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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 19 marzo 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la città di Civitavecchia sin dagli anni ’60 ha visto sul suo territorio la realizzazione di tre centrali termoelettriche. Nel 2003, con il decreto di valutazione di impatto ambientale, Enel spa è stata autorizzata alla riconversione dell'impianto di Torrevaldaliga nord da olio combustibile a carbone;
    la «valutazione epidemiologica dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Civitavecchia, Allumiere, Tarquinia, Tolfa e Santa Marinella» redatta dal dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, studio pubblicato nel febbraio del 2012, attesta che la popolazione residente nel comune di Civitavecchia nel periodo 2006-2010 presenta un quadro di mortalità per cause naturali (tutte le cause eccetto i traumatismi) e per tumori maligni in eccesso di circa il 10 per cento rispetto alla popolazione residente nel Lazio nello stesso periodo;
    a seguito di molteplici richieste da parte della popolazione, allarmata per la propria salute, nel maggio 2013 l'azienda sanitaria locale RMF ha deliberato l'istituzione del registro dei tumori;
    con l'autorizzazione integrata ambientale (AIA) del 2013 è stato autorizzato l'aumento delle ore di funzionamento della centrale e della quantità di carbone utilizzabile, ben 900.000 tonnellate in più, per un totale di 4.5 milioni di tonnellate. Ciò implica il superamento del limite imposto dalla valutazione di impatto ambientale demolendo di fatto le condizioni del giudizio di compatibilità ambientale espresso dalla regione Lazio che permise di ridurre i gruppi dell'impianto, da 4 a 3, nel progetto di riconversione del 2003;
    il parere istruttorio conclusivo dell'autorizzazione integrata ambientale 2013 presenta un incremento del tenore di zolfo del carbone, rispetto a quello indicato precedentemente dal piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio, passando dallo 0,3 per cento all'1 per cento. Di converso, con la mozione approvata dal consiglio regionale del Lazio n. 60 dell'8 ottobre 2013 si è ulteriormente confermata la volontà e la necessità di far rispettare il limite sul tenore di zolfo allo 0,3 per cento per l'impianto a carbone di Torrevaldaliga Nord;
    ENEL è una multinazionale controllata al 30 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze;
    la EEA, Agenzia europea per l'ambiente, nel novembre 2011 ha pubblicato uno studio sugli impatti sanitari, ambientali ed economici dell'inquinamento atmosferico dei principali impianti industriali europei, tra cui figura anche Enel, adoperando un metodo di indagine utilizzato anche nel processo Enel-bis sul caso di Porto Tolle e ripreso anche da Greenpeace nei propri studi;
    i risultati dello studio commissionato da Greenpeace nell'aprile 2012 per la centrale di Torrevaldaliga Nord di Civitavecchia, riprendendo la stessa metodologia utilizzata dall'Agenzia europea per l'ambiente, stimano tra gli impatti sanitari ed ambientali 13 morti premature e 156 miliardi di euro di danni all'agricoltura per l'anno 2009 (tabella 13, dello studio Enel Today and Tomorrow; Hidden Costs of the path of Coal and Carbon versus Possibilities for a Cleaner and Brighter future di SOMO, autori Wilde, Ramsing, Racz, Scheele e Saarman);
    i periti dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) hanno recentemente quantificato per la centrale elettrica di Porto Tolle, riprendendo la stessa metodologia utilizzata da Greenpeace-Somo, 2,6 miliardi di euro di danni sanitari tra il 1998 e il 2009 e più di un miliardo per omessa ambientalizzazione. Tale stima del danno è attualmente usata dall'Avvocatura dello Stato che rappresenta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute contro Enel, alla quale si chiede di risarcire i danni causati nel tempo;
    nel decreto ministeriale n. 11 del 5 aprile 2013 di rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale (pagina 96 dell'allegato parere istruttorio conclusivo), i valori delle emissioni di monossido di carbonio (CO) per la centrale di Civitavecchia presentano valori che si discostano dai limiti di emissione associati all'utilizzo delle best available techniques (30-50 mg/Nm3) previsto dal BREF (Reference Document on Best Available Techniques) sui grandi impianti di combustione (Large Combustion Plants);
    la quota di controllo pubblico dovrebbe tradursi in un indirizzo industriale per il Paese;
    il piano di monitoraggio e controllo trasmesso da Enel al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2013 per Torrevaldaliga Nord mostra che i limiti sulle quantità di carbone utilizzabili e sulle ore di funzionamento vennero già superati nel 2012, quindi prima del riesame dell'AIA;
    non vengono applicate le migliori tecniche disponibili in relazione alle emissioni di monossido di carbonio;
    il consiglio regionale del Lazio, con l'approvazione della mozione n. 60 dell'8 ottobre 2013, ha impegnato la giunta a far rispettare il limite del tenore di zolfo inferiore allo 0,3 per cento nel combustibile anche per l'impianto di Torrevaldaliga Nord come previsto dal piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Lazio,

impegna il Governo:

   a riesaminare l'autorizzazione integrata ambientale per l'impianto di Torrevaldaliga Nord, al fine di ripristinare i parametri di esercizio previsti dal decreto di valutazione di impatto ambientale 680/2003 salvo ulteriori riduzioni e di applicare l'utilizzo delle migliori tecniche disponibili per le emissioni di monossido di carbonio;
   a rendere trasparenti gli atti di discussione e permettere a organizzazioni non governative o comitati legalmente costituiti, di partecipare ai tavoli decisionali che, di fatto, hanno influenzato e influenzeranno la salute dei cittadini, i destini e lo sviluppo economico dei territori direttamente interessati.
(1-00383) «Grande, Manlio Di Stefano, Spadoni, Vacca, Busto, Spessotto, Pinna, Vignaroli, Toninelli, Cozzolino, Lorefice, Scagliusi, Rostellato, Rizzetto, Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Baldassarre, Colletti, Luigi Di Maio, Businarolo, Bonafede, Turco, Currò, D'Uva, Rizzo, Terzoni, Prodani, Nicola Bianchi, Tofalo, Battelli, Dall'Osso, Del Grosso, Massimiliano Bernini».


   La Camera,
   premesso che:
    il nostro Paese partecipa a numerose banche multilaterali, tra cui rilevano alcune banche di sviluppo e d'investimento o a vocazione sociale, operanti specificamente in ambito europeo;
    il ruolo di tali banche assume un particolare rilievo, alla luce della fase attuale caratterizzata da una grave crisi economico-finanziaria, con le sue ricadute sull'economia reale, in termini di perdita di competitività e di occupazione in tutto lo spazio Europeo, ma con proporzioni più preoccupanti per il nostro Paese;
    la crescita mondiale, sorretta dalle economie emergenti, si è infatti fortemente ridotta nel 2012 nell'insieme dei Paesi dell'Unione europea (-0,3 per cento) e ancor più in quelli dell'area dell'euro (0,6 per cento), i quali hanno avuto una crescita negativa e – come rileva il rapporto Svimez 2013 – il prodotto interno lordo è fortemente diminuito nei paesi del sud Europa, come Grecia (-6,4 per cento), Portogallo (-3,2 per cento), Spagna (-1,4 per cento), mentre in Italia la recessione ha colpito l'economia più che nel resto d'Europa (-2,4 per cento);
    un ruolo fondamentale nell'utilizzo di leve finanziarie che incentivino prospettive di investimento, sviluppo e crescita, può svolgerlo la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, una banca multilaterale dalle peculiari finalità sociali, istituita nel 1956 con la denominazione «Fondo per lo sviluppo sociale del Consiglio d'Europa» e dal 1999 rinominata «Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa» (CEB). La Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, nata sulla base di un accordo parziale tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa e con piena autonomia finanziaria, ha progressivamente ampliato il suo campo d'azione rispetto ai suoi originari scopi (fornire aiuti in favore dei rifugiati), per contribuire in modo sempre più determinante al rafforzamento delle politiche di coesione sociale, al miglioramento delle condizioni di vita nelle regioni più svantaggiate, combattendo il crescente fenomeno della povertà e del disagio sociale nel continente europeo;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa è, dunque, diventata lo strumento chiave delle azioni di solidarietà europea, con le sue finalità precipue di supportare i suoi Stati membri nel conseguire politiche orientate alla crescita sostenibile ed equa e contribuisce alla realizzazione di progetti di investimento sociale, attraverso tre linee di intervento settoriale: rafforzamento dell'integrazione sociale, gestione ambientale e sostegno alle infrastrutture pubbliche a vocazione sociale;
    per estendere la sua azione la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa ha potenziato negli ultimi anni la cooperazione con le maggiori istituzioni europee, in particolare con la Commissione europea, e con altre banche regionali e istituzioni finanziarie multilaterali, tra cui la Banca europea per gli investimenti (Bei), il Western Balkans Investment Framework (WBIF), la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers), la Banca mondiale, la Nordic Investment Bank e la Banca Kfw;
    la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa attualmente conta 40 Stati membri, che coprono un'area geografica che si estende dalla Turchia all'Islanda e dal Portogallo alla Georgia. L'Italia, con una quota percentuale di partecipazione pari a circa l'11 per cento, assieme a Francia e Germania rientra tra i cosiddetti «grandi pagatori»;
    il nostro Paese ha sottoscritto tutti gli aumenti di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa intervenuti negli anni 1978, 1982, 1988, 1991, 2001 e 2012, continuando a svolgere un ruolo centrale nel processo decisionale, partecipando agli organi di governo della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa con propri rappresentanti dei Ministeri dell'economia e delle finanze e degli affari esteri. Con l'ultimo aumento di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa (sesto aumento che ha portato il capitale totale sottoscritto da 3,3 a 5,5 miliardi di euro nel 2012) l'Italia ha aderito all'aumento con sottoscrizione di nuovi titoli, con conseguente incremento della quota detenuta pari a 915.770.000 euro, mantenendo inalterata la misura di partecipazione e il diritto di voto;
    tuttavia, l'Italia negli ultimi anni non ha colto le opportunità offerte dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e non ha usufruito dei prestiti della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, al cui finanziamento contribuisce in modo cospicuo, e non risultano al 2013 progetti provenienti dall'Italia al fine di ottenere i relativi sostegni finanziari;
    in ambito europeo rilevano anche altre banche di garanzia e investimento, tra cui spicca la Banca europea per gli investimenti (Bei), di proprietà dei paesi membri dell'Unione europea, alla quale l'Italia partecipa per il 16 per cento. Tale Banca ha fra i suoi compiti quello di sostenere il finanziamento di progetti volti a migliorare infrastrutture, approvvigionamento energetico o sostenibilità ambientale all'interno dell'Unione europea; contribuisce allo sviluppo economico e sociale di tutti i Paesi membri e di quelli limitrofi con rapporti di vicinato, con particolare priorità alle regioni meno sviluppate e con maggiori carenze strutturali (Europa meridionale e orientale), anche attraverso investimenti congiunti con i finanziamenti programmati per gli interventi dei fondi strutturali e di altri strumenti finanziari della Comunità europea;
    nel 2012, il Consiglio europeo ha approvato l'aumento del capitale sociale della Banca europea per gli investimenti, rafforzando la sua attività con effetto anticiclico sull'economia europea, contribuendo in tal modo ad integrare le risorse del bilancio europeo, fortemente ridimensionate nell'ambito del nuovo quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea (QFP 2014-2020);
    a partire da giugno 2013, la Banca europea per gli investimenti costituisce, dunque, la maggiore finanziatrice del nuovo sviluppo europeo per uscire dalla crisi, in favore di linee di credito per le piccole e medie imprese, per finanziare project bond o progetti complessi, come progetti di grandi dimensioni, project financing (nei settore energetico e autostradale); il primo project bond è stato realizzato in Spagna (gas storage), mentre in Italia ancora è in fase di definizione la collaborazione fra Cassa depositi e prestiti e Banca europea per gli investimenti per la realizzazione di project bond in Italia;
    secondo i dati forniti dal Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore, nel 2013 il sostegno finanziario della Banca europea per gli investimenti in Italia ha riguardato progetti del valore totale di circa 30 miliardi di euro (+50 per cento) e oltre 8.400 piccole e medie imprese, che hanno ricevuto finanziamenti per 3,3 miliardi di euro, pari al 34 per cento del totale; la Banca europea per gli investimenti è intervenuta su energia, telecomunicazioni e trasporti, industria, acqua e sanità, ha sostenuto progetti di ricerca e di sviluppo e per l'ammodernamento infrastrutturale del nostro Paese, compreso lo sviluppo della banda larga. Sono stati avviati anche nuovi settori di attività, tra cui il primo finanziamento del social housing in Italia, in favore di progetti di edilizia sociale e di «abitare equo»; si tratta di passi in avanti importanti ma è necessario rafforzare l'uso di tali strumenti finanziari per sfruttarne pienamente le potenzialità;
    il ruolo che dovranno svolgere le banche europee è particolarmente evidente alla luce delle sfide impegnative che l'Europa è chiamata ad affrontare nei prossimi anni. La comunicazione della Commissione europea – Strategia Europa 2020 – ha definito una strategia ambiziosa che mira a trasformare l'Unione europea in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. Tuttavia, la riduzione della spesa complessiva delle risorse del bilancio europeo (per l'Unione europea a 28 è del 3,4 per cento in termini reali rispetto al periodo 2007-2013 e con un budget di circa 960 miliardi di euro), congiuntamente al contenimento dei bilanci a livello nazionale, rischia di mettere in seria difficoltà il perseguimento degli stessi obiettivi (cosiddette «iniziative faro») della Strategia Europa 2020, con il pericolo di aggravare la situazione di spirale di recessione-depressione esistente in molti Stati membri, tra cui l'Italia;
    il peggioramento della situazione economica e sociale interna a molti Stati membri, in particolare della fascia del sud Europa, in assenza di interventi mirati, potrebbe compromettere in futuro la stessa partecipazione alla stessa Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, indebolendone la solidità finanziaria e pregiudicando quantità e qualità degli interventi improntati all'integrazione nelle aree di crisi in ambito europeo,

impegna il Governo:

   ad attivarsi per adottare ogni iniziativa utile volta a favorire e ad accrescere l'utilizzo da parte dell'Italia, quale «grande pagatore» e sottoscrittore di quote di capitale della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, degli strumenti finanziari messi a disposizione dalla Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, anche rimuovendo gli eventuali ostacoli burocratici e amministrativi che impediscono il ricorso alle sue procedure di finanziamento;
   a promuovere iniziative in ambito nazionale, locale e territoriale per informare e far conoscere opportunità e potenzialità offerte dagli strumenti finanziari della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, in particolare per ciò che riguarda i finanziamenti di progetti in grado di favorire la creazione di nuovi posti di lavoro e il mantenimento in vita di micro e piccole imprese, di sostenere l'integrazione sociale, infrastrutturale a vocazione sociale (case di riposo per anziani, carceri, scuole), ambientale (protezione del territorio da catastrofi naturali, bonifiche e salvaguardia del patrimonio storico e culturale), di tutelare le fasce più deboli della popolazione, anche mediante il contrasto di fenomeni di xenofobia;
   a sostenere il coordinamento con i diversi strumenti di leva finanziaria dell'Unione europea, intervenendo, altresì, per semplificare i meccanismi di assistenza finanziaria e pervenire ad una maggiore accessibilità ai finanziamenti della Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa, allo scopo di favorire in via prioritaria gli Stati membri che versano in una situazione di grave crisi economica e di perdurante spirale recessiva;
   ad adoperarsi affinché siano intensificate le iniziative congiunte fra le diverse banche europee di garanzia e di investimento, con un pacchetto di misure volto a rafforzare i programmi della Commissione europea;
   ad attivarsi in tutte le sedi opportune per sostenere ed estendere alcune forme pilota di garanzia, tra cui lo strumento di condivisione dei rischi, attuate in particolare mediante azione congiunta di Banca europea per gli investimenti e il Fondo europeo per gli investimenti e la Commissione europea, per incoraggiare le banche a erogare prestiti alle piccole e alle medie «imprese innovative», in sostegno di attività di ricerca e sviluppo.
(1-00384) «Berlinghieri, Pastorino, Battaglia, Bonomo, Casellato, Chaouki, Culotta, Gianni Farina, Giachetti, Giulietti, Giuseppe Guerini, Iacono, Mosca, Moscatt, Nardella, Picierno, Scuvera, Vaccaro, Ventricelli, Alfreider».


   La Camera,
   premesso che:
    eccezionali eventi atmosferici hanno colpito il territorio veneto nel periodo dal 30 gennaio al 18 febbraio 2014. Il maltempo e l'intensità della caduta di pioggia e neve hanno determinato varie situazioni di criticità, gravi disagi alla popolazione, danni consistenti ai beni pubblici e privati e alle attività economiche e produttive: esondazioni di fiumi, fenomeni di dissesto idrogeologico, strutture arginali fortemente indebolite, innesco di valanghe e di movimenti franosi, interruzione di collegamenti viari e servizi essenziali, innalzamento delle falde freatiche, mareggiate sulla costa con erosione degli arenili; inoltre, tali eccezionali eventi hanno gravemente compromesso la sicurezza del territorio, determinando situazioni di pericolo per la pubblica incolumità;
    ad una prima stima, i danni risulterebbero essere superiori ai 500 milioni di euro, di cui una parte è stata impegnata per assicurare le necessarie operazioni di soccorso alle popolazioni colpite per avviare i primi interventi provvisionali necessari a garantire la pubblica incolumità;
    quasi contemporaneamente eventi simili hanno riguardato i territori emiliani già colpiti dal sisma del maggio 2012, aggravando ulteriormente la situazione già fortemente critica della popolazione e del contesto economico e produttivo della zona;
    nella giornata di domenica 19 gennaio 2014, ha ceduto l'argine del fiume Secchia, in località San Matteo, a Modena, aprendo una falla a circa 3 chilometri a valle della città di Modena; circa 13 milioni di metri cubi d'acqua hanno invaso vaste aree della pianura modenese: in particolare, i comuni di Bastiglia e Bomporto e importanti zone dei comuni di Modena, San Prospero, Camposanto, Medolla, San Felice sul Panaro e Finale Emilia;
    oltre 1500 cittadini si sono rivolti ai centri operativi comunali, più di 800 hanno ottenuto assistenza negli 8 centri di prima accoglienza e nelle strutture alberghiere attivate da Federalberghi, mentre migliaia di cittadini sfollati hanno provveduto a reperire un'autonoma sistemazione;
    una persona di Bastiglia, Giuseppe Oberdan Salvioli, è deceduto nel tentativo di portare soccorso ai propri concittadini travolti dall'onda di piena;
    attraverso apposita procedura si stanno rilevando i danni precisi, che ammonterebbero a quasi 400 milioni di euro, e in ogni caso 1.800 aziende hanno interrotto la produzione, oltre 5.000 addetti si sono trovati senza lavoro, 2.500 ettari di produzioni agricole sono stati invasi dall'acqua;
    drammatica, in particolare, è la situazione delle imprese agricole del territorio modenese alluvionato, sia per la perdita dei raccolti, sia per la distruzione di impianti ed infrastrutture, sia per la necessità di dover bonificare i suoli;
    il commercio e le attività artigianali hanno subito danni ingentissimi, segnatamente nei due centri cittadini di Bastiglia e Bomporto, dove le acque hanno superato il metro e mezzo di altezza dentro i locali, deteriorando irrimediabilmente impianti, macchinari, merci ed altro;
    l'alluvione non solo ha provocato danni rilevanti, ma rischia di dare il colpo di grazia a tante piccole e medie imprese locali che già avevano subito il terremoto nel maggio del 2012, tanto che è a rischio l'intera economia della provincia emiliana;
    le intense perturbazioni che hanno interessato tutto il nord del Paese, a partire dalla fine di gennaio 2014, hanno determinato situazioni di grande criticità nel bellunese per le abbondanti nevicate e in molte località dell'Agordino, del Comelico e del Cadore, dove sono state migliaia le utenze senza corrente elettrica per giorni, tanto da costringere l'esercito ad intervenire al fianco dei volontari e dei pompieri;
    il maltempo ha fatto crescere in modo pauroso e con grande rapidità il livello dei principali fiumi vicentini e padovani; vi sono state strade e case sott'acqua nei comuni localizzati lungo l'asta del Bacchiglione, del Bisatto e del Fratta Gorzone, dove i livelli hanno superato quelli raggiunti nell'alluvione del 2010. Alcune delle situazioni più difficili sono state registrate nei comuni di Bovolenta, di Battaglia Terme, di Montegrotto Terme e di Selvazzano Dentro, Megliadino San Vitale, Merlara e Lozzo Atestino nel padovano;
    il Veneto orientale ha subito l'effetto combinato dei corsi d'acqua secondari del proprio territorio e il contemporaneo riversamento del sistema idraulico del vicino Friuli Venezia Giulia;
    le ingentissime precipitazioni hanno saturato fin quasi al collasso le opere di difesa idraulica (che dovranno essere ripristinate con la massima urgenza), causato centinaia di frane con numerose interruzioni della viabilità in tutte le zone montane, pedemontane e collinari; peraltro le tracimazioni della rete idraulica secondaria hanno determinato l'evacuazione di centinaia di persone e diffusi danni ad abitazioni, imprese, esercizi commerciali ed edifici pubblici;
    sono pesanti i danni all'agricoltura e alle produzioni agricole: risulta compromesso il raccolto dei cereali e degli ortaggi in pieno campo, mentre nelle serre le coltivazioni sono state danneggiate dalle muffe causate dall'umidità; sono danneggiate anche le produzioni di eccellenza del settore vitivinicolo messo in ginocchio per i danni ai vigneti, alle cantine, alle attrezzature e alle strutture;
    sono finiti sott'acqua allevamenti avicoli e sono annegati circa 12 mila pulcini e 30 mila polli, mentre nella zona di Belluno gli allevatori sono stati costretti a gettare il latte che non sono riusciti a trasportare per l'isolamento causato dalla neve;
    oltre al versante produttivo, si sono verificati danni anche alle strutture e alle infrastrutture agricole: da stime della Coldiretti sembra che i danni all'agricoltura nelle aree alluvionate superino i 10 milioni di euro;
    analoghe criticità emergono dalle stime riferite all'industria del turismo, che ha visto, di fatto, compromessa l'intera stagione invernale, in una realtà come quella del Veneto che rappresenta la prima regione in termini di presenze su scala nazionale. A tale riguardo basti il dato reso noto dall'Associazione nazionale esercenti funiviari (Anef), che stima in milioni di euro i danni a carico delle infrastrutture al servizio del turismo invernale;
    in questo quadro è evidente che le conseguenze finanziarie per i bilanci degli enti locali saranno molto pesanti, dovendo essi affrontare una serie di spese non programmate per garantire il ritorno alla normalità;
    per i comuni del litorale veneziano si aggiungono i costi riferiti alla pulizia dei detriti depositati a seguito delle violente mareggiate abbattutesi sulle spiagge e il loro smaltimento, oltre alle spese necessarie al ripristino delle infrastrutture e rilasciamento degli arenili;
    la regione Veneto, con decreto, ha dichiarato lo stato di calamità ed ha erogato, per le prime necessità, un milione di euro. Inoltre, ha avviato l’iter istituzionale per il riconoscimento, da parte del Governo, dello stato di crisi e dello stato di calamità per tutto il territorio regionale, allo scopo di ottenere i benefici economici previsti dalla legge;
    la regione Emilia-Romagna, con decreto, ha dichiarato lo stato di calamità e il 31 gennaio 2014 il Consiglio dei ministri ha deliberato lo stato di emergenza in conseguenza dei suddetti eventi alluvionali verificatisi nei giorni dal 17 al 19 gennaio 2014, nella provincia di Modena;
    il verificarsi di condizioni meteorologiche estreme tende, da alcuni anni, ad essere talmente frequente da non poter più essere gestito come evento straordinario, in considerazione dei rilevanti danni arrecati alle popolazioni, al territorio, all'agricoltura e alle imprese; è necessario quindi assicurare maggiori spazi di azione alle regioni e agli enti locali liberando le necessarie risorse dai limiti del patto di stabilità affinché possano essere utilizzate per mettere in sicurezza il territorio e i terreni agricoli; inoltre è cruciale semplificare le procedure che coinvolgono le regioni, i comuni e lo Stato nella gestione degli interventi di difesa del suolo e di ripristino del territorio;
    i dati del dissesto del nostro territorio sono noti da tempo: l'82 per cento dei Comuni è esposto a rischio idrogeologico, sono oltre 5 milioni e 700 mila i cittadini che vivono in aree di potenziale pericolo e 1,2 milioni gli edifici che insistono su queste aree. Secondo l'ultimo rapporto Ance Cresme, in poco più di cento anni ci sono stati 12.600 tra morti, dispersi o feriti e più di 700 mila sfollati. Tra il 2002 e il 2014 si contano 293 morti, 24 solo nel 2013, dal 2002 ad oggi si sono verificati quasi 2.000 episodi di dissesto e ancora più sconcertante è il dato del gennaio 2014: in soli 23 giorni (data dell'ultima rilevazione) si sono registrati 110 episodi in tutto il territorio italiano;
    inoltre, circa una scuola su dieci è in potenziale pericolo perché sorge in aree a rischio frana o alluvione: sono 6.400 edifici scolastici sui 64.800 totali presenti in Italia. Lo stesso discorso vale per gli ospedali, con 550 strutture sanitarie che si trovano in zone a rischio. Non va meglio per quanto riguarda gli stabilimenti industriali, 46 mila in territori colpiti dal dissesto che salgono a 460 mila se si contano anche uffici e negozi;
    come ha reso noto l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni (Anbi), nel corso della presentazione del quinto Piano per la riduzione del rischio idrogeologico che ha avuto luogo lo scorso mese di febbraio 2014, i decreti ministeriali di riconoscimento dei danni derivanti da piogge alluvionali persistenti a strutture e infrastrutture, nel periodo dal 2002 al 2012, hanno erogato risorse pari a 2.298,28 milioni di euro, di cui 1.233,37 milioni di euro per danni causati alle strutture e 1.064,91 milioni di euro per danni causati alle infrastrutture;
    è urgente che il Governo e le regioni coinvolte, d'intesa con gli enti locali e le associazioni imprenditoriali, affrontino la situazione nel suo complesso, individuando i siti a rischio di dissesto idrogeologico e le azioni necessarie per mettere in sicurezza il territorio,

impegna il Governo:

   nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica:
    a) a deliberare il riconoscimento – ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, come modificata dal decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012 – dello stato di emergenza anche per il territorio del Veneto colpito dagli intensi eventi meteorologici tra gennaio e febbraio 2014 entro e non oltre i termini contenuti nel decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4;
    b) ad adottare, coerentemente agli impegni assunti con l'ordine del giorno n. 9/2012-A/4, in sede di conversione del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, un'iniziativa specifica per la ricostruzione nelle aree colpite sia dal sisma del 2012 che dall'alluvione del gennaio 2014, al fine di assicurare procedure integrate e coerenti;
    c) ad assumere iniziative, in tempi rapidi, mediante le amministrazioni territoriali competenti, per la concessione di contributi per la riparazione, il ripristino o la ricostruzione degli immobili di edilizia abitativa e ad uso produttivo, agricolo e zootecnico del Veneto e dell'Emilia-Romagna, in relazione al danno effettivamente subito, fino alla misura massima del 100 per cento del costo ammesso e riconosciuto, in particolare nei casi in cui i danni subiti condizionino la ripresa dell'attività economica e produttiva;
    d) ad avviare, in tempi rapidi, con priorità per le zone alluvionate delle regioni Veneto ed Emilia-Romagna, gli interventi di messa in sicurezza del territorio mediante appositi piani sul dissesto idrogeologico immediatamente cantierabili, integralmente finanziati con risorse escluse dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del Patto di stabilità interno;
    e) ad adottare iniziative, coerentemente con quanto già previsto in analoghe situazioni, per la sospensione dei termini di pagamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria e dei conseguenti adempimenti in scadenza tra il 15 gennaio 2014 e il 31 ottobre 2014 per i contribuenti residenti nelle aree gravemente colpite, nonché per la sospensione del pagamento delle rate di adempimenti contrattuali, compresi mutui e prestiti, per l'anno 2014, facendo sì che il pagamento degli adempimenti tributari e non tributari dopo la sospensione dei termini sia effettuato in forma rateale, senza applicazione di sanzioni e interessi;
    f) ad assumere iniziative per prevedere agevolazioni fiscali, integrando quelle già contenute all'interno della legge di stabilità 2014, per le zone colpite dal sisma del maggio 2012, in grado di corrispondere alle nuove e maggiori esigenze poste dalle imprese colpite anche dall'alluvione;
    g) ad assumere iniziative per consentire, alle amministrazioni comunali maggiormente colpite, un allentamento dai vincoli finanziari derivanti dalla legislazione vigente, al fine di permettere sia la ricostruzione materiale sia l'erogazione dei servizi alla popolazione colpita in pochi mesi dalla doppia calamità del sisma e dell'alluvione;
    h) a dare un'immediata attuazione all'articolo 1, comma 7, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, destinando una quota significativa delle risorse del fondo delle politiche di coesione ad interventi di messa in sicurezza del territorio e prevenzione del rischio idrogeologico, con l'obiettivo di garantire un flusso di risorse costanti e certe per tali interventi, destinandole con priorità alla messa in sicurezza e alla difesa del suolo delle aree alluvionate;
    i) ad approvare in tempi brevi la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, con un sistema di incentivazione per lo sviluppo di politiche locali volte a costruire sistemi urbani, territori e città più resilienti, anche al fine di agganciare i prossimi fondi comunitari messi a disposizione dalla Commissione europea mediante il bando relativo al Programma per l'ambiente e l'azione per il clima LIFE 2014-2020 (800 milioni di euro), i fondi strutturali per la coesione territoriale, per la politica agricola comunitaria e per la pesca, i nuovi strumenti finanziari ed assicurativi per investimenti infrastrutturali resilienti, il programma Horizon 2020 per la ricerca e lo sviluppo, e i ricavi delle aste delle quote di emissione EU-ETS per finanziare interventi di adattamento;
    l) ad assumere iniziative volte a garantire congrue risorse al Fondo per la protezione civile per le alluvioni, di cui alla legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 290, valutando l'opportunità di istituire un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, per poter intervenire in maniera immediata ed automatica, in favore delle popolazioni colpite, in caso di eventi atmosferici estremi e dei conseguenti fenomeni di dissesto idrogeologico;
    m) a valutare l'opportunità di prevedere per la regione Veneto e la regione Emilia-Romagna dei meccanismi premiali in materia fiscale che generino risorse vincolate alla messa in sicurezza del territorio, in conformità ai principi della legge n. 42 del 2009 in materia di federalismo fiscale in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione.
(1-00385) «Moretto, Baruffi, Ghizzoni, Braga, Borghi, Anzaldi, Arlotti, Bolognesi, Bratti, De Maria, De Micheli, Marco Di Maio, Fabbri, Carlo Galli, Gandolfi, Incerti, Iori, Kyenge, Lattuca, Lenzi, Maestri, Marchi, Montroni, Pagani, Petitti, Giuditta Pini, Richetti, Zampa, Casellato, Crimì, Crivellari, Dal Moro, D'Arienzo, De Menech, Ginato, Martella, Miotto, Mognato, Moretti, Murer, Naccarato, Narduolo, Rotta, Rubinato, Sbrollini, Zardini, Zoggia, Mariastella Bianchi, Carrescia, Cominelli, Dallai, Decaro, Gadda, Ginoble, Tino Iannuzzi, Manfredi, Mariani, Marroni, Mazzoli, Morassut, Giovanna Sanna, Ventricelli, Catania, Molea».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    nei giorni scorsi il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho ha dichiarato alla stampa di essere convinto «che ci sia un equivalente della Terra dei fuochi campana anche in Calabria» e che «varie sono le notizie sui rifiuti sversati intorno al territorio di Reggio Calabria e un'attività di contrasto su questo ancora non è stata compiuta, è da fare.»;
    gli ultimi dati sulle ecomafie testimoniano che il 45,7 per cento dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011 (+13,2 per cento e dalla Toscana, che sale al sesto posto, con 2.524 illeciti (+15,4 per cento). In tale contesto il caso Calabria è di particolare problematicità e pericolosità poiché, come emerge dalla relazione della commissione guidata dal prefetto Valerio Valenti, che ha portato allo scioglimento del comune di Reggio Calabria (9 ottobre 2012), la debolezza strutturale della macchina amministrativa ha rappresentato «un terreno fertile per la criminalità organizzata, nel tentativo di piegare al proprio tornaconto – anche per mera riaffermazione del principio del predominio territoriale – segmenti della amministrazione pubblica locale»;
    il comune di Reggio è, tuttavia, solamente l'apice di quello che si configura come un vero e proprio «caso Calabria»; infatti è del 1994 l'esposto che ha dato vita ad una delle vicende più inquietanti legate ai traffici e agli smaltimenti illegali di rifiuti nella storia del nostro Paese: quella delle cosiddette «navi a perdere», o navi dei veleni per il presunto carico di scorie pericolose e radioattive, fatte affondare dolosamente nel Mediterraneo e in particolare al largo delle coste calabresi;
    l'indagine svolta dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (2009-2011) ha consentito di mettere in evidenza come, a distanza di oltre tredici anni dall'istituzione dell'ufficio del commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Calabria nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, poi ampliato al settore delle acque e delle bonifiche per gli anni compresi dal 2002 al 2008, non è stato realizzato nessuno degli obiettivi previsti dai piani regionali per i rifiuti, predisposti dal commissario delegato per l'emergenza rifiuti, nell'ambito di una suddivisione del territorio regionale in tre macroaree («Calabria Nord», «Calabria Centro», «Calabria Sud»);
    sui costi della gestione commissariale, l'inchiesta riferisce che nel periodo 1998-2006 sono state gestite ingenti risorse economiche dall'ufficio del commissario, pari a circa 700 milioni di euro, risorse che, nel 2011, sono lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti;
    la situazione risulta aggravata dal fenomeno delle infiltrazioni mafiose e dalle inefficienze del sistema pubblicistico che, secondo la Commissione d'inchiesta parlamentare, hanno finito con il favorire l'inserimento nel ciclo dei rifiuti della criminalità organizzata, che è particolarmente presente nella provincia di Reggio Calabria, laddove, a fronte di un giro d'affari di complessivi 150 milioni di euro all'anno, pari al 2 per cento del prodotto interno lordo del territorio, solo 12 imprese delle 161 che si occupano di rifiuti hanno ottenuto la certificazione antimafia negativa, mentre 115 imprese risultano addirittura sconosciute al sistema;
    in tale contesto ambientale la Calabria è divenuta terra di smaltimento di rifiuti speciali, anche pericolosi, posto che l'istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (ISPRA) ha calcolato una capacità di smaltimento di rifiuti speciali in impianti della Calabria di quasi 43 mila tonnellate per anno, pari a circa il 7 per cento dei rifiuti nazionali, quantitativo che non corrisponde assolutamente alla produzione di rifiuti speciali nella regione;
    in particolare la Commissione d'inchiesta parlamentare ha messo in luce come l'inadeguatezza del sistema commissariale abbia causato notevoli problemi anche nella gestione della bonifica del sito di interesse nazionale (SIN) di Crotone, Cerchiara e Cassano, in cui diversi comuni, tra i quali la città di Crotone, sono afflitti da un grave inquinamento ambientale, determinato dalla «ferrite di zinco» dello stabilimento «ex Pertusola» di Crotone e dalla «fibretta di amianto in polvere», usata fino agli anni Novanta negli stabilimenti «ex Montedison» di Crotone, nonché dalla «fosforite» derivante dalla produzione di fertilizzanti in questi ultimi stabilimenti;
    le indagini svolte dalla Commissione e le audizioni, nel 2009 e nel 2010, del dottor Raffaele Mazzotta, procuratore della Repubblica di Crotone, hanno messo in luce una situazione di assoluta drammaticità ambientale con rischi seri e concreti per la salute dei cittadini in alcune aree del crotonese che vedono la presenza di discariche non protette di prodotti altamente nocivi per l'ambiente e per la salute;
    nell'ambito del procedimento penale per disastro ambientale da inquinamento denominato inchiesta black mountain nel 2008 è stato eseguito il sequestro preventivo di vaste discariche non autorizzate di rifiuti pericolosi; i suddetti rifiuti pericolosi, a partire dal 1999, sono stati smaltiti in enormi quantitativi e depositati in diverse aree lungo tutta la costa crotonese senza alcuna misura di salvaguardia; nel corso degli anni le scorie tossiche sono state utilizzate per realizzare, mediante strati complessivi anche di alcuni metri di spessore, il fondo di numerosi edifici pubblici e privati, peraltro non tutti individuati, tra cui anche complessi scolastici;
    i risultati scientifici dei carotaggi disposti dalla procura di Crotone hanno consentito di verificare la presenza di arsenico, nichel, vanadio, piombo e zinco in quantità ben al di sopra dei limiti consentiti;
    in merito allo stato di avanzamento della bonifica del sito SIN di Crotone, secondo i dati aggiornati a marzo 2013 dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, risulta che la caratterizzazione dei sedimenti riguarda solo il 42 per cento delle aree e i progetti di bonifica approvati coprono appena il 31,7 per cento della superficie;
    le risorse disponibili per la bonifica ammontano a 19 milioni e 916 mila euro a valere sui fondi del programma nazionale di bonifica del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a cui si devono aggiungere le somme liquidate dalla società Syndial a titolo di risarcimento del danno ambientale, pari a 56 milioni e 200 mila euro oltre gli interessi, assegnate sempre al Ministero dell'ambiente;
    è necessario procedere con urgenza alle bonifiche programmate, a partire dall'area archeologica Antica Kroton per la quale è già stato sottoscritto, nel mese di agosto 2013, un accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Ministero dello sviluppo economico, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la regione Calabria;
    vi sono poi fenomeni – definiti isolati – di imprenditori che provvedono, di volta in volta, a smaltire, in luoghi di fortuna o nelle immediate adiacenze delle imprese, rifiuti prodotti nell'ambito dell'attività imprenditoriale svolta. È questo il caso dell'industria tessile, denominata «ex Marlane», presente sul territorio di Praia a Mare, ma ormai dismessa nell'anno 2004;
    al riguardo, la dottoressa Antonella Lauri, sostituto procuratore della Repubblica di Paola, ha riferito che, a seguito di attività di campionamenti, carotaggi e analisi dei campioni raccolti, è stata scoperta e accertata la presenza nell'area antistante lo stabilimento industriale non solo di bidoni e fusti contenenti i coloranti utilizzati nell'industria, ma anche di metalli pesanti e di ammine aromatiche in altissime concentrazioni. Vi è un avviso di conclusioni delle indagini preliminari sul fatto che, all'evidenza, le persone che nel corso del tempo si sono succedute alla guida dell'impresa hanno ritenuto di non smaltire in maniera lecita i rifiuti, ma di interrarli in alcune buche realizzate in quest'area, di fatto di proprietà privata, la quale presentava un altissimo grado di contaminazione da metalli pesanti, tra cui il cromo esavalente;
    ad aggravare la situazione vi è il fatto che il disastro ambientale dell'ex Marlane è stato causato in un'area a vocazione mista industriale, residenziale e turistica, ubicata nelle immediate vicinanze del litorale marino, sul quale sono state rinvenute altissime concentrazioni di metalli pesanti, quali nichel, vanadio, cromo esavalente, cromo totale, mercurio, zinco, arsenico, piombo e PCB;
    l'inquinamento industriale dell'area di Praia a Mare presenta problematiche analoghe a quelle di Crotone; a Praia a Mare, come a Crotone, si è verificato uno sfruttamento criminoso del territorio e delle persone, le cui conseguenze negative sono destinate a durare ancora per molto tempo e a lasciare il loro carico negativo anche alle future generazioni; una situazione preoccupante non solo dal punto di vista ambientale ma anche sanitario; nelle aree dove sono stati stoccati i rifiuti pericolosi l'incidenza delle neoplasie è elevata e il dato sulla mortalità è superiore a quello nazionale;
    ulteriori segnalazioni sono giunte nel corso degli ultimi anni, sempre nell'ambito delle indagini predisposte dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, sull'interramento e sul tombamento dei rifiuti pericolosi e radioattivi in Aspromonte, in particolare si fa riferimento ad una informativa riguardante la località di Pettotondo di Mammola, dove, in una cava, grossi blocchi di cemento sarebbero stati interrati di notte;
    il direttore generale dell'ArpaCal ha lanciato nei giorni scorsi l'allarme sui decessi per neoplasie nella zona di Africo Nuovo dove, sulla base di una informativa dei servizi segreti degli anni ’90, sarebbe stato autorizzato dal boss della zona, Giuseppe Morabito, l'interramento di rifiuti tossici, presumibilmente radioattivi, in cambio di una partita di armi;
    secondo la denuncia pubblica di due consiglieri, la regione Calabria non si preoccuperebbe affatto della presenza sul territorio di aree inquinate e tossiche anche in presenza di situazioni molto pericolose quali discariche abbandonate, centri storici invasi dall’eternit, falde acquifere contaminate; prova ne è il fatto che nel 2011 l'attuale giunta regionale ha revocato il bando riguardante la bonifica di alcuni siti contaminati, emanato nel marzo 2010 dalla precedente giunta e finanziato con i fondi POR Calabria Fesr 2007-2013, a distanza di tre anni più nulla è stato fatto e il rischio di perdere definitivamente i fondi europei è imminente,

impegna il Governo:

   a promuovere per quanto di competenza, in tempi rapidi lo svolgimento di indagini tecniche per la mappatura, anche mediante strumenti di telerilevamento, dei terreni della regione Calabria, al fine di accertare l'eventuale esistenza di contaminazione a causa di sversamenti, interramenti e smaltimenti illeciti di rifiuti;
   a promuovere per quanto di competenza, azioni e interventi di monitoraggio e di tutela ambientale della Calabria mediante un programma straordinario e urgente di interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori interessati;
   ad assumere iniziative per prevedere che agli interventi di risanamento ambientale dei siti inquinati della regione Calabria siano destinate le somme di denaro e le risorse oggetto di confisca penale a seguito di sentenza definitiva od oggetto di misure di prevenzione nel corso di procedimenti per traffico illecito di rifiuti o associazione finalizzata a tale reato, commessi nel territorio della regione Calabria;
   ad assumere iniziative per prevedere che, su proposta dell'Istituto superiore di sanità sia definita, in sede di prima applicazione per il biennio 2014-2015, la tipologia di esami per il controllo dello stato di salute della popolazione residente nei comuni della Calabria che risultino interessati da inquinamento causato da sversamenti illegali e smaltimenti abusivi di rifiuti e che tali esami siano effettuati senza alcuna compartecipazione alla spesa da parte dei pazienti;
   a prevedere la possibilità che i prefetti delle province della regione Calabria, nell'ambito delle operazioni di sicurezza e di controllo del territorio prioritariamente finalizzate alla prevenzione dei delitti di criminalità organizzata e ambientale e nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili, si avvalgano prioritariamente di personale militare delle Forze armate.
(7-00310) «Borghi, Oliverio, Stumpo, Bratti, Realacci, Magorno, Giovanna Sanna, Tino Iannuzzi, Manfredi, Censore, Braga».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la vicenda dell'emergenza rifiuti nell'area partenopea di qualche anno fa, unitamente alla recente vicenda della «Terra dei Fuochi», hanno determinato, soprattutto mediaticamente, un impatto devastante sul settore agricolo e turistico dell'intera regione Campania;
    le informazioni imprecise o, ad ogni modo generiche, fornite dai mezzi di comunicazione di massa sulla situazione ambientale di alcuni territori delle province di Napoli e di Caserta, in cui sono stati compiuti gravissimi atti di smaltimento illecito di rifiuti speciali e pericolosi da parte personaggi della malavita, hanno generato una indiscriminata penalizzazione di tutto il comparto agricolo dell'intera Campania facendo passare, senza distinzione e senza supporti di riscontri scientifici o, comunque ufficiali, il concetto che le produzioni agricole ed agroalimentari della Campania siano dannose per la salute;
    le istituzioni competenti in materia di sicurezza fitosanitaria e alimentare possono dimostrare che oggi in Italia e, quindi anche in Campania, è praticamente impossibile mettere in commercio prodotti che non siano stati sottoposti a verifiche sanitarie preventive che ne abbiano escluso la non corrispondenza ai valori di sicurezza previsti dalle leggi nazionali, dai regolamenti europei e dai codici commerciali internazionali;
    tutte le produzioni agricole vegetali e zootecniche della Campania, che vengono immesse nei mercati nell'ambito dei circuiti regolamentati dalle vigenti normative sanitarie ed ambientali sono sane e sicure, ma a causa della psicosi sorta a seguito dell'emergenza rifiuti e soprattutto della recente vicenda della «Terra dei Fuochi», cui si sono sommate deprecabili pratiche speculative e di concorrenza sleale sia da parte di commercianti che di determinate industrie di trasformazione alimentare, le produzioni oggi non hanno più mercato e rimangono invendute presso le aziende agricole che le hanno coltivate o presso i magazzini che le hanno condizionate per la vendita;
    si sta assistendo in maniera inerme alla decapitazione delle aziende agricole ed agroalimentari della Campania ed alla distruzione di un settore produttivo di primaria importanza per la regione. La regione Campania, infatti, è la terza regione italiana per produzione agricola con oltre 136 mila imprese e 65 mila addetti impegnati nel settore primario. Oltre il 95 per cento del territorio agricolo regionale è pienamente sano e salubre, per nulla coinvolto con il fenomeno della «Terra dei Fuochi» con produzioni controllate e sottoposte a verifica prima di essere messe in commercio;
    gli effetti devastanti dei fatti criminali relativi allo smaltimento illegale dei rifiuti in alcuni circoscritti territori della Campania si stanno riverberando con maggiore acutezza proprio in questi giorni, soprattutto nei comuni agricoli della zona tirrenica della provincia di Caserta dove le produzioni ortofrutticole rimangono invendute e destinate allo smaltimento così come accade anche per le produzioni lattiero casearie bufaline che subiscono cali di vendita superiori al 40 per cento rispetto alle medie storiche del settore;
   la regione Campania ha annunciato un programma di sensibilizzazione e di informazione e promozione sulla sicurezza delle proprie produzioni agroalimentari rivolto soprattutto all'estero ed ai consumatori del Nord del Paese con l'auspicio di riconquistare la loro fiducia e di interrompere le speculazioni messe in atto in maniera deplorevole da alcuni operatori nazionali oltre che da soggetti locali che cercano di approfittare della disperazione degli agricoltori,

impegna il Governo

ad attivarsi con urgenza, anche tramite un organico raccordo con la regione Campania, per dare risposte immediate e risolutive alla situazione di crisi in cui sono precipitate le produzioni agroalimentari campane e le relative imprese agricole a causa degli effetti mediatici e speculativi provocati dal fenomeno degli illeciti ambientali portati alla luce da pentiti della camorra, in una zona conosciuta come «Terra dei Fuochi».
(7-00309) «Franco Bordo, Palazzotto, Migliore, Scotto, Ferrara, Giancarlo Giordano, Ragosta».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CINZIA MARIA FONTANA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 482, della legge n. 228 del 2012 (legge di stabilità 2013), ha stabilito la proroga – per il periodo dal 1o gennaio 2014 al 31 dicembre 2014 – di misure sperimentali per l'incremento della produttività del lavoro attraverso l'introduzione di una speciale agevolazione;
   il medesimo comma ha inoltre fissato al 15 gennaio 2014 il termine per l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, finalizzato alla definizione delle modalità di attuazione delle misure di cui sopra;
   a tutt'oggi il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non risulta ancora adottato;
   il mancato rispetto dei termini per l'emanazione dei criteri applicativi, insieme alla riduzione dei fondi disponibili, sta depotenziando uno strumento che avrebbe invece dovuto contribuire all'incremento degli accordi sulla produttività del lavoro –:
   entro quali termini si intenda provvedere all'adozione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, così come disposto dall'articolo 1, comma 482, della legge n. 228 del 2012, anche in considerazione della valenza sociale ed economica della disposizione. (4-04086)


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel primo anno di esperienza parlamentare l'interrogante ha più volte riscontrato che, dal momento in cui viene dato l'annunzio della delibera del testo di un decreto-legge da parte del Consiglio dei ministri (e viene emesso il relativo comunicato stampa sul sito web istituzionale di Palazzo Chigi), trascorre anche una settimana prima che il testo venga effettivamente pubblicato in Gazzetta Ufficiale affinché possa entrare in vigore;
   per esempio, il decreto-legge cosiddetto «del fare» fu approvato dal Consiglio dei ministri n. 9 del 15 giugno 2013, e in pari data tale approvazione fu annunziata con comunicato pubblicato sul sito web istituzionale del Governo. La pubblicazione è poi avvenuta nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 144 del 21 giugno 2013 – Suppl. Ordinario n. 50;
   ancora, il decreto-legge concernente «un piano d'azione per l'emergenza della cosiddetta “terra dei fuochi”» è stato approvato nella seduta del Consiglio dei ministri del 3 dicembre 2013. Tale decreto-legge è stato poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 289 del 10 dicembre 2013;
   da ultimo, si può constatare che tale modo di procedere che l'interrogante giudicata disdicevole si perpetua anche con il Governo Renzi: sempre sui sito istituzionale si può constatare che il Consiglio dei ministri n. 4, tenutosi lo scorso 28 febbraio, avrebbe approvato, tra gli altri, il seguente provvedimento: decreto-legge recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza locale, nonché misure volte a garantire la funzionalità di enti locali – decreto-legge»; tale decreto-legge sarebbe stato poi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Serie Generale n. 54 del 6 marzo 2014;
   tale impropria prassi, che già di per sé si colloca nel quadro dell'abuso della decretazione d'urgenza che l'interrogante giudica in contrasto con la Costituzione e che il gruppo del MoVimento 5 stelle ha più volte denunziato, pone due ordini di problemi. In primo luogo, non si capisce quali siano le reali necessità ed urgenza ex articolo 77 Cost. di un decreto-legge che, una volta deliberato dall'organo competente, può attendere una settimana o più per la sua pubblicazione; in secondo luogo, da tale cattiva abitudine si può con evidenza desumere che, in realtà, il Consiglio dei ministri non approva il testo del decreto-legge, ma al più una serie di concetti che poi dovranno essere tradotti (non si sa bene da chi) in un testo;
   tale prassi rappresenta una palese violazione della lettera c) del secondo comma dell'articolo 2 della legge 23 agosto 1988, n. 400, dal momento che non è verosimile che la Presidenza della Repubblica necessiti di sette giorni per procedere all'esame del testo che il Presidente della Repubblica deve emanare –:
   che cosa accada nel lasso di tempo intercorrente tra la deliberazione del testo e la sua effettiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e se il Governo non ritenga di dover porre fine a questa prassi che si pone ben oltre i margini della legittimità e dell'opportunità politica. (4-04101)

AFFARI ESTERI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri, per sapere – premesso che:
   dei 17 Paesi europei membri del DAC (Development Assistance Committee) solo la Danimarca, la Norvegia, il Lussemburgo e la Svezia hanno versato lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo per gli aiuti pubblici allo sviluppo dedicati ai Paesi più poveri del mondo. Mediamente l'Europa è allo 0,35 per cento del prodotto interno lordo con tendenza alla diminuzione dei fondi per la cooperazione internazionale allo sviluppo;
   l'Italia nel 2012 ha versato solo lo 0,12 per cento del prodotto interno lordo collocandosi nel gradini più bassi tra i Paesi europei;
   in particolare nell'aiuto pubblico allo sviluppo per la salute, sono venuti meno gli impegni assunti a livello internazionale dall'Italia e purtroppo anche dalla maggioranza dei Paesi donatori europei;
   eppure negli ultimi 2 decenni la salute globale ha progredito come mai in precedenza, e con i fondi stanziati dai Paesi ricchi sono stati affrontati in modo efficace malattie trasmissibili come HIV, tubercolosi, malaria, infezioni tropicali ed altre gravi malattie che colpiscono i Paesi più poveri del mondo;
   il viceministro agli affari esteri, Lapo Pistelli, in occasione della IV Conferenza di rifinanziamento del fondo globale per la lotta alle grandi pandemie, ha garantito l'impegno dell'Italia a versare 100 milioni di euro per il periodo 2014-2016;
   si spera che questo impegno sia onorato con serietà tenendo conto che sino al 2008 l'Italia è stato uno dei principali Paesi donatori e non a caso aveva un seggio nel consiglio di amministrazione del Fondo globale. Nel 2009 e nel 2010 l'Italia non ha versato niente, contravvenendo agli impegni sottoscritti, e per il periodo 2011-2013 non ha sottoscritto alcun impegno;
   di conseguenza, l'Italia ha perso il ruolo che occupava nella struttura gestionale e direttiva del Fondo. Tornare a finanziare il Fondo nel periodo 2014-2016 con 100 milioni è dunque un fatto significativo in positiva controtendenza;
   così come importante è l'impegno del Governo italiano con il DEF, approvato nel mese di aprile 2013, di arrivare allo 0,30 per cento del prodotto interno lordo per i fondi destinati alla cooperazione internazionale allo sviluppo nel periodo 2014-2017 –:
   quali iniziative abbia assunto per rispettare gli impegni sottoscritti per il rifinanziamento del Fondo globale per la salute e, più in generale, per l'aumento dei fondi destinati agli aiuti pubblici allo sviluppo.
(2-00465) «Melilla».

Interrogazione a risposta scritta:


   DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante è venuto a conoscenza che il signor Emad Haggag, cittadino egiziano in possesso della carta di soggiorno a tempo indeterminato, coniugato e convivente con una cittadina italiana e padre di una bimba di due anni nata in Italia, in data 22 agosto 2013 si trovava all'aeroporto del Cairo nel tentativo di riprendere l'aereo di ritorno per Torino, dove vive con la sua famiglia, quando le autorità aeroportuali lo sottoponevano a fermo;
   dopo una custodia cautelare di circa venti giorni, a quanto risulta dalla segnalazione pervenuta all'interrogante, il fermo veniva confermato e veniva di conseguenza disposto l'arresto per una durata di tre mesi in un non meglio specificato istituto di detenzione;
   la moglie di Emad Haggag, signora Milena Vale, provvedeva a contattare l'ambasciata egiziana in Italia chiedendo informazioni sulle sorti del marito, quando le veniva risposto che era in stato di fermo imposto dalle autorità egiziane, ma che non potevano riferire in ordine alle ragioni dello stato di detenzione;
   anche l'interrogante provvedeva a richiedere informazioni sulla vicenda in un primo momento all'Ambasciata d'Italia al Cairo, che dava riscontro – con comunicazione del 27 gennaio 2014 prot. n. 144 – evidenziando di non avere titolo a chiedere conto di un provvedimento adottato dalle autorità egiziane nei confronti di un loro cittadino;
   in un secondo momento l'interrogante chiedeva notizie del signor Emad Haggag anche all'ufficio consolare generale d'Egitto che dava riscontro esponendo di contattare l'ambasciata italiana a Il Cairo;
   gli articoli 37 e 45 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, stabiliscono che tra le funzioni delle missioni diplomatiche e degli uffici consolari è prevista quella di proteggere gli interessi nazionali e tutelare i cittadini e i loro interessi;
   seppur il provvedimento dell'autorità egiziana abbia ad oggetto la privazione della libertà personale di un cittadino straniero, è evidente che, di riflesso, alla luce del rapporto di coniugio e di filiazione con due cittadine italiane, detto provvedimento dell'autorità straniera va a toccare un interesse, costituzionalmente garantito agli articoli 29 e 30 Cost., di due nostre connazionali;
   inoltre, in ogni caso, ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 71 del 2011 l'ufficio consolare deve prestare assistenza anche ai non cittadini ai sensi delle vigenti disposizioni e che l'articolo 56 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 prevede che: «la missione diplomatica e l'ufficio consolare prestano, su istruzioni del Ministro, o d'iniziativa, nei casi di urgente e necessità, assistenza, nei limiti delle norme internazionali e degli usi locali, a persone che non abbiano la cittadinanza italiana e non godano sul posto di altra protezione diplomatica o consolare» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in narrativa;
   se e con quali modalità il Ministro intenda attivarsi al fine di chiedere informazioni in merito allo stato di detenzione del signor Emad Haggag ed in ordine ai motivi che hanno portato al provvedimento di privazione della libertà personale da parte dell'autorità egiziane;
   se e con quali modalità intenda, eventualmente anche ai sensi dell'articolo 27 del decreto legislativo n. 71 del 2011, prestare assistenza al signor Emad Haggag ricorrendone i presupposti. (4-04113)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MATARRELLI, DURANTI, FRATOIANNI, PANNARALE e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sito de Il Fatto quotidiano del 17 marzo 2014, ha ricostruito la vicenda dell'Area Micorosa, l'immensa discarica illegale all'interno della quale in questi decenni sono stati sversati i fanghi e i rifiuti tossici del petrolchimico di Brindisi;
   l'area Micorosa si trova all'interno del parco delle saline di Punta della Contessa, ed è un'area protetta, così come confermato anche dal nuovo strumento di programmazione di cui si è dotata la Puglia, ossia il Piano paesaggistico territoriale;
   nonostante questo in quell'area sono sepolti 1,5 milioni di metri cubi di cloruro di vinile, benzene, arsenico e altri inquinanti, tombati fino a cinque metri di profondità su 44 ettari di fronte al mare e con valori che superano i limiti di legge. È per questo che sulla zona vige un'ordinanza comunale che vieta l'accesso alle persone;
   Micorosa è zona contaminata, tant’è che per la sua bonifica lo Stato metterà a disposizione 50 milioni di euro, mentre sono incerti, attualmente, gli ulteriori 20 milioni di euro a carico di Syndial spa e Versalis spa, società partecipate da Eni, le società che di quell'inquinamento sarebbero le responsabili;
   il 6 febbraio 2014 il Tar di Lecce ha emesso una sentenza con la quale ha annullato l'ordinanza con cui la provincia di Brindisi, il 25 marzo 2013, aveva imposto a Edison, Versalis, Syndial, Eni e alla curatela fallimentare della Micorosa srl di effettuare la bonifica e il risanamento;
   come ricostruisce il sito de Il Fatto quotidiano del 9 febbraio 2014, i ricorsi al Tar delle suddette società Syndial e Versalis vengono accolti anche per un motivo: l'area rientra in un Sito di interesse nazionale (SIN) e ad ordinare la bonifica avrebbe dovuto essere non la provincia, bensì il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pure costituitosi in giudizio –:
   se non intenda attivarsi con urgenza al fine di garantire le operazioni di bonifica dell'area Micorosa. (4-04081)


   PETRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ondata di maltempo che ha investito il nostro Paese nei mesi scorsi ha provocato seri danni all'ambiente. Gli eventi atmosferici e le forti mareggiate che hanno colpito in particolare i comuni costieri della regione Marche, come la città di Porto Sant'Elpidio (FM), hanno lasciato sulle spiagge ingenti quantità di legname che deve essere rimosso prima dell'arrivo della stagione estiva;
   stando alla normativa vigente, i tronchi e gli arbusti sono considerati rifiuti solidi urbani e non possono quindi essere né bruciati, né presi dai cittadini e dalle imprese dotate di impianti a biomasse in grado di poterli impiegare per fini energetici. Pertanto, i costi di smaltimento del legname ammassato sulle spiagge spettano ai comuni colpiti, che devono farsi carico degli oneri derivanti dal trasferimento in discarica dei detriti;
   ai sensi dell'articolo 184-bis, introdotto dal decreto legislativo numero 205 del 2010 e contenuto nel Testo unico ambientale, si prevede la possibilità di «tracciare» le biomasse attualmente annoverate tra i rifiuti non pericolosi, permettendo così comuni interessati di smaltire in maniera gratuita tutto il materiale proveniente dai fiumi e che si riversa sulle spiagge;
   il Ministero dello sviluppo economico nel 2012 ha emanato un decreto sui sottoprodotti da impegnare ai fini energetici che, seguendo la logica del decreto legislativo numero 28 del 2011, definisce il nuovo sistema di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, tra cui le biomasse;
   tuttavia, il decreto attuativo del decreto ministeriale del 2012, che garantirebbe l'applicazione dell'articolo 184-bis e quindi un servizio gratuito di rimozione e smaltimento del legname, non è stato emanato dal Governo precedente e questa mancanza crea oggi un problema di ordine economico perché obbliga i comuni delle città colpite a farsi carico degli oneri di rimozione e smaltimento del legname attingendo direttamente dalle casse comunali;
   dato il difficile momento di congiuntura economica che il Paese sta attraversando, i comuni colpiti dalle mareggiate hanno sempre meno risorse a disposizione per fronteggiare i costi di smaltimento dei detriti, aggravando così la condizione in cui versano gli enti locali;
   le stesse amministrazioni comunali si trovano costrette a dover prelevare una parte delle risorse pubbliche per servizi che potrebbero essere forniti gratuitamente, anziché destinare quelle stesse somme ai servizi comuni per i propri cittadini;
   come dichiarato dallo stesso presidente della federazione nazionale dei produttori di energia da fonti rinnovabili, dottore Walter Righini, e come ribadito dagli stessi comuni coinvolti, è necessario che il nuovo Governo, nato proprio con lo scopo di prendere provvedimenti rapidi e fondamentali per agevolare il percorso tortuoso degli enti locali, emani quanto prima il decreto attuativo sui sottoprodotti da impiegare ai fini energetici affinché venga garantita la riduzione dei costi del dissesto ambientale provocato dalle mareggiate e sia permesso l'utilizzo di questi materiali nella filiera energetica –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere al fine di velocizzare i tempi di emanazioni del decreto attuativo in modo tale da permettere ai comuni interessati di rimuovere e di smaltire in maniera gratuita le ingenti quantità di legname depositate sulle spiagge, senza dover gravare sulle già esigue risorse pubbliche a disposizione. (4-04091)


   FRACCARO, MANNINO, ZOLEZZI, DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, SEGONI e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 740 del 24 aprile 1935, è stato istituito il Parco nazionale dello Stelvio, il quale si estende sui territori delle province di Sondrio, Brescia, Trento e Bolzano, per una superficie tutelata complessiva pari a 130.993 ettari, di cui il 46 per cento appartenente alla Lombardia, il 41 per cento alla provincia di Bolzano e il 14 per cento alla provincia di Trento. Il Parco è nato allo scopo di tutelare la flora, la fauna e le bellezze del paesaggio del gruppo montuoso Ortles-Cevedale, e di promuovere lo sviluppo di un turismo sostenibile nelle vallate alpine;
   il territorio protetto confina a nord con il Parco nazionale Svizzero dell'Engadina, a sud con il parco regionale dell'Adamello in Lombardia che, a sua volta, è collegato direttamente col vicino parco naturale Adamello-Brenta in Trentino; verso est, a pochi chilometri di distanza, si estende il parco naturale di Tessa e verso ovest il parco di Livigno e della Valdidentro, che la regione Lombardia intende istituire in breve tempo; si tratta quindi di una zona situata al centro della catena alpina e di uno dei territori protetti più grandi ed interessanti d'Europa;
   gli organi collegiali del consorzio del parco nazionale dello Stelvio, istituito con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 26 novembre 1993, in applicazione della legge quadro sulle aree protette, 6 dicembre 1991, n. 394 sono in una situazione di incertezza a seguito del mancato rinnovo a partire dalle rispettive date:
    il Consiglio direttivo dal 26 dicembre 2010;
    il Comitato di gestione per la provincia autonoma di Bolzano dal 12 marzo 2011;
    il Comitato di gestione per la provincia autonoma di Trento dal 16 luglio 2011;
    il Comitato di gestione per la regione Lombardia dal 3 ottobre 2012;
   solo il collegio dei revisori dei Conti – scaduto il 9 agosto 2012 – è stato ricostituito con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 6 settembre 2013;
   in mancanza dell'organo collegiale di vertice (consiglio direttivo) l'attività istituzionale procede tramite decreti d'urgenza del Presidente del Consorzio, Ferruccio Tomasi, riconfermato per altri cinque anni con decreto ministeriale n. 1126 del 3 agosto 2009, che di fatto agisce come fosse un «commissario straordinario»;
   ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (articolo 5, comma 3) del 26 novembre 1993 la nomina del consiglio direttivo spetta al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che vi provvede con apposito decreto, ma ad oggi non risulta alcun provvedimento di rinnovo di questo organo, fondamentale – insieme ai tre comitati di gestione – per un buon governo di questa importante area protetta delle Alpi;
   nei documento sullo stato di attuazione dei procedimenti relativi all'approvazione dei piani dei parchi nazionali, pubblicato nel sito web del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rispetto al Piano per il parco dello Stelvio viene riportato che con delibera n. 29 del 14 novembre 2008, il Consorzio del Parco ha adottato definitivamente gli elaborati di Piano, trasmessi con nota del 22 luglio 2009, integrata da nota del 25 agosto 2009, al Ministero dell'ambiente per l'approvazione che avviene d'intesa con la regione Lombardia e con le province autonome di Trento e di Bolzano, e previo parere della conferenza unificata;
   all'interno dello stesso documento – che risulterebbe aggiornato al 21 dicembre 2011 – viene riportato che «È attualmente in corso l'istruttoria tecnica relativa da parte degli uffici della DPN con il supporto della segreteria tecnica. È stato richiesto all'Ente parco, che avrebbe dovuto provvedere entro marzo 2010, ad integrare il Piano per quanto riguarda le misure di conservazione per la gestione dei siti Natura 2000 ricadenti nel territorio del Parco»;
   nel novembre 2010, venne elaborata un'ipotesi di soppressione del consorzio del parco nazionale dello Stelvio, finalizzata presumibilmente allo smembramento del Parco, così come denunciato da molte associazioni ambientaliste che, in quella circostanza, si opposero fermamente;
   la legge di stabilita con l'articolo 1, comma 515 della legge 27 dicembre 2013, n. 147 dispone che, mediante intese tra lo Stato e le province di Trento e di Bolzano ed entro il 30 giugno del 2014, siano definiti gli ambiti per il trasferimento delle funzioni statali e dei relativi oneri per la gestione del Parco nazionale dello Stelvio; l'ipotesi che pertanto potrebbe diventare realtà il 1o luglio, è la divisione del parco dello Stelvio in tre strutture provinciali o regionali, ossia diviso tra Bolzano, Trento e la Lombardia. Nel testo peraltro non si fa alcuna menzione alla devoluzione delle funzioni verso la regione Lombardia;
   il 4 febbraio 2014, si è riunita la commissione dei dodici, l'organismo paritetico che si esprime con riferimento alle norme di attuazione dello statuto di autonomia delle province di Trento e Bolzano e il punto riguardante il futuro del parco nazionale dello Stelvio e l'esame della norma di attuazione è stato rinviato alla prossima riunione –:
   quale sia la posizione del Governo in merito all'ipotesi di soppressione del Consorzio del parco nazionale dello Stelvio contenuta nel comma 7 della bozza di norma di attuazione che sostituisce l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 279 del 22 marzo 1974, in discussione nella commissione dei dodici, la cui conseguenza rischia di essere il sostanziale smembramento del parco nazionale dello Stelvio;
   se, considerata la straordinaria importanza dell'area protetta dello Stelvio, intenda avviare un'interlocuzione con i consigli provinciali di Trento e di Bolzano e il Consiglio della regione Trentino – Alto Adige/Sudtirol e della regione Lombardia in merito al futuro assetto istituzionale, organizzativo e gestionale del parco nazionale dello Stelvio;
   quale sia l'orientamento del Governo in merito a quando previsto dall'articolo 1, comma 515, della legge n. 147 del 2013, che, se attuato ad avviso dell'interrogante comporterebbe sostanzialmente l'abdicazione dello Stato dalla funzione di sostenere anche finanziariamente uno dei più antichi parchi naturali italiani; come il Governo intenda articolare la revisione dei finanziamenti in modo tale, da permettere all'Ente parco di far fronte ai propri compiti statutari;
   come intenda garantire il coinvolgimento della regione Lombardia, oltre che delle realtà associative, istituzionali e politiche interessate, nella ridefinizione dell'assetto del parco nazionale;
   se intenda procedere al rinnovo tempestivo del consiglio direttivo del Parco scaduto da più di tre anni, condizione indispensabile per la successiva formazione dei tre comitati di gestione;
   se l'Ente parco abbia provveduto ad integrare il piano per quanto riguarda le misure di conservazione per la gestione dei siti Natura 2000 ricadenti nel territorio del Parco, e a trasmettere detta documentazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   se e quando intenda procedere all'approvazione del piano di gestione del parco, adeguandone le normative e gli atti di indirizzo alle più recenti sollecitazioni pervenute dall'Unione europea in termini di conservazione, della gestione del paesaggio e della tutela della biodiversità e garantendone una pianificazione unitaria e partecipata attraverso la valorizzazione del ruolo del comitato di coordinamento come previsto dalla legge quadro sulle aree naturali protette n. 394 del 1991;
   se intenda tenere in considerazione l'appello delle Associazioni ambientaliste (CIPRA Italia, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness, PAN – EPPAA e WWF) per convincere le istituzioni e gli enti competenti ad avviare le procedure presso l'Unione europea al fine di valutare la possibilità di inserire il parco nazionale dello Stelvio in un'area strategica di valenza internazionale, un parco trasnazionale, il parco naturale europeo delle Alpi centrali, che comprenda nel suo futuro ambito le confinanti aree protette dell'Austria e della Svizzera, oltre ad altri Parchi naturali italiani (Adamello-Brenta, Adamello, Orobie-Valtellinesi e Orobie Bergamasche). (4-04106)


   LIUZZI, TOFALO, SPESSOTTO, GAGNARLI e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 marzo 2014 risulta essere fuoriuscita da un'autocisterna sita all'interno dello scalo merci Hupac di Busto Arsizio (Varese) una sostanza chimica urticante identificata come tripropilenglicole, ivi stoccata;
   suddetto sversamento, a seguito di una reazione chimica, ha prodotto una nube tossica che ha interessato tutta la zona limitrofa allo scalo;
   a seguito dell'accaduto, numerosi residenti hanno lamentato disturbi respiratori e irritazioni agli occhi e oltre 50 persone, tra le quali anche gli operai che stavano lavorando nel deposito convogli al momento dell'incidente, si sono recate in ospedale per accertamenti;
   la nube tossica ha interessato anche l'istituto tecnico Tosi dove, al momento dell'accaduto, erano regolarmente in corso le attività didattiche;
   il comune, dopo un incontro con il prefetto di Varese Giorgio Zanzi, con i vertici della Asl, dell'Arpa e dei vigili del fuoco ha consigliato «a titolo precauzionale alle persone che abitano entro un raggio di 500 metri dall'area di non uscire di casa o stare all'aperto per poco tempo»;
   il tema della gestione dei rifiuti speciali, del trasporto e dello stoccaggio delle merci pericolose nei siti di stoccaggio delle merci e negli interporti è di grande importanza;
   il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, recante attuazione della direttiva 96/82/CE definisce un «incidente rilevante» un evento quale un'emissione, un incendio o un'esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati che si verificano durante l'attività di uno stabilimento di cui all'articolo 2, comma 1, e che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l'ambiente, all'interno o all'esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose;
   suddetto decreto stabilisce un assiduo monitoraggio dei rischi industriali sul territorio nazionale, al fine di prevenire un incidente rilevante, cioè un evento quale un incendio, un'esplosione o un'emissione di sostanze tossiche, in cui intervengano una o più sostanze pericolose, che dia luogo ad un pericolo grave, immediato o differito, per l'uomo o per l'ambiente, all'interno o all'esterno di uno stabilimento industriale;
   la disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 334 del 1999 ha comportato una tutela più rigorosa per ciò che riguarda sia la localizzazione sia i processi produttivi, compresa l'esigenza di una valutazione e di un controllo dei rischi di incidente rilevante che riguardi non solo il singolo stabilimento industriale, preso a se stante, ma l'intero territorio adiacente –:
   se ai ministri interrogati risulti che l'Hupac sia soggetta alla più rigorosa e stringente normativa sulla prevenzione degli incidenti rilevanti di cui al decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334, e successive modificazioni, recante attuazione della direttiva 96/82/CE cosiddetta Seveso e, in caso affermativo, se il soggetto in questione abbia posto in essere ogni intervento atto a prevenire il verificarsi di un incidente e se il gestore abbia provveduto all'individuazione dei rischi, così come disposto dai decreti del Ministero dell'ambiente e del territorio e del mare di cui all'articolo 15 del decreto di cui in parola;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di garantire la sicurezza dei lavoratori e degli impianti, nonché quella dei cittadini, dei territori e della salubrità dell'aria nelle zone dove vengono temporaneamente stoccati rifiuti e merci pericolose. (4-04107)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   MIGLIORE, SCOTTO, FERRARA, RAGOSTA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la soprintendenza speciale per i beni archeologici di Pompei, Ercolano e Stabia ha reso noto che il giorno 12 marzo 2014 è stata segnalata da un custode in servizio nella Regio VI che effettuava un giro di controllo, l'asportazione di una porzione di affresco nella Casa di Nettuno (VI 5, 3) degli scavi di Pompei;
   dal sopralluogo eseguito dai tecnici della soprintendenza e dai carabinieri di Pompei è stato accertato che ignoti si sono introdotti nella casa, che si trova all'interno di un settore della città non aperta al pubblico e con un oggetto metallico hanno scalpellato l'angolo superiore di un piccolo quadretto, asportando un frammento di circa 20 centimetri di diametro, in cui compariva la figura di Artemide;
   vengono segnalate dalla stampa e da associazioni culturali le crescenti difficoltà della soprintendenza a far fronte al fabbisogno crescente di tutela e conservazione dell'immenso patrimonio decorativo dell'area archeologica, stimato in 17.777 metri quadrati i dipinti e 20.000 metri quadrati di intonaci;
   i laboratori di restauro della soprintendenza vedono ridurre la propria operatività anche in ragione del collocamento a riposo di molti restauratori;
   nell'area vesuviana non esiste un centro di studi archeologici né una scuola di alta formazione in restauro;
   in data 11 aprile 2008 a Roma presso l'Ufficio del segretario generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo fu firmato il «Protocollo d'intesa per la istituzione della sede distaccata di Castellammare di Stabia dell'Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro» da parte di MiBAC-Segretario generale, Istituto superiore per la conservazione e il restauro, Direzione regionale per i beni culturali e il paesaggio della Campania, regione Campania, provincia di Napoli e comune di Castellammare di Stabia, con la decisione di aprire nel Palazzo reale di Quisisana a Castellammare di Stabia della sede distaccata dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro a servizio anche dell'area vesuviana;
   nel dicembre 2009 fu sottoscritta a Napoli, presso la sede della direzione regionale per i beni culturali e il paesaggio della Campania, la «Convenzione tra Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Campania, Provincia di Napoli, Città di Castellammare di Stabia e Università Suor Orsola Benincasa di Napoli per la costituzione di un Gruppo di lavoro tecnico per la elaborazione di un progetto di utilizzo e gestione del Palazzo reale di Quisisana»;
   il 25 gennaio 2010 il suddetto progetto fu approvato con convenzione siglata presso la Direzione regionale per i beni culturali e il paesaggio della Campania, con la previsione della nascita della scuola di alta formazione in restauro gestita da università Suor Orsola Benincasa di Napoli, Sede distaccata dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro e museo archeologico di Stabiae;
   da allora nessun passo concreto è stato fatto per giungere all'apertura di detta scuola di restauro;
   i recenti accadimenti a Pompei (crolli, furti) dimostrano come sia urgente e fondamentale garantire la presenza dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro sul territorio, anche al fine di formare giovani restauratori sul campo che potrebbero configurare interventi di monitoraggio e di conservazione del sito di Pompei;
   la ricerca e lo studio dell'archeologia vesuviana rappresentano iniziative e strumenti da mettere in campo per garantire la trasmissione del sapere e delle conoscenze per la trasmissione del patrimonio archeologico vesuviano alla future generazioni –:
   quali provvedimenti siano stati assunti per mettere in sicurezza la casa di Nettuno in Pompei scavi e avviare l'immediato restauro degli apparati decorativi;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per rendere operativi gli impegni assunti con il restauro del Palazzo reale di Quisisana in Castellammare di Stabia, finanziato con deliberazione CIPE n. 162 del 6 agosto 1999 per un importo di 19.665.000,00 euro, al fine di ospitare una scuola di alta formazione in restauro e la nuova sede del museo statale «Antiquarium stabiano» di Castellammare di Stabia, chiuso dal 1997;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per promuovere lo studio e la ricerca dell'archeologia vesuviana ai fini della trasmissione del patrimonio di saperi e competenze, impedire il ripetersi di crolli e promuovere una coscienza civica che sia da contrasto a episodi criminosi indirizzati a danneggiare il patrimonio archeologico di Pompei, Ercolano e Stabia. (4-04085)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Nola in provincia di Napoli è ubicata all'interno del complesso di San Francesco d'Assisi la trecentesca chiesa dedicata a san Biagio, già di santa Margherita, di proprietà dell'Ordine dei frati minori conventuali della provincia di Napoli e Basilicata;
   in una delle antiche cappelle della costruzione gotica, posta attualmente alla base del campanile, è conservato un pregevole ciclo decorativo a fresco che costituisce una significativa testimonianza della pittura del grande maestro romano Pietro Cavallini e della sua fiorente bottega attiva a Napoli nei primi decenni del XIV secolo;
   le pitture databili intorno al 1300 raffigurano all'interno di una decorazione a modulo geometrico di estrema originalità un Cristo in Maestà, l'Annunciazione, un Santo vescovo e una scena sacra ancora di difficile identificazione per le grossolane imbiancature che ne compromettono la lettura e per l'inserimento negli anni sessanta del novecento di una scala in muratura che ne mina stabilità e fruizione;
   da oltre vent'anni tutto l'apparato decorativo a fresco della cappella versa in uno stato di conservazione pessimo per i dissesti statici e le lesioni dell'intonaco dipinto che hanno provocato spanciature, fessurazioni orizzontali e verticali con conseguiti distacchi tra le malte e il muro di supporto, caduta e perdita di parti cospicue delle superfici dipinte;
   inoltre, le infiltrazioni d'acqua e i movimenti ascendenti e discendenti dell'umidità hanno determinato abrasioni, sgranature, rigonfiamenti, sollevamenti e distacchi della pellicola pittorica sulla quale, peraltro, si sono sedimentate polveri, scialbi di calce, ingenti cristallizzazioni saline, compatte patine biancastre opalescenti;
   anche la bellissima crociera gotica, già oggetto di dissesti, tagli e devastanti inserimenti di travi in cemento armato, si presenta completamente ricoperta da aggressive malte moderne che occupano metà della copertura con tracce significative di pittura antica che emergono dalle vele pesantemente scialbate;
   in uno stato di estrema trascuratezza e avanzato degrado si trovano anche altri preziosi affreschi trecenteschi che decoravano l'originaria costruzione gotica: in particolare il grande riquadro con la Crocifissione, dipinto sulla parete settentrionale di un'antica cappella gentilizia posta nei pressi del campanile ricca, peraltro, di stratificazioni decorative messe in luce soltanto in parte, è compromesso da vistosi strati di sali e microrganismi infestanti, stuccature mal eseguite, grossolane sovrapposizioni incongruenti con il substrato;
   persino l'affresco con la Natività, posto sulla controfacciata, è offuscato da scialbature di pittura a calce e nella parte bassa è completamente obliterato da un tompagno con un ringrosso postumo della muratura grondante di umidità;
   risulta all'interrogante che il deterioramento delle pregevoli opere d'arte medievale sia stato più volte segnalato alla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania e alla soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Napoli e provincia, ma nessun intervento è stato progettato o effettuato, mortificando ancora una volta il ruolo, l'immagine, la missione del dicastero indirizzata alla tutela, alla valorizzazione e alla fruizione del patrimonio culturale nazionale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di chiarire i motivi dei ritardi e delle inefficienze evidenziate, che rischiano di compromettere in modo definitivo e irreversibile significative testimonianze artistiche medievali di eccezionale valore;
   se la soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio e per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico di Napoli e provincia, vista l'assoluta urgenza, non ritenga opportuno adottare direttamente le misure conservative necessarie atte a salvaguardare le pitture murali della chiesa gotica di san Biagio nel comune di Nola (Napoli) dalla distruzione e dalla perdita definitiva, bloccando le cause del degrado legate alla situazione ambientale e ai processi chimici in atto;
   se intenda avviare contemporaneamente all'intervento di urgenza anche una campagna di studi e indagini sulle pitture medievali attraverso la mappatura dello stato di conservazione, indagini termografiche per visualizzare il plesso fessurativo, le eventuali discontinuità dei setti murari, i dissesti pregressi, in atto o potenziali, gli antichi interventi di restauro come tamponature e consolidamenti nonché il controllo ravvicinato di alcune zone-campione da sottoporre ad analisi non distruttive;
   se il Ministro interrogato, attraverso la direzione generale per l'organizzazione, gli affari generali, l'innovazione, il bilancio ed il personale, non ritenga prioritario appostare risorse finanziarie adeguate per avviare il restauro completo degli affreschi medievali del campanile, della controfacciata, nonché il recupero della leggibilità della decorazione in commesso lapideo del XIII-XIV secolo che arricchisce le modanature, i rosoni e gli oculi dell'antica cappella gentilizia;
   se il Ministro interrogato intenda ricorrere ai finanziamenti del programma ordinario o piuttosto beneficiare delle ingenti risorse inutilizzate derivanti dai fondi europei come il Programma operativo nazionale (PON), il Programma operativo interregionale (POIn), i Fondi di investimento e occupazione (FIO), i finanziamenti del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), oppure utilizzare i contribuiti del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR). (4-04088)


   MASSIMILIANO BERNINI, MANNINO, BARONI, FRUSONE, DA VILLA, TERZONI e GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Viterbo, nel territorio del comune di Soriano nel Cimino, è sita la selva di Malano, zona di grande interesse archeologico per via della presenza di tombe a fossa con sagoma umana, tombe etrusche a camera, are, urne cinerarie, sarcofagi e pestarole, risalenti nella maggior parte dei casi all'epoca romana o al basso medioevo, ma con la presenza di reperti etruschi e persino preistorici;
   secondo studi effettuati dall'archeologo Federico Prayon e dallo storico Lidio Gasperini, la Selva di Marano detiene i primati di massima concentrazione di aree rupestri sacro-funerarie di periodo etrusco-romano e di massima concentrazione di monumenti epigrafici latini rupestri;
   tra i reperti più interessanti, si ricordano il «sasso del predicatore», luogo probabilmente destinato al culto, la «tomba del re e della regina» e l'abbazia benedettina di San Nicolao (XII sec.);
   l'abbazia benedettina di San Nicolao, nonostante il parere negativo della soprintendenza archeologica, è stata venduta a privati tramite il parere favorevole della soprintendenza ai beni ambientali ed architettonici, espresso attraverso il funzionario di zona architetto Giovanni Fatica;
   il progetto privato ha effettuato lavori di muratura all'abbazia trasformandola in edificio ad uso privato, trasformazione che a detta degli interroganti, presane visione da documenti fotografici, non rispetta lo stile storico architettonico del periodo, di fatto deturpando l'abbazia stessa;
   il progetto di recupero del complesso San Nicolao, è stato autorizzato con permesso a costruire n. 22102 del 28 ottobre 2008 (comune di Soriano), approvato con verbale commissione edilizia del 7 ottobre 2009, variante pratica edilizia n. 62 del 24 settembre 2009;
   il funzionario architetto Giovanni Fatica della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Rieti e Viterbo, risulterà arrestato dalla guardia forestale con l'accusa di concussione e corruzione e in seguito patteggerà con tre anni di reclusione e cinque anni di interdizione dagli uffici pubblici con l'accusa di concussione, nell'ambito dell'inchiesta «DAZIO» riguardante autorizzazioni per una discarica in una zona protetta e la costruzione di una villa in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico;
   la sentenza n. 676 del 7 ottobre 2013 della Corte dei conti sezione giurisdizionale per il Lazio, ha condannato il funzionario architetto Giovanni Fatica della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Rieti e Viterbo a risarcire l'erario per una somma di 10.000 euro, corrispondente a tangenti intascate dall'architetto Fatica per accelerare pratiche di permesso di costruzione in zone, sottoposte a vincolo, nei comuni di Viterbo e di Soriano nel Cimino –:
   se intenda verificare, visti gli illeciti commessi dalla persona dell'architetto Fatica, la legittimità delle procedure di vendita e di autorizzazione alla costruzione del manufatto situato nella Selva di Malano. (4-04102)


   MASSIMILIANO BERNINI e GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   ad Aprilia, in Località Campoverde nei pressi del chilometro 53,00 della strada regionale 148 Pontina si erge il borgo di San Pietro in Formis di rilevanza storica e archeologica;
   teatro di avvenimenti importanti – uno dei quali la battaglia di Campo Morto (duca di Calabria contro le truppe pontificie) nel 1482 –, il sito fu insediamento antichissimo a partire circa dal 2000 a.C., sede di una villa romana (cisterne, opus reticulatum, iscrizioni) con una fra le più rare attestazioni del primo cristianesimo in area pontina (epigrafe del IV secolo d.C.);
   iscrizioni autografe dei contumaci (circa 1700) al primo piano del cosiddetto granaio indicano l'antichità degli edifici; castello e chiesa sono noti dal 1201;
   l'intero comprensorio, oltre al valore storico-archeologico ha rilevanza idrica, in quanto sono presenti condutture e raccolte d'acqua nell'intera area e sotto gli edifici; in tali presenze di condotte artificiali è da ricercare l'origine del nome «in formis»;
   nonostante il comprovato valore storico-archeologico, il borgo non è sottoposto ad alcun vincolo storico-archeologico o architettonico, a minaccia della sua integrità;
   nel 2007 la società «Fiamma 2000» ottiene dal comune di Aprilia il permesso per realizzare una stazione di servizio carburanti nei pressi del borgo di «San Pietro in Formis»; il permesso a costruire, firmato dal dirigente del IV settore, è ottenuto il 6 novembre 2009;
   il 17 gennaio del 2013 e il 14 marzo 2013, sono protocollate al comune di Aprilia, a firma di centinaia di cittadini, due petizioni spontanee, con richiesta di sospensione delle attività edilizie a Campoverde – S. Pietro in Formis;
   a seguito della prima petizione, depositata il 17 gennaio 2013, in data 1o febbraio 2013 la Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, a firma del funzionario responsabile e del soprintendente, emette una richiesta di chiarimenti al comune di Aprilia in merito all'attività edificatoria, iniziata senza l’iter procedurale consono per norma di legge –:
   se intenda avviare le procedure affinché al sito del borgo di San Pietro in Formis sia garantita la tutela e riconosciuto lo status di sito di interesse culturale nazionale, sia storico-archeologico che architettonico-ambientale, attraverso il vincolo posto in essere, per quanto concerne i beni appartenenti a soggetti privati, dal decreto legislativo n. 42 del 2004 «Codice dei beni culturali e del paesaggio», nonché dal decreto legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999 «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali a norma dell'articolo 1 della legge 8 ottobre 1997 n. 352», dalla legge n. 1089 del 1o giugno 1939 «Tutela delle cose d'interesse artistico e storico», sia ai sensi delle leggi 20 giugno 1909, n. 364 e 19 maggio 1922, n. 778, tuttora in vigore, ai sensi dell'articolo 128 del decreto legislativo n. 42 del 2004. (4-04112)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   MARCOLIN e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 dicembre 2013 la IV Commissione della Camera ha espresso il proprio parere favorevole rispetto alla bozza di «Decreto legislativo recante disposizioni in materia di personale militare e civile del Ministero della difesa, nonché misure per la funzionalità della medesima amministrazione», subordinandolo tuttavia ad una serie di raccomandazioni e condizioni;
   tra le condizioni inserite nel parere approvato dalla IV Commissione permanente della Camera vi era la seguente: «nell'ambito della riorganizzazione dei Comandi principali espungere la previsione del trasferimento a Roma del Comfoter, al fine di poter riconsiderare in termini di costo/efficacia la riorganizzazione su Roma di questo comando di vertice. Tutto ciò tenuto conto sia della dimostrata operatività del comando in essere e del suo profilo internazionale»;
   ciò nonostante, all'atto della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 34 dell'11 febbraio 2014, nel testo del decreto legislativo 28 gennaio 2014, n. 7, recante disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale e organizzativo delle Forze armate ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettere a), b) e d) della legge 31 dicembre 2012, n. 244, la previsione di cui sopra è risultata confermata, come si evince dalla lettura del suo articolo 5 –:
   se, in base ad atti eventualmente accessibili, sia possibile stabilire le ragioni per le quali il Governo pro tempore ha ritenuto di dover ignorare una delle condizioni alle quali era stato subordinato il parere favorevole della IV Commissione permanente della Camera relativo alla bozza di decreto legislativo recante disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale e organizzativo delle Forze armate, approvato il 20 dicembre 2013. (5-02402)


   FRUSONE, RIZZO, ARTINI, CORDA, BASILIO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la 132a brigata Corazzata «Ariete» è una delle più rappresentative delle Forze armate della Repubblica italiana. Ha partecipato infatti a diverse missioni internazionali: 1992 Somalia; 1998/1999 Bosnia; 1999/2000/2001/2002 Kosovo; 2003-2005 Iraq; 2007/2008/2009/2010 Libano; 2011 Iraq, dove tra l'altro a Baku, nel luglio dello stesso anno, ha perso la vita il caporal maggiore Gaetano Tuccillo;
   il destino del battaglione logistico «Ariete», formato da circa 400 militari di stanza a Maniago – attualmente alloggiato insieme al 132o reggimento artiglieria «Ariete» all'interno della caserma Ettore Baldassare – risulta ancora incerto;
   la chiusura del Battaglione è stata annunciata già da un anno. SME DIPE ha assicurato verbalmente la chiusura entro giugno 2014, per cui i militari si sono organizzati con le famiglie per il trasferimento (per alcuni si parla anche di trasferimento in caserme a 400 chilometri di distanza);
   ci sono diverse famiglie con minori che hanno esigenza di avere al più presto la certezza del trasferimento, in modo da poter iscrivere i figli a scuola –:
   con quali tempi sia prevista la chiusura del Battaglione logistico «Ariete», essendo in tal caso necessario dare subito informazioni precise e dettagliate ai militari interessati affinché possano approntare con la dovuta serenità il trasferimento ad altra sede. (5-02403)


   DURANTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo del 28 gennaio 2014, n. 7, recante disposizioni in materia di revisione in senso riduttivo dell'assetto strutturale ed organizzativo delle Forze armate, che recepisce gli schemi dei decreti legislativi n. 32 e n. 33 pubblicati il 7 ottobre 2013 ed i pareri della IV Commissione, espressi in data 19 e 20 dicembre 2013, è applicativo della legge 31 dicembre 2012, n. 244, il cui articolo 6, comma 1, lettera a), punto 6), dispone quanto segue: «il Comando servizi base di Taranto, entro il 31 marzo 2014, è riconfigurato in Comando stazione navale Taranto, in ragione della rideterminazione e razionalizzazione delle relative attribuzioni conseguenti all'accorpamento e all'assorbimento delle funzioni della Direzione del Supporto Diretto (DSD) dell'Arsenale militare marittimo di Taranto»;
   all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 7 del 2014 si prevede che «Ai fini del conseguimento, in concorso con i provvedimenti ordinativi di cui agli articoli 2188-bis e 2188-quater, della contrazione strutturale complessiva non inferiore al 30 per cento imposta dall'articolo 2, comma 1, lettera b), della legge 31 dicembre 2012, n. 244, nonché per il raggiungimento degli assetti ordinamentali della Marina militare di cui agli articoli dal 110 al 131, sono adottati ai sensi dell'articolo 10, comma 3, sentite, per le materie di competenza, le organizzazioni sindacali rappresentative, i provvedimenti di soppressione, ovvero di riconfigurazione, di comandi, enti e altre strutture ordinative di Forza armata, rispettivamente specificati nelle lettere a) e b), secondo la tempistica affianco di ciascuno di essi indicata»;
   i sindacati, come si apprende da un comunicato del 28 febbraio 2014, evidenziano:
    1. Non adeguato il confronto preventivo con la Rappresentanza sindacale per valutare l'impatto negativo circa le attività lavorative dello stabilimento e della stessa DSD;
    2. Il rischio evidente di esternalizzazione delle attività;
    3. L'assenza della Tabella Organica definitiva dell'Arsenale;
    4. L'assenza di un ben definito piano industriale, della missione e degli obiettivi alla luce del riordino in programma;  
    5. Mancato avvio del processo di civilizzazione, già concordato dalle parti sindacali con il precedente Governo;
   l'attuale organizzazione, che vede la DSD parte integrante dell'Arsenale di Taranto, ha garantito in tutti questi anni, nonostante le forti carenze di organici dell'Arsenale e della stessa DSD, una proficua sinergia lavorativa che ha ridotto notevolmente il ricorso alle esternalizzazioni, evitando così un aggravio sulla spesa pubblica –:
   se il Ministro non intenda intervenire al fine di scongiurare il distacco della Direzione del Supporto Diretto, dell'Arsenale di Taranto, data anche la prossimità della scadenza dei termini previsti, che determinerebbe maggiori costi e aumento delle esternalizzazioni e provocherebbe un ridimensionamento funzionale dello Stabilimento. (5-02404)


   CICU. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in Commissione difesa si è svolta da gennaio a marzo 2014 un'indagine conoscitiva sulle servitù militari e le audizioni svolte hanno chiarito quanto queste aree siano sottoposte a attività invasive per il territorio;
   in particolare gli amministratori locali dei comuni della regione Sardegna interessati dalle servitù militari hanno rappresentato le istanze di quelle comunità locali, sottolineando come in alcuni casi siano state pregiudicate possibili forme di sviluppo economico legate allo sfruttamento dei terreni per usi agricoli e di molti specchi di mare idonei alla pesca;
   nell'area del Sulcis-Iglesiente la crisi odierna si è inserita in una crisi che già esisteva e ha devastato ulteriormente le piccole e medie imprese, gli allevatori e i pescatori;
   l'area marina di Capo Teulada, sottoposta a servitù militare a causa della presenza di un poligono di tiro, è interdetta alla pesca e gli indennizzi previsti da parte del Governo, che parzialmente dovrebbero coprire un mancato reddito, non sono mezzi sufficienti, né adatti, a compensare il mancato sviluppo della zona ed il suo progressivo impoverimento;
   dal 2012 il Governo è comunque in ritardo con il pagamento di tali indennizzi –:
   se non intenda rispettare i tempi di scadenza concordati che prevedono, peraltro, arretrati rispetto agli indennizzi dei pescatori, ai quali è interdetta l'attività a causa della presenza dei poligoni e delle servitù militari. (5-02405)


   VILLECCO CALIPARI, SCANU, BOLOGNESI, GIUDITTA PINI e CARLO GALLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in esecuzione dell'articolo 306 del codice dell'Ordinamento militare il Ministro della difesa è tenuto ad emanare entro il 31 marzo di ogni anno un decreto ministeriale sulla materia degli alloggi di servizio;
   l'ultimo decreto è stato emanato in dato 11 giugno 2012 ed è stato relativo ai redditi del periodo 2010-2011;
   non è stato emanato il decreto ministeriale per 2013 relativo ai redditi del 2012;
   è in corso di elaborazione presso il Ministero il decreto ministeriale per il 2014 relativo ai redditi del 2013;
   quest'ultimo decreto deve fare proprie le condizioni per la continuazione nella conduzione dell'alloggio delle «nuove categorie protette» individuate nelle condizioni poste dalla Commissione difesa della Camera e accolte dal Governo in sede di parere sui decreti legislativi in attuazione della legge n. 244 del 31 dicembre del 2012;
   l'emanazione del decreto è particolarmente urgente in quanto deve ricondurre le categorie di cui sopra nel canone che corrispondevano prima dell'introduzione del canone di libero mercato;
   il riconoscimento di tale condizione dovrà decorrere dal 1o gennaio del 2014 considerato il combinato disposto delle norme introdotte in attuazione della legge n. 244 del 31 dicembre del 2012 –:
   se il Ministro, facendo propria l'urgenza dell'emanazione del citato decreto ministeriale, intenda presentarlo al parere delle Commissioni con ogni possibile sollecitudine. (5-02406)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO, PAOLO BERNINI, CORDA, ARTINI, FRUSONE, RIZZO, TOFALO e GRILLO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri nella sua riunione del 7 marzo 2014 ha correttamente deciso di non impugnare la legge della regione Abruzzo in materia di uso terapeutico della cannabis;
   altre regioni come Liguria, Toscana, Veneto, Puglia e Trentino-Alto Adige si sono dotate di leggi che consentano l'uso terapeutico dei derivati della cannabis;
   in Italia, il ricorso a farmaci cannabinoidi è legittimo ormai da quattordici mesi, ma la possibilità di accedervi per i pazienti è rimasta nulla, essendo la procedura lenta e macchinosa;
   farmaci cannabinoidi valutati dalla letteratura scientifica come efficaci non sono disponibili per alleviare i dolori dei pazienti e per migliorarne la qualità di vita;
   la legge della regione Abruzzo prevede la possibilità di stipulare convenzioni con centri attrezzati per la produzione e la preparazione dei farmaci;
   nessuna azienda farmaceutica italiana tuttavia ha ancora chiesto licenza di produrre farmaci cannabinoidi;
   anche per questo è stata avanzata ai due Ministri una petizione via internet per chiedere che lo stabilimento chimico farmaceutico militare ai Firenze, che già prepara diverse tipologie di farmaci, cominci a produrre medicinali cannabinoidi per i pazienti italiani attraverso un protocollo d'intesa tra Ministero della salute e Ministero della difesa. Lo stabilimento avrebbe già dichiarato un interesse in tal senso;
   questo consentirebbe al Sistema sanitario nazionale di godere di una notevole riduzione di tempi e soprattutto costi –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno impartire allo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze istruzioni per la produzione di medicinali cannabinoidi stipulando con lo stesso una apposita convenzione. (4-04103)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE e GAGNARLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da vari organi di stampa e dal sito istituzionale del comune di Arezzo, il consigliere Daniele Farsetti, ha depositato un'interrogazione per chiedere chiarimenti in merito: «alla proposta transattiva di saldo e stralcio del 50 per cento del debito di 1.900.000 euro maturato al 31 dicembre 2010 nei confronti di Aisa spa, gestita e controllata con l'85 per cento dal Comune di Arezzo. L'iniziativa è stata intrapresa dall'organo straordinario di liquidazione del Comune di Castiglion Fiorentino che non ha pagato Aisa spa per anni distraendo verso altri esiti le somme dovute. Quelle somme che intanto il Comune della Valdichiana riscuoteva dai suoi cittadini, dunque le prime vittime del malgoverno, per il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti per il quale non pagava la società che lo gestiva. Inquietanti vari aspetti: siccome la transazione fra Castiglion Fiorentino e Aisa è stata accettata, l'azienda non incamererà 1.000.000 di euro circa e potrebbe trovarsi di fronte a un fabbisogno finanziario e alla necessità di ricorrere all'indebitamento bancario. Già potremmo chiederci come si è potuti giungere a questa situazione ma soprattutto arriviamo alla conclusione: il Comune di Arezzo, azionista di maggioranza della società, collettivizza le perdite della mala-amministrazione di Castiglion Fiorentino principalmente fra i cittadini di Arezzo e gli stessi castiglionesi sono penalizzati due volte: prima pagando, come accennato sopra, le tariffe dovute e adesso ripagando l'ammanco.»;
   a parere degli interroganti ci sono notevoli criticità, soprattutto in merito ad un possibile conflitto di interessi, soprattutto valutando le dichiarazioni riportate dagli organi di stampa locale aretina: «una stessa area politica ha in mano tutta la gestione della cosa pubblica da decenni e fa e disfa in maniera autonoma. Questa decisione è passata attraverso un percorso assolutamente »interno« a quest'area, senza coinvolgimento del Consiglio Comunale di Arezzo, che rappresenta i cittadini e il socio che detiene la maggioranza di Aisa, o addirittura la Giunta.»;
   in seguito alla dichiarazione dello stato di dissesto finanziario del comune di Castiglion Fiorentino con delibera commissariale n. 11 del 7 novembre 2011, in data 10 gennaio 2012 si è insediata la commissione straordinaria di liquidazione nominata con decreto del Presidente della Repubblica 13 dicembre 2011 ai sensi dell'articolo 245 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo n. 267 del 18 agosto 2000;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, dipartimento della ragioneria generale dello Stato – IGEPA – ufficio XIII con nota 0024900 del 21 marzo 2012 ha comunicato di aver dato corso all'apertura della contabilità speciale di tesoreria unica n. 308832 presso la tesoreria provinciale dello Stato di Arezzo intestata «Com Str. Liq. Castiglion Fiorent» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddetti;
   se i Ministri interrogati ritengano che l'organo straordinario di liquidazione del comune di Castiglion Fiorentino abbia agito nell'interesse pubblico;
   se il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza, non ritenga necessario porre in essere azioni al fine di chiarire la suddetta critica situazione denunciata dal consigliere Farsetti al consiglio comunale di Arezzo e altresì evitare possibili, illegittimi, aumenti tariffari futuri sulle bollette dei cittadini. (4-04108)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PINNA, RIZZETTO, ROSTELLATO, BECHIS, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI e TURCO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, del decreto legislativo n. 150 del 1o settembre 2011, recante «Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69», che modifica gli articoli 22 e seguenti della legge n. 689 del 24 novembre 1981, «Modifiche al sistema penale», disciplina l'opposizione ad ordinanza-ingiunzione e prevede che il trasgressore, a seguito di accertamento ispettivo in materia di lavoro e legislazione sociale, possa impugnare l'ordinanza-ingiunzione emessa dalla direzione territoriale del lavoro ma non il verbale unico di accertamento ispettivo;
   l'Inps, l'Inail e gli altri enti previdenziali, al fine di quantificare correttamente i premi e i contributi dovuti dalle aziende, emettono avviso di accertamento o avviso di addebito o redigono verbale unico di contestazione. Avverso detti provvedimenti è prevista un'autonoma impugnazione dinnanzi a giudici diversi e il contestuale incardinamento di più procedimenti giudiziari;
   da ciò deriva che le imprese che vogliano contestare gli addebiti dovranno attivarsi per impugnare in giudizio i singoli atti amministrativi con processi separati ed autonomi, applicando la sopracitata legge n. 689 del 1981 per l'impugnazione dell'ordinanza-ingiunzione e gli articoli 409 e 442 del codice di procedura civile in relazione agli avvisi di addebito e al verbale unico di accertamento;
   in base a quanto descritto, i soggetti opponenti si trovano ad affrontare in tempi diversi più processi aventi ad oggetto i medesimi accertamenti ispettivi. In totale i giudizi azionati potrebbero raggiungere il numero di nove. Per un medesimo accertamento ispettivo, dunque, sono previsti riti processuali diversi con diverse modalità di acquisizione della prova, che, al momento, presuppongono una difesa tecnica nel solo caso dei giudizi in materia previdenziale e assicurativa. Di fatto, tuttavia, i giudici applicano le medesime regole processuali richiedendo una competenza tecnica in tutti i giudizi, senza che vi sia la possibilità di riunire i processi. Inoltre, all'esito del giudizio, per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non è mai riconosciuto l'onorario di giudizio;
   ai sensi del regio-decreto del 30 ottobre 1933, n. 1611, «Approvazione del Testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato», l'Avvocatura dello Stato è competente a trattare in appello le controversie giudiziarie aventi ad oggetto le contestazione degli illeciti amministrativi delle direzioni territoriali del lavoro. Diversamente l'Inps, l'Inail e gli altri enti previdenziali trattano autonomamente in sede regionale tali impugnazioni. Questa difformità di competenze e di funzioni determina disomogeneità applicativa delle disposizioni di legge e una proliferazione di contenziosi giudiziari a danno della certezza del diritto, con un considerevole costo per i soggetti direttamente coinvolti e un evitabile spreco di risorse pubbliche –:
   se reputi opportuna una revisione della legislazione vigente al fine di introdurre l'accertamento negativo del verbale di accertamento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che diverrebbe così atto immediatamente impugnabile presso il giudice competente, e se intenda prevedere la partecipazione obbligatoria degli enti previdenziali coinvolti e della direzione territoriale del lavoro in un unico processo;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative per introdurre la responsabilità delle ispezioni a carico degli ispettori del lavoro (così come previsto per gli ispettori Inps e Inail) posto che, si consentirebbe in tal modo una riduzione del contenzioso a seguito della maggiore diligenza nella redazione dei verbali;
   se non si reputi opportuno assumere iniziative per riconoscere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali gli onorari relativi alla difesa tecnica dei giudizi in materia giuslavoristica, garantendo in tal modo nuove entrate per lo Stato;
   se il Governo abbia preso in considerazione la possibilità di estendere la partecipazione diretta delle direzioni territoriali del lavoro anche nei giudizi di appello. (4-04082)


   PETRINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Fermo, da sempre punto di riferimento per l'amministrazione della giustizia nel sud delle Marche, si trova in una condizione di grave difficoltà, a causa della carenza di organico;
   il problema di fondo riguarda i trasferimenti dei giudici che non sono seguiti da altrettanti ricambi e la situazione è destinata a peggiorare nei prossimi mesi proprio a seguito dello spostamento di altri tre giudici, che sono in procinto di lasciare il tribunale e i cui posti vacanti non verranno occupati immediatamente da nuovo personale, aumentando così la mole di lavoro tra i giudici restanti;
   ad oggi si stima che la percentuale di scopertura nel tribunale fermano sia del 60 per cento ma la cifra effettiva sarebbe addirittura più elevata proprio perché calcolata su un corpo giudiziario già insufficiente;
   le ripercussioni di questa carenza si riversano inevitabilmente sulla gestione degli uffici, sui tempi della giustizia e sulla qualità del lavoro dell'organico, che si vede obbligato a svolgere più compiti contemporaneamente per garantire l'attività della struttura;
   lo stesso presidente dell'ordine degli avvocati di Fermo, Francesca Palma, dichiara la sua profonda preoccupazione per il continuo trasferimento di magistrati dal tribunale, perché contribuisce ad acuire le lentezze nel fissare le udienze e di conseguenza rallenta i tempi già eccessivamente lunghi della giustizia;
   inoltre, i magistrati rimasti, anche se coadiuvati dai giudici onorari, che svolgono funzioni giudicanti e sostituiscono i procuratori in udienza, potranno soltanto riuscire a trattare le questioni più urgenti, lasciando in sospeso quelle di minore entità, le quali però si andranno a sommare all'arretrato, che nel frattempo aumenterà in maniera esponenziale, creando una sorta di circolo vizioso nella cattiva gestione del sistema giudiziario fermano;
   l'attuale normativa che disciplina la giustizia nel nostro Paese non lascia purtroppo alcuna speranza sulla possibilità di trovare una soluzione a breve termine in quanto i complessi iter burocratici e la difficile congiuntura economica che l'Italia sta attraversando, non consentono di mettere a concorso i posti vacanti prima di due anni;
   si rischia di fatto la paralisi del tribunale fermano, che si vedrà costretto, in ultima istanza, a congelare un elevato numero di procedimenti, soprattutto nel settore civile, generando disservizi e conseguenze negative sul piano socio-economico, a danno dell'intera collettività;
   il crescente deficit di risorse umane e finanziarie che da qualche anno interessa anche il mondo della giustizia sono il risultato dei tagli governativi che, sebbene siano necessari per far ripartire la crescita del Paese, non possono però pregiudicare il normale svolgimento dell'attività giudiziaria, creando una situazione insostenibile, con piante organiche già carenti che continuano ad assottigliarsi col passare del tempo;
   il risultato paradossale che si viene a creare fa sì che, da un lato, le sentenze rimangono inapplicate, con perdita di introito delle pene pecuniarie, e dall'altro i colpevoli di reati più o meno gravi non pagano i loro debiti con la giustizia nei, tempi dovuti;
   pertanto la grave dilazione dei tempi dei processi, che aumentano i disagi e i costi per tutti i cittadini, rendono urgente un immediato intervento al fine di consentire al tribunale di Fermo di funzionare in modo efficiente ed efficace –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere, per quanto di competenza, in relazione alla grave situazione di carenza di personale che il tribunale di Fermo si trova costretto ad affrontare, per consentire agli organi giudiziari di svolgere, in tempi ragionevoli e nel miglior modo possibile, il ruolo che è stato loro assegnato costituzionalmente. (4-04095)


   CAPELLI e PIRAS. —Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da tempo è in corso un travagliato e spesso acceso dibattito sullo stato del sistema della giustizia in Italia;
   tale dibattito è stato attraversato, in molte circostanze, da considerazioni di ordine politico-partitico, sacrificando, così l'alto obiettivo, da più parti sollecitato, di una migliore organizzazione della giustizia, amministrativa, civile e penale, ai fini della più efficace tutela dei diritti del cittadino e delle comunità, a favore di un regolare sviluppo dell'intera società e del sistema economico del Paese;
   tale sollecitazione proviene, ormai, da ampi strati della società italiana e assume particolare valenza nell'ambito dell'iniziativa economica;
   proviene soprattutto da chi opera nel settore, a partire dalla magistratura e dagli appartenenti all'ordine forense;
   i dati resi noti dal Ministero risultano impressionanti e portano ad un razionale pessimismo sulla possibilità dell'apparato giudiziario nel suo complesso di far fronte, con gli attuali mezzi normativi, economici ed operativi, alle attuali emergenze di funzionamento ed, in particolare, al tempestivo svolgimento dei procedimenti pendenti quantificati (al 30 giugno scorso) in 5.257.693 in campo civile e quasi 3 milioni e mezzo in quello penale;
   su questo il precedente Ministro della giustizia ha avuto modo di definire l'arretrato presente come «un fenomeno imponente di dilatazione, in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, del lavoro giudiziario, provocato non solo da un aumento della litigiosità nel campo civile o della attività criminale in campo penale, ma anche dalle trasformazioni della società», che di fatto confermano una crescente domanda di giustizia da parte dei cittadini a tutela dei propri diritti;
   i costi complessivi del «sistema giustizia» devono, certamente, essere resi sostenibili per lo Stato ma stando particolarmente attenti a non determinare nell'accesso al «servizio giustizia» una discriminazione di fatto per le categorie di cittadini economicamente e socialmente più deboli;
   quanto evidenziato nella delibera dell'assemblea straordinaria del 7 febbraio 2014 degli iscritti all'ordine degli avvocati di Cagliari, e dalle successive assemblee degli avvocati appartenenti agli ordini della Sardegna, appare del tutto condivisibile richiamando l'attenzione sui diritti costituzionalmente sanciti, a partire da quello di difesa per proseguire con tutti quelli direttamente indirettamente connessi alla possibilità di accesso alla giustizia messa a serio rischio da procedure ardite di semplificazione e da un incontrollato crescere dei costi a carico dei singoli cittadini;
   tali argomenti risultano anche oggetto di valutazione critica da parte della stessa ANM (associazione nazionale magistrati) che in un documento di pari data osserva che la «celerità della risposta giudiziaria e la deflazione della relativa domanda non possono in alcun modo sacrificare la piena tutela dei diritti, se non a costo della perdita della finalità della giurisdizione stessa»;
   allo stato appare proseguire ad oltranza l'azione di protesta adottata formalmente dagli avvocati sardi, i cui contenuti proposti hanno certamente alto valore civile e sociale, ma determinano comunque conseguenze che tutti vorrebbero evitare sul funzionamento del sistema giustizia in Sardegna;
   l'azione predetta pur non avendo per oggetto questioni solo locali, ma di valenza nazionale, è nata in una regione particolarmente colpita dalla crisi occupazionale, sociale ed economica che attraversa il Paese, tale da pretendere una giusta considerazione da parte del Ministro e del Ministero, anche per il tramite delle rappresentanze nazionali e regionali;
   si è certi della sensibilità sull'argomento da parte delle autorità politico-istituzionali a cui compete, in particolare, l'intervento di profonda revisione del progetto di legge in argomento –:
   se il Ministro abbia puntuale informazione sull'andamento dell'iniziativa di legittima protesta promossa dagli avvocati sardi e se intenda attivarsi con urgenza per organizzare una specifica interlocuzione finalizzata all'avvio dei necessari interventi dello Stato sul piano normativo, finanziario e operativo atti a garantire il diritto alla «giustizia», in tutto il territorio nazionale e per tutti i cittadini, a prescindere dalle loro condizioni economiche e sociali;
   se intenda infine intervenire per una preliminare revisione sostanziale del progetto normativo di riforma del processo civile alla luce delle innumerevoli critiche già espresse dagli avvocati e da autorevoli personalità interne al sistema della giustizia e del diritto in Italia. (4-04100)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TULLO e GIACOBBE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Il decreto ministeriale del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 443 dell'11 dicembre 2013 «Direttive e calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati per l'anno 2014» consente limitate deroghe per il trasporto di prodotti alimentari che non siano deperibili;
   durante la stagione turistica – il cui inizio è imminente – in molte regioni, e, in particolare, nella regione Liguria, si registra un forte incremento di residenti nelle località turistiche delle riviere di Levante e di Ponente, in particolare nel fine settimana;
   questo accresce – per negozi e supermercati – le necessità di frequente approvvigionamento di prodotti alimentari diversi da quelli deperibili; molti esercizi commerciali hanno infatti spazi limitati per scorte di magazzino;
   nel 2013 la Liguria – assessorato regionale al Turismo – e le Associazioni imprenditoriali più rappresentative hanno più volte richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti deroghe al calendario che limita la circolazione, fuori dai centri abitati, dei veicoli e dei complessi di veicoli per il trasporto di cose, aventi massa complessiva massima autorizzata superiore a 7,5 tonnellate, allo scopo di consentire il trasporto di regolari forniture – in quantità adeguata – di prodotti non deperibili agli esercizi commerciali;
   in base al decreto ministeriale citato, le prefetture-uffici territoriali del Governo hanno il compito di attuare, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del nuovo codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, le direttive contenute nel decreto e di darne conoscenza alle amministrazioni regionali, provinciali e comunali, nonché ad ogni altro ente od associazione interessati; le stesse prefetture-uffici territoriali del Governo, a fini statistici e per lo studio del fenomeno, comunicano, con cadenza semestrale, ai Ministeri dell'interno e delle infrastrutture e dei trasporti, i provvedimenti adottati in applicazione del citato decreto;
   la prefettura di Genova, a differenza delle prefetture di altre regioni nega il rilascio di deroghe al trasporto di merci – anche in periodi turistici e per motivate esigenze di approvvigionamento – con gravi conseguenze e ricadute economiche alla filiera distributiva alimentare e sul turismo della riviera; in casi eccezionali autorizza il trasporto merci non deperibili con veicoli di peso inferiore alle 7,5 tonnellate, il che implica nuovi e gravosi oneri per le imprese di autotrasporto che devono acquistare un intero parco veicoli per il trasporto merci in periodi turistici;
   il vincolo a trasportare le stesse merci con veicoli meno capienti incrementa il numero di veicoli in circolazione, con ciò violando le finalità proprie del decreto, che ha l'obiettivo di «garantire in via prioritaria migliori condizioni di sicurezza nella circolazione stradale, nei periodi di maggiore intensità della stessa»;
   secondo calcoli della Confederazione nazionale Artigiani (CNA) per trasportare il carico di un veicolo da 440 quintali con mezzi inferiori alle 7,5 tonnellate occorrerebbero infatti ben 9 veicoli;
   quali iniziative il Governo intenda assumere, in conformità a quanto concordato nel protocollo d'intesa siglato tra Governo e associazioni di categoria in data 28 novembre 2013, per apportare modifiche e integrazioni al decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 443 dell'11 dicembre 2013, che dispone direttive e calendario per le limitazioni alla circolazione stradale fuori dai centri abitati per l'anno 2014, finalizzate a contemperare i livelli di sicurezza della circolazione con misure atte a favorire un incremento di competitività dell'autotrasporto, e un adeguato e continuo approvvigionamento degli esercizi commerciali, in particolare nella regione Liguria durante la stagione turistica.
(5-02391)


   MOGNATO, MARTELLA, TULLO, ZOGGIA, MURER e MORETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   risulta che è in corso il passaggio delle attività di handler base Venezia cargo aeroportuale della compagnia aerea Lufthansa spa dall'attuale fornitura di servizio svolto da SAVE spa a favore della società Argol spa;
   la medesima società Argol spa avrebbe subappaltato la fornitura del servizio in oggetto alla società Xpress spa;
   alcune sentenze recenti del TAR del Lazio fanno divieto di ricorrere a tali forme di subappalto, giacché il soggetto che partecipa ad un bando di gara per lo svolgimento del servizio dovrebbe poi svolgerlo in toto, oppure in parte preminente con mezzi e personale proprio, e non operare come mediatore commerciale o finanziario;
   la società Xpress spa, che ha assunto la gestione ventennale dell'aeroporto «Giuliana Tamburo» de L'Aquila, è al centro di alcune indagini penali e amministrative;
   la regione Abruzzo in particolare con propria nota del dicembre 2013 ha revocato il finanziamento di euro 880.000 concessi nell'ambito del bando «Lavorare in Abruzzo 3» contestando la violazione in più punti del relativo bando;
   la procura generale dell'Aquila, appresa la comunicazione della regione Abruzzo, ha aperto tempestivamente un'indagine –:
   se si intenda verificare, per quanto di competenza, la regolarità del ricorso al subappalto nella gestione del servizio di handler cargo a terra della società Lufthansa spa dalla società Argol spa alla società Xpress spa nonché il possesso da parte di quest'ultima dei requisiti di legge per lo svolgimento del servizio. (5-02393)


   LENZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il signor M. B. e la signora F. G. M., residenti a Manerba sul Garda, sono i genitori di S. B., nato nel 2000 e affetto da «autismo con severo disturbo della comunicazione» e pertanto riconosciuto «invalido con totale e permanente inabilità lavorativa con necessità di assistenza continua»;
   in qualità di invalido S. B. è titolare dell'apposito contrassegno di cui all'articolo 381 del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992 che favorisce la circolazione ed il parcheggio dei veicoli al servizio delle persone disabili;
   in alcuni giorni di novembre e dicembre 2012, S. B. è stato accompagnato dalla madre a Valeggio sul Mincio per seguire un percorso di cura; in tutte le occasioni l'auto che lo trasportava (in due casi l'auto del padre, negli altri tre quella della madre) ha transitato a Valeggio sul Mincio su una corsia che la segnaletica indica come riservata ai mezzi pubblici;
   in seguito a tali accertamenti elettronici e visivi, nel mese di gennaio 2013 al signor B. e alla signora M. sono stati notificati cinque verbali di accertamento con i quali il comando di polizia locale di Valeggio sul Mincio ha contestato la violazione dell'articolo 7, comma 1, lettera a), dell'articolo 14 del codice della strada, nella parte in cui si prevede che i comuni possano riservare alcune corsie a determinate categorie di veicoli, e da essi risulta che le auto che trasportavano S. B. nei giorni di novembre e dicembre 2012 siano transitate nella corsia riservata solo ai bus ATV-APAM in via Marconi a Valeggio sul Mincio;
   tuttavia il transito su tale corsia era legittimo perché consentito ai sensi dell'articolo 11, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 il quale dispone che «per i percorsi preferenziali o le corsie preferenziali riservati oltre che ai mezzi di trasporto pubblico collettivo anche ai taxi, la circolazione deve intendersi consentita anche ai veicoli al servizio di persone invalide detentrici dello speciale contrassegno di cui all'articolo 12»;
   dal tenore dei verbali, si deduce che il comune di Valeggio ritenga, a giudizio dell'interrogante, erroneamente, che tale norma vada interpretata nel senso che il transito ai veicoli al servizio delle persone disabili è consentito solo quando la corsia è riservata contemporaneamente sia ai mezzi pubblici sia ai taxi;
   tale interpretazione è stata confermata il 18 dicembre 2013 dal giudice di pace di Verona che ha rigettato il ricorso del signor B. e della signora M. contro l'ordinanza del prefetto di Verona e li ha condannati al pagamento di 450 euro entro 30 giorni affermando che «per ragioni di pubblica sicurezza in relazione alle condizioni dei luoghi, nella via (Via Marconi a Valeggio sul Mincio) era stabilito un senso unico alternato ed esclusivamente per autobus di linea (ATV-APAM)» e non per i taxi;
   tuttavia tale interpretazione restrittiva delle disposizioni in commento appare nettamente in contrasto con i principi generali che regolano la materia e con gli orientamenti giurisprudenziali che si sono evoluti sempre più nella direzione di garantire e favorire al massimo le possibilità di movimento delle persone disabili, con il solo limite di evitare intralci e pericoli agli altri utenti della strada;
   infatti, ai sensi della pronuncia della Corte di cassazione del 13 gennaio 2005, n. 508, «appare dunque di tutta evidenza che il contrassegno è rilasciato alla persona invalida, la quale se ne può servire in qualsiasi veicolo adibito in quel momento al suo servizio (...) altrettanto evidente (...) È che l'autorizzazione in discorso è estesa anche alla circolazione del veicolo adibito al trasporto di persona invalida su corsie riservate ai mezzi pubblici»;
   e ancora un'ulteriore pronuncia della Corte di cassazione del 14 agosto 2007, n. 17689, dispone: «Va premesso che la tematica afferente alle infrazioni stradali ascritte a soggetti dichiaratamente invalidi e riconosciuti per tali deve essere affrontata alla stregua dei principi generali operanti in materia e volti a garantire a tali cittadini affetti da menomazioni handicappanti la maggiore mobilità possibile in relazione alle loro esigenze, ovviamente coniugate con l'interesse generale –:
   se il Ministro non ritenga di assumere iniziative per chiarire l'interpretazione della normativa stradale sulle possibilità di circolazione delle persone disabili garantendone e favorendone i transiti stradali sulle corsie riservate ai mezzi pubblici, con il solo limite di evitare intralci e pericoli agli altri utenti della strada, alla luce delle più recenti pronunce della Corte di cassazione e anche in considerazione delle possibili differenze di valutazione e di comportamenti da parte delle autorità locali, con conseguente rischio di sperequazioni tra disabili residenti in città diverse del Paese. (5-02394)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Aeroporto «Raffaello Sanzio», unico aeroporto delle Marche, riveste un ruolo di fondamentale supporto all'economia industriale e turistica della regione e, nell'ambito del riassetto nazionale degli aeroporti italiani, è tra gli scali di interesse nazionale, soprattutto per il settore «cargo», ed avamposto commerciale verso i Paesi e i mercati dell'est;
   in data 20 febbraio 2014, la IV Commissione assembleare permanente ha organizzato un incontro con il nuovo consiglio di amministrazione dell'Aerdorica spa al fine di conoscere la situazione attuale della società medesima e le prospettive di crescita per il prossimo futuro. Dall'analisi effettuata dal presidente del consiglio di amministrazione durante la seduta, è emerso che Aerdorica spa si trova attualmente in una grave situazione debitoria. In particolare risultano a suo carico 37 milioni di euro di indebitamento, a fronte di un fatturato di circa 10 milioni di euro;
   il presidente del consiglio di amministrazione ha dichiarato, a tale proposito, che la preoccupazione prioritaria del nuovo management, per l'anno 2014, è proprio quella di perseguire una politica rigorosa di razionalizzazione dei costi sotto molteplici profili ed ha illustrato in modo analitico la strategia da attuare per riuscire a raggiungere, per la fine dell'anno corrente, un equilibrio di bilancio, riducendo in primis l'eccessivo costo del lavoro, che incide per circa 4 milioni e ottocento mila euro, con particolare riferimento alle figure apicali ed alle fasce medio-alte dei lavoratori;
   il nuovo management, per risolvere la preoccupante situazione debitoria in cui versa la società in questione, deve perseguire una politica diretta, oltre a ridurre i costi, anche ad aumentare i ricavi della società medesima (numero dei voli). È necessario che la strategia di sviluppo dell'aeroporto, che il nuovo consiglio di amministrazione attuerà nel prossimo futuro, attribuisca una rilevanza strategica all'aumento del traffico aereo annuale (passeggeri e merci);
   rispetto al 2013 si è verificata nello scalo dorico una contrazione dei voli giornalieri, con conseguente riduzione dei posti di lavoro offerti quotidianamente;
   pur condividendo le prospettive di risanamento finanziario che il nuovo consiglio di amministrazione si propone di attuare, ritiene indispensabile, in un periodo di grave crisi economica per le famiglie italiane, come quella attuale, non pregiudicare, in alcun modo, i diritti delle fasce più deboli dei lavoratori della società aeroportuale in questione;
   per aumentare la capacità competitiva dell'aeroporto serve una forte sinergia con interporto, porto ed una stretta collaborazione con la società Autostrade e la Rete ferroviaria italiana, al fine rendere concreta la piattaforma logistica delle Marche, in quanto unica piattaforma dell'Italia centrale, anche in vista della realizzazione della Macroregione Adriatico Ionica e della programmazione europea 2014-2020 –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per il rilancio dell'aeroporto, stante la sua valenza strategica per l'economia, la mobilità regionale e nazionale;
   quali iniziative il Governo intenda assumere relativamente ad un piano industriale che garantisca allo scalo marchigiano effettive prospettive di crescita e quindi un aumento dei ricavi prodotti dal numero dei voli sia per i passeggeri che per le merci. (4-04089)


   GAGNARLI e BALDASSARRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in una nota dell'assessorato alle infrastrutture per la mobilità, logistica, viabilità e trasporti della regione Toscana si legge che Trenitalia ha deciso per la soppressione degli Intercity 586 (Roma-Trieste) e 587 (Roma Termini-Milano C.le), cui farà seguito la deviazione, a partire dal mese di giugno 2014, della Freccia bianca 9762 dalla dorsale tirrenica;
   l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Mauro Moretti ha dichiarato nei mesi scorsi (http://iltirreno.geolocal.it) che trattandosi di vettori che non rientrano nel «contratto di servizio con lo Stato» (non sono fra i treni sostenuti dai fondi pubblici, ma si mantengono solo con i biglietti e sono quindi treni a mercato), se i passeggeri non coprono «il rischio di impresa», la società chiude il servizio;
   la regione Toscana ha più volte manifestato e formalizzato la sua contrarietà a questa scelta giudicandola penalizzante per i pendolari e per gli utenti toscani in genere, che si vedrebbero privati di un servizio comunque importante e complementare a quello regionale. Il servizio Intercity è, infatti, fondamentale per garantire il livello «intermedio» fra i servizi AV ed i servizi regionali, in particolare per quei centri e quei territori non serviti dall'alta velocità;
   Trenitalia ha già preannunciato al Governo e alle regioni l'intenzione di cancellare dall'orario estivo le residue 5 coppie di intercity delle 6 rimaste attive. Tale decisione avrebbe ripercussioni gravissime sul servizio per centinaia di utenti toscani;
   per evitare tale decisione, il gestore del servizio chiede al Governo risorse pari a 30 milioni di euro al fine di compensare le perdite che oggi deriverebbero dalla programmazione di tali treni. Tali risorse, secondo quanto comunicato dal Governo alle regioni, non sarebbero al momento disponibili;
   l'articolo 21, comma 4, del decreto-legge n. 98 del 2011, ha introdotto un sovrapprezzo al canone dovuto per l'esercizio dei servizi di passeggeri su linee ad alta velocità, da destinare al sostegno dei servizi a media e lunga percorrenza;
   la determinazione del sovrapprezzo di cui sopra dovrà essere effettuata con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, senza compromettere la redditività economica del servizio di trasporto su rotaia, e sarà soggetta ad aggiornamento triennale;
   ancora oggi si attende il previsto decreto attuativo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che potrebbe contribuire in modo concreto a superare le difficoltà a mantenere in servizio i treni Intercity –:
   se il Ministro interrogato possa illustrare i motivi del ritardo nell'emanazione del decreto attuativo previsto all'articolo 21, comma 4, del decreto-legge n. 98 del 2011. (4-04094)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   PICIERNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni ha suscitato clamore la vicenda del giornalista del settimanale l'Espresso, Claudio Pappaianni, vittima di minacce da parte di un imprenditore napoletano del campo della ristorazione, Antonio Tobia Polese, già condannato in via definitiva per favoreggiamento a Raffaele Cutolo e alla Nuova camorra organizzata;
   in particolare, lo stesso Polese, credendo di non esser registrato dopo lo spegnimento delle telecamere durante un'intervista televisiva rilasciata a un'emittente locale, si lasciava andare a commenti poco lusinghieri nei confronti del giornalista, fino a minacciare lo stesso dicendo «La pagherà cara !»;  
   Polese non ha gradito l'inchiesta di Pappaianni pubblicata su l'Espresso del 14 febbraio, in cui si evidenziava un'ipotesi investigativa secondo la quale il ristorante-albergo di Antonio Polese, location di centinaia di matrimoni all'anno e di una fortunata serie tv, potrebbe avere come socio occulto lo stesso boss Raffaele Cutolo;
   il passaggio cruciale dell'inchiesta de l'Espresso è il racconto inedito di un colloquio in carcere tra il fondatore della Nco e la nipote Roberta. La ragazza manifesta il disagio di suo fratello, rimasto senza lavoro. Scrive Pappaianni «Io vorrei uscire un paio di mesi per mettere a posto a te e a Raffaele. E anche a Mauro, per l'amor di Dio !», è lo sfogo del padrino, che mai come in quel momento appare come un animale ferito rinchiuso in una gabbia. «Potrei fare mille e mille cose. Vedi, c’è una località dove comprammo un vecchio rudere spagnolo, 700 milioni no ?[...] Adesso vale sessanta miliardi (di lire, ndr). Eravamo quattro soci, no [...] Tre stanno lì [...] Dove fanno il festival della canzone [...]», aggiunge. «A Sanremo ?», chiede la nipote a Cutolo, che fa cenno di no con il capo, secondo quanto riportato nel citato articolo;
   l'ipotesi investigativa secondo cui il riferimento del boss Cutolo sia al Grand Hotel «La Sonrisa» dei Polese sembrerebbe rafforzata dal fatto che in quella struttura, da trent'anni, viene celebrata una manifestazione canora trasmessa quasi ininterrottamente su RaiUno. Lo stesso Polese dice chiaramente, nell'intervista televisiva succitata, che il Palazzo del Festival della canzone napoletana «È questo qua !»;
   quando la notizia delle minacce di Polese a Pappaianni viene ripresa prima da ilfattoquotidiano.it e, poi, dal sito web de l'Espresso, l'intervista video in questione viene oscurata dal sito web dell'emittente televisiva «PiùEnne» di Avellino che pure l'aveva realizzata e già mandata in onda una settimana prima sul proprio canale tv;
   a l'Espresso la proprietà della TV ha raccontato di non aver ricevuto «nessuna pressione» per rimuovere quel video e che non ci sia stato «nessun tipo di scontro con i giornalisti»;
   nelle stesse ore, veniva arrestato un noto boss della camorra napoletana, Angelo Cuccaro, condannato all'ergastolo in via definitiva. Sul capo di Cuccaro pendono, altresì, altre accuse, tra le quali quella di estorsione ai commercianti del suo quartiere per l'organizzazione della tradizionale «Festa dei gigli». Documento determinante dell'accusa è un videoreportage realizzato sempre per l'Espresso dallo stesso Claudio Pappaianni, che secondo quanto raccontato dall'Osservatorio «Ossigeno per l'informazione» aveva subito minacce attraverso il social network «Facebook» per quell'inchiesta, poi insignito del premio Ilaria Alpi;
   a Napoli è in atto una nuova faida di camorra, una guerra senza esclusione di colpi, con morti ammazzati e dati alle fiamme. È in atto una riorganizzazione dei clan della città e della provincia, attraverso un feroce regolamento di conti che miete anche vittime innocenti, estranee alla criminalità organizzata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritenga opportuno il Ministro interrogato, sentiti eventualmente il prefetto, la questura e la Direzione distrettuale antimafia competente, assegnare al giornalista la necessaria protezione a salvaguardia della incolumità sua e quella dei suoi familiari, ravvisando un rischio reale e concreto di pericolosa sovraesposizione del giornalista coinvolto, anche alla luce del contestuale arresto del boss Angelo Cuccaro, cui potrebbero conseguire atti di ritorsione. (3-00700)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Valle Peligna e l'Alto Sangro in provincia dell'Aquila sono interessati da varie proposte di soppressione di posti di polizia stradale con la scomparsa della sede di Castel di Sangro e l'accorpamento di Sulmona con Pratola Peligna, con una grave penalizzazione della vigilanza stradale in una area di attraversamento molto importante tra il versante adriatico e tirrenico e in particolare tra l'Abruzzo, il Molise e la Campania, nell'Appennino abruzzese in zone turistiche e naturalistiche molto frequentate come il bacino sciistico di Roccaraso, il Parco nazionale della Majella, il Parco nazionale d'Abruzzo Molise e Lazio;
   a rischio è anche il posto di polizia Polfer di Sulmona;
   nell'ambito di una qualsiasi razionalizzazione della spesa pubblica non si può prescindere dalla precisa analisi del contesto territoriale e della densità dell'attività criminale al fine di evitare i deleteri tagli lineari che, in questo caso, lascerebbero il territorio interessato con un controllo di legalità ampiamente insufficiente –:
   se non intenda intervenire per salvaguardare i suddetti posti di polizia importanti per assicurare il controllo del territorio. (4-04078)


   BRANDOLIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi i giornali nazionali e locali riportavano la notizia che il Ministero si appresterebbe a varare un piano di razionalizzazione delle forze di polizia in cui è prevista la soppressione di alcuni presidi territoriali e tra questi ci sarebbe la chiusura del posto Polfer di Cervignano del Friuli;
   in particolare, da quanto si è appreso dalla circolare interna del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato sul territorio, il Ministero propone il taglio di un miliardo e 800 milioni di euro agli stipendi delle forze dell'ordine e la riduzione dei corsi di formazione, la chiusura di undici commissariati, la soppressione di due compartimenti e 27 presidi della stradale, la cancellazione di 73 sezioni di polizia ferroviaria. Inoltre prospetta la chiusura di ben 73 sezioni provinciali della polizia postale, deputata a fronteggiare questa nuova frontiera del crimine online in un periodo come quello odierno in cui sono in aumento i reati telematici, tra cui anche il cyber bullismo; infine, secondo quanto è dato sapere, saranno chiuse due zone di frontiera e dieci presidi minori, oltre a tutte le 50 squadre nautiche, quattro sezioni di sommozzatori, undici squadre a cavallo e perfino quattro nuclei artificieri;
   per quanto riguarda in particolare la ventilata chiusura del presidio Polfer di Cervignano del Friuli, ha suscitato grande allarme tra la cittadinanza già penalizzata dalla chiusura del commissariato di polizia e per garantire la tutela dell'ordine pubblico rimarrebbe solo una stazione dei carabinieri con pochi addetti, con una microcriminalità in costante aumento;
   la stazione ferroviaria di Cervignano del Friuli è un nodo strategico per l'intera Bassa Friulana e la regione Friuli e occupa una enorme area dove insiste l'interporto che mette in comunicazione l'Italia con Slovenia e Austria che rimarrebbe senza alcun controllo da parte delle forze dell'ordine; sarebbe invece opportuno potenziare lo stesso con la possibilità di impiego del personale Polfer anche in compiti di pattugliamento nel territorio cittadino, in coordinamento con le altre forze di polizia –:
   se non sia possibile al Ministero dell'interno, nell'ambito della razionalizzazione della spesa, effettuare tagli alternativi senza intaccare importanti presidi di sicurezza che operano per la tutela del cittadino, con conseguente stralcio della ventilata soppressione del posto Polfer di Cervignano del Friuli;
   nel caso in cui il taglio venga attuato, poiché i poliziotti non hanno raggiunto l'età pensionabile, con quali criteri e modalità gli operatori della Polfer di Cervignano del Friuli verrebbero riassorbiti e riorganizzati nell'ambito delle forze dell'ordine. (4-04080)


   GASBARRA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono stati sottoscritti ben tre patti per Roma sulla sicurezza;
   l'area metropolitana della capitale è la più popolosa d'Italia e con 120 comuni ha un'estensione pari a quella delle province di Milano, Genova e Napoli;
   19 sindaci di comuni della provincia di Roma hanno già manifestato la propria totale contrarietà alle misure di razionalizzazione e alle chiusure previste di commissariati e di altri reparti di polizia, anche ferroviaria;
   il cosiddetto decreto Cancellieri (decreto legislativo n. 155 del 2013) ha tagliato una serie di sedi di tribunali tra cui quello di Ostia e (è notizia di pochi giorni fa) il provvedimento del Ministero della giustizia salva 13 giudici di pace nel Lazio, ma non quello di Ostia che ogni anno accoglieva migliaia di cittadini svolgendo una funzione centrale per la Capitale sia in termini di funzionalità, di snellimento sia per la presenza dello Stato sul territorio;
   in questi ultimi anni, come confermano le straordinarie operazioni che la procura della Repubblica di Roma, le forze di polizia e la DIA hanno messo a segno, alcune aree del Lazio e la stessa capitale sono state infiltrate con forza dalle mafie ed è necessario dare ancor più incisività a questa lotta con mezzi e uomini;
   molto spesso la presenza di un posto di polizia rappresenta in alcuni quartieri l'unica presenza dello Stato soprattutto in territori come i Castelli di Roma, così come nelle aree di Viterbo, Latina e Frosinone;
   abbandonare una stazione ferroviaria senza controllo, che abbia la valenza di prevenzione oltre che di controllo e repressione si è dimostrato fatale in alcuni tragici fatti che hanno scioccato i cittadini della Capitale –:
   se corrisponda al vero che Roma, ed in particolare la sua provincia e il Lazio, saranno colpite così duramente dalla spending review degli organi di polizia e quali provvedimenti intenda assumere per garantire la sicurezza nelle aree e nelle città colpite che rimarranno senza alcun presidio di sicurezza. (4-04083)


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il territorio del comune di Porto Tolle (Rovigo) risulta essere il terzo in Veneto per superficie, dopo quelli di Venezia e di Cortina d'Ampezzo (Belluno);
   lo stesso sarebbe interessato da un drastico ridimensionamento delle forze di polizia, deciso a livello centrale, che si tradurrebbe nella chiusura contemporanea del commissariato e della squadra nautica;
   il 10 marzo 2014 è scaduto il termine per recepire da parte della questura e della prefettura di Rovigo le indicazioni e le osservazioni da inviarsi al Ministero dell'interno;
   in caso di chiusura l'intera gestione della sicurezza e dell'ordine pubblico sul territorio in questione ricadrebbe interamente sulle spalle degli operatori in forza alla sola stazione dei carabinieri;
   a fronte di questo rischio non è mai stato comunicato né ipotizzato finora alcun rafforzamento degli effettivi dell'Arma sul campo, a compensare l'eventuale perdita della polizia;
   il territorio in questione è caratterizzato da una serie di peculiarità, come ad esempio la presenza della centrale Enel di Polesine Camerini e, poco al largo del litorale, un altro obiettivo potenzialmente «sensibile» come il terminal gasifero di Porto Levante;
   oltre a ciò, vanno, considerate le problematiche mai veramente risolte che riguardano la pesca e la vocazione turistica che il territorio ha assunto negli ultimi anni, al punto da far registrare nel periodo estivo un significativo aumento della popolazione;
   a seguito della decisione di sopprimere il commissariato è partita localmente una raccolta firme, che ha toccato quota 2.000 adesioni in pochissimi giorni, a conferma di quanto la questione sia particolarmente sentita dalla comunità;
   l'amministrazione comunale ha dato la propria disponibilità in modo pubblico ad individuare altri immobili idonei ad ospitare il commissariato, contribuendo ad abbattere la spesa rappresentata dall'affitto degli attuali locali –:
   come e se il Governo, alla luce delle specificità e peculiarità di cui sopra, intenda farsi parte attiva per garantire la continuità del commissariato. (4-04084)


   PETRINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con nota 599/A/1/131.4.1/2701, il 3 marzo 2014 il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha pubblicato il progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi della polizia di Stato sul territorio nazionale, da sottoporre al vaglio delle questure e delle prefetture;
   stando a quanto riportato dalla suddetta nota, la proposta di razionalizzare la dislocazione dei presidi di polizia nel nostro Paese deriva dalla carenza di organico in cui versano le forze dell'ordine e dall'attuale congiuntura economica che impone ingenti tagli al settore pubblico;
   in particolare, il progetto del Viminale, elaborato di concerto con il comando generale dell'Arma dei carabinieri, prevede da un lato, una rivisitazione della dislocazione dei commissariati di polizia, delle compagnie dei carabinieri e di quelle forze speciali a carattere sussidiario, concentrate in alcune sedi e non razionalmente distribuite e dall'altro, una ottimizzazione dei presidi della polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera;
   tale razionalizzazione, giustificata con l'emergere di nuove esigenze, derivanti dalla rinnovata rete stradale e ferroviaria e dal nuovo sistema postale e delle frontiere, interessa quasi tutte le province italiane, 101 su 110, e saranno 267 i presidi di polizia che verranno chiusi per un risparmio stimato di 600 milioni di euro;
   in particolare, nella regione Marche, è prevista la chiusura di dieci uffici di polizia, fra cui il distaccamento della polizia stradale di Amandola, considerata un autentico avamposto che fa parte oramai della storia della città, la quale si vedrebbe così privata del diritto di usufruire di un servizio indispensabile per un ordinato svolgimento della vita cittadina;
   il distaccamento della stradale ha da sempre rappresentato un saldo punto di riferimento per la sicurezza dell'area interna e montana, soprattutto per la vicinanza di Amandola ad alcune località sciistiche e al parco nazionale dei Monti Sibillini, che ogni anno attirano migliaia di turisti, sia nel periodo invernale che in quello estivo;
   poiché l'ordine pubblico in questa porzione dell'entroterra marchigiano è garantito dai carabinieri delle caserme di Amandola, Comunanza e Montemonaco, il venir meno del presidio di polizia di Amandola provocherebbe seri problemi in merito al mantenimento degli attuali standard d'intervento per la sicurezza dei cittadini nelle località interessate;
   il taglio dei presidi di polizia nell'area montana della regione Marche è visto con forte preoccupazione anche dalla Cgil e dal sindacato autonomo di polizia (SAP) che, durante l'8° congresso provinciale, ha denunciato come le logiche della «spending review» siano prevalse anche sul settore della sicurezza, considerato come un costo, anziché un investimento, al pari della scuola e della sanità;
   il progetto inoltre, così come formulato dal Viminale, non coinvolge le realtà locali, non propone un assetto alternativo per assicurare la protezione dei cittadini, né tiene conto delle aspettative e delle esigenze del personale, che verrà accorpato in altre sedi, con conseguenti trasferimenti obbligatori dell'organico;
   sebbene i sindacati e le principali istituzioni fermane non siano contrari a prescindere a una riorganizzazione del settore, perché coscienti dell'esigenza di eliminare gli sprechi pubblici, chiedono d'altro canto che vengano garantiti i livelli di sicurezza sul territorio e salvaguardate le condizioni del personale, auspicando una maggiore chiarezza e un'operazione di trasparenza e confronto che coinvolga le istituzioni locali e i rappresentanti dei lavoratori –:
   quali misure urgenti il Ministro intenda adottare al fine di evitare la soppressione del distaccamento della polizia stradale di Amandola e se non ritenga opportuno modificare il progetto di razionalizzazione delle risorse e dei presidi di polizia sul territorio nazionale affinché l'obiettivo ultimo rimanga quello di garantire, e non ridurre, la sicurezza dei cittadini. (4-04097)


   NACCARATO, MIOTTO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della pubblica sicurezza sta ultimando uno studio per la revisione dei presidi e degli uffici della polizia di Stato su tutto il territorio nazionale resa necessaria dalla diminuzione di personale, sceso dai 103 mila del 2003 ai circa 94 mila del 2013;
   secondo le prime anticipazioni dello studio citato, la polizia di Stato andrebbe incontro ad una razionalizzazione dei presidi delle quattro specialità stradale, ferroviaria, postale e frontiera;
   tra queste, la polizia postale appare come la specialità maggiormente a rischio in quanto il dipartimento avrebbe comunicato di voler mantenere gli uffici che se ne occupano solamente nelle città sedi di corti d'appello;
   per quanto riguarda il Veneto, il distretto della corte di appello di Venezia comprende il territorio dei circondari dei tribunali Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona, Vicenza;
   ne consegue che solamente a Venezia rimarrebbe attiva una sede del compartimento della polizia postale a cui sarebbe necessario affidare il controllo di tutto il Veneto;
   le sei sezioni situate nei capoluoghi delle altre province venete, quindi, verrebbero soppresse, in completa controtendenza con l'aumento dei reati di natura informatica e una crescente domanda di informazione qualificata e affidabile che solo soggetti istituzionali possono offrire;
   in queste sei sezioni uffici prestano servizio 64 agenti: 11 a Belluno, 13 a Padova, 5 a Rovigo, 11 a Treviso, 15 a Verona e 9 a Vicenza;
   nel solo 2013 le sei sezioni provinciali della polizia postale hanno ricevuto poco più di circa 3.100 denunce da parte di cittadini, trattato poco meno di 6.000 fascicoli e deferito all'autorità giudiziaria circa 360 persone, hanno portato le proprie competenze tecnologiche e investigative in circa 250 incontri nelle scuole a cui hanno partecipato mediamente un centinaio di studenti per ciascun incontro;
   quest'ultima attività, peraltro ampiamente pubblicizzata dal Ministero dell'interno tramite i mass-media e i social network, è stata molto apprezzata dai soggetti che ne hanno usufruito, al punto tale che si è registrato un aumento notevole delle richieste di intervento nelle scuole per il corrente anno scolastico, tanto che il personale vi prende parte anche attraverso modalità di impiego in straordinario programmato su progetti predisposti dal compartimento di Venezia;
   nello stesso anno si calcolano circa 26.000 chiamate telefoniche agli uffici della polizia postale e delle comunicazioni che si ritiene di dover dismettere, di cui circa il 30 per cento provenienti dalle questure e da queste girate alla specialità per offrire una risposta qualificata, il 20 per cento provenienti dal 112 dei Carabinieri, mentre il rimanente 50 per cento provenienti dai cittadini;
   questi numeri evidenziano l'importanza della presenza delle sedi della specialità postale come punto di riferimento per il cittadino che utilizza la rete internet, gli apparati telefonici e radioelettrici;
   desta una concreta preoccupazione l'intenzione di indirizzare tutte le richieste di informazione e di intervento ad una sola sede, confinando al solo ufficio di Venezia una intera specialità, come quella postale, che conosce un inarrestabile aumento di richieste, competenze e necessità di specializzazione;
   esiste infatti il rischio di depotenziare il lavoro sviluppato sull'intero territorio veneto dalle diverse sedi provinciali al punto mettere in discussione la reale operatività della polizia postale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali azioni il Ministro, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per tutelare l'attività della polizia postale nel territorio del Veneto. (4-04098)


   FAENZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di riorganizzazione del comparto sicurezza a livello nazionale, secondo quanto sostenuto dalla segreteria provinciale dell'Ugl di Grosseto, prevede la soppressione della sede della polizia postale, nella medesima città toscana, con prevedibili effetti negativi e penalizzanti nei riguardi dei servizi resi ai cittadini e la sicurezza informatica, in particolare nei confronti del contrasto al fenomeno della pedofilia e della pornografia minorile;
   la suindicata organizzazione sindacale rileva come il riordinamento dei presidi territoriali, sia solo apparentemente motivato da esigenze di revisione della spesa pubblica, celando in realtà un piano privo di un minimo di lungimiranza e di comune buon senso, finalizzato al semplice reclutamento di uomini per le esigenze numeriche delle questure per i servizi ordinari;
   l'interrogante evidenzia come il ruolo svolto dalla polizia postale sia di estrema importanza, in considerazione che si tratta di uno specifico reparto specializzato nelle attività di controllo e repressione, per tutti i reati rientranti nella complessa materia delle comunicazioni, incluse le attività illecite esercitate per mezzo di Internet;
   le attività di contrasto per una molteplicità di reati, il cui numero risulta peraltro in aumento, riguardanti hacking (intrusioni e danneggiamenti informatici), frodi con carte di credito, truffe on line, minacce o diffamazioni tramite social network, oscuramento di siti, necessitano a parere dell'interrogante, di essere sostenute e potenziate, in considerazione delle numerose iniziative che a livello nazionale e internazionale, le Istituzioni svolgono per la protezione dei bambini, dei giovani e delle donne contro ogni forma di violenza;
   l'eventuale soppressione della sezione della polizia postale di Grosseto, ove confermata, a giudizio dell'interrogante, rischia di pregiudicare, inevitabilmente i livelli di sicurezza, in considerazione che l'intera cittadinanza verrebbe a trovarsi senza un presidio fondamentale nel contrasto dei reati informatici, le cui diverse e complesse fattispecie in precedenza elencate, necessitano un'adeguata tutela giuridica e di opposizione;
   la necessità di preservare una importante funzione delle distinte aree d'intervento, svolta dal compartimento territoriale della polizia postale di Grosseto, risulta in definitiva di estrema importanza a parere dell'interrogante, in considerazione delle osservazioni in precedenza elencate –:
   se intendano confermare la soppressione del presidio della polizia postale di Grosseto, prevista all'interno del piano nazionale di riordinamento del comparto sicurezza;
   in caso affermativo, se non ritengano che tale decisione possa pregiudicare i livelli di tutela nei riguardi dei cittadini grossetani, con riferimento all'attività di contrasto ai numerosi crimini informatici in precedenza esposti;
   quali iniziative infine intendano intraprendere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di compensare i livelli di contrasto al crimine informatico, derivanti dall'eventuale interruzione dei servizi svolti dagli operatori della polizia postale di Grosseto e come intendano riallocare il personale nel caso di soppressione del presidio cittadino interessato.
(4-04105)


   DI LELLO, LABRIOLA e PISICCHIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'esposizione universale «Expo Milano 2015», per far fronte alle esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, il Ministro dell'interno, nei giorni scorsi, ha dichiarato come il blocco del turnover delle forze dell'ordine avrebbe subito una deroga del 55 per cento;
   la legge di stabilità per il 2014, legge n. 147 del 2013 prevede importanti risorse economiche anche per le dotazioni di mezzi e la logistica, per le strutture ed i servizi;
   a ciò si deve aggiungere che la forza disponibile, in base alle esigenze riscontrate dal Ministro, va utilizzata, da parte dell'amministrazione di PS, in ossequio alla direttiva del 2013 emanata dal Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione con apposito provvedimento a proposito dello scorrimento delle graduatorie dei concorsi pubblici, prorogabili sino al 31 dicembre 2015;
   le unità da assumere, per essere effettivamente disponibili entro la data di inizio dell'evento, dovrebbero iniziare il corso di allievi agenti entro e non oltre il mese di aprile 2014; pertanto, non sussistono i normali tempi tecnici per avviare una nuova procedura concorsuale (questa, infatti, terminerebbe a fine 2014 e renderebbe operativi i nuovi agenti nel dicembre 2015);
   a tal proposito si ricorda che vi sono ad oggi, diverse graduatorie di merito in corso di validità nelle quali risultano essere disponibili candidati idonei immediatamente arruolabili. Tra questi i 512 candidati idonei non vincitori, oltre alle seconde aliquote e VFP4 idonei dell'ultimo concorso per l'arruolamento di 964 allievi agenti bandito nel mese di marzo 2013;
   in tal senso nei giorni scorsi, l'Arma dei carabinieri, mediante decreto dirigenziale, ha avviato una procedura di arruolamento mediante scorrimento degli idonei della graduatoria 2012 per 1.886 allievi carabinieri. In particolare, sono stati assunti i vincitori ma anche i 48 idonei non vincitori, ossia i restanti idonei presenti in graduatoria e, pertanto, la stessa è stata del tutto esaurita;
   tale decreto cita testualmente: «Ravvisata l'esigenza di disporre, con immediatezza, di XXX Allievi Carabinieri, senza dover attendere i tempi tecnici richiesti per portare a termine una nuova procedura di reclutamento mediante il bando di un concorso pubblico. Tenuto conto dei principi di economicità e speditezza dell'azione amministrativa e della necessità di contenere i costi gravanti sull'amministrazione per la gestione delle procedure di reclutamento»;
   l'iniziativa assunta dall'Arma dei carabinieri risponde ai princìpi di economicità ed efficienza della pubblica amministrazione che, se adottati anche con riferimento alle forze di polizia permetterebbero l'immediata assunzione degli interessati evitando, per la recentissima idoneità conseguita, la necessità di effettuare anche le visite mediche di controllo per il mantenimento dell'idoneità psico-fisica –:
   quali iniziative i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, abbiano intenzione di assumere, al fine di incrementare il numero delle forze dell'ordine per far fronte da un lato alle esigenze di sicurezza dell'intero Paese e dall'altro alla necessità di assumere nuovi agenti di polizia in vista della manifestazione di Expo 2015, alla luce delle considerazioni sopra esposte;
   se non ritengano opportuno, ai sensi del decreto del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione e al fine di ridurre i costi gravanti sull'amministrazione e consentire una celere disponibilità delle necessarie forze dell'ordine in tempo per l'evento sopra richiamato, procedere all'assunzione immediata delle 672 unità dichiarate idonee all'ultima procedura concorsuale per il concorso per 964 allievi agenti della polizia di Stato.
(4-04114)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANZI e MALPEZZI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2010 si è proceduto alla revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei, rinviando a successivo decreto del Presidente della Repubblica la riorganizzazione anche delle sezioni scolastiche ad indirizzo sportivo;
   lo schema di decreto del Presidente della Repubblica che prevede tale nuova organizzazione è stato approvato nel Consiglio dei ministri dell'11 gennaio 2013 ed è poi confluito nel decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2013;
   l'Assemblea legislativa della regione Marche con delibera del 15 gennaio 2013, n. 63 ha approvato la programmazione della rete scolastica delle Marche per l'anno scolastico 2013/14, autorizzando l'istituzione del liceo sportivo nelle seguenti scuole: il liceo scientifico Marconi di Pesaro (Pesaro e Urbino), l'I.I.S. Cambi Serrani di Falconara (Ancona), il liceo Rosetti di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno), l'I.I.S. Einaudi di Porto Sant'Elpidio (Fermo) e l'I.I.S. Varano Camerino (Macerata), in conformità con il testo dello schema di decreto che stabilisce che le sezioni ad indirizzo sportivo di ciascuna regione non possono essere istituite in numero superiore a quello delle relative province;
   successivamente, con nota del 22 gennaio 2013, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha comunicato che il liceo ad indirizzo sportivo potrà essere attivato solo a partire dall'anno scolastico 2014/2015, poiché i tempi di approvazione e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale non sono compatibili con le operazioni finalizzate all'avvio dell'anno scolastico 2013/14;
   lo stesso Ministero, con nota del 1o febbraio 2013, ha poi specificato che «... qualora le SS. LL, intendano attivare sperimentalmente in alcune realtà provinciali, secondo il piano del'offerta formativa, l'indirizzo sportivo per l'anno scolastico 2013/2014, potranno fare riferimento a quanto previsto dall'articolo 10, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89 (regolamento dei nuovi licei) che consente alle istituzioni scolastiche di utilizzare la quota del 20 per cento del monte ore annuale nell'ambito degli indirizzi definiti dalle regioni, tenuto conto delle richieste degli studenti e delle famiglie»;
   l'I.I.S Varano di Camerino (Macerata), cogliendo tale opportunità ha adottato con i propri organi collegiali una delibera che ha permesso, per l'anno scolastico 2013/2014, l'attivazione di una prima classe sperimentale di indirizzo sportivo con più di 20 alunni e con un piano di studio rispettoso delle norme e cioè di quella quota del 20 per cento del monte ore annuale nell'ambito degli indirizzi definiti dalle regioni, tenuto conto delle richieste degli studenti e delle famiglie;
   con l'approssimarsi delle procedure per le iscrizioni all'anno scolastico 2014/2015, il dirigente scolastico dell'I.I.S. Varano di Camerino ha ritenuto opportuno richiedere al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di poter far confluire questa classe sperimentale al secondo anno del liceo sportivo ordinamentale, in modo tale da porre gli studenti sullo stesso piano delle future matricole;
   la risposta ricevuta in merito è stata negativa e la richiesta di confluenza dell'attuale liceo sportivo sperimentale, nel secondo anno del liceo scientifico ad indirizzo sportivo negata, poiché, secondo quanto riportato nella nota del dirigente incaricato: «gli esami di stato conclusivi di tali percorsi liceali, che saranno ordinamentalmente istituiti dal prossimo anno scolastico, dovranno svolgersi contemporaneamente su tutto il territorio nazionale»;
   inoltre con nota del 4 dicembre 2013, inviata ai direttori generali degli uffici scolastici regionali e successivamente con la circolare del 10 gennaio 2014, n. 28 che regola le iscrizioni scolastiche per l'anno scolastico 2014/2015, il Ministero, per quanto concerne le iscrizioni alle sezioni ad indirizzo sportivo dei licei scientifici, ha specificato che: «le classi prime potranno essere attivate esclusivamente nelle scuole statali che risulteranno autorizzate dai rispettivi piani regionali dell'offerta formativa e nelle scuole paritarie che avranno ottenuto il riconoscimento della parità scolastica per lo specifico indirizzo di studi. Ai fini di una corretta informazione alle famiglie, si fa presente che in prima applicazione sarà consentita l'attivazione di una sola classe prima per ciascuna istituzione scolastica»;
   all'articolo 3, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 52 del 2013 si parla di limitare, ad un numero pari a quello delle province, le sezioni ad indirizzo sportivo, non le classi, come invece riportato nella sopracitata circolare ministeriale, lasciando quindi aperta la possibilità di aprire più di una classe ordinamentale nell'anno scolastico 2014/15 –:
   se, alla luce dei fatti sopra menzionati, il Ministro interrogato non ritenga opportuno adoperarsi affinché venga concessa la possibilità di far confluire la classe sperimentale ad indirizzo sportivo nella seconda ordinamentale, in considerazione del fatto che il piano di studi è assolutamente sovrapponibile e se inoltre non sia il caso di riconsiderare la limitazione nell'apertura delle prime classi di indirizzo sportivo per il nuovo anno scolastico. (5-02389)


   ROSTELLATO, RIZZETTO, BALDASSARRE, CECCONI, SILVIA GIORDANO, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il riconoscimento del massofisioterapista è avvenuto nel 1961 con la Legge n. 570 istitutiva «della Scuola nazionale professionale per massofisioterapisti ciechi dell'istituto statale d'istruzione professionale per ciechi annesso all'istituto nazionale dei ciechi “Vittorio Emanuele II” di Firenze»;
   successivamente, la legge n. 403 del 1971, all'articolo 1 comma 1, definiva quella del massofisioterapista «professione sanitaria ausiliaria» ed all'articolo 2 poneva l'obbligo in capo alle strutture sanitarie pubbliche di «assumere direttamente in ruolo un massaggiatore o massofisioterapista cieco diplomato e iscritto all'albo professionale nazionale dei massaggiatori e massofisioterapisti ciechi istituito con la legge 21 luglio 1961, n. 686»;
   la legge n. 502 del 1992, recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria», successivamente modificata dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 517 del 1993, nel disciplinare la formazione universitaria del personale esercente le professioni sanitarie all'epoca chiamate «ausiliarie», demandava al Ministro della sanità l'individuazione delle figure professionali da formare e dei relativi profili prevedendo all'articolo 6 che fossero soppressi entro due anni «... i corsi di studio relativi alle figure professionali individuate ai sensi del presente articolo e previsti dal precedente ordinamento che non siano stati riordinati ai sensi del citato articolo 9 della legge 19 novembre 1990, n. 341»;
   con decreto ministeriale 10 luglio 1998, il Ministero della sanità precisava, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 6, comma 3, decreto legislativo n. 502 del 1992, che i corsi di formazione professionale per non vedenti, volti all'acquisizione della qualifica di massofisioterapista «non rientrano fra quelli soppressi alla data 1o gennaio 1996», e che il titolo rilasciato all'esito di tali corsi abilita all'esercizio della relativa professione;
   pertanto non essendo stata inserita la figura del massofisioterapista fra le professioni sanitarie da riordinare, né essendo intervenuti atti di riordino del relativo corso di formazione o di esplicita soppressione, il profilo professionale in questione, così come il percorso di studi abilitante, sono rimasti configurati nei termini del vecchio ordinamento;
   allo stato, infatti, la figura del massofisioterapista rientra fra i profili sanitari della e configurata nei termini di cui alla legge n. 403 del 1971 e al decreto ministeriale del 7 settembre 1976 (cfr. sul punto C.d.S., IV, sent. 12 giugno 2007, n. 5225; cfr., da ultimo, C.d.S., IV, sent, 30 maggio 2011, n. 3218);
   la figura professionale del massofisioterapista vedente, infine, non si distingue da quella del massofisioterapista «non vedente» tranne che per le disposizioni specifiche che riservano a quest'ultimo determinate agevolazioni ai fini del collocamento al lavoro con la conseguenza che, per ogni altro aspetto, la disciplina che regola «l'esercizio professionale dei massofisioterapisti è, per necessità logica e giuridica estensibile anche ai massofisioterapisti vedenti.» (T.A.R. Umbria, sent. 16 maggio 2001, n. 340; TAR Campania, Napoli, 10 gennaio 2007);
   il decreto del Ministero della pubblica istruzione n. 105 del 1997, inoltre, con riferimento alle competenze del massofisioterapista ribadisce che quest'ultimo «è in possesso di una solida cultura di base e di una preparazione professionale che gli consentono sicure competenze operative atte alla prevenzione, alla cura e riabilitazione»;
   il massofisioterapista, quindi, è figura sanitaria, che svolge funzioni riabilitative (Consiglio di Stato 5939/2007), abilitata ad applicare le tecniche del massaggio sul paziente e ad eseguire terapie di riabilitazione. In ultima analisi ma non per importanza, è bene specificare che il massofisioterapista, in forza di un titolo conseguito ai sensi della legge n. 403 del 1971, è autorizzato a lavorare in regime di libera professione utilizzando tutti gli elettromedicali necessari per la riabilitazione e rieducazione motoria, solo ed esclusivamente dietro prescrizione medica. La presenza del direttore sanitario per l'utilizzo degli elettromedicali, all'interno di studi professionali e/o associati, non è necessaria alla luce della piena autonomia che la legge concede alla figura sanitaria del massofisioterapista (legge n. 403 del 1971, decreto ministeriale 7 settembre 1976, decreto ministeriale 17 febbraio 1997 n. 105.);
   una recentissima sentenza del Consiglio di Stato (3325/2013) ha chiarito che il Massofisioterapista «svolge terapie che gli competono in ausilio dell'opera dei medici e secondo le istruzioni del sanitario», svolgendo attività di interesse sanitario, quale figura, tuttora non riordinata, di «permanente operatività, nonché autonoma dignità professionale»;
   attualmente, nonostante un quadro normativo complesso ma piuttosto chiaro, la professione è costantemente sottoposta ad attacchi mediatici e giuridici che hanno di fatto creato enorme confusione nell'esatta collocazione della figura sanitaria del massofisioterapista;
   una recentissima sentenza del Consiglio di Stato ha classificato tali operatori, quali «operatori di interesse sanitario» togliendo il legittimo e precedente status giuridico di «professione sanitaria non riordinata collocata nei termini del vecchio ordinamento (Consiglio di Stato sent. 3218/2011)»;
   tale interpretazione da parte della terza sezione del Consiglio di Stato, ha creato una discrepanza e un vuoto a livello giuridico che ha messo a repentaglio l'autonomia professionale della figura del massofisioterapista –:
   se i ministri interrogati siano a conoscenza della situazione su esposta e delle criticità connesse all'interpretazione del consiglio di Stato;
   cosa intendano produrre per dare certezza alla professione e, nel contempo, se non ritengano pacifico ridare al massofisioterapista lo status giuridico che gli spetta. (5-02392)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI, CHIMIENTI, VACCA, PARENTELA, L'ABBATE, GALLINELLA, CIPRINI, BRESCIA, VALLASCAS e GAGNARLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'emanazione del decreto-legge n. 95 del 2012, contenente «Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica», convertito poi dalla legge n. 135 del 2012, a partire dal mese di settembre 2014 verrà dato un ulteriore impulso al processo di dematerializzazione nella scuola pubblica;
   il nuovo corso prevede iscrizioni degli alunni da effettuare con la modalità on-line, una pagella in formato elettronico, l'istituzione di registri on line che sostituiscono i modelli cartacei (registro di classe e quello personale del docente), la trasmissione via email di tutte le comunicazioni agli alunni e alle loro famiglie, la redazione e la successiva consultazione on line delle programmazioni didattiche, delle valutazioni sistematiche e periodiche, e delle pagelle quadrimestrali;
   le pagelle in formato elettronico avranno la stessa validità legale del documento cartaceo e saranno direttamente disponibili sul sito internet della scuola oppure spedite via email o con altra modalità elettronica;
   per potersi avvalere di questo nuovo sistema di comunicazione che garantirà ai genitori degli alunni di monitorare costantemente l'andamento didattico-disciplinare dei propri figli, è necessario che tutte le scuole di ogni ordine e grado siano dotate di supporti tecnologici (computer, palmari, tablet, e altro) adeguati e in numero sufficiente in base al numero di classi o di docenti, e di reti internet ADSL per i servizi di web mail e server web;
   gran parte delle scuole pubbliche italiane di ogni ordine e grado si trovano in uno stato di grave arretratezza e carenza dal punto di vista della dotazione informatica e della possibilità di accesso alla rete internet;
   i computer in uso presso i laboratori informatici, spesso frutto di donazioni, non possono essere annoverati nel computo dei sistemi informatici destinati alla registrazione elettronica, in quanto finalizzati esclusivamente all'attività didattica degli studenti;
   già nel corso dell'anno scolastico 2013-2014 molte scuole pubbliche hanno cercato di adeguarsi al nuovo corso, ma senza l'adeguata organizzazione e disponibilità di risorse, il personale docente ed amministrativo ha subito un indebito aumento del carico di lavoro;
   l'attività del docente, oltre all'insegnamento, prevede di riportare le assenze di inizio giornata, quelle relative alla disciplina, l'inserimento degli ingressi in ritardo, delle uscite anticipate, delle valutazioni sistematiche e periodiche, delle note disciplinari della programmazione svolta e di ogni altra attività didattica degna di rilievo;
   a seguito della soppressione dei registri cartacei non sostituiti da adeguati supporti informatici per le carenze di cui prima i docenti saranno costretti a riportare tutte le rilevazioni ed osservazioni su supporti di fortuna (quaderni agendine bloc-notes e altro), trascrivendo successivamente e al di fuori dell'orario di lavoro, i dati sul computer personale o presso un internet point, laddove siano sforniti di un pc o di una rete internet domestica –:
   se sia a conoscenza delle gravi carenze riguardanti la dotazione informatica della scuola pubblica italiana, tali da rendere inattuabile il processo di dematerializzazione e razionalizzazione della spesa nei tempi previsti, e quali misure intenda intrapprendere per colmare queste gravi deficienze;
   se sia stato previsto un congruo riconoscimento economico del lavoro di inserimento dei dati svolto dal personale docente e non docente al di fuori dell'orario scolastico e rimborso delle spese eventualmente sostenute per l'acquisto dei beni strumentali e del canone di utilizzo della rete internet, per queste finalità;
   quali iniziative intenda intraprendere per la formazione personale docente e non, relativa all'utilizzo dei supporti informatici previsti nel processo di dematerializzazione. (4-04096)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   moltissimi percettori di ammortizzatori sociali in deroga in particolare per quanto riguarda percettori di indennità di mobilità in deroga nell'anno 2013 si sono trovati a dover fronteggiare una penalizzante novità;
   a seguito infatti dell'ultimo riparto, quello avvenuto a seguito della firma del decreto del 22 gennaio 2014 che autorizzava la ripartizione in favore delle regioni di 400 milioni di euro, i lavoratori si sono visti calcolare un conguaglio sulla mensilità che non prendeva in considerazione le dovute detrazioni;
   infatti, le detrazioni per l'anno 2013 sono state calcolate fino alla penultima mensilità ricevuta, mentre il conguaglio è stato applicato con un grave danno per i percettori della indennità che hanno visto ridursi il già ridotto assegno;
   per molti lavoratori mancano ancora alcune mensilità di chiusura per l'anno 2013 e potrebbe ripresentarsi il problema;
   si tratta, ad avviso dell'interrogante, di una palese violazione dei commi 4 e 5 dell'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986;
   sono in atto una serie di iniziative finalizzate al ripristino della corretta tassazione Irpef sugli assegni di mobilità in deroga –:
   se e quali iniziative il Governo intenda attivare per restituire ai lavoratori quanto richiesto indebitamente al fine di evitare un aggravio su categorie sociali già in difficoltà. (5-02388)


   GRIMOLDI e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 78 del 2010 sono state create le cosiddette «finestre mobili», che spostavano di 12 mesi la data della finestra pensionistica originaria; da tale intervento è stata salvaguardata ai sensi del comma 5 dell'articolo 12 una platea di 10.000 soggetti;
   il successivo comma 5-bis dell'articolo 12 del citato decreto-legge n. 78 del 2010, introdotto dall'articolo 1, comma 37, della legge 13 dicembre 2010 n. 220, stabilisce che il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nei limiti delle risorse disponibili del Fondo sociale per occupazione e formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009, può disporre, in deroga alla normativa vigente, in via alternativa a quanto previsto dal precedente comma 5, per le medesime categorie di lavoratori la concessione del prolungamento dell'intervento di tutela del reddito;
   in altri termini viene riconosciuto il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito, con esclusione della contribuzione figurativa, in favore dei lavoratori che non rientrano nel contingente delle 10.000 unità di cui al menzionato comma 5 dell'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2010, ancorché maturino i requisiti per l'accesso al pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2011 e comunque entro il periodo di fruizione delle prestazioni di tutela del reddito;
   per il 2012 e 2013 sono stati emanati i predetti decreti, sia pure a fine anno e quindi con notevole ritardo rispetto ai disagi di chi rimane privo di reddito dal mese di gennaio; per il 2013, tuttavia, il decreto 76353 del 16 dicembre 2013 ha rappresentato per gli interessati un danneggiamento, in quanto copre solo una parte di mesi, lasciando scoperti tutti gli altri;
   il prolungamento dell'intervento di tutela del reddito riguarda migliaia di lavoratori esodati appartenenti a varie categorie (mobilità, fondi di solidarietà, e altro), per i quali il decreto di erogazione rappresenta l'unico sostentamento economico a loro disposizione –:
   se ed entro quali tempi si preveda l'emanazione del decreto finalizzato alle coperture delle mensilità mancanti per il 2014;
   se non ritenga di procedere anche con l'emanazione in tempi rapidi del nuovo decreto 2014 relativamente al vuoto reddituale per le nuove decorrenze;
   se non convenga sulla necessità che il decreto interministeriale per il prolungamento del reddito debba essere emanato all'inizio di ogni anno di riferimento invece che alla fine. (5-02390)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE, RIZZETTO, ROSTELLATO, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da vari organi di stampa, appare che i sindacati – CGIL, CISL, UIL – si spartiscono un miliardo di euro circa all'anno, di fondi pubblici, grazie a convenzioni di caf e patronati;
   si apprende inoltre che la cifra di un miliardo di euro sarebbe al netto delle quote associative e delle rendite dell'ingente patrimonio immobiliare dei sindacati suddetti;
   la cifra suddetta di un miliardo di euro è solo quella che transita dai patronati e dai centri di assistenza fiscale (caf) e per tale ragione si può dedurre che i fondi pubblici che vengono erogati sono nettamente superiori;
   come si evince da un articolo a firma Osvaldo de Paolini su Il Messaggero in data 11 marzo 2014, patronati e caf non sono sottoposti a nessuna verifica sulla qualità effettiva del servizio, da parte di alcun Ministero;
   dall'articolo suddetto si evince che 600 milioni di euro sono i compensi sottratti ad un negoziato di mercato, ma garantiti da norme di legge o convenzioni stipulate dagli enti pubblici, che vengono incassati da patronati e caf per i servizi erogati;
   i 600 milioni di euro vengono ripartiti in 430 milioni di stanziamento per i patronati e 170 milioni per i caf;
   inoltre, i caf ricevono compensi a carico dello Stato anche per l'elaborazione e la trasmissione dei modelli 730: 26 euro ciascuno;
   la cifra dei compensi ai patronati è di 430 milioni di euro e, dall'articolo suddetto de Il Messaggero, si apprende che non c’è alcun regolamento che definisca e sanzioni la qualità delle attività patrocinate –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato possa fornire dati certi e dettagliati sulle cifre che lo Stato eroga ai sindacati e a tutte le organizzazioni annesse, a qualsiasi titolo;
   se il Ministro interrogato non intenda porre in essere tutte le opportune iniziative normative al fine di favorire una più stringente disciplina sui controlli che ponga in relazione la qualità dei servizi erogati con i fondi pubblici ricevuti dallo Stato. (4-04090)


   BALDASSARRE, RIZZETTO, ROSTELLATO, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo a firma Osvaldo de Paolini su Il Messaggero in data 11 marzo 2014, la Eustema, una società Ict che fornisce servizi a Inps e Inail per non meno di 30 milioni di euro l'anno, è una società di proprietà della Cisl;
   come si evince da un'interrogazione a risposta scritta n. 4-02205, la società Eustema spa – insieme a RTI Engineering spa, Innovare 24 Spa, Inmatica Spa – si sarebbe aggiudicata il lotto n. 1 per un valore di 35.643.131 euro dell'appalto Inps con oggetto «Fornitura dei servizi di sviluppo, reingegnerizzazione e manutenzione del software applicativo dell'INPS» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato possa indicare quanti e quali soggetti analoghi ad Eustema – riconducibili a sindacati – siano attualmente in circolazione e quanti e quali di essi si siano aggiudicati ovvero stiano partecipando all'aggiudicazione di appalti pubblici. (4-04092)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dramma dei lavoratori dei consorzi rifiuti di Benevento è iniziato il 27 luglio 2010 quando i commissari liquidatori nominati dalla provincia di Benevento, ovvero i gestori dei consorzi, hanno mandato una raccomandata con la quale i lavoratori venivano sospesi dal lavoro e posti in cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga;
   il 7 agosto 2010 si sono riunite le massime istituzioni beneventane e i sindacati firmatari ed hanno siglato l'accordo che avrebbe posto i lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga fino al 31 dicembre 2010 in attesa del passaggio alla società provinciale SAMTE previsto per il 1o gennaio 2011 (secondo quanto previsto dalla legge n. 26 del 2010 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195); inoltre, in questo accordo, il commissario dichiarava tutto il personale in esubero. Successivamente si è tenuto un incontro presso la sede del settore politiche del lavoro della provincia di Benevento al termine del quale viene verbalizzato che si è giunti alla conclusione che i dipendenti dei consorzi dovessero usufruire della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga perché considerata «l'unica possibilità di salvaguardia e tutela della posizione contrattuale e salariale dei programmi di politica del lavoro». A quel punto solo tre lavoratori hanno presentato ricorso al settore ORMEL della regione Campania ed al tribunale del lavoro di Benevento per contestare la cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga in quanto illegittima sia perché l'articolo 13 della legge n. 26 del 2010 stabilisce che possono beneficiare della cassa integrazione guadagni straordinaria i dipendenti che sono stati assunti dopo il 31 dicembre 2001 (quindi non applicabile perché assunti prima di tale data), sia perché il consorzio è obbligatorio ai sensi dell'articolo 4 della legge del 5 luglio 2007;
   tale ricorso viene accolto sia dal tribunale del lavoro di Benevento che disapplica la cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga ai tre lavoratori sia dal dirigente dottor Acocella che emette il decreto dirigenziale n. 28 pubblicato sul BURC n. 22 del 4 aprile 2011 nel quale viene disapplicato il decreto dirigenziale n. 201 di concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga nel momento in cui la regione ha ricevuto la sentenza;
   occorre a tal proposito precisare che, dopo l'esito della prima sentenza nei confronti dei tre lavoratori, molti dipendenti dei consorzi hanno deciso di rivolgersi al tribunale di Benevento a tutela dei propri diritti. Alla decisione del dottor Acocella i Commissari decidono di appellarsi presentando dapprima ricorso al Tar Lazio (che si dichiara incompetente) e successivamente al Tar Campania che il 28 luglio 2011 rigetta le loro richieste dichiarando illegittima la cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga; intanto la controversia tra i tre lavoratori e i Commissari prosegue e il 20 luglio 2011 il tribunale di Benevento conferma la sentenza precedente che i commissari decidono di impugnare nel merito: anche quest'ultima sentenza ha avuto un esito positivo per i lavoratori;
   anche il ricorso nei confronti del dottor Acocella prosegue nel suo iter davanti al Consiglio di Stato che per il BN2 rigetta per ben due volte le richieste del Commissario, invece per il Consorzio BN1 rimanda la questione al Tar Campania. Il Tar Campania si pronuncia definitivamente per il BN2 e BN3 il 25 giugno 2012 rigettando tutte le richieste dei commissari e per il BN1 il 4 settembre 2013 rigettando anch'esso le richieste del Commissario Cossiga;
   dopo queste sentenze, il commissario del Consorzio BN2 Emilia Tarantino decide di dimettersi e viene sostituita temporaneamente dal Commissario del Consorzio BN1 Carmine Cossiga. I lavoratori vengono rimpiegati solo per 4 mesi attraverso un progetto finanziato dalla regione Campania che inizia il 12 settembre 2012 e che termina il 12 gennaio 2013. Durante questo periodo nulla è stato fatto dai commissari per ripristinare i servizi e le loro colpe vengono messe in evidenza anche nelle sentenze dove viene dichiarato che: «il venir meno dell'attività del Consorzio è addebitabile esclusivamente al Consorzio stesso, il quale ha assistito supinamente allo svuotamento dei suoi compiti senza porre in essere alcuna valida azione oppositiva». Inoltre, bisogna precisare che il consorzio BN1 è titolare della discarica di Piano Borea. Dal momento in cui tutti i dipendenti sono stati sospesi, il commissario non ha considerato il fatto che tra i dipendenti del Consorzio BN1 erano presenti 7 unità assunte ai sensi della legge n. 608 del 1996 addetti alla discarica che dovevano essere impiegati per effettuare il cosiddetto post mortem;
   tale discarica pertanto, è rimasta incustodita e privata di ogni controllo provocando così gravi danni all'ambiente, tanto che è stata posta sotto sequestro giudiziario dalla procura della Repubblica di Benevento. In riferimento alla discarica il giudice, pochi mesi prima del sequestro, ha dichiarato che «il Consorzio, totalmente disattendendo le previsioni normative, è partito dalla considerazione di non avere più alcuna attività da svolgere ed ha ritenuto tutto il personale in esubero, senza procedere ad alcuna valutazione circa il fabbisogno anche con riferimento alla manutenzione della discarica di Piano Borea che, se pur esaurita, necessitava del controllo ventennale»;
   nonostante i provvedimenti della procura della Repubblica e le sentenze dei giudici, il commissario Cossiga non ha mai provveduto a reintegrare i dipendenti presso tale discarica al fine di non incrementare una situazione di criticità dannosa per la salute pubblica. Oltre ai dipendenti assunti ai sensi della legge n. 608 del 1996, nemmeno i lavoratori addetti alla raccolta differenziata sono stati reintegrati definitivamente presso i consorzi;
   il 27 gennaio 2014, la regione Campania ha pubblicato sul BURC la legge regionale 24 gennaio 2014, n. 5, nella quale sono salvaguardati i livelli occupazionali dei dipendenti dei consorzi. Tuttavia, il commissario del Consorzio BN1 ha deciso di mandare una lettera di «prelicenziamento», pur essendo consapevole del fatto che anche questo procedimento è illegittimo –:
   se il Governo, nel rispetto dei vari livelli di competenza, non ritenga di dover intervenire a tutela dei diritti dei lavoratori. (4-04110)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, SPESSOTTO e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 1o ottobre 2012 è entrato in vigore il decreto ministeriale n. 2049 del 1o febbraio 2012 che instituisce il Sistema informativo biologico (SIB) per la gestione informatizzata della notifica bio; il SIB è ospitato dal SIAN (Sistema informativo agricolo nazionale);
   secondo la nota del 27 febbraio 2014 n. 0014651 del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, risultano alcune criticità sul funzionamento sistema SIB; in particolare la nota si riferisce a possibili ritardi circa l'aggiornamento in tempo reale dell'elenco degli operatori dell'agricoltura biologica;
   anche se la nota del 27 febbraio 2014, n. 0014651, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali evidenzia come dall'elenco aggiornato del SIB resteranno esclusi alcuni nuovi operatori, appare allo stesso modo evidente a giudizio degli interroganti, la possibilità che l'elenco non essendo aggiornato in tempo reale, di fatto non esclude chi ha perduto i requisiti necessari per risultare operatore dell'agricoltura biologica (certificazione che avviene esclusivamente attraverso gli enti certificatori);
   a causa della criticità del sistema SIB di cui all'oggetto della nota del 27 febbraio 2014, n. 0014651, il controllo in tempo reale da parte di un'azienda che volesse verificare l'autenticità biologica di una seconda azienda non è possibile e ciò potrebbe generare, in modo inconsapevole, l'acquisto di prodotti non certificati biologici, creduti erroneamente biologici;
   la mancata cancellazione in tempo reale dall'elenco del SIB delle aziende che hanno perduto i requisiti per essere certificate biologiche, potrebbe causare possibili frodi da parte di quelle aziende nei confronti delle acquirenti –:
   se dopo la nota del 27 febbraio 2014, n. 0014651, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, siano state improntate altre misure di salvaguardia temporanea e quali misure siano state intraprese affinché il SIB possa funzionare correttamente ed in tempo reale, diventando quell'efficace strumento per la gestione informatica della notifica di attività con metodo biologico, quale è stato progettato e finanziato, nonché strumento di tutela dalle frodi alimentari per gli operatori del settore biologico, i consumatori italiani e dell'Unione europea;
   se, stante l'evidente malfunzionamento del sistema SIB, come dichiarato dalla nota succitata, sia stata data comunicazione agli Stati membri dell'impossibilità di garantire la veridicità delle certificazioni biologiche e quali misure siano state adottate per le importazioni.
(5-02395)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da più parti vengono segnalate le problematiche tuttora aperte in merito all'articolo 41 del decreto legislativo n. 81 del 2008 come modificato e integrato dal decreto legislativo n. 106 del 2009, comma 4-bis, che testualmente riporta quanto segue: «entro il 31 dicembre 2009, con accordo in Conferenza Stato-regioni, adottato previa consultazione delle parti sociali, vengono rivisitate le condizioni e le modalità per l'accertamento della tossicodipendenza e della alcoldipendenza»;
   stante l'estrema delicatezza della questione e la necessità di un'uniforme metodologia applicativa su tutto il territorio nazionale, considerato anche il fatto che le tematiche oggetto della norma sono tra le principali cause di infortuni sul lavoro;
   altro importante problema, probabilmente di primaria importanza, tutt'ora aperto e riguardante la medesima questione riguarda le differenze attualmente presenti nei mansionari per cui sono previste le due tipologie di accertamenti, sarebbe auspicabile infatti propendere verso una unificazione del mansionario in questione al fine di cercare di garantire la massima tutela dei lavoratori;
   ad oggi, infatti, vi sono alcune considerazioni che lasciano alquanto perplessi, basti pensare ad esempio che, ai sensi della normativa vigente, una guardia particolare giurata vada sottoposta ad accertamento della alcoldipendenza ma non a quello della tossicodipendenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e non ritenga di sollecitare l'emanazione di indicazioni circa le condizioni e le modalità di accertamento della tossicodipendenza e della alcoldipendenza al fine di poter fornire finalmente i dovuti chiarimenti per poter tutelare al meglio la salute e sicurezza dei lavoratori tutti e rivalutare la figura del medico competente mettendolo nelle condizioni di svolgere al meglio la propria attività professionale. (5-02398)


   LOREFICE, CECCONI, BARONI, DALL'OSSO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, GRILLO e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 5 marzo 2014 tutti gli organi di informazione hanno dato con grande risalto la notizia della multa complessivamente di oltre 180 milioni di euro con la quale l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sanzionato due tra i colossi dell'industria farmaceutica: Roche e Novartis;
   l'Antitrust sulla base di una rigorosa indagine avviata da una denuncia della Società Oftalmica Italiana, ha verificato come le due aziende farmaceutiche abbiano messo in atto un accordo di cartello per: creare allarme tra i pazienti sull'uso dell'Avastin; sabotare le ricerche indipendenti in materia. E poi c’è il lavoro delle lobby sul Ministero, sulle commissioni parlamentari e sulla stampa specializzata;
   Avastin, prodotto dalla Roche, è utilizzato per la cura di tumori metastatici al colon retto, all'ovaio, alla mammella, al polmone, efficace per la degenerazione maculare senile ma privo della scritta che sul foglietto illustrativo autorizza a darlo per la maculopatia. Lucentis, prodotto dalla Novartis, è utilizzato per guarire dalla degenerazione maculare senile che porta alla cecità. Questi due farmaci hanno lo stesso principio attivo ma con prezzi assai diversi: Avastin ha un costo medio di circa 50 euro a dose, mentre Lucentis ha un costo di circa 900 euro;
   il professor Napoleone Ferrara biologo molecolare, che ha scoperto il principio base di Avantis e Lucentis quando era ricercatore alla Genertech, oggi ricercatore al Moores Cancer Center di San Diego ha affermato che i due farmaci hanno la stessa efficacia contro la maculopatia, dimostrato anche da studi clinici, e che ad Avastin è da ascrivere solo qualche effetto collaterale;
   Roche e Novartis con l'accordo di cartello riescono a introitare cifre considerevoli, infatti Roche non registra il farmaco per la cura della degenerazione maculare senile, ma introita le royalties dalla Novartis derivanti dalla commercializzazione del farmaco Lucentis. Novartis usa un principio attivo registrato dalla controllata americana della Roche, cioè la Genertech; la Novartis inoltre controllando il 33 per cento del capitale della Roche introita anche una quota degli utili derivanti dai proventi dalle vendite;
   l'accordo di cartello tra la Roche e Novartis sanzionato dall’antitrust ha comportato una maggiore spesa a carico del servizio sanitario nazionale, per il solo 2012, di 45 milioni di euro;
   in Francia, dove il Lucentis è stato adottato come farmaco esclusivo, il costo per il sistema pubblico è stato di circa 700 milioni di euro. Se l'Italia seguisse l'esempio della Francia il costo a carico dello Stato sarebbe identico a fronte dei circa 60 milioni di euro di spesa in caso di scelta a favore dell'Avastin;
   a detta della Società oftalmica italiana a causa dell'introduzione del Lucentis e il conseguente ritiro, dall'ottobre 2012, da parte dell'Aifa, dell'Avastin da tutti i reparti oculistici del nostro Paese, circa 100 mila pazienti nell'ultimo anno non hanno potuto avere accesso alle cure;
   la documentazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulla quale si è basata la maximulta alle aziende farmaceutiche Roche e Novartis è stata acquisita dal Ministero della salute e dall'Aifa;
   la vicenda dell'accordo di cartello tra Roche e Novartis pone pesanti e seri interrogativi sulla capacità, l'efficacia di controllo e verifica da parte del servizio sanitario nazionale e anche da parte dell'Aifa sui farmaci e sulle innovazioni degli stessi;
   dalla fine del 2012 il giudice di Torino Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo sulla vicenda dei farmaci Avastin e Lucentis, ipotizzando nei confronti dei vertici di Roche e Novartis i reati di: truffa ai danni del servizio sanitario nazionale, aggiotaggio, disastro doloso e associazione a delinquere;
   la questione della spesa farmaceutica e dei trucchi operati da parte delle aziende farmaceutiche per aumentare i fatturati non si esaurisce con la vicenda che ha visto la multa a Roche e Novartis. Sono innumerevoli gli esempi che vedono farmaci, in procinto di diventare generici, che, per modifiche minime, diventano nuovi da vendere con spese a carico del servizio sanitario nazionale;
   ad esempio il Procaptan è un farmaco efficace contro l'ipertensione, prodotto dall'azienda farmaceutica Stroder. Quando il brevetto è scaduto e sul mercato sono stati disponibili i generici a base del principio attivo perindopril, il produttore del Procaptan ha cambiato i dosaggi e solo per questo il prodotto è diventato nuovo farmaco. In questo modo il sistema sanitario spende circa 20 euro invece di 7 euro;
   altre tecniche prevedono, come base di motivazione per «nuovi farmaci», la combinazione di molecole diverse o la modifica dei tempi di assorbimento dell'organismo. Solo raramente portano benefici reali al paziente ma garantiscono alle aziende farmaceutiche cospicui introiti;
   lo scandalo che scaturisce dalla sanzione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato alle aziende farmaceutiche Roche e Novartis si inserisce in un comparto che vede in Italia una spesa farmaceutica annuale di poco inferiore ai 26 miliardi di euro, con una crescita del 2,3 per cento nel solo ultimo anno. Ogni anno in Italia sono 1,8 miliardi le confezioni di farmaci vendute (circa 30 confezioni per ogni italiano); 230 sono le aziende farmaceutiche presenti in Italia e di queste oltre il 60 per cento sono di capitale estero; circa il 65 per cento dei farmaci sono venduti ad anziani;
   appare necessaria ed ineludibile l'assunzione di iniziative immediate da parte del Ministero della salute e dell'Aifa, a difesa della salute dei cittadini e per la razionalizzazione della spesa farmaceutica, tenuto conto che questa non può essere affrontata come un supermercato che vede il brand sostituire il riferimento al principio attivo, garantendo enormi fatturati alle aziende farmaceutiche;
   sarebbe doveroso da parte del Ministero della salute inviare alle competenti commissioni parlamentari la documentazione inviata dall'Autorità;
   sarebbe, altresì doveroso da parte del Ministero della salute informare le competenti commissioni parlamentari quali siano state le motivazioni e supportate da quale documentazione scientifica, che sono stati alla base della decisione dell'Aifa, nell'ottobre del 2012 di ritiro dell'Avastin da tutti i reparti oculistici;
   sarebbe auspicabile da parte del Ministero della salute avviare una azione nei confronti delle aziende farmaceutiche Roche e Novartis per il risarcimento al servizio sanitario nazionale per il danno recato derivante dall'accordo di cartello sanzionato con una multa dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato;
   se nella vicenda dei farmaci Avastin e Lucentis non abbia riscontrato gravissime lacune nei controlli sui farmaci da parte dell'Aifa e in tale caso se non ritenga doveroso procedere al commissariamento dell'Aifa sospendendo la proroga dei rinnovi degli incarichi e a partire da ciò se non ritenga necessario, determinare ulteriori forme di controllo e commercializzazione dei farmaci che siano efficienti ed efficaci, che impediscano accordi di cartello che possono produrre conseguenze sulla salute dei cittadini e spese gonfiate a fini speculativi per il servizio sanitario pubblico. (5-02399)


   SBROLLINI e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 27 gennaio, il tribunale di primo grado di Ferrara ha condannato il Ministero della salute a indennizzare la famiglia di Francesco Finessi – alpino di 22 anni morto nel 2002 a causa del linfoma non Hodgkin – riconoscendo il nesso di causalità tra la malattia e i vaccini cui il giovane era stato sottoposto durante il servizio di leva a Belluno, vaccini che hanno provocato il collasso del suo sistema immunitario fino a causargli una malattia letale, poiché furono «somministrati macroscopicamente in modo sbagliato dai medici», recita la sentenza;
   già a novembre 2013, il processo penale per il caso Finessi presso tribunale di Belluno portò alla condanna a tre anni di Nicola Marchetti, ufficiale medico del 16o reggimento alpini di stanza alla caserma Salsa di Belluno, per falso ideologico e falso materiale commessi da pubblico ufficiale in atti pubblici, per alcune visite mai effettuate sui soldati a lui affidati. In particolare, l'indagine metteva in relazione le mancate visite e un vaccino anti-tifo somministrato due volte a Finessi;
   si apprende da fonti stampa che in Italia, negli ultimi 10 anni, si contano circa 3.500 casi di persone che, in seguito alle vaccinazioni somministrate durante il servizio di leva, hanno sviluppato malattie invalidanti e anche mortali;
   la sentenza storica che condanna il Ministero della salute sottende il mancato rispetto del diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione italiana), la mancata trasparenza del sistema sanitario militare, nonché il paradosso cui sono andati incontro i giovani che, al servizio del proprio Paese, per mano di questo si sono ammalati fino, in alcuni casi, alla morte –:
   se e con quali modalità il Ministro intenda intervenire per assicurare la piena tutela del diritto alla salute ai militari attualmente in servizio nonché a quelli futuri, e per riconoscere come vittime del dovere coloro che si sono ammalati e/o sono deceduti in seguito e in relazione alle vaccinazioni somministrate durante il servizio militare, dando diritto a loro stessi e ai loro famigliari alla corresponsione dei benefici previsti dalla normativa in materia. (5-02400)


   PIAZZONI, NICCHI e AIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 28 settembre 2012, n. 178, ha disposto la riorganizzazione della Associazione italiana della Croce Rossa (CRI) mediante una procedura complessa e graduale di privatizzazione e soppressione dell'ente pubblico non economico CRI. La privatizzazione è stata realizzata, dal 1o gennaio 2014, per i soli comitati provinciali e locali, mentre per il comitato centrale e per i comitati regionali è stata differita dal decreto-legge n. 101 del 2013, così come convertito nella legge n. 125 del 2013;
   la procedura di privatizzazione in questione ha suscitato fin dal principio una serie di perplessità, con particolare riferimento ai diritti e alle garanzie del personale in servizio nelle diverse componenti militari e civili, considerando inoltre l'altissimo numero di lavoratori a tempo determinato;
   questi lavoratori, in servizio presso i comitati provinciali e locali, vedranno ridotti in maniera rilevante i diritti e le garanzie contemplate nell'originario rapporto di lavoro dalla nuova contrattazione di tipo privatistico. Occorre considerare inoltre come allo stato attuale i comitati locali e provinciali possano avvalersi del personale a tempo determinato solo nell'ambito dell'espletamento di attività in regime convenzionale ovvero nell'ambito di attività finanziate con fondi privati;
   riguardo il personale con rapporti di lavoro a tempo indeterminato, in servizio presso i comitati provinciali e locali esistenti alla data del 31 dicembre 2013, l'articolo 1-bis del decreto legislativo n. 178 del 2012, ha stabilito, al comma 3 il diritto d'opzione con il quale esercitare il passaggio al comitato centrale o ai comitati regionali, l'assunzione da parte dei comitati provinciali e locali, ovvero il passaggio in mobilità presso altre amministrazioni pubbliche. Questa previsione mal si concilia con quanto disposto originariamente dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 178 del 2012 e potrebbe dar luogo a disparità di trattamento fra i lavoratori in servizio presso i comitati provinciali o locali rispetto ai lavoratori assunti – sempre mediante concorso pubblico e con i medesimi requisiti – presso il comitato centrale o i comitati regionali;
   in merito alle modalità organizzative e funzionali relative all'applicazione del citato articolo 1-bis del decreto legislativo n. 178 del 2012 deve ancora essere emanata apposita disciplina con decreto di natura non regolamentare del Ministro della salute, di concerto con i dicasteri dell'economia e delle finanze, della pubblica amministrazione e semplificazione, della difesa, come previsto dal comma 3 del medesimo articolo;
   le organizzazioni sindacali hanno più volte denunciato il comportamento contraddittorio e difforme posto in essere da diversi comitati locali. In alcuni casi sono giunte a dipendenti assunti con contratto a tempo determinato, che avevano ottenuto in via giudiziale la stabilizzazione del rapporto di lavoro, comunicazioni di fine rapporto; sono stati rinnovati contratti per un numero inferiore di ore rispetto a quelle svolte sino al 31 dicembre 2013, pur in presenza di convenzione; si è agevolato il proseguimento del rapporto di lavoro secondo forme contrattuali interinali o di somministrazione;
   la situazione di incertezza descritta nell'interpretazione e nell'applicazione della normativa sulla privatizzazione della CRI, sta incidendo fortemente sulla prosecuzione di numerosi rapporti di lavoro, spesso necessari a garantire attività strettamente legate allo svolgimento di servizi pubblici essenziali –:
   se non intenda provvedere in tempi celeri e certi all'emanazione del decreto ministeriale previsto dal comma 3 dell'articolo 1-bis del decreto legislativo n. 178 del 2012 e quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare al fine di assumere determinazioni organiche sulla questione, considerando altresì la necessità di tutelare i livelli occupazionali e garantire la qualità dei servizi erogati.
(5-02401)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LENZI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda ospedaliera di Crema (CR) è stata la prima a richiamare in questi giorni i cittadini, circa 3.400, che dal 7 febbraio 2013 al 14 febbraio 2014, si sono sottoposti al test per misurare la concentrazione di paratormone (che regola i livelli di calcio) nel sangue (PTH) al fine di far ripetere gratuitamente il test ai soggetti coinvolti e rendere minimi i disagi per l'utenza;
   in Lombardia, ad oggi, sono diciotto i laboratori che hanno acquistato i test sbagliati, in sette diverse province: Milano, Monza, Cremona, Pavia, Sondrio, Como, Brescia. Nella sola Milano il laboratorio del San Raffaele, il geriatrico Redaelli, il Fatebenefratelli, la casa di cura Igea; Laboratorio Lodi;
   il richiamo si è reso necessario in quanto gli esiti del test PTH effettuati negli ultimi 12 mesi risultano sovrastimati in una percentuale variabile fino al 45 per cento;
   la prima comunicazione dell'anomalia è giunta dal generai contract, la Fora di Parma, che fornisce il kit per il test stesso, kit che non è prodotto dalla Fora, ma da una multinazionale, la Abbot, al laboratorio d'analisi dell'azienda ospedaliera di Crema e protocollata il 26 febbraio 2014;
   dalla nota inviata dalla ditta Abbott in data 12 febbraio 2014 si viene a conoscenza che «in uno studio portato a termine nel gennaio 2014, utilizzando i lotti di reagenti e di calibratori attuali, i risultati dei pazienti hanno presentato una deriva media compresa tra circa il 13 per cento ed il 45 per cento se confrontati ai risultati di uno studio portato a termine nell'agosto del 2012. Tale deriva è stata rilevata in tutto il range analitico del dosaggio». Si rileva pertanto che «tutti i reagenti, calibratori e controlli attualmente disponibili sono affetti da tale problematica»;
   come affermato dal direttore generale dell'azienda ospedaliera di Crema, Luigi Ablondi, la causa del richiamo, è da ricercare nella possibilità di una sovrastima fino al 40 per cento nei risultati del test;
   desta sconcerto e profonda preoccupazione il fatto che sia trascorso un intero anno prima che la ditta produttrice si sia accorta di questa vicenda, che rischia oltretutto di coinvolgere tutti i laboratori italiani e stranieri che hanno utilizzato il kit nel periodo sopra indicato –:
   quali siano le informazioni in possesso del Ministro, in particolare quante siano le aziende sanitarie ed i cittadini coinvolti nell'intera vicenda, nonché, nell'ambito delle proprie competenze, quali misure intenda adottare o abbia già adottato non solo in relazione al caso specifico della Lombardia ma su tutto il territorio nazionale per verificare l'impatto legato ai problemi, sia di sicurezza sanitaria che di danno economico, dovuti all'utilizzo del kit in questione per il dosaggio del paratormone. (5-02396)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, PIAZZONI, AIELLO, NICCHI, FRATOIANNI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il pronto soccorso e il sistema di emergenza territoriale stanno assumendo un ruolo sempre più centrale nella cura delle persone con problematiche mediche, psicologiche e sociali. La progressiva riduzione delle risorse e la cronica carenza di posti letto adeguati alla tipologia di pazienti che sono presenti sul nostro territorio nazionale hanno reso il ruolo del sistema dell'emergenza-urgenza ancora più cruciale nella cura delle persone;
   in Italia, infatti, la vasta area dell'emergenza medica, che include il pronto soccorso, i reparti di medicina d'urgenza, i reparti di osservazione breve intensiva e l'emergenza territoriale, viene gestita da medici derivanti da plurime specializzazioni. Questo implica che molti medici, dopo essere stati formati, per almeno dieci anni, a svolgere un certo tipo di lavoro, trovando collocazione solo all'interno delle strutture di emergenza, sono costretti a colmare le lacune e a diventare medici d'emergenza studiando e partecipando a corsi teorico-pratici, per lo più privati, mentre già viene svolta l'attività lavorativa;
   per svolgere l'attività di medico d'emergenza è necessaria, tuttavia, una specializzazione ad hoc: il medico d'emergenza, infatti, si trova ad affrontare situazioni ovviamente critiche, spesso deve svolgere più compiti contemporaneamente, deve coprire turni 24 ore al giorno, 365 giorni all'anno, il che lo porta a lavorare di notte, nei giorni festivi, anche nelle grandi festività. Il medico d'emergenza non sceglie quali pazienti trattare, spesso gestisce situazioni complesse dal punto di vista sociale, che possono sfociare in atti di aggressività verso gli operatori;
   è importante che la scelta di diventare medico d'emergenza sia consapevole e appassionata e non un ripiego su un posto di lavoro disponibile, in assenza di altre alternative, situazione che può portare il medico – che non abbia una vocazione per tale specializzazione – a sviluppare un grado variabile di frustrazione;
   per tale ragione, nel 2009 è stata istituita la scuola di specializzazione in medicina d'emergenza-urgenza, dando risposta a un'esigenza concreta: quella di creare una figura professionale adeguatamente formata alla gestione della fase dell'emergenza medica;
   la scuola si specializzazione forma giovani medici che scelgono per passione di intraprendere tale carriera, innalzando in tal modo il livello qualitativo fornito agli utenti, nonché a un'ottimizzazione dei costi;
   il fabbisogno espresso dalla conferenza Stato-regioni per garantire un funzionamento sufficiente del nostro sistema sanitario nazionale e dei nostri pronto soccorso, per quanto riguarda la formazione in medicina d'emergenza-urgenza, è di 245 specialisti annui a fronte dei 46 contratti (circa il 18 per cento del fabbisogno) garantiti dal ministero dell'università e della ricerca;
   significa che ogni anno l'82 per cento dei posti di lavoro in pronto soccorso sono e saranno occupati da personale non specializzato nel settore, con una presenza a macchia di leopardo, nel Paese, di medici specialisti in medicina di emergenza;
   inoltre, i medici specializzandi della scuola di medicina d'emergenza-urgenza hanno dichiarato di essere molto preoccupati riguardo la riduzione dei contratti ministeriali previsti per l'anno 2013-2014. Quest'anno sono previsti fondi per appena 3.200-3.300 nuovi contratti di formazione specialistica, contro i 4.500 contratti dello scorso anno, un numero già insufficiente rispetto al fabbisogno richiesto dal sistema sanitario nazionale per mantenere uno standard assistenziale dignitoso, ma che determinerà quasi sicuramente una riduzione ulteriore di contratti per i medici d'emergenza-urgenza –:
   quali misure intendano adottare per portare, già nell'anno accademico 2013-2014, il numero di contratti di formazione specialistica in medicina d'emergenza-urgenza al fabbisogno indicato dalla Conferenza Stato-regioni, pari a 245 specialisti. (4-04087)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, BALDASSARRE, BECHIS, RIZZETTO, PESCO, ROSTELLATO, VALLASCAS, CECCONI, LOREFICE, GRILLO, ALBERTI, MASSIMILIANO BERNINI e RIZZO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 settembre 2012, è stato emesso il decreto legislativo n. 178, che dispone la riorganizzazione dell'Associazione italiana della croce rossa (CRI) mediante una procedura complessa e graduale di privatizzazione dell'ente pubblico non economico della stessa;
   con particolare riferimento a garanzie e diritti del personale in servizio nelle diverse componenti militari e civili e considerando l'alto numero di lavoratori a tempo determinato dell'ente, la procedura di privatizzazione ha dato origine a diverse perplessità relative alle scadenze temporali previste per la ridefinizione della natura giuridica dell'ente stesso;
   il decreto previsto dalla legge di riforma contiene, ad avviso dell'interrogante, palesi contraddizioni, omissioni ed incongruenze rispetto al dettato legislativo e non garantisce il mantenimento dei livelli occupazionali e con essi la capacità di risposta del servizio;
   il passaggio da associazione privata ad interesse pubblico dell'ente originariamente previsto per il 1° gennaio 2014, è stato rinviato dal decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, come convertito dalla legge n. 125 del 2013, che ha posticipato di un anno tutti i termini originariamente previsti dal decreto legislativo n. 178 del 2012, separando tuttavia il destino del comitato centrale e dei comitati regionali da quello dei comitati provinciali e locali destinatari, questi ultimi, di una norma ad hoc che li rende privatizzati a partire dal 1o gennaio 2014;
   dalla data del 31 dicembre 2013, il personale con rapporto di lavoro a tempo indeterminato in servizio presso i comitati provinciali e locali esistenti, ha dovuto scegliere tra il passaggio al comitato centrale o ai comitati regionali, l'assunzione da parte dei comitati provinciali e locali, ovvero il passaggio in mobilità presso altre amministrazioni pubbliche, come decretato all'articolo 1-bis del decreto legislativo n. 178 del 2012, introdotto dal comma 10-ter dell'articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, comma 3;
   il sopracitato intervento normativo in materia ha aumentato i già esistenti dubbi sulle sorti dei lavoratori dato che mal si concilia con quanto disposto dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 178 del 2012 a causa dell'assenza del decreto di natura non regolamentare che avrebbe dovuto fissare modalità organizzative e gestionali;
   tale mancanza ha dato luogo a disparità di trattamento fra i lavoratori che prestano servizio presso i comitati provinciali o locali rispetto ai lavoratori assunti tramite concorso pubblico e con identici requisiti, sempre nei medesimi comitati;
   il comma 4 dell'articolo 1-bis in considerazione prevede che i comitati locali e provinciali possano avvalersi del personale a tempo determinato unicamente nell'ambito dell'espletamento di attività in regime convenzionale, ovvero nell'ambito di attività finanziate con fondi privati, complicando ulteriormente la situazione del personale a tempo determinato, considerando anche la nota interpretativa del Ministero della salute n. 1922-P-24/04/2013, dove si indica che i contratti di lavoro del personale in questione non potrebbero essere considerati validi né tantomeno prorogabili se non correlati alla contestuale vigenza di una convenzione che ne giustifichi la causa e l'oggetto;
   con ordinanza presidenziale n. 0514-13 del 27 dicembre 2013, sono stati collocati in congedo per cessate esigenze 44 lavoratori appartenenti al Corpo militare, stabilendo la proroga di altre 275 unità solo fino al 30 giugno 2014;
   immediatamente dopo l'attuazione dell'intervento normativo citato, si sono verificati casi di agevolazione del proseguimento del rapporto di lavoro secondo forme contrattuali interinali o di somministrazione;
   immediatamente dopo l'attuazione dell'intervento normativo citato, si sono verificati casi di rinnovo dei contratti dei lavoratori per un numero inferiore di ore rispetto a quelle svolte sino al 31 dicembre 2013 anche in presenza di convenzione;
   immediatamente dopo l'attuazione dell'intervento normativo citato, a diversi dipendenti dell'ente assunti con contratto a tempo determinato che avevano ottenuto in via giudiziale la stabilizzazione del rapporto di lavoro, sono giunte comunicazioni di fine rapporto e, citando come esempio la regione Lombardia, 60 dipendenti della CRI sono stati licenziati; la situazione di incertezza nell'interpretazione e nell'applicazione della normativa descritta sta incidendo fortemente sulla prosecuzione di numerosi altri rapporti dei circa 3800 lavoratori appartenenti all'ente, necessari a garantire attività strettamente legate allo svolgimento di servizi pubblici essenziali –:
   se i Ministri interrogati intendano intraprendere iniziative per l'emanazione in tempi celeri e certi del regolamento ministeriale previsto dal comma 3 dell'articolo 1-bis del decreto legislativo n. 178 del 2012;
   se i Ministri, ognuno per le proprie competenze, non ritengano opportuno, nelle more dell'emanazione del regolamento ministeriale citato, assumere iniziative per prorogare i rapporti di lavoro a tempo determinato;
   se i Ministri, ognuno per le proprie competenze, non ritengano opportuno intraprendere azioni atte a tutelare livelli occupazionali e diritti dei lavoratori e a garantire la qualità dei servizi erogati.
(4-04093)


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità per il 2014, legge n. 147 del 27 dicembre 2013, contiene, a favore della regione Sardegna, una specifica deroga alle misure introdotte nel 2012 con la spending review (legge n. 135 del 2012), deroga motivata dall'alluvione del mese di novembre 2013, ma che di fatto sembra favorire gli erogatori privati di prestazioni sanitarie, a danno degli erogatori pubblici;
   il comma 119 della disposizione sopra richiamata, prevede: «Al fine di garantire un adeguato livello di erogazione di servizi sanitari nella regione Sardegna, interessata dai gravi eventi alluvionali del mese di novembre 2013, a decorrere dal 1o gennaio 2014 gli obiettivi finanziari previsti dalla disposizione di cui all'articolo 15, comma 14, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, possono essere conseguiti su altre aree della spesa sanitaria»;
   il decreto-legge n. 95 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, rispetto al quale la recente legge di stabilità introduce una modifica, prevede un taglio della spesa del servizio sanitario nazionale per complessivi 6,8 miliardi di euro nel quadriennio 2012-2015, attraverso una serie di misure che gravano sia sugli erogatori pubblici sia su quelli privati: acquisto di farmaci (sconto dovuto dalle farmacie, revisione dei tetti di spesa, obblighi prescrittivi di farmaci generici), riduzioni ai contratti di appalto di beni e servizi in essere (meno 5 per cento), riduzione dei tetti di spesa per i dispositivi medici, proroga al 2015 delle misure di riduzione della spesa sul personale, taglio dei posti letto ospedalieri e riduzione dei tetti di spesa per i contratti stipulati con gli erogatori privati di prestazioni sanitarie di assistenza ospedaliera e di specialistica ambulatoriale (meno 0,5 per cento nel 2012, meno 1 per cento nel 2013 e meno 2 per cento nel 2014);
   quest'ultima misura è quella sulla quale interviene la legge di stabilità per il 2014, prevedendo che essa possa non essere applicata dalla regione Sardegna e possa essere sostituita da misure alternative. In pratica, la prevista riduzione dei tetti di spesa per gli erogatori privati (meno 2 per cento nel 2014, circa 3,3 milioni di euro per la Sardegna), può essere sostituita da tagli ad altre voci di spesa, ad esempio i dipendenti pubblici, gli ospedali pubblici, l'assistenza farmaceutica. Dalla lettura del citato comma sembra che vi sia un «finanziamento» alle strutture private (cliniche private, ambulatori specialistici, laboratori analisi) e un'ulteriore restrizione alla sanità pubblica;
   se la modifica introdotta con la legge di stabilità per il 2014 fosse motivata dall'emergenza alluvionale, quest'ultima avrebbe semmai richiesto interventi specificatamente finalizzati a rafforzare l'accesso ai servizi socio-sanitari da parte delle popolazioni che hanno sperimentato la privazione dell'abitazione, oppure a finanziare un piano straordinario per mettere in sicurezza le strutture sanitarie pubbliche ubicate in aree a maggiore rischio idrogeologico –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere al fine di chiarire il contenuto della norma contenuta nella legge n. 147 del 2013, con particolare riferimento alle altre aree della spesa sanitaria. (4-04104)


   MASSIMILIANO BERNINI e SCAGLIUSI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni sono molte le testimonianze secondo le quali i pazienti di alcuni ospedali pubblici, per usufruire del servizio TV in camera, si ritrovano costretti a versare somme di denaro;
   eseguendo una semplice ricerca in internet, è facile recuperare decine di articoli che espongono la problematica del servizio TV a pagamento in decine di ospedali pubblici italiani;
   la questione è stata di recente sollevata anche durante una nota trasmissione radiofonica «lo zoo di 105», attingendo ad esperienze dirette vissute da due dei conduttori;
   l'utilizzo della TV in camera per i pazienti è strumento di compagnia che può aiutare la degenza degli stessi dal punto di vista psiconeuroendocrinoimmunologico e può, quindi, essere considerato parte integrante della cura;
   l'impossibilità economica di alcuni pazienti di poter pagare e quindi usufruire del servizio TV in camera, causa certamente discriminazione tra i vari pazienti, di fatto istituendone di classe A e di classe B;
   tutto ciò che fa parte del sistema sanitario pubblico, compresi i televisori e la corrente elettrica necessaria per il loro funzionamento, è pagato con le tasse dei cittadini e quindi deve essere usufruibile gratuitamente come prevede l'articolo 32 della Costituzione;
   appare agli interroganti discriminatoria, nonché lesiva del diritto sancito dall'articolo 32 della nostra Costituzione, la pratica messa in atto da alcune strutture pubbliche ospedaliere relativa al pagamento della TV in camera a carico dei pazienti –:
   se, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto dell'autonomia regionale in materia sanitaria, non intenda promuovere delle linee di indirizzo per un uso omogeneo su tutto il territorio nazionale degli apparecchi televisivi negli ospedali pubblici, con particolare riferimento alla possibilità di avere la televisione nelle stanze, considerando tale «distrazione» utile alla degenza – specie se prolungata – dei pazienti ricoverati. (4-04111)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   GREGORI, TIDEI, FERRO, MARCO DI STEFANO, MELILLI, MICCOLI e CARELLA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Pomezia nel 2012 ha espletato il concorso, bandito precedentemente nel 2010, relativo a diversi profili professionali per l'assunzione di personale a tempo indeterminato;
   a causa del blocco del turnover ed in ottemperanza al patto di stabilità, soltanto i primi in graduatoria hanno firmato un contratto a tempo pieno ed indeterminato, mentre i rimanenti un contratto a tempo determinato e part time a 83,33 per cento (30 ore settimanali) dal 1o luglio 2012 al 31 giugno 2015;
   la situazione lavorativa dei precari risulta non omogenea, in quanto a quelli sopra citati se ne sono aggiunti altri, assunti con concorso bandito dal comune di Pomezia nel 2007;
   in riferimento alla normativa vigente, stante il numero esiguo di personale che andrà in pensione nei prossimi anni, i vincitori del concorso 2012 perderebbero il posto di lavoro in quanto sarebbero superati da quelli assunti nel 2007, avendo questi maturato l'anzianità di servizio;
   in conseguenza di ciò, il comune di Pomezia rischia di perdere i lavoratori precari alla scadenza dei contratti e ciò arrecherebbe un danno alla pubblica amministrazione e alla cittadinanza del citato comune, in quanto la forza lavoro a disposizione dei servizi indispensabili ed essenziali si ridurrebbe in maniera drastica, compromettendo così la quantità e la qualità dei medesimi servizi;
   nel mese di gennaio 2014 l'Anci ha inviato una missiva ai Ministri dell'economia e delle finanze e per la pubblica amministrazione e la semplificazione, chiedendo un incontro urgente per approfondire «a livello normativo e interpretativo» il tema della contrattazione decentrata negli enti locali, contenuto nel decreto legislativo 150 del 2009, e far emergere le varie criticità riscontrate in sede di attuazione della norma, nonché per sollecitare l'applicazione di un regime di salvaguardia per gli atti già adottati dagli enti locali, anche al fine di evitare contenziosi costosi e insostenibili a carico della finanza pubblica e a tutela dei lavoratori;
   si ritiene fondamentale e improcrastinabile che lo Stato intervenga per svuotare definitivamente il bacino dei lavoratori precari, ricercando una soluzione per stabilizzarli definitivamente, anche in ragione del fatto che per molti anni, con la loro manodopera, hanno sopperito alla congenita mancanza di personale in tante amministrazioni pubbliche –:
   se intendano intervenire, per quanto di competenza, al fine di verificare l'opportunità di varare specifici provvedimenti normativi, atti ad una stabilizzazione effettiva dei lavoratori in questione;
   se intendano, altresì, valutare la possibilità di convocare un tavolo di confronto con le autorità regionali e comunali interessate, al fine di elaborare soluzioni condivise e congiunte, a tutela dei medesimi lavoratori;
   se, infine, intendano avviare iniziative normative volte all'applicazione immediata di un regime di salvaguardia per tutti gli atti adottati dagli enti locali precedentemente all'entrata in vigore del decreto legislativo 150 del 2009, anche al fine di evitare contenziosi costosi e insostenibili a carico della finanza pubblica ed il perseguimento di comportamenti discriminatori nei confronti dei lavoratori assunti sulla base della precedente normativa. (4-04099)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   PAGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 marzo scorso un grave incendio si è sviluppato all'interno dello stabilimento Eni di Gela (Caltanissetta) seminando panico tra la popolazione e mettendo a serio rischio l'incolumità di quanti stavano lavorando all'interno della struttura o si trovavano nelle immediate vicinanze. L'incidente, «preceduto» da un boato, ha avuto inizio intorno alle 10.30 quando nella tubazione di collegamento tra gli impianti «Topping 1» e «Cooking 1» si è verificata un'improvvisa perdita di prodotto idrocarburico ad alta temperatura generando un incendio nell'area di lavorazione del greggio, da cui sarebbe scaturita una densa colonna di fumo nero visibile da lunga distanza;
   i vertici della raffineria hanno minimizzato la portata dell'incidente – secondo quanto riportato da fonti di stampa la protezione civile comunale sarebbe stata allertata dal petrolchimico un'ora dopo l'incendio ravvisandosi un «codice giallo» – ma la procura della Repubblica di Gela è comunque intervenuta aprendo un fascicolo d'indagine per accertare eventuali responsabilità. Inoltre, a conferma dell'entità dell'incidente, per prevenire più gravi danni nei confronti della popolazione e dello stesso impianto, è dovuto entrare in azione un grande dispiegamento di forze tra carabinieri, polizia, guardia di finanza, capitaneria di porto e protezione civile comunale;
   il forte vento che sabato 15 marzo spirava in direzione opposta della città ha evitato il peggio, scongiurando rischi di intossicazione e danni all'apparato respiratorio nei confronti della cittadinanza, la quale allarmata e in preda al panico si stava approssimando a lasciare la città per riparare nelle campagne;
   l'incendio scoppiato nello stabilimento Eni e domato dopo circa due ore non è che l'ultimo episodio di una lunga serie di incidenti verificatisi all'interno della raffineria, con gravi ripercussioni a livello ambientale e della sicurezza, che dimostra la scarsa capacità gestionale dei vertici del colosso energetico ma anche l'obsolescenza degli impianti dato che le tecnologie di ultima generazione sono in grado di risolvere simili emergenze in mezz'ora, dunque ben oltre la metà del tempo occorsa a Gela;
   tale disastro dimostra come gli investimenti previsti dal management Eni non siano affatto risolutivi, in quanto basati su vecchie logiche gestionali e sulla volontà di mantenere in piedi impianti superati e mal gestiti. Tuttavia, nonostante le evidenti criticità del comparto raffinazione, che ha registrato perdite record nel solo 2013 dell'ordine di 813 milioni di euro nel settore «refining» – cifre astronomiche cui ha contribuito pesantemente lo stabilimento di Gela – i vertici Eni continuano a «latitare», anziché varare un piano d'interventi radicale puntando tutto su innovazione tecnologica e scientifica e nuovi indirizzi gestionali;
   a tutto ciò deve aggiungersi che la magistratura ha disposto il sequestro dell'impianto, il quale potrebbe ragionevolmente preludere al blocco complessivo della raffineria, con conseguenze drammatiche sia sul piano economico che morale per tutti i dipendenti –:
   quali iniziative intenda adottare per salvaguardare i cittadini e l'economia del territorio, nonché per non disperdere un know how notevole quale è quello di Eni, indiscusso asset strategico per il Paese sotto il profilo energetico, industriale e tecnologico. (3-00701)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sin dal 2005 nel nostro Paese sono stati avviati esperimenti finalizzati alla produzione di energia attraverso processi di fissione piezonucleare; tali sperimentazioni sono state condotte dal CNR con la collaborazione delle forze armate e della società Ansaldo Nucleare;
   nel rispondere ad un atto di sindacato ispettivo sul tema (5-01813) il Sottosegretario alla difesa delegato ha affermato che dal 2008 non è stata condotta più alcuna attività sperimentale sotto la supervisione dello stesso dicastero e che gli esiti complessivi della ricerca risultano controversi non avendo ottenuto riscontri sperimentali unanimi in seno alla comunità scientifica;
   nella stessa risposta, il Sottosegretario alla difesa ha altresì affermato che la realizzazione di prototipi per la sperimentazione e lo sviluppo di attività per la fissione nucleare non risulta di propria competenza e pertanto il brevetto «apparecchiature e procedimento per la produzione di neutroni mediante ultrasuoni e cavitazione di sostanze» è, dal 2010, in capo al solo CNR;
   da quanto risulta la società Ansaldo nucleare sta conducendo ulteriori ricerche volte a trasformare l'innovazione in materia di fissione piezonucleare in un prototipo industriale che consenta la realizzazione di un impianto pilota per la produzione di energia alternativo al petrolio –:
   se il Governo sia a conoscenza delle attività di sperimentazione dell'Ansaldo nucleare e quali aggiornamenti possa fornire in merito ai progressi di tale sperimentazione e all'eventuale rinnovo del brevetto sopracitato. (5-02397)


   COPPOLA, CATALANO, ROTTA, CRIVELLARI, BONACCORSI e LIUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel 2008, con delibera n. 244/08/CSP, ha avviato il progetto italiano di monitoraggio della qualità degli accessi ad internet da postazione fissa, con l'intento di comparare la qualità delle prestazioni offerte da ogni operatore, relativamente ai profili/piani tariffari ADSL più venduti; il progetto ha anche l'obiettivo di offrire all'utente l'opportunità di valutare autonomamente la qualità dell'accesso ad internet dalla propria postazione fissa mediante software gratuiti;
   come si rileva dal sito internet dell'Autorità il software offerto per la valutazione certifica la qualità della connessione e, nel caso in cui l'utente rilevi valori inferiori a quanto indicato dall'operatore in contratto, costituisce prova di inadempienza contrattuale e può essere utilizzato come strumento di tutela da allegare al reclamo per sollecitare quantomeno il ripristino degli standard minimi e per esercitare la facoltà di recesso senza oneri ove non vengano conseguiti – a seguito di sollecito – i livelli di qualità previsti da contratto, non solo in termini di velocità di navigazione su internet, ma di prestazioni complessive della rete gestita dall'operatore che fornisce l'accesso;
   gli operatori sono tenuti a rendere disponibili, con aggiornamenti periodici, i valori degli indicatori specifici per ciascuna offerta derivati e misurati con le modalità previste dalla delibera n. 244/08/CS relativi alle due tipologie più diffuse di connessione per ciascuna regione; ad oggi è possibile avere accesso ai dati statistici forniti dai vari operatori solo per undici regioni: Abruzzo, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Valle d'Aosta e Veneto;
   sono state riscontrate – nelle diverse aree del paese – sulla base delle statistiche comparative così ricavate – significative differenze tra i livelli di servizio internet dedotti in contratto – remunerati sulla base dei piani tariffari – e quelli effettivamente forniti agli utenti;
   è necessario garantire piena corrispondenza tra lo standard di servizio di rete internet previsto dai contratti e quello fornito agli utenti finali dagli operatori presenti sul territorio, anche mediante sanzioni irrogate agli operatori, in proporzione al divario tra il livello di servizio contrattualmente stabilito e quello accessibile agli utenti –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, in relazione a quanto descritto in premessa e per assicurare il massimo efficiente e non oneroso accesso ad internet su tutto il territorio nazionale; per superare il digital divide tra le diverse aree del paese; per elevare la qualità delle offerte di base allo stato della tecnica; per facilitare la possibilità per l'utente finale di verificare – in tutta Italia – la banda minima a disposizione per il servizio di accesso a internet. (5-02407)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PELLEGRINO, FERRARA e DI SALVO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo di stampa pubblicato il 18 marzo 2014 sul quotidiano «Il Piccolo», si apprende che dopo quattro anni e mezzo di contratti di solidarietà e terminati tutti gli ammortizzatori sociali, se entro aprile non arriverà un compratore e un nuovo piano industriale, per gli ultimi 400 dipendenti della Ideal Standard di Orcenico di Zoppola – leader nel settore delle ceramiche e dell'arredo bagno – potrebbero scattare le procedure di mobilità con la chiusura definitiva dello stabilimento;
   dopo le chiusure di Ceramiche Galvani e di Richard Ginori la chiusura della Ideal Standard trasformerebbe il territorio di Pordenone da capitale dei sanitari a deserto industriale, rischiando di far sparire una vocazione industriale e un know artigianale che per mezzo secolo ha caratterizzato questo territorio. Con l'arrivo della crisi la disoccupazione nel pordenonese è al 10 per cento e non esiste alcun piano realistico per uno sviluppo economico alternativo. Il suo tessuto industriale è al collasso e come sempre accade in questi casi, come si è visto in un'altra importante e delicata vicenda che insiste nel Friuli, quella dell'Electrolux, i primi a pagare le conseguenze di questa dura realtà sono i lavoratori;
   oggi, nello stabilimento Ideal Standard di Orcenico si lavorano 270mila pezzi l'anno con appena 430 addetti a fronte dei 700 dipendenti del 2006 e solo due linee produttive rimaste. Ideal Standard ha visto assottigliarsi anno dopo anno il numero del personale e ora si trova davanti ad un bivio: o la chiusura o la prosecuzione della produzione a ritmi e condizioni inaccettabili;
   tutti i dipendenti dello stabilimento di Orcenico lavorano in azienda da diversi anni, hanno delle vite avviate e delle famiglie e la chiusura del sito rappresenterebbe un vero e proprio «bagno di sangue» che il territorio non è in grado di sopportare;
   rispetto a 5 anni fa il mercato dei sanitari in Italia è crollato del 70 per cento sotto il peso della crisi che ha investito il settore dell'edilizia. Ideal Standard quindi ha deciso di sacrificare la fabbrica di Orcenico, per concentrare negli stabilimenti di Roccasecca e Trichiana la produzione orientata sulla specializzazione delle linee su articoli di alta gamma. Con l'inizio del 2014 è cominciata anche la cassa integrazione in deroga con la riduzione dell'orario da 6 a 4 ore e un salario pari al 65 per cento di quello previsto. Una cifra insostenibile per chi ha dei figli da educare o un mutuo da pagare;
   il rischio concreto è che i 430 dipendenti della Ideal Standard si vadano ad aggiungere al centinaio abbondante di contrattisti a tempo indeterminato – in buona parte immigrati – che ai primi accenni della crisi videro sparire il loro posto di lavoro per arrivare oggi a lavoratori che con 35 anni di servizio alle spalle, rischiano la mobilità e un limbo di 5-6 anni prima di poter accedere alla pensione. Per non parlare delle donne, che alla Ideal Standard sono circa il 10 per cento della forza lavoro e il 50 per cento nel reparto «wellness» e verrebbero doppiamente penalizzate visto che tutte le statistiche dimostrano come queste ultime abbiano maggiori difficoltà rispetto ai colleghi uomini nel trovare nuovi impieghi;
   l'Italia è il secondo Paese manifatturiero d'Europa eppure, a giudicare dallo stato di crisi in cui versano parecchie aziende del settore, sembrerebbe non sia, considerato più un settore strategico e se ciò fosse vero, sarebbe un tremendo errore; 
   dall'articolo di stampa già richiamato si apprende inoltre che ci sarebbe una cordata di imprenditori guidata da Stefano Boccalon, titolare della Glass srl di Treviso che sarebbe intenzionata a rilevare e rilanciare le unità produttive anche se a detta dell'imprenditore non ci sarebbero i presupposti per rendere competitivo lo stabilimento a causa dell'alto costo del lavoro e dell'energia e in ogni caso, anche se la trattativa andasse in porto, il lavoro sarebbe garantito solo per la metà dei dipendenti attualmente impiegati. A questo interesse si aggiungerebbe anche quello di alcune multinazionali del Far East, come i giapponesi della Lixil;
   non è più sostenibile dare una risposta ai problemi industriali con operazioni incentrate solo sulla continua riduzione dei costi del lavoro e scarsi investimenti sulle attività produttive, facendo pagare ai lavoratori e alla fiscalità generale le conseguenze delle eccedenze di personale e delle chiusure degli stabilimenti. Nel caso in questione si gioca con il futuro di 430 lavoratori –:
   se il Governo non intenda porre in essere ogni iniziativa di competenza volta ad affrontare le problematiche legate ad una vertenza che, purtroppo, si sta ulteriormente complicando in questi giorni affinché non si arrivi alla chiusura dello stabilimento Ideal Standard di Orcenico di Zoppola e vengano avviate serie trattative con potenziali acquirenti che possano garantire la continuità occupazionale nello stabilimento e puntino alla valorizzazione delle fabbriche e dei lavoratori, nonché allo sviluppo delle tecnologie e delle innovazioni;
   se il Governo non intenda attivarsi per quanto di competenza affinché al termine della cassa integrazione in deroga prevista per fine aprile 2014 venga scongiurata la procedura di mobilità per i 430 lavoratori e lavoratrici della Ideal Standard che rappresenterebbe l'anticamera del licenziamento (4-04079)


   MICCOLI e FASSINA. —Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la camera di commercio è un ente che associa le imprese di un determinato territorio per tutelare i loro interessi collettivi, creare opportunità di affari e prestare loro eventuali servizi (ad esempio di arbitrato per le controversie tra di esse o con i loro clienti). Nell'ordinamento italiano le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura (CCIAA), comunemente note come camere di commercio, sono enti pubblici locali non territoriali dotati di autonomia funzionale. Ai sensi della legge 29 dicembre 1993, n. 580, svolgono, nell'ambito della circoscrizione territoriale di competenza e sulla base del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 118 della Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema delle imprese, curandone lo sviluppo nell'ambito delle autonomie locali;
   in data 11 novembre 2013, il giornale Il Fatto Quotidiano, a firma di Emiliano Luizzi e Paola Porciello, riportava il seguente articolo dal titolo «Dirigenti come nababbi la torta dell'Ente Pubblico» in cui si descriveva come «la camera di commercio è una di quelle poltrone che non tradiscono, stipendio che può variare, ma anche garantire un livello di ricchezza elevato. Per avere un'idea nel 2011 lo stipendio complessivo di Pietro Abate, segretario della CCIAA di Roma ammontava a 497.357 euro. Non uno scherzo. Parliamo di reddito complessivo che potrebbe avere altre entrate. Una buona fetta sappiamo che arriva da lì [...] 643 mila li guadagna il direttore generale della CCIAA di Milano Pier Andrea Chevallard. Di questi 300 mila gli arrivano dalla camera di commercio, il resto da altre entrate che ricopre altrove»;
   in data 12 novembre 2013 il quotidiano web La Notizia, a firma di Clemente Pistilli, riportava il seguente pezzo, dal titolo «I manager coprono i redditi e lo Stato neppure li multa» – nel quale si descriveva come «Vengono pagati con denaro pubblico, scelti in larga parte dalla politica, dovrebbero per legge rendere nota la loro situazione patrimoniale e quella dei loro familiari, ma molti di loro non se ne curano. Sono i manager di nomina governativa, ministeriale o comunque al timone di aziende che pesano sulle spalle del Paese. Una violazione delle norme dinanzi alla quale lo Stato risponde con un buffetto, prima una diffida e poi la semplice pubblicazione degli inadempienti in Gazzetta Ufficiale o sui bollettini degli enti locali. L'ultima black list composta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri è composta da 47 capitani d'industria statale, che non si sono preoccupati di essere stati diffidati e hanno continuato a tenere ben chiusi nel cassetto i loro conti. Trasparenza solo a parole La legge sulla trasparenza dei patrimoni di politici e manager di Stato è la 441 del 5 luglio 1982. La norma prevede che i titolari di cariche elettive e direttive rendano noti sia i loro redditi, detenzioni di partecipazioni azionarie e proprietà immobiliari che quelli dei loro familiari. L'obiettivo? Evitare illeciti arricchimenti e togliere anche il sospetto che qualcuno possa lucrare sfruttando la propria carica. Nel momento in cui è chiaro lo stipendio ricevuto e sono chiari i beni già posseduti prima di occupare una determinata poltrona, il controllo è facile. La legge del 1982, per quanti non hanno alcuna intenzione di dare notizia del proprio patrimonio, non prevede però neppure una sanzione. La punizione per chi ignora la norma, anche dopo essere stato diffidato a tirare fuori le carte, è semplicemente quella della pubblicazione dell'elenco degli inadempienti. In pratica niente. La lista redatta da Palazzo Chigi comprende presidenti e amministratori di aziende locali e di società che gestiscono milioni di euro. Legge ignorata da Walter Bellantonio, direttore generale dell'istituto Sviluppo Agroalimentare, quello che si occupa di finanziamenti per le aziende del settore, dal vicepresidente e dall'amministratore delegato sempre dell'Isa, Gianpaolo Chirichelli e Annalisa Vessella, da Valerio Zappalà, direttore generale di Infocamere»;
   in data 11 dicembre 2013 Il Fatto Quotidiano riportava, a firma di Rita Di Giovacchino, il seguente articolo dal titolo «Pier Andrea Chevallard Camera di commercio ed altre 20 poltrone», articolo nel quale vengono elencati alcuni degli incarichi ricoperti e, in particolare, il soggetto citato risulta presidente del collegio sindacale di una società «in house» senza che lo stesso sia iscritto nel registro dei revisori legali –:
   se i ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati e quali azioni intendano intraprendere;
   se non reputino, data la grave situazione di crisi economica in cui versa il Paese, che gli enti pubblici debbano attenersi ai criteri di ragionevolezza e correttezza dettati dalla spending review, reputando paradossale le cifre degli stipendi di alcuni manager e dirigenti apparsi sui maggiori organi di stampa;
   se considerato che le camere di commercio possono considerarsi di fatto nel perimetro degli enti pubblici, essendo vigilate anche dal Ministero dello sviluppo economico, non si reputi necessaria l'applicazione o l'estensione della legge sulla trasparenza dei patrimoni politici e manager di Stato, anche in base a quanto stabilito dall'articolo 6 del decreto-legge n. 78 del 2010 relativamente alla riduzione dei costi degli apparati amministrativi, e all'articolo 4 del decreto-legge n. 95 del 2012 in materia di riduzione delle spese;
   se, come riportato dalla testata Il Fatto Quotidiano, sia necessario attenzionare che nell'ambito degli incarichi il segretario generale della camera di commercio «ambisca» anche al ruolo di promoter dell'Expo con incarico «lautamente retribuito» e di «peso politico e decisionale» rilevanti;
   se non reputino presenza di conflitto di interesse emblematico nel caso di Pier Andrea Chevallard, segretario generale della camera di commercio, industria artigianato e agricoltura di Milano (delibera giunta camerale n. 354 del 26 novembre 2001 – rinnovo incarico delibera giunta camerale n. 145 del 6 maggio 2013) che ricopre inoltre le cariche di direttore dell'Unione delle camere di commercio della Lombardia, membro del consiglio di amministrazione della Fiera di Milano spa, amministratore delegato di PARCAM Srl, amministratore delegato di Tecnoholding S.p.A., presidente del consiglio di amministrazione dell'accademia del teatro alla Scala, presidente del collegio sindacale di infocamere;
   se non ritengano di dover assumere iniziative eventualmente anche normative per impedire che si possano mantenere o creare situazioni come quelle indicate nel settore degli enti camerali. (4-04109)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Bergamini e altri n. 1-00217, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Elvira Savino.

  La mozione Roberta Agostini e altri n. 1-00273, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fabbri.

  La mozione Brunetta e altri n. 1-00290, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Abrignani.

  La mozione Brunetta e altri n. 1-00365, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Calabria.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Mariani n. 4-03909, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 marzo 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carocci.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Cirielli n. 4-04034, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 190 del 14 marzo 2014.

   CIRIELLI e LA RUSSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da una circolare del Ministero dell'interno del 3 marzo 2014, a firma del direttore degli affari generali della Polizia di Stato, si apprende che, vista l'attuale congiuntura economica, è allo studio «una riduzione degli organici sia dei ruoli operativi che tecnici delle forze dell'ordine»;
   in particolare, il progetto di razionalizzazione e chiusura vede coinvolti ben 261 presidi su tutto il territorio nazionale: le previsioni di chiusura riguardano 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di pubblica sicurezza, 73 uffici di polizia ferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni/sotto sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni Sommozzatori, 50 squadre nautiche, oltre agli accorpamenti e rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito gradale, Ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
   fortemente colpita da questo scellerato «progetto», se confermato, sarebbe la zona dei Castelli romani con la soppressione dei commissariati di Colleferro, Genzano di Roma e Frascati;
   si tratta di aree con un'ampia densità di popolazione e, purtroppo, con un'incidenza di criminalità anche di tipo mafiosa e camorrista molto alta;
   tali sconcertanti decisioni toccano la vita di numerosi cittadini specie in un momento in cui, proprio nei Castelli Romani, si assiste a un aumento dei furti nelle abitazioni e di rapine e, pertanto, più forte appare la necessità di un capillare controllo del territorio;
   da sempre il commissariato di polizia di Genzano di Roma è un punto di riferimento per i cittadini, presidio che quotidianamente garantisce sicurezza, tutela e presenza in un territorio che interessa, oltre il comune di Genzano di Roma, anche Nemi e Lanuvio per un bacino di oltre 40 mila abitanti;
   molteplici sono gli interventi e le indagini fondamentali che il commissariato ha portato avanti negli anni, a testimonianza dell'importanza di questo presidio e a dimostrazione del fatto che non si può e non si deve privare il territorio di una struttura così rilevante e basilare per la sicurezza dei cittadini;
   tali drastiche misure sguarnirebbero i territori di presidi importanti dello Stato e potrebbero portare a conseguenze devastanti, soprattutto in un periodo di crisi economica e sociale quale quella attuale che aumenta il tasso di criminalità aggiungendo il motivo della disperazione;
   anche in questa occasione il Governo ha dimostrato di non considerare le grandi professionalità del personale della polizia di Stato: ferma restando l'opportunità di una riorganizzazione volta ad efficientare le risorse economiche, infatti, quelle che vanno preservate sono la professionalità, le competenze e le capacità di moltissimi operatori delle forze dell'ordine che questa professionalità e queste competenze le hanno acquisite, sostenendo numerosi corsi di formazione e naturalmente in moltissimi anni di duro lavoro sul campo;
   ciò è ancora più evidente, poi, per le squadre nautiche e le sezioni di Sommozzatori, come anche per gli artificieri, che, per la loro preparazione specifica e loro competenze, risulterebbero particolarmente penalizzati e sottoutilizzati –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda rivedere suddetto progetto di drastica riduzione degli organici sia dei ruoli operativi che tecnici delle forze dell'ordine, che va nella direzione opposta a quella di garantire la sicurezza dei cittadini, nonché quali provvedimenti ritenga opportuno adottare per scongiurare, in particolare, il rischio di soppressione del commissariato di polizia di Genzano, anche attraverso risparmi sulle sedi utilizzando, ad esempio, gli spazi pubblici spontaneamente offerti dai comuni;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno quantomeno subordinare la dismissione delle 50 squadre nautiche e delle sezioni di sommozzatori e, in generale, delle altre specialità interessate dal provvedimento, all'attivazione, previa definizione delle procedure di equiparazione delle carriere, di procedure di mobilità intercompartimentale tra la polizia di Stato e la Guardia di finanza, consentendo quindi al personale di scegliere tra il transito su altri impieghi, pur rimanendo nel Corpo della polizia di Stato, o la prosecuzione del proprio servizio attraverso, appunto, la mobilità intercompartimentale. (4-04034)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Quartapelle Procopio n. 5-00768 del 29 luglio 2013;
   interrogazione a risposta scritta Lacquaniti n. 4-02631 del 21 novembre 2013;
   interpellanza urgente Di Lello n. 2-00445 del 10 marzo 2014;
   interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-03956 dell'11 marzo 2014.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Lorefice e altri n. 7-00278 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 181 del 27 febbraio 2014. Alla pagina 10181, prima colonna, alla riga ventesima, deve leggersi: «rilevamento delle impronte, e la successiva» e non «rilevamento delle impronte la successiva», come stampato.