Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 20 novembre 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    Meridiana è un vettore strategico per il trasporto aereo nazionale ed in particolare per la Sardegna, il primo vettore privato della storia dell'aviazione civile italiana, che ha storicamente accompagnato lo sviluppo dell'Isola. Tuttora, essa riveste un ruolo cruciale per il territorio e per l'afflusso turistico e gestisce in regime di continuità territoriale le principali tratte per Olbia;
    Meridiana è un'azienda che dà lavoro a migliaia di persone e che negli anni più recenti ha operato una serie di attività di ristrutturazione volte ad abbattere il costo del lavoro, con particolare riferimento all'assorbimento del gruppo AirItaly ed al ruolo che tale azienda opera in tal senso;
    nonostante tutti i dati in possesso mostrino un attivo nei bilanci della compagnia e le recenti rilevazioni sui principali scali sardi ove opera la compagnia mostrino un incremento del numero dei passeggeri, con quello Olbia in particolare che registra un +9 per cento rispetto all'anno precedente, la compagnia ha annunciato la procedura di mobilità per 1.634 lavoratori – quasi 900 sardi ed altre centinaia di lavoratori operanti a Verona, Roma ed altre città – dopo quattro anni di cassintegrazione, senza che in alcuna maniera questa fase abbia portato a una riorganizzazione della compagnia che tenesse in considerazione la forza lavoro coinvolta;
    all'atto della rilevazione da parte di Meridiana AirItaly era una compagnia sull'orlo del fallimento, caratterizzata tuttavia dalla presenza di lavoratori più giovani rispetto a quelli della compagnia acquirente, quindi tendenzialmente meno «costosi»;
    nella fase successiva l'attività di Meridiana si è caratterizzata per il progressivo trasferimento ad AirItaly della gestione delle tratte aeree da una parte e per il progressivo disimpegno della flotta della casa madre dall'altra, determinando un esubero di fatto di lavoratori solamente nella parte riferibile a Meridiana;
    il rapporto fra Meridiana e Air Italy si configura ad avviso del firmatario del presente atto di indirizzo come un vero e proprio dualismo aziendale, con un travaso di attività dalla prima sulla seconda (esempio: gestione voli) e con Meridiana che interviene sui costi sostenuti dalla seconda e, ciò nonostante, la lista da cui si attingono i nominativi sui quali insiste la procedura di mobilità riguarda solo la prima delle due compagnie;
    tale controverso atteggiamento risulta oggi essere oggetto di una indagine della procura di Tempio Pausania, orientata a delineare i profili del rapporto esistente fra Meridiana e AirItaly;
    Meridiana è un vettore privato che gestisce rotte in concessione pubblica ed una parte del servizio è operato in regime di «continuità territoriale», perciò sovvenzionato attraverso risorse pubbliche, in un settore che – ad ogni evidenza – non solo presenta intrinsecamente un connotato di fondamentale servizio pubblico ma che allude direttamente all'effettiva esigibilità del diritto alla mobilità dei sardi;
    tale natura pubblicistica del servizio operato e di una gran parte delle risorse economiche incamerate dalla compagnia giustifica non solamente un forte interessamento del Governo ma altresì un necessario e perentorio richiamo della proprietà e della direzione aziendale a un principio di responsabilità sociale e – quindi – a una attenzione maggiore nei confronti di centinaia di lavoratori che nel corso di decenni di lavoro hanno maturato competenze, professionalità e una affidabilità che in alcuna maniera può essere messa in discussione e – tanto meno – sprecata, se l'intenzione dell'Azienda è quella di continuare ad operare nei cieli nazionali;
    in data 18 novembre 2014 l'azienda ha dato notizia pubblica dell'avvenuta dimissione dell'amministratore delegato Scaramella «per motivi personali» ed immediatamente della sua sostituzione con una nuova struttura manageriale, che si è affrettata, nella sua prima dichiarazione pubblica a confermare gli esuberi già previsti, quindi una linea netta di continuità con l'amministrazione precedente;
    nessuna novità registrata sulla questione posta dalle rappresentanze dei lavoratori Meridiana sulla cosiddetta «lista unica», ovvero sulla possibilità che i licenziamenti non colpiscano solamente da una parte;
    questo nonostante le rappresentanze dei lavoratori si siano rese disponibili, sul tavolo della trattativa, a qualsiasi soluzione di carattere reddituale e di mutamento della condizione lavorativa potesse consentire di scongiurare i licenziamenti, ivi compresa quella dell'accettazione delle medesime condizioni attualmente previste per i dipendenti provenienti da AirItaly;
    una conclusione negativa della vertenza rappresenterebbe un ulteriore grave danno occupazionale per il Paese nel suo complesso ed in particolare per una regione come la Sardegna, già violentemente colpita dalla crisi economica, dalla rapidissima deindustrializzazione, da tassi di disoccupazione elevatissimi, da una condizione sociale drammatica che rischia di minare definitivamente la comunità sarda e la tenuta di una soglia minima di convivenza civile;
    si tratta di 119mila disoccupati, 130mila sfiduciati, 16mila lavoratori in mobilità, un tasso di disoccupazione giovanile che supera abbondantemente la metà della base occupazionale, un tasso di inattività fra le fasce più giovani che sfiora il 75 per cento, decine di migliaia di persone precipitate sotto la soglia di povertà, tassi di emigrazione che tornano a diventare preoccupanti come fu nel secondo dopoguerra. Una crisi strutturale che ha varcato le soglie della condizione materiale per investire quella psicologica di una popolazione ormai in ginocchio;
    i lavoratori di Meridiana sono stati capaci, nell'organizzare una marcia per il lavoro che ha attraversato – in maniera pacifica e civile – tutta la Sardegna e che si è conclusa il 17 novembre 2014 a Cagliari, di rappresentare uno stato di crisi ed una «vertenza unica», che è quella di un'isola che non ha mai visto risolversi i gap strutturali che ne minano alle fondamenta le grandi potenzialità e che continuano nel XXI secolo ad inquadrare lo status di insularità come un pregiudizio insormontabile alla costruzione di un progetto di sviluppo ordinato, duraturo, insediato nelle vocazioni locali;
    i due grandi temi dell'energia e dei trasporti (aereo, marittimo, ferroviario, viario) continuano ad essere le grandi «irrisolte» per la Sardegna, i due grandi massi che limitano e soffocano lo sviluppo di una economia solida e vitale, che senza un sostegno ed un investimento pubblico alla crescita costringono l'isola in una condizione di marginalità, impoverimento, sottosviluppo;
    in questo senso la «questione sarda» va valutata come fatto di rilevanza nazionale, con le sue condizioni di assoluta specificità rispetto alla questione meridionale e rispetto alla più generale crisi del Paese, che merita perciò una trattazione separata, un progetto di rinascita e sviluppo ad hoc un concorso di forze di tipo nuovo fra lo Stato, la regione, le forze politiche, sociali ed economiche e che coinvolga in primo luogo l'Unione europea,

impegna il Governo:

   ad operare affinché la vertenza Meridiana si risolva con la massima garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali esistenti limitando comunque al minimo possibile i licenziamenti;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per far valere presso la proprietà dell'azienda il principio inderogabile del vincolo solidaristico e della responsabilità sociale contenuti nella Costituzione della Repubblica italiana;
   ad impedire la dispersione di una forza lavoro come quella di Meridiana che presenta profili di eccellenza;
   ad inaugurare un tavolo sulla «questione sarda» che metta in campo un necessario ed urgente piano per la rinascita economica e sociale della Sardegna.
(1-00673) «Piras, Scotto, Palazzotto».

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni VI e XII,
   premesso che:
    il gioco d'azzardo patologico (GAP) è stato riconosciuto ufficialmente come patologia nel 1980 dall'Associazione degli psichiatri americani ed è stato classificato nel DSM IV come «disturbo del controllo degli impulsi non classificati altrove», tanto che nell'edizione di maggio 2013 del DSM, è stato inquadrato nella categoria delle cosiddette «dipendenze comportamentali»;
    il fenomeno del gioco d'azzardo patologico riguarda le fasce della popolazione più deboli quali i disoccupati, i giovani, i pensionati, gli indigenti, come dimostrano i dati forniti dall'EURISPES;
    con la liberalizzazione del mercato portata avanti dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non si è avuto alcun reale beneficio per le casse pubbliche: infatti, dalla documentazione consegnata dal direttore dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli alla Commissione parlamentare VI della Camera dei deputati nel giugno del 2013, si rileva come negli ultimi anni, a fronte dell'aumento esponenziale del fatturato delle società attive nel settore, emergono: la diminuzione delle entrate erariali, il mancato gettito d'IVA conseguente alla diminuzione dei consumi, i costi indiretti necessari per la cura delle vittime da gioco d'azzardo patologico e non ultimi i costi sociali per il sostegno alle famiglie per lo più a carico dei comuni;
    le stime riguardanti il gioco d'azzardo in Italia, indicano la sua progressiva diffusione sul territorio nazionale; per l'anno 2012 nel nostro paese, nel business dell'azzardo sono stati spesi circa 88 miliardi di euro, oltre 6 volte rispetto ai 14 miliardi di euro spesi nel 2000, questo ne fa la terza industria nazionale con il 4 per cento del PIL prodotto. Tali cifre rendono l'Italia il terzo Paese al mondo per quote di denaro speso nel gioco d'azzardo e il primo nell'Unione europea;
    nel nostro Paese, sono circa un milione i giocatori patologici, e, altri tre milioni di persone si trovano in una situazione di rischio e necessitano cure, attività di prevenzione, e, sostegno sociale, da parte delle autorità locali civili e sanitarie, secondo quanto riportato dal Consiglio nazionale delle ricerche in un'analisi dei dati OPSAD Italia 2010-2011; nonostante il notevole impatto sociale e sanitario, continuano ad essere autorizzati e pubblicizzati nuovi giochi che attentano allo stato di crisi che molte famiglie sono costrette a vivere, come da ultimo la nuova lotteria Sisal «Vinci casa», un gioco che fa leva sulle paure dei cittadini sempre più in balia della crisi economica, in un momento in cui l'emergenza abitativa ha raggiunto livelli senza precedenti in Italia;
    dal 7 febbraio 2011, è iniziata la sperimentazione dei biglietti «Gratta e Vinci» anche negli uffici postali, mediante un accordo tra Lottomatica Group spa e Poste italiane, generando un problema di regolamentazione, invero, come riportato da alcune testate giornalistiche, secondo parte della giurisprudenza di diritto del lavoro il problema è di discriminare le attività strettamente connesse al servizio universale postale rispetto a quelle di natura commerciale-finanziaria-ludica (gratta e vinci) peculiari dell'ufficio postale standard. Un servizio pubblico che incentiva una piaga sociale è intollerabile, dato che è stato provato che la riduzione dell'offerta sia l'arma più importante per combattere il gioco d'azzardo patologico;
    gli studi hanno evidenziato che tra i soggetti più a rischio ci sono gli anziani che sono anche tra i maggiori utenti degli uffici postali;
    vi sono, inoltre, Sale Bingo con servizio baby sitting, dove i genitori possano lasciare i figli in «parcheggio» mentre giocano, come il caso di Cesano Maderno, dove i locali sono separati ma comunque in un'unica stessa struttura, e di Lovere, ristorante e discobar con annessa sala gioco dove famiglie, giocatori e bambini condividono gli stessi spazi;
    da un articolo apparso sul sito Post.it, si apprende, che i giornalisti della Gazzetta dello Sport protestano per la nascita di un'agenzia di scommesse sportive addirittura interna al gruppo RCS, ipotizzando un conflitto d'interessi;
    stando a quanto riportato nel comunicato, GazzaBet sarà un'agenzia di scommesse sportive online interna al gruppo RCS ma gestita da un operatore esterno, così da sfruttare il marchio e il nome Gazzetta dello Sport;
    i giornalisti della Gazzetta dello Sport che contestano l'iniziativa hanno sollevato una serie di questioni «di carattere etico giuridico e deontologico» e una – piuttosto consistente – legata a un possibile conflitto di interesse che si verrebbe a creare all'interno di RCS. Infatti tra gli azionisti del gruppo Rcs ci sono anche diversi proprietari di importanti club della Serie A di calcio come l'Inter, la Juventus, la Fiorentina e il Torino; i giornalisti temono dunque che questa condizione possa compromettere l'indipendenza del giornale;
    le ricerche della DNA (direzione nazionale antimafia), segnalano cifre allarmanti anche per quanto riguarda il coinvolgimento delle mafie e il gioco illegale: infatti, secondo una ricerca, ammonterebbe a 15 miliardi di euro il fatturato, stimato, del gioco illegale nel 2012;
    un'infiltrazione, quella della mafia, confermata, oltre che dalle indagini giudiziarie e dalle notizie di cronaca, anche da studi e ricerche compiuti da associazioni e da esperti nel settore, dalle relazioni pubblicate dalle medesime forze dell'ordine, tra le quali anche la direzione nazionale antimafia, e dal lavoro svolto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, soprattutto nei settori più redditizi del sistema, quali gli apparecchi da intrattenimento (new slot e videolottery, di cui circa 200 mila sarebbero illegali), le scommesse sportive e il gioco online;
    la criminalità organizzata utilizza il gioco d'azzardo attraverso diversi canali: sia come business, gestendo direttamente sale gioco, sia utilizzando gli strumenti per loro tradizionali, e dunque costringendo gli esercenti – con la forza dell'intimidazione – a noleggiare gli apparecchi dalle ditte vicine al clan; ma ha anche fatto ricorso, per aumentare gli introiti, alla gestione di apparecchi irregolari. Uno dei modi utilizzati per il riciclo di denaro, riguarda l'utilizzo delle videolottery, macchinette che accettando banconote, anche di grosso taglio, e, rilasciando ticket, non distinguono tra vincite e denaro immesso, consentendo al giocatore di ritirare il denaro anche senza aver giocato effettivamente, ottenendo, quindi, di fatto, denaro ripulito;
    la legge n. 190 del 2012, all'articolo 1, comma 39, prevede espressamente: «Al fine di garantire l'esercizio imparziale delle funzioni amministrative e di rafforzare la separazione e la reciproca autonomia tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi, le amministrazioni pubbliche (...) comunicano al Dipartimento della funzione pubblica, per il tramite degli organismi indipendenti di valutazione, tutti i dati utili a rilevare le posizioni dirigenziali attribuite a persone, anche esterne alle pubbliche amministrazioni, individuate discrezionalmente dall'organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione»;
    a tal proposito non si rilevano atti di nomina di alcuni dirigenti dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, i quali devono essere assunti tramite concorso ex legge n. 195 del 2001;
    tra le disposizioni in materia di gioco d'azzardo già previste dal decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), in particolare è previsto «l'inserimento di livelli essenziali di assistenza (LEA) delle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatia», da realizzare mediante aggiornamento degli stessi LEA;
    il gioco d'azzardo patologico è considerato come una delle «nuove droghe» e per questo, con l'inserimento nei LEA, sarà curato nei Sert, con l'obiettivo di affermare «il principio che le persone affette da ludopatia hanno diritto ad accedere al servizio sanitario nazionale per ricevere le prestazioni di cui hanno bisogno, al pari dei soggetti con altre forme di dipendenze patologiche»;
    i Lea sono stati definiti a livello nazionale con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, entrato in vigore nel 2002, e con la riforma del titolo V della Costituzione, ed è stato previsto per le regioni la possibilità di utilizzare risorse proprie per garantire servizi e prestazioni aggiuntive (ma mai inferiori) a quelle incluse nei Lea, così che i Lea possano essere diversi da regione a regione, fermo restando che quelli definiti a livello nazionale vengono garantiti in tutto il territorio italiano;
    i Lea, base del nostro sistema sanitario, dovrebbero garantire che nessuno sia escluso dalle cure, come disciplinato sia all'articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela a salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti», e dalla legge di istituzione del servizio sanitario nazionale del 1978, che ha introdotto per la prima volta il concetto di «livelli di prestazioni sanitarie che devono essere garantiti a tutti cittadini»,

impegnano il Governo:

   ad assumere un'iniziativa normativa che vieti l'apertura delle sale da gioco ovvero locali commerciali con slot, vicino ai luoghi definiti sensibili, stabilendo un minimo di 500 metri di distanza, per combattere il proliferare delle slot;
   ad assumere iniziative normative per obbligare i gestori di sale a chiedere un documento d'identità, per impedire il gioco ai minori, oltre a garantire il libero accesso nei luoghi aperti al gioco agli psicologi delle Asl;
   ad evitare autorizzazioni di nuove tipologie di gioco, come ad esempio il «Vinci Casa», che inevitabilmente provocano illusioni in coloro che non hanno un tetto o altro dove vivere e per sopravvivere;
   ad intervenire, per quanto di competenza, affinché all'interno degli uffici di Poste italiane venga rimossa la vendita di «gratta e vinci» mediante distributori e operatori;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite tramite il gioco d'azzardo e, nella fattispecie, le videolottery;
   ad aprire un tavolo, in sede di Conferenza unificata, per valutare la possibilità di ridurre i locali del gioco d'azzardo in città, in base al numero degli abitanti;
   ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate ad impedire conflitti di interesse come quelli denunciati in premessa riguardanti l'agenzia di scommesse sportive interna al gruppo RCS, nonché ulteriori disagi economici e sociali che ne potrebbero derivare;
   a rendere noti tutti i contratti di concessione pubblica nell'apposita sezione del sito, dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, riferita all'amministrazione trasparente decreto legislativo n. 33 del 2013;
   ad aggiornare la pubblicazione di tutti gli organigrammi e delle rispettive retribuzioni dei dirigenti, nonché di tutti gli atti di nomina;
   a valutare concretamente quali siano le iniziative più efficaci da adottare per far applicare la normativa già in vigore, ma sino ad oggi nettamente disattesa, in riferimento al ripristino dei livelli essenziali di assistenza negati e all'inserimento negli stessi livelli essenziali di assistenza delle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da gioco d'azzardo patologico;
   a prevedere linee guida predisposte dall'Istituto superiore di sanità per programmi clinici di assessment, diagnosi, cura e riabilitazione ambulatoriale delle persone affette da GAP che prevedono, altresì, visite mediche, colloqui di valutazione, attivazione di gruppi di aiuto o di mutuo soccorso, interventi psicoterapeutici ed educazionali di gruppo, in modo che sia garantito ai cittadini, nella valutazione dei servizi per le dipendenze, la possibilità di ricorrere al trattamento residenziale, anche avvalendosi di strutture convenzionate, e laddove non sia disponibile tale opzione, presso strutture pubbliche per la durata non superiore a trenta giorni.
(7-00535) «Mantero, Pesco, Baroni, Grillo, Cecconi, Dall'Osso, Di Vita, Silvia Giordano, Cancelleri, Alberti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   gli interpellanti intendono porre, all'attenzione dei ministri interpellati sul caso del progetto di restauro, rifunzionalizzazione e riuso delle Logge del Tiratoio, a Gubbio. Rispetto all'edificio in questione il piano attuativo n. 04, «macroarea Centro Storico», adottato dal comune di Gubbio (Perugia) con atto n. 37 del 10 settembre 2013;
   in data 16 ottobre 2013 quotidiano «Il fatto Quotidiano» con un'articolo a firma di Tomaso Montanari da titolo «Patrimonio all'Italiana. Gubbio, lo scempio dell'opificio» descriveva come: «[...] Oggi a Gubbio verrà presentato un progetto di “restauro, rifunzionalizzazione e riuso” delle Logge del Tiratoio, recentemente acquistate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia. Si tratta di un prezioso esempio di opificio del Seicento, innestato su un'architettura medioevale: una struttura coperta, ma con amplissime aperture, che dovevano servire a far circolare l'aria che asciugava i panni lì messi a “tirare”[...] Il punto è che il progetto prevede di trasformare la Loggia in un centro congressi, tamponando le aperture con telai d'acciaio e cristalli, con tanto di tende oscuranti e attrezzatura tecnologica. Un'idea lunare, che appartiene di diritto alle serie illustrata poco sopra. Stando alla stampa locale, la soprintendenza avrebbe già approvato il progetto: ma se il rendering pubblicato nei giorni scorsi su “Tutto Gubbio” è fede-degno, non si capisce proprio come possa aver fatto, perché le grandi vetrate snaturano l'identità e la forma delle Logge fino a cancellarle come monumento»;
   in data mercoledì 30 ottobre 2013, il quotidiano «Il Manifesto» pubblicava il seguente articolo a firma di Giovanna Nigi dal titolo «Il progetto delle Logge dei Tiratori di Gubbio» in cui si descriveva come: «Le Logge dei Tiratori di Gubbio sono diventate il “loggiato della discordia” sui giornali locali. Il motivo è tutto nel progetto di ristrutturazione, o meglio di “chiusura” a base di vetri e acciaio, presentato da Carlo Colaiacovo, presidente della fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, proprietaria di questo pezzo di patrimonio della città dal 2012 dopo averlo rilevato da Unicredit.[...] i proprietari, venuti tragicamente in possesso di un bene monumentale che doveva restare pubblico, cercano di ristrutturare, “rifunzionalizzare”, come dicono loro, qualcosa che percepiscono come “vuoto architettonico”. [...] Ma dare “la colpa” alla proprietà in fondo non serve. La responsabilità vera, in tutta questa amarissima vicenda, è della Soprintendenza, che in soli due giorni ha dato il via libera al progetto, quando, come tutti gli eugubini sanno bene, non esiste in città, e a ragione, la possibilità di aprire nemmeno un miserevole lucernaio o di spostare una singola pietra da parte dei privati. Inesplicabile anche il parere favorevole della commissaria prefettizia Maria Luisa D'Alessandro, intervenuta alla guida della città dopo il suicidio del Consiglio Comunale, che si è detta felice del raggiungimento dell'equilibrio di bilancio, grazie alle entrate che il Comune percepirà in seguito a un intervento di tale portata. “Il progetto è ritenuto valorizzante e non impattante per la città” ha concluso la commissaria, alla quale più di un soggetto politico aveva rivolto la preghiera di demandare una decisione tanto importante agli organi amministrativi una volta eletti»;
   la rilevanza del progetto avrebbe dovuto consigliare una maggior cautela nell'approccio alla proposta di riuso avanzata, di evidente valenza urbanistica; che questo aspetto, ovvero la rilevanza urbanistica dell'atto da adottare, era particolarmente delicato nel momento in cui anche le funzioni del consiglio comunale erano affidate ad una persona sola, il commissario prefettizio;
   un criterio di opportunità avrebbe dovuto suggerire di non trattare una questione di così alta rilevanza come una ordinaria pratica edilizia, ma viceversa di aprire un ampio ed articolato confronto pubblico sul progetto, con il coinvolgimento dei cittadini, delle categorie, delle professioni, di esperti di rilevanza nazionale in conservazione dei beni culturali, illustrandone contenuti e finalità, proponendo piani di lettura e sapendo ascoltare, per accogliere o confutare, piani di lettura diversi del progetto;
   in mancanza di tutto ciò, il piano attuativo ed il relativo progetto hanno ad oggi secondo gli interroganti inspiegabilmente ottenuto il rapido benestare sia del commissario prefettizio di Gubbio, che degli uffici centrali e periferici del Ministero dei beni e attività culturali, protocollo MBAC-DR-UMB SG01 0000254 15/01/2014 CI. 34.34.01/1, adducendo motivazioni per lo più superficiali e infondate;
   tra queste motivazioni infondate, c’è quella di far vedere dalle logge dei Tiratori della Lana il panorama di Gubbio ai diversamente abili, senza considerare che nella città ci sono due ascensori ed anche una funivia per raggiungere una terrazza collocata sul «Colle eletto»;
   risulta altresì privo di fondamento, come ha dimostrato la plurisecolare storia del monumento e tanto più dopo i lavori di ristrutturazione e consolidamento avvenuti negli anni ’80, il rischio che un forte vento possa causare lo «scoperchiamento» del tetto, scongiurato, secondo la Commissione ministeriale, con l'inserimento di vetrate, che eviterebbero anche la rapidità del degrado causata dal guano dei volatili e dagli agenti atmosferici; «rischio», quest'ultimo, che dovrebbe allora consigliare la chiusura di tutte le celle campanarie storiche d'Italia;
   sono del tutto imparagonabili con le Logge dei Tiratori di Gubbio gli esempi addotti nel documento del Ministero per i beni e le attività culturali, quali il Colosseo, dove nessun vetro è visibile dall'esterno, il Cortile del Marco Aurelio sul Campidoglio, chiuso per ampliare i Musei Capitolini, che non impatta minimamente col paesaggio circostante e non è visibile, se non a diretto contatto, il Chiostro del Bramante alla Pace, che è interno e quindi con nessuna interferenza con l'esterno. Le Logge dei Tiratori di Gubbio, costituiscono, a differenza degli esempi sopra citati, un tutt'uno con le architetture circostanti, il «colpo d'occhio» che la città offre appena si accede ad essa, la «cartolina», possiamo dire, e il prestigioso biglietto d'ingresso, universalmente conosciuti;
   al contrario del caso eugubino, La Loggia dei Mercanti a Milano ha avuto uno stop immediato alla proposta di chiusura con i vetri da parte di una saggia sovrintendenza, dal momento che contrastava con il concetto stesso di loggia che per definizione è uno spazio aperto direttamente sull'esterno da uno o più lati; ci si domanda, a questo proposito, come due sovrintendenze, possano adottare due modi opposti di agire in situazioni analoghe, nel medesimo Stato;
   appaiono per tutto quanto sopra esposto, pienamente condivisibili le preoccupazioni e le riserve a più riprese espresse sul progetto dalle associazioni «Italia nostra», «Terra mater» e dal Comitato cittadino per la tutela dell'ambiente e del paesaggio, così come gli inviti rivolti agli enti di riconsiderare e ritornare sui pareri e le autorizzazioni date, al fine di sollecitare ulteriori riflessioni, prima della definitiva approvazione del piano attuativo e del progetto che, così come configurati, potrebbero rappresentare una forte manomissione dell'edificio e dell'aspetto complessivo della città di Gubbio –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se, viste le considerazioni in premessa, non si voglia valutare la possibilità di riconsiderare mediante un adeguato intervento normativo nell'ambito delle proprie competenze, le autorizzazioni già concesse e disporre contestualmente che venga avviato ex novo un iter di profonda rivisitazione dell'intero progetto, in particolare per quanto riguarda la chiusura con vetrate del loggiato, in modo che il riuso e la rifunzionalizzazione delle Logge dei Tiratori non risultino in contrasto con le prescrizioni delle numerose Carte del restauro e di quelle per la salvaguardia delle città storiche emanate negli ultimi decenni, proprio al fine di evitare interventi di stravolgimento dell'architettura e dell'urbanistica storica.
(2-00755) «Zaccagnini, Fratoianni, Giancarlo Giordano».

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCÀ, BRUGNEROTTO, ROSTELLATO, TOFALO e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a qualche mese la comunità scientifica ha definito la straordinaria efficacia di nuovi farmaci tra cui (il sofosbuvir) contro l'epatite C, la quale per essere curata con la terapia standard sottopone i malati a una via crucis che non sempre ha successo;
   efficacia del farmaco è stata attestata da numerosi esperti e studiosi della ricerca medico scientifica; infatti, da fonti ISMETT (Istituto mediterraneo per i trapianti e terapie ad alta specializzazione) si apprende che l'utilizzo dei nuovi farmaci con attività diretta contro l'epatite di cui il Sofosbuvir è il primo ad essere introdotto in Italia, consente di raggiungere la completa guarigione dall'infezione in oltre il 90 per cento dei pazienti trattati. Si tratta inoltre di farmaci in genere ben tollerati e che si assumono per bocca per periodi relativamente limitati (dai 3 ai 6 mesi). Il principale (al momento unico) ostacolo all'utilizzo su ampia scala è rappresentato dal costo elevato (oltre 60.000 euro per un ciclo di 3 mesi di terapia);
   l'infezione da virus dell'epatite C rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica in Italia e, soprattutto, nelle regioni meridionali. Si stima che in Italia ci siano in questo momento circa 500.000 persone affette da epatite C, che causa ogni anno oltre 10.000 morti. La disponibilità di questi nuovi farmaci rappresenta una storica occasione per potere radicalmente e rapidamente modificare l'impatto clinico e sociale di questa malattia, consentendo di ridurre nei prossimi anni il numero di pazienti affetti da patologie del fegato e la mortalità ad esse correlata;
   ad oggi però, stante le intese tra l'agenzia regolatoria italiana (Aifa) e la Gilead Sciences (la ditta produttrice del farmaco), i pazienti che hanno accesso gratuito al trattamento con questi nuovi farmaci sono solo i malati più gravi (sieropositivi con cirrosi o tumore del fegato, già conclamati) tutti pazienti che rientrano in possesso dei requisiti previsti ai sensi del decreto ministeriale 8 maggio 2003 relativi all'uso compassionevole;
   l'agenzia regolatrice AIFA ha poi pubblicato una tabella in cui sono riassunti i dati aggiornati al 19 settembre 2014, relativi al numero di trattamenti con Sofosbuvir richiesti, ed approvati dai comitati etici, da cui si evidenzia che solamente il 30,6 per cento delle richieste totali nazionali risultano approvate, con un'evidente disomogeneità regionale relativamente sia alle richieste sia alle approvazioni;
   pertanto, i criteri andrebbero necessariamente ampliati fornendo gratuitamente il farmaco perlomeno a chi è in una fase di cirrosi compensata, poiché è uno stadio che mostra il fianco a molti altri problemi e peggioramenti;
   in più occasioni, il Ministro della salute ha annunciato il varo entro il 2014 di un piano nazionale per l'eradicazione dell'epatite C, che prevede la somministrazione nel nostro Paese di quei farmaci innovativi a tutti quelli che ne hanno bisogno e senza criteri selettivi, impegnandosi inoltre a portare la problematica all'attenzione del Consiglio dei ministri –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti;
   se e quali azioni intendano intraprendere, ognuno nell'ambito delle proprie competenze, al fine di autorizzare la prescrizione anche per tutti i pazienti affetti da forme meno gravi di infezione del virus, in un'ottica preventiva che si tradurrebbe successivamente anche in un contenimento di costi futuri, nonché per fissare, attraverso gli organi competenti, un complesso di regole che siano uguali in tutte le regioni d'Italia in termini di modalità e momento di accesso in modo da evitare disparità di trattamento, di migrazioni e di mobilitazioni tra le regioni;
   se e quali iniziative intendano intraprendere al fine di attuare il piano nazionale per l'eradicazione dell'epatite C già da mesi annunciato. (4-06946)


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, GRANDE, DI BATTISTA, SCAGLIUSI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto della peer review condotta nel 2014 dall'OECD sulle attività del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nell'ambito dei finanziamenti per lo svolgimento delle attività di cooperazione e sviluppo hanno rilevato sostanziali criticità tali da ravvisare l'indicazione di una sostanziale riforma nella gestione degli aiuti allo sviluppo;
   nel corso degli anni il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha provveduto alla chiusura di alcuni uffici di cooperazione all'estero – unita tecniche locali – probabilmente nei Paesi che non rientravano tra quelli suscettibili di attività di cooperazione e sviluppo;
   per quanto riguarda il Marocco, dopo la chiusura dell'UTL attuata nel 2011, risulta che si siano prodotti nuovi e sostanziali impegni di spesa e che siano state assegnate le competenze per le attività in Marocco alla Tunisia con delibera 105 del 18 ottobre 2012 predisponendo allo scopo un'apposita missione;
   sono stati erogati ulteriori finanziamenti, da ultimo con atto n. 59 del 29 aprile 2014 del direttore generale della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo per finanziare un «Fondo per il Coordinamento dei programmi» per 64.000 di euro;
   per la Cina, la cui UTL presso l'ambasciata d'Italia a Pechino è stata chiusa nel giugno 2012, sono stati stanziati ulteriori finanziamenti quali:
    1) con delibera 25 del 17 febbraio 2014 si è proceduto a un rifinanziamento di un fondo in loco per un importo di 47.000 euro a dono che in presenza dell'UTL era stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore sanitario;
    2) con delibera 26 del 17 febbraio 2014 si è proceduto a un rifinanziamento di un fondo in loco per un importo di 56.000 euro a dono che in presenza dell'UTL era stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore ambientale;
    3) con delibera 27 del 17 febbraio 2014 si è proceduto a un rifinanziamento di un, fondo in loco per un importo di 47.000 euro a dono che in presenza dell'UTL era stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore dei beni culturali;
    4) con atto n. 56 del 24 aprile 2014 si è proceduto a una conferma di validità di un finanziamento di un fondo in loco per un importo di 38.388,48 euro a dono che in presenza dell'UTL pare fosse stato sospeso nel 2011 per delle attività nel settore dei beni culturali;
   in Serbia, Bosnia, Kosovo, dopo la chiusura dell'UTL di Belgrado avvenuta nel 2013, sono stati stanziati ulteriori finanziamenti quali:
    1) con atto n. 36 del 13 marzo 2014 si è proceduto all'ulteriore stanziamento di 136.000 euro per «continuare a fornire assistenza tecnica e supporto alle Autorità locali» per la realizzazione di un'iniziativa già in corso denominata «Regional housing programme» e finanziata per un importo a dono di 5.000.000 euro con delibera n. 113 del 19 dicembre 2012;
    2) con delibera n. 124 del 7 ottobre 2014 viene costituito un fondo in loco in Bosnia pari a 1.200.000 euro, a valere sul capitolo di spese ordinarie e non di, emergenza;
    3) con delibera n. 129 del 7 ottobre 2014 viene costituito un fondo in loco in Serbia pari a 800.000 euro – a valere sul capitolo di spese ordinarie e non di emergenza –:
   se dalla chiusura delle UTL siano state effettuate missioni in loco e a quanto ammonti la spesa complessiva;
   quale sia lo stato di realizzazione dei progetti in corso, sia a dono sia attraverso i crediti di aiuto;
   se in relazione ai fatti di cui in premessa siano state inoltrate o si intendano inoltrare segnalazioni alla magistratura contabile per gli eventuali seguiti di competenza. (4-06960)


   DE LORENZIS, SCAGLIUSI e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 novembre 2012 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana Serie Generale Anno 153°, n. 260 la comunicazione relativa all'avviso «Giovani per la valorizzazione dei beni pubblici» e «Giovani per il sociale»;
   sono stati presentati in totale 590 progetti, di cui: 425 ammissibili alla valutazione; di questi solo 251 sono risultati idonei a finanziamento, ma esclusivamente i primi 66 progetti in graduatoria sono attualmente finanziati con gli iniziali 12.763.000,00 euro delle risorse programmate per l'attuazione dell'intervento nel quadro degli obiettivi del piano di azione e coesione;
   con decreto del Capo dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale n. 5 del 2014, all'articolo 1 comma 4, si prevede che gli ulteriori finanziamenti dovrebbero arrivare tramite successivi e separati decreti;
   in questi bandi di concorso hanno partecipato associazioni ed enti no profit composti da giovani con età inferiore ai 35 anni;
   tali misure sarebbero indispensabili al fine di sostenere le politiche giovanili per la valorizzazione di beni pubblici e per il sociale –:
   se sia prevista l'erogazione degli ulteriori fondi per attuare tutti i progetti idonei e a quale punto sia l'emanazione dei decreti volti al finanziamento dei progetti idonei. (4-06969)


   MANNINO e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Il 26 maggio 2014, l'ENEL spa, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Starace, ha sottoscritto con il comune di Roma un Memorandum of Understanding per la sponsorizzazione di un'iniziativa culturale su beni del comune medesimo, denominato The Hidden treasure of Rome;
   la giunta capitolina ha approvato il Memorandum il 7 novembre 2014;
   L'ENEL — società per azioni partecipata dal Tesoro dello Stato italiano — investe a oggi centomila euro per sostenere economicamente un'operazione di valorizzazione di beni archeologici e artistici, attualmente custoditi nel magazzino dell’Antiquarium di Roma. I reperti erano in mostra in un museo che — dal 1939 — è chiuso per inagibilità;
   quella che appare una lodevole iniziativa — di cui dà notizia anche il Corriere della sera dell'11 novembre 2014, nell'articolo significativamente intitolato Il giro del mondo dei tesori nascosti — in realtà è uno schiaffo in pieno viso ai giovani talenti italiani;
   il Memorandum infatti è volto a sponsorizzare l'invio delle casse del materiale in questione in Università degli Stati Uniti, nelle quali esperti e studiosi americani li sottoporranno a inventariazione, catalogazione e analisi sia chimico-materiale sia storica. Al termine delle operazioni, i beni torneranno in Italia per la fruizione espositiva;
   gli interroganti — evidentemente — ritengono ben possibile la circostanza che i docenti e studiosi delle università del Missouri o dell'Oklahoma siano persone di assoluta preparazione, cultura e rigore metodologico. In tal senso gli interroganti sono certi dell'esattezza delle informazioni fornite dal New York Times del 15 settembre 2014, che — legittimamente — sbandiera il progetto come un successo del sistema universitario statunitense;
   dalla lettura dello stesso quotidiano si apprende anche che altri 9 atenei statunitensi sono in attesa di altrettanti finanziamenti e dei reperti archeologici da studiare. Già considerevole di per sé tenendo conto che istituti e enti di ricerca hanno a mala pena i fondi per la corrente elettrica, la cifra di 100.000 euro moltiplicato per 9 diventa molto considerevole;
   tuttavia la conoscenza del patrimonio archeologico trova nelle università e negli enti di ricerca italiani punte di eccellenza non paragonabili a quelle di altri atenei europei o statunitensi;
   tanto più che risulta dal sito ufficiale dell'università del Missouri che la medesima ha indetto un bando per manifestazione d'interesse per un posto di professore di archeologia per il periodo 2015/2018;
   la tutela dei beni culturali compete allo Stato italiano e per esso al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, cui è stato già indirizzato l'atto ispettivo a risposta scritta n. 6896, e dei suoi organi periferici;
   la valorizzazione e la promozione del patrimonio culturale archeologico e storico artistico dovrebbe avvenire, principalmente, nel contesto di provenienza o di elaborazione del patrimonio stesso e che un ente territoriale quale Roma Capitale dovrebbe puntare a creare sul proprio territorio il valore aggiunto dell'incentivazione del patrimonio culturale e dello sviluppo socioeconomico della collettività;
   l'iniziativa dell'Enel e di Roma Capitale lancia una serie di segnali negativi che sembrano andare verso un graduale e progressivo disinvestimento sui beni culturali e verso la delocalizzazione e il decentramento di competenze e funzioni proprie delle soprintendenze statali, della soprintendenza capitolina e più in generale del Ministero;
   lo smembramento dei materiali e la loro dispersione in diverse sedi, peraltro fino al 2018, rende di fatto impossibile studiare e ricostruire i contesti di provenienza di questi materiali e ostacola il progresso degli studi degli specialisti italiani privandoli di fatto della possibilità di effettuare confronti con i materiali dell'Antiquarium;
   non sono noti gli standard secondo i quali i reperti saranno catalogati;
   non è noto se sia stato coinvolto l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione preposto alla emanazione degli standard catalografici fin dal 1975;
   nel campo dell'ITC per la catalogazione dei beni culturali in Italia sono attivi diversi laboratori all'avanguardia presso le Università che presso i principali enti di ricerca;
   risulta agli interroganti che saranno effettuati esami archeometrici. Sarebbe da valutare la possibilità di sottoporre i reperti ad esami diagnostici in uno dei tanti laboratori all'avanguardia presenti sul territorio nazionale sia presso le università che presso gli Enti di ricerca, i quali spesso sono carenti solo di fondi ma non di competenze;
   sarebbe stato il caso di coinvolgere le migliaia di professionisti con formazione e competenze specialistiche, colpite da una crisi occupazionale senza precedenti;
   mentre l'ENEL eroga 100.000 euro all'università del Missouri, tuttavia corrisponde pagamenti irrisori e in continuo ribasso agli archeologi professionisti che prestano assistenza scientifica nei suoi cantieri;
   una partecipata pubblica come l'Enel spenda le proprie risorse per sponsorizzare un'operazione commerciale che umilia le competenze italiane in favore di un marketing internazionale di dubbia efficacia per l'economia nazionale appare contrario a ogni logica politica e amministrativa;
   il Presidente del Consiglio ha più volte sostenuto che i giovani italiani devono ritrovare fiducia in se stessi e che tutti insieme ci si debba muovere in avanti per tirare fuori l'Italia dalla crisi. Non sembra che investire centomila euro, soldi di una società a partecipazione pubblica, in favore di università estere sia coerente con quel proposito –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritengano di chiedere conto all'Enel di quanto sinora è stato fatto, attraverso il membro in consiglio d'amministrazione di nomina del Ministero dell'economia e delle finanze, anche alla luce del chiaro rischio di una responsabilità erariale. (4-06974)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, VILLAROSA, ALBERTI, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI e PESCO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   come mostra chiaramente un video pubblicato sul sito internet di Greenpeace Italia, la mattina del 15 novembre 2014 tre gommoni della marina militare spagnola hanno ripetutamente speronato i gommoni degli attivisti di Greenpeace delle Canarie;
   gli ambientalisti dell'Artic Sunrise (la stessa che nel novembre 2013 tentò l'assalto alla nave russa di Gazprom causando l'arresto di 25 membri dell'equipaggio tra cui il nostro connazionale Christian D'Alessandro) stavano protestando contro la nave da trivellazione «Rowan Reinassance» che, per conto dell'azienda spagnola «Repsol», stava effettuando pericolose trivellazioni esplorative al largo delle isole di Lanzarote e Fuerteventura;
   l'aggressione dei militari spagnoli è avvenuta mediante tre gommoni provenienti dalla nave «RelàmpagoP43» e ha provocato la caduta in mare di una ragazza italiana di 21 anni che ha riportato una frattura e due tagli;
   grazie alle urla dei compagni, la ragazza è stata tratta in salvo da un sommozzatore della marina militare spagnola e successivamente trasferita in elicottero a Las Palamas dove ha ricevuto le necessarie cure mediche; tra l'altro, è rimasto ferito anche un altro attivista e i gommoni sono stati danneggiati;
   gli attivisti di Greenpeace denunciano da tempo le trivellazioni della «Rowan Reinassance» in acque profonde considerandole pericolose e distruttive e hanno chiesto al Governo spagnolo di proteggere l'ambiente e i cittadini delle Canarie ritenendoli ben più importanti del profitto di «Repsol» –:
   se sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritenga opportuno fornire assistenza legale gratuita alla malcapitata cittadina italiana;
   come intenda intervenire al fine di tutelare i cittadini italiani che, in altri Paesi, manifestano pacificamente contro le numerose violenze al suolo e al sottosuolo che interessano non soltanto la singola nazione ma l'Europa tutta. (4-06963)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARBANTI, TOFALO, BENEDETTI, PARENTELA e SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Legnochimica ha operato sul territorio del comune di Rende dal 1969, in un'area sita in località Cancello Magdaloni ed estesa su 7 ettari, ed era specializzata nella lavorazione del legno per l'estrazione del tannino (per uso conciario) e per la produzione di pannelli in fibra di legno;
   il processo di lavorazione per l'estrazione del tannino produceva, oltre che al tannino, residui di fibre di legno che, al termine delle fasi di lavorazione, venivano accumulati nel piazzale di pertinenza dei capannoni di proprietà della Legnochimica, siti in C. da Lecco;
   l'intero processo era sostenuto dall'impiego di una matrice acquosa per la cottura delle fibre di legno, che al termine delle fasi di lavorazione in cui il ciclo di produzione si articolava, veniva scaricata in bacini artificiali per la decantazione delle fibre di legno vergine per poi essere riciclata in testa alla linea. I residui di lavorazione (black liquor) venivano quindi sversati all'interno di questi mega-bacini, privi delle più elementari norme di isolamento, tanto da provocare, come accertato, l'inquinamento delle falde acquifere;
   il ciclo di produzione dei pannelli in fibra di legno ad umido, consisteva nella cottura a vapore del castagno detannizzato e del legno bianco per ottenere una massa fibrosa che, sottoposta a pressatura e contestuale cottura, veniva trasformata in pannelli. Anche questo processo era assistito da acqua che, oltre ad essere veicolo delle fibre legnose, era necessaria per la cottura delle stesse: acqua che veniva eliminata durante la fase di pressatura delle fibre e successivamente convogliata nei laghi artificiali;
   negli anni 1980-1987 l'azienda comincia a mostrare i primi segnali di crisi. Periodicamente vengono arrestate alcune lavorazioni e l'azienda comincia a far ricorso alla Cassa integrazione. Nell'anno 1992 viene dismessa la produzione della prima linea relativa alla produzione di pannelli legnosi;
   nell'anno 2000 viene realizzata dall'azienda una centrale a biomasse, grazie alla concessione di un contributo pubblico di 40 miliardi di lire (pari a circa 20 milioni di euro odierni), che prevedeva l'utilizzo degli scarti legnosi, senza provvedere ad alcun tipo di bonifica – ai sensi della legge 471/99 – per la rimanente parte del mega-bacino e successivamente, sul predetto sito, è stato realizzato un opificio commerciale per la vendita di autovetture (Ex Automeccanica Cosentina, poi acquistato dalla Peugeot-BMW);
   nell'anno 2001 viene venduta la centrale a biomasse alla società ECOSESTO del gruppo FALK. Nell'anno 2002 parte degli impianti vengono venduti alla Ledorex Sud srl che ne varia l'originaria attività produttiva e parte del terreno viene ceduto alla CalabriaMaceri (gruppo Pellegrino) di Rende, dove si realizza un impianto di selezione rifiuti. Le predette operazioni di cessione dell'area portano nelle casse della Legnochimica 38 milioni di euro;
   nell'anno 2003 cessano tutte le attività della Legnochimica e, nell'anno 2006, con verbale del 5 aprile 2014, l'assemblea dei soci decide di porre la società in liquidazione;
   in luglio 2011, l'area ex Legnochimica veniva posta sotto sequestro da parte della Procura della Repubblica di Cosenza, che, incaricando il prof. Crisci (attuale rettore dell'università della Calabria) di redigere apposita consulenza tecnica, avviava un autonomo procedimento di verifica dello stato di inquinamento dell'area. La medesima procura imponeva la data del 30/11/2011 come termine per effettuare una bonifica urgente dell'area;
   in data 04 novembre 2011, il prefetto acquisiva la relazione di perizia del professor Crisci, e rinnovava la richiesta di convocazione dei soggetti interessati al fine di definire modalità e tempi di attuazione delle opere di bonifica. Nella relazione il prof. Gino Crisci evidenzia che «la falda acquifera sotto ed in prossimità dei bacini artificiali, risulta gravemente contaminata, anche in profondità e che detta contaminazione si è estesa ai pozzi esistenti in zona». Si metteva in evidenza l'inquinamento da metalli pesanti (alluminio, ferro, manganese, arsenico, berillo, cromo, nickel, mercurio), benzene e tricloroetilene, con concentrazioni estremamente alte (in alcuni casi fino a centomila volte superiore al valore consentito per legge), sostanze classificate dalla IARC (International Agency Research of Cancer) al livello I, come rischio oncogeno documentato;
   del sito, in base ad ulteriori rilievi effettuati dall'Arpacal sulle acque sotterranee dei bacini artificiali, risulta confermata la contaminazione da sostanze cancerogene (diclorometano, tricloroetano, bromoclorometano, dibromoclorometano) in concentrazioni significative. In alcuni campioni di rifiuti prelevati nei laghi di accumulo, alla profondità di 1 metro, è stata accertata la presenza di altre sostanze cancerogene di categoria 1 e 2, come il Toluene ed il P-Isopropiltoluene –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se, per quanto di competenza, i Ministri interrogati abbiano posto in essere iniziative volte a verificare se i livelli di inquinamento in quelle aree, abbiano raggiunto livelli di guardia anche per il fronte di un'ispezione del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente. (4-06962)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella valle del Sacco persistono i gravissimi problemi ambientali e di salute dei cittadini provocati dall'inquinamento del fiume Sacco; l'area della valle è caratterizzata dalla presenza di numerose attività industriali e lo smaltimento incontrollato dei residui chimici di lavorazione ha determinato un forte rischio ambientale causando la contaminazione delle acque e del suolo;
   gli oltre 25 mila abitanti del comune di Ceccano, comune tagliato in due dal fiume Sacco, oggi vivono al massimo questo degrado ambientale; infatti, per anni allevatori e agricoltori hanno avuto animali e piantagioni a ridosso del fiume e per anni gli abitanti di Ceccano hanno mangiato prodotti che avevano legami con l'acqua del fiume;
   i dati pubblicati dal dipartimento di epidemiologia Asl Roma nel 2008 testimonia il grande aumento di tumori nell'area. Nel 2005, nei campioni di latte provenienti da aziende di allevamento della valle del Sacco, sono stati rilevati livelli elevati di Beta-esaclorocicloesano (13-HCH) (una sostanza chimica derivante dalla produzione di pesticidi organoclorurati, sottoprodotto dell'insetticida lindano vietato in Italia nel 2001). Alla luce delle conoscenze epidemiologiche sugli effetti sulla salute dell'esposizione ambientale ad organoclorurati ed altre sostanze di natura tossica, tale studio ha avuto lo scopo di valutare la salute dei residenti nei comuni più vicini al polo industriale;
   l'esposizione al Beta-esaclorocicloesano, per un lungo periodo di tempo, può avere effetti su fegato, reni, sangue e apparato riproduttivo, inoltre si sospetta che può avere effetti cancerogeni. Nel 2006 è stato dichiarato «Stato di emergenza socio-economico-ambientale» per la Valle del Sacco. Dopo questa scoperta, tante persone sono state analizzate ed in base alla vicinanza, risultano possedere nel sangue valori di BetaHCH più o meno alti;
   oggi Ceccano è uno dei paesi con il più alto tasso di Tumori della regione Lazio ed ogni famiglia purtroppo viene toccata, direttamente o indirettamente, da questa bruttissima malattia. La mortalità per causa (1997-2000) ed i ricoveri ospedalieri per causa (1997-2000 e 2001-2004) nell'area sono stati confrontati con la frequenza degli stessi eventi avvenuti nella regione Lazio negli stessi periodi. Sono stati calcolati i Rapporti Standardizzati di Mortalità e Morbosità (SMR=osservati/attesi per 100) per uomini e donne e per causa (metodo indiretto) ed i relativi intervalli di confidenza al 95 per cento, utilizzando la popolazione della regione come riferimento;
   dai risultati dello studio del dipartimento di epidemiologia Asl Roma emerge un aumento del 21 per cento dei casi relativi alla mortalità per tumore e del 10 per cento rispetto a tutte le altre cause di morte: il che vuoi dire che le condizioni ambientali della valle del Sacco non sono certo favorevoli ad una vita salubre. In particolare si registra un eccesso di mortalità e di ricoveri per patologie tumorali, specie tra gli uomini per quanto riguarda il tumore polmonare, della pleura, e della vescica. Per le condizioni non tumorali, risultano in eccesso le persone ricoverate per i disturbi del sistema nervoso periferico, la patologia respiratoria di tipo asmatico specie nei bambini, e la patologia degli organi genitali femminili. I dati dei ricoveri sono impressionanti per i tumori in genere, 10 per cento in più, polmone 41 per cento, in più, pleura 400 per cento in più, prostata 67 per cento in più; vescica 47 per cento in più. Tra le donne nel periodo 1997-2000 è presente un eccesso statisticamente significativo di tumore della vescica (+ 86 per cento);
   ancora oggi il fiume Sacco spaventa in quanto, molto spesso, da esso provengono cattivi odori e sono visibili macchie di schiuma bianca a galla; eppure l'acqua del fiume è ancora utilizzata per irrigare, addirittura si costruiscono residence abitativi proprio lungo le rive del fiume;
   negli ultimi anni sono state fatte tante manifestazioni dai cittadini che chiedono l'attenzione del Governo sulla situazione della valle –:
   se i Ministri interrogati per quanto di competenza intendano assumere iniziative urgenti dirette a dare risposte chiare ai cittadini sulla situazione ambientale e sanitaria della valle del fiume Sacco e sui livelli di contaminazione delle acque e del suolo;
   se, anche alla luce di quanto descritto in premessa, non ritenga di valutare la sussistenza dei presupposti per reinserire la Valle del Sacco tra i siti di interesse nazionale da bonificare. (4-06966)


   PLACIDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale del 30 dicembre 1987 sanciva l'accordo di programma per la reindustrializzazione della Valbasento;
   a tal fine, nel marzo del 1990, nasceva ufficialmente Tecnoparco (società partecipata dalla regione Basilicata per il tramite del Consorzio industriale di Matera proprietaria del 40 per cento dell'impianto), per i servizi industriali e tecnologici, soggetto deputato cioè alla vendita di servizi reali alle imprese;
   a causa del fallimento del progetto, il consorzio industriale di Matera nel 1996 decideva che Tecnoparco doveva imboccare la strada dello smaltimento di rifiuti liquidi provenienti anche da altre regioni;
   dopo alcune deroghe (rispetto alla prescritta certificazione ambientale), nel 2008 Tecnoparco otteneva la prima autorizzazione integrata ambientale (D.G.R. 1022 del 18 giugno 2008), aggiornata nel 2009 e nel 2010, per smaltire circa 1 milione di metri cubi di reflui annui, oltre a quelli conteggiati come interni;
   in data 6 novembre 2014, veniva inviata una «relazione screening radiometrico c/o Tecnoparco» da pare dall'Agenzia regionale per protezione dell'ambiente della Basilicata (ARPAB) che veniva acquisita al protocollo del comune di Pisticci con numero 0026001;
   nella citata, relazione l'ARPAB afferma che da rilievi effettuati su campioni prelevati da autobotti provenienti dal Centro Oli Val d'Agri di Viggiano (COVA) è stata riscontrata la presenza di radionuclidi 9 volte superiore alla quantità presente nell'acqua potabile e in misura minore tali sostanze sono state rilevate anche nei fanghi depositati negli impianti;
   in particolare, la radioattività rilevata, a detta dell'ARPAB, era dovuta a radionuclidi di tipo alfa;
   in data 14 novembre 2014, l'amministratore delegato di Tecnoparco, Michele Somma, a seguito della diffusione dei dati da parte del comune di Pisticci, dichiarava che «i dati resi noti dall'ARPAB chiariscono che non c’è nessun dato radiologico allarmante»;
   in data 15 novembre 2014 in regione Basilicata si svolgeva un tavolo tecnico per affrontare le problematiche relative allo smaltimento delle acque di strato, presso gli impianti di Tecnoparco di Pisticci Scalo, provenienti dal centro oli di Viggiano;
   all'incontro partecipavano il presidente Marcello Pittella, il comune di Pisticci, il comune di Ferrandina, l'ARPAB, l'assessore regionale all'ambiente Aldo Berlinguer, il dirigente del dipartimento ambiente, i rappresentanti dell'Eni e la Confindustria di Basilicata;
   l'ARPAB, in questa occasione, sosteneva che le quantità e la natura di radionuclidi rilevate non costituiscono pericolo per la salute umana;
   tuttavia, nel corso della riunione emergevano dubbi relativi alle quantità sversate nel tempo e agli effetti prodotti sull'ambiente tanto che la regione ha deciso di chiedere l'intervento dell'Istituto superiore per la ricerca e lo studio ambientale e dell'Istituto superiore della sanità per uno studio approfondito delle variabili che la complessità della situazione richiede. Quindi si aggiornava la riunione a martedì 25 novembre 2014. Nelle more si stabiliva di condurre altre indagini per meglio definire i termini della problematica relativa alle quantità di sostanze radioattive rilevate, con l'ausilio degli organismi citati;
   lo smaltimento dei reflui con presenza di sostanze radioattive avviene in un impianto, quale quello della Tecnoparco, la cui autorizzazione integrata ambientale non è certo che contempli il trattamento di quelle sostanze;
   tale circostanza ha spinto le istituzioni locali a sollevare il problema di quali codici CER escano dal COVA di Viggiano;
   le quantità di acqua cosiddetta di vegetazione sono assolutamente trascurabili, infatti le quantità giornaliere risultanti dall'attività del COVA sono da 10 a 18 chilogrammi per ogni barile di petrolio lavorato e quindi dell'ordine di circa 1.500 tonnellate/giorno;
   in tale acqua, vi sarebbe radioattività dovuta sia ai minerali presenti nella roccia fratturata proveniente dalla crosta terrestre, estratta insieme al petrolio, sia a materiali addizionati nel processo di trivellazione ed estrazione;
   qualora grosse quantità di acqua, trattata in centri non idonei, risultassero contenenti radioisotopi, ciò rappresenterebbe un grave pericolo per l'uomo. Inoltre, concreto è il passaggio di questi radioisotopi nella catena alimentare –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa, in particolare se il quantitativo di acqua trattata rappresenti un pericolo per le popolazioni del territorio, per la salute e per la catena alimentare;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità e dell'Istituto superiore per la ricerca e lo studio ambientale, per fare chiarezza sulla situazione e su eventuali rischi per l'uomo e per l'ambiente. (4-06971)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di sabato 15 novembre 2014 la sede della collezione Guggenheim di Venezia uno dei principali e più importanti musei di arte moderna e contemporanea del mondo è stato assaltato da un gruppo di giovani antagonisti;
   la protesta degli antagonisti era contro il presunto sfruttamento dei lavoratori all'interno delle istituzioni culturali veneziane;
   i contestatori hanno imbrattato le mura esterne del Guggenheim con bombolette spray arrecando danni materiali certamente rimediabili ma al tempo stesso un danno di immagine alla città e ad uno dei musei più importanti meta di turisti e appassionati;
   sarebbe opportuna l'estensione di un protocollo di intesa tra le istituzioni competenti per un rafforzamento della sicurezza dei musei e dei siti culturali principali della città di Venezia al fine di preservarli da possibili incursioni come quella citata nel presente atto di sindacato ispettivo;
   un rafforzamento necessario anche in vista del richiamo di Expo 2015 e del clima sociale che si registra nel Paese –:
   se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere al fine di rafforzare le misure di sicurezza a tutela delle istituzioni culturali della città di Venezia preservandole da atti di vandalismo che arrecano danni materiali e di immagine ad una delle città di maggiore richiamo turistico del mondo. (5-04088)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRANDE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 agosto 2014 è entrata in vigore la direttiva del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo concernente le sale cinematografiche di interesse storico attraverso la quale si vuole tutelare, fra gli altri, parte di quel patrimonio architettonico-artistico di settori strategici nonché produttivi del mondo dell'arte e troppo spesso privati delle attenzioni necessarie (come appunto la cinematografia) che altrimenti rischierebbero di non ricevere la giusta attenzione da parte delle istituzioni preposte;
   nella suddetta direttiva si delinea un iter di censimento delle sale cinematografiche anche attraverso un'istruttoria da aprire per la singola sala;
   recentemente la commissione urbanistica del comune di Roma ha approvato il piano destinazione d'uso della sala del cinema Metropolitan, costruito nel 1911, ancora in attesa della decisione del consiglio comunale e della regione Lazio;
   poiché la linea ministeriale è stata varata e dovrebbe pertanto essere già operativa –:
   se il Governo intenda avviare l'istruttoria finalizzata alla dichiarazione di interesse culturale per il Cinema Metropolitan.  (4-06957)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la lunghezza della crisi economica colpisce soprattutto le famiglie nel cui seno è accolta la persona con disabilità grave o non autosufficiente e i trasferimenti economici ai comuni, anche in favore delle persone con disabilità, sono sempre più residui;
   persino provvedimenti «spot» come il bonus di 80 euro non vengono in alcun modo previsti in favore delle persone più fragili, e anche il fondo nazionale per le non autosufficienze viene continuamente ridotto e messo in discussione;
   la sopravvivenza dei cittadini più fragili e delle loro famiglie viene sempre più messo a dura prova, e in questo quadro si inserisce un ulteriore provvedimento che può avere conseguenze devastanti per questi cittadini;
   l'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) è utilizzato per determinare l'accesso ai presidi sanitari ed assistenziali, fondamentali per garantire la vita e la salute residua delle persone disabili gravi e gravissime;
   in attuazione dell'articolo 5 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, recante il «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione ed i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ad avviso dell'interrogante ha riformato l'ISEE in maniera tale da comportare un vulnus della piena realizzazione dei diritti fondamentali delle persone con disabilità, non ottemperando al rispetto dei principi costituzionali di tutela delle persone disabili che si desumono dagli articoli 2, 3, 32 e 38 della Costituzione, ed in dispregio degli obblighi assunti con la legge 3 marzo 2009, n. 18, che ratifica la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 13 dicembre 2006;
   in base ai nuovi criteri stabiliti con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri saranno computati tra i redditi l'indennità di accompagnamento, la pensione d'invalidità e tutti i contributi a carattere economico in favore delle persone con disabilità, fatto che rischia di determinare l'inaccessibilità al servizio riabilitativo da parte di molte persone disabili, la preclusione per le persone disabili di accedere a contributi – ad esempio – volti all'abbattimento delle barriere architettoniche e al trasporto personale e persino la negazione dei contributi per l'assistenza indiretta, traducendosi, di fatto, nella perdita del diritto alla cura;
   inoltre, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si individua un tetto di cinquemila euro alle spese sanitarie detraibili per il familiare disabile ma solo a condizione che siano indicate in dichiarazione dei redditi, fatto che avrà un duplice effetto negativo: da un lato chi utilizza le dichiarazioni dei redditi forfetarie non potrà accedere a queste detrazioni, e dall'altro le spese sanitarie per le persone con disabilità documentate oltre il limite detraibile di cinquemila euro l'anno non potranno essere detratte, ma paradossalmente saranno sostanzialmente considerate reddito disponibile;
   la valorizzazione di reddito e patrimonio di tutti i componenti del nucleo familiare anagrafico di appartenenza del disabile grave e delle persone anziane non autosufficienti, lede secondo l'interrogante il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, che è una diretta attuazione della Convenzione ONU;
   viene computata nel patrimonio immobiliare anche la prima casa in base alla rendita catastale con una conseguente disparità di trattamento tra persone disabili che vivono in comuni diversi;
   infine, agli enti erogatori è conferita la capacità di introdurre ulteriori criteri di concessione delle prestazioni sociali, con conseguenti disparità tra persone disabili abitanti in comuni diversi, contrariamente a quanto stabilito dall'articolo 117 della Costituzione;
   secondo l'articolo 3 della Costituzione è compito della repubblica «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»;
   l'articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 2011, pertanto, appare all'interrogante di dubbia legittimità costituzionale in quanto in contrasto con l'articolo 10, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli. 2, 3, 4, 35 e 38 dello stesso testo, e non conforme a «i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti a favore dei disabili» –:
   quali iniziative, anche normative, intenda assumere per superare queste inaccettabili disparità che verranno determinate con l'attuazione del provvedimento descritto, e al fine di garantire la più completa tutela delle persone affette da disabilità e dei nuclei familiari nei quali vivono sotto il profilo tributario e contributivo. (4-06952)


   SORIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti giornalistiche si apprende che l'imprenditore Andrea Guerra, ex amministratore delegato dell'azienda Luxottica, era presente al summit del G20 che ha avuto luogo nei giorni scorsi in Australia, a Brisbane;
   sembra che l'imprenditore si trovasse al summit come parte della delegazione della Presidenza del Consiglio dei ministri e in qualità di presunto esperto del Paese Australia;
   il nome del suddetto imprenditore è circolato tra i possibili candidati al Ministero dello sviluppo economico, quando si stava formando la squadra di Governo dell'attuale Premier Renzi, e successivamente sarebbe stato chiamato in causa anche come sostituto di Federica Mogherini al Ministero degli affari esteri, ma lo stesso Guerra avrebbe sempre rifiutato in quanto già impegnato come amministratore del Gruppo Luxottica;
   l'imprenditore Guerra dal primo settembre, dopo un decennio, non è più amministratore delegato del Gruppo Luxottica, e, sempre secondo fonti di stampa, sembra che abbia ricevuto una buona uscita di 10 milioni di euro, in un periodo di crisi economica così grave che attanaglia l'Italia;
   ai giornalisti che gli facevano domande circa la sua presenza al G20, Guerra avrebbe risposto: «sono in vacanza, non rilascio interviste» –:
   se il Ministro interrogato non intenda chiarire se il signor Andrea Guerra fosse presente al G20 a mero titolo personale, considerando che non ha nessun ruolo istituzionale, in modo da fare luce su quanto accaduto e da escludere, per il futuro, il suo coinvolgimento, con qualsiasi ruolo, nel Governo Renzi, essendo ad avviso dell'interrogante del tutto inopportuna, per le motivazioni di cui in premessa, la sua assunzione di qualsiasi incarico istituzionale e consulenziale.
(4-06965)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 aprile 2014, il quotidiano La Gazzetta del Mezzogiorno con un articolo a firma di Donato Mastrangelo dal titolo: «Tra “guerre” di Procure e racket, Oggi la visita della Commissione parlamentare antimafia presieduta da Rosy Bindi» descriveva come: «Da un lato i fenomeni malavitosi connessi al racket delle estorsioni nel Metapontino che registrano una preoccupante recrudescenza. Dall'altro i rapporti; non certo idilliaci, tra i diversi livelli giudiziari operanti sul territorio al punto che il vice presidente nazionale di Libera don Marcello Cozzi, [...], non esita a parlare di «inquietante conflitto tra la Direzione nazionale antimafia (Dna) e la Direzione distrettuale (Dda) da una parte e la Procura di Matera dall'altra». È su questi temi che dovrebbe concentrarsi principalmente la visita della Commissione parlamentare antimafia presieduta dall'onorevole Rosy Bindi in missione in città questa mattina [...] Tra le questioni di stretta attualità, tuttavia, figura anche il fenomeno delle eco mafie e dei traffici illeciti di rifiuti e delle sue ramificazioni con le lobby imprenditoriali. Un filone sul quale le associazioni ambientaliste si battono da tempo e che illustreranno alla presidente Bindi [...] Tra gli incontri previsti quello del portavoce di Terre Joniche e coordinatore di Altragricoltura Gianni Fabbris che sarà accompagnato da Antonio Melidoro, avvocato coordinatore dello staff tecnico del Soccorso Contadino di Basilicata ed Enrico Lavaca, agricoltore di Mepataponto, e presidente del Soccorso contadina regionale. «L'incontro – si legge in una nota – sarà l'occasione per ribadire ai parlamentari le questioni che il Comitato Terre Joniche e Altragricoltura denunciano da tempo sul rischio sicurezza cui sono esposte le comunità rurali ed Urbane lucane per l'assenza di risposte alle emergenze sociali, economiche ed ambientali»;
   in data 24 settembre, 2014, dal sito web del il Quotidiano della Basilicata compariva il seguente articolo a firma di Antonio Corrado, dal titolo – «Fabbris querela il procuratore di Matera. È battaglia legale» nello stesso articolo si descriveva come – il procuratore capo di Matera, Celestina Gravina, chiede l'arresto del sindacalista Gianni Fabbris (Altragricoltura) con le accuse pesantissime di rapina aggravata ed estorsione aggravata del terreno agricolo dell'azienda «Conte» a Tursi, ma Fabbris da indagato per tutta risposta querela il procuratore della Repubblica per abuso d'ufficio aggravato, in quanto pur in presenza di pregiudizi nei suoi confronti, avrebbe condotto le indagini su Fabbris, inibendo con il suo atto l'attività sindacale. [...] Fabbris, insomma, chiede che il presunto atteggiamento vessatorio, che sarebbe stato messo in atto nei suoi confronti dalla dottoressa Gravina («io accusato di rapina di un terreno, reato inesistente», dice), venga verificato e perseguito in tutte le sedi disciplinari ed amministrative. La querela, per il momento, è stata presentata solo dal sindacalista, ma presto si costituirà anche Altragricoltura nazionale, chiedendo in sede civile anche il risarcimento per i danni all'immagine. La richiesta di arresto, secondo Fabbris, sarebbe l'esito di un evidente «livore – scrive Fabbris nella sua querela di 40 pagine – nei confronti miei e dell'associazione che io rappresento», livore scatenato, secondo Fabbris, dal legittimo diritto di critica esercitato dal suo sindacato nei confronti della procura per una certa inerzia nell'affrontare situazioni di indubbia matrice criminale. Fabbris, nei mesi scorsi, è stato anche invitato dalla Commissione antimafia a segnalare eventuali nodi criminali nella provincia materana. «Così ho fatto – ha spiegato ieri il sindacalista durante una conferenza stampa – evidenziando anche l'atteggiamento preconcetto del procuratore nei miei confronti, in quanto a causa mia sarebbe stata chiamata a rispondere su alcune vicende dalla presidente Bindi. La dottoressa Gravina, infatti, continuava a declassare i gravissimi episodi criminali che si verificavano nel Metapontino, con incendi dolosi di aziende agricole. È chiaro che, se si cerca la mafia in Basilicata come lo si farebbe in Sicilia, o non si sa fare il proprio dovere, o non lo si vuole fare. Tutti sono criticabili, compresa la procura di Matera, perché solo in epoca fascista si arrestavano i sindacalisti con una scusa per inibirne l'attività contraria al regime». Ci va giù duro Fabbris, che spiega come nella vicenda Conte (l'azienda venduta all'asta a Tursi da cui è partito l'attrito con la procura), si parta dalla stranezza che la querela della controparte, ovvero di chi è accusato di sciacallaggio per aver comprato a poche migliaia di euro, sia indirizzata direttamente alla Gravina e non alla procura, come da prassi. «Anche gli atti – spiega ancora Fabbris – sono firmati tutti da lei; poi viene la richiesta di arresto nei miei confronti, che io interpreto come una minaccia, in quanto lei ha già fatto il processo, stabilendo chi sono i buoni e chi sono i cattivi. In questi giorni conosceremo la data della nuova audizione presso la Commissione antimafia, dove riferiremo puntualmente su diversi episodi; già nell'occasione precedente fummo invitati e producemmo documenti e prove di fatti di cui la presidente Bindi chiese conto al procuratore Gravina, la quale, come del resto anche il Prefetto Pizzi, rimarcò l'assenza di denunce. È vero che i cittadini non denunciano – spiega Fabbris – ma accade perché non c’è un clima favorevole per farli venire allo scoperto. Dalla mia personale vicenda, per esempio, viene fuori un messaggio che rischia di distogliere ulteriormente il cittadino dal denunciare. La richiesta di arresto nei miei confronti, insomma, è un pessimo servizio alla democrazia ed all'agibilità legale del territorio; siamo noi che chiediamo legalità in questo territorio e non ci faremo scippare, perché il Materano ha diritto ad un sistema giustizia adeguato, mentre il silenzio fa proliferare sciacalli e usurai». La vicenda di Fabbris sembra tanto un'autentica battaglia per la legalità, combattuta da due soggetti (un sindacato del mondo agricolo e un procuratore capo), che dovrebbero stare dalla stessa parte, ma paradossalmente si fronteggiano. Oggi Fabbris chiede di perseguire eventuali comportamenti illegittimi, in quanto teme ulteriori ritorsioni nei suoi confronti;
   dal sito web di Altragricoltura in data 23 agosto 2014 compare il seguente comunicato, dal titolo «La Procura chiede l'arresto per gravissimi reati per oltre dieci anni di carcere. Altragricoltura chiede l'incontro con la Commissione Antimafia» nello stesso comunicato si descriveva come – Il presidente di Altragricoltura Tano Malannino scrive alla Commissione Antimafia chiedendo un incontro urgente. A fondamento della richiesta vi sono tre circostanze:
    a) la possibilità di integrare con documenti e atti gli elementi già esposti da Gianni Fabbris che in sede di audizione in aprile presso la prefettura di Matera aveva denunciato la gravità della condizione della legalità nelle aree rurali di alcune zone della provincia di Matera e l'inadeguatezza delle procedure e dei metodi di indagine per individuarne ragioni, dinamiche e protagonisti;
    b) la possibilità di produrre documentazione circostanziata relativa ad episodi e circostanze che documentano le nostre denunce e contraddicono le asserzioni rese in successiva audizione presso la Commissione Antimafia da parte della dottoressa Celestina Gravina che ha tacciato l'operato dell'Associazionismo democratico-lucano di non produrre fatti ma solo agitazione e di operare con metodi non corretti;
    c) le modalità e il merito con cui la procura della Repubblica ha chiesto in questi giorni l'arresto di Fabbris. I reati per cui la procuratrice della Repubblica Celestina Gravina ha proposto l'incriminazione sono: «estorsione aggravata e continuata nella forma tentata» (81cpv-56-110-112 nn. 1 e 2) e rapina aggravata (628 comma 3 n. 1). È pur vero che il giudice per le indagini preliminari non ha accolto le richieste ed ha riqualificato l'ipotesi di reato per cui Fabbris è indagato in «violenza privata» (articolo 610) ed è certo che in sede di interrogatorio di garanzia Fabbris potrà ben giustificare e chiarire il suo operato tenuto alla luce di una rigorosa per quanto decisa correttezza sindacale, ma i reati per cui la procura della Repubblica ha chiesto l'arresto appaiono fuori da ogni giustificazione logica, abnormi (prevedono possibili condanne per dieci anni di reclusione ovvero condanne per reati da criminalità organizzata o da delitti gravi) e privi di aderenza a qualsiasi ipotesi riferibile alla realtà. Dunque un passo giudicato fuori dalla correttezza formale e sostanziale»;
   in data 25 agosto 2014, dal sito dell'associazione Libera viene diramato il seguente comunicato stampa dal titolo: «LIBERA BASILICATA: SOLIDARIETÀ A GIANNI FABRIS»: «Che da tempo nel metapontino ci fossero interessi enormi attorno a cui si stanno muovendo poteri oscuri, e sciacalli di ogni tipo, lo avevamo già intuito e segnalato [...] Nonostante tutto, però, non ci abitueremo mai all'idea che paradossalmente ad essere sottoposti alla lente d'ingrandimento della macchina della giustizia siano coloro che camminano accanto a quanti si vedono violati i propri diritti, e semplicemente ma con forza non fanno altro che reclamare verità e giustizia. [...] Esprimere solidarietà a Gianni Fabris, Coordinatore nazionale di Altragricoltura, destinatario in queste ultime ore di un'azione giudiziaria da parte della procura di Matera, significhi per tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia di continuare a tenere con tenacia la barra dritta nella ricerca delle verità senza mai stancarsi nel difendere i diritti dei cittadini. Ma al di là delle legittime rivendicazioni di ciascuna parte in causa, significhi soprattutto avere la capacità di saper cogliere certe preoccupanti e inquietanti dinamiche che da tempo stanno investendo quel territorio» –:
   se i Ministri in indirizzo siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano assumere iniziative ispettive presso la procura della Repubblica di Matera. (5-04097)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dall'agenzia AGI del 19 novembre nel carcere di Como si è verificato il terzo suicidio in poco più di un mese; i primi due suicidi, verificatisi il 12 e il 31 ottobre, erano stati già oggetto di un atto di sindacato del primo firmatario del presente atto;
   secondo quanto riportato dall'AGI la notizia del tragico evento riguardante un uomo di sessant'anni è stata diramata da Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria che afferma: «L'ennesimo suicidio di un altro detenuto in carcere dimostra che i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari, al di là del calo delle presenze»: «La situazione nelle carceri resta allarmante – ha aggiunto Capece – altro che emergenza superata ! Per fortuna delle Istituzioni, gli uomini della Polizia Penitenziaria svolgono quotidianamente il servizio in carcere – come a Como – con professionalità, zelo, abnegazione e soprattutto umanità, pur in un contesto assai complicato per il ripetersi di eventi critici. Ma devono assumersi provvedimenti concreti: non si può lasciare solamente al sacrificio e alla professionalità delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria la gestione quotidiana delle costanti criticità del Paese» –:
   quali informazioni e chiarimenti intenda fornire su quanto rappresentato in premessa;
   se non ritenga di dover immediatamente avviare un'indagine amministrativa interna per accertare le cause che possono avere indotto ben tre detenuti in soli 37 giorni a suicidarsi nel carcere Bassone di Como;
   quanti siano i decessi che si sono verificati nel 2014 negli istituti penitenziari italiani e quanti fra essi sono stati i suicidi;
   se si ritenga necessaria e indifferibile, proprio per garantire i diritti fondamentali delle persone, la creazione di un «osservatorio» per il monitoraggio delle morti in carcere, osservatorio in cui siano presenti anche le associazioni per i diritti dei detenuti;
   cosa si attenda e quali siano i motivi per i quali non è ancora avvenuta la nomina del garante nazionale delle persone private della libertà. (4-06954)


   SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la presente interrogazione si basa su quanto emerso al seguito di due visite ispettive svolte dall'interrogante, la prima in data 22 settembre 2014 e la seconda pochi giorni fa, il 16 novembre, in quest'ultima occasione insieme al nuovo garante dei detenuti comunale Davide Grassi, presso la casa circondariale di Rimini, sita in via Santa Cristina n. 19, al fine di verificare personalmente le condizioni dei detenuti, del personale e lo stato della struttura. Già a settembre, mi era stato possibile incontrare il direttore, la dottoressa Benassi, poiché costretta ad occuparsi di due strutture carcerarie, Rimini e Modena; in data 7 ottobre, la dottoressa Casella è andata in pensione ed è stato nominato un nuovo direttore provvisorio, l'avvocato Gianluca Candiano. Con il nuovo direttore però, la situazione è peggiorata poiché secondo il provvedimento di nomina deve presenziare alla casa circondariale di Rimini solo due volte a settimana e per il resto dei giorni presso il carcere di Castelfranco Emilia;
   la capienza del carcere è di 136 posti di cui: 22 posti mai utilizzati della seconda sezione completamente ristrutturata ma chiusa; 16 di custodia attenuata riservati alla sezione Andromeda per alcoldipendenti e tossicodipendenti, di cui ad oggi solo 7 posti occupati; 11 posti riservati ai semiliberi di cui occupati 5; 7 posti vuoti perché destinati ai detenuti transessuali (occupati 1). Quindi, sottraendo dalla capienza totale i posti riservati alle sezioni speciali, quelli della sezione ordinaria in realtà sono solamente 80;
   ad oggi 19 novembre 2014, i detenuti presenti sono in totale 114, di cui 100 nelle sezioni ordinarie (la prima, la terza, la quarta e la quinta). Ciò significa che, se la capienza come sopra spiegato per i detenuti ordinari è di 80 posti, allora c’è un sovraffollamento di 20 soggetti e paradossalmente le sezioni speciali sono sostanzialmente vuote. Dalla documentazione, che non tiene conto del fatto che un normale detenuto non può accedere ai posti assegnati alle sezioni speciali, risulta addirittura che nel carcere Casetti ci siano 22 posti liberi rispetto alla capienza massima (136);
   del totale dei 114 detenuti gli imputati sono 44, appellanti 16, ricorrenti 5, definitivi 49; sempre con riferimento al totale 55 sono stranieri e 59 italiani; 57 sono tossicodipendenti;
   l'istituto penitenziario è composto da 6 sezioni più quella assegnata ad Andromeda e quella per i detenuti in condizione di semilibertà. Delle sei sezioni, però, ne possono essere utilizzate quattro, per diversi motivi: la seconda sezione è totalmente chiusa poiché le società che hanno svolto i lavori di ristrutturazione, non pagate dalla società da cui dipendevano, non hanno mai consegnato i certificati di collaudo. La società in questionerà sua volta, non ha provveduto al pagamento delle società subappaltanti e subfornitrici. Attraverso la visita, l'interrogante ha potuto verificare che tale sezione vuota è completamente ristrutturata e conforme alle norme di sicurezza, contrariamente alle celle della prima sezione, attualmente ospitante i detenuti che appare fatiscente, in uno stato igienico pessimo con evidenti problemi di infiltrazioni di acqua piovana;
   la sesta sezione, invece, è stata ristrutturata dai detenuti. Il provveditore regionale, a seguito dei lavori di ristrutturazione svolti, per renderla adeguata al regolamento di esecuzione rispetto al quale le metrature erano diventate esigue, decideva di buttare giù i muri cosicché da 2 celle se ne ricavasse 1 più ampia e rispondente ai criteri stabiliti dalla sentenza Torreggiani. Dopo un mese però, lo stesso provveditore regionale, stabiliva che, nell'attesa dell'inizio di questi lavori, i detenuti transessuali venissero comunque mandati al Casetti;
   il cortile ricreativo è un campo di cemento completamente esposto al sole e alle intemperie, contrariamente a quanto previsto dall'ordinamento penitenziario. Un'eventuale copertura deve essere disposta dal Provveditore. Esiste poi un'altra zona più protetta, con anche un tappetino a terra, cosicché se i detenuti giocano a calcio non si facciano male. Accanto, però, si trova un'area verde ombreggiata per i colloqui tra i detenuti e i figli minori completamente ristrutturata con gazebo di legno e sedie mai utilizzata poiché, a seguito della nevicata del 2012, è crollato il tendone. Per rimetterlo a posto era stata data la disponibilità economica da parte della camera penale di Rimini ma poi, venendo a conoscenza del costo elevato di tale opera, circa 7 mila euro, non ha mai versato la somma;
   le attività ricreative dei detenuti sono ridotte al minimo e quelle lavorative sostanzialmente inesistenti; questo comporta il venir meno della finalità principale della pena ossia la rieducazione e il reinserimento; non solo, i detenuti, in mancanza di attività che occupino il loro tempo in maniera produttiva, finiscono per dar vita a risse e scontri. Recentemente infatti, precisamente in data 7 ottobre 2014, è scoppiata una rissa per un pacchetto di sigarette in cui due detenuti hanno picchiato a sangue un detenuto tunisino con una caffettiera e con un'asta appendiabiti da armadio rompendogli il naso; qualche giorno prima, l'1 ottobre, due agenti, vedendo un detenuto che perdeva sangue perché colpito da un suo compagno di cella, sono dovuti ricorrere a cure mediche per i colpi ricevuti dal detenuto mentre cercava di divincolarsi. Nello stesso momento, un detenuto tossicodipendente si era provocato delle lesioni tagliandosi il corpo in più parti perché; a detta del detenuto, non aveva ricevuto la terapia prevista. In tale occasione, il segretario generale aggiunto del Sappe (sindacato degli agenti), Giovanni Battista Durante, dichiarava che le aggressioni, i ferimenti e le azioni di autolesionismo sono sempre più frequenti, ravvisando l'assoluta necessità di un direttore in pianta stabile. Ad oggi i problemi si stanno sommando: dall'inizio dell'anno i numeri parlano di 12 tentati suicidi, 12 aggressioni agli agenti e 25 tra detenuti, oltre 73 atti di autolesionismo, 12 denunce all'autorità giudiziaria per violenza, minaccia e resistenza al pubblico ufficiale; 52 proteste di sciopero della fame; 9 danneggiamenti ai beni dell'amministrazione; 2 incendi;
   inoltre, l'interrogante ha ravvisato una carenza di organico importante: il magistrato di sorveglianza è uno solo per le tre carceri romagnole di Forlì, Ravenna e Rimini, mentre per quanto riguarda gli agenti di polizia penitenziaria, in un carcere dove ci sono circa 140 detenuti, per ogni turno il personale di sorveglianza è di appena 8 persone quando ne servirebbero almeno il doppio; basti pensare al caso in cui un detenuto debba essere portato in ospedale è necessaria una scorta di almeno tre agenti, dunque per 136 detenuti rimarrebbero 5 agenti;
   per quanto riguarda l'igiene e la pulizia delle cella, essa è affidata ai detenuti stessi, tra l'altro come previsto dall'ordinamento penitenziario. Purtroppo però, non dispongono nemmeno di scope e spugne a causa del taglio lineare dei fondi destinati alle mercedi dei detenuti al carcere di Rimini –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto sopra descritto e intenda sollecitare affinché vengano superati gli ostacoli burocratici che hanno impossibilitato fino ad ora l'utilizzo delle sezioni ristrutturate e della zona ricreativa;
   se il Ministro intenda verificare e fornire prova dell'effettivo versamento delle somme dovute alle società che hanno effettuato i lavori di ristrutturazione della seconda sezione della casa circondariale di Rimini, come previsto dal decreto di liquidazione emesso dal provveditorato regionale dell'Emilia Romagna in data 26 agosto 2014 e nel caso in cui il dap risulti inadempiente se il Ministro voglia disporre l'immediata erogazione di quanto dovuto ai fini dell'apertura della seconda sezione;
   se il Ministro ritenga opportuno disporre che venga nominato un direttore in pianta stabile vista la situazione di assoluta necessità e urgenza sopra esposta;
   se il Ministro possa adoperarsi affinché venga colmata la grave lacuna a livello di organico per quanto attiene ai turni degli agenti di polizia penitenziaria che, con riferimento al numero di detenuti, per regolamento dovrebbero essere almeno il doppio di quanti ve ne sono oggi.
(4-06959)


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa apparse recentemente su diversi quotidiani locali, si apprende che nei giorni scorsi una giovane rom di 18 anni, assieme ad una complice di 13, è stata fermata dalla polizia intorno alla ore 15 in via Torriani a Como;
   la polizia ha potuto procedere all'arresto grazie alla chiamata di una signora, residente in un condominio di via Borsieri, la quale attraverso la propria porta dotata di un vetro che consente a chi si trova all'interno di scorgere l'esterno ma non viceversa, le aveva viste mentre cercavano di rompere la serratura con un cacciavite per introdursi furtivamente nell'appartamento e svaligiarlo;
   successivamente all'arresto per il reato di tentato furto aggravato in concorso e dopo il processo per direttissima, le due giovani rom sono state subito liberate dal giudice, che ha convertito la pena di sette mesi di detenzione in un periodo di «reclusione» con obbligo di firma nel luogo di residenza;
   la residenza delle due rom, di cui non si conoscono le generalità né i precedenti penali, pare sia un campo nomadi situato nella provincia di Torino;
   secondo quanto riportato dai quotidiani locali, sembra che sempre nel pomeriggio dello stesso giorno la polizia di Como abbia effettuato un numero imprecisato di interventi, soprattutto nella zona di Villa Olmo, via Bellinzona e via Bignanico, per altrettanti sopralluoghi all'interno di abitazioni svaligiate;
   tale situazione, in particolare l'aumento di furti e rapine nella zona, ha provocato un generalizzato senso di insicurezza e timore tra i residenti nonché sconcerto perché, come riporta anche la stampa locale, «La colpa non è del giudice, ma delle nuove e contestatissime norme in materia di “svuota carceri”, per cui è stato obbligato a procedere “all'immediata scarcerazione delle due rom”»;
   la totale impunità per chi commette questi reati, cosiddetti predatori, ha come evidente conseguenza il loro aumento esponenziale, come sta avvenendo infatti nella zona di Como;
   tra i diversi provvedimenti denominati «svuota carceri», il decreto-legge 1o luglio 2013, n. 78, recante «Disposizioni urgenti in materia di esecuzione della pena» convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 94 dispone il divieto di custodia cautelare preventiva in carcere per delitti per cui è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni;
   sempre tra i diversi provvedimenti denominati «svuota carceri», la legge 28 aprile 2014, n. 67, non prevede più la detenzione in carcere per chi ha commesso una serie di reati con pena della reclusione fino a tre anni, tra cui rientra l'articolo 624 del codice penale, ossia il furto –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, ognuno secondo le proprie competenze, al fine di impedire che possano accadere fatti similari, in particolare se non si ritenga opportuno procedere alle più utili iniziative, anche normative, per modificare l'attuale disciplina e prevedere la detenzione in carcere per tutti quei reati predatori percepiti dalla popolazione come di grave allarme sociale; se si sia a conoscenza delle generalità delle due rom di cui in premessa e, nel caso, la loro nazionalità e i loro precedenti penali; quali iniziative si intendano assumere al fine di incrementare la sorveglianza del territorio di Como, che ha registrato un incremento di episodi di furti in abitazione, anche prevedendo ulteriori e maggiori dotazioni alle forze dell'ordine ivi impegnate. (4-06968)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FABBRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul tratto autostradale dell'A1 Bologna - Milano realizzata negli anni ’60 e ampliata successivamente, i cavalcavia autostradali sono stati costruiti dalla Società Autostrade in occasione della realizzazione delle diverse arterie autostradali per garantire un percorso senza dislivelli altimetrici all'opera;
   per questo motivo, nella fattispecie per il territorio di Zola Predosa, le strade intercettate dal tracciato autostradale sono state sistematicamente deviate dal tracciato originario e sopraelevate mediante la realizzazione di cavalcavia;
   negli ultimi anni si sono verificati diversi incidenti non gravi che hanno causato danni alle barriere di sicurezza dei cavalcavia attivando scambi di pareri isolati tra i singoli enti e Autostrade per l'Italia (l'unico fra i gestori delle autostrade formalmente interessati finora) circa l'onere di ripristino;
   nel giugno 2012 si è verificato un incidente mortale lungo un cavalcavia di una strada provinciale della provincia di Parma sovrappassante l'A1. Nell'incidente un'auto ha sbattuto contro le reti di protezione del cavalcavia sfondandole ed è precipitata sull'autostrada provocando 3 morti e 8 feriti;
   da quell'incidente è scaturita una fitta corrispondenza tra Autostrade per l'Italia e tutti gli enti proprietari di strade sovrappassanti le autostrade del territorio della regione Emilia-Romagna, avente ad oggetto la messa a norma dei dispositivi di ritenuta dei cavalcavia e la relativa competenza, messa a norma che costituisce un obbligo di legge;
   tutti i cavalcavia sono stati realizzati ai sensi della legislazione allora in vigore e, in virtù di quanto asserito nelle norme attualmente vigenti, fino a quando si resta nell'ambito del ripristino di un tratto non significativo di guard rail non v’è l'obbligo di adeguamento dei dispositivi alle norme attualmente in vigore;
   la Circolare 3065/2004 precisa però che «per le strade esistenti, che non sono oggetto di interventi di adeguamento e per le quali pertanto non vige l'obbligo di applicare il decreto ministeriale n. 223 del 1992 e di sostituire le barriere eventualmente non omologate o non rispondenti ai requisiti previsti dalle istruzioni tecniche allegate allo stesso decreto ministeriale, si richiama tuttavia l'attenzione degli enti proprietari e gestori sui compiti agli stessi assegnati dall'articolo 14 del nuovo Codice della strada in merito al controllo dell'efficienza tecnica della strada e delle pertinenze stradali tra le quali sono compresi tutti i dispositivi di ritenuta. Pertanto, con la presente direttiva si invitano gli enti in indirizzo a verificare lungo la rete stradale di propria competenza le condizioni di efficienza e di manutenzione dei dispositivi di ritenuta, con particolare riferimento alle modalità di installazione, provvedendo, laddove tali condizioni non siano ritenute sufficienti, a programmarne l'adeguamento alle disposizioni del decreto ministeriale n. 223 del 1992, secondo le modalità previste dall'articolo 2 dello stesso decreto ministeriale»;
   sempre all'interno del soprarichiamato impianto normativo, è precisato che rientrano nel campo di applicazione della norma di adeguamento i progetti che riguardano «la ricostruzione e riqualificazione di parapetti di ponti e viadotti situati in posizione pericolosa per l'ambiente esterno alla strada o per l'utente stradale, anche se non inseriti nell'adeguamento di un intero tronco»;
   inizialmente la richiesta di Autostrade per l'Italia invitava a «verificare le strutture di propria competenza al fine di eventuali interventi di manutenzione e/o di adeguamento anche in ragione delle mutate condizioni di tipologia del traffico circolante sulle strade provinciali...»;
   successivamente il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti - provveditorato alle opere pubbliche Emilia Romagna Marche (con lettera prot. 10607 del 17 agosto 2012) richiamando una diffida ricevuta dal CODACONS in data 31 luglio 2012, chiedeva agli enti proprietari o concessionari di strade di verificare ed accertare lo stato delle infrastrutture viarie, dei ponti e dei cavalcavia sovrastanti strade ed autostrade. La nota precisava che la verifica avrebbe dovuto accertare se dette strutture (in particolare barriere di sicurezza e segnaletica) fossero rispondenti alle norme vigenti, redigendo uno specifico verbale e aggiungeva che in caso di verifica di mancata rispondenza alle condizioni di sicurezza, avrebbero dovuto essere attivati appositi interventi di ripristino;
   da allora, è stato attivato dalla regione Emilia Romagna presso la direzione generale reti infrastrutturali, logistica e sistemi di mobilità, un tavolo di confronto con le province sul tema della competenza della messa a norma delle barriere esistenti ritenute inadeguate, aprendo così una discussione sull'interpretazione degli articoli delle convenzioni che regolano i rapporti tra Società Autostrade e gli enti proprietari che riguardano il tema della competenza per ogni singola opera;
   dal tavolo è emersa una posizione condivisa da tutti gli enti presenti (regione, province e comune capoluogo) e cioè che le opere di ritenuta (barriere di sicurezza) sono esse stesse parte integrante della struttura e svolgono la loro funzione solo se strettamente connesse al manufatto di scavalco sul quale insistono e che per questa ragione non possono essere considerate separate dall'impalcato. Questa considerazione, letta insieme alle convenzioni sopra richiamate, attribuirebbe la competenza della messa a norma delle barriere ai proprietari della struttura dei cavalcavia, cioè ad Autostrade per l'Italia;
   la regione Emilia Romagna ha chiesto il parere interpretativo al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che ha risposto demandando la questione all'Avvocatura dello Stato dalla quale si attende ancora un esito;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in risposta ad un quesito inviato dalla provincia di Pesaro e Urbino sempre sul medesimo tema delle competenze si esprimeva in sintesi così: «nel caso di costruzione di una nuova infrastruttura stradale tutti gli oneri e le responsabilità relativi e conseguenti alle opere che risolvono le interferenze con le strade o altre infrastrutture attraversate, sono in capo all'ente che realizza la nuova infrastruttura»;
   il 30 settembre 2014 si è svolto un incontro presso gli uffici della regione Emilia Romagna che ha riunito attorno ad un tavolo tutte le province, il comune di Bologna e i vertici di Autostrade per l'Italia. Durante l'incontro non è stato affrontato il tema delle competenze, ormai in mano all'Avvocatura dello Stato, ma è stata avviata una collaborazione operativa per la cantierizzazione –:
   di quali elementi disponga circa lo stato di sicurezza dei cavalcavia ubicati sul territorio della regione Emilia Romagna, con particolare interesse per quelli che attraversano i comuni di Sasso Marconi, Casalecchio di Reno, Zola Predosa e Val Samoggia, nonché in merito allo Stato della programmazione degli interventi di messa in sicurezza laddove non siano presenti detti requisiti normativi;
   se sia a conoscenza della risposta da parte dell'Avvocatura dello Stato di cui in premessa, relativamente al tema delle competenze, o diversamente se non reputi di doverne sollecitare un parere in tempi brevi, al fine di consentire ai soggetti deputati di avviare il necessario piano degli interventi di messa in sicurezza.
(5-04091)


   DE LORENZIS, PETRAROLI e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal rapporto Istat anno 2011 emerge che nei comuni capoluogo di provincia la domanda di trasporto pubblico urbano nello stesso anno diminuisce circa dello 0,2 per cento dei passeggeri trasportati per abitante rispetto all'anno precedente, mentre aumenta la domanda di trasporto privato dello 0,5 per cento in merito al tasso di motorizzazione complessivo mentre è dell'1,1 per cento l'incremento dei motocicli;
   nel 2012 si accentua la contrazione della domanda trasporto pubblico urbano, secondo il rapporto Istat del medesimo anno si registra un calo del 7,5 per cento dei passeggeri trasportati per abitante rispetto all'anno precedente e sempre da fonti Istat si apprende che nel 2012 si sono registrati in Italia 186.726 incidenti stradali con lesioni a persone;
   nel rapporto «Incidenti Stradali 2013» dell'Istat in collaborazione con ACI, sulla base di una stima preliminare, si sono verificati in Italia 182.700 incidenti stradali con lesioni a persone;
   secondo il rapporto Istat 2013 «Qualità dell'ambiente urbano» il calo della domanda di trasporto pubblico locale risulta marcato infatti scende da 201,1 a 188,6 passeggeri annui per abitante;
   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, ha istituito all'articolo 16-bis il Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato, agli oneri del trasporto pubblico locale, anche ferroviario, nelle regioni a statuto ordinario;
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2013) (12G0252) pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 2012, ha modificato l'articolo 16-bis del Fondo nazionale sopra citato;
   l'integrazione del Fondo nazionale per il concorso finanziario dello Stato agli oneri del trasporto pubblico locale, previsto dall'articolo 16-bis del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012 e interamente ridisciplinato dalla legge di stabilità per il 2013 (articolo 1, comma 301, della legge n. 228 del 2012) appare a detta dell'interrogante come un presupposto ineludibile per l'impostazione di qualsiasi politica di rilancio del settore del trasporto pubblico locale;
   secondo l'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale deliberata dalla IX Commissione trasporti nella seduta del 19 giugno 2013 con riferimento al tema del finanziamento del settore, numerose audizioni hanno evidenziato la necessità di intervenire rispetto alla dotazione del Fondo istituito dalla legge di stabilità 2013, segnalando che il quantum complessivo garantito dal Fondo di circa 4.929 milioni di euro annui a decorrere dal 2013, non garantisce il pieno ristoro delle risorse del settore rispetto ai tagli operati negli ultimi anni. Federmobilità ha rilevato una dotazione «inferiore agli stanziamenti del 2011 di 148 milioni di euro e del 2010 di 300 milioni di euro» e aggiunge che è «assolutamente insufficiente per far fronte, oltre agli oneri derivanti dai contratti di servizio in essere, alle spese per il rinnovo del materiale rotabile ferro/gomma, per la manutenzione straordinaria delle infrastrutture, per l'innovazione tecnologica e per il rinnovo dei contratti collettivi di lavoro»;
   nella medesima indagine conoscitiva sopra citata, si apprende che Asstra ha altresì segnalato che il settore «ha assistito a una contrazione complessiva delle risorse per i servizi di quasi 600 milioni di euro, vale a dire che a livello medio nazionale sono stati tagliati il 12 per cento dei contributi pubblici totali», nel 2013 i tagli rispetto al finanziamento storico «arrivano a punte del 30 per cento nel Lazio, di oltre il 27 per cento in Campania e in Molise e di circa il 15 per cento in Liguria, Toscana e Veneto», per garantire un ristoro completo rispetto alle decurtazioni precedenti, la dotazione del fondo dovrebbe essere elevata da 4.929 milioni di euro a 6.330 milioni di euro;
   secondo un'analisi di Audimob sulla «Mobilità e crisi cosa cambia nelle scelte degli italiani» resa nota nel giugno 2014, il 40 per cento degli intervistati afferma di aver pensato di cambiare le abituali modalità di spostamento per abbattere i costi legati all'aumento del carburante scegliendo il mezzo pubblico come alternativa;
   a detta dell'interrogante l'inadeguatezza del servizio del trasporto pubblico locale dovuto anche a finanziamenti inferiori rispetto alla reale necessità potrebbe creare delle difficoltà nella gestione non invogliando il cittadino nell'utilizzo dello stesso;
   il trasporto pubblico locale rappresenta un'alternativa al mezzo privato e il suo utilizzo consentirebbe di ridurre le emissioni di anidride carbonica, il consumo di petrolio, gli incidenti, il traffico e la congestione nelle grandi città;
   i servizi di questo settore restano un elemento fondamentale nel perseguimento di nuovi modelli di mobilità che siano sostenibili sia in termini ambientali che dal punto di vista economico;
   secondo fonti stampa il trasporto pubblico locale è considerato, in relazione all'utilizzo dell'auto, 79 volte più sicuro e apporterebbe benefici alla stato psicofisico individuale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative di propria competenza intenda assumere per migliorare il trasporto pubblico locale;
   se il Ministro a fronte dei vantaggi del trasporto pubblico locale rispetto all'utilizzo del mezzo privato espressi in premessa, sia favorevole ad incrementare il quantum complessivo delle risorse economiche necessarie del Fondo espresso in premessa. (5-04092)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ALBERTI, BASILIO, COMINARDI e SORIAL. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26 settembre 2014 è stato pubblicato l'avviso di avvio del procedimento finalizzato alla dichiarazione di pubblica utilità conseguente all'approvazione del progetto definitivo «corridoio plurimodale padano asse ferroviario Torino-Trieste sul corridoio 5 Lione-Kiev (corridoio mediterraneo) linea ferroviaria AV/AC Milan-Verona: lotto funzionale Brescia-Verona»;
   chiunque abbia interesse, può fare pervenire le proprie osservazioni relativamente alla disponenda dichiarazione di pubblica utilità da parte del CIPE entro il termine di 60 giorni a decorrere dalla data di pubblicazione del presente avviso;
   in data 29 settembre 2014 è stata pubblicata sui quotidiani la comunicazione di avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale per la quale la scadenza della presentazione delle osservazioni era fissata per il giorno 6 novembre 2014;
   ad oggi sono ancora in corso le procedure di cui il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 e successive modificazioni ed integrazioni «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità» che disciplina l'espropriazione, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità;
   la valutazione di impatto ambientale prevede i seguenti interventi: la variante planimetrica di Montichiari, la riqualificazione della strada Ghedi-Borgosatollo, la realizzazione di una linea AT132 kV, la cantierizzazione dell'intero lotto funzionale Brescia-Verona e la scelta dei siti per l'approvvigionamento degli inerti;
   tra i comuni Interessati dal progetto vi sono tra gli altri, il comune di Calcinato, citato in particolar modo per le finalità della presente interrogazione;
   Cepav Due nella qualità di general contractor, si occupa della realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Milano-Verona;
   secondo quanto è riportato da diverse pubblicazioni online il 15 novembre 2014 intorno alle 12:00 alcuni funzionari e tecnici di Cepav Due, si sono presentati all'ingresso di una proprietà di Calcinatello (frazione di Calcinato – Bs) accompagnati da un caterpillar cui successivamente si è aggiunta una trivella. Quando l'abitante affittuario dell'immobile ha chiesto spiegazioni ed avvisato la proprietà, questi hanno sostenuto di dover cominciare alcuni scavi sul terreno. Dopo la resistenza verbale dell'interessato, hanno desistito rimanendo comunque in zona per alcune ore;
   il TAV è secondo gli interroganti un'opera ritenuta inutile e dannosa da molti cittadini, comitati e studi redatti da esperti internazionali;
   l'avvio dei lavori non riveste carattere di particolare urgenza;
   alla data odierna non risulta ancora pubblicato alcun decreto di esproprio e non è stata determinata alcuna indennità di esproprio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritengano opportuno intervenire in modo che sia fatta chiarezza su quanto avvenuto e vengano tutelati i diritti dei cittadini che potrebbero subire danni ed espropri senza alcun dovuto preavviso;
   se non ritengano opportuno rivedere il progetto al fine di tutelare il territorio, anche riqualificando le linee ferroviarie esistenti. (4-06956)


   ROSATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo piano regolatore generale del comune di Trieste, adottato il 16 aprile 2014, al fine di riqualificare il centro cittadino e contenere l'inquinamento atmosferico, si propone di disincentivare l'uso del veicolo privato favorendo nel contempo la realizzazione di un sistema di trasporto pubblico integrato;
   nell'ambito di tale prospettiva di razionalizzazione del sistema della mobilità, ed a ulteriore conferma degli orientamenti stabiliti dal piano generale del traffico urbano approvato nel 2013, vengono previste adeguate azioni di potenziamento del trasporto pubblico su ferro;
   a parere dell'interrogante, non è assolutamente di poco conto il fatto che l'amministrazione comunale si esprima chiaramente nel senso della valorizzazione del trasporto pubblico su ferro all'interno del più importante strumento di pianificazione del territorio. Valorizzazione che è resa possibile grazie alla riattivazione e al riutilizzo in modo più efficiente rispetto all'attuale, delle linee ferroviarie esistenti ora in disuso o sottoutilizzate;
   a tale riguardo, gli elaborati di piano citano espressamente la necessità di un migliore funzionamento della linea che dalla stazione di Campo Marzio raggiunge Opicina via Rozzol e Guardiella – la cosiddetta linea «Transalpina» – sia per quanto riguarda il trasporto delle persone dalla città all'altipiano e viceversa sia in funzione del trasporto delle merci da e verso il Porto nuovo in caso di interruzione della galleria di circonvallazione e nel caso di incremento delle movimentazioni merci presso lo scalo giuliano;
   il piano afferma che la linea «Transalpina» può e deve garantire un servizio che si integra con quello metropolitano previsto dal progetto europeo Adria A, che ha per tema proprio la modernizzazione, e la velocizzazione dei collegamenti ferroviari nell'anello territoriale comprendente Trieste, Monfalcone, Ronchi dei Legionari e Gorizia, in Italia, e Nova Gorica, Sesana, Divaccia e Capodistria, in Slovenia;
   si segnala, però, che questi positivi indirizzi di sviluppo vengono disattesi e contrastati dall'atteggiamento di assoluta chiusura messo in atto da Trenitalia che di fatto blocca la funzionalità del tratto italiano della linea «Transalpina» –:
   se il Ministro condiva gli indirizzi sulla mobilità sostenibile intrapresi dal comune di Trieste, e come ritenga che Trenitalia debba partecipare ad uno sviluppo del trasporto pubblico su ferro nel territorio provinciale di Trieste;
   come intenda intervenire presso Trenitalia e Rete Ferroviaria Italiana al fine di evitare la dismissione della linea «Transalpina», ed anzi, per favorire l'utilizzo della linea per i collegamenti merci e persone dalla città all'altopiano e viceversa;
   come intenda favorire l'utilizzo della linea cosiddetta «Transalpina» nell'ambito dello sviluppo infrastrutturale del porto di Trieste, atteso che la ferrovia in questione è un utile collegamento con il Carso, e quindi con l'entroterra. (4-06958)


   RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto Pietro Savorgnan di Brazzà di Ronchi dei Legionari (Gorizia), conosciuto come aeroporto di Trieste, è uno scalo del Friuli Venezia Giulia, gestito dalla società aeroporto FVG spa;
   si apprende che rispetto alle condizioni di crisi in cui versa l'aeroporto in questione, si è palesata l'assenza di un rapporto di fiducia tra la regione, nella qualità di unico azionista, e la governance con a capo, il presidente Sergio Dressi;
   la crisi dello scalo è determinata da un numero sempre più ridotto di voli e da un conseguente drastico calo dei passeggeri. A riguardo, Sergio Dressi afferma che spetta alla regione indicare le strategie, mentre la giunta punta il dito contro la governance, alla quale le direttive sarebbero state date, in attesa della primavera del prossimo anno quando il consiglio di amministrazione scadrà e sarà completamente rinnovato;
   l'assessore alle infrastrutture, Maria Grazia Santoro, ha denunciato la necessità di un deciso cambio rispetto alla programmazione e pianificazione della presenza dei voli nell'aeroporto, per consentire anche all'utenza di conoscere e consolidare l'offerta dello scalo. Inoltre, l'assessore ha dichiarato l'esigenza di dovere cogliere la disponibilità di Save a collaborazioni e alleanze, considerando che tale società gestisce l'aeroporto Marco Polo di Venezia, quello di Treviso nonché lo scalo di Verona;
   per quanto è dato sapere, si ritiene che la mala gestione dell'aeroporto, e di conseguenza, la situazione di crisi dello stesso, dipenda, tra l'altro, dall'assenza di un chiarimento dei rapporti sussistenti tra la società di gestione e l'amministrazione regionale, anche da un punto di vista giuridico. Va da sé, la necessità di stabilire in maniera inequivoca anche i singoli ruoli che i due soggetti devono svolgere nella gestione dello scalo per potere riavviare l'attività, anche di tipo negoziale e, dunque, stringere eventualmente alleanze con le società che gestiscono scali contermini;
   si rileva che la disciplina vigente regolante la società aeroporto Friuli Venezia Giulia spa (legge regionale 21/1995 nonché il combinato disposto dell'articolo 4, comma 87 della legge regionale 22 e dell'articolo 63 della legge regionale 23, entrambe del 20 agosto 2007) risulta sostanzialmente orientata a definire i termini, della partecipazione societaria piuttosto che a dettagliare, esaustivamente, le attività che la regione deve porre in essere per esercitare un controllo effettivo sulla gestione della società;
   sicché, anche la normativa di riferimento appare lacunosa poiché sembra essere costituita essenzialmente di norme finanziarie di partecipazione alla spesa e non di norme finalizzate a riconoscere in capo alla regione funzioni di effettivo indirizzo e di controllo gestionale, oltre che finanziario, idonee ad affermare quel controllo che l'amministrazione regionale dovrebbe esercitare sulle società strumentali totalmente possedute dalla stessa. Ciò che risulta necessario, quindi, sotto il profilo gestionale, è fare corrispondere alla situazione di totalità della partecipazione finanziaria regionale anche un'attività di controllo da parte della regione parimenti dominante;
   si evidenzia, inoltre, che per quanto riguarda la società di gestione, la stessa ha ottenuto la concessione ministeriale quarantennale per la gestione diretta del sedime aeroportuale e di conseguenza la titolarità del corretto espletamento delle attività aeroportuali. Sul punto, si ricorda che nelle ultime tre distinte proposte presentate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del «Piano Aeroporti» avvenute dal 2012 al 2013, l'aeroporto regionale in questione è stato sempre inserito tra gli «scali di interesse nazionale»;
   si ritiene di dovere acquisire informazioni sulla gestione dello scalo di Ronchi dei Legionari e fare chiarezza sulle responsabilità e i motivi che hanno determinato la crisi, considerando soprattutto che i primi ad essere danneggiati sono gli utenti del trasporto aereo che subiscono la drastica riduzione del numero dei voli. Tali verifiche sono necessarie, al fine di potere adottare gli idonei provvedimenti per risollevare le sorti dell'aeroporto –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali siano i costi che comporta la gestione dell'aeroporto e i servizi offerti;
   alla luce dei fatti esposti in premessa, se e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare il Ministro interrogato, in necessario concerto con gli enti locali e le parti interessate, per garantire il superamento della crisi che coinvolge l'aeroporto in questione, anche considerando che è stato individuato tra gli «scali d'interesse nazionale». (4-06967)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in base ai dati del Ministero dell'in- terno, relativi all'anno 2013, nell'ambito della classifica redatta da Il Sole 24 ore, pubblicata in data 18 novembre 2014, sulla sicurezza delle province, Venezia per quanto riguarda i reati ogni centomila abitanti si trova davanti a realtà come Palermo e Napoli che evocano, nella percezione del tema sicurezza, sicuramente maggiori preoccupazioni;
   Venezia è quinta nei borseggi con un incremento del 32 per cento rispetto all'anno 2012 e sempre rispetto all'anno precedente sono aumentati i furti in appartamento con un più 12,4 per cento e anche le rapine con un più 6,5 per cento;
   va riconosciuto il grande lavoro svolto dalle forze dell'ordine anche con il rafforzamento in termini di mezzi e uomini adottato nel corso degli ultimi mesi, che in base ai dati della prefettura già nei primi quattro mesi del 2014 ha fatto registrare un calo dei reati commessi;
   Venezia è una delle città a più alta concentrazione turistica e un comprensorio molto complicato da gestire sotto il profilo della sicurezza;
   obiettivo deve essere quello di rendere maggiormente sicura una delle città più attrattive del mondo –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di potenziare ulteriormente i presidi di polizia, in termini di mezzi e uomini, presenti nel veneziano, al fine di consentire un maggiore controllo del territorio per la sicurezza dei cittadini. (5-04090)


   MARTELLA e MORETTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 novembre 2014 il Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell'interno ha inviato alle organizzazioni sindacali il progetto di rimodulazione della polizia stradale, della polizia postale e delle altre specialità della polizia di stato con la richiesta di far giungere entro il prossimo 9 dicembre eventuali osservazioni;
   all'interno del piano è prevista la soppressione del distaccamento di polizia stradale di Portogruaro in provincia di Venezia con la previsione di reimpiegare le 11 unità in servizio presso gli altri uffici o, a richiesta, presso il distaccamento di San Donà di Piave che, nello stesso piano viene elevata a sottosezione autostradale;
   sull'argomento il primo firmatario del presente atto aveva presentato due diversi atti di sindacato ispettivo il 3-00671 del 6 marzo 2014 e il 5-02357 del 13 marzo 2014, sollevando, in entrambi i casi, la delicata questione relativa ad una possibile soppressione del distaccamento Polstrada di Portogruaro ed in entrambi i casi ancora senza risposta da parte del Governo;
   si tratterebbe, ove assunta definitivamente, di una decisione molto grave per Portogruaro e tutto il comprensorio orientale del Veneto;
   con la soppressione del distaccamento in questione resterebbe, infatti, operativo in tutta la provincia solo il comando di Venezia, e nonostante l'elevazione a sottostazione autostradale di San Donà di Piave questa non compenserebbe le disfunzioni organizzative e di copertura territoriale assicurate dalla sede di Portrogruaro che vale la pena ricordarlo è il più antico d'Italia, essendo, come distaccamento Polstrada, stato istituito nel 1952;
   già in primavera enti locali ed organizzazioni sindacali avevano manifestato la propria contrarietà in riferimento a siffatta ipotesi, una contrarietà, non campanilista, confermata nuovamente in queste ore anche in vista delle osservazioni che dovranno giungere entro il prossimo nove dicembre –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di scongiurare la chiusura della sede del distaccamento di Portrogruaro assicurandone, nel previsto piano di riorganizzazione la piena operatività evitando che vengano assunte decisioni irrazionali con le necessità e peculiarità, anche in termini di sicurezza, del territorio ed in particolare del comprensorio orientale. (5-04094)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOCATELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i membri dell'associazione «Sentinelle in Piedi» periodicamente organizzano in varie città italiane manifestazioni che consistono nel restare immobili in una piazza per alcune ore tenendo un libro in mano. È la modalità scelta per esprimere il proprio dissenso all'approvazione di norme volte a contrastare attività discriminatorie nei confronti delle persone omosessuali;
   nel corso della manifestazione organizzata il 5 ottobre 2014 in piazza Sant'Anna a Bergamo, il signor Giampietro Belotti, volendo rappresentare la sua non condivisione di tale iniziativa, ha inscenato una performance artistico-satirica che è consistita nel restare in piedi nella stessa piazza occupata dalle «Sentinelle in Piedi» tenendo fra le mani una copia del Mein Kampf e indossando la divisa da «nazista dell'Illinois», tratta dal famoso film The Blues Brothers, con l'aggiunta del simbolo usato da Chaplin nel film Il grande dittatore;
   per evitare dubbi interpretativi, il significato dell’happening era esplicitato in un cartello che Giampietro Belotti ha posto avanti a sé sul quale era riportata la scritta «I nazisti dell'Illinois stanno con le Sentinelle», rimarcando così il riferimento cinematografico;
   nonostante la palese irrilevanza ai fini dell'ordine pubblico di questa contro-manifestazione individuale, agenti della Digos della questura di Bergamo hanno chiesto di esibire i documenti al signor Belotti e, nonostante la sua totale collaborazione, l'hanno accompagnato presso la questura di Bergamo per procedere alla sua identificazione, fra le proteste di alcuni astanti che hanno offerto agli agenti l'esibizione anche dei propri documenti;
   Giampietro Belotti, privato del telefono cellulare e dei documenti, impedito di contattare i propri familiari in questura è stato interrogato circa l'appartenenza a partiti politici, procedendo poi alla raccolta delle impronte dattiloscopiche e allo scatto di foto segnaletiche;
   ad oggi, nonostante notizie di stampa in senso contrario, non risulta che sull'accaduto sia stato trasmesso alcun rapporto dalla questura alla procura della Repubblica di Bergamo, infatti il nome di Belotti non risulta inserito nel registro 335 Cpp e neppure a modello 45 ovvero quello dei fatti non costituenti reato;
   la possibilità di identificazione in capo alla polizia giudiziaria, ai sensi dell'articolo 349 Cpp, è subordinata al rifiuto di collaborare da parte dell'identificando o nel caso in cui vi siano dubbi di falsità del documento esibito;
   deve, in ogni caso, essere fornita immediata notizia dell'accompagnamento al pubblico ministero di turno –:
   se il Ministro non ritenga necessario verificare se siano corrette le modalità utilizzate dagli agenti della Digos per l'identificazione del signor Giampietro Belotti e quali iniziative intenda assumere nei confronti degli autori dell'eventuale abuso. (4-06943)


   ROSTAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Napoli è la terza città di Italia per numero di abitanti, secondo solo a Roma e Milano. Nonché capoluogo di regione della Campania, una delle regioni più popolose del Mezzogiorno;
   nella città, uno dei quartieri più popolosi è quello del Vomero, divenuto, negli ultimi 30 anni, il centro commerciale naturale più importante d'Europa;
   il quartiere Vomero, unito al più grande ed ancor più densamente abitato quartiere dell'Arenella, compongono la municipalità 5 del comune di Napoli;
   diverse sono le catene di esercizi commerciali di livello internazionale insediatesi al Vomero negli ultimi anni, così come altrettanto importanti sono le attività commerciali al dettaglio, che si caratterizzano per la loro storicità rispetto al territorio;
   oltre alle attività commerciali e alle grandi catene imprenditoriali e multinazionali, al Vomero sono presenti anche due importanti aree mercatali, nonché lo storico borgo di «Antignano», oggetto di recenti interventi di restyling da parte della municipalità;
   nonostante la sua storica vitalità commerciale, il Vomero, al pari di altri quartieri della città sta subendo pesantemente gli effetti della crisi economica che ha comportato l'indebolimento del tessuto imprenditoriale locale, la chiusura di numerose attività commerciali e in generale un preoccupante depauperamento del territorio;
   di fronte a questo scenario, è stato possibile registrare un ancor più preoccupante fenomeno di recrudescenza del tessuto criminale;
   nei giorni scorsi sono salite alla ribalta della cronaca nera numerose aggressioni e rapine subite da giovani cittadini e passanti;
   nell'ambito di questa più vasta escalation criminale, durante la notte tra il 9 ed il 10 di novembre, una misteriosa sparatoria è avvenuta sul quartiere Vomero, provocata da un raid di uomini in scooter che hanno esploso colpi all'impazzata tra le vie Suarez e piazza Immacolata, luoghi altamente frequentati dalla popolazione civile;
   tale episodio è stato interpretato come un possibile avvertimento della criminalità organizzata e comunque riconducibile a gesti finalizzati a salvaguardare le attività di racket e di estorsione generalmente praticate dalla camorra anche sui quartieri Vomero e Arenella;
   durante la mattinata del 17 novembre 2014 è stata segnalata la presenza di una bomba a base di tritolo, posizionata presso la filiale di via Mascani della Deutsche Bank, successivamente fatta brillare dagli artificieri;
   qualche settimana prima che accadessero questi gravissimi episodi, altrettanto gravi erano stati gli scontri tra manifestanti e forze dell'ordine a Bagnoli, durante un corteo organizzato in segno di protesta contro la gestione complessiva di un sito, già diversi mesi fa pesantemente colpito attraverso l'incendio doloso di Città della Scienza;
   benché non sia assolutamente possibile individuare a priori un collegamento tra i singoli episodi sopra descritti, e a prescindere dalla ricerca di tali collegamenti, chi scrive è convinta del fatto che gli ultimi accadimenti in città abbiano messo fortemente a rischio il senso di sicurezza dei napoletani e che, per questo, altrettanto forte dovrebbe essere la reazione delle Istituzioni in merito;
   è indispensabile una reazione forte da parte dello Stato, con particolare riferimento alla necessità di garantire un presidio più costante e completo del territorio della città, stante l'evidente dilagare di fenomeni di grave illegalità, ai quali, tra l'altro, l'amministrazione comunale non può e non è in grado di far fronte con le proprie forze –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative abbia deciso di intraprendere per Napoli, al fine di scongiurare il ripetersi di tali fenomeni di illegalità, nonché arginare e contenere le loro eventuali, ma altamente probabili, dannose ripercussioni sul tessuto socio-economico della città;
   se non sia opportuno, in tale fase, sentito il parere di prefetto e questore, valutare l'ipotesi di incrementare la presenza delle forze dell'ordine e individuare misure urgenti, ma temporanee, per far fronte all'esigenza di garantire la sicurezza dei cittadini residenti a Napoli. (4-06944)


   MOSCATT. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i vigili discontinui sono vigili del fuoco ex ausiliari che hanno effettuato il servizio di leva nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco oppure iscritti nei quadri provinciali discontinui dopo il superamento di un corso della durata di 120 ore presso le strutture periferiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   effettuano mediamente da 20 a 160 giorni di servizio attivo l'anno in periodi di 20 giorni rispettando la normale turnazione dei colleghi permanenti;
   questi uomini in tutto il territorio nazionale, con centinaia di giorni e tanta esperienza alle spalle, sono impiegati giornalmente in tutte le sedi di servizio operative con i colleghi permanenti per limitare la carenza di organico che insiste nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco mantenendo in maniera ottimale gli standard europei;
   i vigili discontinui rappresentati dall'Associazione Nazionale e dal comitato precari vigili del fuoco, si impegnano da anni per raggiungere una certezza economica;
   una norma ha consentito l'assunzione di solo una parte degli ex discontinui escludendo quelli che hanno superato il limite di età fissata a 37 anni per la partecipazione ai concorsi per l'accesso al ruolo di vigile del fuoco;
   la stabilizzazione non è un concorso, ma è una procedura di consolidamento del rapporto di lavoro –:
   quali iniziative intenda adottare per combattere la precarietà del lavoro e garantire pari opportunità ai vigili discontinui con lo scorrimento fino ad esaurimento delle graduatorie esistenti, che consentirebbe, in tempi di spending review, anche l'ottimizzazione dei costi. (4-06948)


   MATARRELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è una delle realtà più importanti per la sicurezza dei cittadini del nostro Paese e in molte occasioni si è rivelato decisivo per la salvezza di tante vite umane;
   i vigili discontinui sono tutti vigili del fuoco ex ausiliari che hanno effettuato il servizio di leva nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco oppure iscritti nei quadri provinciali discontinui dopo il superamento di un Corso di addestramento pratico della durata di 120 ore presso le strutture periferiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   essi effettuano mediamente da 20 a 160 giorni di servizio attivo l'anno (in periodi di 20 giorni rispettando la normale turnazione dei colleghi permanenti) rispetto una norma che ne consente fino ad un massimo di 180 giorni;
   lavorano in propri distaccamenti dotati di mezzi antincendio, presenti in quasi tutto il territorio italiano, e partecipano alle operazioni di soccorso con proprie squadre di intervento al pari dei vigili permanenti;
   questi uomini e donne dai 18 fino ai 45 anni di età e anche oltre, con centinaia di giorni e tanta esperienza alle spalle sono impiegati giornalmente in tutte le sedi di servizio operative sempre in prima linea con i colleghi permanenti per limitare la fortissima carenza di organico che insiste nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco e che limita fortemente il servizio di prevenzione, sicurezza e soccorso cui il corpo medesimo è deputato a svolgere su tutto il territorio nazionale in maniera ottimale mantenendo gli standard europei;
   se l'operatività del Corpo è sempre prontamente attiva ed efficiente, un grande merito è da attribuire alle figure degli stessi volontari, sempre pronti a sostituire i colleghi effettivi e sempre disponibili a prestare soccorso nelle situazioni più difficili, sia quando si tratta di disastri dovuti a calamità naturali, sia quando si tratta del singolo individuo in pericolo, mettendo anche a repentaglio la loro stessa vita;
   i vigili discontinui rappresentati dall'Associazione nazionale e dal comitato precari vigili del fuoco, combattono da anni per raggiungere una certezza economica per le proprie famiglie e permettere di effettuare il lavoro cui si sentono vocati e per il quale mettono a repentaglio la propria vita per salvare quella agli altri;
   i vigili discontinui servono lo Stato per lenire la carenza cronica di personale –:
   se stia provvedendo a predisporre delle misure volte a stabilizzare il precariato dei vigili discontinui nel pubblico impiego per tutelare le posizioni di quei lavoratori precari che già hanno prestato la loro attività lavorativa a tempo determinato presso la pubblica amministrazione e, pertanto, sono in possesso di adeguata professionalità;
   quali iniziative, con quali modalità ed entro quali tempi intenda intraprendere per estendere la partecipazione del personale cosiddetto precario, consolidare il rapporto di lavoro e garantire a tutti una pari opportunità, valorizzando e tutelando la professionalità dei volontari che operano nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco. (4-06950)


   RICCIATTI e PLACIDO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 201 del 2011, denominato «decreto Salva Italia», convertito dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214 pubblicata sul supplemento ordinario n. 276 della Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2011 n. 300, reca «Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici»;
   l'articolo 6 del decreto-legge n. 201 del 2011 suddetto disciplina la materia dell'equo indennizzo e pensioni privilegiate prevedendo che: «Ferma la tutela derivante dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, sono abrogati gli istituti dell'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell'equo indennizzo e della pensione privilegiata. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica nei confronti del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico. La disposizione di cui al primo periodo del presente comma non si applica, inoltre, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d'ufficio per eventi occorsi prima della predetta data»;
   per causa di servizio si intende comunemente il riconoscimento della dipendenza dal servizio di una infermità o di lesioni fisiche contratte a causa del servizio previsto per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche in generale, appartenenti alle Forze di polizia e alle Forze armate, nonché alle altre categorie indicate nel decreto del Presidente della Repubblica 1092 del 1973;
   la previsione mira evidentemente ad equiparare la posizione dei dipendenti pubblici a quelli privati eliminando l'istituto della causa di servizio;
   le forze di polizia locale (municipale e provinciale) non rientrano nelle forze di polizia ex articolo 24 della legge 121 del 1981 che ne elenca espressamente i Corpi appartenenti;
   l'articolo in esame si applica, pertanto, anche nei confronti del personale della polizia locale;
   le evoluzioni e gli impieghi di tali forze di polizia, in diverse aree del Paese, sono notevolmente mutate dal 1986, anno della legge quadro 7 marzo 1986 n. 65, che regola attribuzioni e competenze del Corpo, tant’è che oggi le forze suddette vengono impiegate in attività di polizia amministrativa, preventiva e repressiva, quali: polizia urbana, rurale e demaniale, polizia sanitaria e veterinaria, polizia stradale, polizia annonaria e amministrativa locale, polizia tributaria per quanto attiene ai tributi e alle imposte stabilite dagli enti locali (comune, provincia, regione), polizia edilizia ed ambientale, polizia mortuaria, polizia giudiziaria, funzioni ausiliarie di pubblica sicurezza e protezione civile in caso di calamità naturali ed emergenziali;
   la polizia locale, svolge come detto, anche attività di polizia giudiziaria, di propria iniziativa o su delega della procura della Repubblica, con particolare riguardo alle violazioni penali relative ai settori di competenza della polizia locale stessa e al contrasto della microcriminalità;
   gli agenti della polizia locale rivestono la qualifica di agente di polizia giudiziaria, mentre i sottoufficiali e gli ufficiali rivestono la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria, pur se limitata al territorio di competenza e all'orario di servizio;
   nello svolgimento delle funzioni di agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria, la polizia locale dipende – dal punto di vista operativo – dall'autorità giudiziaria, svolgendo attività come indagini, perquisizioni, sequestri, arresti e fermi di polizia giudiziaria intervenendo in casi di maltrattamenti in famiglia, abusi nei confronti di donne e bambini, sfruttamento della prostituzione minorile, evasione scolastica, controllo dei campi nomadi e altro;
   le polizie locali vengono inoltre impiegate in attività di pubblica sicurezza, in ausilio alle altre forze dell'ordine (polizia di Stato, carabinieri, guardia di finanza) all'interno del territorio di competenza, con lo scopo di garantire l'ordine pubblico. Anche in questo caso vi è una mutazione di dipendenza funzionale che passa dal sindaco al questore o a prefetto; il personale appartenente al corpo di polizia locale riveste, in quella circostanza, la qualifica di agente di pubblica sicurezza, rilasciata dallo stesso prefetto;
   in particolare dato il sottodimensionamento delle piante organiche delle forze di polizia ex articolo 24 legge 121 del 1981, a causa del cosiddetto blocco del turnover, la polizia locale è impegnata quasi quotidianamente in attività di contrasto dei fenomeni di microcriminalità (disturbo della quiete pubblica, degrado urbano, spaccio di stupefacenti), dei reati contro la persona e la pubblica amministrazione, nel controllo del territorio (con attività di pattugliamento), e altresì, nelle attività di contrasto alla immigrazione clandestina;
   le diverse attività sin qui riportate espongono evidentemente il personale della polizia locale, al pari delle altre forze di polizia, a «rischi professionali» evidenti, ma esso non beneficia tuttavia – dal 2011 – dell'istituto della «causa di servizio» –:
   se il Governo non, ritenga di intervenire, con apposite iniziative di natura normativa, per modificare l'articolo 6 del decreto-legge n. 201 del 2011 ripristinando l'istituto della causa di servizio per il personale della polizia locale. (4-06951)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante il 10 marzo 2014 ha presentato l'interrogazione n. 4-03916 relative alle chiusure del compartimento polizia stradale di Potenza, della sezione di polizia postale di Matera e il posto di polizia ferroviaria di Metaponto;
   nei giorni scorsi si è tenuto al dipartimento di pubblica sicurezza l'incontro per la chiusura già preannunciata la scorsa primavera di circa 267 uffici di polizia e le chiusure dovranno avvenire entro i primi mesi del prossimo anno;
   secondo la segnalazione delle associazioni sindacali, per quanto riguarda le specialità della polizia di Stato e le unità speciali, le novità annunciate sono negative: il tentativo di far passare la manovra per un progetto di rimodulazione finalizzato al miglioramento dei servizi non trova alcun riscontro oggettivo se non quello di segno opposto che palesa un evidente sforbiciata nello spirito della spending review;
   va segnalata la chiusura di ben 67 uffici della polizia ferroviaria (Polfer) trasformati in «punto appoggio», cioè in uffici senza organico, ai quali il personale di scorta potrà appoggiarsi durante la permanenza in stazione in attesa di riprendere il treno per la nuova scorta;
   saranno uffici completamente chiusi, dove resterà solo l'insegna polizia e la possibilità di suonare ad un citofono al quale risponderà un operatore della centrale operativa a decine chilometri di distanza;
   in particolare per la Basilicata sono previste le chiusure del compartimento polizia stradale di Potenza, della sezione di polizia postale di Matera e il posto di polizia ferroviaria di Metaponto che sono impegnati ogni giorno a combattere la criminalità organizzata e operano il controllo del territorio in una zona di passaggio tra la Puglia e la Calabria;
   la polizia ferroviaria di Metaponto dista molti chilometri dagli altri presidi ed è impegnata quotidianamente nei controlli sui treni dei passeggeri e dello snodo ferroviario –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere il progetto di razionalizzazione che impone il taglio ai presidi e alle sezioni della polizia di Stato in un momento in cui in Italia andrebbe rafforzata l'attività di controllo e prevenzione per fronteggiare le emergenze e il tasso di criminalità. (4-06961)


   ZARATTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina del 16 novembre 2014 in località Magliano Romano (RM), durante la partita di calcio Magliano Romano – ASD Ardita S. Paolo del campionato dilettantistico IIIa categoria, un gruppo di individui a volto coperto, armati di caschi, mazze, bastoni e manici di piccone hanno fatto irruzione sugli spalti del campo di calcio aggredendo violentemente i supporter della squadra Ardita S. Paolo; il pestaggio improvviso e violento ha causato il ferimento di diverse persone presenti sugli spalti, sei dei quali sono stati successivamente trasferiti in ospedale, uno con codice rosso al nosocomio di Monterotondo e cinque con codice giallo, tutti feriti alla testa o con arti rotti;
   nel pomeriggio dello stesso giorno, la compagnia dei carabinieri di Civita Castellana ha disposto il fermo di nove ragazzi tra i 18 e i 32 per i quali sono scattati gli arresti domiciliari, con l'accusa di lesioni aggravate personali e per alcuni di loro di violazione della misura restrittiva del Daspo;
   da quanto si apprende dalle cronache di stampa, tra i nove arrestati figurerebbe il candidato sindaco dell'organizzazione politica Casa Pound alle scorse elezioni comunali di Viterbo ed altri esponenti riconducibili all'estrema destra viterbese e a gruppi neofascisti romani, già noti alle forze dell'ordine per reati di aggressione e violenza compiuta, anche in occasione di manifestazioni sportive –:
   se il Ministro intenda fornire adeguata ricostruzione degli eventi verificatisi la mattina del 16 novembre 2014 a Magliano Romano chiarendo l'esatta matrice dei fatti e quali iniziative intenda assumere il Governo perché venga posto fine a qualsiasi tipo di violenza politica organizzata. (4-06972)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le linee guida emanate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «La buona scuola», prevedono la chiusura delle graduatorie ad esaurimento con la conseguente stabilizzazione dei precari che ne fanno parte;
   si tratta di circa 148.000 docenti da stabilizzare per l'anno scolastico 2015/2016, attraverso il consolidamento dell'organico di diritto rispetto a quello di fatto, nella prospettiva di adire allo strumento del concorso a regime per espletare il turnover –:
   come il Ministro intenda definire l'impegno economico, il rispetto delle prerogative contrattuali, in particolare quelle salariali legate alla cosiddetta «ricostruzione di carriera» e i tempi di attuazione del piano assunzionale per i docenti inseriti nella graduatoria ad esaurimento;
   quando il Ministro intenda intraprendere le procedure per le assunzioni, definendo la consistenza e le modalità di utilizzo, per il personale docente, su discipline affini e/o in provincia/regione diversa come annunciato nel documento governativo «La buona Scuola». (5-04096)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 8 agosto 2014 n. 612 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2014 n. 67-supplemento ordinario n. 4a serie speciale è stato emanato il bando per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina a.a. 2013/14;
   l'articolo 2, comma 1, prevede che: «Per l'a.a. 2013/2014 i posti disponibili per ciascuna scuola di specializzazione sono quelli indicati nell'Allegato 1 (...). I posti finanziati con contratti aggiuntivi dalle Province autonome di Trento e Bolzano, dalla Regione autonoma Valle d'Aosta e dalla Regione Veneto sono destinati ai candidati in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 4, comma 2 e sono assegnati sulla base della graduatoria nazionale»;
   come si evince dal sopra citato comma nessun riferimento specifico viene fatto alla riserva di posti per i residenti nella regione Sardegna che invece era contemplata nei precedenti bandi;
   infatti, l'articolo 4, comma 2, prevede per i contratti regionali finanziati dalla regione Valle d'Aosta la residenza presso la stessa regione da almeno 3 anni per quelli finanziati dalle province autonome di Trento e di Bolzano il rispetto dei criteri di cui agli articoli 3, 4 e 4-bis della legge provinciale 6 febbraio 1991, n. 4 e per quelli finanziati dalla regione Veneto in aggiunta ai requisiti generali, il possesso della laurea in medicina e chirurgia conseguita presso gli atenei del Veneto;
   nonostante la marcata previsione, da parte del Ministero, di requisiti specifici per regione Sardegna nel bando sopra citato, la regione stessa, che con ben due missive (n. 00022245 del 10 settembre 2014 e n. 0002319 del 2 ottobre 2014) indirizzate al competente dicastero ha sollevato la questione, ha proceduto a deliberare l'assegnazione dei contratti e l'erogazione dei finanziamenti per l'a.a. 2013/2014 sulla base delle disposizioni di cui all'articolo 1 comma 5 della legge regionale 31 marzo 1992, n. 5, così come modificato dall'articolo 5, comma 46 della legge regionale 23 maggio 2013, n. 12, il quale prevede che: «possono accedere ai contributi i medici abilitati all'esercizio della professione in possesso di almeno uno tra i seguenti requisiti: a) siano nati nel territorio della regione; b) siano figli di emigrati sardi; c) siano residenti nel territorio della regione alla data della stipulazione del contratto di formazione specialistica» –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di integrare il citato provvedimento, relativo all'ammissione alle scuole di specializzazione, includendo la regione Sardegna, anche in considerazione dell'autonomia di cui gode. (4-06949)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 113 del 1985 ha attribuito alle attività lavorative svolte da persone cieche la natura di lavoro altamente usurante; conseguentemente ha previsto il riconoscimento, per ogni 12 mesi di lavoro effettuati, di 4 mesi di contribuzione figurativa aggiuntiva, ponendo i relativi costi a carico dello Stato;
   tale norma è tutt'ora vigente ed è rimasta operante e produttiva di tutti i suoi effetti giuridici ed economici sino all'entrata in vigore del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011 (la cosiddetta «legge Fornero»), che ha in concreto eliminato ogni fondo destinato a finanziare questa copertura previdenziale, con evidenti e notevoli conseguenze negative sul trattamento pensionistico spettante a questi lavoratori;
   da tempo è stato attivato un tavolo tecnico presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, senza che, peraltro, sia stata individuata alcuna soluzione finanziaria per ripristinare questo doveroso e giusto trattamento nei confronti di persone non vedenti –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per ripristinare la copertura finanziaria per la parte contributiva prevista dalla indicata legge n. 113 del 1985, a tutela e nel rispetto dei diritti legittimamente vantati dai lavoratori non vedenti. (5-04089)


   CIPRINI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 novembre 2014 sul quotidiano il Corriere dell'Umbria è apparsa la seguente notizia: «Operaia della Perugina licenziata per un post pubblicato su Facebook»;
   l'articolo prosegue: «Essere licenziata per un post su Facebook? Sembrava quasi uno scherzo ma quando Marilena Petruccioli, dipendente della Perugina di San Sisto, ha ricevuto il provvedimento da parte della Nestlé lo scherzo è finito in lacrime. A niente sono valse le sue spiegazioni in merito a quello che ha iscritto sul suo profilo; uno scambio di opinioni, come ha avuto modo di sottolineare, che non era riferito all'azienda...ad essere stata licenziata per giusta causa la Petruccioli, lavoratrice dal 1996, Rsu aziendale e categoria protetta, in quanto nel 1997 ha subito un grave infortunio sul lavoro proprio in Perugina – che ha determinato una grave invalidità»;
   la giusta causa sarebbe un post su Facebook in cui la lavoratrice si era opposta al comportamento di un caporeparto;
   il segretario generale regionale Fai Cisl Umbria Dario Bruschi ha così commentato il fatto: «Forse l'azienda ha considerato Marilena Petruccioli una Rsu scomoda in quanto ha sempre espresso le proprie idee in maniera chiara e diretta? Il nostro dubbio è che il suo carattere passionale sia mal digerito da qualcuno nello stabilimento della Perugina» (Corriere dell'Umbria del 18 novembre 2014);
   grave, ingiustificata e sproporzionata, ad avviso dell'interrogante, è la decisione assunta dall'azienda di licenziare la lavoratrice, tanto più se appartenente ad una rappresentanza sindacale unitaria e ad una categoria protetta –:
   se il Ministro non ritenga utile intervenire con urgenza ed approfondire la questione, anche in considerazione di un uso della legislazione in materia di licenziamenti individuali, che appare agli interroganti strumentale e discriminatorio affinché, si possa pervenire a un ripensamento della decisione dell'azienda anche a tutela delle corrette relazioni sindacali ed industriali;
   se il Ministro interrogato non intenda intraprendere iniziative di carattere normativo per garantire il divieto di discriminazione e sanzionare adeguatamente qualsiasi forma di discriminazione nei di confronti dei lavoratori, assicurando la possibilità di esprimere la propria opinione liberamente come sancito dall'articolo 21 della Costituzione che riconosce, tutela e garantisce la piena e incomprimibile libertà di espressione e manifestazione del pensiero e il diritto all'informazione di tutti i cittadini, senza dove per questo rischiare la sospensione o il licenziamento dal posto di lavoro. (5-04095)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PORTA, LA MARCA, GIANNI FARINA, FEDI e GARAVINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sono quasi 500.000 le pensioni pagate all'estero dall'Inps in regime di convenzione internazionale;
   di norma si tratta di pensioni calcolate nei sistemi retributivo e misto in virtù di contributi versati prima degli anni di forte emigrazione e cioè tra gli anni ’50 e gli anni ’70;
   gli importi di una parte di tali pensioni sono solitamente molto bassi, se non irrisori, a causa della remota collocazione nel tempo dei contributi versati in Italia, della esigua anzianità contributiva e dell'inadeguatezza del sistema di rivalutazione di tali contributi;
   proprio con l'intento di contrastare il diffuso fenomeno degli importi irrisori delle pensioni in convenzione internazionale, con effetto dal 1o settembre 1995 con la legge n. 335 è stato istituito per tali prestazioni previdenziali un importo minimale di pagamento pari ad un quarantesimo del trattamento minimo per ciascun anno di contribuzione (da lavoro, figurativa o volontaria) fatto valere in Italia;
   tale importo minimo prescinde dal reddito del pensionato e trova applicazione quale che sia il regime di calcolo (retributivo, misto o contributivo) delle prestazioni;
   in sostanza i nostri connazionali futuri pensionati o già titolari di pensione in convenzione bilaterale o in regime comunitario hanno diritto, in virtù della normativa vigente, per ogni anno di contribuzione accreditato in Italia a un importo minimale equivalente a 12,50 euro (cioè un quarantesimo di 501 euro che è l'importo del trattamento minimo per il 2014) ciò significa che, per esempio, chi ha versato cinque anni di contribuzione in Italia e acquisito il diritto a un pro-rata in regime internazionale ha maturato (maturerà) un importo minimo mensile di appena 62,50 euro;
   è ovvio che si tratta di importi obiettivamente irrisori e insufficienti a garantire un tasso di adeguata remunerazione dei contributi versati nei casi in cui la pensione a calcolo – cioè quella basata sui contributi effettivamente versati e non maggiorata dall'integrazione al trattamento, minimo (prestazione oramai praticamente inesportabile all'estero) – è inferiore al minimale garantito dalla legge n. 335 –:
   a quasi venti anni dall'introduzione, con la legge n.335 del 1995, dell'importo mensile minimo sulle pensioni in regime internazionale, pari, attualmente al risibile ammontare di 12,50 euro per ogni anno di contribuzione accreditato in Italia, se i Ministri interroganti non ritengano giusto, opportuno e indilazionabile assumere iniziative per una sua elevazione (di importo e conseguentemente anche di dignità), che corrisponda più equamente allo spirito della legge che voleva introdurre una garanzia minima di salvaguardia economica per i pensionati in convenzione le cui pensioni erano solitamente di importo irrisorio anche a fronte di numerosi anni di contribuzione accreditati in Italia; se non si ritenga più equo prevedere perlomeno il suo raddoppio in modo tale che esso corrisponda pertanto a un ventesimo del trattamento minimo italiano e cioè a circa 25 euro mensili per ogni anno di contribuzione accreditato in Italia. (4-06947)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dopo una lunga crisi anche il Prosciuttificio del Gran Sasso di Colledara chiuderà i battenti;
   entro la fine dell'anno si procederà al licenziamento dei 53 operai «superstiti». Si è chiuso con un mancato accordo il tentativo di mediazione nella vertenza Crudi d'Italia, dal nome dell'azienda proprietaria dello stabilimento inaugurato nel duemila. L'azienda è stata ammessa al concordato preventivo con un piano di ristrutturazione pluriennale del debito ed ha avviato la procedura di licenziamento collettivo per 53 lavoratori;
   l'azienda ha dichiarato l'intenzione di chiudere due stabilimenti, a Parma e Colledara. Inoltre ha dichiarato di non poter in alcun modo dare incentivi all'esodo;
   degli 82 dipendenti, una ventina sono stati assunti da Potenza, che ha avviato un'attività ridotta all'interno dello stabilimento. Altri sono già andati in mobilità, per i 53 rimanenti la cassa integrazione straordinaria dovrebbe arrivare a fine anno. Ma il condizionale è d'obbligo: a giugno non fu ratificata dal Ministero per il periodo successivo, da allora infatti gli operai non hanno percepito nulla;
   lo stabilimento che occupa 82 lavoratori, ha una superficie coperta di 14 mila metri quadri e possiede una capacità produttiva di 16.500 prosciutti a settimana. Inaugurato nel duemila è completamente automatizzato e robotizzato ed è un'eccellenza del sistema produttivo teramano;
   l'azienda fa parte di un grande gruppo specializzato nella produzione di prosciutti di Parma, la Crudi d'Italia. Si tratta di un gruppo che ha altri due stabilimenti: uno a San Vitale Baganza, proprio nel cuore della zona tipica di produzione del prosciutto di Parma, acquistato dall'Aba prosciutti nel 1986 e la Luppi alimentari, sempre nella stessa località, acquisito nel 2005. In totale il gruppo ha una capacita produttiva di più di un milione di prosciutti all'anno ed esporta oltre che in Europa, anche in Cina, Australia, Giappone, Stati Uniti e Brasile;
   i sindacati in una nota hanno manifestato forte dissenso nei confronti della proprietà che, con questa decisione pone fine ad una ulteriore, importante realtà produttiva in un'area della provincia priva di alternative occupazionali. I sindacati, inoltre, hanno ricordato la indisponibilità dell'azienda rispetto a specifiche proposte come quella riguardante la possibilità di trasferimento di azienda ad altro soggetto imprenditoriale –:
   se non intenda promuovere con urgenza un tavolo istituzionale con l'azienda, i sindacati e gli enti locali al fine di individuare un'alternativa industriale solida e credibile che possa scongiurare la chiusura del sito produttivo e possa garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali. (4-06964)


   FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a quanto appreso attraverso fonti giornalistiche, una dipendente della ditta Nestlè-Perugina, componente della rappresentanza sindacale unitaria aziendale e categoria protetta a causa di un grave infortunio sul lavoro, ha ricevuto una lettera di licenziamento per giusta causa dalla stessa azienda;
   la giusta causa, secondo quanto appreso, sarebbe un post pubblicato sul profilo Facebook della signora il giorno 30 ottobre 2014, in cui c’è scritto testualmente che «Oggi mi è capitato di leggere un provvedimento disciplinare in cui il capo del personale di questa azienda, e badate bene non il proprietario il padrone, ha usato un termine a dir poco vergognoso «COLLARE» qualcuno dei suoi superiori dovrebbe fargli un ripassino dei principi che l'azienda per la quale lavora sbandiera ovunque. Il collare lo indossano i cani non le persone (...)". Qualche giorno dopo le è arrivata la lettera di contestazione e, successivamente, la lettera di licenziamento;
   come si può vedere, la signora non fa nomi, non indica di quale azienda si tratta, né a quale «capo del personale» si riferisca. Inoltre, qualora la giusta causa sia motivata dalle valutazioni personali della lavoratrice, espresse sul profilo Facebook personale, potrebbe configurarsi anche una violazione della privacy o un tentativo e volontà di controllo da parte dell'azienda o di suoi dirigenti sulla lavoratrice in questione;
   questo licenziamento appare come un caso di scuola, che dovrebbe mettere in guardia Governo e maggioranza in particolare rispetto al reintegro per licenziamenti disciplinari –:
   se il Ministro non ritenga di assumere urgentemente ogni iniziativa di competenza per far luce sui fatti in premessa a tutela dei diritti dei lavoratori. (4-06970)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, MARCHETTI, FRANCO BORDO, ZACCAGNINI, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 e 15 novembre 2014 diverse testate giornalistiche – nazionali e locali –, tra le quali Il Corriere della Sera, La Stampa, Il Messaggero ed Il Corriere Adriatico, riportavano la notizia di una operazione del Corpo forestale dello Stato che ha portato alla denuncia di sette persone per aver organizzato combattimenti clandestini tra cani di razza dogo argentino e cinghiali;
   l'attività d'indagine, diretta dalla procura della Repubblica di Urbino della durata di sei mesi, è stata condotta dal personale del Corpo forestale dello Stato dei nuclei investigativi di Polizia ambientale e forestale di Perugia, Pesaro Urbino, Milano, Lecco, Pavia e dagli uomini del nucleo investigativo per i reati in danno agli animali (NIRDA) del C.F.S. di Roma;
   il fenomeno è purtroppo tristemente noto e diffuso e a quanto sostengono diverse organizzazioni animaliste, che monitorano il fenomeno, parrebbe addirittura in aumento;
   come ha avuto modo di dichiarare all'agenzia di stampa AdnKronos il 14 novembre 2014, il criminologo Ciro Troiano, responsabile  dell'Osservatorio nazionale zoomafia della Lav, «purtroppo i combattimenti tra animali in Italia, dopo un periodo di quiescenza, sono ripresi in modo virulento. Diversi sono i segnali che indicano una recrudescenza del fenomeno: persone denunciate, combattimenti interrotti, ritrovamenti di cani con ferite da morsi o di cani morti con cicatrici riconducibili alle lotte, ma anche furti e rapimenti di cani di grossa taglia o di razze abitualmente usate nei combattimenti, sequestri di allevamenti di pit bull, pagine internet o profili Facebook che esaltano i cani da lotta»;
   già dal 2000, nel numero di dicembre della rivista Narcomafie, lo stesso criminologo sottolineava il coinvolgimento diretto nell'organizzazione di combattimenti clandestini tra animali di diversi clan della criminalità organizzata, dedita ad attività di gioco d'azzardo;
   sovente nel circuito dei combattimenti clandestini sono coinvolti medici veterinari, che prestano consapevolmente la loro attività professionale per medicare gli animali feriti nei combattimenti –:
   se trovi conferma l'incremento della diffusione del fenomeno dei combattimenti clandestini e secondo quali rilievi eventualmente effettuati;
   quali misure intendano adottare per controllare e debellare tale fenomeno criminale;
   se non ritengano opportuno un'iniziativa, anche di carattere normativo, per inasprire le sanzioni per i medici veterinari, che prestano consapevolmente la propria attività professionale a supporto delle organizzazioni dedite alle attività di combattimenti clandestini tra animali, e per gli spettatori. (4-06945)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   martedì scorso 11 novembre una donna leccese, affetta dalla cosiddetta sensibilità chimica multipla (appresso SCM), ha denunciato pubblicamente la sua complicatissima situazione esistenziale ed economica manifestando tale disagio nei pressi della prefettura di Lecce e minacciando lo sciopero della fame quale estrema ratio in assenza di una risposta da parte delle Istituzioni preposte;
   la patologia di cui la signora soffre, a detta della stessa, non le ha solo causato una invalidità totale, per cui alla signora è stata riconosciuta una pensione di circa 300 euro mensili, palesemente insufficiente a condurre una vita minimamente dignitosa; da anni infatti la signora denuncia di non poter entrare in contatto se non con una ristrettissima classe di elementi, pena un accumularsi di disturbi fisici e psichici che di fatto impediscono la conduzione di una vita normale Inoltre, per poter fare fronte all'acuirsi dei disagi, la stessa signora lamenta di aver dovuto fare fronte economicamente alle terapie con gli averi di famiglia, tanto da azzerare alla fine il patrimonio immobiliare, di essere costretta a lasciare il lavoro, eccetera. «A causa della malattia», si legge sulla stampa locale, «la donna ha sviluppato una serie di intolleranze verso numerosissime sostanze di uso quotidiano che sono diventate improvvisamente nemiche come creme e profumi. La donna, una ex commerciante, per curarsi ha dovuto vendere tutto quel che aveva, chiedendo da anni un aiuto alla regione Puglia che però — dice — non è mai arrivato. Mi sono ammalata cinque anni fa. Per curarmi — continua — ho dovuto vendere tutto, anche le mie tre case. Siamo malati invisibili, di noi non si accorge nessuno e invece aumentiamo ogni giorno di più, e in Italia viene chiuso persino l'unico centro di riferimento attivo, al Policlinico Umberto I di Roma»;
   tale situazione viene inoltre estesamente descritta in un ricorso presentato dal suo legale avverso lo Stato e la regione citati in giudizio risarcitorio «chiedendo un milione di euro per violazione degli articoli 3, 32 e 38 della Costituzione». Regione che, vale sottolinearlo, si legge ancora «non avrebbe neppure inserito la SMC nell'elenco delle malattie rare, allineandosi così all'indirizzo nazionale del Consiglio superiore di Sanità. Sebbene ogni regione mantenga comunque un orientamento autonomo, l'Italia non ha riconosciuto la malattia diversamente da quanto avvenuto in Francia, Germania, Svizzera»;
   di fatto sebbene la patologia appare difficile da diagnosticare, attualmente — si legge sul sito www.osservatoriomalattierare — pare essere causata «da una ridotta capacità di metabolizzazione delle sostanze xeno biotiche a causa di una carenza genetica o della rottura dei meccanismi enzimatici di metabolizzazione a seguito della esposizione tossica». Pur non essendo riconosciuta dal nostro Sistema sanitario, alcune regioni, e precisamente Toscana, Marche, Abruzzo, Sardegna, e altre, l'hanno tuttavia riconosciuta. Ad esempio, in Toscana è stata riconosciuta dalla giunta regionale con delibera n. 1344 del 20 dicembre 2004, prendendo atto che questa sindrome «non è presente nell'elenco delle malattie rare di cui al decreto ministeriale n. 279 del 2001, mentre è presente nelle classificazioni americane dell’Office of Rare Diseases (ORD del National Institute of Health)». Di conseguenza: «di dover assumere come principio che l'elenco di cui al decreto ministeriale n. 279 del 2001 è integrabile con quelle malattie molto rare che, pur non essendo presenti nel decreto, siano diagnosticate in cittadini residenti sul territorio regionale» e, ancora, «di dover prevedere a livello regionale la patologia rara ... nell'elenco delle malattie rare e di dover assicurare, per i soggetti che ne risultano affetti, ogni forma di assistenza garantita dalla vigente normativa»;
   dalla complessità della diagnosi, come è unanimemente riconosciuto, anche dalle stesse persone affette, discende la difficoltà di quantificare una sua presenza reale tra la popolazione. Da informazioni ricavate si apprende tuttavia che «gli esperti italiani ipotizzano una presenza di circa 1 milione di persone affette da sensibilità chimica multipla ma che solo quindicimila, circa l'1.5 del totale, siano consapevoli di esserlo –:
   se il Ministro interrogato, anche in considerazione di quanto deciso in diverse regioni italiane, intenda, di concerto con l'Istituto superiore di sanità, promuovere una campagna di monitoraggio sul territorio nazionale per comprendere l'esatta entità del problema;
   se e come il Ministro intenda rapportarsi con situazioni come quella sopra descritta;
   se il Ministro sia a conoscenza delle difficoltà denunciate da chi è affetto da tale patologia dell'impossibilità di continuare a vivere una vita normale e della necessità, per fare fronte alla malattia, di reperire gli indispensabili ausili terapeutici — a quanto emerge — soprattutto all'estero con aggravio di spese e con oggettive, spesso insormontabili, difficoltà.
(5-04093)

Interrogazione a risposta scritta:


   DEL GROSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento datato 13 ottobre 2014, l'AIFA ha comunicato di aver già disposto in data 26 settembre 2014 e 6 ottobre 2014 il ritiro dal commercio di alcuni lotti del vaccino meningitec sospensione iniettabile in siringa preriempita aic 035438062 della ditta NURON BIOTECH BV, in quanto la stessa ditta avrebbe «...segnalato all'interno delle fiale del vaccino la presenza di corpo estraneo color arancio rossastro identificato come ossido di ferro e acciaio inossidabile.»;
   i lotti ritirati, allo stato attuale, risultano essere i seguenti:
    G76673 scad. 09/2014;
    H92709 scad. 02/2015;
    H52269 scad. 06/2015;
    H20500 scad. 11/2014;
    H45457 scad. 02/2015;
    H99459 scad. 06/2015;
    J55457 scad. 09/2016;
    H45452 scad. 02/2015;
    J01106;
    J70483 scad. 09/2016;
    J01114;
   la segnalazione della presunta contaminazione è pervenuta con evidente ritardo dalla stessa casa farmaceutica, in quanto di norma tali controlli, anziché essere effettuati dagli organi pubblici preposti come Ministero della salute, Agenzia italiana del farmaco (AIFA), Agenzia europea del farmaco (EMA) e altro sono demandati alle stesse case farmaceutiche produttrici con un'evidente coincidenza tra soggetto controllore e soggetto controllante e conseguenti palesi conflitti d'interesse; tanto è vero che tali lotti, in base alle segnalazioni pervenute dai genitori ed in base a quanto riportato nei libretti vaccinali, erano già in distribuzione da mesi nel territorio italiano, alcuni da oltre un anno;
   successivamente al ritiro, l'AIFA ha comunicato di non aver ricevuto segnalazioni di reazioni avverse precisando, peraltro, che le eventuali reazioni avverse non sarebbero state comunque distinguibili da quelle consuete;
   stante la mancanza di controlli effettuati da organi terzi, allo stato attuale non è ancora possibile conoscere la reale natura e l'entità della contaminazione;
   le attuali conoscenze medico-scientifiche, per le ragioni sopra esposte, non consentono a nessuno di escludere la possibilità che i bambini o gli adulti vaccinati con i lotti contaminati possano aver ricevuto un danno in grado di appalesarsi solo in futuro, anche a lungo termine;
   solo una minima parte dei danni conseguenti a vaccinazioni si appalesano nell'immediatezza delle stesse (shock anafilattico) o a distanza di poche ore o di pochi giorni (crisi epilettiche, altre problematiche neurologiche, problemi gastrointestinali e altro) mentre la quasi totalità dei danni sono di tipo lungolatente ovvero corrispondono a problematiche neurologiche, immunitarie, autoimmuni e altro le quali possono rimanere per giorni, mesi e persino anni in stato latente prima di palesarsi con ovvie difficoltà in ordine alla loro riconducibilità alle vaccinazioni così come dimostrato da molteplici studi scientifici pubblicati sulle maggiori riviste e come dimostrato dalle Commissioni parlamentari d'inchiesta in merito ai danni patiti dai militari italiani in origine erroneamente attribuiti al cosiddetto «uranio impoverito»;
   il servizio di farmacovigilanza passiva del nostro Paese, basato sulle segnalazioni provenienti al 99 per cento da professionisti del settore, è pressoché inesistente stante la cattiva abitudine dei predetti «professionisti» a sottovalutare la portata di qualsivoglia reazione astrattamente avversa ed a tranquillizzare, forse anche al fine di evitare «grane» personali, gli interessati in senso lato. Tanto è vero che vengono segnalati esclusivamente i casi di gravissime reazioni avverse immediate, quali per esempio i casi di shock anafilattico. In un Paese francamente estremamente più evoluto del nostro in questo senso come gli USA, nonostante il servizio di farmacovigilanza sia infinitamente più efficace di quello italiano in quanto affidato alla Food and Drug Administration (FDA), ai Centers for desease control and prevention (CDC) e soprattutto al sistema di segnalazione diffuso dei vaccine adverse event reporting system (VAERS), le stesse amministrazioni federali interessate ammettono di non essere in grado neppure di raccogliere il 10 per cento delle reazioni avverse per cui questo fa comprendere quanto poco attendibile sia il sistema italiano;
   né il Ministero, né l'AIFA né il Servizio sanitario nazionale, a quanto è dato sapere, hanno ritenuto opportuno sinora verificare: a) la natura e l'entità della contaminazione; b) quanti e quali lotti siano stati effettivamente contaminati, oltre a quelli già segnalati dalla casa farmaceutica; c) quante dosi di tali lotti siano entrate nel nostro Paese; d) dove tali dosi siano state distribuite; e) quante dosi siano state somministrate prima o dopo il ritiro dei lotti; f) i nominativi dei bambini e/o adulti ai quali siano state somministrate dosi di vaccino Meningitec appartenenti a tali lotti;
   in base alle segnalazioni pervenute da alcune famiglie vi sarebbero stati altri lotti, diversi da quelli segnalati, che avrebbero presentato una colorazione «anomala» e, quel che è più grave, vi sarebbero stati soggetti vaccinati con i lotti dei quali è stato disposto il ritiro successivamente ai provvedimenti in questione;
   già in passato, in più circostanze, sono stati sottoposti a ritiro altri prodotti vaccinali sia in toto (esavalente Hexavac, MPR Trivirix, Immravax, Pluserix, Morupar, quest'ultimo dopo ben 14 anni dall'iniziale sottoposizione a controllo) sia come singoli lotti come recentemente accaduto, nell'ottobre 2012, per alcuni lotti di esavalente Infanrix Hexa, in ben 19 paesi, per «rischio di contaminazione batterica pericolosa» e per alcuni lotti di vaccino antinfluenzale Agrippal. Considerato che viene ripetuto come i vaccini siano prodotti assolutamente sicuri, alla luce di quanto sopra, è del tutto evidente come vi siano delle oggettive quanto gravi incongruenza tra quello che viene dichiarato e la realtà dei fatti;
   stante il colpevole quanto pericoloso silenzio sia del Ministero della salute che dei media sull'argomento, la quasi totalità dei soggetti vaccinati nei mesi scorsi con i predetti lotti di Meningitec non è stata ancora informata sull'accaduto né tantomeno è stato predisposto un protocollo di monitoraggio dello stato di salute dei vaccinati –:
   se intenda predispone accertamenti tesi a verificare la natura e l'entità della contaminazione da parte di organi terzi comunicandone pubblicamente l'esito e a verificare e comunicare quanti e quali lotti siano stati effettivamente contaminati, oltre a quelli già segnalati dalla casa farmaceutica:
   se intenda verificare e comunicare quante dosi di tali lotti siano entrate nel nostro Paese;
   se intenda verificare e comunicare in quali regioni e presso quali aziende USL tali lotti vaccinali siano stati distribuiti e quante di esse siano state realmente somministrate;
   se intenda verificare i nominativi dei soggetti ai quali siano state somministrate dosi vaccinali appartenenti ai lotti vaccinali ritirati e quindi dispone l'invio di apposite comunicazioni agli interessati o, se minori, ai rispettivi familiari;
   se intenda verificare e comunicare quante dosi siano state somministrate successivamente al ritiro dei lotti ed i motivi in base ai quali ciò sia potuto accadere;
   se intenda intensificare i controlli preventivi sia prima che i prodotti escano dalla casa farmaceutica che successivamente alla loro immissione in commercio e soprattutto prima della loro somministrazione;
   se intenda predispone un protocollo di monitoraggio della salute dei soggetti vaccinati che prevenda una serie di controlli ematochimici concordandolo con specialisti della materia. (4-06973)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE LORENZIS, PETRAROLI, SIBILIA e SCAGLIUSI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 del decreto direttoriale 22 marzo 2011 chiarisce la definizione di «attività di coltivazione» come insieme delle operazioni necessarie per la produzione di idrocarburi liquidi e gassosi;
   secondo il sito del Ministero dello sviluppo economico in Italia sono attualmente vigenti 119 concessioni di coltivazione di idrocarburi in terraferma più 14 concessioni di coltivazione in Sicilia per un totale di 133 concessione di coltivazioni in terra suddivise tra 29 società titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi, questi sono «Titoli» esclusivi che consentono le attività di coltivazione (sviluppo e produzione) di un giacimento di idrocarburi liquidi e gassosi;
   in Puglia sono attualmente vigenti 14 concessioni di coltivazioni in terra, tutte nella provincia di Foggia, e sono:
    «CANDELA»: Concessione in produzione di gas naturale e gasolina con 29 pozzi in produzione e 51 pozzi produttivi non eroganti;
    «LUCERA»: Concessione in produzione di gas naturale con 4 pozzi in produzione, 1 pozzo produttivo non erogante e 2 pozzi produttivi ad altro utilizzo;
    «MASSERIA ACQUASALSA»: Concessione in produzione di gas naturale con 1 pozzo in produzione, 1 pozzo produttivo non erogante;
    «MASSERIA PETRILLI»: Concessione in produzione di gas naturale con 2 pozzi produttivi non eroganti;
    «PECORARO»: Concessione in produzione di gas naturale e gasolina con 4 pozzi produttivi non eroganti;
    «TERTIVERI»: Concessione in produzione di gas naturale con 10 pozzi in produzione e 15 pozzi produttivi non eroganti;
    «VALLE DEL ROVELLO»: Concessione in produzione di gas naturale con 1 pozzo produttivo ad altro utilizzo;
    le concessioni MACCHIA DI PIERNO, MASSERIA GROTTAVECCHIA, MELANICO, MONTE VRECCIARO, SEDIA D'ORLANDO, TORRENTE CELONE, TORRENTE VULGANO, non sono più concessioni produttive, anche se alcune società sono ancora in possesso del «Titolo» di coltivazione e altre ne stanno richiedendo la proroga;
   buona parte dei pozzi sopracitati alimentano le centrali di raccolta e trattamento di «Candela» (29 pozzi in produzione e 53 pozzi produttivi non eroganti), di «Reggente» (6 pozzi in produzione 4 pozzi produttivi non eroganti e 2 ad altro utilizzo) e di «Roseto» (9 pozzi in produzione e 18 pozzi produttivi non eroganti);
   la concessione di coltivazione denominata MASSERIA ACQUASALSA ha avuto una prima scadenza della concessione il 24 gennaio 2005. La società ha quindi presentato una prima istanza di proroga in data 12 marzo 2004, istanza di proroga pubblicata sul BUIG Anno XLVIII – N. 4 ed una seconda istanza presentata in data 5 novembre 2013, istanza di proroga pubblicata sul BUIG Anno LVII – N. 11. Tuttavia gli interroganti non hanno rinvenuto il decreto di concessione della proroga ne per la prima ne per la seconda istanza;
   la concessione di coltivazione denominata PECORARO che dal sito del Ministero dello sviluppo economico ha avuto una prima scadenza della concessione il 1o agosto 2005. La società ha quindi presentato una prima istanza di proroga in data 17 agosto 2004, istanza di proroga pubblicata sul BUIG Anno XLVIII – N. 9 e una seconda istanza presentata in data 9 ottobre 2013, istanza di proroga pubblicata sul BUIG Anno LVII – N. 10. Tuttavia, anche in questo caso gli interroganti non hanno individuato il decreto di concessione della proroga ne per la prima ne per la seconda istanza;
   la concessione di coltivazione denominata TERTIVERI ha avuto una prima scadenza della concessione il 12 febbraio 2009. La società ha quindi presentato una prima istanza di proroga presentata, in data 15 febbraio 2008, istanza di proroga pubblicata sul BUIG Anno LII – N. 3 e una seconda, presentata in data 7 maggio 2013, istanza di proroga pubblicata sul BUIG Anno LVII – N. 5. Anche in questo caso gli interroganti non hanno rinvenuto il decreto di concessione della proroga ne per la prima ne per la seconda istanza;
   alle 3 concessioni sopracitate di cui sono state richieste da parte delle società le istanze di proroga anche diversi anni fa, mancano i decreti di proroga rilasciati dal Ministero competente – ai sensi dell'articolo 29 della legge n. 613 del 1967, ai sensi del comma 8, articolo 9, della legge n. 9 del 1991 e ai sensi dell'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 484 – e quindi anche l'intesa con la regione – intesa ex articolo 3, comma 1, lettera b) e articolo 5 – Accordo Stato regioni del 24 gennaio 2001;
   il comma 19 dell'articolo 34 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, stabilisce che gli impianti attualmente in funzione continuano ad essere eserciti fino al completamento delle procedure autorizzative in corso previste sulla base dell'originario titolo abilitativo, la cui scadenza deve intendersi a tal fine automaticamente prorogata fino all'anzidetto completamento;
   questa ultima disposizione normativa crea di fatto un periodo in cui le società continuano nella loro attività pur in mancanza di una effettiva proroga della concessione di coltivazione e quindi anche dopo la scadenza temporale della concessione –:
   se il Ministro intenda intervenire al fine di superare le criticità espresse in premessa al fine di garantire in tempi certi un rinnovo della proroga o un suo eventuale diniego entro i termini di scadenza delle concessioni. (4-06953)


   SORIAL. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia, nel 2015 i prestiti alle imprese saranno ancora in calo «seppur con un'intensità progressivamente decrescente» e colpiranno soprattutto le piccole e medie imprese, che costituiscono tutt'ora il tessuto produttivo del nostro Paese;
   dai primi mesi del 2014 la contrazione dei prestiti sarebbe stabile intorno al 3 per cento su base trimestrale infatti «i prestiti a famiglie e imprese hanno continuato a contrarsi a causa della debolezza della domanda di credito e di un aumento dei fattori di rischio»;
   secondo il Centro Studi «ImpresaLavoro», che ha elaborato i dati raccolti nell'ultimo Global Entrepreneurship Monitor (GEM), il monitoraggio dello stato dell'imprenditoria nelle principali economie avanzate che viene condotto ogni anno sotto la guida della London Business School and Babson College, l'Italia è agli ultimi posti come Paese adatto alla nascita e crescita delle imprese;
   nel suo «Indice dell'Imprenditorialità», che misura il dinamismo e la propensione a fare impresa di ogni singolo Paese, premiando quei territori in cui gli imprenditori percepiscono migliori possibilità nell'intraprendere e ottengono migliori risultati, «ImpresaLavoro» avrebbe collocato l'Italia al 23o posto sui principali Paesi dell'Europa a 28, dimostrando che ha perso il confronto con tutti i suoi principali competitor;
   secondo «ImpresaLavoro» in Italia «l'ambiente in cui sono chiamati a muoversi gli imprenditori è infatti particolarmente penalizzante rispetto a quello dei competitor europei in tema di tasse, regole, burocrazia. Concretamente questo si traduce in un bassissimo tasso di nuove imprese (siamo ultimi in Europa) e in un dato preoccupante sul fronte occupazionale: solo la Grecia fa peggio di noi in quanto a imprese che hanno intenzione di ampliare la propria base occupazionale nei prossimi cinque anni»;
   le imprese italiane, tra novembre e dicembre, sono chiamate a versare 91 miliardi di euro di imposte: come sottolineato dalla Cgia di Mestre le aziende dovranno onorare 25 scadenze fiscali che spaziano dal versamento delle ritenute Irpef dei dipendenti e dei collaboratori familiari, alle ritenute in capo ai lavoratori autonomi, dall'Iva, agli acconti Irpef, Ires e Irap, fino al versamento dell'ultima rata dell'Imu e della Tasi, e «con il perdurare della crisi – dice Giuseppe Bortolussi della Cgia – questo impegno diventa un vero stress test»;
   la domanda interna sta restando al palo, come dimostra anche il mancato funzionamento del mercato del credito e, come sottolineato dal Cerved, stanno iniziando a chiudere anche imprese sane, che hanno bilanci in ordine ma che, vista la crisi, non hanno più fiducia nel futuro e non vedono prospettive;
   secondo Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved Group, negli ultimi anni si è assistito ad una drammatica caduta della profittabilità delle imprese, con un grave calo dei fatturati e la minor redditività si colloca in un contesto di leva finanziaria già tirata, di difficoltà di incasso dei crediti e di credit crunch da parte del sistema bancario –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della situazione descritta in premessa;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere con urgenza iniziative, e di che genere, affinché il mondo martoriato delle piccole e medie imprese italiane, che sostengono da sempre l'economia del nostro Paese, possa essere sostenuto e possa accedere più facilmente al credito da parte delle banche. (4-06955)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Zampa e altri n. 1-00671, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Carra.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Da Villa e altri n. 7-00484, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Grande.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Spessotto e altri n. 4-04721, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ginefra n. 5-03892, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 ottobre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Tullo.

  L'interrogazione a risposta scritta Costantino e altri n. 4-06931, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Palazzotto, Zaratti, Melilla, Duranti, Zaccagnini, Placido.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Malpezzi ed altri n. 5-04069, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mauri, Giuliani, Laforgia, Cimbro, Pollastrini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Lorefice ed altri n. 5-04072, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Rizzo.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Colonnese ed altri n. 5-04075, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 novembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Fico.