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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 22 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in riferimento ai principi contenuti all'articolo 11 della Costituzione italiana, l'Italia condanna ogni forma di aggressione armata reciproca tra Israele e Palestina, come risoluzione dei conflitti politici;
    dal 1948 ad oggi, Israele non ha rispettato settantatré risoluzioni dell'ONU, aggravando di fatto i rapporti interni con i palestinesi e le tensioni con i Paesi confinanti, spesso sfociati in conflitti armati;
    dal secondo dopoguerra, i conflitti armati intercorsi tra israeliani e palestinesi sono stati caratterizzati da un'evidente disparità di armamenti bellici in dotazione ai rispettivi popoli: nel caso israeliano, l'esercito rappresenta uno degli eserciti più numerosi e meglio armati del mondo, mentre nel caso palestinese, la popolazione è sotto embargo di Israele e non possiede nemmeno un esercito regolare;
    negli ultimi dieci anni, dal 2004, vi sono stati 6 conflitti armati tra israeliani e palestinesi, rispettivamente nel 2004 (operazione arcobaleno), 2006 (operazione piogge estive), 2008-2009 (operazione inverno caldo e operazione piombo fuso), 2012 (operazione pilastro di sicurezza), 2014 (operazione margine di protezione). In questi conflitti, la stragrande maggioranza delle vittime, secondo i dati ufficiali, sono state palestinesi. Nelle ultime tre precedenti «operazioni» – solo per citare le più recenti – si è registrata la seguente situazione: in «inverno caldo» sono morti 4 israeliani (3 militari e un civile) a fronte di 112 palestinesi di cui 58 civili, in «piombo fuso» sono morti 13 israeliani (dieci soldati e tre civili) a fronte di circa 1.330 palestinesi (900 civili e 400 soldati), mentre durante «pilastro di sicurezza» sono morti 5 israeliani a fronte di 161 palestinesi, di cui 71 civili;
    è in corso un conflitto pluridecennale tra israeliani e palestinesi che dall'8 luglio 2014 è sfociato, per l'ennesima volta, in una escalation di violenza rappresentata da bombardamenti ai danni del popolo palestinese confinato nella striscia di Gaza (operazione «margine di protezione»), che annovera tra le sue vittime oltre 500 persone – al 21 luglio 2014 – di cui il 70 per cento, in maggioranza bambini (come testimoniato dal bombardamento del 16 luglio 2014 sulle spiagge della Striscia, che ha visto come uniche vittime 4 bambini palestinesi), ed aggravato da un intervento di terra nella Striscia di Gaza, iniziato in data 18 luglio 2014. Al 21 luglio le vittime israeliane sono: 18 soldati e due civili. A questo si aggiunge il bombardamento del 21 luglio 2014, quando un razzo israeliano ha colpito un ospedale di Gaza provocando 4 morti e 17 feriti. Bombardare gli ospedali è proibito dalla Quarta Convenzione di Ginevra che recita, all'articolo 18 quanto segue: «gli ospedali civili organizzati per prestare cure ai feriti, ai malati, agli infermi e alle puerpere non potranno, in nessuna circostanza, essere fatti segno ad attacchi; essi saranno, in qualsiasi tempo, rispettati e protetti dalle Parti belligeranti»;
    l'Unione europea, in risposta alla guerra civile siriana iniziata il 15 marzo 2011, ha imposto di comune accordo come misura di intervento internazionale, in data 23 luglio 2012, tramite il Consiglio affari esteri riunito a Bruxelles, di estendere le sanzioni alla Siria rafforzando in particolare l’embargo in vigore sulle armi fino a che non fosse terminata la guerra civile. Decisione che ha in seguito lasciato autonomia di scelta ad ogni Stato membro dell'Unione europea a partire dal 28 maggio 2013;
    il conflitto tra israeliani e palestinesi, ovvero due popoli che vivono nei confini dello stesso territorio, possiede tutte le caratteristiche di una guerra civile,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per interrompere ogni forma di vendita di armi e sistema d'arma allo Stato di Israele, per la durata di 5 anni a partire dall'approvazione della presente mozione, periodo dopo il quale, se non si verificheranno ulteriori operazioni militari e violazione di diritti umani ad opera di Israele ai danni del popolo palestinese, verrà ripristinata la vendita dei suddetti armamenti allo Stato israeliano;
   nel caso di una o più future operazioni militari lanciate da Israele per colpire il popolo palestinese, ad adottare iniziative affinché l'embargo sulle armi sia esteso per 5 anni a partire dalla data di termine dell'ultimo conflitto.
(1-00555) «Paolo Bernini, Artini, Corda, Rizzo, Del Grosso, Sibilia, Scagliusi, Di Battista, Manlio Di Stefano, Basilio, Spadoni, Grande».


   La Camera,
   premesso che:
    l'olio extravergine di oliva è l'unico olio vegetale direttamente commestibile, quindi dotato di complessi di gusto ed aroma che ne determinano i crescenti consumi mondiali. La produzione mondiale è in aumento e stabilizzata dal 2010 su oltre 3.000.000 tonnellate/anno. È una «commodity» di alto valore, che con meno del 4 per cento della produzione di oli vegetali movimenta il 20 per cento del mercato;
    l'Italia storicamente aveva una posizione di rilievo per le caratteristiche qualitative del prodotto e per la importanza quantitativa delle produzioni in un mondo che vedeva l'olivo come pianta colonizzatrice e l'olio come produzione povera, talora malfatta e maleodorante, da inviare a raffinerie italiane che lo trasformavano in oli di oliva commestibili. Oggi la realtà mette in evidenza che in tutti i Paesi olivicoli e non olivicoli le piantagioni di olivo sono diventate piantagioni da reddito, e la nuova olivicoltura mondiale, che arriva appunto a 3.000.000 di tonnellate, è ottenuta con nuove e moderne piantagioni, altamente produttive, competitive, con produzioni di qualità crescente, in grado di competere sui mercati allo stesso livello delle qualità italiane, con la differenza che l'Italia con le sue produzioni decrescenti attualmente non è in grado di imporsi in nessun tipo di mercato; nel 2013/2014 la produzione italiana, probabilmente inferiore alle 400.000 tonnellate da stime ancora da verificare, rappresenta solo il 13 per cento della produzione mondiale;
    come ben risulta dal testo e dagli allegati del piano olivicolo-oleario 2009/2013 predisposto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ad oggi ormai superato, il comparto produttivo risulta compromesso. Il comparto olivicolo può contare solamente su circa un milione di aziende, di cui gran parte in zone collinari e deve fare i conti con coltivazioni di proprietà che gestiscono 100 o 250 piante di olivo come patrimonio aziendale, con l'età stessa delle piantagioni che, ad esempio, in alcune zone di Italia supera i 300-500 anni, con l'estrema frammentazione varietale, con un innumerevoli cultivar delle quali non si conoscono né il comportamento agronomico né le caratteristiche dell'olio. Sono queste solo le più evidenti criticità dell'olivicoltura attuale dell'Italia che danno appena un'idea delle difficoltà del comparto, ove il ricambio generazionale ha ormai fatto venir meno i tradizionali agricoltori;
    questa situazione comporta anche riflessi pesantemente negativi sulle tecniche di conduzione, approssimative e mirate al massimo risparmio fino a nessun intervento, riportando la coltivazione dell'olivo ad una coltura di sussistenza ed in certi casi senza tener conto della conservazione dell'ambiente;
    ciò d'altro canto provoca anche difficoltà insormontabili per la produzione di olio di qualità, visto che la maggior parte degli agricoltori raccoglie le drupe quando può, frange quando può e come può, mentre la mancanza di disponibilità economico-finanziarie limita anche i più essenziali interventi di fertilizzazione e di difesa;
    da una rapida valutazione dei dati statistici è facile ricavare questo degrado progressivo della struttura, poiché praticamente si è passati da oltre 800.000 tonnellate di olio nel 2004 a meno di 400.000  tonnellate (probabili) nella presente campagna;
    l'ultima campagna ha messo drammaticamente alla luce i difetti, le manchevolezze e le necessità delle strutture produttive; una previsione di produzione già nettamente inferiore alle attese, mostrava già le tendenze al decremento del comparto. Un forte attacco di mosca olearia, lasciato incontrollato per mancanza di mezzi economici per effettuare i necessari trattamenti e l'abbandono di frutti sulla pianta determinato dal loro basso valore, hanno certamente abbassato i limiti della produzione, potendo essa arrivare a meno di 400.000 tonnellate in un momento in cui il valore dell'olio stava risalendo verso limiti di convenienza economica e malgrado nel Mediterraneo si annunciassero produzioni da record;
    il paradosso di questa situazione è che questo aumento del valore dell'olio andrà a favore dei principali competitori italiani; infatti, il consumo di olio di oliva in Italia è assestato intorno alle 600.000 tonnellate, quindi sono necessarie 200.000 tonnellate di buon olio (rivalutato) solo per soddisfare il fabbisogno nazionale, alle quali si dovranno aggiungere almeno altre 200.000 tonnellate per poter continuare ad alimentare le esportazioni. Attualmente l'Italia produce circa la metà dell'olio rispetto ai propri fabbisogni;
    per valutare attentamente le possibilità e gli indirizzi di sviluppo del comparto olivicolo, occorre verificare il mercato generale, il comportamento e le produzioni dei principali Paesi olivicoli e le spinte allo sviluppo del comparto olivicolo-oleario a livello globale. Nell'orizzonte europeo, compare gigantesca la montagna produttiva spagnola che ancora una volta supera 1.500.000  tonnellate (circa il 50 per cento della produzione mondiale), con produzioni provenienti da piantagioni nuove, irrigue specializzate, integralmente meccanizzabili ed inserite in una filiera già in corso di adeguamento alle caratteristiche qualitative che il mercato richiede; gli agricoltori spagnoli hanno rinnovato le piantagioni, riorganizzato le filiere, acquistato marchi di prestigio anche italiani ed ora stanno lavorando intensamente sulla qualità intrinseca delle loro maggiori produzioni nazionali. Competere con queste realtà significa competere tecnologicamente;
    sempre nell'ambito europeo, la Grecia si presenta con una olivicoltura solo parzialmente rinnovata, ma con oli di elevata qualità ed a prezzi relativamente bassi. Nell'ambito del Mediterraneo una forte spinta al miglioramento tecnologico nello specifico settore dell'olivicoltura è in atto in Marocco, che tre anni fa ha lanciato il programma «Maroc Vert», che prevede interventi praticamente a fondo perduto per nuove piantagioni, ed in Turchia, ove l'olivo è visto come un investimento produttivo ed il potenziale di esportazione di questo Paese si sta avvicinando alle 100.000 tonnellate/anno. In sottofondo rimangono ancora Paesi come Siria e Tunisia, che insieme possono coprire 400.000 tonnellate (quantità pari all'attuale produzione italiana) di oli a basso costo;
    al di fuori dell'area mediterranea si stanno sviluppando interessanti realtà olivicole, delle quali si deve tener conto, perché, se non influenzano il mercato nazionale, sono delle minacce concrete per le esportazioni. Negli Stati Uniti, in California, sta crescendo un nucleo di olivicoltori che mirano ad impadronirsi del mercato nordamericano, che rappresenta la migliore zona di esportazione degli oli italiani. Questo avviene sia con l'immissione sul mercato di oli di buona qualità prodotti in California, con impianti moderni, ma anche attraverso organi di stampa e dossier ufficiali che evidenziano i difetti del sistema produttivo italiano, praticamente inesistente nel loro immaginario collettivo;
    nell'America del Sud, Cile ed Argentina sono impegnati nella produzione di olio attraverso nuove piantagioni, e l'Argentina ha dichiarato l'olio di oliva «alimento nacional»; attualmente è accreditata di una produzione reale di 30.000 tonnellate, con grandi ambizioni sul mercato nordamericano (Stati Uniti, Canada);
    dall'altra parte del globo, la realtà australiana, ancora modesta, ma tutta costituita da nuove piantagioni, mira ai mercati orientali che rappresentano un potenziale sbocco anche per le produzioni italiane;
    si tratta, in genere, nel resto d'Europa (Portogallo, Spagna, Francia e parzialmente Grecia) e nel resto del mondo (Marocco, Turchia, Sudamerica, Australia) di olivicolture da reddito ove l'unica finalità dell'impianto è produzione di oli di oliva ottenuti con tecnologie moderne di raccolta, trasformazione, e ben organizzate, in grado di dare tutte oli di eccellente qualità sotto il profilo di genuinità e purezza, e di caratteristiche organolettiche talora diverse, ma non necessariamente inferiori a quelle del prodotto nazionale;
    per fermare l'abbandono ed il «disamoramento» dell'olivicoltura come fatto produttivo che trascinerebbe inesorabilmente nella caduta anche alcune delle linee commerciali più rilevanti del «made in Italy» come gli oli di alta qualità, occorre prendere atto che la struttura deve essere modificata; questo non sarà fatto certamente in un arco di tempo breve, e senza un adeguato intenso lavoro di programmazione; si dovrebbe iniziare innanzitutto a ricostruire lo scheletro di una struttura produttiva efficiente attraverso nuove piantagioni che siano nel giro di pochi anni in grado di sopperire almeno ai fabbisogni nazionali e mantenere l'immagine di un mondo olivicolo dinamico e produttivo in grado di sostenere un'esportazione di qualità, e ridare al Paese un settore capace di dare occupazione e recuperare quelle forze lavoro che derivano dall'abbandono progressivo dell'olivicoltura tradizionale;
    queste nuove piantagioni dovrebbero possedere tutti i requisiti per lo sviluppo e l'applicazione di tutte le moderne tecnologie;
    in numerosi distretti rurali esistono ampie zone a vocazione olivicola-agricola, ove si potrebbe operare con queste nuove piantagioni, che assumerebbero un importate ruolo nella evoluzione del paesaggio analogamente a quanto avvenuto per i vigneti, che negli ultimi trent'anni sono stati totalmente sostituiti dalle nuove piantagioni adatte alle mutate esigenze agronomiche e tecnologiche, e con evidenti vantaggi paesaggistici ed ambientali;
    per dare un'idea dell'immensità delle operazioni e della urgenza di iniziare le attività si portano ad esempio alcuni numeri: supponendo di dover soddisfare un fabbisogno di 200.000 tonnellate/anno di olio di oliva si dovrebbero portare a regime 150.000/200.000 ettari di nuovi oliveti che con una media di 1 tonnellata/ettaro di olio potrebbero riuscire a colmare il fabbisogno;
    è evidente che un processo di questa portata richiede un arco di tempo lungo ed accurate calibrazioni dei processi a monte ed a valle delle piantagioni; è tuttavia necessario sempre ricordare che l'impianto di un oliveto determinerà una produzione 3-5 anni dopo, e che occorre aspettare comunque 8-10 anni per arrivare ad una produzione stabilizzate;
    è quindi necessario avviare immediatamente il processo nelle zone e con gli agricoltori che sono interessati;
    a tale scopo occorrerebbe un sistema di strumenti incentivanti che da un lato sia in grado di permettere agli investimenti di poter essere gestiti agevolmente riducendo l'effetto delle numerose norme ed autorizzazioni necessarie per la costituzione di nuove piantagioni, che dovrebbero essere realizzate solo sulla base di rigorosi criteri tecnico-scientifici, e dall'altro di permettere di costituire una linea specifica di finanziamenti, se del caso tramite un fondo di incentivazione, individuando nel modo più opportuno la fonte delle risorse necessarie e che potrebbe per esempio essere previsto a livello regionale a carico degli attuali contributi di cui ai piani di sviluppo rurale o delle organizzazioni comuni di mercato, da utilizzare per la costituzione di nuove piantagioni di olivo analogamente a quanto si sta facendo nel settore della viticoltura;
    un'operazione di questo tipo non sarebbe finalizzata alla sola produzione olivicola, ma contribuirebbe a movimentare attività e quindi capitali in un indotto che va dall'attività vivaistica alle macchine agricole all'impiego di forze lavoro direttamente nelle piantagioni e indirettamente nelle attività indotte, e a creare linee produttive che già direttamente possono essere pilotate verso prodotti di alta gamma e di qualità certificate;
    va evidenziato che una situazione problematica come quella attuale che sta attraversando l'olivicoltura, l'Italia l'ha già attraversata e in parte superata, alla fine degli anni Novanta nel settore dell'agrumicoltura;
    per fare fronte alla grave crisi di mercato che tra la fine degli anni Novanta ed i primi anni del Duemila aveva il comparto agrumicolo, il 2 dicembre 1998 fu approvata una specifica legge per farvi fronte, ossia la legge n. 423 del 1998 recante «Interventi strutturali e urgenti nel settore agricolo, agrumicolo e zootecnico», la quale all'articolo 1, demandava al Ministro delle politiche agricole e forestali (d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano e acquisito il parere delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica) la predisposizione di «linee programmatiche di indirizzo e di intervento per l'agrumicoltura italiana», da sottoporre all'approvazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), autorizzando una spesa di 70 miliardi di lire nel 1998 e 20 miliardi di lire per ciascuno degli anni 1999 e 2000 (articolo 3, comma 5);
    con la proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali n. 55086 del 14 ottobre 1999 vennero indicate le linee programmatiche di indirizzo e di intervento per l'agrumicoltura italiana, con una previsione di spesa complessiva pari a 110 miliardi di lire (56,8 milioni di euro). Il nuovo piano nazionale di settore, noto come piano agrumi, fu approvato con deliberazione CIPE n. 191 del 5 novembre 1999;
    il piano era costituito da 5 misure orizzontali (monitoraggio dei mercati, schedario agrumicolo, ricerca e sviluppo, comunicazione e promozione, creazione e potenziamento dei consorzi prodotti DOP/IGP) e da 2 misure specifiche (sostegno ai piani integrati di intervento delle O.P., assistenza tecnica e monitoraggio);
    in tale contesto, la rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea notificò alla Commissione il programma di intervento in oggetto (aiuto di Stato N 560/99) in conformità con l'articolo 88, comma 3, del Trattato CE (lettera del 9 settembre 1999);
    per fare fronte alle richieste della Commissione europea, l'Italia si impegnò, nell'attuazione delle misure del «piano agrumi», a:
     a) rispettare le procedure previste dalla direttiva 92/50/CE sugli appalti di servizi e le procedure di selezione trasparenti e non discriminatorie, nel caso in cui le misure fossero attuate mediante intermediari;
     b) garantire la conformità delle misure previste con tutti i requisiti di cui al punto 14 (prestazioni di assistenza tecnica nel settore agricolo) dei nuovi orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato nel settore agricolo (GU C 28 del 1o febbraio 2000);
     c) rispettare la disciplina comunitaria per gli aiuti di Stato alla ricerca e sviluppo (GU C 45 del 17 febbraio 1996; comunicazione 98/C 48/02);
     d) rispettare i requisiti previsti sia dalla comunicazione della Commissione relativa alla partecipazione dello Stato ad azioni di promozione dei prodotti agricoli e dei prodotti della pesca (GU C 272 del 28 ottobre 1986, pagina 3) sia dalla regolamentazione [della Commissione] degli aiuti nazionali a favore della pubblicità dei prodotti agricoli e di taluni prodotti non compresi nell'allegato II del trattato CEE, esclusi i prodotti della pesca» (GU C 302 del 12 novembre 1987, pagina 6) riguardo alla promozione di prodotti agricoli attraverso i mass media;
    in seguito ai chiarimenti suddetti, forniti dalle autorità italiane, la Commissione europea, con lettera del 16 maggio 2000 [SG (2000) D/103679], decise di non sollevare obiezioni in merito alle misure del piano agrumi, tranne che per la misura specifica relativa al «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori»;
    la Commissione, infatti, sostenne che l'entità dello stanziamento previsto per la misura specifica in oggetto (60,2 miliardi di lire) richiedeva informazioni più precise riguardo all'attuazione degli interventi in essa previsti;
    la misura riguardante il «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori» si poneva l'obiettivo di aumentare la capacità di concentrazione dell'offerta da parte delle organizzazioni economiche dei produttori, la capacità di programmazione, commercializzazione e di valorizzazione della produzione;
    il piano integrato di intervento, che rappresentava il documento di programmazione strategica e operativa delle organizzazioni dei produttori, conteneva elementi relativi agli sbocchi commerciali e agli accordi di filiera e si componeva delle seguenti parti:
     piano di commercializzazione;
     piano di riassetto produttivo;
     piano di riorganizzazione e ammodernamento delle strutture;
     piano della logistica;
     piano dei servizi e della comunicazione;
     piano per la responsabilizzazione, la partecipazione della base produttiva e delle risorse umane;
     piano per la capitalizzazione (finalizzava gli interventi finanziari a consolidare o incrementare la base patrimoniale delle aziende, a riequilibrare l'assetto finanziario dei beneficiari, a valorizzare il patrimonio di strutture impiantistiche e altro);
    per la selezione dei piani integrati di intervento era previsto un bando di gara nazionale per il quale furono definiti specifici criteri di selezione;
    vi era poi una terza misura, la misura per l’«Assistenza tecnica ed il monitoraggio», la quale, nella lettera della Commissione del 16 maggio 2000, era descritta come segue: «Riguarda il finanziamento di assistenza tecnica e monitoraggio delle misure previste dal piano notificato, in particolare di quelle specifiche destinate alle Organizzazioni di produttori (...)»;
    il beneficiario del finanziamento era identificato nel Ministero delle politiche agricole. Il Ministero delle politiche agricole avrebbe attuato le misure attraverso i suoi enti strumentali ISMEA (Istituto per studi, ricerche e informazioni sul mercato agricolo) e INEA;
    i progetti di triennali, massima delle misure del piano agrumi, presentati dagli organismi attuatori individuati dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, furono approvati con specifici decreti ministeriali;
    successivamente, il Ministero delle politiche agricole e forestali decise, anche a seguito dei rilievi posti dalla Commissione, di provvedere alla rimodulazione della misura riguardante il «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori», notificando tale variazione ai sensi della comunicazione per gli aiuti di Stato (N 313/2001);
    le azioni originariamente previste nell'ambito della misura relativa al «Sostegno e cofinanziamento a Piani integrati di intervento per la valorizzazione commerciale e il rafforzamento delle strutture organizzative dei produttori» furono ricondotte essenzialmente a due piani programmatici: il piano dei servizi alla commercializzazione e comunicazione e il piano di riorganizzazione e ammodernamento delle strutture produttive, per uno stanziamento di 12 miliardi di lire, pari al 20 per cento dello stanziamento precedentemente approvato per la misura in questione;
    l'80 per cento della somma, pari a 48,2 miliardi di lire, venne destinato, invece, alle regioni interessate al piano agrumi (Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna), per interventi a favore della riconversione varietale (nella proposta di riparto il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali inserì anche la regione Lazio);
    con lettera del 7 novembre 2001 le autorità italiane comunicarono alla Commissione i sei piani agrumicoli regionali relativi alle sei regioni interessate al piano agrumi, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Le autorità italiane, nel 2002, avevano poi specificato alla Commissione che l'aiuto concesso dallo Stato italiano alle regioni suddette attraverso il piano agrumi consisteva in risorse aggiuntive rispetto a quelle previste come contributo nazionale nei POR, già approvati, che prevedevano azioni destinate al riassetto produttivo del comparto agrumicolo (espianti e/o riconversione varietale);
    le risorse del «piano agrumi» a favore delle regioni sarebbero state erogate ai soggetti beneficiari mediante specifiche azioni comprese nei piani agrumicoli regionali che le regioni stesse dovevano predisporre con le modalità previste nei complementi di programma inerenti ai POR (bando pubblico). Bisogna al riguardo ricordare che per poter fruire degli aiuti di Stato messi a disposizione con il «piano agrumi» per interventi di riconversione varietale – in aggiunta alla quota di parte nazionale già stanziata per gli interventi di questo tipo previsti e approvati nei POR delle regioni interessate al piano agrumi – era necessario che le schede fossero conformi con le regole contenute negli orientamenti comunitari per gli aiuti di Stato in agricoltura e con il regolamento (CE) n. 1257/99 sullo sviluppo rurale e che contenessero una serie di informazioni di dettaglio;
    negli anni seguenti, con le leggi finanziarie per il 2000 (legge n. 488 del 1999) e per il 2001 (legge n. 388 del 2000), furono assegnate altre risorse al «piano agrumi», mentre in attuazione dell'articolo 129 della legge 388 del 2000, la legge 289 del 2002 (legge finanziaria 2003) stanziò per l'anno 2003 la somma di 12.911.422 euro alle regioni interessate al piano agrumi, in particolare per realizzare gli interventi di riconversione varietale;
    con decisione, della Commissione del febbraio 2003 [C (2003) 369 fin], le misure specifiche del «piano agrumi» hanno ottenuto un finanziamento complessivo pari a 116,2 miliardi di lire (60.012.290 euro);
    specificatamente, le regioni interessate al «piano agrumi», alle quali con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali sono state assegnate risorse aggiuntive oltre a quelle previste nei POR per interventi di riconversione varietale a favore dell'agrumicoltura, dovevano predisporre i propri piani agrumicoli sulla base delle linee guida elaborate dall'INEA per conto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
    per quanto riguarda i piani agrumicoli regionali, come sopra citato, con la decisione C (2003) 369 fin del 5 febbraio 2003, la Commissione decise di non sollevare obiezioni in merito al regime di aiuti di Stato N 313/2001. In tal senso l'80 per cento del finanziamento del regime di aiuti a favore dell'agrumicoltura italiana nell'ambito delle misure specifiche del piano agrumi, pari a 92,96 miliardi di lire (48.009.833,33 euro), è stato destinato ad interventi di riconversione varietale nelle regioni Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Ciascuna di queste regioni ha provveduto ad elaborare propri specifici piani agrumicoli regionali;
    alla luce di quanto descritto riguardo a quanto è stato effettuato negli anni dal 1999 al 2003 per il rilancio del comparto agrumicolo nazionale, segnatamente per quanto riguarda il rinnovamento varietale degli agrumeti e l'incremento delle superfici agrumetate, parrebbe auspicabile mettere in atto anche per il comparto olivicolo un piano per l'olivicoltura nazionale che ripercorra le analoghe procedure attivate per il piano agrumi, anche al fine di far tesoro delle esperienze maturate al riguardo e soprattutto per evitare possibili profili problematici con la Commissione europea;
    tale piano sarebbe necessario anche per il grande valore ambientale che riveste la coltivazione dell'olivo specialmente per quanto riguarda la protezione che conferisce al suolo e quindi alla riduzione del rischio idrogeologico e per la conservazione del territorio, essendo questa pianta, tra le specie arboree coltivate, quella con minori esigenze in termini fabbisogno idrico e difesa fitosanitaria;
    lo sviluppo dell'olivicoltura avrebbe una propria valenza strategica anche per gli scenari futuri: a livello globale grazie alla diffusione della dieta mediterranea sta iniziando a diffondersi anche nei Paesi non tradizionalmente consumatori una cultura legata all'olio extravergine di oliva ed alle sue proprietà; questo fenomeno relativamente nuovo è rappresentato da manifestazioni, concorsi internazionali, forum e portali dedicati, curati da giornalisti, e food blogger. Tali iniziative non solo mettono in evidenza le migliori produzioni, ma riescono anche con estrema facilità ed ascolto ad evidenziare la scarsa qualità dei prodotti commerciali (Merum, Olive Center UC Davis, truthinoliveoil, jooprize, NYT e altro). In tale prospettiva è concretamente ipotizzabile che in un prossimo futuro sarà sempre più presente questa consapevolezza e mutata sensibilità del consumatore e sarà quindi necessario cogliere tali opportunità per elevare la qualità del prodotto esportato;
    l'Italia possiede un grande patrimonio varietale ancora tutto da valorizzare ed in questo contesto teso a valorizzare la qualità e le specificità, avrebbe quindi un elevato margine competitivo e forti posizioni di vantaggio;
    non è da sottovalutare poi che nello sviluppo dei nuovi impianti della futura olivicoltura nazionale vi  sarebbero forti ricadute in termini occupazionali, soprattutto nel campo agroindustriale ed agroalimentare, con l'utilizzo e l'impiego dei macchinari necessari alle conduzioni agronomiche e raccolta delle olive che ne riducano sensibilmente i costi di gestione e che oggi rappresentano l'eccellenza della industria italiana meccanica del settore, sia in Italia e sia all'estero, nonché con la maggior richiesta di impianti di estrazione e separazione in due fasi dove alcune industrie italiane sono all'avanguardia con brevetti che permettono di non utilizzare acqua e con ottimi risultati per il riutilizzo delle sanse per uso agricolo e la nutrizione animale;
    sarebbe necessario quindi approvare un apposito programma per lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale ed in questo senso dotare l'attuale ordinamento nazionale di una norma specifica volta a rafforzare e sostenere lo sviluppo dell'olivicoltura ed avente contenuti analoghi a quelli di cui all'articolo 1, comma 1, della predetta legge n. 423 del 1998;
    tale norma dovrebbe prevedere che, per fare fronte alla grave situazione di declino della coltivazione dell'olivo ed alla crisi di produttività del comparto olivicolo nazionale, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, ed acquisito il parere delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, presenti al Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) per l'approvazione le linee programmatiche di indirizzo e di intervento per l'olivicoltura italiana anche al fine di contenere i costi di produzione, di riorganizzare la commercializzazione e di migliorare la qualità dei prodotti agricoli, tenendo conto dell'esigenza di risanamento tecnico-colturale e varietale,

impegna il Governo:

   ad intraprendere le opportune iniziative, possibilmente anche a carattere d'urgenza, affinché si attui un piano per il rilancio, il rafforzamento e lo sviluppo dell'olivicoltura nazionale (piano olivicolo nazionale), allo scopo seguendo un procedimento operativo, normativo e amministrativo, analogo a quello attuato ai sensi della legge 2 dicembre 1998, n. 423, come meglio indicato in premessa, valutando in tale ambito, la possibilità di individuare ed autorizzare una congrua somma di spesa, se del caso da associare all'istituzione di un fondo di rotazione per gli investimenti, il cui importo sia non inferiore a 90 milioni di euro da ripartire nell'arco di un triennio;
   ad attivare iniziative dirette alla valorizzazione dell'olio extravergine di oliva, con particolare riguardo ad azioni divulgative volte a favorire la conoscenza delle proprietà nutrizionali e salutistiche degli oli extravergini di qualità.
(1-00556) «Mongiello, Sani, Oliverio, Realacci, Ventricelli, Anzaldi, Giovanna Sanna, Mura, Romanini, Piccione, Zardini, Venittelli, Porta, Martelli, Iacono, Lodolini, Manfredi, Mazzoli, Terrosi, Miotto, Famiglietti, Giulietti, Marco Di Maio, Covello, Cimbro, D'Ottavio, Cominelli, D'Incecco, Antezza, Arlotti, Blazina, Capone, Folino, Cenni, Amoddio, Vezzali, Vazio, Fucci, Sannicandro».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    nelle scorse settimane in diverse regioni del Paese, si sono svolte una serie di manifestazioni dei risicoltori, sostenuti anche dalle associazioni agricole, per evidenziare la gravissima situazione causata dalle importazioni di riso a dazio zero, provenienti in particolare dalla Cambogia e dalla Birmania, i cui Paesi beneficiano dell'accordo Eba (Everything but arms, tutto tranne le armi), tra l'Unione europea e i Paesi meno avanzati;
    tale accordo sta determinando effetti altamente penalizzanti per i produttori di riso italiano, che ha prezzi talmente svantaggiosi che i produttori non riescono neanche a coprire i costi di produzione;
    le analisi numeriche derivanti delle importazioni a dazio zero, rilevano infatti, che soltanto nei primi mesi della campagna 2013-2014 le importazioni di riso, hanno superato le 138 mila tonnellate, contro le 73 mila della campagna precedente e che quasi tutte giungono come suddetto dalla Cambogia, che cinque anni fa esportava in Europa appena 6 mila tonnellate e a fine campagna potrebbe addirittura raggiungere la quota di 230 mila tonnellate;
    i livelli di criticità nei riguardi delle imprese italiane, hanno raggiunto condizioni di estrema preoccupazione da indurre il Governo italiano, attraverso il vice Ministro dello sviluppo economico, con delega al commercio estero, a procedere ad una formale richiesta di adozione di misure di salvaguardia europee nei confronti dell'importazione di riso greggio cambogiano del tipo «indica»;
    tale meccanismo che rientra all'interno del Sistema di preferenze generalizzate (SPG) di cui al regolamento (CE) n. 978/2012, istituito dal 1971 per aiutare la crescita dei Paesi in via di sviluppo, prevede l'introduzione di dispositivi di sorveglianza e salvaguardia, che permettono di ripristinare i normali dazi della tariffa doganale comune, allorquando un prodotto originario di un Paese beneficiario di uno dei regimi preferenziali sia importato in volumi o a prezzi tali da causare o rischiare di provocare gravi difficoltà ai produttori dell'Unione di prodotti simili o direttamente concorrenti;
    secondo quanto risulta da informazioni provenienti dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali il documento predisposto dall'Italia, in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico, volto a sensibilizzare le istituzioni europee, affinché si valutino le effettive conseguenze per le imprese e la tenuta del comparto (che rappresenta per il nostro Paese il primo produttore europeo) in termini di margini economici, sulla ricaduta negativa di tali importazioni, sarà prossimamente presentato alla Commissione europea;
    l'impatto determinatosi sull'intera filiera risicola a seguito dei suddetti accordi unilaterali, secondo quanto rileva inoltre il Presidente dell'Ente risi, è la mancanza di una verifica puntuale di tali intese sia sul mercato interno che in termini di reali benefici per le economie locali;
    oltre all'applicazione della clausola di salvaguardia, rileva inoltre la Coldiretti, in considerazione della valenza economica anche n termini occupazionali che il comparto riveste, risulta necessario abbinare ulteriori misure di tutela e salvaguardia quali: l'istituzione di un'unica borsa merci, una profonda riforma delle attività dell'ente risi, ma soprattutto l'approvazione immediata di una legge sul mercato interno con un nuovo sistema di certificazione;
    la configurazione del suesposto quadro complessivo in precedenza esposto, evidenzia nella sostanza un'evidente fragilità del nostro Paese, dal punto di vista di protezione della produzione del riso italiano, contro l’import a basso costo, che non ha potuto attivare misure importanti per fronteggiare il progressivo smantellamento del sistema di incentivi e protezioni garantite in passato dalla Politica agricola comune;
    la necessità di interventi più incisivi a sostegno del settore del riso, che costituisce un'eccellenza dell'agroalimentare italiano per qualità, tipicità e sostenibilità, risulta pertanto urgente e necessaria anche in considerazione della scarsa attenzione dimostrata dalla Commissione europea, nei mesi scorsi proprio nei confronti delle importazioni di riso a dazio zero,

impegna il Governo:

   ad intervenire in tempi rapidi, in sede comunitaria a tutela delle imprese risicole italiane e del mercato nazionale in senso più generale, affinché sia attivata la clausola di salvaguardia prevista dal Sistema di preferenze generalizzate;
   ad adottare adeguate misure per rendere immediatamente applicabili al riso e ai prodotti a base di riso la normativa sull'etichettatura di origine dei prodotti agroalimentari a tutela dei consumatori e degli operatori della filiera e ad attivarsi affinché, nel quadro di quanto stabilito nel regolamento (UE) n. 1169/2011, l'Unione europea si doti di norme efficaci, rigorose, chiare e trasparenti in materia di origine dei prodotti;
   a potenziare l'attività di vigilanza e prevenzione delle pratiche commerciali scorrette, della pubblicità ingannevole e comparativa illecita, affinché siano resi noti e pubblici i riferimenti degli operatori eventualmente coinvolti;
   ad assumere iniziative dirette a prevedere infine una rivisitazione della disciplina delle attività dell'Ente risi, al fine di migliorare il sistema di crescita e competitività dell'agricoltura risicola italiana.
(7-00428) «Faenzi, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MUCCI, CHIMIENTI, DI VITA, BUSINAROLO, ROSTELLATO, SILVIA GIORDANO, LUPO e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, recante «disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», al fine di dare attuazione al «piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», sono stati stanziati 10 milioni di euro per il 2013, 7 milioni di euro per l'anno 2014 e 10 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2015;
   sembra che la proposta di ripartizione dei fondi stanziati contro la violenza sulle donne, trasmessa dal dipartimento delle pari opportunità alla Conferenza delle regioni, preveda quasi 6 milioni di euro per nuovi centri antiviolenza, 9 milioni di euro per gli interventi regionali già in essere per il sostegno alle vittime e ai loro figli e 1,1 milioni di euro rispettivamente per i centri antiviolenza e le case rifugio esistenti;
   in fase di prima attuazione, pare si voglia procedere alla ripartizione dei fondi (10 milioni di euro per il 2013 e 7 milioni per il 2014) in un'unica soluzione secondo i seguenti criteri:
    a) il 33 per cento della somma complessiva (di 17 milioni, pari a 5,67 milioni), sarà destinato alla creazione di nuovi centri antiviolenza e case rifugio, in conformità a quanto previsto dalla legge;
    b) il restante 67 per cento verrebbe così suddiviso: l'80 per cento, (ovvero 9,064 milioni) andrebbe al «finanziamento aggiuntivo degli interventi regionali già operativi volti ad attuare azioni di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, sulla base della programmazione regionale»; il 20 per cento (ovvero 2,26 milioni) verrebbe ripartito in parti uguali tra i centri antiviolenza e le case rifugio esistenti, pubblici e privati;
   secondo le tabelle allegate al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, le nuove strutture finanziate sarebbero 79, di cui 23 in Lombardia, 18 nel Lazio, 17 in Campania, 12 in Sicilia e in Veneto, con un contributo unitario pari a 71.772 euro. Ci sono invece regioni che risulterebbero con un esubero di centri come la Sardegna, la Toscana, il Molise, Bolzano e la Puglia. Risulterebbero adeguate, in rapporto alla popolazione, le strutture di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli, Liguria e Piemonte;
   il nuovo piano di finanziamento del Governo previsto per il 2013 e il 2014 ha scatenato le proteste degli operatori di tutta Italia, perché, a quanto pare, le strutture, la cui validità è stata riconosciuta anche dal protocollo siglato nel 2013 con ANCI per l'istituzione di linee guida, promozione di tavoli tecnici e altre iniziative, riceveranno soltanto 2 milioni e 260 mila euro che divisi per i 352 centri su tutto il territorio (non tutti «autentici», secondo l'associazione Dire – Donne insieme contro la violenza), portano a circa 6 mila euro ciascuno per i prossimi due anni;
   l'associazione Dire, insieme all'altra associazione di donne presente a livello nazionale Wave (Women against violence in Europe), hanno chiesto il rispetto della convenzione di Istanbul, dove si sostiene che i Governi debbano privilegiare le azioni dei centri anti-violenza privati e indipendenti, gestiti da donne, e una maggiore chiarezza della futura ripartizione prevista dal decreto-legge n. 93 del 2013 nonché un Ministro alle pari opportunità;
   se la ripartizione dei fondi come sopra descritta venisse approvata in Conferenza Stato-regioni, si rischierebbe di contravvenire alla convenzione di Istanbul non solo in merito alla mancata nomina di un Ministro per le pari opportunità ma anche riguardo allo stanziamento di risorse per una corretta applicazione di politiche integrate, di misure e di programmi (inclusi quelli svolti da organizzazioni non governative e dalla società civile) per prevenire e combattere tutte le forme di violenza contro le donne;
   in occasione del ventesimo anniversario della IV conferenza mondiale sulle donne delle Nazioni Unite, tenutasi a Pechino nel 1995, l'Italia sarà rapporteur europea su Pechino + 20 –:
   se intenda chiarire i criteri di censimento e di riconoscimento dei centri antiviolenza e soprattutto delle case rifugio che per essere definite tali dovrebbero avere un indirizzo segreto;
   se intenda chiarire quale siano i criteri di assegnazione e di revoca delle risorse per gli interventi regionali;
   se si intenda intervenire con urgenza apportando modifiche alla proposta di ripartizione dei fondi, nel rispetto delle raccomandazioni europee e tenendo conto della convenzione di Istanbul, adottando misure che valorizzino realtà già operative ed efficaci, in particolare stanziando somme maggiori per i centri di ascolto, le case rifugio per donne e figli in situazioni di pericolo, o case in semi-autonomia per donne in difficoltà economica, riconoscendone il lavoro assiduo svolto sul territorio in sostegno anche di istituzioni e aziende sanitarie, per intervenire su quei numeri impressionanti e troppo spesso taciuti che identificano la massiccia presenza di casi di violenza esercitata subdolamente dagli uomini sulle donne, soprattutto mogli e compagne;
   se si intenda proporre con urgenza la nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare la delega relativa alla pari opportunità, nel rispetto della convenzione di Istanbul ed anche in considerazioni del semestre italiano di Presidenza dell'Unione europea, del prossimo rapporto sullo stato delle questioni di genere nell'Unione europea e dei prossimi appuntamenti internazionali. (5-03287)


   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa si è appreso della conclusione delle indagini condotte dalla procura di Ancona in collaborazione con il Gico della Guardia di finanza ed il Corpo forestale dello Stato;
   l'avviso di conclusione delle indagini è stato notificato ad un dirigente e due funzionari della regione Marche e ad altre 17 persone fra imprenditori e professionisti;
   i reati contestati sono concussione, corruzione e truffa ai danni dello Stato nel settore del biogas. Secondo l'accusa sarebbero state realizzate sette centrali a biogas senza valutazione di impatto ambientale e con procedure «accelerate»;
   in particolare, il dirigente della regione Luciano Calvarese e i funzionari Sandro Cossignani e Mauro Moretti avrebbero istruito norme e atti amministrativi per favorire le imprese concessionarie che, in questo modo, hanno potuto bypassare la valutazione di impatto ambientale e il controllo delle province e realizzare sette centrali a biogas godendo di incentivi statali fino a 31 mila euro per 15 anni dall'entrata in funzione dell'impianto;
   in cambio, i funzionari avrebbero ottenuto «tangenti» sotto forma di regali ed altre utilità;
   sempre da fonti stampa, si apprende che, per effetto dell'entrata in vigore dell'articolo 15, comma 4, del decreto-legge n. 91 del 2014 – il cosiddetto decreto «agricoltura ed ambiente» – la procura non ha potuto più disporre il sequestro dei predetti impianti –:
   se non intenda evitare per il futuro che iniziative legislative urgenti interferiscano rispetto a procedimenti giudiziari in corso e se non intenda chiarire la genesi endogovernativa delle norme citate in premessa. (5-03294)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GALLINELLA e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2014 il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, ha presentato la struttura di missione del Governo contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche nel nostro Paese;
   tale struttura, denominata Italiasicura, ha l'obiettivo di prevenire gravi episodi di dissesto idrogeologico come quelli che hanno caratterizzato il Paese negli ultimi anni: dai 100 eventi meteo con danni ingenti registrati nel 2006 si è passati al picco dei 351 del 2013 e ai 110 nei soli primi venti giorni del 2014, senza contare i 20 stati di emergenza richiesti dalle regioni da ottobre 2013 a aprile 2014;
   il progetto di prevenzione dovrebbe portare avanti un'azione volta a rivedere radicalmente la filiera delle responsabilità e dei controlli che, fino ad oggi, hanno ostacolato la messa in sicurezza di diverse aree del nostro Paese;
   per capire la portata del fenomeno basta solo pensare l'81 per cento dei comuni italiani (circa 6600) ha aree di dissesto idrogeologico che, dal 1945 ad oggi, sono costate allo Stato circa 3,5 miliardi l'anno;
   il progetto del Governo è quello di utilizzare i circa 4 miliardi di euro a disposizione tra, fondi non spesi – compresi i fondi europei – e i circa 1,6 miliardi di euro a disposizione per infrastrutture idriche del Sud, per il cui malfunzionamento è stata aperta dall'Unione europea una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia;
   nel dettaglio il piano del Governo è quello di completare circa 3300 opere avviate in tutta Italia dal 2009 e ancora, da cantierizzare, progettare e finanziare, oltre a 183 opere per depurazione e fognatura –:
   quali istituti o enti nazionali siano stati interpellati ufficialmente ai fini della realizzazione della struttura di missione Italiasicura;
   se esista e quale sia la scala di priorità di intervento pensata dal Governo per realizzate questa missione e come sia stata individuata una tale scala. (4-05611)


   BUSIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da più di due anni è stato dato avvio nel nostro Paese, prima su incarico del Governo Monti al commissario Bondi, poi su incarico del Governo Letta al dottor Cottarelli, ad un processo di analisi dei costi dell'apparato pubblico, allo scopo di produrre risparmi di spesa consistenti, tanto che i risparmi sono già stati impegnati a copertura di provvedimenti di spesa, sia con la legge di stabilità per il 2014 che con il decreto-legge sul bonus di ottanta euro;
   a fronte di tale impiego, non esiste ad oggi nessun riscontro sulle cifre effettive che si possano risparmiare né con quale tempistica. In sostanza, in due anni di analisi, non è ancora stato prodotto un solo provvedimento di reale taglio di spesa come conseguenza dell'attività commissariale sulla spending review;
   la concreta attività di analisi è stata demandata a numerose commissioni tecniche composte da numerosi esperti;
   da notizie di stampa e da dichiarazioni degli stessi partecipanti ai tavoli di analisi della spesa, ai apprende che all'inizio di marzo 2014, cioè più di quattro mesi fa, sono stati consegnati al commissario Cottarelli 25 documenti pdf che contengono le relazioni finali dei gruppi di lavoro;
   da allora, tali documenti non hanno avuto apparentemente alcun seguito, e soprattutto non sono stati in alcun modo divulgati o resi consultabili, in spregio alla decantata opera di trasparenza alla quale i Governi di sinistra di questa legislatura si sono richiamati;
   non ve ne è traccia sul sito internet appositamente dedicato alla revisione della spesa, dove è prevista una sezione apposita chiamata revisione aperta, all'interno della quale «(...) verranno inseriti progressivamente tutti i dati e le informazioni disponibili sulla spesa e sui risultati raggiunti dall'attività di Revisione della spesa»;
   benché le concrete decisioni normative per l'applicazione dei provvedimenti di spending review debbano essere liberamente assunti dal Governo e adottate dopo il confronto parlamentare, appare legittimo che i cittadini-contribuenti abbiano il diritto di sapere quali suggerimenti siano contenuti nei documenti elaborati dai tavoli tecnici –:
   per quali motivi il commissario alla revisione della spesa non renda pubblici i risultati dell'analisi condotta dai 25 gruppi di lavoro;
   se e quali provvedimenti e con quali modalità e tempistiche siano stati adottati sulla base dell'incarico conferito al commissario Cottarelli per la spending review. (4-05627)


   GAGNARLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 marzo 2014, il Presidente del Consiglio annunciava a mezzo stampa (http://www.flcgil.it) un piano per le scuole da 3,5 miliardi di euro per la messa in sicurezza e per il rilancio del settore dell'edilizia; in data 27 marzo 2014 lo stesso Presidente del Consiglio sui media ribadiva che i cantieri sarebbero partiti a giugno ed i 3,5 miliardi erano già stati stanziati;
   in data 12 aprile 2014, sempre durante trasmissioni televisive, il Presidente del Consiglio dichiarava che i cantieri per questi interventi sarebbero partiti dal 15 giugno in tutti i comuni ed i 3,5 miliardi di euro stanziati sarebbero stati svincolati dal patto di stabilità;
   in data 4 luglio 2014 il Governo italiano assegnava i finanziamenti ai comuni (http://www.governo.it). Per Cortona ad esempio, comune di residenza della interrogante, risultano stanziati 7 mila euro;
   nel comune di Cortona tutti gli edifici scolastici posti sotto la responsabilità comunale necessitano di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria; in particolare, sull'edificio scolastico di Fratta Santa Caterina urgono seri interventi di tipo strutturale di messa in sicurezza. Su tale edificio, di proprietà di terzi, il comune di Cortona paga da anni il canone di affitto ad un privato;
   da anni le amministrazioni comunali cortonesi annunciano la volontà di costruire un nuovo edificio di proprietà comunale nella stessa località Fratta Santa Caterina che ospiti la scuola elementare, in sostituzione del vetusto edificio attualmente utilizzato, risolvendo sia i problemi di messa in sicurezza dello stesso che quelli legati all'esborso del canone di affitto al legittimo proprietario;
   l'amministrazione precedente a quella attuale dichiarava altresì di aver presentato presso la Presidenza del Consiglio un progetto per la realizzazione di tale polo scolastico in località Fratta Santa Caterina;
   è evidente che per la realizzazione del polo scolastico a Cortona, il comune necessita di ben altri fondi rispetto a quelli che risultano stanziati dall'attuale Governo per la copertura del piano governativo sull'edilizia scolastica;
   per la realizzazione di tale opera, come risulta da un estratto della mail inviata dal sindaco Francesca Basinieri al Presidente del Consiglio e pubblicata on line, il comune prevede una spesa complessiva di 3 milioni di euro, di cui 2,25 milioni per lavori a base d'asta ed oneri di sicurezza e 750 mila per somme a disposizione, quali iva, acquisto terreno, lavori in economia ed altro. Da quanto si apprende dalla stessa mail «tali importi deriveranno in gran parte dallo sblocco di fondi già presenti nelle casse comunali di Cortona (...)» –:
   se il Governo sia a conoscenza ed abbia effettivamente ricevuto la proposta progettuale del polo scolastico che si vorrebbe realizzare in località Fratta Santa Caterina a Cortona ed, in caso affermativo, se possa renderne noti i dettagli. (4-05628)


   REALACCI, OLIVERIO, MAGORNO e COVELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto del 5 aprile 2013 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2013 ha decretato «la compatibilità ambientale e l'Autorizzazione integrata ambientale al successivo esercizio relativo alla Centrale a carbone di Saline Ioniche, in comune di Montebello Jonico (RC), e opere connesse» in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 giugno 2012. Questi due atti fanno seguito al parere (n. 559) espresso dalla commissione VIA del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 21 ottobre 2010;
   il 4 marzo 2014, presso la capitaneria di porto di Reggio Calabria, si è svolta la seconda ed ultima sessione della conferenza di servizi, la prima risale al 12 dicembre 2013, in merito alla richiesta di concessione di durata cinquantennale di una vasta area del demanio marittimo di pertinenza al porto di Saline, avanzata dalla SEI allo scopo di realizzare e gestire un terminale marino a servizio della centrale a carbone nonostante le numerose opposizioni di liberi cittadini, associazioni ambientaliste, enti locali, tra cui quella rilevante della regione Calabria. Il 10 giugno 2014 il Ministero dello sviluppo economico ha trasmesso ai comuni reggini interessati la comunicazione dell'avvio del procedimento relativo all'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio e/o imposizione di servitù sulle aree interessate dalle opere connesse. Nella comunicazione è evidenziato che sono state individuate anche le aree oggetto di occupazione temporanea ai fini della cantierizzazione che interessano il territorio del comune di Montebello Jonico. Il Ministero dello sviluppo economico non ha ancora emesso l'autorizzazione unica prevista dalla legge n. 55 del 2002;
   il progetto SEI – saline energie ioniche – di una nuova centrale a carbone da 1.320 megawatt prevede un investimento di circa un miliardo di euro. Sono azionisti della società SEI s.p.a. il gruppo svizzero a partecipazione pubblica (Canton dei Grigioni) Repower A.G. (57,5 per cento), la multiutility italiana Hera (20 per cento), la società d'ingegneria Foster Wheeler Italiana S.r.l. (15 per cento), Apri Sviluppo S.p.A. (7,5 per cento). Va poi precisato che, a seguito del referendum popolare del 22 settembre 2013, mediante il quale il Canton dei Grigioni della Svizzera ha stabilito che non sarà più possibile per le aziende svizzere a partecipazione pubblica investire in centrali a carbone anche al di fuori dei confini nazionali, la citata società Repower AG, ha ufficializzato l'uscita dal progetto Saline Ioniche. Il consiglio di amministrazione della Repower ha annunciato dopo il referendum che lo farà «in modo ordinato rispettando tutti gli impegni contrattuali assunti, al più tardi entro la fine del 2015». Vista la scarsa appetibilità del progetto ribadita della predetta azienda svizzera, è poi assai improbabile che ci siano società interessate ad acquistare le azioni Repower. Sussiste pertanto il rischio che si autorizzi un investimento di sicuro e forte impatto ambientale ma incerto nel suo successo e vetusto da un punto di vista industriale, alimentandolo a carbone;
   nel report di gestione 2013 della società svizzera Repower AG si legge inoltre: «Non si intravede più alcuna possibilità di trarre guadagno dal terreno acquistato per la centrale a carbone e quindi si è proceduto a una svalutazione del fondo che sta in relazione al Progetto Saline Joniche». «Il portafoglio progetti – si legge ancora nel report –, svalutato per un ammontare di 21 milioni di franchi, subisce l'influsso delle voci seguenti: svalutazione di un terreno in relazione al Progetto Saline Joniche (13,3 milioni di franchi). Attualmente la determinazione del fair value è soggetta a incertezza. A causa del contesto di mercato che desta insicurezza e della prospettiva di prezzi dell'energia bassi anche per il futuro, osservatori esterni valuterebbero come bassa la possibilità che il progetto venga realizzato e questo verrebbe considerato nella determinazione di un prezzo d'acquisto, con la conseguenza che non attribuirebbero alcun valore materiale al progetto»;
   la regione Calabria ha da sempre espresso in numerosi atti e decisioni ufficiali una chiara contrarietà al progetto (già il 17 settembre 2008 alla prima conferenza di servizi al Ministero dello sviluppo economico). Anche in seguito ha sempre negato l'intesa (delibera 686 del 6 ottobre 2008) e lo ha fatto con pronunciamenti unanimi di assemblee ed esecutivi di opposto orientamento politico e di rappresentanti istituzionali di tutti i partiti. La posizione ad oggi è rimasta immutata. Tant’è che, nella recente seduta del 26 giugno 2014 il consiglio regionale ha votato all'unanimità la mozione con cui impegna la giunta regionale ad esprimere il proprio fermo e motivato dissenso e la negativa intesa, anche nella fase successiva al decreto VIA e in occasione della conferenza di servizi;
   è utile ricordare che la produzione, il trasporto e la distribuzione d'energia integrano una materia di potestà legislativa costituzionalmente concorrente. A questo riguardo la richiamata sentenza della Corte Costituzionale n. 6 del 13 gennaio 2004 ha riconosciuto la necessità di un'intesa «in senso forte» tra Stato centrale e regioni; quindi il parere è essenziale e indispensabile ai fini del rilascio dell'autorizzazione unica, «il cui mancato raggiungimento costituisce un ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento»;
   sull’iter autorizzativo del progetto di centrale a carbone a Saline Joniche ad oggi pendono ancora, anche in forza dei pareri contrari del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dell'ente regionale, diversi ricorsi al tribunale amministrativo del Lazio e si è in attesa di sentenza definitiva;
   come ricorda Legambiente in un puntuale dossier trasmesso al Ministro dello sviluppo economico la regione Calabria, con delibera della giunta regionale n. 98 del 9 febbraio 2005, stabilì, in accordo a quanto contenuto nel piano energetico ambientale regionale ed alla luce della notevole quantità di energia prodotta eccedente i fabbisogni regionali, ritenendo che la regione con le intese rilasciate abbia già adeguatamente aderito al sistema Paese, che «... la regione non fornirà alcuna ulteriore intesa in sede di conferenza di servizi indette dal Ministero delle Attività Produttive e dal Ministero dell'Ambiente, per la realizzazione di centrali termoelettriche sul territorio regionale, ritenendosi sufficiente il numero delle cinque autorizzazioni già rilasciate da parte del Ministero delle Attività Produttive». Sono infatti già cinque le centrali termoelettriche per la produzione di energia elettrica da ciclo combinato a gas naturale da 800 megawatt ciascuna autorizzata sul territorio regionale: sono localizzate nei comuni di Altomonte, Pianopoli, Simeri Crichi, Rizziconi e Scandale. C’è da osservare che quasi tutte queste centrali sono attualmente in grave sofferenza per via delle condizioni nuove di eccedenza, di costi e di altre variabili del mercato dell'energia. La Calabria produce molta più energia di quanta ne consumi: dai dati TERNA relativi al 2012 la Calabria produce 10.979,4 Gwh a fronte di un fabbisogno di 6.452,3 GWh con un surplus del 70,2 per cento. Il saldo positivo è ulteriormente aumentato nel corso del 2013 e in questi mesi del 2014 grazie anche all'incremento del contributo delle fonti rinnovabili. Non si vede quindi la necessità di prevedere ulteriori grandi centrali elettriche sia sul territorio calabrese che sul resto del territorio nazionale;
   le legittime e necessarie esigenze di sviluppo economico ed occupazionale del territorio reggino non possono però ad avviso degli interroganti fare da scudo al rischio di infiltrazioni criminali mafiose sul progetto di centrale a carbone a Montebello Jonico considerato che insiste in un territorio ad alta densità criminale. Potrebbe infatti avvenire quello che è accaduto in passato: a testimoniarlo svariate condanne giudiziarie passate in giudicato per attività interessate dalla ’ndrangheta nella stessa area in occasione della realizzazione della Liquichimica e delle OGR Grandi riparazioni –:
   se il Governo sia a conoscenza della questione;
   se si intenda valutare, anche a fronte della notevole eccedenza di produzione energetica del Paese, l'opportunità di revocare il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore senatore professore Mario Monti del 15 giugno 2012, che sanciva la contrastata compatibilità ambientale e autorizzava all'esercizio il progetto a carbone della S.E.I. s.p.a., considerando il fatto che a breve sarà necessario procedere alla chiusura di vari impianti di produzione elettrica a partire da quelli meno efficienti e più inquinanti, come quelli alimentati a carbone che emettono grandi quantità di CO2 in atmosfera;
   se il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, non intenda verificare la possibilità di istituire, per quanto di competenza e di concerto con l'amministrazione regionale della Calabria, un tavolo tecnico interministeriale per implementare, anche con fondi comunitari, un piano di rilancio e sviluppo sostenibile centrato sulla valorizzazione integrata delle risorse ambientali e culturali locali per migliorare la qualità della vita e attrarre nuovi investimenti e flussi di visitatori e turisti nell'area Grecanica, con interventi come: riqualificazione del porto a scopo turistico, bonifica degli insediamenti produttivi abbandonati, waterfront, piano di sviluppo delle microfiliere produttive, filiere agricole di qualità a partire da quella del bergamotto, interventi di riqualificazione dei borghi a fini turistici. (4-05632)

AFFARI ESTERI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
III Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   come si è appreso dalle ultime notizie stampa, presso il villaggio di Um Al Nasser, occupato il 17 luglio 2014 dalla fanteria e dai blindati israeliani che hanno obbligato l'intera comunità a lasciare le case, l'esercito israeliano ha raso al suolo «La Terra dei Bambini», una struttura finanziata dalla Cooperazione italiana;
   il centro per l'infanzia, che rappresentava un modello di eccellenza in termini di architettura bioclimatica e di metodologia educativa, ospitava un asilo con 130 bambini e un ambulatorio pediatrico; inoltre, è stata demolita anche la nuova mensa comunitaria, inaugurata appena due mesi fa, che forniva pasti ai bambini e alle famiglie povere del villaggio;
   sul sito della Organizzazione non governativa Vento di Terra, che aveva realizzato la struttura, era stata giustamente sottolineata l'importanza di tale costruzione distrutta con un post che recita testualmente: «La cucina è pronta e attiva! I primi pasti caldi e nutrienti sono stati serviti ai bambini la scorso settimana, durante la giornata di inaugurazione del nuovo edificio, costruito anch'esso con architettura bioclimotica (sacchi di sabbia per la costruzione dei muri, pannelli fotovoltaici, struttura termo isolata e ottimizzazione delle energie naturali). È stato un lavoro molto intenso e gratificante, che ha coinvolto la popolazione di Um Al Nasser nei mesi scorsi: un gruppo selezionato di dieci donne beduine ha frequentato il corso di formazione di 100 ore sulla nutrizione e la gestione di una cucina presso la scuola professionale di Deir el Balah, nel centro della Striscia, per imparare a cucinare pasti sani e bilanciati; è stato acquistato un trattore, che servirà per la gestione degli orti comunitari, i quali forniranno le verdure per la cucina comunitaria; la popolazione ha partecipato con grande interesse ai lavori di costruzione che sono stati rapidi e precisi. La cucina servirà 3 pasti alla settimana nutrienti e bilanciati ai 130 bambini del centro per l'infanzia “La Terra dei bambini”...»;
   la «Terra dei bambini» rappresentava un'oasi a difesa dei diritti dell'infanzia e l'esercito israeliano, messo al corrente di tutte le fasi del progetto, ha deciso senza alcuna giustificazione di demolirla. Questo deplorevole episodio va ad aggiungersi a quello di Khan al-Amar, un campo beduino tra Gerusalemme e Gerico (già oggetto di dell'atto di sindacato ispettivo n. 5-02290 presentato in data 6 marzo 2014 dagli interroganti) dove, lo scorso 27 febbraio 2014, l'esercito israeliano ha confiscato illegittimamente alcune attrezzature di gioco per bambini appena donate, ancora una volta dal Governo italiano, e installate presso la «Scuola di Gomme» realizzata nel 2009;
   a parere degli interroganti, il Governo israeliano deve rendere conto di queste gravissime azioni che coinvolgono, oltre la comunità locale, direttamente il Ministero interrogato, l'Unione europea, attraverso l'ECHO (European community humanitarian office) e la cooperazione italiana, ovvero i maggiori finanziatori dei progetti sopra citati –:
   quali azioni intenda intraprendere affinché i danni, sia quelli citati in premessa che quelli futuri, siano risarciti in termini economici dall'amministrazione israeliana, con l'auspicio che le stesse azioni possano essere intraprese anche dall'ECHO che destina ogni anno circa il 20 per cento dei propri fondi agli aiuti umanitari in Medio Oriente (nel 2014 ammontano a 920 milioni di euro). (5-03289)


   AMENDOLA, MANCIULLI, QUARTAPELLE PROCOPIO, CHAOUKI, CIMBRO, FEDI, LA MARCA, SERENI e ZAMPA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l’escalation di violenza per gli scontri tra Israele e la Striscia di Gaza si acuisce di ora in ora. Dopo il rapimento avvenuto il 12 giugno 2014 di tre giovanissimi ragazzi israeliani, in una zona disabitata palestinese a nord di Hebron, e la scoperta successiva dei loro corpi barbaramente massacrati, si sono innescate una serie di azioni di rappresaglia, con successive ritorsioni da parte di frange estremiste e razziste della società israeliana. Nella notte tra il 30 giugno e il 1o luglio un giovanissimo ragazzo palestinese è stato rapito da un gruppo di destra ultras del Beitar Jerusalem (estremisti de La Familia, non nuovi a inneggiare negli stadi slogan come «morte agli arabi»). Il giovane palestinese è stato bruciato barbaramente quando era ancora vivo in un bosco di Gerusalemme;
   Hamas, interrompendo la tregua siglata nel 2012 ha iniziato a lanciare missili contro Israele, aumentando le ostilità a ritmo serrato e non accettando le proposte di un cessate il fuoco, avanzate dall'Egitto e appoggiate dalla Lega araba e dall'Onu;
   il premier israeliano Netanyahu, in risposta ai lanci di razzi da parte di Hamas dalla Striscia di Gaza e al persistere di tale chiusura, dopo un iniziale atteggiamento di prudenza e moderazione – che lasciava sperare in uno sbocco utile dell'azione di Egitto e Giordania volta a spingere Hamas a un cessate il fuoco – ha deciso di rispondere con un'azione militare, bombardando Gaza, dando istruzioni all'esercito di prepararsi per una «una campagna forte, continua e lunga», lanciando l'operazione «Protective Edge», con più di cento raid aerei al giorno, aprendo i rifugi di sicurezza nel sud, aumentando le batterie antimissile «Iron Dome», e minacciando un'offensiva militare di terra, in seguito avvenuta;
   il bilancio degli scontri a causa dell'offensiva di terra israeliana a Gaza è preoccupante: crescente è il numero di vittime fra i civili palestinesi – più di 500 i morti e più di 3.000 i feriti, fra cui molte donne e bambini. Aumenta il numero dei rifugiati palestinesi che, secondo gli ultimi dati diffusi dall'Onu, arrivano ad 81.000, solo come totale provvisorio di quanti hanno trovato ospitalità in 61 strutture dell'Unrwa, l'agenzia per i rifugiati;
   Hamas, non accettando le pressioni arabe, europee, dell'Onu e del Santo Padre per un cessate il fuoco, ha proseguito nel lancio di razzi verso Israele, incurante delle conseguenze dell'innalzamento dello scontro sulla popolazione palestinese; tali esiti preoccupanti, e tuttavia prevedibili, privando i civili di qualsiasi protezione, rischiano di trasformare in scudi umani la popolazione più vulnerabile agli attacchi; il Governo di Israele, d'altra parte, con la decisione di sferrare l'attacco di terra e l'obiettivo di colpire i tunnel costruiti all'interno delle abitazioni e neutralizzare il passaggio delle armi, ha finito per colpire anche obiettivi civili (case, asili, ospedali rasi al suolo dalle bombe) e procurare molte vittime innocenti;
   a tutt'oggi risultano falliti i tentativi della diplomazia di far accettare un cessate il fuoco; in particolare, la proposta egiziana di una tregua delle ostilità appoggiato dalla Lega araba e dall'Onu non ha avuto alcun successo. Anche tra i potenziali mediatori (Egitto, Turchia e Qatar) al momento prevalgono divisioni e mancanza di unità di intenti;
   l’escalation militare sembrerebbe tornare utile a molti degli attori nello scacchiere Mediorientale, in particolare alle frange più estremiste di Hamas e alle forze jihadiste, la cui azione da sempre è volta a far fallire il processo di pace con Israele e a compromettere il processo di riconciliazione, recentemente timidamente avviato anche tra le forze palestinesi, in particolare fra Hamas e Fatah e l'Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen;
   la radicalizzazione del conflitto armato fra Israele e Hamas sembra aiutare anche le crescenti spinte all'interno della coalizione di governo d'Israele, dove il leader del partito ultranazionalista Yisrael Beitenu e Ministro degli Esteri del governo Avigdor Lieberman, annunciando la rottura della sua alleanza con il Likud, mira a sfidare Netanyahu per la premiership di una destra più radicale per il Governo del Paese; il leader ultranazionalista coglie l'occasione per esigere una decisa controffensiva nei confronti della popolazione palestinese, anche degli arabi israeliani e in favore dell'invasione della Striscia, con annessioni di fatto o di diritto;
   il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha espresso la sua «grave preoccupazione davanti al numero crescente delle vittime», reiterando il suo appello per una «fine immediata delle ostilità»;
   il Ministro italiano degli affari esteri, Federica Mogherini, dopo il suo recente viaggio in Israele, ha sollecitato l'urgenza di una tregua per porre fine alla crisi umanitaria in atto nella Striscia di Gaza, con la richiesta della sospensione dei bombardamenti israeliani e la fine dei lanci indiscriminati dei razzi contro Israele, in favore dell'apertura contestuale dei negoziati fra le parti in conflitto –:
   quali iniziative siano in corso a livello multilaterale per la realizzazione di una tregua delle ostilità armate tra Israele e la Striscia di Gaza, e quali iniziative il Governo intenda assumere, anche nell'ambito della Presidenza italiana del semestre europeo, per fermare la crisi umanitaria e rilanciare una strategia politica europea in favore della ripresa del processo di pace in Medioriente. (5-03290)


   PALAZZOTTO, SCOTTO, FRATOIANNI, DURANTI, PIRAS e MARCON. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   secondo un comunicato diffuso da Finmeccanica – Alenia Aermacchi in data 9 luglio 2014, sarebbero stati consegnati presso la base israeliana di Hatzerim i primi due velivoli da addestramento avanzato M-346;
   nel comunicato si afferma che oltre ai due velivoli consegnati, per la Forza aerea israeliana altri sei M-346 sono in fase avanzata di assemblaggio mentre altri cinque sono nella fase di montaggio delle parti strutturali su un totale di trenta velivoli ordinati;
   l'M-346 è un nuovo velivolo addestratore e il suo principale scopo è di favorire addestramento e «transizione» a caccia di nuova generazione ma può anche essere armato e utilizzato per bombardamenti;
   in particolare, grazie alla loro maneggevolezza, potrebbero essere utilizzati in aree urbane e di conflitti a basso dispiegamento di forze armate e di contraerea;
   di conseguenza appare agli interroganti fondata e concreta la preoccupazione che i materiali d'armamento prodotti nel nostro Paese possano contribuire a rendere ancora più grave la situazione del conflitto israelo-palestinese;
   l'Italia e il maggiore esportatore tra i Paesi dell'Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele;
   secondo l'articolo 1 della legge n. 185 del 1990, tra le altre cose, è vietata l'esportazione e il transito di armi verso Paesi che sono in stato di conflitto armato o verso Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa;
   a tal fine il Ministero degli affari esteri ha la facoltà di vietare le esportazioni di armi qualora rientrino nell'ambito di applicazione dell'articolo appena citato –:
   se il Ministro degli affari esteri intenda farsi promotore di una azione a livello dell'Unione europea per un embargo europeo di armi e  sistemi militari verso tutte le parti in conflitto, per la protezione dei civili inermi e per far riprendere il dialogo tra tutte le parti. (5-03291)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO e PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Andrea Covini e Jay Sarmiento sono una coppia dello stesso sesso regolarmente sposatasi in Germania, uno dei Paesi europei in cui è previsto la civil patnership tra persone dello stesso sesso e la loro unione è riconosciuta dal registro civico di Milano, città in cui risiedono;
   Jay Sarmiento è di nazionalità filippina;
   Diosita Sarmiento e Julie Ann Sarmiento sono, rispettivamente, la madre e la sorella di Jay Sarmiento;
   le due donne, che vivono tuttora nelle Filippine, sono intenzionate a venire in Italia per trascorrere del tempo col proprio congiunto;
   la visita è stata organizzata in occasione dei 70 anni di Diosita Sarmiento;
   l'ambasciata d'Italia a Manila ha, tuttavia, respinto la richiesta di un visto turistico per le due donne;
   il diniego, avvenuto nonostante l'esibizione del biglietto d'andata e ritorno già comprato, una lettera d'invito e la fidejussione di mille euro fatta e presentata da Andrea Covini, è stato accompagnato da un modulo prestampato in cui si è barrata la frase «non avete provato la esistenza di sufficienti mezzi di sostentamento» e altre relative alla non certezza che le due donne rientrino nelle Filippine;
   è prassi negare i visti per turismo a chi non è benestante, anche se viene invitato da persone che offrono garanzie e fidejussioni;
   tuttavia, nella richiesta di visto per turismo, sia le invitate che gli invitanti avevano specificato che c'era anche un legame di parentela, oltre al legame acquisito tra Andrea Covini e Jay Sarmiento;
   ad opinione degli interroganti, c’è il timore che non venga preso sufficientemente in considerazione il legame parentale venutosi a creare tra Andrea Covini e Jay Sarmiento;
   al diniego del visto è stata opposta istanza di revisione, in cui l'avvocato della coppia ha sottolineato che le richiedenti il visto sono diventate parenti del cittadino italiano Andrea Covini;
   l'ambasciata italiana a Manila, che dovrebbe accogliere o respingere l'istanza, sta rimandando la decisione;
   la risposta scritta dell'ambasciata all'avvocato della coppia è stata: «Abbiamo ricevuto la sua istanza di riesame e stiamo seguendo il caso, peraltro spinoso, in quanto come lei ben saprà in Italia l'argomento delle unioni civili è molto dibattuto poiché manca nel nostro ordinamento una specifica disciplina giuridica ed un riconoscimento giuridico, previste dagli ordinamenti di alcuni Paesi dell'Unione europea»;
   una circolare del Ministero degli affari esteri dell'agosto del 2013 accenna vagamente all'obbligo di estendere ai partner di questo nuovo tipo di unioni legalizzate in Europa i benefici di ingresso facile previsti per i familiari «tradizionali»;
   vi è un evidente paradosso, giacché il Ministero dell'interno dà il permesso di soggiorno al partner extracomunitario sposato o registrato con un italiano all'estero, mentre quello degli affari esteri non rilascia nemmeno un normale visto per turismo alla madre e suocera;
   i fatti narrati in premessa sono stati riportati, tra gli altri, anche nell'articolo dal titolo «Coppie gay, ”Italia nega visto a madre e a sorella di filippino sposato con italiano”» pubblicata dall'edizione online de Il Fatto Quotidiano del 18 luglio 2014 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere in merito ai fatti esposti in premessa e in generale affinché vengano estesi ai partner dello stesso sesso regolarmente registrati i benefici di ingresso facile previsti per le famiglie «tradizionali». (5-03271)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, ZOLEZZI, SEGONI, DAGA, MANNINO, DE ROSA, BUSTO e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di venerdì 18 luglio 2014, è stata diramata dalle agenzie di stampa la notizia della chiusura delle indagini dell'inchiesta «Green Profit» che ha coinvolto anche dirigenti e funzionari della regione Marche;
   i reati contestati sono di concussione, corruzione, truffa ai danni dello Stato, falsità ideologica, illecito urbanistico e ambientale. Il GIP ha autorizzato il sequestro preventivo di 22 immobili e 57 terreni nella disponibilità degli indagati, per un valore complessivo di 10 milioni di euro;
   l'inserimento nel decreto-legge n. 91 in discussione al Senato della possibilità della valutazione di impatto ambientale postuma, che permette oltretutto la continuazione dell'attività agli impianti autorizzati sulla base della legge regionale n. 3 del 2012, dichiarata incostituzionale nella parte in cui escludeva gli impianti a biogas e biomassa per la produzione di energia elettrica dalla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (screening) e, conseguentemente, dalla stessa valutazione di impatto ambientale (VIA), ha avuto come conseguenza la modifica in corsa del provvedimento che in origine prevedeva anche il sequestro di sette centrali sotto inchiesta;
   Joe Hennon, portavoce del commissario all'ambiente Janez Potočnik, intervistato su questo provvedimento da «La Stampa» ha dichiarato che «Visto che la questione è già coperta dalla procedura di infrazione 2009/2086, in linea di principio non ne apriremmo un'altra su questo tema, specifico (in caso cioè di VIA ex post, ndr)», facendo intendere che l'attuale operato del Governo non aiuterà comunque al superamento della procedura di infrazione;
   a gennaio 2014, sono state pubblicate le conclusioni della commissione d'inchiesta sul biogas attivata a livello regionale dove si parla anche del «blitz» dell'allora assessore e del vicepresidente della giunta regionale Petrini da cui partì «la corsa all'investimento e all'incentivo [...] L'Assessore Petrini presentò l'emendamento per innalzare la soglia per le procedure Via da 250KW a 1MW nella legge di assestamento al bilancio 2011 senza che ne sapesse nulla anche la IV Commissione». Nel testo si legge anche una censura rivolta alla giunta e all'assessore Giannini che rilasciò agli uffici una lettera in cui si invitava in qualche modo a non tener conto di quanto assunto all'unanimità dal consiglio regionale: «la spinta temporale di rilasciare le autorizzazioni alle imprese al fine di consentire ad esse di accedere agli incentivi più vantaggiosi entro il 31 dicembre 2012, non giustifica una indiscriminata delega in bianco al servizio, né la lettera che la Giunta ha inviato, a giugno 2012, al Dirigente regionale competente esortandolo a prescindere dai rilievi espressi dal Consiglio Regionale»;
   l'8 aprile 2014, si apprendeva dall'ANSA che per il blocco dell’iter dell'impianto a biogas di Corridonia, regione Marche e provincia di Macerata sono state citate in giudizio dal VBio, srl che chiede un risarcimento danni per 14 milioni 352 mila euro, mentre per quello di Camerata Picena sono 13 i milioni di euro richiesti –:
   se i ministri interrogati fossero informati dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga necessario e urgente assumere iniziative affinché sia recuperato quanto indebitamente ricevuto a titolo di contributo relativo alla produzione di energia elettrica dai proprietari degli impianti coinvolti nell'indagine. (3-00961)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICHELE BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'11 aprile 2014 la direzione investigativa antimafia di Bari, con il supporto dei carabinieri, ha arrestato 14 persone ritenute responsabili di attività organizzate e finalizzate al traffico illecito di migliaia di tonnellate di rifiuti;
   i suddetti rifiuti sono stati interrati, senza essere stati adeguatamente stoccati e trattati, in aree agricole anche interne a zone protette e prossime a fiumi e dighe;
   gli arresti sono stati effettuati nelle province di Foggia, Bat, Caserta, Avellino e Benevento e le attività d'indagine hanno determinato il sequestro di aziende, stabilimenti, automezzi pesanti, discariche abusive per un valore totale di 25 milioni di euro;
   in 3 comuni della provincia di Foggia – Apricena, Cerignola e Ordona – sono state rinvenute maxidiscariche abusive in cui sono state sversate circa 300.000 tonnellate di rifiuti solidi urbani non differenziati freschi e rifiuti solidi urbani in avanzato stato di decomposizione;
   le analisi effettuate sui rifiuti e i terreni contaminati hanno fatto emergere rispettivamente valori elevati di TOC (carbonio organico totale) e CSC (concentrazioni soglia di contaminazione);
   a parere dei tecnici è necessario procedere alla bonifica, rimozione e smaltimento dei rifiuti presenti, destinandoli a discariche per rifiuti non pericolosi o impianti di trattamento termico;
   le attività di indagine e analisi hanno escluso la presenza di rifiuti tossici e la contaminazione di pozzi e falde acquifere –:
   se il Governo intenda attivarsi per verificare la sussistenza dei presupposti per includere l'area tra i siti da bonificare d'interesse nazionale o quali ulteriori iniziative di competenza ritenga di assumere al riguardo, alla luce dei rilevanti rischi derivanti dallo sversamento illegale di rifiuti e della impossibilità dei comuni a fronteggiare tali spese con i fondi ordinari di bilancio e con le proprie strutture tecniche. (5-03293)

Interrogazione a risposta scritta:


   LACQUANITI e ZAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dai documenti del CIPE non emerge alcun dato che riferisca tra le azioni e gli interventi prioritari del Governo il rifacimento del sistema dei depuratori e dei collettori del lago di Garda, che tecnici ed esperti ritengono invece indispensabile per adeguare le strutture, vecchie di 35 anni, ad una popolazione cresciuta di 230.000 unità;
   il costo di tale opera è stimato in 220 milioni di euro, suddivisibili in circa 117 milioni da spendersi per la sponda bresciana (per il depuratore posto a Visano e i collettori) e in 90 milioni per quella veneta, con un adeguamento del depuratore di Peschiera recentemente potenziato, per 5 milioni e i restanti 85 milioni di euro per il rifacimento delle condotte;
   risulta all'estensore della presente interrogazione che, nonostante il carattere prioritario di questo intervento, regione Veneto e regione Lombardia non riescano a risolvere il problema;
   i rilevamenti e le analisi effettuati sul campo hanno dato risultati contraddittori: la Goletta dei laghi di Legambiente denuncia acque lacustri del Garda inquinate, mentre i rilievi dell'Asl di Brescia non registrano alcuna anomalia;
   in data 20 luglio 2014 circa 40 turisti che avevano appena fatto il bagno nelle acque del lago di Garda sia a Desenzano che a Manerba, località turistiche in provincia di Brescia, sono stati colpiti da dermatite cosiddetta del bagnante che, pur non comportando rischi per la salute, è alquanto fastidiosa. I successivi controlli dell'Asl hanno confermato trattarsi di un fenomeno fastidioso, ma del tutto benigno: «I bagnanti, immergendosi nel lago, si sono inseriti all'interno di un fenomeno naturale, fastidioso ma del tutto benigno e transitorio, conosciuto sin dagli anni 90. Il fenomeno è presente nell'ecosistema lago di Garda con dinamiche e periodicità del tutto simili a quelle degli altri laghi europei»;
   questa casistica e le denunce di Legambiente disincentivano enormemente il turismo lacustre, già messo a dura prova dalla crisi del settore, in modo del tutto immeritato in considerazione delle grandi bellezze naturali del lago di Garda e degli sforzi notevoli intrapresi dalle Amministrazioni locali per farle conoscere e rilanciare il turismo –:
   quali misure intenda adottare il Ministero per rilanciare un settore fondamentale per la nostra economia quale è rappresentato dal turismo lacustre, in particolare del lago di Garda;
   quali misure intenda adottare affinché il rifacimento degli impianti di depurazione venga inserito tra le priorità del CIPE. (4-05624)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 16 luglio 2014 il Ministro interrogato ha preannunciato la riforma gestionale del proprio dicastero, in linea con le disposizioni previste dal decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante «disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», al vaglio del Parlamento per la conversione in legge;
   la riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo prevede, oltre all'ammodernamento della struttura centrale e ad altre misure adottate in base ai criteri di spending review, la semplificazione delle ramificazioni periferiche e l'accorpamento delle Soprintendenze per i beni storico-artistici con quelle per i beni architettonici;
   le nuove Soprintendenze saranno dotate di ulteriori funzioni ed è previsto un azzeramento delle posizioni apicali cui seguirà un bando per la selezione dei nuovi dirigenti, probabilmente entro il prossimo autunno quando la riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dovrebbe essere ufficialmente varata con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   come riportato dal quotidiano il Piccolo di Trieste del 18 luglio 2014 sarebbero numerose le criticità nella gestione della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici da parte dell'architetto Maria Giulia Picchione, emerse dagli accertamenti svolti nel mese di giugno 2014 dell'ispettore ministeriale Antonio Tarasco;
   le irregolarità riguarderebbero verbali privi di protocollo, perizie redatte oltre il termine previsto, lavori urgenti non meglio specificati e distinti da quelli rinviabili nell'ambito di interventi in affido diretto, senza gara, perché definiti di «somma urgenza» anche se «sempre programmati ex ante», previsti quindi da tempo;
   in quattro occasioni tra il 2012 e il 2014, la soprintendente Picchione ha affidato in gestione diretta, ricorrendo alla procedura di «somma urgenza» – prevista dal codice degli appalti (decreto legislativo n. 163 del 2006) all'articolo 204, comma 4, e giustificata quando «ogni ritardo sia pregiudizievole alla pubblica incolumità e alla tutela del bene» – alcuni lavori alla stessa impresa, la Lepsa srl di Roma. Questa circostanza ha indotto la sede regionale ANCE (Associazione nazionale dei costruttori edili) del Friuli Venezia Giulia a presentare un esposto all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori;
   i lavori in affido diretto contestati riguardano interventi sulla cinta muraria di Palmanova, un cantiere a Casa Bertoli (Aquileia) e uno a Palazzo Clabassi (Udine);
   secondo l'ispettore Tarasco, sono evidenti le irregolarità relative alle quattro procedure di «somma urgenza» che avrebbero dovuto essere adeguatamente motivate, anche in relazione all'emergenza della pubblica incolumità, e alla relativa documentazione protocollata;
   inoltre, Tarasco ha rilevato che spesso Picchione ha accentrato diversi ruoli, ponendosi contemporaneamente come responsabile del procedimento, direttore dei lavori e del progetto, «anche a causa dell'incapacità dei funzionari scelti di procedere nelle diverse fasi necessarie per l'affidamento dei lavori di manutenzione»;
   è evidente la delicatezza della questione sollevata, che riguarda il potere riconosciuto ai soggetti responsabili dell'amministrazione di ricorrere all'affido diretto con la dichiarazione di «somma urgenza», circostanza che potrebbe generare alcune criticità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano i controlli previsti sulle procedure di affidamento dei lavori da parte delle Soprintendenze per i beni architettonici e paesaggistici per evitare che accadano situazioni come quelle summenzionate, anche in considerazione della preannunciata riforma del sistema gestionale dei beni culturali. (4-05623)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il Comando Nato di Lago Patria, Allied joint force Command Naples (JFCNP), è composto da circa 740 militari provenienti da oltre quindici Paesi Nato, da 80 civili a status internazionale, da 96 civili a statuto locale responsabili per il supporto tecnico-logistico del Comando e da 50 dipendenti civili addetti alle attività di benessere e finanziati attraverso fondi extra-bilancio;
   nel 2010 la Nato ha approvato il concetto «Host Nation support (HNS) policy», in base al quale, entro il 2014, i Paesi che ospitano un comando militare sul proprio territorio avrebbero dovuto assumersi la responsabilità della gestione, della conduzione e della manutenzione delle infrastrutture e degli impianti delle basi Nato, con una suddivisione dei costi pari al 50 per cento per il Paese ospitante e 50 per cento per la NATO;
   per definire l'implementazione della sopra menzionata politica nell'arco degli ultimi due anni si sono svolte alcune riunioni tra il Comando supremo alleato (Shape) situato a Mons, in Belgio, e i rappresentanti dei diversi Paesi che ospitano i comandi militari che impiegano lavoratori locali impegnati nella gestione della manutenzione delle infrastrutture e degli impianti, ovvero Italia, Belgio, Germania, Olanda e Turchia;
   il Comando supremo alleato, su proposta di alcuni Paesi interessati, ha accettato l'ipotesi che le funzioni di conduzione e manutenzione delle infrastrutture, oggetto della HNS policy, possano essere svolte dal personale locale già impiegato dalla Nato, dividendone il costo al 50 per cento, come già previsto dal concetto HNS;
   tale ipotesi permetterebbe di evitare il licenziamento dei lavoratori locali impiegati dalla Nato per le funzioni di supporto;
   nel caso di Napoli, 62 dei 96 lavoratori locali svolgono funzioni legate alla conduzione e manutenzione delle infrastrutture, mentre i rimanenti 34 lavoratori svolgono altre attività non comprese nella HNS (magazzinaggio, auto rimessa, autisti ed altro), e, pertanto, almeno nell'immediato, non a rischio di licenziamento;
   per dare tempo ai singoli Paesi di rispondere alla proposta, la data prevista per l'implementazione della HNS policy è stata spostata dal 1o gennaio al 1o settembre 2014;
   tutti i Paesi, tranne l'Italia, hanno già formulato proposte di accordo che permetteranno ad un totale di 243 lavoratori belgi, tedeschi, olandesi e turchi di proseguire nel 2014 i propri incarichi con la suddivisione dei relativi costi fra il Paese ospitante e la Nato, in base agli accordi specifici;
   anche nel caso dell'Italia, sarebbe auspicabile, sulla scorta di valutazioni di natura economica, operativa e sociale, lasciare in servizio i citati lavoratori locali attualmente addetti alla manutenzione delle infrastrutture, presso JFC Naples, assumendo l'onere del 50 per cento delle relative spese;
   il Comando Nato di Napoli e il Comando supremo alleato hanno elaborato un business case da sottoporre al Ministro interrogato, nel quale si individua quale opzione preferita quella di lasciare in servizio i 62 dipendenti dividendone le spese e si elencano i vantaggi che ne deriverebbero sia alla Nato sia all'Italia;
   il business case, la cui adozione era stata sollecitata a più riprese da parte del Comandante supremo della Nato già dal luglio 2013, dovrebbe diventare un documento congiunto fra l'Italia e il Comando di Napoli e dovrebbe essere presentato al Comitato di bilancio Nato per l'approvazione;
   con l'attuazione della HNS policy, a partire dal 1o settembre 2014 l'Italia dovrà affrontare un costo di circa 30 milioni di euro, pari al 50 per cento del costo totale dei contratti di appalto, più parte del costo dei 62 lavoratori;
   mantenere in servizio tali lavoratori comporta alcuni significativi vantaggi per l'Italia, posto che sarebbe preservata l'esperienza professionale, sarebbe garantita l'operatività della base durante l'intera fase di passaggio, si risparmierebbero le spese per il trasferimento del personale che dovrebbe subentrare, nonché quelle relative agli oneri sociali in favore dei lavoratori che perderebbero il posto;
   il numero dei lavoratori locali della Nato di Napoli è già stato oggetto di drastiche riduzioni nel corso degli ultimi dieci anni, con una diminuzione programmata e concordata con le organizzazioni sindacali, e sempre attraverso accordi sindacali il Comando aveva proceduto alla riqualificazione dei lavoratori al momento del trasferimento nella nuova base di Lago Patria, tecnologicamente più avanzata –:
   quali siano gli orientamenti in merito al trattenimento in servizio del personale di cui in premessa e se non ritenga di agire nel senso di una rapida approvazione e attuazione del citato business case. (3-00962)


   MANLIO DI STEFANO, ARTINI, SIBILIA, RIZZO, DI BATTISTA, BASILIO, DEL GROSSO, CORDA, SPADONI, FRUSONE, SCAGLIUSI, PAOLO BERNINI, GRANDE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si assiste da giorni a una tragica escalation militare dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi che, purtroppo, ha già causato la morte di oltre 500 palestinesi (secondo le stime delle organizzazioni umanitarie oltre un terzo delle vittime sono donne e bambini) e 15 militari israeliani, anche se si tratta di numeri destinati purtroppo a cambiare giorno per giorno;
   nonostante Israele sia un Paese in guerra e sia stato sanzionato più volte dalle Nazioni Unite per la violazione del diritto internazionale e umanitario, l'Italia ha continuato a intensificare la cooperazione militare con Tel Aviv sia attraverso esercitazioni congiunte, sia mettendo a disposizione poligoni e altre strutture addestrative, sia caratterizzandosi per il principale Paese dell'Unione europea nel commercio di armi da e per Israele;
   come è noto, infatti, il nostro Paese è il maggiore esportatore dell'Unione europea di sistemi militari e di armi leggere verso Israele: secondo i dati dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (Opal), si tratta di oltre 470 milioni di euro di autorizzazioni per l'esportazione di sistemi militari rilasciate nel 2012 (dati del rapporto dell'Unione europea) e oltre 21 milioni di dollari di armi leggere vendute dal 2008 al 2012 (dati Comtrade). In percentuale, oltre il 41 per cento degli armamenti regolarmente esportati dall'Europa verso Israele sono italiani, in deroga a quanto prevede la legge n. 185 del 1990 che proibisce di fare accordi militari con un Paese che o è implicato in conflitto o viola i diritti umani;
   a parere degli interroganti, è grave che l'Italia venda sistemi d'arma a una delle due parti in conflitto, situazione che non consentirebbe la necessaria equidistanza e renderebbe la posizione italiana come eventuale mediatore complicata e inattuabile –:
   se non ritenga urgente, con il fine di far recedere Israele dal proseguire la sanguinosa offensiva nella Striscia di Gaza, sospendere la cooperazione militare da e con Israele e proporre tale immediata sospensione anche agli altri Paesi della Nato. (3-00963)


   SCANU, VILLECCO CALIPARI, AIELLO, BOLOGNESI, D'ARIENZO, FERRO, FIORONI, FONTANELLI, CARLO GALLI, GAROFANI, GREGORI, MARANTELLI, MASSA, MOSCATT, SALVATORE PICCOLO, GIUDITTA PINI, STUMPO, VALERIA VALENTE, ZANIN, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nei confronti del personale militare opera fin dal 2006 un blocco contrattuale, adottato nei confronti di tutto il pubblico impiego;
   la situazione si è ulteriormente aggravata con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, che ha previsto l'esclusione, per l'intero triennio 2011-2013, di tutti i meccanismi di adeguamento stipendiale previsti per legge, sia quelli relativi a scatti e classi di stipendio, collegati all'anzianità di ruolo, nonché, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera;
   tali disposizioni, come è noto, sono state prorogate fino al 31 dicembre 2014 dal successivo decreto del Presidente della Repubblica 4 settembre 2013, n. 122;
   si è di fronte a una serie di norme, imposte da una particolare situazione di difficoltà della finanza pubblica, che hanno creato un disagio generalizzato;
   la particolare condizione dello stato giuridico e del trattamento economico del personale delle Forze armate ha, inoltre, generato situazioni paradossali e non in linea con l'ordinamento gerarchico, i cui effetti sono andati ben al di là del principio, genericamente inteso, di congelare il trattamento economico in essere, evitando che subisse aumenti;
   su un piano più generale, il richiamato blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali, in assenza di procedure di concertazione, ha pertanto pregiudicato la maturazione di alcuni istituti strettamente connessi alla valorizzazione dell'anzianità di servizio e alla correlata acquisizione di crescenti competenze professionali, nonché di più impegnative responsabilità di servizio;
   gran parte degli operatori, uomini e donne, delle Forze armate percepiscono trattamenti economici medio-bassi che dovrebbero essere migliorati e, anche se nei confronti di una piccola parte di tali operatori, quelli il cui trattamento economico non supera i 25 mila euro annui lordi, è intervenuto il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, con il bonus di 80 euro, la situazione generale rimane assolutamente critica;
   la questione è stata oggetto nella settimana scorsa di un'approfondita discussione svoltasi in Aula sulla base di ben otto mozioni presentate dai vari gruppi parlamentari;
   il Governo ne ha accolte tre – riconoscendo che la misura colpisce il personale del comparto in misura anche più afflittiva rispetto agli altri pubblici dipendenti, pur penalizzati – ivi inclusa quella presentata dal Partito democratico, riformulando il dispositivo nel senso di: «(...) valutare, in vista della predisposizione del disegno di legge di stabilità per il 2015, l'individuazione di misure finalizzate ad assicurare al personale di tutti i comparti il recupero, nella misura compatibile con l'andamento delle finanze pubbliche, dei trattamenti economici connessi con impiego e funzione, con l'effettiva presenza in servizio e con la maturazione dei requisiti di anzianità e di merito, ripristinando meccanismi di concertazione con le organizzazioni di rappresentanza del comparto stesso, al fine di riconoscere la giusta dignità professionale per gli operatori di questo comparto (...)» –:
   se vi siano eventuali azioni aggiuntive rispetto all'impegno già assunto dal Governo in sede di discussione delle mozioni citate, con le quali ci si propone di assicurare al personale del comparto, quanto prima e comunque entro l'autunno 2014, un ritorno alle normali dinamiche retributive. (3-00964)


   RAVETTO e PALESE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   pare anomalo che un'operazione tanto delicata come Mare nostrum sia stata avviata il 18 ottobre 2013 con una delibera del Consiglio dei ministri del 14 ottobre 2013 e senza che sia stata emanata alcuna previsione normativa;
   risulta che tale operazione sia finanziata dai bilanci dei Ministeri dell'interno e della difesa, senza che sia stata prevista una disposizione normativa specifica se non in sede di disegno di legge di assestamento, assegnato in sede referente presso la Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati;
   all'avvio della missione, il Ministro della difesa pro tempore quantificò in un milione di euro al mese il costo della stessa; attualmente, invece, la missione costa circa 300.000 euro al giorno (e, quindi, circa 9 milioni di euro al mese);
   a tali costi vanno sommate le indennità spettanti al personale ed i costi della manutenzione necessaria per l'uso straordinario dei mezzi, con una spesa finale che dovrebbe attestarsi tra i 10 ed i 14 milioni di euro al mese;
   la missione Mare nostrum è da alcuni mesi al centro di un importante e delicato dibattito, non solo sui costi che l'operazione comporta, ma anche sul suo ruolo e sulla sua utilità per il superamento dell'emergenza migranti;
   la Camera dei deputati ha impegnato di recente il Governo ad un rafforzamento degli strumenti per affrontare la grave situazione relativa all'accoglienza dei profughi e dei migranti, in primo luogo ricorrendo alla cooperazione europea attraverso, tra l'altro, la predisposizione di un piano integrato delle misure di accoglienza a livello europeo;
   sono state diffuse le dichiarazioni della vicepresidente della regione Toscana, Stefania Saccardi, la quale afferma che l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati avrebbe dichiarato che dalla Siria sono in attesa di partire 2,7 milioni di persone, prefigurando un fenomeno migratorio verso l'Italia (e l'Europa) di straordinaria complessità;
   risulterebbe agli interroganti che sia imminente la previsione da parte del Governo di un provvedimento che disponga il finanziamento della missione Mare nostrum –:
   se sia vero che il Governo intende prevedere un'apposita iniziativa normativa d'urgenza che disponga il finanziamento della missione Mare nostrum e quali siano le fonti di finanziamento dell'operazione. (3-00965)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la società italiana Fincantieri rappresenta uno dei più importanti complessi cantieristici navali d'Europa e del mondo, attiva nella progettazione e costruzione di navi mercantili e militari controllata da Fintecna, società finanziaria italiana, a sua volta controllata dal Ministero interpellato attraverso la Cassa depositi e prestiti;
   il 13 giugno 2014, secondo quanto risulta dal prospetto informativo approvato della Consob, che ha indicato il valore dell'offerta delle azioni Fincantieri finalizzate alla quotazione in borsa, che prevedeva la vendita di 704 milioni di azioni ad un prezzo compreso tra 0,78 e 1 euro, è stato stabilito che dei medesimi titoli azionari, 104 milioni dovevano essere venduti dall'azionista Fintecna, mentre i restanti 600 milioni, a titolo di aumento di capitale, ovvero risorse che gli investitori avrebbero versato nelle casse della società per rafforzare il patrimonio e la capacità di investimento;
   dei 704 milioni di titoli messi sul mercato, le condizioni inizialmente stabilite prevedevano in particolare, che 141 milioni avrebbero dovuto essere destinati al pubblico dei risparmiatori (ovvero retail vendita al dettaglio), mentre 563 milioni sarebbero invece dovuti essere offerti agli investitori istituzionali, ovvero istituti bancari di grande rilevanza, società di gestione di fondi d'investimento, società assicurative e holding finanziarie;
   gli interpellanti segnalano che all'interno del prospetto informativo di Fincantieri, che solitamente non viene approfondito in maniera dettagliata dai risparmiatori, era riportata anche l'eventualità di rendere effettiva la clausola del claw-back, ovvero la condizione contrattuale che prevede la possibilità di chiedere la restituzione di tutto o in parte dei compensi erogati, sulla base di risultati che si sono rivelati non duraturi o effettivi per effetto di condotte dolose o gravemente colpose;
   si tratta sostanzialmente di meccanismi contrattuali pressoché sconosciuti in Italia, che prevedono la possibile restituzione, anche parziale, di compensi già corrisposti dalle aziende al proprio management come parte variabile della compensation;
   il 16 giugno 2014, una serie di istituti bancari incaricati di collocare i titoli azionari, fra i quali: Intesa Sanpaolo e Unicredit, che sono risultati essere fra i principali collocatori, hanno iniziato a piazzare i titoli Fincantieri, nell'ambito dell'operazione di quotazione della società a Piazza Affari;
   nel corso della chiusura dell'offerta pubblica avvenuta il 27 giugno, è emerso che dei 563 milioni di euro che dovevano essere rivolti al collocamento istituzionale, come peraltro riportato all'interno del prospetto informativo, in realtà sono stati acquistati dagli investitori soltanto una dozzina di milioni;
   in termini più espliciti, l'esito finale della collocazione dei titoli di Fincantieri da parte degli istituti bancari delegati all'operazione, ha rilevato come i medesimi soggetti creditizi hanno nella sostanza venduto la cinquantesima parte di quanto la Cassa depositi e prestiti ha affidato loro per il collocamento dei titoli azionari, e al contempo, gli investitori istituzionali italiani hanno comprato soltanto circa 30 milioni di azioni, ovvero un ventesimo della quota offerta;
   la sottoscrizione e la vendita delle azioni, in considerazione di quanto suesposto, si è pertanto rivelata estremamente deludente, sia per la coincidenza con le altre operazioni di collocazione sul mercato e aumento di capitale, che in particolare per le modalità con cui l'operazione di offerta titoli è stata condotta, che a giudizio degli interpellanti (a cui si è evidentemente affiancato anche lo stesso parere dei più rilevanti investitori istituzionali di gestione dei fondi d'investimento, che hanno dimostrato uno scarso interesse) si è rivelata confusa e dannosa per i risparmiatori italiani;
   gli interpellanti evidenziano, altresì, come nonostante gli ingenti investimenti finanziari di propaganda pubblicitaria sui principali quotidiani e sulle maggiori reti di comunicazione televisiva (la cui campagna mediatica culminata con la gigantesca prua appesa al palazzo della borsa milanese al costo di 600 mila euro per otto ore secondo quanto riportano alcuni quotidiani), l'impianto tecnico-organizzativo predisposto dall’advisor finanziario (ovvero la società di consulenza) Rothschild, riferito alle condizioni predisposte per la quotazione a Piazza Affari, sia stato nel complesso negativo e insoddisfacente;
   a giudizio degli interpellanti, infatti, le procedure per il collocamento in borsa delle azioni Fincantieri non hanno salvaguardato in maniera adeguata i piccoli risparmiatori, orientandosi invece in favore dei più «rassicuranti» investitori istituzionali, i quali in realtà si sono dimostrati in seguito, tutt'altro che confortanti e affidabili, come dimostrato dalla diffidenza riferita a conclusione dell'operazione finanziaria;
   la società Fincantieri a seguito dell'insuccesso riscosso sul mercato, ha infatti tagliato di un terzo l'offerta delle azioni prevista con l'IPO (offerta pubblica iniziale), nel tentativo di rimediare allo scarso appeal che le azioni hanno avuto tra gli investitori istituzionali, cancellando l'offerta di azioni messe sul mercato attraverso Cassa depositi e prestiti (che attraverso Fintecna controlla Fincantieri con il 99,3 per cento) e rivedendo pertanto al ribasso la quotazione della società dei cantieri navali, con il collocamento dei titoli passato da 704 a 450 milioni di azioni ed il prezzo fissato al minimo della forchetta a 0,78 euro;
   quanto suesposto ha di fatto determinato un ribaltamento delle proporzioni con la quota riservata al retail che passa dal 20 per cento all'89 per cento, spostando al contempo il collocamento dai più «rassicuranti» risparmiatori istituzionali ai risparmiatori privati, con un esito ancora poco chiaro e comunque non particolarmente incoraggiante;
   un simile cambiamento, a giudizio degli interpellanti, s'interpreta, soltanto in considerazione del sostanziale fallimento del collocamento dei titoli azionari di Fincantieri, presso gli investitori istituzionali i quali hanno evidentemente accolto con freddezza l'intera operazione finanziaria in borsa, che ha successivamente indotto la società interessata Fincantieri a ridurre di circa un terzo l'ammontare delle azioni in collocamento sul mercato attraverso la Fintecna;
   a giudizio degli interpellanti, l'operazione del collocamento in borsa dei titoli azionari di Fincantieri, che, come suesposto, evidenzia consistenti dubbi e perplessità connessi all'intera iniziativa finanziaria e borsistica, alimenta la convinzione di come i mercati finanziari siano tuttora diffidenti nei confronti delle privatizzazioni italiane;
   la prima fase del collocamento in borsa di Fincantieri, il cui gruppo della cantieristica fa da apripista al previsto piano di privatizzazioni annunciato dal Governo ed in particolare dal Ministro interpellato, a parere degli interpellanti, ribadisce la necessità di maggiori e necessari approfondimenti preliminari da parte dei soggetti istituzionalmente preposti, nelle procedure di collocazione dei titoli azionari in borsa delle più importanti aziende dello Stato;
   gli interpellanti segnalano, inoltre, che le recenti dichiarazioni all'Assemblea della Camera dei deputati da parte del Ministro interpellato il 17 luglio (nel corso dell'informativa urgente del Governo sul rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità e crescita alla luce delle raccomandazioni agli Stati membri dell'Unione europea approvate l'8 luglio 2014 dal Consiglio Ecofin), secondo cui il Governo si è impegnato a mettere in atto un prossimo piano di privatizzazioni, dal quale sono attesi proventi annui pari allo 0,7 per cento del prodotto interno lordo negli anni 2014-2017, stridono con l'effettiva realtà di quanto si è verificato con l'operazione finanziaria in precedenza esposta;
   le stime inizialmente previste dal Governo sui maggiori introiti derivanti dalla privatizzazione della società Fincantieri, attraverso la vendita delle azioni sul mercato azionario che, come richiamato, si sono rivelate inferiori, unitamente ad alcuni aspetti scarsamente trasparenti, contenuti all'interno del prospetto informativo della medesima società offerto al pubblico per l'ammissione alla quotazione nei mercati regolamentati, che hanno determinato una serie di effetti negativi sugli investitori, confermano in definitiva, a parere degli interpellanti, un quadro complessivamente preoccupante sia in ordine alle procedure di privatizzazione che nell'ambito della evoluzione dei conti pubblici italiani –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se il Ministro interpellato attraverso i suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione di Fincantieri si è informato di quanto accaduto in ordine ai deludenti risultati connessi alla quotazione dei titoli azionari sul mercato finanziario italiano;
   se siano state quantificate le spese di comunicazione intraprese da Fincantieri nell'occasione della quotazione e se siano state poste in essere tutte le verifiche sulla congruità degli investimenti fatti anche in ragione dei ritorni economici poco favorevoli;
   se inoltre, a suo giudizio, siano state utilizzate tutte le procedure più trasparenti per la selezione delle banche collocatrici, degli advisor legali, finanziari, fiscali e di comunicazione e in senso più generale se siano state avviate azioni di internal audit per verificare se ancora una volta a trarre i benefici di questa tanto acclamata quanto presunta privatizzazione siano stati risparmiatori o piuttosto i maggiori istituti di credito, intermediari finanziari oppure società di editoria strettamente legate a quegli ambienti economico-finanziari che si sono mostrati «più amichevoli» nei confronti del Governo;
   quali iniziative effettive il Ministro intenda porre in essere, per quanto di sua competenza, per consentire la massima trasparenza dei costi sostenuti da Fincantieri all'atto della collocazione sul mercato finanziario, nonché quali iniziative intenda infine attuare nei confronti del vertice di detta società nel caso fossero accertate irregolarità nell'ambito delle procedure previste dalla collocazione dei titoli azionari sul mercato borsistico italiano.
(2-00638) «Elvira Savino, Brunetta».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   SBERNA e BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Europa chiede nuove regole sul gioco d'azzardo per un efficace contrasto alla ludopatia e in questo senso detta nuove indicazioni a tutela dei consumatori, che – almeno in teoria – sono già norme vigenti in Italia, dove sono già previste sanzioni in caso di violazione;
   la legge n. 88 del 2009 – legge comunitaria 2008 – per quanto riguarda i giochi on line, all'articolo 24, comma 17, prevede che i concessionari adottino accorgimenti per l'autolimitazione ovvero per l'autoesclusione dal gioco, l'esclusione dall'accesso al gioco da parte di minori, nonché l'esposizione del relativo divieto in modo visibile negli ambienti virtuali di gioco gestiti dal concessionario (lettera e); la successiva lettera h), attraverso il cosiddetto «conto di gioco» crea una sorta di autolimitazione obbligatoria per il giocatore, in quanto al momento dell'apertura del conto stabilisce i propri limiti di spesa settimanale o mensile, con conseguente inibizione dell'accesso al sistema in caso di raggiungimento della soglia predefinita; attraverso l'anagrafe dei conti di gioco, viene monitorata l'attività di ciascun giocatore, in quanto all'apertura del conto il giocatore deve fornire il proprio codice fiscale, che viene incrociato con la banca dati SOGEI per verificarne l'effettiva esistenza, e il sistema di controllo permette di tracciare e memorizzare in modo nominativo tutte le transazioni di gioco dei giocatori italiani;
   alcune disposizioni in tema di tutela dei minori erano originariamente contenute all'articolo 110, commi 8 e 8-bis, del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto n. 773 del 1931); l'articolo 24 del decreto-legge n. 98 del 2011, oltre a ribadire, al comma 20, il divieto di consentire la partecipazione ai giochi pubblici con vincita in denaro ai minori di 18 anni, ai commi 21 e 22 inasprisce le sanzioni e porta la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 20.000 euro (in precedenza da 500 a 1.000 euro); la reiterazione della violazione è punita con la chiusura dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco da 10 fino a 30 giorni (in precedenza fino a 15 giorni);
   la legge di stabilità 2011 – legge n. 220 del 2010 –, all'articolo 1, comma 70, primo periodo, ha previsto che con decreto interdirigenziale dell'agenzia delle dogane e dei monopoli e del Ministero della salute fossero adottate, d'intesa con la Conferenza unificata, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa, linee d'azione per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di ludopatia conseguente a gioco compulsivo;
   l'articolo 7, comma 8, del decreto-legge 158 del 2012 prevede il divieto di ingresso ai minori di anni 18 nelle aree destinate al gioco con vincite in denaro interne alle sale bingo, nelle aree ovvero nelle sale in cui sono installati apparecchi VLT (video lottery) e nei punti vendita in cui si esercita, come attività principale, quella di scommesse su eventi sportivi, anche ippici, e non sportivi; il titolare dell'esercizio commerciale, del locale o, comunque, del punto di offerta del gioco, all'interno dei predetti esercizi, identifica i giocatori mediante richiesta di esibizione di un idoneo documento di riconoscimento, tranne nei casi in cui la maggiore età sia manifesta;
   l'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 158 del 2012 prevede l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro;
   l'articolo 7, comma 5-bis, del decreto-legge n. 158 del 2012 reca una disposizione di indirizzo, ai sensi della quale il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca segnala agli istituti di istruzione primaria e secondaria la valenza educativa del gioco responsabile affinché gli istituti, nell'ambito della propria autonomia, possano predisporre iniziative didattiche volte a rappresentare agli studenti il senso autentico del gioco e i potenziali rischi connessi all'abuso o all'errata percezione del medesimo; da ultimo, l'articolo 7, comma 5, del decreto-legge n. 158 del 2012 prevede l'obbligo di riportare avvertimenti sul rischio di dipendenza dalla pratica di giochi con vincite in denaro e sulle relative probabilità di vincita);
   l'articolo 7, comma 4, del decreto-legge n. 158 del 2012 dispone che dal 1o gennaio 2013, al fine di contenere la diffusione delle dipendenze dalla pratica di gioco con vincite in denaro, sono vietati messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche, e nelle rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte prevalentemente ai giovani; sono peraltro vietati i messaggi pubblicitari di giochi con vincite in denaro su giornali, riviste, pubblicazioni, durante trasmissioni televisive e radiofoniche, rappresentazioni cinematografiche e teatrali, nonché via internet, che incitano al gioco ovvero ne esaltano la sua pratica, ovvero che hanno al loro interno dei minori, ovvero che non avvertono del rischio di dipendenza dalla pratica del gioco; il comma 4-bis prevede che la pubblicità riporti in modo visibile la percentuale di probabilità di vincita che il soggetto ha nel singolo gioco pubblicizzato; se tale percentuale non è definibile, deve essere indicata la percentuale storica per giochi similari;
   l'agenzia delle dogane e dei monopoli non promuove la pubblicità dei prodotti dei giochi pubblici: essa viene effettuata direttamente dai concessionari; i messaggi istituzionali utilizzati dall'Amministrazione sono diretti unicamente alla sensibilizzazione sul gioco responsabile, legale, sulla tutela dei giovani ed, in particolare, sul divieto di gioco ai minori;
   per i soggetti che nel corso di un triennio commettono tre violazioni, anche non continuative, è disposta la revoca di qualunque autorizzazione o concessione amministrativa; in caso di utilizzo degli apparecchi e dei congegni da gioco (slot machine, videolottery), il trasgressore è altresì sospeso, per un periodo da uno a tre mesi, dall'elenco dei soggetti incaricati della raccolta delle giocate, e conseguentemente i concessionari per la gestione della rete telematica non possono intrattenere, neanche indirettamente, rapporti contrattuali funzionali all'esercizio delle attività di gioco con il trasgressore;
   la legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012), all'articolo 1, comma 391, ha prorogato il termine per l'emanazione del decreto al 30 giugno 2013 che detta le linee d'azione per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di ludopatia conseguente a gioco compulsivo; ha inoltre disposto che, ai fini del miglior conseguimento degli obiettivi di tutela del giocatore e di contrasto ai fenomeni di ludopatia connessi alle attività di gioco, l'agenzia delle dogane e dei monopoli, nell'ambito degli ordinari stanziamenti del proprio bilancio, avvii, in via sperimentale, anche avvalendosi delle strutture operative del partner tecnologico, procedure di analisi e verifica dei comportamenti di gioco volti ad introdurre misure di prevenzione dei fenomeni ludopatici;
   la Conferenza delle regioni ha approvato una relazione sul gioco d'azzardo patologico in cui fa notare che non esiste un quadro normativo di riferimento che definisca il gioco d'azzardo patologico come un problema di salute e ne stabilisca la responsabilità della cura; di conseguenza le iniziative di prevenzione, cura e assistenza alle persone con problemi di gioco d'azzardo patologico (Gap) e dei loro familiari, non essendo inserite nei livelli essenziali di assistenza, sono state lasciate alla sensibilità di alcuni amministratori regionali e di professionisti del settore, sia appartenenti alle aziende sanitarie locali che al privato sociale –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per sanzionare puntualmente la sistematica trasgressione delle norme e dei criteri relativi al gioco d'azzardo chiaramente fissati in leggi già approvate dal Parlamento (legge n. 88 del 2009; decreto-legge n. 98 del 2011; legge n. 220 del 2010; legge di stabilità 2011; decreto-legge n. 158 del 2012; legge n. 228 del 2012, legge di stabilità 2013), attualmente riproposte anche in sede europea.
(5-03273)


   SOTTANELLI e LIBRANDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il modello 770 è il documento cui sono obbligati i sostituti d'imposta comprese le amministrazioni dello Stato, per comunicare in via telematica all'Agenzia delle entrate i dati fiscali relativi alle ritenute operate nell'anno precedente, nonché gli altri dati contributivi ed assicurativi richiesti;
   tale modello, sia semplificato sia ordinario, deve essere presentato online dai sostituti di imposta, direttamente o tramite un intermediario abilitato (professionisti, associazioni di categoria, Caf, e altro), entro il 31 luglio 2014;
   come già segnalato negli anni scorsi da numerose associazioni di rappresentanza degli operatori economici e dei professionisti, la previsione di tale scadenza per un adempimento così rilevante in un periodo già saturo di altre scadenze in materia fiscale e del lavoro crea un disagio evidente;
   accogliendo le molte richieste provenienti dai consulenti del lavoro, dai ragionieri, dai commercialisti e dai tributaristi, il Governo pro tempore sia nel 2012 che nel 2013 aveva disposto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la proroga della presentazione del modello 770 al 30 settembre;
   l'eventuale riproposizione del differimento al 30 settembre anche per l'anno 2014 non solo consentirebbe ai sostituti di imposta di avere più tempo per adempiere correttamente alla compilazione delle dichiarazioni, ma potrebbe anche avere effetti positivi per le aziende, che beneficerebbero di due mesi in più per pagare le imposte e le addizionali del 2013 non versate alle scadenze previste ed usufruirebbero così dell'istituto del ravvedimento operoso, e di conseguenza per le casse erariali;
   con interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-02638 del 15 aprile 2014 gli interroganti avevano chiesto al Ministro dell'economia e delle finanze se intendesse procedere anche per l'anno 2014 ad un rinvio al 30 settembre 2014 della scadenza di detto adempimento, auspicando che il Governo fissasse, attraverso apposito provvedimento normativo, stabilmente al 30 settembre di ogni anno il termine per la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate del modello 770 da parte dei sostituti d'imposta;
   al riguardo, si è fatto presente «che l'attuale termine del 31 luglio per la presentazione del modello 770, stabilito dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998, n. 322, consente di evitare una sovrapposizione degli adempimenti connessi alla presentazione di tale modello con quelli relativi alla trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, dell'IVA e dell'IRAP, da effettuarsi entro il 30 settembre. Al contrario, il differimento al 30 settembre del termine di presentazione della dichiarazione dei sostituti d'imposta potrebbe determinare un accumulo di scadenze proprio in corrispondenza di tale data»;
   nel rispondere all'interrogazione, comunque, il Governo si riservava di «valutare la proposta di differimento del termine una volta effettuati i necessari approfondimenti per verificare l'impatto dell'eventuale accoglimento della medesima e le eventuali economie che ne deriverebbero nei confronti dei diversi soggetti interessati», in ogni caso, evidenziava che «un'eventuale fissazione a regime al 30 settembre del termine di presentazione del modello 770 da parte dei sostituti d'imposta dovrebbe risultare compatibile con il progetto di predisposizione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, della dichiarazione dei redditi precompilata, posto che alcuni dei dati da inserire in tale dichiarazione potrebbero essere conoscibili dall'Amministrazione finanziaria proprio mediante un'estrazione delle informazioni contenute nei modelli dei sostituti d'imposta» –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto e data l'imminente scadenza del termine, il Governo non ritenga opportuno procedere, anche per il 2014, ad un rinvio al 30 settembre della scadenza per la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate del modello 770 da parte dei sostituti d'imposta e se intenda fissare stabilmente al 30 settembre la scadenza di questo adempimento, per evitare che annualmente operatori economici e professionisti incorrano nelle medesime difficoltà.
(5-03274)


   CAUSI e RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   numerosi contribuenti si sono visti notificare negli ultimi mesi provvedimenti esecutivi, da parte dell'Agenzia delle entrate e dell'agente di riscossione per l'esazione di obblighi fiscali non assolti a causa della condotta fraudolenta da parte di consulenti fiscali e tributari fiduciariamente delegati;
   in alcuni casi, a fronte del versamento, a favore dei consulenti fiscali, degli importi necessari agli assolvimenti tributari, sono stati riprodotti modelli di versamento contraffatti comprovanti l'avvenuto pagamento delle imposte che hanno permesso ai professionisti di appropriarsi illecitamente di ingenti somme di denaro;
   i numerosi contribuenti truffati si sono visti così notificare cartelle esattoriali con importi ingenti relativi a debiti di imposte e contributi comprensivi di interessi e mora per milioni di euro;
   molti commercianti e imprenditori si trovano ad affrontare una grave difficoltà finanziaria, in quanto impossibilitati a far fronte alle richieste erariali, pur avendo operato in buona fede e nonostante abbiano denunciato l'operato del consulente all'autorità giudiziaria –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di evitare che i contribuenti truffati debbano incorrere nel pagamento di sanzioni, interessi ed aggi su tributi erariali che hanno omesso di pagare in buona fede, a tal fine anche prevedendo la possibilità di sospendere gli obblighi fiscali derivanti dagli accertamenti esecutivi e dalle cartelle esattoriali notificate fino alla data di conclusione dei procedimenti penali e civili, evitando così che molte aziende di piccole dimensioni siano costrette a chiudere le proprie attività.
(5-03275)


   PAGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a numerosi contribuenti sono stati notificati negli ultimi mesi provvedimenti esecutivi, da parte dell'Agenzia delle entrate e dell'agente di riscossione, per l'esazione di obblighi fiscali non assolti a causa della condotta fraudolenta da parte di consulenti fiscali e tributari fiduciariamente delegati;
   in alcuni casi, a fronte del versamento, a favore dei consulenti fiscali, degli importi necessari all'assolvimento degli obblighi tributari, sono stati riprodotti modelli di versamento contraffatti comprovanti l'avvenuto pagamento delle imposte che hanno permesso ai professionisti di appropriarsi illecitamente di ingenti somme di denaro;
   i numerosi contribuenti truffati si sono visti così notificare cartelle esattoriali con importi ingenti relativi a debiti di imposte e contributi comprensivi di interessi e mora per milioni di euro;
   molti commercianti e imprenditori si trovano ad affrontare una grave difficoltà finanziaria, in quanto impossibilitati a far fronte alle richieste erariali, pur avendo operato in buona fede e nonostante abbiano denunciato l'operato del consulente all'autorità giudiziaria –:
   quali iniziative intenda adottare al fine di evitare che i contribuenti truffati debbano incorrere nel pagamento di sanzioni, interessi ed aggi su tributi erariali che hanno omesso di pagare in buona fede, a tal fine anche prevedendo la possibilità di sospendere gli obblighi fiscali derivanti dagli accertamenti esecutivi e dalle cartelle esattoriali notificate fino alla data di conclusione dei procedimenti penali e civili, evitando così che molte aziende di piccole dimensioni siano costrette a chiudere le proprie attività.
(5-03276)


   PISANO, BARBANTI, ALBERTI, PESCO, VILLAROSA, CANCELLERI e RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 33, comma 5, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha modificato il comma 5 dell'articolo 101 del TUIR, riguardante il trattamento fiscale applicabile alle ipotesi di deducibilità fiscale delle perdite su crediti; in particolare, il legislatore è intervenuto per quanto concerne la determinazione degli elementi certi e precisi, necessari ai fini della deducibilità della perdita su crediti, prevedendo ipotesi in presenza delle quali tali elementi possono considerarsi realizzati; in particolare, si tratta di perdite relative a seguenti crediti:
    1) di modesta entità e per i quali sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza del pagamento; si tratta dei crediti «di importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione (...) e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese»;
    2) il cui diritto alla riscossione è prescritto;
    3) per i quali il debitore ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti;
    4) che risultano cancellati dal bilancio di un soggetto IAS adopter in dipendenza di eventi estintivi;
   l'articolo 1, comma 160, lettera b), della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014), ha nuovamente modificato l'articolo 101, comma 5, ultimo paragrafo, del TUIR estendendo l'ambito di applicazione della norma anche alle imprese che adottano i principi contabili nazionali; la norma, così modificata, stabilisce, dunque, che i requisiti della certezza e della precisione, richiesti affinché una perdita su crediti possa considerarsi deducibile, si possono ritenere sussistenti anche «in caso di cancellazione dei crediti dal bilancio operata in applicazione dei principi contabili»;
   la riforma della disciplina della deducibilità delle perdite su crediti ha inciso anche sulla compilazione degli studi di settore: in particolare, nel rigo F22 del quadro F – Oneri diversi di gestione – è stato introdotto il nuovo campo 4, finalizzato ad evidenziare le perdite su crediti; sennonché, come evidenziato nella circolare del 15 luglio 2013 n. 23 dell'Agenzia delle entrate – Direzione centrale accertamento, «le predette componenti negative di reddito possono determinare valori ingiustificati nel calcolo dell'indicatore di normalità economica Incidenza dei costi residuali di gestione sui ricavi. Un valore elevato della componente perdite su crediti, infatti, pur dovendo essere indicato nel rigo Oneri diversi di gestione, che rappresenta una delle componenti di cui è formato il numeratore dell'indicatore di normalità in argomento, non può essere considerato in linea generale sintomatico di una situazione di non corretta indicazione dei dati previsti dai modelli degli studi di settore»; in pratica, l'indicazione nell'apposito rigo delle componenti negative di reddito determinerebbe un risultato di incoerenza nel calcolo dell'indicatore di normalità economica Incidenza dei costi residuali di gestione sui ricavi: può accadere, dunque, che in ipotesi di rilevazione in contabilità di perdite su crediti si verifichi una situazione di «non normalità» dell'indicatore legato all'incidenza dei costi residuali di gestione sui ricavi», con conseguenti possibili ricadute anche sul livello di congruità del contribuente;
   per ovviare a tale effetto distorsivo, la stessa Agenzia delle entrate, richiamando la precedente circolare n. 29/E del 18 giugno 2009, ha fornito chiarimenti precisando che «Con riferimento all'indicatore in esame, si rileva che, allo stato, all'interno della voce Oneri diversi di gestione utilizzata nel calcolo dello stesso, vanno computate anche perdite su crediti di natura commerciale o minusvalenze patrimoniali relative alla cessione di beni strumentali. Al riguardo, si fa presente che si tratta di elementi di costo non direttamente correlabili ai ricavi da congruità, presi in considerazione ai fini del calcolo citato indicatore. In presenza, quindi, di una eventuale segnalazione di non normalità del dato dichiarato il contribuente potrà, nel caso in specie, rimodulare il valore relativo al numeratore, depurandolo dei valori riferibili alle citate voci di natura finanziaria e straordinaria. Di ciò è opportuno che sia dato riscontro nell'apposito riquadro note aggiuntive di GERICO. In tal modo si sterilizzeranno gli effetti delle perdite su crediti di natura commerciale o minusvalenze patrimoniali relative alla cessione di beni strumentali sull'indicatore in argomento», inoltre l'Agenzia ha evidenziato che «La nuova informazione di dettaglio relativa alle perdite su crediti potrà essere utile ai fini della eventuale implementazione dell'indicatore di normalità economica Incidenza dei costi residuali di gestione sui ricavi, in modo che tenga già conto, in fase di costruzione e di applicazione, della componente Oneri diversi di gestione, al netto delle perdite su crediti»; secondo i chiarimenti forniti dall'Agenzia, quindi, il possibile risultato di incoerenza derivante dall'indicazione delle perditi su crediti potrebbe essere «sterilizzato» rimodulando il valore del relativo numeratore e dando evidenza di ciò nelle note aggiuntive di GERICO: in altre parole, viene data la possibilità al contribuente di intervenire direttamente nel motore di GERICO al fine rimuovere il risultato di incoerenza; in alternativa alla rimodulazione, il contribuente potrebbe limitarsi a segnalare l'incidenza straordinaria delle perdite sui crediti nel quadro annotazioni: in entrambe i casi, dunque, spetta al contribuente attivarsi per rimuovere il risultato negativo dello studio di settore;
   il risultato di incoerenza e incongruità dello studio di settore assume particolare rilevanza per il contribuente; l'incoerenza e l'incongruità dello studio di settore, rappresentano, infatti, due campanelli di allarme per l'Agenzia delle entrate, in relazione ai quali essa è legittimata a verificare la posizione fiscale del contribuente al fine di accertare e perseguire possibili evasioni;
   al riguardo è prassi dell'Amministrazione finanziaria inoltrare al contribuente preventive segnalazioni di incoerenza e incongruità, «invitandolo» a correggere il risultato di incoerenza in vista della successiva dichiarazione dei redditi ed avvertendolo che, in caso contrario, procederà con l'inserimento del nominativo nelle liste dei contribuenti da sottoporre a controlli; tale segnalazione, quindi, sembra quasi scoraggiare il contribuente nell'indicazione della perdita deducibile, seppur spettante per legge, spingendolo a rinunciare alla deduzione pur di evitare il rischio di essere sottoposto a controllo (soprattutto se la perdita su crediti è di modico valore) –:
   se sia a conoscenza dei descritti effetti distorsivi derivanti dall'indicazione, negli studi di settore, delle perdite su crediti nell'apposito rigo F22 e se ritenga opportuno assumere iniziative, anche sul piano normativo, al fine di rimuovere l'errore insito nella compilazione dello studio di settore anche attraverso la revisione del sistema GERICO, così esonerando i contribuenti dal provvedere autonomamente alla rimodulazione del detto sistema o dall'inoltrare all'Agenzia delle entrate preventive annotazioni in merito al risultato d'incoerenza. (5-03277)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo vari organi di stampa sarebbe pari a 620 miliardi di euro, al 31 dicembre 2013, l'ammontare di crediti fiscali che l'Erario, la gran parte tramite Equitalia, deve ancora riscuotere dai contribuenti, dei quali circa 350 miliardi originati da accertamenti, circa 170 dalla liquidazione delle dichiarazioni fiscali, 80 dovuti all'INPS e la restante parte, pari a circa 20 miliardi, è rappresentata da multe ovvero da crediti originati dai comuni e che rappresentano solo il 3-4 per cento del totale;
   si tratta di un tesoro inestimabile, che potrebbe rappresentare per lo Stato una vera e propria riserva aurea, e che, qualora fosse interamente recuperato, sarebbe capace di far ripartire la macchina della spesa in investimenti, con conseguente spinta verso la crescita;
   l'ente italiano preposto alla riscossione, Equitalia, è però in forte difficoltà; infatti, sull'intero importo, costituito da evasione già accertata o altri crediti su cui non pendono contenziosi tributari, esso registra una percentuale di successo di riscossione che sfiora ogni anno solo 7,5 miliardi di euro, anche e soprattutto a causa della sua incapacità a rintracciare gli evasori e costringerli a pagare;
   come rilevato in più occasioni dalla Corte dei conti, la diminuzione dei volumi riscossi negli ultimi anni è attribuibile anche alle difficoltà finanziarie connesse all'acuirsi della crisi economica ed al susseguirsi delle novità normative che hanno introdotto misure di più ampio respiro per i debitori, incidendo, però, profondamente sugli strumenti attribuiti ad Equitalia e sui relativi volumi di riscossione: secondo la stessa magistratura contabile la contrazione va messa anche in relazione al notevole incremento del fenomeno di rateazione delle cartelle di pagamento che posticipa nel tempo il relativo gettito; sotto quest'ultimo aspetto, dal 2008 ad oggi risultano essere state concessi 2 milioni e 300 mila rateazioni per un importo pari a circa 25 miliardi di euro;
   la stessa Corte dei conti ha inoltre segnalato come «la posizione creditoria dello Stato sia divenuta per molti versi deteriore rispetto alle possibilità di tutela che la legge riconosce al creditore privato munito di titolo esecutivo» e, di conseguenza, come i crediti dello Stato risultino meno tutelati rispetto a quelli di natura privatistica;
   secondo l'ex presidente di Equitalia, Attilio Befera, audito presso la Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria, l'attività di riscossione richiederebbe uno sforzo di tipo investigativo, così come avviene nella precedente fase dell'accertamento tributario nella quale cooperano la Guardia di finanza e l'Agenzia delle entrate; il dottor Befera, in quella stessa sede, ha dichiarato che una parte «rilevante» dei crediti vantati dall'Erario non è riscuotibile perché fa capo a società estinte, a persone decedute o a fallimenti, ed inoltre, che buona parte della responsabilità è attribuibile anche al tempo, circa due o tre anni, che intercorre tra l'accertamento e la riscossione, periodo in cui, ad esempio, gli istituti di credito soddisfano, ai danni dello Stato, i loro crediti –:
   alla luce di quanto premesso, con riferimento ai crediti esigibili da parte di Equitalia, quanti siano quelli riconducibili ad omesso versamento, quanti quelli da corretta dichiarazione ma di cui non è stato ancora perfezionato il pagamento, attraverso dati aggregati per tipologia d'imposta (IVA, Ires, IRPEF, contributi, e altro), per categoria di importo, per distribuzione geografica e per attività nonché, complessivamente, quali siano i gravami accessori che incombono sugli stessi. (5-03278)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, TRIPIEDI, BUSTO, ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI, BUSINAROLO, SPESSOTTO, DE LORENZIS e D'INCÀ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le grandi opere autostradali lombarde (Pedemontana, BreBeMi e TEEM) erano presenti nel dossier di candidatura di Milano ad EXPO 2015, ma ad oggi i dubbi sull'effettiva necessità di tali opere sembrano confermati anche dalla mancanza di interesse da parte degli investitori privati;
   come riportato dall'articolo di Luca Martinelli apparso il 3 luglio 2014 su Altreconomia.it, a dieci mesi da Expo, la crisi e i ritardi conclamati riguardano tutto il «sistema» d'interventi considerati connessi all'Esposizione universale, e non solo i lavori sulla «piastra espositiva» di Rho-Pero;
   il 1o luglio sono scaduti i termini per presentare le offerte per l'acquisto del 43 per cento di Autostrada Pedemontana Lombarda spa. Il venditore, la Serravalle spa, società mista a maggioranza pubblica – ha offerto sul mercato le azioni inoptate dell'ultimo aumento di capitale per 267 milioni senza successo. Al 3 luglio 2014 Serravalle non ha ancora approvato il bilancio 2013 (il termine è scaduto il 30 giugno 2014) e, a quanto risulta agli interroganti, la data dell'assemblea ad oggi non è ancora stata fissata;
   quest'ultima gara andata deserta per Pedemontana rappresenta un problema per la continuità dei lavori, una maxi-investimento da 5 miliardi di euro che avrebbe dovuto essere finanziato per circa 3 miliardi di euro dal «capitale privato»;
   il finanziamento pubblico garantito all'opera è stato già utilizzato totalmente per la realizzazione della prima tratta della Pedemontana (oltre un miliardo di euro);
   da mesi è in atto – promosso dal presidente di regione Lombardia Roberto Maroni – il tentativo di ottenere dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) nuove risorse pubbliche mediante la «defiscalizzazione» dell'opera, che garantirebbe al concessionario uno sconto di circa 800 milioni di euro sull'IVA, l'IRES e l'IRAP;
   a giudizio degli interroganti, sembrerebbe che sussista un problema di sostenibilità finanziaria dell'opera che, partita con l'illusione del finanziamento totalmente privato, a metà strada vorrebbe ricorrere a una nuova grande iniezione di risorse pubbliche per 800 milioni di euro;
   oltre a Pedemontana l'ipotesi defiscalizzazione dovrebbe «salvare» anche BreBeMi, la «direttissima Brescia-Milano». Anche in questo caso, un intervento che avrebbe dovuto essere finanziato dal capitale privato ha dovuto ricorrere a due istituzioni finanziarie pubbliche o para pubbliche, come la Banca europea d'investimenti e la Cassa depositi e prestiti, per ottenere le risorse necessarie a «portare avanti» i cantieri di un'autostrada che – arrivati vicini alla data d'inaugurazione – si rivela costosissima;
   l'autostrada A4, cui la nuova A35 – com’è denominata la BreBeMi – contende il traffico costa 7 centesimi per chilometro. Il rischio di insostenibilità è alto, a meno di non ricorrere a nuove risorse pubbliche. L'esenzione varrebbe come un contributo pubblico per oltre un miliardo e mezzo di euro a sostegno delle due opere, e di cui si avvantaggeranno solo proprietà e azionisti delle società private che beneficeranno delle entrate dai pedaggi, salatissimi per gli utenti, nel prossimo ventennio;
   ancora una volta verrebbe riproposto il fallimentare modello secondo cui di fatto si garantisce la redditività di privati e banche (tra gli azionisti di Pedemontana ci sono Intesa Sanpaolo e UBI) che hanno sottostimato le previsioni dei costi e sovrastimato i volumi del traffico per giustificare la realizzazione dell'opera, e si scaricano i costi sulla collettività. Ancora una volta sembra si vogliano privatizzare i profitti e socializzare le perdite, in continuità con la peggiore tradizione del capitalismo italiano –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto, non abbia intenzione di valutare il ridimensionamento del progetto originale della Pedemontana, per meglio impiegare le risorse pubbliche in opere più urgenti e redditizie quali il piano nazionale per il dissesto idrogeologico e il piano nazionale per la riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare;
   se il Governo, alla luce di quanto esposto, non intenda fornire ogni utile elemento sull'effettiva bontà del quadro economico del progetto e sulla determinazione dettagliata dell'analisi costi-benefici relativa alla realizzazione delle suddette opere. (5-03286)


   MANTERO, BARONI, GRILLO, DI VITA, LOREFICE, SILVIA GIORDANO, CECCONI e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il gioco d'azzardo online è un business che non conosce crisi neanche in Europa, infatti, negli ultimi sei anni i profitti sono raddoppiati, ed è per questo che la Commissione europea ha deciso di intervenire, con l'obiettivo principale di proteggere meglio i consumatori, soprattutto quelli in età adolescenziale, i più a rischio di caduta nel vortice poco regolato e controllato dei gioco su internet;
   da Bruxelles arriva in questi giorni lo strumento della raccomandazione, un provvedimento non vincolante, ma che si prefigge lo scopo di orientare le politiche nazionali, con la richiesta agli Stati membri di garantire che i minori non abbiano accesso al gioco d'azzardo online, e di prevedere norme specifiche «per ridurre al minimo i loro contatti con il gioco stesso», con particolare attenzione all’advertising, cioè alle pubblicità online;
   gli Stati membri dovranno imporre che le pubblicità dei giochi online vengano accompagnate da messaggi di avvertimento, simili a quelli che compaiono sui pacchetti di sigarette; inoltre, nei messaggi dovranno essere riportati le chance di vincita, informazioni sui rischi di sviluppare dipendenze e i numeri di sostegno ai giocatori problematici;
   da più parti è giunta la richiesta, inoltre, di evitare la sponsorizzazione per gli eventi rivolti ai giovani, vista la presenza massiccia di pubblicità dedicate alle scommesse, come all'interno dei programmi pre-partita del mondiale in Brasile trasmessi dalla Rai, in cui uno spot ogni tre era focalizzato su scommesse e gioco d'azzardo, tanto che anche il Codacons ha presentato un esposto al dipartimento politiche antidroga e alla commissione di vigilanza Rai chiedendo di attivarsi per verificare i fatti e le relative responsabilità, considerando che «la martellante pubblicità a scommesse e giochi durante i mondiali può rappresentare una forma di istigazione al gioco d'azzardo»;
   l'articolo 7, comma 4, della legge n. 189 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi) stabilisce il divieto dei «messaggi pubblicitari concernenti il gioco con vincite in denaro nel corso di trasmissioni televisive o radiofoniche e di rappresentazioni teatrali o cinematografiche rivolte ai minori e nei trenta minuti precedenti e successivi alla trasmissione delle stesse»;
   altro dato negativo, i «baby parking», ovvero sale bingo con servizio baby sitting, dove i genitori possano lasciare i figli in «parcheggio» mentre giocano;
   le sale per bambini con annessa assistente sono un «servizio» che molte sale bingo hanno offerto fino all'entrata in vigore della normativa che vietava l'accesso dei minori ai locali da gioco; peccato, però, che in alcuni paesi ancora siano funzionanti, come il caso di Cesano Maderno, dove i locali sono separati ma comunque in un'unica stessa struttura, frequentata da gente che arriva da tutta la regione e qualche caso anche dalla Svizzera;
   situazione identica anche a Lovere, dove si assiste alla stessa promiscuità, «Marina del porto», ristorante e discobar con annessa sala gioco; famiglie, giocatori e bambini condividono gli stessi spazi; in molti locali si trovano anche le «ticket redemption», le slot machine per bambini che si differenziano dalle classiche, solo, perché sono accessibili ai più giovani, in quanto non vi è un premio in denaro ma un ticket da un punto ciascuno. Tanti ticket uguale tanti punti. Tali macchinette si ritrovano sempre più anche nei centri commerciali creando il reale rischio di trovare bambini «educati» sin da piccoli con messaggi tipo «gioca e vinci» o «sfida la fortuna» –:
   se non si ritenga necessario, per quanto di competenza, promuovere delle verifiche per comprendere se i locali, in premessa menzionati, rispettino la legge;
   se non sia opportuno intervenire con un'iniziativa normativa che vieti tali situazioni previa definizione di sanzioni amministrative e penali a carico sia dei gestori sia dei genitori che accompagnano i figli;
   se non si intendano assumere iniziative per vietare l'installazione delle nuove slot per minori, soprattutto all'interno dei centri commerciali. (5-03288)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di aprile 2014 l'Agenzia delle entrate – vigilata dal Ministero dell'economia e delle finanze, competente a svolgere le funzioni di gestione, accertamento e contenzioso dei tributi – ha avviato l'attività di emissione degli atti di accertamento per omesso o tardivo pagamento delle tasse automobilistiche per il 2011, inviando a circa 35 mila contribuenti di Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Sicilia le relative richieste di pagamento;
   gran parte delle summenzionate richieste sono frutto di un errore informatico della Sogei – la società di Information Technology del Ministero dell'economia e delle finanze – e, come confermato dalla stessa Agenzia delle entrate, i contribuenti che avessero pagato due volte il bollo 2011 dovranno essere rimborsati;
   come riportato dal quotidiano Il Piccolo di Trieste del 19 luglio 2014, l'Agenzia ha inviato una lettera ai malcapitati contribuenti interessati dall'accertamento, con la rassicurazione che in caso di pagamento il rimborso avverrà in tempi brevi e per questo motivo è necessario fornire gli iban del conto corrente con le modalità descritte nelle istruzioni che avrebbero dovuto essere presenti nella stessa missiva;
   questa comunicazione, invece, è priva delle necessarie indicazioni per ottenere il ristoro della somma indebitamente pagata e per risolvere questo disservizio sembra inevitabile contattare gli uffici dell'Agenzia delle entrate;
   secondo quanto riportato dall'articolo summenzionato, l'Agenzia delle entrate ha fatto sapere che, non avendo ricevuto segnalazioni sulla mancata indicazione delle istruzioni di rimborso, dovrebbe trattarsi comunque di un numero ridotto di casi;
   è inaccettabile che i contribuenti in regola con il pagamento del bollo auto ricevano una comunicazione errata che li induca a pagare nuovamente e che l'Agenzia delle entrate, a seguito di un ulteriore errore, non abbia indicato le modalità di rimborso nella successiva missiva –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto accaduto;
   quali siano state le cause dell'errore informatico di Sogei e quali misure saranno prese per evitare errori del genere. (4-05615)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la problematica del «credit crunch», com’è ben noto, rappresenta la così detta chiusura, anche parziale, del «rubinetto» del credito e si realizza quando le banche, per vari motivi, erogano meno finanziamenti alle imprese ovvero quando prestano somme di denaro applicando tassi d'interesse sempre più elevati;
   anche la Corte dei conti nel documento «Le prospettive della finanza pubblica dopo la Legge di stabilità», si è espressa su questa grave problematica. Secondo i magistrati contabili, il credit crunch proseguirà anche nel corso di tutto il 2014, mettendo a rischio una ripresa che in Italia è purtroppo è molto più difficoltosa – e lontana – rispetto agli altri paesi. Per la Corte dei conti, infatti, tra le maggiori incognite che offuscano il quadro economico nazionale «non sembra esservi tanto il rischio di un aumento dei tassi, quanto la mancata trasmissione al settore reale delle condizioni di abbondante liquidità che si riscontrano sul mercato finanziario»;
   oggi l'atteggiamento sempre più ostruzionistico degli istituti di credito rappresenta uno dei problemi più gravi che caratterizzano il sistema economico nazionale, tanto più se rapportato ai disagi già enormi e ben noti che purtroppo affliggono il Mezzogiorno e la Sicilia in particolare;
   l'interrogante evidenzia come la Sicilia, infatti, secondo recentissimi dati presenti il grado di disagio imprenditoriale più alto, collocandosi nettamente al di sopra della media italiana (52,9), con un punteggio pari a 64,2;
   secondo le odierne analisi di mercato, inoltre, a far da zavorra alla Sicilia concorre il sensibile calo delle imprese attive (-6,48 per cento dall'inizio della crisi), abbinato a una profonda recessione: dal 2008 al 2013 sono andati persi 11,6 punti;
   è divenuto oggi improrogabile un impegno concreto emergere tutte quelle situazioni che, per un eccesso di discrezionalità a favore degli istituti di credito, rischiano di portare al fallimento le imprese. L'80 per cento delle imprese siciliane ha sottolineato, tramite le associazioni di categoria che la situazione che la situazione è ormai divenuta insostenibile;
   ad oggi, purtroppo, aziende sane, che hanno commesse e che in linea teorica potrebbero svolgere la propria attività, versano viceversa gravi in gravi difficoltà, soprattutto a causa dell'atteggiamento delle banche;
   i dati sulle chiusure e i fallimenti delle imprese in Sicilia ha raggiunto livelli drammatici: ogni giorno 15 imprese chiudono;
   a ciò, peraltro, l'interrogante aggiunge la purtroppo nota problematica del ritardo dei pagamenti della pubblica amministrazione; la gran parte delle aziende siciliane, infatti, ha rapporti lavorativi con la pubblica amministrazione e oggi si trova schiacciata tra due fuochi: da un lato gli enti pubblici che non pagano e dall'altro le banche che tagliano il credito;
   ad avviso dell'interrogante, pertanto, diventa assolutamente necessario e improrogabile un impegno concreto da parte del Ministro interrogato, anche alla luce delle nuove posizioni di apertura in tal senso da parte della Banca centrale europea affinché si faccia parte attiva per un rapporto di leale collaborazione tra imprese e sistema bancario, con particolare riguardo al Mezzogiorno e nello specifico alla Sicilia –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, nei riguardi del sistema bancario italiano affinché quest'ultimo riveda i propri parametri di affidamento del credito e diventi uno strumento concreto utile al rilancio dell'economia nazionale e non un ulteriore limite;
   se non ritenga opportuno infine, nell'ambito delle proprie competenze, avviare iniziative di dialogo sul tema con istituti di credito e mondo bancario, al fine di invertire l'odierno atteggiamento diffidente se non ostruzionistico di quest'ultimo nei confronti dell'affidamento di credito alle piccole e medie imprese, con le conseguenze finora ottenute di ulteriore aggravio dell'economia nazionale e locale, in riferimento soprattutto al Mezzogiorno e alla Sicilia, situazione che purtroppo ad oggi rappresenta il vero dramma del nostro Paese. (4-05626)


   GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, PARENTELA, PESCO, VILLAROSA, RUOCCO, BARBANTI, CANCELLERI, CHIMIENTI e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia fra le bevande alcoliche da pasto la birra è l'unica a pagare l'accisa, un'imposta sulla produzione e la vendita delle bevande alcoliche, per di più in misura elevata, mentre il vino ad esempio, beneficia di un'accisa pari a zero;
   i Paesi europei applicano le accise sulle bevande alcoliche in modo molto differente: relativamente alla birra, in tutta Europa viene applicata un'accisa su questa bevanda, ma i valori variano in maniera sostanziale: l'Italia, con i suoi 32,40 euro per ettolitro, si colloca nella fascia alta della graduatoria con il risultato che le accise italiane sulla birra sono più del triplo di quelle di Germania e Spagna;
   fra il 1o gennaio 2003 e il 1o gennaio 2014 le accise sulla birra in Italia sono aumentate del 93 per cento, un incremento fra i più alti d'Europa. Se alle accise si aggiunge l'IVA, nel frattempo salita dal 20 per cento al 22 per cento, su una bottiglia di birra almeno un sorso abbondante su tre vanno al fisco;
   in Italia attualmente gravano accise sulla birra per un ammontare pari a 2,70 euro/ettolitro e per grado-Plato rispetto ai 2,35 euro vigenti sino alla scorsa estate, ed aumenteranno ancora, secondo i programmi, sino a 3,04 euro a gennaio 2015;
   i consumi di alcool in Italia, peraltro, sono tra i più bassi nel mondo, perciò la pressione fiscale sulla birra, tra le più alte in Europa, non è giustificata neanche come disincentivo al consumo di alcool;
   AssoBirra (l'associazione che riunisce aziende rappresentative del 98 per cento della produzione nazionale) ha chiesto con forza al Governo di bloccare gli aumenti previsti per gennaio 2015. A supporto della richiesta l'associazione ha presentato uno studio commissionato al Centro studi Ref Ricerche che ha elencato sette motivi per desistere;
   in base allo studio di Ref ricerche di giugno 2014, il gettito previsto dal Governo qualora l'ultimo aumento delle accise deciso dal Governo andasse a regime, sarebbe di circa 170 milioni di euro all'anno. Tuttavia, riporta il dossier, quando aumentano le accise aumenta anche il prezzo della birra e ciò produce una contrazione dei consumi, specialmente quando, come oggi, il potere d'acquisto delle famiglie è messo a dura prova dalla crisi economica. Con la riduzione dei consumi diminuisce anche l'introito proveniente dall'IVA e così il gettito fiscale derivante dalla birra rischia di non aumentare;
   in aggiunta, con l'aumento del prezzo della birra si riduce il suo consumo nei locali, determinando una ulteriore diminuzione delle entrate derivanti dall'IVA e di tutte le tasse pagate da bar, pizzerie e ristoranti. Tutto questo è già successo in molti Paesi europei, ad esempio in Gran Bretagna, dove è stato a lungo in vigore un meccanismo di aumento automatico delle accise sulla birra, fino a che non si è constatato che a fronte dei progressivi aumenti delle accise negli anni il gettito fiscale complessivo era diminuito. Ciò ha portato, nel marzo 2013, il Governo inglese ad abolire il meccanismo;
   la ragioneria generale dello Stato il 26 luglio 2013, in un parere richiesto dalla Commissione bilancio della Camera dei deputati, ha affermato inoltre che l'aumento delle accise è inefficace come copertura finanziaria e ha effetti regressivi, invitando ad agire sul versante della spesa pubblica e non delle entrate;
   gli aumenti delle accise, oltre a gravare sui 35 milioni di consumatori italiani, sui 500 produttori di birra italiani, tra grandi marchi e microbirrifici artigianali, con imprenditori nella maggior parte dei casi under 35, sulle 4.700 persone che lavorano nel settore birrario, le 131.400 impiegate nell'indotto, sui gestori dei pubblici esercizi, oltre 200.000 imprese tra bar, ristoranti, alberghi, si ripercuoterebbe anche sugli agricoltori produttori di orzo, prevalentemente locali, dai quali le aziende birrarie acquistano le materie prime;
   paradossalmente gli aumenti delle accise rischiano di danneggiare lo stesso Stato italiano anche in altra misura, se si considera che peggiorerà anche la bilancia commerciale con l'estero, dato che l'aumento delle accise renderebbe ancor meno competitiva la birra italiana rispetto a quella proveniente dai Paesi stranieri in cui l'accisa sulla birra è più bassa –:
   se il Ministro interrogato, per i motivi esposti in premessa e sulla scorta della richiesta di Assobirra supportata da dossier di Ref ricerche, non ritenga opportuno assumere iniziative per evitare l'ulteriore aumento di accisa sulla birra previsto per gennaio 2015, pari a +12,6 per cento, al fine di preservare un settore in crescita e fermento, che appena due anni fa aveva fatto segnare un +4,4 per cento di occupazione, seguendo peraltro quanto indicato dal citato parere della ragioneria dello Stato del 26 luglio 2013, che invitava ad agire sul versante della spesa pubblica e non delle entrate. (4-05629)


   GRILLO, MANTERO, DI VITA, LOREFICE, CECCONI, SILVIA GIORDANO e DALL'OSSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 luglio 2014, sul sito dell'Agenzia del demanio, è stato pubblicato il secondo bando unico del 2014 per la vendita di 15 beni di proprietà dello Stato, situati su tutto il territorio nazionale;
   risulta altresì che il portafoglio – che ha un valore complessivo di base d'asta di circa 11 milioni di euro – sia destinato prevalentemente al mercato retail e sia diversificato per collocazione geografica, tipologia e possibili destinazioni d'uso, che spaziano dal turistico-ricettivo fino al residenziale-commerciale;
   inoltre, il bando riporta gli immobili che sarebbero oggetto della vendita: edifici, ex aree militari, appartamenti, uffici e terreni, con un valore di base d'asta compreso tra i 400 mila e il milione e mezzo di euro;
   da quanto si apprende le regioni coinvolte sono: Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Toscana, Veneto, Umbria;
   dunque, se da una parte lo Stato affitta e cerca locali in affitto, dall'altra sembra che si proceda alla vendita degli immobili di proprietà statale –:
   come il Governo stia monitorando la vendita degli immobili e come sia stato deciso quali siano i beni da vendere o meno;
   quale sia l'importo che si prospetta di incassare, e sulla base di quali calcoli sia stata ottenuta la valutazione economica;
   se la vendita sia concordata con le regioni interessate, tenendo conto degli affitti delle amministrazione e degli enti;
   se il Ministro intenda informare di un eventuale piano economico-organizzativo, per il quale da una parte si decide di affittare e dall'altra di vendere. (4-05630)


   MISIANI, GIUSEPPE GUERINI e CARNEVALI. —Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2003 il comune di Cologno al Serio (Bergamo) ha avviato le procedure per la costruzione e la gestione di una piscina e dei relativi impianti sportivi attraverso lo strumento del project financing;
   risulta agli interroganti che l'Istituto per il credito sportivo ha concesso un credito per la realizzazione dell'opera. Rispetto al mutuo il comune citato si presenta come fideiussore rispetto al debitore principale, un raggruppamento temporaneo di imprese la cui capogruppo era la Sangalli srl;
   il procedimento di realizzazione di tale struttura, iniziato nel 2003, non si è ancora concluso ma nel frattempo i costi dell'opera sono lievitati; il project financing scelto dal comune per la realizzazione della struttura si è rivelato assolutamente svantaggioso per l'amministrazione locale che si è accollata costi sempre maggiori ad esempio assumendosi il compito di realizzare le opere di urbanizzazione, prolungando i termini di concessione in gestione al privato dell'opera e concedendo ulteriori aree da destinare ad iniziative imprenditoriali private;
   nel 2013 il comune avviava la procedura di risoluzione del contratto, e nel corso dell'anno 2014 procedeva ad un collaudo tecnico-amministrativo delle opere realizzate, rilevando una serie di vizi ed alcune esigenze di riparazione foriere di ulteriori costi; nel giugno dello stesso anno le attrezzature sportive presenti nella struttura formavano oggetto di pignoramento; è attualmente in corso una procedura di subentro amministrativo nella concessione a condizioni ancora più onerose per l'ente locale;
   a seguito della citata vicenda amministrativa, assai articolata e complessa, è emerso che il costo complessivo dell'opera, pari a 11.409.801,94 euro, eccede di ben il 68 per cento quanto previsto dai costi standard dei tabellari del Coni;
   gli interroganti ritengono che lo strumento del project financing andrebbe riformato onde evitare che situazioni come quella descritta possano ripetersi. Inoltre occorrerebbe rivedere i criteri in base ai quali l'Istituto per il credito sportivo concede prestiti, commisurandoli in ogni caso al valore tabellare standard per gli impianti da realizzare –:
   se, anche alla luce di quanto indicato in premessa, non reputi necessario assumere iniziative normative per riformare le disposizioni in materia di project financing in senso più garantista per la parte pubblica;
   se il Governo non intenda assumere iniziative al fine di limitare entro i limiti parametrici dei costi standard dei tabellari del Coni i prestiti concessi dall'Istituto del credito sportivo. (4-05631)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta immediata:


   PAGANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il carcere non può essere considerato un luogo di cura per tossicodipendenti e alcoldipendenti e nessuna persona può o deve essere incarcerata per il solo fatto di usare sostanze stupefacenti (così come peraltro previsto dalla legge italiana, oltre che come scritto e dichiarato in vari documenti ufficiali sia nazionali che a diffusione internazionale del dipartimento politiche antidroga);
   la tossicodipendenza (stato patologico che può incrementare il rischio di commettere reati) è una malattia prevenibile, curabile e guaribile;
   c’è necessità di trovare soluzioni rapide ed efficaci per poter aumentare la fruizione, da parte dei soggetti tossicodipendenti, dei percorsi alternativi al carcere messi a disposizione dalla legge di settore e ancora troppo poco utilizzati dalle regioni e dalle province autonome tramite i serd (servizi per le dipendenze);
   appare, dunque, necessario pervenire a soluzioni rapide ed efficaci per poter definire, come già detto, percorsi alternativi al carcere per i soggetti tossicodipendenti. Ci si riferisce, ad esempio, all'applicazione degli arresti domiciliari già nel corso del processo per direttissima o alla medesima concessione ai soggetti tossicodipendenti già sottoposti a misura cautelare in carcere o, infine, all'opportunità che, anche dopo la condanna definitiva, il magistrato di sorveglianza faccia ricorso all'affidamento provvisorio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire quanto prima, attraverso gli strumenti a sua disposizione, al fine di favorire e privilegiare l'utilizzo delle misure alternative al carcere per i soggetti tossicodipendenti. (3-00966)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 giugno 2013 è stato sottoscritto l'Accordo di collaborazione tra la Repubblica di San Marino e la regione Emilia-Romagna;
   tale Accordo costituisce l'atto finale di un impegnativo e proficuo percorso di confronto sviluppatosi in oltre tre anni fra la Repubblica di San Marino e la regione Emilia Romagna e scaturito in un testo convenzionale che, nello spirito di amicizia caratterizzante le relazioni tra le parti, interessa diversi ambiti di cooperazione;
   in particolare l'articolo 12 contiene le premesse per impostare importanti e strategiche iniziative a livello di potenziamento delle infrastrutture viarie attraverso l'implementazione dell'efficacia dei collegamenti da e per la Repubblica con interventi di riqualificazione della strada statale 72 che collega Rimini con il Titano e la creazione di nuovi collegamenti fra San Marino e la rete autostradale, nonché l'individuazione di soluzioni volte ad agevolare la mobilità dei flussi turistici attuando un percorso condiviso volto a concretizzare un collegamento di trasporto pubblico, di elevate e idonee prestazioni, tra il comune di Rimini e la Repubblica di San Marino;
   è stato attivato a proposito un gruppo di lavoro coordinato dalla Repubblica di San Marino e composto anche dalla regione Emilia Romagna, dalla provincia di Rimini, dai comuni di Rimini e Coriano;
   il comune e la provincia di Rimini si sono interfacciati con la segreteria di Stato per il territorio di San Marino valutando alcune possibili proposte e soluzioni atte a realizzare interventi di riqualificazione e messa in sicurezza della strada statale 72 (Consolare Rimini-San Marino) presentate dal comune di Rimini, relative allo studio di fattibilità, redatto dal gruppo tecnico di lavoro, per lo studio di interventi volti al miglioramento della mobilità tra il comune di Rimini e la Repubblica di San Marino, individuando come soluzione condivisa quella che prevede lungo l'asse stradale strada statale 72 la realizzazione di una serie di rotatorie e la razionalizzazione della viabilità e del sistema parcheggi nella zona commerciale localizzata nell'immediata vicinanza della Repubblica;
   è aperto un confronto anche con Anas, che ha assicurato la propria disponibilità a collaborare attivamente per realizzare il progetto di messa in sicurezza e siglare la convenzione fra gli enti per il progetto preliminare;
   le risorse necessarie per la realizzazione dell'opera sono stimate in 25 milioni di euro e dato il carattere internazionale degli interventi necessari e convenuti fra le amministrazioni vi è la possibilità di accedere a fondi e finanziamenti dell'Unione europea –:
   quali iniziative il Ministero intenda avviare affinché vengano reperite le risorse necessarie agli interventi di riqualificazione e messa in sicurezza della strada statale 72 (Consolare Rimini-San Marino) previste dallo studio di fattibilità sopra citato. (5-03279)


   CARRESCIA. —Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 8, commi 1 e 1-bis, della legge n. 84 del 1994 stabilisce che il presidente dell'Autorità portuale è nominato dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti previa intesa con la regione interessata, nell'ambito di una terna di esperti designati rispettivamente da provincia, comuni e camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura territorialmente competenti. La terna è comunicata al Ministro tre mesi prima della scadenza del mandato ed egli, con atto motivato, può richiedere, entro trenta giorni dalla richiesta, una seconda terna di candidati nell'ambito della quale effettuare la nomina;
   la scelta deve cadere su nominativi all'interno di una terna di esperti di comprovata competenza nel settore dell'economia dei trasporti e di quella portuale;
   nel novembre 2012 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, considerato che il 23 marzo 2013 sarebbe scaduto il mandato del presidente dell'autorità portuale di Ancona, ha chiesto agli enti interessati di voler comunicare le proprie designazioni;
   gli enti suindicati hanno provveduto a comunicare le designazioni e il Ministro non ha richiesto, entro i trenta giorni previsti dalla legge, una seconda terna di nomi;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti pro tempore, con proprio decreto in data 7 maggio 2013 ha poi nominato l'avvocato Luciano Canepa commissario straordinario dell'autorità portuale di Ancona fino alla nomina del presidente e comunque per un periodo non superiore a sei mesi decorrenti dall'8 maggio 2013 e, successivamente, dal 9 novembre 2013, il dottor Rodolfo Giampieri;
   a causa delle note vicende legate alla nomina di presidente di altre autorità portuali, in attesa di un chiarimento giurisprudenziale, il Ministro non ha provveduto alla nomina;
   il tribunale amministrativo regionale della Campania (sezione prima), il 16 luglio 2014, ha pronunciato un'ordinanza sul ricorso n. 1571 del 2014, integrato da motivi aggiunti, relativo alla nomina del presidente dell'autorità portuale di Napoli respingendo la richiesta di sospensiva e motivandola sul fatto che «ad una sommaria cognizione, il provvedimento impugnato appare scorrettamente motivato, non essendo richiesto dalla legge il possesso di uno specifico diploma di laurea per l'assunzione della carica controversa, dovendosi piuttosto valutare il curriculum e la professionalità del candidato nel suo insieme, tenendo anche conto, nella fattispecie concreta, dello stato di avanzamento del procedimento di nomina che, se non impone necessariamente una conclusione favorevole all'interessato, certamente richiede che l'eventuale decisione negativa sia sorretta da congrue giustificazioni»;
   in sostanza il giudice ha chiarito che non è richiesto dalla legge il possesso di uno specifico diploma di laurea per l'assunzione della carica controversa, dovendosi piuttosto valutare il curriculum e la professionalità del candidato nel suo insieme;
   sia la Commissione trasporti della Camera dei deputati sia quella del Senato hanno da tempo espresso parere favorevole alla nomina del dottor Rodolfo Giampieri quale presidente dell'autorità portuale di Ancona per cui, anche alla luce della citata ordinanza, non sussistono motivazioni di carattere giuridico ostative al completamento dell'iter –:
   se ed entro quando il Ministro interrogato intenda provvedere alla nomina del dottor Rodolfo Giampieri quale presidente dell'autorità portuale di Ancona. (5-03292)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 1° luglio 2014 si apprende che la strada provinciale n. 63, nei pressi del bivio della stazione ferroviaria di Cutro in provincia di Crotone, presenta una pericolosa frana;
   la strada interessata dalla problematica, risulta aver ceduto in uno dei tornanti che collegano Cutro alla statale 106 e ai paesi della presila crotonese;
   questa grave situazione mette a repentaglio l'incolumità degli automobilisti, i quali per evitare l'avvallamento sono costretti a invadere l'altra corsia con il pericolo di gravi incidenti;
   la strada, inoltre, risulta essere quotidianamente transitata da grossi automezzi diretti nella zona industriale di Cutro e nei paesi circostanti;
   a stagione estiva ormai iniziata, il flusso automobilistico sulla strada provinciale n.63 è sensibilmente aumentato, creando, sempre da notizie stampa, una vera e propria emergenza a causa della grande quantità di autoveicoli che transitano sulla provinciale;
   in particolare, anche il collegamento con la vicina Crotone risulta difficoltoso, le numerose buche presenti lungo tutto il tratto stradale sono causa di gravi disagi e pericoli per la popolazione che quotidianamente transita su questa arteria. Senza questa strada i territori interessati dalla problematica sono costretti a vivere un forte isolamento che condiziona la vita degli abitanti che si sentono sempre più abbandonati;
   i fatti esposti in premessa sono, ad avviso dell'interrogante, preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare il diritto alla mobilità della popolazione di quel territorio e la sicurezza degli utenti –:
   se il Governo sia a conoscenza delle notizie riportate in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda promuovere per garantire l'incolumità degli utenti della strada provinciale n. 63, le cui condizioni tra l'altro di fatto limitano il diritto alla mobilità dei cittadini di quel territorio;
   se il Governo non ritenga necessario, per quanto di competenza, porre in essere un sistema di investimenti utili a riqualificare, riorganizzare e potenziare il sistema viario calabrese, in particolare quello della provincia di Crotone.
(4-05616)


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'incidente ferroviario avvenuto il 17 luglio 2014 in prossimità della contrada Butera-Caltanissetta, sul tratto Gela – Licata, che ha provocato il decesso di tre operai di Agrigento in servizio per Rete ferroviaria italiana, ripropone in maniera evidente, la questione della sicurezza nei trasporti ferroviari nel nostro Paese e dei livelli di tutela e salvaguardia dei lavoratori, che svolgono un'attività particolarmente difficile, quale la manutenzione degli impianti ferroviari;
   i suddetti operai, mentre svolgevano lo scartamento delle rotaie in un tratto ferroviario di scarsa circolazione, secondo quanto risulta dal quotidianodiGela.it, sono stati travolti e uccisi, mentre sopraggiungeva un treno regionale, composto da un unico vagone;
   il medesimo quotidiano informatico riporta, inoltre, che al momento del transito del treno sembra non fosse neanche presente, la necessaria quanto obbligatoria, segnaletica d'indicazione della presenza del personale ferroviario, la cui società ha peraltro avviato un'inchiesta per comprendere la dinamica dell'accaduto;
   l'interrogante evidenzia come nonostante i numerosi atti di sindacato ispettivo presentati sia nella scorsa che nella presente legislatura, volti a sollecitare il Ministero a potenziare in maniera adeguata i livelli di dotazione finanziaria, l'attività di manutenzione lungo gli oltre 16 mila chilometri di linea ferroviaria nazionale ed, in particolare quella del Mezzogiorno e della Sicilia, persiste in condizioni estremamente gravi e precarie;
   a giudizio dell'interrogante inoltre, le risorse stanziate dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, a favore dei servizi di manutenzione degli impianti ferroviari, sull'intera area di circolazione nazionale, non sembrano aver sortito effetti migliorativi se a tali misure non vengono affiancati interventi preventivi anche nei tratti di scarso traffico, che tuttavia determinano disastri e vittime come esposto in precedenza;
   le politiche di dismissione messe in atto da anni dal gruppo Ferrovie dello Stato, in particolare nei riguardi della Sicilia, e di riduzione del servizio di trasporto viaggiatori, soprattutto a lunga percorrenza, nonché del trasporto merci, unitamente alla scarsità di ammodernamento dei servizi resi anche nei riguardi della manutenzione, confermano a parere dell'interrogante, una scarsa attenzione del Governo, nei confronti del Mezzogiorno ed in particolare nella Sicilia, la cui riduzione d'interesse sta determinando gravi danni in termini di competitività e sviluppo soprattutto nell'economia turistica –:
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, nei riguardi di Trenitalia, al fine di incrementare i livelli di sicurezza nell'attività di manutenzione, in particolare nella regione Sicilia, interessata da un evidente grado di inadeguatezza dei sistemi di controllo e di prevenzione, anche nei confronti del personale ferroviario;
   se sia stata avviata una verifica ministeriale sull'accaduto ed, in caso contrario, stante la gravità di quanto esposto in premessa, non ritenga opportuno intraprendere, per quanto di competenza, un'attività ispettiva volta ad accertare la dinamica dell'incidente ferroviario suindicato;
   se non ritenga opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, avviare iniziative nei riguardi di Ferrovie dello Stato italiane spa, finalizzate a incrementare i livelli della pianta organica, ed invertire pertanto le politiche di ridimensionamento in corso da alcuni anni avviate dall'azienda nei riguardi del personale, le cui conseguenze comporteranno inevitabili ripercussioni sul piano della sicurezza e della continuità del servizio reso agli utenti in particolare della Sicilia. (4-05617)


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprendono da numerosi articoli della stampa locale gli innumerevoli disservizi e disagi che sono costretti a subire i cittadini, i pendolari, gli studenti che si apprestano a viaggiare sui treni intercity e regionali in Basilicata;
   la dotazione di materiale rotabile delle imprese ferroviarie regionali palesa un'elevata anzianità media, che è superiore ai 20 anni per i mezzi di trazione e supera i 30 anni nel materiale rimorchiato, con punte massime di anzianità superiori ai 60 anni per quanto riguarda le locomotive diesel e gli 80 anni nel caso di locomotive elettriche e carri merci, con ampie ripercussioni sui costi di manutenzione del materiale, sull'inadeguato comfort di viaggio e sulla sicurezza degli utenti;
   si registra l'assoluto deficit dei servizi che Trenitalia offre in Basilicata di fronte al pagamento di 30 milioni di euro per il contratto di servizio;
   nei giorni scorsi l'assessore regionale all'ambiente, trasporti e infrastrutture della Basilicata ha voluto verificare di persona le condizioni del trasporto ferroviario; salendo sul treno della tratta Potenza-Salerno, ha constatato delle tre carrozze esservene solo una di nuova generazione, mentre le altre sono risultate vetuste, prive di aria condizionata e con porte rovinate;
   i disservizi che si verificano sono solo la conferma del quadro di sistematiche inefficienze di Trenitalia in Basilicata e dello svantaggio infrastrutturale in cui si realizzano i servizi ferroviari nel territorio lucano; alla Basilicata deve essere garantito un trasporto ferroviario di qualità, efficiente che colleghi la regione verso le città che sono servite dall'alta velocità, Salerno, Napoli, Bari, Taranto, per accorciare i tempi di percorrenza –:
   quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, sulla vicenda descritta in premessa al fine di garantire in Basilicata adeguati ed efficienti servizi ferroviari;
   se non ritenga opportuno assumere idonee iniziative volte a rivedere e aggiornare il contratto nazionale di servizio con Trenitalia per vincolare la società al rispetto di tali standard qualitativi, condizionando l'assegnazione di ulteriori risorse a Trenitalia all'effettivo ottenimento di miglioramenti nel trasporto ferroviario pubblico. (4-05618)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   CAUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Jesolo una delle più importanti località balneari della provincia di Venezia, seconda spiaggia in Italia per presenze turistiche dopo Rimini, la stagione estiva è entrata nel clou a partire dai primi giorni di luglio 2014;
   già nei primi mesi di «bassa stagione» si sono riscontrate grosse difficoltà di sicurezza ed ordine pubblico, si sono già verificati episodi che hanno visto un vero e proprio assalto notturno al commissariato di polizia e si stanno manifestando gravi episodi di delinquenza, che spaziano dai furti allo spaccio, e altro;
   questi episodi sono aggravati dalla mancanza di risorse umane a supporto del commissariato che costringe il dirigente a sottoporre i propri uomini e donne ad orari massacranti, riposi mancati, con l'inevitabile conseguenza di «saltare» anche qualche turno di servizio notturno;
   ogni anno a Jesolo si assegnano gli agenti «aggregati» che arrivano in forze dal Ministero dell'interno per garantire sicurezza in città (ed in tutto il litorale da Cavallino-Treporti fino a Bibione), ma sono sempre meno gli agenti aggregati destinati al litorale jesolano;
   dal piano degli aggregati per l'estate 2014, come da circolare del Ministero dell'interno, in provincia di Venezia dovrebbero arrivare 22 agenti, numero nettamente inferiore rispetto a province più piccole con flussi turistici inferiori;
   va tenuto conto del territorio molto ampio e dispersivo della provincia di Venezia e del numero di presenze turistiche della provincia di Venezia, 24 milioni per il turismo balneare –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere al fine di aumentare il numero di agenti da destinare al litorale veneziano e, in particolar modo, a Jesolo, che conta oltre 5 milioni di presenze turistiche nel 2013, in quanto città di riferimento turistico-organizzativo per tutta la costa della provincia di Venezia ed unica città costiera della Venezia orientale ad avere il presidio del commissariato di pubblica sicurezza. (3-00967)


   ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   due cittadine italiane, regolarmente sposate a Valencia e ivi residenti, hanno richiesto la trascrizione in Italia dell'atto di nascita del figlio (per lo ius sanguinis cittadino italiano), concepito in Spagna con fecondazione assistita e nato a Valencia nel marzo del 2013;
   la direzione anagrafe del comune di Roma – competente per la trascrizione in Italia dell'atto – ha deciso autonomamente di iscrivere quale genitore del piccolo solo una delle due madri;
   si pensi che, una volta rientrato in Italia con il figlio, in caso di controllo da parte di qualunque autorità, il secondo genitore, non iscritto nell'atto di nascita italiano, non può dimostrare di essere tale e per lo stesso motivo non può esercitare la potestà genitoriale in ambiti fondamentali della quotidianità per il benessere e l'adeguato sviluppo del minore, come a scuola o in ospedale;
   in caso di separazione o divorzio tra le due madri, inoltre, non potrebbe essere garantito il diritto del minore agli alimenti nei confronti dell'altro genitore, così come il diritto a «intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori» –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare l'interesse primario del minore in questione, nonché il diritto fondamentale alla potestà genitoriale di entrambe le madri, garantendo, altresì, il rispetto dell'ordinamento comunitario in materia di libera circolazione e permanenza della situazione di stato civile acquisita in altro Stato membro. (3-00968)


   SCOTTO, FERRARA, COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Castel Volturno è uno dei più grandi comuni della provincia di Caserta e, di conseguenza, dell'intera Campania;
   l'estensione complessiva del territorio comunale è di ben 72 chilometri quadrati, con una costa lunga 27,5 chilometri;
   la popolazione che risiede su quel territorio è complessivamente ammontante a 26.240 persone;
   di questi 4.028 sono cittadini stranieri iscritti all'anagrafe, mentre sono oltre 10.000 i cittadini stranieri non censiti, ma stimati dal comune abitare attualmente il territorio di Castel Volturno;
   anche solo prendendo in considerazione i cittadini stranieri iscritti in anagrafe al giorno 8 luglio 2014, si nota immediatamente l'incredibile varietà di nazionalità che vivono quella terra;
   particolarmente nutrite sono le comunità dell'Africa subsahariana (in particolare ghanesi e nigeriani), ma vi sono cittadini e cittadine provenienti da ogni angolo del mondo, come marocchini, iraniani, indiani, russi, ucraini, ungheresi, polacchi, rumeni e cinesi;
   considerando solo i cittadini stranieri censiti è possibile rintracciare oltre 75 diversi Paesi di provenienza, suddivisi tra Americhe, Asia, Europa, Oceania ed Africa;
   l'incrocio di culture così varie e così diverse tra loro è chiaramente complesso da gestire;
   a Castel Volturno, inoltre, è particolarmente forte la presenza della criminalità organizzata;
   già negli scorsi anni vi sono stati episodi di violenza brutale, come il massacro avvenuto il 18 settembre del 2008 in cui videro la morte sei immigrati ghanesi;
   in quel caso la strage fu ordinata dai vertici della camorra locale e guidata da Setola, leader dell'ala militare del clan dei Casalesi;
   l'obiettivo della camorra era quello di dimostrare alle comunità straniere presenti sul territorio che i Casalesi avevano il controllo totale dell'area;
   in un contesto così complesso lo Stato a parere degli interroganti si è dimostrato del tutto assente ed ha, di fatto, abbandonato a sé stesso quel territorio;
   ciò ha creato una situazione per cui le fasce sociali più deboli hanno visto l'una nell'altra un nemico, con il continuo susseguirsi di tensioni e scontri tra la popolazione italiana e le comunità straniere;
   l'attuale profonda crisi del clan dei Casalesi, dimostrata dal recentissimo pentimento di Antonio Iovine, ha creato un ulteriore vuoto di potere;
   proprio in questo contesto si innestano la sparatoria avvenuta negli scorsi giorni nella frazione di Pescopagano ad opera di due vigilantes (senza alcuna autorizzazione pubblica) verso due cittadini ghanesi e le conseguenti reazioni di piazza;
   il Governo, negli scorsi anni, è intervenuto solo ed esclusivamente in chiave repressiva e senza strutturare forme di prevenzione e politiche d'integrazione e di rilancio sociale;
   l'allora Governo Berlusconi optò per una temporanea militarizzazione del territorio;
   si iniziò a parlare di un «modello Caserta» e l'allora Ministro dell'interno Maroni si recò più volte in quell'area per dimostrare che lo Stato era forte e presente;
   la realtà, a distanza di pochi anni, è ben diversa da quella che si cercò di pubblicizzare all'epoca;
   le forze su cui l'amministrazione può contare sono estremamente ridotte;
   le forze dell'ordine presenti sul territorio sono esigue: oltre alla stazione dei carabinieri, vi sono solo 35 unità di polizia che devono districarsi su un territorio di competenza estremamente ampio, che comprende i comuni di Castel Volturno, Mondragone, Santa Maria la Fossa, Cancello ed Arnone e Grazzanise;
   altrettanto esigue sono le unità di polizia municipale disponibili nell'area (15);
   negli anni ’90 le forze a disposizione erano più del doppio;
   si parla, tra l'altro, di un territorio con un'altissima presenza di domiciliazione di arresti;
   il personale dell'ente comunale è sottodimensionato e la massa passiva del dissesto finanziario, ulteriormente aggravata dal costo dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, estremamente più alto di quanto venga invece incassato dal comune attraverso la tares, è talmente consistente da non permettere al comune di dotarsi di mediatori culturali, figure che nella città più multietnica d'Italia sono più che mai indispensabili;
   la risposta del Governo non può essere ancora impostata in termini meramente repressivi, bensì legata a politiche d'integrazione e ad interventi strutturali capaci di migliorare la vita della cittadinanza, come la bonifica dei Regi Lagni e la riqualificazione della darsena –:
   quali misure immediate e di lungo periodo il Governo abbia intenzione di mettere in campo per rispondere all'emergenza sociale venutasi a creare a Castel Volturno, vista l'inefficacia delle politiche repressive adottate dai precedenti Governi, valutando se non sia urgente l'istituzione di un posto fisso di polizia dedicato esclusivamente a quella zona nella frazione Pescopagano teatro dei più recenti eventi, anche con la garanzia della presenza di mediatori culturali su un territorio così multietnico. (3-00969)


   DE MITA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 28 agosto del 2011 Carmine Maurizio Festa venne ferito alla gola con una bottiglia rotta in Viale Gorizia, nella zona dei Navigli di Milano;
   come risulta da numerosi quotidiani nazionali, l'agguato fu feroce, quasi certamente immotivato e comportò ferite molto gravi, mettendo a serio repentaglio della vita la persona aggredita;
   Festa fu ricoverato d'urgenza in codice rosso presso il pronto soccorso dell’Humanitas di Rozzano, ove fu sottoposto ad una trasfusione di tre litri e mezzo di sangue;
   in data 8 marzo 2014, il quotidiano nazionale la Repubblica pubblicava in prima pagina una lettera scritta da Carmine Maurizio Festa al direttore Ezio Mauro, ove si riporta con dovizia di particolari il terribile evento;
   in questa stessa lettera Festa denuncia prima di tutto l'indifferenza di alcuni testimoni, riportando, peraltro, che un individuo continuava a filmare la scena, cedendo poi le immagini alle televisioni, invece di procedere al soccorso della persona aggredita;
   nella suddetta lettera si può desumere che le indagini abbiano subito evidenti rallentamenti, soprattutto in merito alla definizione di un identikit degli indagati, nonché alla trasmissione delle immagini fotografiche dei sospetti alla compagnia dei carabinieri di Avellino, ove l'aggredito era tornato temporaneamente a risiedere, da parte della compagnia di Milano;
   solo quattro mesi dopo l'accaduto, fu inviato al Ris di Parma il materiale video di telecamere di sorveglianza ove sono ripresi gli aggressori –:
   se sia a conoscenza dei fatti su esposti e quali iniziative intenda assumere per potenziare le misure volte a garantire l'ordine pubblico nella città di Milano e per favorire, per quanto di competenza, lo svolgimento delle indagini sull'aggressione di cui in premessa. (3-00970)


   SIMONETTI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUSIN, CAON, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere, premesso che:
   la stampa nazionale ha raccolto e pubblicato indiscrezioni secondo le quali sarebbe stato raggiunto un accordo per confermare almeno fino al 2015 il blocco del turn over al 55 per cento del personale delle forze dell'ordine, allo scopo di garantire alla finanza pubblica un risparmio pari ad 1,5 miliardi di euro;
   le organizzazioni sindacali della Polizia di Stato parlano, tuttavia, di riduzioni di fatto anche maggiori, posto che al blocco parziale del turn over sopra citato continuerebbe ad associarsi quello dei concorsi per i nuovi reclutamenti, che non hanno più luogo da anni;
   in conseguenza di queste decisioni, è stato stimato che il comparto sicurezza interna perderà di qui al 2020 ben 80 mila effettivi – 35 mila poliziotti, 30 mila carabinieri e 15 mila finanzieri – praticamente tra i 150 ed i 180 uomini in meno al giorno;
   il tutto accade mentre già adesso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno è obbligato dalle circostanze a movimentare di continuo e con brevi preavvisi il personale per tappare le falle che si aprono ovunque nel controllo del territorio, determinando situazioni di oggettivo disagio;
   di qui al 2020, inoltre, l'età media del personale del comparto salirà a 53 anni, circostanza che implica evidentemente una sensibile riduzione dell'efficienza operativa di poliziotti, carabinieri e finanzieri;
   sempre per risparmiare, saranno, altresì, chiusi non meno di 300 uffici, razionalizzando la presenza sul territorio delle tre polizie del nostro Paese ad ordinamento civile e militare, ma di fatto diradando sensibilmente il personale effettivamente disponibile per l'azione di presidio e prevenzione del crimine, mentre calano anche le risorse devolute alla manutenzione dei mezzi e all'acquisto di carburanti e munizioni;
   nel frattempo, la pressione del crimine sui patrimoni e sulle persone continua ad aumentare in tutto il territorio nazionale – e specialmente al Centro-Nord, dove nel periodo 2009-2013 le rapine in casa sono aumentate del 90 per cento, quelle per strada del 75 per cento, i furti nelle abitazioni del 69 per cento, i borseggi del 48 per cento – sia per gli effetti della crisi economica che per il crescere del numero degli immigrati irregolari presenti nel nostro Paese, responsabili del 63 per cento dei borseggi, del 54 per cento dei furti in casa e del 47 per cento delle rapine –:
   se quanto affermato dalla stampa nazionale corrisponda al vero ed in questo caso come si conti di sostenere l'azione delle forze dell'ordine, sempre più in difficoltà nel tutelare efficacemente la legalità e proteggere la popolazione dall'azione dei sodalizi criminali. (3-00971)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO, STUMPO e CENSORE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 maggio 2014 nel comune di Mandatoriccio (CS) si sono svolte le consultazioni amministrative per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale;
   nelle stesse elezioni competevano tre liste civiche: la n. 1 denominata «Rinascita» che totalizzava 673 voti, la n. 2 denominata «Il Cambiamento» (561 voti) e la n. 3 denominata «L'Avvenire» (711 voti);
   in data 2 giugno 2014 veniva presentato dai candidati delle liste sconfitte alla stazione dei Carabinieri di Mandatoriccio un esposto-denuncia indirizzato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Castrovillari e per conoscenza alla prefettura di Cosenza, al Ministero dell'interno e alla procura distrettuale antimafia, nel quale si denunciavano una serie di vistose irregolarità sulla concessione di nuove residenze tali da condizionare fortemente l'esito del voto;
   in particolare, i denuncianti rilevavano come negli ultimi mesi del 2013 e nei primi mesi del 2014 erano state effettuate 248 nuove iscrizioni di cittadini provenienti da altri comuni nelle liste elettorali;
   di questi trasferimenti di residenza 56 sarebbero risultati provenienti da comuni della Campania, altri in abitazioni visivamente abbandonate da tempo, inagibili e/o prive di allacci alle utenze idriche ed elettriche o, in violazione dell'articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, di cittadini domiciliati presso strutture riabilitative;
   le procedure di iscrizione nelle liste elettorali effettuate nel comune di Mandatoriccio (CS), possono aver evidentemente condizionato il risultato elettorale –:
   se siano state avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministero interrogato intenda comunque assumere per verificare la sussistenza di violazioni della legge che regola l'aggiornamento delle liste elettorali nei comuni che sono chiamati al voto e le relative responsabilità;
   qualora tali violazioni fossero accertate, quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere ai fini del ripristino della legalità. (5-03285)

Interrogazione a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il settore della sicurezza è da anni oggetto di tagli che hanno comportato negli ultimi anni la riduzione di oltre 40 mila unità, tra polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Guardia di finanza, che precedentemente contribuivano a garantire la sicurezza nel nostro Paese;
   a seguito del piano ministeriale di spending review, sono stati adottati dei provvedimenti di riduzione di spesa che hanno determinato, inoltre, una notevole riduzione del parco automezzi dei diversi corpi di sicurezza;
   di tale problematica è interessato anche il reparto della polizia di Stato di Vibo Valentia che, come risulta da recenti notizie di stampa apparse sulla Gazzetta del Sud del 27 giugno 2014 è ormai ridotto all'osso, visto l'esiguo numero di autovetture a disposizione degli agenti che operano sul territorio locale;
   lo stesso Sindacato autonomo di polizia (SAP) ha denunciato a livello nazionale questa grave situazione di disagio che si aggrava ulteriormente durante i periodi estivi, a seguito dell'aumento di turisti lungo tutta la costa vibonese;
   a rendere più critica la questione contribuisce il fatto che i servizi di investigazione, soprattutto quelli più delicati, vengono attualmente svolti con automezzi tutt'altro che sicuri ed efficienti, per non parlare del fatto che spesso riescono a svolgere i servizi quei pochi agenti che arrivano per primi e trovano l'unica autovettura disponibile rimasta;
   tale stato di cose non fa altro che diminuire ancora di più i controlli in un territorio già colpito da numerosi fatti di criminalità e che necessiterebbe al contrario di maggiori attenzioni;
   il perdurare di questa drammatica condizione, sempre secondo quanto dichiarato dal sindacato di polizia agli organi di stampa, potrà portare una polizia che rischia di lavorare appiedata non garantendo i servizi minimi;
   appare facile immaginare come chi abusa possa sentirsi ancora più libero di farlo, essendo venuto meno un controllo importantissimo, che non potrà essere ricoperto da nessun altro organo;
   la crisi che attanaglia il Paese ed i conseguenti tagli alla polizia di Stato non devono essere pagati dalla cittadinanza;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la sicurezza della popolazione locale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative di propria competenza intenda intraprendere per una tempestiva soluzione delle criticità esposte, tenuto conto che i motivi economici e finanziari che giustificano tali drastici tagli al personale e ai relativi automezzi finiscono solamente per penalizzare i cittadini vibonesi, fruitori importanti degli interventi della sicurezza pubblica;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per prevedere per il suddetto comparto di polizia di Stato l'integrazione del parco macchine con nuovi automezzi e la manutenzione di quelli già in dotazione, evitando nel contempo una sempre più probabile paralisi del servizio. (4-05614)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIRAS, GIANCARLO GIORDANO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dal comunicato stampa pubblicato sul sito istituzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 4 luglio 2014, il piano di edilizia scolastica, fortemente voluto dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, fin dal suo discorso di fiducia alle Camere del 24 febbraio 2014, prende il via;
   si tratta di un piano, come emerge dal citato documento, composto da tre principali filoni, che coinvolgerà complessivamente 20.845 edifici scolastici per investimenti pari a 1.094.000.000 di euro. Quattro milioni di studenti e una scuola italiana su due sono protagonisti di questo primo progetto, che porta nell'arco del biennio 2014-2015 ad avere scuole più belle, più sicure e più nuove;
   le risorse sono state stanziate per la costruzione di nuovi edifici scolastici o di rilevanti manutenzioni, grazie alla liberazione di risorse dei comuni dai vincoli del patto di stabilità per un valore di 244 milioni (#scuolenuove) e del finanziamento per 510 milioni dal Fondo di sviluppo e coesione, dopo la delibera Cipe del 30 giugno 2014, per interventi di messa in sicurezza (#scuolebelle);
   contrariamente a quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio, il quale afferma che tutti i sindaci che hanno risposto all'appello dello stesso Presidente del 3 marzo 2014, segnalando interventi di edilizia scolastica immediatamente cantierabili, hanno visto accogliere le proprie istanze nei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri firmati dal Presidente nel mese di giugno, l'amministrazione comunale di Norbello (Or), pur avendo inoltrato apposita istanza di finanziamento, per l'importo di euro 250.000,00, di cui euro 25.000,00 a carico del bilancio comunale, per i lavori di ristrutturazione della scuola materna ubicata nella frazione di Domusnovas Canales, non ha visto inseriti i relativi interventi nella graduatoria delle opere ammesse;
   la giunta comunale di Norbello, ha approvato un ordine del giorno di protesta e inviato una lettera al Presidente del Consiglio per capire quali motivazioni hanno escluso la scuola del paese;
   i lavori di ristrutturazione della scuola materna di Domusnovas Canales – Norbello, di cui alla richiesta formulata, devono essere eseguiti con la massima urgenza, al fine di scongiurare eventuali pericoli, per la pubblica incolumità di insegnanti, alunni, personale A.T.A, e altro, come si evince dalla comunicazione trasmessa in data 16 maggio 2014, reg.ta al protocollo dell'Ente al n. 1576, dal dirigente scolastico dell'istituto comprensivo di Abbasanta, a seguito dei sopralluoghi effettuati dal responsabile sicurezza, appositamente incaricato;
   la mancata realizzazione dei lavori potrebbe pregiudicare il regolare svolgimento dell'attività didattica per il prossimo anno scolastico;
   in Sardegna ci sono scuole finanziate per le quali il sindaco non ha chiesto alcun intervento, in Barbagia e in Marmilla, o sono previsti interventi per scuole non più esistenti in Marmilla, Ogliastra, nell'Oristanese;
   al contrario, comuni che hanno inviato tutta la documentazione richiesta, come ad esempio Norbello e Sedilo ed altri, sono stati esclusi dal finanziamento, altri invece hanno visto riconosciuta soltanto una parte di quanto richiesto, decisamente insufficiente al completamento dei lavori, in assenza di integrazioni;
   nonostante le esclusioni di alcuni comuni, altre comunità hanno ricevuto finanziamenti che parrebbero incoerenti, se si considera il rapporto fra le somme erogate e la popolosità dei medesimi –:
   per quali motivazioni il comune di Norbello (Or), Sedilo ed altri comuni siano stati esclusi da ogni finanziamento previsto dal piano di edilizia scolastica del Governo;
   se il Ministro, per quanto di competenza, non ritenga di dover assumere iniziative per porre rimedio, finanziando anche quei comuni ad oggi esclusi ed integrando il finanziamento di quelli solo parzialmente soddisfatti;
   quali criteri siano stati utilizzati per la distribuzione delle risorse contenute nel piano nazionale di edilizia scolastica ai comuni. (5-03270)

Interrogazione a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in Veneto, gli incarichi per le supplenze per la classe di concorso C310 sono sempre stati assegnati attingendo alla graduatoria d'istituto di terza fascia, riservata ai non abilitati;
   tramite il D.D.G. n. 58 del 25 luglio 2013 si è permesso a insegnanti con anni di esperienza ma senza il titolo di abilitazione, di poter accedere ad un percorso universitario (percorso abilitanti speciale) iscrivendosi in un apposito elenco regionale. Sono state stabilite le regole per l'attivazione dei corsi PAS. Nello specifico l'articolo 3, comma 12, evidenzia che, con successivo provvedimento verranno fornite indicazioni sulle modalità di accesso ai PAS tenuto conto della capacità ricettiva dei singoli atenei o istituzioni AFAM;
   a fine agosto 2013 è stato pubblicato l'elenco regionale di tutti gli insegnanti aventi titolo di accedere al percorso; in Veneto, per la classe di concorso C310, i docenti sono 29;
   a gennaio 2014, l'ufficio regionale scolastico Veneto prende accordi con le università della regione per consentire l'inizio dei corsi PAS; il corso relativo alla classe di concorso C310 viene assegnato all'università di Verona, la quale, da quel che risulta ai docenti che attendevano di poter frequentare il corso, decide di non attivare lo stesso e di rinviarlo di un anno adducendo problemi di spazio che avrebbero influito sulla qualità dell'offerta formativa;
   si rileva che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con l'articolo 2, comma 2, del D.D. n. 45 del 22 novembre 2013, stabilisce i criteri di priorità nei casi cui sia necessario suddividere i corsi di abilitazione in più anni accademici basati anche sull'anzianità di servizio in terza fascia. L'articolo 2, comma 3, tratta direttamente il caso della classe di concorso C310 affermando che nelle classi in cui vi siano meno di 30 candidati (come descritto la classe C310 conta 29 candidati), sono possibili raggruppamenti di classi omogenee in alternativa all'attivazione dei corsi a livello interregionale;
   si ritiene che la classe di abilitazione C310 sia stata discriminata perché non è stata suddivisa in più anni accademici, come disposto dal citato articolo 2, comma 2, non è stato creato alcun corso interregionale come espressamente disposto dalla nota protocollo n. 12126 del 12 novembre 2013 e dall'articolo 2, comma 3, del D.D. n. 45 del 22 novembre 2013 e, infine, non è stata raggruppata con classi omogenee come previsto dallo stesso articolo. Risulta che la normativa sia stata applicata correttamente per le classi di concorso A042 e C300 essendo state esse raggruppate in quanto omogenee. La classe C310, pur essendo omogenea alle altre due, non è stata accorpata;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con la nota protocollo n. 475 del 14 febbraio 2014 rafforza quanto affermato in precedenza dichiarando, «come espressamente previsto dall'articolo 2 del decreto n. 45», che «la suddivisione degli aspiranti in più anni accademici deve essere motivata esclusivamente dalla mancanza oggettiva e capacità ricettiva degli Atenei e istituzioni AFAM. Pertanto, solo ragioni di elevato numero di aspiranti possono ritenersi valide ai fini della ripartizione degli aspiranti in diversi anni»;
   i corsi PAS relativi alla classe di abilitazione C310 sono stati attivati in quasi tutte le regioni d'Italia nell'anno accademico 2013/2014; l'ufficio scolastico regionale del Veneto con l'università di Verona a giudizio dell'interrogante ha di fatto negato il diritto di concorrere al pari con gli aspiranti delle altre regioni, consentendo loro, dopo aver conseguito l'esame di abilitazione entro il mese di luglio del 2014 come previsto dall'articolo 2, comma 3, del D.D. n. 45 del 22 novembre 2013, di scavalcare tutti gli iscritti nella terza fascia della classe di concorso C310 in quanto privi dell'abilitazione e privati del diritto di frequentare i corsi nell'anno accademico 2013/2014 contrariamente a quanto disposto dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Un'aggravante a tale discriminazione è data dal fatto che vista l'assenza del corso PAS relativo alla classe di abilitazione C310 nell'anno accademico 2013/2014 nella regione Veneto, i candidati delle altre regioni saranno chiaramente incentivati a scegliere quest'ultima proprio per l'assenza di abilitati;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, pubblica il decreto ministeriale n. 353 del 22 maggio 2014 e successivamente il decreto ministeriale n. 375 del 6 giugno 2014. In questi decreti viene consentito ai candidati che devono abilitarsi nel mese di luglio del 2014 di iscriversi con riserva nella seconda fascia delle graduatorie di istituto. Il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca mette a disposizione finestre semestrali, durante le quali chi consegue l'abilitazione, potrà inserirsi a pieno titolo nella seconda fascia. I candidati della classe di concorso C310, non avendo avuto la possibilità di frequentare i corsi, non hanno la possibilità di iscriversi nella seconda fascia né entro il 23 giugno 2014 (data di scadenza delle iscrizioni) e nemmeno nelle finestre successive –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra esposto; se e quali iniziative di competenza intenda assumere per scongiurare un'operazione che appare all'interrogante, dall'esito discriminatorio nei confronti di 29 docenti veneti che rischiano di essere superati in graduatoria da insegnanti con meno esperienza e un punteggio inferiore, tutto ciò per cause fuori dal loro potere e dalla loro volontà. (4-05612)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dopo le ferie estive alla Thales di Chieti Scalo (Chieti) ci saranno nove dipendenti in meno rispetto ai 108 attualmente in forza all'azienda più specializzata del superstite polo tecnologico teatino;
   nella Thales di Chieti Scalo, che è uno dei cinque stabilimenti italiani della multinazionale francese, si effettuano lavorazioni di alta tecnologia nel campo della difesa, dagli apparati di comunicazione (si lavora qui al progetto «soldato futuro», con una radio e computer integrato in dotazione all'esercito che la utilizza fra l'altro nelle missioni in Afghanistan) a altri sistemi per le forze armate con l'impiego di maestranze al 70 per cento in possesso di laurea specifica e capitali per ricerca e sviluppo pari a 12 milioni di euro negli ultimi 5 anni;
   tra i dipendenti cresce la preoccupazione per il futuro italiano del marchio francese e si paventa la fine dell'esperienza teatina dell'azienda;
   nel corso dei 40 anni di storia del sito di Chieti sono stati ottenuti circa 15 brevetti e pubblicati almeno 50 articoli scientifici sulle più importanti riviste del settore, sono state coordinate almeno 150 tesi di laurea e 10 dottorati di ricerca, si è partecipato a progetti di ricerca internazionali con istituti come il Cnr e la Fondazione Bordoni in Italia, l'istituto Fraunhofer in Germania e l'Istituto Celar in Francia;
   negli ultimi anni il fatturato si è stabilizzato sui 30 milioni di euro annui. Il timore è che la Thales Italia venga accorpata nel solo stabilimento di Firenze, sede della filiale nazionale –:
   se non intendano intervenire per scongiurare che un'importante struttura industriale e di ricerca possa essere chiusa, tutelando i 108 dipendenti e il futuro industriale dell'intera area teatina.
(4-05619)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori della Compagnia italiana rimorchi (Cir), di Tocco da Casauria (Pe) chiedono di definire la pratica della concessione della cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali;
   i 180 lavoratori fanno riferimento alla cassa integrazione guadagni straordinaria in proroga che fu stabilita in base ad un'intesa sottoscritta da azienda, parti sociali e Ministero di durata fino al 31 ottobre 2014 ed erogata da un istituto di credito (con un massimo di 3 mila euro a lavoratore e 5 mila per quelli a zero ore) su garanzia firmata dalle maestranze;
   il problema sollevato dai sindacati è che ancora oggi quell'intesa non è stata ratificata e i lavoratori in queste condizioni andrebbero incontro alla rivalsa della banca che vuole rientrare in possesso delle somme elargite in mancanza della copertura da parte dell'Inps;
   ovviamente questo si può scongiurare solo con la firma di quell'accordo;
   si tratta di una situazione paradossale che tiene con il fiato sospeso 180 lavoratori della sede di Tocco da Casauria (Pe) ed altrettanti di Bussolengo (Verona) e Nichelino (Torino);
   il 7 luglio 2014 è scaduto il periodo di concordato preventivo accordato all'azienda toccolana dal tribunale di Verona; (sede legale del gruppo Cir) e l'8 luglio si è entrati in regime di concordato liquidatorio, per il quale sempre il tribunale di Verona dovrà nominare un commissario con funzioni di garante delle procedure;
   i lavoratori, del resto, con l'ingresso nella procedura concorsuale avrebbero diritto ad un altro anno di cassa integrazione guadagni straordinaria –:
   se il Governo non intenda intervenire con urgenza per firmare l'accordo e scongiurare eventuali rivalse della banca sui lavoratori. (4-05620)


   PARENTELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Infocontact è un'azienda calabrese del settore call center che occupa a livello regionale circa 1800 lavoratori distribuiti tra le province di Catanzaro, Cosenza e Vibo Valentia;
   le lavoratrici ed i lavoratori di Infocontact forniscono assistenza telefonica ai clienti di grandi aziende italiane del settore telefonico, energetico ed assicurativo come Poste Mobile, Enel, Wind, Con Te Assicurazioni, Eni, Telecom, Vodafone;
   le lavoratrici ed i lavoratori di Infocontact sono in «contratto di solidarietà» da febbraio 2014, e ad oggi non hanno visto erogata l'integrazione salariale prevista dalla normativa a causa dell'assenza del decreto ministeriale. Questo comporta un notevole disagio economico per le lavoratrici ed i lavoratori di Infocontact che da mesi si ritrovano con un salario ridotto;
   Infocontact si ritrova sotto procedura di insolvenza per aver contratto debiti con l'erario, accertati, per un importo di circa 25 milioni di euro;
   la professionalità dimostrata nel tempo dai lavoratori, ha portato diverse aziende del settore a manifestare interesse a rilevare le attività ed i lavoratori ad esse correlati;
   in data 21 luglio 2014 una delegazione dei lavoratori, accompagnata dai rappresentanti delle principale sigle sindacali del settore, ha chiesto un incontro con il prefetto di Catanzaro al fine di richiedere un tavolo di crisi nazionale per la «vertenza Infocontact» presso i Ministeri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali ove far confrontare parti sociali, committenti ed aziende che hanno presentato manifestazione di interesse e trovare un accordo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quali interventi i Ministri interrogati intendano attuare, nei limiti delle proprie competenze, al fine di promuovere la ricerca di soluzioni condivise tra le parti economiche e sociali interessate che tutelino gli interessi dei lavoratori coinvolti;
   se non ritengano necessario avviare le procedure per garantire l'integrazione salariale prevista dal «contratto di solidarietà». (4-05621)


   TOFALO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le prestazioni di degenza in residenze sanitarie assistenziali per soggetti handicappati/disabili gravi non autosufficienti rientrano nei LEA, livelli essenziali di assistenza, come da combinato disposto degli articoli: 54 della legge n. 289 del 2002, articoli 1 e 3-septies del decreto legislativo 502 del 1992, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, allegato 1, lettera h). Si tratta di «prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria [...] caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria» (articolo 3-septies, comma 4, del decreto legislativo 502 del 1992). Proprio in ragione della duplice rilevanza sanitaria prima che sociale, all'epoca si è previsto che il pagamento delle rette di permanenza nelle residenze sanitarie assistenziali (RSA) per soggetti ultra sessantacinquenni non autosufficienti sia ripartito fra le diverse istituzioni;
   il 50 per cento è posto a carico del servizio sanitario nazionale e il restante 50 per cento a carico dei comuni, con l'eventuale compartecipazione dell'utente secondo i regolamenti regionali o comunali (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 febbraio del 2001, richiamato dall'articolo 54 della legge n. 289 del 2002); invece per soggetti handicappati/disabili gravi non autosufficienti, il 70 per cento è posto a carico del servizio sanitario nazionale e il restante 30 per cento, a carico dei comuni;
   i dipendenti del gruppo Silba sono ancora senza tre mensilità ad oggi accumulate rimaste arretrate;
   la situazione delle casse comunali dal 2001 è molto differente, ad oggi sovra-indebitate e in difficoltà per la mancata puntualità dei pagamenti e flessibilità di bilancio;
   quali iniziative per quanto di competenza, i Ministri intendano intraprendere per risolvere la difficile questione delle mensilità arretrate dei lavoratori SILBA S.p.A.;
   se si ritenga possibile assumere iniziative, anche normative, per regolare i rapporti con istituti privati, ad oggi pagati in parte dal servizio sanitario nazionale e il restante dagli enti pubblici. (4-05622)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XIII Commissione:


   CAON. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'intero settore della produzione risicola è ormai a rischio sopravvivenza. Il comparto è particolarmente danneggiato dalla concorrenza sleale del riso di importazione, che entra in Europa a dazio zero e a prezzi troppo bassi, proveniente dalla Cambogia, Vietnam e Birmania, ma in generale da tutto l'Estremo oriente;
   nei giorni scorsi si sono svolte iniziative di mobilitazione organizzate da due associazioni di categoria a tutela del comparto risicolo, chiedendo di porre l'attenzione sulle conseguenze negative per le imprese, soprattutto del Nord, se dovessero perdurare le importazioni selvagge dai paesi asiatici, che non sono assoggettate ad alcun dazio di ingresso in Europa;
   la Lombardia, il Piemonte e il Veneto producono oltre il 90 per cento del riso nazionale ed il nostro Paese a livello europeo è il primo produttore con 216 mila ettari e oltre 10 mila famiglie impiegate. Le caratteristiche del riso italiano sono qualitativamente superiori ad altre produzioni a livello mondiale. La coltivazione del riso fa parte della nostra storia e del nostro paesaggio, un comparto che caratterizza specifici territori della macroregione agricola settentrionale. Difendere la produzione locale significa non solo tutelare un comparto produttivo di qualità, ma anche salvaguardare il territorio e proteggere il consumatore;
   solo nel primo trimestre del 2014 le importazioni a dazio zero di riso dalla Cambogia qualità indica, hanno registrato un incremento del 360 per cento; la qualità indica occupa il 40 per cento della superficie a riso italiana;
   le speculazioni sull’import del riso asiatico stanno mettendo in ginocchio i nostri produttori che, visti gli scarsi guadagni, stanno riconvertendo le loro produzioni verso altre più redditizie, mettendo a rischio il posto di lavoro per migliaia di addetti;
   nei primo semestre 2014 il sistema di allerta rapido europeo (RASFF) ha effettuato quasi una notifica a settimana per riso e prodotti derivati di provenienza asiatica per la presenza di pesticidi non autorizzati e assenza di certificazioni sanitarie;
   da fonti stampa si apprende la notizia che a partire dai prossimi giorni verrà applicato un dazio sulle importazioni nell'Unione di mais, sorgo e segale dal mercato mondiale. La Commissione europea ha fissato a 5,32 euro la tonnellata l'importo del dazio. Questo a salvaguardia della caduta dei prezzi del granoturco in seguito agli alti livelli di produzione attesi per il secondo anno consecutivo a livello mondiale, in particolare negli USA;
   è necessario tutelare le nostre produzioni agricole, perché non possiamo perdere un comparto, come quello del riso, strategico e di grande valenza culturale. Non si vuole impedire alle economie dell'Asia di affacciarsi nel mercato proponendo prodotti alternativi a prezzi competitivi, ma è necessario che ci sia il rispetto delle regole e l'introduzione di tutele –:
   se non intenda esigere, in sede europea, l'applicazione della clausola di salvaguardia prevista dal Sistema di preferenze generalizzate a tutela del mercato italiano del riso o l'introduzione di un dazio anche per il riso – come per la segale, sorgo e mais – al fine di evitare che i produttori di riso vengano sopraffatti dalle importazioni a dazio zero provenienti particolarmente dalla Cambogia e Birmania. (5-03280)


   TARICCO, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CARRA, CENNI, COVA, COVELLO, DAL MORO, FIORIO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, SANI, TENTORI, TERROSI, VALIANTE, VENITTELLI e ZANIN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia, secondo produttore al mondo nel comparto frutticolo, con circa 14 milioni di quintali di prodotto e con un fatturato di circa 23 miliardi di euro, ha attraversato negli ultimi anni ben cinque crisi, con ricadute pesanti sull'indotto e sulla tenuta dell'occupazione, e anche quest'anno la situazione dei mercati frutticoli nazionali sta evidenziando un quadro di forte difficoltà con particolare riguardo alle pesche e alle nettarine;
   le quotazioni in queste settimane (dati ISMEA) hanno segnalato, in Italia ed in Europa, un vero e proprio crollo dei prezzi, causato dal sovrapporsi delle raccolte italiane con quelle di altre aree europee (soprattutto greca e spagnola), oltre che dall'andamento climatico sfavorevole che ha depresso i consumi sul mercato interno, ma soprattutto ha fortemente rallentato l’export verso i tradizionali mercati di destinazione del Nord-Europa, dell'Ucraina e della Russia;
   in particolare, in base ai dati ISMEA, i prezzi della pesche, all'origine, sono crollati mediamente intorno ai 40 centesimi al chilo, un 30 per cento in meno rispetto al 2013; ancora peggiore l'andamento dei prezzi all'origine delle nettarine, scesi in alcuni casi anche a 0,40 euro per chilogrammo all'origine e a 0,50 euro per chilogrammo franco magazzino di confezionamento, con riduzioni anche del 40 per cento sul 2013;
   il crollo dei prezzi all'origine delle pesche nettarine – che non coprono più nemmeno i costi di produzione – è dovuto alla concomitanza di vari fattori: la riduzione del potere d'acquisto dei consumatori (va segnalato che il consumo di frutta nel nostro paese è ormai sceso a livelli inferiori rispetto a quelli raccomandati dall'organizzazione mondiale della sanità), l'andamento climatico anomalo che ha inciso non solo sui tempi di raccolta ma anche sul livello qualitativo e, in parte, la natura stessa del prodotto, facilmente deperibile e, quindi, con tempi ridotti di commercializzazione;
   secondo le aziende della filiera, la situazione è tanto grave che gli strumenti attualmente disponibili, come le organizzazioni comuni di mercato (OCM) del comparto ortofrutticolo, non sono sufficienti e adeguati, anche in termini di risorse finanziarie disponibili, per affrontare e contrastare una simile crisi; è necessario quindi valutare con attenzione l'effettiva funzionalità degli attuali meccanismi di tutela dei produttori;
   il limite degli attuali meccanismi di tutela è che intervengono quando le crisi sono già in atto, mentre non esistono strumenti efficaci per prevenirle, in una situazione nella quale le crisi di mercato sono sempre più frequenti, tanto da non potersi più considerare fenomeni contingenti ma piuttosto strutturali;
   i Ministri dell'agricoltura dell'Italia, della Francia e della Spagna hanno avanzato una «richiesta unitaria» al Consiglio dei ministri dell'Unione che si è tenuto lo scorso 16 luglio, chiedendo all'Unione europea di affrontare con decisione la situazione di crisi del comparto frutticolo delle pesche nettarine mediante il riconoscimento di situazione di «grave turbativa di mercato» ai sensi dell'articolo 219 del regolamento (UE) n. 1308/2013, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, relativo all'organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli –:
   quali strumenti di tutela e di intervento il Governo intenda adottare per affrontare efficacemente la situazione di crisi descritta e per salvare almeno le produzioni mediotardive e, in particolare, se non intenda richiedere all'Unione europea di destinare risorse specifiche ad un intervento straordinario per pesche, nettarine e susine valido per tutti i produttori dell'Unione fornendo rapidamente i dati e gli elementi di analisi necessari per consentire alla Commissione europea di avere un quadro chiaro e definito delle cause e degli effetti del calo dei prezzi. (5-03281)


   FRANCO BORDO e PALAZZOTTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha stigmatizzato che il sistema ordinamentale italiano dimostri, da lungo tempo, un'intrinseca inefficacia a garantire il recupero, da parte dello Stato italiano stesso, dei «prelievi» sulle eccedenze di produzione delle «quote latte» (cosiddetti «prelievi supplementari»);
   i regolamenti comunitari n. 804/68, n. 856/84 e n. 1234/2007 (regolamento unico OCM) assegnano, a ciascuno Stato membro, dei massimali di produzione del latte e di prodotti lattieri che non possono essere superati. All'interno di ciascuno Stato membro, poi, la quota viene divisa fra i vari produttori lattieri, ciascuno dei quali, pertanto, non può superare una soglia specifica;
   lo sforamento di tale tetto massimo, da parte del singolo produttore, impone al medesimo di pagare, sulla produzione in eccedenza e in favore dello Stato cui appartiene, un importo di denaro qualificato come «prelievo supplementare»;
   l'articolo 66 del regolamento (CE) n. 1234/2007, del 22 ottobre 2007, ha prorogato il sistema delle «quote latte» fino alla campagna lattiera del 2014/2015. Il regime delle quote cesserà il 31 marzo 2015;
   il mancato pagamento dei «prelievi», da parte delle imprese italiane, ha costituito oggetto di una serie di procedure di infrazione già promosse dalla Commissione europea fra il 1994 e il 1998, poi archiviate a seguito del ripetuto intervento del legislatore italiano, con una serie di provvedimenti ritenuti dalla Commissione adeguati a soddisfare le proprie richieste;
   con decisione 2003/530/CE del 16 luglio 2003, la Commissione europea ha concesso la rateizzazione dei pagamenti dovuti da quelle aziende che, avendo già contestato in sede giudiziale le ingiunzioni delle amministrazioni italiane al pagamento dei prelievi, si fossero ritirate dal contenzioso. Un certo numero di produttori aderì a detti piani di rateizzazione;
   la Commissione europea in data 20 giugno 2013 ha inviato all'Italia, la messa in mora. Di fatto, la Commissione europea ha posto l'Italia sotto procedura di infrazione (n. 2013/2092 – articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) per il mancato recupero alle casse dello Stato, a tutt'oggi, di prelievi per un importo di 1,423 miliardi di euro. Questa cifra corrisponde al debito, fino ad oggi e per le campagne dal 1995/1996 al 2008/2009, dei produttori lattieri che non hanno aderito ai programmi di rateizzazione (per scelta o in quanto esclusi dalla «copertura» di cui alla citata decisione), calcolato al netto di 158 milioni di euro non più recuperabili;
   la paralisi di tali pagamenti è imputabile, secondo la Commissione, a vari livelli del sistema ordinamentale italiano:
    a) la stessa normativa nazionale sarebbe divenuta deficitaria, dopo che la legge n. 44 del 2012 ha permesso, ai soggetti debitori di enti pubblici che versino in condizioni di «oggettiva difficoltà economica» (ivi compresi i debitori di prelievi sulle eccedenze lattiere) di dilazionare i pagamenti (anche al di fuori dell'adesione ai piani di rateizzazione);
    b) gli «accertamenti» delle somme dovute, da parte dell'amministrazione italiana, sarebbero resi alquanto difficoltosi dalla confusione delle regole circa la quantificazione delle quote latte spettanti ai singoli produttori;
    c) dopo l'accertamento, la riscossione del prelievo dovuto è stata messa in forse, principalmente, dal fatto che le aziende, destinatarie degli ordini di pagamento emessi dalla pubblica amministrazione, hanno spesso impugnato gli stessi di fronte ai giudici nazionali ottenendo sovente una sospensiva cautelare dell'esecutività dell'ingiunzione stessa, prima della definizione della vertenza. Allo stato, tali procedimenti giudiziari sono ancora pendenti e, per quanto può ragionevolmente prevedersi, lontani dalla relativa decisione;
   la Commissione europea ha messo sotto accusa la gestione degli arretrati di quella fascia di produttori che non ha aderito ad alcuna rateizzazione (ne sono state fatte due concordate in sede Ecofin) e che dunque risulta totalmente inadempiente. Per la Commissione l'assenza di progressi significativi del recupero delle multe dopo tanti richiami e campanelli d'allarme, non poteva che concretizzarsi in una procedura di infrazione;
   due anni fa la Corte dei conti aveva denunciato, con una relazione circostanziata, il rischio dell'apertura di una falla nel bilancio dello Stato e, precisamente, «... questo modo di procedere consente di mantenere sommerso un debito a carico del bilancio statale ...» sottolineando la «... pericolosità finanziaria delle ingenti anticipazioni di tesoreria, ...»;
   lo Stato italiano per far fronte agli impegni con la Commissione europea, che altrimenti si sarebbe rivalsa sui contributi agli agricoltori, è ricorso alle anticipazioni di tesoreria statale, il tutto per sanare un buco di complessivi 4,4 miliardi di euro;
   il recupero delle somme dovute riguardano le pendenze di circa duemila produttori di cui seicento di loro devono pagare somme superiori a 300 mila euro. Il comportamento di questi soggetti produce una distorsione delle regole del mercato, nonché una concorrenza sleale nei confronti della stragrande maggioranza dei trentotto mila allevatori che si sono messi in regola e hanno rispettato le norme negli anni, acquistando o affittando quote per un valore complessivo di 2,42 miliardi di euro;
   in merito alla vicenda suddescritta in data 6 giugno 2014, la Commissione europea ha inviato al Consiglio dell'Unione europea una relazione (COM(2014) 334) relativa alla valutazione della situazione comunicata dall'Italia alla Commissione e al Consiglio in merito al recupero del prelievo supplementare dovuto dai produttori di latte nei periodi dal 1995-1996 al 2001-2002 a norma dell'articolo 3 della decisione n. 2003/530/CE del 16 luglio 2003 del Consiglio. La relazione costituisce la valutazione della Commissione sui progressi comunicati dalle autorità italiane, con riferimento al 2012, nel recupero del prelievo supplementare sia nei periodi contemplati dalla decisione del Consiglio che in quelli non contemplati dalla citata decisione –:
   quali interventi urgenti il Ministro intenda porre in essere per dirimere la vicenda illustrata in premessa. (5-03282)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 11 luglio, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali si dichiarava soddisfatto della chiusura della procedura di infrazione a carico del nostro Paese relativa all'utilizzo delle reti derivanti cosiddette «spadare», vietate dall'Unione europea sin dal 1992;
   dopo oltre 20 anni, infatti, si è chiuso il contenzioso con la Commissione europea e si è pertanto scongiurato il pericolo di incorrere in una sanzione di oltre 130 milioni di euro;
   da quanto appare, confermato anche dalle recenti dichiarazioni del Ministro interrogato, il nostro Paese rispetta le normative in materia di pesca, tutela gli stock ittici dei propri mari e assicura adeguati controlli;
   è noto tuttavia, come dimostra un report di Oceania, che i pescherecci spesso sbarcano sulle nostre coste esemplari di pescespada verosimilmente catturati con reti derivanti illegali, la cui detenzione a bordo è vietata dal primo gennaio 2015;
   il suddetto divieto introdotto nel 2002 per tutte le reti derivanti, comprese le ferrettare, impedirà la cattura di grandi pelagici come il tonno o il pescespada;
   l'impatto socio-economico di tale misura è tuttavia piuttosto modesto rispetto ai benefici ambientali e al complessivo miglioramento nella gestione di stock sovrasfruttati come quelli del tonno rosso e pescespada, soprattutto nell'area mediterranea;
   gli sbarchi di pesce catturato con le reti derivanti rappresenterebbero in Italia solo lo 0,8 per cento del valore di tutti degli sbarchi ittici a livello nazionale;
   con riferimento alla proposta di divieto di tutte le reti da posta derivanti lunghe, il Ministro in parola ha confermato che «c’è un'attenzione dell'Italia sul dossier e appena possibile verrà istruito il confronto con gli organismi europei per verificare fino dove si può arrivare» –:
   se non ritenga necessario intensificare i controlli sul territorio, soprattutto presso marinerie già segnalate per pesca illegale, con l'intento di sequestrare definitivamente gli attrezzi illegali, e dare una risposta rapida e una pianificazione intelligente alla proposta di divieto di tutte le reti da posta derivanti lunghe. (5-03283)


   ZACCAGNINI e SCHULLIAN. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da marzo 2013 l'Unione europea vieta, con una specifica normativa, le importazioni di legname e suoi prodotti da qualsiasi Paese del mondo, se proveniente dal taglio illegale e chiede agli operatori e alle autorità nazionali di verificare e rispettivamente, punire chi commercia legname di origine controversa. Il Regolamento 995 del 2010 conosciuto anche come EUTR (European Union Timber Regulation in inglese) è stato emanato per contrastare il commercio illegale di legno e prodotti da esso derivati, per tutelare le foreste del nostro Pianeta, ponendo un freno a irresponsabili processi di deforestazione, che stanno cancellando i polmoni verdi della terra e compromettendo le risorse essenziali a tutte quelle comunità che da esse dipendono;
   in data 16 maggio 2014, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, attraverso una nota: «Legno illegale, Mipaaf: approvato oggi in Cdm decreto per attuazione disciplina Ue» ha reso noto che durante il Consiglio dei ministri è stato approvato lo schema di decreto legislativo del Mipaaf con cui verrà data attuazione alla disciplina europea riguardante il divieto di importazione di legno tagliato illegalmente – «In particolare, attraverso il decreto, verrà dato seguito alle disposizioni del Regolamento del Consiglio Ue n. 2173/2005, relativo all'istituzione di un sistema di licenze Flegt per le importazioni di legname nella Comunità europea, e del Regolamento del Parlamento e del Consiglio Ue n. 995/2010 (EUTR), che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legno e prodotti derivati. I due regolamenti comunitari mirano a contrastare l'importazione illegale di legno e prodotti derivati da quei Paesi terzi con i quali l'Unione europea firma accordi bilaterali di tipo volontario (VPA – Voluntary Partnership Agreements) finalizzati all'adozione di licenze standard, verificabili e non falsificabili, e a fissare gli obblighi degli operatori che commercializzano per la prima volta legno e prodotti derivati sul mercato interno, attraverso l'adozione di un sistema di dovuta diligenza da parte degli operatori commerciali»;
   dopo mesi dall'entrata in vigore del Regolamento Europeo del Legno (European Union Timber Regulation – EUTR), il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MiPAAF), l'autorità incaricata di vigilare sulla norma, non ha ancora messo in atto i controlli e le sanzioni da applicare a chi commercia legno tagliato illegalmente o a chi non applica la dovuta diligenza, ovvero chi non controlla la filiera di legno dall'origine;
   oltre all'Italia, altri Paesi dell'Unione europea come la Spagna, la Lituania e l'Ungheria, sono il fanalino di coda nell'implementazione e attuazione del Regolamento continuando a permettere l'entrata nei nostri mercati di legno proveniente da conflitti sociali e ambientali in importanti aree forestali come quelle del bacino del Congo, dell'Amazzonia, del Sud-est asiatico, con la distruzione delle isole del Borneo e Sumatra e delle foreste dell'estremo oriente in Russia. In questi mesi le organizzazioni non governative hanno continuato a segnalare commerci dubbi. Greenpeace, ad esempio, ha evidenziato almeno 3 casi di importazione di legno illegale in Europa che dimostrano come ci sia ancora molto da fare per un'adeguata implementazione dell'EUTR. Solo quelli provenienti dalla Repubblica Democratica del Congo e intercettati in Germania sono stati confiscati dalle autorità competenti, un chiaro avvertimento per le aziende del settore che importano legno di origine controversa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali azioni intenda intraprendere per attivarsi prontamente per vigilare sul mercato del legname, aumentando gli sforzi e le risorse, per compiere tale obiettivo e se non reputi il ritardo nell'attuazione del regolamento 995/2010 (regolamento europeo del legno European Union Timber Regulation – EUTR) svantaggioso, anche in termini di credibilità politica, per il nostro paese, che proprio, durante il semestre alla Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, non rispetta i propri obblighi nei confronti dell'Unione europea stessa e nella lotta alla deforestazione planetaria. (5-03284)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Cooperlat società cooperativa Agricola, costituita nel 1982 nelle Marche quale «polo del latte» per la raccolta, la lavorazione e la conservazione del latte alimentare e dei suoi derivati, la commercializzazione all'ingrosso e al minuto dei prodotti alimentari in genere, del latte, del burro, della panna, del formaggio, nonché altri prodotti e sottoprodotti lattiero caseari di sua produzione è composta da 13 cooperative di base, associa circa 1.000 produttori agricoli che conferiscono la materia prima latte ed è tra le prime aziende del settore lattiero-caseario in Italia e tra le più importanti all'estero; opera in concreto con linee principali prodotti caratterizzati da marchi Tre Valli e Hoplà leader nel settore delle creme vegetali;
   è una cooperativa a mutualità prevalente con un tasso di apporto dei soci pari al 52,90 per cento registrato nel 2011, che ha vissuto per circa trent'anni in armonia con una crescita graduale e costante fino a raggiungere nel 2010 un valore del fatturato di oltre 203 milioni di euro, fintanto che in occasione del rinnovo delle cariche sociali del 26 aprile 2012 si è determinata una profonda frattura nella compagine sociale che ha visto collocare fuori dalla «governance» con una procedura di voto discutibile e ardita, la parte più qualificata delle cooperative di base, ossia la Coalac Società cooperativa Agricola, la Frentana Società cooperativa agricola ar.l. e la Petrano Società cooperativa agricola ar.l., che sono le uniche aziende produttrici marchigiane e abruzzesi di latte fresco di alta qualità con conferimento totale alla Coperlat, mentre sono rappresentate aziende cooperative minori con conferimento parziale del latte;
   nel mese di gennaio 2014 si è svolto un incontro con i rappresentanti delle istituzioni locali, degli allevatori marchigiani, con il sottosegretario Castiglione, il presidente della Commissione agricoltura della Camera Luca Sani e l'interrogante, al fine di comprendere meglio la vicenda e scongiurare la chiusura dello stabilimento Coalac di Ascoli Piceno, polo di lavorazione del latte fresco;
   lo stabilimento Coalac è stato chiuso nel mese di giugno 2014 con grave ricaduta occupazionale e sul sistema allevatoriale marchigiano;
   da notizie di stampa pare si sia formato un tavolo di trattativa presso la regione Marche, dal quale sembrerebbe scaturire il reale intendimento di vendere lo stabilimento ad imprese concorrenti le quali confermerebbero la chiusura acquisendo solo le eventuali quote di mercato;
   tutto ciò produrrebbe, come sta già avvenendo, il ricorso all'approvvigionamento di latte da fuori regione ed anche dall'estero –:
   se, anche in considerazione della riconfermata procedura di infrazione da parte dell'Unione europea al nostro Paese in materia di «quote latte», possa istituirsi presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali un tavolo di concertazione tra l'azienda, i rappresentanti dei lavoratori e le istituzioni locali, al fine di fare maggiore chiarezza sull'intera vicenda e superare le attuali difficoltà che sembrerebbero derivate più da conflitti nella governance della cooperativa che da reali difficoltà produttive e di mercato, in modo che tutto ciò possa aiutare a riaprire il sito Coalac di Ascoli Piceno nel più breve tempo possibile. (4-05625)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, MANTERO, DI VITA, LOREFICE, DALL'OSSO, SILVIA GIORDANO e CECCONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza della Corte Costituzionale 151/2009 ha riconosciuto fra i diritti tutelati dalla Costituzione le «giuste esigenze della procreazione»; a livello europeo, è intervenuta la Corte europea dei diritti dell'uomo che ha riconosciuto come il diritto alla ricerca della genitorialità rientri fra i diritti alla vita privata e familiare, tutelati dall'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   la fecondazione assistita è stata oggetto negli anni di un articolato dibattito, in particolare relativo all'uso di alcune tecniche, come la fecondazione eterologa, la clonazione, la commercializzazione di embrioni, la maternità surrogata, la produzione di embrioni a fini di ricerca o di sperimentazione che suscitano controversie di tipo bioetico;
   in seguito a tale dibattito è stata varata la legge 19 febbraio 2004, n. 40, che ha vietato tali pratiche e che ha mostrato come quello dell'infertilità sia divenuto un autentico problema sociale che coinvolge di anno in anno un numero maggiore di coppie;
   la legge quadro nazionale è la legge n. 40 del 2004 che disciplina la materia inserendo fra i principi quello di favorire l'accesso per le coppie infertili alle metodiche della procreazione medicalmente assistita e che prevede lo stanziamento annuale di fondi a disposizione delle regioni (articolo 18). È da evidenziare che finora la regione siciliana è l'unica regione a non aver mai utilizzato i suddetti fondi a differenza di altre regioni, come risulta dalle relazioni annuali del Ministero della salute;
   nel 2005, si procedette ad una consultazione referendaria articolata in quattro referendum per abrogare alcuni punti dell'attuale legge sulla fecondazione, giudicata dai referendari (radicali, forze di sinistra e laiche, e alcuni esponenti, come ad esempio Gianfranco Fini, dello schieramento di centrodestra) troppo restrittiva nelle tecniche utilizzabili. L'affluenza alle urne del solo 25,9 per cento non ha permesso il raggiungimento del quorum;
   solo pochi mesi fa la Corte costituzionale ha ritenuto illegittimi alcuni aspetti controversi della legge n. 40, tra i quali il limite di produzione di tre embrioni nonché l'obbligo legislativo di «un unico e contemporaneo impianto»; la stessa ha dunque respinto la questione di costituzionalità sul divieto di fecondazione eterologa, ritenendo che tale scelta rientri nel legittimo esercizio della discrezionalità del legislatore, e dichiarando illegittimo tale divieto;
   in data 9 aprile 2014, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del divieto di fecondazione eterologa per coppie non fertili, e ha deciso di far cadere il divieto che proibiva il ricorso a un donatore esterno (dunque della legge n. 40 del 2004, articoli 4, comma 3, 9, commi 1 e 3, e 12, comma 1), consentendola, così, come in tutta Europa;
   tutto ciò apre prospettive nuove in questo campo, perché anche le coppie sterili avranno la possibilità di accedere alla fecondazione. Diventa lecita, quindi, la donazione di ovuli e di spermatozoi;
   un fenomeno che ormai si sta sempre più verificando è la migrazione delle coppie da alcune regioni ad altre; in particolare tale fenomeno di esodo si verifica nella regione siciliana, provocando di conseguenza un depauperamento delle risorse economiche del servizio sanitario regionale;
   la migrazione ha ragioni diverse; tra queste, assume rilievo il fatto che a fronte di un alto costo nel privato e di una scarsissima offerta nel pubblico, caratterizzata peraltro da liste di attesa fino a due anni, le prestazioni di procreazione medicalmente assistita delle strutture pubbliche e convenzionate di altre regioni sono erogabili a costi ridotti ed estremamente inferiori a quelli siciliani, perché tali regioni da anni erogano all'interno del proprio sistema sanitario regionale le prestazioni di procreazione medicalmente assistita;
   in Toscana, fino a metà 2012, il costo di una Fivet era erogabile con un ticket di 36,15 euro (attualmente 500,00 euro), in Lombardia, si pagava e si paga un ticket anche in questo caso minimo (36 euro circa), in Emilia Romagna il costo varia dai 371,00 ai 473,00 euro, a seconda della fascia di reddito;
   inoltre, le strutture pubbliche siciliane hanno fornito le prestazioni di procreazione medicalmente assistita pur non essendo incluse nei LEA nazionali né regionali e in assenza anche di una pur minima determinazione regionale, non essendoci delibere di riferimento, tanto che è stato creato un sistema «atipico», cioè assegnando le prestazioni a gruppi tariffari (DRG) appartenenti ad altre patologie o prestazioni;
   ovviamente si parla di un sistema che non risponde a criteri di appropriatezza della spesa sanitaria e contribuisce a favorire un modo «occulto» di fornire prestazioni che non sarebbe possibile erogare se non a seguito di delibera regionale o di delibere delle aziende sanitarie locali;
   i gruppi tariffari presi a riferimento riguardano altre patologie o altri tipi di intervento (DRG 359 e 365) per un costo a ciclo di circa 5.219,86 euro;  
   se solo si moltiplica tale costo per i 2.000 cicli fuori regione (come indicati nel piano sanitario regionale siciliano e considerando le percentuali che concernono Lombardia 18,9, Toscana 43,2, Emilia Romagna 36,2 e Lazio 18,9) – pur procedendo a un abbattimento del 30 per cento – si ricava la spesa per il servizio sanitario regionale di circa 6.000.000,00 euro all'anno;
   inoltre, in presenza di un sistema non pienamente rispondente alla normativa sanitaria, lo stesso risulta essere inappropriato e di conseguenza determina un movimento di denaro pubblico non in linea con le previsioni di legge, sia per il pagamento di DRG impropri sia per il pagamento non appropriato dei farmaci sugli stessi DRG impropri, che ben potrebbero essere oggetto di verifica da parte della Corte dei conti;
   «tutto ciò ha un impatto negativo non indifferente sui conti sanitari regionali», come si legge nel piano sanitario siciliano;
   con un decreto del 26 ottobre del 2012, appena due giorni prima che l'isola ritornasse alle urne per eleggere il nuovo governo regionale, veniva per la prima volta previsto un contributo alle coppie che decidessero di sottoporsi alla fecondazione assistita sull'isola;
   ovviamente questo provvedimento non ha risolto in alcun modo il problema perché a fronte di un contributo di appena mille euro, veniva imposta a tutti i centri siciliani la tariffa minima di 3.178 di euro per un trattamento di procreazione medicalmente assistita, prezzo ancora troppo alto poiché in altre regioni come la Lombardia basta pagare un ticket di 36 euro e 15 centesimi; il resto arriva sempre dal bilancio siciliano;
   inoltre, nel decreto non è prevista alcuna differenziazione per fasce di reddito al contrario delle altre regioni, e tale contributo vale solo per i 2.000 cicli previsti; dunque una volta terminati gli stessi, la coppia se si rivolge ai centri accreditati dovrà pagare 3.178 euro: il risultato è che le coppie siciliane continuano ad emigrare –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e non ritenga opportuno assumere iniziative al riguardo anche a seguito della sentenza della Corte costituzionale, procedendo all'aggiornamento delle linee guida secondo le indicazioni della Consulta che ha dichiarato la legittimità della fecondazione eterologa;
   se sia a conoscenza di quale sia il costo sostenuto dalla regione siciliana per far fronte alla mobilità di pazienti siciliani verso i centri di procreazione medicalmente assistita di altre regioni;
   se non ritenga opportuno promuovere un tavolo tecnico per individuare soluzioni più coerenti con le disattese aspettative dei pazienti e con le finalità individuate dal piano sanitario regionale della Sicilia e delle altre regioni. (5-03272)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta orale:


    MAGORNO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 giugno 2014 è entrato in vigore l'obbligo della fatturazione elettronica per i rapporti con le pubbliche amministrazioni;
   nell'ambito del Ministero della giustizia tale obbligo ha creato di fatto un blocco dei pagamenti in tutto il settore relativo alle «spese di giustizia»;
   i sistemi informatici utilizzati in questo settore, infatti, non consentono l'inoltro della fattura elettronica;
   la situazione di stallo che si è venuta a creare sta generando enormi problemi in particolare ai magistrati onorari, che di fatto non ottengono la retribuzione già da quasi 2 mesi e che rischiano di non averne per i prossimi 6, ed agli avvocati che operano con il gratuito patrocinio;
   il Consiglio nazionale forense ha chiesto uno slittamento dell'entrata in vigore dell'obbligo di fatturazione elettronica stante le criticità sopra evidenziate;
   a parere dell'interrogante si potrebbe pensare all'ipotesi di una deroga rispetto all'obbligo di emettere fattura elettronica nell'ambito delle «spese di giustizia» portando il termine al 30 aprile 2015, termine già previsto per gli enti locali e le università –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda assumere, per risolvere la grave ed evidente situazione di disagio causata dall'entrata in vigore dell'obbligo della fatturazione elettronica per i rapporti con le pubbliche amministrazioni. (3-00960)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud, nella sua edizione del 4 luglio 2014, ha pubblicato la situazione di difficoltà che stanno vivendo i cittadini residenti nel comune di Filadelfia (Vibo Valentia), a causa dei gravi disservizi nella consegna della corrispondenza da parte di Poste Italiane;
   questa situazione ha provocato ai cittadini danni non lievi a causa del fatto che utenze telefoniche o di erogazione luce e gas non sono state mai recapitate, consegnate o notifiche di contenziosi giudiziari mai notificati;
   gli utenti sono spesso costretti a recarsi personalmente presso l'ufficio postale per ritirare la posta, aspettando anche alcune ore prima di sapere se in giacenza ci sono bollette, raccomandate, o altro;
   oltre ai citati disservizi legati alla mancata consegna dei prodotti postali se ne aggiungono altri che rendono maggiore il disagio, soprattutto alle persone anziane o a quelle che non sono in grado di uscire di casa o che risultano costrette a raggiungere l'ufficio preposto con grave nocumento per la propria incolumità e sicurezza;
   la situazione risulta essere estremamente grave e coinvolge anche il personale preposto allo smaltimento della posta che, a causa dei notevoli problemi dovuti all'accumularsi della corrispondenza da mesi, non sembra più in grado di fronteggiare il disagio;
   le proteste dei cittadini non sono tardate ad arrivare; essi lamentano il mancato rispetto degli standard minimi che gli uffici postali devono rispettare;
   considerato il perdurare di queste gravi difficoltà, appare evidente che Poste Italiane non abbia a tutt'oggi elaborato un piano alternativo per poter affrontare la grave situazione d'emergenza;
   tale situazione, ad avviso dell'interrogante, è inadeguata per un Paese civile e lede pesantemente i diritti dei cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza di questa situazione creatasi presso l'ufficio postale di Filadelfia e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per risolvere tale problematicità, riaffermando, in questo modo, la centralità del diritto dei cittadini di vedersi recapitare la posta in tempi certi. (4-05613)


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2014 è stata convocata a Roma la conferenza di servizi per autorizzare la costruzione della centrale di compressione della Snam a Sulmona (L'Aquila), per iniziativa del Vice Ministro Claudio De Vincenti che appare all'interrogante condividere i disegni della Snam;
   contro questo progetto da anni si battono comitati popolari locali e il comune di Sulmona insieme a tutti gli enti locali;
   la regione Abruzzo si è pronunciata contro questo progetto e la Commissione ambiente della Camera dei deputati nella scorsa legislatura ha approvato un'analoga risoluzione, all'unanimità;
   in un incontro pubblico di un anno là, a Sulmona, con la partecipazione del sottosegretario pro tempore Giovanni Legnini, si era data ampia assicurazione che non ci sarebbe stata nessuna forzatura da parte del Governo nazionale;
   si era assunto l'impegno alla istituzione di un tavolo con tutti i soggetti per individuare soluzioni alternative condivise;
   questi impegni non hanno trovato alcun riscontro nei fatti e sono ora seppelliti dalla convocazione di questa conferenza dei servizi che rappresenta un atto in contrasto con gli indirizzi espressi dal Parlamento. La risoluzione approvata da tutti i partiti in sede di Commissione ambiente della Camera dei deputati è stata pretermessa e le regole e procedure di legge, ad avviso dell'interrogante, vengono applicate in modo da realizzare a tutti i costi un'opera fortemente impattante e pericolosa che nessuno vuole. Il fatto che tutti, comuni, provincia, e regione, abbiano espresso la loro motivata contrarietà all'opera, evidentemente per il Governo nazionale non conta nulla;
   in democrazia ci si confronta con i territori e le popolazioni che vi abitano, non si impongono dall'alto scelte precostituite che sono funzionali solo agli interessi di quelli che all'interrogante appaiono ben individuati potentati economici –:
   se non ritenga necessario procedere:
    a) alla revoca della convocazione della conferenza di servizi, palesemente inopportuna e indetta in contrasto con quanto indicato dalla risoluzione approvata dalla Camera dei deputati;
    b) a dare seguito a quanto indicato nella risoluzione della Commissione ambiente della Camera dei deputati citata in premessa attraverso l'istituzione del tavolo per le alternative. (4-05633)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cimbro.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Tullo e altri n. 7-00417, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mognato.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Baldassarre n. 4-05557, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paolo Nicolò Romano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Pinna e altri n. 5-03241, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vallascas.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta De Mita n. 4-04036 del 14 marzo 2014;
   interrogazione a risposta scritta Causin n. 4-05472 del 10 luglio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-05519 del 15 luglio 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Binetti n. 5-03262 del 18 luglio 2014.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Tripiedi e altri n. 4-05590 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 267 del 18 luglio 2014. Alla pagina 15266, prima colonna, dalla riga prima alla riga seconda deve leggersi: «citati, considerando l'opportunità di riportare il tribunale di Desio e l'ufficio del» e non «citati, considerando l'opportunità di riportare tribunale di Desio e l'ufficio del», come stampato.