosciuto il carattere di ius superveniens favorevole al contribuente, nel contesto di un indebito sorto ex lege, purché l'istanza di rimborso sia stata presentata entro il 31 marzo 2012;
   il 26 luglio 2012 il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze ha risposto all'interrogazione a risposta immediata n. 5-07535, presentata dal deputato Causi in VI Commissione permanente in merito alla medesima questione, affermando che l'Agenzia delle entrate intendeva «predisporre istruzioni agli Uffici per l'abbandono delle relative controversie, con conseguente riconoscimento del diritto al rimborso per le imposte pagate in eccedenza per il triennio 1990-1992, escludendo però le imprese poiché la Commissione Europea nel frattempo aveva provveduto a registrare gli aiuti connessi al terremoto del 1990 quali “aiuti di Stato non notificati”»;
   le commissioni tributarie di Catania, Ragusa e Siracusa hanno ripetutamente confermato e ancora confermano ad ogni relativo ricorso quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, ordinando all'Agenzia delle entrate di rimborsare quei contribuenti che avevano instaurato un contenzioso e presentato l'istanza entro i termini previsti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto suesposto;
   cosa intenda porre in atto affinché ogni contribuente interessato riceva quanto gli sia dovuto per legge, e affinché possa finalmente venir meno quella disparità di trattamento che lo Stato ha perpetrato negli anni tra chi ha regolarizzato subito la propria posizione e per intero, e chi ha sforato largamente i termini usufruendo in seguito della riduzione;
   quali siano le prospettive per le imprese che vedono ancora negarsi questo diritto. (4-03840)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta orale:


   TIDEI, DONATI, D'INCECCO, MICCOLI, MORETTI, LAFORGIA, FERRO, FRAGOMELI, LEVA, GADDA, MANFREDI, PES, GANDOLFI, IORI, BRUNO BOSSIO, VALERIA VALENTE, CIMBRO, PASTORINO, MARRONI, IACONO, GREGORI, MELILLI, CARELLA, MARZANO, TENTORI, PIERDOMENICO MARTINO, TARICCO, TARTAGLIONE, SIMONI, MAZZOLI, MATTIELLO e TINO IANNUZZI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2014, all'articolo 1, comma 344, prevede che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e della giustizia, sia stabilita la ripartizione in quote delle risorse confluite nel capitolo del Ministero della giustizia in cui è versato il maggior gettito derivante dall'aumento del contributo unificato per essere destinate, oltre che all'assunzione di personale di magistratura ordinaria, anche, e per il solo 2014, per consentire lo svolgimento di un periodo di perfezionamento, da completare entro il 31 dicembre 2014, a coloro che hanno completato il tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari. Si tratterebbe, secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 25, della legge n. 228 del 2013 (legge stabilità 2014), di lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e disoccupati;
   l'onere di spesa, dalla richiamata legge di stabilità per il 2014, per consentire lo svolgimento del periodo di perfezionamento, è stato fissato in 15 milioni di euro. La suddetta legge ha altresì stabilito che la titolarità del predetto progetto formativo spetta al Ministro della giustizia;
   la legge di stabilità per il 2014 allo stesso articolo 1, comma 344, prevede che a decorrere dall'anno 2015, una quota di 7,5 milioni di euro dell'importo destinato ai sopracitati progetti formativi del 2014, ovvero 15 milioni di euro, deve essere destinata all'incentivazione del personale amministrativo;
   ad oggi i tirocinanti della giustizia in Italia sono poco meno di tremila. Essi hanno ormai acquisito un ragguardevole bagaglio di competenza e di professionalità, che se venisse disperso inciderebbe negativamente sul livello di efficienza degli uffici giudiziari –:
   se il Governo non ritenga opportuno ed urgente adottare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui in premessa, affinché l'intera somma dei 15 milioni di euro vada al progetto formativo, come previsto dalla legge n. 147 del 2013, all'articolo 1, comma 344;
   se non si ritenga opportuno valutare, a sostegno del suddetto tirocinio, che si completerà entro il 31 dicembre 2014, la possibilità di un ulteriore finanziamento come indicato nell'ordine del giorno 9/1865-A/268 accolto in data 20 dicembre 2013;
   se non si ritenga opportuno valutare, per gli ambiti di propria competenza, la possibilità di una regolarizzazione contrattuale a partire da gennaio 2015, nel rispetto della normativa vigente in materia di lavoro, dei suddetti tirocinanti al termine del periodo di perfezionamento da completarsi, come sopra ricordato, entro il 31 dicembre 2014. (3-00669)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al tribunale di Chiavari, inizialmente soppresso dalla riforma della geografia giudiziaria, è stata concessa una proroga, pare di due anni, per smaltire l'arretrato dei procedimenti civili ordinari e delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatoria, pendenti alla data del 13 settembre 2013;
   dal 14 settembre 2013, dunque, le nuove cause, prima di competenza del tribunale di Chiavari, vengono incardinate presso il tribunale di Genova, con conseguenti disagi e costi sia per i cittadini sia per il palazzo di giustizia del capoluogo ligure, anche in termini di dilatazione dei tempi dei processi;
   benché la recente costruzione del nuovo edificio del tribunale di Chiavari sia costato allo Stato ed al comune della cittadina del Levante ligure ben 14 milioni e 200 mila euro, viene ora utilizzato solo per smaltire l'arretrato delle pratiche civili;
   i dati forniti dal Ministero della giustizia riguardo alla attività per gli anni 2006-2010 del tribunale di Chiavari, ne testano l'efficienza e la produttività anche rispetto ad altri tribunali;
   confrontando tali dati con quelli del tribunale di Genova si rileva infatti che, a fronte di una popolazione di 146.513 a Chiavari rispetto ai 735.228 abitanti di Genova, il numero dei nuovi procedimenti per magistrato è pari a 599,6 a Chiavari e 483,6 a Genova, con una media di procedimenti definiti per magistrato di 619,9 a Chiavari e 492 Genova;
   a fronte di tali numeri, è evidente che, nel caso di specie, non si sono realizzati quei «risparmi di spesa e incremento di efficienza» che avrebbero dovuto ispirare la riforma della geografia giudiziaria –:
   se il Ministro interrogato, alla luce anche dei dati sopra esposti e delle numerose istanze provenienti dal territorio del Tigullio, non reputi più opportuno assumere iniziative per ripristinare e mantenere la funzionalità del tribunale di Chiavari e così evitare che i 14 milioni di euro, appena spesi per costruire la nuova sede, non diventino un palese spreco di denaro pubblico. (4-03831)


   DAMBRUOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 5 febbraio 2014 durante l'audizione in Commissione antimafia del prefetto Giuseppe Caruso, direttore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità, sono emerse numerose anomalie circa l'amministrazione dei patrimoni sottratti ai mafiosi e, in particolare, si è riscontrata la necessità di verificare le competenze e l'operato degli amministratori giudiziari nominati dall'organo giudicante in fase di sequestro e, spesso, confermati dall'Agenzia nazionale dopo la confisca. Il prefetto Caruso ha riferito, in quella sede, che alcuni amministratori giudiziari hanno «usato a fini personali» i beni confiscati, bloccando il conferimento degli stessi agli enti destinatari, percependo «parcelle stratosferiche» e mantenendo poltrone nei consigli di amministrazione delle aziende confiscate, così da rivestire al contempo il ruolo di «controllato e controllore». All'esito dell'audizione del direttore dell'Agenzia, la Commissione antimafia ha disposto una missione a Palermo per fare il punto sulle numerose procedure di amministrazione giudiziaria avviate sul territorio e valutare gli interventi che si riterranno necessari per rendere più operativa l'Agenzia per i beni confiscati alla mafia e più efficaci le procedure di amministrazione e destinazione dei beni stessi;
   la Legge 15 luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica», all'articolo 2, comma 13, stabiliva l'istituzione di un Albo degli amministratori giudiziari mediante decreto legislativo da adottare su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'interno, dell'economia e delle finanze e dello sviluppo economico. Il testo del decreto legislativo fu approvato il 4 febbraio 2010 ma solo lo scorso 24 gennaio – con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del regolamento recante disposizioni in materia di iscrizione nell'Albo degli amministratori giudiziari e modalità di sospensione e cancellazione dall'Albo degli amministratori giudiziari e di esercizio del potere di vigilanza da parte del Ministero della giustizia – l'Albo ha trovato una giusta collocazione presso il Ministero della giustizia. Il decreto ministeriale 160 del 2013 rinvia, però, a successivi provvedimenti la definizione di alcuni aspetti essenziali per l'operatività dell'Albo, quali ad esempio il modello di domanda di iscrizione, specifiche tecniche per trasmettere le previste comunicazioni al responsabile dell'Albo da parte degli amministratori giudiziari, le regole per il pagamento del contributo di iscrizione annuo, e ciò rischia di far slittare di parecchi mesi l'effettiva entrata a regime dell'Albo. Altro tasto dolente, lamentato dagli addetti ai lavori e, in particolare, da Maria Luisa Campise, già segretario della Commissione del Consiglio nazionale dei commercialisti in materia di amministrazione giudiziaria, riguarda la lunga lista di documenti da allegare alla domanda di iscrizione, «un onere assurdo e inutile» – a suo dire, che renderà ancor più complesso il funzionamento dell'Albo, peraltro, in violazione delle ordinarie norme sull'autocertificazione e la semplificazione della documentazione amministrativa –:
   quali misure intenda adottare per semplificare l'istituzione e l'iscrizione di professionisti qualificati all'Albo degli amministratori giudiziari;
   quali siano i tempi previsti per una piena operatività dell'Albo. (4-03838)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono d interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il previsto raddoppio ferroviario della Fiumetorto-Cefalù-Castelbuono, sulla linea Palermo-Messina, è totalmente finanziato, con un investimento di 960 milioni di euro, e l'opera è «cantierabile» fin dal 2004;
   nel mese di ottobre 2005 viene affidato l'appalto del I lotto, la Fiumetorto-Cefalù Ogliastrillo, dal Committente (RFI) al contraente generale (Cefalù 20 S.C.A.R.L.), per 420 milioni di euro;
   nel mese di novembre 2005 Italferr procede agli espropri per pubblica utilità delle aree necessarie alla «realizzazione del tratto Ogliastrillo-Castelbuono tra il chilometro 62+900 e il chilometro 74+876 (lotto II);
   la conclusione di tali lavori doveva avvenire, da programma, entro la fine del 2010;
   una prima proroga ha slittato i lavori sul finire del 2012;
   Ad oggi per quanto concerne il primo lotto risultano essere ultimati lavori per il 52 per cento rispetto al totale. Il resto risulta ancora in corso di realizzazione e procede con estrema lentezza considerato, inoltre, il quasi totale arresto delle attività dalla metà del 2011 alla metà del 2013. Per quanto riguarda per il secondo lotto allo stato attuale i lavori non hanno ancora avuto inizio;
   il protrarsi delle attività e l'ulteriore rallentamento attuale hanno comportato e comportano dei danni notevolissimi per tutto il territorio interessato;
   si lamenta, infatti, la mancata realizzazione delle opere connesse alla realizzazione del doppio binario previste da progetto e finalizzate alla difesa delle popolazioni residenti in quei luoghi, quali la messa in sicurezza da eventuali allagamenti dei sottopassi esistenti, la regimentazione delle acque dell'intera fascia costiera a valle della linea ferroviaria, la realizzazione del ponte sul torrente Roccella e la conseguente riapertura al transito della strada che costeggia sul lato nord l'asse ferroviario, così come pure la realizzazione della viabilità di progetto;
   a tal proposito, occorre puntualizzare che la gran parte del territorio è ad alto rischio idrogeologico, tant’è che eventi meteorologici anche di non eccezionale entità, hanno procurato danni ingenti, isolando intere zone con rischi per la popolazione ivi residente. Si fa presente che la zona costiera in questione è un'area a forte vocazione turistica in cui si registrano migliaia di residenti, numerose strutture ricettive alberghiere del comprensorio che offrono circa 5.000 posti letto, il centro operativo di emergenza (COE) della Croce Rossa Italiana, allocata presso il CAPI (di proprietà del Ministero dell'interno e gestita dalla prefettura di Palermo) che assicura il concorso negli interventi di protezione civile su base nazionale e che in caso di calamità, dato lo stato di fatto, potrebbe essere impossibilitata a prestare soccorso alla popolazione;
   è chiaro dunque comprendere che data l'elevata vocazione turistica dell'area in questione, la presenza in essa di opere non ultimate rappresenta una notevole perdita d'immagine. Inoltre, si registrano notevoli disagi sulla viabilità stradale, soprattutto nel periodo estivo, in cui le strade sono densamente trafficate, ma difficilmente percorribili dato un manto stradale notevolmente danneggiato, anche e soprattutto a causa del traffico di mezzi pesanti relativi al cantiere ferroviario;
   i sindaci dei comuni interessati al progetto non hanno in questo tempo messo in atto azioni proprie volte alla progettazione, reperimento di risorse e finanziamenti per la realizzazione di opere ritenute indispensabili per la sicurezza del territorio e delle popolazioni ivi residenti e di tutte le attività produttive in esso operanti, proprio per la fiducia riposta nei confronti degli impegni assunti dal committente e dal contraente generale;
   si ricorda, inoltre, che i disagi che continua a subire la popolazione di questo territorio per la mancata realizzazione di tali opere, sono stato oggetto di un atto stragiudiziale del 23 luglio 2013 notificato a RFI spa e ITALFERR spa a Cefalù 20, senza però addivenire mai a concrete soluzioni o all'assunzione di precisi impegni circa la tempistica con cui dovrebbero realizzarsi;
   risulta fortemente preoccupante il contenzioso tra il committente e il general contractor alla luce anche del provvedimento da parte di CEFALÙ 20 di licenziamento di ulteriori 46 lavoratori che costituisce un ulteriore dramma sociale per un territorio che già vive una drammatica situazione occupazionale. Tali provvedimenti di licenziamento si inseriscono in una politica da parte del general contractor di riduzione al minimo delle maestranze in forza per realizzare i restanti lavori tramite subappalti –:
   quali iniziative il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti intenda porre in essere per chiarire l'effettiva situazione nei rapporti tra il general contractor e la committenza e, più che mai, garantire la definizione di tempi certi per l'esecuzione dei lavori non ancora conclusi, incluse le opere di messa in sicurezza dei territori in cui il progetto ricade; quali azioni sia possibile attuare da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per scongiurare l'aggravarsi della crisi occupazionale.
(2-00435) «Culotta, Boccuzzi, Gullo, Greco, Iacono, Pastorino, Piccione, Censore, Faraone, Ventricelli, Capodicasa, Crivellari, Ribaudo, Moscatt, Paris, Schirò, Rostan, Paolucci, Lauricella, Manzi, Berretta, Raciti, D'Arienzo, Cardinale, Michele Bordo, Anzaldi, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Causi, Lattuca».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATALANO, QUARANTA, OLIARO e VECCHIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   numerose testate giornalistiche, negli anni hanno denunciato l'infiltrazione mafiosa nelle società di trasporto; a titolo esemplificativo si citano i seguenti articoli:
    14 febbraio 2011: «La Mafia allunga le sue spire», «Corriere dei Trasporti»; 14 febbraio 2011: «Mantovano, le infiltrazioni mafiose nei trasporti e nella logistica», «stradafacendo.tgcom24.it»; 24 febbraio 2011: «Autotrasporto, una verifica dell'albo per combattere le infiltrazioni mafiose», «Gazzettadimodena.gelocal.it»; 9 gennaio 2012: «Autotrasporti in allarme per infiltrazioni mafiose», «www.udinetodaty.it»; 7 aprile 2012: «Mafia, e ‘Ndrangheta nel business dei trasporti», «gazzettadimodena.gelocal.it»; 9 aprile 2012: «Trasporti, in che mano siamo finiti ?», «Corriere Dei Trasporti»; 11 aprile 2012: «rischio infiltrazioni mafiose: trasporti 345 ditte cancellate», «www.modenaonline.info»; 26 giugno 2012: «Dal carcere controllava il trasporto delle merci in Sicilia. Nuova indagine sui Riela», «www.giornaledellasicilia.it»; 1o ottobre 2012: «L'Emilia Romagna non è terra di mafia, ma la mafia c’è...», «Corriere dei Trasporti»; 8 novembre 2012: «Omertà ormai inaccettabile: imprenditori, parlate», «La nuova Prima Pagina»; 7 gennaio 2013: «Infiltrazioni, perché tacere ?», «Corriere Dei Trasporti»; 15 aprile 2013: «Mafia, colpo al clan Graviano. Sequestrata azienda di Autotrasporti», «Palermo.blogsicilia.it»; 15 aprile 2013: «sequestrata impresa d'autotrasporto a Palermo per Mafia», «www.trasportoeuropa.it»; 22 aprile 2013: «Mafia: protocollo di intesa Dda e agenzia dogane Liguria», «AGI»; 22 aprile 2013: «Infiltrazioni il centro-nord il cuore del riciclaggio», «Corriere Dei Trasporti»; 13 maggio 2013: «Mafia: a Reggio Emilia cancellate 1500 imprese nei trasporti per infiltrazioni», «www.agenparl.it»; 13 giugno 2013: «La crisi dell'autotrasporto marchigiano tra la concorrenza sleale dei TIR stranieri e le infiltrazioni della criminalità», «www.marche.cna.it»; 27 giugno 2013: «Infiltrazioni mafiose nei cantieri, a Milano allontanata una ditta di trasporti sospetta», «www.telereggio.it»;
   nel rapporto del 1o semestre 2010 della direzione investigativa antimafia, è possibile leggere quanto segue: «...Dell'intero settore dei trasporti quello marittimo e le attività illecite ad esso connesse, rappresenta la minaccia principale in quanto interessa la grandissima maggioranza del traffico merci internazionale e risulta molto difficile da controllare. Inoltre, i porti della Sicilia sud-orientale costituisco approdo naturale di sbocco da e verso nuovi mercati ad alto rischio di infiltrazioni criminali: Romania, Bulgaria, Russia, Ucraina, Georgia, Turchia e relativi collegamenti con i porti del Mar Nero»;
   dall'articolo del 9 aprile 2012: «Trasporti, in che mano siamo finiti ?», «Corriere Dei Trasporti», si legge che: «[...] Le organizzazioni hanno scelto l'autotrasporto perché è la base dell'intero sistema logistico nazionale, perché estremamente debole ma sopratutto perché ideale veicolo per un'infiltrazione economica ambientale.[...] Un'infiltrazione che ha permesso ai clan e alle cosche di gestire i ricchi appalti delle infrastrutture e condizionare il tessuto economico di molte province del tutto impreparate a questo tipo di condizionamenti». Il settore dei trasporti viene usato dalle mafie come «ottima Lavanderia per pulire i proventi dai traffici illeciti; ottimo veicolo per gestire i traffici stessi; imprese utilissime per intrufolarsi negli appalti»;
   dal Rapporto della Fondazione Antonio Caponetto sulle infiltrazioni Malavitose in Emilia Romagna, si apprende che il fatturato presunto si aggira intorno ai 20 miliardi di euro;
   nell'articolo del 1o ottobre 2012: «L'Emilia Romagna non è terra di mafia, ma la mafia c’è...», «Corriere dei Trasporti», si legge che: «[...] se si permettesse all'Albo dell'autotrasporto di fare periodicamente le informative su tutte le imprese iscritte, e non a campione, ma su tutte, si potrebbe allora decidere che in presenza di informative interdittive le imprese vengano immediatamente cancellate»;
   il primo firmatario del presente atto ha presentato, durante la discussione del «decreto del fare», l'ordine del giorno in assemblea su proposta di legge 9/01248-AR/242, approvato dall'Assemblea, il quale impegnava il Governo a: valutare l'ipotesi di inserire ulteriori requisiti di onorabilità per la professione di trasportatore di merci su strada nel settore dei trasporti nazionali ed internazionali e ad inserire tra i criteri richiesti per la cessazione del requisito di onorabilità, anche la presenza di una informativa antimafia interdittiva;
   come il primo firmatario del presente atto ha segnalato in occasione della discussione della legge di stabilità e bilancio, sono meritevoli di una attenta riflessione tre temi su cui la suddetta legge interviene e, in particolare, l'autotrasporto, il trasporto pubblico locale e l'alta velocità. Quanto all'autotrasporto, è stata introdotta una disposizione che attribuisce al Comitato centrale per l'Albo nazionale degli autotrasportatori, funzioni di consulenza sui progetti normativi. Inoltre, va giudicata positivamente la soppressione del trasferimento alle province delle funzioni in materia di rilascio della licenza per autotrasporto merci per conto proprio e delle funzioni relative alla cura e gestione degli albi provinciali e il conseguente trasferimento di tali funzioni, insieme alle relative risorse, agli uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il Ministero, infatti, dispone, attraverso il proprio centro di elaborazione dati, e ancor più attraverso il registro elettronico nazionale (REN) la cui adozione è stata disposta dal regolamento (CE) n. 1071/2009, di strumenti tecnologici avanzati di gestione di tali funzioni, che permettano l'inserimento nelle banche dati di elementi che attualmente non vengono recensiti dall'Albo degli autotrasportatori, come ad esempio il numero dei dipendenti;
   il primo firmatario del presente atto il 27 settembre 2013, ha presentato la proposta di legge C. 1642: «Modifica all'articolo 5 del decreto legislativo 22 dicembre 2000, n. 395, in materia di requisiti di onorabilità dei titolari delle imprese di autotrasporto, nonché disposizione in materia di forme di pubblicazione dei dati della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia», la quale chiede di introdurre l'assenza di informative interdittive antimafia tra i requisiti di onorabilità, per effettuare il trasporto di merci –:
   quali iniziative abbia in atto per risolvere il problema delle infiltrazioni mafiose nell'autotrasporto;
   se ritenga condivisibile quanto previsto nella proposta di legge di cui in premessa;
   come intenda dare attuazione all'ordine del giorno in premessa;
   quali iniziative abbia in atto in materia di semplificazione amministrativa, per fare interagire i database della pubblica amministrazione, i cui dati ora sono conservati in modo dispersivo, in modo da rendere più facile l'individuazione delle aziende coinvolte in attività criminali, e la relativa cancellazione dell'albo e dai registri operanti nel settore, nonché negare la possibilità di presentarsi alle gare pubbliche di appalto. (5-02277)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il servizio universale di trasporto merci per ferrovia è disciplinato dal contratto di servizio tra Trenitalia Cargo, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'economia e delle finanze relativo al periodo 2009-2014 (Il «Contratto»);
   l'offerta include i servizi di trasporto ferroviario merci, nella modalità a treno completo convenzionale o trasporto combinato;
   il contratto è stato stipulato nonostante l'Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia rilevato che con «riferimento al trasporto merci (...) la configurazione del mercato non rende necessaria la definizione di un'area di servizio universale» (v. AS528 – oneri di servizio pubblico nel settore del trasporto ferroviario);
   tale osservazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato si basa sulla circostanza che alla data della stipulazione del contratto vi erano già diversi operatori autorizzati ed effettivamente operanti sulla generalità del territorio italiano ivi incluse nelle regioni del Sud Italia quali Puglia, Campania e Basilicata;
   nella medesima segnalazione, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha affermato che «laddove in ogni caso lo Stato dovesse rilevare il permanere di un'esigenza di imporre oneri di servizio universale nel settore, l'Autorità auspica una maggiore chiarezza nella definizione delle obbligazioni a carico del soggetto regolato e una opportuna trasparenza nell'accesso ai servizi onerati da parte di tutti gli operatori ferroviari (attraverso la consultazione pubblica del mercato)»;
   nessuna consultazione pubblica ha preceduto la stipulazione del contratto, ma, viceversa, dalla relazione della Corte dei Conti sulla gestione della società Ferrovie dello Stato per gli esercizi 2009 e 2010, si evince una sollecitazione a una maggior chiarezza e trasparenza nelle procedure e nel conferimento delle risorse per il servizio;
   il contratto prevede l'erogazione di corrispettivi a favore di Trenitalia Cargo nettamente più elevati dei corrispettivi di mercato con grave nocumento delle finanze pubbliche;
   i corrispettivi percepiti ai sensi del contratto vengono di fatto utilizzati da Trenitalia Cargo per sussidiarie offerte sotto costo nel mercato aperto alla libera concorrenza così indebolendo i nuovi entranti sul mercato del trasporto ferroviario merci e determinando gravi distorsioni concorrenziali;
   il servizio realmente offerto da Trenitalia Cargo pare non corrispondere, per difetto, alle prescrizioni contrattuali e non sarebbe mai stato introdotto un sistema di rendicontazione dettagliato che consenta lo svolgimento di adeguate verifiche;
   è necessario abbattere tale differenziale di servizio;
   l'efficienza delle infrastrutture per il trasporto di persone e merci rappresenta un presupposto irrinunciabile per lo sviluppo del sistema industriale e quindi della competitività;
   è necessario definire con precisione il perimetro dei servizi di trazione merci ritenuti di natura universale espletati in funzione di contratti di servizio certi, e di durata congrua;
   il IV pacchetto ferroviario indica la necessità di una maggiore apertura del mercato ferroviario all'iniziativa di soggetti privati, che inneschi le dinamiche virtuose tipiche della concorrenza;
   il trasporto ferroviario delle merci in Italia, ha subito una forte riduzione dei volumi di traffico; infatti dal 2008 al 2013 l'intero sistema ha perso circa 30 milioni di treni-km e Trenitalia Cargo è passata da circa 62 milioni di chilometri a circa 28 milioni di treni-Km, il resto del mercato (circa 15 milioni di chilometri) è gestito da imprese private;
   il contratto firmato il 3 dicembre 2012 prevede un'offerta programmata di 11,9 milioni di treni-km per anno nel periodo 2009-2014; il corrispettivo da erogare a Trenitalia Cargo è di 110.872.262 euro per l'anno 2009, 128.000.000 euro per l'anno 2010, 128.368.205 euro per l'anno 2011; per il secondo periodo contrattuale (2012-2014) gli importi sono ancora da definire;
   come si legge nella relazione della Corte dei Conti, depositata a dicembre 2013 sulla gestione 2012, «il settore cargo fornisce servizi per la mobilità merci nazionale ed internazionale. Nel corso del 2012 ha registrato ricavi da traffico per 494 milioni di euro con una diminuzione del 5,9 per cento rispetto al 2011» ed «i rischi di mercato sono particolarmente evidenti anche nel settore Cargo, particolarmente influenzato dall'andamento negativo dell'economia» –:
   se non intenda intervenire, per quanto di competenza, ai fini dell'effettivo sviluppo di un mercato concorrenziale nel trasporto ferroviario merci;
   se non ritenga di dover fornire precisazioni in merito ai contributi erogati per il servizio cargo e alla loro effettiva corrispondenza al contratto di servizio pubblico;
   se Trenitalia spa divisione Cargo per l'attività in regime di servizio universale fornisca o meno al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un rendiconto dettagliato dei servizi effettuati;
   se in questi rendiconti dettagliati dei servizi effettuati sia presente il numero di treni e collegamenti verso il Sud Italia ed in particolare verso le Isole (Sicilia e Sardegna) dal 2009 al 2013;
   quali siano le linee programmatiche per il nuovo contratto oltre il 2014;
   se non ritenga opportuna l'immediata cessazione del contratto con conseguente notevole risparmio per le finanze pubbliche da destinare allo sviluppo dell'intero comparto del trasporto ferroviario merci. (4-03847)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIUSEPPE GUERINI, CARNEVALI, MISIANI e SANGA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Bolgare (Bergamo), con delibera di giunta n. 6 del 15 gennaio 2014, ha adeguato la propria tabella dei diritti di segreteria per il settore tecnico, stabilendo un importo di euro 500,00 (euro cinquecento/00) per il procedimento di rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa;
   tale adeguamento viene giustificato dall'amministrazione suddetta nel modo seguente: «Rilevato che i fenomeni delittuosi riscontrati, comportano ulteriori gravosi interventi, controlli e verifiche da parte – per quanto riguarda le competenze di questo Comune – del personale degli uffici comunali, al fine di tentare di garantire migliori sicurezza e tranquillità alla popolazione, incolumità pubblica e sicurezza urbana, mediante individuazione delle misure di contrasto e gestione delle misure di prevenzione e di protezione;
   dato atto che i costi della spiegazione di forze e dell'utilizzo di energie fisiche e mentali e funzionali, nonché gli eventuali necessari interventi di sistemazione del patrimonio pubblico danneggiato in caso di infrazioni materiali, sono genericamente addebitate ai cittadini tutti, gravando sulle casse comunali;
   ritenendo dover circoscrivere almeno in parte tale gravame, e ritenendo equo parzialmente addebitarlo alle individualità extracomunitarie che chiedono di essere iscritte nell'Anagrafe Popolazione Residente di questo Comune, mediante riscossione dell'importo dei diritti di segreteria richiesti per il procedimento di rilascio della certificazione di idoneità alloggiativa necessaria ai fini della predetta iscrizione»;
   la misura appare agli interroganti da un lato del tutto sproporzionata se commisurata all'attività effettivamente svolta dagli uffici, e dall'altro palesemente illogica e discriminatoria ove si consideri che la certificazione citata costituisce un adempimento obbligatorio per ogni cittadino di Paese non appartenente alla UE che intenda attivare la procedura di ricongiungimento familiare oppure richiedere l'iscrizione all'anagrafe dei residenti, e che vedrebbe pertanto pesantemente ostacolato se non addirittura precluso il proprio diritto all'abitazione e all'unità familiare;
   altrettanto illogica e del tutto pretestuosa appare agli interroganti la motivazione posta alla base del provvedimento: non si vede infatti quale sia il nesso causale tra l'intento esplicitato dall'amministrazione de qua di «promuovere e sostenere una riqualificazione sostanziale della vivibilità del paese, del tessuto economico, di interventi strutturali, di riqualificazione urbana» e l'abnorme aumento dell'importo sopra citato –:
   di quali elementi disponga e se intenda assumere iniziative normative per garantire ai cittadini stranieri residenti o che intendano ottenere l'iscrizione anagrafica la possibilità di esercitare i propri diritti costituzionalmente garantiti senza essere onerati in maniera che agli interroganti appare incongrua. (5-02276)


   MAGORNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Paola (Cosenza) risulta inadempiente circa l'approvazione degli inderogabili strumenti contabili inerenti gli anni 2012, 2013 e 2014;
   lo stesso ente difetta dell'approvazione sia del rendiconto relativo all'anno 2012 che di quello relativo all'anno 2013 nonché dei bilanci del 2012, del 2013 e del 2014;
   il comune di Paola (Cosenza), pertanto, esercita la sua attività contabile utilizzando i dodicesimi del bilancio approvato nel 2011;
   a seguito della dichiarazione di dissesto finanziario, approvata il 29 ottobre 2012 dal consiglio comunale di Paola (Cosenza), veniva nominata la commissione liquidatrice (G.U. n. 24 del 29 gennaio 2013);
   il 7 febbraio 2013 il TAR Calabria sospendeva l'efficacia della delibera comunale di dichiarazione di dissesto finanziario della città di Paola (Cosenza), emanata il 29 ottobre 2012;
   successivamente, solo in data 11 novembre 2013, la commissione liquidatrice riprendeva la sua attività;
   all'ordine del giorno della seduta del consiglio comunale del 7 marzo 2014 è prevista al secondo punto l'approvazione dell’«ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato per l'esercizio 2012, relazione previsionale e programmatica 2012/2014. Ipotesi di bilancio pluriennale stabilmente riequilibrato 2012/2014» ma nulla si dice in relazione al bilancio annuale 2013, mai approvato;
   l'articolo 259 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede che: «Il consiglio dell'ente locale presenta al Ministro dell'interno, entro il termine perentorio di tre mesi dalla data di emanazione del decreto di cui all'articolo 252 [ossia il decreto di nomina della commissione straordinaria], un'ipotesi di bilancio di previsione stabilmente riequilibrato» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se sia sufficiente l'approvazione degli strumenti contabili posti all'ordine del giorno della seduta del 7 marzo 2014 al fine di evitare le sanzioni previste dall'articolo 262 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di assicurare il corretto funzionamento dell'amministrazione comunale di Paola (Cosenza), con particolare riferimento all'ipotesi nella quale non siano rispettate dal comune di Paola le disposizioni del testo unico sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000) relative al tempestivo adempimento degli obblighi posti in capo ai comuni per i quali è stato deliberato il dissesto. (5-02281)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia stradale di Vittoria insiste su una provincia, quella di Ragusa, che ha una superficie di 1.614 chilometri quadrati e una popolazione di 320 mila abitanti ed è probabilmente l'unica provincia italiana priva di autostrade;
   lo spostamento da una zona all'altra della provincia risulta improponibile per un ufficio come quello della polizia stradale di Ragusa che, priva del distaccamento di Vittoria, ha solo nel capoluogo un altro ufficio, causando problemi di spostamento sia per i poliziotti impiegati nella provincia ragusana, poiché non tempestivi negli interventi di chiamata da parte dei cittadini, sia per i cittadini stessi;
   il distaccamento della polizia stradale di Vittoria riesce con pochissimo personale a mettere su strada, più volte, anche una seconda pattuglia, oltreché quella del capoluogo ragusano, garantendo altresì nel quadrante h24 sempre una pattuglia;
   l'istituzione del distaccamento della polizia stradale di Vittoria ha origini e motivazioni superiori in quanto nella città di Vittoria è presente uno tra i più grandi mercati ortofrutticoli d'Italia con un volume di traffico veicolare elevato;
   la presenza della polizia stradale a Vittoria ha rappresentato e rappresenta un motivo di orgoglio e di sicurezza tra i cittadini nonché punto di riferimento per numerosi cittadini che devono recarsi presso gli uffici della polizia stradale di Vittoria provenienti anche dai comuni limitrofi;
   il territorio di Vittoria è una zona ad alta densità criminale e il volume svolto dagli 8 poliziotti presenti in quell'ufficio è, a giudizio dell'interrogante, encomiabile nonostante la carenza di personale;
   l'ufficio della polizia stradale di Vittoria è adiacente al commissariato di Vittoria. I due uffici distinti in compiti e mansioni dividono lo stesso garage per il parco delle autovetture e le ragioni che sottostanno alla chiusura, probabilmente relative alla «spending review», non troverebbero motivo di esistere poiché lo stabile, suddiviso in due palazzine, è indivisibile poiché collegato;
   a giudizio dell'interrogante e del sindacato «Autonomi di polizia», la chiusura del distaccamento della polizia stradale di Vittoria provocherebbe seri e documentati problemi di sicurezza e di ordine pubblico;
   si dovrebbe, piuttosto, provvedere ad aumentare l'organico del predetto ufficio anziché privare gli abitanti della presenza della polizia di Stato –:
   quali iniziative di competenza abbia intenzione di adottare il Ministro interrogato per evitare che accada quanto descritto in premessa. (4-03833)


   CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come ormai quotidianamente riportato dagli organi di stampa locali, nel territorio della provincia di Cremona e, in particolare, nella zona cremasca (area che comprende la città di Crema e 47 comuni limitrofi), si registra negli ultimi mesi un costante aumento di fenomeni delinquenziali che minacciano la sicurezza dei cittadini;
   nonostante l'encomiabile lavoro svolto dalle forze dell'ordine e nonostante l'attenzione e le azioni poste in essere dai sindaci, la crescita dei furti in abitazione, di episodi di danneggiamento e di altri reati contro la proprietà – derivanti in gran parte da fenomeni di pendolarismo criminale – destano particolare allarme sociale e paura nelle comunità locali;
   pur consapevoli che molteplici sono i fattori di questa escalation, va tuttavia sottolineato che la recente recrudescenza degli atti di criminalità nella zona cremasca ha coinciso con la scelta di chiudere un importante presidio di legalità a tutela del territorio, quale il tribunale di Crema ha da sempre rappresentato;
   è viva ora la preoccupazione che il territorio possa essere privato di ulteriori presidi di sicurezza a seguito della prevista razionalizzazione della presenza delle forze dell'ordine a tutti i livelli, rischiando così di indebolire ulteriormente la zona più industrializzata e densamente abitata della provincia. Va inoltre evidenziato che il confine a nord con la zona cremasca sarà a breve interessato dal passaggio della nuova autostrada Bre.Be.Mi e della linea ferroviaria ad alta velocità, costituendo così uno snodo rilevante di circolazione di persone, mezzi e merci –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda assumere affinché, alla luce di quanto premesso, istituzioni locali e forze dell'ordine siano nelle condizioni di adottare le necessarie misure per rafforzare le attività di controllo e prevenzione e per programmare efficaci azioni a garanzia della sicurezza pubblica e della tranquillità dei cittadini;
   se non ritenga urgente prevedere un rafforzamento e un potenziamento dei presidi di sicurezza, incrementando risorse, mezzi, strumenti e strutture a disposizione delle forze dell'ordine e dei comuni, in particolare nell'area coincidente con il territorio cremasco. (4-03834)


   NESCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   San Giovanni in Fiore è un comune della provincia di Cosenza, posto al confine con la provincia di Crotone a 1050 metri sul livello del mare, il cui territorio si estende su una superficie di 279,5 km quadrati, in larga parte ricadenti nell'area del parco nazionale della Sila;
   il centro calabrese, secondo la protezione civile classificato in zona sismica 2, è raggiungibile – da Cosenza o da Crotone – mediante la statale 107, con tempi di percorrenza legati alle condizioni meteorologiche e comunque in media non inferiori ai 60 minuti, anche considerando le tante limitazioni di velocità poste dal gestore Anas in forza di insidie oggettive della strada, che in direzione Cosenza attraversa l'altopiano della Sila e quartieri urbani e, verso la costa jonica, interseca poderi agricoli, con possibilità di passaggio di animali;
   il clima, nella zona, è caratterizzato da piogge copiose, nevicate, nebbia a banchi, notevoli abbassamenti della temperatura ed escursioni termiche rilevanti, fattori che hanno incidenza comprovata nella tenuta di strada dei veicoli e nel mantenimento del manto stradale;
   dal maggio del 2000, secondo un articolo del giornalista Mario Morrone rinvenibile nel sito Internet del plurisettimanale «Il Crotonese», fu operativo a San Giovanni in Fiore un distaccamento di vigili del fuoco volontari, chiuso nel luglio del 2001, come risulta in altra sua cronaca, reperibile nel medesimo luogo;
   il giornalista Biagio Simonetta, in articolo pubblicato su «Il Quotidiano della Calabria» del 9 marzo 2007 a pagina 27, scrisse che risultava ancora attivo, secondo il sito Internet del dipartimento dei vigili del fuoco, il suddetto distaccamento;
   in un articolo pubblicato su «Il nuovo Corriere della Sila» del 5 aprile 2007 a pagina 10, l'autore Mario Morrone riporta la notizia dell'imminente riapertura, a San Giovanni in Fiore, del distaccamento dei vigili del fuoco, stavolta «permanente», «grazie al programma ”Soccorso Italia in 20 minuti”» e per intervento politico dell'allora sindaco Antonio Nicoletti e del presidente della provincia Mario Oliverio;
   il predetto distaccamento permanente non entrò, poi, in funzione;
   il 12 novembre 2010 fu inaugurata la nuova sede del distaccamento stagionale dei vigili del fuoco di San Giovanni in Fiore, alla presenza dell'allora Sottosegretario all'interno, onorevole Nitto Palma, che – figura nel sito del Ministero dell'interno – ne parlò come di «un ulteriore forte segnale alla Calabria sulla presenza delle istituzioni statali sul territorio, una ”dovuta attenzione” alla provincia di Cosenza che è la seconda in Italia per estensione territoriale»;
   nel febbraio del 2012 il gruppo consiliare del Pd presentò al sindaco di San Giovanni in Fiore un'interrogazione per sapere «come mai la caserma dei Vigili del Fuoco, da circa un mese», era chiusa;
   nel marzo del 2012, su «Il nuovo Corriere della Sila», apparve un articolo sulla chiusura del suddetto distaccamento stagionale, «durato all'incirca un anno»;
   nel sito ufficiale dell'attuale sindaco di San Giovanni in Fiore c’è una nota del 14 agosto 2013, con cui lo stesso e il vicesindaco annunciarono la presenza dei vigili del fuoco per il periodo estivo, considerandola funzionale a «spingere presso il Ministero e ottenere un presidio stabile»;
   allo stato attuale la sede fisica del distaccamento di San Giovanni in Fiore risulta chiusa, ma pare che il comune continui a sostenerne le spese di locazione, che sarebbero di 2.000 euro al mese;
   leggendo una scheda degli interventi operati negli anni 2009-2013 dalla sede di San Giovanni in Fiore – la quale riporta le distanze da Cosenza, Rossano, Crotone e Petilia Policastro, in cui si trovano altri presìdi dei Vigili del Fuoco –, appare chiara la necessità di un distaccamento permanente nel suddetto comune, sì da garantire il servizio nell'area silana e nell'area viciniore delle province di Crotone e Cosenza, anche a stima delle obiettive conseguenze che la mancanza di un tempestivo intervento dei vigili del fuoco ha avuto in più circostanze, per esempio l'incidente stradale del 24 gennaio 2007 che cagionò la morte di un giovane padre di famiglia e quello, ancora più impressionante, del 24 dicembre 2011, che procurò la morte di cinque ragazzi, con difficoltà di intervento della polizia stradale per causa del maltempo invernale;
   stando alle linee di indirizzo per il riordino dei vigili del fuoco, trasmesse dal dipartimento nazionale con nota del febbraio 2014, il distaccamento di San Giovanni in Fiore (17.591 abitanti) è stato proposto come volontario ed era misto, mentre distaccamenti dalle caratteristiche simili ubicati in comuni molto meno popolati – come Posta (714 abitanti, in provincia di Rieti) e Ales (1.515 abitanti, in provincia di Oristano) – sono stati perfino potenziati –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto;
   se non ritenga, in considerazione della popolazione, della posizione geografica, delle riferite, obiettive difficoltà di spostamento, della zona sismica cui appartiene, dei tempi di percorrenza dai più vicini distaccamenti e delle specificità del territorio riassunte in premessa, disporre per San Giovanni in Fiore un distaccamento permanente dei vigili del fuoco. (4-03837)


   DANIELE FARINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Novate Milanese, un comune periferico a nord di Milano, dai primi giorni di febbraio 2014, il movimento neo-fascista «Casa Pound» ha una sua rappresentanza ufficiale in consiglio comunale;
   «Casa Pound», un'organizzazione dichiaratamente neo-fascista, e molto vicina al movimento razzista e neo-fascista greco «Alba Dorata», ha ottenuto tale rappresentanza istituzionale non a seguito di un processo elettorale, bensì per iniziativa della consigliera Angela De Rosa, eletta all'opposizione come esponente del Popolo della libertà;
   dopo la scissione del PDL e i dissidi interni alla Forza Italia locale, la De Rosa avrebbe infatti fondato, quale unica rappresentante, un gruppo autonomo in consiglio comunale, denominato, appunto, «Casa Pound»;
   quanto accaduto non può non destare forte allarme e preoccupazione, in quanto un movimento dichiaratamente neofascista, xenofobo ed omofobo, ispirato a princìpi palesemente inconciliabili con la Costituzione italiana, quale è «Casa Pound», ha conseguito una rappresentanza nelle istituzioni, e con modalità, ad avviso dell'interrogante, di dubbia legittimità –:
   se il Ministro interrogato intenda mantenere un costante monitoraggio nei confronti dell'attività di gruppi politici come Casa Pound che, ad avviso dell'interrogante, si ispirano a valori non conciliabili con la Costituzione italiana.
(4-03848)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre 2012, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto di indizione dei concorsi a posti e cattedre, per titoli ed esami, finalizzati al reclutamento del personale docente nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado;
   con riferimento al predetto concorso nelle graduatorie di merito concorsuali compilate dalle commissioni giudicatrici degli uffici scolastici il numero dei vincitori idonei è superiore al numero di posti previsti nel bando;
   il decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297, articolo 400, comma 17, e articolo 399, comma 1, stabilisce che i docenti saranno immessi in ruolo per il 50 per cento dalle graduatorie ad esaurimento e per l'altro 50 per cento dalle graduatorie di merito scaturite da concorso, facendo scorrere queste ultime fino all'espletamento del concorso successivo;
   sui 11.542 candidati vincitori del bando che hanno maturato il diritto all'assunzione, appena 3.255 sono stati immessi in ruolo nel settembre scorso, nonostante il bando di concorso fissi in due anni il tempo massimo per vedersi riconosciuto il posto;
   il bando è stato emanato tenendo conto della previsione di disponibilità di posti e con il presupposto di dividerla equamente tra concorso e graduatorie permanenti, nel rispetto della legge che il bando stesso si preoccupa di richiamare –:
   se siano a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intendano intraprendere azioni per prolungare a tre anni, anziché due, come limite temporale per procedere alle assunzioni;
   quali iniziative il Ministro intenda porre per l'immissione in ruolo di tutti i vincitori nei tempi prescritti dal bando, ovvero entro e non oltre il 31 agosto 2014 (articolo 1 del DDG n. 82 del 24 settembre 2012) e quali provvedimenti intenda adottare a tutela del diritto all'assunzione dei vincitori nel caso in cui, anche in conseguenza della recente riforma delle pensioni, il numero di posti vacanti e disponibili dovesse risultare insufficiente.
(4-03824)


   QUARANTA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'abilitazione scientifica nazionale è la nuova modalità di reclutamento del personale docente, basata sul raggiungimento del requisito dell'abilitazione scientifica. Tale valutazione viene svolta da commissioni nazionali e attesta la qualificazione scientifica dei candidati che dovranno comunque sottoporsi ad un vaglio successivo;
   dopo un anno e mezzo dalla pubblicazione del bando per l'abilitazione scientifica nazionale il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca rende noto l'esito di poco meno del 50 per cento delle commissioni per l'abilitazione scientifica nazionale;
   nonostante le tante polemiche il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dato notizia che si aprono i lavori della seconda annualità l'abilitazione scientifica nazionale «con riferimento ai settori concorsuali i cui risultati sono stati pubblicati (tornata 2012). A breve saranno infatti disponibili i criteri di valutazione dei candidati della tornata 2013, con l'indicazione della data di scadenza per l'eventuale ritiro della domanda»;
   la scarsa chiarezza ha creato notevoli polemiche sull'operato delle commissioni l'abilitazione scientifica nazionale che hanno provveduto alle loro valutazioni in assenza di un quadro procedurale certo;
   la nomina dei commissari per sorteggio, che doveva essere garanzia per limitare arbitri e rendite di posizione, ha portato invece a situazioni paradossali. In alcuni casi i commissari avevano qualifiche minori o di pari livello agli esaminati, in altri si sono accentuate le divisioni tra le diverse anime scientifiche e culturali o gli elementi di conflittualità. La presenza di membri OCSE invece di rappresentare un elemento di garanzia ha invece spesso aumentato la confusione, linguistica se non scientifica e culturale;
   sia per la selezione dei commissari che per le successive valutazioni dei candidati sono stati usati criteri e indicatori ambigui quanto facilmente aggirabili. Il caso più eclatante è quello delle cosiddette «mediane» basate sugli indici bibliometrici. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca infatti si è trovato costretto, a pochi giorni dalla scadenza dei termini, a comunicare a varie commissioni l'abilitazione scientifica nazionale che molte domande andavano riprese in considerazione perché erano cambiati gli indici bibliometrici dei candidati, tanto da determinare variazioni significative, sopra o sotto la mediana, per più di 500 candidati;
   i risultati parziali finora presentati hanno come esito paradossale quello di valutare come inadatti a ricoprire il ruolo di professore universitario oltre la metà di coloro i quali nei fatti già ricoprono questo ruolo. Inoltre, secondo le commissioni l'abilitazione scientifica nazionale, più della metà dei nostri ricercatori non sono valutati scientificamente qualificati per essere professori di II fascia eppure la qualità e quantità della produzione scientifica media dei nostri ricercatori ci colloca tra i primi in Europa e tra i paesi OCSE;
   ulteriore polemica è nata dalla valutazione della qualità della produzione scientifica da un elemento estrinseco, cioè dalla «classe» di appartenenza delle riviste su cui sono comparsi gli articoli. Il problema è che la divisione in «classi» delle riviste è stata definita solo ora per allora e quindi con effetto retroattivo;
   nonostante i ritardi le ultime proroghe allungano ulteriormente i tempi di alcune commissioni in termini di «autotutela» impedendo o complicando eventuali ricorsi presentati da candidati che si ritengono penalizzati illegittimamente –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro per tutelare tutti i candidati e limitare le eventuali discriminazioni derivate dalla confusione sulle procedure e quali iniziative intenda assumere per semplificare e chiarire definitivamente procedure e requisiti per il bando della seconda annualità l'abilitazione scientifica nazionale. (4-03836)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per gli affari regionali, per sapere – premesso che:
   la legge 8 novembre 2000, n. 328, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», all'articolo 1, comma 3, recita «La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente Legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti Locali»;
    per migliorare l'investimento economico e le risorse, nei comuni di grandi dimensioni tali servizi fanno capo al comune stesso, mentre nelle realtà più piccole l'assistenza socio-assistenziale è spesso delegata i consorzi fra comuni, comunità montane, ASL o convenzioni fra comuni, dando vita ad una rete di solidarietà che spesso identifica lo stesso territorio;
   l'articolo 2, comma 186, lettera e), della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria 2010) ha disposto la soppressione dei consorzi di funzione tra gli enti locali, ad eccezione dei bacini imbriferi montani, inclusi, pertanto, quelli socio-assistenziali;
   l'articolo 9, commi 1-7, del decreto-legge n. 95 del 2012 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, nel disporre e disciplinare, al fine di assicurare il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, l'obbligo per le regioni e gli enti locali di sopprimere agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica (dunque anche i consorzi), ha escluso da tale obbligo, in forza della previsione di cui al comma 1-bis, inserito in sede di conversione, le aziende speciali, gli enti ed istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali;
   l'articolo 1, comma 562, lettera a), della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), abrogando i commi da 1 a 7 dell'articolo 9 del citato decreto-legge n. 95 del 2012, ha travolto anche la cosiddetta norma «salva consorzi socio-assistenziali» –:
   se non si ritenga urgente porre in essere ogni iniziativa di competenza al fine di ripristinare le norme «salva consorzi socio-assistenziali».
(2-00436) «Borghi, D'Ottavio, Anzaldi, Bonaccorsi, Bonomo, Capozzolo, Carra, Casellato, Covello, D'Incecco, Fedi, Fitzgerald Nissoli, Gelli, Giulietti, Iori, Lodolini, Manfredi, Mariani, Melilli, Pastorelli, Patriarca, Realacci, Sberna, Taricco, Basso, Tullo, De Micheli, Valiante, Ginato, Bratti, Mazzoli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI, IORI, CHAOUKI, SBROLLINI, ZAMPA e SCUVERA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147, all'articolo 1, comma 201 prevede, al fine di contribuire alle spese per il sostegno di bambini nuovi nati o adottati appartenenti a famiglie residenti a basso reddito, l'istituzione per l'intero anno 2014 di un Fondo per i nuovi nati, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Inoltre viene stabilito che al suddetto Fondo confluiscono le risorse disponibili alla data di entrata in vigore della presente legge del Fondo per il credito per i nuovi nati di cui all'articolo 4 del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ed all'articolo 12 della legge 12 novembre 2001, n. 183, che è contestualmente soppresso;
   il Fondo per i nuovi nati è stato inserito alla Camera nel corso dell'esame parlamentare della Legge di stabilità, di cui sopra, mediante un emendamento di natura governativa. È stato accolto favorevolmente dalle forze parlamentari perché da esso discende la volontà condivisa sia dal Governo che dal Parlamento di non trascurare, anche, e soprattutto, in un momento di grave crisi economica e occupazionale come l'attuale, l'attenzione per le politiche a favore delle famiglie e demografiche –:
   se il Governo intenda emanare in tempi brevi il decreto attuativo, secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 201, della legge di cui in premessa, volto a stabilire i criteri per l'erogazione dei contributi nei limiti delle disponibilità del Fondo, l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) di riferimento e le modalità di organizzazione e di funzionamento del Fondo. (5-02270)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Carrier ex Delchi, azienda brianzola di apparecchi per la climatizzazione con sede a Villasanta, chiude i battenti a giugno per delocalizzare in Repubblica Ceca;
   la proprietà sembra ritenere il sito di Villasanta non più competitivo e il 7 gennaio 2014 ha dato l'annuncio choc della chiusura dello stabilimento;
   ai tempi d'oro, la Delchi era considerata la Fiat della Brianza e la sua chiusura rappresenta la scomparsa dell'ultima grossa realtà industriale del territorio;
   a farne le spese sono anche i 212 dipendenti diretti, cui deve aggiungersi il centinaio di lavoratori dell'indotto, composto esclusivamente da piccole imprese brianzole –:
   se il Governo non ritenga urgente e opportuno attivarsi, anche in termini di moral suasion, presso la Delchi-Carrier per salvaguardare le centinaia di posti di lavoro, nonché un patrimonio storico-economico importante nella storia brianzola;
   se non ritenga opportuno aprire con urgenza un tavolo di concertazione sulla Delchi-Carrier, per addivenire ad una soluzione delle crisi. (4-03830)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Tess Costa del Vesuvio Spa ha un capitale sociale così ripartito: il 51 per cento è di proprietà della regione Campania ed il restante 49 per cento è suddiviso tra i comuni dell'area vesuviana, provincia di Napoli ed Invitalia;
   dal 30 gennaio 2012 la Tess è in liquidazione;
   i dipendenti della medesima società sono 28, assunti a tempo indeterminato ed in attesa di rinnovo della cassa integrazione in deroga;
   i dipendenti hanno usufruito della cassa integrazione in deroga dall'8 marzo 2013 al 31 dicembre 2013;
   gli stessi vantano spettanze arretrate di 10 mesi oltre ad altre competenze ed hanno lavorato per mesi senza stipendio ed in condizioni igienico-sanitarie piuttosto precarie;
   a quanto risulta all'interrogante, il liquidatore, dottor Giuseppe Catenacci, si è sempre opposto ad ogni lecita richiesta per allungare i tempi senza dare risposte concrete;
   il Consiglio regionale della Campania il 30 ottobre 2013 ha approvato la legge n. 15 pubblicata sul BURC n. 59 del 30 ottobre 2013, per cui la Tess dovrà confluire in Sviluppo Campania 100 per cento;
   entro tre mesi dalla pubblicazione (30 gennaio 2014) Sviluppo Campania doveva presentare il piano industriale e che tale termine è stato ampiamente superato senza alcuna sollecitazione da parte degli assessori responsabili;
   la cassa integrazione in deroga 2014 segue gli stessi criteri dell'anno 2013;
   si prevede che le indennità dei primi 4 mesi dell'anno 2014 verranno erogate, a quanto pare, nel mese di aprile o maggio 2014;
   nel mentre si svolgono le procedure relative alla confluenza della Tess in Sviluppo Campania, i lavoratori versano in una condizione economica gravemente precaria –:
   se nel frattempo il Governo, considerando la grave situazione economica in cui versano i lavoratori in questione, non ritenga di dover compiere nel più breve tempo possibile gli atti di sua competenza necessari al fine di rifinanziare la cassa integrazione in deroga per il 2014.
(4-03844)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   FRANCO BORDO e PALAZZOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 99 del 23 luglio 2009 reca «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia»;
   l'articolo 18 della succitata legge disciplina le «(...) azioni a tutela della qualità delle produzioni agroalimentari, della pesca e dell'acquacoltura e per il contrasto alla contraffazione dei prodotti agroalimentari ed ittici (...);
   il comma 7 dell'articolo 18 della summenzionata legge dispone che: «(...) entro il 30 aprile di ogni anno, il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali trasmette alle Camere una relazione nella quale illustra, con riferimento all'anno precedente, le iniziative assunte a tutela della qualità delle produzioni agroalimentari, della pesca e dell'acquacoltura, con specifico riguardo: a) alle iniziative di formazione e di informazione; b) alle attività di controllo effettuate, distinguendo quelle rivolte alle produzioni di qualità regolamentata e quelle effettuate nei singoli settori produttivi; c) agli illeciti riscontrati nelle attività di controllo, indicando le contestazioni amministrative sollevate, i sequestri effettuati e le notizie di reato inviate, anche con specifico riguardo al reato di cui all'articolo 517-quater del codice penale, introdotto dall'articolo 15, comma 1, lettera e), della presente legge (...)»;
   il comma 8 dell'articolo 18 della richiamata legge precisa che: «(...) nella relazione di cui al comma 7, il Ministero dà un quadro complessivo delle tendenze del settore agroalimentare italiano nel contesto internazionale, prospettando le modifiche alla normativa vigente che ritenga necessarie per garantire la qualità delle produzioni e dei prodotti (...)»;
   risulta agli interroganti, dopo avere esperito le opportune verifiche, che la relazione richiamata dal comma 7, a tutt'oggi, non è stata mai inviata alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica –:
   quali siano i motivi per i quali la relazione non è mai stata trasmessa alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, visto il notevole, valore informativo delle iniziative che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha posto in essere al fine della tutela della qualità delle produzioni agroalimentari, della pesca e dell'acquacoltura e dell'importanza strategica per il settore primario e del relativo indotto, di conoscere le tendenze del settore nel contesto internazionale. (3-00668)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   negli anni Ottanta del secolo scorso, le facoltà di medicina italiane sfornarono una enorme quantità di professionisti laureati, successivamente abilitati, che portò il nostro Paese ad avere una concentrazione di medici tra le più alte d'Europa, generando il cosiddetto fenomeno della «pletora medica», che tante ricadute negative ebbe anche sulla disponibilità di sbocchi occupazionali per la generazione di laureati in medicina in quegli anni;
   ai picchi di laureati in medicina e chirurgia degli anni ottanta, consegue fisiologicamente un picco di «pensionamenti» attesi che, nonostante i differimenti dell'età pensionabile introdotti dalla riforma Fornero, è comunque previsto nei prossimi dieci anni;
   negli anni Novanta, anche per ridurre gli effetti negativi correlati ad un numero crescente di medici senza sbocco professionale, è stato introdotto in Italia il «numero programmato degli accessi a Medicina e Chirurgia»;
   tale «programmazione degli accessi» non è stata collegata alla domanda di professioni sanitarie da parte del mercato, ma alla capacità strutturale formativa degli atenei italiani;
   per effetto di tale contingentamento degli accessi a medicina, il numero complessivo degli studenti si è notevolmente ridotto, così come si è significativamente abbassato il numero dei laureati;
   nonostante la drastica riduzione del numero degli accessi, la difficoltà per i medici italiani nel reperire un adeguato sbocco professionale è rimasta comunque elevata anche negli anni più recenti, sia per l'intervento di nuove norme comunitarie che hanno significativamente inciso sui percorsi di formazione post laurea, sia per la sostanziale occupazione da parte dei medici «prodotti dalla pletora» delle posizioni professionali nel settore pubblico, nella medicina convenzionata e in quella accreditata;
   la marcata riduzione del turn over dei medici ha comportato da un lato l'invecchiamento degli organici in attività e dall'altro il crescente ricorso a rapporti di lavoro precari con i professionisti più giovani, circostanze che rendono assai difficile la crescita professionale e che sono conseguentemente un freno al complessivo miglioramento qualitativo dell'offerta di salute garantita dal sistema;
   il progressivo invecchiamento anagrafico delle risorse umane disponibili nel settore dell'assistenza comporta, a sua volta, il rischio di scadimento della qualità delle prestazioni, ciò perché è causa di perdita di motivazione (sia di crescita professionale, che di carriera) da parte dei sanitari, ma anche perché affida compiti assai impegnativi sotto il profilo del carico di stress (guardie notturne, reperibilità notturne e festive) a sanitari che risentono dell'usura degli anni, spesso essi stessi portatori di handicap fisici e patologie che li rendono quanto meno inadatti alle attività di lavoro più stressanti;
   l'invecchiamento anagrafico delle professioni sanitarie all'interno dell'offerta pubblica, associato alle tutele di legge che scattano nei confronti degli stati di usura, allontanano molti sanitari dalle attività a più alto impegno pisco-fisico per cui, in alcune circostanze, hanno comportato situazioni paradossali, come la necessità di attivare contratti specifici con giovani medici esclusivamente indirizzati alla copertura dei turni di guardia notturna e festiva;
   tali situazioni appaiono sicuramente insostenibili sotto il profilo dei percorsi di professionalizzazione dei giovani medici, ma anche della garanzia della qualità dell'offerta sanitaria;
   gli attuali laureati in medicina si trovano davanti alla necessità di completare comunque la propria attività di training, attraverso l'accesso ad una scuola di specializzazione (o alla formazione di medicina generale), indispensabile per poter partecipare alla concorsualità pubblica;
   il numero dei contratti di formazione e di accessi ai corsi propedeutici alle attività di medicina generale a disposizione dei giovani medici neolaureati è oggi significativamente inferiore, come più volte rilevato dalle azioni di sindacato ispettivo e di proposta del Parlamento, rispetto al numero dei laureati;
   la maggior parte degli altri Paesi europei ha comunque istituito una vera e propria attività di formazione universitaria, anche per quanto attiene ai percorsi di accesso alla medicina generale, puntando alla massima qualificazione delle specifiche risorse professionali, ormai indispensabile per la sostenibilità qualitativa ed economica del sistema;
   tale discrepanza tra i laureati che escono dalla facoltà di medicina e la disponibilità di accessi alle scuole di specializzazione per medici è il segnale di un'incredibile carenza di programmazione, che costringe i medici italiani a cercare fuori dal nostro Paese un accettabile sbocco professionale, impoverendo in modo sostanziale il nostro SSN e certificando l'utilizzo non coerente delle risorse economiche destinate alla formazione universitaria di area medica;
   l'attuale programmazione dei contratti formativi per specialità è affidata ad un percorso concordato tra le regioni e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che dovrebbe sostanzialmente dare risposta alle esigenze di prospettiva della domanda sanitaria delle singole regioni italiane;
   tale programmazione degli accessi alle singole specialità è in realtà del tutto aleatoria e sostanzialmente correlata allo «storico consolidato», sia a causa dell'incapacità/impossibilità delle regioni di prevedere con lustri di anticipo le proprie esigenze in termini di professionalità sanitarie, sia per la libera circolazione delle professionalità stesse (nel territorio nazionale e non solo) che non consente certo una programmazione regionale delle necessità che risulti adeguata alla realtà;
   l'assenza di una programmazione adeguata inizia a farsi sentire con particolare acuzie sia nelle specialità chirurgiche più raffinate e impegnative (anche per l'effetto dissuasivo legato alla crescita del relativo rischio professionale), sia in quelle dei servizi (radiologia, anestesiologia);
   tale carenza di specifiche specialità è ancora più sentita nei sistemi sanitari regionali più deboli (quelli del meridione d'Italia e delle isole), con situazioni di minor gratificazione dei contesti professionali e di minor prospettive di redditività economica per i singoli professionisti;
   è di pochi giorni fa la certificazione della drammaticità della situazione attraverso la clamorosa azione di reclutamento di professionalità mediche promossa dalla ASL pugliese di Foggia, il cui DG Attilio Manfrini ha scritto ai consolati di Spagna, Grecia e Albania per reperire gli undici anestesisti e gli undici medici di pronto soccorso che non riesce a trovare attraverso la concorsualità pubblica rivolta all'offerta locale;
   tale situazione di sofferenza appare estesa anche alle restanti professionalità sanitarie, con crescenti carenze nell'intero skill mix dell'offerta –:
   quali iniziative, intendano porre in essere secondo le rispettive competenze per:
    a) adeguare numericamente i contratti formativi post laurea nelle specialità mediche al numero dei neolaureati;
    b) garantire la programmazione dei contratti di formazione per singola specialità, sostenendo i percorsi formativi oggi a più alto rischio di fuga;
   quali misure intendano ciascuno per quanto di competenza adottare per:
    a) garantire l'adeguata presenza di specifiche professionalità mediche nei contesti territoriali regionali a più alto rischio di desertificazione;
    b) assicurare un adeguato turn over anche nella medicina generale, rafforzando contemporaneamente i percorsi formativi, la cui qualità appare oggi davvero cruciale per il futuro del nostro SSN;
    c) monitorare le esigenze di turn over delle professioni sanitarie nell'intero contesto del SSN e per attenuare gli effettivi negativi sull'erogazione delle prestazioni sanitarie correlate all'invecchiamento anagrafico degli organici;
    d) evitare il crescente ricorso ai rapporti precari nelle professioni del settore sanitario, la cui diffusione comporta il rischio di perdita di qualità dell'offerta assistenziale. (4-03823)


   LOREFICE, GRILLO, RIZZO, FRUSONE, CECCONI, DALL'OSSO, BARONI e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è stato denunciato dal segretario nazionale Codacons che l'11 per cento degli italiani rinuncia alle cure mediche perché non ha le possibilità economiche, e nel caso delle visite odontoiatriche la percentuale sale al 23 per cento;
   in Sicilia la situazione è peggiore. Chi non può permettersi un medico privato, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d'attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure;
   emblematico è quanto accaduto a Gaetana Priolo, una ragazza di 18 anni che viveva nel quartiere Brancaccio, zona molto difficile di Palermo, morta perché troppo povera per curarsi un'infezione grave generata da un ascesso;
   nel nostro Paese è molto diffusa la vulnerabilità sociale, ovverosia quella condizione di svantaggio sociale ed economico, correlata di norma a condizioni di marginalità e esclusione sociale, che impedisce di fatto l'accesso alle cure odontoiatriche oltre che per una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura dei propri denti, anche e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture odontoiatriche private;
   l'elevato costo delle cure presso i privati, unica alternativa oggi per la grande maggioranza della popolazione, è motivo di ridotto accesso alle cure stesse anche per le famiglie a reddito medio-basso ovvero quelle che sono nella soglia della povertà assoluta o relativa come registrata annualmente dall'Istat; ciò, di fatto, limita l'accesso alle cure odontoiatriche di ampie fasce di popolazione o impone elevati sacrifici economici qualora siano indispensabili determinati interventi;
   la Calabria ed il Sud Italia restano le regioni più povere, dove il 57 per cento delle famiglie con figli sono costrette a rinunciare ad esami clinici ed altre visite mediche;
   secondo un rapporto INPS, ISTAT e Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005, e molte più donne meridionali sono costrette a rinunciare a varie cure come quella molto importante dei denti;
   la cura dei denti è indispensabile per la digestione, l'aspetto psicologico, l'aspetto fisico, la sfera sentimentale e sessuale ed ad oggi in Italia viene considerato un lusso che purtroppo i meno abbienti non possono permettersi;
   la legislazione in tema di ticket sanitari è in aperto contrasto con l'articolo 53 della Costituzione secondo cui ogni tipo di imposizione tributaria sia informato a criteri di progressività;
   è in crescita la discesa delle famiglie verso la povertà, con la crisi economica è peggiorato sia il reddito che la ricchezza, registrando un calo molto forte, pari rispettivamente al 7,3 per cento e al 6,9 per cento;
   i poveri sono ormai sempre di più, ed in questo vivono un disagio maggiore le famiglie numerose con figli, soprattutto se minori, e residenti nel Mezzogiorno. Una famiglia su tre è relativamente povera e una su cinque lo è in senso assoluto;
   il contrasto alla povertà si attua anche con le buone pratiche e con proposte innovative tra le quali si può annoverare il progetto dell'indirizzo socio sanitario per odontotecnici dell'istituto di istruzione secondaria superiore «Gaetano Curdo» di Ispica, in provincia di Ragusa, che, avendo rinnovato la dotazione laboratoriale utilizzando i finanziamenti, nell'ambito del Programma Operativo Regionale FSE Sicilia, sta avviando un progetto denominato «Diamo un sorriso» che propone, con la necessaria collaborazione con l'A.S.P. territoriale, la realizzazione da parte degli studenti di protesi dentali destinate a pazienti indigenti residenti nel territorio;
   questo nuovo percorso formativo all'interno del corso per odontotecnici permetterebbe agli studenti del V anno un'esperienza diretta nella costruzione di un manufatto protesico finalizzato per pazienti indigenti residenti nel territorio, quindi un manufatto non incentrato solo su modelli di studio senza un reale confronto con quanto esiste nella realtà odontoiatrica. L'istituto G. Curcio in tal caso si farebbe carico dei costi di produzione e delle componenti tecnico-pratiche necessarie, proponendo in tal senso un servizio socialmente utile;
   progetti come quelli predisposti dall'istituto G. Curcio rappresentano una azione positiva che andrebbe sostenuta e generalizzata in quanto servizio socialmente utile sia alla formazione specialistica degli studenti del V anno, che per i soggetti sociali che coinvolgerebbe dando loro un servizio dal quale per motivi meramente economici ne restano esclusi con pesanti ricadute sociali, personali ed economiche;
   in alcune regioni italiane, come ad esempio in Emilia Romagna, il servizio sanitario regionale garantisce cure odontoiatriche gratuite a persone con malattie che compromettono l'apparato dentario e, gratuite o con compartecipazione alla spesa in relazione al reddito, a persone in condizioni disagiate. In altre regioni invece le Asl garantiscono alle persone indigenti esclusivamente le cure odontoiatriche –:
   se il Ministro interrogato possa, di concerto con le Asl territoriali e per quanto di sua competenza, delineare una mappatura nazionale che evidenzi le modalità di erogazione del servizio di impianto delle protesi dentali in tutte le regioni d'Italia;
   se intenda promuovere, sull'esempio del progetto predisposto dall'istituto G. Curcio di Ispica, uno specifico programma sperimentale del Ministero dell'istruzione, università e ricerca, di intesa con il Ministero della salute e le amministrazioni regionali, finalizzato a favorire la riabilitazione protesica dentale gratuita a favore di fasce più deboli della popolazione ottimizzando le risorse tecnico-pratiche già presenti ed elaborando un iter formativo professionale sperimentale per gli studenti evitando di sprecare i lavori svolti negli istituti scolastici. (4-03839)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI, BECHIS, TRIPIEDI, ROSTELLATO, CHIMIENTI e COMINARDI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 3, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, (pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 204 del 31 agosto 2013), convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125, recante «Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni», dispone che «Per le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, gli enti pubblici non economici e gli enti di ricerca, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali, ai sensi dell'articolo 35, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è subordinata alla verifica: a) dell'avvenuta immissione in servizio, nella stessa amministrazione, di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti di concorsi pubblici per assunzioni a tempo indeterminato per qualsiasi qualifica, salve comprovate non temporanee necessità organizzative adeguatamente motivate; b) dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza»;
   i commi 3-ter e 3-quater del medesimo decreto dispongono che «Resta ferma per i vincitori e gli idonei delle graduatorie di cui al comma 3 del presente articolo l'applicabilità dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350. L'assunzione dei vincitori e degli idonei, nelle procedure concorsuali, già avviate dai soggetti di cui al comma 3 e non ancora concluse alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è subordinata alla verifica del rispetto della condizione di cui alla lettera a) del medesimo comma»;
   l'articolo 4, comma 5, prevede infine che «La Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento della funzione pubblica, al fine di individuare quantitativamente, tenuto anche conto dei profili professionali di riferimento, i vincitori e gli idonei collocati in graduatorie concorsuali vigenti per assunzioni a tempo indeterminato, coloro che, in virtù di contratti di lavoro a tempo determinato, hanno maturato i requisiti di anzianità previsti dal comma 6, nonché i lavoratori di cui al comma 8, avvia, entro il 30 settembre 2013, apposito monitoraggio telematico con obbligo, per le pubbliche amministrazioni che intendono avvalersi delle procedure previste dai citati commi 6 e 8, di fornire le informazioni richieste. I dati ottenuti a seguito del monitoraggio telematico di cui al primo periodo sono resi accessibili in un'apposita sezione del sito internet del Dipartimento della funzione pubblica»;
   asse portante della nuova disciplina è dunque il collegamento tra l'obbligo di esaurire le graduatorie vigenti e l'autorizzazione a bandire nuovi concorsi;
   il decreto-legge n. 101 del 2013 precostituisce, così, in caso di decisione di coprire i posti vacanti, un diritto all'assunzione per i vincitori, esteso anche agli idonei ma solo quelli collocati nelle graduatorie dell'amministrazione vigenti ed approvate dal 1o gennaio 2007;
   la legge subordina l'autorizzazione a indire nuovi concorsi, all'immissione in servizio di tutti i vincitori collocati nelle proprie graduatorie vigenti e degli idonei inseriti nelle graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1o gennaio 2007, i quali vantano il preferenziale diritto all'assunzione;
   la ratio del provvedimento è chiara: l'utilizzo delle graduatorie vigenti, in un'epoca in cui le risorse pubbliche risultano complessivamente ridotte, risponde ad esigenze sociali e di equità ed esonera l'amministrazione dalle spese e dai costi e dai tempi di attesa connessi ad un nuovo concorso (e quindi attuare il principio costituzionale di buon andamento);
   anche l'ex Ministro per la pubblica amministrazione Giampiero D'Alia ebbe a dichiarare: «Ricordiamo a tutti che abbiamo un debito da saldare: quello verso i tanti giovani vincitori di concorso rimasti fuori dalla porta delle amministrazioni» (guida al decreto-legge 101 del 2013, in www.funzionepubblica.gov.it);
   il recente intervento normativo ha configurato pertanto un vero e proprio diritto (attivabile anche in sede giurisdizionale) in capo non solo ai vincitori collocati nelle graduatorie ma anche agli idonei collocati nelle graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1o gennaio 2007 all'immissione in servizio e subordina espressamente l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali all’«avvenuta immissione in servizio» di tutti i vincitori collocati nelle graduatorie e degli idonei presenti nelle graduatorie vigenti al 1o gennaio 2007;
   a ciò si aggiunge che anche la più recente giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato è andata ispirandosi ad un evidente favor per l'utilizzo delle graduatorie degli idonei ed ora il legislatore del 2013 ha inteso volgere «un atto di giustizia, un segnale di rispetto per quei tanti italiani, la maggior parte dei quali giovani, che da anni attendono una collocazione nella P.A. dopo aver sostenuto e superato un regolare concorso» (guida al decreto-legge 101 del 2013, in www.funzionepubblica.gov.it);
   al riguardo l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con decisione n. 14 del 24 luglio 2011 – definitivamente pronunciandosi in ordine alla questione in argomento – ebbe a sancire che «l'Amministrazione una volta stabilito di procedere alla provvista del posto, deve sempre motivare in ordine alle modalità prescelte per il reclutamento, dando conto, in ogni caso, della esistenza di eventuali graduatorie degli idonei ancora valide ed efficaci al momento dell'indizione del nuovo concorso» e che «nel motivare l'opzione preferita, l'amministrazione deve tenere nel massimo rilievo la circostanza che l'ordinamento attuale afferma un generale favore per l'utilizzazione delle graduatorie degli idonei, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti, che devono, comunque, essere puntualmente enucleate nel provvedimento di indizione del nuovo concorso»;
   lo scorrimento delle graduatorie è dunque divenuta modalità ordinaria di provvista del personale, tanto più giustificata in relazione alla finalità primaria di ridurre i costi gravanti sulle amministrazioni per la gestione delle procedure selettive e comunque maggiormente rispettosa anche dei principi di trasparenza e di imparzialità;
   come emerge da una rilevazione delle graduatorie concorsuali vigenti e del numero di vincitori e/o idonei del giugno-luglio 2011 del dipartimento della funzione pubblica (prot. n. 0037037 del 22 giugno 2011), a suo tempo richiesta dalla Commissione XI (Lavoro pubblico e privato) della Camera dei deputati, su 68 amministrazioni interessate (escluso il comparto sicurezza), sono 1.802 i vincitori da assumere e ben 11.243 gli idonei per eventuale assunzione;
   con circolare n. 5 del 21 novembre 2013, il dipartimento della funzione pubblica, obbligato, ai sensi del comma 5 dell'articolo 4 del decreto n. 101, al monitoraggio telematico al fine di individuare i vincitori e gli idonei collocati in graduatorie concorsuali vigenti per assunzioni a tempo indeterminato e coloro che, in virtù di contratti di lavoro a tempo determinato, hanno maturato i requisiti di anzianità previsti dal comma 6 e 8 del medesimo articolo 4, ha dichiarato (pagina 18) che «L'applicazione telematica per l'acquisizione dei dati del prescritto monitoraggio è stata già avviata ed è in via di conclusione la fase di sviluppo»;
   a tutt'oggi tuttavia non risulterebbe ancora la conclusione del prescritto monitoraggio e l'attuazione di quanto previsto dal comma 5 dell'articolo 4 secondo il quale: «I dati ottenuti a seguito del monitoraggio telematico di cui al primo periodo sono resi accessibili in un'apposita sezione del sito internet del Dipartimento della funzione pubblica»;
   alcune associazioni, tra le quali il Comitato vincitori e idonei al concorso per 300 posti ricostruzione – Abruzzo Ripam e il Comitato Nazionale XXVII Ottobre Vincitori ed idonei di concorsi pubblici non assunti, hanno denunciato il mancato rispetto da parte di alcune amministrazioni dell'obbligo di scorrimento delle graduatorie vigenti in violazione del diritto dei vincitori e degli idonei all'immissione in servizio prevista dal decreto n. 101;
   in particolare il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha indetto un concorso pubblico unico, per titoli ed esami (pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie concorsi n. 92 del 22 novembre 2013), per l'assunzione di 32 unità di personale da inquadrare a tempo pieno ed indeterminato nell'Area funzionale III – profilo professionale «Ingegnere-Architetto» motivando l'impossibilità di «attingere a graduatorie in corso di validità» sull'asserito presupposto che i profili professionali, i requisiti di ammissione e i titoli di studio richiesti siano diversi da quelli previsti dal concorso speciale «Ripam Abruzzo» per la figura di funzionario Ingegnere-architetto III area funzionale profilo F1 presso il medesimo Ministero; risulta che un cospicuo numero di idonei del concorso Ripam abbia già depositato il ricorso al TAR del Lazio;
   il Ministero dell'economia e delle finanze in data 18 dicembre 2013 ha bandito un concorso per il reclutamento di 30 unità di personale della terza area – profilo informatico per il quale vi sarebbe già una analoga graduatoria di vincitori ed idonei da assumere presso il Ministero dello sviluppo economico;
   infine numerose sono le graduatorie di vincitori ed idonei approvate presso i Ministeri da cui le amministrazioni interessate possono attingere – prima dell'indizione di nuovi concorsi – per figure professionali analoghe o equivalenti ai sensi dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350;
   vi è il fondato e concreto timore che l'inerzia dell'amministrazione ad attuare il monitoraggio telematico – prodromico anche alla successiva immissione in servizio dei vincitori e degli idonei – e il comportamento delle amministrazioni possa far «affievolire» e/o frustrare il diritto dei vincitori e degli idonei dei concorsi pubblici all'immissione in servizio così come cristallizzato dal decreto-legge n. 101 del 2013 –:
   se sia stato effettivamente avviato il monitoraggio telematico previsto dall'articolo 4, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e quali urgenti iniziative il Ministro abbia intenzione di adottare per dare celere attuazione e conclusione al prescritto monitoraggio, che i vincitori ed idonei di concorsi attendono da più di cinque mesi al fine della successiva immissione in servizio;
   se il Ministro sia a conoscenza e se sia sua intenzione comunicare il numero attuale dei vincitori presenti nelle graduatorie vigenti di concorsi pubblici e degli idonei collocati nelle graduatorie vigenti e approvate a partire dal 1o gennaio 2007;
   se intenda rendere noti i motivi per cui l'amministrazione del dipartimento della funzione pubblica a tutt'oggi non ha provveduto ad effettuare e/o concludere il prescritto monitoraggio;
   quali iniziative intenda adottare per rendere cogente e garantire il diritto dei vincitori e degli idonei all'immissione in servizio in tempi ragionevoli e celeri in conformità alle disposizioni della citata normativa;
   quali iniziative intende assumere il Ministro per incentivare gli accordi tra le amministrazioni circa la possibilità di utilizzare – prima di indire nuovi concorsi – le graduatorie relative ai concorsi approvate da altre amministrazioni per profili analoghi o equivalenti ai sensi dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 e dell'articolo 4, comma 3-ter, del decreto-legge n. 101 del 2013;
   quali iniziative intende adottare – anche di tipo normativo – per porre dei limiti e/o sanzionare le amministrazioni che fanno ricorso «improprio» all'indizione di nuovi concorsi pur in presenza dell'obbligo – normativamente imposto dall'articolo 4 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125 – di scorrimento delle graduatorie e di immissione in servizio dei vincitori e degli idonei al fine di evitare l'indizione di nuovi concorsi anche per l'assunzione di figure per profili equivalenti per le quali siano in vigore graduatorie non ancora esaurite, che comporterebbero inutili oneri e costi pubblici anche nel rispetto dell'articolo 97 della Costituzione;
   quali iniziative intende adottare – anche di tipo normativo – con le università, le regioni, le autonomie locali, e gli enti del servizio sanitario nazionale per estendere e/o condividere con le suddette amministrazioni, anche nelle relative sedi istituzionali, le modalità per l'avvio di un successivo analogo monitoraggio al fine di dare una compiuta rappresentazione delle graduatorie di vincitori ed idonei ancora vigenti ed approvate ed evitare l'indizione di nuovi inutili e costosi concorsi.
(5-02272)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ufficio studi di Confartigianato Liguria su dati Infocamere-Movimprese la demografia delle imprese artigiane nel 2013 è negativa in tutto il territorio nazionale (-1,94 per cento con oltre 120.000 chiusure) e i dati peggiori si registrano in Liguria (penultima in Italia) e in Sardegna (ultima);
   infatti, nell'anno 2013 lo stock delle imprese liguri artigiane è calato del 3,08 per cento, a fronte di un -2 per cento del Nord-Ovest; ciò significa che quasi 4.600 imprese hanno chiuso l'attività, mentre ne sono state avviate poco più di 3.100;
   a livello provinciale la Liguria registra nel 2013 un primato negativo con Imperia, fanalino di coda italiano con ben 1.358 cessazioni in un anno, a fronte di 507 aperture, per un saldo negativo di oltre il 10 per cento;
   nell'ultimo anno anche Savona e La Spezia hanno avuto un andamento negativo, ma meno forte rispetto a quello dell'estremo Ponente Ligure: le chiusure sono state rispettivamente 853 e 595, con un tasso di decrescita di poco superiore al 2 per cento in entrambi i casi, mentre Genova ha registrato un tasso negativo dell'1 per cento con 1.525 aperture contro 1.775 chiusure;
   il presidente di Confartigianato Liguria afferma come, nonostante un'apparente tenuta delle costruzioni nel corso del 2012, tale comparto, insieme a quello manifatturiero, ha avuto il calo più pesante nel 2013;
   mentre in Italia il saldo negativo è stato del 3 per cento nel settore costruzioni e del 2 per cento nel settore manifatturiero, in Liguria il primo ha subito un calo del 4,55 per cento e il secondo di quasi 4 punti percentuali: si tratta di 2.752 chiusure nel primo comparto, riconducibili principalmente a cessazioni di partite Iva individuali, e di 719 artigiani del manifatturiero, settori vitali per l'economia ligure;
   la decrescita peggiore si è verificata nella provincia di Imperia dove il manifatturiero è calato di quasi 7 punti percentuali, mentre le costruzioni hanno raggiunto addirittura il -18 per cento in un anno (a significare più di mille chiusure). Al secondo posto c’è la provincia di La Spezia che registra nel manifatturiero -5,4 per cento, mentre nelle costruzioni -3,75 per cento, con una chiusura complessiva nei due comparti di 470 imprese; al terzo posto la provincia di Savona (seconda in Liguria per numero di imprese all'attivo nei due settori con circa 5.900 realtà artigiane), dove le chiusure hanno superato le 500 unità nelle costruzioni (-3,38 per cento) e sfiorato le 130 nell'industria manifatturiera con (-3,79 per cento); infine, Genova, che conta quasi 11.000 imprese di costruzioni e oltre 4.000 di manifatturiero, che registra un lieve calo di mezzo punto percentuale nel primo caso, con 900 chiusure e 838 nuove aperture, e un -3,25 per cento nel secondo comparto, con 336 cessazioni e 205 nuove realtà attive –.
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare per rimettere in moto l'economia interna, e in particolare della regione Liguria, partendo dal tessuto delle microimprese che rappresentano uno dei principali fattori di sviluppo locale. (5-02271)


   MARIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'importanza dell'attività svolta dai call center, da sempre utilizzati sia per le attività di assistenza ai clienti e agli utenti di pubblici servizi, sia per quelle dirette all'acquisizione di nuovi clienti, è aumentata negli ultimi anni, in quanto consente di fornire numerosi servizi contenendo i costi e offrendo agli utenti un canale più immediato di contatto;
   purtroppo accade spesso che le aziende che gestiscono i call center non osservino le disposizioni contenute nell'articolo 24-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, recante «Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nell'attività svolta da call center»;
   in particolare il comma 2 dell'articolo 24-bis stabilisce che, qualora un'azienda decida di spostare l'attività di call center fuori dal territorio nazionale, debba darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali indicando i lavoratori coinvolti, e all'Autorità garante per la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengano adottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di protezione dei dati personali e del registro delle opposizioni;
   il comma 3 dell'articolo 24-bis stabilisce, inoltre, che in attesa di procedere alla ridefinizione del sistema degli incentivi all'occupazione nel settore dei call center, i benefìci previsti dall'articolo 8 della legge 29 dicembre 1990, n. 407, in materia di contratti di formazione e lavoro e assunzioni a tempo indeterminato, non possano essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri;
   nonostante la chiarezza delle norme, alcune aziende che gestiscono call center non osservano le predette disposizioni e godono comunque degli incentivi pubblici pur delocalizzando;
   il gruppo Teleperformance, leader mondiale nell'offerta di servizi di contact center, è presente a Taranto con 2 mila dipendenti, in gran parte giovani di età inferiore a 36 anni, per la maggior parte donne (70 per cento);
   nel 2013 il sindacato confederale ha siglato un accordo con Teleperformance che, a fronte di grandi sacrifici, ha consentito il riassorbimento degli esuberi, l'uscita dagli ammortizzatori sociali ed il verificarsi delle condizioni che hanno consentito all'azienda di rilanciarsi;
   si apprende in questi giorni che Teleperformance ha comunicato alle segreterie territoriali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL ed UGL di voler spostare nella sua sede albanese la lavorazione della commessa «Eni Back office», una lavorazione pregiata e remunerativa di un'azienda i cui azionisti di controllo sono il Ministero dell'economia e delle finanze e la cassa depositi e prestiti;
   i lavoratori, che negli anni sono stati chiamati a non pochi sacrifici, hanno acconsentito alla cassa integrazione, a lavorare di più attraverso una maggiore flessibilità, hanno accettato l'orario multi periodale, hanno subito una riduzione della busta paga (livelli e scatto di anzianità), una riduzione dell'accantonamento TFR e della tredicesima, sono increduli e spaventati dalla decisione dell'azienda;
   la vicenda pone un problema di tutela dei dati sensibili dei cittadini, inoltre, mentre altri Paesi avviano politiche per riportare nei propri confini le aziende con sedi all'estero, in Italia si finanziano le aziende che delocalizzano;
   secondo i sindacati di settore, la spesa che lo Stato ha sostenuto in tre anni per il settore tra Cassa integrazione guadagni, mobilità, mancato versamento di contributi ed incentivi si aggira sui 480 milioni di euro, senza ottenere nulla in termini di continuità aziendale ed occupazionale –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere per impedire la delocalizzazione delle attività della sede di Taranto di Teleperformance ed evitare che la legge sia così facilmente e diffusamente disattesa;
   se intenda convocare un tavolo nazionale con Teleperformance e le organizzazioni sindacali per scongiurare il realizzarsi dello spostamento del back office di Eni, azienda a partecipazione pubblica all'estero, in Albania e proteggere i dati sensibili delle imprese e dei cittadini italiani;
   quali iniziative intenda mettere in campo per disporre i controlli e gli interventi necessari ad assicurare il rispetto delle disposizioni contenute nell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012, anche irrogando, le sanzioni pecuniarie previste dal medesimo articolo. (5-02275)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Migliore e altri n. 1-00352, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

  La mozione Pannarale e altri n. 1-00353, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Catalano.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Mariani e altri n. 7-00285, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Moretto.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Nicola Bianchi e altri n. 3-00664, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Corda.

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Grillo n. 1-00135 del 3 luglio 2013.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in commissione Tripiedi n. 5-01466 del 14 novembre 2013;
   interrogazione a risposta immediata in commissione Zan n. 5-02158 del 13 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta immediata in commissione De Rosa n. 5-02159 del 13 febbraio 2014;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Fanucci 4-02000 del 27 settembre 2013 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-02273.
   interrogazione a risposta scritta Guidesi e altri n. 4-03790 del 4 marzo 2014 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-02274.