Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 8 aprile 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera
   premesso che:
    il processo di liberalizzazione totale del mercato del trasporto aereo ha prodotto una situazione di forte competizione e di estremo squilibrio in tutta Europa;
    la conseguente difesa dei mercati e delle aziende dei Paesi europei più forti, a discapito di quelli meno ricchi e meno strutturati nel settore, ha accentuato in modo esorbitante il divario tra di essi in tutte le attività economiche e produttive inerenti il settore in parola;

    il suddetto processo di deregulation, l'avvento delle compagnie low cost e dell'alta velocità, le stringenti normative europee hanno, di fatto, accentuato, nel corso degli ultimi anni, le criticità insite nel sistema aeroportuale italiano, determinando una serie di aspre conflittualità, che inevitabilmente si sono riverberate sui lavoratori del comparto;
    le scarse misure di controllo, di verifica e, soprattutto, di programmazione delle politiche economiche del settore in Italia (che, nel corso di una decina d'anni, ha visto il susseguirsi di ben quattro piani nazionali, di cui l'ultimo ancora in corso di approvazione) hanno ampliato l'instabilità del sistema, alimentando in modo esponenziale la ricerca della sopravvivenza economica delle aziende attraverso un sistema industriale non più sano e una rincorsa spasmodica alla riduzione dei costi, determinando ripercussioni disastrose sull'occupazione;
    gli eventi di carattere internazionale, dalla guerra agli attentati terroristici, hanno sicuramente influito negativamente su una situazione già grave, ma possono essere indicati esclusivamente come fattori contingenti e non fondamentali;
    paradossalmente, nonostante i dati rappresentino una realtà in contrazione, il traffico aereo passeggeri degli aeroporti italiani ha avuto dal 2008 ad oggi uno sviluppo consistente, costituendo di conseguenza uno dei settori economici e di servizi che incamera profitti;
    tutte le aziende del settore, ed Alitalia in primo luogo, sono sempre state legate intimamente al mondo politico ed istituzionale, che, anziché produrre un processo virtuoso di mantenimento del «pubblico» e dello Stato in un settore strategico per il nostro Paese, ha istituito un sistema instabile;
    alcune responsabilità, oltre che al management, sono anche da addebitare al mondo sindacale, che sottoscrivendo il piano industriale di turno, accetta le situazioni tampone proposte dal sistema politico;
    le vicende che hanno portato la vecchia compagnia di bandiera ad un mutamento dell'assetto societario e le conseguenti procedure di riassetto e di riorganizzazione di Alitalia-Cai suggeriscono una riflessione urgente, anche alla luce della nuova crisi che ha investito il gruppo Meridiana;
    da diversi anni, la seconda società di bandiera, il gruppo Meridiana, vettore infrastrutturale strategico per garantire la viabilità aerea da e per la Sardegna, è interessato da una profonda crisi aziendale, che ha indotto i vertici societari a ricorrere all'istituto della cassa integrazione per migliaia di dipendenti di Meridiana fly, Air Italy e Meridiana maintenance;
    il gruppo Meridiana, di proprietà del fondo Akfed, è stato ciclicamente salvato da continue iniezioni di capitale;
    il nuovo assetto societario avrebbe dovuto rendere maggiormente competitiva ed efficiente la compagnia, creando al tempo stesso i presupposti per il risanamento aziendale;
    le suddette acquisizioni si sono rivelate fallimentari, dando vita, nel 2006, a una flessione negativa patrimoniale di 200 milioni di euro; il gruppo, a partire dal 2007, ha inoltre registrato margini lordi negativi, con una contrazione debitoria di 300 milioni di euro fino ad oggi;
    sulla base dei dati negativi esposti, Meridiana, Governo e sindacati, nel 2011, hanno concluso un accordo per concedere la cassa integrazione guadagni straordinaria, a zero ore, su base volontaria. Nel 2013 il numero medio dei dipendenti del gruppo Meridiana era pari a 1.694 addetti, di cui 1.011 personale di terra e 683 personale di volo, con una riduzione complessiva di 403 unità rispetto al 2012 mediante utilizzo della procedura di cassa integrazione guadagni straordinaria. Nel corso del 2014 la situazione di crisi di Meridiana spa si è ulteriormente aggravata, spingendo i vertici della società ad annunciare un piano di ristrutturazione che prevede la messa in mobilità di 1.634 dipendenti, «in esubero strutturale», di cui 1.478 dipendenti del settore del trasporto aereo (262 piloti, 896 assistenti di volo e 320 dipendenti personale di terra) e 156 dipendenti di Meridiana maintenance, che cura i servizi di manutenzione; nel contempo, è stata avviata la sostituzione della flotta che prevede l'acquisto di 20 aerei Boeing entro la fine del 2015;
    di fatto, i numeri del piano di ristrutturazione prefigurano un sostanziale ridimensionamento della seconda compagnia di trasporto aereo nazionale, il cui futuro si prospetta del tutto incerto e senza obiettivi industriali credibili;
    quella che doveva essere un'operazione di salvataggio dell'azienda si configura, invece, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, come una vera e propria operazione di dumping;
    il costo del lavoro è sicuramente una componente rilevante del deficit di bilancio, ma ci sono anche dei punti deboli non superati della compagnia aerea. Tra i nodi in questione, un organico sovradimensionato che deve mantenere una flotta considerevole e, in parte, obsoleta. La compagnia utilizzerebbe aeromobili acquistati negli anni ’80, che la maggior parte delle compagnie moderne non utilizza o sta dismettendo. Al contempo, gli aeromobili più moderni, tra cui gli Airbus 320, i Boeing 737 e 767 sono in affitto, per cui hanno un costo anche se restano fermi;
    l'eccesso di personale è in parte legato ad una serie di contenziosi legali che hanno comportato assunzioni obbligatorie, imposte dall'autorità giudiziaria. Infatti, alcuni dipendenti sono stati assunti con i contratti delle aziende di provenienza, risalenti ai primi anni duemila. Si tratta di contratti a tempo determinato e in massima parte di carattere stagionale, soprattutto per il personale proveniente da Eurofly. Oltre 500 lavoratori, assunti inizialmente per 2 o 3 stagioni, hanno impugnato il contratto originario e preteso, in alcuni casi, il reintegro e, in altri, un risarcimento pecuniario, determinando, per la società, un eccesso di personale e l'obbligo di risarcimento delle controparti;
    il licenziamento di 450 lavoratori della società GroundCare, la principale società di handling aeroportuale di Fiumicino, è davvero emblematico. Secondo quanto diffuso dai media, tra il 30 e il 31 dicembre 2014, sarebbero stati chiamati in massa a firmare le «liberatorie», per la rinuncia al mancato preavviso e per non presentare ricorso opponendosi al licenziamento stesso, circa 450 lavoratori su poco più di 850 complessivi in forza presso la società. Detto licenziamento sarebbe stato recapitato successivamente al 1o gennaio 2015, in modo da penalizzare il lavoratore nell'accesso alla mobilità che, come noto, dal 1o gennaio 2015 ha subito una drastica riduzione per effetto dell'entrata in vigore della cosiddetta legge Fornero;
    tra le molte vertenze si segnala quanto accaduto alla Argol che ha licenziato 76 lavoratori dopo 20 anni di attività di contratti di appalto della compagnia Alitalia: contratti che la compagnia aeroportuale ha deciso di non rinnovare, con tutti gli effetti che si possono immaginare per i lavoratori addetti alla movimentazione del materiale aeronautico negli hangar di Fiumicino che nel 2012 sono stati sostituiti con personale più precario e più basso costo;
    altrettanto sconcertante appare la vicenda di 500 lavoratori di Sea handling, agevolati all'uscita dalla società di gestione degli aeroporti milanesi (Linate e Malpensa) e, di fatto, sostituiti da lavoratori interinali e precari, nel passaggio delle attività dalla citata azienda ad Airport handling, la neonata impresa, sorta a fronte del fallimento pilotato della prima in seguito alle sanzioni dell'Unione europea, inflitte per il presunto passaggio di denaro dalla Sea alla stessa Sea handling, che la controlla. La Sea, a sua volta, è posseduta al 54 per cento dal comune di Milano e al 44 per cento da una serie di altri azionisti minori, sia pubblici che privati;
    per quanto riguarda la società Alitalia la prevista ristrutturazione determinerà esuberi strutturali pari a 2.250 unità;
    tale ristrutturazione, prevista all'interno di un organico piano industriale, ha richiesto un investimento di Etihad pari a 1,25 miliardi di euro da qui al 2018, sacrificando, in nome dell'interesse generale, oltre 1.600 lavoratori precari, concentrati nei settori di terra operativi (scalo, carico-scarico bagagli, rampa e altro), purtuttavia procedendo all'assunzione di 200 lavoratori a tempo determinato. Tali licenziamenti continuano ad avere ripercussioni negative sulle attività di terra della ex-compagnia nazionale, costretta a esternalizzare dette attività;
    l'attività informatica dell’Alitalia viene spezzata in due grandi tronconi (attività applicative ed attività operative) pur di favorirne la dismissione. La cessione ad Ibm determina il licenziamento di circa 70 lavoratori inseriti nelle liste degli esuberi. L'altro grande spezzone dell'informatica di circa 200 dipendenti sarà, invece, mantenuto integro, nelle more di una successiva cessione. Relativamente alle restanti attività di manutenzione degli aeromobili della compagnia, al momento concentrate nella divisione tecnica di Alitalia (ormai meno di 2.000 dipendenti contro gli oltre 5.000 degli inizi degli anni 2000) e in Ams (Alitalia maintenance systems), una società partecipata da Alitalia che si occupa della revisione dei motori, creata nel 2008 ed ormai in liquidazione, si profila la reinternalizzazione dei 200 operai delle manutenzioni licenziati a novembre 2014, da impiegare nelle attività di manutenzione pesante degli aeromobili, ceduta da Cai all'israeliana Bedec e gestita da Atitech,

impegna il Governo:

   ad avviare un'indagine amministrativa sulla situazione produttiva e occupazionale del comparto aeroportuale, in modo tale da farsi garante di una soluzione che tenga conto della salvaguardia dei posti di lavoro e della dignità dei lavoratori coinvolti e delle rispettive famiglie, di cui i casi Alitalia, Meridiana, Groundcare, Sea handling e Argol rappresentano solo alcuni di quelli più eclatanti;
   a fornire ogni utile elemento sullo stato della vertenza Meridiana, con particolare riguardo al piano di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale ed al futuro occupazionale dei dipendenti interessati;
   ad adottare tutte le possibili iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, a livello nazionale ed europeo, affinché forme di deregulation come quella attuata dalla compagnia di proprietà dell'Aga Khan (che ha acquistato la Air Italy trasferendovi tutta la forza lavoro di Meridiana ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo al solo scopo di risparmiare) siano vietate;
   ad adottare iniziative volte ad impedire il ripetersi di operazioni quali quella verificatasi tra Meridiana fly e Air Italy, al fine di evitare che i lavoratori si trovino costretti ad accettare contrattazioni al ribasso per non essere licenziati;
   a porre in essere, per quanto di competenza, ogni iniziativa di vigilanza e ispezione da parte delle autorità competenti, per verificare la presenza di eventuali irregolarità sotto il profilo della sicurezza e della tutela igienico-sanitaria dei lavoratori operanti nel comparto aero-aeroportuale, nonché a svolgere le verifiche di competenza sugli appalti, con specifico riferimento a quanto espresso in premessa;
   a porre in essere iniziative che consentano di verificare eventuali abusi di personale tecnico del comparto aereo, che, pur usufruendo dell'istituto dell'ammortizzatore sociale, offre la prestazione professionale a compagnie che hanno sede all'estero;
   ad approvare al più presto un piano nazionale aeroporti in grado di rispondere alle reali esigenze di mobilità, tale da favorire la definizione dei piani industriali necessari al rilancio delle società di gestione aereoportuali e una rapida approvazione dei contratti di programma da parte dell'Enac, mettendo in atto le condizioni per la ripresa dell'intero settore e facendosi promotore di una soluzione che salvaguardi gli attuali livelli occupazionali;
   a valutare i benefici contrattuali ed occupazionali del settore del trasporto aereo che scaturiscono dall'approvazione del contratto di settore da parte delle associazioni datoriali di categoria e dei sindacati confederali, considerando che tale contratto di settore ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo procede in direzione opposta alla politica governativa, che, invece, punta ad una definizione di contratti aziendali più flessibili e variabili a seconda delle diverse esigenze aziendali;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata a chiarire i tempi e le modalità attraverso le quali il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e l'Enac intendano definire i criteri di selezione della platea dei lavoratori licenziati da cui dovranno attingere le aziende per le future assunzioni e per l'attivazione dei contratti di ricollocazione, così come definiti dalla legislazione vigente e avviati in forma sperimentale nel comparto del trasporto aereo;
   alla luce della comunicazione della Commissione europea sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree (2014/C 99/03), a valutare l'opportunità di impiegare le risorse del fondo speciale trasporto aereo per garantire il mantenimento del livello occupazionale, lo sviluppo e la ripresa del sistema aeroportuale, anziché destinarle al mero sostegno al reddito, anche considerati i risultati finora conseguiti;
   in conseguenza di quanto sopra detto, a valutare quale sia l'effettivo utilizzo delle somme di cui agli articoli 4, comma 75, e 2, comma 47, della legge n. 92 del 2012 nell'ottica di alimentare il fondo speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del trasporto aereo.
(1-00774) «Cominardi, Paolo Nicolò Romano, Tripiedi, Lombardi, Ciprini, Chimienti, Dall'Osso, Liuzzi, Dell'Orco, De Lorenzis, Carinelli, Spessotto, Nicola Bianchi».


   La Camera
   premesso che:
    il trasporto aereo costituisce un fattore fondamentale per la crescita del sistema economico-sociale del nostro Paese. Esso ha assunto da tempo in Italia una rilevanza strategica nell'ambito dell'intero sistema dei trasporti interni e di collegamento internazionale: rilevanza destinata a crescere ulteriormente in relazione alle rotte ed al numero dei vettori impiegati;
    un recentissimo studio di Aci Europe evidenzia, altresì, come gli aeroporti in Europa contribuiscano alla crescita economica del continente, generando nel complesso 675 miliardi di euro all'anno, pari al 4,1 per cento del prodotto interno lordo europeo;
    per il trasporto aereo la Commissione europea prevede che, nonostante la grave crisi economica che ha colpito i Paesi europei, vi sia un trend di sviluppo positivo entro il 2030, con un raddoppio del traffico aereo globale a livello mondiale;
    è da sottolineare, in particolare, come in Italia, le previsioni dell'evoluzione del traffico aereo nel medio e lungo periodo, secondo quanto riportato dall'indagine conoscitiva svolta nella XVI legislatura dalla Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, prospettino un rilevantissimo incremento. Infatti, sono state elaborate proiezioni secondo le quali nel nostro Paese si passerà dai 133 milioni di passeggeri nel 2008 a circa 230 milioni nel 2020;
    nel 2014, secondo le stime di Assoaeroporti, il traffico aereo italiano è tornato a crescere dopo due anni di contrazione. Il sistema aeroportuale italiano ha, infatti, registrato, rispetto all'anno 2013, un incremento del traffico passeggeri pari al 4,5 per cento e un aumento dei volumi di merce trasportata pari al 5 per cento. In particolare, i passeggeri transitati nei 35 scali monitorati da Assoaeroporti sono stati, nel corso del 2014, 150.505.471, corrispondenti a 6,4 milioni di passeggeri in più rispetto al 2013. Gli scali di Roma Fiumicino, Milano Malpensa, Milano Linate, Bergamo e Venezia si confermano i primi cinque aeroporti italiani di passeggeri transitati. In particolare, sul risultato complessivo ha inciso positivamente sia la ripresa del traffico nazionale, che registra un incremento del 2,5 per cento rispetto al 2013, sia la netta crescita del traffico internazionale, con un 5,9 per cento in più, sia quella del traffico dell'Unione europea, che registra un più 7,5 per cento rispetto al 2013. La valenza della crescita del trasporto aereo nel 2014 è resa ancora più significativa dal fatto di essere superiore di 1,7 milioni di passeggeri rispetto ai volumi di traffico del 2011, ultimo anno di crescita del traffico aereo in Italia;
    nonostante i dati registrati nel 2014 (che denotano un trend di crescita positivo per il trasporto aereo), occorre evidenziare come vi sia una situazione grave per quanto riguarda l'occupazione del personale che opera nel comparto aeroportuale;
    la grave crisi economica che ha colpito così profondamente il nostro Paese ha, infatti, determinato un contraccolpo negativo nei vari settori produttivi, colpendo anche il comparto aeroportuale: di fronte alla condizione di evidente difficoltà le varie imprese hanno cercato di porre rimedio ricorrendo a piani di razionalizzazione, sia dei voli stessi che del personale. Ed in altri casi (come quello di Alitalia) a fusioni con altri operatori;
    tra i casi di crisi aziendali che riguardano l'intero settore aeroportuale suscitano particolare preoccupazione quelle riguardanti Alitalia, Meridiana, Groundcare, Sea handling e Argol;
    tale crisi ha messo in grave difficoltà le prospettive di lavoro di famiglie e la dignità di moltissimi operatori presenti nell'indotto;
    il rapporto annuale dell'Enac ha messo in evidenza le principali cause di difficoltà che i vettori italiani hanno dovuto affrontare nel corso del 2013: esse sono legate ad elementi congiunturali amplificati dalla perdurante crisi economica, dalla frammentazione della quota di mercato, dalla competizione delle compagnie low cost e dei charter. Le compagnie, pertanto, hanno dovuto attuare processi di ristrutturazione aziendale al fine di recuperare competitività, migliorare la produttività e ridurre i costi. Secondo il rapporto Enac, inoltre, hanno inciso sull'andamento delle compagnie aeree nel 2013: l'aumento del costo del carburante (con il petrolio oltre i 100 dollari al barile), l'incremento delle tariffe aeroportuali e di navigazione aerea ed il calo della domanda dovuto ad una diminuzione della propensione al consumo;
    è da sottolineare, altresì, come due fattori, tra loro fortemente interrelati, hanno reso possibile una sostanziale modifica delle condizioni di produzione e di fruizione del servizio aereo: il processo comunitario di liberalizzazione del trasporto aereo (che ha avuto piena attuazione a partire dal 1997) e la successiva intensificazione delle dinamiche competitive hanno favorito la crescita del numero dei concorrenti, un aumento dell'offerta proposta su numerose rotte ed una conseguente riduzione delle tariffe. Questo processo è divenuto irreversibile ed ha comunque prodotto, sostanzialmente, condizioni più favorevoli per l'intero sistema;
    la liberalizzazione del trasporto aereo in Europa ha, pertanto, prodotto regole completamente nuove: infatti, da un mercato fortemente rigido si è passati ad un ambito liberalizzato che ha creato i presupposti per un cospicuo incremento dell'offerta ed il conseguente soddisfacimento di una domanda più ampia. Ciò ha consentito l'ingresso di nuovi operatori, connotati da diverse dimensioni ed ambiti di operatività, che si è tradotto indubbiamente in un vantaggio per l'utenza. Le dinamiche tariffarie conseguenti alla liberalizzazione hanno, quindi, inciso profondamente sull'assetto competitivo e sugli equilibri finanziari delle imprese;
    sicché dove si è intensificata la dinamica concorrenziale, per molti vettori si sono determinati anche gravi problemi di sostenibilità economica che hanno messo e mettono, quindi, in discussione il numero degli attori presenti;
    in tale contesto si dovrebbero valutare operazioni di concentrazione o diverse forme di cooperazione tra i vettori in modo da garantire agli stessi di mantenere la competitività sul mercato, assicurando, al contempo, una maggiore efficienza del sistema. Solo in questo caso si avrà un quadro competitivo del trasporto aereo nazionale adeguato ed efficiente, in modo da offrire all'utente condizioni favorevoli e sicure. Da non trascurare, altresì, è la circostanza che un assetto dinamico del trasporto aereo può fornire, senza dubbio, un considerevole contributo di efficienza e competitività internazionale ad altri settori produttivi che, in vario modo, partecipano alla crescita complessiva del nostro Paese;
    non va trascurato, infine, come lo sviluppo della concorrenza, che rappresenta, nel suo complesso, un elemento positivo, sia un processo difficile e costoso che incide su fattori della produzione delicati, come quello relativo all'occupazione che va tutelata e salvaguardata;
    il Governo si è subito attivato per affrontare una crisi grave che rischia di colpire un settore strategico per il nostro Paese: l'intervento del Governo, infatti, nei limiti di quelle che sono le sue competenze e possibilità, ha permesso che venissero attivate le giuste sedi di confronto sindacali ed aziendali. L'Esecutivo ha svolto un ruolo fondamentale ed attivo nella gestione delle vertenze che hanno riguardato le compagnie aeroportuali,

impegna il Governo:

   a promuovere un tavolo di confronto nazionale sul trasporto aereo che coinvolga i Ministri interessati, le regioni e le parti sociali, al fine di adottare soluzioni condivise che possano superare la grave crisi occupazionale che sta attraversando il comparto aeroportuale;
   a promuovere misure dirette a facilitare l'aggregazione delle società del comparto aeroportuale, in modo da garantire alle stesse di mantenere competitività sul mercato ed avere maggiore efficienza;
   ad assumere iniziative per introdurre misure dirette a rilanciare il settore economico dell'indotto, nonché per consentire il rilancio industriale del comparto aeroportuale.
(1-00775) «Garofalo, Dorina Bianchi, Piso».


   La Camera,
   premesso che:
    in occasione dell'Expo 2015, il cui adagio è «Nutrire il Pianeta. Energia per la Vita», è in corso un dibattito su alcuni nodi cruciali della sfida alimentare globale, che culminerà con l'adozione della «Carta di Milano», un documento che, su esperienze precedenti, come, ad esempio, il «Protocollo di Kyoto», vuole essere lo strumento e il frutto di un percorso partecipato, per guidare il dibattito che si svolgerà nei prossimi mesi, e per tutte le iniziative che diverranno eventi nel semestre dell'Expo 2015;
    la Carta di Milano sarà la dichiarazione conclusiva dell'Esposizione universale da consegnare al Segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, quale atto di indirizzo internazionale e quale contributo alle riflessioni che saranno svolte in sede di discussione sui millennium goals a novembre 2015;
    la sua nascita si deve alla giornata «Expo delle idee», del 7 febbraio 2015, nella quale 500 esperti, riuniti all’hangar Bicocca di Milano, hanno avuto modo di cominciare a confrontarsi e analizzare le sfide dell'alimentazione globale intorno a 42 tavoli tematici su argomenti come: lo sviluppo sostenibile all'interno dell'interrelazione tra economia, ambiente e società; culture, identità e stili alimentari; agronomia, nutrizione, economia del cibo; Milano/Italy tra smart e slow city;
    un percorso di riflessione globale, attivato dal basso, che mira al reale coinvolgimento della società civile, che, ponendosi in fase dialogante con i governatori dei vari Paesi, ha l'ambizione di arrivare alla stesura di un documento finale, che in linea con i suoi scopi originali sia in grado di coinvolgere nel dibattito tanti più contributi possibili, ponendosi come obiettivo finale la sfida di un sistema alimentare ed agricolo globale sostenibile, in grado di contrastare gli sprechi alimentari, la fame nel mondo, dai Paesi con economie più povere, alle malattie legate all'alimentazione di Paesi con economie più avanzate, tutelare le culture indigene e le realtà di agricoltura contadina e familiare e garantire cibo sano. Il Governo italiano, sostenendo la Carta di Milano, farà suo questo intento;
    il 22 dicembre 2013 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2014 anno internazionale dell'agricoltura familiare, International year of family farming; tutta la campagna in favore dell’International year of family farming ha avuto inizio nel 2008, ha visto coinvolte oltre 350 organizzazioni provenienti da Paesi di tutto il mondo, da piccole e medie comunità rurali ed aziende agricole fino ai popoli indigeni. L'obiettivo è quello di orientare radicalmente le politiche agricole a favore dell'agricoltura contadina familiare, sia nel mondo sviluppato che nei Paesi in via di sviluppo, ponendo l'attenzione sull'importante ruolo che essa gioca nell'alleviare la fame e la povertà, nel rafforzare la sicurezza alimentare e la nutrizione, nel migliorare i mezzi di sussistenza, nella gestione delle risorse naturali, nella protezione dell'ambiente e nel raggiungere uno sviluppo sostenibile, in particolare nelle zone rurali e marginali. Secondo un'analisi condotta da «Via Campesina», un'organizzazione internazionale fondata nel 1993 con più di 160 organizzazioni in 79 Paesi, che conta più di 200 milioni di contadini e contadine aderenti, le piccole e medie aziende contadine sono la spina dorsale economica e sociale dell'agricoltura europea, la più potente a livello mondiale, dove in media le aziende agricole sono di 14 ettari, oltre il 69 per cento delle aziende agricole coltivano meno di 5 ettari e solo il 2,7 per cento possiede più di 100 ettari. Imperniate sulle capacità e sull'intensità del lavoro – non sul capitale – adattate all'infinita diversità delle condizioni naturali, sociali ed economiche, queste strutture produttive garantiscono la sicurezza e la diversità alimentare ai cittadini europei e sono un modello di sostenibilità sociale, economica ed ecologica. Sposando un altro modello di sviluppo agricolo che, contrapponendosi all'agricoltura industriale, basata sul mercato di grossa scala e sulle monoculture, salvaguarda il territorio ed è in grado di dare risposte adeguate sia alla crisi economica che a quella climatica;
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95-115 chilogrammi pro capite di cibo all'anno, mentre nel Sud-Est asiatico e nell'Africa sub-sahariana il dato è di 6-11 chilogrammi pro capite; lo spreco alimentare ha assunto, e sta sempre più assumendo, una dimensione di portata mondiale, tanto che metà del cibo prodotto nel mondo non arriva mai ad essere consumato. Il problema dello spreco alimentare è da ritenersi connesso alle politiche economiche e di marketing che, negli ultimi 20 anni, hanno prodotto fattori e azioni comportamentali altamente distorsivi della realtà fattuale con tutte le conseguenze effettuali che da tale modus comportandi e vivendi sono derivate. Le politiche di marketing delle multinazionali e le normative sulla brevettazione dei prodotti agroalimentari hanno contribuito a generare comportamenti sociali tendenti a produrre sempre più «spreco» e «scarto» alimentare. I dati sullo spreco di cibo nei Paesi industrializzati ammonta a 222 milioni di tonnellate, ossia il corrispettivo della produzione alimentare disponibile nell'Africa sub-sahariana, che è di 230 milioni di tonnellate; la Fao stima che a livello mondiale la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonta a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione, mentre la popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e/o denutrita: questi dati allontanano, oggettivamente, il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, incluso quello di dimezzare la fame e la povertà entro il 2025; sempre secondo dati della Fao, il previsto aumento da 7 miliardi a 9 miliardi della popolazione mondiale richiederà un incremento minimo del 70 per cento della produzione alimentare entro il 2050. Secondo i dati dell'indagine realizzata nel 2012 dalla Fondazione per la sussidiarietà e dal Politecnico di Milano, in collaborazione con Nielsen Italia, lo spreco alimentare in Italia ammonta a 6 milioni di tonnellate, pari a un valore di 12,3 miliardi di euro (6,9 miliardi direttamente dai consumatori);
    rispetto ai trattati internazionali in corso di negoziazione, come, ad esempio, il Transatlantic trade and investment partnership, Ttip, è doveroso sottolineare come l'agricoltura europea, frammentata in milioni di piccole aziende, finirebbe per entrare in crisi se non venisse più protetta dai dazi doganali e, soprattutto, se venisse dato il via libera alle colture geneticamente modificate. Ci sarebbero anche rischi per i consumatori perché i principi su cui sono basate le leggi europee sono diverse da quelli degli Stati Uniti. In Europa vige il principio di precauzione (l'immissione sul mercato di un prodotto avviene dopo una valutazione dei rischi), mentre negli Stati Uniti per una serie di prodotti si procede al contrario: la valutazione viene fatta in un secondo momento ed è accompagnata dalla garanzia di presa in carico delle conseguenze di eventuali problemi legati alla messa in circolazione del prodotto (possibilità di ricorso collettivo o class action, indennizzazione monetaria). Oltre alla questione degli organismi geneticamente modificati, questa critica viene sollevata relativamente all'uso di pesticidi, all'obbligo di etichettatura del cibo, all'uso del fracking per estrarre il gas e alla protezione dei brevetti farmaceutici, ambiti nei quali la normativa europea offre tutele maggiori. Non ultime, in questo discorso, le produzioni di qualità che contraddistinguono l'Italia nello scenario mondiale quale leader nell'esportazione di prodotti alimentari dop, igp e stg. Evocare la denominazione di un prodotto tipico fa parte di quel fenomeno di slealtà commerciale chiamato italian sounding, ossia la contraffazione imitativa che danneggia gravemente il made in Italy anche in Paesi come gli Stati Uniti. Non è che l'Italia sia più competitiva degli Usa in generale, ma l'Italia esporta prodotti alimentari di altissima qualità legati agli elevati standard qualitativi che i disciplinari tecnici europei richiedono per conseguire le denominazioni;
    alcuni prodotti alimentari italiani sono salvaguardati dalle imitazioni nell'Unione europea ma non negli Stati Uniti. Le conseguenze di tale accordo potrebbero seriamente minare le produzioni di qualità e, quindi, mettere in crisi non solo l'Italia, ma anche quei Paesi europei che basano i propri prodotti sulla “tipicità”. Proteggere dall'immissione di organismi geneticamente modificati vuol dire agire a tutto tondo: dalla mangimistica ai controlli sull'immissione in commercio, avvalendosi della clausola di salvaguardia che garantisce al nostro Paese il successo del marchio made in Italy; con il Transatlantic trade and investment partnership questa garanzia non sarebbe più tale e le ricadute economiche sul settore agroalimentare e sulla salute dei cittadini potrebbero assumere contorni catastrofici;
    la prima causa del diffondersi delle fitopatie e parassiti delle piante è senza dubbio rappresentata dai grandi flussi di merci che alimentano gli scambi commerciali. Gli imballaggi, i mezzi di trasporto ed il materiale vegetale trasportato si spostano da un continente all'altro, raggiungendo zone geografiche anche molto lontane dal loro areale di origine. Si tratta di ambienti nuovi per i patogeni importati, dove mancano i naturali antagonisti e la diffusione è semplificata. È poi da considerare che le grandi multinazionali, che operano nel campo della riproduzione vegetale, come le aziende sementiere, hanno insediato i propri stabilimenti nei Paesi in via di sviluppo, dove i costi di produzione, essenzialmente la manodopera e l'energia, sono ridotti, con scarsa attenzione alla condizioni ambientali di contorno, dove sono presenti microrganismi, insetti o virus che possono seguire i semi nel loro lungo viaggio verso i Paesi industrializzati. Gli scarsi o inefficaci controlli fitosanitari del materiale in partenza non permettono di limitare questo rischio alla fonte. Non potendo gestire il problema alla fonte, i Paesi importatori hanno stabilito delle regole per l'ingresso del materiale vegetale;
    in Europa questa attività viene svolta dall’European and Mediterranean plant protection organization. I suoi obiettivi riguardano la protezione delle piante, lo sviluppo di strategie contro l'introduzione e la diffusione di patogeni, la promozione della sicurezza e di efficaci metodi di controllo. All'atto dell'arrivo del materiale vegetale, imballaggi compresi, vengono effettuate delle ispezioni da parte degli ispettori fitosanitari alle dogane e, se tutte le condizioni previste sono state rispettate, viene rilasciato un apposito certificato fitosanitario. Tale certificato attesta l'idoneità del prodotto, in base alla legislazione vigente e nel rispetto degli accordi internazionali, grazie al quale le piante, che hanno rilevanza economica (alimentare, forestale, ornamentale), possono circolare liberamente. Nonostante i controlli, molti parassiti sono già entrati nel continente europeo, quali: la anoplophora chinensis, coleottero che attacca i fruttiferi e le alberate, il dryocosmus kuriphilus, il cinipide del castagno che sta arrecando ingenti danni in molte aree forestali del nostro Paese, la varroa e il coleottero dell’athina tumida che ha colpito le api, e la xylella fastidiosa negli ulivi pugliesi. Si sta cercando di evitare l'introduzione della phakopsora pachyrhizi, fungo agente della ruggine asiatica della soia, la cui diffusione negli ultimi 100 anni può servire da esempio per capire quanto difficile sia combattere una patologia. Rilevata per la prima volta in Asia nel 1902, dove fu causa di ingenti danni, si diffuse tramite spore trasportate da correnti d'aria in Africa e, a partire dal 2000, in America latina, da dove è poi sbarcata negli Stati Uniti;
    il land grabbing è un fenomeno che assume dimensioni sempre più planetarie, dove le vittime principali sono gli abitanti dei Paesi più poveri del mondo che vengono depauperati del loro sostentamento principale che è la terra. Il fenomeno socio-economico è drammaticamente in crescita esponenziale e si realizza grazie all'azione congiunta sia degli Stati che delle imprese, ma a prevalere nel percorso di accaparramento della terra è soprattutto il settore privato. L'asse portante consiste in investimenti a basso costo in terre del sud del mondo, dove si concentra circa il 40 per cento di tutte le fusioni e acquisizioni agricole. A «cedere» la loro terra sono, in generale, i Paesi più poveri, per la disponibilità e il basso costo della superficie coltivabile, per il clima favorevole e per la disponibilità di manodopera quasi a costo zero. Nella maggior parte dei casi, si tratta di Paesi che rientrano nella fascia con il più elevato rischio di fame e povertà al mondo;
    la contrattualistica si codifica in assenza di clausole vincolanti e precise che prevedano iniziative sociali e lavoristiche concrete da parte degli investitori a favore delle zone interessate dal fenomeno, oltre a riguardare il controllo e la verifica degli «impegni sottoscritti». La durata delle concessioni risulta essere molto lunga, 30,40 e, in alcuni casi, anche 90 anni, con accordi che prevedono affitti risibili che vanno dai 2 ai 10 dollari per ettaro, come in Sudan o in Etiopia. Gli interessi sono consoni alle esigenze degli investitori, senza riferimenti alla sicurezza alimentare delle popolazioni locali, che si vedono destinata solo una minima parte dei raccolti. Per sicurezza alimentare si intende non solo il ridotto raccolto che spetta ai locali, certamente non sufficiente per i loro fabbisogni alimentari, ma si estende anche all'alimentazione e alla protezione degli animali, anch'essi appartenenti alla catena alimentare. La sicurezza alimentare riguarda il tema dell'assenza di controlli veterinari e, non ultimo, dell'igiene, la cui assenza produce innumerevoli infezioni agli animali e agli esseri umani stessi;
    da qualche tempo, gli accaparratori di terre hanno messo gli occhi anche sui suoli più fertili d'Europa e d'Italia, dove i fenomeni di land grabbing si situano nella zona della Costa Smeralda, di Porto Torres e della provincia di Cagliari;
    l'agricoltura italiana sta vivendo uno dei periodi più drammatici della sua storia. I costi di produzione hanno raggiunto livelli insostenibili, mentre i ricavi delle produzioni agricole sono fermi agli anni settanta e non sono affatto remunerativi a causa del dimezzamento dei redditi degli agricoltori. A questa drammatica situazione non si è riusciti, ad ora, a dare una risposta, nonostante i notevoli servizi di multifunzionalità che il mondo agricolo offre alla società sotto il profilo della salute pubblica, della tutela dell'ambiente, del presidio del territorio e della biodiversità. Accanto a una situazione di grave disagio economico e sociale del comparto agricolo, il livello di tassazione e di imposizione fiscale rischia di far chiudere un numero non calcolato di aziende agricole, con tutti i drammatici effetti collaterali che un evento del genere comporterebbe per molti territori che vivono solo di agricoltura. A questo si aggiunga l'eccessiva burocratizzazione che spesso penalizza e rallenta il percorso di molti imprenditori agricoli, soprattutto i piccoli imprenditori, lasciando il mercato nelle mani di pochi monopoli. La burocratizzazione impedisce, altresì, la cooperazione fra i vari Stati;
    la fase di emergenza dei mercati agricoli e la conseguente diffusa volatilità dei prezzi, derivante dall'assenza di una condivisa regolamentazione globale del mercato delle merci che ha caratterizzato il settore nell'ultimo decennio, continuano a manifestare i propri segnali negativi;
    il suolo è una risorsa non rinnovabile che svolge funzioni ecosistemiche per la società nel suo complesso olistico. I processi di antropizzazione che l'uomo pone in essere con le sue attività produttive occupano sempre più porzioni di territorio che viene trasformato in modo pressoché irreversibile. Il ritmo di questi processi è cresciuto parallelamente allo sviluppo delle economie: quello dell'aumento del consumo di suolo è un fenomeno globale, in cui, per la scarsità di suolo edificabile, l'avanzata dell'urbanizzazione contende il terreno all'agricoltura e spinge all'occupazione di aree non adatte all'insediamento, come quelle a rischio idrogeologico;
    il consumo di suolo agricolo, inoltre, è corresponsabile di fenomeni di alterazione climatica, come l'innalzamento della temperatura e la diminuzione delle risorse edibili per l'uomo, la cui miscela socio-ambientale produce delle drammatiche conseguenze socio-economiche in quei Paesi dove si «mastica la fame»;
    in agricoltura, le monocolture, ossia il sacrificare vaste zone di territorio per la coltura di un'unica specie vegetale in maniera intensiva e standardizzata, sono tra le principali cause della scomparsa di biodiversità. Convertire foreste rigogliose, ecosistemi ricchi e variegati e complessi in monocolture significa condannare a morte milioni di creature vegetali e animali. Questo processo tanto sbandierato come «sviluppo» e «progresso» dalle multinazionali, di fatto ha contribuito enormemente ad aumentare il tasso di povertà nel mondo. Le aree impiegate per questo tipo di coltivazione, ormai sempre più frequente viene gestito da grandi gruppi, i quali esercitano – in un mercato globalizzato tendente alla riduzione progressiva delle varietà colturali in modo da esser più facilmente controllato – nelle zone delle foreste pluviali operazioni massicce di disboscamento, come avviene da anni in Amazzonia e negli ultimi due lustri per la Mata atlantica (fenomeno questo conosciuto come «desmatamento»);
    le foreste pluviali tropicali sono gli ecosistemi terresti più ricchi. Esse coprono il 7 per cento della superficie mondiale e danno rifugio al 70 per cento di tutte le specie. Le monocolture, quindi, rendono sterili i terreni, impoveriscono i sottosuoli e pregiudicano le sorgenti genetiche dell'agricoltura, rendendo i raccolti più vulnerabili alle fitopatie. La conseguenza è la drammatica alterazione degli equilibri microcosmici e sistemici, oltre al fatto che viene messo in serio rischio la sicurezza e la sovranità alimentare. La distruzione della biodiversità favorisce le infezioni e le patologie, perché le piante si indeboliscono e sono più facilmente attaccabili dagli insetti che negli ultimi 40 anni hanno raddoppiato i danni alle colture, nonostante l'uso di pesticidi sia decuplicato;
    l'agricoltura intensiva è l'attività che richiede più utilizzo di acqua in Europa. Circa l'80 per cento della risorsa idrica è impiegata nell'irrigazione, spesso inefficiente per la cattiva manutenzione degli impianti e per il ricorso a tecnologie obsolete e poco attente al risparmio idrico. L'agricoltura industrializzata non si limita ad impiegare ingenti quantità di acqua, ma è causa anche di inquinamento. Infatti, i fertilizzanti chimici e i pesticidi penetrano nel terreno raggiungendo e inquinando le falde acquifere sotterranee oppure vengono dilavati dalle acque meteoriche (piogge) e di irrigazione e immessi direttamente nelle acque superficiali in quantità tali da comprometterne la capacità autodepurativa. Inoltre, lo sconsiderato utilizzo di acqua, ossia il divario esistente tra il rifornimento idrico e la domanda di acqua, sta aumentando in quelle aree che già oggi soffrono di carenza di idrica, aggravata dai crescenti e violenti fenomeni di siccità, e si rivelerà il maggior vincolo alla crescita e allo sviluppo agricolo sostenibile;
    in Europa, soprattutto nelle aree meridionali e centrali, la disponibilità di acqua diminuirà sempre di più a causa di una continua diminuzione delle precipitazioni estive e delle elevate esigenze idriche di alcune tipi di colture e metodi di coltivazione semi o totalmente industrializzati;
    nei Paesi del sud del mondo l'acqua utilizzata per l'irrigazione rappresenta ben il 91 per cento del consumo idrico (rispetto al 39 per cento dei Paesi ad alto reddito), ma la produzione agricola è pari ad un terzo di quella dei Paesi industrializzati, poiché metà dell'acqua destinata all'irrigazione evapora per le elevate temperature, oppure si perde a causa delle pessime reti idriche di distribuzione;
    il fenomeno della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento dei migranti rimane una delle prime problematiche da affrontare e risolvere a livello globale. Un fenomeno che coinvolge un alto numero di migranti che finiscono in circuiti di marginalità sociale e illegalità, vittime di un sistema di sfruttamento sia a livello di manodopera che sessuale;
    la presenza di un gran numero di lavoratori vulnerabili e disponibili a salari bassi ha consentito a molte aziende di reggere alla crescente pressione sui prezzi dei prodotti agricoli operata da commercianti, industrie conserviere e catene della grande distribuzione organizzata, causata dalla competizione internazionale dovuta alla liberalizzazione dei mercati dei prodotti agricoli. I conflitti sociali avvenuti negli anni scorsi a El Ejido in Andalusia, a Manolada in Grecia e nelle Bouches-du-Rhône in Francia mostrano come i lavoratori migranti impiegati in agricoltura siano in condizioni difficili un po’ in tutta Europa, sebbene con modalità differenti. Per non parlare dell'agricoltura californiana, che alcuni economisti e sociologi hanno individuato come il modello – fatto di agricoltura intensiva e ipersfruttamento dei migranti – cui si sta conformando l'agricoltura europea, soprattutto mediterranea. Per continuare si può citare la disumana condizione degli operai agricoli palestinesi nella Valle del Giordano, i quali lavorano in condizioni disastrose, fino a 18 ore al giorno, privi di qualsivoglia sistema di sicurezza. Di conseguenza, gli incidenti sul lavoro sono ricorrenti e spesso mortali. La piaga dello sfruttamento dei braccianti agricoli è di matrice globale ed ha urgenza di essere affrontata in modo dirimente;
    i modelli economici perseguiti finora hanno portato alla dipendenza di quelle fonti energetiche che maggiormente si allineano con il metodo della continua ricerca del profitto. L'uso del petrolio, per il quale si stima che, agli odierni ritmi estrattivi, si esaurirà tra il 2040 e il 2070, sta spingendo le aziende a trovare alternative energetiche di approvvigionamento. Gli agrocombustibili, in quota parte, sono proposti sia come alternativa al petrolio, sia come mezzo per combattere il riscaldamento climatico globale e per questo le maggiori imprese internazionali si stanno lanciando in questo nuovo mercato, che risulta essere, però, contrario alle necessità alimentari dei popoli. Il rischio, tuttavia, è che, diffondendo la sostenibilità di questa fonte energetica, le multinazionali potranno liberamente sfruttare i beni agricoli per il mercato energetico. Il biocarburante esiste in virtù del biocombustibile, cioè un propellente ottenuto in modo indiretto dalle biomasse: grano, mais, bietola, canna da zucchero. E dunque i biocarburanti di prima, seconda e terza generazione riducono la disponibilità di derrate alimentari, aumentando la fame nel mondo. Peraltro, la coltivazione delle materie prime necessarie a produrli, in generale, è inquinante: la produzione di biodiesel, per esempio, è molto dispendiosa dal punto di vista idrico. Un calcolo calorico porta a dire che mantenere i veicoli col cibo umano è dispendioso. Questi sono solo alcuni dei problemi legati all'uso improprio dei biocarburanti. La teoria economica classica attesta che se la domanda supera l'offerta i prezzi crescono. Gli speculatori finanziari comprano dai contadini (principalmente del terzo mondo) il grano ad un prezzo molto basso e fanno in modo che questo prezzo aumenti nel tempo, sostenendo artificiosamente la domanda e contenendo l'offerta, realizzando così forti guadagni. È chiaro che, con questi meccanismi, i prezzi dei cibi di prima necessità subiscono aumenti molto elevati, tutto a scapito di milioni di persone che muoiono di fame. La speculazione finanziaria sui generi alimentari ha causato negli ultimi anni la sottoalimentazione di circa 850 milioni di persone. Questa situazione è stata stigmatizzata sia dalla Fao che dalla Banca mondiale: entrambe le istituzioni affermano che tra il 2007 e il 2008 si è registrato un aumento di circa l'88 per cento del prezzo dei cereali e, in generale, dell'80 per cento di tutte le granaglie. Gli agrocombustibili nuoceranno in maniera devastante anche sulle riserve d'acqua. Secondo l'Istituto internazionale per l'acqua, la produzione su larga scala di agrocombustibili provocherà nel 2050 il raddoppio dell'attuale fabbisogno idrico destinato all'agricoltura. Attualmente, circa l'80 per cento del totale di acqua dolce consumata dall'uomo è utilizzato in questo settore. Dal punto di vista sociale la produzione in massa di agrocombustibile diventerebbe più dannosa del problema dell'inquinamento che si pensa di risolvere. La paura è che in un'economia come questa, se gli agrocombustibili danno/daranno alle imprese maggiori profitti rispetto al mais, al grano e ad altro, difatti verrà privilegiata la coltura a scopo speculativo in luogo di quella a scopo alimentare;
    i semi rappresentano il dono della natura, elevata energia in uno spazio notevolmente piccolo, un micro universo in evoluzione a cui è legata la storia dell'umanità. È compito dell'uomo salvaguardarli, responsabilità dell'uomo tramandarli alle generazioni future. Facendoli rivivere ogni anno, ogni giorno, in ogni luogo e assecondando la loro più intima natura, si provvede ai bisogni di nutrimento dell'uomo;
    il sapere accumulato sulle proprietà curative delle piante, gli effetti sulla salute e come anche su certe particolari prassi di coltivazione e interazioni con il mondo animale e vegetale, con il suolo e con l'acqua, si è ampliato ed è stato tramandato nei secoli e nei millenni. L'accelerazione delle rivoluzioni tecnologiche in tutti i campi e la crescente concentrazione del potere economico nelle mani di un ristretto gruppo di persone e imprese hanno prodotto una sempre maggiore omogeneizzazione delle strategie produttive e delle culture umane. Si stanno distruggendo, con delle modalità e ad una velocità senza precedenti, la variabilità genetica della vegetazione spontanea e della fauna, come anche la diversità delle lingue e delle culture. La rapida estinzione delle coltivazioni diversificate e delle varietà colturali e lo sviluppo di sementi non rinnovabili (gli ibridi di «proprietà riservata» e i semi sterili prodotti con la cosiddetta tecnologia Terminator) minacciano il futuro della vita del seme e, con esso, il futuro dei coltivatori e della sicurezza alimentare. La libertà di gestire i semi e la libertà dei coltivatori sono minacciate dai nuovi diritti di proprietà e dalle nuove tecnologie che stanno trasformando i semi da bene comune condiviso del mondo contadino ad un bene di consumo sotto il controllo centralizzato dei monopoli corporativi. Il libero scambio dei semi è importante per la conservazione della diversità biologica e deve contestualmente riguardare la condivisione di conoscenze e lo scambio di idee, facilitando una crescita collettiva della comunità;
    gli allevamenti intensivi si espandono sul suolo terrestre e nei mari come immense, spietate chiazze tossiche, divorando salubrità e risorse di ogni sorta. All'interno di essi, cardine dell'industria globale del cibo, finisce la metà degli antibiotici fabbricati al mondo, mentre le monocolture di cereali e soia destinate al bestiame causano deforestazioni e impoveriscono per sempre gli habitat naturali. L'allevamento intensivo, noncurante del benessere animale, reca sofferenza agli animali e danno alle comunità locali, costrette a subirne inquinamento dovuto ai gas climalteranti prodotti dalle pratiche intensive degli allevamenti. Gli stessi operatori impiegati in simili strutture risentono di condizioni di lavoro estreme a causa degli elevati livelli di ammoniaca con cui entrano in contatto;
    il livello elevato di utilizzo degli antibiotici, che si usano per allontanare le malattie da ambienti così malsani, contribuisce alla proliferazione di «super batteri» antibiotico resistenti. Il grande numero di animali da allevamento che necessita di ingenti quantità di mangime (coltivato in vaste aree agricole, usando pesanti quantitativi di acqua, energia, fertilizzanti e pesticidi) produce una quantità enorme di rifiuti, causando un serio inquinamento e degrado ambientale. I liquami di origine animale e vegetale prodotti negli allevamenti hanno un potenziale inquinante molto più elevato di quello dei liquami domestici. L'eccesso di azoto proveniente dagli allevamenti può causare l'inquinamento delle falde acquifere, aumentando il livello di nitrati nell'acqua potabile, a cui si aggiunge l'eutrofizzazione (arricchimento di sostanze nutrienti) degli acquedotti, che può causare la proliferazione di alghe (diminuisce la quantità di ossigeno presente nell'acqua), con conseguenti morie di pesci ed altri organismi acquatici, tant’è che l'Agenzia europea per l'ambiente afferma che: «è diventato un gravissimo problema nell'Europa nordoccidentale». I fertilizzanti e i pesticidi diminuiscono la biodiversità; 20 specie britanniche di uccelli hanno subìto una riduzione di popolazione di oltre il 50 per cento negli ultimi 25 anni,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale, assumendo iniziative per il suo inserimento nella Carta costituzionale;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto globale per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati al fine di garantire il diritto a un cibo sano, sicuro, sufficiente e accessibile per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) adottare iniziative a favore dell'agricoltura familiare, riconoscendo, anche giuridicamente, al coltivatore il ruolo sociale e ambientale che svolge nel proprio territorio, in particolare nelle aree considerate marginali, montane e soggette a spopolamento;
    b) incentivare un modello di alimentazione che riduca gli sprechi alimentari ed inutili scarti, promuovendo informazione e responsabilizzazione nei consumi, sostenendo percorsi premiali affinché le mense scolastiche europee offrano cibo biologico e a chilometro zero agli studenti;
    c) ostacolare il fenomeno del land grabbing, le cui vittime principali sono gli abitanti dei Paesi più poveri del pianeta, depauperati delle loro terre native e delle risorse per il proprio sostentamento, attraverso concessioni governative imposte o cessioni unilaterali in favore di grandi investitori e Governi stranieri, a scapito della sicurezza e della sovranità alimentare delle popolazioni locali che si vedono destinate solo una minima parte dei raccolti;
    d) disincentivare, su scala globale, le agricolture industriali che basano la propria strategia produttiva sulle monoculture e sull'utilizzo massiccio di fitofarmaci che si sono rivelati nel tempo un modello di sviluppo insostenibile per il pianeta e per la tutela della biodiversità, delle foreste primarie e delle risorse idriche;
    e) impedire su scala globale quelle agroenergie che ricorrono alla produzione della monocoltura agricola, valorizzando le nuove tecnologie che utilizzano gli scarti di lavorazione del processo produttivo dei beni di prima necessità, che, se non opportunamente valorizzati, si traducono in esternalità negative per l'ambiente e la società;
    f) arginare il fenomeno del consumo di suolo, prevedendo che i suoli agricoli non possano cambiare la loro destinazione d'uso e/o essere impermeabilizzati, se non in casi eccezionali e d'interesse pubblico, mitigando il dissesto idrogeologico con l'implementazione di politiche occupazionali pubbliche per il ripristino dell'equilibrio ambientale e sistemico;
    g) rafforzare la sicurezza alimentare globale, mantenendo inalterato il principio di precauzione e gli standard qualitativi e di sicurezza sui prodotti agroalimentari del mercato europeo, promuovendo su scala globale questi principi e non sottoscrivendo alcun trattato internazionale che preveda accordi al ribasso per il sistema agricolo e alimentare europeo o che possa prevedere il sistema degli arbitrati internazionali, lesivo dell'autonomia dei Governi e della stessa democrazia sociale;
    h) promuovere l'adozione di un protocollo internazionale per la movimentazione delle merci agroalimentari e intensificare il sistema dei controlli riguardo la movimentazione di prodotti agroalimentari da altri continenti, al fine di impedire l'ulteriore contaminazione e l'introduzione di parassiti e malattie esotiche per le piante e gli animali autoctoni, in modo da salvaguardare le razze e le varietà vegetali locali;
    i) sostenere il principio del libero scambio delle sementi, contrastando la diffusione delle sementi geneticamente modificate e ostacolando la brevettabilità delle sementi, che troppo spesso si traduce nel monopolio di alcune varietà da parte di grandi multinazionali del biotech, le quali limitano l'indipendenza degli agricoltori, impedendo ad essi, di fatto, la riproduzione e la selezione delle varietà vegetali e delle razze animali;
    l) adottare a livello globale un modello di allevamento, per terra e per mare, che sia rispettoso dell'ambiente ecologico e del benessere animale, in cui la mangimistica sia tracciabile, certificata e non lesiva dell'ecologia planetaria, ovvero che non amplifichi o addirittura sia causa dei processi di deforestazione, come oggi invece avviene per le coltivazioni che producono soia, mais e olio di palma, in particolare nelle zone delle foreste tropicali;
    m) mettere in atto a livello globale ogni strategia di contrasto allo sfruttamento sessuale e della manodopera dei braccianti agricoli e ponendo attenzione alle condizioni di salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, con particolare sensibilità relativamente alle irrorazioni di fitofarmaci cui sono sottoposti senza le necessarie precauzioni, in un'ottica di cooperazione in grado di stilare una «Carta dei diritti universali dei braccianti» impegnati nel settore dell'agricoltura;
    n) snellire le pratiche burocratiche nel settore agricolo al fine di renderle più sostenibili per chi fa agricoltura e facilitare la cooperazione fra i vari Stati, regolamentando il mercato globale agricolo in senso cooperativistico e mutualistico, soprattutto nel settore dello scambio delle merci.
(1-00776) «Scotto, Zaccagnini, Franco Bordo, Palazzotto, Pellegrino, Zaratti, Fratoianni, Pannarale, Airaudo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'autostrada Orte-Mestre rappresenta una delle opere più grandi, impattanti e costose tra quelle inserite nell'elenco delle infrastrutture strategiche previste dalla delibera del Comitato interministeriale della programmazione economica (Cipe) 21 dicembre 2001, n. 121, in virtù di quanto previsto dalla «legge obiettivo» (legge n. 443 del 2001);
    il progetto preliminare dell'opera, approvato dal Cipe l'8 novembre 2013, prevede l'adeguamento della superstrada E-45 nel tratto Orte-Ravenna (allargamento della sede stradale e varianti) e la realizzazione di un tracciato ex novo nel tratto Ravenna-Mestre. La Orte-Mestre, quindi, integrata con il collegamento Civitavecchia-Orte e con il quadrilatero umbro (nodo di Perugia) andrebbe a costituire un corridoio autostradale tra Civitavecchia e Mestre di ben 396 chilometri complessivi, con 20 cavalcavia, 226 sottovie, 139 chilometri di ponti e viadotti, 64 chilometri di gallerie, 83 nuovi svincoli, 2 barriere di esazione (Lughetto, Orte) e 16 aree di servizio;
    si tratta, con tutta evidenza, di un'opera faraonica che coprirebbe con la sua tratta ben cinque regioni (e segnatamente il Lazio, la Toscana, l'Umbria, l'Emilia-Romagna e il Veneto), undici province e quarantotto comuni;
    il gruppo parlamentare Sinistra Ecologia Libertà, da sempre contrario alla realizzazione dell'opera, come pure numerose organizzazioni e associazioni di rilievo nazionale, quali Rete nazionale stop Orte-Mestre, Wwf, Legambiente, Italia nostra, Mountain wilderness e Pro natura, ha spesso evidenziato in sede parlamentare che la realizzazione dell'autostrada Orte-Mestre, oltre ad essere completamente inutile e priva di qualsiasi valenza strategica in quanto non ricompresa tra le priorità della rete europea Ten-t, produrrebbe un elevatissimo impatto ambientale in termini di: consumo di suolo diretto e indotto, interferenze con moltissimi siti di importanza comunitaria (sic), zone di protezione speciale (zps), important bird areas (iba), interferenze con importanti zone tutelate (Riviera del Brenta, Laguna di Venezia, delta del Po, Valli del Mezzano, Valle del Tevere, Parco delle foreste casentinesi), danni al paesaggio e al patrimonio storico-archeologico, inquinamento atmosferico e acustico e aumento del rischio idrogeologico;
    la nuova autostrada tra Orte-Mestre rappresenterebbe, peraltro, un doppione dell'autostrada A1 e della A14-A13, senza contare che il flusso di traffico totale attuale e di previsione si attesta su livelli molto modesti ed il progetto non prevede alcun intervento concreto per la messa in sicurezza della strada statale n. 309 Romea;
    il costo preventivato dell'opera è di circa 10 miliardi di euro, di cui attualmente 1,8 miliardi di euro di contributo pubblico indiretto in termini di sgravi fiscali; la rimanente quota dovrebbe essere a carico del proponente (che risulta essere, insieme ad Anas s.p.a., una cordata di imprese e banche, capeggiata dalla società Gefip holding, di proprietà dell'ex parlamentare europeo Vito Bonsignore, e formata da Banca Carige s.p.a., Efibanca s.p.a., Egis projects s.a., Ili autostrada s.p.a., Mec s.r.l., Scetaroute s.a., Technip Italy s.p.a. e Transroute international s.a.) attraverso gli strumenti del project financing e del project bond, a fronte di una concessione della durata di ben 49 anni. Essendo però il flusso di traffico stimato molto scarso, è prevedibile che il gettito dei pedaggi non sarà sufficiente a coprire il debito generato;
    i recenti scandali relativi al Mosa, Expo e alta velocità hanno messo chiaramente in evidenza come l'attuale sistema delle «grandi opere» sia particolarmente soggetto a fenomeni di malaffare e corruzione;
    con particolare riferimento all'autostrada Orte-Mestre, numerosissimi articoli di stampa nazionale e locale, con la pubblicazione di alcune intercettazioni agli atti della procura di Firenze, hanno rivelato come nell'ambito del decreto-legge cosiddetto «sblocca Italia» sarebbe stata volutamente introdotta una disposizione speciale (segnatamente il comma 4 dell'articolo 2 del decreto-legge n. 133 del 2014) per garantire – attraverso il meccanismo della defiscalizzazione – il finanziamento pubblico indiretto dell'infrastruttura per quasi due miliardi di euro, superando così i rilievi della deliberazione n. SCCLEG/16/2014/ PREV della Corte dei conti con cui erano stati ricusati il visto e la registrazione della delibera n. 73 dell'8 novembre 2013, avente ad oggetto l'approvazione del progetto preliminare del collegamento autostradale E45-E55 Orte-Mestre;
    secondo quanto riportato dalla stampa nazionale di questi ultimi giorni il Governo si appresterebbe ad escludere l'autostrada Orte-Mestre dalle opere prioritarie dell'allegato infrastrutture al documento di economia e finanza che sarà presentato nell'ambito del prossimo Consiglio dei ministri, ma questo non significa tecnicamente che l'opera non sarà mai finanziata e realizzata, stante la vigenza del citato comma 4 dell'articolo 2 decreto-legge n. 133 del 2014 che viene incontro proprio alle richieste della Corte dei conti contenute nella delibera dell'8 novembre 2013;
    con tale delibera, infatti, la magistratura contabile aveva eccepito l'assenza di una norma che escludesse l'opera dall'ambito di applicazione dell'articolo 19, comma 2, del decreto-legge n. 69 del 2013, ossia consentisse di estendere a tale opera le disposizioni introdotte dal comma 1 del citato articolo 19, considerato che l'opera in questione è stata dichiarata di pubblico interesse il 9 dicembre 2003 e, quindi, ben prima dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 69 del 2013. In particolare, la mancanza della norma era stata considerata «presupposto imprescindibile ai fini della pubblicazione del bando di gara» e relativamente al collegamento Orte-Mestre, le misure di defiscalizzazione – secondo quanto si evince dalla deliberazione della Corte dei conti – ammonterebbero a circa 9.237 milioni, da intendere come limite massimo riconoscibile che non potrà essere superato durante l'intera concessione;
    successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 133 del 2014, proprio in virtù della disposizione contenuta nel comma 4 dell'articolo 2 prima citato, il Cipe, nella seduta del 10 novembre 2014, ha approvato nuovamente la delibera del 18 novembre 2013 sull'autostrada Orte-Mestre,

impegna il Governo:

   ad adottare, alla luce di quanto precede, ogni iniziativa normativa finalizzata a prevedere l'immediata abrogazione del comma 4 dell'articolo 2 del decreto legge n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia», procedendo, altresì, al ritiro del progetto preliminare del corridoio di viabilità autostradale dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre-tratta E45-E55 (Orte-Mestre);
   a prevedere interventi puntuali per la messa in sicurezza della strada E-45 e della strada statale 309 Romea, adottando ogni iniziativa di competenza finalizzata all'implementazione e all'integrazione del trasporto ferroviario con quello fluvio-marittimo, nonché allo sviluppo del corridoio ferroviario adriatico-baltico;
   ad adottare ogni iniziativa normativa finalizzata ad una revisione sostanziale della «legge obiettivo» (legge n. 443 del 2001) che, nel corso del tempo, è stata anche peggiorata, con la possibilità di realizzare lotti funzionali e lotti costruttivi, tradendo quindi completamente la logica dei «tempi certi e costi certi» per le infrastrutture, con tutti gli effetti distorsivi che ne conseguono sulla sterminata lista di opere che si vorrebbero realizzare a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo di nessuna utilità collettiva, fino alle deroghe e proroghe che diventano la regola del sistema degli affidamenti;
   a valutare con particolare attenzione l'opportunità di assumere iniziative per modificare le norme contenute nel decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia», che fanno riferimento ad opere che costituiscono oggetto di indagine agli atti della procura di Firenze (quali, oltre l'autostrada Orte Mestre, anche l'alta velocità Brescia-Verona e la Cispadana tra l'A-22 e l'A-13) e ad assumere iniziative consequenziali ai rilievi mossi dal presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione in relazione alla disposizione di proroga delle concessioni autostradali, valutando l'ipotesi di abrogarla per affrontare in modo serio e trasparente il tema della concessioni autostradali nell'ambito di un nuovo provvedimento normativo ad hoc.
(1-00777) «Scotto, Paglia, Pellegrino, Zaratti, Airaudo, Placido, Piras, Ricciatti, Ferrara, Marcon, Duranti, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Matarrelli, Nicchi, Palazzotto, Pannarale, Sannicandro, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Esposizione universale Expo 2015, che avrà luogo a Milano tra il 1o maggio e il 31 ottobre 2015, ha scelto come tema «Nutrire il Pianeta, energia per la vita», puntando l'attenzione su tutto ciò che riguarda l'alimentazione mondiale: dal problema della mancanza di cibo in alcune zone del pianeta, all'educazione alimentare, fino alla conoscenza delle attività legate alla produzione dell'agroalimentare e alle innovazioni introdotte rispetto all'agricoltura tradizionale, quali gli organismi geneticamente modificati;
    oltre agli aspetti legati alle attività economiche, la principale eredità di Expo 2015 è di contenuto e riguarda il diritto ad un'alimentazione sana, sicura e soprattutto sufficiente per tutto il pianeta, principalmente attraverso una rivalutazione dell'importanza del territorio, della redistribuzione e della genuinità del cibo, nonché della preservazione ed individuazione dei migliori strumenti di controllo e di innovazione;
    la Carta di Milano, una sorta di protocollo sul cibo che nasce da un percorso di ricerca, confronto e proposta sui temi di Expo, non è solo un documento di intenti, ma contiene una serie di impegni per cittadini, società civile ed imprese per un'alimentazione sostenibile, per il diritto universale alla nutrizione, per il contrasto al consumo del suolo agricolo e all'uso scorretto delle risorse naturali in quanto beni comuni, ed è finalizzata a sollecitare un'assunzione di responsabilità in tale direzione da parte dei Governi e dei Parlamenti di tutto il mondo;
    sostenendo la Carta di Milano anche il Governo italiano assume gli impegni che in essa sono contenuti. Il settore agroalimentare è una delle eccellenze del nostro Paese, tanto da essere l'unico settore in crescita – sia in termini di occupazione che di export di prodotti – in un momento di grave crisi economica come quello attuale; esso comprende, oltre alle grandi produzioni, anche tutti i prodotti tradizionali e locali derivanti dall'attività della piccola agricoltura contadina;
    molte sono le associazioni di cosiddetti «agricoltori contadini» che in questi anni stanno portando avanti la battaglia per il riconoscimento a livello nazionale di un'agricoltura piccola ma foriera di grande valore per la riscoperta e conservazione di colture tradizionali lavorate con metodi naturali, sostenibili e biologici;
    la piccola agricoltura contadina sposa pienamente il tema dell'Expo 2015, poiché ha come obiettivi quello di valorizzare le colture locali e disincentivare il consumo di prodotti che non siano derivanti da una filiera corta; di contemplare metodi di lavorazione, coltivazione e allevamento sostenibili e che usino la biodiversità agroalimentare come mezzo per rispondere alle sfide che impone il cambiamento climatico;
    circa 9 su 10 delle 570 milioni di aziende agricole esistenti al mondo sono gestite da famiglie e costituiscono un fattore potenzialmente cruciale di cambiamento verso il raggiungimento della sicurezza alimentare e l'eliminazione della fame; come afferma l'ultimo rapporto dell'Onu e come scrive lo stesso direttore generale della Fao, Josè Graziano de Silva, nell'introduzione al nuovo rapporto Fao, «le aziende agricole a conduzione familiare producono circa l'80 per cento del cibo a livello mondiale. La loro significativa presenza e la loro produzione testimoniano che esse sono cruciali per la soluzione del problema della fame che affligge 800 milione di persone (....) e che sono una componente chiave dei sistemi alimentari sani di cui abbiamo bisogno per condurre delle vite più sane»;
    è evidente che la strada da intraprendere, che verrà indicata dalla Carta di Milano, è in netta antitesi con quella adottata dalle multinazionali che producono cibo globalizzato (a danno delle tradizioni alimentari locali) e che spesso distruggono le sementi millenarie di alto valore per la sopravvivenza dell'agricoltura sana e di qualità. Infatti, è con l'agricoltura intensiva che si preparano cibi artefatti, sempre meno naturali, organismi geneticamente modificati, ridotti a qualcosa di simile al carburante necessario ad alimentare la «macchina umana» e che sottostanno all'esigenza di produrre sempre di più per consumare di più, per fare solo sempre più profitto;
    il 2015 è stato indicato dall'Onu come l'anno internazionale del suolo; è noto che esiste una stretta correlazione tra estensione della superficie agricola e sicurezza alimentare, eppure, ad esempio, in Italia il ritmo con cui si continua a perdere suolo agricolo è di 11 ettari all'ora, ovvero circa 2.000 alla settimana, 8.000 al mese. In poco meno di 20 anni si sono perduti qualcosa come due milioni di ettari coltivati, ovvero l'incredibile percentuale del 16 per cento di tutte le campagne agricole del Paese;
    la crescente sottrazione di suolo per uso agricolo rischia di incidere pesantemente sul costo dell'approvvigionamento alimentare in Italia, dove attualmente è coperto solo il fabbisogno di cibo di tre cittadini su quattro e si rendono pertanto necessarie le importazioni per coprire il restante deficit produttivo. Quindi, da una parte cresce la domanda di cibo, dall'altra diminuiscono le terre coltivate. Questa contraddizione va fermata non solo in Italia, ma in tutto il pianeta, onde evitare l'incremento della dipendenza dall'estero nel campo agroalimentare, in un contesto globale in cui le stime di Fao e Ocse parlano, per i prossimi anni, di un rallentamento della crescita produttiva mondiale, a cui si affianca però la costante crescita demografica che porterà nel 2050 a superare la soglia dei 9 miliardi di abitanti nel pianeta;
    l'Expo delle idee è stato avviato l'8 dicembre; in quella sede 42 tavoli tematici hanno dato il via ad un'elaborazione collettiva che si concluderà con la cosiddetta Carta di Milano. Il focus, come si sa, è puntato sulla nuova frontiera del diritto: il cibo per tutti. Malgrado l'ambizione, i gruppi di lavoro non hanno individuato un panel da dedicare al consumo del suolo indebolendo così le strutture dell'intero impianto;
    il 31 marzo 2015, in sede di presentazione del SOER 2015, dossier di valutazione integrata dell'ambiente in Europa, Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell'Agenzia europea dell'ambiente, ha sottolineato come manchi tuttora un obiettivo europeo comune sulla tutela del suolo, per il quale si prevede un trend di deterioramento anche per i prossimi 20 anni;
    l'uso sempre più frequente di fitosanitari in agricoltura specialmente se usati in maniera massiccia, può comportare danni alla salute; secondo il recente rapporto di cancerogenicità redatto dalla Iarc, l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'Organizzazione mondiale della sanità, il glifosato, principale componente di molti erbicidi, è stato classificato come «probabilmente cancerogeno» assieme ai due insetticidi malatione e diazinone; mentre per gli insetticidi parathion e tetrachlorvinphos (Tcvp), già proibiti o di utilizzo ristretto in molti Paesi, la classificazione è stata quella di «possibili» agenti cancerogeni;
    tra i fitosanitari figurano anche i pesticidi, attualmente in discussione in quanto barriere non tariffarie al commercio, oggetto di accordi come il TTIP; nell'ottica di favorire il commercio, le grandi aziende di ogni settore, incluso quello agroalimentare, puntano in accordo con la Commissione europea e il Governo degli Usa a togliere ogni barriera normativa in merito ai pesticidi non autorizzati e ai loro limiti massimi residui, seguendo la logica del minimo comun denominatore;
    uno studio dell'università di Harvard ha recentemente verificato la possibile correlazione tra il consumo di cibi contaminati da pesticidi e i problemi di fertilità maschile. L'effetto negativo di queste sostanze sulla fertilità era stato documentato solo in soggetti esposti per motivi professionali; ora invece è stato provato anche in relazione al consumo di pesticidi direttamente ingeriti attraverso l'alimentazione;
    il consumo di alimenti di origine animale, legato al modello culturale ed economico dei Paesi industrializzati, è in continua crescita, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, considerato che, secondo i dati Fao, nel 2050 la popolazione arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di raddoppiare la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili sono limitate;
    dagli anni Sessanta, infatti, l'Italia ha visto quasi triplicare i propri consumi di carne, da 31 a 87 chili nel 2011, contrariamente alle raccomandazioni delle linee guida internazionali sulla salute e alle indicazioni dell'equilibrata dieta mediterranea. Secondo l'edizione 2010 delle Dietary Guidelines for Americans, una dieta di 3400 calorie giornaliere ammette, all'anno, per non essere dannosa, un consumo massimo complessivo di carne e uova pari a 50,12 chili e di 16,2 per il pesce. I dati Fao, invece, indicano che l'Italia ha un consumo medio, rispettivamente, di 103 e di 24,6 chili annui;
    la produzione di alimenti di origine animale, dovuta alla crescente richiesta dei consumi, ha un forte impatto ambientale. È la principale causa del consumo di risorse indispensabili come l'acqua e il fosforo, sta portando al consumo e al degrado del suolo – per produrre mangimi e per la deforestazione destinata al pascolo – con conseguente minaccia alla biodiversità e alla fertilità e contribuisce, in maniera importante, all'inquinamento dell'acqua e dell'aria;
    gli allevamenti, infatti, producono il 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, con un'incidenza significativa sul cambiamento climatico. Per questo, secondo l’Intergovernmental panel on climate change Ipcc – solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 miliardi di tonnellate di anidride carbonica l'anno,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano, per:
    a) promuovere il contenimento del consumo del suolo e il riuso del suolo edificato al fine di ottenere il reale «consumo di suolo zero»;
    b) promuovere ogni possibile metodo alternativo all'utilizzo dei fitosanitari di sintesi, ivi inclusi quelli per il comune diserbo, anche costruendo una rete di coordinamento a livello mondiale;
    c) promuovere, in occasione di negoziati internazionali volti alla conclusione di accordi commerciali internazionali, il rispetto di elevati parametri di sicurezza umana e ambientale;
    d) promuovere la riduzione del consumo di alimenti di origine animale, come azione imprescindibile per migliorare la salute dei cittadini e l'impatto ambientale, che sta portando alla perdita irreversibile di risorse naturali critiche e all'aumento delle emissioni inquinanti, indirizzando la società verso scelte alimentari consapevoli e responsabili, che possano garantire la salvaguardia dell'ambiente e un sistema più equo della distribuzione delle risorse per la futura sicurezza alimentare;
    e) sostenere un cambiamento virtuoso dello stile di vita dei cittadini verso modelli culturali, economici e sociali più salubri e sostenibili, attraverso la promozione di attività di informazione e sensibilizzazione e mediante iniziative per l'introduzione, nei luoghi di ristorazione pubblici o convenzionati, di un'adeguata alternativa di menù privi di alimenti di origine animale;
   ad intraprendere ogni utile azione, specialmente in occasione di Expo 2015, volta a promuovere un'alimentazione sana e un'agricoltura biologica e priva di organismi geneticamente modificati;
   a riservare, nell'ambito dell'esposizione, distinti padiglioni all'agricoltura biologica e di qualità e alla promozione di colture «ogm free»;
   a promuovere, nell'ambito dell'esposizione, l'agricoltura familiare, anche garantendo alle aziende che hanno tali caratteristiche la possibilità di usufruire gratuitamente di stand, i cui costi andrebbero a carico delle multinazionali presenti;
   a promuovere in sede di Unione europea la ripresa dei lavori concernenti la direttiva in materia di protezione del suolo tramite tutti gli strumenti possibili, anche considerando quelli previsti dall'articolo 20, paragrafo 2, del Trattato sull'Unione europea, e dagli articoli 326-334 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
(1-00778) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Busto, De Rosa, Mannino, Terzoni».


   La Camera,
   premesso che:
    attraverso Expo 2015, Milano sta riprogettando la propria identità di città dinamica, pronta ad affrontare le sfide del futuro, ma anche a valorizzare la propria tradizione agricola, il che significa la terra, gli spazi verdi come il Parco Sud, le cascine, i fiumi e i canali, per mettersi a disposizione del sistema Italia e per aiutare i Paesi in via di sviluppo;
    ogni idea, ogni proposta legate ad Expo, fin dalla candidatura di Milano, sono state considerate strumento indispensabile per il successo dell'evento, a condizione di essere il frutto di un contributo corale, anzitutto dei cittadini, e poi naturalmente delle istituzioni: Governo, regione Lombardia, comune di Milano, ma anche regioni e comuni di tutta Italia e inoltre, Confindustria, camera di commercio, sindacati e, soprattutto, università e centri di ricerca;
    il vero simbolo di Expo Milano 2015, per come l'Esposizione è stata concepita dagli ideatori, non è un monumento o comunque una realizzazione che rappresenti la grandezza di Milano e dell'Italia, ma una visione di futuro che identifichi Expo come progetto in divenire per un mondo nuovo dove il cibo sia sufficiente e sicuro per tutti e dove la salute, insieme al cibo, sia un diritto inalienabile di ogni persona, soprattutto dei bambini e degli anziani;
    il tema del diritto al cibo viene fatto proprio anche dalla Chiesa ed è stato oggetto nei giorni scorsi anche di una lettera dal titolo «Cibo che nutre. Per una vita sana e santa», scritta in vista di Expo 2015 dal ministro generale dei frati minori conventuali, fra’ Marco Tasca, agli oltre 4.000 frati dell'ordine in 63 Paesi dei cinque continenti, dove si sostiene, tra l'altro, che «Parlare del cibo» significa «parlare dei grandi problemi che attanagliano e preoccupano l'umanità e spinge il nostro sguardo verso orizzonti più vasti e spesso trascurati. Quello dello spreco di cibo è uno degli scandali più drammatici del nostro tempo. Quello di non sprecare dovrebbe essere per noi francescani una sorta di comandamento, perché ogni spreco di cibo (acqua, energia, suolo) è spreco della creazione e rende la terra più povera e inospitale per le generazioni future»;
    Expo Milano 2015 è stato concepito e progettato con un'attenzione particolare all'eredità culturale, infrastrutturale, economica ed umana che sarà in grado di lasciare alle generazioni future. Tra queste priorità spicca una maggiore sensibilità collettiva alle tematiche inerenti al diritto ad un'alimentazione sana, sicura, sufficiente ed equilibrata, all'accesso all'acqua per tutti gli esseri umani del pianeta e alle relative best practice necessarie a consentire la costruzione di un contesto internazionale favorevole all'efficace risoluzione dei problemi inerenti all'alimentazione e al benessere;
    l'impatto sulle potenzialità turistiche di Milano, della Lombardia e del Paese sarà elevato sia nel breve periodo (ricettività dei visitatori), sia nel medio-lungo periodo, proprio grazie alla valorizzazione del patrimonio enogastronomico italiano, oltre che turistico per la visibilità e la promozione dei monumenti e dei paesaggi naturali;
    Milano e l'Italia rappresenteranno, in virtù di Expo, e in una sorta di continuità ideale con il tema prescelto, un polo di eccellenza per la food safety, la food security, nonché per le best practice della filiera agroalimentare;
    Expo può costituire realmente un'occasione preziosa per affrontare il vasto tema della nutrizione del pianeta e dei rapporti con i Paesi in via di sviluppo, rappresentando un momento di incontro tra Paesi, culture, addetti ai lavori dei sistemi agroalimentari, tecnici e scienziati di tutto il mondo;
    in occasione dell'Esposizione universale Expo Milano 2015 verrà siglato un patto sul cibo tra nazioni e cittadini, incentrato sulla prevenzione e sullo spreco di cibo e, in particolar modo, sull'educazione alimentare, con cui fronteggiare, da un lato, lo spreco e, dall'altro, impedire che diete non salutari distorcano le reali esigenze nutrizionali dell'organismo umano;
    tra gli obiettivi di Expo 2015 c’è, infatti, quello di mettere a punto la Carta di Milano che dovrà contenere i nuovi diritti e doveri dell'umanità sul cibo, affinché gli Stati ed i cittadini possano assumersi le proprie responsabilità per garantire il diritto ad un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta di Milano può essere uno strumento in grado di offrire un'opportunità di riflessione sui temi dell'alimentazione e del cibo. Alla Carta di Milano hanno lavorato eminenti personalità del mondo della ricerca e dell'alimentazione e l'obiettivo deve essere quello di tradurre in concretezza il loro impegno, a livello del nostro Paese, ma anche nel quadro internazionale. Tutte le iniziative «di principio» hanno un significato indiscusso se vanno nella direzione auspicata del «patto per il cibo»: valorizzazione delle peculiarità dei territori, equa distribuzione delle risorse, risparmio per evitare lo spreco;
    anche l'industria agricola e agroalimentare, assieme ad una legittima propensione ad aumentare i consumi, deve basare la sua attività su un utilizzo razionale delle risorse. A questo scopo, i Paesi che aderiscono alla Carta di Milano devono impegnarsi alla definizione di un «protocollo» locale con le associazioni delle categorie interessate;
    Expo 2015 potrebbe, inoltre, essere un'importante occasione per sensibilizzare l'intero pianeta sull'impiego abominevole che alcune realtà locali fanno dei bambini nei Paesi caratterizzati da conflitti, approfittando spesso dello stato di indigenza nel quale vivono,

impegna il Governo:

   a promuovere il made in Italy, sia attraverso un modello innovativo di rete territoriale (dato che Expo è già oggi un metodo di lavoro fondato su progetti che mettono in dialogo le eccellenze italiane con i protagonisti della vita economica, sociale, culturale delle aree del mondo coinvolte), sia con un impegno forte e concreto, soprattutto in ambito europeo, per proteggere e valorizzare il made in attraverso norme chiare e adeguate, assumendo ogni iniziativa utile in tal senso anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano;
   a promuovere il modello Expo 2015 nella solidarietà e nella cooperazione internazionale, valorizzando i progetti di sviluppo avviati in tutti i continenti, con decine di accordi stretti con le maggiori organizzazioni internazionali, come Fao, ONU, Millennium campaign, World food programme;
   a promuovere, anche nell'ambito degli impegni che saranno previsti dalla Carta di Milano, migliori stili di vita con riferimento ai problemi dei Paesi sviluppati;
   ad adoperarsi, nell'ambito dei lavori concernenti l'elaborazione della Carta di Milano, affinché prosegua l'impegno nato con Expo Milano 2015 per il trasferimento tecnologico e di conoscenza ai Paesi in via di sviluppo con riferimento alle più recenti innovazioni, per garantire, a costi contenuti, un approvvigionamento più sicuro di cibo e acqua per la popolazione;
   a promuovere l'educazione alimentare, sollecitando educatori, famiglie e istituzioni a ricercare e mettere in pratica metodi didattici innovativi, e, soprattutto, a valorizzare le istituzioni scolastiche, quale luogo di formazione di base accessibile a tutti che promuova l'inserimento nell'offerta formativa di percorsi educativi sulla nutrizione, sulla sicurezza alimentare e sull'utilizzo delle risorse alimentari del pianeta, facendo sì che l'educazione sia la strada maestra per lo sviluppo e tenendo conto che le modalità concrete con le quali realizzare progetti educativi ai diversi livelli, anche dopo Expo, necessitano certamente di significative risorse umane e finanziarie, ma costituiscono un investimento fondamentale perché Expo 2015 lasci un'eredità tangibile non solo a Milano ma anche a tutto il mondo;
   a valorizzare Milano anche dopo Expo, con particolare riguardo al contributo della città al sistema agroalimentare italiano e a tutte le sue manifestazioni ed eccellenze, per garantire continuità al progetto e al tema di Expo e far emergere a livello internazionale una città aperta al mondo e nel mondo, in grado di vincere le sfide del futuro;
   a coinvolgere sempre più in tutti i progetti futuri le realtà produttive agricole, alimentari, distributive dell'intero territorio di una regione, la Lombardia, che è la prima in Italia e una delle maggiori in Europa come peso economico assoluto del sistema agroalimentare, che esprime livelli di produttività tra i più elevati in ambito internazionale, che è una delle culle della moderna industria alimentare e della moderna distribuzione, che rappresenta un esempio di complessa e corretta gestione delle acque per gli usi agricoli, civili ed industriali, che possiede un «capitale umano», università, centri di ricerca e imprese in grado di effettuare un efficace e corretto trasferimento tecnologico;
   in vista degli obiettivi della Carta di Milano, a promuovere una collaborazione con il mondo della ricerca, dell'industria agricola e agroalimentare per creare una precisa sensibilità sui temi del risparmio e dell'utilizzo razionale delle risorse alimentari, al fine di favorire non solo i cibi sani dei territori, ma anche la più accurata definizione dei format di vendita e l'utilizzo dei prodotti invenduti;
   a sostenere un impegno preciso all'interno delle Nazioni Unite e di tutte le organizzazioni internazionali affinché anche la Carta di Milano e i sei mesi di Expo diventino un'occasione planetaria per condannare lo sfruttamento che alcune realtà locali fanno dei minori in stato di indigenza.
(1-00779) «Gelmini, Palese, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Expo 2015 è un evento di eccezionale importanza in quanto mette in risalto l'alimentazione e il suo valore nonché una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico del nostro Paese. Il tema è «Nutrire il Pianeta, energia per la vita» interamente dedicato alle questioni relative alla qualità e alla sicurezza alimentare e alla distribuzione ottimale del cibo;
    questa Esposizione universale ha come obiettivo primario quello di stimolare il dibattito sull'alimentazione e sul cibo, una vera e propria sfida che coinvolge tutti i soggetti partecipanti, inclusi i visitatori che si interrogheranno sulle conseguenze delle proprie azioni per le prossime generazioni. Mette al centro la necessità di porre un freno allo spreco di cibo ed un uso più consapevole dello stesso, a partire dalle scuole, laddove si deve sviluppare il senso più profondo del valore legato alla nutrizione attraverso campagne di educazione;
    l'Expo 2015 dovrà essere un'utile occasione sia per il pubblico, perché li porterà a scoprire le diverse identità regionali esistenti svelando affinità e differenze, che per le aziende agricole per le quali l'esposizione sarà un'occasione unica di visibilità e darà la possibilità di far conoscere i loro prodotti di qualità;
    l'obiettivo principale di Expo 2015 è quello di mettere a punto una «Carta di Milano» che contenga i nuovi diritti e doveri dell'umanità sul cibo. Un documento condiviso da consegnare al Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ad ottobre 2015, alla fine dell'Esposizione. Il 7 febbraio 2015 a Milano si è tenuto un primo incontro di preparazione e la prima versione della Carta sugli impegni assunti sarà presentata il 28 aprile 2015;
    la Carta di Milano nasce sulla base del Protocollo di Milano, messo a punto dalla Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (Barilla CFN) con l'obiettivo di abbattere lo spreco alimentare nel mondo del 50 per cento entro il 2020. La Carta quale «eredità» di Expo 2015 sarà il documento sui cui i Paesi nelle loro diverse espressioni si impegneranno a promuovere la sostenibilità alimentare nel mondo;
    ma Expo 2015 deve essere soprattutto un evento in grado di rilanciare l'economia agricola italiana e promuovere l'immagine del made in Italy agroalimentare sui mercati internazionali;
    agli agricoltori che oggi soffrono della crisi, vessati da imposizioni fiscali pesantissime, come l'Imu sui terreni agricoli – imposizione modificata per coprire parte del bonus di 80 euro, riducendo l'esenzione previgente per un valore di circa 260 milioni di euro – e che fanno i conti con il latte a 35 centesimi al litro, con la vendita sottocosto dei suinetti, con listini del mais a 15 euro al quintale che li porta a non riuscire a pagare il gasolio per innaffiare – anche per l'aumento, operato dalla legge di stabilità 2015, dell'aliquota di riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego agevolato per uso agricolo – non si può rispondere solo con le attuali finalità della Carta di Milano, ovvero con un documento che ribadisce un concetto sacrosanto quanto ovvio cioè il valore universale dell'accesso al cibo; è necessario inserire in essa precisi impegni a tutela di quei prodotti che garantiscono qualità e sicurezza alimentare altrimenti questa, così come strutturata, rischia di risultare una risposta anacronistica e priva di significato;
    ogni anno nel mondo si sprecano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, una quantità capace di poter sfamare quasi un miliardo di persone che oggi soffrono la fame o sono malnutrite. Nell'ambito dello spreco alimentare va citato il fenomeno delle «eccedenze» ovvero di quei prodotti alimentari che non sono acquistati o consumati – esclusi gli scarti della lavorazione – che non vengono poi recuperati per il consumo umano in un'ottica sociale o ambientale; ad oggi solo una piccola parte dell'eccedenza viene destinata mediante la donazione a food bank o enti caritativi. Nella filiera agroalimentare la quantità delle eccedenze in Italia è pari a circa 6 milioni di tonnellate l'anno e rappresenta il 17,4 per cento dei consumi. Le cause sono differenti a seconda del soggetto della filiera; ad esempio, per le aziende di trasformazione la causa è da ricercarsi nel raggiungimento della data di scadenza interna degli alimenti;
    in un periodo in cui la crisi economica spinge molte famiglie a tagliare anche la spesa alimentare e in cui l'aumento a 9 miliardi della popolazione mondiale, previsto per il 2050, porterà ad aumentare del 70 per cento la produzione agricola, nel mondo vengono comunque gettati nella spazzatura più di un terzo degli alimenti;
    molti dei prodotti alimentari destinati alle mense scolastiche non sono ottenuti da materie prime originarie dei territori in cui sono consumati, né sono riferibili alle tradizioni alimentari dei territori medesimi. È necessario assicurare una dieta equilibrata e corretta che educhi i bambini a mangiare secondo la stagionalità e la territorialità dei prodotti e sostenere le filiere locali tenendo sempre presente però le necessità di salute, di religione o esigenze particolari;
    il consumo di prodotti alimentari di qualità (dop-denominazione di origina protetta e igp-indicazione geografica protetta, attestazioni di specificità e prodotti biologici) e, più, in genere, di prodotti tipici e di territorio è riconosciuto come funzionale al mantenimento di un buon stato di salute ed è, pertanto, particolarmente indicato per i bambini, ai fini, di una corretta educazione alimentare. Il nostro Paese in Europa è quello con più prodotti a denominazione di origine protetta, a indicazione geografica protetta e di specialità tradizionale garantita (stg) con 268 prodotti iscritti nel registro dell'Unione europea che rappresentano circa un quarto delle denominazioni riconosciute a livello comunitario;
    il consumo di prodotti tipici e di qualità concorre altresì al mantenimento di forme di agricoltura ancorate al territorio e, quindi, anche alla tutela e allo sviluppo dei valori economici, sociali e culturali che sono propri dei territori di cui gli stessi prodotti sono espressione;
    così si rilancerebbe la filiera corta di produzione creando una relazione diretta tra il produttore e il consumatore che significa prima di tutto prodotti sempre freschi, genuini e di maggiore qualità, con dei costi molto contenuti e con un'attenzione anche all'ambiente. Essendo prodotti provenienti dal territorio le merci compiono meno passaggi, non devono essere imballate più volte; inoltre, vengono ridotte al minimo le emissioni di anidride carbonica derivate dal trasporto e si incentiverebbe anche la conoscenza dei prodotti tipici locali all'interno delle scuole, prodotti apprezzati e invidiati in tutto il mondo;
    Expo 2015 sarà un'occasione per mettere al centro dell'attenzione internazionale il grande tema dell'agricoltura e dell'alimentazione e della tutela del cibo dalle sofisticazioni. Le frodi e le contraffazioni nel settore agricolo e agroalimentare rappresentano un fenomeno preoccupante e, nonostante l'intensificarsi dei controlli, continuano a svilupparsi in maniera crescente e fanno perdere risorse al nostro Paese, risorse che creano indispensabili rapporti commerciali che sono fondamentali per l'economia del territorio;
    la contraffazione alimentare in Italia vale un miliardo di euro che sale a 60 se si considera il fenomeno dell’italian sounding nel mondo. La frode alimentare è un crimine particolarmente odioso perché si fonda soprattutto sull'inganno nei confronti di quanti, per la ridotta capacità di spesa, sono stati costretti a tagliare la spesa alimentare e ad optare per alimenti economici con prezzi troppo bassi per essere prodotti autentici, con conseguenze economiche e sanitarie di rilievo per i consumatori e per i produttori;
    la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italian sounding a livello internazionale costa all'Italia 300mila posti di lavoro che si potrebbero creare nel Paese con un'azione di contrasto a livello nazionale ed internazionale. All'estero il vero nemico sono le imitazioni low cost dei cibi nazionali che non hanno alcun legame con il sistema produttivo del Paese. Due prodotti alimentari di tipo italiano su tre in vendita sul mercato internazionale sono il risultato dell'agropirateria internazionale;
    in sede di Unione europea il quadro normativo sul riconoscimento delle denominazioni e per la loro tutela è stato istituito, e aggiornato, da molti anni quindi i prodotti a denominazione di origine protetta e a indicazione geografica protetta sono riconosciuti e tutelati, mentre in ambito internazionale si rilevano l'assenza di regole multilaterali per una loro tutela globale contro l'agropirateria e la mancanza di una disciplina uniforme nel sistema commerciale;
    la trattativa sull'accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti, Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) è un appuntamento determinante anche per tutelare le produzioni agro-alimentari italiane dalla contraffazione alimentare e dal cosiddetto fenomeno dell’italian sounding molto diffuso sul mercato statunitense;
    la direttiva (UE) 2015/412 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2015 lascia la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul proprio territorio. Quindi Paesi come il nostro, che hanno scelto di vietare gli organismi geneticamente modificati, possono continuare a farlo e lo chiedono anche quasi 8 cittadini su 10 (76 per cento) che si oppongono al biotech nei campi;
    il modello della coltivazione di organismi geneticamente modificati è del tutto contrario e controproducente per gli interessi del settore agroalimentare del nostro Paese, che si basa sulla tipicità e sulla qualità. Per l'Italia, gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell'omologazione e il grande nemico del made in Italy;
    il regolamento (UE) n. 1169/2011 – entrato in vigore il 13 dicembre 2014 – in tema di etichetta prevede che non sia più obbligatoria l'indicazione in etichetta dello stabilimento di produzione e confezionamento dei prodotti alimentari. La non obbligatorietà dell'indicazione dello stabilimento di produzione comporta un grave danno al made in Italy in quanto si rischia di lasciare la libertà al produttore di produrre in qualunque sede europea o extra europea danneggiando ulteriormente le migliori produzioni nazionali;
    l'agricoltura ha un ruolo fondamentale nella tutela dell'ambiente e nello sviluppo sostenibile del territorio. L'azienda agricola deve non solo offrire al consumatore la qualità e la sicurezza dei prodotti agroalimentari ma anche conservare il più possibile il livello qualitativo e quantitativo delle risorse naturali;
    Expo 2015 sarà un evento dove l'agricoltura, il cibo e l'alimentazione giocheranno un ruolo da protagonista. Con Expo si avrà la possibilità di incidere sulle politiche dell'agroalimentare e del territorio con una modalità mai vista prima e per il nostro Paese sarà un'occasione unica per affrontare i problemi legati alla filiera agricola e mettere in risalto le qualità e il valore delle produzioni enogastronomiche del territorio italiano;
    o si entra realmente nel merito dei problemi o si rischia di farsi sfuggire un'occasione importante come Expo 2015 senza riuscire a valorizzare davvero la qualità dei prodotti italiani. Non basta un impegno formale come la Carta di Milano ma devono mettersi in campo riforme strutturali di aiuto all'agricoltura,

impegna il Governo:

   ad approfittare di Expo 2015 affinché i consumatori siano sensibilizzati ed educati, per l'approvvigionamento dei generi alimentari, ad acquistare prodotti provenienti dal territorio dalla provincia, dalla regione e dall'Italia, da reperire, principalmente, attraverso modalità finalizzate a favorire l'avvicinamento tra la fase produttiva agricola e quella di consumo;
   a prevedere condizioni adeguate, data l'importanza che riveste Expo 2015, affinché i produttori italiani di filiera corta siano in grado di presentarsi nel modo migliore al pubblico internazionale e dare, quindi, l'occasione alle qualità italiane di arrivare sui mercati esteri;
   a far sì che la Carta di Milano non sia solo un documento pomposo e vuoto e, quindi, che non abbia come unico intendimento quello di educare le generazioni future ad una corretta cultura alimentare e di prevenire lo spreco di cibo ed offrire suggerimenti su come ridurlo, ma che contenga anche proposte concrete ai problemi dell'agricoltura, in quanto essa svolge una funzione fondamentale di tutela dell'ambiente e di sviluppo sostenibile del territorio;
   a mettere in evidenza nella Carta di Milano l'ingente danno causato all'economia italiana dai falsi prodotti, nonché le scelte che possano valorizzare davvero il made in Italy affinché Expo sia un'importante occasione per indicare impegni precisi da parte dei Paesi partecipanti atti a contrastare il dilagante fenomeno della contraffazione e delle sofisticazioni in campo agroalimentare;
   a prevedere iniziative per favorire lo sviluppo di accordi bilaterali tra Unione europea e altri Paesi partner per il mutuo riconoscimento delle norme sulle indicazioni di origine e sfruttare in ambito WTO la tutela delle indicazioni di origine contro ogni forma di usurpazione e imitazione, contrastando il cosiddetto italian sounding;
   a promuovere, in sede europea, norme che estendano, di fatto, a tutti i Paesi extra Unione europea le tutele del mercato interno comunitario affinché ai prodotti a denominazione di origine protetta e a indicazione geografica protetta, in particolare italiani, venga garantita la protezione che meritano al fine di proteggerli anche in ambito internazionale;
   ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni di origine protetta e a indicazione geografica protetta, in particolare dei prodotti italiani di eccellenza, continuino ad essere una priorità della Commissione europea non solo nell'ambito del TTIP tra Usa e Unione europea;
   a considerare la possibilità di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo non solo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori ma anche di permettere loro di scegliere un alimento rispetto a un altro, anche in base al Paese o alla regione dove questo è prodotto, per la tutela anche del made in Italy;
   ad assumere iniziative per prevedere il divieto dell'uso di organismi geneticamente modificati nelle produzioni agroalimentari e forestali in campo aperto, poiché il valore aggiunto delle produzioni italiane è dato dalla loro specificità ed una contaminazione di organismi geneticamente modificati porterebbe alla distruzione del sistema agroalimentare italiano così come lo si conosce oggi, con le sue eccellenze, le sue varietà e le sue tipicità.
(1-00780) «Guidesi, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    per handling si intende l'insieme dei servizi svolti in aeroporto finalizzati a fornire assistenza a terra a terzi, vettori, utenti di aeroporto o in autoproduzione (self handling);
    si tratta di un'attività particolarmente intensiva di lavoro: a livello europeo si può stimare che i costi del fattore lavoro raggiungano il 65 per cento-80 per cento dei costi totali;
    per svolgere l'attività di handling è necessario acquisire la relativa certificazione da parte dell'Enac, che vi provvede in conformità con la verifica del rispetto dei requisiti di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 18 del 1999;
    con tale ultimo decreto legislativo il legislatore ha recepito la direttiva comunitaria n. 67 del 15 ottobre 1996, che introduce la libera concorrenza dei servizi di assistenza a terra, contiene un elenco dettagliato dei servizi da garantire negli aeroporti comunitari, sia in air side che in land side, ed ammette la possibilità per le compagnie aeree di prestare il servizio in autoproduzione (self handling);
    fra le cause dell'attuale crisi del servizio di handling possono individuarsi, secondo il professore Oliviero Baccelli dell'Università Bocconi, il calo dei volumi movimentati e il fatto che «l'uscita delle società di gestione degli aeroporti da questo settore ne ha determinato una frammentazione, con tante aziende di assistenza a terra che tendono a seguire poche compagnie aeree»;
    la pluralità delle imprese di handling (14 nei soli due scali romani) non è di per sé un fatto negativo ed anzi evidenzia un positivo sviluppo della concorrenza e del mercato dei relativi servizi, purché si garantisca che tutte le imprese presenti sul mercato siano in grado di lavorare in condizioni di efficienza e sicurezza;
    la Commissione europea, a seguito degli studi dalla stessa svolti in preparazione alla riforma della normativa europea sui servizi di assistenza a terra, ha accertato che il livello di qualità del servizio di handling si riverbera su tutti i portatori di interesse del sistema aeroportuale ed è quindi suscettibile di danneggiarlo nel suo insieme;
    sempre la Commissione europea ha sottolineato la forza del legame intercorrente tra il livello di formazione del personale e il livello di qualità e di sicurezza dei servizi di handling;
    è, inoltre, necessario evidenziare la contrapposizione tra un sistema aereo-aeroportuale ed il relativo indotto, caratterizzato da una significativa crescita, e la drammatica situazione occupazionale che ha portato negli ultimi anni l'intera categoria del personale operante in detto comparto a dover far ricorso a strumenti straordinari di sostegno del reddito, quali cassa integrazione, mobilità e contratti di solidarietà;
    si è assistito, dunque, all'evidente paradosso della crescita esponenziale, evidenziata dai dati di Assoaeroporti, del traffico merci e passeggeri sulle tratte intercontinentali e a lungo raggio, a cui non solo non ha fatto seguito la crescita di produttività legata al comparto aereo-aeroportuale, ma è seguita una ricaduta negativa sull'indotto del settore;
    sono numerose le società di handling di tutta Italia, in evidente stato di difficoltà, a causa anche di un'eccessiva frammentazione in una situazione non caratterizzata da adeguate condizioni di efficienza, sicurezza ed equità nei contratti di lavoro che ha portato, nel passaggio delle attività da un'azienda ad un'altra, alla mancata applicazione delle clausole sociali in grado di garantire le adeguate tutele occupazionali per i dipendenti,

impegna il Governo:

   a dialogare con le parti sociali, al fine di facilitare l'individuazione di forme contrattuali idonee a garantire condizioni di lavoro eque e omogenee, atte a garantire la tutela dei livelli occupazionali e della concorrenza nel settore aereo-aeroportuale;
   ad intervenire, sia in sede europea che in sede nazionale, anche tramite i propri poteri di iniziativa, al fine di introdurre specifiche regole per il subappalto dei servizi di handling, tali da garantire la sicurezza e l'efficienza non solo del servizio di ground handling, ma dell'intero sistema aeroportuale;
   ad assumere iniziative al fine di vietare, nell'ambito dei servizi di handling, la possibilità di ricorrere al subappalto «a cascata», ossia l'affidamento di lavorazioni di competenza del subappaltatore ad altra impresa in sub-affidamento;
   ad assumere iniziative per prevedere requisiti più stringenti, finalizzati a garantire una maggiore qualità e sicurezza del servizio, per la concessione da parte dell'Enac della certificazione necessaria allo svolgimento di attività di handling;
   ad assumere iniziative per assicurare dei periodi obbligatori di addestramento dei lavoratori da parte delle imprese di handling;
   a sostenere gli sforzi della Commissione europea finalizzati all'emanazione di una normativa uniforme del settore, sotto forma di regolamento direttamente applicabile nei Paesi membri;
   a garantire misure a sostegno delle eccellenze del settore del trasporto e del turismo nazionale, attraverso il reimpiego e la valorizzazione dei dipendenti già impiegati nel comparto aereo-aeroportuale;
   a porre in essere ogni iniziativa atta a garantire adeguata regolamentazione ed omogeneità di applicazione dei regolamenti per ogni singolo aeroporto.
(1-00781) «Catalano, Oliaro, Mazziotti Di Celso, Antimo Cesaro».


   La Camera,
   premesso che:
    Expo è un evento di eccezionale importanza ed una straordinaria occasione per il rilancio economico e turistico del nostro Paese. Il tema scelto per l'Expo 2015 è «Nutrire il pianeta, energia per la vita» e riguarda, tra l'altro, le risorse alimentari del pianeta e la loro distribuzione ottimale;
    l'Esposizione universale, quindi, ha come obiettivo primario quello di stimolare una riflessione ed un dibattito sull'alimentazione e sul cibo;
    in questo contesto sono numerosi e fondamentali gli argomenti che verranno dibattuti al fine di ricercare ed identificare le basi essenziali per un nuovo approccio mondiale al tema proposto dall'Expo;
    tra le questioni più importanti che verranno dibattute vanno poste in evidenza: la necessità di preservare e conservare i terreni di coltivazione, assicurando anche spazi spesso oggetto di accaparramento; la limitazione ed il superamento dell'uso di pesticidi e di fertilizzanti pericolosi per la salute dell'uomo; la difesa e la protezione del bene supremo essenziale per la vita umana: l'acqua; il sostegno e l'aiuto concreto a quanti intendono dedicarsi alle attività agricole nel momento in cui si avverte forte l'orientamento del ritorno alla terra che molti giovani, per scelta o per necessità, manifestano; la difesa delle biodiversità anche attraverso il ricorso a specifici studi e ricerche scientifiche; il sostegno forte e determinato alla ricerca nel campo del consumo del suolo, delle biotecnologie, della pesca sostenibile ed altro; l'impegno a tutto campo per combattere le frodi alimentari e le contraffazioni, l'agromafia, a difesa del bene supremo costituito dalla sicurezza alimentare;
    in questo quadro si iscrive un originale, significativo progetto dell'Expo, il «We-women for Expo», che propone la forza, la capacità, l'intelligenza, la volontà delle donne come elemento base e fulcro essenziale nel rapporto cibo-cultura e per la sostenibilità del pianeta;
    in occasione dell'Expo 2015, ci sarà un confronto tra ricercatori, docenti e istituzioni su alcuni punti cruciali della sfida alimentare globale: un dibattito che perverrà alla redazione della Carta di Milano, un documento dedicato alla grande questione alimentare globale che sarà consegnata al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon il 16 ottobre 2015;
    sarà la prima volta nella storia delle Esposizioni universali che, ad evento concluso, un Expo lascerà in eredità un manifesto di impegni e priorità frutto di un percorso condiviso e partecipato. Infatti, da circa due anni un gruppo di docenti e ricercatori coordinati da Laboratorio Expo sta lavorando alla stesura di un documento;
    una prima versione ufficiale della Carta sarà presentata il 28 aprile 2015 in occasione del terzo colloquio internazionale di Laboratorio Expo; l'ambizione della Carta di Milano è, in effetti, quella di chiedere espressamente un'assunzione di responsabilità da parte di tutti nella battaglia per il diritto al cibo e contro le diseguaglianze alimentari;
    la Carta si propone l'obiettivo di unire cittadini ed istituzioni per trovare soluzioni concrete contro i paradossi dell'alimentazione. Promosso nel 2013, il protocollo di Milano si è avvalso del parere di 500 esperti internazionali, ha raccolto l'adesione di quasi 100 istituzioni e organizzazioni pubbliche e private ed ha l'obiettivo di trovare soluzioni concrete per:
    a) combattere lo spreco alimentare dal campo alla tavola;
    b) lottare contro la fame e l'obesità, promuovendo stili di vita sani a partire dalla giovane età;
    c) incoraggiare un'agricoltura più sostenibile;
    come evidenziato dal protocollo, il sistema alimentare mondiale è segnato da forti contraddizioni: a fronte di quasi un miliardo di soggetti privi di una qualsiasi fonte di alimentazione, circa un miliardo e mezzo di esseri umani dispone di un'eccessiva quantità di cibo responsabile, peraltro, dell'aumento del rischio di malattie. Infine, ogni anno, viene disperso un terzo della produzione alimentare globale, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che non dispongono di fonti alimentari o sono malnutrite;
    su quest'ultimo punto insiste la necessità di sostenere un principio essenziale: l'eliminazione degli sprechi ed il sostegno al consumo responsabile, incrementando e favorendo, in tale contesto, l'impegno meritorio delle associazioni che operano basandosi sul concetto di dono e condivisione, ormai diffuse e solidamente insediate in Europa e negli Stati Uniti; in particolare, nel nostro Paese, opera alacremente e costituisce un esempio significativo il Banco alimentare, che si occupa anche della raccolta delle eccedenze agroalimentari, effettuando la redistribuzione di tali beni ad enti, associazioni, centri – sovente collegati e creati da istituzioni – e favorendo specifiche iniziative di sensibilizzazione;
    nel protocollo di Milano sono elencate misure concrete per abbattere del 50 per cento entro il 2020 lo spreco alimentare nel mondo, lottare contro la fame e l'obesità, promuovere stili di vita sani a partire dalla giovane età, incoraggiare un'agricoltura più sostenibile, opponendosi alla speculazione finanziaria sulle materie prime alimentari;
    questo protocollo sull'alimentazione sarà, come detto, il primo passo verso quell'importante documento che nascerà dall'evento Expo, ovvero la Carta di Milano;
    la Carta di Milano, pertanto, costituirà una proposta di accordo mondiale per garantire cibo sano, sicuro, sufficiente per tutti e, al contempo, dovrà delineare l'agenda per uno sviluppo equo e sostenibile. Non costituirà, quindi, soltanto una generica dichiarazione di intenti, ma una reale assunzione di responsabilità e di impegni altrettanto concreti rivolti a cittadini, istituzioni, associazioni ed imprese;
    la Carta conterrà gli obiettivi che le Nazioni Unite dovranno perseguire come impegni prioritari: promuovendo, pertanto, la Carta di Milano, il Governo italiano vuole garantire azioni mirate dirette a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità;
    la Carta affronterà anche alcune priorità, come quelle relative all'innovazione dei processi produttivi, agricoli e alimentari per renderli sempre più sostenibili, quelle relative alle grandi contraddizioni del nostro tempo ovvero il paradosso fame/obesità e quelle concernenti la lotta allo spreco alimentare: in un quadro, peraltro, di evidenti criticità e comprensibili dubbi che non riguardano tanto lo spirito dell'iniziativa, quanto, piuttosto, la possibilità stessa di pervenire a risultati concreti;
    il problema dello «spreco alimentare» riguarda, infatti, una fetta importante dell'intero pianeta. In Italia, ad esempio, esso ammonta, annualmente, a 6,5 milioni di tonnellate, pari a 108 chilogrammi pro capite: una cifra inferiore rispetto alla media europea, ma pur sempre rilevante. Lo spreco alimentare rappresenta lo 0,23 per cento del prodotto interno lordo italiano, per un valore complessivo di 3,5 milioni di euro e con un costo medio per ogni famiglia di 1.693 euro l'anno;
    la Carta avrà tre sezioni: la prima parte sarà un manifesto riassuntivo dei principi e degli obiettivi; la parte centrale sarà dedicata ai diritti ed agli impegni di tutti i soggetti coinvolti; l'ultima parte raccoglierà tutti i documenti elaborati sui temi della sostenibilità e dell'alimentazione;
    occorre, inoltre, sottolineare come oggi, stante la grave crisi economico-sociale che ha colpito il nostro Paese, molti giovani intraprendano le professioni agricole: fenomeno quest'ultimo che porta nuove competenze al mondo agricolo e che, pertanto, va seguito con attenzione per garantire un futuro ai giovani e per sviluppare un'agricoltura di qualità;
    in questo quadro sarebbe importante prevedere, anche attraverso un eventuale impegno straordinario, la possibilità di escludere dal regime previsto dalla normativa in materia di imu i terreni utilizzati per colture agricole;
    va, inoltre, considerato come il fenomeno dell'agrimafia, che va combattuto e contrastato con tutti i mezzi, risulti in evidente espansione (si pensa, infatti, che fatturi circa 14 miliardi di euro) ed offra alla criminalità organizzata la possibilità di riciclare i propri proventi;
    in tale contesto appare opportuno che, nel quadro di un impegno reale di ogni Paese sul tema, venga implementata e rafforzata la lotta alla contraffazione. Un fenomeno nel quale spicca, sopra tutti, quello che viene comunemente definito italian sounding: l'utilizzo, cioè, di immagini, marchi, denominazioni che illudono i consumatori sulla provenienza italiana di un prodotto, che, al contrario, non ha nulla a che fare con il nostro Paese. Ed è evidente che il fenomeno riguardi particolarmente l'Italia, che dispone di un patrimonio agroalimentare unico al mondo sia sotto il profilo della varietà che della qualità: un fenomeno che arreca al nostro Paese un danno che si aggira sui sessanta miliardi di euro; motivo per cui, insieme alla volontà di firmare insieme un documento, deve diventare operativa e concreta la volontà dei vari Paesi di tutelare il made in Italy in un rapporto di garanzie e di reciprocità sempre più forte e consapevole;
    inoltre, dovrà essere sviluppato il dibattito con proposte dirette a ridurre il consumo d'acqua potabile negli alimenti, proprio per la scarsità d'acqua che oggi colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente: ridurre, pertanto, il consumo d'acqua per gli alimenti diventa un elemento strategico,

impegna il Governo:

   a contribuire, sul piano tecnico e scientifico, ad individuare interventi e buone pratiche da tradurre in politiche pubbliche, al fine di realizzare sistemi alimentari sostenibili, costituiti da un ambiente adeguato e dall'impegno delle persone e delle istituzioni, supportato dai processi attraverso i quali le derrate agricole vengono prodotte, trasformate e portate ai consumatori;
   a contrastare, anche in sede di definizione dei contenuti della Carta di Milano, lo spreco di prodotti alimentari nella filiera alimentare, coinvolgendo, in questo tipo di impegno, anche le scuole e mettendo in campo, attraverso dedicate campagne pubblicitarie, forti iniziative di sensibilizzazione che debbono vedere in prima linea il Governo;
   a coinvolgere i cittadini in una più consapevole attenzione ai modelli nutrizionali, adoperandosi affinché, anche alla luce degli obiettivi della Carta di Milano, possa essere sviluppata un'incisiva educazione nei confronti dei consumatori in modo che aumenti sensibilmente la coscienza individuale e collettiva in relazione al valore primario del cibo; a favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani attraverso il potenziamento della ricerca scientifica e tecnologica e la predisposizione di una campagna di comunicazione e di informazione ai cittadini al fine di adottare stili di vita sani;
   a promuovere, come obiettivo principale di Expo 2015, quello di affermare il primato dell'agroalimentare e della sicurezza dei prodotti made in Italy nei confronti dell'Unione europea;
   a prevedere misure emergenziali per tutelare il settore lattiero, un'eccellenza ed un patrimonio del nostro Paese che va assolutamente difeso;
   a prevedere misure concrete ed efficaci per la tutela del settore ortofrutticolo, oggi gravemente penalizzato da problematiche interne ed internazionali, che ne limitano lo sviluppo e la diffusione e ne compromettono il futuro;
   ad assumere iniziative per introdurre, nel rispetto dei vincoli di bilancio, misure agevolative per i giovani agricoltori, che, come detto in premessa, costituiscono un punto di riferimento importante per la crescita del settore agricolo e del Paese;
   a contrastare con misure adeguate il fenomeno dell'agrimafia, un pericoloso fenomeno che si sta diffondendo sempre di più nel nostro Paese;
   ad intervenire concretamente contro il consumo del suolo quale bene comune e risorsa fondamentale, soprattutto in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico;
   nella piena consapevolezza che la Carta di Milano non può, da sola, risolvere le questioni più gravi ed urgenti del settore, a vigilare perché la medesima non risulti un significativo ma inutile manifesto, ma costituisca un approccio concreto e realistico alle questioni che intende affrontare.
(1-00782) «De Girolamo, Dorina Bianchi, Vignali, Alli».


   La Camera,
   premesso che:
    il quadro generale relativo all'universo delle società partecipate presenta risvolti piuttosto allarmanti: la «giungla» di partecipate, secondo la definizione data nel 2013 dall'allora commissario straordinario alla spending review Carlo Cottarelli, conta ad oggi circa 7.500 partecipate pubbliche. Una miriade di società, come evidenziato dal procuratore generale presso la Corte dei Conti, Salvatore Nottola, nel suo giudizio sul rendiconto generale dello Stato per il 2014, che sono costate alle casse statali circa 26 miliardi di euro. Secondo l'ultima rilevazione della Corte dei Conti le partecipate sono così suddivise: 50 dallo Stato e 5.258 dagli enti territoriali, cui si sommano altri 2.214 organismi di varia natura (come consorzi e fondazioni), anche se si tratta di un numero variabile perché le società sono soggette a frequenti modifiche dell'assetto;
    negli ultimi anni si è assistito a diversi interventi legislativi diretti a sottoporre le suddette società a misure di contenimento della spesa e a regole di trasparenza, ma, allo stato attuale, è necessario un disegno di ristrutturazione organico e complessivo, che preveda regole chiare e improntate alla trasparenza, criteri razionali di partecipazione ed un sistema di controlli più efficace;
    il dissesto delle partecipate trascina con sé quello degli enti locali, mettendo a rischio i conti pubblici ed alimentando l'indebitamento dello Stato. Non bisogna inoltre dimenticare che, molto spesso, le regole restrittive imposte dal patto di stabilità interno inducono gli enti locali ad intaccare i servizi pubblici utili alla collettività, al fine di far quadrare i propri bilanci;
    tutto ciò rende assolutamente necessario un progetto generale di riorganizzazione serio ed improcrastinabile ed un intervento efficace che preveda forme di coinvolgimento diretto della cittadinanza nella scelta dei candidati per la nomina dei consigli di amministrazione delle società partecipate dagli enti stessi;
   un esempio di tale coinvolgimento è rappresentato dal comune di Napoli dove, il 9 marzo 2015, il consiglio comunale ha approvato la delibera per un nuovo statuto della azienda speciale ABC (Acqua Bene Comune) Napoli, con il quale è stata istituzionalizzata la partecipazione democratica nel consiglio di amministrazione della stessa, mentre si escludono le partecipazioni a società per azioni e si apre inoltre ai consorzi di comuni per l'acqua pubblica;
    tale coinvolgimento, che ha riscontrato il gradimento dei cittadini, è finalizzato a garantire la trasparenza e la chiarezza nella scelta dei candidati, soprattutto al fine di evitare i cosiddetti «poltronifici», con il conferimento di incarichi a soggetti non meritevoli;
    resta ferma la necessità di un intervento legislativo mirato a ridurre i costi elevati e gli sprechi collegati alla moltitudine eccessiva di società partecipate,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative normative per introdurre l'obbligo, nella selezione per le nomine dei candidati dei consigli di amministrazione delle società partecipate dallo Stato e da altri soggetti pubblici:
    a) di audire i candidati e rendere pubbliche tali audizioni, anche sul portale degli enti interessati e di permettere ai cittadini di intervenire rivolgendo domande ai canditati sui curriculum vitae, sulle attitudini e sulle competenze;
    b) di prevedere che l'audizione sia preceduta da un periodo di almeno dieci giorni in cui i cittadini possano inviare osservazioni via web di cui si terrà conto nel corso della discussione delle nomine;
    c) di pubblicare, per i singoli candidati, sul portale degli enti interessati, il curriculum vitae e il certificato penale.
(1-00783) «Businarolo, Agostinelli, Ferraresi, Sarti, Bonafede, D'Ambrosio, Colletti, Pesco, D'Incà, Dieni, Nuti, Toninelli, Cozzolino, Cecconi».

Risoluzione in Commissione:


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    il florovivaismo è un importante comparto dell'agricoltura italiana, comprendente il segmento dei fiori e fronde recise, delle piante in vaso da interno ed esterno e di quelle utilizzate per gli spazi a verde, e la produzione delle aziende florovivaistiche italiane è pari a 2,6 miliardi di euro (media biennio 2012-2013), suddivisa in 1,3 miliardi per fiori e piante in vaso e 1,3 miliardi per i prodotti vivaistici (alberi e arbusti), rappresentando quasi il 5 per cento della produzione agricola totale (in contrazione rispetto al quinquennio 2008-2012, quando era del 6 per cento) e deriva per il 50 per cento dai comparti fiori e piante in vaso e il restante 50 per cento da piante, alberi e arbusti destinati alle sistemazioni di spazi a verde;
    il piano nazionale del settore florovivaistico 2014/2016 attesta che «negli ultimi anni il comparto ha risentito in misura evidente della minore disponibilità di spesa delle famiglie italiane, per cui sia i fiori recisi sia le piante, alberi e arbusti già dal 2009 hanno subito una decurtazione delle spesa procapite. Per i fiori recisi che risentono maggiormente del minor potere d'acquisto dei consumatori, la diminuzione nel 2009 e nel 2010 è stata, infatti, di quasi un punto superiore a quella delle piante, alberi e arbusti. Negli anni successivi, il 2012 e il 2013, gli acquisti hanno registrato per l'intero aggregato di fiori, piante, alberi e arbusti flessioni più o meno significative a seconda dell'area geografica. Se si osserva la spesa media annua per acquirente nel periodo tra il 2008 e il 2012 è evidente la difficoltà a soddisfare l'acquisto di fiori e piante ornamentali, a fronte di una spesa per beni alimentari che si contrae (nel 2013 -3,1 per cento in valore e -1,3 per cento in quantità – dati ISMEA). Infatti il valore passa dagli oltre 87 euro per singolo acquirente agli 80 euro del 2012 (-9,2 per cento rispetto al 2011). Per i fiori la decurtazione rispetto al 2011 è del 5 per cento, mentre quella per piante, alberi e arbusti arriva al 13 per cento. In valore, nel quinquennio esaminato, si contrae di quasi 8 euro per le piante rispetto al 2008 e di quasi 5 euro per i fiori recisi. Nei mesi di rilevazione dei consumi del 2013 la spesa media per acquirente è stata inferiore rispetto al corrispondente periodo del 2012 nei mesi di marzo aprile e dicembre.»;
    all'interno del comparto florovivaistico, il settore del commercio all'ingrosso, del trasporto, dell'esportazione, dell'importazione e della lavorazione dei fiori freschi recisi, delle fronde verdi e delle piante in vaso è fortemente caratterizzato dalla stagionalità che deriva dalla tipicità dei prodotti la cui lavorazione, condizionamento e commercializzazione è direttamente riconducibile, nel corso dell'anno, al preliminare lavoro di produzione agraria che è caratterizzato, per la natura dei prodotti, da più cicli stagionali, come riconosciuto dalla contrattazione collettiva nazionale di settore;
    il settore del commercio floricolo rappresenta una componente significativa della PLU dell'agricoltura italiana con i suoi 140 milioni di euro di prodotti esportati oltre a coprire con i suoi 2.200 milioni di euro il fabbisogno del mercato interno. Inoltre, il comparto commercio rappresenta l'indispensabile supporto strategico al settore agricolo di tutta la produzione florovivaistica;
    il commercio nazionale dei fiori sconta, sui mercati europei, un'agguerrita concorrenza da parte del sistema commerciale olandese agevolato dalle normative doganali dell'Unione europea che hanno di fatto liberalizzato a dazio zero le importazioni dai Paesi extracomunitari (Africa equatoriale e America Latina in primis) in via di sviluppo e da normative sul lavoro più agevolanti,

impegna il Governo

ad inserire nell'elenco delle attività aventi carattere stagionale di cui alla tabella allegata al decreto del Presidente della Repubblica del 7 ottobre 1963, n. 1525, e successive modifiche ed integrazioni, quelle relative a raccolta, cernita, lavorazione, confezionamento e trasporto dei prodotti del florovivaismo.
(7-00650) «Giacobbe, Basso, Ginato, Fiorio, Arlotti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   un anno fa il Presidente del Consiglio Renzi annunciava che il Governo si impegnava a rendere molto più semplice e agevole il pagamento delle tasse, arrivando a dichiarare: «Semplificare il fisco per arrivare a pagare le tasse con un sms», e invece sembrerebbe che la procedura sia molto complessa e poco accessibile;
   quest'anno si doveva dunque aprire una nuova fase di semplificazione nel rapporto tra il cittadino e l'autorità fiscale, con la predisposizione del modello 730 precompilato individuale, una procedura accessibile al cittadino medio che il Governo aveva spiegato anche con un accattivante video, (https://www.youtube.com), ma per ora il «semplice» accesso al «cassetto fiscale» del contribuente nel sito web dell'Agenzia sembrerebbe complicato da un groviglio di passaggi intermedi, password a tempo, pin e puk;
   il professore universitario di economia, Daniele Checchi, autore del recente articolo de Lavoce.info «2015, odissea nel sito dell'Agenzia delle entrate», racconta che ha messo alla prova la procedura e ha impiegato cinque ore solo per accedere al «cassetto fiscale» individuale e leggere le informazioni preliminari, a dimostrazione che qualcosa non funziona –:
   se il Governo non intenda verificare la reale accessibilità di questa procedura che dovrebbe facilitare la vita dei contribuenti, e che invece sembra profilarsi come poco accessibile anche a chi ha molte più competenze della media;
   se non consideri urgente e necessario apportare le modifiche opportune al sistema prima del periodo degli adempimenti fiscali e dunque di maggiore utilizzo del sito.
(2-00919) «Sorial».

Interrogazioni a risposta orale:


   VACCA, DI BATTISTA, SIBILIA, NUTI, COLLETTI, BRESCIA, DE ROSA, CECCONI e BUSINAROLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Il Fatto Quotidiano il 1o aprile 2015 il telefono cellulare in uso al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi è intestato alla Fondazione Open;
   la Fondazione Open è quell'ente privato che ha organizzato e finanziato la campagna politica di Matteo Renzi;
   il consiglio direttivo della Fondazione Open è composto da Alberto Bianchi (Presidente), dal Ministro per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi (Segretario generale), da Marco Carrai e dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti;
   Alberto Bianchi è attualmente consigliere di amministrazione dell'Enel in quanto è stato presentato nella lista dei candidati designati a nome del Governo italiano nell'aprile del 2014;
   Marco Carrai è cugino del presidente del Banco alimentare toscano e del fondatore della Compagnia delle Opere della Toscana, nonché imprenditore con appalti nella città di Firenze dell'ex sindaco Renzi;
   è facilmente intuibile il legame tra la Fondazione Open e l'attività istituzionale di Matteo Renzi che ha promosso la nomina, con i poteri propri del Presidente del Consiglio, di tre quarti dei vertici di Open tra Governo e consigli di amministrazione;
   il Presidente del Consiglio italiano ha a disposizione cellulari di servizio sia della Presidenza del Consiglio, sia eventualmente forniti dall'Aisi (Agenzia per le informazioni e sicurezza interna, l'ex Sisde);
   nonostante la massima trasparenza più volte invocata da Matteo Renzi sulle attività istituzionali dei politici egli stesso non assume, a giudizio degli interroganti, comportamenti in linea con tale principio;
   è scontato che in una nazione come l'Italia in cui la corruzione è dilagante il Presidente del Consiglio dovrebbe essere il più trasparente di tutti –:
   se il Presidente del Consiglio utilizzi il cellulare intestato alla fondazione Open, e se ritenga corretto e opportuno ricorrere a un telefono per lo più pagato da un ente privato i cui amministratori ricoprono incarichi di nomina governativa, ad avviso degli interroganti in contrasto con un principio di minima trasparenza.
(3-01413)


   RICCIATTI, CIVATI, LODOLINI, MARCHETTI, LUCIANO AGOSTINI, MOSCATT, GIUSEPPE GUERINI, SIMONI, POLLASTRINI, CUPERLO, FAVA, PASTORINO, PINNA, MINNUCCI, VENITTELLI, CIMBRO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, MATARRELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese è proibita qualsiasi forma di eutanasia e chi aiuta una persona a morire rischia fino a 15 anni di carcere per omicidio del consenziente;
   il regime di proibizione assoluta dell'eutanasia ha delineato una zona di clandestinità entro la quale si stima siano avvenuti 20.000 casi di malati terminali in strutture ospedaliere la cui morte è stata accelerata dal personale medico (2007, Istituto Mario Negri);
   nell'ultimo anno il 46 per cento dei suicidi e il 39 per cento dei tentativi di suicidio sono avvenuti a causa delle condizioni di malattia digli interessati (dati ISTAT);
   per alcuni concittadini la ricerca di una «dolce morte» si esaudisce in una clinica svizzera e l'opzione dell’«emigrazione» non è tra le alternative possibili per chi vive in una condizione di solitudine o di disagio economico;
   il rapporto Italia 2015 dell'Eurispes indica che rispetto al tema dell'eutanasia legale il 55,2 per cento dei cittadini italiani si dichiara favorevole;
   il medesimo rapporto segna il 67,5 per cento degli italiani favorevole alle dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari (cosiddetto «testamento biologico»);
   il 13 settembre 2013 il comitato «EutanaSia Legale» ha depositato presso la Camera dei deputati una legge di iniziativa popolare sul rifiuto dei trattamenti sanitari e sulla liceità dell'eutanasia sottoscritta da 67.121 cittadini e, in seguito al deposito formale, ha avuto luogo una campagna di mobilitazione su internet che ha raccolto più di 96.500 adesioni;
   nel marzo 2014, l'allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha scritto in un messaggio rivolto a uno degli animatori della succitata campagna di ritenere anch'egli «che il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee» su questa materia;
   lo stesso Presidente della Repubblica pro tempore incontrando il Comitato di Bioetica il 10 luglio 2014, ha avuto modo di affermare, relativamente ai temi delle libertà civili, che «il silenzio osservato negli ultimi tempi dal Parlamento non può costituite un atteggiamento soddisfacente rispetto a problemi la cui complessità e acutezza continua ad essere largamente avvertita»;
   Massimo «Max» Fanelli è un cittadino di Senigallia, volontario con Emergency, impegnato nella cooperazione internazionale, fondatore dell'associazione I Compagni di Jeneba;
   dal novembre 2013 Max Fanelli si è ammalato di sclerosi laterale amiotrofica (SLA) diventando non più autosufficiente nello spazio di pochi mesi;
   il 20 dicembre 2014 Fanelli ha diffuso un video-appello in cui, attraverso il suo sintetizzatore vocale, reclama il diritto di poter scegliere sulla fine della propria vita e invita il Parlamento a discutere la legge di iniziativa popolare per la regolamentazione dell'eutanasia;
   l'appello di Max Fanelli ha dato il via ad una pagina su Facebook intitolata «Io sto con Max – sì all'eutanasia» e all’hashtag IoStoConMax, in poco tempo diventati virali sui social network;
   «Io sto con Max» oggi è un comitato che conta tra i suoi animatori associazioni locali, politici e cittadini comuni;
   il consiglio comunale di Senigallia ha adottato nel febbraio 2015 un ordine del giorno che impegna il sindaco a farsi portavoce presso il Governo e il Parlamento dell'appello di Fanelli per la calendarizzazione della legge di iniziativa popolare sulla legalizzazione dell'eutanasia;
   in seguito al lancio del suo appello Fanelli ha affermato la volontà di depositare le sue dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) presso il registro comunale dei testamenti biologici di Senigallia senza che però nessun notaio tra quelli da lui interpellati si sia reso disponibile a riconoscere le sue volontà espresse attraverso sintetizzatore vocale –:
   se il Governo non ritenga che la questione delle scelte di fine vita e delle dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari debba essere uno dei punti della programmazione delle politiche di Governo, favorendo, per quanto di competenza, un rapido iter del succitato progetto di legge di iniziativa popolare;
   se il Governo intenda assumere iniziative normative per consentire l'acquisizione da parte dei notai delle determinazioni di un cliente che utilizzi per la comunicazione ausili teconologici come il sintetizzatore vocale. (3-01414)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   risulta da notizie stampa riportate sul quotidiano La Repubblica del 22 ottobre che le api sono sempre più a rischio. Gli insetticidi stanno creando lo spopolamento degli alveari, colpendo duramente i produttori del miele;
   l'allarme è stato lanciato dalle associazioni nazionali degli apicoltori Conapi e Unaapi che insieme a legacoop Agroalimentare ha o chiesto alle istituzioni di intervenire affinché siano prese efficaci misure;
   la sopravvivenza e la produttività delle api risulta minacciata dalle condizioni meteo e dai potentissimi insetticidi irresponsabilmente autorizzati e irrorati copiosamente nelle nostre campagne, le stesse sostanze invece sono vietate in Francia e in Germania;
   l'eliminazione dell'utilizzo di tali sostanze, affermano gli apicoltori, rappresenta un primo passo per tutelate la salute delle api e per salvaguardare la loro attività di impollinazione, un servizio vitale per la produzione di cibo e per l'ecosistema;
   le evidenze scientifiche sulle conseguenze dei pesticidi più dannosi per le api sono note;
   il fenomeno della moria delle api è recente, ma ormai ben noto ed ha determinato per i 12 mila apicoltori sparsi nel nostro paese, che hanno fatto delle api una vera attività commerciale, un notevole crollo delle quantità di miele prodotto, in particolare quello di acacia e castagno provocando come conseguenza un aumento dei prezzi, tra il 20 e il 30 per cento;
   risulta ancora difficile fare una stima dei danni in un settore che, secondo le associazioni di apicoltori, conta oltre 11 milioni di alveari censiti e produce circa 23 mila tonnellate di miele, per un valore di 20,6 milioni di euro;
   il perdurare di tale situazione, denunciano gli apicoltori, determinerà come conseguenza, nell'immediato futuro, la pressoché totale scomparsa della produzione di miele locale, considerato tra i migliori d'Europa –:
   se i Ministri interrogati, anche alla luce dei recenti studi scientifici sulla moria delle api, intendano assumere iniziative per sospendere l'uso dei pesticidi nocivi per le api, a partire dalle sostanze più pericolose attualmente autorizzate;
   se i Ministri interrogati, attraverso l'adozione di piani d'azione e di sostegno nazionali intendano sostenere politiche agricole che apportino benefici al servizio di impollinazione all'interno dei sistemi agricoli, valutando l'opportunità di aumentare i finanziamenti per la ricerca, lo sviluppo e l'applicazione di pratiche agricole ecologiche che valorizzino la biodiversità agraria. (5-05248)


   LUIGI GALLO, SIBILIA e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea, con decisione [n. C(2012) 2154] del 29 marzo 2012, ha finanziato il Grande Progetto Pompei con 105 milioni di euro: in pochissimi casi, se non in nessun altro, l'Unione europea aveva scommesso su una iniziativa culturale di tale portata a favore di un unico destinatario;
   probabilmente l'Unione europea ha ben in mente l'unicità del valore storico, culturale e simbolico di Pompei per l'intera umanità;
   il Grande Progetto Pompei dovrebbe essere realizzato, liquidato e rendicontato entro il 31 dicembre 2015. Mancare a questo appuntamento vorrebbe dire la revoca dei fondi comunitari inutilizzati e, soprattutto, mettere a serio rischio anche i successivi previsti per Pompei dal 2015 in poi;
   da quanto si apprende da un'inchiesta de L'Espresso pubblicata il 6 marzo 2015, che fotografa impietosamente la «situazione Pompei» a fine febbraio, su 47 cantieri inizialmente previsti ne risultano avviati 9 e conclusi solamente 3. Ben 35 non sono stati ancora aperti. Dall'inizio del 2012 alla fine del 2014, dei 105 milioni di euro previsti ne sono stati spesi solo 4,8;
   Pompei è un patrimonio storico straordinario per il nostro Paese. Gli italiani, però, si sono abituati a sentirne parlare piuttosto per le notizie riguardanti l'ultimo, ennesimo, crollo;
   la notizia più recente in ordine cronologico è la forte, ma prevedibile, pioggia invernale che, nei primi giorni di febbraio, ha causato uno smottamento nel giardino della casa di Severus provocandone danneggiamenti all'intonaco;
   nell'inchiesta de L'Espresso, il direttore generale del Grande Progetto Pompei, il generale Giovanni Nistri, è definito con una metafora riuscitissima: un «condottiero solo»; un «luogotenente dalla sciabola spuntata» più che un «generale»;
   eppure, in base al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 febbraio 2014, il direttore generale del progetto dovrebbe collaborare con una struttura di supporto nella quale dovrebbero esservi almeno cinque esperti in materia giuridica, economica, architettonica, urbanistica e infrastrutturale, da nominarsi con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Direttore Generale di Progetto. Ad oggi, però, su 30 collaboratori che dovrebbero sostenere la direzione generale nell'attuazione del progetto, ne mancano all'appello ben dieci, probabilmente perché non sono state previste per la struttura di supporto le consuete indennità aggiuntive, come ad esempio il vitto e l'alloggio, scoraggiando l'adesione da parte di quanti ne avevano i requisiti;
   come ammesso dallo stesso Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo in data 19 novembre 2014 in risposta ad una interrogazione del sottoscritto, la direzione generale ha sottoposto in data 22 gennaio 2014 all'attenzione del Presidente del Consiglio dei ministri, come previsto dalla normativa, i nominativi di cinque esperti per la relativa nomina. «Tuttavia, tale proposta non ha avuto seguito, essendosi preferito un diverso percorso procedurale». La Presidenza sarebbe dunque alla ricerca di una «soluzione in linea con le normative più recenti in materia di consulenze e di compensi in tempi di spending review»;
   sono passati quasi 14 mesi, 14 mesi in meno per dare una vera accelerata agli appalti. Ci si ritrova adesso, a 10 mesi dalla scadenza del progetto, con 35 interventi non da concludere, bensì ancora da avviare. Senza contare che una eventuale assegnazione frettolosa di delicati lavori di restauro potrebbe provocare più danni che benefici;
   in aggiunta, come si appura dalla relazione al Parlamento del Generale Nistri, audito dalla Commissione Beni culturali del Senato nel mese di novembre 2014 sullo stato di avanzamento del progetto, finanche la convenzione Finmeccanica-Mibact che avrebbe dovuto fornire un supporto logistico fondamentale per l'accelerazione dei lavori grazie a tecnologie e servizi innovativi, presenta ritardi che appaiono considerevoli sul cronoprogramma prestabilito, con conseguenti slittamenti delle fasi esecutive;
   tra le applicazioni operative che presentano i maggiori ritardi vi sono proprio quelle concernenti il dissesto idrogeologico, principale impellenza dell'intero sito, date le notizie di cronaca più o meno recenti;
   da un anno la Presidenza del Consiglio non ha ritenuto una priorità completare la struttura di supporto al direttore generale del progetto, il «condottiero condannato alla solitudine», né ha ritenuto necessaria la nomina di cinque collaboratori esperti, in particolare per quanto riguarda la materia giuridico-legale. Un'iniziativa del Governo in questa direzione, che (come è bene rammentare) è prevista dalla norma, avrebbe potuto alleggerire la direzione generale e la soprintendenza nella velocizzazione delle operazioni di realizzazione e nella delicata gestione degli appalti, sui quali continuano a piovere indagini: L'Espresso rende noto non solo che le attenzioni della giustizia sono indirizzate agli appalti della vecchia gestione (che hanno portato al sequestro da parte della Corte dei conti di 6 milioni di euro all'ex commissario straordinario di Pompei Marcello Fiori per abuso d'ufficio ed altri reati), ma che la procura di Torre Annunziata starebbe indagando anche sui più recenti appalti del progetto, tuttora nelle fasi di realizzazione, producendo già avvisi di garanzia a due funzionari della soprintendenza che lavoravano in uffici chiave;
   se le indagini preliminari dovessero scoprire illeciti, i pochi cantieri già avviati verrebbero bloccati. E a Pompei, per usare una metafora impietosa, pioverebbe sul bagnato;
   se di spendig review si tratta, dunque, ci si trova di fronte ad un paradosso di proporzioni monumentali. Nel Paese delle pensioni d'oro, dove i manager pubblici guadagnano cifre stellari, ci si chiede se può un Governo, per risparmiare sulle assunzioni di soli 15 esperti, essenziali per velocizzare e fare progettazioni di qualità con rafforzati controlli legali, decidere deliberatamente di far perdere per sempre a Pompei ingenti somme di fondi europei necessarie per i restauri, per la sicurezza, per la riduzione del rischio idrogeologico, per il rilancio di un patrimonio storico e culturale inestimabile ormai tristemente noto nel mondo come esempio di cattiva amministrazione, saccheggi selvaggi, file chilometriche di visitatori senza guida, crolli dovuti ad incuria e corruzione –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto esposto in premessa. (5-05285)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOCATELLI, DI LELLO, DI GIOIA, FAVA e PASTORELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il monitoraggio degli investimenti pubblici (MIP) è un sistema che, una volta a regime, fornirà al CIPE, alle amministrazioni e ai soggetti interessati informazioni tempestive e affidabili sull'evoluzione dei singoli progetti d'investimento pubblico;
   istituito con la legge n. 144 del 1999, il MIP si distingue dagli altri sistemi di monitoraggio operanti sul territorio in quanto caratterizzato da specifiche finalità;
   attualmente si è conclusa la prima fase di progettazione del MIP per il settore dei lavori pubblici ed è stata avviata la stessa attività per il settore incentivi;
   il sistema MIP/CUP è stato istituito presso il comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) al fine di migliorare la conoscenza sullo stato di attuazione dei progetti d'investimento finanziati con risorse pubbliche, e sugli effetti delle decisioni assunte;
   il sistema voluto dal legislatore avrebbe dovuto: fornire informazioni tempestive sull'avanzamento procedurale, fisico e finanziario dei progetti di investimento pubblico finalizzati allo sviluppo; contenere il più possibile i costi dei sistemi di monitoraggio dei progetti d'investimento pubblico e ridurre le possibilità di errore; infine, semplificare l'attività amministrativa. Ma come testé ricordato il Sistema è solo parzialmente operativo;
   il CIPE presenta al Parlamento, ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della legge n. 144 del 1999, una relazione semestrale che sintetizza le attività svolte per lo sviluppo del sistema di MIP, per la gestione delle banche dati CUP e sui risultati conseguiti nell'ambito di tali attività;
   nell'ultima relazione sul sistema di monitoraggio degli investimenti pubblici, predisposta dal CIPE e presentata ai due rami del Parlamento dal Presidente del Consiglio dei ministri lo scorso 4 dicembre 2014, relativamente al secondo semestre del 2013, vengono illustrati lo stato di avanzamento nello sviluppo dei sistemi MIP e CUP, attraverso i risultati differenziali maturati al 31 dicembre 2013, e l'implementazione del protocollo di dialogo con il sistema dei pagamenti SIOPE della  ragioneria generale dello Stato;
   occorre rilevare che, a parte il settore dei lavori pubblici già implementato, nella relazione si evidenzia che: «Per le altre aree di osservazione sopra elencate (incentivi alle unità produttive, ricerca e formazione), si attende di completare la definizione dei dati MIP e l'individuazione delle forme di trasmissione/dialogo applicativo più idonee fra i sistemi informatici interessati»;
   da quanto sopra risulta che a quasi vent'anni dalla previsione normativa il Sistema è ancora non operativo nel senso pensato dal legislatore –:
   quali iniziative urgenti il Governo abbia intenzione di porre in essere al fine di procedere, in attuazione della delibera CIPE n. 124 del 2012, al completamento del sistema MIP/CUP e alla sua attivazione sul territorio nazionale, individuando le relative azioni da svolgere;
   quali iniziative concrete il Governo abbia intenzione di attuare, in linea anche con i principi di trasparenza dell'azione amministrativa, affinché il sistema MIP si proponga non solo come strumento di coordinamento e contatto tra sistemi di monitoraggio nazionali e regionali, ma anche come veicolo di informazioni verso un insieme sempre più ampio di stakeholder, al fine di facilitare la lettura dei dati raccolti e diffondere la cultura del monitoraggio anche tra i non «addetti ai lavori»;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per mettere riparo, come gli stessi gestori del sistema MIP lamentano, al fatto che non esistendo alcuna sanzione per il ritardo o incompleto inserimento dei dati, questi vengano inseriti con grave ritardo e, pertanto, se non sia anche il caso di prevedere l'introduzione di un sistema sanzionatorio nei confronti dei responsabili. (4-08677)


   D'INCÀ, COZZOLINO e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge di riforma dei livelli di governo del Paese si prefigge lo scopo di un riordino complessivo delle competenze con l'obiettivo di rendere più efficaci ed efficienti i processi decisionali e gestionali;
   con la riforma delle province promossa dal Governo e la legge di stabilità, diversi servizi culturali – fra cui i sistemi bibliotecari e i sistemi museali – sono a rischio di sopravvivenza, poiché queste funzioni non sono né del tutto riconducibili alle funzioni fondamentali oggi previste dalla legge né sono state adottate su delega o per conferimento regionale;
   con ordine del giorno in Assemblea in sede di esame della proposta di legge 9/02613A/044 del 9 marzo 2015 primo firmatario Rampi Roberto del PD, il Governo si è impegnato ad adottare utili iniziative in un quadro di competenza condivisa con le autonomie, in cui la tutela dell'interesse pubblico soddisfatto da queste istituzioni trovi nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il riferimento per definirne il futuro;
   le province, per rispondere ad esigenze della propria comunità in particolare in campo culturale, hanno istituito nel tempo musei, fondazioni, consorzi, biblioteche; attraverso lo sviluppo di reti di comuni, hanno dato vita ai Sistemi bibliotecari provinciali (SBP) – anche attraverso gestioni associate che hanno permesso di contenere i costi, rendere più efficienti i servizi, condividere mezzi informatici, acquisti, servizi di trasporto – che sono diventati luoghi di eccellenza, con misurabili impatti sociali ed economici favorevoli;
   il sistema bibliotecario provinciale configura tipicamente come servizio di area vasta, perché si ispira ai principi di cooperazione e garantisce uguali servizi su tutto il territorio, permettendo agli enti aderenti di coniugare efficacemente la qualità dei servizi pubblici con il risparmio di risorse, in un tempo storico di grave crisi economica e sociale;
   tra questi, i sistemi bibliotecari provinciali (SBP) delle province di Belluno e di Rovigo, che da vent'anni svolgono un'attività imprescindibile per il territorio, rischiano la chiusura, perché la cultura non rientra più tra le funzioni fondamentali delle province e la regione Veneto tarda ingiustificatamente a decidere chi dovrà occuparsene. Con la chiusura del sistema bibliotecario provinciale verrebbe meno una parte importante dei servizi fino ad oggi forniti gratuitamente dalle biblioteche agli utenti, servizi che finirebbero ridimensionati o messi a pagamento (prima di tutto, il prestito interbibliotecario). I piccoli comuni, che non dispongono di risorse finanziarie adeguate per sostenere i servizi delle biblioteche civiche, solo grazie al sistema provinciale possono dare ai propri residenti l'opportunità di non essere cittadini di serie B. Le piccole biblioteche dei comuni più periferici, senza il supporto del sistema bibliotecario provinciale rischierebbero l'immobilità se non addirittura la chiusura;
   a titolo di esempio, il centro servizi del sistema bibliotecario provinciale di Rovigo mantiene il catalogo collettivo, cura il prestito interbibliotecario, si occupa della catalogazione centralizzata, dell'aggiornamento degli operatori, degli strumenti informatici utilizzati per la gestione dei servizi di reference locale, coordina e promuove la partecipazione a progetti condivisi di promozione alla lettura, svolge un'attività di consulenza tecnica e scientifica insostituibile. Il servizio coinvolge 53 biblioteche di 41 comuni della provincia. Nel 2014 il servizio ha garantito 140 mila prestiti agli utenti polesani, di cui 14 mila attraverso il prestito interbibliotecario. Con la riforma della provincia di Rovigo, è previsto il taglio dei costi del personale del 50 per cento nelle funzioni non fondamentali. Di fatto è a rischio il servizio di sistema bibliotecario provinciale, che ha costi di 120 mila euro per il personale bibliotecario, formato da 3 addetti a tempo pieno e 1 part time (1 coordinatore, 1 corriere bibliotecario, 1 collaboratrice e informatrice allo sportello, 1 amministrativo part time). Gli uffici si occupano anche delle attività culturali e degli eventi annuali come festival di musica, danza e letteratura, oltre che gestire villa Badoer, unica villa di Palladio in provincia di Rovigo;
   entro il 31 maggio 2015 la provincia di Rovigo deve dare indicazione dei nominativi degli esuberi, mentre la regione Veneto ha tempo fino al 31 dicembre 2015 per decidere a chi va in carico il servizio;
   la provincia di Belluno, a causa dei tagli legati alla legge di stabilità e dell'incertezza della conferma delle proprie funzioni, non ha più le risorse necessarie per tenere in piedi il sistema bibliotecario provinciale, che coordina le biblioteche del Bellunese – una rete di 65 biblioteche (41 comunali, 9 scolastiche e 15 «speciali») – e che nel 2014 ha garantito a 17 mila utenti di ottenere 151 mila prestiti di libri, dvd o cd musicali, di cui 10 mila prestiti interbibliotecari, realizzando un risparmio per la collettività di quasi 3 milioni di euro. Nel 2009 il trasferimento per questo capitolo di spesa ammontava a circa 60 mila euro; è stato progressivamente ridotto fino a circa 20 mila euro per scendere a 6 mila euro nel 2015 e 0 euro per il 2016. Nelle zone periferiche del territorio le biblioteche sono forse l'unico centro culturale del comune (non ci sono né librerie né cinema né teatri né altri luoghi di aggregazione culturale in zone come la Valzodana, il Cadore, l'Agordino o l'Alpago) e l'utenza del prestito interbibliotecario è maggiore nelle biblioteche periferiche: cancellare questo servizio significa togliere la possibilità a questi utenti di utilizzare l'intero catalogo provinciale. Non saranno solo le biblioteche a risentire dei tagli dei trasferimenti perché gli stessi uffici, oltre che della rete delle biblioteche, si occupano della rete museale: senza risorse chiuderà anche il museo etnografico di Seravella e l'istituto culturale ladino. Per le biblioteche bellunesi si prospettano queste conseguenze:
    fine del servizio di catalogazione centralizzata (248.000 materiali catalogati dal SPB tra il 1996 e il 2014);
    cessazione del collegamento settimanale tra le biblioteche (quasi 10.000 volumi trasportati nel 2014);
    fine di ogni attività di formazione, aggiornamento e assistenza ai bibliotecari nel loro lavoro quotidiano;
    stop alla gestione e sviluppo dei servizi online per gli utenti (catalogo web e nuovo portale delle biblioteche);
    fine di ogni progetto comune per la promozione della lettura, come «Nati per Leggere» o gli sconti con la tessera utente –:
   se il Governo non ritenga opportuno istituire urgentemente un tavolo di confronto tra Stato e regioni per salvaguardare i sistemi bibliotecari provinciali con un'iniziativa normativa adeguata, lungimirante e tempestiva, coerente con l'importanza di questi servizi e con quali tempistiche;
   se si intendano assumere iniziative per provvedere alla definizione delle competenze dei servizi culturali, fino ad oggi in capo alle province, poiché allo stato attuale queste funzioni non sono né del tutto riconducibili alle funzioni fondamentali oggi previste dalla legge né sono state adottate su delega o per conferimento regionale;
   dal momento che le province devono definire entro il 31 maggio i tagli alle funzioni non fondamentali – mentre le regioni possono deliberare entro il 31 dicembre 2015 le competenze di tali servizi – se non si ritenga opportuno assumere iniziative per ridefinire i termini, anticipandoli, entro i quali tutte le regioni, compreso il Veneto, devono deliberare in merito alle attribuzioni delle competenze specifiche e delle risorse, valutando l'opportunità di anticipare quanto più possibile tali termini, considerato che un servizio pubblico che funziona, come quello del Sistema bibliotecario provinciale, che genera risparmi a favore dei bilanci comunali ormai asfittici e di cui tutti i cittadini – soprattutto i meno abbienti – possono godere, non può e non deve essere chiuso né ridimensionato per mancanza di fondi o personale. (4-08684)


   MOLTENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il piano di edilizia scolastica, fortemente voluto dal Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, fin dal suo discorso di fiducia alle Camere il 24 febbraio 2014, dovrebbe riguardare complessivamente 21.230 interventi su edifici scolastici, con investimenti pari a 1.094.000.000 di euro. Nell'arco del biennio 2014-2015, parole del Presidente del Consiglio, si avranno scuole più belle, più sicure e più nuove;
   il piano, nelle intenzioni del Governo, è così articolato:
    a) costruzione di nuovi edifici scolastici o rilevanti manutenzioni attraverso liberazione di risorse dei comuni dai vincoli del patto di stabilità per un valore di 244 milioni;
    b) finanziamento per 510 milioni dal Fondo di sviluppo e coesione, dopo la delibera Cipe del 30 giugno 2014, per interventi di messa in sicurezza, di decoro e piccola manutenzione;
   il Presidente del Consiglio, il 3 marzo 2014, aveva mandato una lettera a tutti i sindaci invitandoli a segnalare interventi di edilizia scolastica immediatamente cantierabili da finanziare;
   con le delibere approvate dal Cipe il 30 giugno 2014 sono stati destinati complessivamente 510 milioni di euro all'edilizia scolastica riprogrammando i fondi di sviluppo e coesione. Di questa somma 400 milioni di euro sono stati destinati a interventi di messa in sicurezza ed agibilità delle scuole per un totale di 2.865 interventi;
   comuni e province per acquisire i relativi finanziamenti dovevano aggiudicare gli appalti perentoriamente entro il 31 dicembre 2014, esaurendo i primi 1.635 interventi previsti dal cosiddetto decreto del fare del Governo Letta, poi rilanciati dal Governo Renzi;
   il termine è stato prontamente rispettato dai comuni, e malgrado la comunicazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca indicasse che il trasferimento dei fondi sarebbe avvenuto entro il mese di gennaio 2015, fino ad oggi i comuni non si sono visti accreditare neppure un euro, ma nel frattempo hanno avviato le opere e si vedono costretti a pagare gli stati di avanzamento dei lavori;
   nelle intenzioni del Governo si prevedono per finanziare gli interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino funzionale, ulteriori 300 milioni di euro che dovrebbero essere sbloccati nel 2015 e riguarderanno 10.160 plessi scolastici;
   va denunciata la decurtazione di alcune voci, come le spese tecniche e l'iva, dal finanziamento previsto, fatto questo che ha scatenato una vivace protesta da parte di tutti i sindaci;
   gli stessi sindaci sono molto scettici non solo sull'entità del finanziamento, ma anche sui tempi della relativa erogazione;
   pare che tutti gli interventi del piano «scuole sicure» anche già ultimati non abbiano ricevuto il finanziamento assegnato, con gravi danni per i comuni e le imprese che hanno eseguito i lavori;
   molti sindaci da tempo stanno contattando la direzione competente del Ministero sotto la guida della dottoressa Montesarchio circa i relativi tempi di erogazione; dal Ministero arriva la risposta che saranno brevi; è infatti in fase di ultimazione una piattaforma informatica dedicata, dove i RUP (responsabili unici di progetto) dovranno inserire lo stato di avanzamento dei lavori che verranno rimborsati attraverso i fondi di sviluppo e coesione;
   questi sindaci avevano avuto rassicurazione telefonica dalla medesima direzione che l'erogazione sarebbe avvenuta prima della chiusura della tesoreria di Stato, già da tempo avvenuta in data 5 dicembre, ma finora nulla è accaduto;
   un esempio per tutti: la scuola elementare di via Battisti di Erba (CO), la più antica e frequentata della città che, confidando nelle promesse del Presidente del Consiglio, ha elaborato un progetto per l'isolamento termico degli edifici e la sostituzione dei serramenti, entrambi interventi non più procrastinabili. La bella notizia era arrivata l'estate scorsa, dal Governo sarebbero arrivati 720 mila euro dei 980 mila necessari, il resto lo avrebbe messo il comune guidato dal sindaco Marcella Tili;
   purtroppo, dell'intervento governativo promesso l'amministrazione non ha avuto più notizie, malgrado i finanziamenti di cui la scuola sulla carta risulta beneficiaria dovessero essere erogati entro gennaio; oltretutto i serramenti devono essere necessariamente sostituiti in estate, quando i ragazzi sono in vacanza, e perciò si rischia di non fare in tempo per l'inizio dell'anno scolastico 2015-2016, visto che il sindaco non può iniziare i lavori già aggiudicati all'impresa Cavalieri di Monza senza avere la provvista di cassa; si rischierebbe di non poter assicurare il pagamento dell'avanzamento lavori all'impresa aggiudicataria quindi l'avvio del cantiere potrebbe slittare al 2016 –:
   se il Governo con riferimento alla scuola elementare di via Battisti di Erba (CO) intenda procedere con la massima sollecitudine agli accrediti promessi entro gennaio 2015, senza ulteriori indugi che stanno mettendo a serio rischio la credibilità, causando evidenti difficoltà all'amministrazione del comune di Erba e soprattutto pregiudicando la messa in sicurezza delle scuole, con grave rischio per l'incolumità degli alunni. (4-08685)


   PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dall'articolo de Il Sole 24 Ore dal titolo «Italia a rischio maxi-multa UE» del 25 marzo 2015 si apprende che l'Italia rischia di dover pagare sanzioni all'Unione europea per 482 milioni di euro l'anno se entro la fine del 2015 non riuscirà a dimostrare che tutti gli «agglomerati» urbani con più di 2.000 abitanti equivalenti siano dotati di reti fognarie e depurative;
   la direttiva 91/271/CEE del 21 maggio 1991 concerne la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane, nonché il trattamento e lo scarico delle acque reflue originate da taluni settori industriali. Essa ha lo scopo di proteggere l'ambiente dalle ripercussioni negative provocate dai summenzionati scarichi di acque reflue;
   con il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, all'articolo 9, comma 4, è stato prorogato al 30 settembre 2015 il termine previsto per l'attivabilità della procedura di esercizio del potere sostitutivo del Governo, anche con la nomina di commissari straordinari, al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione oggetto di procedura d'infrazione o di provvedimento di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea riguardo all'applicazione della direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane;
   la Corte di giustizia europea, in data 10 aprile 2014, ha dichiarato l'inadempienza dell'Italia per il mancato rispetto della normativa comunitaria relativa al trattamento delle acque reflue urbane (direttiva 91/271/CEE), condannandola al pagamento delle spese (Causa C-85/13);
   la Commissione europea ha aperto una nuova procedura d'infrazione (2014/2059), inviando alle autorità italiane una lettera di costituzione in mora ex articolo 258 del TFUE, per la non conforme applicazione della direttiva sulle acque reflue urbane. Le osservazioni poste dalla Commissione riguardano la non conformità del sistema di depurazione delle acque reflue rispetto alla direttiva. Si fa riferimento alla non dimostrata esistenza di un sistema di raccolta delle acque reflue, all'inadeguatezza dei sistemi individuali o di altri sistemi adeguati (IAS), alla mancata giustificazione della riduzione dei carichi attribuiti ad alcuni agglomerati, alla mancanza o l'insufficienza delle informazioni fornite dall'Italia. Per la Commissione europea gli impianti esistenti non garantiscono il trattamento adeguato delle acque reflue;
   con la delibera CIPE 60/2012 il Governo stanziava 1,7 miliardi di euro di fondi Fas per realizzare fogne e depuratori nelle aree sotto infrazione;
   con il decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 detto «Sblocca Italia», convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, all'articolo 7, comma 6, per garantire il rispetto della normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici, è stato istituito un fondo ad hoc destinato agli interventi di adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione, finanziato attraverso la revoca delle risorse stanziate per le regioni del Sud dalla delibera CIPE 60/2012, per i quali, al termine del 30 settembre 2014, non siano stati assunti atti giuridicamente vincolanti e, a seguito di verifiche dell'Ispra, siano presenti obiettivi impedimenti di tipo tecnico-progettuale o urbanistico;
   l'utilizzo delle risorse del fondo è condizionato all'avvenuto affidamento al gestore unico del servizio idrico integrato dell'Ato, e alla partecipazione con il co-finanziamento degli interventi a valere sulla tariffa del servizio idrico integrato. I criteri, le modalità e l'entità delle risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto, per quanto di competenza, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   in merito all'attuazione degli accordi di programma quadro sottoscritti per l'attuazione degli interventi nel settore del trattamento delle acque, di cui alla delibera CIPE 60/2012 il sottosegretario Gabriele Toccafondi – rispondendo all'interpellanza n. 2-00452 a prima firma della deputata Federica Daga – ha evidenziato che prima dell'avvio delle procedure di aggiudicazione, per una verifica dell'efficienza e dell'efficacia del progetto stesso rispetto al conseguimento dell'obiettivo, ossia al superamento del contenzioso, le regioni presentino al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i progetti a base e che nel corso l'unità di verifica tecnica, appositamente costituita ha analizzato un totale di 87 progetti inviati dalle regioni Puglia (20), Sardegna (15), e Sicilia (52) e che nessun progetto è stato inviato dalle regioni Basilicata, Calabria e Campania. Il sottosegretario Toccafondi ha, inoltre, evidenziato che «le difficoltà nel superare il contenzioso risiede soprattutto nella mancanza di finanziamento delle opere infrastrutturali» e che a seguito di una ricognizione, riferita alle sole regioni del centro-nord, degli interventi e relativi fabbisogni nel settore fognario-depurativo sono stati individuati 896 interventi, parte dei quali risolutivi del contenzioso in argomento, per un fabbisogno pari a circa un miliardo e ottocento milioni di euro;
   come richiesto anche con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-07231, a prima firma Mannino, rimasta inevasa, sarebbe utile poter ottenere l'elenco degli interventi finanziati a valere sui fondi assegnati con la delibera CIPE 60/2012, rispetto ai quali i presidenti delle regioni o i commissari hanno comunicato la mancata assunzione d'impegni giuridicamente vincolanti alla data del 30 settembre 2014;
   il Governo inoltre, dovrebbe chiarire se, ai fini della revoca delle risorse di cui alla delibera CIPE 60/2012 e della successiva riassegnazione di quest'ultime al fondo istituito di cui all'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 del 2014, intenda adottare criteri, al fine di distinguere le situazioni nelle quali sono presenti obiettivi impedimenti di carattere tecnico da quelle contraddistinte dall'inerzia del soggetto attuatore;
   l'eventuale partecipazione al finanziamento degli interventi a valere sulla tariffa del servizio idrico integrato previsto dal citato articolo 7, comma 6 – laddove riguardi situazioni oggetto di contenzioso tra la Repubblica italiana e la Commissione europea per inadempimento della direttiva 91/271/CEE, determinatesi per l'inerzia dei soggetti attuatori e per il mancato utilizzo di risorse pubbliche precedentemente assegnate – dovrebbe essere preceduta e/o accompagnata dalla segnalazione ai competenti organi per l'accertamento di eventuali responsabilità, anche erariali, dei soggetti inadempienti, giacché costituisce una beffa nei confronti dei cittadini e il Consiglio dei ministri dovrebbe procedere all'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dall'articolo 7, comma 7, del decreto-legge 133 del 2014 per accelerare la realizzazione degli interventi necessari ad assicurare il rispetto degli obblighi dettati direttiva 91/271/CEE negli agglomerati oggetto di procedura d'infrazione o già di una prima condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea;
   occorrerebbe chiarire infine se la stima, pari a circa un miliardo e ottocento milioni di euro, delle somme da reperire per garantire il pieno rispetto delle disposizioni della direttiva 91/271/CEE nel nostro Paese – formulata dal Sottosegretario Toccafondi rispondendo alla citata interpellanza n. 2-00452 – già ancora corretta, in altre parole se, e con quale ordine di grandezza, vada aggiornata alla luce della procedura d'infrazione n. 2014-2059 che contesta violazioni generalizzate della stessa direttiva in circa 900 agglomerati localizzati in quasi tutte le regioni italiane;
   risultano, alla data odierna, non appaltati 1,2 miliardi di euro della programmazione 2007-2013 (fondi europei e Fsc) per depurazione e reti idriche –:
   quali iniziative intenda promuovere il Governo per accelerare le opere riguardanti l'adeguamento alla direttiva 91/271/CEE. (4-08689)


   MARZANA, D'UVA, LOREFICE, DI VITA, LUPO, DI BENEDETTO, GRILLO, CANCELLERI, MANNINO, RIZZO, NUTI e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 il territorio ricadente nella provincia di Siracusa, costituito dai comuni di Siracusa, Priolo, Melilli, Augusta, Floridia e Solarino e quello ricadente nella provincia di Caltanissetta, costituito dai comuni di Gela, Butera e Niscemi sono stati dichiarati «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
   in data 17 dicembre 1993 è stato presentato alla Conferenza Stato-regione-enti locali il rapporto sugli obbiettivi, strategie ed il programma di intervento; nella riunione del 1o giugno 1994 la Commissione Stato-regione-enti locali esprimeva parere favorevole sullo schema di piano di disinquinamento per il risanamento dei territori dichiarati «area ad levato rischio di crisi ambientale;
   cossicché con delibera della giunta regionale, n. 400 del 1o settembre 1994, veniva approvato lo schema di piano di disinquinamento;
   successivamente con due decreti del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 sono stati approvati i piani di disinquinamento per le aree a rischio della provincia di Siracusa e di Caltanissetta, destinando ad esse, rispettivamente, le somme di 100 e di 40 miliardi di lire;
   in data 30 novembre 1995, così come previsto dalla legge n. 349 del 1986 è scaduta la dichiarazione di «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
   con D.P.Reg. n. 17 del 23 gennaio 1996, modificato con D.P.Reg. del 26 febbraio 1996, è stato approvato l'accordo di programma per l’«area ad elevato rischio di crisi ambientale» tra i Ministeri dell'ambiente, del bilancio e della programmazione economica, dell'industria commercio e artigianato, del tesoro, la regione Siciliana e gli enti locali interessati e sono stati istituiti i comitati di coordinamento della provincia di Siracusa e della provincia di Caltanissetta;
   con D.A. n. 700 del 15 aprile 1996 l'assessorato al bilancio e finanze ha istituito i capitoli di entrata e di uscita relativi al finanziamento dei piani di disinquinamento delle due aree;
   in data 27 novembre 1996 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare comunicava di avere trasferito alla regione le somme di 29.250.000.000 di lire (per Siracusa) e di 13.134.000.000 di lire (per Caltanissetta);
   di tali somme l'ARTA, con i DD.AA. n. 942/17 e 943/17 del 24 dicembre 1996, ha impegnato 300 milioni di lire in favore del comitato di coordinamento di Siracusa e 28 milioni di lire per quello di Caltanissetta;
   intanto, in data 14 luglio 1997 è stata rinnovata per ulteriori cinque anni la dichiarazione di «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
   nel corso degli anni 1997-1999 delle somme impegnate sarebbero state sostenute soltanto spese per il funzionamento dei comitati di coordinamento e delle relative segreterie;
   cosicché, vista l'inerzia dei comitati di coordinamento, in data 21 luglio 2000 il Ministero dell'interno con ordinanza n. 3072 toglieva ogni potere alla regione per la realizzazione degli interventi delle due aree a rischio e nominava commissari i prefetti di Siracusa e Caltanissetta disponendo che le somme relative fossero trasferite sulle contabilità speciali intestate ai commissari;
   in data 14 luglio 2002 scadevano nuovamente le dichiarazioni di «aree ad elevato rischio di crisi ambientale di Siracusa e di Caltanissetta»;
   la giunta regionale con delibera n. 306 del 29 giugno 2005 istituiva l'ufficio speciale «aree ad elevato rischio di crisi ambientale» che assorbiva tutte le competenze dei prefetti-commissari, dei comitati di coordinamento e della commissione Stato-regione, province ed enti locali;
   con tre anni di ritardo, l'assessorato al territorio e ambiente con i DD.AA. 189/GAB e 190/GAB dell'11 luglio 2005 l'ARTA emanava una nuova dichiarazione di aree a rischio per le aree di Siracusa e Caltanissetta;
   dopo quattro anni, la giunta regionale con delibera n. 257 del 14 luglio 2009 sopprimeva l'ufficio speciale in ragione della «(...) vastità e complessità delle problematiche ambientali che informano i territori ricadenti nelle Aree (...)»;
   tuttavia nel 2011 la regione con D.P.Reg. n. 5/Area 1/S.G. del 17 gennaio 2011 ricostituiva l'ufficio speciale, questa volta denominato «sportello unico per il risanamento delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale nel territorio regionale — Agenda 21 — Amianto»;
   il 31 dicembre 2012, a solo un anno dalla costituzione, la regione rivedeva le proprie scelte e lo sportello unico, già ufficio speciale, veniva definitivamente chiuso;
   nel frattempo di tutte queste risorse impegnate e spese sostenute e del «valzer» di uffici che sono stati costituiti e successivamente chiusi, comincia ad interessarsi la magistratura che già dal 2007 è impegnata nel caso del «piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria ambiente»;
   nello specifico, con D.A. n. 176/GAB del 9 agosto 2007 l'ARTA approvava il cosiddetto «piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria ambiente», che alla verifica dei fatti risultava frutto di un «collage» di ampie parti del piano di risanamento della qualità dell'aria della regione Veneto dell'anno 2000, peraltro già bocciato dalla Commissione europea, e di numerosi documenti già editi da altri enti;
   paradossalmente a distanza di 7 anni tale piano figura ancora inserito nel sito web dell'ARTA come documento di programmazione istituzionale in tema di qualità dell'aria, nonostante le ripetute denunce e la sentenza di condanna del tribunale di Palermo ad 1 anno ed 8 mesi di reclusione nei confronti del dirigente responsabile della sua redazione –:
   se risulti agli atti quale sia l'ammontare complessivo di risorse statali erogate in tutti questi anni a fronte dei 140 miliardi di lire previsti dai due decreti del Presidente della Repubblica del 17 gennaio 1995 citati in premessa;
   se risulti quale utilizzo abbiano avuto i finanziamenti erogati, con particolare riferimento ai 300 milioni di lire in favore del comitato di coordinamento di Siracusa ed ai 28 milioni di lire per quello di Caltanissetta;
   quali interventi di risanamento previsti siano stati eseguiti ad oggi;
   quali siano le risorse statali ancora disponibili per aggiornare e dare nuovo impulso al piano di risanamento dei territori dichiarati «area ad elevato rischio di crisi ambientale». (4-08692)


   ZOLEZZI, DE ROSA, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, BUSTO, DAGA, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, MANNINO, MICILLO, PARENTELA e TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce che «il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento è adottato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con i Ministri delle attività produttive, della salute e delle politiche agricole e forestali»;
   la Corte Costituzionale con sentenza 16-24 luglio 2009, n. 247 (in Gazzetta Ufficiale s.s. 29 luglio 2009 n. 30) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del presente articolo nella parte in cui non prevede che, prima dell'adozione del regolamento da esso disciplinato, sia sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997;
   nella sentenza si legge: «la Regione Marche ritiene, altresì, che il rinvio all'approvazione di un regolamento operato dall'articolo 241 per la bonifica delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento impedisce di bonificare tali aree e di procedere al riutilizzo delle stesse con conseguente violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione. In proposito la ricorrente ricorda che, sebbene una tale disposizione fosse presente anche nel “decreto Ronchi”, ad oggi non si è avuta l'emanazione di tale regolamento, con gravi pregiudizi per la tutela dell'ambiente, della salute e del governo del territorio. [...] La Regione Marche censura anche l'articolo 241, per violazione degli articoli 117 e 118 Cost., perché nel prevedere il cosiddetto “regolamento aree agricole” rimanderebbe a tempo indeterminato l'applicazione della disciplina della bonifica delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, impedendo di bonificare tali aree e di procedere al riutilizzo delle stesse, con grave pregiudizio per la tutela dell'ambiente, della salute e del governo del territorio. (...) La Regione Calabria ha, altresì, impugnato l'articolo 241 del decreto legislativo n. 152 del 2006 il quale prevede che il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino e messa in sicurezza, nonché a quelli di emergenza delle aree contaminate destinate alla produzione agricola e all'allevamento, sia adottato con decreto del Ministro dell'ambiente di concerto con quelli delle attività produttive e delle politiche agricole e forestali. La ricorrente si duole del fatto che viene attribuito ad organi centrali un potere regolamentare in un ambito nel quale, oltre al concorso di diverse competenze trasversali e concorrenti, è riscontrabile la presenza della materia dell’“agricoltura” di competenza residuale regionale. Viene, quindi, lamentata sia la violazione dell'articolo 117, sesto comma, Cost., proprio a causa della allocazione in sede ministeriale del potere regolamentare, sia del principio di leale collaborazione, il quale sarebbe leso dal fatto che, in una materia in cui è coinvolta la loro competenza residuale, non è prevista neppure la partecipazione delle Regioni nel procedimento di formazione del citato regolamento»;
   nel mese di marzo 2015 è stata rilasciata la pubblicazione dell'ISDE Italia sul tema dei pesticidi, pratiche agricola, ambiente e salute;
   in premessa si rileva che: «attualmente la massiccia diffusione di pesticidi nelle matrici ambientali (acqua, aria, suolo e alimenti) suggerisce che esista un'esposizione biologica a tali sostanze e ai loro metaboliti le cui proporzioni devono essere seriamente considerate. Nella comunità scientifica viene ampiamente riconosciuto che la contaminazione da agenti chimici di sintesi coinvolga l'intera biosfera, vale a dire la totalità degli ecosistemi terrestri e acquatici, nonché l'intera popolazione umana»;
   continuando si rileva nel report che «nel panorama dell'agricoltura europea, l'Italia è il Paese che utilizza le quantità maggiori di pesticidi (princìpi attivi), sia in termini assoluti (61.890 t), sia in termini di consumo per unità di superficie coltivata (5,6 Kg/ettaro, o Kg/ha). Un approccio comparativo limitato al contesto UE mostra che, nel 2006, in Italia sono state consumate 81.450 t di pesticidi (principi attivi), a fronte delle 71.612 t della Francia, delle 31.819 t della Germania, e delle 21.151 t del Regno Unito. [...] Va detto, che una valutazione di medio periodo relativa al decennio 2002-2012 delinea un trend in diminuzione, con un calo complessivo di 33.000 t (-19,8 per cento) dei pesticidi (princìpi attivi) usati in agricoltura a livello nazionale. Nello stesso periodo, il consumo di prodotti molto tossici e tossici si è ridotto (-33,6 per cento) insieme a quello di prodotti non classificati (-26,1 per cento), mentre è aumentato il consumo di prodotti nocivi (+57 per cento). In forte crescita risultano inoltre i prodotti per agricoltura biologica (da 11,9 a 289,9 t). Come anticipato sopra, in Italia il consumo medio per ettaro di fungicidi, insetticidi, erbicidi e altri composti di sintesi (princìpi attivi) nel 2012 è di 5,6 Kg/ha [...] In Italia, dunque, il consumo per ettaro di pesticidi è il più alto dell'Europa comunitaria. Va inoltre osservato che, per quanto positiva possa essere la riduzione nei consumi nazionali di pesticidi registrata nel periodo 2002-2012, la situazione italiana è comunque molto lontana dal garantire un ambiente sano e favorevole alla salute pubblica. Le matrici ambientali infatti partono da un quadro complessivo di salute ecologica che è piuttosto critico da tempo, a causa di massicce contaminazioni che si protraggono da oltre mezzo secolo. Tale deterioramento della qualità ambientale non viene cancellato dalle riduzioni parziali del carico di contaminanti agricoli che hanno avuto luogo soltanto negli anni più recenti»;
   l'articolo 2, comma 4-ter, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, stabilisce che «ai fini degli opportuni interventi di bonifica dei terreni inquinati entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, della salute e delle politiche agricole alimentari e forestali, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, adotta il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento, di cui all'articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»;
   con nota protocollo 0021567/GAB del 16 ottobre 2014 dell'ufficio legislativo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato segnalato con urgenza, ai fini del successivo invio del provvedimento alla Conferenza unificata, agli uffici legislativi del Ministero dello sviluppo economico, del Ministero della salute, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, lo schema di «Regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento», ai sensi dell'articolo 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta e se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, coordinando la propria attività con quella degli altri Ministri interrogati, posta la gravità del carico inquinante rilevato dall'ISDE in Italia, non intenda procedere all'adozione del regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e messa in sicurezza delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento di cui all'articolo 241 del decreto legislativo n. 152 del 2006, tenendo conto anche dei rilievi mossi dalla Corte Costituzionale e dalle regioni;
   se, anche sulla base degli allarmanti dati resi noti dall'ISDE, non intendano procedere con urgenza all'emanazione dei decreti attuativi del PAN, piano di azione nazionale sull'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, al fine di renderlo effettivamente efficace e cogente, a prescindere dai possibili diversi orientamenti regionali.
(4-08694)


   BALDASSARRE, SEGONI e ARTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Toscana ha approvato in data 16 marzo 2015 la legge n. 28 del 2015 «Disposizioni urgenti per il riordino dell'assetto istituzionale e organizzativo del servizio sanitario regionale»;
   la suddetta legge cita in preambolo il decreto legislativo 502 del 1992 ed il decreto legislativo 517 del 1999 dei quali ritiene di averne rispettato lo spirito e l'articolato normativo;
   a parere degli interroganti la legge suddetta è palesemente in contrasto con la normativa nazionale vigente per almeno tre ordini di questioni:
    a) articolo 4 relativo alla nomina del direttore per la programmazione di area vasta: tale figura è sovraordinata al direttore generale dell'AOU ed al direttore generale della ASL. Non è prevista da alcuna norma nazionale oggi in vigore, né se ne conoscono precedenti. Di fatto tale figura, che dipende direttamente dal presidente della giunta regionale, assume il potere di proposta sulla ripartizione delle risorse, limitando in tutta evidenza l'autonomia gestionale dei direttori generali delle aziende sanitarie;
    b) articolo 6 relativo ai dipartimenti interaziendali: per le competenze riportate nel presente articolo, tali dipartimenti assumono evidenti caratteristiche gestionali, mentre la legge vigente destina tali compiti ai dipartimenti aziendali;
    c) articolo 6, comma 2.i.3 relativo alla partecipazione del direttore del dipartimento di medicina generale: la legge nazionale vigente indica ed individua la presenza di medici di medicina generale (medici convenzionati) a livello della zona distretto e non prevede la loro ascesa in un organo di indirizzo e programmazione quale è – o dovrebbe essere – il dipartimento interaziendale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Governo, non ritenga opportuno valutare se sussistano i presupposti per promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte Costituzionale in relazione alla legge regionale della Toscana n. 28 del 2015. (4-08703)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, SPADONI, SIBILIA, GRANDE, SCAGLIUSI, DEL GROSSO e DI BATTISTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   un caso diplomatico rischia di incrinare i rapporti tra l'Italia e il Governo libico di Abdullah al Thani, riconosciuto dalla comunità internazionale;
   infatti, da quanto si apprende da organi di stampa, viene evidenziata una paradossale situazione: «l'ambasciatore Safar è stato destituito e l'incarico di capo missione dello Stato libico presso il Quirinale è stato affidato ad Azzeddin M. Alawami»;
   quest'ultimo è arrivato in Italia il 5 gennaio 2015 e il 9 marzo si è presentato al cancello dell'ambasciata in via Nomentana a Roma per prendere funzione, presentando la lettera di incarico del Governo di Tobruk, ma il personale addetto alla sicurezza lo ha respinto dopo una colluttazione in cui il diplomatico sarebbe stato anche minacciato;
   il Governo libico di Tobruq è l'unica entità governativa democratica legittimamente riconosciuta a livello internazionale e con un Parlamento democraticamente eletto, e insiste nella richiesta di accreditamento formale del proprio ambasciatore in Italia, il citato Azzeddin M. Alawami;
   tuttavia, la Farnesina non sembra intenzionata a mutare la propria linea ribadendo che l'Italia riconosce Ahmed Safar come ambasciatore accreditato presso il Quirinale, il quale si era insediato nell'aprile 2014, prima delle elezioni di giugno vinte dalle forze liberali, mentre invece, viene richiesto dal Ministero degli esteri libico alla diplomazia italiana di comunicare ad Ahmed Safar che è «persona non gradita»;
   «Se la situazione continuerà a non avere sviluppi, le relazioni tra lo Stato libico e l'Italia ne potrebbero risentire», ha avvertito con una nota il Parlamento di Tobruk –:
   come sia possibile si sia creata questa imbarazzante situazione, quali spiegazioni intenda fornire e come intenda risolvere al più presto quello che rischia di diventare un caso diplomatico, soprattutto con un Paese con il quale l'Italia intrattiene buoni rapporti. (5-05275)

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la promozione della lingua e della cultura italiane nel mondo rappresenta un volano sempre più efficace per rispondere alla crescente domanda di italiano che si manifesta in diverse aree culturali e per favorire in modo sistemico la proiezione del nostro Sistema Paese nella realtà globale;
   nelle situazioni in cui esistono consistenti comunità d'origine, in particolare, l'offerta della lingua e cultura italiana diventa un sostegno essenziale nella transizione che esse stanno da tempo vivendo, nel senso di favorire un percorso di integrazione su base interculturale, che presuppone il possesso di un consapevole profilo identitario;
   la comunità d'origine italiana in Canada, oltre ad avere la consistente dimensione di circa un milione e mezzo di persone, di cui 137.000 iscritti all'AIRE, conserva ancora tenaci legami culturali con le proprie origini essendosi formata in prevalenza nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale e quindi esprime un'ancora alta domanda potenziale di lingua e cultura italiane;
   l'offerta linguistica in Canada è stata finora assicurata, oltre che dagli istituti di cultura, da enti di natura privata senza scopi di lucro, alcuni dei quali, come il centro scuola di Toronto, hanno ottenuto significativi risultati sia nell'organizzazione e gestione di corsi curriculari integrati nelle scuole locali che in quelli svolti il sabato e al di fuori dell'orario scolastico;
   negli ultimi anni le autorità consolari italiane stanno perseguendo una linea di crescente inquadramento dell'insegnamento della lingua e cultura italiane nei processi di formazione multiculturale e multilinguistica che caratterizzano il sistema canadese, una scelta coerente con il contesto locale e in linea con i tempi, che va sostenuta e sviluppata, tenendo conto per altero della struttura federale dello Stato e delle competenze che le province detengono in materia;
   nel Québec, e a Montreal in particolare, dove sono presenti peculiarità dovute alla legislazione di tutela della francofonia, è operante da decenni il PELO (Programme d'einsegnement des langues d'origine), che consente l'inserimento, nei gradi dell'obbligo delle scuole pubbliche locali di ore d'insegnamento di lingue d'origine, definite «lingue internazionali», e quindi anche dell'italiano, di interesse di una delle comunità immigrate più consistenti e integrate;
   il sistema di promozione e di gestione dell'italiano nel Québec è alquanto articolato, sia per l'evoluzione dei soggetti che hanno operato in questo campo nel corso del tempo, sia per le dinamiche tra francofonia e anglofonia particolarmente intense nella realtà quebbecchese;
   in tale contesto si è innestata l'attività di insegnamento dell'italiano di alcuni enti senza scopo di lucro, in particolare del PICAI (Patronato italo canadese assistenza immigrati) che da oltre quarant'anni, con il sostegno sia del governo provinciale che dello Stato italiano, ha assicurato l'offerta linguistica a diverse generazioni di immigrati e di discendenti di famiglie italiane, radicandosi in modo esteso nella comunità di origine;
   il PICAI ha ricevuto contributi dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano per la sua attività formativa fino al 2013, quando il sostegno è stato sospeso a seguito di controlli amministrativi che avrebbero rilevato difformità rispetto alle regole contabili seguite dal Ministero e una resistenza da parte dell'ente a consentire l'accesso da parte dei funzionari consolari ai libri contabili, anche per la parte relativa alle risorse proprie dell'ente;
   l'ente, nonostante ciò, ha continuato i suoi corsi con risorse proprie fino al corrente anno scolastico, organizzando corsi in 12 scuole per circa 1500 studenti, ma, a detta degli stessi funzionari consolari, senza il ripristino della convenzione con la parte italiana in breve tempo sarà costretto a chiudere;
   se questo avvenisse, si determinerebbe un vuoto di esperienze, di professionalità e di rapporti con la comunità italiana difficilmente colmabile, anche per le limitate capacità operative dei soggetti che affiancano il PICAI nell'erogazione del servizio linguistico e culturale;
   l'eventualità di una chiusura del PICAI, oltre a determinare un obiettivo ridimensionamento dell'offerta formativa italiana nel contesto quebbecchese, è vissuta con diffuso allarme dalla comunità italiana, come dimostra la sottoscrizione da parte di oltre diecimila persone della petizione lanciata nelle ultime settimane a sostegno dell'ente e della sua sopravvivenza;
   alla luce di tali considerazioni, appaiono evidenti l'opportunità e l'urgenza di fare ogni possibile tentativo per arrivare, nel rispetto delle normative che regolano la materia e con l'elasticità che la salvaguardia dell'interesse comunitario richiede, ad una ricomposizione della situazione, ad una riapertura di un positivo dialogo tra le parti e al ripristino dei rapporti di collaborazione tra le autorità diplomatiche e consolari e i rappresentanti dell'ente –:
   se non intenda dare alla struttura operativa del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e ai responsabili diplomatici e consolari italiani, in Canada e nel Quebec orientamenti che favoriscano una ripresa del dialogo, in vista di un auspicabile superamento dell’impasse che si è determinata e della prosecuzione dell'attività di formazione linguistico-culturale da parte di un ente – il PICAI – organicamente integrato nella comunità italiana del Québec e accreditato anche presso le autorità locali. (4-08701)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   FABRIZIO DI STEFANO e PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 5 agosto 2014 il Governo, con decreto a firma del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Graziano Del Rio, ha nominato Giuseppe De Dominicis a commissario del Parco della Costa teatina;
   nel suddetto atto di nomina non sono specificati, se non in via del tutto sommaria, i compiti, le funzioni e le strutture di supporto del commissario;
   il commissario ha in più sedi affermato che l'istituzione del Parco della Costa teatina sarà un efficace deterrente rispetto al progetto «Ombrina mare 2» (programma di sviluppo di idrocarburi, liquidi e gassosi, della Medoilgas Italia s.p.a., società del gruppo Mediterranean oil & gas plc), che in data 6 marzo 2015 ha ricevuto anche il parere positivo della commissione valutazione di impatto ambientale nazionale –:
   quali siano le ragioni curriculari per le quali il Governo ha deciso di nominare il dottor Giuseppe De Dominicis, nonché quali siano i compiti, le mansioni, la durata dell'incarico, la struttura organizzativa e il compenso del commissario del Parco della Costa teatina e se sia vero che l'istituzione del Parco della Costa teatina sarà elemento ostativo del progetto «Ombrina mare 2». (3-01418)


   MATARRESE e D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dalle cronache, i carabinieri del nucleo operativo ecologico di Lecce hanno sequestrato a Ginosa, in provincia di Taranto, in contrada «lama di pozzo», presso l'impianto di compostaggio Aseco spa, circa mille metri cubi di acm, ovvero «ammendante compostato misto», un compost ricavato dai rifiuti depurati provenienti dagli insediamenti civili utilizzato in agricoltura;
   il composto di fanghi provenienti dagli impianti di depurazione gestiti da Aqp è stato prodotto da Aseco s.p.a., società del gruppo Acquedotto pugliese incaricata di gestire l'impianto di compostaggio ubicato nella provincia di Taranto, ed è stato già altre volte rivenduto o ceduto gratuitamente ad oltre 50 aziende agricole e destinato poi alla concimazione dei campi;
   il provvedimento è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lecce, su richiesta della direzione distrettuale antimafia, in quanto secondo quanto accertato dai carabinieri del nucleo operativo ecologico e successivamente confermato dalla consulenza tecnica, questo ammendante sarebbe da considerare e da gestire a tutti gli effetti come un rifiuto, poiché risultato essere non conforme alla vigente normativa di settore, in quanto realizzato con fanghi derivanti da reflui provenienti da insediamenti industriali ed artigianali e non solo da insediamenti civili;
   a seguito di analisi, è stato accertato che il compost contiene elevate concentrazioni di metalli ed idrocarburi totali, che lo rendono inidoneo alla commercializzazione ed all'utilizzazione in agricoltura, poiché è rilevante il rischio di inquinamento delle matrici suolo ed acqua sotterranea;
   secondo quanto riferito dai quotidiani, inoltre, la consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero avrebbe anche accertato che in alcuni casi i fanghi contenevano alluminio, antimonio, argento, arsenico, boro, berillio, cadmio, cromo, ferro, mercurio, selenio, stagno, tallio e vanadio in concentrazioni fino 87 volte superiori ai rispettivi valori minimi riscontrati. Per il piombo, addirittura, si è giunti a superare il valore minimo di 220 volte –:
   se non intenda, per quanto di competenza, anche per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, effettuare un monitoraggio delle aree concimate con il compost prodotto da Aseco e rivenduto alle aziende agricole pugliesi ed una mappatura delle zone potenzialmente inquinate, anche attraverso le analisi delle falde acquifere interessate. (3-01419)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a quanto è dato sapere, nel comune di Giugliano si procederà alla costruzione di un inceneritore che dovrà bruciare circa 6 milioni di tonnellate di ecoballe presenti sul territorio della Campania. A riguardo, il Tar ha respinto il ricorso presentato contro il bando di gara indetto per la realizzazione dell'inceneritore, che ha imputato alla regione Campania di non aver scelto la tipologia dell'impianto, di non aver adottato il piano stralcio e non aver verificato le caratteristiche delle balle e, dunque, la loro idoneità a essere smaltite;
   è noto che contro la costruzione dell'inceneritore in questi anni si sono mobilitati cittadini e associazioni ambientaliste poiché l'inceneritore andrebbe ad aggravare una situazione ambientale già critica. Sul punto, i danni ambientali già cagionati al territorio interessato sono stati accertati e misurati sin dall'anno 2006 da più soggetti (ARPAC, CIRIAM, procura della Repubblica e altri). Solo fino al 2007 nel comune di Giugliano in Campania sono stati smaltiti, legalmente e illegalmente, circa 8 milioni di tonnellate di rifiuti, che – sommati ai circa 4 milioni di tonnellate di rifiuti confezionati in balle a Taverna del Re ed in altri siti adiacenti – corrispondono ad oltre 12 milioni di tonnellate di rifiuti presenti sul territorio in diverse modalità. Tale dato, se confrontato con una produzione stimata di circa 1 milione di tonnellate di rifiuti prodotti dai cittadini di Giugliano, nello stesso periodo di tempo, evidenzia il grave tributo ambientale corrisposto da tale territorio e dalla sua popolazione all'emergenza rifiuti della regione Campania. L'Istituto superiore di sanità parla addirittura di ecocidio in tali territori campani a causa dei continui smaltimenti illegali di rifiuti, con dispersione di sostanze inquinanti nel suolo e nell'aria, e l'inquinamento di falde idriche, contaminazioni in stretta correlazione con l'incremento significativo di diverse patologie tumorali della popolazione di questi luoghi. Giugliano rientra tra i comuni con il maggior numero di discariche di rifiuti, censiti nell'ambito dello studio «Sentieri»; sono stati sversati, per decenni, rifiuti di ogni tipo e provenienti da tutta Italia;
   la messa in funzione di un inceneritore a Giugliano costituirebbe l'ennesima fonte di contaminazione in un territorio già fortemente inquinato. Appare, dunque, assurda la decisione di consentire il progetto in questione in un territorio gravemente compromesso; il rischio è quello di arrivare ad un punto in cui il sistema ambientale non sarà in più in grado di assorbire l'inquinante e trasformarlo, poiché, inquinamento su inquinamento, si potrebbe determinare una saturazione che porti ad annullare ed impedire gli effetti naturali di bonifica di un sistema ambientale;
   il 13 settembre 2013, in risposta ad una interpellanza urgente, si è espresso l'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando, proprio sullo smaltimento delle ecoballe a Giugliano e nei territori limitrofi e sulla costruzione dell'inceneritore. Al riguardo, il Ministro pro tempore si era impegnato a individuare ulteriori metodologie di trattamento delle ecoballe, alternative all'inceneritore; lo stesso ha affermato: «chiamerò tutti i principali istituti di ricerca del Paese per chiedere se vi sono elementi per poter dire che vi sono altre strade da percorrere. Infatti, ritengo che sia molto importante che nessuna ipotesi, nessun approfondimento sia scartato, anche perché la stessa strada del termovalorizzatore ha molti elementi di incertezza procedurale e di fattibilità economica. Quindi, non è che noi stiamo procedendo verso una direzione che è in grado di essere certamente realizzata»;
   ma vi è di più, poiché il Ministro pro tempore Orlando ha chiaramente affermato che rispetto al contenuto delle ecoballe e al loro smaltimento è necessario ancora fare chiarezza. Lo stesso, infatti, ha riferito la necessità di una raccolta sistematica delle indicazioni che sono necessarie a capire esattamente il tipo di prodotti che sono contenuti all'interno delle ecoballe, poiché sulla questione senza questi elementi il ragionamento da farsi è assolutamente carente;
   nella medesima occasione il Ministro ha dichiarato l'intenzione di prevedere una moratoria rispetto alla previsione di nuovi termovalorizzatori e ha sostenuto che avrebbe verificato con ENEA, CNR, ISPRA, tutti i dati in ordine alla caratterizzazione delle ecoballe per esplorare tutte le strade possibili; rispetto a tali dati il Ministro pro tempore Orlando si è impegnato a darne conto a tutti i comitati che si sono costituiti contro il termovalorizzatore e per la bonifica delle aree, precisando che qualunque sia la soluzione che alla fine verrà assunta per lo smaltimento delle balle si deve procedere, siccome la legge lo prescrive, con «il massimo della trasparenza»;
   non risulta all'interrogante, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia proceduto alle verifiche ritenute necessarie, dall'allora Ministro Orlando;
   per quanto predetto, si ritiene che la costruzione dell'inceneritore nelle zone in questione non sia oggettivamente opportuna, poiché, come predetto, si tratta di zone già critiche da un punto di vista ambientale soprattutto a causa dell'emergenza rifiuti, come provano i dati diffusi pubblicamente;
   ed ancora, si ritiene che, ad oggi, non sia stata fatta sufficiente chiarezza da un punto di vista scientifico sul tipo di prodotti che sono contenuti all'interno delle ecoballe. Tale circostanza non consente, quindi, di conoscere i reali effetti ambientali dello smaltimento di ecoballe tramite inceneritore;
   la realizzazione dell'impianto in questione a giudizio dell'interrogante non deve essere consentita alla luce del principio di precauzione, che va valutato sotto un duplice aspetto: non saturare gravemente un territorio già esposto da oltre venti anni ad inquinamento delle tre matrici ambientali, quali acqua, aria e suolo, che diversi studi epidemiologici hanno riconosciuto come a rischio di insorgenza di gravi patologie per i cittadini; assenza di idonei studi scientifici che riferiscano gli effetti, sull'ambiente e dunque sulla salute dei cittadini, dello smaltimento di ecoballe attraverso un inceneritore –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito ai fatti di cui in premessa;
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga di dovere adottare il Ministro per verificare, in necessario concerto con gli enti locali, la possibilità di incentivare sistemi alternativi di smaltimento delle ecoballe rispetto all'inceneritore;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché vi sia un approfondimento scientifico sulle ecoballe e sugli effetti, per l'ambiente e quindi la salute umana, che si determinano con lo smaltimento delle stesse tramite inceneritore. (5-05249)


   ROSTELLATO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   quest'anno il Parco Nazionale dello Stelvio compirà i suoi primi ottant'anni;
   oltre ad essere uno dei più antichi d'Europa, è anche il più esteso dell'arco alpino fu istituito nel 1935, al fine di garantire una tutela unitaria delle valli del massiccio montuoso Ortles-Cevedale tra Lombardia, Trentino e Sudtirolo;
   proprio l'essere ripartito tra una regione a statuto ordinario e due a statuto speciale, ha scatenato da cinque anni a questa parte l'offensiva «autonomistica» per ottenere lo smembramento e la ripartizione in tre ambiti distinti;
   l'11 febbraio, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, regione Lombardia e province autonome di Trento e Bolzano hanno infatti sottoscritto un'intesa che ne modifica radicalmente la governance e le tutele. Desta preoccupazione il fatto che, qualora il Governo dovesse ratificare tale intesa, il parco verrà diviso in tre unità separate e autonome, perdendo così lo status di parco nazionale;
   un piano del parco e relativo regolamento è inaccettabile e non coerente con l'indirizzo comunitario promosso dalla Convenzione delle Alpi, sottoscritta dai Paesi alpini (Austria, Francia, Germania, Italia, Liechtenstein, Monaco, Slovenia e Svizzera) e dall'Unione europea con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo sostenibile e tutelare gli interessi della popolazione residente, tenendo conto delle complesse questioni ambientali, sociali, economiche e culturali;
   l'accordo sottoscritto, infatti, non solo prevede che al posto dell'ente unitario di gestione si insedi un «comitato di coordinamento», ma viene, ancor più grave, prevista la piena libertà per le regione e province autonome, di decidere un proprio ente autonomo per la gestione del territorio, e di conseguenza deliberare autonomamente qualsiasi modifica sia al piano del parco che al perimetro dell'area protetta;
   attraverso la ratifica di tale accordo il parco non avrà più i requisiti per essere considerato parco nazionale, e con questo le Alpi perderanno la loro più grande area protetta;
   se risulta evidente l'importanza di un vero ed efficace coordinamento internazionale degli interventi, a maggior ragione, appare anacronistico frazionare gli interventi in base ai confini amministrativi interni agli Stati –:
   se la eventuale suddivisione del Parco Nazionale in tre distinti ambiti possa minacciare la tutela dei valori ambientali e paesistici, anche in considerazione del fatto che il declassamento dello Stelvio da parco nazionale a «collage» di parchi provinciali comporterebbe, per le norme vigenti, un alleggerimento dei vincoli di tutela e se il frazionamento del Parco debba considerarsi un clamoroso passo indietro rispetto alla Direttiva habitat e la Convenzione per la protezione delle Alpi. (5-05266)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (in Gazzetta Ufficiale serie generale – n. 144 del 24 giugno 2014), coordinato con la legge di conversione 11 agosto 2014, n. 116, recante «Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea» prevede che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare procede, con proprio decreto, a ripartire per profili di competenze ed esperienze, stabilendo i relativi criteri, le quaranta unità di cui si compone la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale di cui all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90;
   il comma 2 prevede che il decreto di cui al comma 1 è adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e che i componenti della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale in carica cessano dalle loro funzioni al momento del subentro dei nuovi componenti nominati con specifico successivo decreto;
   la legge di conversione del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 è la n. 116 dell'11 agosto 2014 pubblicata sul S.O. della Gazzetta Ufficiale del 20 agosto 2014;
   a distanza di oltre sette mesi risulta che il Ministero non abbia ancora proceduto ad alcuno degli adempimenti previsti dall'articolo 12 del decreto-legge n. 91 del 2014 e che la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale continui in regime di prorogatio in una composizione che il Parlamento ha ritenuto di rivedere sia quanto al numero sia ai profili di competenza ed esperienza dei componenti –:
   quali siano i motivi del ritardo, quando il Ministero provvederà ad adottare i due decreti previsti dall'articolo 12, commi 1 e 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, e se, fra gli attuali componenti vi siano soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza per i quali l'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, impone il divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, di attribuire incarichi di studio e di consulenza. (5-05274)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i laboratori ARPA (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale) rappresentano una preziosa ed insostituibile fonte di vigilanza ambientale su acqua, aria, terreni, rifiuti e bonifiche, a garanzia della salute dei cittadini e della tutela del territorio, attraverso una costante ed attenta attività di monitoraggio e controllo finalizzata a ridurre l'esposizione del territorio e delle popolazioni interessate ai fattori di rischio ambientale;
   ad oggi il sistema nazionale per la protezione dell'ambiente, costituito dalle agenzie regionali e provinciali di protezione ambientale (le ARPA e le APPA) e dall'ISPRA, nel quale lavorano circa 11.0000 operatori e che compie un'intensa attività di controllo e monitoraggio, rappresenta una rete di fondamentale importanza, soprattutto in un momento storico in cui i temi e le emergenze legate all'ambiente e alla salute entrano spesso in conflitto con realtà socio-economiche locali;
   i lavoratori di ciascuna ARPA sono caratterizzati da un'attività di controllo molto diversificata in ogni regione e da una diffusa esiguità di risorse a fronte del gravoso e sovente complesso lavoro svolto;
   a titolo esemplificativo, il piano strategico 2012-2014 dell'Arpa Veneto, approvato dalla giunta regionale del Veneto con DGR 613/2012, prevede una notevole riduzione dei laboratori territoriali per le analisi ambientali e la chiusura di numerosi sedi periferiche dell'Agenzia, al fine di ridurre i costi e gli sprechi che si sono susseguiti nel tempo;
   la conseguente chiusura dei laboratori di analisi di Belluno, Rovigo, Vicenza e la preannunciata chiusura della sede di Padova, laboratorio peraltro promosso, nel 2013, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare come unico centro nazionale per l'analisi dell'aria, oltre a vanificare la mission istitutiva di Arpa Veneto, ovvero il controllo della qualità dell'ambiente a supporto della prevenzione sanitaria a tutela della salute pubblica, penalizza gravemente le numerose professionalità impiegate nei laboratori di analisi, svilendo così le competenze maturate negli anni presso tale struttura;
   sembrerebbe, a quanto consta all'interrogante, che sia a rischio di chiusura anche il laboratorio di analisi di Verona, in cui operano diverse figure professionali di vario livello, che contribuiscono a rendere l'attività dell'Arpav Veneto una delle eccellenze del nostro Paese;
   a giudizio dell'interrogante è doveroso ed improcrastinabile impedire l'ulteriore chiusura dei laboratori di analisi facenti capo ad Arpa Veneto e valorizzare in maniera adeguata le professionalità impiegate, anche al fine di rendere l'Ente un competitor privato in settori come l'impiantistica e le specifiche attività di laboratorio;
   anche in altre realtà regionali, segnatamente la Sicilia, il funzionamento dell'ARPA di competenza risulta condizionato da carenza di risorse e di personale;
   bisogna sottolineare che la legge 15 dicembre 2014, n. 308, recante: «Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione», all'articolo 11, comma 8, lettere b) ed h) prevede, tra i criteri direttivi a cui debbono ispirarsi i relativi decreti legislativi, «... il conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonché certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell'ambiente» (lettera b)); e: «...la previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il miglioramento dell'efficacia delle autorità competenti» (lettera h)) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo e sulla base di intese in Conferenza Stato-regioni, intenda intraprendere per potenziare il sistema dei controlli ambientali, impedendo il drastico ridimensionamento dei servizi, delle strutture operative e delle professionalità, anche al fine di tutelare pienamente il diritto alla salute dei cittadini, costituzionalmente garantito così evitando casi come quello del Veneto;
   se non ritenga altresì opportuno intervenire, per quanto di competenza, anche attraverso l'operato dell'Ispra, a garanzia dell'uniformità e della capillarità dei controlli in materia ambientale su tutto il territorio nazionale, con una razionalizzazione del sistema che non si traduca in tagli o riduzione di importanza degli enti di protezione ambientale ma in una omogeneizzazione del sistema di enti, spesso troppo frammentati e deboli, così da potenziarli e renderli più efficienti, attraverso un maggiore coordinamento, maggiori risorse finanziarie e chiarezza nelle competenze. (4-08672)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, «Sblocca Italia», all'articolo 35, prevede l'individuazione di ulteriori impianti di incenerimento da realizzare per coprire il fabbisogno residuo del territorio nazionale, con finalità di riequilibrio socio-economico tra le diverse aree; il comma 3 dell'articolo 35, dispone inoltre, per tali impianti, l'autorizzazione a saturazione del carico termico, siano essi esistenti o da realizzare;
   l'amministrazione comunale di Cremona sta procedendo da tempo nel percorso di chiusura dell'impianto di termocombustione per l'incenerimento dei rifiuti presente sul territorio comunale;
   all'indomani del decreto-legge «Sblocca Italia» il sindaco Gianluca Galimberti e l'assessore all'ambiente Alessia Manfredini hanno inviato una lettera al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti e all'assessore regionale della Lombardia Claudia Maria Terzi su mandato del consiglio comunale di Cremona, chiedendo che «Il termovalorizzatore di Cremona non sia nella rete nazionale per la circolazione dei rifiuti istituita dal decreto-legge denominato Sblocca Italia». Le motivazioni addotte dall'amministrazione sono quella dei «Limiti tecnici dell'impianto» e della «appartenenza del territorio comunale alle aree critiche in termini di inquinamento atmosferico»;
   nella lettera vengono illustrati i passaggi compiuti sino ad ora: «Dal 13 marzo 2014, con delibera regionale n. 1511 è stato sottoscritto un protocollo d'intesa relativo al decommissioning del termovalorizzatore di Cremona. Il protocollo è stato stipulato tra regione Lombardia, provincia di Cremona, comune di Cremona, Asl e Arpa per avviare attività finalizzate alla valutazione tecnica del ruolo dell'impianto di incenerimento rifiuti di Cremona nella complessiva filiera di gestione dei rifiuti urbani a scala comunale, provinciale e regionale e alla valutazione di alternative all'esercizio dello stesso»;
   viene ricordato che dal 31 dicembre 2014 la linea 1 dell'impianto è ferma per ottemperare alle prescrizioni previste dai decreti Aia (autorizzazione integrata ambientale) n. 12055 del 18 ottobre 2007, n. 1997 del 12 marzo 2012 e n. 4702 del 3 giugno 2013 e quindi ad oggi è in funzione unicamente la seconda linea. Il termovalorizzatore risulta pertanto autosufficiente per lo smaltimento previsto. Allo stato attuale non è possibile valutare se l'impianto sia in grado di soddisfare quanto richiesto dal comma 3 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 133 del 12 settembre 2014;
   sindaco ed assessore sottolineano inoltre che «l'impianto funziona già al massimo delle potenzialità previste, ovvero circa 70.000 tonnellate a fronte di 120.000 tonnellate teoriche. Ciò in virtù dell'aumento del potere calorifico dei rifiuti conferiti dovuto al maggior contenuto in plastica e al progressivo aumento della raccolta differenziata a livello provinciale, con particolare riferimento a secco/umido. Di conseguenza, il termocombustore di Cremona – anche quando le due linee sono funzionanti contemporaneamente – può ricevere un quantitativo di rifiuti di poco superiore del 50 per cento a quello nominale. Nella lettera si specifica inoltre che l'impianto, attivo dal 1997, risulta tra quelli meno performanti dal punto di vista energetico e dell'efficienza in Lombardia»;
   si specifica inoltre che «Lgh Holding, proprietaria dell'impianto che gestisce attraverso Aem Gestioni srl, il 23 gennaio 2015, durante la terza riunione del gruppo di lavoro sul decommissioning, ha annunciato l'avvio di un tavolo interno per studiare le prospettive dell'impianto a breve, medio e lungo termine, in base alla normativa vigente, valutando sostenibilità economica, sostenibilità del ciclo dei rifiuti, indicatori ambientali, quadro contrattuale, quadro sociale (occupazionale) e teleriscaldamento. È previsto che tale studio sia completato entro il mese di ottobre 2015. Ad oggi non sono noti i costi per l'adeguamento dell'impianto nel medio e lungo periodo ai sempre più elevati standard di qualità richiesti dall'Unione europea»;
   infine, nella lettera, il sindaco e l'assessore chiariscono che «Cremona è già inserita, in base al Piano regionale della qualità dell'aria in Lombardia, che ha aggiornato la zonizzazione del territorio regionale, nelle cosiddette zone A, cioè tra le zone critiche e quindi più sensibili ai fini dell'applicazione dei criteri e dei limiti di emissione per gli impianti di produzione di energia, alle misure che pongono limiti al traffico veicolare e alle emissioni degli impianti termici civili». «Confidiamo che gli elementi sopra esposti – concludono nella loro lettera il sindaco Galimberti e l'assessore Alessia Manfredini – possano consentire di fare una valutazione oggettiva della situazione e chiediamo a Governo e Regione, alla luce dei limiti tecnici dell'impianto e sulla base dell'appartenenza del territorio comunale alle aree critiche in termini di inquinamento atmosferico, l'esclusione del termovalorizzatore di Cremona dall'articolo 35 dello Sblocca Italia»;
   il piano provinciale di Cremona per la gestione dei rifiuti (Pprg), prefigura infatti possibili scenari alternativi all'impiego dell'inceneritore di Cremona come elemento essenziale della filiera di gestione del rifiuto urbano. Il consiglio regionale lombardo ha votato una risoluzione che impegna la giunta a definire criteri di «decommissioning selettivo», allo scopo di andare verso la progressiva dismissione degli impianti di incenerimento a più bassa performance energetica e ambientale, e la cui capacità risulti in esubero rispetto al fabbisogno di rifiuto urbano prodotto in Lombardia. A questo proposito, l'impianto di Cremona è stata individuato come possibile esperienza pilota in questo senso;
   l'amministrazione comunale di Cremona nello specifico e complessivamente i 115 comuni della provincia di Cremona, seppur con tempistiche differenti, sono impegnati da oltre 15 anni nell'aumento della percentuale di raccolta differenziata con l'obbiettivo complessivo di giungere entro il 2015 al 70 per cento di rifiuti destinati a riciclo su base provinciale;
   la normativa comunitaria relativa alla questione dei rifiuti e principalmente la direttiva 2008/98/CE, integrata nel decreto-legge aprile 2006, n. 152, attraverso il decreto-legge 3 dicembre 2010, n. 205, prevede alcuni criteri di priorità nella gestione degli stessi, attraverso la fissazione di una gerarchia che parte dalla prevenzione, seguita da: preparazione per il loro utilizzo, riciclaggio, recupero di altro tipo (ad esempio a fini energetici) e, infine, smaltimento;
   la direttiva 2008/98/CE, al sesto considerando, recita «L'obiettivo principale di qualsiasi politica in materia di rifiuti dovrebbe essere di ridurre al minimo le conseguenze negative della produzione e della gestione dei rifiuti per la salute umana e l'ambiente. La politica in materia di rifiuti dovrebbe altresì puntare a ridurre l'uso di risorse e promuovere l'applicazione pratica della gerarchia dei rifiuti» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di garantire che il percorso già avviato dal comune di Cremona, su mandato dei cittadini, per la dismissione dell'impianto di incenerimento di Cremona venga rispettato, non forzando l'inserimento dell'inceneritore di Cremona nella rete nazionale per la circolazione dei rifiuti;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere in merito alla necessità di garantire che il percorso di aumento dei rifiuti destinati a riciclo e la contemporanea riduzione di quelli destinati ad incenerimento, avviato nel territorio della provincia di Cremona in conformità alla direttiva europea sopra richiamata, non venga alterato, imponendo lo smaltimento di rifiuti di provenienza esterna e vanificando così gli sforzi fatti dai 115 comuni del cremonese. (4-08679)


   PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo del quotidiano online la prealpina.it del 23 marzo 2015 dal titolo «Biogas, rioni in rivolta» si apprende della prossima costruzione di un impianto biogas e di compostaggio a Legnano (MI), da parte di Amga, società partecipata del comune di Legnano;
   i cittadini residenti nelle vicinanze del luogo in cui dovrebbe sorgere il nuovo impianto nutrono numerose riserve in relazione al progetto, in particolare con riferimento al sito di edificazione e ai problemi legati al traffico di automezzi per il trasporto dei rifiuti organici;
   in primo luogo, però, il progetto pone la questione del quadro normativo sull'utilizzo del digestato che è assolutamente poco chiaro; ciò si evidenzia da quanto previsto dalla regione Lombardia con la delibera di giunta regionale del 18 aprile 2012, n. 9/3298, avente a oggetto «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER)». All'interno del capitolo rubricato «Processi di biodigestione anaerobica», si favoriscono gli impianti che si servono di biomasse agricole, consentendo a essi di utilizzare anche altre biomasse costituite da rifiuti biodegradabili di cucine e mense, quali la FORSU avente codice CER 20 01 08, derivante, dalla raccolta differenziata –:
   quali iniziative, anche normative, il Ministro interrogato intenda avanzare in merito all'utilizzo del digestato, in particolar modo in ordine alla provenienza del materiale organico presente, in modo da impedire effetti negativi sull'ambiente e sulla salute umana. (4-08688)


   PETRAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Torrente Boesio scorre in una delle zone del territorio provinciale di Varese a maggior pregio paesaggistico, la Valcuvia, e per la qualità delle sue acque rientra tra le «acque secondarie pregiate» censite dalla regione Lombardia. Svariati, sono gli impatti di origine antropica che ne minano sia l'integrità morfologica sia la qualità delle acque. In particolare, già dai dati sulla qualità delle acque registrati nella campagna 1994, si evince la presenza di un forte impatto da parte di scarichi civili, industriali e zootecnici sul Boesio. Le acque del torrente erano classificate in 4a e 3a classe di qualità, giudicate cioè inquinate o molto inquinate, lungo tutto il suo percorso, da Azzio a Laveno;
   a oggi la situazione pare non essere mutata. Da un articolo del quotidiano online «laprovinciadivarese.it» del 23 marzo 2015 si apprende, infatti, che il torrente Boesio è sottoposto a sversamenti illeciti di sostanze tossiche;
   non si può poi non ricordare la vicenda dell'ex conceria Fraschini, fabbrica oggi diroccata lungo il corso del medio Boesio e attorniata da terreni contaminati da cromo, come evidenziato dalle indagini e dalle analisi effettuate nel 2008 da Arpa e provincia di Varese;
   durante l'annosa battaglia processuale che vide coinvolti i proprietari e i liquidatori dell'ex conceria Fraschini, processo che ha avuto inizio a marzo 2014 con il rinvio a giudizio disposto dal GUP del tribunale di Varese su richiesta del pubblico ministero Agostino Abate, si parlò di disastro ambientale, dati i rinvenimenti che hanno consentito di rilevare una contaminazione da cromo nei terreni e anche nelle acque di falda, addebitabile all'impiego del metallo nei processi di lavorazione delle pelli effettuati dalla conceria –:
   se il Ministro disponga di ulteriori elementi in relazione alla vicenda esposta in premessa, con riferimento alla salute dei cittadini e ai danni ambientali e se non si ravvisi la necessità di promuovere una verifica da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente ai fini di accertare la situazione ambientale del Boesio;
   se e come il Ministro intenda agire – anche attraverso iniziative normative – ai fini di prevenire altre situazioni analoghe. (4-08691)


   ZANIN, COPPOLA e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero interrogato, nell'ambito del protocollo di Kyoto e del «pacchetto clima-energia» adottato dal Consiglio dell'Unione europea nel 2008, ha avviato un programma sull'impronta ambientale (carbon footprint e water footprint) dei prodotti-servizi al fine di sperimentare e ottimizzare le differenti modalità di misurazione delle prestazioni ambientali;
   aziende, comuni e università possono aderire al progetto pilota attraverso la sottoscrizione di accordi volontari con il Ministero oppure attraverso le procedure di selezione pubblica promosse dallo stesso;
   in data 8 febbraio 2013 è stato stipulato a Udine l'accordo volontario in materia di promozione di progetti comuni finalizzati all'analisi, riduzione e neutralizzazione dell'impatto sul clima, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato dall'allora Ministro Corrado Clini, e il comune di Gemona del Friuli (Udine), rappresentato dal sindaco Paolo Urbani;
   il predetto accordo, che ha come obiettivo di realizzare un modello di «città sostenibile» (cosiddetta carbon footprint), ha una durata di 12 mesi, eventualmente prorogabili, e prevede il seguente programma di lavoro:
    a) la messa a punto della metodologia per il calcolo dell'impronta di carbonio (carbon footprint), secondo protocolli internazionalmente riconosciuti, con predisposizione dell'inventario dei gas serra emessi per ogni settore di attività oggetto dell'analisi;
    b) l'individuazione degli interventi, economicamente efficienti, finalizzati alla riduzione delle emissioni dei diversi settori di attività oggetto del calcolo dell'impronta di carbonio;
    c) la definizione di un sistema di gestione delle emissioni del territorio mirato alla riduzione della carbon footprint;
    d) una valutazione delle restanti emissioni e l'individuazione delle possibili azioni per la neutralizzazione delle stesse;
    e) lo sviluppo, sulla base di quanto definito nei punti precedenti di un modello di riferimento «comune sostenibile» che sia replicabile in altre città italiane;
   con nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare protocollo 0002891 del 10 marzo 2014, a firma dall'allora direttore generale della direzione per lo sviluppo sostenibile il clima e l'energia Corrado Clini, è stata concessa una proroga di ulteriori 12 mesi per assicurare il completamento delle attività previste dal predetto accordo volontario;
   in data 11 aprile 2014, è stato stipulato a Gemona del Friuli l'ulteriore accordo volontario in materia di sostenibilità ambientali della municipalità – water footprint, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato dall'allora direttore generale della direzione per lo sviluppo sostenibile il clima e l'energia Corrado Clini e il comune di Gemona del Friuli (Udine), rappresentato dal sindaco Paolo Urbani;
   il predetto accordo ha durata di 24 mesi, eventualmente prorogabili, e prevede il seguente programma di lavoro:
    a) la predisposizione della metodologia per il calcolo della water footprint della municipalità;
    b) l'individuazione degli interventi, economicamente efficienti, di riduzione delle emissioni e degli impatti sulle risorse idriche;
    c) la stima delle restanti emissioni al fine della loro neutralizzazione;
    d) la predisposizione di un indice di sostenibilità delle municipalità, che includa la water footprint;
   in sede di stipula dei suddetti accordi, il comune di Gemona del Friuli, nei rapporti intercorsi con Corrado Clini per la redazione e stipula dei protocolli di cui trattasi, sia in qualità di Ministro sia di direttore generale della direzione sviluppo sostenibile del Ministero, si è avvalso della prestazione professionale della società GRUPPO REM s.r.l. di Udine con socio unico il signor Pietro Lucchese, a fronte del pagamento di due rispettive parcelle per un importo complessivo pari a circa 48.600 euro –:
   se l'intermediazione di soggetti terzi rispetto ai contratti costituisca una prassi consolidata per la stesura di tali protocolli;
   quale sia stato il ruolo di intermediazione con il Ministero svolto dal GRUPPO REM S.r.l. del signor Pietro Lucchese, per la redazione e stipula dei due accordi volontari cosiddetti carbon footprint e water footprint di cui trattasi;
   quali siano le specifiche attività che competono al Ministero e quali all'amministrazione comunale, per l'attuazione dei due protocolli;
   quali siano le azioni ad oggi espletate e quali siano le tempistiche previste per la conclusione dei due progetti;
   se sia stata richiesta ovvero concessa ulteriore proroga per l'espletamento delle azioni di cui al progetto carbon footprint, successivamente a quella di cui nota protocollo 0002891 del 10 marzo 2014, ad oggi scaduta;
   se siano stati istituiti il comitato di indirizzo e monitoraggio, previsto all'articolo 5 dell'accordo carbon footprint e il Comitato di gestione, previsto all'articolo 5 dell'accordo water footprint, chi ne faccia parte e quante volte si sia riunito;
   se il Ministro abbia messo a disposizione, o intenda mettere a disposizione dei due progetti specifiche risorse finanziarie e a quanto eventualmente ammontino;
   quali saranno i concreti vantaggi derivanti dall'attuazione dei due protocolli per il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (4-08697)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata:


   DORINA BIANCHI, SCOPELLITI, CAUSIN e SAMMARCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere, premesso che:
   il libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa costituisce un elemento base idoneo a definire le strategie per il futuro delle Forze armate;
   infatti, le Forze armate italiane saranno chiamate ad operare per il conseguimento di obiettivi sempre più complessi e sofisticati: sia per la salvaguardia di interessi nazionali che per la protezione e la tutela, la stabilità e la sicurezza delle aree di crisi e delle popolazioni residenti;
   nel corso dell'ultimo decennio, grazie anche ad importanti riforme, l'Italia si è dotata di personale delle Forze armate dotato di grandi capacità e specificità;
   le Forze armate dovranno ora adottare un modello operativo che possa, in coerenza con le risorse economiche previste, fornire uno stabile e sicuro riferimento per le esigenze del nostro Paese, specialmente, oggi, alla luce delle nuove e moderne minacce;
   il libro bianco dovrà, pertanto, definire la forza e le capacità necessarie per consentire alle Forze armate di poter operare per la difesa del territorio e per poter garantire il qualificato contributo alle esigenze delle missioni internazionali;
   è necessario, pertanto, in sede di stesura e di attuazione del libro bianco, definire le risorse finanziarie occorrenti per garantire l'operatività e le esigenze della Forze armate, ovvero per gli investimenti e per il mantenimento in servizio (esercizio) dello strumento militare;
   a tal fine è indispensabile, come già avviene in alcuni Paesi europei e di oltreoceano, promuovere una legge pluriennale (sei anni sarebbe il limite più congruo, considerata la complessità dei sistemi d'arma delle Forze armate) per gli investimenti e l'esercizio, in modo da fornire l'indispensabile stabilità delle risorse, nel medio-lungo termine –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per sostanziare le indicazioni contenute nel libro bianco e per garantire risorse finanziarie certe e, soprattutto, stabili per le esigenze delle Forze armate, anche promuovendo una legge di bilancio pluriennale di almeno sei anni che assicuri la stabilità delle citate risorse finanziarie, in modo che l'industria correlata alla difesa sia stimolata ad operare secondo strategie tecnologiche ed industriali certe per poter meglio rispondere alle esigenze di sicurezza e di difesa del Paese. (3-01416)


   ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 24 settembre 2014 la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1/00586, a prima firma Scanu, che impegna il Governo «a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato nel documento approvato dalla Commissione difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici e di carattere industriale da esso derivanti; a ricercare, entro questi limiti, ogni possibile soluzione e accordo con i partner internazionali del programma F-35, al fine di massimizzare i ritorni economici, occupazionali e tecnologici, valorizzando gli investimenti già effettuati nella Faco e la sua potenzialità quale polo produttivo e logistico internazionale; a mantenere costante il controllo sulla piena rispondenza dei velivoli ai requisiti di efficienza e di sicurezza e ai criteri operativi delle Forze armate»;
   il dimezzamento del budget previsto dalla suddetta risoluzione comporterà evidentemente una riduzione del numero complessivo di velivoli F-35 che potranno essere acquistati;
   fino a oggi non risulta essere stato comunicato al Joint program office del programma Joint Strike Fighter nessuna riduzione rispetto alla previsione di acquisto di 90 velivoli F-35 da parte dell'Italia;
   il Ministro interrogato ha più volte dichiarato che la ridefinizione del programma F-35 potrà essere effettuata in base alle risultanze del libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa, documento fondamentale per indirizzare il processo di ammodernamento e trasformazione dello strumento militare nazionale, che avrebbe dovuto essere presentato entro dicembre 2014;
   secondo quanto reso noto da fonti di stampa, il libro bianco sarebbe già pronto e dovrebbe essere presentato il 21 aprile 2015 in occasione del Consiglio supremo di difesa –:
   come si concretizzerà la riduzione della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter in seguito al dimezzamento del relativo budget e, in particolare, quale sarà il numero complessivo di velivoli F-35 che saranno acquistati dall'Italia nel corso dell'intero programma. (3-01417)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZO, BASILIO, CORDA e PESCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'indennità di posizione e l'indennità perequativa sono provvidenze previste dagli articoli 1819 e 1820 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, a favore degli ufficiali delle Forze armate che sono state oggetto del cosiddetto «blocco stipendiale» voluto dal Governo Monti e come previsto dai commi 1 e 21 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;
   si apprende da organi di stampa che la Corte Costituzionale, in una pronuncia sulla legittimità del blocco stipendiale triennale, imposto dall'articolo 9, comma 21, decreto-legge, n. 78 del 2010 (poi prorogato per un quarto anno), ha sottolineato che il congelamento delle retribuzioni non si riferisce all'indennità «di posizione», ovvero a quella indennità collegata allo svolgimento effettivo di funzioni dirigenziali, la quale nel contesto del pubblico impiego può variare anche sensibilmente in relazione al posto occupato. Tale indennità, nel campo delle Forze armate è percepita dai generali di divisione e di corpo d'armata, purché ricoprano un incarico ordinativamente previsto per il grado rivestito, inoltre, i restanti gradi dirigenziali come i colonnelli e i generali di brigata percepiscono invece, l'indennità «perequativa», la quale, pur avendo la medesima natura di quella di posizione, viene denominata diversamente, in quanto attribuisce un emolumento aggiuntivo agli ufficiali che abbiano raggiunto la dirigenza piena dopo un certo numero di anni;
   il 5 marzo 2015 la direzione generale per il personale militare (PERSOMIL) diretta dal generale Gerometta ha emanato una nota con la quale invita a «procedere al conferimento delle provvidenze in questione» a decorrere dal 1o gennaio 2011;
   ciò è probabilmente frutto di una interpretazione estensiva della sentenza della Corte Costituzionale n. 304 del 2013 che aveva escluso dal blocco delle retribuzioni il personale delle carriere diplomatiche e i magistrati, così che il Ministero dell'economia e delle finanze, dipartimento della ragioneria generale dello Stato, ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l'analisi dei costi del lavoro pubblico (I.G.O.P.) ha di fatto esteso i contenuti della sentenza ai dirigenti di tutte le amministrazioni pubbliche;
   la circolare del generale Gerometta precisa inoltre che le somme così corrisposte non devono rientrare nel calcolo del cosiddetto tetto retributivo dei 240 mila euro, in tal modo effettivamente costituendo due eccezioni –:
   se il Ministro sia d'accordo con questa interpretazione della normativa che attribuisce considerevoli benefici economici, ad alcune centinaia di dirigenti e del Ministero della difesa;
   se in particolare sia d'accordo che per questi stessi dipendenti sia possibile corrispondere compensi in eccesso al tetto di 240 mila euro fissato come retribuzione massima onnicomprensiva per i dipendenti dello Stato. (5-05276)


   RIZZO, CORDA e BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende da un articolo apparso sulla testata online www.globalist.it il 28 marzo 2015 sembra che la base aerea di Pantelleria sia stata utilizzata dalle forze aeree degli Stati Uniti d'America per sperimentare un nuovo sistema aereo operante con scopi di spionaggio, sorveglianza e riconoscimento nelle regioni di confine con l'Algeria attualmente terreno di scontro tra militari tunisini e milizie estremiste di matrice islamico-radicali;
   dall'articolo si apprende che il capo dell'ufficio pubblica informazione dello Stato Maggiore dell'Aeronautica, colonnello Urbano Floreani, in merito a tal attività ha dichiarato: «Per quanto ci è possibile sapere come Aeronautica militare italiana, quello rischierato a Pantelleria è un veicolo americano che sta eseguendo voli sperimentali sulla Tunisia sulla base di accordi bilaterali che riguardano esclusivamente Stati Uniti e il governo di Tunisi» –:
   se il Governo abbia autorizzato l'uso dello spazio aereo italiano e dello scalo di Pantelleria per attività di intelligence americane;
   se, qualora rispondesse al vero quanto sopra esposto, non ritenga di autorizzare solo la base NATO di Sigonella, già adibita a tali attività;
   se non ritenga di dover fornire ogni utile elemento in merito alle attività extra nazionali derivanti da accordi bilaterali USA-Tunisia. (5-05277)

Interrogazione a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   presso la IV Commissione Difesa sono in discussione diversi progetti di legge inerenti la riforma della rappresentanza militare e/o il riconoscimento dei diritti sindacali ai lavoratori militari;
   nella prima fase dei lavori parlamentari sono già stati auditi i Co.Ce.R. delle quattro Forze armate e della Guardia di finanza unitamente ad una delegazione dei Co.I.R. confluenti;
   concluso il primo ciclo di audizioni sono stati presentati ulteriori progetti di legge e la Commissione ha ritenuto opportuno audire anche professori di diritto internazionale per valutare l'impatto sull'ordinamento italiano delle recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che hanno imposto alla Francia di adeguare la propria legislazione rimuovendo il divieto di associazione professionale per i militari;
   tutti i progetti di legge presentati sono all'attenzione delle rappresentanze militari per il parere previsto ai sensi dell'articolo 1478 del decreto legislativo n. 66 del 2010 e dell'articolo 879 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010;
   il 4 febbraio 2015 il Co.I.R. affiancato al comando delle forze terrestri dell'esercito italiano ha deliberato di esprimere parere favorevole alle sole proposte di legge che riconoscono il diritto di associazione ed i diritti sindacali al personale militare;
   in data 26 febbraio 2015 il comandante del comando forze terrestri generale A. Alberto Primicerj non ha autorizzato la pubblicazione della delibera in argomento in quanto la stessa «non è aderente al dettato normativo ed esula dalle competenze di codesto Consiglio (articolo 1478 del decreto legislativo n. 66 del 2010);
   a parere dell'interrogante il diniego alla pubblicazione della delibera in rassegna non risulta giustificato dalla normativa richiamata (articolo 1478 del decreto legislativo n. 66 del 2010), tanto, che proprio in forza della medesima disposizione normativa, le rappresentanze militari sano state adite in Commissione ed hanno deliberato in materia –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di rimuovere l'ingiustificato diniego in parola e favorire la libertà di espressione e di pensiero della rappresentanza militare. (4-08704)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'articolo 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, autorizza l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e l'Agenzia delle entrate ad espletare procedure concorsuali per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti;
   il medesimo comma 24 prevede inoltre che, nelle more dell'espletamento di dette procedure, le Agenzie possano attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso;
   l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e l'Agenzia delle entrate hanno indetto i necessari concorsi pubblici per il reclutamento dei dirigenti di seconda fascia, tuttavia avverso tali bandi di concorso sono stati prodotti vari ricorsi, tuttora pendenti;
   al fine di consentire la definizione delle suddette procedure concorsuali nel rispetto del limite temporale di legge, l'articolo 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015, n. 11, è intervenuto prorogando al 31 dicembre 2015 il termine per il completamento delle citate procedure concorsuali e contestualmente prorogando gli incarichi già attribuiti;
   a seguito della sentenza n. 37 del 17 marzo 2015, pronunciata dalla Corte costituzionale nel giudizio di legittimità sul citato articolo 8, comma 24, promosso dal Consiglio di Stato, nei procedimenti riuniti proposti dall'Agenzia delle entrate contro altrettante sentenze del TAR del Lazio, è stata dichiarata l'illegittimità della proroga del conferimento di incarichi dirigenziali a tempo determinato senza un concorso pubblico;
   pur salvaguardando la legittimità degli atti firmati dai funzionari incaricati di ruoli dirigenziali, la sentenza produce, dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la decadenza dall'incarico di oltre 1.000 funzionari che ricoprono incarichi dirigenziali nelle Agenzie delle entrate e delle dogane e il conseguente rischio di stallo dell'operatività per l'immediato futuro, ivi inclusa l'attività di rimborso fiscale e della riscossione;
   venendo meno la possibilità di assicurare la direzione degli uffici nelle agenzie fiscali, il problema del funzionamento delle strutture diventa di estrema gravità e urgenza, con potenziali immediati effetti negativi sulle previsioni di entrata per il 2015, in particolare per il rischio di blocco delle lavorazioni non standardizzate, per le quali è necessaria una guida esperta, come ad esempio il ravvedimento operoso «lungo» introdotto dalla legge di stabilità 2015, la «voluntary disclosure», la gestione del contenzioso;
   nonostante la Corte costituzionale, nella sentenza sopra citata, salvaguardi la legittimità degli atti, sussiste il rischio di un aumento del contenzioso, che porterebbe al ribaltamento della tendenza in vigore da tre anni, incentivata dagli indirizzi della nuova produzione legislativa, in particolare dalla legge di delega fiscale, di una riduzione del contenzioso;
   per contrastare tale rischio, che secondo le dichiarazioni finora fatte dal Governo sostanzialmente non sussisterebbe (si veda a tal proposito la risposta all'interrogazione a risposta immediata nella Commissione finanze della Camera n. 5-05132, nella seduta del 24 marzo 2015), alcuni ritengono opportuno il varo di una apposita norma interpretativa;
   parimenti l'applicazione della citata sentenza n. 37 può determinare, per l'Agenzia delle dogane e dei monopoli, un serio rischio per la riscossione dei dazi doganali e per la gestione del relativo contenzioso, con conseguente immediata responsabilità finanziaria dello Stato italiano nei confronti dell'Unione europea, nonché l'indebolimento del dispositivo di prevenzione e repressione dei traffici illeciti transfrontalieri di merci e di valuta, oltre alla possibile ritardata o mancata applicazione dei controlli conseguenti alle decisioni di embargo internazionale nei confronti di alcuni Paesi;
   il Governo ha manifestato la volontà di risolvere il problema in tempi brevi, consapevole che l'attività delle agenzie fiscali risulta essere un pezzo fondamentale della politica economica del Paese;
   l'urgenza della questione è difficilmente discutibile, visti i rischi di aumento dei contenzioso e di perdita di gettito derivanti dalle ricadute della sentenza sopra citata sulla certezza del diritto e sulla funzionalità degli uffici;
   al tempo stesso, la crisi determinatasi suggerisce di valutare, accanto alle soluzioni urgenti e temporanee, quelle strutturali e permanenti, con un complessivo processo di adattamento e di modernizzazione del modello delle agenzie fiscali nato nel 1999 –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere il Governo per salvaguardare l'attività delle agenzie fiscali ed evitare i rischi di aumento del contenzioso e di perdita di gettito.
(2-00918) «Causi, Cinzia Maria Fontana, Capozzolo, Carbone, Carella, Colaninno, De Maria, Marco Di Maio, Marco Di Stefano, Fragomeli, Fregolent, Ginato, Gitti, Gutgeld, Lodolini, Moretto, Pelillo, Petrini, Ribaudo, Sanga, Zoggia».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ISEE, (Indicatore della situazione economica equivalente) costituisce dal 1998 lo strumento di valutazione della situazione economica di chi richiede prestazioni sociali agevolate o l'accesso a condizioni agevolate ai servizi di pubblica utilità: il nuovo ISEE, entrato in vigore il 1o gennaio scorso, è stato dichiarato illegittimo dalla prima sezione del TAR, con le sentenze n. 2454, n. 2458 e n. 2459 dell'11 febbraio scorso, in quanto esso prevede che nel reddito complessivo disponibile siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dal soggetto che vive in una situazione di accertata disabilità;
   in questo modo il TAR del Lazio ha accolto in parte il ricorso presentato da un cartello di organizzazioni composto essenzialmente da genitori di persone con disabilità intellettiva, riunite nell'UTIM (Unione per la tutela delle persone con disabilità intellettiva) e nell'associazione «Promozione Sociale»;
   nel dettaglio, nelle sue pronunce il TAR fa notare che con il nuovo ISEE viene erroneamente considerato come «reddito disponibile» anche quei proventi «che l'ordinamento pone a compensazione della oggettiva situazione di svantaggio, anche economico, che ricade sui disabili e sulle loro famiglie»; «Non è dato comprendere — scrive il TAR — per quale ragione, nella nozione di reddito, che dovrebbe riferirsi a incrementi di ricchezza idonei alla partecipazione alla componente fiscale di ogni ordinamento, sono stati compresi anche gli emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità, quali le indennità di accompagnamento, le pensioni INPS alle persone che versano in stato di disabilità e bisogno economico, gli indennizzi da danno biologico invalidante, di carattere risarcitorio, gli assegni mensili da indennizzo, ai sensi della legge n. 210/92 e della legge 229/05»; «Tali somme, e tutte le altre che possono identificarsi a tale titolo, non possono – continua la sentenza – costituire reddito in senso lato né possono essere comprensive della nozione di reddito disponibile di cui all'articolo 5 del decreto legge 201/2011, che proprio ai fini di revisione dell'ISEE e della tutela della disabilità, è stato adottato»;
   secondo il TAR dovevano essere considerati, ad esempio, «i redditi prodotti e tassati all'estero, le pensioni estere non tassate in Italia, i lavoratori di stato esteri (Città del Vaticano), i lavoratori frontalieri con franchigia esente IRPEF, il coniuge divorziato che percepisce assegno di mantenimento di figli» e così via;
   l'obiettivo del nuovo ISEE doveva essere quello di far emergere situazioni di «ricchezza» che rimanevano escluse dal precedente meccanismo di calcolo dell'ISEE; il Governo però, nel predisporre il nuovo ISEE, non ha differenziato le varie tipologie di contributi, ma ha inserito nel nuovo calcolo tutti i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche», ivi incluse dunque anche le indennità e le pensioni percepite sulla base di una condizione di disabilità: di tale disposizione il TAR ha rilevato la «genericità e l'ampiezza», affermando che essa dovrà essere «rimodulata valutando attentamente la funzione sociale di ogni singolo trattamento assistenziale, previdenziale e indennitario»;
   nel rispondere alla Camera a un atto di sindacato ispettivo su analoga materia, il rappresentante del Governo si è limitato a dichiarare: «Rendo noto che sono in corso delle interlocuzioni tra competenti uffici del Ministero del Lavoro e la Presidenza del Consiglio, al fine di addivenire a una decisione condivisa che tenga nella dovuta considerazione il tema principale della questione, ossia la coerenza con la norma primaria della norma regolamentare. Solo al termine di tale interlocuzione si potrà optare per diverse soluzioni possibili: quella di natura normativa che comporta una rivisitazione degli indicatori di calcolo dell'ISEE alla luce dei pronunciamenti del TAR; o quella di natura processuale che prevede il ricorso al Consiglio di Stato in qualità di giudice di appello»;
   il Governo, a quasi due mesi dalla pronuncia del TAR, mantiene dunque una posizione ancora interlocutoria, continuando a rimandare l'assunzione di qualsiasi decisione che possa finalmente eliminare gli effetti delle incongruenze evidenziate dal TAR nell'attuale normativa ISEE, laddove sarebbe invece necessario adottare misure, anche di carattere tributario, per dare soluzione a una problematica che sta determinando gravi difficoltà per i soggetti affetti da disabilità e per le rispettive famiglie, i quali già si trovano in una situazione di particolare fragilità, non solo sotto il profilo strettamente economico –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di rafforzare gli strumenti di carattere tributario in favore dei soggetti portatori di disabilità e delle loro famiglie, segnatamente le deduzioni dal reddito imponibile e le detrazioni dall'imposta lorda a fini IRPEF, nell'ipotesi in cui il Governo non decida di modificare la normativa in materia di calcolo dell'ISEE nel senso indicato dalle citate pronunce del TAR, in modo da bilanciare in ogni caso gli effetti peggiorativi a danno di tali soggetti determinato dal nuovo regime ISEE rispetto al previgente regime. (5-05267)


   CAUSI e RUBINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per il periodo 2007-2013 l'Italia ha presentato all'Unione europea un Quadro strategico nazionale (QSN) con il quale sono state indirizzate le risorse che la politica di coesione ha destinato al nostro Paese;
   in tale contesto si è inserito il ruolo del Fondo sociale europeo, quale strumento volto al sostegno delle misure finalizzate a prevenire e combattere la disoccupazione, sviluppare le risorse umane e favorire l'integrazione e il mercato del lavoro;
   le misure sopra descritte sono state realizzate attraverso strumenti di regolamentazione emanati dalle amministrazioni regionali, ai sensi dell'articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e materialmente posti in essere attraverso:interventi realizzati da organismi di formazione professionale accreditati;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con la pubblicazione del Vademecum per l'ammissibilità della spesa al FSE PO 2007-2013, ha chiarita, che i contributi FSE erogati nell'ambito dell'attuazione dei programmi operativi, finalizzati alla realizzazione di attività di formazione professionale e di aiuti alle persone nell'ambito di un regime di sovvenzione (concessione amministrativa) ex articolo 12 della citata legge n. 241 del 1990, si ritengono esclusi dal campo di applicazione dell'IVA, in quanto non sussiste il carattere di sinallagmaticità delle operazioni poste in essere;
   in relazione a dette finalità, l'erogazione assume carattere sovventorio e non di corrispettivo contrattuale; tale natura sovventoria sussiste in quanto il contributo è concesso per finalità generali, come confermato da alcune risoluzioni dell'Agenzia delle entrate che — relativamente a finanziamenti erogati a valere sul Fondo Sociale Europeo — precisano che le risorse finanziarie erogate dall'ente finanziatore per finalità generali restano fuori dal campo di applicazione dell'IVA;
   in questo contesto si collocano anche le risposte formulate dalla medesima Agenzia delle entrate che hanno confermato l'esclusione — per i casi in questione — del rapporto sinallagmatico tra Amministrazione erogante e beneficiario, inquadrando i contributi come movimentazioni finanziarie carenti del presupposto oggettivo (cfr. Circolare 34/E del 21 novembre 2013);
   l'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, recante il testo unico delle disposizioni in materia di IVA, stabilisce come regola generale che «non è detraibile l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o comunque non soggette all'imposta» e stabilisce altresì, al comma 3, lettera c), che l'indetraibilità non si applica se le operazioni ivi indicate sono costituite da cessioni di beni ai sensi dell'articolo 2, terzo comma, lettere a), b), d) ed f) del medesimo testo unico; in particolare, ai sensi della citata lettera a), rindetraibilità non si applica se si tratta di cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro;
   secondo l'interpretazione letterale della norma, essendo quindi in presenza di operazioni fuori campo IVA, agli organismi di formazione spetterebbe la piena detraibilità dell'IVA sugli acquisti;
   nell'approfondimento tecnico su gestione e controllo delle attività cofinanziate dal Fondo sociale europeo, pubblicato in «FOP Formazione orientamento professionale», rivista bimestrale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anno 8, numero 3 maggio-giugno 2008, prodotto al fine di assumere dei riferimenti univoci, per quanto contingenti, per l'interpretazione della normativa relativa a tali tematiche fatte salve tutte le premesse ed i contributi giurisprudenziali ivi riportati, si afferma che:
    a) per la tipologia di operazioni finanziate realizzate dagli organismi di formazione «il contributo assume una natura di movimentazione finanziaria e non si pone in un rapporto sinallagmatico, con la conseguenza che il medesimo esula dal campo di applicazione dell'IVA per difetto di presupposto oggettivo»;
    b) «si ritiene necessario chiarire che il diritto a detrazione relativo a beni e servizi acquisiti con contributi non direttamente collegati al prezzo è pieno e non limitabile se non nelle ipotesi espressamente previste dalla sesta direttiva IVA, vale a dire la detrazione è sempre ammessa a meno che il progetto finanziato venga svolto da enti non commerciali nell'ambito delle loro attività istituzionale (....). Questa previsione risulta molto più chiara nella Sesta direttiva nella quale l'articolo 17 secondo comma prevede in via generale che «nella misura in cui beni e servizi sono impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo è autorizzato a dedurre dall'imposta di cui è debitore (...) l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta all'interno del paese per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo» (vedi ora articolo 168 direttiva 2006/112/CE).»;
   in risposta ad un interpello formulato da Confindustria Veneto SIAV l'Agenzia delle entrate-direzione regionale del Veneto, con protocollo n. 907-43541/2009, ha chiarito quanto segue: «l'aver percepito un contributo a fondo perduto non preclude l'accesso al diritto a detrarre l'Iva pagata sugli acquisti e nemmeno influisce (né in senso positivo né in senso negativo) sulla misura in cui tale diritto può essere esercitato, li diritto alla detrazione, così, dovrà essere esercitato secondo le regole di carattere generale dettate dall'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, in base alle quali il contribuente detrae l'Iva sugli acquisti nella misura in cui «a valle», in veste di prestatore di servizi o cessionario di beni, effettui operazioni attive che ne danno diritto. Pertanto esemplificando: qualora le operazioni attive poste in essere siano tutte imponibili o imponibili «assimilate» (articolo 19, comma 3), l'Iva assolta sugli acquisti effettuati con i contributi sarà interamente detraibile»;
   il tenore inequivocabile dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, l'indicazione contenuta nel citato approfondimento del gruppo tecnico del Ministero del lavoro e, soprattutto, la risposta dell'Agenzia nel citato interpello n. 907-43541/2009, hanno portato gli organismi di formazione a considerare in buona fede l'IVA sugli acquisti pienamente detraibile e quindi a non considerarla quale costo a discarico del contributo comunitario, pena la violazione di specifiche disposizioni dell'Autorità di gestione nazionale;
   alcuni uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate (Cfr. Agenzia delle entrate-direzione provinciale di Vicenza, accertamento n. T6503T603306 protocollo n. 116565/2014 del 17 dicembre 2014) hanno successivamente modificato l'interpretazione della norma e considerato che per l'IVA assolta sugli acquisti sostenuti dal beneficiario di contributo pubblico per attività di formazione, operi sempre l'indetraibilità dell'imposta relativa all'acquisto di beni e servizi se gli stessi sono afferenti ad operazioni non soggette ad imposta;
   l'imposizione di costi per IVA indebitamente detratta, in seguito ad un mutamento interpretativo, porterebbe al collasso il sistema della formazione degli organismi di formazione senza fini di lucro, che si troverebbero impossibilitati a far fronte a tale imposizione;
   la mancata detrazione IVA, inoltre, comporterebbe una proporzionale diminuzione di investimento nell'attività formativa in un momento così difficile per la situazione socioeconomica e gli alti tassi di disoccupazione anche giovanile;
   ai sensi della risoluzione 51/E/2010 e secondo il principio di integrità dei pagamenti stabilito dall'articolo 80 del Regolamento CE n. 1083/2006, recante le «disposizioni generali sui Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione e che abroga il Regolamento CE n. 1260/1999», i beneficiari devono ricevere l'importo totale del contributo pubblico nella sua integrità, senza applicazione di alcuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico che comporti la riduzione di detti importi;
   quanto riportato sembra peraltro configurarsi come una violazione dello statuto dei diritti del contribuente di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212 –:
   quali provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare, nelle more dell'approvazione della disciplina attuativa per la gestione dei Fondi europei, al fine di applicare la detrazione dell'imposta, assolta sugli acquisti posti in essere dagli organismi di formazione professionali, operati nell'ambito dei finanziamenti comunitari del PO 2007/2013, in presenza di operazioni fuori campo IVA ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera a), del decreto dei Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, o comunque, in ogni caso, al fine di stabilire la conformità alla normativa vigente del comportamento fiscale degli organismi di formazione professionale in materia di detraibilità IVA sugli acquisti affinché l'incertezza normativa e le differenti linee interpretative delle amministrazioni dello Stato non pongano i medesimi enti nella condizione di dover sostenere spese di contenzioso tributario, mettendo a rischio la tenuta del sistema di formazione ed istruzione professionale in un momento così difficile per la situazione socio economica e gli alti tassi di disoccupazione. (5-05268)


   SBERNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 23 dell'11 marzo 2014 all'articolo 3, lettera d), ha delegato il Governo ad introdurre mediante decreti attuativi norme dirette a istituire presso il Ministero dell'economia e delle finanze una commissione chiamata a redigere un rapporto annuale sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva; detta commissione, senza diritto a compensi, emolumenti, indennità o rimborsi di spese, composta da un numero massimo di quindici esperti indicati dal Ministero dell'economia e delle finanze, dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), dalla Banca d'Italia e dalle altre amministrazioni interessate, si avvale del contributo delle associazioni di categoria, degli ordini professionali, delle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, delle associazioni familiari e delle autonomie locali;
   la suddetta legge, all'articolo 4, prevede inoltre l'eventuale istituzione, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di una commissione indipendente composta da un numero massimo di quindici esperti indicati dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalle altre amministrazioni interessate, senza diritto a compensi, emolumenti, indennità o rimborsi di spese, che potrà avvalersi del contributo delle associazioni di categoria, degli ordini professionali, delle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, delle associazioni familiari e delle autonomie locali;
   le associazioni familiari e, in specie, il Forum delle associazioni familiari in rappresentanza di oltre 300 associazioni familiari, possono fornire, su richiesta delle istituende commissioni, informazioni, dati o elaborati o essere direttamente consultate –:
   se le suddette Commissioni siano state istituite ed, in caso non lo fossero ancora, quali siano i motivi di tale ritardo. (5-05269)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i crediti deteriorati complessivamente in carico al sistema bancario ammontano ormai a 180 miliardi di euro, rappresentando il più serio ostacolo alla ripresa del credito e quindi alla possibilità per l'Italia di approfittare compiutamente della congiuntura favorevole in corso nell'eurozona;
   a tale situazione si può porre rimedio in molti e diversi modi, fra cui la creazione di una bad bank di sistema, una diversa modalità di ammortamento dei crediti inesigibili, la loro cessione sul mercato;
   in particolare, appare in forte crescita la domanda di cosiddetti NPL (non performing loans), da parte di soggetti, per lo più esteri, interessati agli elevati margini di profitto che tale tipologia di crediti, se adeguatamente trattati, possono garantire;
   tuttavia, non può né deve sfuggire che il recupero di crediti incagliati o in sofferenza, anche laddove riesca, passa per metodi molto aggressivi;
   in tali circostanze lo Stato italiano ha ritenuto di dover garantire particolare protezione al possesso della prima casa, al punto da renderla inattaccabile da Equitalia spa, riconoscendo che il diritto a fruire della propria abitazione superi il diritto dello Stato di rientrare in possesso di un proprio credito;
   qualora si sviluppasse il mercato dei non performing loans, si pone con forza il rischio che lo stesso punti innanzitutto alle sofferenze più facili da risolvere, cioè a tutte quelle assistite da ipoteca immobiliare: a tal fine non si può trascurare che dietro ad ogni ipoteca può celarsi una famiglia che, temporaneamente in difficoltà con i pagamenti a causa della crisi, non dovrebbe pertanto subire dal creditore privato un trattamento diverso da quello che lo Stato riserva per sé stesso;
   sarebbe quindi necessario, anche per orientare le future scelte del legislatore, conoscere quale sia lo stato attuale dei non performing loans nel nostro Paese, con particolare riferimento a quelli supportati da garanzie reali –:
   se esistano dati relativi alla quantità di mutui ipotecari residenziali, in particolare collegati a prima casa, fra i non performing loans, sia in termini di unità coinvolte sia di ammontare complessivo, e, qualora non esistano, se non si ritenga di dover immediatamente attivare un'indagine volta a reperire il dato. (5-05270)


   PESCO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 311 del 2004, ai commi 429 e seguenti, ha previsto la possibilità per le imprese che operano nel settore della grande distribuzione di trasmettere telematicamente all'Agenzia delle entrate, distintamente per ciascun punto vendita, l'ammontare complessivo dei corrispettivi giornalieri delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi di cui agli articoli 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
   ai sensi del comma 430 della detta legge, possono avvalersi della facoltà le imprese che appartengono al settore della grande distribuzione (articolo 4, comma 1, lettere e) ed f) del decreto legislativo n. 114 del 1998) e che svolgono attività commerciale di servizi. Pertanto, l'esercizio dell'opzione riguarda le imprese che hanno «più punti vendita» nel territorio dello Stato, di cui almeno uno con:
    a) superficie superiore a 150 metri quadri nei comuni con popolazione residente inferiore a 10mila abitanti;
    b) superficie superiore a 250 metri quadri nei comuni con popolazione residente superiore a 10.000 abitanti;
   inoltre, sono considerate «di grande distribuzione commerciale» le imprese che, indipendentemente dalla superficie dei punti di vendita, fanno parte di un gruppo societario (ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile) che opera con più punti di vendita sul territorio nazionale e che realizza un volume d'affari annuo aggregato superiore a 10 milioni di euro;
   le modalità tecniche ed i termini per la trasmissione telematica di cui al comma 429 sono state definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate dell'8 luglio 2005, successivamente sostituito dal provvedimento del 12 marzo 2009; in particolare, la trasmissione dei corrispettivi deve avvenire, distintamente per ogni punto vendita e per ciascuna giornata, secondo le specifiche tecniche allegate al detto provvedimento e deve riguardare tutti i corrispettivi delle cessioni di beni e/o delle prestazioni di servizi relative a un mese solare, ed anche per le giornate in cui vi sia assenza di corrispettivi; il termine per la trasmissione è stato fissato entro il 15o giorno lavorativo successivo alla scadenza del mese di riferimento; la trasmissione dei dati può essere effettuata direttamente tramite il servizio telematico Entratel o Internet oppure avvalendosi di un intermediario abilitato a Entratel. Per ogni mese, i contribuenti interessati devono inviare una sola comunicazione;
   la trasmissione telematica dei corrispettivi per ciascun punto di vendita sostituisce gli obblighi di certificazione fiscale dei corrispettivi stessi, fermo restando l'obbligo di emissione della fattura su richiesta del cliente: la trasmissione telematica, dunque, sostituisce l'obbligo di emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale ma non produce effetti sui restanti adempimenti di cui al titolo II del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 (intitolato agli «obblighi dei contribuenti»); i soggetti che si avvarranno di tale facoltà, quindi, dovranno continuare ad adempiere tutti gli obblighi connessi alla registrazione, liquidazione, versamento periodico e versamento annuale dell'imposta, nonché alla tenuta e conservazione delle scritture contabili di cui all'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; le aziende che, avendone facoltà, decidono di sottrarsi all'obbligo di certificazione dei corrispettivi sono esonerati soltanto dal rispetto degli adempimenti strettamente connessi all'emissione dello scontrino o della ricevuta fiscale: non sono, in particolare, tenuti all'installazione di apparecchi misuratori fiscali e alla relativa verifica periodica del corretto funzionamento, né alla tenuta del registro dei corrispettivi da utilizzare in caso di mal funzionamento degli apparecchi –:
   quale sia, a decorrere dalla data di entrata in vigore della disposizione, il numero di punti vendita che annualmente ha esercitato l'opzione di cui ai commi 429 e seguenti della legge 311 del 2004, quali forme di controllo siano state eseguite per verificare l'attendibilità dei dati forniti e quanti siano i controlli che sono stati effettuati in relazione al numero di contribuenti beneficiari dell'opzione.
(5-05271)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MORETTO, MURER, ZOGGIA e CRIVELLARI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con dispositivo del Consiglio di Stato dell'ottobre 2014 è stata ribaltata la sentenza del TAR del Veneto che aveva sospeso le cartelle INPS del 2013 relative agli sgravi contributivi corrisposti alle imprese operanti in diversi settori a Venezia e Chioggia negli anni 1995-1997;
   gli stessi sgravi contributivi erano stati riconosciuti e statuiti in una legge dello Stato italiano e riconosciuti secondo precise indicazioni dell'INPS;
   le imprese interessate operano in tutti i settori dell'economia: pesca, industria (in particolare nel settore del vetro artistico a Murano), servizi, alberghi, e altro;
   lo stesso Consiglio di Stato deve ancora pronunciarsi – dopo l'udienza del 12 marzo 2015 – sulle ulteriori argomentazioni rappresentate dalle imprese e sulla determinazione effettiva degli interessi;
   sulla base dei dati in possesso degli interroganti oltre 160 imprese di Venezia e Chioggia dovrebbero corrispondere quasi 90 milioni di euro a fronte di effettivi 28 milioni riconosciuti come sgravi contributivi, a causa del meccanismo di calcolo degli interessi composti e del relativo aggio di riscossione;
   queste settimane l'INPS di Venezia sta procedendo alla sospensione del rilascio del DURC alle imprese interessate, fatto che cagiona conseguenze molto gravi pregiudicando la partecipazione delle stesse imprese a procedimenti di gara di natura pubblica come pure i pagamenti da parte della pubblica amministrazione;
   una volta concluso il caricamento delle cartelle da parte di INPS a Equitalia quest'ultima diffiderà le imprese a pagare entro 5 giorni, trascorsi i quali decorrerà il termine di 180 giorni entro cui si attiverà il procedimento di riscossione;
   lo stesso prefetto di Venezia, incontrando le rappresentanze categoriali delle imprese in data 31 marzo 2015, ha riconosciuto la necessità di intervenire immediatamente e segnatamente sul tema del rilascio del DURC;
   la sospensione del DURC costituisce un comportamento sanzionatorio a fronte di irregolarità contributive che in questo caso non si rilevano, in quanto trattasi di materia diversa quale, appunto, quella degli aiuti di Stato;
   laddove tale quadro fosse confermato si pregiudicherebbe la stessa vita di molte imprese di Venezia e Chioggia, causando un contraccolpo molto grave sia in termini di livelli occupazionali delle singole imprese, sia in termini di continuità aziendale –:
   se il Governo intenda intervenire immediatamente, con le iniziative che riterrà necessarie, nei confronti di INPS ed Equitalia per evitare la sospensione del rilascio del DURC e l'avvio delle procedure di riscossione nelle more delle decisioni del Consiglio di Stato;
   quali iniziative intenda assumere presso i competenti uffici dell'Unione europea per prevedere innanzitutto – qualora il Consiglio di Stato confermasse il proprio indirizzo – la rateizzazione delle somme da pagare (facoltà oggi non contemplata per gli aiuti di Stato) e per approfondire la reali e concrete specificità di alcuni settori economici e produttivi per i quali è errato considerare gli sgravi economici quali violazione alla concorrenza. (5-05256)


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica Italiana e la Repubblica di San Marino, con accordo sottoscritto in data 29 aprile 1953, ratificato con legge 9 agosto 1954 — n. 712, concordarono la ricostruzione della linea ferroviaria Rimini — San Marino, gravemente danneggiata durante il secondo conflitto mondiale;
   gli impegni assunti nell'ambito del suddetto accordo internazionale non hanno avuto corso e la competenza in relazione al bene in questione è traslata dal Ministero dei trasporti alla ex Azienda commissariale governativa delle ferrovie padane (per la custodia), quindi dal Ministero dei trasporti al Ministero delle finanze, e attualmente la gestione dei terreni interessati dalla ex ferrovia rientra tra le competenze dell'Agenzia del demanio;
   l'Agenzia del demanio — direzione regionale Emilia Romagna, anche a seguito, delle numerose istanze di assegnazione avanzate dal comune di Rimini, con nota in data 13 maggio 2009 (prot. 7732), ha interessato l'Agenzia del demanio nazionale della questione proponendo la sdemanializzazione dei terreni in argomento;
   a riscontro, l'Agenzia del demanio di Roma richiedeva (nota del 7 aprile 2010, prot. 13438) al Ministero degli affari esteri – ricorrendone le condizioni — di revocare l'accordo internazionale sottoscritto con la Repubblica di San Marino, in quanto non è possibile dar corso alla sdemanializzazione sino a che l'accordo del 29 aprile 1953, che impegna la Repubblica Italiana nei confronti della Repubblica di San Marino alla ricostruzione della ferrovia, non sarà revocato in base ad accordi diplomatici;
   allo stato attuale le aree interessate dalla ferrovia sospesa (metri quadri 86.000 circa) sono inglobate nel territorio urbanizzato (talvolta difficilmente individuabili), identificate al catasto terreni del comune di Rimini con mappali intestati a «Demanio dello Stato — Ramo Ferrovie», e sui terreni insistono anche attività di privati, originariamente disciplinate mediante concessione (ora scaduta), che perpetuano tale utilizzo, senza un legittimo titolo sui beni, anche in ragione degli investimenti effettuati, finalizzati allo svolgimento di tali attività –:
   se non ritenga che, essendo nell'interesse del comune di Rimini e dell'Agenzia del demanio poter gestire al meglio il patrimonio, nella vigenza dell'accordo fra Repubblica Italiana e Repubblica di San Marino, sia opportuno consentire alle attività private che insistono sulle aree (tra cui si contano anche cooperative sociali) di continuare ad utilizzare le stesse. (5-05257)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si apprendono dalla stampa le dichiarazioni dell'ex amministratore del gruppo Bernardi, il quale afferma che a causa di un'illegittima multa di Equitalia per un importo di 200 milioni di euro, che ha determinato un considerevole ammanco in bilancio, la società adesso si trova in amministrazione straordinaria;
   la sentenza della Commissione tributaria di Napoli ha annullato la cartella di Equitalia da 200 milioni di euro, a causa della quale il gruppo ha perso un'importante fornitura accordata con Coin e, di conseguenza, è fallito anche il piano di salvataggio dell'azienda che avrebbe garantito il lavoro agli oltre 200 dipendenti di Bernardi;
   in pratica, quindi, sembra che il gruppo Bernardi a causa di una multa illegittima sia andato in rovina. A quanto è dato sapere, lo stesso aveva stipulato con Coin un accordo di fornitura molto vantaggioso che avrebbe permesso di risollevare le sorti del gruppo. Tuttavia, il predetto accordo è stato annullato poiché è sopraggiunto il provvedimento di Equitalia;
   ciò che sembra paradossale è che, prima di chiudere l'accordo, Coin aveva ottenuto dal fisco un certificato che garantiva la mancanza di pendenze pregresse del gruppo Bernardi; difatti, lo stesso non era a conoscenza della multa in questione;
   le ripercussioni più gravi sono state determinate dal pignoramento presso terzi per 199 milioni di euro eseguito a Coin, poiché quest'ultima ha poi bloccato la fornitura delle merce e anche le banche hanno negato ogni sostegno;
   sembra dunque che l'illegittima multa di Equitalia, poi annullata dalla Commissione tributaria, abbia compromesso definitivamente l'attività d'impresa del gruppo Bernardi, facendo venir meno ben 200 posti di lavoro;
   si ritiene necessario che il Governo adotti, urgentemente, iniziative in merito alla condotta di Equitalia poiché è palese che vicende come quella descritta non possono accadere in danno ad una attività d'impresa e dei suoi dipendenti. Tra l'altro, ciò anche a prescindere dalla legittimità o meno del provvedimento di riscossione, poiché le tempistiche di notifica e le procedure non dovrebbero consentire che nel tempo una multa arrivi, come nel caso in questione, ad importi sconsiderati tra sanzioni e interessi, a causa della mancata conoscenza;
   è ormai noto che Equitalia, società a totale controllo pubblico, troppo spesso proceda alla riscossione di tributi con metodi che, sia nella forma che nel merito, recano grave danno ai contribuenti. Sul punto, non è più ammissibile che il Governo non adotti concreti provvedimenti per escludere la possibilità che si verifichino tali condotte illegittime e non è accettabile che Equitalia ritenga di non avere responsabilità, in casi come quello che ha riguardato il gruppo Bernardi, poiché è mera esecutrice di un incarico dell'Agenzia delle entrate –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito ai fatti di cui in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro affinché l'operato di Equitalia non determini danni come quelli descritti in premessa, anche riformando il ruolo e le procedure di tale concessionario, prendendo atto che troppo spesso tale ente di riscossione con la propria condotta ha cagionato seri danni ai destinatari dei propri provvedimenti. (5-05263)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è noto come ormai il carico fiscale gravante sui contribuenti sia aumentato negli ultimi anni in maniera spropositata ed insostenibile. Quasi tutti gli organi di stampa, dai nazionali ai locali, continuano a denunciare l'eccessivo aumento dei tributi e delle tasse che non dà più respiro ai cittadini e, in particolar modo, alle piccole e medie imprese di ogni settore economico del Paese;
   il settore turistico, al pari di altri comparti dell'economia nazionale, non è rimasto indenne da questo fenomeno ed anzi, forse più degli altri, sta soffrendo un peso fiscale troppo elevato che si aggiunge alle difficoltà derivanti dalla crisi economica responsabile di un importante contrazione del livello di affari e, conseguentemente, del fatturato annuo;
   il contributo fiscale richiesto a questo comparto, come per ogni settore produttivo, non ha tenuto infatti in nessun conto delle difficoltà economiche che le imprese stanno scontando a causa dalla crisi economica e i vari Governi che si sono succeduti in questi ultimi anni non hanno fatto altro che aumentare le aliquote e gli imponibili, anziché cercare di contrarre il peso contributivo a cui questi soggetti passivi sono sottoposti, con l'unico risultato di aumentare la crisi di liquidità e il rischio di fallimento e chiusura delle attività turistico-alberghiere;
   a titolo esemplificativo di questa – ormai insostenibile – situazione di sofferenza del settore turistico si può prendere il caso di un'attività turistico-alberghiera del bergamasco che, dopo anni di sacrifici personali dei gestori e dei dipendenti, si ritrova oggi sul punto di dover cessare l'attività a causa proprio della stretta fiscale;
   gli stessi imprenditori denunciano, infatti, che a causa dell'entità delle tasse e delle imposte, i bilanci dell'impresa sono oramai costantemente in rosso. I proprietari lamentano che dopo aver diligentemente assolto a tutti gli obblighi contributivi relativi al pagamento dell'IMU, dell'IRAP, dell'IVA, della TASI e dei contributi per i lavoratori, resta ben poco nell'attivo dei loro bilanci. Al caso specifico si aggiunge anche l'aggravio dell'alto valore catastale (e di conseguenza della corrispondente rendita) che l'Agenzia del territorio di Bergamo attribuisce alla struttura e che, dopo l'introduzione dell'IMU con i relativi elevatissimi moltiplicatori, impongono alla struttura un ammontare dell'imposta municipale unica pari a 78.000 euro annui (su un importo totale pari a circa 860.000 euro, riscosso da un comune di 435 imprese, 2.400 abitazioni e 1.090 edifici, con evidente sproporzione) e ad un ammontare di 22.000 euro per l'imposta sui rifiuti. Ovviamente dei 78.000 euro soltanto il 20 per cento è deducibile, quindi i restati 62.400 euro indeducibili vanno ad implementare il cumolo IRPEF che, grazie alle aliquote crescenti, raggiunge un importo pari a 32.000 euro, per un totale di 110.000 euro. Tenendo quindi presente che, anche per le attività alberghiere che godono di ottima salute, l'utile sul ricavo si aggira dal 4 al 6 per cento, per poter pagare i 62.400 euro di IMU, l'impresa in questione dovrebbe avere un ricavo di almeno 1 milione e 200 mila euro annui;
   ad oggi, tale attività riesce ad assolvere a tutti gli obblighi contributivi soltanto grazie alla rateizzazione delle imposte ottenuta dal comune di appartenenza, possibilità, questa, che permette ai gestori di poter continuare a pagare gli stipendi dei lavoratori dipendenti;
   il caso riportato è soltanto uno dei possibili esempi, tra gli innumerevoli che si potrebbero addurre, per dimostrare come il carico fiscale sia diventato ormai insostenibile per un settore, come quello turistico-alberghiero, in cui quasi la metà delle strutture sono in vendita (spesso all'asta), il deprezzamento degli immobili si aggira intorno a cifre pari a 5/6 volte inferiori al valore reale e dal 2008 sono fermi tutti i cantieri per l'edificazione di nuovi alberghi;
   una simile situazione è perciò divenuta intollerabile per il settore turistico che non riesce a rilanciarsi e a finanziare la propria attività imprenditoriale a causa dell'eccessivo carico che lo Stato vi riversa a livello contributivo, solo al fine di scaricare sui privati il peso di un debito pubblico fuori misura accumulato proprio per le responsabilità delle pubbliche amministrazioni che non hanno saputo gestire le attività finanziarie secondo i principi della razionalità e dell'efficienza. Lo Stato, invece, di fronte a cicli di regressione economica, dovrebbe piuttosto attuare una politica economica espansiva, e quindi di contrazione fiscale, al fine di sostenere e coadiuvare i settori in crisi e, nello specifico, il settore turistico, fonte di buona parte del prodotto interno lordo nazionale, stanti le peculiari caratteristiche paesaggistiche e artistiche del nostro Paese, il cui immenso valore è riconosciuto a livello mondiale –:
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga necessario intervenire con le opportune iniziative normative e amministrative al fine di ridurre efficacemente, e nel più breve tempo possibile, l'eccessivo carico fiscale gravante sulle imprese del settore turistico-alberghiero per poter permettere a tali imprese di poter contribuire alla spesa pubblica in maniera razionale e proporzionata agli effettivi guadagni, senza dover rischiare la chiusura dell'attività soltanto per assolvere agli oneri contributivi, e al fine di sostenere il rilancio di un settore veramente strategico della economia nazionale, come specificato in premessa. (4-08666)


   PESCO, ALBERTI, RIZZO, CORDA, BASILIO, LUIGI GALLO, DALL'OSSO, BUSINAROLO, D'INCÀ, D'AMBROSIO, COLLETTI, CANCELLERI, LOREFICE, CRIPPA, VILLAROSA e RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a luglio 2014, IVASS ha pubblicato una indagine conoscitiva sulle polizze abbinate a prodotti e servizi di natura non assicurativa occupando spazi in servizi giornalistici su tutti i quotidiani del 21 luglio 2014;
   tale studio, iniziato il 31 ottobre 2013 sui dati al 30 giugno 2013, ha come obiettivo quello di garantire che la diffusione di questi prodotti avvenga con modalità tali da non pregiudicare le esigenze di tutela dei consumatori che devono avere consapevolezza di ciò che acquistano e del relativo costo, per poter poi essere in grado di attivare la garanzia al verificarsi del sinistro;
   l'indagine ha evidenziato una vasta diffusione del fenomeno delle polizze abbinate ai prodotti e servizi non assicurativi. Sono stati rilevati oltre 1.600 tipologie di contratti che coinvolgono più di 15 milioni di assicurati. I servizi bancari, sportivi, di viaggio e di public utility sono risultate le aree più interessate dal fenomeno. Le principali criticità attengono alle modalità di adesione e scioglimento del contratto, alla conoscibilità delle coperture assicurative al fine della loro attivazione in caso di sinistro, alla chiara esplicitazione dei costi, sulle quali l'Istituto sta predisponendo alcune linee di intervento;
   sono state analizzate tutte le 136 imprese italiane, e un campione di 42 imprese straniere: il 38 per cento (52) delle prime commercializza questi prodotti, contro il 26 per cento (11) del campione e «extraterritoriale», per un totale di 1.629 offerte riferibili al comparto danni e 9 al comparto vita;
   i principali soggetti in partnership con le imprese di assicurazioni sono distinti per numero dei pacchetti assicurativi offerti: «tour operators/agenzie viaggio», «auto e concessionari», «Istituti Bancari». Su questi ultimi si concentrano il maggior numero di imprese assicurative e il maggior numero di «assicurati»;
   le offerte assicurative vengono distinte in due tipologie distinte: incluse nella cessione di beni e/o servizi di natura non assicurativa (All Inclusive – 69 per cento) dove rappresenterebbero un valore aggiunto al prodotto, abbinabili (31 per cento), a beni e servizi;
   nella maggioranza dei casi, nei pacchetti all Inclusive (89,2 per cento) l'adesione è automatica (in soli 2 prodotti viaggi si può scorporare su richiesta esplicita del cliente), mentre per i prodotti abbinabili oltre il 93 per cento dei casi prevede una adesione mediante consenso espresso del cliente, anche se in 6 casi viene utilizzata la formula, incompatibile nella fattispecie, del «silenzio/assenso»;
   dall'indagine e emerso che il fenomeno delle garanzie assicurative vendute in abbinamento a contratti di diversa natura ha in Italia una significativa diffusione e presenta alcuni profili problematici dal punto di vista della tutela del consumatore. Le aree sensibili individuate nella fase di avvio dell'indagine, e in parte poi confermate, erano quelle relative a:
    a) modalità di adesione e scioglimento del contratto;
    b) conoscibilità delle coperture assicurative al fine della loro attivazione in caso di evento sfavorevole;
    c) chiara esplicitazione dei costi;
   l'indagine ha rilevato contratti assicurativi la cui adesione avviene tramite formula del silenzio-assenso e in altri la presenza di meccanismi di «opt out», formule esplicitamente vietate dalla normativa assicurativa vigente in tema di contratti a/distanza, mentre per il recesso ci sono contratti per i quali è previsto un rinnovo automatico, oneroso, fino al manifestarsi palesemente del recesso da parte del consumatore, in quei casi in cui il contratto non sia allineato con la durata del contratto principale;
   nelle tabelle 1 e 2 della citata indagine mancano alcuni attori: vengono elencate 34 imprese assicuratrici italiane contro le 52 dichiarate e 10 contro 11 per le imprese estere;
   le conclusioni dello studio riportano: «L'indagine ha messo in evidenza la notevole dimensione del fenomeno delle polizze assicurative abbinate a prodotti e servizi vari e l'elevata numerosità dei consumatori coinvolti. Le polizze abbinate sembrano motivate non solo da esigenze della clientela ma anche da considerazioni di natura commerciale, da finalità di business e anche da esigenze di copertura di rischi dei produttori dei beni o dei fornitori dei servizi principali. Sono state rilevate alcune criticità che attengono alle modalità di adesione e di scioglimento del contratto, alla conoscibilità delle coperture assicurative al fine della loro attivazione in caso di sinistro, alla chiara esplicitazione dei costi. Su tali aspetti l'Istituto sta predisponendo alcune linee di intervento –:
   se in questi mesi siano state effettivamente predisposte e comunicate al Governo delle linee di intervento da parte di IVASS;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze abbia intenzione di assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, per regolarizzare le palesi criticità apparentemente dovute a una mancata o quantomeno intempestiva veri- fica dei prodotti assicurativi immessi sul mercato, che danneggiano i consumatori da più di un anno dall'inizio dell'analisi dei prodotti assicurativi in questione.
(4-08678)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione 4-08344 erano state sollevate questioni riguardo il fatto che Poligrafico dello Stato (IPZS) avesse, nell'autunno 2014, sospeso una gara per la parziale produzione esternalizzata dei bollini farmaceutici autoadesivi a lettura automatica, di cui al decreto ministeriale 30 maggio 2014, applicativo dell'articolo 5-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540;
   si domandava di conoscere i motivi per i quali l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato stesse procedendo all'acquisto ex novo di macchinari che sarebbero stati ben preso superati dalla tecnologia, dalla normativa comunitaria e dalla progressiva dematerializzazione delle prescrizioni mediche; di conseguenza, nell'ambito dello sviluppo della sanità elettronica si chiedeva anche valutare la possibilità di avviare una sperimentazione di grado di assicurare la tracciabilità elettronica del farmaco con un grado di sicurezza pari a quello del bollino cartaceo e a costi più contenuti (11 euro ogni 1.000 confezioni);
   un rotolo di mille bollini viene venduto dal Poligrafico alle imprese farmaceutiche a 26 euro. All'istituto, secondo fonti interne, la produzione costerebbe circa 18 euro. Ma le tre imprese esterne che si sono aggiudicate l'ultima gara (5,2 miliardi di bollini) l'hanno spuntata offrendo prezzi di gran lunga più bassi: una 13,6 euro, un'altra 12,4, la terza appena 9. La metà del costo di produzione interna del Poligrafico. Giova ricordare che ogni anno vengono stampati 2,3 miliardi di bollini;
   dai quotidiani del 7 aprile 2015 si apprende che per un complesso di fattori (ritardi nell'acquisizione dei nuovi macchinari di stampa da parte di IPZS, scadenza del contratto con i precedenti produttori e l'arrivo di alcune partite difettose di bollini) si è accumulato un ritardo enorme, settanta milioni di contrassegni, equivalenti ad altrettante scatole di farmaci che non possono uscire dagli stabilimenti dei produttori; si apprende anche che un nuovo bando per la fornitura di altri 800 milioni di contrassegni che, a fronte delle prevedibili difficoltà, si era ipotizzato di fare a inizio anno, è saltato;
   Farmindustria è preoccupata dal fatto che i produttori continuano a segnalare problemi, anche seri, sulla fornitura dei bollini: secondo l'organizzazione degli industriali farmaceutici a breve i pazienti potrebbero avere difficoltà a trovare i medicinali in farmacia;
   il Poligrafico si è impegnato a recuperare al più presto, selezionando i medicinali da inviare prima sul mercato, con precedenza ai farmaci salvavita, agli antibiotici, agli anticoagulanti e alle insuline; ma non riesce a stare dietro alle necessità;
   con riferimento ai comportamenti dell'IPZS con i fornitori esterni di carte valori (quale ad esempio proporre un bando di gara e ritirarlo il giorno prima della convocazione, quando i concorrenti hanno già effettuato un significativo complesso di spese), giova ricordare che l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha più volte sottolineato che l'ingiustificata estensione dell'ambito di esclusiva riconosciuto all'IPZS, viola i princìpi della concorrenza. L'Autorità, anche con riferimento a sentenze del Consiglio di Stato, rileva che, «se per talune categorie di prodotti la ragione giustificatrice dell'esclusiva risiede nell'esigenza di agevolare i necessari controlli dello Stato, per altre tipologie di prodotti l'esclusiva Poligrafico non sembra risiedere in motivi tecnici né in esigenze riconducibili a particolari caratteristiche dei prodotti e dei relativi processi produttivi». Peraltro, dalle vicende esposte nel presente atto, appare chiaro che l'IPZS non sembra in grado di «sostenere» l'esclusiva che si arroga;
   non è infatti la prima volta che l'Istituto incappa in problemi produttivi del genere: all'inizio del 2015 con le targhe degli autoveicoli, altra esclusiva, in molte province, decine di migliaia di automobili nuove, in mancanza delle targhe, hanno dovuto attendere settimane per l'immatricolazione;
   più in generale ulteriori perplessità e timori sono stati sollevati in questi giorni con riferimento a 4.000 passaporti che, realizzati dal Poligrafico, gli sono stati restituiti, in quanto difettosi, per essere distrutti. Alcuni di questi passaporti sono ricomparsi in aree del mondo estremamente sensibili sotto il profilo del terrorismo. Sotto inchiesta sono finiti due funzionari mentre sono sotto osservazione vari dipendenti del poligrafico o distaccati al poligrafico da altre amministrazioni. Il sospetto degli inquirenti è che la rete di complicità interna al Poligrafico sia ben più vasta di quella già individuata. E il timore più grande è che anche in passato possano essere accaduti episodi analoghi –:
   se il Ministro della salute, al fine di evitare crisi di approvvigionamento in relazione ai farmaci dispensati dal SSN, se non ritenga opportuno adottare provvedimenti urgenti volti a consentire la sollecita stampa dei bollini farmaceutici autoadesivi a lettura automatica di cui al decreto ministeriale 2 agosto 2001, anche prevedendo una produzione «fuori quota» da parte dei fornitori esterni;
   se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga opportuno, considerato il ricorrere di più situazioni di crisi, verificare le modalità con le quali il poligrafico dello Stato (IPZS) si programma gli appalti e gestisce le imprese appaltatrici esterne e ottempera i propri compiti istituzionali;
   se, più in generale, il Ministro dell'economia e delle finanze in considerazione del susseguirsi di eventi che destano perplessità nella pubblica opinione e che vedono più volte coinvolto l'Istituto poligrafico e zecca dello Stato su diversi fronti della sua attività, non ritenga opportuno avviare una complessiva riforma della sua organizzazione e delle sue attività, anche eventualmente utilizzando, in forza dell'urgenza delle questioni, lo strumento del commissariamento. (4-08706)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSSOMANDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 «Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero», attuativo della delega di cui all'articolo 1, comma 2, della legge 14 dicembre 2011, n. 148, è stata prevista la riorganizzazione degli uffici giudiziari nel territorio nazionale, entrata in vigore il 13 settembre 2013;
   in particolare, il tribunale di Ivrea ha assorbito le due sezioni distaccate di Ciriè e Chivasso, precedentemente afferenti al tribunale di Torino, diventando il secondo polo giudiziario del Piemonte con un bacino di utenza di circa 520 mila abitanti;
   da notizie di stampa pubblicate in questi giorni, si apprende che, a poco più di un anno e mezzo dall'entrata in vigore delle norme della nuova geografia giudiziaria, la situazione nella quale versa il tribunale di Ivrea appare molto critica;
   a fronte, infatti, di un forte aumento delle cause civili, passate dalle circa 2 mila del 2012-2013 alle oltre 5 mila attuali (se si aggiungono quelle relative a divorzi, tutela di minori, sfratti ed eredità si arriva ad oltre 10 mila cause), e delle cause penali, la dotazione di personale, giudicante ed amministrativo, risulta ancora gravemente insufficiente;
   in particolare per il settore penale dati allarmanti sono emersi dal censimento effettuato e reso pubblico dal dipartimento organizzazione giudiziaria, secondo il quale su 139 uffici italiani quello di Ivrea registrerebbe la più alta percentuale di scopertura del personale: 46 per cento contro una media nazionale del 13 per cento. A Ivrea il rapporto tra pubblici ministeri e abitanti risulta essere di 1 ogni 86.014 residenti contro una media nazionale di 1 ogni 30.185;
   le difficoltà oggettive del settore penale sono state sottolineate anche dal Procuratore Capo dottor Ferrando sugli organi di stampa locali;
   già con l'interrogazione a prima firma della sottoscritta n. 5-00296 del 10 giugno 2013, erano stati evidenziati i problemi ai quali sarebbe andato incontro il tribunale di Ivrea a seguito della nuova riforma prevista dal decreto legislativo n. 155 del 2012, soprattutto in relazione alla carenza di personale e all'inadeguatezza delle strutture. Nella risposta del Ministro del 30 ottobre 2013, era stato specificato, tra l'altro, che «l'organico attuale previsto per l'ufficio in questione potrà essere adeguatamente rivalutato all'esito della disponibilità di dati consolidati che consentano di cogliere con puntualità l'effettiva incidenza degli interventi realizzati e permettano di sanare eventuali residue carenze nella distribuzione delle risorse non emerse sulla scorta delle stime effettuate in sede di predisposizione dei provvedimenti citati» –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per affrontare la situazione di criticità del tribunale e della procura di Ivrea, con particolare riferimento alla grave carenza di organico evidenziata nel settore penale, al fine di consentire un più efficiente svolgimento delle attività e per fornire un più adeguato servizio alla popolazione del territorio ed in particolare quando e con quali tempistiche sia previsto che si affronti la revisione delle piante organiche e quali iniziative si intendano intraprendere nell'immediato per fronteggiare l'emergenza. (5-05254)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA e SIMONETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da diverse agenzie di stampa si è appreso che in questi giorni il sindacato di polizia penitenziaria OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) ha presentato nelle diverse sedi istituzionali esposti dove emerge con chiarezza la grave, ed allarmante, situazione di insicurezza in cui versano gli agenti di polizia penitenziaria;
   l'ultimo tra gli episodi è occorso il 2 aprile 2014, e precisamente durante le operazioni di perquisizione di un detenuto ventunenne, proveniente dagli arresti domiciliari, di nazionalità senegalese, definitivo fine pena maggio 2015, eseguita dagli agenti di polizia penitenziaria in servizio al casellario della casa circondariale di Torino Lorusso e Cutugno. Il recluso si rifiutava di essere perquisito secondo le formalità di legge e, all'improvviso, si è scagliato contro gli agenti di servizio colpendoli violentemente con calci, schiaffi e pugni. Gli agenti sono stati accompagnati al pronto soccorso dell'ospedale Maria Vittoria per le cure del caso e, successivamente dimessi con giorni 7 s. c. di prognosi per contusioni varie;
   il sindacato della polizia penitenziaria – O.S.A.P.P. sta chiedendo da diverso tempo, tenuto conto che non è la prima aggressione che subisce il personale di polizia penitenziaria nel carcere di Torino L.C. e temendo che non sarà l'ultimo, maggiore sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria e questo sulla scorta del fatto che, da un lato, le condizioni di servizio del personale «vanno via via peggiorando» e le modalità di gestione delle risorse organiche appaiono poco consone alla situazione «emergenziale» in cui si trovano le carceri, e che dall'altro non verrebbero applicate con decisione le misure per contrastare e reprimere fenomeni similari, poiché parrebbe venga tollerato un certo «permissivismo ed accondiscendenza» nei confronti della locale popolazione detenuta –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali interventi e iniziative, anche di natura emergenziale, intenda adottare, in particolare per garantire che episodi similari non si ripetano, attraverso, in primo luogo, un incremento della sicurezza per gli agenti di polizia penitenziaria. (4-08695)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo stato delle infrastrutture viarie di collegamento tra Italia e Svizzera versa da tempo in condizioni di grave lacunosità e carenza;
   gli eventi atmosferici sviluppatisi nel corso della stagione invernale 2014/2015 hanno determinato conseguenze pesanti sullo stato delle arterie in questione, in particolare sulla strada statale n. 34 del Lago Maggiore oggetto di una lunga interruzione nel mese di dicembre a seguito di una frana nel comune di Cannero Riviera (Vb);
   tali infrastrutture – di competenza ANAS – risultano essere decisive sia per le economie delle zone italiane di confine (essendo utilizzate quotidianamente da oltre 60.000 lavoratori frontalieri che trovano occupazione nei Cantoni Svizzeri del Vallese, del Ticino e dei Grigioni) sia per l'afflusso in Italia di turisti e visitatori, il cui numero è dato in crescita anche a seguito dell'annunciato avvio dell'EXPO 2015 di Milano;
   si rende indispensabile un programma di ammodernamento e di sistemazione delle strade internazionali di collegamento tra Italia e Svizzera, con particolare riferimento alle strada statale 33 del Sempione, strada statale 34 del Lago Maggiore, strada statale 337 della Valle Vigezzo e SS 659 delle Valli Antigorio e Formazza;
   nel corso di un incontro con il tavolo del frontalieriato del Verbano Cusio Ossola, il caponegoziatore per il Governo italiano dottor Vieri Ceriani, ha manifestato disponibilità ad impiegare risorse derivanti dall'applicazione della legge sulla cosiddetta «voluntary disclosure» per finanziare i contratti di programma ANAS finalizzati a tale obiettivo –:
   se valuti positivamente l'ipotesi di impiegare le risorse derivanti dall'applicazione della legge sulla cosiddetta «voluntary disclosure» a favore di un programma straordinario di ammodernamento e di sistemazione delle strade internazionali collegamento tra Italia, e Svizzera, con particolare riferimento alla strada statale 33 del Sempione, strada statale 34 del Lago Maggiore, strada statale 337 della Valle Vigezzo e strada statale 659 delle Valli Antigorio e Formazza. (5-05278)


   MATARRESE, D'AGOSTINO, VARGIU e DAMBRUOSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le criticità riguardanti l'applicazione della disciplina relativa alla garanzia globale di esecuzione, rischiano, in un quadro di crisi economica insostenibile, di riflettersi negativamente sulla realizzazione delle opere di maggiore rilevanza per il Paese e contestualmente sui livelli occupazionali;
   la «garanzia globale di esecuzione», introdotta nel nostro ordinamento dall'articolo 9, comma 57, della legge 18 novembre 1998, n. 415, poi modificato dall'articolo 7, comma 1, della legge lo agosto 2001, n. 166, è stata nuovamente prevista dall'articolo 129, codice degli appalti; il relativo regolamento di attuazione disciplina sistema di garanzia globale per tutti gli appalti di lavori di sola esecuzione di importo a base d'asta superiore a 100 milioni di euro, agli appalti integrati di importo superiore a 75 milioni di euro, nonché per gli affidamenti a contraente generale, quale che ne sia l'ammontare;
   la garanzia può essere prestata anche da più banche o assicurazioni o dall'impresa capogruppo in caso di raggruppamenti temporanei di imprese aggiudicatari, ma congiuntamente con altro garante. L'eventuale impresa capogruppo deve essere in possesso di un patrimonio netto non inferiore all'importo dei lavori e comunque superiore a 500 milioni di euro;
   la ratio della disciplina è quella di fornire agli appalti di una garanzia di maggior rilievo rispetto alla garanzia definitiva di cui all'articolo 113 del codice. Infatti, nei casi contemplati, il soggetto garante si obbliga nei confronti del committente, non solo alla corresponsione di un importo di denaro, ma anche, su richiesta della stazione appaltante o del soggetto aggiudicatario all'obbligazione del fare, dedotta in contratto, tramite un soggetto sostitutivo che subentra nell'esecuzione dei lavori. Si tratta quindi di una garanzia di buon adempimento cui si aggiunge la garanzia di subentro di cui all'articolo 131 del regolamento;
   in merito all'applicazione di questo istituto, che si aggiunge alle altre garanzie previste nei contratti di appalto quali, la cauzione provvisoria in fase di gara, la cauzione definitiva, la construction all risk e la decennale postuma, stanno emergendo notevoli criticità in quanto nessun istituto bancario o assicurativo nazionale si rende disponibile a stipulare con le imprese la garanzia globale;
   una delle criticità è rappresentata dalla mancanza di strumenti effettivi per l'applicazione di questa garanzia. Il sistema bancario e quello assicurativo si muovono con logiche tradizionali basate sulla massima raccolta di rischi omogenei in applicazione di indici probabilistici ai fini dell'individuazione del rischio medio come già segnalato al Governo ed al Parlamento dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture il 28 febbraio 2002;
   altro elemento di criticità è rappresentato dal requisito di patrimonio netto dell'impresa (o alla capogruppo in caso di raggruppamento temporaneo di imprese) che deve essere superiore ai 500 milioni di euro per contrarre la garanzia globale e che risulta posseduto da un limitatissimo numero di imprese del nostro Paese. Questa circostanza di fatto esclude, soprattutto in questo momento di crisi economica ed in particolare del settore delle costruzioni, la maggior parte delle imprese dalle gare con gravi ricadute in termini occupazionali;
   il rischio concreto è che un gran numero di gare di appalto potrebbero andare deserte con conseguenti ritardi nella realizzazione degli investimenti programmati;
   l'entrata in vigore della disciplina, prevista per l'8 giugno 2012, è stata fatta slittare di un anno dal decreto-legge 73 del 2012, convertito dalla legge n. 119 del 2012, infine, al 30 giugno 2014 dall'articolo 21 del decreto-legge 69 del 2013;
   le proroghe sono apparse necessarie al legislatore per porre rimedio a già evidenti criticità che, nel corso del tempo, hanno poi evidenziato la mancanza di strumenti efficaci, utili a garantire la corretta applicazione delle norme e la coerenza con tutte le altre garanzie previste a tutela degli enti committenti dalla disciplina vigente in materia;
   nell'atto di segnalazione n. 2, del 4 luglio 2013, l'Autorità nazionale anti corruzione, nel ribadire l'ulteriore differimento al 30 giugno 2014 dell'entrata in vigore dell'obbligo della garanzia globale di esecuzione e nel «...prendere atto, con rammarico, dell'ulteriore rinvio...», auspicava che «...il periodo di ulteriore proroga non trascorra invano, ma che tale periodo venga utilizzato per avviare lo studio di soluzioni che consentano di superare le difficoltà poste dal mercato alla copertura di tali rischi. Al riguardo potrebbe essere utile valutare le esperienze estere in materia, ovvero avviare sperimentazioni per alcuni settori specifici, al fine di trovare soluzioni al riguardo...»;
   di fatto, però, dal 30 giugno 2014 non sono state più riproposte proroghe al differimento dell'entrata in vigore della disciplina e nel frattempo non sono state nemmeno avanzate adeguate soluzioni ai problemi che le avevano rese necessarie;
   il Governo ha manifestato, in più occasioni, l'intenzione di voler revisionare il codice degli appalti in conformità del recepimento delle direttive dell'Unione europea in chiave di semplificazione. È proprio in tale contesto che sarebbe auspicabile rivisitare il complesso delle garanzie previste nelle norme vigenti integrando coerentemente l'istituto della garanzia globale;
   una ulteriore proroga appare necessaria e motivata in attesa della rivisitazione del meccanismo della garanzia globale di esecuzione nell'ambito della complessiva revisione del codice degli appalti e del recepimento delle direttive comunitarie di settore, al fine di scongiurare un blocco del mercato e conseguenti rallentamenti nella realizzazione di opere pubbliche rilevanti per il Paese, che potrebbe generare effetti negativi sui livelli occupazionali. La proroga è inoltre necessaria anche per consentire alle piccole e medie imprese di continuare a partecipare alle gare in un regime di concorrenza effettiva, evitando una inevitabile contrazione del mercato non coerente con la necessità di favorire il lavoro e l'occupazione per superare la crisi attuale –:
   se non intenda assumere iniziative urgenti per prorogare ulteriormente il differimento dell'entrata in vigore della disciplina della garanzia globale di esecuzione, poiché di fatto non sono cambiate le condizioni oggettive che hanno motivato le precedenti proroghe. (5-05279)


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Marche sono in fase di realizzazione due progetti per grandi opere che interessano le province di Pesaro, Ancona e Macerata: la Quadrilatero e la E78 Fano-Grosseto che predispongono collegamenti tra le regioni Marche e Umbria;
   per quanto riguarda la Quadrilatero, con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-02351 erano state messe in evidenza delle difformità rispetto alle attività di movimentazione, stoccaggio e riutilizzo delle terre e rocce da scavo in riferimento a quanto previsto nello schema esecutivo ed operativo approvato in sede di conferenza dei servizi presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (con successiva delibera CIPE) e nel progetto esecutivo. In tale sede si chiedeva pertanto di accertare eventuali irregolarità riguardo all'effettiva destinazione dei materiali da scavo derivati dalla realizzazione delle gallerie. Il Ministero rispondeva sulla base di indicazioni assunte direttamente presso la stessa società Quadrilatero nella quale il dottor Incalza, allora Capo della Struttura tecnica di missione, rivestiva anche il ruolo di componente del Consiglio di amministrazione della citata società;
   come noto, in data 16 marzo 2015 ha avuto luogo una maxi operazione condotta dai carabinieri del Ros e coordinata dalla procura di Firenze che ha portato all'arresto, tra gli altri, del citato Ercole Incalza, nella sua veste di capo pro tempore della Struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; emergeva che lo stesso Ercole Incalza avesse agito in violazione dei propri doveri d'ufficio ed, in particolare, del dovere, sancito dall'articolo 97 della Costituzione, di fedeltà verso la pubblica amministrazione e di imparzialità nell'esercizio delle proprie funzioni;
   per quanto riguarda invece la E78, venivano presentate richieste di accesso agli atti con cui si chiedevano informazioni riguardo il progetto del nuovo tracciato per la realizzazione dell'opera. La risposta della struttura tecnica di missione, firmata dallo stesso ingegner Ercole Incalza, fu che il dicastero non disponeva della documentazione richiesta e che gli uffici si sarebbero impegnati a trasmetterla non appena disponibile. La richiesta di accesso agli atti relativa al predetto progetto e alla variante proposta dall'ATI composta da Strabag, C.M.C. e Astaldi per la S.G.C. E78 «Fano-Grosseto» veniva rivolta anche al Servizio infrastrutture della regione Marche la quale, con atto protocollo n. 0678222 del 24 settembre 2014, affermava che «l'ente non detiene presso di sé alcuno dei documenti a cui si chiede l'accesso»;
   la realizzazione del nuovo tracciato della E78 interessa la valle del Metauro andando a intaccare alcuni dei paesaggi più interessanti e caratteristici dell'entroterra pesarese ripresi anche da Piero della Francesca nei sui affreschi. Contro la realizzazione di questa opera si sono espressi diversi sindaci dei comuni interessati e si sono formati comitati spontanei di cittadini –:
   se il Ministro sia in grado di riferire rispetto al futuro delle due opere citate in premessa, riconosciute quali infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale e, in particolare se non ritenga necessario, alla luce di quanto accaduto in relazione alle vicende che hanno coinvolto l'ex capo p.t. della struttura tecnica di missione, nonché all'ambiguità riscontrata nelle risposte fornite dalle amministrazioni interpellate, verificare la legittimità di ogni atto del procedimento ad oggi compiuto in relazione alle due citate opere anche in riferimento alla quantità e qualità dei controlli effettuati sui lotti già realizzati. (5-05280)


   SEGONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta sulla gestione illecita degli appalti delle cosiddette «Grandi Opere», denominata «Sistema», condotta dalla procura di Firenze, ha portato all'arresto dello storico ex-dirigenti del Ministero dei lavori pubblici Ercole Incalza, dei 2 imprenditori Stefano Perotti, Francesco Cavallo e del collaboratore Sandro Pacella, ad essi si aggiungono i 51 indagati, tra cui l'ex eurodeputato Vito Bonsignore. Le accuse a loro carico sono: corruzione, induzione indebita, turbativa d'asta e altri delitti contro la pubblica amministrazione. L'inchiesta ha portato anche alle dimissioni dell'ex Ministro Maurizio Lupi, il quale se pur non indagato risulta coinvolto insieme a suo figlio;
   l'indagine, che nasce dagli appalti per l'Alta velocità nel nodo fiorentino si è allargata a tutte le più importanti tratte dell'Alta velocità del centro-nord Italia e a una lunga serie di appalti relativi ad altre Grandi Opere, compresi alcuni che riguardano l'Expo, i cantieri della linea ferroviaria Av Milano-Verona e Genova-Milano, l'autostrada Civitavecchia-Orte-Mestre e l'autostrada regionale Cispadana, l’hub portuale di Trieste, l'autostrada A3, Salerno-Reggio Calabria, l'autostrada in Libia Ras Ejdyer-Emssad, e molte altre. Il comandante dei carabinieri del Ros, Mario Parente, ha parlato di costi di opere pubbliche che «lievitavano anche del 40 per cento»;
   molte delle opere coinvolte nell'inchiesta sono tra quelle inserite nel programma dalla legge Obiettivo, approvata nel 2011;
   il 9o Rapporto sull'attuazione della legge obiettivo, ha rivelato che solo 8,4 per cento delle opere contenute nell'elenco della legge Obiettivo risultano ultimate. Inoltre il monitoraggio svolto dal Rapporto ha scelto 97 opere deliberate dal Cipe e contenute nel programma fin dal 2004: inizialmente il costo era di 65.227 milioni al 30 aprile 2004, ma è salito a 91.516 milioni al 31 dicembre 2014, con un incremento del 40,3 per cento. Molte le ragioni della lentezza, a partire dalla scarsa selezione di opere, i difetti di programmazione e l'inefficienza delle procedure di selezione dei progetti, le modalità di affidamento dei lavori (addirittura senza gara per l'Alta velocità ferroviaria), di monitoraggio della loro esecuzione e gli innegabili diffusi fenomeni di illegalità. Anche nell'ultimo anno il perimetro delle opere deliberate dal Cipe è cresciuto di 10,3 miliardi con l'inclusione dell'autostrada Orte-Mestre e della Rho-Monza. Resta innegabile anche il problema del fabbisogno finanziario: dei 149 miliardi del perimetro Cipe sono finanziati 94,7 miliardi pari al 63 per cento (con un apporto di finanziamenti privati di 36 miliardi) mentre mancano ancora 55 miliardi;
   il nuovo Ministro Delrio, prima ancora del suo giuramento al Quirinale ha pubblicamente affermato, che «non esistono infrastrutture né grandi né piccole, ma infrastrutture che sono utili quando sono utili alla comunità. Non bisogna pensare che le infrastrutture siano importanti quando sono grandi o quando collegano grandi poli, ci sono infrastrutture che sono necessarie alla vita della comunità ..omissis.., ci sono infrastrutture che magari fanno piccoli collegamenti ma hanno grande efficacia nella vita delle persone» –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti riportati in premessa e in considerazione anche di quanto pubblicamente dichiarato, non ritenga opportuno compiere una capillare analisi sui reali fondi a disposizione della legge obbiettivo, riassegnandoli, anche come cofinanziamento statale, ad opere infrastrutturali pubbliche che possano garantire dei concreti benefici alla collettività, attivando un processo di partecipazione e confronto con le principali esigenze regionali e locali. (5-05281)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tra le priorità della Strategia europea sulla disabilità (2010-2020), vi è l'eliminazione degli ostacoli al pieno esercizio dei diritti delle persone disabili e alla loro mobilità, facilitando e promuovendo l'utilizzo del CUDE (contrassegno unificato disabili europeo), il modello europeo del contrassegno di parcheggio per disabili;
   oggigiorno, tuttavia, ogni comune ha la propria modalità di gestione e archiviazioni dati e in taluni casi ciò, avviene ancora tramite registri cartacei, con conseguente impossibilità, per la polizia locale, di effettuare accertamenti in tempo reale sui contrassegni emessi da altre amministrazioni;
   nel giugno 2014 l'ANCI Sardegna ha creato una Banca dati nazionale online dei CUDE a supporto dei comandi di polizia locale e dei comuni per la condivisione e il controllo in rete dei dati dei pass per disabili;
   tale registro pubblico è stato istituito anche allo scopo di promuovere l'utilizzo del microchip anticontraffazione e di raccogliere e condividere i dati dei pass per disabili con tutte le amministrazioni italiane;
   infatti l'articolo 2, comma 2, numero I, del decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 2012, n. 151, contenente il fac-simile della figura del contrassegno di parcheggio per disabili, è accompagnato dalla nota che «nello spazio riservato all'eventuale vignetta olografica anticontraffazione può essere inserito anche un microchip elettronico di raccolta ed eventualmente comunicazione dati»;
   una banca dati nazionale online e un CUDE con microchip paiono il binomio ideale per migliorare la mobilità delle persone con disabilità, che potranno spostarsi tra le città senza dover incontrare differenti regole di accesso;
   grazie al registro pubblico CUDE tutte le amministrazioni comunali possono far confluire i loro dati sui CUDE emessi e condividere queste informazioni al fine di consentire il riconoscimento del diritto del disabile al di fuori del proprio comune di appartenenza e l'eliminazione alla radice degli abusi –:
   di quali notizie disponga il Governo;
   se il Governo non reputi opportuna l'apertura di un tavolo di lavoro con l'ANCI, finalizzato alla diffusione e all'applicazione su tutto il territorio nazionale del registro creato da ANCI Sardegna;
   se il Governo non reputi opportuno che fra i requisiti di omologazione dei nuovi dispositivi per la rilevazione di accesso ai varchi automobilistici sia prevista la presenza di un dispositivo di identificazione a radio frequenza (RFID), che consenta la lettura dei microprocessori presenti sui contrassegni e la gestione dei varchi in connessione con il registro CUDE;
   se il Governo non reputi opportuno assumere iniziative per collegare il registro CUDE all'anagrafe nazionale dei veicoli di cui agli, articoli 225 e 226 del codice della strada. (5-05250)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 13 marzo 2013 è stata costituita a Roma, in via Mozambano 10, presso la sede centrale ANAS, l'Associazione nazionale amici delle strade;
   i soci fondatori risultano Pietro Ciucci, presidente di ANAS; Piero Buoncristiano direttore centrale di ANAS in pensione; Stefano Granati condirettore generale di ANAS; Giuseppe Scanni direttore centrale di ANAS;
   l'Associazione ha lo scopo statutario di «valorizzare e diffondere la storia e la cultura delle strade in Italia e nel mondo»;
   risulta altresì che Piero Buoncristiano svolga numerosi incarichi di collaudo su altrettante opere pubbliche, pur essendo in pensione e pur avendo ottenuto un incarico alla Concessioni autostradali venete –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e abbiano autorizzato la costituzione dell'Associazione all'interno della sede centrale ANAS;
   quanti e quali incarichi di collaudo per opere di competenza statale siano stati conferiti, da chi e per quali importi.
(5-05251)


   D'ATTORRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale n. 346 del 4 agosto 2014, concernente il «Nuovo regolamento degli uffici dirigenziali non generali del Ministero», è stato stabilito che la direzione degli uffici della motorizzazione civile della Calabria, venga assegnata a Reggio Calabria declassando, pertanto, gli uffici delle altre province in mere sezioni afferenti alla direzione di Reggio Calabria;
   tale decisione, che vede declassato l'ufficio della motorizzazione civile di Catanzaro storicamente da sempre ufficio compartimentale e di riferimento per la Calabria, evidenzia una serie di criticità e di palesi incongruenze soprattutto in tempi di razionalizzazioni finalizzate a contenere la spesa pubblica;
   Catanzaro è il capoluogo di regione e gli uffici similari hanno sede, tutti, presso i capoluoghi di regione e, tra l'altro, è anche sede della giunta regionale, dell'assessorato ai trasporti, nonché sede della direzione regionale ACI;
   gli uffici della motorizzazione di Catanzaro, inoltre, continuano ad avere esclusiva competenza regionale su: autolinee statali e internazionali, servizio mobilitazione, tessere di servizio, trattamento pensionistico, targhe per gli escursionisti esteri, gestione del FUA ovvero fondo unico amministrativo –:
   se il Governo non intenda rivedere la decisione assunta e, conseguentemente, confermare Catanzaro sede della direzione regionale della motorizzazione civile.
(5-05259)


   LODOLINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di realizzazione del cosiddetto «bypass ferroviario snodo di Falconara» viene concepito «alla fine degli anni ’90, in un contesto economico e sociale nettamente differente da quello attuale;
   il territorio del comune di Falconara M.ma (Ancona) interessato dalla nuova infrastruttura, suo malgrado, da oramai troppi anni paga il prezzo di un degrado che di fatto ne ha impedito la riabilitazione e lo sviluppo della «piattaforma intermodale» della Bassa Vallesina in cui si concentrano delle mobilità aria-terra-mare e la logistica connessa al sistema porto di Ancona e all'interporto di Jesi;
   il comune di Falconara è al centro dell'area AERCA, area ad elevato rischio di crisi ambientale;
   il comune di Falconara Marittima rientra tra i siti inquinati di interesse nazionale SIN;
   restano ancora irrisolti, o comunque non del tutto chiariti, eventuali vincoli di incompatibilità tra il nuovo tracciato ferroviario denominato «by-pass» e la sicurezza del traffico aereo lungo il percorso luminoso di atterraggio dell'aeroporto internazionale «Sanzio»;
   lo sviluppo e la riqualificazione della città di Falconara, nonché dell'intera costa nord della provincia di Ancona, passa inevitabilmente dall'arretramento complessivo dei binari dalla costa verso l'entroterra. In assenza di qualsivoglia disponibilità ad affrontare la questione in questi termini, restano solo le criticità di un territorio senza beneficio alcuno per la collettività;
   il progetto di bypass ferroviario, così come concepito senza un funzionale progetto di arretramento complessivo dei binari da Marotta ad Ancona, comporta un considerevole e insostenibile impatto sull'assetto sociale, economico ed ambientale del territorio nella bassa valle dell'Esino;
   il traffico ferroviario, sia esso passeggeri che merci, nella tratta Orte-Falconara ha notevoli disagi a causa della mancanza in molti tratti di una doppia linea di binari e tale carenza infrastrutturale penalizza in maniera molto grave i tempi del trasporto su ferro a causa della mancanza del raccordo che si vuole realizzare con il bypass ferroviario;
   l'amministrazione comunale si è più volte espressa in maniera favorevole allo smantellamento degli scali merci presenti sul territorio comunale, ed in special modo quello lato mare, di fatto oggi non più necessari visto il nuovo interporto di Jesi. L'eliminazione di detti scali dovrebbe essere finanziato a prescindere ed in tempi rapidi, svincolato dal progetto bypass ferroviario. Ciò consentirebbe di liberare delle aree fondamentali per la città –:
   se Rete ferroviaria italiana ritenga il bypass da realizzare a Falconara Marittima un'opera puntuale sulla città, e non piuttosto – considerato che si raggiungerebbero gli stessi fini per quanto riguarda la città, ma che l'opera rivestirebbe in più carattere strategico – il primo stralcio dell'arretramento della linea ferroviaria adriatica, come previsto da uno studio di fattibilità della Provincia di Ancona;
   se il Ministro interrogato intenda convocare una nuova conferenza di servizi dove poter discutere il progetto preliminare di un globale arretramento dei binari della ferrovia adriatica e l'inserimento funzionale del by-pass in questo nuovo progetto preliminare di arretramento complessivo della ferrovia da Marotta ad Ancona, come già proposto dalle province di Ancona e Pesaro;
   se il Ministro interrogato ritenga prioritario il finanziamento della continuazione del «raddoppio della tratta Orte-Falconara» in maniera prioritaria rispetto al progetto «bypass ferroviario»;
   se sia possibile procedere alla sospensione del procedimento relativo al progetto definitivo rimodulato denominato «nodo ferroviario di Falconara» in quanto persistono numerose criticità irrisolte tra cui il definitivo nulla osta dell'ENAC in merito alle incompatibilità con il traffico aereo, e la relativa sicurezza. (5-05273)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha effettuato il 2 aprile 2015 un sopralluogo sull'arteria stradale denominata SS. 554 bis di connessione tra l'area metropolitana di Cagliari e l'area turistica di Villasimius;
   l'arteria risulta chiusa in entrambe i sensi di marcia dal chilometro 0,000 al chilometro 6,500, a causa dell'aggravarsi di un fenomeno franoso all'altezza del chilometro 3,100, nel territorio comunale di Quartucciu, in provincia di Cagliari;
   la chiusura – secondo quanto si legge in un comunicato ufficiale dell'Anas – si è resa necessaria dopo che il personale dell'Anas, che effettua il monitoraggio costante dell'area interessata dal fenomeno, ha riscontrato che le deformazioni sul piano viabile e l'instabilità del pendio avrebbero potuto causare situazioni di pericolo per la circolazione stradale;
   nel corso del sopralluogo l'interrogante ha rilevato una situazione ben più grave di quella palesata dall'Anas e in particolare il rilevato stradale presente tra il chilometro 3,100 e il chilometro 3,350 della strada statale 554 bis, risulta interessato da gravissime lesioni longitudinali e trasversali di profondità superiori al metro di dislivello;
   si evidenziano gravissimi problemi alla viabilità dell'area considerato che i veicoli in direzione Villasimius dovranno percorrere la strada statale 125 e poi immettersi sulla strada provinciale 96, mentre gli utenti diretti da Villasimius verso Cagliari potranno svoltare dallo svincolo di Santu Lianu in direzione strada provinciale 17;
   risulta evidente che giorno dopo giorno la strada statale 554 si sta letteralmente disintegrando;
   dalle prime crepe ora il crollo della strada è totale;
   una vera e proprio faglia longitudinale e orizzontale sta facendo crollare l'intera arteria viaria;
   si tratta di un vero e proprio scandalo, considerato che i primi cedimenti risalirebbero a qualche anno fa e l'Anas ha messo in campo soluzioni che appaiono all'interrogante inadeguate e totalmente inefficaci;
   i tentativi di riempimento dei primi cedimenti sono stati vani considerato che ora il crollo ha attraversato orizzontalmente le due corsie e in longitudine ha praticamente fatto crollare oltre duecento metri di strada;
   il sopralluogo compiuto dall'interrogante sul tratto di strada vietata ha fatto emergere una situazione di una gravità inaudita;
   la strada preclusa è in condizioni senza precedenti per un'arteria viaria sarda realizzata dall'Anas;
   si tratta di una situazione devastante che rischia di precludere a lungo una strada fondamentale nella connessione tra l'area metropolitana di Cagliari e Villasimius;
   è indispensabile che il Ministro interrogato si attivi immediatamente per individuare eventuali responsabilità oggettive e soggettive e per assicurare l'immediato ripristino prima dell'estate della strada;
   appare fin troppo evidente all'interrogante che ci possano essere delle responsabilità gravi sia sul piano realizzativo che progettuale, a partire dagli studi geologici dell'area;
   è ancora più grave che tale problematica sia emersa già qualche anno fa senza che l'Anas abbia messo in campo soluzioni coerenti con il pericolo che si stava correndo;
   la situazione documentata e pubblicata sui social network con oltre 50.000 visualizzazioni fa emergere una situazione della strada gravissima;
   si è riscontrato uno scivolamento del sottosuolo stradale che ha provocato un gradino di oltre un metro di dislivello per tutta la larghezza dell'arteria;
   risulta indispensabile, ad avviso dell'interrogante, un'indagine ministeriale sull'operato dell'Anas;
   è indispensabile conoscere quanto è stato speso per gli interventi di tentato ripristino e le ragioni del fallimento;
   è inderogabile la definizione di una tempistica per intervenire evitando di perdere altro tempo;
   la strada deve essere ripristinata entro e non oltre i prossimi due mesi;
   non è tollerabile che un'arteria, già di per sé parziale, venga bloccata da una gestione inaccettabile sia nella fase esecutiva che di manutenzione;
   serve attivare le necessarie procedure sul fronte della responsabilità sia finanziaria che esecutiva;
   è evidente che chi ha sbagliato deve pagare;
   l'Anas deve stanziare immediatamente il necessario per ripristinare la strada –:
   se non ritenga di dover assumere immediatamente iniziative per definire interventi urgenti e adeguati al fine della riapertura immediata della strada;
   se non ritenga di dover attivare procedure urgenti con cantieri aperti h 24, su tre turni, sette giorni su sette;
   se non ritenga di dover segnalare i fatti alla magistratura contabile in relazione a eventuali responsabilità;
   se non intenda disporre una verifica ministeriale per comprendere per quale ragione l'Anas, come appare all'interrogante, non abbia valutato adeguatamente la reale situazione dell'arteria realizzando interventi inutili e costati centinaia di migliaia di euro. (5-05282)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 marzo 2015, il crollo di una campata del viadotto «Italia» avvenuta durante i lavori di ammodernamento del macrolotto 3.2 dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, ha causato la morte di Adrian Miholca operaio della ditta subappaltatrice «Nitrex», precipitato nel vuoto per oltre 80 metri;
   le macerie derivanti dal crollo della campata avrebbero minato la stabilità della struttura portante del viadotto parallelo;
   la procura della Repubblica di Castrovillari, titolare del relativo fascicolo d'indagine per l'omicidio colposo di Adrian Miholca, ha provveduto al sequestro dell'intero viadotto per mancanza di elementi certi sulla sicurezza della struttura, nominando due consulenti;
   il sequestro e la conseguente chiusura al traffico del tratto (circa 20 km) dell'arteria autostradale, già precedentemente ridotta ad unica carreggiata a seguito dei lavori di ammodernamento, costringono i mezzi che procedono in direzione nord ad uscire allo svincolo di Mormanno per poi rientrare in autostrada a Laino Borgo ed al percorso inverso i mezzi che procedono in direzione sud;
   gli unici percorsi alternativi disponibili sono costituiti da arterie locali, già congestionate dal traffico interno e strutturalmente incompatibili con una mole di veicoli già difficilmente gestibile sul solo tracciato autostradale che collega la Campania alla Sicilia;
   l'autostrada Salerno-Reggio Calabria, interessata da interminabili lavori di ammodernamento sin dal 1964 (anno di apertura del primo tratto), costituisce l'unica grande via di collegamento su gomma tra le regioni del Meridione, arteria cardine per il trasporto di passeggeri, merci e servizi;
   come riportato dagli organi di stampa, il segretario generale della Filca-Cisl di Cosenza, Mauro Venulejo avrebbe evidenziato alcuni aspetti critici sulle condizioni di sicurezza dei lavori in atto, dichiarando: «Con il sistema del contraente generale l'affidamento di questa importante opera è stato parcellizzato in una miriade di imprese che lavorano in confusione e in maniera disarticolata, una sorta di giungla senza regole. A più riprese, anche entrando in polemica con la società affidataria, la Italsarc, abbiamo chiesto alla Prefettura un intervento celere e approfondito. Un cantiere lungo 20 chilometri, con oltre 500 operai impegnati e con gravi lacune sulla sicurezza è una polveriera pronta ad esplodere, e l'incidente nel quale ha perso la vita il povero Adrian, di soli 25 anni, è la dimostrazione che le nostre denunce non erano infondate» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare: a) al fine di assicurare l'incolumità del personale impiegato sulla tratta attraverso il rispetto delle fondamentali norme vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro ed in materia di orario di lavoro; b) al fine di garantire, anche attraverso l'implementazione delle unità di pubblica sicurezza, il rispetto degli standard minimi di sicurezza dei viaggiatori costretti a percorrere i tratti alternativi originariamente non concepiti per accogliere una così ampia mole di traffico autostradale; c) per tutelare fattivamente l'economia delle regioni del Meridione, già carente di grandi ed adeguate vie di comunicazione, al fine di non arrecare danni irreversibili al già fragile tessuto imprenditoriale del sud Italia.
(4-08669)


   DI LELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Italia la domanda di mobilità dei passeggeri e delle merci è orientata principalmente al trasporto su gomma, con notevoli criticità in termini di sostenibilità e sicurezza;
   il parco autoveicoli circolante evidenzia l'utilizzo di mezzi di trasporto convenzionali e vetusti, con evidenti ricadute negative in termini di inquinamento e sicurezza;
   la rete stradale nazionale presenta inoltre diffuse criticità in termini di funzionalità e sicurezza per gli automobilisti sia per l'efficienza e la qualità dei servizi erogati, sia per il grado o livello di protezione offerto dalle infrastrutture stradali;
   sono purtroppo noti gli effetti negativi determinati dall'assenza di un adeguato piano di ammodernamento e di una corretta manutenzione delle infrastrutture viarie i cui requisiti di sicurezza risultano non conformi agli standard previsti; basti considerare al riguardo le precarie condizioni della segnaletica orizzontale e verticale, delle barriere di contenimento, dell'illuminazione artificiale o del manto stradale;
   a ciò deve aggiungersi l'aumento dei tempi medi di percorrenza stradale derivante spesso, oltre che da una fisiologica congestione del traffico, da un'inadeguata o non tempestiva attività di segnalazione di quegli eventi che impediscono la regolare circolazione dei veicoli (cantieri stradali, code, incidenti, malfunzionamento dei sistemi di accesso o di pagamento del pedaggio);
   con l'adozione delle nuove iniziative per la sicurezza stradale 2011-2020 inaugurate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e dalla Commissione europea sono stati fissati per il 2020 gli obiettivi di diminuire il numero dei morti sulle strade;
   tale risultato potrà essere conseguito agendo direttamente sulle cause che determinano il verificarsi dei sinistri stradali;
   un'attenta valutazione dello stato delle infrastrutture, anche in funzione dell'attivazione dei necessari interventi di messa in sicurezza, ed una maggiore attenzione alle modalità di erogazione dei servizi connessi alla mobilità assumono pertanto un ruolo determinante ai fini della tutela degli utenti della strada, della sicurezza della circolazione e della concreta possibilità di raggiungimento dei nuovi obiettivi in tema di riduzione del numero di vittime della strada;
   in tale direzione opera il decreto legislativo 15 marzo 2011, n. 35, con cui l'Italia a recepito la direttiva 2008/96/CE che definisce i criteri di corretta gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali e prevede l'istituzione e l'attuazione di procedure relative alle valutazioni d'impatto e ai controlli della sicurezza stradale per i progetti di infrastruttura, alla classificazione e gestione della sicurezza della rete stradale aperta al traffico, alle ispezioni di sicurezza, alla gestione dei dati e alla designazione e formazione dei controllori da parte degli Stati membri. Sebbene la direttiva europea 96/2008 abbia previsto l'applicazione di tali procedure alla rete stradale trans-europea (TEN), il decreto legislativo n. 35 del 2011 stabilisce che le procedure di gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali siano applicate a partire dal 2016 anche alle strade appartenenti alla rete di interesse nazionale e dal 2020 alla rete stradale di competenza delle regioni e degli enti locali;
   non meno rilevante è la recente attivazione dell'Autorità di regolazione dei trasporti, istituita con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, il cui ampio ambito di competenze incide anche sulle modalità di accesso alle reti stradali e sui livelli di qualità dei servizi offerti agli utilizzatori delle infrastrutture viarie;
   alcune delle misure previste a livello normativo non hanno ancora peraltro trovato integrale applicazione, mentre altre risultano inattuate per l'assenza dei richiesti regolamenti di attuazione da parte dei Ministeri competenti; si rende pertanto necessario, soprattutto in funzione degli obiettivi di riduzione dell'incidentalità stradale e dell'inquinamento da traffico, adottare le disposizioni attuative;
   in tale contesto una specifica rilevanza può essere fornita dall'Automobile Club d'Italia che, per espressa finalità statutaria, deve svolgere una qualificata attività di studio, analisi e ricerca, anche a livello internazionale, sui temi che interessano in generale la mobilità, con particolare riferimento alla sostenibilità del settore dei trasporti, sia dal punto di vista della sicurezza stradale che dell'ambiente;
   l'ACI partecipa a numerosi programmi e iniziative internazionali volti a valutare la sicurezza delle infrastrutture, l'affidabilità dei veicoli e dei loro componenti e la qualità dei servizi per la mobilità offerti;
   l'ACI, in attuazione del piano nazionale della sicurezza stradale, supporta altresì gli enti territoriali nella gestione della sicurezza delle infrastrutture stradali con collaborazioni finalizzate tra l'altro alla redazione ed attuazione dei piani comunali ed intercomunali della sicurezza stradale e concorre al censimento annuale degli incidenti stradali e dei «punti neri» della viabilità, assicurando la diffusione dei relativi dati alle amministrazioni competenti (statistiche ACI-ISTAT) –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare iniziative che, anche in linea con il contesto europeo che vede vari Automobile Club direttamente impegnati a coadiuvare le azioni dei Governi a sostegno di una mobilità più sicura e sostenibile, prevedano di individuare nell'Automobile Club d'Italia l'organismo che, in virtù delle competenze acquisite e della struttura capillare sul territorio, possa svolgere, senza oneri a carico della finanza pubblica ed in posizione di terzietà rispetto alle strutture deputate alla gestione diretta del settore, le funzioni connesse alle attività di analisi, ispezione e controllo finalizzate all'adeguamento delle infrastrutture stradali di primo e di secondo livello a sostegno delle politiche nazionali e degli enti territoriali volte al miglioramento della sicurezza stradale. (4-08671)


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della Costituzione prevede che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza»;
   se un tale richiamo viene considerato a fondamento di un vero e proprio «diritto alla mobilità», non è da trascurare che esso si configura, al tempo stesso, come attività di tipo economico rientrando in quanto disposto nel secondo comma dell'articolo 3 della stessa Carta fondamentale, ove è previsto che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;
   vi sono territori in Italia in cui il diritto alla mobilità non viene, tuttavia, garantito;
   in una situazione di crisi economica in cui gli enti locali si trovano in estrema difficoltà nel fronteggiare i costi di manutenzione, alcuni comuni, localizzati specialmente nel Sud Italia e siti in zone montuose, si trovano pressoché isolati dal resto del territorio;
   questo è il caso di Fabrizia, piccolo comune calabrese in provincia di Vibo Valentia, i cui cittadini hanno fatto pervenire all'interrogante una petizione firmata da più di 500 aderenti in cui fanno presente che tutte le vie di collegamento col loro centro risulterebbero caratterizzate da una totale mancanza di manutenzione del manto stradale, che ha portato al suo totale disfacimento, e, più in generale, di sicurezza, data l'invasione della carreggiata da parte della vegetazione incolta e la totale incuria dei guardrail e della segnaletica verticale ed orizzontale;
   il materiale fotografico fornito dimostra effettivamente l'assenza di asfalto per interi tratti delle strade di collegamento tra comune di Fabrizia e i centri limitrofi;
   al di là delle strade comunali e provinciali, in condizioni prossime all'impercorribilità risultano anche le strade statali della zona (strada statale 110 di Monte Cucco e Monte Pecoraio – strada statale 182 delle Serre Calabre), che sono percorse, in condizioni di grande pericolo, specie in situazioni atmosferiche avverse, dagli autobus dell'azienda regionale di trasporti, unico collegamento pubblico;
   tali vie sono le sole che consentono di giungere a Catanzaro, il capoluogo, e Cosenza;
   va aggiunto che non risulta sicuro il collegamento viario con la più vicina struttura ospedaliera provvista di pronto soccorso, sita a Serra San Bruno e raggiunta dalle due strade statali e da una porzione della ex strada statale 501;
   essendo le strade provinciali ugualmente dissestate è indispensabile che almeno lo Stato intervenga al fine di consentire la fruizione di diritti costituzionalmente garantiti relativi alla salute e alla libera circolazione anche ai cittadini di Fabrizia –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda adottare le iniziative di competenza al fine di garantire una sicura percorribilità sulle strade SS 110 di Monte Cucco e Monte Pecoraio e SS 182 delle Serre Calabre. (4-08673)


   LIBRANDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto civile di Milano Malpensa può essere considerato l’hub naturale di Expo 2015, un appuntamento che catalizzerà sulla città di Milano, sulla Lombardia e sull'intero Paese, l'attenzione di milioni di visitatori e operatori economici provenienti da tutto il pianeta;
   tra i visitatori di Expo 2015, vi sarà un numero ragguardevole di imprenditori e manager di grandi e medie aziende internazionali, oltre che di «turisti di lusso», provenienti tanto da Paesi di più consolidata ricchezza che da realtà emergenti;
   l'assenza nell'aeroporto di Malpensa di un terminal riservato alla cosiddetta «aviazione generale», in particolare ai «voli d'affari», inibisce fortemente l'attrattività dello scalo per quella fascia di passeggeri, tipicamente interessati a questo tipo di servizio;
   a differenza di quanto accade a Milano Linate o nel vicino aeroporto svizzero di Lugano, a Malpensa i voli d'affari condividono un terminal con voli di linea, nello specifico il terminal 2 occupato da importanti compagnie low cost, ciò ha determinato più di un inconveniente a passeggeri noti al grande pubblico, siano essi personaggi dello spettacolo o dello sport, spesso letteralmente assalito da curiosi e fan all'arrivo o alla partenza del proprio velivolo, ma anche a esponenti del business, le cui esigenze di velocità e riservatezza mal si conciliano con un terminal condiviso con le compagnie di linea;
   il settore dell'aviazione d'affari è un comparto ad altissimo valore aggiunto, che occupa nei Paesi dell'unione europea circa 164 mila addetti (dati European Business Aviation Association) e grazie ai circa 800 operatori genera un fatturato di oltre 20 miliardi di euro, (pari a poco meno dello 0,2 per cento del prodotto interno lordo combinato di Unione europea, Norvegia e Svizzera) e salari per circa 5,7 miliardi di euro; molto significativo è poi l'indotto del settore, che riguarda alberghi, automobili, ristoranti, catering, servizi a terra;
   in virtù dell'assenza di un terminal dedicato, su un totale di circa 700 mila voli d'affari effettuati all'anno su suolo europeo, Milano Malpensa ne ha attratti appena 12 mila nel 2014 (in calo del 13 per cento rispetto al 2013), rispetto ai circa 45 mila di Milano Linate, e ne ha consegnati di fatto molti all'aeroporto di Lugano, dotato di strutture dedicate;
   il mancato apporto di Malpensa consegna all'Italia un notevole ritardo nel settore rispetto ai principali Paesi vicini: con appena il 9 per cento circa delle partenze (dati EuroControl) l'Italia è molto dietro la Germania (14 per cento), il Regno Unito (13 per cento) e la Francia (17 per cento), ed è di poco sopra la Svizzera (poco meno del 7 per cento);
   come dimostra il caso di eccellenza dell'aeroporto tedesco di Francoforte Egelsbach, scalo dedicato all'aviazione generale, il settore dei voli d'affari è capace di generale valore, ricchezza e un'economia specifica, contribuendo a creare intorno a sé un vero e proprio hub finanziario e commerciale; per l'economia della provincia di Varese, in particolare, l'apertura di un terminal dedicato ai voli d'affari rappresenterebbe un settore di svolta per l'economia, con effetti benefici stimabili intorno tra l'1 e il 2 per cento del prodotto interno lordo locale;
   nell'aeroporto di Malpensa, la società Sea-Aeroporti di Milano ha la piena disponibilità del terminal cosiddetto «ex GS Aviation», oggi chiuso ma eventualmente adeguato ad ospitare gli operatori di aviazione generale, i servizi a terra (handling) e i connessi servizi per l'utenza –:
   se ritenga opportuno, in vista di Expo 2015, aprire un confronto con la SEA-Aeroporti di Milano e con gli azionisti della stessa, in particolare con il comune di Milano detentore del 54,81 per cento del capitale, per l'apertura del terminal «ex GS Aviation» dell'aeroporto di Malpensa e la sua destinazione all'aviazione generale, in particolare ai cosiddetti voli d'affari. (4-08675)


   PARENTELA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il «nuovo regolamento degli uffici dirigenziali non generali del Ministero» di cui al decreto n. 346 emanato il 4 agosto 2014, nel ridefinire la struttura organizzativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ha modificato il numero ed i compiti di detti uffici;
   la Motorizzazione civile di Catanzaro verrà spostata nella città di Reggio Calabria indicata come sede della direzione generale territoriale del Sud e diventerà una sezione coordinata da quest'ultima;
   la Motorizzazione civile di Catanzaro è collocata nel capoluogo di regione geograficamente centrale per il territorio calabrese e quindi maggiormente in grado di svolgere l'attività di coordinamento che da anni svolge egregiamente;
   lo spostamento delle funzioni a Reggio Calabria comporterebbe costi di adeguamento evitabili con il mantenimento delle funzioni in capo alla Motorizzazione civile di Catanzaro –:
   quale sia la reale necessità di spostare la Motorizzazione civile di Catanzaro posto che tale operazione, ad avviso dell'interrogante, non sembra ragionata nell'ottica di economie di spesa. (4-08676)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il territorio comunale di Castagneto Carducci si inserisce nel cuore della Maremma livornese, al centro della cosiddetta costa degli etruschi. Il territorio è pianeggiante lungo la costa, dove peraltro si trova l'importante riserva faunistica di Bolgheri. La fascia costiera si affaccia sul mar Tirreno ed è caratterizzata da vaste pinete. Si tratta cioè di un territorio invidiabile che può aspirare ad un turismo di qualità;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, tuttavia, il mancato ampliamento del cavalcavia delle Ferrovie dello Stato di Castagneto Carducci, opera infrastrutturale di grandissima importanza, rappresenterebbe un grosso ostacolo alla viabilità della zone;
   tale mancato completamento causerebbe il mancato ricongiungimento con la Strada Statale Aurelia, creando un imbuto che dai 12 metri di ampiezza si restringe fino a 5 metri, causando innumerevoli incidenti tra cui alcuni mortali. È doveroso a questo proposito ricordare che la Strada Statale n. 1, via Aurelia, è una delle più importanti strade statali italiane e deriva da una antica strada consolare di epoca romana, che collega Roma con la Francia seguendo la costa del mar Tirreno e del mar Ligure. Tocca, inoltre, nove capoluoghi di provincia oltre a importanti località turistiche e costituisce un tratto della strada europea E80 da Civitavecchia a Rosignano Marittimo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover quanto prima intervenire, per quanto di sua competenza, affinché si proceda quanto prima al completamento dell'infrastruttura citata in premessa.
(4-08680)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 195 Sulcitana (SS 195) è una strada statale italiana che collega Cagliari, passando per la costa sud-occidentale dell'isola, al Sulcis e alla provincia di Carbonia-Iglesias;
   ha inizio a Cagliari, nei pressi del porto della città staccandosi dalla strada statale 131 Carlo Felice, la strada supera con un ponte il canale della Scafa, addentrandosi nel territorio dello stagno di Cagliari;
   la strada si riavvicina quindi alla costa dove alterna tratti con due corsie per senso di marcia a tratti normali;
   nella prima parte del suo percorso tocca le località di Maddalena Spiaggia (nel comune di Capoterra), Sarroch (che viene evitata), Villa San Pietro, Pula (che viene anch'essa evitata) per giungere, dopo diversi chilometri, a Domus de Maria;
   da qui la strada si dirige verso ovest, non seguendo più la costa;
   tocca i centri di Teulada, Sant'Anna Arresi, Masainas e Giba (dove diparte la strada statale 293 di Giba);
   l'ultimo tratto, che si trova più vicino alla costa, attraversa la località di Palmas, per arrivare infine a San Giovanni Suergiu, dove si immette sulla strada statale 126 Sud Occidentale Sarda;
   il 22 dicembre 2011 è avvenuta la consegna all'impresa dell'opera denominata: LAVORI DI COSTRUZIONE DELLA NUOVA S.S. 195 «SULCITANA». TRATTO CAGLIARI-PULA LOTTI 1 E 3 ED OPERA CONNESSA SUD;
   l'importo lavori principali: euro 112.208.149,97;
   l'importo totale: euro 139.864.520,79;
   dalle comunicazioni ufficiali dell'Anas si evince che l'avanzamento lavori dal novembre del 2011 ad oggi è dell'8,99 per cento;
   la data di ultimazione dell'opera è fissata per il 21 agosto 2017;
   il progetto esecutivo della strada statale 95 «Sulcitana» comprende la progettazione del Lotto 1, del Lotto 3 e dell'Opera Connessa Sud;
   il Lotto 1 comprende l'Asse Principale di progetto della strada statale 195 dal chilometro 10+200,00 al chilometro 18+350,00, per una lunghezza di 8,150 chilometri, all'interno dei comuni di Capoterra e Sarroch: l'intera tratta dell'asse principale si sviluppa essenzialmente su nuovo tracciato;
   tale lotto comprende 3 svincoli (svincolo Inceneritore - Dorsale Casic, svincolo S.P. 91 Capoterra e svincolo Su Loi - Villa d'Orri, di cui vengono progettati soli due rami in quanto gli altri ricadono nel lotto 2 non compreso nell'appalto), che realizzano il collegamento dell'asse principale di progetto con la viabilità esistente, e le viabilità secondarie di progetto che ripristinano la continuità della viabilità esistente interferita;
   il lotto 3 comprende l'asse principale di progetto della strada statale 195 dal chilometro 23+900,00 al chilometro 30+011,74 per una lunghezza di circa 6,112 chilometri all'interno dei comuni di Sarroch, Villa San Pietro e Pula. Per tale lotto si prevede l'adeguamento della sede esistente (strada denominata «Perimetrale consortile»), dal chilometro 23+900,00 al chilometro 25+400,00, un tratto in nuova sede dal chilometro 25+400,00 al chilometro 29+060,40 ed infine la riqualificazione della viabilità esistente chilometro 29+060,40 al chilometro 30+011,71. Sono previsti in tale lotto 2 svincoli (svincolo Sarroch e svincolo Villa San Pietro), che realizzano il collegamento dell'asse principale di progetto con la viabilità esistente, e le viabilità secondarie di progetto che ripristinano la continuità della viabilità esistente interferita;
   infine l'opera connessa Sud, che collega la nuova viabilità con la ex strada statale 195, comprende due tratti: il tratto 1 che realizza, con una viabilità su nuova sede, il collegamento dallo svincolo Inceneritore-Dorsale Casic di progetto all'esistente strada dorsale consortile e il tratto 2 che prevede la riqualificazione dell'esistente strada dorsale consortile dalla fine del tratto 1 fino all'esistente rotatoria sulla ex strada statale 195;
   appare evidente da questi elementi che l'opera non solo è in gravissimo ritardo nell'esecuzione ma rasenta tempi incredibili considerato che la stessa ha avuto un'evoluzione media di un metro (1,053) al giorno per gli oltre 1.200 giorni passati dalla consegna dei lavori ad oggi;
   tali tempi per l'esecuzione di un'opera pubblica sono inaccettabili;
   il gravissimo danno causato alle comunità locali e allo sviluppo locale costituiscono un irreversibile limite allo sviluppo turistico dell'intera area –:
   se intenda fornire immediate informazioni sulle incomprensibili ragioni che tengono bloccati questi cantieri sulla strada statale 195;
   se non intenda con urgenza assumere ogni iniziativa di competenza per prevedere la ripresa dei lavori imponendo il recupero del tempo perso anche con l'ausilio di un'organizzazione del lavoro che preveda interventi giorno e notte h24 e sette giorni su sette;
   se non intenda assumere iniziative per revocare gli incarichi dirigenziali e esecutivi eventualmente responsabili di tali gravissimi ritardi e perseguire in ogni sede il recupero del danno causato alla comunità a partire dalla gestione di ingenti risorse pubbliche. (4-08687)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MAGORNO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 25 e il 26 marzo 2015, è stata fatta esplodere una bomba davanti a una macelleria, sita nel popoloso quartiere Santa Maria di Catanzaro, in pieno centro abitato;
   si tratta dell'ennesimo atto di una escalation criminale (bombe incendiarie, scassi, furti, rapine e intimidazioni varie), che nel corso degli ultimi mesi sta attanagliando la città e in particolare le zone periferiche;
   ad essere maggiormente prese di mira sono le attività commerciali e le imprese locali già messe in ginocchio dalla grave crisi economica e occupazionale nazionale che in Calabria sta assumendo caratteri drammatici e di vera emergenza sociale;
   il problema della criminalità a Catanzaro ha ormai raggiunto livelli preoccupanti condizionandone pesantemente la vita civile ed economica creando un comprensibile clima di paura e allarmismo tra operatori economici e cittadini residenti;
   le forze dell'ordine, nonostante svolgano un lavoro encomiabile a tutela della sicurezza dei cittadini ed a contrasto dei fenomeni delinquenziali, si trovano a operare nella carenza di mezzi, con organici esigui e, a volte, senza la possibilità di usufruire di strutture adeguate;
   a parere dell'interrogante, soprattutto in un momento storico così delicato e difficile per la città di Catanzaro, è indispensabile e urgente rafforzare i presidi dello Stato dotandoli di organici e strutture più consistenti che possano tutelare la sicurezza dei cittadini soprattutto nelle aree periferiche;
   la Calabria che combatte la criminalità è anche una terra che vuole riscattare la sua immagine migliore e ora più che mai ha bisogno di sentire la presenza tangibile dello Stato per vedere affermati i propri diritti in un contesto di legalità –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto e, nell'ambito delle proprie competenze, quali iniziative urgenti intendano assumere, in materia di sicurezza, prevenzione e ordine pubblico, al fine di garantire alla città di Catanzaro maggiore controllo del territo-rio e un più efficace contrasto alla criminalità organizzata restituendo così ai cittadini tranquillità e fiducia nelle istituzioni. (5-05265)


   SARTI, BONAFEDE, AGOSTINELLI, BUSINAROLO e DADONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 25 della legge n. 142 del 1990 in data 1o gennaio 1992 si costituiva a Rimini l'azienda consortile «TRAM», che si occupa della programmazione ed esercizio del trasporto pubblico locale nel bacino della provincia; agenzia TRAM nel 2006 cambiava denominazione sociale e diventava «Agenzia Mobilità provincia di Rimini»;
   ad oggi, l'agenzia è costituita da: i comuni di Bellaria-Igea Marina, Borghi, Cattolica, Coriano, Gabicce Mare, Gemmano, Misano Adriatico, Mondaino, Monte Colombo, Montefiore Conca, Montegridolfo, Montescudo, Morciano di Romagna, Poggio Berni, Riccione, Rimini, Saludecio, San Clemente, San Giovanni in Marignano, Santarcangelo di Romagna, Savignano sul Rubicone, Sogliano al Rubicone, Tavoleto, Torriana, Verucchio, la Comunità Montana Alta Valmarecchia Ambito Territoriale Zona «A» e la provincia di Rimini;
   con l'accordo di programma per la realizzazione del trasporto rapido costiero (TRC) Cattolica-Rimini Fiera del 18 dicembre 1998, il consorzio TRAM (oggi agenzia mobilità provincia di Rimini) veniva individuato quale affidatario della gestione del servizio e della costruzione delle opere pubbliche necessarie al suo svolgimento;
   l'intervento, nella sua più ampia definizione di «sistema di trasporto a guida vincolata nell'area metropolitana della Costa Romagnola Metropolitana», rientrava nel primo programma delle opere strategiche (cosiddette Grandi Opere) individuate con delibera CIPE 21 dicembre 2001, n. 121 (Gazzetta Ufficiale n. 51 del 21 marzo 2002 S.O.) attuativa della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (cosiddetta Legge Obiettivo);
   il progetto veniva tecnicamente denominato trasporto rapido costiero (TRC), e prevedeva la realizzazione di tre tratte: prima tratta funzionale da Rimini stazione a Riccione stazione; seconda tratta funzionale da Rimini stazione alla Fiera di Rimini; terza tratta funzionale da Riccione stazione a Cattolica;
   il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) assumeva determinazioni in merito alla prima tratta funzionale Rimini stazione-Riccione stazione, approvandone il progetto preliminare (delibera n. 86 del 20 dicembre 2004) e stanziando dei finanziamenti statali (delibera n. 70 del 27 maggio 2005);
   il CIPE stesso, nella delibera 86/2004 sottolineava le caratteristiche tecniche che qualificavano l'opera, attestando quanto emerso dall'istruttoria svolta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. A conferma dell'aumento di permeabilità della circolazione tra monte e mare, lungo il percorso del metrò di costa fra Rimini e Riccione sarebbero stati realizzati 9 sottovia per lo scavalcamento delle vie trasversali alla via di corsa, 2 ponti ed un ponticello, 3 sottopassi pedonali e 4 carrabili alla linea ferroviaria, mentre per 9 sottopassi già esistenti era previsto un intervento di prolungamento o ristrutturazione;
   con delibera CIPE n. 93/2006 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 257 il 4 novembre 2006 veniva approvato il progetto definitivo del «Trasporto Rapido Costiero (TRC) Rimini Fiera-Cattolica: primo stralcio funzionale tratta Rimini FS-Riccione FS» e veniva assegnato definitivamente a favore di agenzia TRAM (oggi Agenzia mobilità provincia di Rimini) il finanziamento statale di euro 42.856.861,00. L'impegno di spesa dell'intervento della prima tratta da realizzare risultava di euro 92.053.217,95, di cui euro 42.856.861,00 concessi ai sensi della delibera CIPE 23/2006, da parte dello Stato;
   come risulta, dalla delibera del 9 aprile 2013 della giunta del comune di Riccione in data 15 luglio 2008, la regione Emilia Romagna, la provincia di Rimini, il consorzio di enti locali Agenzia mobilità provincia di Rimini ed i comuni di Rimini, Riccione, Misano Adriatico e Cattolica sottoscrivevano – ai sensi dell'articolo 34 del decreto legislativo n. 267 del 2000, e dell'articolo 15 della legge n. 241 del 1990 – l'accordo di programma disciplinante la realizzazione dell'infrastruttura metropolitana denominata Trasporto rapido costiero (TRC) Cattolica-Rimini/Fiera, al fine di elevare l'efficienza dell'offerta di trasporto e migliorare la qualità urbana ed ambientale del sistema insediativo costiero; gli importi previsti per la realizzazione di tale infrastruttura venivano determinati in complessivi euro 85.773.839; con successivi adeguamenti tali importi venivano rideterminati, seppur non in via definitiva, in euro 102.794.092 complessivi da ripartirsi tra i partner pubblici;
   si rileva che, con l'articolo 15, comma 5, del decreto legislativo 190/2002, ora recepito nell'articolo 180 del decreto legislativo 163/2006, Codice dei contratti pubblici, è stato istituito il Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere. Le sue competenze sono state ampliate nel corso del tempo, a seguito di puntuali interventi normativi, a partire dal decreto ministeriale del 14 marzo 2003, adottato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle infrastrutture e trasporti; i riferimenti normativi prevedono che i controlli antimafia sui contratti, appalti, subappalti e subcontratti per lavori, servizi e forniture, siano effettuati con l'osservanza delle linee-guida indicate dai Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere;
   nel 2008, con procedimento di gara ristretta, Agenzia mobilità ha affidato i lavori del TRC alla società Italiana Costruzioni spa. Tale società, di proprietà dei fratelli Attilio e Luca Navarra, è oggi in regime di sorveglianza speciale da parte dell'Autorità nazionale anticorruzione, in accordo con il prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca, in conseguenza alla vicenda che ha interessato il Padiglione Italia di Expo 2015;
   come risulta dall'ordinanza di custodia cautelare emessa in data 11 marzo 2015 dal GIP Angelo Antonio Pezzuti del tribunale di Firenze, Stefano Perotti, Antonio Acerbo, Giacomo Beretta, Andrea Castellotti, Attilio Navarra, Luca Navarra e Alessandro Paglia sono indagati per il reato di cui agli articoli 110, 353 I e II comma del codice penale perché, in concorso tra loro e con altro pubblico ufficiale da identificare, Antonio Acerbo quale responsabile unico del procedimento relativo al bando di gara adottato dalla spa «Expo 2015» per l'aggiudicazione dei lavori di realizzazione del cosiddetto «Palazzo Italia» (per un importo complessivo di euro 25.284.697,29), Stefano Perotti quale professionista interessato alla progettazione e direzione lavori inerenti la suddetta opera, di intesa con Giacomo Beretta e Andrea Castellotti, nonché con i referenti della spa «Italiana Costruzioni» Attilio Navarra, Luca Navarra e Alessandro Paglia, mediante collusione consistita nell'accordarsi preventivamente e clandestinamente tra loro, turbavano la suddetta gara, pilontandone l'aggiudicazione in favore della predetta società «Italiana Costruzioni;
   come riportato da un dettagliato articolo del Fatto Quotidiano in data 24 marzo 2015, risulta che i fratelli e costruttori romani Attilio e Luca Navarra, proprietari della Italiana Costruzioni spa, abbiano finanziato nel corso degli anni con proprie donazioni le campagne elettorali dei più svariati partiti ed esponenti politici: nel 2013, anno delle ultime elezioni politiche, 30.000 euro al deputato pugliese Nicola Latorre, 15.000 euro a Giorgia Meloni (Fratelli d'Italia) e 25.000 euro all'Udc di Pier Ferdinando Casini, genero del noto costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone; ancora, sempre nel 2013, 25.000 euro a Nicola Zingaretti, attuale Governatore della regione Lazio; nel 1997 hanno donato 10.000 euro ad Alleanza Nazionale e 60.000 euro ai Democratici di sinistra di Massimo D'Alema, che erano al Governo. Nel 2005 hanno finanziato la campagna elettorale per le elezioni regionali del Lazio, dei Democratici di Sinistra con 30.000 euro, elezioni vinte dai Ds con il Governatore Piero Marrazzo e nel 2010 hanno donato 75.000 euro al Popolo della Libertà, per la relativa campagna elettorale delle elezioni regionali laziali vinte proprio dal Pdl con il Presidente di regione Renata Polverini –:
   se il Ministro dell'interno ritenga opportuno verificare che il Comitato di coordinamento per l'alta sorveglianza delle grandi opere abbia svolto i controlli di sua competenza sul tratto in oggetto del TRC e, in caso positivo, quali ne siano state le risultanze. (5-05286)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSTAN. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi nel quartiere Ponticelli, alla periferia est di Napoli, è esplosa una vera e propria guerra tra clan di camorra;
   impegnati in ripetuti ed efferati scontri a fuoco sono, con ogni probabilità, gli affiliati, spesso giovanissimi, a due clan in lotta per il controllo delle attività criminali del territorio, i «D'Amico» contrapposti ai «De Micco»;
   dalle indagini effettuate dai carabinieri nel cosiddetto rione Conocal, sono emersi particolari inquietanti rispetto a tale conflitto, in quanto le condotte dei singoli affiliati sono apparse, sin da subito, caratterizzate da indescrivibile gravità e sfrontatezza;
   durante i diversi scontri a fuoco verificatisi, cittadini e famiglie inermi, soltanto per pura combinazione e caso fortuito non sono state coinvolti;
   si tratta, in poche parole, di un fenomeno per il quale è indispensabile la predisposizione di una immediata ed efficace strategia di contrasto, che argini il dilagare degli omicidi, consenta l'arresto degli autori materiali e mandanti degli stessi e porti ad un graduale ritorno alla normalità delle comunità residenti;
   una strategia, necessaria anche per ridare fiducia e senso della «sicurezza» alla popolazione, sempre più messa a disagio dalla diffusione di tali atti criminali –:
   quali celeri ed oramai improcrastinabili iniziative i Ministri interrogati intendano adottare al fine di promuovere ogni utile e possibile forma di contrasto al diffuso fenomeno sopra descritto;
   se non intendano, nel caso specifico della città di Napoli, con particolare riferimento all'area di Ponticelli, sollecitare tutte le istituzioni statali competenti a svolgere una più stringente attività di controllo e presidio del territorio, prevenzione e repressione delle condotte illecite, sopra evidenziate, anche attraverso una intensificazione dell'attività delle forze dell'ordine e l'affiancamento delle stesse all'Esercito, sulla falsariga di quanto già efficacemente fatto per il contrasto al fenomeno dei roghi tossici e degli sversamenti illeciti di rifiuti. (4-08682)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando ad un comunicato stampa emesso dal Sindacato autonomo di polizia il 2 aprile 2015, 15 agenti della polizia di frontiera di Como verranno a breve distaccati presso l'aeroporto milanese di Malpensa, dove rimarranno per tutta la durata dell'Expo universale, che coprirà anche i mesi estivi;
   il distacco di 15 agenti implicherà di fatto l'azzeramento del presidio comasco della polizia di frontiera in un periodo estremamente critico sotto il profilo del contenimento della minaccia terroristica di tipo jihadista, proprio mentre i colleghi svizzeri stanno intensificando le proprie attività di contrasto;
   la scelta di indebolire un presidio frontaliero terrestre per potenziarne uno aeroportuale non è nuova nella provincia di Como, come prova il fatto che l'11 luglio 2014 la stampa locale lariana avesse dato notizia della decisione con la quale era stato disposto con brevissimo preavviso, il 5 luglio precedente, il trasferimento all'aeroporto di Fiumicino di otto poliziotti in servizio a Ponte Chiasso;
   la sottrazione temporanea di personale ai distaccamenti di frontiera presso Como è quindi ormai divenuta pressoché consuetudinaria, poiché è il sesto anno consecutivo che si verifica;
   sono rilevanti anche i costi patiti dalle famiglie del personale movimentato, che è già alle prese con il disagio economico conseguente al blocco degli stipendi;
   su questi argomenti, il 14 luglio 2014 era stata già presentata un'interrogazione parlamentare, rimasta finora senza risposta, la 4-05507 –:
   quali ragioni vi siano dietro quello che all'interrogante appare l'evidente orientamento del Governo di privilegiare la difesa delle frontiere aeree nazionali rispetto a quella dei confini terrestri;
   se il Governo non ritenga che lo smantellamento del presidio di polizia alla frontiera comasca riduca il livello di sicurezza nel territorio lariano;
   se, come e quando il Governo intenda potenziare i presidi di sicurezza nella provincia di Como, alla luce degli ultimi episodi di terrorismo, criminalità organizzata e microcriminalità che colpiscono il territorio lariano. (4-08683)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Afragola (Napoli) da alcuni mesi ha terminato un intervento di riqualificazione di un immobile da destinare al commissariato di polizia di Stato;
   l'intervento è stato possibile sfruttando un finanziamento europeo ed è costato 4,2 milioni di euro, dal momento che la struttura, formata da tre piani, per una superficie pari a 15 mila metri quadri, ubicata nel popoloso e degradato quartiere Salicelle, negli anni scorsi era stata totalmente vandalizzata;
   l'esigenza di trasformare la struttura in un fortino di legalità all'interno di un quartiere dove il clan Moccia di Afragola (tuttora egemone nell'area a nord di Napoli) è nata dal fatto che l'edificio che attualmente ospita il commissariato di polizia, sito nella piazza Salvator Rosa, sarebbe in uno stato di avanzata fatiscenza, ai limiti dell'inagibilità;
   inoltre, la cronica carenza di organico che affligge tutto il comparto, secondo quanto segnalato all'interrogante, avrebbe stremato gli operatori costretti peraltro a svolgere turnazioni particolari che ovviamente sottraggono personale ai compiti di controllo del territorio;
   da circa sei mesi, a quanto consta all'interrogante, i lavori di ristrutturazione della nuova struttura sarebbero stati completati, ma essa è stata lasciata in stato di abbandono totale e senza vigilanza da parte degli organi competenti, dal momento che il Ministero dell'interno non avrebbe ancora autorizzato il passaggio dalla vecchia alla nuova struttura;
   tutto ciò ha esposto la struttura ad atti di vandalismo che in quattro mesi hanno portato alla rottura di due citofoni ai cancelli delle volanti e quello del pubblico, tre marmi rotti, un vetro anteriore in frantumi, muri perimetrali imbrattati con scritte utilizzando pittura spray;
   tutto ciò rappresenta uno sfregio ad un simbolo di legalità in un quartiere ad alta densità criminale; l'Agenzia del demanio di Napoli ha ritenuto congruo il canone richiesto del comune di Afragola, con nota n. 2015/9101/DRCAM/NA2 del 5 marzo 2015;
   a questo proposito, occorre evidenziare che per il fatiscente edificio che attualmente ospita il commissariato di polizia sito nella piazza Salvator Rosa, per quanto risulta all'interrogante, è corrisposto ad un privato un canone annuo di 102.290,39 euro, laddove il comune di Afragola fornirebbe una struttura appena ristrutturata in cambio di un canone annuo di 65.800 euro, producendo quindi un effettivo risparmio di 34.490,39 euro all'anno;
   nel frattempo, la prefettura di Napoli avrebbe inoltrato la pratica al Ministro interrogato, cui spetterebbe il nulla osta definitivo –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare per procedere quanto prima all'assegnazione definitiva della nuova struttura. (4-08686)


   ZAN, NACCARATO, CAMANI, NARDUOLO e MIOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Pierino Bianchi, 68enne pensionato residente a Padova, ha reso noto tramite il mattino di Padova del 31 marzo 2015 di essere stato multato dalla polizia municipale per aver affisso, il 24 febbraio 2015 alcuni striscioni di protesta contro il sindaco Massimo Bitonci, sulla recinzione del campo da calcio parrocchiale, durante uno degli appuntamenti «il Sindaco incontra i cittadini» in via Dal Piaz, nello stabile sede del quartiere 6 del comune di Padova;
   all'esterno dell'edificio comunale erano presenti, oltre ad alcuni manifestanti, in prevalenza anziani pensionati, anche diversi agenti della polizia locale, tra cui un'unità cinofila con il relativo cane addestrato, che dovrebbe essere utilizzata per il contrasto del traffico di stupefacenti;
   gli agenti hanno deciso di identificare i cittadini che si stavano limitando a esprimere liberamente le proprie opinioni, chiedendo loro di esibire i documenti di identità;
   appare irragionevole agli interroganti che l'amministrazione comunale abbia deciso di impiegare in modo inutile, con evidente spreco di uomini e risorse, la polizia locale contro cittadini pacifici anziché per le importanti funzioni che dovrebbe svolgere nella prevenzione e nel contrasto di gravi reati e per tutelare la sicurezza;
   la scelta dell'amministrazione suscita altresì perplessità e preoccupazione negli interroganti perché distrae l'attenzione della polizia locale dai compiti previsti dalla legge, danneggiando così la sicurezza dei cittadini e l'immagine della polizia locale stessa che rischia di essere strumentalizzata per le finalità politiche dell'amministrazione mortificando e disperdendo le professionalità e competenze presenti che dovrebbero essere impiegate contro il crimine;
   al signor Bianchi è stata recapitata una contravvenzione (verbale di accertamento n. 08114745 del corpo polizia municipale del comune di Padova) ove viene contestata l'affissione fuori dagli spazi consentiti e a ciò destinati dall'autorità competente, in violazione dell'articolo 113, comma 5 e 17 bis, del Tulps e del regio decreto n. 773 del 1931;
   secondo quanto riportato nel verbale di cui sopra, i contenuti di tali striscioni non appaiono offensivi né lesivi della onorabilità del sindaco Bitonci e/o della sua amministrazione, bensì si configurano come una legittima opinione, seppur critica ma dai toni assolutamente civili, espressa da un cittadino nei riguardi dell'amministrazione in carica, rientrante appieno nelle garanzie dell'articolo 21 della Costituzione. Di seguito, il testo degli striscioni rivolti al Sindaco: «Bitonci sindaco di tutti... chi ?», «basta falsità, basta bugie, anche l'Ira ti dà fastidio ?», «Bitonci sindaco del no ! ! !, buttati altri 60 milioni», «Bitonci-Saia i 100 giorni se ne sono andati, furti e ladri sono aumentati», «Vergogna, basta promesse fatte, Bitonci sindaco del no, no al nuovo ospedale, no al secondo tram, no all'auditorium, basta no ! ! !»;
   all'affissione, secondo quanto dichiarato dallo stesso Bianchi nell'articolo di giornale succitato, avrebbero partecipato una decina di persone, tutte identificate in loco dalla municipale, ma che a oggi non avrebbero ricevuto alcuna contestazione;
   la violazione della normativa su stampa e affissioni, peraltro partorita in epoca fascista, contestata al signor Bianchi, appare del tutto confliggente con la ratio stessa della norma, nonché con la libertà di espressione e di critica politica, capisaldi dell'ordinamento democratico del nostro Paese –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di intraprendere iniziative normative per rivedere la disciplina vigente per tutelare la libertà di espressione, di manifestazione pacifica e di critica politica dei cittadini senza che l'esercizio di tale diritto venga irragionevolmente ostacolato, così evitando che si verifichino casi come quello di cui in premessa. (4-08698)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con un provvedimento di espulsione, è stato rimpatriato un marocchino di 41 anni, Khalid Smina, residente a Imola (Bologna), titolare di permesso di soggiorno, che – come emerso dagli accertamenti – aveva aderito a una pratica integralista della religione con una vocazione al terrorismo;
   lo ha riferito con una nota il Ministro dell'interno;
   il marocchino faceva parte «della rete di Jarraya Khalil detto «il colonnello» tunisino» arrestato nel 2008 dalla Digos di Bologna per associazione con finalità di terrorismo, recentemente scarcerato e rimpatriato;
   la scarcerazione e il rimpatrio di tali personaggi appare davvero inquietante soprattutto per l'appartenenza degli stessi all'elenco divulgato dagli Stati Uniti d'America in relazione ai terroristi più ricercati al mondo;
   se fosse vero come riportano le agenzie che anche tale Yarraya sarebbe stato scarcerato e rimpatriato saremo dinanzi secondo l'interrogante ad un ennesimo regalo al terrorismo internazionale;
   appare davvero inspiegabile come sia potuto accadere che tali personaggi siano stati scarcerati e rimpatriati;
   tale Yarraya è stato per diverso tempo detenuto nel carcere di Macomer dove di recente sono emersi fatti inquietanti e soprattutto per una gestione della struttura penitenziaria davvero superficiale;
   come detto in altri atti ispettivi la Sardegna è stata suo malgrado e con grave spregiudicatezza dello stato crocevia internazionale del terrorismo islamico;
   nel silenzio assoluto nella casa circondariale di Macomer erano detenuti infatti terroristi tra i più ricercati al mondo;
   tre anni fa con atto di sindacato ispettivo restato senza alcuna risposta da parte del Governo l'interrogante denunciò tutto quello che avveniva in quel carcere in assenza delle più elementari regole di sicurezza;
   si trattava di una gestione con detenuti in un carcere per tossicodipendenti dove secondo le ultime indiscrezioni si progettavano strategie e attentati di ogni genere;
   nel carcere di Macomer erano detenuti il numero uno della strage di Madrid, Rabei Osman, il grande reclutatore il franco–tunisino Raphael Gendron, braccio destro dell'imam Ayachi, leader islamista «belga» pregiudicato per terrorismo, ucciso subito dopo la detenzione a Macomer in uno scontro con le truppe dell'esercito di Damasco, e il tunisino Bouyahia Hamadi Ben Abdul, l'uomo della caffettiera inserito nella lista nera di Obama tra i sessanta terroristi più ricercati al mondo;
   fu proprio Bouyahia Hamadi a consegnare al sottoscritto interrogante un manoscritto nel quale tentava una maldestra autodifesa confermando in quell'occasione di essere dal 2000 sotto controllo dell'antiterrorismo internazionale;
   tra loro, appunto, anche Khalil Jarraya, tunisino di 41 anni, detto il colonnello perché aveva combattuto nelle milizie bosniache dei «Mujihaddin» durante la guerra nella ex Jugoslavia e che ora risulterebbe scarcerato e rimpatriato;
   era Khalil Jarraya il vero promotore della cellula jaddista fermata a Faenza e di cui facevano parte altri detenuti di Macomer come Hechmi Msaadi, tunisino di 33 anni, Ben Chedli Bergaoui, tunisino di 36 anni, e Mourad Mazi;
   a Macomer hanno soggiornato a lungo efferati terroristi ma quel che è più grave è il fatto che questi detenuti potevano organizzare e dialogare con loro di tutto comprese le strategie terroristiche;
   nel corso di quella visita il sottoscritto interrogante riscontrò personalmente che tra i terroristi vi era un rapporto costante e aggiornato in tempo reale;
   tra loro i colloqui avvenivano costantemente attraverso le finestre esterne del carcere con un vero e proprio collegamento vocale continuo;
   il fatto che oggi emerga da più parti che in quella struttura possa essere stato progettato l'ennesimo attentato di matrice jaddista conferma la gravità della gestione di questi detenuti da parte dello Stato;
   siamo dinanzi ad una struttura investigativa antiterrorismo che svolge un lavoro delicatissimo e che poi viene mortificato da una gestione inaccettabile delle strutture penitenziarie;
   ora che quel carcere è stato maldestramente chiuso emergono risvolti gravissimi che confermano la denuncia che l'interrogante fece tre anni fa quando chiese l'immediato allontanamento dalla Sardegna e da quel carcere di quei personaggi che anche agli occhi di un profano dialogavano e strutturavano la permanenza in quel carcere come una sorta di cellula islamica in terra sarda;
   se fosse confermato che nel carcere di Macomer è stata architettata e progettata la strage di Tunisi devono essere individuati i responsabili di questa scandalosa gestione;
   la notizia dei terroristi islamici in terra sarda trapelò solo in quell'occasione quando uno di quei personaggi di spicco tramortì con una caffettiera un agente di sicurezza spedendolo all'ospedale in gravi condizioni;
   il giorno nel corso di una visita ispettiva emerse la situazione gravissima che fu denunciata con un'azione parlamentare;
   il Governo di allora con il Ministro Severino non solo non intervenne ma confermò la scelta di Macomer per quel tipo di detenuti anche se vi erano stati già diversi tentativi di rivolta da parte degli islamici;
   è altrettanto accertato che i detenuti di Macomer una volta fuori sono ritornati in azione;
   basti pensare che due mesi fa il dipartimento di Stato americano ha emesso una lista nera dei terroristi più ricercati e tra questi spiccano l'uomo della caffettiera, Bouyahia Hamadi Ben Abdul braccio destro di Abu Omar e Jarraya Khalil;
   lo era sino a poco tempo fa anche il franco-tunisino Raphael Gendron, bracci destro dell'imam Ayachi, leader islamista «belga» pregiudicato per terrorismo ucciso in uno scontro con le truppe dell'esercito di Damasco e che nel carcere di Macomer svolgeva il ruolo di coordinatore del gruppo;
   nel corso della trasmissione Matrix su Canale 5 del 25 marzo 2015 in un servizio puntuale sulla gestione del carcere sono stati mostrati i registri delle telefonate dei detenuti;
   dalle immagini si poteva in modo chiare leggere il traffico telefonico dei vari terroristi verso le località più disparate e presumibilmente senza alcun tipo di controllo, proprio perché non risultavano interpreti disponibili in quel carcere;
   appare gravissimo che tali registri si trovassero ancora in quella struttura e che gli stessi venissero pubblicamente mostrati confermando la superficialità della gestione da parte del provveditorato regionale dell'amministrazione penitenziaria;
   appare gravissimo che nelle celle dei detenuti e nel luogo in cui avvenivano queste conversazioni telefoniche si trovassero quotidiani afferenti la lotta armata e il fondamentalismo islamico –:
   se non ritenga di dover fornire ogni elemento, per quanto di competenza, sulla scarcerazione di tali personaggi e del motivo del rimpatrio;
   se sia stata verificata preventivamente la gestione di una casa circondariale come carcere per terroristi di livello internazionale consentendo agli stessi una irragionevole e davvero grave contiguità che consentiva agli stessi di pianificare, fare strategie e scambiarsi informazioni di ogni genere;
   se vi fossero dai registri telefonici passaggi utili per comprendere l'attività di tale Yarraya;
   se risulti attendibile l'indiscrezione trapelata nei media che il recente attentato di Tunisi possa essere stato pianificato o che comunque avesse un qualche legame con il carcere di Macomer e se Yarraya fosse detenuto in tempi sospetti nel carcere di Macomer. (4-08700)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   con la riforma dell'università sono stati introdotti dei criteri e delle regole per la valorizzazione della qualità e dell'efficienza tra cui un sistema di accreditamento periodico delle università attraverso criteri definiti ex ante anche ai fini della allocazione delle risorse con criteri di qualità e merito;
   come è purtroppo noto alla complessa riforma non sono seguiti adeguati investimenti e prosegue una costante azione di disinvestimento con misure che rischiano di diminuire il livello qualitativo indebolendolo ulteriormente il sistema italiano dell'università e della ricerca;
   nello specifico, con ripetuti interventi legislativi che modificano le percentuali, continuano ad essere estese le disposizioni sul blocco del turn over previste dal decreto-legge n. 112 del 2008 per il triennio 2009-2011;
   con il decreto ministeriale pubblicato il 27 marzo 2015 sono state evidenziate le conseguenze della situazione grave in cui versa il sistema ovvero che «l'offerta formativa rischia di essere pregiudicata dalle limitazioni in materia di turn over previste dalla normativa vigente»;
   il decreto, preso atto della grave situazione provocata dai tagli e dalle limitazioni poste al sistema, per evitare le inevitabili conseguenze, attenua in via transitoria i requisiti minimi per l'accreditamento dei corsi di laurea;
   tali requisiti, posti a presidio della qualità, sono stati definiti in attuazione della riforma universitaria dall'articolo 5, comma 1, del decreto ministeriale 30 gennaio 2013, n. 47, e successive modificazioni, e hanno trovato applicazione a decorrere dall'anno accademico 2013/2014;
   il provvedimento, pur non variando il numero minimo di docenti per attivare i corsi di laurea (nove per i corsi di primo livello e sei per quelli di secondo), permetterà di considerare nel computo anche i professori non strutturati ovvero i professori a contratto, anche a titolo gratuito, e i professori straordinari a tempo i cui oneri finanziari sono a carico di imprese o fondazioni, o altri soggetti pubblici o privati su base convenzionale, fino alla misura di un terzo dei posti;
   le nuove disposizioni saranno in vigore fino all'anno accademico 2017/2018, termine ultimo degli attuali limiti al turn over del personale, e riguarderà sia le università statali che quelle non statali;
   il decreto completa nella sostanza una politica di Governo che da una parte blocca il turn over e, dall'altra, cosciente del depauperamento dell'offerta formativa, ritiene di porvi rimedio abbassando i requisiti minimi di docenza per l'accreditamento dei corsi;
   tale scelta oltretutto cambia le regole nel corso della programmazione con conseguenze negative su chi le ha osservate e con un messaggio molto lontano da quello impresso con la riforma;
   la situazione rischia di favorire fenomeni distorsivi come l'utilizzo di docenti precari, spesso non di eccellenza o che non sono riusciti ad ottenere l'abilitazione, o come l'utilizzo dei minimi, non solo per sostenere un'offerta formativa già collaudata ed entrata in sofferenza, ma anche per aprire nuovi corsi di laurea, soprattutto da parte di realtà, come alcune università telematiche, che già hanno mostrato scarsa sensibilità per la qualità della docenza –:
   se il Ministro interpellato abbia considerato le possibili conseguenze che la nuova disciplina comporterà e quali siano i suoi intendimenti in merito;
   se non ritenga opportuno adoperarsi per provvedere allo sblocco immediato del turn over e alla allocazione di risorse straordinarie che consentano – attraverso un programmato inserimento nel sistema universitario accademico italiano basato sul merito – l'accesso di giovani nella ricerca e alla docenza e il mantenimento dell'eccellenza formativa e della ricerca scientifica, come pilastro fondamentale dello sviluppo economico, sociale e culturale del Paese;
   se non ritenga in subordine, qualora il blocco del turn over risultasse una necessità ineludibile, di assumere iniziative per definire norme rigorose che impediscano l'uso di «minimi in deroga» per aprire nuovi corsi di laurea non solo direttamente, come è già previsto, ma anche indirettamente, e cioè attraverso professori a contratto, anche a titolo gratuito, e professori straordinari a tempo i cui oneri finanziari sono a carico di imprese o fondazioni, o altri soggetti pubblici o privati su base convenzionale.
(2-00917) «Santerini, Dellai».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'INCÀ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tra i temi più rilevanti che pone la riforma della scuola vi è quello delle assunzioni per l'anno scolastico 2016-2017, alle quali si dovrebbe accedere solo attraverso concorso;
   la partecipazione al concorso sarebbe vincolata al titolo di abilitazione all'insegnamento (TFA, PAS);
   la problematica, sollevata e sostenuta da più parti, soprattutto ’dagli ambienti accademici, riguarda tutti quei giovani altamente qualificati che mentre seguivano gli impegnativi percorsi triennali per il conseguimento del dottorato di ricerca, o qualsiasi altro corso che dà diritto all'acquisizione di crediti formativi universitari o accademici, in Italia e all'estero, da qualsiasi ente organizzati, si sono visti sbarrata la strada alla frequentazione dei corsi abilitanti all'insegnamento;
   è necessario sottolineare che la frequenza del dottorato di ricerca segue il superamento di un concorso bandito dalle università ed è incompatibile sia con l'insegnamento nelle scuole che con la frequenza dei corsi abilitanti. Per tale incompatibilità, così come previsto dall'articolo 3 del decreto ministeriale n. 249 del 10 ottobre 2010, purtroppo la maggior parte di questi giovani si trovano ora esclusi, sia dal mondo accademico, per via della riduzione delle risorse assegnate alla ricerca, sia dalla scuola –:
   se il Ministro interrogato intenda consentire ai dottorandi di ricerca di partecipare ai futuri corsi abilitanti (percorsi abilitanti speciali e tirocini formativi attivi), qualora in possesso dei requisiti richiesti dai relativi bandi, contemporaneamente allo svolgimento del dottorato.
(5-05260)


   PICCOLI NARDELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli istituti culturali italiani, anche se soggetti di natura privata, assolvono a fondamentali funzioni di interesse pubblico;
   gli istituti culturali, che sono organizzazioni senza scopo di lucro, promuovono le attività di studio e di ricerca e si occupano, inoltre, della conservazione e della valorizzazione patrimonio bibliotecario e archivistico;
   gli istituti, in quanto soggetti di natura privata, non possono usufruire delle misure introdotte con l’«artBonus» all'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito dalla legge 29 luglio 2014, n. 106;
   nonostante l'inversione di tendenza da parte di questo Governo, nelle legislature precedenti le risorse finanziarie destinate dallo stato agli istituti culturali hanno subito notevoli tagli;
   la maggior parte delle istituzioni culturali afferenti all'Associazione degli istituti culturali italiani ha inviato domanda per contributo ordinario annuale dello Stato mediante l'inserimento nella tabella triennale delle istituzioni culturali 2015-2017 del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 1, legge 17 ottobre 1996, n. 534;
   alcune istituzioni culturali hanno già ottenuto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per il 2014, un contributo ordinario annuale dello Stato erogato ai sensi dell'articolo 8 della legge 17 ottobre 1996, n. 534, relativamente alle istituzioni culturali non inserite nella tabella di cui all'articolo 1;
   l'articolo 2, comma 2 del decreto direttoriale 13 ottobre 2014 n. 3057 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca emanato ai sensi del decreto ministeriale 8 febbraio 2008, n. 44, recita «Non possono usufruire dei contributi di cui all'articolo 1 gli enti pubblici di ricerca, le università statali e non statali, i centri, i consorzi e le società di ricerca e loro consorzi, costituiti ai sensi degli articoli 91 e 91-bis del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e loro fondazioni costituite ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 2001, n. 254, nonché gli enti che hanno ottenuto nel corso del medesimo esercizio contributi di funzionamento o altri contributi aventi medesime finalità e natura giuridica, a carico del bilancio dello Stato»;
   l'articolo 9, comma 1, del decreto direttoriale 13 ottobre 2014 n. 3057 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca emanato ai sensi del decreto ministeriale 8 febbraio 2008, n. 44, recita «Gli enti inseriti nella Tabella Triennale 2014-2016 (per la concessione dei contributi per il funzionamento degli enti privati che svolgono attività di ricerca) non possono beneficiare, nel corso del medesimo periodo, di altri contributi di funzionamento o di altri contributi aventi le stesse finalità e natura giuridica, a carico del bilancio dello Stato»;
   l'articolo 2, comma 2, e l'articolo 9, al comma 1, del decreto direttoriale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 3057 del 13 ottobre 2014 hanno generato dubbi interpretativi sulla possibilità di presentazione delle domande per i contributi. In particolare i contributi ricevuti dalle istituzioni culturali ai sensi degli articoli 1 e 8 della legge 17 ottobre 1996, n. 534, non sembrano essere ostativi all'accesso al bando pubblico per la concessione dei contributi erogati ai sensi del decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 44 dell'8 febbraio 2008 –:
   quali iniziative il Ministro intenda assumere allo scopo di chiarire in modo esplicito le interpretazioni dei citati articoli 2, comma 2, e 9, comma 1, del decreto direttoriale 13 ottobre 2014, n. 3057, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e permettere agli istituti culturali ammissibili la presentazione delle domande per l'assegnazione dei contributi previsti ai sensi del decreto ministeriale 8 febbraio 2008, n. 44. (5-05262)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COMINARDI, LUIGI DI MAIO, TRIPIEDI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CHIMIENTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano «Il Manifesto» online, articolo del 27 marzo 2015, dal titolo «Nella fabbrica modello si muore sulle linee», Luigi Noto, 49 anni, addetto alla manutenzione nel reparto stampaggio, lavoratore nello stabilimento Fca Giambattista Vico di Pomigliano d'Arco «aveva smesso di lavorare domenica mattina e aveva riattaccato lo stesso giorno alle 22 per il turno di notte, alle sei di lunedì avrebbe dovuto smontare e tornarsene a casa, ma alle cinque si è sentito male: ha appena avuto il tempo di dire A non respiro e si è accasciato. Morto per infarto. Lo hanno portato nella clinica Villa dei Fiori, ma secondo qualche collega era già deceduto in fabbrica». Come riportato dall'articolo citato «Nel reparto si lavora su tre turni, mattina, pomeriggio e notte dal lunedì al venerdì, la settimana comincia domenica alle 22. L'organizzazione prevede un ciclo fatto di due giorni al primo turno, due al secondo, due al terzo, smonto e riposo». In merito alla vicenda, la Fiom avrebbe già richiesto all'azienda un incontro al fine di conoscere quali siano i dispositivi medicali presenti nei reparti e quali siano i tempi di intervento in caso di incidente o malore;
   a giudizio degli interroganti, facendo seguito all'attività svolta con gli atti parlamentari n. 5-03959 e n. 4-05598 finalizzati a porre quesiti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali su vicende legate al fenomeno dei suicidi dei lavoratori e fermo restando l'accertamento da parte dell'autorità giudiziaria competente di eventuali responsabilità civili o penali, si rende opportuno conoscere se all'interno delle aziende, a cominciare da quelle di maggior grandezza a livello nazionale per numero di lavoratori occupati e, nel caso di specie, con riferimento allo stabilimento di Pomigliano d'Arco citato nell'articolo predetto, siano state avviate, e con quale cadenza, delle ispezioni e dei controlli da parte degli ispettori dell'INAIL, per le attività di competenza, e degli ispettori del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al fine di valutare il corretto adempimento degli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008, in materia di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro nonché il rispetto della disciplina della durata dell'orario normale e massimo di lavoro, e delle relative pause, ai sensi del decreto legislativo n. 66 del 2003 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se siano state avviati, ovvero s'intendano avviare, ispezioni e controlli da parte dell'INAIL e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in merito al corretto adempimento degli obblighi previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008 e del decreto legislativo n. 66 del 2003, nelle aziende di maggior grandezza a livello nazionale per numero lavoratori occupati con particolare attenzione allo stabilimento della FCA di cui all'articolo del quotidiano citato in premessa. (5-05252)


   CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI, DALL'OSSO, CIPRINI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Luigi Lavazza S.p.A., di proprietà della famiglia Lavazza, è un'azienda italiana fondata a Torino nel 1895, produttrice di caffè tostato e che figura tra i leader mondiali in questo settore merceologico grazie alla sua presenza in 90 Paesi;
   la Luigi Lavazza S.p.A. possiede quattro stabilimenti produttivi con sede in Italia e due nel mondo (Brasile e India), 90 consociate estere, oltre 80 distributori autorizzati nel mondo e impiega nel complesso 4 mila dipendenti;
   il gruppo Lavazza ha chiuso il 2013 con un fatturato di euro 1.340,1 milioni di euro, in rialzo dello 0,7 per cento rispetto al 2012, e le proiezioni per il fatturato del 2015 che saranno pubblicate il prossimo mese di maggio parlano di un possibile aumento grazie alla quota di fatturato che la Lavazza ha realizzato sui mercati internazionali, che si attesta al 50 per cento contro il 46 per cento del 2013;
   la Lavazza dirige e controlla anche la società di intermediazione finanziaria «Cofincaf S.p.A.», è proprietaria del 100 per cento di Ercom S.p.A., società che commercializza i prodotti a marchio «Eraclea» «Dulcimea» e «Whittington» e detiene da fine febbraio 2015 circa il 3 per cento delle azioni di Keurig Green Mountain, un'azienda americana anch'essa leader nel settore del caffè, dopo averne venduto un asset importante di circa il 4 per cento per reperire la liquidità necessaria per l'acquisizione dei marchi francesi del caffè L'Or e Grand'Mère, operazione non andata a buon fine a causa di uno stop da parte della Commissione europea che ha stimato i rimedi proposti nel piano di acquisizione non sufficienti;
   a fine ottobre del 2013 la Lavazza decide di investire 60 milioni di euro nello stabilimento di Gattinara in Piemonte con lo scopo di aumentare la produzione del caffè in cialde e, tramite un nuovo comparto produttivo, di portare la produzione del caffè in polvere tradizionale nel suddetto stabilimento, con l'intento di renderlo il «modello» del gruppo;
   il 13 novembre 2014 la Lavazza, durante un tavolo di confronto con le organizzazioni sindacali, ha dichiarato di voler spostare da gennaio 2015 la lavorazione di 40 mila tonnellate di caffè dalla fabbrica di Settimo Torinese a quella di Gattinara, in cui i lavoratori hanno accettato un contratto aziendale più favorevole;
   da qui l'ovvia conseguenza della perdita, per lo stabilimento alle porte di Torino, di metà della produzione e la relativa cassa integrazione per buona parte dei dipendenti. Il 25 settembre il gruppo Lavazza decide di recedere da tutti gli accordi sindacali stipulati negli ultimi 42 anni con lo stabilimento di Settimo Torinese, che ha prodotto negli ultimi anni il 70 per cento degli utili netti della Luigi Lavazza S.p.A.;
   il 12 dicembre 2014, dopo innumerevoli contrattazioni con i sindacati, una serie di scioperi e presidi da parte dei dipendenti, è stato ratificato l'accordo per il rinnovo del contratto integrativo aziendale con condizioni più sfavorevoli rispetto al precedente e, in data 30 gennaio 2015, le parti sociali sono state convocate all'Unione industriale per sottoscrivere un verbale di accordo per il ricorso alla cassa integrazione ordinaria, motivato dall'avvio di un piano di riorganizzazione e ammodernamento dello stabilimento;
   la cassa integrazione straordinaria, che prevede la rotazione del personale per oltre un anno, avrà inizio ad aprile 2015 ed è stata richiesta con l'impegno di investire nel polo produttivo di Settimo 16 milioni di euro finalizzati ad attuare cambiamenti radicali alle strutture e alla disposizione delle linee di produzione, oltre che alla ristrutturazione e all'avvio di alcune opere edili all'interno dei reparti, con conseguenti spostamenti temporanei di linee e macchinari, l'eliminazione delle linee ritenute più obsolete e la modifica alle linee attuali, al fine di adibire un solo operatore al posto di due come invece avviene attualmente, con un conseguente esubero di personale –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per appurare se le sospensioni dal lavoro, di cui in premessa, siano motivatamente ricollegabili, nell'entità e nei tempi, al processo di riorganizzazione da realizzare, dal momento che per i programmi di dodici mesi o superiori occorre esplicitare il piano di gestione delle sospensioni e degli esuberi, avendo riguardo alle verifiche previste, come sancito dall'articolo 4, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 10 giugno 2000, n. 218;
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di monitorare il piano di riorganizzazione di cui in premessa, anche mediante un continuo confronto con il sindacato e il personale interessato alla cassa integrazione straordinaria, affinché si accerti che il personale possa usufruire di tutti gli ammortizzatori sociali disponibili e di corsi di supporto e formazione professionale. (5-05255)


   CHIMIENTI, TRIPIEDI, LOMBARDI, DALL'OSSO, COMINARDI e CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in applicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 e del decreto 7 novembre 2014, recante «Approvazione del modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione, nonché delle relative istruzioni per la compilazione ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159» vengono di fatto a cambiare, dopo 15 anni, le modalità del calcolo dell'ISEE, indicatore della situazione economica equivalente delle famiglie;
   sulla base delle modifiche introdotte, l'ISEE si basa sulle informazioni raccolte nella nuova DSU (dichiarazione sostitutiva unica) e sull'incrocio di dati a disposizione dell'Inps e dell'Agenzia delle entrate, contenendo dunque più dati e informazioni rispetto al modello precedente sul patrimonio mobiliare e immobiliare del contribuente, oltre che in merito a dati finanziari;
   l'attestazione ISEE è indispensabile agli studenti universitari per richiedere le agevolazioni per il diritto allo studio ed usufruire di riduzioni per il pagamento delle tasse universitarie e le eventuali richieste di borse di studio;
   nella compilazione del nuovo modello ISEE è necessario indicare tutti i redditi percepiti dai componenti del nucleo familiare del richiedente, compresi quelli soggetti a imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo di imposta e quelli esenti da Irpef, tra cui rientrano le borse di studio;
   oltre al calcolo per intero degli eventuali redditi o patrimoni di fratelli e sorelle conviventi, in luogo del 50 per cento previsto in precedenza, ad oggi lo studente vedrà cumulare anche l'ammontare della borsa di studio percepita l'anno precedente –:
   se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative al fine di consentire agli atenei di rivedere le aliquote per il conferimento delle borse di studio o di altre agevolazioni, come da premessa;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per un innalzamento delle soglie di reddito che consenta l'accesso a tutte le agevolazioni per il diritto allo studio. (5-05258)


   RIZZETTO, PRODANI e PASTORELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dello sciopero presso la sede triestina di Alcatel-Lucent Italia proclamato dalle rappresentanze sindacali unitarie di Fiom e Uilm poiché si teme una cessione del sito produttivo di Trieste, che occupa ben 850 persone (di cui 400 interinali), alle quali si aggiunge un indotto costituito dal personale dei servizi aziendali e che, sul piano produttivo, coinvolge altresì la Mw-Fep di Ronchi dei Legionari;
   a riguardo, ad oggi, la direzione di Alcatel-Lucent Italia non ha smentito la possibilità di cessione;
   si fa presente che, il sito in questione ricopre un ruolo strategico per il business dell'impresa, poiché produce tecnologie ottiche a livello mondiale con un altissimo livello di competenze specialistiche;
   secondo le rappresentanze sindacali unitarie sembra siano interessati all'acquisto dello stabilimento di Trieste due multinazionali statunitensi, Jabil e Flextronic, che operano nella produzione di componenti elettronici, che hanno i propri siti in Paesi in cui il costo del lavoro è molto più basso che in Italia. Pertanto, è forte la preoccupazione rispetto al futuro dei lavoratori dello stabilimento triestino, in quanto, queste due multinazionali sono note per aver già chiuso diversi siti produttivi, delocalizzando le attività e licenziando i lavoratori italiani;
   i sindacati ritengono, infatti, che le due multinazionali non hanno alcun interesse a mantenere la produzione in Italia, né sono intenzionate a portare nel nostro Paese nuove lavorazioni;
   si ricorda che, solo pochi mesi fa nel piano industriale firmato presso il Ministero dello sviluppo economico, lo stabilimento di Trieste è stato dichiarato strategico dalla proprietà dell'azienda, e, come tale, al centro della struttura produttiva;
   si ritiene, che vi siano fondati motivi per temere che un'eventuale vendita del sito produttivo di Trieste comporterebbe il concreto rischio, sia nel breve che nel lungo periodo, di uno smantellamento delle attività produttive, da delocalizzare in Paesi con basso costo del lavoro dove le due multinazionali americane hanno già i propri impianti. Ciò costituirebbe un grave danno per il territorio interessato, nonché per l'intero Paese; si ribadisce, infatti, che lo stabilimento in questione – fra dipendenti, lavoratori interinali e indotto (logistica, servizi e produzioni alla Mw-Fep di Ronchi dei Legionari, che a sua volta occupa circa 400 persone) dà lavoro a più di 850 famiglie;
   Alcatel-Lucent di Trieste è una delle più grandi aziende del territorio, un territorio che già versa in una profonda crisi occupazionale. Dunque, oltre al danno economico per la perdita del sito, sarebbe gravemente difficoltoso riassorbire gli ulteriori disoccupati che si determinerebbero con la cessione;
   si ritiene, quindi, sia necessario un intervento istituzionale affinché la proprietà chiarisca le proprie intenzioni sul destino del sito di Trieste, contrastando un'eventuale cessione al fine di salvaguardare più di 850 lavoratori, considerando anche l'indotto costituito dal personale dei servizi aziendali e che, sul piano produttivo, coinvolge la Mw-Fep di Ronchi dei Legionari –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in merito ai fatti di cui in premessa;
   se sia intenzione del Ministro convocare, urgentemente, un tavolo di concertazione con le parti sociali affinché si chiarisca la volontà della proprietà aziendale, adottando di conseguenza le opportune iniziative per scongiurare una possibile cessione del sito, che comporterebbe un grave danno ai lavoratori ed alle loro famiglie. (5-05261)


   GUIDESI e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   già con precedenti atti di sindacato ispettivo (n. 5-03845 del 22 ottobre 2014 e n. 4-04838 del 15 maggio 2015) tuttora privi di risposta, venivano denunciati i conflitti di interesse esistenti all'interno di talune cooperative, nonché l'assurda situazione in cui talune aziende nostrane si ritrovano sostanzialmente ostaggio di facchini stranieri appartenenti a cooperative;
   la recente inchiesta sul gas a Ischia è solo la punta dell’iceberg: dall'inchiesta sul passante dell'alta velocità di Firenze, passando per la vicenda del porto di Molfetta, fino allo scandalo che ha portato al commissariamento del Pd capitolino, negli ultimi anni le cooperative emiliane, orgoglio storico della sinistra, sono state al centro di svariate indagini della magistratura, facendo emergere un sistema corruttivo che influenza le più grandi opere italiane;
   le predette vicende sono ricostruite dettagliatamente da un articolo de Il Fatto Quotidiano del 31 marzo 2015;
   è indubbio che il malaffare, l'illegalità ed una dilagante corruzione caratterizzano il mondo delle cooperative, le quali, peraltro, limitano fortemente il principio della libera concorrenza tra operatori economici, utilizzando manodopera a basso costo e non tutelando i diritti di chi lavora;
   ad esempio, in attività inerenti ai servizi di logistica, dal facchinaggio ai traslochi, è frequente l'emergere di cooperative fittizie o di fenomeni di caporalato; inoltre le cooperative, godendo di sgravi fiscali ed aliquote contributive ridotte, elargiscono ai propri dipendenti o soci lavoratori paghe più basse in deroga ai contratti collettivi di categoria;
   dilaga, inoltre, l'insorgere di cooperative che forniscono servizi di accoglienza e assistenza ai profughi, per la gestione dei campi nomadi o che operano nel settore dell'emergenza immigrati, in un quadro – secondo gli interroganti – di un vero e proprio business dell'immigrazione clandestina (basti pensare al caso di Mafia Capitale ed alle intercettazioni di Carminati e di Buzzi);
   a parere degli interroganti, oggigiorno, le cooperative – ed il sistema di appalti e subappalti in cui le stesse operano – sono in palese contrasto con il principio costituzionale di cui all'articolo 45 della Costituzione –:
   se non si ritenga doveroso intervenire celermente, con ogni iniziativa di competenza, sulla vigente disciplina delle cooperative, al fine di rimediare alle distorsioni di mercato e a quella che agli interroganti appare la concorrenza sleale di fatto operata e garantire l'allineamento retributivo dei dipendenti delle cooperative ai dipendenti di aziende dello stesso settore.
(5-05283)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa, società per azioni il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, sembra abbia assunto nei confronti di una propria dipendente un comportamento contrario alla normativa in materia di lavoro ed ai criteri di buona fede e correttezza, che vigono nella gestione dei rapporti contrattuali;
   a riguardo, l'Ugl denuncia l'illegittimo licenziamento della signora Lorena Pennisi, dal 2008 dipendente di Poste italiane spa, nella qualità di portalettere presso il Nucleo scorta del centro di recapito di Parma Ovest;
   a quanto è dato sapere, la signora Pennisi è stata licenziata per superamento del periodo di comporto, senza alcuna preventiva comunicazione, come da prassi costante, da parte di Poste italiane in contrasto con i criteri di buona fede e correttezza;
   l'assenza dal servizio della signora Pennisi parrebbe imputabile al comportamento datoriale, sia per il sovraccarico di lavoro a cui la stessa è stata assoggettata negli anni, sia per il mancato trasferimento alla filiale di La Spezia, ove risiede con la famiglia, cui aveva diritto essendo la prima in graduatoria di mobilità dal 2014. Delle condizioni di salute della lavoratrice l'azienda è a conoscenza;
   in contrasto con gli orientamenti della giurisprudenza in materia, alla signora Pennisi non è stato concesso il prolungamento del periodo di comporto mediante la sostituzione della malattia con le ferie maturate nell'anno 2014;
   ebbene, l'interrogante già con atto di sindacato ispettivo (n. 5-04823) del 24 febbraio 2015, ha denunciato un comportamento scorretto di Poste italiane spa che è ricorsa ad un utilizzo illegittimo di contratti a termine, determinando la presentazione di ricorsi giudiziari contro la società, da parte di circa 15.000 dipendenti precari;
   pertanto, anche in considerazione del disposto licenziamento di dubbia leggittimità della signora Pennisi, si vuole evitare che Poste italiane perseveri in un comportamento non corretto nei confronti dei propri lavoratori per ridurre i costi del personale, anche attraverso licenziamenti «selvaggi» e privi di alcun fondamento;
   tra l'altro, con riferimento a di tali provvedimenti si vuole sollecitare anche un'attività di controllo, e la conseguente adozione di iniziative nei confronti dei dirigenti che adottano tali decisioni che, se accertate, dimostrano, a giudizio dell'interrogante un'evidente incompetenza professionale –:
   quali siano gli orientamenti del Governo rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intendano intraprendere affinché Poste Italiane spa, società il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano, adotti politiche del lavoro conformi alla normativa in materia e dunque rispettose dei principi di buona fede e correttezza che vigono nei rapporti contrattuali, evitando il rischio di licenziamenti illegittimi. (5-05287)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   «Terme di Stabia» è una società per azioni partecipata dal comune di Castellammare di Stabia che si occupa della gestione dei complessi patrimoniali termali siti in Castellammare di Stabia, costituiti dalle terme comunali di proprietà del comune (ivi compresa l'utilizzazione delle sorgenti) e dalle nuove terme di proprietà della Società immobiliare nuove terme di Castellammare di Stabia;
   per lungo periodo essa è stata una delle eccellenze dell'economia stabiese, senza dimenticare il valore sociale e culturale che le terme rappresentano;
   negli ultimi anni la crisi economica, unita a scelte amministrative erronee, ha portato la società a versare in condizioni a dir poco critiche;
   nonostante fossero state portate all'attenzione dell'amministrazione comunale una serie di proposte finalizzate a dare nuovo impulso al settore termale, il sindaco e la giunta hanno scelto un'altra strada, presentando una proposta di concordato preventivo che aveva immediatamente destato numerose perplessità;
   tali perplessità non erano affatto infondate, dato che il tribunale di Torre Annunziata, con un decreto del 19 marzo 2015, ha bocciato la proposta di concordato preventivo;
   alla base di tale decisione ci sono innanzitutto una serie di profili concernenti la scarsa fattibilità giuridica insiti nella proposta di concordato;
   in particolare, la proposta prevede una notevole falcidia concordataria delle ritenute non versate ed un trattamento deteriore dei privilegiati rispetto ai chirografari, aspetti non ammissibili in questo contesto;
   inoltre, aspetto ancor più importante, il tribunale di Torre Annunziata ha ritenuto inammissibile la proposta di concordato preventivo perché non approvato dalla maggioranza prescritta dall'articolo 177 della legge fallimentare;
   si procederà dunque, con il fallimento;
   il fallimento di «Terme di Stabia s.p.a.» colpisce a vario titolo oltre 200 ex termali, sia per gli stipendi pregressi non percepiti, sia per l'imminente scadenza della cassa integrazione, prevista per il 30 maggio 2015, cui vanno sommati i lavoratori dell'indotto e coloro i quali, lavorando in ambito turistico ed alberghiero, risentiranno fortemente del destino delle Terme;
   dopo questa data, si prospetta per tutti i dipendenti ancora sotto contratto il licenziamento;
   in una fase storica resa così difficile e complessa dalla crisi economica, che ha colpito il Mezzogiorno ancor più che il resto del Paese, immaginare che svariate decine di famiglie si ritrovino senza alcuna forma di sostentamento è estremamente grave –:
   se non ritengano opportuno, urgente e doveroso intervenire, per quanto di competenza, al fine di salvare e rilanciare il settore termale stabiese e salvaguardare la posizione dei dipendenti di «Terme di Stabia s.p.a.». (4-08667)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 2 aprile 2015 era possibile trovare in diverse aziende del modenese volantini volti a pubblicizzare la possibilità di assumere con contratti interinali di diritto rumeno lavoratori per mansioni diverse da svolgere in Italia;
   tali volantini indicavano tra l'altro i vantaggi nell'esclusione dai versamenti INAIL e INPS, nell'assenza di problematiche legate a malattie e infortuni, in risparmi salariali fino al 40 per cento;
   l'operazione sarebbe da ricollegare a W.S. Agency, un'agenzia di lavoro temporanea autorizzata dal Ministero del lavoro, famiglia e protezione sociale, con la licenza serie A n. 113/21.11.2012, come riscontrabile dal sito (http://worksupportagency.com);
   appare evidente che avallare la semplice possibilità di impiego di lavoratori sul territorio italiano tramite simili espedienti significherebbe cancellare di fatto i contratti nazionali di lavoro, nonché introdurre aree franche esentate dalla legislazione vigente –:
   quali iniziative immediate si intendano mettere in campo per contrastare simili iniziative, lesive dei diritti dei lavoratori, anche prevedendo la revoca ad operare nei confronti dei soggetti che le ponessero in essere. (4-08668)


   PAGLIA e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 15 maggio 2014, al termine di una lunga vertenza che seguiva la dichiarata volontà di Electrolux di mettere in mobilità fino a 1.700 addetti con la possibile chiusura dello stabilimento di Porcia, veniva firmato un accordo fra Governo, azienda e rappresentanze sindacali;
   tale accordo prevedeva il finanziamento al 35 per cento per 4 anni dei contratti di solidarietà per tutti gli stabilimenti del gruppo, oltre ad un più intenso ritmo di lavoro a investimenti per 150 milioni di euro nel triennio 2014-2017, nonché alla rinuncia ai licenziamenti e alla dismissione di unità produttive;
   l'accordo fu allora valutato positivamente dalle parti sociali e da tutte le forze politiche, con il Governo che arrivò a parlare di svolta nella gestione delle crisi industriali;
   era d'altronde evidente che l'architrave su cui poggiava l'intesa fossero proprio i contratti di solidarietà, che permettevano di mantenere i posti di lavoro e ridurre il costo per unità di prodotto, garantendo maggiore competitività agli stabilimenti italiani integrati nel sistema Electrolux;
   è di questi giorni la notizia che il Governo avrebbe finanziato solo per il biennio 2014-2015 i contratti di solidarietà per 3 stabilimenti su 4, lasciando invece addirittura privo dei contributi necessari per il biennio 2014-2015 quello di Forlì, ultimo a presentare la domanda, pur nei tempi previsti;
   appare chiaro che tale atteggiamento del Governo rischia di minare alla radice la fiducia del sistema imprenditoriale, soprattutto internazionale, nell'attendibilità degli accordi sottoscritti, e in particolare di mettere a repentaglio il piano degli investimenti, venendo a mancare un quadro stabile di certezze, e quindi sostanzialmente la tenuta della continuità produttiva;
   sono inoltre del tutto condivisibili le preoccupazioni di lavoratori, lavoratrici e rappresentanze sindacali, davanti alla circostanza che sia stato rimesso in discussione di fatto un accordo da cui dipendono centinaia di posti di lavoro –:
   quali garanzie il Governo intenda dare rispetto al pieno rispetto dell'accordo, in particolare rispetto all'immediato stanziamento dei fondi necessari alla copertura del primo biennio per il sito di Forlì e dell'intero periodo per tutti e quattro gli stabilimenti, anche intervenendo con iniziative normative urgenti qualora lo si ritenesse necessario, come parrebbe di cogliere da parole del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. (4-08674)


   BERRETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vertenza della società Mercatone Uno coinvolge numerose filiali in tutta Italia, tra cui anche quella di Misterbianco in provincia di Catania;
   la chiusura del punto vendita di Catania coinvolge 99 dipendenti che da tempo sono in stato di agitazione;
   numerose iniziative sono state messe in atto dai lavoratori per tutelare la propria posizione come documentato da numerosi articoli comparsi su quotidiani cartacei e portali di informazione come ad esempio negli articoli apparsi su Livesicilia Catania a firma Roberta Fuschi in data 18 marzo e 1o aprile;
   gli incontri in sede ministeriale hanno portato all'ipotesi di un commissariamento dei punti vendita siciliani facendo ricorso alla legge Marzano come da articolo apparso sull'edizione online del Giornale di Sicilia in data 4 aprile;
   tale vertenza è giunta all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico dove è stato formalmente istituito un tavolo di confronto permanente, su richiesta dei sindacati di categoria, per fare il punto sullo stato gestionale della rete vendita che occupa complessivamente 4000 addetti. Il Tavolo ministeriale dovrà anche esaminare gli esiti delle proposte di acquisizione parziale dei punti vendita del gruppo;
   il tribunale di Bologna ha recentemente autorizzato un massivo piano di svendite presso ben 34 negozi della rete commerciale, ossia i negozi a maggior rischio secondo il piano elaborato dal management di M. Business srl –:
   quali iniziative intendano realizzare per salvaguardare i 200 posti di lavoro delle filiali siciliane dell'azienda (99 a Misterbianco i restanti nel punto vendita di Carini in provincia di Palermo);
   quali iniziative intendano assumere per garantire ai lavoratori coinvolti la fruizione degli ammortizzatori sociali.
(4-08681)


   BURTONE, ALBANELLA e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia fino al 30 settembre 2013 era attivo un sistema di partenariato pubblico-privato per l'erogazione dei servizi di orientamento obbligatori previsti dal decreto legislativo n. 181 del 2000 e dal decreto legislativo n. 297 del 2002, dalle norme regionali collegate, e sulla base di quanto disposto dalla legge regionale n. 24 del 2000, modificata poi nel 2014;
   gli operatori dei suddetti servizi provenivano dal sistema della formazione professionale siciliana, ancora regolato dalla legge regionale n. 24 del 1976, che alla fine del 2013 contava complessivamente circa 8.000 operatori, e sono stati impegnati con contratti a termine dall'ente in house della regione siciliana Ciapi di Priolo Gargallo in un progetto mirato all'erogazione di azioni di politica attiva del lavoro a lavoratori beneficiari di ammortizzatori sociali in deroga e successivamente, dal 9 gennaio all'8 aprile 2015, nell'azione di orientamento di secondo livello del programma Garanzia giovani;
   alla commissione di merito dell'Assemblea regionale siciliana è già iniziato l'esame del disegno di legge regionale n. 814 del 2014 di iniziativa governativa per la riforma del sistema regionale di istruzione e formazione professionale;
   a causa della mutata politica di gestione dei servizi di orientamento e della revoca dell'accreditamento per la formazione ad alcuni enti di formazione, diverse migliaia di lavoratori sono stati sospesi o licenziati, sono in credito di retribuzioni che in diversi casi superano le 20 mensilità, e per tutto il settore le prospettive occupazionali al momento appaiono incerte;
   con RUDL/D.D.G. n. 1251/2015 del 24 marzo 2015 state pubblicate le linee guida della regione siciliana per l'accreditamento dei servizi per il lavoro –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro intenda attivare per agevolare la risoluzione della questione occupazionale degli operatori provenienti dal sistema della formazione e dei servizi di orientamento della Sicilia, per scongiurare l'aggravamento della condizione economica e sociale di migliaia di lavoratori e delle loro famiglie;
   se il Ministro intenda convocare un tavolo di crisi, così come già richiesto dalle organizzazioni sindacali regionali e sollecitato da un gruppo di deputati del Partito democratico. (4-08696)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Vigilante srl è un istituto di vigilanza privata armata e portierato non armato, con sede legale a Napoli, che svolge attività lavorativa presso committenti pubbliche e private nella provincia partenopea;
   lo stesso istituto, conta attualmente in organico circa 336 unità;
   secondo quanto si apprende dalla stampa, in effetti, nel marzo 2014 i militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Napoli dettero esecuzione ad una ordinanza di sequestro preventivo ai fini della confisca, emesso dal gip su richiesta della procura di Napoli, del complesso aziendale e delle quote sociali della società «La Vigilante srl», per un valore di circa 19 milioni di euro. Secondo quelle ipotesi accusatorie, l'imprenditore amministratore pro tempore dell’«Istituto di vigilanza privata La Vigilante», al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte sui redditi e l'iva (pari a 19,7 milioni di euro) avrebbe simulato l'alienazione dell'intero patrimonio aziendale attraverso la stipula di un atto di scissione parziale»;
   secondo la procura di Napoli, l'azienda sarebbe quindi stata conferita a «La Vigilante srl», costituita contestualmente alla scissione, amministrata dallo stesso soggetto e con medesima composizione e oggetto sociale. La nuova «good company» sarebbe risultata quindi sgravata dell'ingente onere fiscale e la sua creazione avrebbe reso vana e inefficace l'azione di riscossione del recupero crediti, in particolare quelli erariali;
   risulta di tutta evidenza come chi rischia di pagare il prezzo più pesante di tutto ciò sono i lavoratori dipendenti dell'istituto La Vigilante srl, che sono sospesi ad un filo di speranza legato ad un esame congiunto avviato in data 16 febbraio 2015 presso la sede della regione Campania consistente – secondo quanto dichiarato all'interrogante dai dipendenti medesimi – nel ricorso delle parti convenute alla cassa integrazione guadagni straordinaria e alla messa in mobilità esclusivamente per quei soggetti che manifesteranno la «volontà di non opposizione al licenziamento», qualora ne dovessero essere destinatari, a causa della crisi economico-finanziaria che ha investito la stessa società;
   nel frattempo, peraltro, è intervenuto un concordato preventivo in bianco del 13 gennaio 2015 al protocollo generale n. 727 acquisito presso il tribunale di Napoli con conseguente esito negativo cui è seguita, in data 27 marzo 2015, la nomina di un curatore fallimentare;
   gli stessi dipendenti, tra mille difficoltà oggettive ed economiche (da mesi non ricevono lo stipendio), non essendo sostenuti e tutelati adeguatamente, stanno manifestando pacificamente da qualche tempo dinanzi alla prefettura di Napoli, alla propria azienda e in altre sedi, al fine di far emergere la propria disastrosa e critica situazione, nella quale versano già da diverso tempo senza avere alcuna risposta esaustiva in merito dalle stesse parti sociali –:
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati per quanto di competenza, al fine di salvaguardare i 336 posti di lavoro in discussione, nonché di vigilare sull'utilizzo degli strumenti impiegati dalle società in questione, che hanno portato a tale risultato. (4-08705)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Corte dei conti ha segnalato che molti appalti Expo sono stati assegnati senza gara d'appalto ad evidenza pubblica ai sensi del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Il più clamoroso è lo spazio dato a Oscar Farinetti: la sua Eataly sarà presente all'esposizione universale 2015 di Milano con due padiglioni da 4mila metri quadrati ciascuno, in cui funzioneranno 20 ristoranti, uno per regione italiana;
   tale assegnazione diretta non è piaciuta ai concorrenti di Eataly come Piero Sassone, presidente di Icif (Italian Culinary Institute for Foreigners) – che già ha presentato al presidente dell'Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, un esposto in cui denuncia presunte irregolarità nella gara per la ristorazione al padiglione Italia infatti dichiara: «Ma è possibile che a Eataly siano stati dati due padiglioni senza gara ? Cantone e il Bureau International des Expositions non hanno niente da eccepire ?»;
   i 20 ristoranti di Italy is Eataly saranno gestiti a turno, un mese ciascuno, da 120 ristoratori italiani, a cui andrà il 70 per cento degli incassi. Il resto a Farinetti, che nei suoi 8 mila metri quadrati si propone di «esaltare la biodiversità della cucina e dei nostri prodotti agroalimentari, il nostro vero primato nel mondo»;
   al proprietario di Eataly è stato conferito a giudizio dell'interrogante un potere immenso: quello di scegliere i ristoranti e i ristoratori che dovranno rappresentare l'Italia di fronte al mondo. Così Expo, che inizialmente doveva essere la manifestazione planetaria della biodiversità e della sostenibilità, si trasformerà secondo l'interrogante in una grossa sagra postmoderna della gastronomia;
   anche alle Coop è stato assegnato senza gara un grande spazio nell'esposizione: come «official premium partner», che dietro versamento di 12,4 milioni di euro, sta mettendo in piedi una delle cinque aree tematiche dell'esposizione, il future food district, 2.500 metri quadrati di supermercato digitalizzato del futuro;
   si ritiene che l'assegnazione senza gara in capo ad unico soggetto o massimo due in un regime di monopolio, a fronte di una realtà così ricca ed unica qual è la gastronomia italiana, sia decisamente ingiusto ed irrazionale perché l'esposizione universale deve essere il luogo e l'opportunità per far conoscere realmente al mondo le peculiarità della cucina italiana in tutte le sue sfaccettature orografiche, che narrano di luoghi e di tradizioni che sono antitetici all'agroindustria della gastronomia –:
   di quali elementi disponga in merito a quanto descritto in premessa e quali siano stati i motivi ed criteri che hanno portato all'assegnazione senza gara dei padiglioni a favore di Eataly e Coop;
   se non ritenga opportuno adottare ogni iniziativa utile affinché nel corso dell'esposizione universale venga promossa la peculiarità della gastronomia italiana con le sue tradizioni territoriali e non la grande distribuzione. (5-05253)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRACÌ, DISTASO, MARTI, CHIARELLI, PALESE, LATRONICO, FUCCI e ALTIERI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Xylella Fastidiosa è il batterio responsabile di un quadro sintomatologico fitosanitario che vede, almeno per il momento, colpire gli alberi di ulivo. Infatti, questo agente patogeno è il principale responsabile del «complesso del disseccamento rapido dell'olivo» (Co.Di.Ro), che da oltre cinque anni è presente nell'area geografica a sud della regione Puglia, ovvero nel Salento, territorio vasto comprendente le province di Lecce, Brindisi e Taranto e che si caratterizza per la peculiarità di essere culla millenaria di alberi di olivo monumentali capaci di incantare sia i turisti che i numerosi enogastronauti di tutto il mondo. Questi territori rientrano a diverso titolo fra le diverse aree definite come zona infetta, zona di radicazione, zona cuscinetto e zona di profilassi, del piano di controllo e contenimento elaborato dal commissario delegato all'emergenza connessa alla fitopatia (O.C.P.C. n. 225 del 2015). Nel mondo sono note diverse specie di Xylella ed il ceppo «Codiro» è una sottospecie della «Pauca» che normalmente attacca gli agrumi o altre colture come i vitigni, pertanto, se si osserva il contesto produttivo agronomico della Salento e dell'intera regione Puglia, significa che la Xylella potrebbe, nelle sue diverse evoluzioni genetiche, causare una vera e propria «calamità» di proporzioni inaudite sulle colture agricole che caratterizzano il territorio pugliese, ma anche ambientale e territoriale, senza contare le gravi ripercussioni che il settore turistico potrebbe accusare. Il ceppo salentino dell'agente patogeno in questione ha come ospite primario gli alberi di olivo i quali, subendo l'inoculazione da parte di un insetto vettore «la sputacchina» (una cicalina), del batterio che si localizza nel sistema retro boccale del parassita, contamina l'albero attraverso una colonizzazione dello xilema (il sistema di vasi mediante i quali la linfa si irradia nella pianta), causandone il blocco dei vasi e quindi della nutrizione della pianta: in pratica la Xylella con la produzione di una sorta di gel, finisce con l'ostruire i vasi provocando la morte progressiva dell'albero. Da tenere presente, che l'agente patogeno ha la caratteristica non comune di muoversi e compiere la propria azione devastante, migrando contro corrente linfatica, ovvero è capace di raggiungere l'apparato radicale delle piante e quindi distante dal punto d'inoculazione;
   il piano messo in atto dal commissario per l'emergenza Xylella (comandante regionale del Corpo forestale dello Stato dottor Giuseppe Silletti), prevede una serie di misure di contrasto alla fitopatia, che vanno dalle buone pratiche agricole (aratura, erpicatura, trinciatura, trattamenti fitosanitari mirati), volte a distruggere sia le larve che i vettori ovvero le cicaline, all'abbattimento degli alberi colpiti dal terribile patogeno. Va da sé che, quest'ultima opzione, sarà attuata solo nelle zone «geografiche» di eradicazione, aree già individuate e comunque in continua evoluzione per via della propagazione della malattia. Gli stanziamenti messi a disposizione del commissario da parte del Governo ammontano a circa euro 13.600.000, mentre l'Unione europea ha impegnato la «modica» cifra di euro 1.050.000 di cui euro 750.000 per i controlli ed euro 300.000 per i monitoraggi;
   l'Unione europea spinge e costringe lo Stato italiano a compiere ogni sforzo per contrastare la propagazione della fitopatia, dimenticando però che questo batterio benché fosse noto in altri continenti da circa 130 anni, in Europa non era mai approdato, tant’è vero che a tutti gli effetti è considerato un patogeno «alieno» ovvero sconosciuto all'ecosistema del territorio comunitario. L'ingresso del batterio sul suolo europeo, pare sia avvenuto attraverso il porto di Rotterdam, notoriamente porto principale nell'approdo di merci provenienti da tutto il mondo e, nello specifico, si presume che il patogeno fosse presente in piante «portatrici sane» del batterio provenienti dalla Costa Rica. È evidente che la Xylella Fastidiosa non è giunta direttamente in Italia e quindi, il sistema doganale italiano non è stato interessato e/o coinvolto nell'applicare quelle norme basilari di «quarantena» che abitualmente ed obbligatoriamente si devono osservare: pertanto è palese che lo Stato italiano e gli agricoltori/olivicoltori del Salento, sono vittime di una grave negligenza, ovvero del mancata controllo e monitoraggio fitosanitario da eseguire nel porto di approdo. Alla luce di ciò, l'Unione europea, a giudizio degli interroganti deve ritenersi a tutti gli effetti, unica responsabile di tale mancanza, anche dal punto di vista legislativo e regolamentare. Infatti, al momento non esiste alcuna norma che obblighi nella fase d'importazione di piante vivaistiche (provenienza extra Unione europea), la presenza di opportuna certificazione fitosanitaria, così come avviene normalmente nelle movimentazioni comunitarie. Di conseguenza, l'Unione europea deve essere coinvolta in prima battuta nella risoluzione della fitopatia che colpisce le province di Lecce, Brindisi e Taranto, con il reale e serio pericolo che l'agente patogeno possa sconfinare e progredire colpendo altri territori. L'aiuto dell'Unione europea deve concretizzarsi in diverse azioni di supporto all'Italia: innanzi tutto economico, mediante sussidi agli olivicoltori che saranno costretti a sostenere oltre ai costi elevati dovuti alle intensificate operazioni di buone pratiche agricole, anche per i mancati redditi dovuti alle perdite di piante oggetto di disseccamento ed abbattute, considerando anche che l'eventuale ripristino del territorio agricolo e colturale olivicolo, non potrebbe avvenire nell'immediato, in quanto dopo l'espianto degli alberi, sarà necessario osservare un lungo periodo di «quarantena sanitaria dei terreni» di almeno 12/18 mesi, periodo questo assolutamente improduttivo in termini economici, così come lunghi saranno i termini di «entrata in produzione» dei nuovi impianti olivicoli. Oltre all'azione di sostegno agli agricoltori, l'Unione europea deve farsi carico economicamente di promuovere e stimolare la ricerca scientifica per contrastare la fitopatia e nel contempo deve programmare un vero e proprio piano generale olivicolo per il ripristino, in termini ambientali, delle colture olivicole nei territori oggetto della «calamità» Xylella Fastidiosa;
   a detta degli interroganti, sarebbe opportuno:
    a) prevedere la sospensione dei pagamenti dell'IMU agricola e dei contributi INPS nel settore agricolo della moratoria sui pagamenti dei prestiti agrari stipulati con gli istituti di credito, relativamente alle aree definite come zone infetta, zona di eradicazione, zona cuscinetto e zona di profilassi del piano di controllo e contenimento elaborato dal commissario delegato all'emergenza connessa alla fitopatia. Tali interventi di aiuto, devono essere estesi indiscriminatamente a tutti i proprietari dei terreni agricoli che presentano colture olivicole, indipendentemente dall'essere coltivatori diretti e/o imprenditori agricoli professionali;
    b) provvedere nell'individuare e/o promuovere soprattutto in sede comunitaria, ogni forma di indennizzo per il settore agricolo/olivicolo, parimenti a quanto è previsto in ambito zootecnico (si vedano i fondi della legge n. 218 del 1988 destinati agli abbattimenti o per le epizoozie come previsto dalle norme comunitarie), al fine di lenire le difficoltà degli operatori agricoli a seguito delle gravi perdite in termini di piante e produzioni olearie;
    c) promuovere ogni azione di sostegno per tutte le colture biologiche del territorio del Salento che, obbligate allo specifico regime di conduzione colturale, sarebbero maggiormente esposte e sensibili agli attacchi della fitopatia con il drammatico rischio che le stesse diventino «bacino» di cultura dell'agente patogeno e, pertanto, prevedere modalità e deroghe mirate per la conduzione agronomica dei terreni in biologico senza incappare in gravose multe per i conduttori;
    d) provvedere ad istituire a livello comunitario una commissione d'inchiesta specifica sull'emergenza Xylella; promuovere ogni azione politica ed istituzionale affinché il Parlamento europeo disponga un sostegno economico diretto nei confronti degli olivicoltori del Salento (Lecce, Brindisi e Taranto), vittime di una grave negligenza che vede l'Istituzione europea come principale colpevole. Tale sostegno economico non deve considerarsi una tantum, ma prevedere ristoro nelle operazioni di reimpianto, e compensazioni per il danno subito ed il mancato profitto venienti dalle attività colturali; promuovere la ricerca scientifica attraverso la creazione di un ben definito network consortile di unità di ricerca a «cabina di regia unica» composta dalle stesse unità. In questo modo gli stanziamenti economici nazionali e soprattutto comunitari, saranno indirizzati e convogliati in un'unica struttura che sarà responsabile nel monitorare sia i costi della ricerca che gli inevitabili stadi di avanzamento ed i risultati degli studi applicativi per il contenimento e risoluzione della fitopatia;
   inoltre, si rappresenta che nello stesso territorio agricolo (ovvero quelle delle province di Brindisi, Lecce e Taranto), per la particolare struttura colturale delle aziende in cui convivono agricoltura, olivicoltura e zootecnia, si registrano in molti allevamenti focolai di una malattia infettiva di natura virale tipica dei ruminanti, nota come «BLUE TONGUE - BT» (Lingua Blu) e che tutto ciò deprime ulteriormente i redditi delle aziende stesse –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali misure intendano adottare per contrastare la diffusione della fitopatia Xilella Fastidiosa, che non solo produce gravi danni economici agli olivicoltori, ma mortifica anche l'ambiente, il turismo e l'assetto territoriale, di una regione che ha fatto di tutto ciò un brand inimitabile a livello mondiale;
   se i Ministri interrogati, alla luce di quanto esposto in premessa intendano adottare iniziative normative sia di natura economica che fiscale per il ristoro degli operatori agrozootecnici del Salento.
(4-08670)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   NUTI, RUOCCO, VILLAROSA, COZZOLINO, TONINELLI, CECCONI, DADONE, DIENI, D'AMBROSIO e NESCI. Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 febbraio 2014, sono apparse sui principali organi di informazione svariati articoli in cui si riportava che Antonio Ragusa, generale dell'Arma dei carabinieri in pensione, e Luigi Bisignani, noto alle cronache in qualità di «faccendiere», già condannato in via definitiva e attualmente coinvolto in alcune note inchieste giudiziarie, inclusa l'inchiesta denominata «P4», venivano portati agli arresti domiciliari, con l'accusa, il primo, di corruzione e turbativa d'asta e, il secondo, di frode fiscale;
   Antonio Ragusa è stato membro dell'Arma dei carabinieri, ove avanzò rapidamente di carriera, passando dal reparto operativo al nucleo tribunali, sino ad approdare al gruppo Roma primo;
   tuttavia, nel 1992, durante la terza prova scritta dell'esame di procuratore legale venne scoperto mentre copiava e per questo motivo fu esonerato dall'Arma dei carabinieri; successivamente fu trasferito al Sismi;
   nel 2005 la sua nomina alla direzione nazionale antidroga fu respinta e l'anno seguente venne assunto, durante il Governo presieduto da Silvio Berlusconi, a capo del dipartimento «risorse strumentali» presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nonostante fosse già in pensione, in deroga alla prassi seguita fino ad allora, per cui tale incarico veniva ricoperto da un dipendente di ruolo;
   la posizione ricoperta da Antonio Ragusa, dunque, gli consentiva di gestire, per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri, somme di denaro molto significative;
   il signor Ragusa fu confermato in quella posizione fino al 2012, quando l'allora Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti decise di non procedere al rinnovo di numerosi incarichi conferiti nel corso degli anni precedenti a persone già in pensione;
   dal 2006 al 2012 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha proceduto a conferire svariati appalti, anche tramite procedure apparentemente non chiare e senza l'opportuna evidenza pubblica, mentre Antonio Ragusa riceveva uno stipendio complessivo lordo ben oltre 200 mila euro annui;
   tra questi appalti figura anche quello relativo alla gestione dei servizi informatici e di sicurezza della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2010, oggetto dell'inchiesta che ha portato all'arresto di Luigi Bisignani e Antonio Ragusa;
   secondo quanto affermato dalla procura inquirente, Antonio Ragusa avrebbe mostrato un'assenza di remore nell'alterare il corretto svolgimento della gara d'appalto e nel deviare i poteri connessi alla sua pubblica funzione, al fine di perseguire meri interessi utilitaristici di carattere privato;
   avrebbe in più occasioni favorito i membri della propria famiglia, incurante dei doveri di imparzialità e correttezza connessi alla sua funzione e della peculiarità dell'ufficio ricoperto; avrebbe tenuto una condotta pericolosa, per il carattere sistematico e non occasionale delle modalità familistiche con le quali era solito esercitare funzioni pubbliche giungendo a operarne una vera e propria mercificazione;
   infatti, la figlia di Antonio Ragusa, Simona Ragusa, dal gennaio 2008 al dicembre 2012, per 5 anni, è stata consulente del comitato per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del Consiglio dei ministri, all'interno della stessa struttura ove lavorava il padre;
   i termini del bando di gara d'appalto oggetto dell'indagine, il cui valore ammonta a circa 9 milioni di euro, sarebbero stati scritti appositamente per consentire alla società Italgo, dell'imprenditore Anselmo Galbusera, di vincere; quest'ultimo avrebbe dovuto poi, in cambio, subappaltato determinati lavori, per un valore di 117 mila euro, alla società del genero di Antonio Ragusa, Marco Napoli;
   la procura inquirente ipotizza, inoltre, che la concessione di tale appalto alla Italgo sia riconducibile ad un favore fatto in precedenza ad Antonio Ragusa da parte dell'ex direttore delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, per far assumere il figlio di Ragusa, all'interno di una società del gruppo Finmeccanica;
   Luigi Bisignani, pluricondannato ed ad oggi indagato in note inchieste giudiziarie, avrebbe avuto il ruolo di intermediatore per la concessione dell'appalto;
   recentemente, un servizio televisivo de «Le Iene show», andato in onda giovedì 26 marzo 2015, ha trasmesso la testimonianza di un soggetto che ha descritto sospetti episodi di corruzione all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri avvenuti nel corso degli ultimi anni, molto simili a quello descritto in premessa: in particolare, veniva dipinto un vero e proprio sistema corruttivo che vedeva coinvolti altri funzionari della Presidenza del Consiglio dei ministri e alcune società;
   agli interroganti, inoltre, risultano irreperibili i bandi degli appalti richiamati in tale servizio televisivo, dei quali non si conosce neppure le modalità di espletamento: in altre parole, agli interroganti risulta che tali appalti, così come altri afferenti la Presidenza del Consiglio dei ministri, siano stati effettuati contrariamente alle disposizioni di legge in materia, in quanto non assegnati tramite regolare bando europeo;
   secondo gli interroganti, visto quanto esposto sopra, emergerebbe un desolante quadro in cui gli appalti banditi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri sono stati puntualmente e costantemente pilotati in favore di pochi –:
   quali siano stati dal 2006 ad oggi le consulenze e gli appalti assegnati, anche tramite trattativa privata, dal dipartimento risorse strumentali della Presidenza del Consiglio dei ministri, quali siano i principali soggetti beneficiari, e se non si intendano promuovere delle verifiche in merito alle vicende esposte in premessa e riesaminare il quadro complessivo dei dirigenti e dei consulenti, predisponendo, altresì, urgentemente dei meccanismi di attivazione e conferimento degli incarichi affinché sia garantito il corretto operato delle strutture della Presidenza.
(3-01415)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TIDEI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, che ha aperto di fatto la strada alla legalizzazione dell'aborto, disciplinato successivamente con la legge n. 194 del 1978, se da un lato ha affermato che la tutela del concepito abbia fondamento costituzionale, riconoscendo che l'articolo 31, secondo comma, della Costituzione impone espressamente la «protezione della maternità» e, più in generale, l'articolo 2 della Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, fra i quali non può non collocarsi, sia pure con le particolari caratteristiche sue proprie, la situazione giuridica del concepito, dall'altro, ha rilevato che il combinato disposto degli articoli della Costituzione succitati va accompagnato dall'ulteriore considerazione che l'interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito può venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione;
   la Corte costituzionale, nella medesima sentenza, dopo aver esaminato la scriminante dello specifico articolo del codice penale dichiarato costituzionalmente illegittimo, in quanto fondato sul presupposto di equivalenza del bene offeso dal fatto dell'autore rispetto all'altro bene che col fatto stesso si vuole salvare, ha sancito la non equivalenza «fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare»;
   la legge sopra richiamata afferma il diritto della donna ad interrompere, gratuitamente e nelle strutture pubbliche, la gravidanza, previo l'obbligo di rivolgersi ad un consultorio o a una struttura socio-sanitaria che, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall'incidenza delle condizioni economiche, sociali o familiari sulla salute della gestante, di esaminare le possibili soluzioni dei problemi esposti;
   sempre la suddetta legge prevede che l'interruzione volontaria della gravidanza debba avvenire entro i primi novanta giorni, nei casi in cui la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, alle sue condizioni economiche, sociali e familiari, alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o alle previsioni di anomalie o malformazioni del concepito;
   l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) con determina del 2009 ha autorizzato l'immissione in commercio del farmaco Mifegyne (Mifepristone), prodotto dalla ditta Exelgyne, dopo aver espletato gli adempimenti previsti, aver sottolineato che il percorso seguito è stato rispettoso dell’iter procedurale previsto dall'EMEA (l'ente regolatorio europeo) per il mutuo riconoscimento di un farmaco, verificandone efficacia, sicurezza e compatibilità con le leggi nazionali nel rispetto e a tutela della salute della donna, e aver imposto restrizioni importanti all'utilizzo del farmaco, al solo fine della massima tutela della salute del cittadino;
   nell'azienda ospedaliera San Camillo Forlanini di Roma all'interno del dipartimento materno infantile sembra che i lavori relativi alla realizzazione di un reparto dedicato alla somministrazione del farmaco noto comunemente come RU486, per poter permettere alle donne di affrontare l'aborto farmacologico, si siano inspiegabilmente arrestati: la suddetta azienda ospedaliera è tra le prime strutture del Lazio in termini di aborto farmacologico con richieste sempre crescenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra narrati;
   se e come intenda intervenire, per quanto di competenza, con il coinvolgimento e nel rispetto delle competenze della regione Lazio, al fine di individuare le cause che hanno bloccato la realizzazione del reparto identificato per la somministrazione del farmaco RU486 e rimuovere gli impedimenti che pregiudicano i diritti costituzionalmente garantiti alle donne. (5-05284)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRAROLI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
    da un articolo del quotidiano online «ilfattoquotidiano.it» del 23 marzo 2015 dal titolo «Taranto, “metalli nei fanghi prodotti da Acquedotto pugliese. Otto indagati”» si apprende che la società Acquedotto Pugliese s.p.a., della quale la regione Puglia detiene l'intero pacchetto azionario, è stata coinvolta nelle indagini svolte dai carabinieri del nucleo operativo ecologico di Lecce in merito al traffico e alla gestione illecita di rifiuti;
   secondo le indagini effettuate dai carabinieri del Noe, l'Acquedotto Pugliese, vendeva a oltre cinquanta aziende agricole, operative in gran parte del territorio tarantino, i fanghi di depurazione prodotti dall'impianto presente nel comune di Ginosa (TA), nel quale confluivano le acque reflue urbane dei comuni della provincia di Bari e di alcuni siti industriali;
   stando a quanto accertato dai carabinieri e in seguito confermato dalla consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, dottoressa Elsa Mignone, i fanghi di depurazione sono da considerarsi a tutti gli effetti un rifiuto, e come tale vanno gestiti, poiché sono risultati non conforme alla vigente normativa di settore e realizzati con reflui provenienti da insediamenti industriali e artigianali e non solo da insediamenti civili;
   è stato accertato, inoltre, che contengono elevate concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che rendono i fanghi non inidonei alla commercializzazione e all'utilizzazione in agricoltura, poiché è rilevante il rischio d'inquinamento delle matrici di suolo e acqua sotterranea con un potenziale rischio per la salute umana;
   l'Acquedotto Pugliese e la società ASECO, incaricata di gestire l'impianto della provincia di Taranto, avrebbero dovuto smaltire i fanghi di depurazione, invece la strategia di rivenderli è servita a non attivare le procedure per lo smaltimento dei rifiuti risparmiando ingenti quantità di denaro. La direzione distrettuale antimafia di Lecce ha iscritto nel registro degli indagati otto persone tra i quali Nicola Costantino, amministratore unico di Acquedotto Pugliese –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa.
   se si intenda promuovere, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, un'indagine epidemiologica mirata a verificare gli effetti sulla salute dei cittadini della provincia di Taranto prodotti dalle attività di cui in premessa, in un'area peraltro già compromessa dagli effetti delle numerose industrie inquinanti allocate sul territorio. (4-08690)


   MIGLIORE, CARLONI, SGAMBATO, VALERIA VALENTE e SALVATORE PICCOLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 marzo 2015, da un articolo del giornale «il Mattino» si apprende che presso l'Istituto Pascale di Napoli, da sempre considerato un'eccellenza per la cura e la ricerca sui tumori e che conta più di diecimila ricoveri all'anno, le liste d'attesa per gli interventi chirurgici sono lunghissime: si parla di oltre tre mesi per gli interventi di tumore al seno, una delle patologie per cui ci sono maggiori richieste, ma anche per patologie più aggressive i tempi di attesa non sono ragionevoli;
   si legge inoltre che le sale operatorie del Pascale funzionano ad orario ridotto (fino e non oltre le 16) a causa di una grave carenza di personale: appena 18 infermieri sui 27 che sarebbero necessari all'Istituto per svolgere un'attività operatoria soddisfacente;
   dall'articolo de «il Mattino» si evince anche che il Secondo Policlinico di Napoli e l'ospedale Moscati di Avellino dispongono di due laboratori in grado di rilevare la derivazione genetica dei tumori – solo tre strutture su tutto il territorio nazionale sono in grado di svolgere tali ricerche – che rischiano di chiudere o di vedere ridotta la propria attività di prevenzione dei tumori ereditari, a causa del pensionamento di alcune unità;
   sono da imputare alla mancanza di personale, inoltre, i gravi ritardi nell'attività di radioterapia che generano liste di attesa di oltre due mesi, soprattutto per i pazienti «esterni»;
   il tentativo di sblocco delle assunzioni messo in atto dall'Istituto Pascale è così descritto nell'articolo: «Nel 2008 vengono fatti degli avvisi di mobilità per assumere 40 operatori, arrivano 600 richieste. Quasi contemporaneamente la Regione decide di stabilizzare gli infermieri precari, 1600 candidati fanno ricorso al Tar, che dopo quasi un anno fa sapere che la questione non è di sua competenza e la trasmette al Consiglio di Stato il quale, dopo qualche mese, la invia nuovamente al Tar. A questo punto il giudice si esprime, dando ragione agli operatori. Ma l'Istituto e la Regione si oppongono. Nel 2013, il Consiglio di Stato decide che la questione è di competenza di un altro Tribunale, sezione lavoro. Sempre nel 2013, il Pascale pubblica un bando a tempo determinato per assumere 25 infermieri, quanti ne servono in tutta la struttura ma si presentano in 2500, troppi, per cui il concorso non è mai partito»;
   da ulteriori approfondimenti, non citati nell'articolo, risulta inoltre che i concorsi per il personale della sanità in Campania siano fermi dal 1992, che ci sia un blocco indiscriminato del turnover dal 2007 e un cospicuo numero di medici che attendono risposta alle loro domande di mobilità. il presidente Caldoro ha, è vero, promesso nuove assunzioni (circa 1118 posti) ma non sufficienti ad una effettiva ed efficace riorganizzazione del sistema sanitario campano;
   in aggiunta risulta che nel 2010 sia stato approvato il decreto n. 49 che stabiliva la riorganizzazione del sistema sanitario e ospedaliero la cui attuazione, di fatto mai avvenuta, avrebbe permesso di rientrare dal debito, senza richiedere sacrifici così alti all'utenza e al personale;
   questa situazione, oltre a generare problemi ai lavoratori che attendono soluzioni per stabilizzare le loro vite e poter svolgere i loro compiti al meglio, crea enormi disagi ai cittadini che non vedono soddisfatto il loro diritto di potersi curare ed una conseguente emigrazione massiccia del personale medico, paramedico e degli stessi pazienti sia fuori regione che all'estero impoverendo, di fatto, il sistema sanitario locale –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa, se quanto sopra riportato trovi conferma e quali iniziative di competenza, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari, intenda assumere al riguardo;
   se si intenda attuare un percorso di uscita dal commissariamento in atto dal 2009, alla luce anche dell'equilibrio di bilancio in Campania molto pubblicizzato dal presidente Caldoro, che porti a superare il nodo delle assunzioni e a consentire la regolarizzazione di tutti i rapporti a tempo determinato del personale indispensabile per il corretto mantenimento dei livelli essenziali di assistenza i cui costi risultano già consolidati nei bilanci delle aziende;
   se possa rivelarsi utile il superamento di strumenti quali l'autoconvenzione e la specialistica ambulatoriale, anche attraverso la mobilità fra strutture, per sopperire alle carenze di organico;
   se intenda verificare che i fondi statali già stanziati per l'emergenza ambientale (terra dei fuochi) siano effettivamente spesi per lo screening e la prevenzione di patologie causate da inquinamento e avvelenamento dei territori. (4-08693)


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nonostante ci sia ancora molta strada da fare per migliorare il sistema sanitario nel suo complesso, è ben noto come la regione Campania, guidata dal 2010 da Stefano Caldoro, possa vantare un risultato straordinario, essendo passata da un disavanzo sanitario che nel 2009 ammontava a 773 milioni a un avanzo di gestione di 6 milioni nel 2013;
   la regione Campania, pertanto, con un anno di anticipo, ha raggiunto il pareggio di bilancio nella sanità, registrando un incremento del 10 per cento anche per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza e di organizzazione;
   nonostante tutti gli sforzi e i risultati raggiunti, la regione resta commissariata e il perdurare del blocco del turn over, che ha già determinato la chiusura dell'ospedale di Agropoli, trasformato in PSAUT (presidio sanitario assistenza e urgenza territoriale), ossia struttura di primo intervento, rischia di portare alla chiusura di altre strutture della provincia di Salerno;
   è di pochi mesi fa la notizia, riportata dai maggiori quotidiani della Campania, Il Mattino e il Corriere del Mezzogiorno, della soppressione o possibile tale anche dell'ospedale Costa d'Amalfi di Castiglione di Ravello, confermando quanto disposto dal decreto del commissario ad acta n. 49 del 27 settembre 2010 in materia di riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale;
   secondo le ultime dichiarazioni del responsabile della sanità per la Conferenza dei sindaci della Costa d'Amalfi, nonché sindaco di Minori, Andrea Reale: «L'atto dell'Azienda ospedaliera universitaria Ruggi D'Aragona, di cui fa parte l'ospedale costiero è attualmente al vaglio dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari presieduta da Giuseppe Zuccatelli. E vi è arrivato al termine di una complessa istruttoria che ha visto impegnati il governatore Stefano Caldoro, i sub commissari per la sanità, l'Arsan capeggiata da Angelo Montemarano e Ferdinando Romano, direttore del Dipartimento regionale per la sanità»;
   tale ospedale è già stato oggetto di specifici provvedimenti fra cui quello del 2011, che ha permesso l'aggregazione del presidio all'azienda ospedaliera universitaria e poi, recentemente, l'accordo regionale per il riconoscimento di stato giuridico di ospedale con la qualifica di pronto soccorso e presa in carico dei pazienti, con la relativa autonomia gestionale al pari dei plessi aggregati al Ruggi;
   sempre secondo Il Mattino, però, tali tentativi, si sarebbero rivelati inutili e l'ospedale perderà la dotazione di 10 posti letto, nonostante, tra l'altro, in più occasioni il direttore generale dell'A.O.U. Vincenzo Viggiani avesse ribadito la speciale rilevanza del plesso in un territorio di primario rilievo internazionale, nonché l'impegno a stabilizzarne l'assetto a garanzia della continuità e della qualità delle prestazioni erogate;
   tale proposta stride violentemente anche con le rassicurazioni formulate in precedenza sulla permanenza di tutti i servizi erogati sino ad oggi, ma soprattutto con le legittime aspettative di decine di migliaia di cittadini e di visitatori, oltre che con la qualità complessiva di un'offerta turistica che vede così fortemente compromesse le proprie potenzialità;
   a parere dell'interrogante, un territorio dalla mobilità estremamente difficile come la costiera amalfitana non può sottostare agli ordinari canoni di valutazione in ordine alle possibilità di tempestivo intervento sulle emergenze sanitarie;
   tale scelta, se confermata, sarebbe l'ennesima incomprensibile ed immotivata ferita inferta alla sicurezza ed al benessere dei cittadini della costiera, in una zona in cui il flusso di persone, soprattutto nel periodo estivo, diventa incalcolabile e dove la mobilità difficile richiederebbe tutti i servizi di urgenza utili alla stabilizzazione del paziente;
   la previsione della soppressione dell'ospedale Costa d'Amalfi di Castiglione di Ravello, frutto delle scelte adottate a livello nazionale, non solo non tiene conto delle specifiche caratteristiche del territorio, ma contravviene anche alla elementare regola di buon senso secondo cui i servizi, soprattutto quelli essenziali, come l'assistenza sanitaria, vanno assicurati là dove ce n’è più bisogno;
   l'unico modo per ridare fiducia e certezza ai diritti dei cittadini dei territori interessati dal processo di riorganizzazione dei presidi ospedalieri è quella di consentire la modifica del decreto n. 49 del 2010, recuperando una condizione di equità e di giustizia che tenga conto delle diversità dei territori di riferimento, come del resto hanno fatto – con esiti positivi – i territori di S. Angelo dei Lombardi, di Torre del Greco e da alcuni giorni quello di Casoria –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per garantire il mantenimento dei presidi ospedalieri in aree logisticamente strategiche per la popolazione, come nel caso dell'ospedale Costa d'Amalfi di Castiglione di Ravello, attualmente al vaglio dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, salvaguardando così non solo i livelli essenziali di assistenza ma anche località economica ente strategiche per il sud Italia, sia dal punto di vista culturale che turistico. (4-08702)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   Sogin, la società costituita nel 1999, nell'ambito della riforma del sistema elettrico nazionale, ha come missione lo smantellamento (decommissioning) degli impianti nucleari e la gestione dei rifiuti radioattivi presenti nel territorio nazionale; Sogin, la cui gestione finanziaria assoggettata al controllo della Corte dei Conti, interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, opera secondo gli indirizzi strategici formulati dal Ministero dello sviluppo economico e le sue risorse finanziarie derivano in buona parte da una componente della tariffa elettrica;
   in base alle normative internazionali (direttiva europea 2011/70 Euratom), gli Stati membri sono obbligati a dotarsi di strutture e sistemi finalizzati alla gestione e al deposito, in condizioni di massima sicurezza, delle scorie radioattive prodotte dalle vecchie centrali nucleari nazionali e quelle provenienti dalle attività industriali, mediche e di ricerca;
   il 4 giugno 2014 l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha reso nota la guida tecnica n. 29 «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività», mediante la quale sono stati individuati i requisiti fondamentali e gli elementi di valutazione che devono essere tenuti in conto da parte della S.O.G.I.N. s.p.a., quale soggetto armatore, nel processo di localizzazione del deposito nazionale, dalla definizione della proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) sino alla individuazione del sito idoneo, che dovrebbe ospitare oltre 90 mila metri cubi di materiale radioattivo attualmente riprocessato all'estero o stoccato in decine di depositi temporanei distribuiti in tutta Italia; l'I.S.P.R.A. esclude da subito le aree vulcaniche attive o quiescenti, le località che si trovano a 700 metri sul livello del mare o a una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, le aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e le «fasce fluviali», dove c’è una pendenza maggiore del 10 per cento, le aree naturali protette, che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade-extraurbane principali e ferrovie;
   sulla base delle prescrizioni ricevute la Sogin ha redatto la CNAPI che, in data 2 gennaio 2015, ha sottoposto al giudizio dell'ISPRA; lo stesso Istituto concluso l'analisi di questa mappa, ha consegnato una relazione ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, che tra breve dovranno dare il loro nulla osta alla pubblicazione della carta e del progetto preliminare;
   secondo la campagna informativa promossa dalla Sogin a seguito della pubblicazione della CNAPI sarà avviata una fase di consultazione alla quale saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti, tra cui le amministrazioni locali dei territori interessati, che potranno candidarsi a ospitare il deposito nazionale;
   nel territorio del comune di Saluggia sono depositate attualmente e da molti anni più del 90 per cento delle scorie nucleari a vari livelli di radioattività, tra le quali molte ad alto livello, presenti in Italia; recentemente Sogin avrebbe presentato il documento «Impianto Eurex – Istanza di disattivazione» ai sensi dell'articolo 55 del decreto legislativo 230 del 1995 che prevede, come precondizione per la disattivazione di un impianto nucleare, l'autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico, previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero della salute, della regione o provincia autonoma interessata e dell'ISPRA;
   nella documentazione progettuale presentata a corredo dell'istanza, verrebbe specificato: «Per lo stoccaggio temporaneo dei rifiuti radioattivi pregressi e di quelli che verranno prodotti nel corso del processo di decommissioning, in vista del loro definito conferimento al Deposito Nazionale, il sito di Saluggia dispone oggi di un deposito provvisorio (Ed. 2300) in esercizio e potrà disporre a breve termine di due depositi temporanei D2 e D3, il primo in via di ultimazione ed il secondo (D3) sarà realizzato con l'impianto CEMEX ed accoglierà i rifiuti cementati di terza categoria prodotti dall'impianto stesso e alcuni colli pregressi a più alta attività, sempre di terza categoria..... Al fine di incrementare le volumetrie adibite allo stoccaggio di manufatti sul Sito, l'edificio 2300 sarà quindi oggetto di un intervento di adeguamento strutturale e dell'impiantistica con recupero della volumetria. Tale strategia costituisce la prima azione necessaria per far fronte alle esigenze di stoccaggio, derivanti dalle attività di pre e di decommissioning, sino al conferimento al Deposito Nazionale. Un'ulteriore volumetria di stoccaggio prevista consisterà nell'ampliamento dell'attuale Deposito di stoccaggio D2, passando di fatto da 2 a 4 campate...»;
   tale programma d'interventi consoliderebbe di fatto la presenza di scorie nucleari a Saluggia, in un sito considerato inidoneo per custodire materiale radioattivo in quanto zona esondabile, inedificabile e altamente vulnerabile essendo posizionata nell'area golenale della Dora Baltea;
   la stima temporale per l'ultimazione di tali interventi prevista per il 2019 evidenzia l'inutilità e la dispendiosità della costruzione di un ulteriore deposito temporaneo atto ad ospitare scorie cementificate ad alta intensità, rifiuti per i quali esiste l'obbligatorietà del conferimento nel deposito nazionale, il cui sito è in fase d'individuazione e dovrà essere operativo nel 2024 –:
   quando si preveda venga resa pubblica la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee per la localizzazione del deposito nazionale delle scorie nucleari, se risulti noto ai Ministri interrogati il documento «Impianto Eurex – Istanza di disattivazione» redatto dalla Sogin e quali iter autorizzativi siano stati avviati e/o conclusi per la realizzazione di un'ulteriore volumetria di stoccaggio nel sito di Saluggia, consistente nell'ampliamento dell'attuale deposito di stoccaggio D2;
   se non si ritenga contestualmente di verificare se la decisione di costruire un ulteriore deposito temporaneo (D3), anche in considerazione della dispendiosità dell'impresa di bonifica che ha carattere temporaneo, possa determinare un danno economico per lo Stato.
(2-00920) «Zaratti».

Interrogazioni a risposta immediata:


   SBERNA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fondo, istituito con legge 23 dicembre 2005, n. 266, finalizzato a indennizzare i risparmiatori, vittime di frodi finanziarie a seguito di investimenti sul mercato finanziario, si alimenta con gli importi dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come dormienti all'interno del sistema bancario, nonché del comparto assicurativo e finanziario;
   la legge 27 ottobre 2008, n. 166, all'articolo 3, comma 345-quater, ha disposto che gli importi dovuti ai beneficiari dei contratti di cui all'articolo 2, comma 1, del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209), che non sono reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto, sono devoluti al suddetto fondo e ha stabilito il termine di due anni per la prescrizione e la conseguente devoluzione al fondo;
   il termine di due anni si è, però, rivelato insufficiente al fine di garantire la possibilità di riscatto della polizza, soprattutto in caso di morte dell'intestatario. Inoltre, si è verificato che molti intermediari non abbiano rivolto, così come previsto dall'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 2007, al verificarsi delle condizioni di dormienza del conto, ai relativi titolari l'invito a impartire disposizioni e l'avviso che, decorso il termine previsto dalla legge, il rapporto sarebbe stato estinto e le somme devolute al sopra menzionato fondo. Tutto questo ha fatto sì che molte persone si sono viste devolvere al fondo i propri risparmi dopo la prescrizione di 2 anni, senza essere stati avvertiti dall'intermediario;
   proprio per questo il decreto-legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha riportato da 2 a 10 anni il termine di prescrizione delle polizze vita «dormienti»;
   tuttavia, si è così verificata una disparità di trattamento per tutti i risparmiatori la cui prescrizione è avvenuta tra l'entrata in vigore della legge n. 166 del 2008 e quella del decreto legislativo n. 179 del 2012, non avendo quest'ultimo carattere retroattivo;
   per ovviare alla disparità di trattamento il Ministero dello sviluppo economico ha indetto, tramite la Consap s.p.a. (Concessionaria servizi assicurativi pubblici), due bandi di rimborso volti ad indennizzare i consumatori danneggiati per le modifiche intervenute in materia di prescrizione delle polizze vita e per la scarsa disponibilità e tempestività dell'informazione relativa al susseguirsi di tali modifiche;
   i due bandi hanno rimborsato i risparmiatori le cui polizze erano scadute entro il 31 dicembre 2009. Il secondo bando ha corrisposto un rimborso proporzionalmente ridotto a causa dell'accoglimento di domande per un importo superiore allo stanziamento predisposto dal Ministero dello sviluppo economico;
   rimane una disparità di trattamento tra i risparmiatori in quanto sono del tutto esclusi dal rimborso coloro la cui prescrizione è avvenuta tra il 1o gennaio 2010 e il 20 ottobre 2012, data dell'entrata in vigore della legge n. 179 del 2012 –:
   se non intenda finanziare un terzo e ultimo bando che, eliminando le disparità di trattamento verificatesi, permetta a tutti i risparmiatori di rientrare in possesso del proprio denaro. (3-01420)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dal piano di riorganizzazione del gruppo Finmeccanica sembra emergere una penalizzazione, in particolare, dei siti produttivi ed industriali dislocati in Campania, destinata ad avvenire attraverso alienazioni di imprese, chiusure di stabilimenti, delocalizzazione in altre aree del Paese o compressione delle posizioni strategiche nei vari insediamenti produttivi della regione;
   sarebbe prossima alla chiusura la sede napoletana di Telespazio, che effettua attività di ricerca e sviluppo, e sembra non essere più attuale la scelta di accompagnare la decisione di dare vita ad un polo delle manutenzioni presso l'area aeroportuale di Capodichino, con l'individuazione di altre idonee infrastrutture per la realizzazione della linea finale di volo nel territorio regionale, nell'ambito delle attività finanziate anche con risorse pubbliche, che già vedono coinvolti gli stabilimenti di Pomigliano e Nola;
   a questi si aggiungono la paventata compressione dei segmenti campani dell'elettronica e della radaristica, con la possibile chiusura di ulteriori insediamenti produttivi dopo le misure che nell'ultimo periodo hanno già pesantemente colpito quelle attività, e la possibile alienazione di Mbda e la chiusura dello stabilimento di Wass, che in Campania svolgono funzioni strategiche nell'ambito dell'industria della difesa;
   il consorzio Mbda, in particolare, è attualmente il produttore del sistema missilistico Albatros, impiegato sia dalla Marina militare italiana sia da quella di altri Paesi, rispetto al quale nel 2015 dovrà essere avviato un programma di sostituzione di alcune batterie impiegate nei missili per la difesa terra-aria, in assenza del quale verrebbero a determinarsi gravi ripercussioni sul sistema missilistico di difesa del nostro Paese;
   oltre al depauperamento del tessuto produttivo della regione, le notizie relative al piano di riorganizzazione preoccupano con riferimento alle possibili ricadute occupazionali, considerato che in Campania attualmente operano dieci stabilimenti, con un numero di addetti diretti superiore alle 6.500 unità ed un indotto che occupa circa 15.000 lavoratori;
   in termini di innovazione, ricerca, sviluppo e strategie industriali Finmeccanica fornisce un apporto di fondamentale importanza per l'economia e lo sviluppo del territorio in Campania;
   l'assenza di una strategia nazionale sulle politiche industriali compromette l'utilizzo degli ingenti investimenti per centinaia di milioni di euro che la regione Campania ha messo in campo in questi anni e che ha già confermato di essere disponibile ad impegnare anche per la programmazione comunitaria 2014-2020 –:
   in che modo intenda intervenire al fine di salvaguardare i siti industriali di Finmeccanica in Campania rispetto alle prospettate chiusure o delocalizzazioni, tutelando i livelli occupazionali e lo sviluppo della regione. (3-01421)


   PIRAS, PELLEGRINO, ZARATTI, FERRARA e RICCIATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo le norme vigenti è previsto che entro il 31 dicembre 2014 venga definito il sito unico nazionale per lo stoccaggio delle scorie nucleari;
   il 2 gennaio 2015, la Sogin (la società statale per lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e la gestione del rifiuti radioattivi) ha consegnato a Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) la carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale per i rifiuti radioattivi;
   il deposito nazionale, infrastruttura di superficie dove mettere i rifiuti radioattivi, consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   la pubblicazione della carta e quella contestuale del progetto preliminare, spiega la Sogin, «apriranno una fase di consultazione pubblica e di condivisione, che culminerà in un seminario nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati»;
   nella mappa realizzata dalla Sogin, dalle aree considerate sono escluse le aree vulcaniche attive o quiescenti, le località a 700 metri sul livello del mare o ad una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, le aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e le «fasce fluviali», dove c’è una pendenza maggiore del 10 per cento, le aree naturali protette, che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e ferrovie;
   la Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientra in alcun modo nelle priorità di esclusione;
   le simulazioni geosatellitari confermerebbero che la Sardegna sarebbe l'unica regione d'Italia a corrispondere a questi criteri individuati;
   sono concrete le possibilità per cui il Governo nazionale possa chiedere disponibilità alla Sardegna come sede del «deposito nazionale di scorie nucleari», considerata l'ampia presenza di aree non urbanizzate ed a bassa densità abitativa;
   la mappa consegnata dalla Sogin all'Ispra è inspiegabilmente secretata, a tutti i livelli istituzionali, negando così la possibilità ai governi regionali e ai livelli parlamentari di poter sapere quali territori sono stati individuati in via preliminare per la costruzione del deposito nazionale;
   in Sardegna grava il 60 per cento delle servitù militari italiane, con i tre poligoni militari più grandi d'Europa, depositi sotterranei di armi e munizioni, polveriere e aree militari delimitate in tutti i territori;
   l'assessore regionale all'ambiente Donatella Spano e il presidente della regione Sardegna Francesco Pigliaru hanno già fatto sapere di essere fermamente contrari, in maniera formale, all'ipotesi della costruzione del deposito nazionale di scorie nucleari in Sardegna, così come tutte le principali forze politiche rappresentate nel Parlamento nazionale e nel consiglio regionale della Regione autonoma della Sardegna;
   il 15 e 16 maggio del 2011 i sardi si sono espressi attraverso un referendum consultivo popolare che chiedeva al popolo di esprimersi sulla presenza in Sardegna di centrali nucleari e siti di stoccaggio di scorie radioattive: il referendum ha raggiunto un quorum del 60 per cento (887.347 sardi al voto), che per il 97,1 per cento (848.691 sardi) ha detto «no» a centrali nucleari e siti di stoccaggio di scorie nell'isola;
   i sardi, attraverso il voto popolare e la democrazia diretta, hanno, quindi, deciso di non mettere a disposizione la loro terra, che vivono e lavorano quotidianamente, per la costruzione di impianti di stoccaggio o depositi di scorie nucleari;
   sono tantissime le aree in Sardegna individuate anche dal Governo nazionale da sottoporre a bonifica e riconversione ambientale, per cui sarebbe incomprensibile aggiungere ulteriori servitù inquinanti;
   l'articolo 27, comma 3, del decreto-legge n. 31 del 2010 prevede la pubblicazione tempestiva sul sito internet della Sogin spa della proposta di carta nazionale e del progetto preliminare; tale tempistica, tuttavia, è stata dilatata attraverso il decreto-legge n. 45 del 2014, che ha disposto la trasmissione all'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) della proposta di carta nazionale da parte della Sogin; l'Ispra deve, entro 60 giorni, validarne e verificarne i dati, inviando una relazione ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, i quali comunicano entro 30 giorni il proprio nulla osta alla Sogin ai fini della pubblicazione della proposta di carta nazionale;
   il 2 gennaio 2015 la Sogin ha consegnato ad Ispra la carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale; si dovevano, quindi, attendere 90 giorni per il percorso istituzionale previsto: la pubblicazione della proposta di carta nazionale sarebbe dovuta avvenire ad inizio del mese di aprile 2015;
   l'accesso all'informazione e la partecipazione sono due elementi centrali dei processi decisionali in materia ambientale, come riconosciuto nella Convenzione di Aarhus sul diritto di accesso alle informazioni, la partecipazione ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale del 1998, ratificata in Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108, e dal diritto comunitario attraverso le direttive 2003/4/CE e 2003/35/CE;
   con l'ordine del giorno 9/02803-A/149, presentato dal primo firmatario del presente atto di sindacato ispettivo ed accolto dal Governo, il Governo si è impegnato a garantire la pubblicazione della carta nel pieno rispetto della tempistica prevista dalla normativa vigente (2 aprile 2015), in modo tale da non dilatare ulteriormente l'avvio della fase di consultazione pubblica –:
   quali siano i siti individuati potenzialmente idonei ad ospitare il deposito nazionale, vista la scadenza dei 90 giorni previsti dalla normativa vigente per il 2 aprile 2015. (3-01422)


   BENAMATI, EPIFANI, MARTELLA, TARANTO, LACQUANITI, BARGERO, SENALDI, BINI e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   fondata nel 1872 e quotata alla Borsa di Milano dal 1922, Pirelli è tra i principali produttori mondiali di pneumatici (6,15 miliardi di euro i ricavi 2013), con un posizionamento distintivo sulla gamma alta;
   presente in 13 Paesi con 19 stabilimenti, il gruppo ha un'ampia diffusione commerciale (oltre 160 Paesi) distribuita tra mercati maturi ed emergenti;
   attualmente, il 51,197 per cento del capitale è detenuto dal mercato, il 26,19 per cento da Camfin (i cui soci sono Nuove partecipazioni, Unicredit, Intesa San Paolo e Rosneft) ed il restante è ripartito tra soci minori;
   il 22 marzo 2015 è stato dato l'annuncio da parte del consiglio d'amministrazione di Camfin della firma dell'accordo vincolante che permetterà alla China national chemical, attraverso la controllata China national tire & rubber, di assumere il controllo del gruppo con la nascita di una nuova società, Bidco, che comprerà il 26,2 per cento di Pirelli dall'attuale holding e poi lancerà un'offerta pubblica di acquisto obbligatoria sul resto del capitale a 15 euro per azione ed un'offerta pubblica di acquisto volontaria sulle azioni di risparmio condizionata al raggiungimento di almeno il 30 per cento del capitale, sempre a 15 euro ad azione;
   a seconda delle adesioni all'offerta pubblica di acquisto, ChemChina potrà avere un controllo del gruppo che andrà dal 51 al 65 per cento;
   nell'accordo, secondo il comunicato del consiglio di amministrazione, verrebbe difesa la specificità della tecnologia italiana, in quanto «il centro ricerca e sviluppo e l’headquarters di Pirelli continueranno ad essere situati in Italia», e per autorizzare lo spostamento della sede, come «il trasferimento a terzi della proprietà intellettuale di Pirelli», serviranno maggioranze rafforzate pari al 90 per cento;
   l'operazione di acquisizione della Pirelli da parte di soggetti esteri è solo l'ultima manifestazione di una tendenza che dal 2009 ha riguardato molteplici segmenti produttivi;
   secondo Kpmg, nel 2014, solo gli operatori cinesi hanno investito quasi 4,8 miliardi di euro in aziende italiane: inoltre, dal 2011 al 2014, secondo la banca dati di S&P capital iq, le operazioni di acquisizione perfezionate da aziende e gruppi esteri in Italia sono state 198, per un valore di 53,9 miliardi di euro –:
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alle prospettive industriali ed occupazionali del gruppo Pirelli e, più in generale, delle imprese italiane derivanti dall'aumento degli investimenti commerciali e degli scambi con la Repubblica popolare cinese. (3-01423)


   BORGHESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Stefana spa è una storica azienda di acciaierie e ferriere in provincia di Brescia, con quattro stabilimenti nel territorio bresciano, due a Nave, uno a Montirone e uno a Ospitaletto, ed una forza lavoro di 700 dipendenti;
   il 31 dicembre 2014 la società ha presentato istanza di ammissione al concordato preventivo al tribunale di Brescia, che ha fissato al 30 aprile 2015 il termine per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione prevista dall'articolo 161 del regio decreto 16 aprile 1942, n. 267;
   la drammatica situazione produttiva ed occupazionale della Stefana spa è stata già denunciata con l'interrogazione n. 5-04489, con la quale i Ministri interrogati, del lavoro e dello sviluppo economico, sono stati chiamati ad tempestivo intervento per la salvaguardia dei posti di lavoro e della continuità produttiva dell'azienda;
   nella seduta del 19 marzo 2015, il rappresentante del Ministero del lavoro ha risposto alla suddetta interrogazione, sottolineando di aver espressamente interpellato sulla vicenda il Ministero dello sviluppo economico, per le parti di sua competenza, senza ricevere da questo nessuna risposta in merito all'adozione di una strategia condivisa per il mantenimento della continuità produttiva negli stabilimenti del bresciano;
   l'azienda non è stata risparmiata dalla crisi economica; l'ultimo bilancio disponibile, depositato nella primavera 2015, evidenzia che al 31 dicembre 2014 la Stefana spa vantava crediti per 76,2 milioni di euro, riportando, però, debiti per 288,61 milioni di euro, per gran parte nei confronti dei fornitori e delle banche;
   allo stato, la società risulta inattiva; i lavoratori stanno usufruendo degli ammortizzatori sociali, con la sola esclusione dei dipendenti che si occupano della contabilità, del personale e della gestione delle pratiche necessarie per la procedura concorsuale in atto –:
   se il Ministro interrogato voglia convocare con urgenza un tavolo di concertazione tra le parti interessate, al fine di poter apprendere quali siano le strategie industriali della Stefana spa ed arrivare ad una soluzione il più possibile condivisa, che miri al mantenimento della continuità produttiva dell'azienda, quale presupposto fondamentale per garantire la tutela dei posti di lavoro e il diritto delle imprese fornitrici ad essere liquidate. (3-01424)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   evidente è il danno arrecato all'economia di Jesi (An) e della Vallesina, in particolare all'agricoltura, all'artigianato, a tutto l'indotto e all'occupazione diretta con la chiusura dello zuccherificio Sadam;
   l'accordo di riconversione dell'area ex zuccherificio Sadam è stato firmato nell'anno 2011 da tutti i soggetti interessati, ciascuno per la propria competenza;
   va considerata la necessità di recuperare al tessuto produttivo un'area geograficamente centrale e strategica quale quella dell'ex zuccherificio, nonché quella di recuperare i posti di lavoro persi;
   appare evidente anche l'importanza per il futuro dell'economia di Jesi, della Vallesina e dell'intera regione Marche del progetto di incubatore per start-up che dovrà occupare parte dell'area Sadam, garantendo collaborazione e integrazione fra industria manifatturiera e nuove tecnologie;
   si prende atto delle rinnovate assicurazioni da parte del presidente del gruppo Eridania Sadam sul prossimo avvio della riconversione dell'area con le destinazioni individuate a suo tempo –:
   se il Governo sia al corrente di quali start-up siano già attive nell'area ex Sadam e quanti posti di lavoro siano stati creati nel complesso;
   se il progetto sia supportato soltanto dalla università politecnica delle Marche o da altri atenei e se il contributo scientifico dell'università sia garantito anche per il futuro;
   se esista, e quale sia nel caso, il calendario dei vari obiettivi della riconversione in particolare, se e quando sarà realizzato il parco commerciale in programma;
   rispondano a verità le voci, diffuse nelle scorse settimane a Jesi, sulla presunta cancellazione del parco commerciale;
   qualora il programma debba subire rallentamenti o cancellazioni, che iniziative il Governo intenda adottare per mantenere la cassa integrazione dei lavoratori. (5-05264)


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Fincantieri è un'azienda pubblica italiana qualificata al momento come «uno dei maggiori gruppi esistenti al mondo, attivo nella progettazione e costruzione di navi mercantili e militari» controllata da Fintecna, società finanziaria italiana a sua volta controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   Fincantieri nel 2014 ha acquistato la società norvegese Vard ed indirettamente la società Vard Romania, concorrente di società italiane nella costruzione di quadri elettrici per navi;
   a quanto consta all'interrogante dall'acquisizione della Vard le lavorazioni del settore si sono progressivamente trasferite in Romania. Alcuni esempi: la costruzione della nave 6250 «REGENT» è stata appaltata a Vard; la costruzione della nave 6226 «SILVER-SEA» è stata appaltata a Vard, l'offerta per la costruzione delle nuove navi 6256-6257 «MSC» è stata richiesta solo a Vard;
   con tutta evidenza il comportamento di cui sopra rischia di penalizzare le società italiane specializzate nel settore della costruzione dei quadri elettrici per navi –:
   quali siano le strategie del Governo relativamente all'obiettivo di mantenere nel nostro Paese un importante presidio di costruzione di quadri elettrici per navi;
   quali ulteriori iniziative intendano assumere, oltre ad un tavolo di confronto con l'azienda, al fine di assicurare le migliori condizioni per il rafforzamento di comparti strategici per il sistema industriale navale. (5-05272)

Interrogazione a risposta scritta:


   ROMANINI e MAESTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 5 novembre 2015, nel corso dell'audizione presso la Commissione industria del Senato, l'amministratore delegato di Poste italiane, Francesco Caio, ha annunciato il piano di riorganizzazione dell'ente su tutto il territorio nazionale che prevede la chiusura, a decorrere dal 2015, di circa seicento sportelli di Poste italiane;
   l'amministratore delegato di Poste italiane nel corso della citata audizione ha comunque garantito che: «prossimità e presenza di copertura territoriale» restano elementi «funzionali» al piano che il gruppo «ha in mente»;
   diversi comuni sono stati raggiunti da una lettera in cui veniva comunicata la chiusura di alcuni sportelli postali presenti sul territorio: «Il suddetto intervento, – si legge nella lettera – predisposto in ottemperanza all'articolo 2, comma 6, del vigente Contratto di Programma 2009-2011, è determinato dalla necessità di adeguare l'offerta di Poste italiane all'effettiva domanda dei servizi postali nel territorio comunale»;
   nella provincia di Parma risultano:
    a) in chiusura gli uffici di: Pastorello (Langhirano); S. Vitale (Sala Baganza); Sivizzano (Fornovo); Basilicagoiano (Montechiarugolo); Coltaro (Sissa Trecasali); Costamezzana (Noceto); Gaiano (Collecchio); Mezzano superiore (Mezzani); Riccò (Fornovo); Torrile;
    b) in riduzione di orario quelli di Bore, Marzolara (Calestano), Pellegrino –:
   se intende assumere iniziative al fine di ottenere la rimodulazione del piano di riorganizzazione degli uffici e degli sportelli postali perseguendo una più attenta valutazione delle particolari situazioni locali e prestando attenzione anche agli aspetti sociali ed economici che gli stessi svolgono sul territorio. (4-08699)

Apposizione di firme ad una mozione e indicazione dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Speranza ed altri n. 1-00769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Rostellato, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Speranza, Dellai, Oliverio, Sani, Rostellato, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Venittelli, Zanin, Fauttilli, Gadda, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in commissione Ricciatti n. 5-04267, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zaratti.

  L'interrogazione a risposta in commissione Ricciatti e altri n. 5-04643, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zaratti.

  L'interrogazione a risposta orale Daga e altri n. 3-01379, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Spessotto.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Gallinella n. 2-00908, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 398 del 24 marzo 2015.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   la SIN s.p.a. è la società istituita da AGEA ai sensi di quanto disposto dal decreto legislativo n. 99 del 2004, così come modificato dalla legge 231 del 2005, e ad essa è assegnato lo sviluppo e la gestione dei servizi del Sistema informativo agricolo nazionale - SIAN;
   le quote azionarie di SIN sono attualmente possedute al 51 per cento da AGEA e al 49 per cento da RTI Almaviva, socio privato selezionato tramite gara europea nell'anno 2007; ai sensi delle norme istitutive e regolamentari di SIN, nonché delle norme della gara per la selezione del socio privato, il possesso delle quote azionarie da parte di quest'ultimo termina il 20 settembre 2016, data in cui AGEA è tenuta a procedere al riacquisto delle quote ad un prezzo determinato secondo le regole stabilite dalle norme di gara accettate dai concorrenti;
   in data 20 settembre 2016 scadono anche la convenzione quadro tra AGEA e SIN, nonché i contratti di SIN con il gruppo RTI Almaviva, per l'esecuzione, da parte dello stesso, delle attività relative allo sviluppo ed alla gestione del SIAN, in qualità di fornitore esclusivo, come sancito anche dal parere n. 456/2007, rilasciato il 18 aprile 2007 dalla sezione seconda del Consiglio di Stato;
   ai sensi della legge istitutiva di SIN e delle norme di gara sopra citate, l'amministrazione ha quindi l'obbligo di esperire una procedura di pubblica evidenza per la selezione del nuovo socio privato di SIN e la contemporanea assegnazione all'aggiudicatario, in qualità di fornitore in esclusiva, delle attività operative per lo sviluppo e la gestione dei servizi del SIAN, con il prioritario obiettivo di garantire la piena continuità dei servizi stessi ed, in particolare, la tempestività e la correttezza dei pagamenti degli aiuti comunitari ai produttori agricoli italiani;
   ad oggi non risulta che AGEA abbia avviato alcuna delle operazioni necessarie alla predisposizione ed effettuazione della gara, né che abbia raccolto le offerte di supporto in merito da parte di SIN, per cui appare praticamente impossibile che il nuovo socio privato sia individuato in tempo utile per l'attuazione del passaggio di consegne da parte dell'attuale fornitore;
   di conseguenza, sembra già adesso pressoché inevitabile – in considerazione della prioritaria necessità di garantire la continuità dei servizi di pagamento degli aiuti comunitari – ricorrere ad una proroga dell'affidamento dei servizi operativi all'attuale socio privato e fornitore, in evidente spregio della vigente normativa in materia di appalti e della legge specifica fissata nelle norme della gara SIAN;
   l'attuale socio-fornitore di SIN, il gruppo RTI Almaviva, è costituito da molte delle aziende che da circa venti anni, a vario titolo, hanno fornito all'amministrazione i servizi del SIAN; solo negli ultimi sette anni, dall'entrata in attività di SIN, il costo a carico dell'amministrazione corrisposto per i servizi del SIAN, è stato complessivamente superiore a 700 milioni di euro;
   nei vari contratti è sempre stata prevista e corrisposta la completa integrazione e interconnessione del sistema e delle banche dati, come richiesto, in particolare, dal contratto tra SIN ed RTI Almaviva del 26 novembre 2008, per l'effettuazione dei servizi di cui all'atto esecutivo AGEASIN «A08-03» per l'evoluzione dei servizi del SIAN, e nel progetto di conduzione ed evoluzione del SIAN ad essi allegato;
   ciononostante, risulta che siano tuttora necessarie – e siano in corso di progettazione da parte dell'attuale fornitore – nuove attività di sviluppo per consentire l'applicazione delle regole introdotte dalla Commissione europea con la recente riforma della politica agricola comune, nonché per sostenere il nuovo programma ministeriale «Agricoltura 2.0», mediante la piena integrazione del fascicolo aziendale e l'interconnessione con gli altri sistemi pubblici in cui risiedono dati di interesse (regioni, organismi pagatori, INPS, Agenzia delle entrate, e altri);
   nel tempo sono aumentate le segnalazioni, tra cui interrogazioni parlamentari, ispezioni della Commissione europea e indagini giudiziarie su SIAN, su malfunzionamenti e disservizi del sistema, nonché sugli elevatissimi costi dello stesso; in particolare, nella relazione finale del 23 ottobre 2013, della Commissione per l'esecuzione del collaudo finale del SIAN – istituita il 3 aprile 2013 dai vertici all'epoca in carica di SIN – sono stati denunciati inadempimenti di RTI Almaviva per mancata realizzazione di opere contrattualmente previste e per vizi delle opere eseguite, e si è suggerito un intervento progettuale risolutivo atto al ripristino della consistenza, della replicabilità e dell'integrazione dei dati con ciò evidenziando l'assoluta mancanza di integrazione del sistema;
   risulta che SIN abbia notificato ad AGEA la relazione finale di collaudo, auspicando decisioni in merito;
   AGEA avrebbe affidato al CNR una indagine preliminare sul sistema SIAN, alla quale non risulta sia stato dato efficace seguito, per cui, a ben oltre un anno dalla disponibilità della predetta relazione di collaudo, non è stato assunto alcun provvedimento in merito;
   quanto sin qui esposto, unitamente a quella che agli interpellanti appare una perdurante inerzia dell'amministrazione, suscita preoccupazione circa l'effettiva volontà di procedere alla selezione del nuovo socio privato di SIN e costituisce di fatto una dilazione a tutto vantaggio dell'attuale socio privato e fornitore –:
   se il Ministro interpellato ritenga necessario un rapido e decisivo intervento per l'avvio immediato delle procedure per la selezione del nuovo socio privato di SIN s.p.a. o per l'eventuale avvio di una gara pubblica ed il conseguente affidamento della gestione del SIAN, a partire dal 20 settembre 2016, al nuovo fornitore così individuato, al fine di garantire la totale continuità dei servizi a supporto degli adempimenti dei produttori agricoli e la celerità e trasparenza dei meccanismi di assegnazione;
   se non abbia ipotizzato l'opportunità di riportare in capo ad Agea il coordinamento tecnico delle attività svolte da SIN spa attualmente di competenza dell'area coordinamento, e quindi procedere affinché a tale area si affianchi una unità tecnica della stessa Agenzia, o di altro soggetto pubblico, incaricata di predisporre i codici di programma necessari a gestire in automatismo le domande di pagamento e riservare ad un soggetto esterno, anche pubblico, esclusivamente la gestione del servizio relativo alla parte informatica, consentendo quindi all'Agenzia di mantenere la titolarità delle proprie funzionalità e competenze tecniche;
   se intenda assumere iniziative per rivedere l'insieme delle prestazioni istituzionali esternalizzate da Agea ed evitare per il futuro che l'Agenzia possa promuovere o costituire consorzi e società.
(2-00908)
«Gallinella, L'Abbate, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Benedetti, Parentela, Villarosa».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nuti n. 4-03699 del 24 febbraio 2014;
   interrogazione a risposta in commissione Agostinelli n. 5-02641 del 15 aprile 2014;
   interrogazione a risposta in commissione Ventricelli n. 5-02718 del 30 aprile 2014;
   interrogazione a risposta orale Sberna n. 3-01082 dell'8 ottobre 2014;
   interrogazione a risposta in commissione De Rosa n. 5-04474 del 15 gennaio 2015;
   interpellanza urgente Benamati n. 2-00916 del 31 marzo 2015;
   interrogazione a risposta scritta Matarrese n. 4-08653 del 1o aprile 2015.

Ritiro di una firma da una risoluzione.

  Risoluzione in commissione Tacconi e altri n. 7-00198, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 dicembre 2013: è stata ritirata la firma del deputato Spadoni.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in commissione Romanini e Maestri n. 5-04788 del 20 febbraio 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08699;
   interrogazione a risposta orale Oliverio n. 3-01412 del 1o aprile 2015 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-05248.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Cooperlat società cooperativa Agricola, costituita nel 1982 nelle Marche quale «polo del latte» per la raccolta, la lavorazione e la conservazione del latte alimentare e dei suoi derivati, la commercializzazione all'ingrosso e al minuto dei prodotti alimentari in genere, del latte, del burro, della panna, del formaggio, nonché altri prodotti e sottoprodotti lattiero caseari di sua produzione è composta da 13 cooperative di base, associa circa 1.000 produttori agricoli che conferiscono la materia prima latte, è tra le prime aziende del settore lattiero-caseario in Italia e tra le più importanti all'estero; opera in concreto con linee principali prodotti caratterizzati da marchi Tre Valli e Hoplà leader nel settore delle creme vegetali;
   è una cooperativa a mutualità prevalente con un tasso di apporto dei soci pari al 52,90 per cento registrato nel 2011, che ha vissuto per circa trent'anni in armonia con una crescita graduale e costante fino a raggiungere nel 2010 un valore del fatturato di oltre 203 milioni di euro, fintanto che in occasione del rinnovo delle cariche sociali del 26 aprile 2012 si è determinata una profonda frattura nella compagine sociale che ha visto collocare fuori dalla «governance» con una procedura di voto discutibile e ardita, la parte più qualificata delle cooperative di base, ossia la Coalac Società cooperativa Agricola, la Frentana Società cooperativa agricola ar.l. e la Petrano Società cooperativa agricola ar.l., che sono le uniche aziende produttrici marchigiane e abruzzesi di latte fresco di Alta Qualità con conferimento totale alla Cooperlat, mentre sono rappresentate aziende cooperative minori con conferimento parziale del latte;
   su sollecitazione delle tre cooperative estromesse, in data 22 novembre 2012 si è conclusa una ispezione ministeriale promossa dalle strutture di vigilanza dipendenti di codesto ministero sugli enti cooperativi, la quale, in merito al rinnovo delle cariche sociali avvenuto in data 26 aprile 2012 della cooperativa Cooperlat delle Marche, al punto 55 del verbale della loro ispezione, tra altre valutazioni, ha concluso con le seguenti considerazioni: «Gli attuali amministratori e i tre rappresentanti legali delle cooperative soci dissenzienti, devono compiere un percorso di avvicinamento atto a responsabilizzare tutti coloro che partecipano alla vita dell'impresa, riportando così la situazione societaria nell'alveo di una maggiore coesione sociale. In quest'ottica, dovrà risultare fondamentale l'opera di mediazione di Confcooperative che potrebbe contribuire a superare le contrapposizioni in corso, tenuto conto che comunque in un sodalizio di 13 soci (e non di 400 soci) vi è senza dubbio la possibilità di ricompattare la base sociale, anche attraverso l'ingresso dei soci esclusi dall'organo di gestione. In conclusione gli scriventi revisori, sebbene sotto un profilo di illegittimità per quanto concerne il rinnovo delle cariche sociali, abbiano già formulato il proprio parere al punto 47 del presente verbale («Sotto il profilo meramente formale, si riscontra il buon funzionamento degli organi societari...» – ndr), ritengono sotto un profilo di merito di dover ribadire quanto segue: in data 26 aprile 2012 si è verificata una frattura profonda della base sociale può essere superata soltanto con politiche gestionali di buon senso e ragionevolezza, in quest'ottica l'ampliamento dell'organo di gestione appare come una scelta opportuna, anche nei confronti di osservatori terzi (banche, enti collegati, istituzioni) al fine di proseguire l'importante azione di valorizzazione dei prodotti Cooperlat nei vari mercati nazionali ed esteri, con una forte unità di intenti e di comune accordo con tutti soci, nessuno escluso»;
   gli ispettori, pur non ritenendo possibile dichiarare invalida l'Assemblea del 26 aprile 2012 in ragione della decadenza della relativa azione, hanno tuttavia stigmatizzato l'esclusione delle tre cooperative ricorrenti (Coalac di Ascoli Piceno; Frentana di Lanciano e Petrano di Fano) dalla «governance» societaria, stante la violazione dei princìpi di democraticità, parità di trattamento e trasparenza delle procedure di voto insite nel sistema cooperativistico, anche perché la imposizione, ancorché a maggioranza dei soci presenti, di una «lista bloccata» si presta alle seguenti osservazioni:
   a) è noto che per ritenere valida ed ammissibile tale modalità di votazione deve essere concessa ai soci dal presidente dell'assemblea la facoltà di cancellare dalla scheda di voto i nominativi proposti per sostituirli con altri di proprio gradimento ciò invece non è avvenuto sostenendo che «l'assemblea è sovrana» concetto che se male interpretato porta molto spesso al compimento di errori ed irregolarità, non avendo la stessa poteri indiscutibili ed inoppugnabile, stante che la legge prevede la possibilità che i suoi deliberati possono essere impugnati (nullità o annullabilità) quando non siano rispettosi dello statuto, della legge e specie nelle cooperative di principi generali che rendono la cooperativa diversa da una società di capitali e quindi non gestibile secondo modalità non in linea con i principi di democraticità che sono sicuramente imposti da quelli cooperativistici»;
   b) risulta di gravità inaudita anche il fatto di delegati che chiamati a votare una lista bloccata senza che il presidente aprisse la discussione sulla sua composizione e sui soggetti facenti parte della lista, e senza che venisse rappresentata dai soci, liberi di esprimere il loro voto anche nei confronti di soggetti diversi da quelli indicati in tale lista, e senza predeterminare né illustrare all'assemblea che anche chi non fosse indicato in questa lista bloccata poteva essere eletto nel Consiglio di amministrazione;
   c) sono stati violati i diritti della minoranza dissenziente che non condivideva l'arbitrario metodo di voto della lista bloccata, ed è stata operata una grave discriminazione negando la possibilità gli ex vicepresidenti del C.d.A. di presentare le loro candidature ad una propria lista di candidati alle cariche di amministratori diversa da quella presentata dalla maggioranza;
   gli stessi ispettori, nel verbale di che trattasi, al punto 56 hanno suggerito altresì una «moral suasion» delle istituzioni (locali e nazionali) soprattutto attraverso la mediazione di Confcooperative (nazionale e regionale) che abbia come esito finale»... un ampliamento dell'organo di gestione da 9 a 11 soci, e comunque di adottare qualsiasi soluzione idonea a proseguire l'azione di valorizzazione dei prodotti Cooperlat con una forte unità di intenti di comune accordo con tutti i soci, nessuno escluso;
   a tutt'oggi la situazione è rimasta inspiegabilmente e deprecabilmente allo stesso punto, con l'aggravarsi delle tensioni interne alla compagine sociale che hanno portato il Consiglio di Amministrazione, in data 19 dicembre 2013, a deliberare la chiusura dello stabilimento di Ascoli Piceno ex Coalac di Ascoli Piceno, dove si lavorano ogni anno ben 20 milioni di litri di «latte fresco di Alta Qualità e panna fresca», con il depauperamento di circa 100 aziende zootecniche e la messa a rischio di circa 80 posti di lavoro, colpendo così una economia dell'entroterra già duramente stremata dalla crisi sociale conseguente alla crisi economica che ha colpito il nostro Paese;
   contravvenendo alle oneste e ponderate sollecitazioni degli ispettori e mantenendo la «governance» sostanzialmente inappropriata, è stato proposto dal consiglio di Amministrazione ed approvato dall'Assemblea dei soci, un nuovo regolamento interno relativo al conferimento del latte che per i suoi contenuti ha penalizzato i soci a conferimento totale, vale a dire le cooperative marchigiane ed abruzzesi maggiormente impegnate ed esposte in caso di perdite dovute alla gestione, rispetto ai soci a conferimento parziale che hanno assunto la «governance» del gruppo Cooperlat, secondo l'interrogante in contrasto con i princìpi di democrazia cooperativistica e non tenendo conto di quanto rilevato nei passi dei verbali citati dagli ispettori ministeriali –:
   se non ritenga di convocare le parti (presidente del Consiglio di amministrazione e i rappresentanti delle tre cooperative ricorrenti) al fine di prevenire ulteriori danni economici alla stessa Cooperlat, al suo sistema associativo e all'economia picena e teramana, affinché si proceda all'allargamento da 9 all'11 membri dello stesso Consiglio di amministrazione;
   se nella funzione di controllo non intenda irrogare sanzioni alla Cooperlat, prefigurandone anche il commissariamento, stante le persistenti violazioni dei princìpi di mutualità, democraticità e trasparenza; che sono elementi essenziali della cooperazione. (4-03103)

  Risposta. — La società cooperativa Cooperlat è una cooperativa agricola capogruppo di un sistema cooperativo che si propone di sostenere e valorizzare la produzione agricola dei soci, attraverso la lavorazione, la trasformazione e la commercializzazione di latte e prodotti speciali a base di latte e panna.
  Alla stessa aderiscono 11 cooperative operanti in cinque regioni italiane, che provvedono al reperimento del latte presso i soci conferenti, e due consorzi cooperativi. Quest'ultimi sono: le fattorie marchigiane e abit Piemonte. Il primo effettua in via prevalente il conferimento di prodotti finiti (formaggi, mozzarelle, paste filate e ricotte), il secondo produce latte fresco e caseari che commercializza direttamente sul mercato piemontese.
  La società è gestita da un consiglio di amministrazione formato da nove membri che ha delegato alla propria direzione generale le attività di coordinamento di tutte le funzioni e l'attuazione delle strategie aziendali.
  Nel corso del tempo la cooperativa attraverso collaborazioni,
partnership e acquisizioni di altre aziende del settore lattiero caseario è stata in grado di crescere fino a diventare una grande realtà agro-alimentare che produce e commercializza linee di prodotti a marchi diffusi sul territorio nazionale ed estero, come la Tre valli e l'Hoplà.
  La cooperativa, aderente a confcooperative, è stata oggetto di una ispezione straordinaria conclusasi l'11 settembre 2014 senza proposta di provvedimento, non solo al fine di accertare lo stato dell'ente dopo la chiusura di una prima ispezione nel 2013, ma anche in seguito all'interrogazione parlamentare in esame.
  Gli ispettori del Ministero dello sviluppo economico hanno avuto modo di riscontrare come, nel corso degli ultimi anni, la Cooperlat abbia visto assottigliarsi il rapporto percentuale previsto all'articolo 2513 del codice civile ai fini della verifica della mutualità prevalente, in termini di conferimento di materie prime da parte dei soci.
  Nel 2013 tale rapporto è stato pari al 50,86 per cento (conferimento in valore) contro il 54,36 per cento dell'anno 2012. A causa di tale diminuzione di «conferimenti» di materia prima da parte della compagine societaria, la cooperativa ha dovuto fare ricorso al mercato esterno subendo le ripercussioni dell'andamento del mercato stesso. Anche la diminuzione dei volumi nel mercato del latte liquido (in particolare latte uht e latte fresco) ha inciso negativamente sulla situazione economica della cooperativa.
  I risultati economici infatti hanno registrato pesanti perdite di esercizio (esercizio 2012 euro 1.570.985,00 ed esercizio 2013 euro 3.082.651,00).
  Inoltre la Cooperlat, nel corso del 2013 ha dovuto procedere alla svalutazione della partecipazione detenuta nella controllata abit Piemonte. Tale scelta è stata operata in quanto il consorzio, che gestisce direttamente il mercato regionale, ha riportato risultati gestionali negativi e ha dovuto intraprendere un progetto di ristrutturazione che ha comportato anche la chiusura di un reparto (caseificio) con il conseguente avvio di procedure di cassa integrazione guadagni straordinaria per il personale.
  Di conseguenza, la Cooperlat nel 2013 ha elaborato un piano strategico aziendale (2014-2016) volto al raggiungimento di un equilibrio economico. Il piano ha previsto un contenimento dei costi e la concentrazione della produzione di latte fresco dagli stabilimenti di Ascoli Piceno e Badia Polesine nello stabilimento di Jesi e l'apertura della cassa integrazione guadagni straordinaria per i 23 dipendenti di Ascoli Piceno.
  Il piano prevede, comunque, la decisione di riconvertire lo stabilimento di Ascoli Piceno (ex centrale del latte CO.A.LA.C,) in un polo di stoccaggio e smistamento del latte fresco, al riguardo durante l'ispezione, il presidente del cda della Cooperlat e il direttore generale, hanno assicurato agli ispettori la disponibilità a valutare ogni proposta di possibili acquirenti e l'impegno a riservare la massima attenzione alla tutela dell'occupazione dei ventitré dipendenti dello stabilimento.
  Gli ispettori, poiché durante l'assemblea dei soci convocata in data 26 aprile 2012 per il rinnovo delle cariche sociali erano sorte divergenze tra alcuni soci componenti il sodalizio, hanno ascoltato i legali rappresentanti delle cooperative socie di Cooperlat: Giuliano De Santis (CO.A.LA.C società cooperativa agricola), Pietro Cotellessa (Frentana società agricola arl), e Luciano Fadda (Cooperativa agricola del Petrano arl), al fine di fare luce sulle questioni sollevate.
  In particolare i medesimi ispettori hanno diffidato la cooperativa a predisporre e approvare un apposito «Regolamento di assemblee» che disciplini, oltre che le diverse fasi di svolgimento delle assemblee, anche le diverse fasi in tema di scelta degli amministratori nel rispetto dei principi statutari di mutualità e a garanzia della rappresentatività di ogni singola componente il sodalizio.
  Gli ispettori hanno ritenuto indispensabile la predisposizione di un regolamento in quanto si era a ridosso del rinnovo delle cariche sociale e la previsione inserita nello Statuto in merito era troppo generica.
  Infine, in data 11 settembre 2014, gli ispettori hanno accertato che la Cooperativa ha approvato il «regolamento assemblea dei soci» durante l'assemblea dei soci regolarmente costituita in seconda convocazione il giorno 10 settembre 2014.
  Per quanto attiene i restanti aspetti di natura formale, gli stessi hanno rilevato che la cooperativa ha assolto sostanzialmente agli adempimenti previsti dalla normativa vigente.
  L'ispezione si è, quindi, conclusa con esito positivo.
  Con riferimento all'attuazione del piano strategico suddetto, all'effettiva applicazione di quanto stabilito nel nuovo regolamento assembleare e, più in generale, al fine di monitorare l'evoluzione della posizione della cooperativa, si prevede, al di là della vigilanza ordinaria assicurata dall'associazione confcooperative e considerato che l'ultima ispezione straordinaria da parte del Ministero dello sviluppo economico si è conclusa a settembre scorso, di disporre per la fine dell'anno in corso un'ulteriore ispezione straordinaria.

La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   CAPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 90 del 2014 ha garantito per legge il sistema di essenzialità delle centrali elettriche siciliane sopra i 50 mega watt;
   lo stesso decreto-legge ha anche disposto la cancellazione della macrozona Sardegna-Sicilia;
   queste due decisioni hanno causato fortissima preoccupazione in tutto il territorio sardo, che inspiegabilmente non si è visto riconoscere le stesse facilitazioni che evitano il complesso iter necessario per ottenere l'autorizzazione tecnica definitiva al sistema dell'essenzialità;
   detto sistema garantisce, infatti, per legge e a priori l'essenzialità delle centrali siciliane, mentre la stessa viene negata alla Sardegna, unica regione italiana a non aver ancora l'accesso al metano;
   il regime di essenzialità è necessario la sostenibilità del sistema energetico sardo, ed è applicato fino al 2014 a tutte le centrali sarde, da quelle Enel del Sulcis agli impianti EON di Porto Torres, da Ottana Energia alla centrale idroelettrica del Taloro;
   sono note le vicissitudini legate al costo eccessivo dell'energia in Sardegna. Basti ricordare la decisione di Alcoa di fermare lo stabilimento del Sulcis, con la conseguente messa a rischio di circa 1000 posti di lavoro;
   la citata disposizione mette in crisi tutto il sistema della produzione energetica sarda. Esemplificativa, al riguardo appare la vicenda della riconversione della Centrale di Ottana energia;
   nel gennaio del 2009, infatti, Equipolymers, gruppo Dow Chemical, annunciava la chiusura dello stabilimento Equipolymers di Ottana;
   dopo circa un anno di vertenza, con il coinvolgimento della regione Sardegna e del Ministero dello sviluppo economico, veniva identificato un partner disponibile ad acquistare gli asset di Dow Chemical, a patto che venissero presi specifici impegni per risolvere i problemi strutturali del sito di Ottana;
   nel marzo 2010 veniva siglato un patto con il territorio in cui erano definiti i reciproci impegni. Nel successivo mese di luglio Indorama, in joint venture con Ottana Energia acquistava gli impianti di Equipolymers. Purtroppo il patto con il territorio ha visto un'attuazione molto limitata, anche a causa del continuo rinvio del processo di metanizzazione dell'isola;
   in accordo con il Piano energetico regionale del 2006 era prevista la riconversione delle centrali sarde all'arrivo del nuovo gasdotto Galsi. Ciò avrebbe permesso, in particolare, la riconversione della Centrale di Ottana Energia in un moderno impianto ciclo combinato da 400 mega watt, alimentato da gas naturale. Il ritardo della realizzazione dell'infrastruttura Galsi ha messo in difficoltà Ottana, non permettendo una continuità produttiva, come, invece, previsto negli accordi con le Istituzioni, e costringendola a una soluzione ponte in attesa della metanizzazione della Sardegna;
   nel 2012 il Gestore della rete nazionale ha completato la messa in servizio del nuovo cavo di collegamento con il continente, generando una brusca discontinuità nel mercato elettrico sardo, che ha causato la messa fuori mercato della quasi totalità degli impianti presenti in Sardegna;
   proprio per porre rimedio a questa situazione i suddetti impianti sono stati chiamati all'esercizio in regime di essenzialità, al fine di mantenere stabile la rete elettrica dell'isola. Solo la centrale di Ottana, però, si è vista negata la qualifica di essenzialità, riconosciuta agli altri impianti presenti nell'isola;
   solo successivamente l'Autorità per l'energia elettrica e il gas, ha concesso la qualifica, ma solo per il 2013 e con l'obbligo di convertire gli impianti entro il 2014, e tra le ipotesi di riconversione ha incontrato accoglienza favorevole quella dell'utilizzo del carbone;
   verrebbe utilizzato, infatti, un combustibile con il prezzo di unità termica decisamente più basso degli altri. Inoltre, tale soluzione consentirebbe, tra l'altro la salvaguardia del livello di forza lavoro (circa 100 unità);
   il possibile utilizzo del carbone, in attesa della metanizzazione dell'isola aveva trovato un preliminare consenso il 31 gennaio 2013 tra i soggetti interessati (regione Sardegna, provincia di Nuoro, Consorzio industriale provinciale, Confindustria, organizzazioni sindacali, e Ottana Energia);
   nella riunione del 6 settembre 2013 il Ministero dello sviluppo economico ha evidenziato alla Ottana la necessità della riconversione carbone entro il 2014, evidenziando, inoltre, che la metanizzazione della Sardegna, tramite il gasdotto Galsi, o attraverso un rigassificatore di taglia adeguata, rappresentava un obiettivo prioritario;
    il 1° ottobre successivo, però, il comune di Ottana bocciava la conversione a carbone per timore di possibili impatti ambientali negativi. Successivamente altri comuni della zona esprimevano analogo parere negativo. Questo mentre la regione Sardegna prevedeva la riconversione dello stabilimento a metano solo per il 2020;
   il 10 aprile 2014 i sindaci del territorio e la provincia di Nuoro chiedevano, tra l'altro, al presidente della regione Sardegna di poter introdurre un elemento di accelerazione sul progetto di metanizzazione della Sardegna e al Ministero dello sviluppo economico di riconsiderare le scelte fatte per la riconversione a carbone della centrale di Ottana, consentendo la continuità produttiva con il rinnovo della Essenzialità;
   il 13 maggio 2014, con delibera 17/14, la regione Sardegna stabiliva l'uscita dal consorzio Galsi, e l'individuazione di un advisor per una soluzione tecnica alternativa alla riconversione a carbone;
   nella medesima delibera 17/14, si prevedeva il mantenimento dei regimi di essenzialità energetica attualmente vigenti in Sardegna, in vista dell'adeguamento degli impianti al processo di metanizzazione previsto per la Sardegna stessa;
   il 27 maggio 2014, il consiglio regionale approvava l'ordine del giorno n. 5 nel quale si chiedeva al Governo l'attivazione delle disponibilità finanziarie occorrenti per il mantenimento dei regimi di essenzialità vigenti in Sardegna;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per assicurare alla Sardegna lo stesso trattamento concesso alla Sicilia dal voto del Senato, appoggiato dal Governo, in modo da porre rimedio a una decisione che, come appare evidente da quanto sopra esposto, colpisce pesantemente tutto il sistema energetico sardo, impegnato in una lotta contro il tempo per la necessaria riconversione al metano, già fortemente penalizzato dagli alti costi dell'energia, e ora inspiegabilmente discriminato rispetto agli analoghi impianti siciliani. (4-05841)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo si rappresentano i seguenti elementi.
  La norma alla quale l'interrogante si riferisce, è quella con la quale si prevede che «fino all'entrata in operatività dell'elettrodotto 380 kV “Sorgente-Rizziconi” tra la Sicilia e il Continente e degli altri interventi finalizzati al significativo incremento della capacità di interconnessione tra la rete elettrica siciliana e quella peninsulare, le unità di produzione di energia elettrica, con esclusione di quelle rinnovabili non programmabili, di potenza superiore a 50 MW ubicate in Sicilia sono considerate risorse essenziali per la sicurezza del sistema elettrico ed hanno l'obbligo di offerta sul mercato del giorno prima».
  L'articolo aggiunge anche che «in attesa di una riforma organica della disciplina degli sbilanciamenti nell'ambito del mercato dei servizi di dispacciamento, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico procede entro sessanta giorni a rimuovere le macrozone Sicilia e Sardegna».
  Secondo quanto viene riportato nell'atto in questione, il combinato disposto dei passaggi sopra richiamati, in aggiunta alle difficoltà legate al processo di metanizzazione della Sardegna, potrebbe provocare una crisi per i produttori di energia elettrica sardi, che sarebbero quindi discriminati rispetto a quelli siciliani.
  Nel merito, si fa presente che, secondo i dati del Gestore dei mercati energetici, il valore medio del prezzo dell'energia sul mercato del giorno prima (Mgp) nel 2013 in Sardegna si è attestato al valore di 61,52 euro/MWh, addirittura inferiore al valore del prezzo unico nazionale (Pun), il cui valore è stato 62,99 euro MWh. Occorre precisare che il prezzo dell'energia elettrica in Sardegna si è allineato al Pun solo negli ultimi due anni, infatti fino al 2011 si attestava su valori di circa 10-15 euro superiori ai valori del Pun; a tal riguardo è di rilievo il ruolo del cavo Sapei, entrato in servizio nel 2012 e che ha contribuito ad allineare il prezzo della Sardegna a quello delle altre zone continentali.
  Discorso completamente diverso per la Sicilia, dove il mancato completamento del cavo Sorgente-Rizziconi ha lasciato immutate le condizioni che hanno determinato un prezzo medio annuo ben più elevato, che nel 2013 è stato di 92,00 euro/MWh, quindi superiore di quasi 30 euro al prezzo sardo.
  Si segnala, inoltre, che anche nel 2014 la Sardegna ha avuto prezzi allineati al resto delle zone continentali mentre la Sicilia si è attestata su prezzi superiori di circa 30 euro, tra cui spicca il dato di agosto 2014, quando nell'Isola è stato rilevato un prezzo di ben 102,15 euro MWh a fronte di un Pun a 47,17 euro/MWh.
  I dati appena mostrati sono utili a far evidenziare le motivazioni che hanno portato il Governo ad intervenire per cercare di contenere i prezzi dell'energia in Sicilia, ed a tal proposito si rileva il dato del mese di gennaio 2015 quando, proprio grazie alla norma citata, il
gap di prezzo tra la Sicilia ed il resto delle zone si è ridotto a poco più di 10 euro/MWh.
  Il regime di essenzialità per gli impianti siciliani è quindi un modo che ha l'effetto di ridurre il prezzo zonale dell'energia nell'Isola, e quindi il prezzo pagato ai produttori, ma di conseguenza produce una diminuzione del prezzo sul fronte della domanda (Pun) a livello nazionale. La norma ben si inserisce in un contesto normativo che ha l'obiettivo di riduzioni dei costi complessivi di approvvigionamento energetico per famiglie ed imprese proprio perché gli effetti di una diminuzione dei prezzi in una determinata zona hanno una ricaduta positiva in tutte le altre zone.
  Sul fronte della domanda, pertanto, la Sardegna la quale, essendo ormai da due anni allineata ai prezzi continentali, ricaverà un evidente beneficio da tale norma (diminuzione del Pun).
  Sul fronte dell'offerta, invece, il provvedimento appare neutro nei confronti dei produttori in Sardegna, il cui prezzo zonale è ormai allineato a quello delle altre zone grazie al Sapei, appare quindi neutra per i produttori sardi anche la decisione di eliminare le macro-zone insulari.
  Infine, tra gli interventi previsti nell'ambito della questione infrastrutturale sarda concernente la metanizzazione dell'isola, fu collocata la realizzazione del metanodotto Galsi, la cui conferenza dei servizi del procedimento di autorizzazione si chiuse con esito positivo il 22 dicembre 2011. La chiusura del procedimento è in attesa dell'espressione di intesa da parte della Regione Toscana interessata per la parte dell'approdo; la Regione Sardegna ha espresso la sua intesa favorevole con la delibera di giunta n. 16/33 del 18 aprile 2012.
  Un ulteriore rinvio della decisione di investimento da parte dell'azionista di maggioranza algerino della società Galsi, è il segnale che il ritardo della realizzazione del progetto Galsi e quindi della metanizzazione dell'isola, è da imputarsi alla crisi del mercato energetico che non favorisce e non sostiene tale investimento.
  Tuttavia il Ministero nell'ottica del citato progetto di metanizzazione si è attivata, su richiesta della regione, promuovendo e supportando degli incontri con la regione medesima, la società Galsi e la società Snam Rete Gas, al fine di individuare soluzioni alternative progettuali relative alla metanizzazione dell'isola.
  Si fa, comunque, presente che i progetti di costruzione di terminali di rigassificazione, anche se sono valutati e autorizzati dal Ministero dello sviluppo economico, attengono all'iniziativa privata e come tali sono soggetti ad una valutazione economica del mercato energetico.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   CATANOSO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   dopo aver visto il manifesto pubblicitario con il quale la Marina Militare italiana sta «pubblicizzando», appunto, il prossimo Corso per l'Accademia navale l'interrogante ha rilevato come l'utilizzo di espressioni in inglese come «Navy» e «cool» e una linea «leggera» lascino intendere come non solo la comunicazione, il marketing, la televisione, la cultura ma anche la Marina Militare, si siano adeguati agli aspetti secondo l'interrogante più deteriori del mondo globale;
   l'uso sfrenato dell'idioma inglese e la motivazione estremamente «leggera» per spingere a intraprendere una delle carriere più belle e impegnative e piene di responsabilità che ci siano, non mi sembra affatto adeguato;
   l'interrogante ben comprende che, rivolgendosi a un pubblico giovane e sensibile ai valori d'oltreoceano, si sia pensato di usare codici freschi e internazionali: peccato, però, che la Marina Militare rimanga uno dei simboli dell'italianità sana. Gode da sempre di grande rispetto da parte delle marinerie straniere ed è in sé uno strumento di esportazione del «Made in Italy»;
   provoca rabbia, fastidio, disgusto e tristezza vedere la marina militare firmarsi «Navy» per rendersi più affascinante nei confronti delle giovani reclute;
   la Marina militare italiana deve ricercare la freschezza non nel linguaggio e nell'approccio con i giovani italiani ma nelle armi in sua dotazione, nelle modalità di addestramento e nell'approccio alle nuove forme dei conflitti. Per il resto, deve rimanere profondamente antica, quell'antichità bella che non si trasforma in vecchiaia ma in fascino. Il fascino delle tradizioni, della «Vespucci», della «Premuda», dei mezzi d'assalto;
   il fascino dato dall'esperienza di navigare, vedere e fare cose esotiche e meravigliose che altri uomini e donne non fanno e non vedono. Questo rende orgogliosi gli italiani della propria Marina militare, non l'essere «cool», termine legato all'individualità superficiale, alla moda, all'essere vestiti «giusti»;
   in Marina si fa molto più che sentirsi «alla moda»: si rischia la vita nelle missioni operative, si conducono navi, sommergibili, aeroplani ed elicotteri. Vi sono sommozzatori, palombari velisti e marò per l'appunto;
   tale campagna pubblicitaria peraltro non tiene conto della situazione dei due marò italiani ancora sotto processo in India e che sicuramente non si potrebbero considerare rappresentati da tale campagna;
   quali iniziative intenda assumere il ministro interrogato affinché sia ritirata questa campagna pubblicitaria e, se lo riterrà opportuno, vengano rimossi dal loro incarico, i responsabili di tale scelta. (4-07707)

  Risposta. — La campagna di comunicazione evidenziata nell'atto di sindacato ispettivo in esame, realizzata dalla Marina militare con risorse interne, ha come obiettivo quello di promuovere la partecipazione al concorso per l'ammissione all'Accademia navale di Livorno.
  L'aspetto centrale della campagna è costituito dall'uso dell'espressione «
be cool», traducibile in italiano come «essere giusto e fiducioso delle proprie capacità».
  La scelta della lingua inglese operata dalla Forza armata è stata effettuata nella consapevolezza che i giovani, a cui si rivolge, sono ragazzi cresciuti in un contesto sempre più aperto, parte di un mondo globalizzato, dinamico e senza frontiere, che si confrontano in rete con i coetanei di tutto il mondo impiegando un linguaggio ormai universale diffuso da Internet.
  È stato così pensato e realizzato uno slogan per richiamare, con un'espressione semplice, diretta e diffusamente utilizzata, l'attenzione sulla professione odierna di «marinaio», che richiede la voglia di mettersi alla prova in un contesto moderno, altamente tecnologico e internazionale.
  I risultati di questa campagna di comunicazione sono stati lusinghieri. Infatti le domande di partecipazione al concorso per l'Accademia navale sono aumentate quest'anno del 20 per cento rispetto a quelle dell'anno passato. Gli esperti della comunicazione direbbero che il fatto stesso che se ne parli evidenzia il successo dell'iniziativa e l'efficacia del messaggio trasmesso, che peraltro dimostra la capacità delle Forze armate di rinnovarsi e di essere in sintonia con i tempi.
  In conclusione, l'uso della lingua inglese non sottrae certo all'immagine della Marina militare il valore delle sue tradizioni che sono radicate nella storia e che possono essere declinate in forma moderna proprio per renderle condivisibili con le nuove generazioni.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   particolarmente delicata è la vicenda riguardante l'8° reggimento alpini in Cividale del Friuli, vittima dell'opera di razionalizzazione delle strutture dell'esercito sul territorio nazionale e, in particolare, nella regione Friuli-Venezia Giulia;
   in particolare, nell'ambito del processo di revisione dello strumento militare, di cui alla legge 31 dicembre 2012, n. 244, è stato previsto il trasferimento del reggimento alpini presso la caserma «Feruglio» di Venzone (Udine) con la conseguente dismissione della Caserma «Francescatto» di Cividale del Friuli;
   tale eventualità sta creando notevole apprensione nell'amministrazione comunale e nella cittadinanza, sia sotto il profilo economico-sociale, sia per quanto riguarda il profondo legame storico che lega il reggimento alla comunità locale;
   la caserma di Venzone, infatti, seppure di più recente costruzione, presenta gravi problemi strutturali ed è sfornita di magazzini, dislocati invece a distanza di ben 10 chilometri presso la caserma Goi-Pantanali di Gemona, con conseguente aggravio delle spese per lo spostamento dei mezzi e del personale addetto al servizio di vigilanza;
   a ciò, si aggiunga l'ulteriore considerazione che il poligono di tiro di Venzone è di difficile impiego, trovandosi nell'area del parco delle Prealpi Giulie, nel territorio turistico della zona della Sella Sant'Agnese di Gemona del Friuli. Esso, inoltre, non è ad uso esclusivo del personale militare, che, di fatto, svolge spesso l'attività addestrativa in altre aree;
   la centrale caserma di Venzone è, inoltre, sede di passaggio di altri reparti o scuole di formazione per attività addestrative e il suo abbandono costituirebbe senz'altro un grave danno all'immagine della città, inserita da tempo in un circuito turistico di grande importanza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga necessario attivarsi con la massima urgenza per disporre l'immediata sospensione di ogni atto relativo alla soppressione di tale fondamentale presidio militare nel comune di Cividale del Friuli.
(4-02866)

  Risposta. — Il trasferimento del comando dell'8o reggimento alpini e delle dipendenti 69a compagnia alpini e compagnia comando e supporto logistico, dalla sede di Cividale del Friuli a quella di Venzone, è stato previsto per il 2016, con conseguente chiusura della caserma «Francescatto» in Cividale.
  La scelta di Venzone (caserma «Feruglio») tiene conto dei seguenti criteri, di carattere generale, direttamente discendenti dalla legge n. 244 del 2012:
   riconfigurazione delle attuali componenti di manovra in senso capacitivo, eliminando le ridondanze e razionalizzando le componenti di comando e controllo e di supporto logistico;
   mantenimento delle expertise esistenti, limitando al minimo, ove possibile, gli spostamenti del personale;
   presenza nelle immediate vicinanze di aree addestrative/poligoni per il mantenimento della capacità operativa dell'unità;
   valorizzazione del patrimonio infrastrutturale disponibile, investendo sulle strutture più moderne e/o che presentano minori costi di esercizio.

  Il trasferimento del comando dell'8o reggimento alpini da Cividale a Venzone si rende, pertanto, necessario in quanto:
   sussiste l'esigenza di eliminare l'anomalia costituita da un reggimento su due sedi che comporta una duplicazione delle strutture di comando e controllo e di sostegno logistico;
   l'attuale separazione della componente di manovra (69a compagnia alpini in Cividale) comporta l'adozione di continui compromessi per l'esercizio del comando sulle compagnie dipendenti (dislocate in Venzone) e per l'effettuazione delle attività addestrative;
   la caserma «Feruglio» è ubicata nelle vicinanze del poligono «Rivoli Bianchi di Venzone», raggiungibile sia a piedi che con gli automezzi, risultando quindi ben asservito per le esigenze addestrative del reparto. Detto poligono, oltre a consentire lo svolgimento di esercitazioni in bianco ed a fuoco, nel corso del 2012/2013 è stato impiegato per 160 giorni rispetto ai 172 disponibili annualmente, risultando quindi ampiamente sfruttato;
   la stessa caserma, infine, attuale sede del battaglione dell'8o reggimento alpini:
    presenta le capacità per ospitare l'intero reggimento;
    è già stata, fino al 2005, sede di un intero reggimento alpini, il 14o;
    dispone di magazzini idonei a contenere i materiali del battaglione e delle compagnie dipendenti.

  Nel 2005, nell'ambito di una più ampia riorganizzazione strutturale della Forza armata che prevedeva la soppressione di un reggimento alpini da individuare tra l'8o ed il 14o, si adottò la decisione di mantenere una presenza militare, seppur limitata, in Venzone e in Cividale, sopprimendo formalmente il 14o e optando per l'attuale soluzione organizzativa che, ad oggi, non risulta più sostenibile.
  Alla caserma «Feruglio» è abbinato, infine, un altro sedime, quello della caserma «Goi Pantanali», area logistico-addestrativa in uso al reggimento, distante circa 6 chilometri da Venzone, presso cui sono custoditi materiali particolarmente ingombranti/pesanti e ove è attivo un servizio di piantonaggio/sorveglianza.

  In merito alla situazione del personale si rappresenta che nella sede di:
   Cividale del Friuli sono presenti n. 473 unità, di cui l'80 per cento residente nella regione Friuli Venezia Giulia;
   Venzone sono effettive n. 415 unità, di cui il 66 per cento residente nella regione Friuli Venezia Giulia.

  Al riguardo, si assicura che il rilascio della sede di Cividale sarà attuato con il reimpiego del personale presso unità limitrofe alla stessa città.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   continuano senza sosta gli sbarchi di migliaia di migranti che approdano sulle coste italiane, soccorsi dalle imbarcazioni della guardia costiera e della marina militare;
   al 30 giugno 2014, gli immigrati sbarcati in Italia avevano già superato il totale degli arrivi registrato nel 2011, che finora era stato fanno di record raggiungendo la ragguardevole cifra di 63 mila (nel 2013 erano stati «soltanto» 43 mila);
   i dati ufficiali forniti dal Ministero dell'interno, infatti, rilevano che nei primi sei mesi di quest'anno sono giunti via mare 61.585 stranieri, la maggior parte partiti dalla Libia;
   a distanza di quasi un anno dall'avvio dell'ormai nota operazione militare e umanitaria Mare Nostrum, emergono numerose carenze, che stanno facendo registrare un vero e proprio allarme sicurezza;
   è di pochi giorni fa, infatti, la preoccupante notizia, riportata dai maggiori quotidiani nazionali, di malattie contratte dai nostri poliziotti impegnati nei soccorsi dei migranti che, da mesi, sbarcano sulle nostre coste;
   in particolare, sembrerebbe che due agenti di Polizia sono stati contagiati dalla tubercolosi a Ferrara durante le operazioni di accoglienza dei clandestini;
   il contagio sarebbe avvenuto all'interno di una struttura predisposta per far fronte all'emergenza profughi nella quale è stata accertata la presenza di almeno un altro uomo contagiato da tubercolosi;
   in entrambi i casi sarebbero emerse le stesse, identiche carenze: nessuna protezione efficace, come mascherine di carta, guanti inadatti, controlli eseguiti negli uffici immigrazione e della scientifica non «bonificati», dove le pulizie, in certi casi, vengono effettuate anche ogni 15 o 30 giorni per carenza di personale, tanto che spesso sarebbero gli stessi agenti a pulire il proprio ufficio;
   quello della sicurezza è un tema sul quale i rappresentanti dei sindacati Sap e Siap, Luca Caprini e Alessandro Chiarelli, battono con vigore: «A Ferrara siamo ai livelli minimi assoluti di personale, non possiamo più garantire i livelli di sicurezza richiesti giustamente dai cittadini. In Italia solo quest'anno ci sono stati 1300 arruolamenti e 2500 pensionamenti e anche a Ferrara il saldo non è positivo. In più l'età media si avvicina ai 50 anni soglia dalla quale scattano le esenzioni da certi servizi»;
   secondo i due rappresentanti sindacali a Ferrara sarebbero in servizio solo due under 30 su 230 persone in servizio: «Manca il turnover, non ce ricambio generazionale e il 20 per cento del personale ha già esenzioni di vario tipo e così sono rimasti pochi poliziotti arruolabili per i servizi»;
   i sindacati della polizia continuano a lanciare i loro allarmi, giorno dopo giorno, e hanno deciso anche per un'azione durissima di protesta, sono state tolte tutte le deroghe agli orari di servizio, sia per l'ordine pubblico che per l'accompagnamento degli stranieri, ma nulla sembra cambiare;
   tra le mancanze denunciate, inoltre, non solo quelle di personale ma anche di strumenti e automobili, e la situazione è destinata inevitabilmente a collassare in maniera strutturale a breve;
   persino il segretario nazionale del Sap, Gianni Tonelli, ha denunciato la «sensazione di abbandono» percepita dagli agenti e di fronte al nuovo caso di tubercolosi è intervenuto duramente: «Il collega infettato non è andato in Sicilia o in Puglia ad accogliere i migranti, ma è stato contagiato a Ferrara da persone smistate sul territorio nazionale. È la dimostrazione che il problema non riguarda più solo gli operatori ma l'intera comunità. Non lo dico per fare terrorismo mediatico, ma il problema è di salute pubblica, perché il cordone sanitario non esiste»;
   anche secondo Medici Senza Frontiere «c’è il reale rischio che l'epidemia si diffonda in altre aree» e la stessa Organizzazione mondiale della sanità non sa cosa fare;
   se il Governo vuole che Mare Nostrum vada avanti, deve trovare i fondi non solo per i Centri di prima accoglienza, ma anche per vaccinare preventivamente tutti gli agenti impegnati nell'operazione Mare Nostrum, a tutela del loro fondamentale diritto alla salute e nell'interesse di tutti i cittadini;
   anche da Salerno arrivano notizie di una situazione ormai insostenibile: il 19 luglio alcuni uomini del reparto mobile di Napoli sono stati impegnati a Salerno per la vigilanza in un Hangar contenente circa 2.000 profughi e i poliziotti, pur stando al chiuso, erano dotati di semplici mascherine chirurgiche, praticamente inutili per proteggersi da malattie infettive quali la TBC, l'influenza aviaria o altre malattie ancora più gravi;
   questo caso non è isolato: il 18 luglio uomini del reparto mobile di Milano sono andati a prendere circa 150 eritrei da Lampedusa per trasferirli parte a Roma e parte in centri di accoglienza nel nord Italia e anche in questo caso i poliziotti erano forniti solo di mascherine chirurgiche, totalmente inutili per bloccare le malattie infettive;
   i poliziotti, ma in particolare gli uomini dei reparti mobile di tutta Italia, vengono sballottati a destra e a manca, senza nessuna profilassi seria che li tuteli;
   «Un altro episodio inconcepibile – denuncia Igor Gelarda, Segretario Regionale della Consap Sicilia – è avvenuto il 19 luglio a Palermo. Quattro poliziotti impegnati in servizio di controllo del territorio per pronto impiego, hanno ricevuto la direttiva di fare la staffetta ad un pullman con a bordo una cinquantina di migranti tra siriani, somali e palestinesi, appena sbarcati ad Augusta, destinati in alcune strutture di accoglienza della provincia di Palermo. Il problema è che nessuno aveva avvertito i poliziotti che avrebbero dovuto accompagnare dei migranti appena arrivati e pertanto questi non disponevano né di guanti né di mascherine»;
   la dirigenza della Consap continua: «così mentre si continuano a spendere milioni e milioni di euro per l'accoglienza di migranti disperati per dar loro cibo, assistenza sanitaria, schede telefoniche e alloggi nessuno fa caso alla salute degli operatori di polizia impegnati in queste attività. Questi poliziotti hanno mogli e figli. Chi dovremo ritenere responsabile adesso se qualcuno di loro o dei loro familiari dovesse ammalarsi ? I Poliziotti contagiati si contano già a decine ! Facciamo un appello ai poliziotti stessi: le malattie che potreste prendervi, ma anche portare a casa ai vostri figli e alle vostre mogli sono potenzialmente pericolose, abbiate voi cura di voi stessi e delle vostre famiglie perché la nostra amministrazione non ne ha !» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, quali urgenti provvedimenti ritengano opportuno adottare per interrompere l'impiego di personale di polizia nelle operazioni connesse a Mare Nostrum;
   se sia stata seguita la profilassi in favore dei poliziotti impegnati nelle attività di accoglienza profughi, compresa la vaccinazione preventiva di tutti coloro che sono impegnati nel fronteggiare i numerosi sbarchi dei migranti che approdano sulle coste italiane;
   quali siano i dati sui contagi da tubercolosi, meningite o altre malattie connessi all'operazione Mare Nostrum. (4-05955)

  Risposta. — Le problematiche sanitarie connesse ai flussi migratori sono da tempo all'attenzione delle amministrazioni interessate e il Ministero della salute ha emanato al riguardo apposite linee guida sulla prevenzione del rischio biologico, sulla gestione delle misure di prevenzione per la tubercolosi e sul rischio biologico da virus ebola.
  In predetto Ministero ha infatti fornito precise indicazioni agli uffici di sanità marittima aerea e di frontiera (Usmaf) che intervengono nelle primissime fasi dell'arrivo – nonché agli assessorati regionali alla sanità che intervengono nelle fasi successive di permanenza degli stessi naufraghi nel territorio nazionale – per l'applicazione delle misure previste dal regolamento sanitario internazionale del 2005 e delle misure di sorveglianza e prevenzione appropriate.
  Le procedure di controllo sanitario effettuate sui migranti alla luce dei predetti atti di indirizzo prevedono che questi siano sottoposti a visita medica già prima dello sbarco, da parte dei medici della Marina militare e del Ministero della salute, onde mettere in atto prioritariamente tutte le misure di profilassi che si richiedono in caso di malattia infettiva e contagiosa, prime tra tutte l'isolamento.
  La tutela della salute e della sicurezza dei migranti prosegue anche durante la permanenza nei centri, dove è possibile effettuare approfondimenti diagnostici che consentono di identificare i casi eventualmente sfuggiti al primo filtro sanitario.
  In caso di documentato e fortuito contatto con malati in fase contagiosa, le autorità sanitarie preposte provvedono a segnalare tempestivamente il caso a tutti i soggetti interessati (soccorritori volontari, personale militare e delle forze di polizia, delle Asl, della Croce rossa, dei centri di accoglienza) al fine di consentire l'adozione di una specifica profilassi post-esposizione.
  In ordine alla malattia tubercolare, è prevista l'effettuazione di test di
screening (Mantoux), riservando approfondimenti diagnostici ed eventuali trattamenti medici profilattici ai soli casi positivi (nel prosieguo, si dirà dell'esito dei test di Mantoux a cui sono stati sottoposti gli operatori di polizia).
  In assenza di segnalazione di casi di individui affetti da malattie infettive diffusive, appare pienamente in linea con le linee guida emanate in materia l'utilizzo di dispositivi di protezione individuale di tipo generico (mascherine chirurgiche e guanti in lattice) e la mancata attivazione di specifiche misure di profilassi antimicrobica (con particolare riferimento alla profilassi antitubercolare) nel personale impiegato in operazioni di soccorso, assistenza e scorta.
  Si soggiunge che la direzione centrale di sanità del Dipartimento della pubblica sicurezza ha emanato più di una circolare
ad hoc, con l'indicazione delle misure operative di tutela e di profilassi che debbono essere adottate dal personale delle Forze di polizia impegnato nelle operazioni di soccorso dei migranti.
  In proposito, sono state fornite indicazioni quanto più esaustive (con pubblicazione anche sul portale «Doppia Vela» del sito istituzionale della polizia di Stato) circa l'impiego dei dispositivi di protezione individuale, in grado di evitare il contatto con eventuali microrganismi, nei differenti possibili contesti operativi.
  La stessa direzione centrale è stata ed è tuttora in costante contatto con i medici della polizia di Stato delle sedi ove avvengono gli sbarchi e di quelle dove sono trasferiti i migranti, attivando puntuali e reciproci scambi sulle eventuali criticità di carattere sanitario.
  Inoltre, di fronte a potenziali rischi di natura biologica, i questori delle sedi nelle quali vengono trasferiti i migranti possono impiegare i medici della polizia di Stato per monitorare tempestivamente la situazione consentendo di attuare, laddove necessario, ogni misura di tutela nei confronti del personale, con particolare riguardo agli aspetti di informazione sanitaria, alla fornitura e al corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale.
  È stata anche prevista la distribuzione, a scopo prudenziale, di un
kit di protezione individuale al personale della polizia di Stato in servizio negli scali aeroportuali interessati da voli internazionali extra-Schengen. Tale strumentazione potrà anche essere distribuita in caso di effettiva esigenza a personale di altri uffici o reparti.
  Peraltro, la polizia di Stato, analogamente a quanto fatto dalla Marina militare, ha esteso le procedure di controllo per la malattia tubercolare a tutto il personale impiegato nei servizi di soccorso, assistenza e scorta a migranti che, indipendentemente dalla documentazione del contatto con soggetto bacillifero e contagioso, abbia comunque operato in particolari condizioni di rischio.
  Il complesso di tali misure ha consentito un adeguato contenimento del potenziale rischio biologico del personale impegnato in tali attività, al di là delle misure cautelative già adottate in termini di profilassi.
  Ciò è attestato dall'esito degli accertamenti diagnostici di
screening per la malattia tubercolare (tra cui il test di Mantoux), al quali è stato sottoposto il personale della polizia di Stato impiegato nei servizi a rischio.
  Al 12 agosto 2014 ne erano stati effettuati complessivamente 1001. I soggetti cutipositivi sono risultati 65, corrispondenti al 6,5 per cento del campione esaminato, percentuale di gran lunga inferiore a quella attesa per la popolazione generale nel nostro Paese (10 per cento circa), mentre non sono stati documentati casi di malattia tubercolare in forma attiva.
  Si evidenzia in proposito che la positività al
test può verificarsi anche in soggetti vaccinati o che abbiano contratto precedentemente infezioni da agenti microbici appartenenti allo stesso gruppo del micobatterio tubercolare. Questa può, peraltro, risalire anche all'età infantile, essendo condizione latente nel 15 per cento della popolazione italiana, asintomatica e non infettiva, tale da non precludere l'idoneità fisica al servizio di polizia.
  A seguito del controlli sanitari (integrati da accertamenti radiografici con esito negativo), per un unico operatore, risultato positivo all'infezione tubercolare latente, è stata disposta la sorveglianza clinica ogni sei mesi per due anni, con contestuale giudizio di idoneità all'espletamento dei compiti istituzionali.
  Nel prossimi mesi, l'elaborazione epidemiologica dei dati, a cui la direzione centrale di sanità sta già lavorando in collaborazione con enti universitari di eccellenza, consentirà di definire con precisione profili di rischio ed eventuali criticità, al fine di affinare i protocolli di intervento per la massima tutela della salute del personale.
  Per quanto riguarda inoltre l'eventuale adozione di misure di immunoprofilassi attiva nei confronti degli operatori di polizia, si sottolinea che, a fronte di un rischio di contagio estremamente contenuto e certamente non paragonabile a quello degli operatori sanitari impegnati nell'assistenza a soggetti con malattia in fase contagiosa (per i quali è prevista, in base alle richiamate linee guida ministeriali, la vaccinoterapia antitubercolare), detta vaccinazione non offre comunque un'elevata garanzia di protezione nei confronti dell'infezione ed è considerata, pertanto, non indicata per il personale impiegato nei servizi a contatto con i migranti.
  Infine, l'11 novembre 2014 è stato siglato un protocollo di intesa tra il Ministero dell'interno, quelli della salute e della difesa, al fine di cooperare nell'attività di assistenza alle persone sbarcate sul territorio nazionale negli ambiti dei flussi non programmati d'ingresso, rafforzando le misure e gli interventi per la tutela della salute, attraverso accertamenti sanitari da effettuare direttamente nei luoghi di sbarco o in prossimità degli stessi.
  Si assicura, dunque, che il Ministero dell'interno – di concerto con tutte le amministrazioni coinvolte – sta svolgendo ogni opportuna azione per assicurare un'adeguata tutela della salute, oltre che delle persone migranti che arrivano nel nostro Paese, anche degli operatori che prestano il loro servizio durante le operazioni di sbarco e nei centri per l'immigrazione.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   COLONNESE, CARINELLI, NESCI, VIGNAROLI e FICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Accordo di partenariato è un documento che descrive la strategia e le priorità di intervento di ogni Stato membro, le modalità di impiego dei fondi europei strutturali del Quadro strategico comune. La proposta di Accordo di partenariato 2014-2020 viene prima portato alla Conferenza unificata per l'intesa e, successivamente, all'approvazione del CIPE, per i profili di competenza e la formalizzazione del mandato all'interlocuzione formale con la Commissione europea. Si tratta di fondi comunitari collegati al Quadro strategico comune 2014-2020. Ogni Stato membro organizza il partenariato con le autorità regionali, locali, cittadini e le altre autorità pubbliche competenti; le parti economiche e sociali; gli organismi che rappresentano la società civile (ONG, partner ambientali, organismi di promozione della parità e della non discriminazione);
   nel gennaio del 2013 si è avviato un dialogo tra l'Italia e la Commissione europea su una bozza preliminare di Accordo di partenariato e il 10 marzo 2013 è stata trasmessa alle commissioni permanenti, come previsto dall'articolo 1, comma 246, della legge n. 147 del 2013, corredata dalle osservazioni della Commissione europea. Ogni Stato membro è tenuto comunque a presentare ufficialmente alla Commissione europea l'Accordo di partenariato definitivo non oltre tre mesi dall'entrata in vigore del regolamento generale del Parlamento europeo e del Consiglio europeo recanti disposizioni comuni per i fondi, al fine di una loro approvazione definitiva;
   i rilievi della Commissione risultano di particolare gravità e si risolvono in una sostanziale bocciatura anche sotto il profilo formale dell'autorità pubblica, arrivando ad affermare che «Il documento è ancora lontano dal livello di maturità richiesto: mancano infatti intere sezioni previste dal Regolamento (UE) n. 1303/2013. Questo non consente una valutazione completa. Inoltre, molte delle sezioni presenti contengono lacune informative e strutturali rilevanti» e che in Italia «L'esperienza della gestione di tipo interregionale del periodo 2007-2013 è stata fallimentare». Si rilevano dunque lacune informative e strutturali nonché, impossibilità di individuare una chiara strategia di sviluppo individuale e scarsa specificità che si riassumono in un giudizio insufficiente della programmazione nazionale riferita al settennato di riferimento;
   non vengono affrontati problemi di grande rilevanza, quali la incapacità di alcune regioni in grave dissesto economico di far fronte al cofinanziamento degli interventi; la presenza di criminalità organizzata che inquina la gestione dei fondi comunitari; la superata logica della ripartizione dei fondi strutturali europei che si basa ancora sull'indicatore reddito medio delle persone/PIL, anziché su basi più reali quali i bassi redditi e la decrescita dei consumi; l'assenza di una analisi seria dei ritardi e della bassa capacità di spesa della programmazione 2007-2013 ai fini di individuare i limiti della precedente gestione dei fondi strutturali; l'incerto ruolo della neonata Agenzia per la coesione territoriale, anche alla luce delle pesanti riserve formulate dalla Commissione;
   le risorse complessive di cui si discute nell'accordo di partenariato comprendono 31 miliardi di euro di fondi europei e 24 miliardi di euro di cofinanziamento nazionale, erogati attraverso il Fondo di rotazione, a cui vanno aggiunti 1,1 miliardi di euro per la cooperazione territoriale, 670 milioni di euro per il fondo europeo per l'aiuto agli indigenti e 560 milioni per l'iniziativa a favore dell'occupazione giovanile;
   il 9 aprile 2014 durante lo svolgimento dell'audizione del Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri Graziano Delrio, nell'ambito dell'esame dello schema di accordo di partenariato per l'impiego dei fondi strutturali e di investimento europei nel periodo di programmazione 2014-2020, al cospetto della commissione bilancio e politiche dell'unione europea, il Sottosegretario non ha fornito spiegazioni esaustive né sul gravissimo ritardo dell'Italia nell'uso dei fondi strutturali riguardanti la programmazione 2007-2013 né sulle lacune informative e strutturali rilevate dalla Commissione europea per l'accordo di partenariato 2014-2020 –:
   chi abbia ideato e materialmente posto in essere, anche a mezzo del conferimento di incarico a società di consulenza pubblica o privata, la stesura della bozza di accordo di partenariato per l'impiego dei fondi strutturali e di investimento europei nel periodo 2014-2020 e quale sia stato l'esatto ammontare del corrispettivo ad essa corrisposto per il lavoro effettuato. (4-04589)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione a risposta scritta in esame, con la quale si chiede, in particolare, di conoscere chi abbia ideato e materialmente predisposto, anche mediante il conferimento di incarichi a società di consulenza pubblica o privata, la bozza di accordo di partenariato per l'impiego dei fondi strutturali e di investimento europeo 2014-2020 e quale sia eventualmente stato l'ammontare dell'importo corrisposto per tale lavoro, si rappresenta quanto segue.
  L'accordo di partenariato 2014-2020, approvato dalla Commissione europea il 29 ottobre 2014 costituisce l'esito di un intenso processo di consultazione con il partenariato istituzionale ed economico-sociale, il cui avvio risale al dicembre 2012. L'intero processo è stato posto in essere sotto il coordinamento amministrativo e tecnico del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica (Dps) del Ministero dello sviluppo economico, in qualità di autorità nazionale responsabile del coordinamento della politica di coesione finanziata dai fondi strutturali europei e capofila del Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr), in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, responsabile per il Fondo sociale europeo (Fse), ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Autorità nazionale responsabile del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) e del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp).
  Il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica e le altre amministrazioni centrali di coordinamento summenzionate hanno direttamente curato la stesura dell'accordo di partenariato nelle diverse versioni predisposte durante il processo di negoziazione con la Commissione europea, che sono così riepilogabili: la prima bozza informale del dicembre 2012; il testo formale del documento inviato il 22 aprile 2014 in esito al negoziato informale con la Commissione e sulla base del mandato ricevuto dal Cipe; il testo definitivo approvato il 29 ottobre 2014, frutto del negoziato formale svoltosi tra luglio e settembre scorsi.
  Il processo di preparazione dell'Accordo di partenariato si è avviato con l'istituzione di quattro tavoli tecnici cui hanno preso parte le amministrazioni centrali interessate per materia, tutte le regioni, le associazioni rappresentative degli enti locali, il partenariato economico-sociale «rilevante» rispetto ai temi della programmazione (organizzazioni datoriali, sindacati, organismi del terzo settore, organizzazioni ambientali).
  I numerosi soggetti coinvolti nel processo di consultazione hanno offerto, nelle diverse fasi, contributi importanti per lo sviluppo dell'impianto generale, dei contenuti strategici dei singoli campi di intervento dei fondi (Obiettivi tematici), della relativa articolazione finanziaria nonché per l'individuazione dei risultati attesi e delle misure da finanziare con le risorse del nuovo ciclo di programmazione, anche al fine di orientare la definizione dei singoli programmi operativi.
  Inoltre, in parallelo al confronto tecnico-amministrativo, è stato attivato, per la condivisione delle decisioni di più alto contenuto strategico e la composizione dei diversi interessi, un tavolo di confronto di livello politico.
  Alla luce di tutto quanto sopra evidenziato, risulta evidente che il lavoro di preparazione e redazione dell'accordo di partenariato 2014-2020 è stato l'espressione di un intenso e complesso impegno collettivo, per il quale non è stato, pertanto, fatto ricorso al conferimento di alcun incarico a società di consulenza pubbliche o private.
  Per ciò che concerne, invece, l'asserita bocciatura dell'accordo di partenariato nel corso della sua fase di approvazione, si ritiene opportuno precisare che l'impianto complessivo del documento non è mai stato messo in discussione dalla Commissione europea, come dalla stessa è stato affermato. Il naturale confronto si è sviluppato in particolare intorno ad alcune questioni specifiche nell'ambito dell'ordinario processo negoziale e l’
iter seguito per la definizione del testo dell'accordo di partenariato con il Governo italiano non si è differenziato dalla procedura seguita con tutti gli altri Stati membri, né il numero delle osservazioni ricevute dall'Italia si è discostato dalla media di quelle indirizzate agli altri Paesi dell'Unione europea.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   COPPOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono in atto, con maggior frequenza a partire dal mese di aprile 2014, i trasferimenti da Lampedusa verso la regione Friuli Venezia Giulia di cittadine e cittadini stranieri richiedenti asilo politico, in particolar modo provenienti dal Nord Africa e dal Medio Oriente;
   nella regione, da oltre un anno, è presente, inoltre, un consistente numero di cittadini afghani e pakistani, richiedenti asilo politico entrati dal vicino confine, via terra, in alcuni casi «diniegati» addirittura espulsi da altri Paesi europei;
   tali presenze sono state affrontate con convenzioni tra le prefetture-UTG e i capoluoghi di provincia regionali, al fine di essere pronti ad accogliere nel miglior modo possibile i flussi in entrata;
   con particolare riguardo ai trasferimenti provenienti dal sud Italia, gestiti direttamente dal Ministero dell'interno, l'interrogante sottolinea un'evidente assenza di programmazione e di linee d'indirizzo per le prefetture-UTG, ed un limitato spazio di preavviso per permettere agli enti ospitanti un'organizzazione logistica adeguata; nello specifico:
    a) le comunicazioni che giungono agli enti riportano il numero dei cittadini trasferiti e nessun'altra informazione (uomini, bambini, famiglie);
    b) viene richiesta l'attivazione delle accoglienze per il giorno successivo (meno di 24 ore). A partire dal mese di maggio 2014 stato un lieve miglioramento della programmazione, ma non ancora accettabile, per cui sono stati predisposti i numeri di persone che ogni provincia avrebbe ricevuto. Anche in questo caso, però, il preavviso è stato al massimo di 36 ore;
    c) l'unico documento nelle mani delle persone che arrivano è un biglietto riportante la zona dello sbarco e la data di arrivo (ad esempio Lampedusa 7 luglio 2014);
    d) si sono registrati casi di minori non accompagnati o non identificati alla partenza;
   una volta arrivati a destinazione, vengono ripetuti tutti i controlli sanitari per i richiedenti asilo poiché il controllo alla partenza consente solo di non far partire persone che hanno, in atto, patologie evidenti. Tali controlli sanitari aggiuntivi sarebbero fatti sulla base della buona volontà della prefettura, del comune, dell'azienda sanitaria e dei volontari poiché, a quanto risulta all'interrogante, il Ministero riterrebbe assolutamente sufficienti i controlli fatti all'arrivo;
   inoltre, fatto ben più grave, come sopra riportato, le persone che giungono nei territori di destinazione non sono stati identificati alla partenza, il che comporta, una volta arrivati vicini alle zone di confine, come nella regione Friuli Venezia Giulia, che diversi cittadini richiedenti asilo lascino i luoghi di accoglienza per raggiungere altri Paesi europei –:
   se esista la volontà politica e la capacità amministrativa di garantire le procedure di identificazione al primo arrivo in Italia, e l'attivazione delle procedure di richiesta di asilo politico, secondo quanto previsto dalla normativa vigente. (4-05640)

  Risposta. — Le procedure di identificazione dei migranti che arrivano sulle coste italiane sono garantite dalla presenza di squadre di fotosegnalatori della polizia scientifica, sia sulle navi della Marina militare sia nei porti di sbarco. Tuttavia, persistono talune criticità che, in alcuni casi, non hanno consentito la tempestiva identificazione di tutti gli stranieri prima della loro sistemazione nelle strutture di accoglienza.
  L'espletamento di tale compito è stato ostacolato, in particolare, dal contestuale massiccio afflusso di migranti in alcuni porti della Sicilia, nonché dalla reticenza dei cittadini stranieri di nazionalità eritrea, somala e siriana, che utilizzano l'Italia come Paese di transito per raggiungere altri Stati dell'Unione europea, dove sono intenzionati a formalizzare la richiesta di protezione internazionale.
  Proprio al fine di rafforzare i controlli delle frontiere esterne dell'Unione, il 1o novembre 2014 è stata avviata un'operazione di
Frontex, denominata Triton, il cui principale obiettivo consiste nel contrastare l'immigrazione irregolare e le attività di traffico di esseri umani. Per consentire lo svolgimento dell'operazione – a cui partecipano, oltre all'Italia, 18 Stati membri che forniscono assetti aerei e navali oppure i propri esperti – il budget di Frontex è stato opportunamente incrementato, con uno stanziamento di 20 milioni di euro per il 2015.
  Il rafforzamento dei controlli delle frontiere esterne dell'Unione, attraverso l'azione di
Frontex, è solo uno dei punti cardine della nuova strategia italiana ed europea di gestione dei flussi migratori. Ad esso se ne affiancano altri due: il miglioramento della cooperazione con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi e la piena attuazione del sistema comune europeo di asilo.
  Sul versante della cooperazione, l'Italia è da sempre in prima linea, avendo privilegiato la sottoscrizione di accordi bilaterali con i Paesi del nord Africa (Tunisia, Libia e Egitto) e dell'Africa sub-sahariana (Niger, Nigeria e Gambia), nell'intento di attuare specifici programmi di assistenza tecnica a beneficio delle forze di polizia di quegli Stati.
  Quanto all'attuazione del sistema comune europeo di asilo, le priorità individuate dall'Unione europea riguardano l'intensificazione delle attività di identificazione dei migranti e la costruzione di sistemi di accoglienza flessibili, in grado di rispondere ai flussi migratori improvvisi.
  Relativamente all'identificazione, il Ministero dell'interno ha già disposto un vigoroso giro di vite nel sistema di sicurezza, per rispondere in modo più efficace alle esigenze del fotosegnalamento, della registrazione e della raccolta delle impronte dei migranti, anche al fine di contrastare i tentativi di aggirare il sistema
Eurodac, perpetrati dalla rete dei trafficanti.
  Per quanto riguarda, invece, l'accoglienza dei migranti, il Governo ha avviato una profonda revisione del relativo sistema, attraverso l'elaborazione di un Piano operativo nazionale sul quale la Conferenza unificata ha sancito l'intesa nella seduta dello 10 luglio 2014.
  La portata innovativa di tale documento risiede nel coinvolgimento a regime nella gestione dei flussi migratori dei tre livelli di governo del Paese: Stato, regioni e comuni. Le rappresentanze di queste entità hanno deciso di condividere, in maniera proporzionale e secondo parametri predefiniti sul territorio, gli oneri dell'accoglienza dei migranti attraverso uno
screening che viene realizzato in centri governativi chiamati hub, appositamente individuati in ogni regione. Coloro che hanno diritto alla protezione internazionale sono poi avviati nel sistema Sprar gestito dalle municipalità.
  In passato, crisi umanitarie, non paragonabili in alcun modo a quella attuale, sono state gestite in una logica emergenziale, cioè facendo ricorso agli strumenti propri della protezione civile. Ciò non ha dato sempre luogo a buoni risultati. La scelta che il Governo ha compiuto con il piano operativo nazionale sta consentendo, pur se in una fase di particolare impatto migratorio, di costruire uno stabile sistema di accoglienza, ripartendone gli oneri su tutto il territorio nazionale e mitigando così l'impatto sociale. Questa scelta contribuirà anche ad agevolare il percorso di integrazione degli stranieri che rimarranno in Italia.
  Il piano operativo nazionale prevede che, nel caso in cui la capienza dei centri governativi e del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati risulti insufficiente, il Ministero dell'interno, avvalendosi del supporto e delle indicazioni di un tavolo di coordinamento nazionale, distribuisca i migranti sul territorio nazionale secondo un criterio di ripartizione per quote regionali, individuate sulla base di parametri predeterminati (fissati nella stessa intesa: percentuale della quota di accesso al Fondo nazionale per le politiche sociali; presenza effettiva di migranti nel territorio interessato; esclusione dei comuni colpiti da terremoti o da sopravvenute situazioni di emergenza). A tal fine, vengono utilizzati i centri di accoglienza attivati temporaneamente su tutto il territorio nazionale.
  A livello regionale, in sede di tavolo di coordinamento presieduto dal prefetto del capoluogo di regione, a cui partecipano, tra gli altri, anche i prefetti delle province interessate, le regioni, Upi e Anci regionali, oltre ai soggetti del privato sociale maggiormente rappresentativi, in attuazione delle strategie operative definite in sede nazionale, sono concordati i criteri di riparto provinciale, fissati anche in considerazione delle specificità territoriali.
  Ai fini dell'attivazione delle strutture di accoglienza, secondo i criteri di riparto concordati in sede di tavoli regionali, i prefetti di ciascuna provincia interpellano i sindaci dei comuni e i presidenti della provincia per l'individuazione di strutture pubbliche eventualmente disponibili e procedono ad indagini di mercato per l'individuazione di strutture messe a disposizione dal privato-sociale.
  Alle procedure e ai criteri testé descritti risponde anche l'organizzazione del sistema di accoglienza nella regione Friuli Venezia Giulia.
  Oltre a riformare il sistema dell'accoglienza, il Governo si è adoperato anche per il suo rafforzamento. In proposito, ricordo che in questi anni la capienza dello Sprar è stata ampliata più volte. I posti attivati attualmente sono circa 20.800 su tutto il territorio nazionale, di cui circa 850 destinati ai minori stranieri non accompagnati, siano o meno richiedenti asilo.
  Con riferimento alla necessità di garantire l'attivazione delle procedure di riconoscimento della protezione internazionale, l'eccezionale afflusso di stranieri nell'anno appena trascorso ha comportato un allungamento dei tempi di conclusione dei relativi procedimenti.
  Per accelerarli, senza tuttavia incidere sulle garanzie procedurali previste dalla normativa vigente per i richiedenti, è stata disposta la semplificazione del procedimento di esame della domanda.
  In particolare, sono state introdotte nuove modalità di svolgimento del colloquio, invertendo il criterio seguito finora, in base al quale esso si svolgeva sempre davanti all'intera commissione e solo su richiesta dell'interessato davanti a un solo componente, senza incidere sulla decisione finale, che rimane assunta collegialmente dalla commissione.
  Inoltre, sono stati introdotti criteri aggiuntivi per la determinazione della competenza territoriale della commissione, che tengono conto sia dei trasferimenti e dei cambi di residenza del richiedente, sia del numero di procedimenti assegnati a ciascuna commissione.
  Il notevole aumento del carico di lavoro delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale ha determinato anche la necessità di un incremento del loro numero, che è stato autorizzato con il decreto-legge n. 119 del 2014. In attuazione di tale provvedimento, nel mese di novembre 2014 è stato disposto il raddoppio sia delle commissioni che delle relative sezioni, portandone il numero complessivo da 20 a 40.
  In questo ambito, in particolare, sono state istituite la Commissione territoriale di Verona, competente a conoscere le domande presentate nei territori del Veneto e del Trentino-Alto Adige, e la sezione di Padova, con competenza primaria nelle province di Padova, Venezia e Rovigo. Pertanto la commissione di Gorizia, che finora era l'unica esistente nei nord est italiano, rimarrà competente per le sole domande presentate in Friuli-Venezia Giulia.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   CORDA, BASILIO, SPESSOTTO, PAOLO BERNINI, RIZZO e DA VILLA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   al fine di verificare il livello di interesse di operatori per la gestione del museo storico navale di Venezia, comprese le unità navali ex sommergibile Dandolo ed ex MTZ 737, per un periodo di sei anni è stato emesso da Difesa servizi s.p.a. un bando in tal senso;
   la pubblicazione di tale bando ha suscitato la protesta dell'amministrazione comunale di Venezia attraverso il sindaco Giorgio Orsoni che rivendica la proprietà del museo stesso;
   attraverso una lettera inviata al Capo di Stato Maggiore della Marina, ai Ministri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti, ai responsabili dell'Agenzia del demanio, Orsoni diffida il Ministero e annuncia una causa di risarcimento danni;
   la contesa riguarda l'uso dell'Arsenale, che la legge del 7 agosto 2012 n. 135 ha trasferito in proprietà al comune «che ne assicura l'inalienabilità, l'indivisibilità e la valorizzazione attraverso l'affidamento della gestione e dello sviluppo alla Società Arsenale di Venezia S.p.A.» ma questo «con esclusione delle porzioni utilizzate dal Ministero della difesa per i suoi specifici compiti istituzionali»;
   il museo storico navale non è affatto riconducibile nell'ambito dei «compiti istituzionali» della Marina militare. A conferma di ciò lo Stato maggiore della Difesa, come si legge nella lettera del sindaco Giorgio Orsoni, «ha stipulato con la società Difesa Servizi spa un atto volto a sfruttare economicamente e commercialmente la parte relativa al Museo navale». Una parte che tuttavia la legge citata, come pure la convenzione stipulata tra ente locale e demanio, prevede invece di destinare al comune;
   la società Difesa servizi s.p.a. ha pubblicato così, dietro impulso del Ministero, un bando di gara per individuare operatori economici «del settore turistico/nautico/museale/alberghiero/organizzazione di eventi ed assimilabili»;
   il comune di Venezia ha istituito nel 2008 la «Fondazione Musei Civici di Venezia» per gestire e valorizzare l'immenso patrimonio culturale e artistico a sua disposizione. Trattasi in particolare di undici musei (tra cui ad esempio: Palazzo Ducale, la casa del Goldoni, il museo del Merletto a Burano) con relativi bookshop e caffetterie, mostre ed eventi speciali, cinque biblioteche ed infine percorsi educativi ad hoc per le scolaresche in visita;
   nell'ipotesi in cui non si riconosca irragionevolmente il diritto, fissato per legge e convenzione, del comune a gestire direttamente il museo, in quanto rientrante nel compendio dell'Arsenale, il Ministero potrebbe considerare l'assegnazione in ogni caso al comune, a parità delle condizioni economiche minime previste nel bando, ma con diritto di prelazione rispetto a qualunque altro operatore;
   tale preferenza si giustificherebbe col fatto che l'inserimento del museo storico navale in un sistema museale ampio ed organizzato, come quello della Fondazione, non potrebbe essere offerto da alcun altro operatore. Inoltre, tale soluzione recherebbe indubbi benefici allo stesso Ministero (più visitatori e quindi maggiori incassi) al comune che potrebbe contestualizzare la visita al museo navale nell'ambito di un più ampio percorso turistico dedicato all'Arsenale ed ai cittadini/turisti per le sinergie e il potenziale miglioramento dei servizi (biglietto unico per più musei, sconti, e altro) –:
   se, e per quali ragioni, si reputi «compito istituzionale» l'attività di gestione museale e, per tale motivo, di spettanza del Ministero e non invece del comune di Venezia, come parrebbe invece da una lettura del ricordato testo di legge;
   quali siano i motivi in ragione dei quali il Ministero non ha ritenuto di coinvolgere preventivamente l'amministrazione comunale di Venezia nel progetto di valorizzazione del museo navale e dell'Arsenale;
   se non si ritenga opportuno il ritiro e l'annullamento in autotutela dell'avviso pubblico formulato alla luce delle considerazioni qui formulate;
   se infine, in subordine, non si ritenga una valida opzione quella sopra accennata di attribuire il bene al comune per il tramite del suo «braccio operativo» in materia culturale, la Fondazione musei civici. (4-02180)

  Risposta. — Il museo storico navale risulta tra le porzioni dell'arsenale di Venezia escluse dal trasferimento, a titolo gratuito, in proprietà al comune di Venezia.
  Tale circostanza è oggettivamente desumibile sia dal verbale di perimetrazione e delimitazione del compendio dell'arsenale, sottoscritto in data 6 febbraio 2013 tra agenzia del demanio, Ministero della difesa e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con cui si individuano le porzioni di proprietà dello Stato, sia dal conseguente verbale di consegna del citato compendio, sottoscritto, sempre in data 6 febbraio 2013, tra agenzia del demanio ed il comune di Venezia.
  Tanto premesso, si osserva che:
   l'attività svolta dal museo storico navale di Venezia risulta coerente con le finalità istituzionali della Forza armata. Infatti il museo opera per «mantenere vivo nel popolo italiano il culto della tradizione della marineria in genere e della Marina Militare in particolare» (articolo 1 del decreto ministeriale 11 maggio 1978, recante «Approvazione del nuovo regolamento dei Musei Navali»);
   la vigente convenzione, stipulata tra lo Stato maggiore della marina e la citata società difesa servizi s.p.a. in data 11 dicembre 2012, prevede espressamente la «compatibilità delle iniziative di gestione economica con il prestigio, le tradizioni ed il patrimonio storico e culturale della Marina Militare» (articolo 3, comma 2, lettera d) della convenzione).

  Va detto che, ai sensi dell'articolo 535, comma 2, del decreto legislativo n. 66 del 2010, difesa servizi s.p.a., posta sotto la vigilanza del Ministro, «opera secondo gli indirizzi strategici e i programmi stabiliti con decreto del medesimo Ministero, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze». Tra gli indirizzi strategici stabiliti con decreto Ministero della difesa - Ministero dell'economia e delle finanze, del 19 maggio 2011, rientra sia la gestione economica degli immobili in uso alla difesa, esclusa l'alienazione (articolo 2, comma 1, lettera a)), sia la promozione, il sostegno e la gestione economica delle attività e dei servizi resi a terzi (articolo 2, comma 1, lettera b)), nonché la promozione e la gestione economica dell'immagine delle Forze armate e della realtà militare (articolo 2, comma 1, lettera d)).
  Appare opportuno altresì menzionare il protocollo d'intesa, sottoscritto tra la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il Ministero della difesa, in data 18 aprile 2013, per la commemorazione del centenario della prima guerra mondiale, che ha individuato, tra i più importanti e significativi siti e musei militari su cui effettuare specifici interventi di riqualificazione e valorizzazione, il museo storico navale di Venezia. Ciò al fine di esaltare il ruolo svolto dalla Marina militare italiana che, nel corso della prima guerra mondiale, diresse da Venezia le principali operazioni militari e fece della città lagunare la più importante base navale militare dell'Adriatico.
  In merito all'attribuzione del bene al comune di Venezia, per il tramite della sua fondazione musei civici, si fa presente che, alla data di presentazione dell'interrogazione in esame, era in corso una specifica procedura pubblica tesa alla preliminare ricerca di operatori a cui concedere il diritto per sei anni allo svolgimento di iniziative di valorizzazione del patrimonio storico-culturale presso il museo. La prima fase di tale procedura si concludeva il 23 settembre 2013, con una soddisfacente partecipazione (8 aziende), in grado di usare concorrenza sul valore economico finale dell'asta al rialzo (valore base euro 100.000,00 l'anno).
  In data 15 gennaio 2014 è pervenuta l'unica offerta, pari ad euro 121.055,00 all'anno di corrispettivo, formulata dall'associazione temporanea di imprese costituita da Ve.La. s.p.a., società partecipata dal comune di Venezia, e fondazione musei civici di Venezia.
  In ragione di quanto sopra, l'11 marzo 2014 si è proceduto ad aggiudicare definitivamente ed il successivo 10 aprile 2014 a sottoscrivere il relativo contratto con Ve.La. s.p.a., azienda capogruppo con mandato speciale di rappresentanza della suddetta ATI.
  A titolo informativo si comunica che il capitale sociale di Ve.La. s.p.a. è così suddiviso: Avm spa (azienda veneziana della mobilità s.p.a.) 88,86 per cento e comune di Venezia 11,14 per cento.
  Si osserva, infine, che da quando è stata affidata alla società comunale Ve.La. la valorizzazione del patrimonio storico-culturale del museo, l'andamento gestionale si è rivelato eccellente.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   CORDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a ridosso della Valle dei Ciclamini, in località Calancoi, ubicata a nord-est della città Sassari, sorge un'estensione di centomila metri quadrati (10 ettari), utilizzata in origine come cava da cui si estraeva tufo per l'edilizia;
   Calancoi è divenuta discarica nel 1983 ed ha funzionato come tale fino al 1997. Per 14 anni su di essa si sono riversati rifiuti di ogni genere, da quelli solidi urbani a inerti pericolosi, ceneri da inceneritore, fanghi da inceneritore e rifiuti speciali;
   le attività minerarie sono caratterizzate, come noto, dall'avere un forte impatto sul territorio che subisce modificazioni sia morfologiche sia dal punto di vista dei processi ambientali. In particolare, questi ultimi portano ad una serie di problematiche che interessano tutte le matrici ambientali – suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, aria – compromettendo inoltre la biodiversità e l'identità dei luoghi. Nel passato, per di più, la gestione delle attività minerarie prescindeva dall'obiettivo della tutela dell'ambiente e, piuttosto, le modalità di messa in dimora dei materiali di scarto erano improvvisate ed ispirate alla massima economicità e rapidità. Inoltre, i bacini di accumulo erano generalmente realizzati nei compluvi naturali con la messa in opera di sbarramenti a carattere temporaneo. Nel tempo tali cumuli di materiale, ancora ricchi di minerali, sono stati esposti all'azione erosiva dello scorrimento superficiale delle acque determinando una contaminazione da metalli pesanti nelle diverse matrici ambientali;
   queste considerazioni e le difficoltà nel realizzare gli interventi di messa in sicurezza e/o bonifica risolutivi delle problematiche di quest'area, hanno indotto alla redazione del piano di bonifica delle aree minerarie dismesse del Sulcis-Iglesiente-Guspinese il cui obiettivo principale era il risanamento ambientale delle aree prioritarie di intervento (perimetrate attraverso l'ordinanza commissariale n. 2 del 23 febbraio 2008 ed illustrate negli allegati 1 e 2 del piano) nonché la predisposizione dei cronoprogrammi delle attività di bonifica da porre in essere;
   a tale scopo, il piano commissariale ha individuato delle macro-aree a cui vengono ricondotte le aree minerarie caratterizzate da analoghi problemi ambientali, così da individuare possibili soluzioni comuni ed uscire, in tempi quanto più brevi possibile, dall'emergenza ambientale;
   i criteri di individuazione di tali macro-aree, indipendenti o concomitanti, vengono selezionati in:
    primario interesse di recupero produttivo o turistico dell'area;
    rilevanti dimensioni dell'attività mineraria (coltivazione e trattamento);
    rilevanti dimensioni del fenomeno di inquinamento derivato dall'attività mineraria;
    ubicazione nel medesimo bacino idrografico o in piccoli bacini idrografici costieri adiacenti;
    concorso di diverse aree minerarie all'inquinamento di singole matrici ambientali;
    collegamento diretto con il medesimo centro di trattamento mineralogico;
   sono svariati gli interventi intrapresi negli anni da parte delle autorità locali, qui di seguito elencati:
    nel 1999 è avvenuto il primo finanziamento da parte della regione Sardegna a favore del comune di Sassari per far fronte ai primi interventi di progettazione ed esecuzione di bonifica per un importo, espresso in lire, di un miliardo e trecentomilioni (ovvero euro 671.393,97), stanziati in modo seguente: per l'anno 1999 trecento milioni e per l'anno 2001 un miliardo;
    nel mese di giugno 2003 è stato consegnato all'amministrazione comunale il progetto di caratterizzazione dell'area, eseguita in base alla vecchia normativa ambientale costituita dal decreto ministeriale n. 471 del 1999, meglio noto come «decreto Ronchi». Nel mese di settembre la Giunta comunale di Sassari ha approvato il progetto e nel mese di dicembre è stata indetta la gara d'appalto;
    nel 2005 l'amministrazione comunale ha fatto richiesta di inserimento di Calancoi nel sito di interesse nazionale, a cui è seguita la consegna, da parte dei tecnici, di due elaborati titolati «rapporto conclusivo delle indagini previste dal piano di caratterizzazione» e «progetto preliminare di bonifica»; il sito di bonifica «Aree industriali di Porto Torres» è stato inserito nell'elenco dei siti d'interesse nazionale dall'articolo 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179. L'area potenzialmente inquinata è stata perimetrata, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge n. 426 del 1998, con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 7 febbraio 2003. L'area perimetrata ha una superficie totale di oltre 4.600 ettari. Con decreto ministeriale del 3 agosto 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 219 del 20 settembre 2005, è stata altresì inserita nella perimetrazione del sito di interesse Nazionale di Porto Torres, compresa la discarica di Calancoi;
   le principali criticità ambientali, per quel che riguarda il suolo ed il sottosuolo, che si riscontrano nell'area riguardano una compromissione connessa specialmente alla presenza di attività industriali in esercizio nonché di discariche non controllate di rifiuti tossico-nocivi e industriali speciale contaminazione da metalli pesanti BTEXS, idrocarburi Leggeri e pesanti, IPA, alifatici clorurati cancerogeni. Per quel che concerne, invece, le acque di falda, l'area marino costiera e le aree fluviali, si evidenzia una contaminazione di tipo diffuso da metalli, BTEXS, solventi clorurati, IPA, idrocarburi e clorobenzeni, con presenza di notevoli spessori di prodotto surnatante; talvolta è stata rinvenuta anche la presenza di sottonatante. La qualità delle acque dell'area marina risulta compromessa in quanto fortemente condizionata dai reflui industriali e civili. Inoltre, il Rio Mannu a causa dei numerosi processi produttivi industriali ed agricoli della zona, dei diversi scarichi di reflui urbani nonché dello scarico a mare di materiale di dragaggio del porto industriale, risulta fortemente contaminato;
   il 13 dicembre 2013 sono stati avviati i lavori relativi al risanamento ambientale e sistemazione naturale, con un primo intervento di messa in sicurezza, grazie al progetto redatto dall'RTP (Raggruppamento temporaneo di professionisti), costituito dalla Montana spa e dagli ingegneri Antonio Fraghì e Roberto Mura;
   un milione di euro è la cifra stabilita per l'intervento che verrà eseguito dall'RTI, il raggruppamento temporaneo di imprese costituito da due ditte locali: la nuova Prima srl e la Rina srl, a seguito di un'apposita gara ad evidenza pubblica, espletata anche per la scelta dei progettisti. I lavori, finanziati nell'ambito del POR 2007-2013, mirano a mettere in sicurezza il sito, intervenendo su vari aspetti: in particolare, l'intervento riguarderà la stabilità dei pendii e la verifica dei rischi connessi a possibili incendi o a contaminazioni della falda;
   l'intervento dovrebbe consentire la realizzazione di nuovi pozzi sia per l'aspirazione del biogas ancora presente, sia per l'estrazione dei percolati. Dovrebbe essere inoltre messa in opera una torcia mobile dotata di biofiltro per il trattamento del biogas, prima dell'emissione in atmosfera. I lavori prevedono inoltre il monitoraggio dei comparti ambientali limitrofi: le sorgenti delle acque dei pozzi idrici situati nel raggio di un chilometro, le acque superficiali e i sedimenti fluviali del rio Bunnari;
   si ritiene altresì necessario migliorare il sistema di gestione dei rifiuti, promuovendo la prevenzione, la riduzione della quantità e pericolosità dei rifiuti prodotti, la raccolta differenziata, nel rispetto della normativa comunitaria, al fine di conseguire gli obiettivi percentuali previsti dal decreto legislativo n. 22 del 1997, il riuso, il riciclaggio e il recupero di materia e di energia, minimizzando il conferimento in discarica dei rifiuti in applicazione di quanto disposto dal decreto legislativo n. 36 del 2003, elevando la sicurezza dei siti per lo smaltimento e favorendo lo sviluppo di un efficiente sistema di imprese e assicurando la piena attuazione delle normative di settore attraverso la pianificazione e la realizzazione di un sistema integrato di gestione dei rifiuti su scala di ambiti territoriali ottimali; è inoltre necessario introdurre innovazioni di processo nei sistemi di gestione dei rifiuti promuovendo la riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti prodotti e favorendo il recupero energetico, in particolar modo dei rifiuti biodegradabili inclusi tra le fonti di energia rinnovabili ai sensi della difettiva 2001/77/CE;
   i sopracitati interventi dovrebbero realizzarsi solo se vi è la certezza delle risorse finanziarie. A fronte quindi dell'inaridirsi delle risorse finanziarie pubbliche per le bonifiche e della persistenza di un quadro normativo che sembrerebbe favorire l'inazione, piuttosto che la soluzione dei problemi ambientali e sanitari causati dalle aree contaminate, non si è trovato di meglio che proporre l'ennesima sanatoria con la legge n. 13 del 2009, che in particolare all'articolo 2 riduce la complessa gestione degli interventi di bonifica e della pianificazione del futuro delle aree interessate a un «condono tombale»:
   l'assessorato all'ambiente del comune di Sassari ha inviato all'Arpas una richiesta di esito in merito agli esami di laboratorio effettuati durante il sopralluogo del mese di dicembre 2013 –:
   quale sia lo stato attuale dei lavori dell'area di Calancoi. (4-03519)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale si chiede di conoscere lo stato dei lavori dell'area di Calancoi, si rappresenta quanto segue.
  Il sito di interesse nazionale «Aree industriali di Porto Torres» è stato inserito nell'elenco dei siti di interesse nazionale, dall'articolo 14, della legge 31 luglio 2002, n. 179, ed è stato perimetrato con decreto del Ministro dell'ambiente del 7 febbraio 2003. Successivamente, con decreto del 3 agosto 2005, è stata altresì inserita nella predetta perimetrazione la discarica di Calancoi, ubicata a circa 4 km dall'abitato del comune di Sassari.

  Tale discarica è stata realizzata occupando una vecchia cava per l'estrazione di materiali lapidei e presenta una base di 8,5 ettari e un'area sommitale di 1,5 ettari, con uno spessore dei rifiuti di 25-55 metri. Dal 1983 al 1997 ha visto conferiti in essa rifiuti di diversa tipologia, quali rifiuti solidi urbani, inerti, ceneri, rifiuti speciali e fanghi da inceneritore, per un quantitativo complessivo stimato in 2 milioni di metri cubi.
  Attualmente il perimetro della discarica risulta recintato e la superficie si presenta rivegetata.
  Le indagini ambientali eseguite finora hanno evidenziato l'instabilità dei versanti del corpo di discarica, l'assenza sul fondo di uno strato impermeabile a garanzia dell'isolamento del corpo rifiuti dal suolo sottostante e l'assenza di uno strato impermeabile di copertura superficiale.
  L'ammasso di rifiuti procura, seppur in diminuzione, emissioni gassose che possono migrare verso l'atmosfera attraverso le fratture sia laterali della discarica che della copertura superficiale.
  La raccolta del percolato avviene tramite numero 3 pozzi di estrazione (S3, S4 e S5, realizzati per la caratterizzazione preliminare dell'abbancamento dei rifiuti) e viene collettata in una cisterna per il successivo invio ad impianto di trattamento. Non esistono sistemi per la raccolta e la gestione del biogas mentre sono stati realizzati i pozzi A1, A2, A3, B1-B8 per l'esecuzione di test di aerazione nel corpo della discarica per lo studio della propagazione dell'aria e dell'ossigeno all'interno dell'ammasso rifiuti.
  Riguardo le bonifiche, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha stanziato, per il sito in parola, risorse per complessivi euro 6.752.727,00 a valere sui fondi del decreto ministeriale n. 308 del 2006 e trasferite alla regione Sardegna con decreto ministeriale del 14 aprile 2011.
  Per quanto concerne l'utilizzo delle risorse suddette, il 22 settembre 2009 è stato sottoscritto tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Sardegna, la provincia di Sassari, il comune di Sassari e il comune di Porto Torres, l'accordo di programma «Per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Porto Torres», per un importo complessivo di euro 8.232.727,00, di cui euro 6.752.727,00 stanziati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e euro 1.480.000,00 stanziati dalla regione Sardegna.
  Tale accordo, disciplina, in particolare, l'intervento concernente «Caratterizzazione integrativa, progettazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e messa in sicurezza permanente e realizzazione dei primi interventi di messa in sicurezza di emergenza della discarica di Calancoi, nel comune di Sassari», il cui valore ammonta a complessivi euro 3.000.000,00, di cui euro 2.000.000,00 a carico delle risorse ministeriali ed euro 1.000.000,00 a valere sui fondi regionali; soggetto attuatore è il comune di Sassari.
  Nel febbraio 2013 è stata sottoscritta la convenzione fra la regione autonoma della Sardegna e il comune di Sassari, per l'attuazione degli interventi citati, tra cui: la caratterizzazione integrativa dell'area della discarica, la progettazione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e la progettazione degli interventi di messa in sicurezza permanente alla quale, nel successivo mese di settembre 2013, è seguita l'aggiudicazione dei lavori alle S.r.l. R.T.I. Nuova Prima e RINAC.
  Gli interventi di messa in sicurezza della discarica, ricomprendono anche:
   l'installazione di un sistema di rilevamento superficiale costituito da circa 70 capisaldi topografici;
   l'installazione di un sistema di rilevamento profondo costituito da numero 5 colonne inclinometriche;
   la realizzazione di prove Lugeon a fondo foro in corrispondenza dei 5 sondaggi;
   il monitoraggio termico di 40 pozzi esistenti o in corso di realizzazione, l'installazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle temperature in numero 3 pozzi;
   l'analisi termografica aerea della superficie della discarica e controllo da terra;
   il monitoraggio sistematico della concentrazione biogas dai numero 29 pozzi esistenti e dai numero 6 pozzi in corso di realizzazione nonché dalla superficie della discarica;
   il decespugliamento delle superfici e mantenimento delle fasce tagliafuoco e di isole di inerti nell'intorno dei pozzi.

  Per la gestione del percolato e del biogas è prevista la realizzazione di numero 6 pozzi (R1-R6) di grande diametro per il campionamento dei rifiuti e per la contestuale installazione del sistema di collettamento del biogas e del percolato.
  Sono previste inoltre, l'installazione di una torcia mobile e biofiltro per il trattamento del biogas estratto, la realizzazione di un impianto di approvvigionamento energetico a pannelli fotovoltaici, la realizzazione di un sistema antincendio ad acqua.
  Per la progettazione ed esecuzione degli interventi di messa in sicurezza della discarica sopra riportati, la convenzione sottoscritta in data 14 febbraio 2013 fra la regione autonoma della Sardegna e il comune di Sassari ha messo a disposizione risorse finanziarie pari a circa euro 1.054.502,58.
  La conferenza di servizi istruttoria del 5 marzo 2014, nel prendere atto degli interventi di prevenzione e messa in sicurezza e delle indagini integrative proposte dal comune di Sassari, ha formulato nel merito tecnico ulteriori prescrizioni, quali:
   la trasmissione di una relazione sintetica delle misure di prevenzione già attuate nonché di un report trimestrale contenente i dati relativi ai quantitativi di percolato emunto e smaltito;
   la trasmissione degli esiti del monitoraggio sulla stabilità dei rilevati del corpo di discarica;
   la trasmissione degli esiti dell'indagine termografica per i tre pozzi;
   il rispetto delle normative in materia di prevenzione infortuni per il personale addetto stante il potenziale rischio di deflagrazione a seguito della esecuzione di perforazioni.

  Inoltre, per quanto attiene la fase di caratterizzazione, è stata prescritta la trasmissione di un dettagliato piano integrativo di indagine basato su un articolato modello concettuale preliminare che utilizzi i numerosi dati a disposizione e schematizzi il sito in termini di sorgenti, percorsi e bersagli, concordando con Arpa Sardegna le attività di indagine per il controllo e validazione dei risultati.
  Infine si rappresenta che, con nota del 25 novembre 2014, il comune di Sassari ha inviato a questo ministero un report di avanzamento dei lavori di messa in sicurezza nell'area dell'ex discarica di Calancoi (aggiornato al mese di ottobre 2014) ed un riscontro puntuale alle prescrizioni della conferenza di servizi istruttoria del 5 marzo 2014, documenti, questi, che saranno posti, all'ordine del giorno della prossima conferenza di servizi per il sito di interesse nazionale Aree industriali di Porto Torres.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   COSTANTINO, FRANCO BORDO e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Francesco Di Palo è un imprenditore di Altamura vittima, dal 2001 al 2003, del racket estorsivo ai danni dell'azienda di cui era titolare, la Venere srl di Matera, società che produceva vasche idromassaggi, dichiarata fallita un anno prima della sua denuncia contro gli estorsori;
   in data 30 gennaio 2015, il collaboratore di giustizia Di Palo, si è cosparso di liquido infiammabile e si è dato fuoco davanti alla Prefettura di Monza, riportando fortunatamente solo ustioni alle mani a seguito dell'intervento dei vigili del fuoco; Di Palo ha compiuto l'atto per denunciare l'abbandono di cui è stato oggetto, assieme alla sua famiglia, da parte delle istituzioni, in quanto escluso dal programma di protezione dedicato ai testimoni di giustizia e ai loro congiunti;
   non è la prima protesta che Di Palo ha portato avanti: già nel 2011 protestò perché il Viminale non copriva più le spese d'affitto in località protetta, quando era ancora all'interno del programma di protezione. Vani si sono rivelati gli appelli al Ministro dell'interno, anche quando Di Palo ha lamentato la mancata notifica degli atti giudiziari presso la località protetta ove si trovava, con i quali gli veniva notificato di presentarsi ad udienze quale testimone e a cui, inevitabilmente, non ha potuto prendere parte;
   la questione relativa ai testimoni di giustizia è gestita da un'apposita Commissione ministeriale, il servizio centrale di protezione del Ministero dell'interno (SCP). Nonostante l'aumento del carico lavorativo del SCP, le risorse continuano a diminuire, e nonostante tale servizio segua circa 6000 persone tra testimoni di giustizia e loro congiunti;
   in particolare, i tagli ammontano a circa 25 milioni di euro, come da variazione di bilancio collegata alla legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190), varata dal Governo Renzi;
   tale taglio di risorse essenziali si aggiunge alla già difficile vita dei testimoni che risiedono in località protette, in quanto i documenti di copertura non hanno alcun valore legale, con una serie di conseguenze burocratiche e amministrative che aggravano il ripristino di una vita apparentemente normale per coloro che collaborano con lo Stato per combattere il crimine organizzato. Le procedure esigerebbero garanzia di riservatezza del trattamento dei dati dei testimoni di giustizia, ma la situazione vigente, denunciata da molti di loro, li espone a vendette e ritorsioni;
   una ulteriore possibilità di sostegno economico ai testimoni di giustizia sarebbe prevista dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, in base alla quale, in caso di rinuncia al mantenimento economico, questi verrebbero assunti presso la pubblica amministrazione, ma non si capisce come si possa procedere alla seppur corretta misura in presenza di tagli strutturali alle risorse di pubblica amministrazione ed enti locali, nonché del blocco dei relativi concorsi, che rendono difficile anche avere contezza del numero dei posti di lavoro disponibili. Il decreto prevede che sia il servizio centrale a sondare le pubbliche amministrazioni per censire i posti disponibili, questo andrà fatto in tutta Italia, due volte l'anno. Il servizio centrale segue oltre 6000 persone. Se non si potenzia la struttura operativa del servizio centrale di protezione, difficilmente questo potrà provvedere a quanto la legge gli impone di fare e le possibilità per i testimoni di giustizia di trovare un lavoro, diminuiranno;
   come già sottolineato dalla relazione della Commissione antimafia, il lavoro di ricognizione dei posti disponibili dovrà tenere conto delle altre categorie tutelate da analogo diritto all'assunzione nella pubblica amministrazione; se a questo si aggiungono il contenuto dell'articolo 12, di neutralità finanziaria, e i tagli strutturali alle risorse delle pubbliche amministrazioni/enti locali (insieme al blocco dei concorsi) si capisce come i posti di lavoro effettivi, saranno senza dubbio pochi;
   il viceministro Bubbico ha affermato che i tagli non impediranno l'esecuzione delle azioni volte a tutelare i testimoni di giustizia e che in caso di emergenze e necessità sono previste e consentite spese dirette;
   nella più recente relazione sul sistema di protezione dei testimoni di giustizia, la stessa Commissione antimafia denuncia: «si lamenta che le abitazioni offerte, specie in occasione delle prime sistemazioni in località protetta, sono spesso degradate e prive delle elementari condizioni igieniche o che per lunghi periodi, si è collocati in strutture alberghiere fatiscenti»; «l'inadeguatezza delle misure di protezione poste in essere a tutela dei testimoni sia in località protetta che in quella di origine, spesso riconducibili alla ridotta disponibilità di mezzi e uomini, alla saltuarietà della vigilanza, alla scarsa professionalità delle forze dell'ordine, alla utilizzazione di immobili già impiegati per collaboratori di giustizia e la cui pregressa destinazione era nota»; la «mancata attuazione della norma che prevede che al testimone di giustizia vada assicurato il pregresso tenore di vita»; la «condizione di isolamento, sia in località protetta che in località di origine, e mancanza di punti di riferimento e di supporto»; l’«inadeguatezza del sistema di reinserimento socio-lavorativo, specie per imprenditori e commercianti» –:
   in riferimento a quanto illustrato in premessa, nonché alla inadeguata normativa che regola la gestione e la protezione dei testimoni di giustizia – che non solo mette in pericolo chi decide di collaborare, ma disincentiva coloro che vorrebbero farlo – se non intenda rivedere le modalità di protezione dei testimoni di giustizia in relazione all'ambiguità amministrativa a cui vengono esposti una volta in possesso di nuovi documenti che hanno alcun valore legale e se intenda fornire dettagli chiari sulla capacità della pubblica amministrazione di assumere coloro che ne faranno richiesta, anche in presenza di tagli, specificando quali sarebbero le spese dirette in caso di emergenza e necessità. (4-08051)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, gli interroganti, prendendo spunto dal caso dell'imprenditore Francesco Dipalo e dai contenuti problematici di una recente relazione della Commissione antimafia, richiamano l'attenzione del Governo sul funzionamento del servizio centrale di protezione e sulle modalità di tutela dei testimoni di giustizia, chiedendo in particolare notizie sulla documentazione di copertura e sull'assunzione dei testimoni medesimi nella pubblica amministrazione.
  Si precisa, inizialmente, che il testimone di giustizia Francesco Dipalo ha beneficiato, con i suoi familiari, delle speciali misure di protezione previste dalla legge n. 82 del 1991, dall'anno 2009 al 2013. La tutela a favore dell'imprenditore è stata disposta dalla Commissione centrale di cui all'articolo 10 della predetta legge, su proposta della direzione distrettuale antimafia di Bari, che ne ha poi richiesto la cessazione alla conclusione degli impegni giudiziari.
  Il termine dello speciale programma di protezione – la cui esecuzione è affidata al servizio centrale di protezione del dipartimento della pubblica sicurezza – era stato richiesto, peraltro, dallo stesso signor Dipalo, in vista del suo reinserimento nel tessuto economico-sociale. A tal fine, la Commissione centrale ha disposto la capitalizzazione delle misure di assistenza economica godute, corrispondendo la somma massima consentita.
  Le richieste formulate dal testimone sono state più volte esaminate dalla commissione centrale, che lo ha ascoltato in varie occasioni, concedendogli contributi ulteriori rispetto alle ordinarie misure di assistenza economica e assicurandogli finanche l'impiego presso un'azienda pubblica in località protetta, rapporto di lavoro che si è risolto a causa del comportamento tenuto dall'interessato.
  Nella località protetta, al signor Dipalo – come avviene per tutti i testimoni di giustizia inseriti in un programma di protezione – è stato sempre garantito un adeguato alloggio con la corresponsione anche dei relativi canoni di locazione.
  Successivamente alla fuoriuscita dal programma, il signor Dipalo è stato nuovamente ascoltato dalla commissione centrale, che ha accertato l'infondatezza della mancata notifica di atti giudiziari lamentata dal testimone, al quale, tuttavia, non è stato ancora possibile comunicare l'esito di tale accertamento in quanto si è reso irreperibile. Pur a fronte dell'attività dell'amministrazione, il signor Dipalo ha compiuto il gesto descritto degli interroganti, in seguito al quale è stato ricoverato presso l'ospedale Niguarda di Milano.
  Quanto al funzionamento del servizio centrale di protezione, si fa presente che esso provvede, attraverso articolazioni centrali e periferiche, a tutte le esigenze della popolazione protetta, che ammonta a oltre 6 mila unità, tra testimoni e collaboratori di giustizia e familiari. A tutti viene garantita la piena assistenza nella vita quotidiana, compatibilmente con le primarie esigenze di sicurezza.
  Ciò sta a significare che la vita di relazione del testimone di giustizia, ammesso al programma di protezione, può giocoforza subire alcune temporanee limitazioni, che vengono accettate con la sottoscrizione del programma stesso. D'altro canto, anche il Consiglio di Stato ha dato atto che l'applicazione del meccanismo di protezione risponde, con ampia flessibilità, alle personali esigenze, anche impreviste, del testimone e dei familiari, con interventi immediati di assistenza sanitaria, professionale, legale ed economica, volti a garantire il mantenimento del precedente tenore di vita.
  Nell'ambito delle misure di protezione, il servizio centrale cura il rilascio, quando necessario, di documenti di copertura aventi piena validità nei limiti previsti dal programma di protezione e in grado di garantire ad ogni tutelato l'accesso alle prestazioni in condizioni di sicurezza.
  Per la gestione del sistema di protezione, nell'esercizio finanziario 2015 risultano assegnati al relativo capitolo di spesa poco meno di sessanta milioni di euro già disponibili per cassa. Tale importo è inferiore a quello stanziato per il 2014, ma potrà essere successivamente integrato in fase di assestamento di bilancio, come del resto accaduto nell'anno precedente.
  Si assicura che saranno comunque garantiti il rispetto dei diritti delle persone tutelate e la qualità dei servizi resi nell'ambito del sistema di protezione.
  La legge n. 125 del 2013 ha aggiunto alle misure assistenziali in favore dei testimoni di giustizia il diritto all'assunzione per chiamata diretta nominativa nelle pubbliche amministrazioni, che non presuppone alcuna rinuncia all'assegno di mantenimento da parte del testimone protetto né impedisce la fruizione di interventi economici di carattere straordinario eventualmente necessari, già previsti dalla normativa vigente anche oltre la cessazione della protezione a fini di reinserimento sociale.
  Si sottolinea che l'applicazione ai testimoni di giustizia del diritto al collocamento obbligatorio nelle pubbliche amministrazioni con precedenza inserisce gli stessi tra gli appartenenti alle categorie protette, che non sono soggette ai limiti assunzionali stabiliti dal decreto-legge n. 90 del 2014 di riforma della pubblica amministrazione.
  Per attuare il dettato normativo, il servizio centrale di protezione, su disposizione della commissione centrale, ha già avviato i delicati adempimenti, che riguardano circa 300 testimoni di giustizia beneficiari, in atto o in passato, di speciale protezione.
  Ciò, seppure non può rappresentare garanzia assoluta dell'assunzione, costituisce il segnale tangibile di una doverosa attenzione verso coloro che hanno offerto un contributo essenziale alla giustizia.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   DELLA VALLE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   the Hague Centre for Strategic Studies (HCSS) è un rinomato centro studi internazionale, specializzato nell'analisi delle politiche della sicurezza e della difesa;
   recentemente l'HCSS ha pubblicato uno studio relativo alla considerazione dei diritti delle persone LGBT nell'ambito dei Corpi militari di oltre cento Paesi, nonché alla loro integrazione negli stessi, sulla base di 19 parametri raggruppati in cinque categorie: inclusione, ammissione, tolleranza, esclusione e persecuzione;
   in tale studio l'Italia è valutata quasi ultima in Europa, appena prima di Bosnia-Erzegovina, Grecia, Bulgaria e Serbia ma a notevole distanza da Gran Bretagna, Olanda, Francia, Spagna;
   il non lusinghiero giudizio, con tutta probabilità, potrebbe essere dovuto anche al fatto che in Italia vige tuttora una preclusione normativa all'arruolamento delle persone LGBT: infatti l'articolo 582, comma 1, lettera r) punto 4 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, numero 90, prevede i «disturbi nell'identità di genere» tra le patologie elencate nelle cause psichiatriche di esclusione, nonostante fin dal 1990 l'Organizzazione mondiale della sanità abbia depennato l'omosessualità dall'elenco delle malattie mentali;
   in un comunicato stampa del 15 ottobre 2009, tuttora visibile sul sito internet del Partito Democratico, si legge: «Pinotti: “Gay nell'esercito senza se e ma»”. «Subito dopo la Finanziaria il Pd presenterà una mozione che chiede di modificare il regolamento della Difesa del 2005 nel quale, tra le cause che possono qualificare i soldati come “non idonei” a svolgere la loro attività, viene menzionata l'omosessualità come disturbo dell'identità di genere qualora essa provochi problemi a rapportarsi con gli altri». Lo annuncia Roberta Pinotti, responsabile nazionale Difesa del Pd, in un'intervista pubblicata dal Secolo XIX, che sottolinea come spera che «questa iniziativa del Pd possa trovare il sostegno di altri partiti dell'opposizione e di parti significative della maggioranza». «All'interno della direttiva tecnica contenuta in un decreto della Difesa del 2005 – spiega il Ministro del Pd – si indicano le cause che possono qualificare i soldati come “non idonei” a svolgere la loro attività e tra queste si menzionano i disturbi dell'identità di genere, specificando che l'omosessualità rientra in questa categoria nel momento in cui essa provoca problemi a rapportarsi con gli altri. Non si tratta di una preclusione sostanziale alla carriera militare, e questo è un elemento positivo che fa sì che l'Italia non sia «indietrissimo». Ma si tratta pur sempre di una norma che limita l'idoneità e che può indurre a un'ampia discrezionalità. In altre parole, il problema è, se gli omosessuali possono dichiararsi tali e, qualora lo facciano, se possono essere ritenuti non idonei. È vero, sembrerebbe di no in base alla normativa, ma è altrettanto vero che comprendendo l'omosessualità all'interno dei disturbi dell'identità di genere, nel momento in cui qualcuno la manifesta, viene il dubbio che possano sorgere delle difficoltà nel proseguimento della propria carriera. La nostra proposta promuove un cambiamento culturale, attraverso l'eliminazione di un elemento di ambiguità che aiuterebbe molti gay a esprimere in piena tranquillità la propria identità, senza pensare che l'omosessualità possa essere motivo di carriera meno brillante o di mancato prestigio. Le effettive capacità di un soldato non vanno certo valutate sulla base del proprio orientamento sessuale. Tra l'altro – conclude Roberta Pinotti – la via della dichiarazione esplicita di omosessualità è anche quella su cui si stanno muovendo gli Stati Uniti, mentre Regno Unito e Svezia in questo senso viaggiano un passo avanti perché già prevedono una normativa tesa a non ostacolare in alcun modo la carriera militare dei gay»;
   il 3 dicembre 2009 risulta presentata al Senato la mozione numero 1-00211, prima firmataria senatrice Pinotti, con la quale si impegna il Governo all'eliminazione di ogni riferimento all'omosessualità come fenomeno collegato a possibili disturbi psichici o di tipo relazionale o sociale o comunque come causa di inidoneità al servizio e alla carriera militare –:
   se il Ministro consideri la norma in questione tuttora discriminatoria nei confronti delle persone LGBT e se non ritenga quindi opportuno assumere iniziative per eliminarla. (4-03759)

  Risposta. — La direttiva tecnica della sanità militare – approvata in data 5 dicembre 2005 – riguardante l'accertamento delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità al servizio militare, includeva, all'articolo 16, lettera, i), il comportamento omosessuale tra le patologie della parafilia e del disturbo dell'identità di genere, nei casi in cui determinasse una condizione di disagio soggettivo o di disfunzionamento relazionale o sociale. Prevedeva, quindi, il giudizio d'inidoneità solo per quelle forme distoniche che comportavano disturbi psichici.
  Così come evidenziato nell'intervista citata dall'interrogante, le condotte e gli orientamenti omosessuali, già dal 2005, non erano considerati causa di non idoneità al servizio militare; i soggetti interessati erano, infatti, dichiarati idonei se indenni da disturbi psicopatologici.
  Fatta questa premessa, va osservato, invero, che l'articolo 582, comma 1, lettera
r), Psichiatria, n. 4, del Testo unico regolamentare, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, si limita esclusivamente ad identificare, quali patologie preclusive al reclutamento, le parafilie e i disturbi dell'identità di genere. Tra essi non rientra certo l'omosessualità, essendo, essa, notoriamente, un mero orientamento sessuale, al pari dell'eterosessualità e della bisessualità.
  Più specificamente, le «parafilie» sono comportamenti sessuali devianti, quali il feticismo, l'esibizionismo, la pedofilia, il voyeurismo, mentre il «disturbo d'identità di genere» viene diagnosticato soltanto allorché una intensa e persistente identificazione con l'altro sesso è associata ad un disagio significativo sul piano clinico e/o ad una pari compromissione dell'area sociale, lavorativa o di altre aree di funzionamento.
  Ciò stante, a seguito della segnalata sensibilizzazione, la Difesa ha incaricato un gruppo di studio, composto di esperti (psichiatri, medici legali e psicologi) di sottoporre a revisione l'articolo 16 della direttiva tecnica del 2005, affinché non potesse nemmeno più apparire discriminatorio.
  All'esito di tale attività, è stata redatta la nuova direttiva tecnica, approvata con decreto del Ministro della difesa in data 4 giugno 2014, nella quale, con la finalità della massima, voluta chiarezza, è stato eliminato qualsiasi riferimento all'omosessualità ed è stata modificata la lettera
r), Psichiatria, n. 4), dell'elenco delle imperfezioni e delle infermità, che ora prevede, come evidenziato nello stralcio della direttiva (disponibile presso il Servizio assemblea), l'indicazione «Le parafilie e i disturbi dell'identità di genere, trascorso, se occorre, il periodo di inabilità temporanea».
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   DI LELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista, dello scorso 6 febbraio 2015 l'amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti, ha affermato che: nel giro di un paio d'anni Finmeccanica nel processo che la porterà a focalizzarsi sui settori core ridurrà almeno 3000 dei suoi 54 mila dipendenti. Che il gruppo versasse da anni in una situazione di grave difficoltà era cosa nota ma, sino allo scorso anno era sembrato che il progetto di risanamento del gruppo si incentrasse, sostanzialmente, su un piano di dismissioni e di cessioni di interi comparti produttivi, quali Ansaldo Breda, Ansaldo STS e Ansaldo Energia, orientando gli interventi al rafforzamento del settore difesa, privilegiandolo rispetto a quello civile;
   il progetto di risanamento del gruppo Finmeccanica, di indubbio rilievo su scala nazionale, ha però un impatto di enorme portata per l'intero meridione e per la regione Campania in particolare, ove risultano situate importanti aziende del gruppo: tra queste la Selex ES, con gli stabilimenti di Giugliano e Bacoli-Fusaro operanti nei settori dell'alta tecnologia delle comunicazioni satellitari e nell'elettronica per la difesa delle telecomunicazioni. Le parole dell'amministratore delegato di Finmeccanica hanno destato forti preoccupazioni, tra i dipendenti e nell'opinione pubblica in merito al presente e al futuro delle aziende. Lo stesso Moretti, inoltre, illustrando il suo piano, ha affermato la necessità di eliminare «i rami secchi» riducendo lo spreco in denaro interno alle industrie nazionali paventando la possibile chiusura dell'azienda di Giugliano con trasferimento della produttività nella sede di Fusaro il cui stabilimento si trova nei pressi di Bacoli;
   nelle strategie, dunque, rese note dal «management» del gruppo, non solo non risultano progetti di valorizzazione delle pur pregevoli realtà industriali esistenti in Campania, né tanto meno risulta previsto il rilancio di quelle attività che, pur in attuale crisi, potrebbero fattivamente concorrere al superamento della crisi dell'intero gruppo Finmeccanica anzi, addirittura, se ne paventa la chiusura;
   infatti, con riferimento alla Selex ES-Selex Electronic Systems, le attività della società hanno visto un progressiva crescita, fra il 2000 e il 2013, tanto che all'atto della fusione, nel 2013, tra le società Selex ES, Elsag e Galileo, lo stabilimento campano di Giugliano, per quanto riguarda il settore logistica risultava coinvolto in tutte le attività industriali di Selex-SI, con un ruolo di «prime contractor» con tutti i clienti istituzionali (Esercito, Aeronautica e Marina);
   l'impianto industriale di Fusaro, le cui attività spaziano dall'industrializzazione al collaudo di sistemi radar, alla progettazione software e sistemistica per integrazione, ha già subito gravi perdite a seguito del piano di riassetto del 2013 con un forte ridimensionato l'organico che ha fatto perdere, in termini di occupazione, oltre un quarto della forza lavoro e che oramai è vicino alla soglia critica per il corretto funzionamento dei processi;
   infine, in entrambi gli stabilimenti risulta presente una qualificata componente ingegneristica, impegnata, fra l'altro in attività di ricerca sulle nuove tecnologie applicate, in collaborazione con il mondo universitario e con il settore del controllo del traffico aereo;
   le scelte, dunque, del gruppo Finmeccanica, se confermate penalizzeranno irrimediabilmente territori già strutturalmente deficitari di realtà produttive, inoltre, si andrebbe a compromettere ulteriormente la già fragile sostenibilità economica della regione a favore del crimine organizzato che, nelle pieghe della crisi economica e sociale, allarga sempre di più i suoi tentacoli;
   considerato il ruolo centrale della soluzione degli squilibri economico-sociali, tutt'ora esistenti tra il Sud e il resto del Paese, nel quadro della ripresa economica nazionale nonché del superamento del forte tasso di disoccupazione, della crescita delle produzioni e degli scambi nazionali e internazionali, sembra che le affermazioni dell'amministratore delegato di Finmeccanica vadano in una direzione completamente opposta e negativa –:
   quali notizie, in merito a quanto esposto in premessa con riferimento alla paventata chiusura delle aziende campane risultino ai Ministri interrogati;
   se e quali azioni concrete il Ministro dell'economia e delle finanze in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, nell'ambito delle proprie competenze, intenda porre in essere affinché, nell'ambito delle nuove strategie industriali si vada nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori e degli stabilimenti esistenti in Campania i quali costituiscono una risorsa strategica irrinunciabile per il Mezzogiorno e per l'intero Paese;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendono adottare al fine di salvaguardare i livelli occupazionali delle società del gruppo presenti in Campania valorizzandone al contempo la professionalità, la capacità di innovazione e la ricerca che fanno di queste aziende delle realtà produttive all'avanguardia nel campo dell'innovazione tecnologica. (4-07947)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione indicata in oggetto, si rappresenta quanto segue.
  Si premette che il Governo conferma il proprio impegno di orientamento e monitoraggio delle attività in capo a Finmeccanica, ovvero di uno fra i principali «campioni industriali» del nostro Paese, apprezzato sui mercati internazionali, come dimostrano le importanti
joint-venture che la vedono protagonista in settori strategici sia militari che civili. Tutto ciò non ci esonera dal richiamare le necessarie azioni di focalizzazione ed efficientamento in grado di rafforzare il posizionamento competitivo di Finmeccanica.
  In questo quadro va collocato il piano industriale 2015-2019, approvato lo scorso 27 gennaio dal consiglio di amministrazione e illustrato dall'amministratore delegato Mauro Moretti il giorno successivo agli investitori finanziari. È un piano finalizzato nel suo complesso al rafforzamento del
core business aerospazio, difesa e sicurezza, in modo da ottenere significativi miglioramenti delle performance economiche che consentano a Finmeccanica di riposizionarsi adeguatamente sullo scenario globale di riferimento.
  L'intero processo sarà orientato al rilancio e allo sviluppo complessivo del gruppo, anche attraverso un maggiore orientamento ai clienti internazionali. In tale contesto, va collocata la prospettiva dell'impegno meridionale di Finmeccanica; una presenza industriale di primaria importanza e largamente focalizzata nei settori che il piano industriale ha individuato come centrali per il proprio sviluppo con unità appartenenti ad Alenia Aermacchi, Selex ES, AgustaWestland e Telespazio, ai quali si devono aggiungere le unità appartenenti alla
joint-venture Mbda, nonché i siti di Ansaldo Breda e Ansaldo Sts; questi ultimi appartengono a società per le quali è stata annunciata la cessione e il totale deconsolidamento.
  Nel dettaglio, facendo, riferimento agli indirizzi più recenti espressi nel piano industriale approvato dal Cda, si può constatare che Alenia Spazio occupa attualmente sul territorio campano circa 3.800 addetti (siti di Pomigliano d'Arco, Nola e Napoli-Capodichino) con attività relative al velivolo regionale ATR42/72, al velivolo da trasporto tattico C-27J e ad alcune lavorazioni per i programmi Boeing 67/77/87 e Airbus A380/A321. In questo settore Finmeccanica intende rafforzare il proprio ruolo nel segmento strategico dei velivoli regionali dove l'ATR rappresenta il leader del settore con una prospettiva industriale di ulteriori 10-12 anni. Un velivolo di nuova generazione è allo studio ed il suo reale sviluppo è condizionato dalle reali possibilità di un mercato fortemente condizionato dall'andamento dei prezzi dei fattori critici (petrolio anzitutto) e dalle valute.
  Per quanto riguarda il segmento delle aerostrutture, caratterizzato da marginalità contenuta ed elevati costi variabili, Finmeccanica è determinata a valorizzare le competenze presenti e ad individuare azioni mirate all'efficientamento necessario per rendere il
business pienamente sostenibile.
  Selex ES occupa attualmente circa 800 persone nei siti di Fusaro e Giugliano, con attività riferite ai radar primari, secondari e multi funzionali per applicazioni nei settori civile e militare, nonché altre attività di alto contenuto tecnologico e professionale. Questi siti rappresentano, inoltre, il centro di eccellenza per gli Aesa terrestri e navali e per altri segmenti di pianificazione e progettazione di assoluta eccellenza. Sono attività che appartengono al segmento
core della strategia Finmeccanica e contemporaneamente sono strategici per la difesa e la sicurezza del nostro Paese e del sistema di alleanze al quale appartiene. Per questa ragione, come noto, vi sono impegni governativi di spesa (legge navale, forza Nec e altri).
  Mbda è il
player mondiale dei sistemi missilistici al quale Finmeccanica partecipa insieme con altre primarie aziende europee. In Campania sono occupate 370 persone presso il sito di Fusaro, impegnate in attività di ricerca, produzione e collaudo di apparati missilistici. È un settore nel quale Finmeccanica possiede significative competenze tecnologiche. È un comparto caratterizzato da una forte cooperazione tra i governi a livello europeo e per questa ragione, il Governo è impegnato con finanziamenti definiti nell'ambito di apposite leggi.
  Telespazio è presente a Napoli con una piccola unità di 26 lavoratori, la maggior parte progettisti esperti nella gestione e controllo di sistemi satellitari. Per questa unità è in corso, nell'ambito del piano industriale dell'intera società e dei necessari processi di efficientamento, che, tra l'altro, prevedono anche la razionalizzazione delle sedi operative, un confronto con le organizzazioni sindacali finalizzato alla migliore tutela sociale e professionale di tutti gli interessati.
  Il Ministero dello sviluppo economico, insieme alla regione Campania, sta favorendo il miglior esito di questo confronto.
  Infine, per quanto riguarda il settore trasporti, è noto che Finmeccanica ha avviato da tempo il processo di dismissione. Tra l'altro, nel dicembre scorso la dismissione di Breda Menarinibus, confluita in Industria italiana autobus, ha messo insieme Breda Menarinibus e lo stabilimento
ex Irisbus di Avellino, costruendo un polo italiano della produzione di autobus. Per quanto riguarda Ansaldo Breda e Ansaldo STS, sono presenti a Napoli con due siti, nei quali operano circa 1.000 dipendenti, che certamente fanno parte del perimetro interessato al processo di cessione. Sono unità produttive con elevate competenze professionali dedicate alla componentistica ferroviaria meccanica ed elettronica. Si aggiunge, inoltre, la recente comunicazione dell'avvenuta conclusione del confronto tra Finmeccanica e la giapponese Hitachi per la cessione dell'insieme delle attività in capo ad Ansaldo Breda e Ansaldo STS. È una operazione che, come noto, il Governo segue fin dalla sua origine e che adesso ha giudicato molto positiva, perché consente all'intero comparto ferroviario in capo a Finmeccanica di allargare le proprie prospettive tecnologiche e di mercato. Si precisa anche che, dalle operazioni di vendita, le unità napoletane sono complessivamente confermate e acquisiscono una potenzialità di sviluppo, e che Hitachi ha preso impegni molto seri sullo sviluppo di questa attività di tutti e tre i siti di Breda rilevati, cioè Pistoia, Napoli e Reggio Calabria, nonché dei siti STS, di sviluppo sul territorio nazionale e della conferma del radicamento anche in Campania.
  In Campania, dunque concludendo, sono occupati nei siti produttivi di Finmeccanica poco meno di 6 mila lavoratori. È una delle presenze più significative, non solo per la dimensione quantitativa ma per l'elevato livello di competenze e per la qualità dell’
output, in larga parte riconducibile a settori core.
  Il Governo ha certamente un ruolo di indirizzo nei confronti delle imprese e dei settori strategici e certamente opera con l'obiettivo di consolidare e accrescere la loro presenza nel Mezzogiorno. Tuttavia, le responsabilità gestionali ed operative sono dei gruppi dirigenti scelti dagli azionisti, ai quali devono costantemente rendere conto del loro operato, e fra i compiti fondamentali vi è quello di garantire efficienza e redditività alle aziende loro affidate.
  Per questa ragione, il Governo guarda con molta attenzione ai processi di efficientamento annunciati dall'ingegnere Mauro Moretti, amministratore delegato di Finmeccanica, i quali, se da un lato debbono essere gestiti in un rapporto corretto con le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori, dall'altro debbono garantire l'economicità di ciascuna impresa, che è la garanzia per il suo sviluppo.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante sono giunte numerose segnalazioni da parte della cittadinanza, suffragate anche da una serie di inchieste di stampa, circa la indecorosa situazione di degrado dei campi nomadi nella città di Napoli e nell’hinterland partenopeo;
   in seguito a tali segnalazioni, concernenti in particolare le allarmanti condizioni dei minori, il 13 dicembre 2013, l'interrogante ha depositato una prima interrogazione, la n. 4-02933, alla quale purtroppo ad oggi non è stata data risposta;
   l'inerzia delle istituzioni centrale e locale non ha risolto i problemi che continuano a persistere nella loro gravità;
   negli ultimi mesi si sono verificate ulteriori inquietanti vicende nei campi rom che rendono sempre più preoccupante la situazione e necessario un intervento dello Stato;
   l'11 marzo 2014, infatti, si è diffusa la voce secondo cui una ragazza di Napoli sarebbe stata oggetto di molestie sessuali. A seguito del diffondersi di tale voce, si è creata una situazione di grande tensione, sfociata poi in una rissa tra napoletani e rom, secondo alcune fonti di informazione caratterizzata addirittura dal lancio di sassi e bombe carta da parte della popolazione locale. La conseguenza di tali vicende sarebbe stata – secondo quanto segnalato all'interrogante – la «migrazione» di circa 350 rom in altri campi, in particolare localizzati presso Gianturco che già si trova in una situazione di forte criticità per la presenza di tre campi nomadi, due dei quali di grandissime dimensioni e molto vicini ai depositi della Q8;
   ad avviso dell'interrogante è molto probabile il rischio che la criminalità organizzata sia pericolosamente coinvolta in questo tipo di dinamiche per cui l'intervento della pubblica autorità appare di assoluta urgenza;
   tutte queste vicende vedono quella che all'interrogante appare la sostanziale inerzia delle istituzioni locali –:
   se il Ministro interrogato, per il tramite dei suoi uffici, stia seguendo le vicende segnalate in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   quali decisioni intenda assumere il Governo per fronteggiare una simile situazione che rischia di diventare un problema molto serio sia dal punto di vista dell'ordine pubblico che dal punto di vista della salute, stante il sovraffollamento dei campi nomadi, con particolare riferimento a quello di Gianturco. (4-05134)

  Risposta. — Nel pomeriggio dell'11 marzo 2014, in via Fulco Ruffo di Calabria a Napoli, una minore ha riferito di aver subito molestie sessuali da parte di un cittadino di etnia Rom, residente nel campo di via del Riposo.
  Nell'immediatezza dei fatti, i congiunti della minore si sono recati presso l'insediamento rom per chiedere chiarimenti sull'accaduto, seguiti poco da un gruppo di parenti e amici, tutti residenti nella zona. Il personale della polizia immediatamente accorso sul posto, nonostante il clima di forte tensione, è riuscito a evitare il degenerare degli eventi, impedendo qualsiasi contatto tra i due gruppi. Nella tarda serata dello stesso giorno, la vittima delle molestie, accompagnata dal padre, ha sporto regolare denuncia.
  La mattina seguente, un folto gruppo di residenti, prevalentemente donne, ha inscenato una protesta, chiedendo l'immediata punizione del responsabile delle molestie e l'allontanamento dei cittadini rom dalla zona. Sono intervenuti sul posto il personale della polizia e il presidente della municipalità. Quest'ultimo ha comunicato che avrebbe incontrato l'assessore comunale preposto, per una definitiva soluzione del problemi connessi alla presenza dell'insediamento rom.
  Nonostante le rassicurazioni dei presidente della municipalità, dall'interno dell'adiacente area cimiteriale sono stati lanciati dei petardi verso i cittadini rom presenti nell'insediamento. Il clima sempre più teso ha provocato lo spontaneo allontanamento dei rom e il loro successivo trasferimento presso altri insediamenti presenti in città, in particolare in via Brecce a Sant'Erasmo, nel quartiere Gianturco.
  Nella notte del successivo 1° aprile, il campo rom di via del Riposo, ormai disabitato, è stato interessato da un incendio – appiccato da ignoti – che è stato domato dai vigili del fuoco. L'Autorità giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta l'area, che poi è stata resa nuovamente accessibile il 21 maggio per consentire il recupero delle masserizie.
  Si soggiunge che la società Aedilia Sviluppo 1 srl, proprietaria dell'area su cui insistono i citati campi rom di via Brecce a Sant'Erasmo, ha sporto denuncia all'Autorità giudiziaria per occupazione abusiva e danneggiamento dell'area medesima, con contestuale richiesta di sgombero.
  Al fine di prevenire il verificarsi di ulteriori episodi di violenza e intolleranza tra i residenti della zona e gli occupanti degli insediamenti in questione, è stata disposta un'intensificazione delle misure di vigilanza e controllo dei territorio.
  Su un piano più generale, si assicura che il Ministero dell'interno segue con grande attenzione – sia tramite il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, sia attraverso le prefetture territorialmente competenti – le tematiche connesse all'integrazione e alla coesione sociale delle comunità rom.
  Al riguardo, sono state assunte molteplici iniziative che si inseriscono in un apposito piano contenente la Strategia nazionale per l'inclusione dei rom, dei sinti e dei camminanti, con la previsione di interventi da svolgere fino al 2020 nel campo dell'istruzione, della salute, dell'alloggio e dei lavoro.
  Per quanto riguarda, in particolare, le iniziative assunte nel territorio della provincia di Napoli, prosegue il progetto di realizzazione di una struttura di accoglienza per i nuclei rom nella zona di Scampia, finanziato con fondi europei per un importo di circa sette milioni di euro. Inoltre, il comune di Napoli ha aderito, per l'anno scolastico 2014/2015, al progetto nazionale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali finalizzato all'integrazione e all'inclusione scolastica a favore dei minori rom, sinti e camminanti.
  Con gare a evidenza pubblica, lo stesso ente ha affidato ad alcune associazioni del terzo settore i nuovi progetti di inclusione sociale e di contrasto all'emarginazione dei minori in età scolare. A tal fine, il territorio è stato suddiviso in quattro aree d'intervento affidate ad altrettante associazioni: nel quartiere di Secondigliano, ove insistono due villaggi attrezzati, opera «Il Pioppo onlus» (per un corrispettivo di 52.022 euro); nell'area di Ponticelli/Barra, ove sono presenti gli insediamenti di via Argine, via Woolf e via S. Maria del Pozzo, è attiva la «Nea onlus» (per un importo di 103.606 euro); nella zona di Poggioreale, che comprende l'insediamento di via Brecce a Sant'Erasmo, è attiva l'associazione «Dedalus» (per un importo di 78.772 euro); per quanto riguarda l'area di Scampia, è in corso di perfezionamento la procedura per l'affidamento della gestione del campo.
  In tali ambiti, le predette associazioni sono impegnate a svolgere attività di intercettazione e di primo contatto con i nuclei familiari, di iscrizione scolastica dei minori, di mediazione socio-culturale con i servizi sociali e le istituzioni scolastiche e sanitarie, nonché di supporto formativo agli studenti nell'apprendimento cooperativo.
  Inoltre, al fine di favorire l'inclusione scolastica dei minori rom oggettivamente impossibilitati a raggiungere le scuole (come quelli dei villaggi comunali di via Circonvallazione Esterna), l'amministrazione comunale ha affidato il servizio di scuolabus alla società municipalizzata Napoli Sociale spa fino al completamento dell'anno scolastico in corso e il servizio di trasporto da e per gli insediamenti di via Argine e via Wolf alla ditta privata Network Word Travel, per un importo di 24.200 euro.
  Il centro comunale Deledda di Soccavo, invece, destinato all'accoglienza dei nuclei, familiari rom di origine rumena, è stato gestito, fino al mese di gennaio 2015, dall'associazione di volontariato Centro Lima – Protezione civile, per un corrispettivo di 24.200 euro. Attualmente il comune di Napoli sta procedendo a una nuova selezione per l'individuazione di un diverso gestore del centro.
  A Giugliano, la Commissione straordinaria incaricata della provvisoria gestione dei comune è in attesa di conoscere l'esito della richiesta di finanziamento avanzata per l'implementazione del progetto «Realizzazione di un campo per l'accoglienza di popolazioni nomadi», a valere sui fondi del programma operativo nazionale sicurezza per lo Sviluppo obiettivo convergenza 2007-2013, da realizzare su un terreno, confiscato alla criminalità organizzata da acquisire al patrimonio dell'ente.
  Dopo che l'azienda sanitaria locale NA 2 Nord ha rilevato condizioni di forte precarietà igienico-sanitaria presso l'insediamento rom presente nella zona industriale di Giugliano, il comune ha effettuato una serie di interventi per ripristinare la funzionalità idraulica degli impianti, con una spesa di circa 94.000 euro. Inoltre, ha stanziato 37.000 euro per un progetto di alfabetizzazione culturale e di prescolarizzazione destinato ai bambini rom dai 6 agli 11 anni, alle cui famiglie sono stati forniti viveri e vestiario.
  Ciò nonostante, la situazione è rimasta critica al punto da indurre la Commissione straordinaria a emanare un'ordinanza di sgombero della popolazione rom dal predetto sito. Di conseguenza, nel mese di febbraio 2015, il comune ha avanzato un'ulteriore proposta progettuale per l'integrazione della popolazione rom, con richiesta di finanziamento attualmente al vaglio del Ministero dell'interno.
  A Torre del Greco, dove l'insediamento rom si trova a ridosso dell'autostrada Napoli-Salerno, in un punto distante dai nuclei abitati, il comune ha attivato un progetto di inclusione sociale e, nell'ambito del servizio di trasporto scolastico, ha destinato un pulmino ai minori di tale comunità al fine di favorirne la frequenza scolastica.
  Infine, il campo rom presente nel territorio di Casoria è stato attrezzato con servizi idro-elettrici gestiti autonomamente dagli occupanti con l'utilizzo di generatori. Il servizio sociale del comune ha instaurato un rapporto fiduciario con la popolazione e le famiglie sono supportate dal servizio sociale per tutti gli adempimenti burocratici. Infatti, tutti i bambini presenti nell'insediamento frequentano con esiti soddisfacenti la scuola dell'obbligo, risultano bene integrati nel contesto scolastico e l'amministrazione comunale ha previsto per loro un servizio di trasporto scolastico, fornendo anche il materiale necessario per le attività didattiche.
  Inoltre, il comune di Casoria stipulerà a breve un protocollo d'intesa con la Croce rossa italiana che prevede, d'intesa anche con la locale azienda sanitaria, la presenza periodica di personale medico con unità mobili per svolgere attività di prevenzione, informazione, orientamento e primo intervento sanitario a beneficio degli occupanti dei campo. La Croce rossa provvederà anche ad altre forme di sostegno, mediante la distribuzione di alimenti e di vestiario.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LUIGI DI MAIO, FICO e LIUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione italiana tennis (FIT), quale soggetto di personalità giuridica di diritto privato riconosciuto dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) opera sotto la vigilanza tecnica, amministrativa e funzionale dello stesso ed è un'associazione senza fini di lucro;
   la FIT è l'unico organismo autorizzato a disciplinare, regolare e gestire lo sport del tennis nel territorio nazionale e a rappresentarlo in campo internazionale;
   la FIT, soprattutto in considerazione della valenza pubblicistica di specifici aspetti dell'attività sportiva svolta, dovrebbe operare sotto la vigilanza del CONI, con autonomia tecnica, organizzativa e gestionale in armonia con l'ordinamento sportivo nazionale ed internazionale, nonché con le deliberazioni e gli indirizzi del Comitato internazionale olimpico (CIO) e dello stesso CONI;
   secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, la FIT, nonostante sia un'associazione senza fini di lucro, dal 2007 ha costituito tre società partecipate con fini di lucro: la FIT Servizi Srl, la Mario Belardinelli ADS e la Sportcast srl. Inoltre, la FIT e la CONI servizi srl hanno costituito un'associazione in partecipazione per la gestione degli Internazionali d'Italia da cui derivano profitti che dovrebbero essere reimpiegati nell'attività sportiva;
   risulta ai deputati interroganti che in un consiglio federale, si sarebbe deliberato che possano partecipare alle manifestazioni giovanili nazionali (come ad esempio la coppa Belardinelli e la coppa d'inverno, secondo quanto stabilito dall'articolo 2 del regolamento delle suddette manifestazioni) solo ed esclusivamente quei ragazzi tennisti che abbiano frequentato a pagamento i centri estivi FIT determinandosi in tal modo una evidente discriminazione ai danni di quei ragazzi che provengono da famiglie che non possono permettersi di affrontare gli onerosi costi dei centri estivi, facendo così prevalere sul merito sportivo il criterio censitario;
   ai deputati interroganti sono state segnalate incompatibilità tra i soci, gli amministratori e i consulenti della FIT e delle società partecipate, quali ad esempio: il ragionier Perciballi, consulente della FIT e delle sue partecipate (per importi annui complessivi di una certa importanza), nonché socio della FIT servizi Srl e quindi della Mario Belardinelli, nonché fornitore di servizi e di manodopera per le suddette società e non solo; il signor Carlo Ignazio Fantola, presidente della società Sportcast, sino al marzo 2014, ed allo stesso tempo zio materno di primo grado (fratello della madre) del presidente della FIT Angelo Binaghi, del signor Giancarlo Baccini già direttore – ancorché a titolo gratuito – di Sportcast, della testata giornalistica Supertennis e dei telegiornali della stessa, delle comunicazioni della FIT sino al febbraio 2014, nonché amministratore della stessa Sportcast attraverso la sua azienda di famiglia Qua Srl; il signor Francesco Soru, già capo di gabinetto del Presidente del CONI Giovanni Malagò, a quanto risulta al deputato interrogante, sarebbe stato recentemente nominato presidente della società Sportcast Srl che gestisce il canale televisivo Supertennis, anche se non è ben chiaro quale sia il compenso per la sua attività;
   risulta ai deputati interroganti che la FIT, anche in deroga a circolari interne (circolare CONI Petrucci del febbraio 2012 in materia di acquisto di immobili da parte delle federazioni), abbia proceduto all'acquisto di immobili con risorse provenienti dal bilancio corrente e ad avviso degli interroganti alcune sottratte all'attività primaria della FIT medesima, ovverosia la promozione del tennis; così facendo la Federazione, in spregio al principio generale che imporrebbe l'impiega delle proprie risorse finanziarie nell'attività di promozione del tennis di base e di eccellenza, ha distratto ingenti risorse di bilancio corrente (di matrice pubblica quelle provenienti direttamente dal CONI e di matrice pubblicistica quelle derivanti dalle quote dei circoli e dei tesserati) per impiegarle in operazioni immobiliari, la cui opportunità è tutta da dimostrare e verificare e che esulano totalmente dalla ratio di una federazione sportiva;
   risulta altresì agli interroganti che, in deroga a tutte le circolari emanate negli ultimi anni in tema di spending review ed in particolare rispetto alle linee guida per la gestione economica e finanziaria delle federazioni sportive nazionali del 17 marzo 2010 a firma del segretario generale Raffaele Pagnozzi, sia stato convocato un consiglio federale della FIT a Parigi il 5 giugno 2010 (con altissimi ed ingiustificati costi suppletivi di trasferta a carico della FIT per i numerosi membri del Consiglio medesimo ed il seguito). Non è ben chiaro quale fosse la ragione di tale convocazione «fuori sede»;
   la situazione del CONI e delle federazioni sportive è stata oggetto anche di una puntata del programma televisivo Report il 7 maggio 2014 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, se tutto quanto sopra esposto corrisponda a verità e, in caso affermativo, quale sia l'orientamento del Ministro in merito;
   se il Governo sia a conoscenza della eventuale autorizzazione da parte del CONI alla costituzione delle suddette società partecipate dalla FIT e se il CONI abbia vigilato sulle procedure di scelta dei soci e sulle procedure di nomina dei rappresentanti nelle varie società;
   se il Governo sia a conoscenza della eventuale autorizzazione da parte del CONI alla costituzione di una società per la gestione del canale televisivo, Supertennis;
   se sia stata oggetto dell'attenzione del CONI la questione della incompatibilità tra i soci, gli amministratori e i consulenti della FIT e delle società partecipate;
   se il Governo sia a conoscenza della eventuale approvazione da parte del CONI dei bilanci della FIT e delle sue partecipate dalla loro costituzione ad oggi con le relazioni note integrative e le relazioni dei collegi sindacali;
   se il Governo sia a conoscenza della eventuale autorizzazione da parte del CONI, anche in deroga a circolari interne, dell'acquisto di alcuni appartamenti con risorse provenienti dal bilancio corrente e sottratte all'attività primaria della FIT, ovverosia promozione del tennis e se risultino elementi circa la trasparenza e la regolarità delle relative procedure di acquisto e pagamento;
   se il Governo sia a conoscenza della eventuale autorizzazione da parte del CONI alla convocazione del Consiglio federale della FIT tenutosi a Parigi il 5 giugno 2010;
   se rispetto alla circolare Pagnozzi del 17 marzo 2010 la FIT abbia trasmesso, al Segretario Generale del CONI, negli ultimi tre anni la relazione strutturata ed analitica dalla quale risultino le specifiche azioni di riduzione dei costi unitamente alla relazione con l'esame e il parere da parte dei revisori dei conti;
   se il Governo sia al corrente dell'entità della indennità di carica del Presidente della FIT Binaghi (al suo quarto mandato che lo porterà a restare in carica per 16 anni). (4-05221)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, a seguito degli elementi istruttori richiesti al Comitato olimpico nazionale italiano, si rappresenta quanto segue.
  1. La Federazione italiana tennis (Fit) ogni anno organizza in campo nazionale 25 manifestazioni giovanili (n. 9 per squadre di club, n. 12 individuali e n. 4 per rappresentative regionali). Frequentare i centri estivi organizzati dalla Fit è indispensabile soltanto per partecipare alla «Coppa Belardinelli, alla Coppa delle Province e alla Coppa d'Inverno», gare riservate a rappresentative selezionate dai comitati regionali. L'obbligo di prendere parte ai centri estivi è stato deciso al fine di infondere nei ragazzi chiamati a rappresentare la propria regione il rispetto per «la maglia azzurra e per l'istituzione federale»; in casi eccezionali è possibile ottenere dal Consiglio federale una deroga al suddetto obbligo. Alla Coppa Belardinelli e alla Coppa d'Inverno partecipano i giovani di ogni Regione selezionati dai rispettivi comitati regionali, e i regolamenti delle due gare contemplano che per gareggiare gli atleti devono avere frequentato almeno un turno dei centri estivi. Per la partecipazione dei giovani atleti ai centri estivi i comitati regionali hanno erogato nell'anno 2013 contributi per un ammontare di euro 18.000,00, la Federazione, al fine di garantire che gli atleti migliori possano frequentare i centri estivi, nell'anno 2013 ha erogato ai circoli contributi per un ammontare di euro 75.000,00.
  2. In merito alla posizione del ragionier Perciballi, si precisa che non è mai stato socio della Maro Belardinelli srl e che dal 1° febbraio 2013, non è più socio della società Fit Servizi e la sua quota è stata venduta alla Fit al valore di acquisto. In qualità di socio si occupava dell'attività di consulenza amministrativa e fiscale e non ha ricevuto alcuna remunerazione, come risulta nei bilanci consuntivi, certificati dalla società di revisione Ernst & Young e precisamente nella «Nota integrativa – Informazioni di carattere generale – Rapporti con le parti correlate». Il ragionier Perciballi è ora consulente amministrativo e fiscale della Fit Servizi e per l'anno 2013 ha percepito un compenso di euro 48.000,00. L'avvocato Francesco Soro, già presidente del Comitato regionale per le comunicazioni (Corecom), con atto del 4 aprile 2014, è stato nominato Presidente del consiglio di amministrazione della società Sportcast e svolge tale attività a titolo gratuito, come il predecessore ingegner Carlo Ignazio Fantola. Il dottor Giancarlo Baccini, non più direttore della comunicazione della Fit dal settembre 2011, è amministratore delegato della società Sportcast, editore del canale televisivo Supertennis, e a titolo gratuito riveste il ruolo di direttore del TG e della rivista cartacea Supertennis Magazine.
  3. La federazione ha acquistato gli immobili da destinare alle sedi dei comitati regionali previa autorizzazione del Coni sulla base del parere di congruità richiesto alla competente Agenzia del Territorio. Nella nota integrativa ai bilanci consuntivi è indicato il costo dell'acquisto effettuato. Gli acquisti non hanno causato vincoli per i futuri bilanci, bensì sono state eliminate le ingenti spese per l'affitto delle sedi regionali, di conseguenza i comitati regionali hanno più risorse da utilizzare nella promozione del tennis. La Federazione per acquistare gli immobili ha utilizzato risorse proprie e non i contributi pubblici che sono finalizzati all'attività sportiva e alla retribuzione del personale. Nell'anno 2013 la percentuale dei ricavi propri rapportata al totale dei ricavi federali è stata dell'83 per cento e i costi di funzionamento, in cui sono incluse le spese sostenute per organizzare le riunioni del Consigli federale, rappresentano il 15 per cento del totale dei costi sostenuti dalla Federazione.
  4. Il Coni non è chiamato ad autorizzare le convocazioni del Consiglio federale della Fit. Per ciò che riguarda il Consiglio federale tenuto a Parigi in data 4 giugno 2010, la riunione era stata convocata in Roma per i giorni 4 e 5 giugno, ma il primo accesso di una tennista italiana, Francesca Schiavone, alla finale del torneo «Roland Garros», da giocare il 5 giugno, ha spinto il Presidente, già presente nella Capitale francese con altri tecnici federali per seguire gli atleti italiani, dopo consultazione con i componenti del Consiglio federale, a decidere di spostare la sede della riunione a Parigi. Il cambiamento di sede ha permesso ai consiglieri federali di visitare il «Roland Garros», uno dei quattro tornei di tennis più importanti del mondo, punto di riferimento per l'organizzazione degli internazionali BNL d'Italia, principale fonte di guadagno per la Fit: il fatturato dell'anno 2014 è stato superiore ad euro 22 milioni. La Fit e il Coni, che partecipa all'organizzazione degli Internazionali d'Italia di tennis, periodicamente inviano ai tornei del «Grande Slam» i propri dirigenti e i componenti del Consiglio di amministrazione affinché arricchiscano il proprio
know-how.
  5. La Federazione italiana tennis, dall'anno 2011, fa certificare i propri bilanci e quelli delle società controllate dalla società di revisione e organizzazione contabile Ernst & Young, e dopo l'approvazione del Coni li pubblica sul proprio sito internet. Il Coni è stato sempre messo a conoscenza della costituzione delle società partecipate e non ha riscontrato incompatibilità tra soci e consulenti. La «Mario Belardinelli srl» è una società che non persegue fini di lucro come è stabilito dallo statuto societario.
  In data 3 dicembre 2010, è stata trasmessa al Coni, a firma del presidente Angelo Binaghi, la relazione federale strutturata e analitica da cui risultano le azioni di riduzione dei costi, con allegati esami e pareri dei revisori dei conti. In ordine all'indennità di carica del presidente della Fit, i principi fondamentali degli statuti delle federazioni sportive nazionali, deliberati dal Coni, all'articolo 7 punto 5 (allegato III) contemplano che gli statuti federali possono prevedere un'indennità in favore del presidente federale. Attualmente il Coni, con circolare n. 7102 del 12 giugno 2014, ha stabilito per tutti i presidenti delle federazioni sportive un'indennità annuale di carica dell'importo di euro 36.000,00.
  Il Governo conferma, come già dichiarato nel rispondere ad analoghe interrogazioni, di ritenere prioritario il tema della trasparenza nell'azione amministrativa di tutti gli enti che beneficiano di risorse pubbliche e di aver invitato il Coni a svolgere controlli e verifiche periodiche sulle Federazioni, suggerendo anche, ove possibile, la pubblicazione dei finanziamenti ricevuti, degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriGraziano Delrio.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la consegna della posta è un servizio essenziale nella vita di relazione dei cittadini, con effetti di non poco conto nei rapporti giuridici con terzi;
   il ritardo o la mancata consegna della corrispondenza cagionano una pluralità di danni patrimoniali e non patrimoniali sia per il mittente che per il destinatario;
   a titolo esemplificativo, è sufficiente pensare alle conseguenze del ritardo o del mancato recapito di atti giudiziari, bollette delle utenze (luce, acqua e gas), tagliandi assicurativi e fatture, che vanno dagli interessi di mora e sanzioni al fermo amministrativo, al pignoramento, all'interruzione della somministrazione ovvero ai mancati vantaggi derivanti da un tempestivo recapito della corrispondenza;
   la Corte di Cassazione penale, con sentenza 20 giugno 2012, n. 24582 ha stabilito che l'agente postale addetto al recapito che omette di consegnare ai destinatari la corrispondenza commette il reato di cui all'articolo 616 del codice penale (violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza). In particolare, il fatto che la corrispondenza non sia stata distrutta e sia successivamente ritrovata non è rilevante, perché la condotta incriminata rientra comunque nell'ipotesi di distrazione di corrispondenza, sanzionata dal citato articolo 616, comma primo, parte terza del codice penale;
   inoltre, anche la fattispecie di soppressione sanzionata dall'articolo 616 del codice penale ricorre ogni volta che il destinatario è privato per un tempo apprezzabile della corrispondenza indirizzatagli, considerato che, in ragione di detta interruzione temporale, essa è privata della sua funzione e, quindi, del suo valore;
   all'interrogante giungono reiterate segnalazioni di ritardi e disfunzioni nella consegna della posta in ampie zone del territorio nazionale, non solo con riferimento a piccoli centri, ma addirittura a capoluoghi di regione;
   per esempio, secondo alcune segnalazioni giunte all'interrogante, nel centro di smistamento della posta di Fiumicino (Roma) – che si occupa della posta da smistare nella Capitale – si troverebbero 5 tonnellate di posta non consegnata;
   ciò assume dei connotati di particolare gravità con riferimento alla posta cosiddetta «prioritaria», non essendo più apposto il timbro della data di consegna della corrispondenza (diversamente da quanto accadeva in passato). Pertanto, ciò rende molto difficoltoso, se non impossibile, controllare il rispetto degli obiettivi di qualità nella consegna della posta prioritaria;
   sempre secondo tali segnalazioni, ciò sarebbe da imputarsi ad una responsabilità di Poste Italiane che avrebbe deciso di ridimensionare notevolmente il servizio di distribuzione territoriale della posta;
   si tratta con tutta evidenza di una situazione intollerabile, anche alla luce del fatto che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha autorizzato un considerevole piano di aumento delle tariffe postali che verrà attuato entro il 2016 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto segnalato in premessa;
   se il Ministro interrogato non ritenga, per quanto di competenza, di intervenire presso Poste Italiane affinché venga al più presto ripristinata una situazione di legalità e sia finalmente fornito alla cittadinanza italiana il servizio, fondamentale di corrispondenza della Posta nei modi e nei tempi previsti;
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative per far si che Poste Italiane spa apponga un timbro-data alle corrispondenze in ricezione (in particolare, alla posta prioritaria, vista la tariffa), nonché il timbro-data dell'ufficio locale quando affida la corrispondenza al postino per la consegna;
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative affinché Poste Italiane spa metta in rete i documenti inerenti alle corrispondenze che ogni giorno sono destinate al macero perché non consegnate;
   se il Ministro non ritenga opportuno adoperarsi affinché Poste Italiane spa metta in internet le corrispondenze in giacenza per ciascun centro di smistamento e ufficio postale. (4-06490)

  Risposta. — Con riferimento all'atto in oggetto concernente, in particolare, la mancata apposizione del timbro-data sulla corrispondenza e alcune giacenze che sarebbero state rilevate presso il centro di smistamento di Roma Fiumicino, la società Poste Italiane ha rappresentato quanto segue.
  Le timbrature della corrispondenza, cui si fa riferimento nell'atto in esame, sono di due tipi: la bollatura in partenza, apposta sugli invii al momento dell'accettazione e la bollatura in arrivo, effettuata allorché la corrispondenza perviene presso centri di recapito.
  Per quanto concerne l'apposizione dei timbri data sulla corrispondenza in partenza, le Poste italiane ha evidenziato che l'articolo 33 del il decreto del Presidente della Repubblica n. 655 del 1982, prevede l'apposizione del «ballo a data dell'ufficio postale» solo per la «bollatura in partenza» mentre per la corrispondenza spedita in grandi quantità, che viene accettata presso i centri di distribuzione, non è previsto nessun onere simile a carico dell'ufficio accettante.
  Con riguardo agli invii accettati allo sportello, le disposizioni di cui all'articolo 16 dell'allegato A alla delibera dell'autorità n. 385/13/Cons, avente ad oggetto le «condizioni generali di servizio per l'espletamento del servizio postale universale», che integrano la sopra richiamata normativa, in ordine alle modalità di pagamento, dispongono che «l'affrancatura consiste nell'apposizione di francobolli oppure della impronta delle macchine affrancatrici o di altri strumenti meccanici ed elettronici presso i punti di accettazioni di Poste Italiane». Alla stessa stregua la delibera AGCom 640/12/Cons dei 20 dicembre 2012, all'allegato 1, specifica che gli invii di posta prioritaria retail e di posta raccomandata retail sono affrancati «mediante impronte degli strumenti in uso presso gli uffici postali».
  La Società ha precisato che, in osservanza alle disposizioni vigenti provvede alla timbratura, ai fini dell'annullo, degli invii in partenza affrancati con francobollo e per le spedizioni presentate presso gli uffici postali all'apposizione di una specifica etichetta adesiva che riporta l'indicazione della tipologia di prodotto, l'importo, il Cap, la data e l'orario della spedizione.
  Nel caso di spedizioni di cosiddetta posta massiva effettuate su larga scala da grandi clienti sono previste dalla normativa di settore modalità di affrancatura che non prevedono alcuna timbratura. È tipicamente il caso della modalità «senza materiale affrancatura» (SMA) per la quale è prescrittala sola indicazione del rapporto contrattuale/autorizzazione del cliente, ai sensi del citato articolo 16 allegato A, delibera AGCom 1185/13/Cons del 20 giugno 2013, in ragione di un'evidente economia nei tempi di lavorazione.
  Per quanto riguarda la corrispondenza in arrivo presso i centri di recapito, il progressivo sviluppo delle lavorazioni automatizzate ne ha reso inconciliabile la bollatura con i processi produttivi, in quanto avrebbe vanificato il lavoro di ripartizione meccanizzata e rallentato le stesse operazioni di recapito degli invii, compromettendo il rispetto degli stringenti standard di qualità fissati dall'autorità di regolamentazione. Il mancato raggiungimento, infatti, dei predetti standard agli esiti della verifica prevista dall'articolo 14, comma 4, del decreto legislativo n. 261 del 1999, comporta l'applicazione di sanzioni a carico di Poste Italiane (articoli 16 e 17 direttiva 97/67/Ce, articoli 12 e 21 del decreto legislativo n. 261 del 1999, articolo 5 contratto di programma sottoscritto tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane spa.
  L'azienda ha evidenziato che in alcune occasioni, per quanto concerne la posta massiva, si è potuto constatare, attraverso la comparazione tra la data di scadenza della bolletta comunicata al destinatario e la data di accettazione rilevata dalla distinta di spedizione, che alcune problematiche non afferivano il servizio di recapito di Poste italiane in quanto la postalizzazione stessa era avvenuta a ridosso della scadenza di pagamento.
  Con riferimento alla notizia contenuta nell'atto in esame concernente il centro di smistamento di Fiumicino, dove sarebbero state presenti 5 tonnellate di posta non consegnata, la Società ha reso noto che, alla luce degli accertamenti effettuati, la stessa notizia risulta priva di fondamento.
  Tale erronea indicazione potrebbe essere spiegata con le ingenti movimentazioni di corrispondenza (oscillanti tra le 90 e le 100 tonnellate al giorno) che si svolgono all'interno del citato centro e che potrebbero essere state ritenute delle «giacenze» da parte di persone, con ogni evidenza, non addette ai lavori.
  Per la precisione, le 5 tonnellate di corrispondenza menzionate nell'atto corrispondono a circa il 5 per cento delle lavorazioni che entrano nella struttura di Fiumicino.
  In merito alla richiesta di mettere in rete la posta destinata al macero, si fa presente che il Ministero dello sviluppo economico non può intervenire direttamente su tale problematica. Tuttavia, poste italiane al riguardo ha sottolineato che, stante la capillare presenza sul territorio nazionale delle proprie strutture operative e la conseguente gestione «polverizzata» della corrispondenza, non è possibile, al momento, implementare in rete, un portale finalizzato alla divulgazione della documentazione relativa alla corrispondenza da avviare al macero e/o in giacenza presso i vari centri di smistamento in quanto ciò comporterebbe un'ingente onerosità, interamente a carico dell'azienda.
  Si segnala, infine, che l'Agcom sentita al riguardo ha rappresentato che i profili segnalati sono attualmente oggetto di monitoraggio da parte dell'autorità stessa nell'abito dell'attività di vigilanza di propria competenza che viene svolta con continuità.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   pare che da tempo varie decine di extracomunitari, forse di cittadinanza afghana, siano accampati e vivano ormai sulle rive del fiume Isonzo, dove è stata costruita una vera e propria tendopoli, con evidenti conseguenze di degrado sia sotto il profilo sanitario che di sicurezza;
   secondo recenti notizie di stampa, il prefetto di Gorizia, Vittorio Zappalorto, anche su invito del presidente della provincia Enrico Gherghetta, ha convocato per lunedì mattina tutti i sindaci della provincia oltre ai rappresentanti delle forze dell'ordine, al fine di affrontare e risolvere la situazione sopra esposta;
   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, benché la regione Friuli Venezia Giulia abbia chiesto l'avvio di una procedura accelerata per risolvere la situazione, in quanto «Si tratta di richiedenti asilo in attesa del completamento dell’iter di accoglienza, attualmente esposti al maltempo e senza adeguata assistenza», invece, il prefetto di Gorizia avrebbe dichiarato: «Stiamo cercando di capire chi sono e chi ce li ha mandati. Stiamo verificando da dove vengono e se, realmente, hanno fatto richiesta di asilo»;
   la situazione di degrado dovuto agli accampamenti abusivi di clandestini sulle rive del fiume Isonzo è già da tempo nota, non solo per le segnalazioni dei cittadini, ma altresì, come si evince dal resoconto della seduta del 22 luglio 2014 del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, in audizione del sindaco di Gradisca d'Isonzo, Linda Tomasinsig: «Peraltro, vi devo dire che le persone ospitate nel CARA escono e vivono il territorio e non mancano episodi negativi: piccoli furti, danneggiamenti e, ultimamente, la presenza molto forte di persone sulle rive del nostro fiume, dove bivaccano e si accampano. Abbiamo un abbandono di rifiuti e, quindi, un degrado ambientale che dobbiamo cercare di contrastare, anche con delle azioni nei loro confronti.»;
   quale autorità provinciale di pubblica sicurezza, il prefetto ha la responsabilità generale dell'ordine e della sicurezza pubblica nella provincia, anche con l'ausilio della forza pubblica e delle altre forze eventualmente poste a sua disposizione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti, in particolare della circostanza che il prefetto di Gorizia non fosse a conoscenza della presenza di accampamenti abusivi di clandestini sulle rive del fiume Isonzo e quali provvedimenti intenda adottare e se nei mesi scorsi vi siano state segnalazioni da parte dei cittadini o esponenti delle forze dell'ordine in merito a tali accampamenti, quali azioni intenda intraprendere affinché non ricadano sui comuni del territorio i costi per l'accoglienza degli immigrati. (4-06049)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come confermato anche da notizie apparse su diversi quotidiani locali, a Gorizia sul campo sportivo dell'ex istituto dei sordomuti è stata montata una vera e propria tendopoli per ospitare circa una novantina di persone;
   tale struttura è stata voluta dalla provincia di Gorizia per qui spostare, ora in una tendopoli «autorizzata», le decine di extracomunitari accampati da diverso tempo nella tendopoli «abusiva» in riva all'Isonzo, in merito alla quale era già stata presentata una interrogazione al Ministro dell'Interno;
   la tendopoli è stata montata dalla protezione civile della regione alla presenza, tra gli altri, dell'assessore regionale Paolo Panontin;
   la struttura è stata posta a due passi dal centro e di fronte a una scuola, tanto che durante il montaggio della struttura alla presenza delle autorità locali si sono verificati momenti di particolare tensione con i residenti contrari e preoccupati per l'ubicazione delle 17 tende nella zona;
   secondo gli ideatori e secondo quanto si apprende anche dai quotidiani locali, «la tendopoli dovrebbe essere smantellata tra 15 giorni non appena si sarà trovata una sistemazione definitiva ai profughi asseritamente in attesa di ottenere l'asilo politico»;
   anche la Caritas ha lanciato l'allarme che «Con il tam tam potrebbero arrivare altri profughi ancora»;
   sempre secondo quanto riportato dalla stampa, sono stati intanto distribuiti tesserini di riconoscimento (senza foto) per accedere al campo e i controlli verranno svolti a turno da non meglio precisate «associazioni presenti»;
   nei primi giorni l'Azienda sanitaria isontina garantirà i pasti a chi verrà ospitato nella tendopoli, ma a breve saranno forniti, per poter provvedere da soli a cucinare, bombole di gas e fornelli, con evidenti problemi di sicurezza per l'utilizzo di tali attrezzature –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra, quanti siano e quali siano le generalità e in particolare le nazionalità degli extracomunitari ospitati nella tendopoli a Gorizia, quanti di questi siano giunti clandestinamente in Italia, quanti abbiano già presentato domanda di protezione internazionale e quando, se ritenga opportuna tale struttura ed altresì la sua ubicazione vicino al centro e a una scuola, quali misure intenda adottare al fine di verificare l'identità dei soggetti ivi ospitati, garantire adeguati controlli sugli ingressi e le uscite dalla tendopoli, assicurare ai cittadini di Gorizia adeguate condizioni di sicurezza e ordine pubblico, rimpatriare i clandestini denegati in caso di presentazione di domanda di protezione internazionale, quanti clandestini già esaminati dalla commissione territoriale di Gorizia e denegati siano stati effettivamente rimpatriati nell'ultimo anno, infine se corrisponda al vero che la tendopoli tra quindici giorni verrà smontata e dove verranno alloggiate le persone che nel frattempo lì dimorano. (4-06056)

  Risposta. — Si risponde congiuntamente alle due interrogazioni in esame, con le quali l'interrogante ha richiamato l'attenzione sul massiccio afflusso di cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale nel territorio della provincia di Gorizia.
  La situazione dei profughi insediatisi sulle rive del fiume Isonzo è da tempo all'attenzione del prefetto di Gorizia – che ha più volte segnalato ai sindaci della provincia la necessità di reperire strutture idonee alla loro accoglienza – ed è sempre stata costantemente monitorata dalle forze di polizia, anche al fine di verificare la regolarità della documentazione in loro possesso.
  Fin dal mese di luglio 2014, infatti, la polizia di Stato e l'Arma dei carabinieri hanno censito quotidianamente gli stranieri – in particolare afghani, pakistani e siriani giunti in quel territorio dalle province limitrofe o dai confini orientali, per lo più in attesa dell'esame della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione internazionale – che si erano insediati con ricoveri di fortuna lungo il fiume.
  Come è noto, nel comune di Gradisca d'Isonzo è presente un centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) che ospita i migranti in attesa della conclusione dell’
iter procedimentale per il riconoscimento delle domande di protezione internazionale.
  A Gorizia è presente, altresì, una commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che, all'epoca dei fatti segnalati nell'interrogazione, era l'unica esistente nel nord-est italiano, con competenza sulle domande di asilo presentate nei territori del Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.
  Tali fattori – uniti alla posizione geografica che fa della provincia di Gorizia una zona di confine, interessata anche dai flussi di migranti irregolari che percorrono la rotta balcanica – hanno finito per costituire un'inevitabile attrattiva per gli stranieri intenzionati a richiedere la protezione internazionale.
  La situazione si è acuita durante i mesi estivi, quando circa 157 stranieri sono stati rintracciati nel territorio isontino, ed è stata esaminata dal prefetto di Gorizia nel corso di una riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, tenutasi l'8 settembre 2014, a cui hanno partecipato anche i sindaci, il presidente della provincia e il competente assessore regionale.
  Nei giorni seguenti, visto che nel corso dell'incontro non era emersa alcuna soluzione, il Presidente della provincia, in collaborazione con la Protezione civile regionale, ha assunto l'iniziativa di allestire una tendopoli presso un terreno di proprietà dell'ente, sito nel centro di Gorizia.
  Nonostante l'incremento del numero dei profughi, non si sono registrati episodi negativi, quali danneggiamenti o reati contro il patrimonio, ma l'abbandono di rifiuti ha determinato un certo degrado lungo le rive del fiume Isonzo.
  Comunque, nel mese di ottobre il personale della locale questura ha provveduto al definitivo sgombero degli insediamenti presenti lungo il fiume e anche la tendopoli allestita dalla Protezione civile è stata completamente smantellata.
  La maggior parte dei cittadini stranieri che vi erano alloggiati sono stati trasferiti presso il Cara di Gradisca d'Isonzo, mentre un'altra parte è stata ospitata nelle strutture di accoglienza attivate in base a un'apposita convenzione sottoscritta con la locale prefettura.
  Al riguardo, si precisa che gli oneri per l'accoglienza (vitto, alloggio e servizi accessori) sono stati e rimangono a carico del Ministero dell'interno, che dispone l'accreditamento delle somme necessarie alla prefettura.
  Al fine di alleggerire la pressione migratoria, concentrata nel territorio di Gorizia, nel corso del mese di novembre 2014, 165 richiedenti asilo sono stati trasferiti presso strutture di accoglienza temporanee disponibili in altre province italiane.
  Poi, il 16 dicembre 2014, per far fronte al continuo afflusso di profughi, il prefetto di Gorizia ha incontrato i sindaci della provincia, illustrando il progetto di assistenza diffusa elaborato in collaborazione con i soggetti gestori del sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati. Il progetto prevede che i comuni rendano disponibili alloggi pubblici o privati, destinati all'accoglienza di un numero limitato di persone, la cui gestione è demandata alle stesse organizzazioni che partecipano al sistema SPRAR. L'obiettivo del progetto è di mettere in rete nel più breve tempo possibile una serie di strutture distribuite sul territorio, che consentano di fronteggiare la situazione alleggerendo anche i centri di accoglienza del capoluogo.
  In quest'ottica, il comune di San Canzian d'Isonzo ha messo a disposizione una struttura comunale che attualmente ospita circa quindici richiedenti asilo. Inoltre, il 10 gennaio 2014, la prefettura di Gorizia ha disposto il trasferimento di una quarantina di richiedenti asilo presso un'area già ristrutturata del centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d'Isonzo, il cui funzionamento era stato sospeso nel novembre del 2013, in attesa degli interventi di manutenzione straordinaria necessari al ripristino della funzionalità della struttura, che sono ormai in via di ultimazione.
  Con riferimento alle istanze di riconoscimento della protezione internazionale, si rappresenta che nel corso del 2014 la Commissione territoriale di Gorizia ne ha esaminate 1.967 a fronte delle 4.833 presentate. La protezione internazionale è stata riconosciuta a 987 richiedenti (50,2 per cento); in 196 casi (10 per cento) è stato rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari; 694 procedimenti (35,3 per cento) si sono conclusi con l'emanazione di un provvedimento di diniego; 88 richiedenti (4,5 per cento), si sono resi irreperibili; 2 istanze hanno avuto un altro esito.
  Nei primi due mesi del 2015, la commissione ha esaminato 385 istanze, a fronte delle 799 presentate. La protezione internazionale è stata riconosciuta a 163 richiedenti (42,3 per cento), in 59 casi (15,3 per cento) è stato rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari; 155 procedimenti (40,3 per cento) si sono conclusi con l'emanazione di un provvedimento di diniego; 8 richiedenti (2,1 per cento) si sono resi irreperibili.
  Più in generale, si rappresenta che il notevole aumento dei carico di lavoro delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale ha determinato la necessità di un incremento del loro numero, che è stato autorizzato con il decreto-legge n. 119 del 2014. In attuazione di tale provvedimento, nello scorso mese di novembre è stato disposto il raddoppio sia delle Commissioni che delle relative sezioni, portandone il numero complessivo da 20 a 40.
  In questo ambito, sono state istituite la commissione territoriale di Verona, competente a conoscere le domande presentate nei territori del Veneto e del Trentino-Alto Adige, e la sezione di Padova, con competenza primaria nelle province di Padova, Venezia e Rovigo. La commissione di Gorizia, pertanto, rimarrà competente per le sole domande presentate in Friuli-Venezia Giulia.
  Si soggiunge che il Governo sta portando avanti un'incisiva riforma di tutto il sistema dell'accoglienza, in cui assume un ruolo prioritario il coinvolgimento del mondo delle autonomie territoriali, proprio al fine di evitare di gravare eccessivamente su alcune specifiche aree geografiche, in favore di un'equilibrata distribuzione dei migranti su tutto il territorio nazionale.
  L'impegno del Governo in tal senso è confermato dal fatto che il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) è stato più volte ampliato. I posti attivati attualmente sono circa 20.800 su tutto il territorio nazionale, di cui circa 850 destinati ai minori stranieri non accompagnati, siano o meno richiedenti asilo.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   FERRARESI e DELL'ORCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012, ha precisato che le disposizioni del medesimo decreto sono volte a disciplinare gli interventi per la ricostruzione, l'assistenza alle popolazioni e la ripresa economica nei territori dei comuni delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, interessate dagli eventi sismici dei giorni 20 e 29 maggio 2012, per i quali è stato adottato il decreto ministeriale 1° giugno 2012 di differimento dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari, nonché di quelli ulteriori indicati nei successivi decreti adottati ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge n. 212 del 2000;
   l'articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 74 del 2012, prevede che, con riferimento ai settori dell'energia elettrica, dell'acqua e del gas, ivi inclusi i gas diversi dal gas naturale distribuiti a mezzo di reti canalizzate, la competente autorità di regolazione, con propri provvedimenti, introduce norme per la sospensione temporanea, per un periodo non superiore a 6 mesi a decorrere dal 20 maggio 2012, dei termini di pagamento delle fatture emesse o da emettere nello stesso periodo, anche in relazione al servizio erogato a clienti forniti sul mercato libero, per le utenze situate nei comuni danneggiati dagli eventi sismici, come individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 1, del medesimo decreto;
   il medesimo comma prevede altresì che, entro 120 giorni dalla data di conversione in legge del medesimo decreto, l'autorità di regolazione, con propri provvedimenti, disciplina altresì le modalità di rateizzazione delle fatture i cui pagamenti sono stati sospesi ai sensi del precedente periodo ed introduce agevolazioni, anche di natura tariffaria, a favore delle utenze situate nei comuni danneggiati dagli eventi sismici come individuati ai sensi dell'articolo 1, comma 1 del medesimo decreto;
   la deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas del 16 gennaio 2013, 6/2013/R/COM, integrata con deliberazione 105/2013/R/COM, ha ritenuto opportuno dare attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 8, comma 2, del decreto-legge n. 74 del 2012, adottando modalità operative per il riconoscimento delle agevolazioni alle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 20 maggio 2012 in linea con lo schema previsto dal documento per la consultazione 453/2012/R/com, tenendo conto delle esigenze emerse in sede di consultazione;
   lo stesso provvedimento ha quindi deliberato le agevolazioni applicandosi alle utenze di energia elettrica, gas naturale e del servizio idrico integrato nei comuni colpiti dagli eventi sismici inclusi nell'allegato 1 al decreto ministeriale 1° giugno 2012, nonché quelli ulteriori indicati nei successivi decreti adottati ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge n. 212 del 2000;
   dopo la sospensione di sei mesi dei termini di pagamento delle bollette di energia elettrica e gas, le popolazioni colpite dal sisma del maggio 2012 hanno potuto usufruire di rateizzazioni automatiche senza interessi, per un periodo minimo di due anni, da applicarsi sia alle forniture in servizio di tutela sia sul libero mercato, è stato previsto anche l'azzeramento dei costi per eventuali nuove connessioni, subentri o volture richieste da soggetti la cui abitazione è inagibile; a tutti i clienti nel periodo dal 20 maggio 2012 al 19 maggio 2013 sono stati ridotti del 50 per cento i corrispettivi per l'utilizzo delle reti e gli oneri generali di sistema, nel secondo anno, cioè dal 20 maggio 2013 al 19 maggio 2014, la riduzione per i corrispettivi di rete è stata del 50 per cento, mentre per gli oneri del 40 per cento; fra le agevolazioni vi è anche la rateizzazione delle bollette dell'acqua per 12 mesi;
   le agevolazioni si applicano in modo automatico a tutte le utenze che già esistevano nei comuni colpiti dal sisma e a quelle dei moduli abitativi temporanei;
   si definiscono come «moduli temporanei abitativi» i complessi adibiti a civile abitazione realizzati ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2012; nei moduli temporanei abitativi la dotazione impiantistica non prevede utenze gas e il riscaldamento è assicurato tramite rete elettrica, necessitando pertanto di una potenza impegnata fino a 6 chilowatt;
   a due anni dal terremoto risultavano ancora occupati circa 800 moduli su 977 inizialmente installati, per un totale di circa 2.600 persone dentro alloggiate;
   nei moduli, poco più che container di cantiere, con certificazione energetica G), le opere infrastrutturali non hanno ancora avuto i collaudi tecnico amministrativi, vi sono infiltrazioni d'acqua, serramenti che non isolano dall'esterno, pavimenti che cedono, interventi continui per bonificare dai topi;
   la condizione di vita all'interno è esasperante, è alto il consumo di ansiolitici ed antidepressivi, le relazioni familiari, visto la ristrettezza degli spazi, sono spesso compromesse;
   le conseguenze ovvie della scelta fatta di acquistare moduli in classe energetica G), quella maggiormente energivora, stanno pesantemente ricadendo sulle persone costrette ad abitarli; in questo contesto, pur in presenza delle agevolazioni tariffarie, sono centinaia le bollette elettriche che hanno importi che vanno dai 1.500 ad oltre 3.000 euro annui, creando di fatto un peso economico insostenibile, un forte disagio e spesso l'impossibilità ad adempiere al loro pagamento;
   l'assistenza alle popolazioni, così come previsto dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012, deve poter incidere anche al fine di dare maggiore garanzia di diritto a chi si trova nella condizione di dover vivere, perché ha la casa inagibile a causa del terremoto, all'interno dei moduli;
   la ricostruzione procede con tempi dilatati, come più volte denunciato, e anche a causa dell'appesantimento della burocrazia causato dalle centinaia di ordinanze commissariali di difficile ed a volte contraddittoria interpretazione, i tempi di permanenza all'interno dei moduli si prevedono ancora lunghi;
   al 19 maggio 2014 sono scaduti i termini previsti, in particolare per le agevolazioni di riduzione dei corrispettivi per l'utilizzo delle reti e gli oneri generali di sistema, una misura che comunque, come si è riscontrato, non impedisce importi anomali, superiori a qualsiasi consumo in un comune edificio con superficie corrispondente;
   gli interroganti pensano che sia necessario un intervento governativo affinché, attraverso il commissario straordinario, si sostenga, in tutto o in parte, il costo dei consumi energetici dei moduli abitativi, e che tale costo possa essere coperto impiegando le risorse già stanziate nell'ambito del Fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012, di cui all'articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012 –:
   se il Governo non ritenga necessaria un'iniziativa urgente ed efficace per sostenere i costi dei maggiori consumi elettrici evidenziati a causa della carente coibentazione dei moduli abitativi;
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative normative per prevedere ulteriori agevolazioni per i cittadini che hanno subito gli effetti drammatici del terremoto e che conseguentemente sono costretti a vivere in moduli abitativi, fino alla completa agibilità delle originarie residenze. (4-05822)

  Risposta. — L'autorità per l'energia elettrica, il gas e il servizio idrico con delibera 235/2012/R/com, in attuazione del decreto-legge 74/2012 (articolo 8, comma 2) ha sospeso temporaneamente i termini di pagamento delle fatture per l'energia elettrica per le popolazioni interessate dal terremoto dei maggio 2012 in Emilia. Con successivo provvedimento (delibera 6/2013/R/com), la medesima autorità ha stabilito tra l'altro che le fatture, i cui termini di pagamento erano stati sospesi, fossero rateizzate automaticamente su un periodo minimo di 24 mesi, senza interessi, e ha introdotto alcune agevolazioni sulla tariffa elettrica per le popolazioni colpite dal sisma che sono compensate tramite una componente tariffaria a carico degli utenti elettrici.
  Ciò premesso, per quanto di competenza, non ci sono osservazioni circa l'adozione di un'iniziativa per sostenere i costi dei maggiori consumi elettrici dei moduli temporanei abitativi in dotazione alle popolazioni colpite dal sisma, laddove i suddetti costi possano essere coperti, come suggerito nell'interrogazione in esame, attraverso l'impiego delle risorse già stanziate nell'ambito del fondo per la ricostruzione delle aree colpite dal sisma del maggio 2012 di cui all'articolo 12, comma 1, del decreto-legge n. 74 del 2012.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   FRUSONE, ARTINI, CORDA, RIZZO, BASILIO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Marina militare, una volta dichiarato un faro non più utile alle esigenze di forza armata, restituisce l'immobile al demanio militare per le decisioni di competenza (reimpiego della struttura da parte delle capitanerie di porto, di altre Forze armate e/o forze di polizia, enti statali, autorità regionali, vendita a privati, alienazione, e altro);
   molto spesso, però, la Marina militare cede solo gli alloggi del faro e non la torre del faro che rimane di sua pertinenza al fine di consentire la funzionalità della sorgente luminosa del faro stesso. In caso contrario, qualora cioè si decida di cedere anche la torre, l'ottica del faro viene smontata e il faro cessa la sua funzione di ausilio alla navigazione marittima;
   il Faro Capo Circeo risulta ancora attivo e tra i fari ancora presidiati, ove al suo interno opera un tecnico fari, impiegato civile del Ministero della difesa;
   la struttura è composta dalla torre faro alta 18 metri e da un fabbricato bianco, formato da due appartamenti indipendenti, di cui solamente uno abitato dal farista. L'automatizzazione del lavoro, infatti, ha portato ad una riduzione del personale impiegato tanto da lasciare libero uno degli alloggi di servizio gratuiti per consegnatari e custodi (A.S.G.C.);
   si è verificato che da qualche tempo molti degli alloggi A.S.G.C. transitati nella disponibilità dell'O.P.S. (Organismo di Protezione Sociale), siano stati assorbiti dalla Marina militare e trasformati in luoghi per soggiorni estivi;
   nell'appartamento adiacente a quello occupato dal tecnico e di fatto non utilizzato per assenza di personale, si sono apportate recentemente modifiche e lavori di ristrutturazione dello stesso. Pare che questo appartamento sia stato utilizzato esclusivamente nel periodo estivo per farvi soggiornare personale che non risultava legato a ragioni di servizio;
   la Marina militare ha la disponibilità degli immobili destinati al servizio fari in ragione dell'attività a cui sono destinati –:
   a che tipo di utilizzo è destinato l'alloggio in questione;
   quali siano le motivazioni per le quali si sta ristrutturando un alloggio di servizio al quale non è destinato il personale del faro e se sia vero che esso sia stato assegnato per soggiorni non legati a ragioni di servizio e sulla base di quali criteri in tal caso sia stato selezionato il personale o le persone abilitate ad usufruirne;
   se non reputi necessario che quell'alloggio, ormai non più utile alle esigenze di forza armata, sia da restituire al demanio, in qualità di bene immobile, pertinente a soggetti della pubblica amministrazione, destinato, quindi, all'uso gratuito e diretto della generalità dei cittadini. (4-05084)

  Risposta. — Gli interventi di protezione sociale, ai sensi degli articoli 463 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010, si inseriscono istituzionalmente tra le attività funzionali delle Forze armate per favorire il mantenimento dell'efficienza psico-fisica del personale militare, conservare l'aggregazione sociale dei dipendenti e delle loro famiglie, il loro arricchimento culturale nonché conseguire proficui rapporti di interazione con la collettività esterna.
  In tale ambito rientrano i cosiddetti «soggiorni» delle forze armate, realizzati presso strutture appositamente messe a disposizione dalle forze armate e costituiti con la finalità di consentire al personale, prioritariamente quello in servizio presso enti di maggiore impegno operativo, di trascorrere periodi di riposo e di recupero psico-fisico in località aventi peculiari caratteristiche climatiche e ambientali.
  Tra tali strutture, rientra un appartamento sito in prossimità del faro di San Felice Circeo, una volta destinato al personale «farista» ma disabitato da tempo a causa del ridimensionamento del personale addetto alla gestione del faro. Secondo quanto riferito dalla Marina militare, responsabile della gestione dei fari e segnalamenti marittimi, l'inserimento di tale alloggio tra quelli disponibili per i soggiorni estivi del personale è motivata dai limitati adattamenti che sono stati necessari al cambio d'uso e dalle ridotte spese di manutenzione.
  Il personale della Marina, in servizio ed in quiescenza, può fruire a pagamento di questo (e degli altri soggiorni della Marina) previa istanza al comando responsabile di area che provvede a definire una «graduatoria di assegnazione» in base a determinati parametri (comando di appartenenza, anni di servizio, precedente fruizione dei soggiorni estivi, nucleo familiare). Ha precedenza nell'assegnazione il personale in servizio che, all'atto della richiesta risulti imbarcato o destinato presso comandi operativi.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   FRUSONE, RIZZO, ARTINI, CORDA, PAOLO BERNINI, BASILIO e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 2014 pubblica un bando di gara per l'allestimento delle tribune su via dei Fori Imperiali a Roma per il 68° anniversario della Repubblica del 2 giugno 2014;
   l'importo base della gara è di 888.974 euro, IVA compresa;
   oltre all'esorbitante costo delle tribune, destinate ad accogliere le autorità e gli invitati alla manifestazione, la parata militare che si svolgerà il 2 giugno prossimo comporterà enormi spese per far affluire a Roma migliaia di militari con conseguenti costi di trasferte, indennità varie, vitto e alloggio e straordinari;
   le passate edizioni sono costate, secondo dati forniti a suo tempo dal Ministero della difesa, tra i 2,9 e i 4,4 milioni, cifre del tutto incongrue per un Paese alle prese con la crisi economica distruttiva, con la povertà delle famiglie in aumento e milioni di giovani senza lavoro –:
   quale sia il costo previsto per la parata militare del 2 giugno 2014 a Roma;
   se non ritenga di dover annullare la stessa sostituendola con una cerimonia di altro tipo e di destinare ad altri scopi i fondi ad essa destinati. (4-06153)

  Risposta. — La festa della Repubblica non solo rappresenta un solenne evento istituzionale ma anche l'occasione per celebrare tutti gli uomini e le donne, militari e non, che operano quotidianamente a tutela della sovranità e della sicurezza nazionale.
  Il Governo, in relazione alla stringente necessità di ridurre la spesa pubblica, ha improntato la parata militare del 2 giugno 2014 a criteri di sobrietà e di razionalità, evitando sprechi e ridondanze.
  Tuttavia, per la realizzazione delle tribune si è dovuto far fronte:
   all'aggiornamento dei preziari delle opere pubbliche (+5 per cento rispetto al 2013);
   all'adeguamento dell'aliquota IVA, derivante dalle misure economiche adottate dal Governo, dal 21 per cento al 22 per cento;
   alla previsione dell'articolo 82, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 163 del 2006, introdotto dalla legge n. 98 del 2013, che sancisce la non assoggettabilità a ribasso dei prezzi per la manodopera che, al contrario, erano stati ribassati nell'aggiudicazione dell'opera negli anni precedenti.

  La parata del 2 giugno 2014 è stata caratterizzata, inoltre, da reparti militari che hanno sfilato in uniforme storica, per commemorare il centenario della grande guerra, e da rappresentanze straniere, per ricordare l'avvio del semestre di presidenza italiana dell'Unione europea (1o luglio 2014).
  La partecipazione popolare alla parata è stata tale da testimoniare, ancora una volta, l'affetto e l'ammirazione dei cittadini verso tutte le istituzioni – in primis le Forze armate – della Repubblica e verso le sue tradizioni, a conferma del diffuso sentimento di unità nazionale.
  L'onere totale sostenuto dalla Difesa per la manifestazione è stato di 2.328.580 euro.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   GARAVINI, GIANNI FARINA, FEDI, LA MARCA, PORTA, FITZGERALD NISSOLI e TACCONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno ha stipulato una convenzione con Poste italiane che prevede il superamento del tradizionale sistema del ritiro del passaporto presso gli uffici della Polizia di Stato, sostituito dal recapito diretto presso la propria abitazione o ufficio;
   il servizio di consegna domiciliare del passaporto, dopo la positiva sperimentazione nelle questure di Roma, di Bari e di Verona, sarà attivato dal 27 ottobre 2014 in tutto il territorio nazionale, nell'ottica di rendere un servizio ai cittadini e di semplificare il loro rapporto con la pubblica amministrazione;
   il passaporto è spedito al titolare tramite posta assicurata e l'onere della spedizione può essere pagato alla consegna; allo stesso tempo, l'interessato ha la possibilità di monitorare il percorso del suo documento nel sito di Poste italiane attraverso un codice identificativo rilasciato dalla questura;
   il servizio attivato, tra l'altro, può essere percepito dai cittadini anche come un corrispettivo per la maggiorazione delle spese amministrative richieste per la concessione del passaporto, che dal 2014 sono diventate di 116 euro, anche se per consistenti fasce di utenti sono compensate dall'abolizione della tassa annuale di rinnovo;
   la convenzione con Poste italiane riguarda i soli cittadini che risiedono nei confini nazionali, che sono anche i confini operativi dell'azienda, mentre da essa sono esclusi i 4.482.185 cittadini residenti all'estero, iscritti all'AIRE al 1° gennaio 2014;
   i dati dell'iscrizione all'AIRE manifestano un andamento crescente, come dimostra il fatto che nel 2014, rispetto all'anno precedente, le iscrizioni sono cresciute di 141.000 unità in cifre assolute e del 3,1 per cento in termini percentuali;
   in molti consolati e presso il Ministero dell'interno giacciono diverse centinaia di migliaia di pratiche di richiesta di cittadinanza che, soprattutto in America meridionale, attendono da anni il loro esito amministrativo, il che configura una prospettiva di ulteriore aumento delle operazioni di richiesta e di ritiro del passaporto;
   la maggioranza dei circa 4,5 milioni di cittadini ufficialmente residenti all'estero, vale a dire 2.379.277, sono iscritti all'AIRE per espatrio e sono dunque nella necessità di servirsi con assiduità del passaporto, senza tacere che analoghe esigenze manifestano le altre categorie di iscritti che comunque conservano rapporti attivi con l'Italia;
   la chiusura nel giro di alcuni anni di oltre quaranta sedi consolari e l'accorpamento di consistenti comunità ha determinato un allungamento dei tempi amministrativi inerenti anche alle pratiche di passaporto e un maggiore disagio nelle visite personali ai consolati; la rarefazione, inoltre, del personale in servizio presso le strutture decentrate del Maeci ha creato ulteriori difficoltà e lentezze;
   i disagi connessi alle difficoltà di fissazione degli appuntamenti con i consolati, di presenza diretta negli uffici circoscrizionali e di ritiro del passaporto incominciano ad indurre diversi connazionali dotati di doppia cittadinanza, che in genere sono quelli più integrati nelle società locali, a tralasciare quella italiana e ad optare per quella straniera, con la conseguenza di una perdita di possibilità relazionali con l'Italia;
   in diverse realtà estere nelle quali sono presenti nostre importanti comunità sono state avviate, sembra con promettenti risultati, sperimentazioni di acquisizione decentrata sul territorio di domande e di dati biometrici relativi ai passaporti, con un'evidente semplificazione di procedure e risparmio di tempo e di oneri a carico degli interessati –:
   se non si ritenga di predisporre al più presto, d'intesa tra il Ministero dell'interno e il Maeci, un piano di semplificazione e di accelerazione delle procedure di richiesta e consegna dei passaporti agli italiani all'estero iscritti all'AIRE, basato sulla rilevazione decentrata dei dati biometrici e la consegna domiciliare dei passaporti, tenendo conto delle peculiarità dei servizi postali nei Paesi di maggiore presenza dei nostri concittadini e prevedendo soluzioni adeguate alle specifiche realtà ambientali.
(4-06463)

  Risposta. — Come noto, il Ministero dell'interno, per il tramite delle questure, è delegato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (MAECI) al rilascio del passaporto elettronico sul territorio nazionale mentre il MAECI conserva la competenza esclusiva al rilascio del medesimo documento all'estero. La Questura concede il nulla osta e la delega al rilascio del passaporto ai soli cittadini italiani residenti in Italia che per svariati motivi si trovino a richiedere il passaporto presso un'ambasciata o un consolato all'estero.
  Il Ministero dell'interno ha pertanto istituito una procedura informatica che snellisce le verifiche presso la questura competente dei requisiti ostativi all'emissione del passaporto; è al contempo allo studio una procedura che preveda il collegamento informatico al casellario giudiziale per ridurre ulteriormente i tempi di verifica.
  Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel corso degli ultimi anni ha intrapreso un processo di rinnovamento investendo sull'uso della tecnologia per semplificare le pratiche burocratiche e ridurre il più possibile i tempi di attesa per la fornitura dei servizi consolari.
  Per quanto attiene al settore passaporti, ha avviato alcuni progetti che stanno producendo i risultati attesi. È questo il caso del funzionario itinerante, un'iniziativa avviata nella seconda metà del 2010 con l'introduzione dell'utilizzo di una postazione mobile per la raccolta dei dati biometrici ai fini del rilascio del passaporto. Il servizio, pensato per alleviare il disagio dei connazionali che risiedono in Paesi caratterizzati da notevoli distanze, ha dato prova di rappresentare un utile strumento a disposizione del Ministero per garantire i consueti servizi nell'ambito della riorganizzazione della rete diplomatico-consolare attualmente in corso.
  Un altro progetto riguarda l'estensione ai consoli onorari della facoltà di captazione dei dati biometrici dei connazionali richiedenti il passaporto, per il successivo rilascio dei libretti da parte dei consolati di prima categoria della circoscrizione consolare di competenza.
  A tale proposito la Farnesina ha deciso di sperimentare una nuova modalità operativa in Regno Unito e in Spagna, due paesi caratterizzati dalla presenza di forti comunità italiane anche in zone lontane dagli uffici diplomatico-consolari di riferimento.
  Di concerto con le sedi interessate, coinvolte nel percorso di individuazione di consoli onorari di assoluta affidabilità, la sperimentazione in questione è stata avviata per un periodo di due mesi, procedendo all'invio di otto postazioni mobili per la raccolta dei dati biometrici, così ripartite: due all'ambasciata d'Italia a Madrid; due al consolato generale d'Italia a Barcellona; quattro al consolato generale d'Italia a Londra.
  Una volta conclusa questa prima fase sarà possibile analizzare i costi e i benefici dell'iniziativa, tenendo conto anche delle imprescindibili difficoltà tecniche e normative connesse con il corretto uso delle postazioni mobili e con le prescrizioni di sicurezza e custodia delle stesse. Alla luce di tale analisi si potrà valutare se ed in quale misura estendere la nuova modalità operativa al resto della rete diplomatico-consolare, compatibilmente con le risorse umane e finanziarie a disposizione.
  Per quanto attiene alla consegna domiciliare dei passaporti a mezzo servizi postali, tale modalità risulta già avviata presso diverse sedi estere. Tuttavia al riguardo è necessario sottolineare le particolarità che caratterizzano l'erogazione dei servizi ai connazionali all'estero. Nel caso specifico, il recapito a domicilio del passaporto non può prescindere dalla qualità del servizio postale dei singoli paesi, da cui dipende per l'appunto l'adozione di tale procedura.
  In particolare, l'invio dei libretti può avvenire esclusivamente in paesi che garantiscano un elevato livello di sicurezza e di affidabilità a tutela non solo della privacy dei connazionali, ma anche dell'integrità di documenti di viaggio che rispondono a precise e rigorose disposizioni normative adottate a livello nazionale e internazionale, il cui deterioramento o smarrimento potrebbe ingenerare pericolose conseguenze anche dal punto di vista della sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   GIANCARLO GIORGETTI, GIANLUCA PINI, MARCOLIN, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per l'integrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 3 novembre, il quotidiano libico in lingua inglese Libya Herald ha dato notizia dell'imminente avvio di una missione italiana di sorveglianza aerea ed elettronica dei confini della Libia;
   il dispositivo coprirebbe i confini libici dalla zona di Owaynat, prossima alla frontiera egiziano-sudanese, fino al punto di giunzione tra Libia, Tunisia ed Algeria, ed avrebbe per scopo quello di ridurre i flussi migratori clandestini diretti dal cuore dell'Africa verso il Mediterraneo;
   secondo il predetto quotidiano libico, a dar l'annuncio dell'imminente avvio della missione di sorveglianza sarebbe stato lo stesso Primo Ministro, Ali Zeidan, nel corso di una conferenza stampa tenuta il 30 ottobre 2013 –:
   se le affermazioni rese dal Primo Ministro libico Ali Zeidan corrispondano o meno al vero ed, in questo caso, cosa si attenda per dar ufficialmente il via ad un intervento che potrebbe contribuire significativamente ad alleviare la pressione migratoria sull'isola di Lampedusa. (4-02408)

  Risposta. — Nella richiamata conferenza stampa del 30 ottobre 2013, il Primo Ministro Zeidan ha fatto un riferimento piuttosto generico alla collaborazione con l'Italia in materia di controllo dei confini, avendo evocato diversi ambiti di collaborazione senza distinguere quelli pregressi da quelli in fase di avvio o semplicemente in discussione.
  In tale ambito, si fa osservare che nel 2009, prima dell'inizio della crisi libica, è stato stipulato un contratto tra il Ministero della difesa libico e l'attuale società SELEX ES per la fornitura e messa in opera di un sistema di controllo elettronico dei confini terrestri a sud della Libia da realizzare in due fasi.
  Il sistema in questione, in esecuzione dell'articolo 19 del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione siglato con la Libia il 30 agosto del 2008, si prefigge l'obiettivo di assolvere ad una missione di supporto alla lotta al traffico di stupefacenti, al contrabbando, alla criminalità organizzata ed all'immigrazione clandestina.
  La prima fase del progetto, avviata alla fine del 2009 e finanziata tramite i fondi appositamente messi a disposizione dal Ministero dello sviluppo economico (MISE), tuttavia, non è stata ultimata a causa del conflitto del 2011 che ha determinato la distruzione quasi integrale dei materiali e delle installazioni già fornite e completate.
  Tuttavia l'Italia, tenuto anche conto dei fondi ancora disponibili presso il Ministero dello sviluppo economico il completamento della prima fase del contratto, ha profuso un notevole impegno ai fini della riattivazione di tale contratto, nonché per contribuire al controllo dei confini libici, inserendo tale fornitura di materiali tra quelli offerti in occasione della «International Ministerial conference on support to Libya in the areas of security, justice and rule of law», tenutasi a Parigi il 12 febbraio 2015.
  A tal proposito, gli Amendments al contratto in essere firmati in data 24 settembre 2013 a Tripoli, hanno, in realtà, costituito il primo fondamentale passo, di natura formale, per la riattivazione del progetto.
  Nell'ambito dei prossimi incontri con la controparte libica verranno evidentemente approfondite le modalità per la ripresa delle attività contemplate dal progetto finalizzato al controllo dei confini della Libia.
  In tale quadro, il 28 novembre 2013, in occasione della visita del Ministro della difesa libico Al Thinni è stato firmato a Roma l'accordo tecnico tra i Ministeri della difesa di Italia e Libia relativo alle operazioni di sistemi aerei italiani a pilotaggio remoto.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da diverso tempo e in modo sempre più diffuso si registra nella provincia di Avellino e più in generale nell'intera regione Campania, un crescente disservizio nella consegna da parte di Poste Italiane spa della corrispondenza sia ordinaria che commerciale;
   il suddetto cattivo funzionamento interessa le famiglie, che si vedono recapitare in forte ritardo importanti documenti come bollette di utenza, notifiche di pagamenti, comunicazioni legali, avvisi concorsuali, informative mediche che comportano gravi conseguenze di ordine giuridico e amministrativo nonché finanziario; le aziende, enti e liberi professionisti, penalizzati a loro volta nello svolgimento dell'attività imprenditoriale arrecando un considerevole danno economico e gestionale con l'impossibilità di rivalsa da parte dell'utenza in quanto «Poste spa» da tempo non appone più i timbri della «datazione certa» sia di spedizione che di ricezione ordinaria;
   il disservizio sovente interessa anche quella corrispondenza, come le spedizioni di plichi, pacchi e raccomandate che pur collocate nella categoria dei prodotti «sicuri» non risponde più ai suddetti canoni di garanzia e celerità;
   per molti comuni della provincia l'ufficio di zona per il ritiro delle spedizioni inesitate «a firma» è situato a notevole distanza provocando in tal modo un considerevole disagio soprattutto alla popolazione più anziana essendo queste zone sprovviste di un'adeguata rete di collegamento di trasporto pubblico; in particolare nella città capoluogo queste difficoltà sono state percepite in modo più evidente soprattutto in conseguenza del trasferimento del suddetto Centro di ritiro dalle poste centrali, collocate nel centro cittadino, alla zona periferica di Pianodardine, distante diversi chilometri, anch'essa priva di un adeguato servizio di trasporto pubblico;
   diversi uffici delle Poste spa in particolare quelle centrali della città di Avellino, risultano privi di un adeguamento funzionale relativo all'abbattimento delle barriere architettoniche penalizzando fortemente gli utenti diversamente abili che, attraverso le stesse associazioni di volontariato hanno ripetutamente rappresentato, anche di recente, questa sfavorevole condizione;
   il fenomeno si amplifica in particolare nei periodi interessati dall'utilizzo da parte degli operatori postali di ferie e congedi senza che si ponga rimedio attraverso l'impiego di un adeguato numero di personale sostitutivo;
   questo disagio è stato più volte ripreso dagli organi di informazione, dai sindacati, dalle organizzazioni di categoria, da singoli operatori economici e semplici cittadini, nonché dalle associazioni dei consumatori da sempre impegnati su questo versante dei diritti di cittadinanza;
   «Poste Italiane spa» è un'azienda che si occupa della gestione del servizio postale in Italia ma è anche una delle più rilevanti società italiane di servizi logistici e finanziari, il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze, che ne ha anche la responsabilità del controllo e della sorveglianza, per cui è tenuta a erogare il cosiddetto «servizio universale», assicurandone compiutamente quelli come la consegna della corrispondenza, riconosciuti come «essenziali» dallo Stato italiano e dall'Unione europea –:
   quali iniziative celeri e concrete si intendono porre in essere per risolvere tale incresciosa situazione che si registra oramai da tempo nell'intera regione della Campania e in particolare in Irpinia, per ciò che concerne le dirette responsabilità di «Poste italiane spa». (4-05906)

  Risposta. — In merito ai disservizi segnalati nella provincia di Avellino, la società poste italiane ha comunicato che a seguito di verifiche effettuate è emerso che il servizio di recapito in detto territorio provinciale è svolto regolarmente e che le performance di consegna della cosiddetta posta registrata, risultano superiori rispetto ai livelli di servizio previsti dalla carta della qualità.
  Con riguardo al servizio di corrispondenza cosiddetta inesitata, ovvero non recapitata per assenza del destinatario, la società afferma che detto servizio si svolge attualmente nella località di Pianodardine (zona industriale), distante circa 4 chilometri dal centro cittadino, presso il centro di distribuzione master di Avellino dotato di parcheggio e servito da un adeguato trasporto pubblico. La società aggiunge che, al fine di soddisfare le diverse esigenze della clientela relativamente all'attività di consegna della corrispondenza inesitata, è stata prevista la possibilità di ritirare gli oggetti anche in orario pomeridiano, inoltre la stessa ha applicato alcuni correttivi finalizzati a ridurre i tempi di attesa agli sportelli.
  L'azienda ha precisato, altresì, di aver introdotto, da tempo, servizi innovativi che, previo corrispettivo, permettono al cliente di optare per soluzioni alternative per la consegna della corrispondenza (cosiddetto servizio «chiamami», «dimmi quando», «aspettami»).
  Con riguardo all'abbattimento delle barriere architettoniche, ancora presenti negli uffici postali del territorio avellinese, la società afferma che nella quasi totalità dei casi gli uffici presentano condizioni di sostanziale adeguatezza, ad eccezione degli uffici postali di «Avellino 4» e «Avellino 7» dove sono presenti delle barriere architettoniche rappresentate dal marciapiede di pertinenza comunale. Per tali uffici, la società ha assicurato che i responsabili territoriali dell'Azienda hanno presentato delle proposte alle autorità comunali e ai proprietari dei locali per il risolvere il problema in tempi brevi.
  Relativamente, infine, alla mancata apposizione dei timbri-data sulla corrispondenza, la società afferma che nel rispetto della normativa vigente, provvede alla timbratura dei soli invii «in partenza» affrancati con francobolli per la sola funzione di annullo degli stessi, mentre per le spedizioni presentate presso gli uffici postali, è prevista l'apposizione di una etichetta adesiva sulla quale è riportata la tipologia del prodotto, l'importo, il CAP, la data e l'orario di spedizione. Diversamente, non è prevista nessuna timbratura per le spedizioni effettuate dai «grandi clienti» ovvero quelle effettuate su larga scala (es. posta massiva). In tal caso, ai sensi dell'articolo 16 della delibera dell'autorità n. 385/13/CONS, per le spedizioni senza materiale affrancatura (SMA) è prescritta la sola indicazione del rapporto contrattuale/autorizzazione del cliente.
  La società ha infine evidenziato che la mancata bollatura della corrispondenza in arrivo presso i centri di recapito è dettata dall'esigenza di adeguamento dei processi produttivi al progressivo sviluppo delle lavorazioni automatizzate. L'utilizzo dei sistemi di ripartizione meccanizzata della corrispondenza consente di velocizzare le operazioni in arrivo utile anche per non compromettere il rispetto degli standard di qualità fissati dall'Agcom.
  Con riguardo alla qualità del servizio postale universale, si rammenta che il decreto legislativo del 22 luglio 1999, n. 261 prevede all'articolo 12 che l'autorità di regolamentazione, «al fine di garantire un servizio postale di buona qualità», stabilisca standard qualitativi del servizio universale, con riguardo essenzialmente «ai tempi di instradamento e di recapito ed alla regolarità ed affidabilità dei servizi» e che tali standard siano recepiti nella Carta della qualità del servizio pubblico postale. Da ultimo, tali standard, sono stati fissati con decreti del Ministero dello sviluppo economico del 1o ottobre 2008 recante «obiettivi di qualità del servizio di corrispondenza non massiva per il triennio 2009-2011» e del 23 novembre 2009 recante «obiettivi di qualità per il triennio 2009-2011 relativi ai servizi di posta massiva, posta raccomandata, posta assicurata e pacco ordinario, forniti da poste italiane s.p.a.». Tali obiettivi sono riportati nella carta della qualità pubblicata sul sito di poste italiane. I risultati annuali sono pubblicati dall'autorità sul proprio sito web.
  Si rappresenta in ogni caso che i profili segnalati sono attualmente oggetto di monitoraggio da parte dell'Agcom nell'ambito dell'attività di vigilanza di propria competenza che viene svolta con continuità.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalla stampa locale di Anagni dei giorni scorsi, nella zona di Cangiano, nei pressi del quartiere periferico di San Bartolomeo, il 30 ottobre 2014 sono state effettuate operazioni di scavo condotte dai vigili del fuoco di Frosinone e dal Corpo forestale dello Stato, per dissotterrare rifiuti tossici depositati all'interno di fusti seppelliti nell'area; tutta l'area è stata transennata e non è stato consentito a nessuno di entrare nella zona coinvolta;
   si tratta di una zona che era in origine una cava di pozzolana, chiusa successivamente con l'esaurimento del materiale. Da quanto si apprende dalla stampa, sembra che 4-5 anni fa il sito abbia cambiato destinatario e gli scavi potrebbero essere sollecitati dalla nuova proprietà della zona che avrebbe notato qualcosa di strano nel terreno;
   la zona sembra che sia stata sequestrata 10 anni fa dalla Guardia di finanza in quanto sono stati trovati interrati parecchi fusti di materiale inquinante. Circa un anno fa sarebbe stato operato il dissequestro dell'area, ma le operazioni di bonifica sarebbero ancora da fare;
   nonostante non ci siano ancora conferme in merito, molti dei residenti della zona cominciano ad essere seriamente preoccupati e temono che gli scavi del 30 ottobre possano essere solo l'inizio di una nuova stagione di operazioni di disseppellimento di veleni, collegati con l'interramento dei fusti di cui al sequestro dell'area di 10 anni fa;
   sembra che non sia stato trovato nessun tipo di materiale pericoloso interrato; sono stati comunque prelevati campioni di acqua e di terreno dalla zona con lo scopo di farli analizzare; tuttavia, l'allarme della popolazione è giustificato anche per la vicinanza dell'area di soli 100 metri dal quartiere residenziale;
   non risultano ancora comunicazioni ufficiali da parte delle forze dell'ordine in merito ai risultati dell'indagine ambientale, anche perché sembra che gli scavi non siano ancora terminati –:
   se il Governo intenda indagare e approfondire le ragioni e gli esiti degli scavi effettuati il 30 ottobre 2014 ad Anagni, nella zona di Cangiano, nei pressi del quartiere periferico di San Bartolomeo, allo scopo di garantire le giuste informazioni alla popolazione che risulta allarmata anche per il ritrovamento in passato di parecchi fusti di materiale inquinante seppelliti nella stessa area.
(4-06920)

  Risposta. — In relazione a quanto segnalato con la interrogazione parlamentare in esame, si precisa che gli elementi conoscitivi che seguono sono stati forniti dalla prefettura di Frosinone.
  A seguito e in esecuzione del decreto di ispezione dei luoghi emesso dalla procura della Repubblica di Frosinone il 23 ottobre 2014 (relativo al procedimento penale numero 5266/2014), il comando provinciale di Frosinone del Corpo forestale dello Stato, con l'ausilio dei mezzi meccanici dei vigili del fuoco, ha provveduto ad effettuare determinati scavi in località «Cangiano», nel comune di Anagni (FR), volti al rinvenimento di rifiuti, sia pericolosi che non. L'esito di dette operazioni è stato fortunatamente negativo.
  Per completezza d'indagine, in tale occasione si è anche proceduto da parte dei tecnici dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente del Lazio, sezione di Frosinone, al campionamento di alcune aliquote di terreno prelevato a diverse profondità, e di un'aliquota di acqua sotterranea fuoriuscita da un punto di scavo.
  Le analisi eseguite su tali campioni, mentre da un lato hanno escluso problemi per le matrici suolo, dall'altro hanno evidenziato una importante criticità nel campione di acqua sotterranea. In particolare, è stato riscontrato il valore per il parametro analitico «piombo» superiore alle CSC (concentrazioni soglia di contaminazione).
  È stato assicurato dalla Prefettura che il Corpo forestale dello Stato, in sinergia con la procura della Repubblica di Frosinone, titolare dell'indagine in corso, ha attivato tutte le azioni finalizzate al contenimento e al superamento del problema, anche informando debitamente gli enti locali e territoriali chiamati dalle norme vigenti ad operarsi in caso di contaminazione di un sito.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LATRONICO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 35 del Codice della navigazione dispone che «le zone demaniali che dal capo del compartimento non siano ritenute utilizzabili per pubblici usi del mare sono escluse dal demanio marittimo con decreto del Ministro per le comunicazioni di concerto con quello per le finanze»;
   ciò avviene ogni qualvolta si è in presenza di un allontanamento del mare e conseguente costruzione, sui cosiddetti relitti del mare, di interi quartieri cittadini o di infrastrutture (strade, piazze, lungomare, eccetera) puntualmente e giustamente sdemanializzati e ceduti, a titolo gratuito, agli enti pubblici o a titolo oneroso ai privati;
   il Governo in merito insieme alle associazioni di categoria del settore sta cercando soluzioni condivise in ordine all'annoso problema sulla necessità di assicurare la continuità e la certezza del domani alle 30.000 imprese balneari italiane e ai loro 100.000 addetti diretti;
   è necessario verificare a fondo e con forza con l'Unione europea gli stessi meccanismi di salvaguardia adottati dalla Spagna, si è ipotizzata la possibilità di introdurre nel nostro ordinamento meccanismi giuridici in grado di consentire la stabilizzazione delle imprese. In particolare è stata trattata l'ipotesi di rivedere l'assetto giuridico-normativo delle aree su cui insistono le imprese balneari. Tale nuovo assetto potrebbe concedere alle imprese esistenti la possibilità di acquistare parte delle aree sulle quali insistono i servizi di spiaggia e quelli accessori senza modificare l'attuale assetto delle spiagge;
   nel frattempo che si attende da parte del Governo una soluzione organica, chiara e puntuale sulla sdemanializzazione marittima;
   sarebbe opportuno da parte delle amministrazioni competenti accelerare quelle richieste di sdemanializzazione nelle quali sono presenti importanti investimenti che rappresentano per l'economia del territorio rilancio socio-economico ed occupazionale in particolare nei comuni del Metapontino siti nella provincia di Matera che interessati dal procedimento di sdemanializzazione, devono attendere il completamento delle operazioni di competenza dove sono coinvolti una pluralità di soggetti istituzionali –:
   quali iniziative intendano adottare, nell'ambito della propria competenza, al fine di accelerare e completare i processi di sdemanializzazione in corso. (4-04329)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante, nelle more di un organico intervento governativo sul demanio marittimo, sollecita iniziative volte ad accelerare e completare i processi di sdemanializzazione marittima in corso, in particolare nei comuni del metapontino in provincia di Matera.
  Al riguardo, sentiti gli uffici dell'amministrazione finanziaria e il competente Ministero delle infrastrutture e trasporti, si rappresenta quanto segue.
  Ogni intervento normativo sulla materia, deve essere improntato al rigoroso rispetto della normativa comunitaria, in ossequio alla quale appare difficile ipotizzare soluzioni volte alla stabilizzazione delle imprese già operanti nel settore, nonché, individuare un meccanismo di acquisto da parte delle imprese stesse, e quindi senza gara pubblica, delle aree sulle quali insistono i servizi di spiaggia e quelli accessori.
  A tal riguardo, l'articolo 34-duodecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, numero 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, numero 221, che ha modificato l'articolo 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, numero 194, convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 2010, numero 25, nel disporre la proroga delle concessioni demaniali marittime vigenti fino al 2020, ha previsto: «la revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative, ad uso pesca, acquacoltura ed attività produttive ad essa connesse, e sportive, nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto, da realizzarsi nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell'esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui all'articolo 37, secondo comma, secondo periodo, del codice della navigazione».
  Si ritiene utile riferire, in proposito, che è in fase di definizione uno schema di disegno di legge di riordino del demanio marittimo, frutto di una attenta disamina delle delicate problematiche del settore, da parte di un tavolo tecnico-politico, coordinato dal Ministro per gli affari regionali, aperto ai contributi degli enti territoriali e locali nonché alle associazioni di categoria. Per maggiore chiarezza si elencano di seguito i punti essenziali affrontati nel provvedimento.
  È stata, innanzi tutto, curata una lunga trattativa, tuttora in corso per talune questioni specifiche, con la Commissione europea, per allineare il nostro sistema ai princìpi europei recati dalla direttiva Bolkestein, cercando di salvaguardare sia la nostra specificità territoriale che la delicata posizione degli attuali concessionari del settore, di alta valenza turistica.
  In particolare:
   1) La durata delle nuove concessioni: strettamente collegata all'interesse pubblico e proporzionale alla «rilevanza» economica dei beni e degli investimenti da realizzare. Laddove per rilevanza economica si intende anche la valenza turistica delle varie zone costiere estese lungo il territorio nazionale, definita dalle regioni.
   2) Le modalità di affidamento: procedure competitive di selezione, con criteri di valutazione predeterminati, alla luce dei principi della migliore offerta (economicamente più vantaggiosa), sulla base di un piano economico-finanziario di copertura degli investimenti ed annessa gestione.
   3) L'entità dei canoni: applicando a tutti, senza differenziazione alcuna, il principio del metro quadro, in base a valori predefiniti, collegabili sostanzialmente ad: aree scoperte od aree occupate con impianti di facile o difficile rimozione; aree di alta o normale valenza turistica. Unica differenziazione in «agevolazione» per i porti, a causa della vastità delle aree interessate.
   4) La eventuale demarcazione della linea demaniale, su proposta delle regioni, al vaglio dei Ministeri competenti.
   5) Il passaggio in proprietà, a titolo gratuito, al patrimonio indisponibile dei comuni, di quelle aree di patrimonio e demanio dello Stato, per le quali i comuni abbiano realizzato opere di urbanizzazione. Ciò sempre in parallelo con le procedure del federalismo demaniale.
   6) Un regime transitorio: (solo per la prima procedura di selezione) il concessionario uscente ha diritto alla corresponsione, da parte del subentrante, di un indennizzo determinato sulla base di una valutazione dei beni non integralmente ammortizzati, agli investimenti effettuati ed all'avviamento dell'azienda commerciale.

  Tanto premesso, per quanto riguarda lo specifico oggetto di richiesta, si precisa che l’iter propedeutico alla emanazione del decreto di sdemanializzazione da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con l'Agenzia del demanio, prevede una complessa attività procedimentale, incardinata, ai sensi dell'articolo 35 del codice della navigazione, presso il predetto Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – capitanerie di porto, alla quale partecipa una pluralità di soggetti (oltre le capitanerie di porto, il provveditorato alle opere marittime, gli enti territoriali che gestiscono le aree e l'Agenzia del demanio). La necessaria complessità del procedimento va collegata alle importanti conseguenze derivanti dalla sdemanializzazione che determina la sottrazione delle aree ai pubblici usi del mare e il loro trasferimento al patrimonio disponibile e può variare in relazione all'estensione delle aree prese in considerazione e allo stato dei luoghi.
  Per quanto riguarda i comuni del metapontino, secondo quanto riferito dalla direzione regionale Puglia e Basilicata dell'Agenzia, limitatamente agli aspetti di competenza, risulta che le procedure attualmente in corso interessino aree sulle quali sono presenti fabbricati edificati dai concessionari, divenuti di proprietà dello Stato allo scadere delle concessioni ai sensi dell'articolo 49 del codice della navigazione, per i quali è necessario portare a completamento, in via preliminare alla sdemanializzazione, la procedura (cosiddetta incameramento) volta all'iscrizione degli stessi tra le pertinenze demaniali marittime, procedura già avviata dalla capitaneria di porto. Risulta, peraltro, che i lavori della commissione di incameramento, istituita dalla capitaneria di porto, siano in fase di conclusione per quanto concerne le aree in comune di Bernalda – frazione Metaponto, mentre per l'altra, analoga procedura avviata per aree ricadenti in comune di Nova Siri, l'avanzamento delle attività della commissione ha trovato ostacolo nella mancata collaborazione dei concessionari che hanno edificato i manufatti i quali, contestando le determinazioni della commissione circa la ricorrenza dei presupposti dell'incameramento degli stessi, non hanno presentato, seppure sollecitati, la documentazione di loro pertinenza necessaria al prosieguo delle operazioni di incameramento.
Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzePier Paolo Baretta.


   LOMBARDI, BARONI, DAGA, DIENI e D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per la «cupola» di Roma l'emergenza immigrati era una miniera d'oro: i fondi statali per i centri d'accoglienza sono un «piatto ricco» e il sodalizio criminale ipotizzato dagli inquirenti avrebbe fatto in modo che parte di questi finanziamenti finissero nelle tasche delle cooperative amiche;
   i magistrati dell'inchiesta «Mondo di mezzo» lo chiamano «Sistema Odevaine»; nell'ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini si legge: «La gestione dell'emergenza immigrati è stato ulteriore terreno, istituzionale ed economico, nel quale il gruppo riconducibile a Buzzi si è insinuato con metodo eminentemente corruttivo, alterando per un verso i processi decisionali dei decisori pubblici, per altro verso i meccanismi fisiologici dell'allocazione delle risorse economiche gestite dalla pubblica amministrazione»;
   gli inquirenti parlano della «possibilità di trarre profitti illeciti immensi (...), paragonabili a quelli degli investimenti illeciti realizzati in altri settori criminali, come lo smercio di stupefacenti»; infatti, dalle intercettazioni pubblicate dagli organi di stampa, emerge che al telefono con Pierina Chiaravalle, dipendente di una cooperativa coinvolta nell'inchiesta, Salvatore Buzzi, numero uno della società «29 giugno» e braccio operativo dell'organizzazione, domanda: «Tu c'hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati ? Il traffico di droga rende meno»;
   sempre stando ai risultati delle indagini resi noti dai giornali al centro del sistema vi sarebbe Luca Odevaine, ex vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e capo della polizia provinciale di Roma: «Odevaine è mi signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative nel settore dell'emergenza immigrati», scrivono i pm; egli fa parte del Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e al contempo risulterebbe essere consulente del consiglio di amministrazione del Consorzio «Calatino Terra d'Accoglienza», ente che soprintende alla gestione del C.A.R.A. di Mineo»;
   un'intercettazione in cui Odevaine parla con il suo commercialista fotografa il suo ruolo: «Avendo questa relazione continua con il Ministero – spiega l'ex vice capo segreteria di Veltroni – sono in grado un po’ di orientare i flussi che arrivano da... da giù... anche perché spesso passano per Mineo... e poi... vengono smistati in giro per l'Italia... se loro c'hanno strutture che possono essere adibite a centri per l'accoglienza da attivare subito in emergenza... senza gara... (inc.) le strutture disponibili vengono occupate... e io insomma gli faccio avere parecchio lavoro...»;
   Odevaine sarebbe ben pagato, secondo Salvatore Buzzi, il quale, parlando con Giovanni Campennì, il braccio operativo dell'organizzazione afferma: «...lo sai a Luca quanto gli do ? Cinquemila euro al mese... ogni mese... ed io ne piglio quattromila»;
   la cupola aveva quindi il potere di deviare, in sede di bilancio pluriennale, risorse in favore delle strutture di accoglienza; gli inquirenti sottolineano la capacità, del sodalizio indagato, di interferire nelle decisioni dell'Assemblea Capitolina in occasione della programmazione del bilancio pluriennale 2012/2014 e relativo bilancio di assestamento di Roma Capitale, avvalendosi degli stretti rapporti stabiliti con funzionari collusi dell'amministrazione locale, al fine di ottenere rassegnazione di fondi pubblici per rifinanziare «i campi nomadi», la pulizia delle «aree verdi» e per «Minori per l'emergenza Nord Africa», tutti settori in cui operano le società cooperative di Salvatore Buzzi» –:
   se esista o sia esistito in passato, presso il Ministero dell'interno, il tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione;
   in caso positivo, quali soggetti abbiano partecipato al tavolo medesimo e quale fosse il relativo emolumento;
   se corrisponda al vero che Luca Odevaine abbia fatto parte del tavolo e, in caso positivo, quale sia stato il suo ruolo e a quali decisioni abbia partecipato.
(4-07407)

  Risposta. — Il tavolo di coordinamento nazionale citato nell'interrogazione in esame è stato istituito l'11 maggio 2012 presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, con l'obiettivo di elaborare una strategia di uscita dallo stato di emergenza decretato per fronteggiare l'eccezionale afflusso di migranti e profughi sul territorio nazionale provenienti dai Paesi del nord Africa (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 13 aprile 2011, n. 3933); gli eccezionali flussi migratori conseguenti alla cosiddetta primavera araba.
  Invero, un primo comitato di coordinamento era stato istituito in precedenza, su iniziativa del capo del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, al quale era stato affidato il ruolo di Commissario delegato per fronteggiare il citato stato di emergenza.
  L'esperienza maturata nel corso dell'emergenza, cessata il 31 dicembre 2012, ha spinto il Governo a rendere permanente il tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell'interno, quale strumento di governance interistituzionale del fenomeno migratorio, unitamente ai tavoli di coordinamento regionali presieduti dai prefetti dei capoluoghi di regione.
  La compiuta regolamentazione del tavolo nazionale in questione è stata dettata dal decreto ministeriale n. 9225 del 16 ottobre 2014, ai sensi del quale il consesso svolge funzioni di indirizzo e programmazione delle attività finalizzate a gestire i flussi migratori non programmati, di ottimizzazione dei sistemi di accoglienza dei richiedenti/beneficiari di protezione internazionale, di coordinamento dei predetti tavoli regionali; inoltre, predispone e aggiorna il relativo Piano operativo nazionale e può elaborare proposte normative relative alle materie di competenza.
  Il tavolo è presieduto dal sottosegretario per l'interno con delega all'immigrazione e ne è componente di diritto, con funzioni vicarie, del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.
  Ad esso partecipano, inoltre, i rappresentanti del Dipartimento della pubblica sicurezza e del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Anci, dell'Upi e della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Per gli adempimenti previsti dall'articolo 29, comma 3, del (decreto legislativo n. 251 del 2007, come modificato dal decreto legislativo n. 18 del 2014, il tavolo è integrato con un rappresentante del Ministro delegato alle pari opportunità, dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati e della Commissione nazionale per il diritto d'asilo.
  Il tavolo può essere altresì integrato da rappresentanti del Ministero della salute, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dell'organizzazione internazionale per le migrazioni altre amministrazioni o soggetti interessati alle materie trattate.
  L'articolo 6 del predetto decreto n. 9225 stabilisce che la partecipazione al tavolo è gratuita e non comporta alcun onere a carico del bilancio dello Stato.
  Si precisa, inoltre, che il tavolo nazionale non ha avuto né può avere alcun ruolo in materia di aggiudicazione delle gare per l'affidamento del servizio di gestione dei centri di accoglienza. Ai sensi della normativa vigente, infatti, tale adempimento compete alle prefetture territorialmente competenti.
  Per quanto concerne la posizione del signor Luca Odevaine, risulta che egli, in qualità di membro designato dall'Unione delle province italiane, abbia fatto parte sia del Comitato di coordinamento presso la Presidenza del Consiglio sia, fino al mese di ottobre 2014, del tavolo nazionale presso il Ministero dell'interno.
  In particolare, nel biennio 2011-2012 risultano agli atti dodici convocazioni complessive, del comitato, nelle quali è incluso il suo nominativo o, comunque, l'indirizzo dell'Upi.
  In previsione del passaggio dalla fase emergenziale alla gestione ordinaria, sempre nel corso del 2012, sono state convocate otto riunioni del tavolo nazionale presso il Ministero dell'interno. Il signor Odevaine risulta essere stato presente in tre di esse, nelle date del 1o agosto, 5 settembre, 6 dicembre.
  Nel 2013, in seguito alla definitiva chiusura dello stato di emergenza e al subentro delle amministrazioni ordinariamente competenti, sono state convocate otto riunioni del tavolo di coordinamento nazionale; il signor Odevaine risulta essere stato presente in quelle del 27 febbraio, 24 aprile, 5 settembre e 12 dicembre.
  Nel 2014, il tavolo si è riunito dodici volte, in tre delle quali – il 7 maggio, il 28 maggio e il 2 luglio – risulta la presenza del signor Odevaine.
  Successivamente all'adozione del predetto decreto ministeriale n. 9225 del 16 ottobre 2014, è stato richiesto alle amministrazioni partecipanti di designare i propri rappresentanti in seno al nuovo tavolo nazionale. Con nota del successivo 24 ottobre, l'Upi ha designato un rappresentante diverso dal signor Odevaine.
  Infine, risulta che il signor Odevaine abbia svolto anche le funzioni di consulente del presidente del «Consorzio calatino terra di accoglienza», prima di essere stato individuato, attraverso una procedura di selezione pubblica, come responsabile dell'ufficio dello stesso ente preposto alla progettazione e rendicontazione degli interventi finanziati con fondi comunitari, in base a un contratto di collaborazione temporanea.
  Il rapporto contrattuale è stato interrotto in seguito all'arresto dell'interessato.
  La prefettura di Catania ha richiesto al presidente del Consorzio calatino di avviare il monitoraggio sui rapporti contrattuali concernenti l'affidamento di beni e servizi posti in essere, allo scopo di verificarne la perfetta coerenza con le specifiche norme di settore.
  Risulta che il rappresentante legale dell'ente consortile abbia interessato l'Autorità nazionale anticorruzione per accertare la correttezza di tutti gli atti compiuti dalla struttura amministrativa del Consorzio medesimo.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, SILVIA GIORDANO, CECCONI, DALL'OSSO e DI VITA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Pozzallo, sede di un centro di primo soccorso e accoglienza molto importante in Sicilia per la posizione strategica, in questi giorni sono stati ritrovati nei cassonetti della spazzatura decine di portate di cibo ancora cellophanate provenienti dal CPSA;
   su tali fatti stanno indagando i carabinieri della compagnia di Modica ed è stata anche aperta un'inchiesta amministrativa interna alla struttura per verificare la corrispondenza tra il numero di pasti fornito quotidianamente e il numero degli ospiti del centro, nonché per verificare il rispetto delle tradizioni religiose dei migranti attraverso una giusta scelta degli alimenti;
   il capitolato speciale d'appalto tra il comune di Pozzallo e la ditta vincitrice della gara per il servizio di ristorazione in favore degli ospiti del CPSA con scadenza 31 agosto 2014, prevede la consegna di pasti agli ospiti nei locali del CPSA destinati a mensa tre volte al giorno, e precisamente la colazione dalle 8:00 alle 8:30, il pranzo dalle 12:00 alle 13:00 e la cena dalle 18:30 alle 19:00;
   il contratto prevede altresì che nella scelta degli alimenti dovranno essere rispettati tutti i vincoli costituiti dalle regole alimentari dettate dalle diverse scelte religiose;
   non è menzionata invece in tale contratto la gestione di eccedenze e avanzi dei pasti eventualmente somministrati –:
   se non ritenga opportuno estendere l'operatività delle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica del 29 aprile 2010 al servizio mensa per i migranti, in particolare gestendo le eccedenze alimentari attraverso iniziative di solidarietà per la destinazione del cibo ad enti assistenziali, evitando in tal modo che numerose pietanze finiscano nella spazzatura;
   se, di concerto con il Prefetto, per quanto di competenza, nel rispetto della libertà di religione dei migranti, non intenda prendere in considerazione la possibilità di modificare gli orari di distribuzione dei pasti, conseguentemente a particolari periodi di preghiera come quello attuale del ramadan;
   se non ritenga opportuno verificare che vengano distribuite pietanze non in contrasto con i principi e le abitudini alimentari e culturali dei migranti, ad esempio attraverso la sostituzione della pasta con il riso. (4-05523)

  Risposta. — La gestione del locale Centro di primo soccorso e assistenza (Cpsa) è stata affidata al comune di Pozzallo, con una convenzione stipulata dalla prefettura di Ragusa nel 2008, sulla base dello schema di capitolato approvato con il decreto ministeriale del 21 novembre 2008. Tale convenzione, rinnovata il 1o settembre 2011, è scaduta il 31 marzo 2015.
  La convenzione prevede anche che l'ente gestore affidi a ditte selezionate la fornitura agli ospiti dei servizi socio-assistenziali, secondo quanto disposto nelle specifiche tecniche integrative del predetto capitolato.
  Tali specifiche dispongono, tra l'altro, che l'ente gestore garantisca «la massima cura nel proporre menù non in contrasto con i principi e le abitudini alimentari diversi. In particolare dovranno essere rispettati tutti i vincoli costituiti dalle regole alimentari dettate dalle diverse scelte religiose».
  Il capitolato prevede già la possibilità di sostituire la pasta con il riso e tiene conto delle linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica.
  Il 28 giugno 2014, quando è stato ritrovato tra i rifiuti un numero rilevante di pasti, ancora confezionati, da destinare agli ospiti del centro, la locale Prefettura ha formalmente contestato i fatti al comune di Pozzallo, in quanto ente gestore.
  In particolare, sono state richiamate le specifiche tecniche del servizio di fornitura dei pasti, nonché le indicazioni fornite nelle tabelle dietetiche predisposte dalla locale azienda sanitaria provinciale, allegate alla predetta convenzione.
  Nel contempo, l'ente gestore è stato invitato a procedere con tempestività alla contestazione di eventuali inadempienze contrattuali ai responsabili.
  Il sindaco di Pozzallo ha assicurato che il servizio di fornitura dei pasti rispetta le specifiche tecniche allegate alla predetta convenzione; inoltre, la presenza costante di un dietologo nella struttura consente di verificare la qualità e la quantità degli alimenti forniti, oltre al gradimento degli ospiti, con i quali viene concordato il menù settimanale.
  Dai riscontri è emerso che gli alimenti ritrovati tra i rifiuti non erano stati ritirati dagli ospiti per vari motivi. Gli ordinativi dei pasti, infatti, sono determinati giornalmente sulla base delle presenze effettive, in vista della distribuzione negli orari previsti, che sono comunque flessibili e variano in funzione del rientro degli ospiti, i quali sono liberi di allontanarsi dal centro durante il giorno.
  I pasti non ritirati all'ora di pranzo vengono distribuiti anche nelle ore pomeridiane a coloro che ne fanno richiesta, mentre le eventuali rimanenze sono conservate in appositi ambienti refrigerati fino alla loro eliminazione, poiché la convenzione non specifica espressamente la loro destinazione.
  Al riguardo, il sindaco di Pozzallo non ha escluso la possibilità di una eventuale distribuzione delle eccedenze alimentari a enti caritatevoli, come suggerito nell'interrogazione.
  La prefettura di Pozzallo sta inoltre valutando la possibilità di negare il rimborso del costo dei pasti non utilizzati e – attesa l'imminente scadenza della convenzione in atto – di inserire nella nuova convenzione che eventualmente sarà stipulata, specifiche clausole finalizzate a evitare ulteriori sprechi di cibo.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MELILLA e RICCIATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a Sulmona la SNAM prevede la costruzione di una centrale di compressione e spinta su una superficie di circa 12 ettari, con 3 turbo compressori alimentati a gas di 11 megawatt termici, un camino alto 14 metri e tre caldaie con camini alti 6,5 metri;
   il metanodotto e la centrale si collocano in un'area ad alto rischio sismico nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone, il sito è incompatibile con il piano regolatore generale di Sulmona che prevede una zona a verde agricolo escludendo ogni impianto industriale;
   inoltre, la centrale sarebbe in un contesto ambientale di grande pregio naturalistico, praticamente la porta d'accesso al parco nazionale della Majella-Morrone, su cui poggiano tanti progetti di sviluppo turistico in una zona tra le più depresse dal punto di vista occupazionale d'Abruzzo;
   proprio in questi giorni in una grande assemblea pubblica a Sulmona, gli enti locali e la regione Abruzzo hanno manifestato netta contrarietà a questo progetto, in piena sintonia con un grande movimento sociale e dei cittadini, chiedendo il rinvio della conferenza dei servizi convocata dal Ministero dello sviluppo economico per il 30 settembre 2014;
   per questo sarebbe necessario;
    a) revocare i decreti ministeriali relativi al metanodotto rete adriatica e alla costruzione della centrale di compressione e spinta della Snam a Sulmona stante ad avviso dell'interrogante il palese contrasto con le disposizioni comunitarie e nazionali che impongono la valutazione complessiva degli interventi proposti;
    b) rinunciare all'impugnativa della legge della regione Abruzzo n. 14 del 7 giugno 2013 per l'assoluta irragionevolezza di questa scelta avendo la regione Abruzzo recepito una prescrizione della commissione nazionale VIA in merito alla necessità di studi sismici di dettaglio, in una zona ad alto rischio sismico come è Sulmona nel quadro della catena montuosa degli Appennini Abruzzesi –:
   se non ritengano necessario e doveroso fermare ogni procedura autorizzativa in atto e disporre, come peraltro indicato dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati con una risoluzione approvata nel 2011, la modifica del tracciato escludendo la dorsale appenninica, sconvocando la riunione del 30 settembre 2014, stante la richiesta in questo senso della regione Abruzzo. (4-06122)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo si rappresentano i seguenti elementi.
  La Rete Adriatica è un'iniziativa di potenziamento del sistema di trasporto del gas dal Sud Italia verso il Nord, progettata in base ai programmi di utilizzo dei punti di entrata esistenti ed alle iniziative in atto o previste dagli operatori del settore gas per crearne di nuovi (ad esempio Tap e nuovi impianti di Gnl).
  Tale Rete ha, indubbiamente, una valenza strategica per il sistema di trasporto nazionale per diverse ragioni:
   in primo luogo, perché l'incremento delle capacità dei punti di entrata della rete italiana garantirà la copertura del fabbisogno energetico del Paese nel medio-lungo termine;
   in secondo luogo, perché permetterà la realizzazione di capacità in esportazione dai punti di uscita del Nord Italia verso l'Europa settentrionale ed orientale, consentendo una reale integrazione delle reti di trasporto dei diversi Paesi europei;
   in terzo luogo, perché consentirà di diversificare i corridoi di attraversamento del Paese, conferendo maggiore sicurezza e affidabilità al sistema di trasporto del gas.

  La Rete Adriatica è costituita dai seguenti cinque tratti di gasdotti funzionalmente autonomi:
   1) Massafra-Biccari, autorizzato, costruito ed in esercizio;
   2) Biccari-Campochiaro, autorizzato ed in fase di costruzione;
   3) Sulmona-Foligno, procedimento in corso;
   4) Foligno-Sestino, procedimento in corso;
   5) Sestino-Minerbio, procedimento chiuso con esito favorevole, decreto di autorizzazione in fase di emissione.

  È inoltre prevista la realizzazione a Sulmona (Aquila) di un «impianto di compressione del gas» della potenza di circa 33 MW, la cui ubicazione è posta in corrispondenza della rete esistente dei metanodotti di Snam Rete Gas che già oggi confluiscono a Sulmona.
  Ogni tratto è funzionalmente autonomo e quindi può esistere indipendentemente dagli altri e garantisce quota parte degli obiettivi complessivi della Rete Adriatica.
  Infatti, oltre alle finalità generali descritte in precedenza, i diversi tratti consentono di raggiungere anche una serie di obiettivi parziali, in particolare, il potenziamento delle reti regionali esistenti, l'aumento della flessibilità e della affidabilità del sistema locale di trasporto. Tutti i tratti hanno ottenuto la pronuncia di compatibilità ambientale favorevole dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Per quanto concerne la scelta del tracciato e l'ubicazione dell'impianto di compressione a Sulmona, la ricerca di un corridoio idoneo ad ospitare la Rete Adriatica è stata in prima battuta indirizzata in prossimità della linea di costa adriatica. Una volta, però, constatata la preclusione di questa fascia territoriale, per cause ambientali e/o geologiche e/o urbanistiche, la ricerca del tracciato si è progressivamente spostata nell'entroterra, fino ad individuare, in prossimità dello spartiacque appenninico, la direttrice migliore in termini di continuità, sicurezza e compatibilità ambientale.
  Per la parte sud della Rete Adriatica, il posizionamento del tracciato non ha incontrato ostacoli fino a Biccari (Foggia). Successivamente, la scelta del corridoio è stata condizionata dall'impossibilità di trovare una via percorribile, che da Biccari (Foggia) si spingesse in prossimità della fascia costiera, risalendo verso nord, in direzione di Pescara. Ciò a causa delle criticità geologiche presenti, soprattutto nel tratto Biccari-San Salvo, e per l'elevato grado di urbanizzazione che caratterizza tutta la linea di costa.
  Per i suddetti motivi, in corrispondenza di Biccari (Foggia), si è dovuta abbandonare l'ipotesi di un tracciato prossimo alla costa e puntare verso l'interno, in direzione di Campochiaro (Campobasso). Qui, la presenza di un altro metanodotto e quindi un corridoio allo stesso collegato ha, di fatto, obbligato la prosecuzione del nuovo tracciato, lungo questa direttrice, fino a Sulmona (Aquila). Questo tratto di metanodotto (denominato Campochiaro-Sulmona) è già stato realizzato ed è in esercizio.
  La Rete in progetto è frutto di una attenta analisi eco-sistemica di dettaglio che ha portato alla scelta di un tracciato che assicura la maggiore compatibilità ambientale possibile. Tale assunto si basa sul presupposto fondamentale che l'opera è totalmente interrata e al termine dei lavori le aree interessate saranno oggetto di accurate opere di ripristino, sia relativamente alle aree agricole, che alle aree incolte, alle aree boschive e in generale in tutte le aree naturali.
  In particolare il tracciato del metanodotto «Sulmona-Foligno» è stato individuato dopo una dettagliata analisi di campo, di geologia, geomorfologia e idrogeologia del territorio, con particolare attenzione ai bacini fluviali principali ed a tutti i corsi d'acqua, anche minori, interferiti, alla natura dei terreni ed alle stratigrafie, elaborando specifiche schede per ogni corso d'acqua progettando le più opportune modalità di attraversamento fluviale e di ripristino morfologico.
  Sono stati analizzati i piani paesistici delle regioni Abruzzo, Lazio, Umbria e Marche ed è stata posta particolare attenzione a dispositivi di legge a carattere regionale previsti per la tutela dell'assetto idrogeologico.
  Il tracciato del metanodotto in progetto è stato quindi individuato secondo una direttrice che riduce il più possibile le interferenze con aree sottoposte a vincolo idrogeologico e fenomeni gravitativi.
  Un altro dei motivi di preoccupazione che sono stati sollevati nell'interrogazione riguarda l'interferenza con parchi nazionali e regionali.
  Tale interferenza si riscontra effettivamente nel lotto funzionale relativo al metanodotto «Sulmona-Foligno»: quest'ultimo, nella prima ipotesi di progetto, prevedeva l'attraversamento di due parchi nazionali e di uno regionale.
  A seguito di alcune varianti di progetto, la condotta non attraversa più il parco nazionale dei Sibillini, originariamente intersecato in corrispondenza della piana di Norcia, e il parco regionale Sirente-Velino, inizialmente interessato nei pressi del comune di Prata D'Ansidonia. Il metanodotto interesserà territorialmente il parco nazionale Gran Sasso Monti della Laga, ma in misura molto limitata, circa 1 km e, comunque, nei settori più antropizzati.
  Ulteriore motivo di preoccupazione più volte richiamato dagli oppositori al progetto afferisce al rischio sismico delle aree della aree attraversate dal metanodotto.
  Per vero, il tracciato dei metanodotti è stato definito scegliendo i lineamenti morfologici e geologici più sicuri (fondovalle, terrazzi, dorsali, eccetera) e comunque lontani dalle aree interessate, anche solo potenzialmente, da dissesti idrogeologici. Nello specifico, le principali strutture sismogenetiche, quali per esempio quelle presenti nel territorio aquilano attivatesi in occasione dell'evento sismico del 6 aprile 2009, non vengono mai interessate dall'opera in progetto.
  In sede progettuale, inoltre, sono stati presi in considerazione dalla società proponente gli effetti diretti di un sisma potenziale sulle tubazioni interrate, sottoponendo il metanodotto in progetto a verifica strutturale allo scuotimento sismico (
shaking) seguendo le indicazioni della normativa americana Asce (American Society of Civil Engineers) guidelines for the seismic design of oil and gas pipeline systems 1984.
  Da essa si evince che, nelle aree ad elevata sismicità, le dimensioni di progetto adottate per la trincea di posa della condotta, unitamente alle caratteristiche di duttilità e flessibilità delle tubazioni in acciaio permettono alla tubazione di sopportare agevolmente le eventuali deformazioni indotte dal sisma. I risultati di tali verifiche hanno, di fatto, evidenziato l'idoneità dello spessore della tubazione a sopportare le sollecitazioni trasmesse dal movimento transitorio del terreno durante l'evento sismico.
  Conferma della sostanziale correttezza di quanto emerso dalle verifiche condotte dalla società proponente, è data da una valutazione di tipo storicistico.
  Anche in letteratura tecnica internazionale non sono riportati casi di danni a tubazioni integre in acciaio, saldate e controllate con le attuali tecniche, per effetto dello scuotimento sismico del terreno.
  Le condotte sono comunque periodicamente controllate dalla Società gestore della rete nazionale gas dall'interno, con apparecchiature automatiche che rilevano qualsiasi variazione di spessore dell'acciaio e fenomeni corrosivi eventualmente in atto.
  Per quanto attiene alla presunta concentrazione di «sostanze inquinanti» emesse dall'impianto di compressione, in ragione della particolare conformazione orografica della valle su cui verrebbe ad insistere l'impianto, si fa presente che le emissioni prodotte sono costituite dagli ossidi di azoto (NOx) e dal monossido di carbonio (CO) e provengono sostanzialmente dal processo di combustione del gas naturale nelle turbine a gas; nello studio di impatto ambientale la Snam Rete Gas ha effettuato idonee simulazioni sulla dispersione di codeste emissioni in atmosfera.
  Le simulazioni, che hanno tenuto in considerazione la conformazione del territorio e le caratteristiche meteoclimatiche dell'area (compresi i ristagni dell'aria), hanno confermato che i livelli di concentrazione delle emissioni sono molto bassi e comunque circoscritti alle immediate vicinanze dell'impianto. I risultati delle simulazioni sono da considerarsi conservativi in quanto è stato ipotizzato l'esercizio più gravoso dell'impianto con un funzionamento contemporaneo di due unità di compressione alla massima potenza.
  Al riguardo giova ricordare inoltre che il funzionamento dell'impianto di Sulmona, così come per tutti gli altri 11 impianti di compressione di Snam Rete Gas in esercizio, sarà a carico variabile e di tipo intermittente in funzione dell'assetto di trasporto, determinando pertanto quantitativi emessi inferiori ai risultati delle simulazioni.
  In particolare, sono garantiti valori limite di emissione di 50 mg/Nm3 di NOx e di 100 mg/Nm3 di CO. Tali livelli di concentrazione rispettano ampiamente i valori limite prescritti dalla normativa vigente (25 volte inferiore per NOx e 100 volte inferiore per CO).
  In ogni caso, è con il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale di competenza della regione Abruzzo, attraverso la quale l'autorità amministrativa vicina alle popolazioni delle aree interessate dall'impianto di compressione, verifica la compatibilità dell'attività con i limiti di tutela e salvaguardia, prescrivendo misure puntuali a tutela dei corpi ricettori.
  Infine si vuole ricordare, il tavolo tecnico-istituzionale sul gasdotto Sulmona-Foligno e l'impianto di spinta di Sulmona che si è tenuto presso il MISE il 12 settembre 2014. Nel corso dell'incontro sono state approfondite da Snam Rete Gas su richiesta della regione e del comune di Sulmona la alternativa a mare del tracciato del gasdotto e l'ubicazione a Cupello dell'impianto di spinta.
  Il tavolo di confronto si è chiuso dopo aver appreso le criticità insuperabili delle alternative presentate dalla società con le seguenti indicazioni emerse in tale sede:
   1) evitare qualsiasi ipotesi che porti alla riapertura
ex novo delle procedure autorizzative che allungherebbero i tempi di altri sei anni;
   2) evitare che si moltiplichino i centri di conflitto e soluzioni che non servono al potenziamento della rete energetica delle regioni interessate (Umbria ed Abruzzo);
   3) conferma che i costi aggiuntivi ammonterebbero a 650 milioni euro di cui non potrebbe farsi carico lo Stato, ma potrebbero essere caricati sulle bollette degli utenti;
   4) riguardo la centrale di compressione è da confermarsi il sito di Sulmona quale scelta migliore per la funzione di spinta all'interno delle condotte che si snodano lungo il tratto Sulmona-Foligno.

  In conclusione si è constatata l'impossibilità sia di modificare il tracciato spostandolo dalla dorsale appenninica alla costa adriatica sia di collocare l'impianto di spinta in un sito all'interno del comune di Cupello spostandolo da Sulmona.
  Entrambi i procedimenti di autorizzazione e dell'impianto di spinta e del metanodotto Sulmona-Foligno sono stati avviati dal Ministero dello sviluppo economico: il primo ha chiuso la conferenza dei servizi con la determinazione del responsabile del procedimento sul prosieguo dell’
iter istruttorio presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 14-quater della legge n. 241 del 1990 per il superamento del dissenso con la regione Abruzzo; nell'ambito del secondo procedimento concernente il metanodotto Sulmona-Foligno è stata indetta una riunione istruttoria di conferenza dei servizi il 24 febbraio 2015.
  Si fa presente, infine, che la regione Abruzzo ha emanato nell'arco di due anni, il 19 giugno 2012 la legge regionale n. 28, e il 7 giugno 2013 legge regionale n. 14 che, in via generale sul proprio territorio, nelle aree sismiche classificate di prima categoria, vietavano la localizzazione e la realizzazione di oleodotti e gasdotti con diametro superiore o uguale a 800 mm e lunghezza superiore a 40 chilometri (caratteristiche dei metanodotti della Rete nazionale gas) e di impianti termoelettrici e di compressione a gas naturale connessi ai metanodotti nelle zone di area sismica. Su entrambe le leggi il Ministero dello sviluppo economico ha sollevato l'eccezione di costituzionalità e su entrambe le leggi la Corte ha sentenziato, il 3 luglio 2013 e l'8 aprile 2014, sulla illegittimità delle leggi regionali medesime condividendo le motivazioni addotte dal Ministero.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 91 del 1992 indica il principio dello ius sanguinis come unico mezzo di acquisto della cittadinanza a seguito della nascita, mentre l'acquisto automatico della cittadinanza iure soli continua a rimanere limitato ai figli di ignoti, di apolidi, o ai figli che non seguono la cittadinanza dei genitori;
   lo ius soli fa riferimento alla nascita sul «suolo» e per i Paesi che lo applicano è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori;
   in Italia si diventa cittadini solo se si hanno genitori italiani. Altrimenti è possibile dopo due anni di matrimonio o per residenza (almeno 10 anni in Italia se cittadino extracomunitario, 4 anni di residenza per i cittadini appartenenti ad uno Stato dell'Unione europea; 5 anni per gli apolidi e i rifugiati);
   il figlio di stranieri nato nel territorio italiano ha la possibilità di chiedere la cittadinanza al compimento del diciottesimo anno d'età per poi riceverla negli anni successivi;
   ci sono due elementi che rendono la legislazione italiana estremamente rigida: in primis il ragazzo deve aver vissuto ininterrottamente per 18 anni in Italia (è ammesso solo un «buco» di 6 mesi). Basta andare via anche per un breve periodo e il diritto scompare. E poi al compimento del 18esimo anno ha solo 12 mesi per fare domanda;
   solo la Svizzera è più restrittiva dell'Italia. Si tratta di una situazione assurda per chi ormai da anni vive in Italia e ha fatto gli stessi percorsi formativi di coloro che sono nati in Italia da genitori italiani;
   i ventisette Stati europei non hanno comunque una legislazione univoca e applicano lo ius sanguinis e lo ius soli temperando un principio con l'altro;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha indicato il tema dei diritti civili come una priorità del Governo, in particolare per quanto riguarda la cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia con un passaggio dall'attuale ius sanguinis a uno ius soli temperato;
   dall'inizio legislatura, il 21 marzo 2013, sono state depositate alla Camera numerose proposte sulle modalità di acquisto della cittadinanza, segno di un rinnovato interesse da parte delle forze politiche su un tema che ha importanti risvolti anche sotto il profilo sociale ed economico;
   la sintesi del dibattito politico al riguardo, in particolare fra le forze della maggioranza che sostengono il Governo, potrebbe essere quella di assegnare la cittadinanza ai bambini nati da cittadini stranieri in Italia, che abbiano concluso un ciclo di studi –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative, oltre che in materia di acquisto della cittadinanza per gli stranieri nati in Italia, anche in merito alle procedure per i residenti, portando per tutti i soggetti (cittadini europei, apolidi e rifugiati) il termine a 2 anni e accorciando ulteriormente la procedura attraverso la quale ottenere la concessione (oggi fissata in due anni), visto che nella realtà gli anni che trascorrono non sono meno di quattro;
   se il Governo ritenga opportuno adottare altre iniziative a favore dei cittadini stranieri in Italia, visto che tutti gli studi e le analisi fino ad oggi condotte sono unanimi nel ritenere la presenza degli immigrati una fonte di ricchezza e di crescita economica (oltre che sociale e culturale);
   se il Governo non ritenga opportuno rivedere, a completamento dell'introduzione dello ius soli in Italia, la legge «Bossi-Fini», che, ad avviso dell'interrogante, ha aggravato la condizione degli stranieri in Italia, ha prodotto il «ricatto» del lavoro, lo sfruttamento dei braccianti, la clandestinità come schiavitù per favorire l'abbattimento del costo del lavoro e la vergogna dei Cie. (4-07327)

  Risposta. — L'applicazione del principio dello «ius soli temperato» ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana da parte dei minori nati in Italia da cittadini stranieri è un tema molto sentito nella società civile e a livello parlamentare, tant’è che esso costituisce l'oggetto di svariate proposte di legge presentate in questa legislatura da deputati e senatori.
  Altre proposte di legge, sempre di iniziativa parlamentare, riguardano l'acquisto della cittadinanza da parte di altre categorie di stranieri (cittadini comunitari e non comunitari, titolari di protezione internazionale) o degli apolidi.
  Si tratta di questioni di estrema delicatezza, che attingono la sfera dei diritti civili, sulle quali il Governo è pronto a un confronto costruttivo con le forze politiche, che potrà svilupparsi proprio in sede di esame delle proposte di legge pendenti.
  Anche i percorsi normativi finalizzati a una eventuale revisione della legge Bossi-Fini potranno essere approfonditi in sede parlamentare.
  Per quanto riguarda i tempi di conclusione dei procedimenti di acquisto della cittadinanza, ai quali l'interrogante dedica una parte dell'interrogazione, si rappresenta che la trattazione delle relative istanze è caratterizzata da una istruttoria articolata e complessa che richiede, tra l'altro, accertamenti delle autorità nazionali ed estere, la necessità di acquisire i dati sulle verifiche in materia di sicurezza, l'accertamento della regolare presenza dello straniero sul territorio, la verifica della coincidenza tra l'interesse pubblico e l'interesse del privato all'acquisto della cittadinanza.
  Proprio in ragione della complessità della fase istruttoria, la normativa vigente ha fissato in 730 giorni il termine per la conclusione dei procedimenti di cittadinanza, in deroga ai termini ben più ridotti previsti dalla legge n. 241 del 1990 per la generalità dei procedimenti amministrativi.
  Sotto un altro profilo, si rappresenta che, nell'ultimo quinquennio, vi è stato un incremento esponenziale del numero delle istanze di cittadinanza presentate. Tale circostanza è riconducibile alla trasformazione del fenomeno migratorio, che si caratterizza sempre di più per l'aspetto della stabilità.
  Ciò non ha mancato di produrre riflessi critici sullo stato delle procedure di cittadinanza, la cui istruttoria, peraltro, risulta articolata e complessa, poiché coinvolge interessi fondamentali per lo Stato e implica verifiche da parte di autorità nazionali ed estere anche in materia di sicurezza.
  In questo quadro, non può neanche essere sottovalutata la difficoltà di rafforzare gli uffici responsabili della gestione delle pratiche a causa della restrittiva congiuntura della spesa pubblica, che ha fortemente limitato le facoltà di assunzione.
  Per ovviare a tali problemi, sono state adottate alcune misure amministrative dirette a razionalizzare e semplificare le procedure di acquisto e concessione della cittadinanza.
  In particolare, a partire dal 1o giugno 2012, è stata attribuita ai prefetti la competenza ad adottare i provvedimenti in materia di acquisto o diniego della cittadinanza nei confronti di stranieri sposati con cittadini italiani.
  La competenza è stata conferita, invece, al capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, in caso di residenza all'estero del coniuge straniero, ed è rimasta in capo al Ministro nel solo caso in cui sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.
  Tra le altre misure, è stato stipulato un protocollo d'intesa per la consultazione dei dati del Sistema informativo del casellario giudiziale e sono state attivate le comunicazioni telematiche con la rete delle rappresentanze consolari del Ministero degli affari esteri.
  Inoltre, nel corso del 2013, alcune prefetture pilota hanno avviato un progetto per la sperimentazione della acquisizione
on line delle domande di cittadinanza. È imminente l'estensione della sperimentazione a tutte le prefetture.
  L'attuazione a regime del progetto consentirà la riduzione dei tempi istruttori endoprocedimentali, una più agevole consultazione dello stato della pratica da parte dell'utenza e una maggiore interattività con gli uffici preposti alla trattazione.
  Sebbene permangano alcune criticità, è innegabile che, anche in virtù di questi interventi, il percorso di acquisizione della cittadinanza sia stato accelerato, tant’è vero che negli ultimi cinque anni i provvedimenti di acquisto e concessione sono più che raddoppiati, passando dai 40.223 del 2010 agli 85.321 del 2014.
  Ulteriori disposizioni legislative, contenute nelle varie proposte attualmente all'esame del Parlamento – insieme alla costante innovazione tecnologica dei processi amministrativi – potranno rendere ancora più spedito tale percorso, nel rispetto degli interessi di grande rilievo che vi sono coinvolti. Per quanto riguarda, infine, le iniziative adottate dal Governo a favore dei cittadini stranieri presenti in Italia, le politiche di gestione dei flussi migratori sono fondate sulla necessità di coniugare l'azione di contrasto all'immigrazione irregolare con le azioni finalizzate a garantire l'accoglienza e l'effettiva integrazione dei migranti regolarmente residenti, nel rispetto dei diritti umani.
  In particolare, lo Stato, le regioni e le autonomie locali, in collaborazione con le associazioni del settore, favoriscono l'integrazione dei cittadini stranieri attraverso programmi che prevedono l'informazione sui diritti e le opportunità di integrazione, promuovendo la formazione linguistica, civica, professionale e favorendo l'ingresso nel mondo del lavoro.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo del 2012 l'Italia ha sospeso l'attività della propria ambasciata a Damasco e rimpatriato lo staff della sede diplomatica nella capitale della Repubblica araba siriana;
   a maggio 2012 l'ambasciatore della Repubblica araba siriana a Roma, Khaddour Hasan, è stato convocato alla Farnesina e dichiarato «persona non gradita». A tale dichiarazione nel febbraio 2013 è seguita la chiusura della rappresentanza diplomatica della Siria in Italia;
   da allora le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono state interrotte, mentre prosegue incessante l'azione diplomatica delle Nazioni Unite tesa a trovare una soluzione pacifica e politica a un conflitto che dal 2011 ha provocato centinaia di migliaia tra morti e feriti e milioni di profughi, che vivono in condizioni di estremo disagio e povertà;
   il pericolo rappresentato dal terrorismo di matrice islamica, a partire dall'ISIS, ha imposto alla comunità internazionale di mutare atteggiamento nei confronti del Governo siriano;
   l'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria, Staffan de Mistura, ha affermato che «qualsiasi soluzione della crisi siriana deve coinvolgere il presidente Bashar al-Assad»;
   il diplomatico dell'Onu ha affermato che continuerà ad avere «colloqui molto importanti con lui» e che «la soluzione» della crisi siriana «può solo essere politica»;
   l'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria ha riconosciuto la disponibilità del Governo siriano nella ricerca di una soluzione pacifica, tanto da affermare che «se non verrà trovata una soluzione» alla crisi «l'unico che ne trarrà vantaggio è lo Stato Islamico»;
   il gruppo jihadista è stato definito dal diplomatico come un «mostro che sta aspettando di ottenere vantaggi da questo conflitto»;
   l'Italia può svolgere un importante ruolo diplomatico nella soluzione della crisi, anche perché tutte le parti in conflitto (Governo siriano e opposizioni moderate e non armate), riconoscono al nostro Paese grande capacità di mediazione, in virtù di antichi rapporti di amicizia che rendono la diplomazia italiana la più adatta a risolvere controversie nell'area Mediterranea e, in particolare, in Medio Oriente;
   l'avanzare dello Stato Islamica (e dei gruppi armati jihadista) in Siria, in Iraq e in Paesi come la Libia, a poche centinaia di miglia dal nostro Paese, richiama l'Italia e l'Europa a un deciso cambio di rotta nella lotta al terrorismo internazionale (come ampiamente argomentato anche dal Ministro interrogato in occasione della informativa resa alla Camera qualche giorno fa), eventualmente, anche rivedendo le posizioni, come ha fatto l'ONU, nei confronti di quei Governi che hanno dimostrato di combattere contro organizzazioni che sono una minaccia, come hanno dimostrato gli attacchi in Belgio, Francia e Danimarca, per la sicurezza dell'Europa e la convivenza civile tra i popoli –:
   se non ritengano, alla luce delle recenti dichiarazioni dell'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria, Staffan de Mistura, considerare la possibilità di riaprire l'ambasciata italiana a Damasco;
   se non ritengano, visto il ruolo che l'Italia ha sempre svolto in Medio Oriente, e in particolare in Siria, di inviare una rappresentanza diplomatica italiana nella capitale della Repubblica araba siriana con lo scopo di verificare le condizioni per un accordo tra le parti e trovare una soluzione pacifica a una crisi che si protrae dal 2011;
   quali iniziative intendano adottare per sostenere l'azione diplomatica dell'inviato delle Nazioni Unite per la pace in Siria, Staffan de Mistura, secondo il quale «qualsiasi soluzione della crisi siriana deve coinvolgere il presidente Bashar al-Assad», visto che il nemico da sconfiggere è lo Stato Islamico, oramai alle porte dell'Italia. (4-08061)

  Risposta. — A quattro anni dall'inizio della guerra in Siria, l'Italia è fortemente impegnata a sostenere nei diversi fori multilaterali di cui è parte gli sforzi diplomatici delle Nazioni Unite e in particolare l'operato dell'inviato speciale dell'ONU Staffan De Mistura.
  Il Governo italiano sostiene con vigore la proposta De Mistura volta a propiziare un «congelamento» delle azioni militari ad Aleppo (città simbolo di coesistenza tra popoli appartenenti a differenti credi e diverse etnie, divisa da diversi fronti di battaglia e testimone anche recentemente di feroci combattimenti tra forze del regime e ribelli).
  La proposta di De Mistura su Aleppo risponde ad un urgente imperativo umanitario. In aggiunta a ciò – ove effettivamente messo in opera dalle parti in conflitto – il
freeze rappresenterebbe un primo concreto passo per un possibile rilancio di un processo politico efficace.
  Si apprezzano tutti gli sforzi degli attori responsabili volti a promuovere tentativi di dialogo politico inclusivo tra regime di Damasco e tutte le forze di opposizione siriane,
in primis la Coalizione nazionale siriana. Al riguardo si guarda con interesse al dialogo intrapreso a Parigi tra la Coalizione dell'opposizione siriana Comitato di coordinamento siriano, nonché alle iniziative promosse recentemente dal Governo egiziano e russo e ai possibili seguiti.
  Il Governo italiano contribuisce fattivamente, di concerto con le organizzazioni internazionali governative e non governative, ad iniziative dirette a facilitare la collaborazione tra gruppi della società civile siriana, in molteplici settori. Ciò è volto a rafforzare il tessuto connettivo del Paese lacerato da anni di conflitto, odio settario e devastazioni morali e materiali.
  In coordinamento con i principali
partner il Governo italiano si riserva di valutare tempi e modi dell'eventuale riavvio delle attività dell'ambasciata d'Italia a Damasco, alla luce dell'evoluzione del quadro sicurezza in Siria, nonché degli esiti e delle prospettive dell'azione negoziale dell'ONU.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   NASTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Sole 24 Ore, sabato 28 settembre 2013, i segnali provenienti dalla Confindustria, in tema di contrasto alla contraffazione, sono positivi ma non sufficienti nel fronteggiare un fenomeno particolarmente penalizzante per l'economia italiana, se si considera che il fatturato del falso e le conseguenze negative che ne derivano da esso, sono stimati a circa 7 miliardi di euro, con una perdita di entrate fiscali pari a 5 miliardi di euro ed un aumento nelle dogane del ritrovamento di merce contraffatta tra il 2000 ed il 2010 pari al 1.700 per cento;
   la principale associazione degli industriali italiana, evidenzia come sia necessario potenziare il sistema dei controlli e della trasparenza, in maniera uniforme in tutti e 28 gli Stati comunitari, anche attraverso l'istituzione a livello comunitario di un Authority per la contraffazione, i cui profili di criticità, includono ambiti differenti: dalla produzione, alla sicurezza, all'ambiente;
   l'interrogante evidenzia, come nella scorsa legislatura, attraverso la proposta di legge presentata sul fenomeno degli illeciti nel settore agroalimentare, avesse sostenuto la necessità di estendere alla lotta alla contraffazione alimentare gli stessi metodi di indagine utilizzati nel contrasto per i reati di mafia, al fine di debellare un fenomeno come quello della falsificazione dei prodotti agroalimentari, che mette a repentaglio la qualità e la sicurezza alimentare dei prodotti alimentari, con la vendita di prodotti, da parte delle associazioni criminali, spacciati come produzioni nazionali, ma ottenuti in realtà con materie prime importate, spesso di bassa qualità –:
   quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, anche in ambito comunitario intendano intraprendere, al fine di intervenire attraverso l'introduzione di norme più incisive e rigorose, per contrastare un fenomeno grave e penalizzante per l'economia italiana, quale la contraffazione dei prodotti commerciali ed agroalimentari del made in Italy, che danneggia in maniera rilevante il sistema produttivo nazionale con ripercussioni negative anche in ambito occupazionale. (4-02004)

  Risposta. — Con riferimento all'atto indicato in esame, per quanto di competenza, ed in particolare al problema della contraffazione si rappresenta quanto segue.
  Il fenomeno della contraffazione è controllato dalla criminalità organizzata ed è esteso a tutti i settori produttivi; esso inoltre è caratterizzato da una specializzazione territoriale e da una notevole capacità di adattamento alle mutevoli esigenze del mercato. Scaturiscono da questo rilevanti conseguenze sul piano economico e sociale del fenomeno e conseguentemente la necessità di individuare efficaci pratiche di contrasto.
  A questo scopo, presso il Ministero è stato costituito il Consiglio nazionale anticontraffazione (Cnac), che riunisce tutti gli operatori del sistema anticontraffazione italiano.
  Il Consiglio, istituito con la legge 23 luglio 2009, n. 99, operativo dal 2011, è l'organismo interministeriale con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento strategico delle iniziative intraprese da ogni amministrazione in materia di lotta alla contraffazione. Vi partecipano undici Ministeri – sviluppo economico, economia e finanze, affari esteri e della cooperazione internazionale, difesa, politiche agricole, interno, giustizia, beni e attività culturali, lavoro e politiche sociali, salute e funzione pubblica – e l'Anci, l'Associazione nazionale dei comuni italiani.
  Il Consiglio ha predisposto un piano nazionale anticontraffazione e indicato gli indirizzi per orientare e migliorare anche l'azione delle amministrazioni. Il piano ha individuato sei ambiti prioritari in materia di lotta alla contraffazione; comunicazione, informazione e formazione destinate ai consumatori; rafforzamento dei presidi territoriali; lotta alla contraffazione via
internet; formazione alle imprese in tutela della proprietà industriale; tutela del made in Italy dai fenomeni di usurpazione all'estero.
  Il 25 novembre 2014, si è tenuta a Roma una riunione dei Consigli nazionali anticontraffazione Cnac Eumed; nel corso della stessa i rappresentanti dei governi di Algeria, Bulgaria, Croazia, Egitto, Francia, Grecia, Giordania, Italia, Libano, Malta, Marocco, Portogallo, Romania, Serbia, Slovenia e Spagna hanno firmato un nuovo documento d'intesa, la «Carta di Roma per il rafforzamento della lotta alla contraffazione», dando ulteriore impulso alle politiche e alle azioni anticontraffazione.
  La «dichiarazione di Roma» mira al rafforzamento, nell'ambito di ciascun Paese, del coordinamento tra autorità pubbliche e private, attraverso la creazione ed il mantenimento di Comitati nazionali anticontraffazione (sul modello del Consiglio nazionale anticontraffazione italiano e del Comitato nazionale anticontraffazione francese) e al miglioramento del raccordo tra di essi.
  Ciò avverrà rafforzando la collaborazione internazionale nel campo:
   dei diritti di proprietà intellettuale, al fine di rafforzare la capacità, la tempestività e l'efficacia delle autorità;
   della lotta alla contraffazione
on line, per ottenere informazioni su questo fenomeno in rapida e continua evoluzione;
   della comunicazione/informazione/educazione, rivolta ai consumatori, ai produttori ed alle istituzioni, al fine di aumentare la consapevolezza dei problemi collegati alla contraffazione;
   della formazione del personale, che si occupa della lotta alla contraffazione;
   delle strutture legislative ed istituzionali, per la promozione di scambi di conoscenze e informazioni sul sistema legale nazionale, sui rispettivi piani nazionali anti-contraffazione e le relative attuazioni.

  Per raggiungere tutti gli obiettivi prefissati nella «dichiarazione di Roma», i Paesi partecipanti hanno concordato di creare una rete di comitati nazionali anticontraffazione (Rete Cnac Eumed). Hanno inoltre concordato di identificare in ogni Paese un «focal point» che faccia da facilitatore nei confronti delle proprie autorità nazionali nel caso giunga ad esso, da parte delle autorità di altri Paesi firmatari, la segnalazione di casi di contraffazione per la risoluzione dei quali è necessario il coinvolgimento delle autorità nazionali.
  Inoltre su base di alcune proposte avanzate dal Consiglio nazionale anticontraffazione, è stata formalizzata una proposta di «legge speciale Expo» per la tutela dei segni distintivi collegati all'Esposizione universale, che si terrà a Milano da maggio ad ottobre 2015. Inoltre, è stato deciso anche il varo di una norma, anch'essa formalizzata, per incentivare l'adozione dei marchi collettivi di fonte privata gestiti in forma consortile o equivalente con lo scopo di valorizzare e rendere riconoscibile l'eccellenza dei prodotti italiani sui mercati esteri. Nell'ambito del rafforzamento territoriale, è stato proposto ancora un ulteriore intervento al fine di rendere effettiva l'applicazione delle sanzioni nei confronti degli acquirenti consapevoli di prodotti contraffatti.
  Con un'apposita convenzione stipulata in data 6 dicembre 2013, il Ministero ha affidato all'ICE-Agenzia la costituzione di quattro
desk per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e di assistenza per gli ostacoli al commercio.
  I
desk sono entrati in funzione, a maggio dello scorso anno, presso gli uffici dell'Istituto per il commercio estero Agenzia di Pechino, Mosca, Istanbul e New York.
  Le sedi sono state individuate sulla base della rilevanza commerciale del mercato e della diffusione del fenomeno della contraffazione, oltreché della particolare difficoltà di accesso al mercato stesso. Il personale incaricato ha il compito di prestare assistenza ad aziende e associazioni italiane sulle problematiche e criticità specifiche sia della contraffazione che della tutela dei marchi.
  Il contatto diretto con importatori e distributori di prodotti italiani permetterà di monitorare gli aspetti di maggiore interesse per le imprese italiane.
  Per quanto attiene al fenomeno del cosiddetto «
italian sounding», tipico della contraffazione nel settore agro-alimentare, occorre nell'ambito del Piano promozionale straordinario made in Italy di cui all'articolo 30 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, effettuare la realizzazione di campagne di promozione strategica nei mercati più rilevanti proprio per contrastare il fenomeno.
  Si forniscono, infine, informazioni sui sequestri effettuati in Italia di prodotti contraffatti, da parte dall'Agenzia delle dogane e dalla Guardia di finanza nel periodo 2008-2013 essi ammontano a circa 335 milioni, per un valore stimato di quasi 3,8 miliardi di euro. Attraverso la banca dati Iperico (
Intellectual Property – Elaborated Report of the Investigation on Counterfeiting), vista l'importanza di un'attività di monitoraggio del fenomeno in maniera integrata e globale, vengono raccolti e armonizzati i dati sulle attività di contrasto dei diversi corpi preposti (Guardia di finanza, Agenzia delle dogane, carabinieri, polizia di Stato, polizie locali), anche con riferimento alle diverse tipologie di illeciti, che vanno dalla contraffazione alla pirateria, dalla violazione in materia di made in Italy, alla normativa sulla sicurezza dei prodotti.
La Sottosegretaria di Stato per lo sviluppo economicoSimona Vicari.


   NICCHI, ZARATTI e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Toscana è presente la palude interna più vasta d'Italia: il Padule di Fucecchio. Situato fra le province di Pistoia e Firenze, esso interessa 6 diversi comuni (due dell'area fiorentina e quattro dell'area pistoiese), ma, per ragioni storiche, concorre a definire l'identità culturale di un territorio assai più vasto che comprende l'intera Valdinievole e un segmento importante del Valdarno;
   il Padule è caratterizzato da una grande estensione territoriale, una notevole diversificazione ambientale, una collocazione geografica di cerniera fra le regioni climatiche continentali e quelle mediterranee;
   in ragione della sua rilevanza naturalistica e ambientale il Padule di Fucecchio è stato inserito fra le aree natura 2000 sulla base delle direttive europee «Habitat» e «Uccelli». In esso ricadono infatti due SIC e due ZPS contermini strettamente connessi sotto il profilo ecologico, denominati rispettivamente «Padule di Fucecchio» (codice IT5130007, 2081 ettari) e «Bosco di Chiusi e Paduletta di Ramone» (codice IT5140010, 418 ettari);
   l'intera area, ovvero la superficie delle due aree natura 2000 di cui sopra, è stata inserita nell'elenco delle zone umide di importanza internazionale, sulla base della convenzione di Ramsar;
   a fronte di questi riconoscimenti appare troppo limitata la superficie interessata da aree protette (complessivamente pari a soli 230 ettari), con una tendenza negli ultimi anni addirittura negativa, che ha visto la cancellazione di ampliamenti già previsti negli strumenti di pianificazione di province e regione;
   ruolo rilevante nella tutela del Padule di Fucecchio è svolto, da oltre venti anni, dal Centro di ricerca, promozione e documentazione del Padule di Fucecchio, Onlus, il cui consiglio di amministrazione è costituito da membri della provincia di Pistoia, dei comuni aderenti e di associazioni;
   il Centro rappresenta un'esperienza di gestione pubblica di un patrimonio pubblico che ha funzionato bene sia dal lato economico (con amministratori, compreso il presidente, a costo zero), sia sul lato dei risultati conseguiti: uno staff di persone costituito da due dipendenti, vari collaboratori esterni (guide ambientali, professionisti esperti in varie discipline e altri) e da un nutrito gruppo di volontari;
   il CRPD ha ottenuto importanti riconoscimenti scientifici per i risultati ottenuti. Gli uccelli presenti nell'area sono aumentati notevolmente quanto al numero e si sono aggiunte nuove specie che venti anni fa avevano abbandonato l'area; il CRPD ha inoltre gestito due riserve naturali una delle quali («Le Morette») di proprietà della provincia di Pistoia. Nel 2013 è stato anche inaugurato un nuovo centro visite dell'area protetta, una struttura all'avanguardia, che in pochi mesi ha visto l'affluenza di oltre cinquemila visitatori, e dove si sono susseguite mostre, conferenze e ed altre attività didattiche, scientifiche e culturali;
   attualmente si sono verificati dei fatti che fanno temere per il futuro del Centro e per la tutela dell'area: la provincia di Pistoia ha ridotto la superficie dell'oasi di protezione «Brugnana-Ramone-Chiusi», comunicando altresì che per il 2015 non contribuirà più al finanziamento del Centro. I comuni di Larciano, Ponte Buggianese e Lamporecchio hanno rotto, ciascuno per proprio conto, il rapporto associativo con il CRPD;
   per garantire un futuro al CRPD, nel maggio 2014, è stato promosso un appello dai ricercatori che hanno svolto attività di ricerca e/o di consulenza scientifica in ambito botanico, zoologico e ambientale nel Padule di Fucecchio. La morte del centro potrebbe provocare l'entrata in campo di soggetti portatori d'interessi privati, rispetto ai quali non v’è garanzia alcuna del perseguimento del bene comune –:
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza in sede europea al fine di ampliare, sulla base di criteri tecnici, l'estensione delle aree protette SIC e ZPS (che attualmente interessano appena il 10 per cento dell'area). (4-07362)

  Risposta. — In relazione a quanto segnalato con la interrogazione parlamentare in esame, per quanto attiene alle possibili, iniziative da assumere in sede europea per l'ampliamento delle aree protette SIC-Siti di importanza comunitaria e ZPS-Zone di protezione speciale ubicate nel Padule di Fucecchio, la più estesa palude interna italiana, ubicata in Toscana sul confine tra le province di Pistoia e Firenze, si fornisce di seguito una sintesi dei rapporti intercorsi tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Toscana in merito ad una possibile riperimetrazione del sito di importanza comunitaria IT5130007/zona di protezione speciale IT5130003 «Padule di Fucecchio».
  Più in particolare, si riferisce che con delibera del Consiglio regionale n. 1 del 28 gennaio 2014 la regione Toscana aveva approvato una proposta di riperimetrazione del predetto sito, successivamente inoltrata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per l'avvio del pertinente
iter procedurale volto ad attuare, a livello comunitario, la modifica proposta.
  In merito alle modifiche che si volevano introdurre nella preesistente perimetrazione, veniva specificato che «sono state escluse, come richiesto dalla Provincia di Pistoia, alcune aree e sono state designate, quali SIC-ZPS, ulteriori aree meritevoli di tutela non comprese nell'attuale perimetrazione del sito, rendendo, ai fini anche di una migliore gestione della porzione di sito in essa compreso, maggiormente coerenti gli attuali confini con quelli dell'area contigua dell'omonima riserva principale».
  Il Ministero, per quanto di competenza, non ritenendo accoglibile la proposta, forniva riscontro in tal senso con note del 23 e 24 aprile 2014.
  La nuova perimetrazione, infatti, risultava non conforme alle indicazioni pervenute dalla Commissione europea, la quale ha invitato l'Italia a non apportare per il momento modifiche agli attuali perimetri dei Siti appartenenti alla Rete Natura 2000, soprattutto in caso di riduzione delle superfici. Questo in ragione del fatto, che il nostro Paese è in grave ritardo nella designazione delle zone speciali di conservazione (Zsc), motivo per il quale è stata anche avviata la procedura EU Pilot 4999/13/ENVI. Le eventuali modifiche da apportare dai confini di un sito di importanza comunitaria implicano un processo di valutazione e approvazione a livello comunitario che nel suo complesso ritarderebbe di ulteriori due anni la designazione dell'area in questione come zona speciale di conservazione.
  Alla luce della riferita posizione ministeriale, con la Risoluzione n. 264 del 29 luglio 2014, tuttavia, il consiglio regionale della Toscana, non ritenendo di adeguarsi alle conclusioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha invitato la giunta regionale a intraprendere un confronto con i competenti uffici ministeriali per verificare la possibilità di proporre nuovamente la modifica del perimetro del sito di importanza comunitaria e zona di protezione speciale «Padule di Fucecchio». Insieme a tale sito, si faceva riferimento anche al sito di importanza comunitaria IT51A0023 «Isola del Giglio», anch'esso oggetto di una proposta di riduzione del perimetro non accolta dal Ministero per le medesime e riferite ragioni.
  Il 2 ottobre 2014 si è svolto un incontro in videoconferenza tra i rispettivi, uffici: la direzione generale per la protezione della natura e del mare, per il Ministero, e la direzione politiche ambientali – settore tutela e valorizzazione delle risorse ambientali per la regione.
  Nel corso della riunione il Ministero ha confermato l'impossibilità di accogliere le proposte di nuova perimetrazione dei siti «Padule di Fucecchio» e «Isola del Giglio», considerata la necessità e l'urgenza di procedere alla «promozione» dei siti di importanza comunitaria in zone di protezione speciale, senza alcuna alterazione delle pertinenti estensioni territoriali. Ciò al fine di attenersi agli impegni assunti con la Commissione europea che, se non rispettati, condurranno alla apertura di una procedura di infrazione, dal momento, come sopra riferito, che è già in corso la procedura EU Pilot 4999/13/ENVI per mancata designazione delle zone speciali di conservazione.
  Inoltre, si è discusso circa la possibilità di proporre la nuova perimetrazione non appena completato il passaggio da siti di importanza comunitaria a zone speciali di conservazione, anche se nel limite dei soli ampliamenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a bombardare il territorio di Teulada non saranno più solo i carri armati, le navi e gli elicotteri;
   tra non molto nel poligono decolleranno i droni militari;
   aerei sperimentali sofisticatissimi, senza pilota, capaci di guerre aeree efferate senza l'ausilio di piloti ma tutto attraverso lo schermo di un video game;
   il Ministero della difesa mostra di non avere più nessun argine e non solo non chiude le basi militari ma incrementa senza pudore le loro funzioni;
   dentro il poligono di Teulada è iniziata la costruzione di un vero e proprio aeroporto per il decollo dei droni militari di ultima generazione;
   a quanto risulta all'interrogante decine di camion da giorni scaricano dentro la base migliaia di metri cubi di sterile, accumulati in prossimità dell'area individuata per realizzare una rampa per il decollo e l'atterraggio dei velivoli senza pilota, i droni;
   vere e proprie montagne di sterili di cui non si conosce la provenienza, sono ormai dentro la base sempre a quanto risulta all'interrogante è iniziata la movimentazione del materiale che dovrà servire per realizzare la struttura portante della rampa;
   la quantità così rilevante di materiale lascia comprendere che i vertici militari abbiano optato per l'utilizzo dell'area di atterraggio degli elicotteri per realizzare una grande rampa di lancio, cioè un sistema cosiddetto «a catapulta» per questi velivoli ormai sempre più sperimentati per le attività militari;
   una pista con oltre un ettaro di nuova superficie destinata a base operativa per i droni;
   non è noto se tale progetto disponga dell'autorizzazione edilizia, urbanistica, paesaggistica, di sicurezza, tale progetto appare in totale dispregio di quanto sta avvenendo in Sardegna sulle basi militari;
   sia il Ministro della Difesa che i vertici militari hanno detto più volte che avrebbero voluto trattare una nuova intesa;
   tutto ciò appare smentito dai fatti;
   è di una gravità inaudita che nonostante la mancata firma dell'accordo la difesa decisa di realizzare a Teulada una struttura invasiva non solo l'impatto sull'area ma anche e soprattutto per il tipo di velivolo che si intende sperimentare proprio in Sardegna;
   resta da comprendere per quale motivo non lo si sperimenta per esempio nelle colline toscane;
   è evidente che si vuole ancora una volta pensare alla Sardegna in termini di una terra dove poter fare di tutto e di più senza alcun tipo di controllo;
   questo ennesimo progetto deve essere bloccato;
   accettare ulteriori pesantissimi aggravi nel territorio di Teulada significa mortificare ulteriormente quel territorio ignorando la grande mobilitazione dei sardi e il parere del CoMiPa che aveva più volte negato l'autorizzazione a nuovi insediamenti militari;
   si tratta di un uso sempre più indiscriminato del territorio a questo punto alla mercé anche di mezzi senza ausilio di uomini;
   non è dato sapersi quali saranno le nazioni che utilizzeranno quella rampa ma sono diverse quelle che hanno messo a punto i micidiali droni a partire dal prototipo top-secret del drone inglese da guerra senza pilota «Taranis», che ha recentemente completato la seconda serie di prove di volo in una località segreta;
   si affaccia nello scenario anche un progetto anglo-francese noto come Future Combat Air System (FCAS) che potrebbe essere destinato a sperimentazioni in ambito Nato con l'obiettivo di sviluppare un nuovo drone da combattimento;
   il drone ha dimostrato la sua capacità di rullare autonomamente verso la pista per il decollo, decollare e volare sino alla zona di destinazione, individuare un bersaglio e ritornare alla base;
   tutto questo «sulla testa» dei sardi e della Sardegna senza che nessuno dica niente e con una regione che lascia fare il Ministero della difesa –:
   se intenda confermare l'esecuzione di lavori per la realizzazione di una pista da destinare ai droni;
   se disponga di autorizzazioni per la realizzazione del progetto e di quali;
   se le autorità locali si siano espresse formalmente sul progetto;
   se non ritenga di dover definire con le autorità locali il piano di dismissione delle aree destinante ad esercitazioni militari a fuoco. (4-06421)

  Risposta. — A premessa del riscontro ai quesiti posti nell'interrogazione, appare opportuno delineare il quadro normativo sulla base del quale si è pervenuti alla determinazione di realizzare il modesto adeguamento di strutture già esistenti nel poligono di Capo Teulada per le esigenze correlate all'attività di addestramento con l'uso di velivoli a pilotaggio remoto di categoria tattica di tipo Tuav (Tactical unmanned aerial vehicle).
  L'articolo 322, comma 1, del decreto legislativo n. 66 del 2010, prevede che presso ciascuna regione sia costituito un Comitato misto paritetico (CoMiPa) – composto da rappresentanti dei Ministeri della difesa e dell'economia e delle finanze, nonché delle regioni – per l'esame dei problemi di armonizzazione tra i piani di assetto territoriale e di sviluppo economico e sociale nella regione e i programmi delle installazioni militari e le conseguenti limitazioni.
  Il comma 11 del medesimo articolo prevede che, comunque, le decisioni definitive sui programmi delle installazioni militari siano riservate al Ministro della difesa, fermo restando che la regione interessata può chiedere al Presidente del Consiglio dei ministri che la questione sia posta al riesame dello stesso Consiglio che si esprime entro 90 giorni.
  In linea con tale disposizione, l'articolo 431, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 stabilisce che, se nell'ambito del CoMiPa non è raggiunta l'unanimità sui programmi presentati e sulle conseguenti limitazioni, essi siano sottoposti al Ministro della difesa per le definitive decisioni.
  Nel pieno rispetto della normativa sopra richiamata, con determinazione definitiva del Ministro della difesa, adottata in data 3 marzo 2014, sono stati quindi approvati i lavori di adeguamento della striscia di atterraggio già esistente presso il citato poligono.
  Tali lavori consentiranno l'utilizzo dei Tuav nelle attività di supporto ai militari in addestramento. Infatti le «
lessons learned» tratte dalle attività condotte nei teatri operativi ove la Nazione è chiamata ad operare, hanno indicato inequivocabilmente la necessità di integrare la preparazione delle truppe anche con l'uso di tali mezzi, per la protezione non solo dei militari impegnati in missione ma, parimenti, per la tutela delle popolazioni civili.
  Si tratta di velivoli tattici a pilotaggio remoto, molto flessibili, impiegati per missioni di
intelligence, sorveglianza e ricognizione, di categoria a breve raggio, concepiti per operare a stretto contatto con i reparti operativi.
  Non sono dotati di armamenti ma esclusivamente di sensori opto-elettronici e verranno impiegati per l'addestramento all'interno dello spazio demaniale.
  Per la realizzazione del progetto sono stati osservati tutti gli adempimenti di legge e seguite le procedure previste dalla normativa in materia di realizzazione di opere militari i cui interventi, che comportano l'allargamento di pochi metri quadrati della pista attualmente esistente, sono in fase di esecuzione a cura dei competenti organi tecnici militari, e previsti in completamento per la metà di aprile 2015.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   PRATAVIERA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica Dominicana è destinazione d'elezione di un certo numero di pensionati italiani, che vi si trasferiscono per trascorrervi più serenamente la loro vecchiaia;
   a dispetto della presenza di una comunità di italiani che vi risiedono, il Governo del nostro Paese ha chiuso l'ambasciata, affidando la cura degli interessi nazionali nella Repubblica Dominicana alla legazione diplomatica basata a Panama;
   la circostanza è motivo di irritazione e preoccupazione per i concittadini che risiedono nella Repubblica Dominicana;
   ha destato particolare sensazione quanto è accaduto al signor Giovanni Orti, giunto a Santo Domingo nel 2013 e stabilitosi nella provincia dominicana di El Seibo, che ha prima perso la casa ed è stato successivamente assalito e derubato, precipitando in una situazione di assoluta precarietà della quale si è occupata anche la stampa locale;
   fermato dalla polizia locale e controllato il suo passaporto italiano, Orti è stato condotto presso la sede dell'ambasciata, del nostro Paese a Santo Domingo, che tuttavia è risultata aver chiuso i battenti dal 31 dicembre 2014;
   nelle more di un soccorso da parte dello Stato che tarda tuttora a materializzarsi, Orti ha beneficiato dell'assistenza volontariamente prestatagli da altri italiani residenti nella Repubblica Dominicana;
   il caso di Orti non sarebbe isolato –:
   quali misure il Governo intenda adottare ed in quali tempi per soccorrere il signor Giovanni Orti, abbandonato a se stesso ed alla buona volontà del prossimo nella Repubblica Domenicana;
   quali criteri abbiano condotto il Governo alla decisione di chiudere l'ambasciata d'Italia a Santo Domingo a dispetto del fatto che nella Repubblica Dominicana risiedano numerosi pensionati italiani. (4-07554)

  Risposta. — In merito al caso sollevato dall'interrogante, la nostra Sede a Panama, appreso l'8 gennaio 2015 delle condizioni di precarietà in cui versava il connazionale Giovanni Orti, si è subito adoperata per fornirgli assistenza.
  Dopo avere tentato senza esito di contattare il figlio del signor Orti (che si trova attualmente in Inghilterra per motivi di studio), l'ambasciata ha inviato alla questura di Venezia ed al comune di residenza una richiesta per accertare l'effettiva residenza dei familiari e informarli della situazione. Nel contempo il nipote del signor Orti, raggiunto dall'ambasciata, ha assicurato che si sarebbe incaricato in prima persona di reperire il figlio del connazionale per trovargli una sistemazione e provvedere al suo rientro in Italia.
  Nel frattempo, il corrispondente consolare
in loco (e console generale onorario designato) ha fatto visita al connazionale per accertarsi delle sue condizioni. In tale occasione l'Orti ha riferito di essere in contatto con il figlio a Londra ed avere così «risolto i suoi problemi».
  Il giorno successivo, a seguito di un'altra visita consolare, il connazionale risultava in un hotel di Santo Domingo, in attesa di ricevere dal figlio il biglietto di rientro.
  Il 13 gennaio, il designato console onorario ha comunicato all'ambasciata a Panama di essere riuscito a parlare con il figlio del signor Orti, il quale si era impegnato a portare a casa il padre al più presto. Il connazionale è rientrato in Italia nel fine settimana del 17/18 gennaio.
  Per quanto riguardo la decisione di chiudere l'ambasciata d'Italia a Santo Domingo, essa si inserisce in un più ampio piano di riorganizzazione della rete diplomatico-consolare italiana dovuto ad esigenze di revisione della spesa pubblica dettate da inderogabili obblighi di legge. L'esercizio della
spending review, ai sensi del decreto legislativo n. 95 del 2012, impone infatti al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) specifici obiettivi di riduzione numerica delle strutture all'estero e di favorire al contempo una più efficiente allocazione delle risorse umane e finanziarie. Si è dunque proceduto ad una valutazione sull'opportunità di modificare l'organizzazione della presenza italiana a Santo Domingo attraverso l'istituzione di una struttura diplomatica sotto forma di Sezione distaccata della nostra ambasciata in Panama che opererà presso la delegazione dell'Unione europea in Santo Domingo, nel quadro di una moderna forma di sinergia logistica e funzionale con il Servizio europeo per l'azione esterna (Seae). Tale struttura sarà guidata da un funzionario diplomatico, già individuato dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che sarà regolarmente accreditato presso le autorità dominicane ai sensi della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, in modo tale da garantire una stabile presenza istituzionale nel Paese per la migliore tutela degli interessi nazionali. Con questa operazione sarà possibile realizzare un rilevante obiettivo di risparmio, che però non comporterà una diminuzione dell'impegno italiano anche alla luce dell'importanza del legame storico, culturale e umano che unisce i due Paesi.
  Per quanto riguarda i criteri adottati nella scelta delle sedi da inserire nel piano, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale si è sempre informato a criteri di trasparenza. Le ragioni e gli obiettivi del processo di riorientamento della rete sono state, come noto, oggetto di attento esame in sede parlamentare. In più occasioni si è ribadito che l'intendimento non è stato certo quello di sacrificare la rete, ovvero uno degli strumenti essenziali della proiezione internazionale dell'Italia, bensì – al pari di analoghi processi seguiti dai nostri principali
partner europei ed internazionali – di renderla più aderente alle attuali esigenze, contemperando gli stringenti vincoli della finanza pubblica con le priorità strategiche poste dai nuovi scenari internazionali e geo-politici.
  Infine nella consapevolezza dell'importanza di assicurare anche in futuro un'efficace azione di sostegno ed assistenza verso i connazionali, è previsto il rafforzamento della nostra rete consolare onoraria nel Paese attraverso un complessivo riassetto delle competenze e, in particolare, la costituzione di un consolato generale onorario in Santo Domingo: tale ufficio verrà attivato non appena giungerà il necessario assenso delle autorità dominicane. In attesa di ciò, il futuro console generale onorario è stato investito dell'incarico di corrispondente consolare in modo che possa avviare sin da subito una tempestiva azione di sostegno ai connazionali. Proprio allo scopo di illustrare e valorizzare il nuovo assetto istituzionale, è stata recentemente effettuata una missione
in loco da parte del funzionario diplomatico designato a guidare la futura Sezione distaccata a Santo Domingo presso il Servizio europeo per l'azione esterna, che ha avviato proficui contatti con il Governo dominicano e con le nostre collettività residenti.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione della Repubblica Italiana all'articolo 9 dei Principi Fondamentali così recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione»;
   il paesaggio italiano è il risultato di millenni di storia in cui civiltà e culture diverse si sono succedute e intersecate nella sua struttura costituendone bellezza e identità culturale. Ciò che inoltre distingue la complessità dei caratteri storici del paesaggio italiano, rispetto ad altri paesaggi europei, è la molteplicità e la stratificazione delle impronte che le molte civiltà che vi sono susseguite hanno lasciato nel territorio e nelle forme di boschi e campagne e insediamenti urbani. Civiltà che hanno poi dato al nostro territorio un grandissimo contributo di specie vegetali, tecniche di coltivazione, modi di captazione e uso dell'acqua, costruzioni e manufatti, tanto da far assumere al paesaggio italiano un valore storico del tutto particolare rispetto agli altri paesi europei. Paesaggio che per l'Italia tutta costituisce una ricchezza economica di inestimabile valore per la nostra nazione e che deve essere tutelata;
   è notizia del 14 aprile 2013, riportata da quotidiani locali umbri e anche da un servizio del Tg2, edizione del secondo canale RAI delle ore 13, che conferma la realizzazione di un campo eolico sul Monte Peglia, in provincia di Terni, a pochissimi chilometri dalla città di Orvieto, e descrive le relative proteste dei cittadini e da alcuni comitati;
   si apprende poi da vari articoli presenti on line che, con la presentazione di due progetti alla Provincia di Terni, la società Innova Wind, con sede a Napoli e capitale sociale di 10.000 euro, intende installare, sul monte Peglia: 18 torri eoliche ognuna alta 150 metri e rotori di 82 metri di diametro, basamenti in cemento per un totale di 6 ettari, nuove strade di collegamento tra torre e torre, due imponenti sottostazioni elettriche ed elettrodotti per l'innesto alla rete elettrica nazionale;
   il sopracitato campo eolico sarebbe poi visibile da più orizzonti e da elevata distanza, tra l'altro anche dal duomo di Orvieto, capolavoro del gotico e neogotico italiano del XVI secolo, che rendono la città umbra famosa in tutto il mondo;
   il consiglio provinciale di Terni ha inoltre recentemente bocciato, all'unanimità, con un ordine del giorno il progetto di installazione di pale eoliche sul Monte Peglia, di fronte ad Orvieto –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della vicenda e se essa corrisponda al vero;
   se agli uffici preposti dei dicasteri competenti si trovino richieste di autorizzazioni paesaggistiche per le installazioni delle pale eoliche del Monte Peglia;
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo per scongiurare il deturpamento del paesaggio circostante la città di Orvieto e se si intenda verificare, anche per il tramite dell'autorità di bacino e per mezzo degli uffici territoriali competenti, se il predetto campo eolico sia compatibile con i parametri di rischio idrogeologo dell'area individuata. (4-00300)

  Risposta. — Nell'aprile 2013, come riportato nell'interrogazione in esame, gli organi di stampa hanno dato notizia della presentazione alla provincia di Terni, da parte della società Innova Wind, di due progetti per la localizzazione sul monte Peglia di un campo eolico che, per le sue dimensioni (18 torri eoliche, ognuna alta 150 metri e con rotori di 82 metri di diametro), sarebbe risultato visibile da elevata distanza, anche fin dal duomo di Orvieto.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), interrogato al riguardo, ha confermato quanto comunicato in occasione dell'interrogazione a risposta scritta n. 4-00430 a firma del senatore Ginetti.
  In particolare, il competente ufficio territoriale del governo ha riassunto la fattispecie segnalata dagli interroganti, confermando che il 26 luglio 2012 la società Innova Wind a responsabilità limitata, con sede legale in Napoli, Via Andrea Isernia n. 28, ha presentato alla provincia di Terni due istanze finalizzate alla costruzione di un parco eolico costituito da due impianti per la produzione di energia elettrica alimentato da fonte energetica rinnovabile eolica. Il primo di potenza pari a 23 megawatt di potenza nel comune di San Venanzo, località «La Montagna», mentre il secondo pari a 18,4 Megawatt di potenza nei comuni di Parrano e San Venanzo, località «Poggio della Cavallaccia».
  I due impianti eolici, costituiti da complessivi 18 aerogeneratori di altezza pari a 108 metri, con diametro dei rotori di 82 metri, 15 dei quali da realizzare nel comune di San Venanzo e i rimanenti 3 nel comune di Parrano, interesserebbero circa 12.000 metri quadrati di crinale del Monte Peglia, zona di particolare valenza ambientale, ricadente nell'area naturale protetta dello S.T.I.N.A. (Sistema territoriale di interesse naturalistico ed ambientale cui aderisce il comune di San Venanzo) e situata nelle immediate vicinanze del parco naturalistico Elmo-Melonta.
  Com’è noto, è stabilito che gli impianti eolici a terra rientrino nella competenza delle regioni, sia per quanto attiene la valutazione d'impatto ambientale, sia per quanto riguarda l'autorizzazione alla realizzazione, salvo delega alle province. Tale tipologia di impianti, infatti, è ricompresa negli allegati III e IV alla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006, relativi alle opere per le quali è richiesta la VIA regionale, mentre l'autorizzazione regionale è prevista ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003.
  Nel caso in esame, la provincia di Terni, competente a seguito di delega regionale alla gestione del procedimento di autorizzazione unica, ha fatto presente che, a seguito della presentazione delle predette istanze a cura della società Innova Wind e una volta ritenute queste «accoglibili» secondo le procedure definite con il pertinente regolamento regionale (approvato con decreto della giunta regionale n. 1466 del 29 dicembre 2011), quest'ultime sono state sottoposte alle valutazioni della conferenza di servizi al solo fine di accertare, in via preliminare, anche la loro «procedibilità».
  All'esito positivo delle pertinenti valutazioni, i termini di decorrenza dei procedimenti autorizzativi sono stati comunque sospesi in attesa che il soggetto proponente producesse le integrazioni documentali ritenute indispensabili dalla conferenza di servizi predetta, per poter consentire, qualora ritenute conformi alle richieste, la conseguente attivazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA), obbligatorie e vincolanti, come si è già riferito, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Solo in tale ambito, così, potrebbe essere effettuato il primo dettagliato esame della pertinente progettazione, e procedere, in tale occasione, alle conseguenti valutazioni di merito nel rispetto della vigente normativa di settore per gli aspetti paesaggistici e ambientali.
  Fermo restando tutto quanto sopra esposto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pur in assenza di qualsivoglia competenza nell'ambito del processo autorizzativo in parola ma alla luce delle funzioni ad esso attribuite quale garante della integrità dei siti di natura 2000 nei confronti dell'Unione europea e nell'ambito di una più generale funzione di tutela dell'ambiente e del territorio, stante la rilevanza degli interessi ambientali in gioco, tutelati, comunque con la ineludibile procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) di competenza regionale, ha dichiarato che provvederà ad adottare ogni lecita e possibile iniziativa, anche mediante un costante monitoraggio della situazione in atto, finalizzata a garantire il massimo rispetto delle procedure appositamente dettate a salvaguardia della integrità del territorio.
  Per ciò che attiene più propriamente alle competenze del Ministero dello sviluppo economico, si fa presente quanto segue.
  Le linee guida statali, approvate in Conferenza unificata su proposta concertata dai Ministri dello sviluppo economico, dell'ambiente e dei beni culturali, ed emanate con il decreto ministeriale 10 settembre 2010, definiscono modalità omogenee per le regioni e le province autonome per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione unica alla costruzione e all'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, nonché delle opere connesse e infrastrutture indispensabili alla costruzione e all'esercizio degli impianti stessi (articolo 12 decreto legislativo n. 387 del 2003).
  Nell'allegato 4, le linee guida definiscono i criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti eolici, fornendo, in particolare, indicazioni per la localizzazione più opportuna dal punto di vista ambientale e paesaggistico, temi la cui esauriente valutazione e costituisce elemento favorevole nella valutazione del progetto.
  L'analisi che il proponente deve preliminarmente effettuare, ai fini di una localizzazione compatibile con il rispetto dei vincoli paesaggistici, comprende la verifica dei relativi livelli di tutela, delle caratteristiche del paesaggio nelle sue diverse componenti, naturali e antropiche, dell'evoluzione storica del territorio e dell'intervisibilità dell'impianto nel paesaggio (paragrafo 3.1, allegato 4). Detto allegato tecnico, specifico sugli impianti eolici, analizza poi tutte le componenti territoriali potenzialmente interessate dal progetto (ambientali, paesaggistiche, agricole, storiche, culturali), prevedendo le relative misure di mitigazione.
  Per quanto riguarda l'impatto visivo e paesaggistico, la configurazione progettuale e la localizzazione degli impianti eolici devono essere rivolte in via prioritaria al recupero di aree degradate e alla creazione di nuovi valori coerenti con il contesto paesaggistico e le sue specificità (paragrafo 3, allegato 4 delle linee guida).
  Al fine di valutare l'alterazione del valore panoramico, le linee guida prevedono che sia effettuata l'analisi dell'interferenza visiva dell'impianto, che comprende, tra l'altro, la definizione del bacino visivo e la ricognizione dei centri abitati e dei beni culturali e paesaggistici presenti entro una determinata area (lettere
a) e b), paragrafo 3.1, allegato 4). Si osserva inoltre che, nella localizzazione dei parchi eolici, la valutazione delle ricadute paesaggistiche deve tenere in opportuna considerazione gli effetti cumulativi derivanti dalla presenza di numerosi impianti.
  In quest'ottica, nell'ambito dell'osservatorio istituito con il decreto ministeriale 15 marzo 2012 (che ripartisce tra le regioni l'obbiettivo nazionale del 17 per cento del consumo di energia da fonti rinnovabili al 2020, cosiddetto decreto «
burden sharing») al quale partecipa anche il Ministero per i beni e le attività culturali, in ragione dell'esigenza di contemperare gli obbiettivi sulle fonti rinnovabili con quelli di tutela dell'ambiente e del paesaggio, si è prospettata la necessità di superare la logica di una valutazione parcellizzata degli impianti in esame, limitata quindi al singolo progetto. Lo strumento individuato per consentire detta valutazione cumulativa è un sistema informativo geografico computerizzato (GIS) finalizzato a cartografare la distribuzione territoriale degli impianti FER elettrici, ivi compresi quelli eolici, in corso di autorizzazione, autorizzati e in produzione, al fine di garantire un flusso informativo costante ed aggiornato di tutte le tipologie di autorizzazioni richieste, attraverso una piattaforma informatica unica e standardizzata. Le regioni hanno già dato la disponibilità ad implementare detto sistema con i progetti degli impianti in corso di autorizzazione.
  Si fa presente inoltre che, nel rispetto delle citate linee guida nazionali (paragrafo 17 e allegato 3) l'Umbria, con il regolamento regionale n. 7 del 2011, ha individuato le aree non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili.
  Per quanto concerne specificamente la fonte eolica, le linee guida regionali, oltre ad identificare le tipologie di aree non idonee alla realizzazione di impianti eolici di altezza superiore a 8 metri e potenza superiore a 60 kilowatt, stabiliscono, tra l'altro, che, qualora gli impianti siano localizzati in prossimità di aree tutelate o di valore paesaggistico, è necessario valutare le specifiche relazioni visuali e percettive con il sito prescelto, con particolare attenzione alla presenza di eventuali punti panoramici.
  Pertanto gli uffici amministrativi provinciali incaricati del procedimento di autorizzazione unica dovranno rispettare le normative nazionali e regionali appena illustrate. Infine, come rilevato dall'interrogante, si rammenta che, nell'ordine del giorno dell'8 aprile 2013, il consiglio provinciale di Terni ha espresso la propria contrarietà al progetto in questione argomentando, tra l'altro, che l'area interessata dalla localizzazione è compresa nel sistema territoriale di interesse naturalistico e ambientale (area Stina) del Monte Peglia-Selva di Meana, in cui sono consentiti «solo interventi che non alterino l'equilibrio dell'ambiente naturale esistente» (articolo 16, legge regionale n. 26 del 1989 e successive modificazioni e integrazioni).
  Preme evidenziare inoltre che gli uffici competenti della regione Umbria, sentiti al riguardo, hanno confermato che il procedimento autorizzativo in questione è fermo, visto che il proponente non ha ancora presentato istanza per il prescritto parere di compatibilità ambientale.
  Dalla stessa fonte si è appreso che nel novembre 2014 la regione ha deciso di ampliare l'area protetta Monte Peglia-Selva di Meana (STINA), interessata da alcuni aerogeneratori, al fine di tutelare compiutamente il territorio e preservare la flora e la fauna locali.

Il Viceministro dello sviluppo economicoClaudio De Vincenti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 15 febbraio un gruppo di liberi cittadini, raggruppatisi nel collettivo «Municipio dei Beni Comuni» ha aperto i sigilli della caserma Curtatone e Montanara, ex distretto militare di Pisa, chiuso e abbandonato da oltre 20 anni, per avviarne il recupero a favore della città al fine di ai bisogni di sociali dei cittadini. L'area consta di 8000 metri quadri di giardino e 4000 metri quadri di superficie coperta al fine di destinarli ai cittadini e ai bisogni di sociali della città toscana;
   il vasto complesso di edifici e il grande giardino si trovano nel centro del quartiere di San Martino con ingresso da via Giordano Bruno. La caserma è stata costruita ove si trovava un convento risalente al XIV secolo;
   il comune di Pisa ha chiesto di entrare in possesso a titolo gratuito di numerose aree ed edifici demaniali, secondo la possibilità offerta dal cosiddetto «federalismo demaniale». Fra le diverse richieste particolare importanza ha quella relativa alle caserme ancora presenti all'interno della città: la «Curtatone e Montanara» in via Giordano Bruno (ex distretto militare come detto da tempo in disuso) e l'Artale in via Derna ancora parzialmente utilizzata, ma con la previsione di una prossima dismissione;
   nelle scorse settimane il Ministero della difesa ha comunicato all'Agenzia del demanio che il bene è di suo interesse e utilizzo, per cui non è disponibile a dare il via libera al trasferimento a titolo gratuito al comune di Pisa, in base a quanto previsto dal federalismo demaniale. Nonostante l'area sia visibilmente dismessa da anni;
   la vicenda delle caserme comincia con il protocollo d'intesa del 2001 fino ad arrivare all'accordo di programma del 2007 di cui si è detto, per il quale è stata approvata una variante urbanistica nell'ottobre 2008, con la richiesta di una nuova caserma in area Ospedaletto. La caserma «Curtatone e Montanara» è forse lo spazio di interesse più immediato, essendo ormai in stato di abbandono da molti anni e conservando al suo interno tesori insospettabili per chi percorre le vie adiacenti. Oltre agli edifici, purtroppo ormai in pessime condizioni, ci sono circa 7500 mq di verde, una vera oasi nel cuore del quartiere storico di San Martino. La detta variante del 2008 prevede edifici residenziali di pregio, con il rischio della riduzione del verde pubblico a verde condominiale in contrasto con un precedente studio commissionato dal Comune di Pisa, nel 1966, che proponeva di liberare al pubblico quel verde aprendolo al quartiere con tre accessi. Quasi cinquanta anni dopo si presenta l'occasione di inserire coerentemente quegli spazi nel contesto urbano, conservandone l'identità e il pregio ambientale: Pisa ha poco verde pubblico in città (i dati più recenti del Rapporto dell'ecosistema urbano la pongono nella modesta media dei capoluoghi italiani) in particolar modo nel centro storico, e quei giardini sarebbero un bene prezioso;
   grazie alle organizzazioni del «Municipio beni comuni» è iniziata l'opera di pulizia e sistemazione della grande area a verde promossa dai volontari delle suddette associazioni all'interno della ex caserma «Curtatone e Montanara» stanno avendo luogo i percorsi di visite guidate che realtà associative, come Legambiente e il WWF, stanno svolgendo anche con un lavoro di catalogazione della flora presente nell'area; è stata lanciata una petizione promossa e sottoscritta da oltre 600 cittadini del quartiere San Martino in cui si auspica che «sia intrapreso, in tempi rapidi, un dialogo con il sindaco, la giunta, il consiglio, per esplorare possibili modalità di gestione partecipata dell'ex distretto all'insegna della mobilitazione civile, del volontariato, della gestione sostenibile e della rigenerazione urbana»;
   l'abbandono dell'area dell'ex distretto militare di Pisa ha aumentato il costo del recupero, ma è possibile ridurlo e renderlo sostenibile con la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini. La domanda di socialità esiste ed è forte, la capacità di gruppi e associazioni di rispondere concretamente a queste esigenze è dimostrata dall'esperienza –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di loro competenza, intendano dare informazione sullo stato dell’iter di affidamento del complesso demaniale dell'ex distretto militare di Pisa al comune di Pisa e quali siano le procedure già messe in atto per avviare e concludere al più presto, attraverso l'Agenzia del demanio, al trasferimento del bene in questione al comune secondo quanto previsto dal cosiddetto federalismo demaniale;
   se i Ministri vogliano da ultimo istituire, tramite gli uffici territorialmente competenti, un tavolo istituzionale con l'amministrazione comunale, con il coinvolgimento dei cittadini e delle associazioni, per rivalutare l'opportunità del gravoso protocollo «caserme» che vedrebbe la permuta dell'ex caserma «Curtatone e Montanara» con la costruzione di una nuova caserma nell'area di Ospedaletto. (4-04587)

  Risposta. — In relazione al documento di sindacato ispettivo in esame, sentiti i competenti uffici dell'amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero della difesa, nel 2007, ha siglato un accordo di programma con il comune di Pisa, avente ad oggetto, tra gli altri beni, anche l'ex complesso militare della caserma Curtatone e Montanara. Tale accordo è finalizzato a garantire la riallocazione delle funzioni militari in una nuova sede, da attuarsi mediante una operazione di permuta degli immobili statali con una nuova struttura che il comune stesso è tenuto ad individuare.
  Successivamente, il comune di Pisa, ai sensi del comma 2 dell'articolo 56-
bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, ha presentato all'Agenzia del demanio una richiesta, debitamente sottoscritta, relativa al trasferimento, a titolo gratuito, della proprietà della caserma in questione. Tale richiesta ha avuto esito negativo, per via della clausola di esclusione, prevista dalla citata normativa, riferita ai beni già oggetto di accordi di programma. Nel frattempo sono sempre continuati i contatti diretti tra il comune di Pisa ed i vertici del Ministero della difesa, anche nell'intento di individuare soluzioni alternative al percorso indicato nell'accordo di programma stesso, viste le numerose difficoltà incontrate, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità economica dell'operazione.
  Già dal mese di giugno 2014, comunque, il Demanio ha provveduto a fornire al comune una valutazione attualizzata degli immobili, con la revisione della ripartizione e dello sviluppo dei lotti di lavori, per la realizzazione della nuova caserma. Tutto nel presupposto che il comune proceda alle previste operazioni di esproprio.
  Il sindaco del comune di Pisa, ha sempre confermato l'intenzione di proseguire con il percorso tracciato nell'accordo di programma, per le prioritarie esigenze pubbliche di riorganizzazione della città. Evidenzia tuttavia una criticità ulteriore, oltre a quella strettamente economica, derivante dall'accoglimento – da parte del tribunale amministrativo regionale Toscana – dei ricorsi effettuati da parte dei soggetti proprietari dei terreni da espropriare. A riprova, comunque, dell'intento di proseguire con le azioni in essere, ha confermato la possibilità di effettuare una manifestazione di interesse ad evidenza pubblica, pur nella consapevolezza che l'intercorsa decadenza delle varianti urbanistiche, per effetto della sentenza, non favorisce un'ottimale risposta di mercato da parte degli operatori economici.
  La difesa, ancora disponibile sui contenuti dell'accordo, ha però sollecitato il comune a procedere nelle future azioni, in modo realistico ed in tempi contenuti, non solo per soddisfare le esigenze degli enti della difesa che continuano a utilizzare infrastrutture in precarie condizioni, ma per portare avanti rapidamente la complessiva operazione di razionalizzazione in atto.
  Allo stato, comunque, finché l'accordo di programma non verrà realizzato, il Ministero della difesa conferma il mantenimento in consegna della caserma in oggetto, per il soddisfacimento dei propri fini istituzionali. Tuttavia, nel caso in cui l'accordo di programma dovesse decadere per volontà del comune, l'ente locale potrebbe effettuare istanza di riesame della domanda, a suo tempo presentata, per la acquisizione della caserma «Curtatone e Montanara» ai sensi del federalismo demaniale.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzePier Paolo Baretta.


   REALACCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come confermato, anche in passato, dalle dichiarazioni di un Ufficiale Giudiziario in occasione della trasmissione di RAI Tre Ballarò e altri articoli di stampa nazionale, il 16 aprile 2014 e riportate anche sul sito di Rainews i nostri animali da compagnia, ovvero cani, gatti, pesci, conigli e altri animali domestici dal punto di vista giuridico, sono considerati una «res», una cosa e dunque possono essere pignorati come si fa nei casi previsti dalla legge, ad esempio, con i divani, i televisori e le automobili;
   da un punto di vista strettamente procedurale, valido anche per l'Agenzia delle entrate e per Equitalia, infatti, le parole dell'ufficiale giudiziario risultano essere veritiere: gli animali (vivi o morti) sono considerati un «bene» e nessuna tutela in quanto esseri dotati di sentimenti è loro riconosciuta; tanto che, in caso di maltrattamento, il reato individuato dalla legge è in effetti solo quello in funzione del «sentimento per gli animali» e non «degli animali stessi»;
   il codice di procedura civile dichiara pignorabili tutte le cose del debitore, quindi i beni suscettibili di valutazione economica. Appare perciò chiaro che bisognerebbe quindi attribuire innanzitutto un valore economico agli animali (cosa fattibile per animali da stalla, come i cavalli, o da pascolo, ma assolutamente improbabile nel caso di animali da compagnia che hanno solamente un valore squisitamente affettivo;
   secondo la legge quadro 14 agosto 1991, n. 281, «Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali d'affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente»;
   la legge peraltro già esclude il pignoramento di tutti quei beni che abbiano un valore affettivo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra descritto;
   se, per quanto di competenza, non ritengano utile valutare l'opportunità di un aggiornamento della normativa civile e disporre la «non pignorabilità» degli animali d'affezione anche alla luce della novella giurisprudenziale in questi anni volta a garantire maggiore rispetto e diritti agli animali posto che il pignoramento di un animale d'affezione e il suo allontanamento costituisce infatti elemento non trascurabile e indubbio di ritorsione sull'affetto dello stesso ed anche una forma indiretta di ritorsione psicologica sul debitore. (4-07652)

  Risposta. — L'interrogante richiama l'attenzione sulla circostanza che, ai sensi della vigente normativa, sia possibile procedere al pignoramento degli animali d'affetto, o di compagnia, considerati alla stregua di «beni mobili» posti nella disponibilità dei proprietari.
  Tale impostazione sconta una visione che, allo stato, dovrebbe ritenersi superata da una serie di dati normativi che evidenziano un
trend di segno completamente opposto, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti degli animali, firmata a Parigi presso la sede dell'UNESCO il 5 ottobre 1978, e dalla Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, sottoscritta a Strasburgo il 13 novembre 1987 (ratificata con la legge n. 201 del 4 novembre 2010).
  In quest'ultima, ad esempio, vengono distinti gli animali da compagnia, per i quali si intende ogni animale tenuto o destinato ad essere tenuto, dall'uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e compagnia, da quelli tenuti ai fini di lucro (il cui allevamento e la custodia, cioè, sono prioritariamente finalizzati a farne oggetto di attività commerciale a fini di lucro).
  Ma, soprattutto, occorre fare riferimento al Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 che, nel modificare il Trattato sul funzionamento della Comunità europea, all'articolo 13 prevede che «l'Unione e o gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti».
  Definire gli animali «esseri senzienti» e non mere cose mobili oggetto di diritto di proprietà, vuol dire dunque riconoscerli come soggetti giuridici degni di tutela, considerazione e rispetto, sia in quanto parti di un rapporto affettivo giuridicamente rilevante, come sino ad oggi non è mai stato messo in dubbio, ma anche in qualità di esseri viventi in sé.
  Questo non solo e non tanto nei casi, statisticamente rari, in cui l'animale assume nella vita dell'uomo una valenza in termini di vera e propria indispensabilità (si pensi, ad esempio, a cani per non vedenti, e, più recentemente, agli animali dedicati alla
pet-therapy, all'ippoterapia e simili), ma anche nell'ordinario svolgersi della quotidianità, durante la quale il rapporto tra animale e essere umano è caratterizzato da un intenso flusso emotivo non tra «proprietario» e «cosa posseduta» ma, appunto, tra «esseri senzienti».
  Un rapporto, in altre parole, come sanno tutti coloro che l'hanno sperimentato, cui una cultura moderna non può negare autonoma e autoriferita dignità. Con tutto quello che segue, ovviamente, sia sotto il profilo del risarcimento del danno (si pensi, ad esempio, al ferimento o all'uccisione di un animale da compagnia) che in tema di separazione coniugale (si pensi all'affidamento dell'animale disposto dal giudice in caso di mancato accordo tra le parti).
  Alla luce di tali premesse, tenuto conto che le competenze sono più strettamente ascrivibili al Ministero della salute (per quanto riguarda gli animali da compagnia) e al Ministero della giustizia (in merito ad eventuali modifiche del vigente regime in materia di procedimenti di esecuzione), si ritiene urgente superare l'attuale impostazione normativa ed escludere dalla pignorabilità gli animali d'affezione o di compagnia.
  Al riguardo è utile avviare un'iniziativa di verifica istruttoria con le amministrazioni coinvolte al fine di contemperare i diritti e le tutele ad oggi esistenti nell'ordinamento, partendo dal principio che il legittimo diritto del creditore di avvalersi della procedura esecutiva per soddisfare i propri diritti non può prevalere sul rapporto affettivo ed emotivo che si instaura tra l'uomo e il suo animale di compagnia.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RIZZETTO e PRODANI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   in Italia non può più essere rimandata l'adozione di incisivi provvedimenti per il controllo dell'entrata di migranti sul territorio;
   al riguardo, in Friuli Venezia Giulia la situazione è diventata insostenibile. Si apprende infatti dalla stampa «Più di tremila profughi in un mese: il Friuli Venezia Giulia allo stremo». In regione, l'ultimo contingente di extracomunitari – provenienti da Eritrea, Somalia, Mali e Guinea – è arrivato il 6 agosto 2014;
   si tratta di più di tremila migranti arrivati dall'inizio di luglio, alcuni per sottoporsi a visite mediche altri per soggiornare più a lungo;
   la cadenza degli arrivi degli extracomunitari è pressante: gruppi soprattutto di africani che giungono da Lampedusa, da Trapani e da Salerno con voli speciali ma anche con bus di linea, si stanno avvicendando con un ritmo di due alla settimana. I volontari della Croce rossa che prestano soccorso sono ormai allo stremo, anche perché sono in allerta 24 ore su 24, in quanto la comunicazione degli arrivi dal centro di coordinamento di Trieste e di conseguenza dalle prefetture arriva con ristretto anticipo rispetto alla necessità di intervento;
   il 5 agosto 2014 sono sbarcati sulle coste italiane oltre 1.500 profughi africani, di cui un gran numero è stato dirottato nelle regioni settentrionali, incluso il Friuli Venezia Giulia, e dislocato oltre che al campo medico di Palmanova, a Pordenone, Gorizia e Trieste;
   l'emergenza sbarchi sta dunque mettendo a dura prova il sistema regionale. Addirittura il comune di Forni Avoltri rischia il default per aver fatto fronte a questa emergenza;
   i numeri stabiliti all'avvio del programma di accoglienza sono stati superati. Sul punto, ad esempio, il campo medico di Palmanova, predisposto dal comitato locale della Croce rossa, ha già accolto 176 migranti a fronte dei 120 previsti;
   ovviamente non manca la solidarietà nei confronti di queste persone. Tuttavia, la situazione è diventata insostenibile e richiede iniziative per controllare e sostenere l'entrata dei profughi, in quanto, ad oggi, l'entrata degli stessi non è stata accompagnata da un idoneo piano di accoglienza e mezzi adeguati, il che ha dato luogo a gravi disagi ai profughi ed alle popolazioni dei territori italiani interessate da questa emergenza –:
   se e quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per supportare efficacemente la regione Friuli Venezia Giulia nel far fronte al fenomeno descritto in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare, a livello nazionale, affinché vi sia un maggiore controllo dell'entrata dei profughi in Italia, considerando che l'accesso dovrebbe essere consentito in proporzione ai reali mezzi a disposizione per fronteggiare in modo adeguato questa emergenza. (4-05890)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante ha richiamato l'attenzione sul massiccio afflusso di cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale nel territorio della provincia di Gorizia. Ha chiesto, quindi, l'adozione di misure dirette a supportare il sistema di accoglienza dei migranti nel Friuli Venezia Giulia e a controllare più efficacemente l'ingresso dei migranti in Italia.
  Proprio al fine di rafforzare i controlli delle frontiere esterne dell'Unione, il 1o novembre 2014 è stata avviata un'operazione di
Frontex, denominata Triton, il cui principale obiettivo consiste nel contrastare l'immigrazione irregolare e le attività di traffico di esseri umani. Per consentire lo svolgimento dell'operazione – a cui partecipano, oltre all'Italia, 18 Stati membri che forniscono assetti aerei e navali oppure i propri esperti – il budget di Frontex è stato opportunamente incrementato, con uno stanziamento di 20 milioni di euro per il 2015.
  Il rafforzamento dei controlli delle frontiere esterne dell'Unione, attraverso l'azione di
Frontex, è solo uno dei punti cardine della nuova strategia italiana ed europea di gestione dei flussi migratori. Ad esso se ne affiancano altri due: il miglioramento della cooperazione con i Paesi terzi di origine e transito dei flussi e la piena attuazione del sistema comune europeo di asilo.
  Sul versante della cooperazione, l'Italia è da sempre in prima linea, avendo privilegiato la sottoscrizione di accordi bilaterali con i Paesi dei nord Africa (Tunisia, Libia e Egitto) e dell'Africa sub-sahariana (Niger, Nigeria e Gambia), nell'intento di attuare specifici programmi di assistenza tecnica a beneficio delle forze di polizia di quegli Stati.
  Quanto all'attuazione del sistema comune europeo di asilo, le priorità individuate dall'Unione europea riguardano l'intensificazione delle attività di identificazione dei migranti e la costruzione di sistemi di accoglienza flessibili, in grado di rispondere ai flussi migratori improvvisi.
  Relativamente all'identificazione, il Ministero dell'interno ha già disposto un vigoroso giro di vite nel sistema di sicurezza, per rispondere in modo più efficace alle esigenze del fotosegnalamento, della registrazione e della raccolta delle impronte dei migranti, anche al fine di contrastare i tentativi di aggirare il sistema Eurodac, perpetrati dalla rete dei trafficanti.
  Per quanto riguarda, invece, l'accoglienza dei migranti, il Governo ha avviato una profonda revisione del relativo sistema, attraverso l'elaborazione di un Piano operativo nazionale sul quale la Conferenza unificata ha sancito l'intesa nella seduta del 10 luglio 2014.
  La portata innovativa di tale documento risiede nel coinvolgimento a regime nella gestione dei flussi migratori dei tre livelli di governo del Paese: Stato, regioni e comuni. Le rappresentanze di queste entità hanno deciso di condividere, in maniera proporzionale e secondo parametri predefiniti sul territorio, gli oneri dell'accoglienza dei migranti attraverso uno
screening che viene realizzato in centri governativi chiamati hub, appositamente individuati in ogni regione. Coloro che hanno diritto alla protezione internazionale sono poi avviati nel sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiai (SPRAR) gestito dalle municipalità.
  In passato, crisi umanitarie, non paragonabili in alcun modo a quella attuale, sono state gestite in una logica emergenziale, cioè facendo ricorso agli strumenti propri della protezione civile. Ciò non ha dato sempre luogo a buoni risultati. La scelta che il Governo ha compiuto con il Piano operativo nazionale sta consentendo, pur se in una fase di particolare impatto migratorio, di costruire uno stabile sistema di accoglienza, ripartendone gli oneri su tutto il territorio nazionale e mitigando così l'impatto sociale. Questa scelta contribuirà anche ad agevolare il percorso di integrazione degli stranieri che rimarranno in Italia.
  Il piano operativo nazionale prevede che, nel caso in cui la capienza dei centri governativi e del sistema Sprar risulti insufficiente, il Ministero dell'interno, avvalendosi del supporto e delle indicazioni di un tavolo di coordinamento nazionale, distribuisca i migranti sul territorio nazionale secondo un criterio di ripartizione per quote regionali, individuate sulla base di parametri predeterminati (fissati nella stessa intesa: percentuale della quota di accesso al Fondo nazionale per le politiche sociali; presenza effettiva di migranti nel territorio interessato; esclusione dei comuni colpiti da terremoti o da sopravvenute situazioni di emergenza). A tal fine, vengono utilizzati i centri di accoglienza attivati temporaneamente su tutto il territorio nazionale.
  A livello regionale, in sede di tavolo di coordinamento presieduto dal prefetto del capoluogo di regione, a cui partecipano, tra gli altri, anche i prefetti delle province interessate, le Regioni, Upi e Anci regionali, oltre ai soggetti del privato sociale maggiormente rappresentativi, in attuazione delle strategie operative definite in sede nazionale, sono concordati i criteri di riparto provinciale, fissati anche in considerazione delle specificità territoriali.
  Ai fini dell'attivazione delle strutture di accoglienza, secondo i criteri di riparto concordati in sede di tavoli regionali, i prefetti di ciascuna provincia interpellano i sindaci dei comuni e i presidenti della provincia per l'individuazione di strutture pubbliche eventualmente disponibili e procedono ad indagini di mercato per l'individuazione di strutture messe a disposizione dal privato-sociale.
  Alle procedure e ai criteri testé descritti risponde anche l'organizzazione del sistema di accoglienza nel territorio della regione Friuli Venezia Giulia.
  Oltre a riformare il sistema dell'accoglienza, il Governo si è adoperato per il suo rafforzamento. In proposito, ricordo che in questi anni la capienza dello Sprar è stata ampliata più volte. I posti attivati attualmente sono circa 20.800 su tutto il territorio nazionale, di cui circa 850 destinati ai minori stranieri non accompagnati, siano o meno richiedenti asilo.
  Con riferimento alle procedure di riconoscimento della protezione internazionale, l'eccezionale afflusso di stranieri nell'anno appena trascorso ha comportato un allungamento dei tempi di conclusione dei relativi procedimenti.
  Per accelerarli, nello scorso mese di novembre è stato disposto il raddoppio sia delle commissioni che delle relative sezioni, portandone il numero complessivo da 20 a 40.
  In questo ambito, in particolare, sono state istituite la commissione territoriale di Verona, competente a conoscere le domande presentate nei territori del Veneto e del Trentino-Alto Adige, e la sezione di Padova, con competenza primaria nelle province di Padova, Venezia e Rovigo. Pertanto la commissione di Gorizia, che finora era l'unica esistente nel nord est italiano, rimarrà competente per le sole domande presentate in Friuli Venezia Giulia.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è stata condannata, con sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea (Grande sezione) del 2 dicembre 2014, a versare alla Commissione europea una sanzione pecuniaria pari ad euro 42.800.000 per non aver dato esecuzione ad una sentenza della Corte del 2007 (sentenza Commissione/Italia EU:C2007:250) che aveva constatato l'inadempimento generale e persistente della Repubblica alle direttive sui rifiuti;
   in particolare, nel 2007 la Corte aveva dichiarato che l'Italia era venuta meno agli obblighi di cui agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE (direttiva abrogata e sostituita dalla direttiva 2006/12/CE, a sua volta abrogata e sostituita dagli articoli 13, 15, 23 e 36 paragrafo 1 della direttiva 2008/98/CE), nonché all'articolo 2 paragrafo 1 direttiva 91/689 (abrogato e sostituito dalla direttiva 2008/98 articolo 35, paragrafo 1 e 2), nonché alla direttiva 1999/31 articolo 14 lettere da a) a c) relativi alla gestione dei rifiuti, pericolosi e delle discariche di rifiuti;
   in sede di controllo di ottemperanza alla sentenza Commissione/Italia (EU:C: 2007:250) la Commissione chiedeva con lettera dell'8 maggio 2007 alle autorità italiane di indicare i provvedimenti da esse adottati ai fini dell'esecuzione della sentenza;
   le autorità italiane, con lettere del 10 luglio 2007, del 26 ottobre 2007, del 31 ottobre 2007 e del 26 novembre 2007, hanno presentato il sistema legislativo nazionale repressivo in materia di gestione dei rifiuti e alcune iniziative relative a tale gestione, nonché una sintesi, regione per regione, della situazione dei siti identificati nel rapporto del Corpo forestale dello Stato del 2002;
   tuttavia, già nel 2008, nel corso di una riunione tenutasi a Bruxelles il 24 settembre, la Commissione criticava il contenuto delle informazioni trasmesse dalla Repubblica italiana concludendo che persisteva in capo alla stessa l'inadempimento generale già accertato dalla Corte nella sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250);
   in particolare, la Commissione riteneva che nelle, regioni italiane esistessero ancora 218 discariche non conformi agli articoli 4 e 8 e 9 della direttiva 75/445 e che 16 di tali 218 discariche non conformi contenevano rifiuti pericolosi senza che fossero rispettate le prescrizioni di cui all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 91/689;
   persistendo detta situazione al 2013, la Commissione ha proposto ricorso al fine di dare attuazione alla sentenza del 2007;
   nel corso della causa è emerso che la Repubblica italiana non sarebbe stata in grado di fornire adeguato programma relativo alle misure da adottare per l'adeguamento alle direttive europee in materia di rifiuti e di discariche nonostante, per contro, l'Italia avesse sostenuto di aver adottato tutte le misure necessarie ai fini dell'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (EU:C:2007:250);
   in particolare, per la Corte sembrerebbe che la Repubblica che per alcuni siti non avrebbe presentato né approvato alcun piano di riassetto e non avrebbe adottato alcuna decisione definitiva in ordine alla loro chiusura e alla loro destinazione ad altro uso; per altri siti, i dati forniti sarebbero stati incompleti o poco chiari e per altri siti ancora non sarebbe stata trasmessa alcuna informazione;
   la Repubblica, come riferisce la Corte europea, è ben consapevole della minaccia che detti rifiuti riversati nelle discariche abusive e prive di autorizzazioni necessarie e licenze, costituiscono per la salute dell'uomo e per l'ambiente;
   la Repubblica è consapevole, altresì, che per conformarsi alle direttive europee, nonché alle sentenza Commissione/Italia (CE:C:2007:205) non è sufficiente ordinare la chiusura, il sequestro della discarica abusiva ed avviare un procedimento penale contro il gestore di tale discarica;
   l'Italia deve dimostrare, così come enunciato nel corpo della sentenza, attraverso un catalogo e una identificazione esaustiva i rifiuti pericolosi depositati nelle discariche, nonché deve depositare i piani di riassetto presso l'autorità competente ai sensi dell'articolo 14 della direttiva 1999/31;
   poiché è stato conclamato dalla Corte che, quindi, l'Italia ha violato in modo continuativo e persistente l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente; l'Italia non si è assicurata che il regime di autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato; non ha assicurato la cessazione effettiva delle operazioni realizzate in assenza di autorizzazione; non ha provveduto ad una catalogazione e un'identificazione esaustiva di ciascuno dei rifiuti pericolosi riversati nelle discariche; ha violato l'obbligo di garantire che per determinate discariche sia adottato un piano di riassetto o un provvedimento definitivo di chiusura;
   la Commissione, in virtù di tutto quanto innanzi riferito, ha proposto una pena di tipo decrescente su base semestrale che permetterà di detrarre da un importo iniziale di euro 42.800.000, euro 400.000 per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma ed euro 200.000 per ogni altra discarica messa a norma e per ogni semestre successivo la penalità sarà calcolata detraendo i predetti importi da quello originario in ragione delle discariche messe a norma nel corso del semestre;
   alla luce della sentenza del 2 dicembre lo Stato italiano appare ancora una volta incapace di dare piena attuazione alle disposizioni comunitarie in materia di gestione di rifiuti;
   considerato il periodo storico drammatico in cui versa lo stato Italiano e l'interesse per lo stesso a vedersi decurtata semestralmente la pena inflittagli in ragione delle discariche messe a norma –:
   quali iniziative straordinarie ed urgenti intenda adottare per giungere il più veloce possibile alla rimozione di tutte le situazioni giuridiche che hanno dato origine alla pena inflitta allo Stato italiano;
   quali azioni intenda adottare perché venga data piena attuazione alla normativa comunitaria in materia di trattamento di rifiuti e di gestione delle discariche per tutelare l'uomo e l'ambiente. (4-07251)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in oggetto, viene richiamata la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea che il 2 dicembre 2014 ha condannato l'Italia al pagamento d'ingenti sanzioni pecuniarie in riferimento a n. 218 discariche, in ordine alle quali gli interventi di bonifica risultavano ancora in corso nell'aprile del 2013.
  Con essa, in particolare, sono state imposte una sanzione forfettaria
una tantum di 40 milioni di euro, oltre una penalità semestrale di 42,8 milioni di euro, fino all'esecuzione completa della sentenza.
  Come correttamente riferito dall'interrogante, è stata riconosciuta la possibilità di applicare tale ultima penalità in forma decrescente. Il suo importo, cioè, potrà essere ridotto progressivamente in ragione del numero dei siti messi a norma nel semestre di riferimento, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi rispetto alle altre. Ciò significa che per ciascun semestre saranno detratti dall'importo della penale complessivamente stabilita, 400 mila euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma, e 200 mila euro per ogni altra discarica, riducendo progressivamente l'onere a carico del nostro Paese man mano che vengono completati i lavori di bonifica. Le somme delle sanzioni pagate dallo Stato italiano, sono oggetto del diritto di rivalsa da parte del Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti delle regioni inadempienti, secondo gli importi a ciascuna spettanti computando le discariche di pertinenza in conformità a quanto disposto dall'articolo 43 della legge n. 234 del 2012.
  Per quanto sopra, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già sollecitato, per il tramite della Rappresentanza d'Italia presso l'Unione europea, l'avvio di un confronto con la Commissione, per concordare le modalità di esecuzione della sentenza.
  Inoltre, con il coordinamento del Dipartimento per le politiche europee e in collaborazione con le regioni interessate, si sta predisponendo un aggiornamento sullo stato di avanzamento delle attività di bonifica per i siti oggetto di contestazione, al fine di disporre di informazioni adeguate per ottenere una riduzione delle sanzioni pecuniarie sin dalla scadenza del primo semestre utile, prevista per il prossimo giugno 2015.
  Infatti, prima ancora della richiamata sentenza di condanna, l'Italia si era già dotata degli strumenti normativi e dei finanziamenti necessari per dare piena attuazione agli obblighi comunitari che si sono reputati violati.
  In particolare, con la legge di stabilità 2014 è stato istituito nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un apposito fondo (con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli esercizi 2014 e 2015) destinato al finanziamento di un «Piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate in relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077».
  Tale piano, approvato il 9 dicembre 2014, individua gli interventi da realizzarsi su complessive 45 discariche in procedura d'infrazione rispetto ai quali, in considerazione delle risorse limitate messe a disposizione dalla predetta legge di stabilità, sono stati adottati specifici criteri di finanziamento, come, ad esempio, quello di assegnare la massima priorità agli interventi in aree e discariche pubbliche ritenuti più rapidamente cantierabili.
  Tali ultimi interventi, che sono in totale 29, troveranno copertura finanziaria a valere sulle risorse disponibili del predetto «fondo» e saranno attuati attraverso gli accordi di programma quadro già stipulati tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni Abruzzo, Puglia, Sicilia e Veneto.
  Le rimanenti 16 iniziative (delle 45 complessive del «lotto»), localizzate nelle regioni Emilia-Romagna, Liguria ed Umbria, potranno essere finanziate solo attraverso il reperimento delle ulteriori e necessarie risorse stimate in 54 milioni di euro, a fronte di una spesa complessiva di 61 milioni di euro, in quanto 7 milioni circa risultano già disponibili da parte delle regioni.
  Per le ultime 6 aree di discarica oggetto della procedura d'infrazione 2003/2077, ricadenti all'interno dei siti di bonifica di interesse nazionale (Sin) Venezia, Mantova, Serravalle Scrivia e Priolo, è stata fatta richiesta, in via programmatica, di copertura finanziaria dei relativi interventi nell'ambito della ripartizione del Fondo per lo sviluppo e la coesione (Fsc) per il periodo 2014-2020.
  Quindi, per riassumere: i siti oggetto di contestazione, come ricordato all'inizio, ammontano complessivamente a 218; di questi:
   4 costituiscono errori di censimento;
   48 risultano già bonificati;
   115 sono oggetto di interventi di ripristino ancora in corso;
   29 (dei 45) risultano finanziati con il piano straordinario già illustrato;
   6 sono localizzati nei Sin.

  Per i rimanenti 16 (dei 45) interventi si attende, come già precisato, il reperimento dei necessari 54 milioni mancanti per il loro avvio, non escludendo l'ipotesi di trovare idonea copertura a valere sui Fondi Strutturali 2014-2010 assegnati alle regioni interessate.
  Obiettivo, questo, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta perseguendo con carattere di priorità, al fine di consentire di dare immediato avvio alle procedure finalizzate alla loro realizzazione, nel rispetto della normativa nazionale e comunitaria di riferimento.
  Sarebbe il modo migliore, per dimostrare con i fatti l'impegno del Paese ad attuare la sentenza della Corte di giustizia già nella prima fase di negoziazione con la Commissione europea, anche per rimodulare le condizioni di adempimento con l'obiettivo di ridurre progressivamente, ma con il massimo della celerità, l'importo della penalità, semestre dopo semestre, per effetto della messa a norma delle discariche contestate.
  Quanto riferito, dimostra che l'Italia ha sostanzialmente superato quella situazione emergenziale posta a fondamento della contestazione comunitaria. Si è avviato, infatti, da lungo tempo, un percorso virtuoso che da un lato intende chiudere le infrazioni con l'Europa, non solo sulle discariche ma più in generale sul tema dei rifiuti, dall'altro, vuole lasciarsi alle spalle una volta per tutte l'era delle discariche abusive e dei territori avvelenati dall'abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi per l'ambiente e la salute dei cittadini.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SCAGLIUSI, SPADONI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   su ilfattoquotidiano.it del primo dicembre 2014 è stato pubblicato un articolo dal titolo «Farnesina, immobili all'estero affittati a basso costo e senza gara» riguardante quegli immobili del patrimonio del Ministro interrogato concessi in fitto «senza gara a canoni irrisori, a volte a vantaggio di inquilini originali»; secondo quanto riportato nell'articolo citato, l'incasso di 61 canoni di concessione a favore della nostra diplomazia italiana all'estero ammonta soltanto a 1,2 milioni di euro annui, metà dei quali proveniente da un unico contratto stipulato con un ospedale di Istanbul ristrutturato con soldi dello Stato italiano. Gli altri 60 canoni sono molto bassi, se non irrisori; a Washington, la Italian Food & Beverage Inc. spa ha ottenuto in concessione 170 metri quadrati nel cuore del quartiere diplomatico per soli 300 euro mensili;
   a Tirana l'ambasciata ha concesso, senza alcuna gara pubblica, alla Ciano Trading di Livorno la costruzione di un prefabbricato di 115 metri quadrati all'intero del compound diplomatico, riscuotendo in cambio 150 euro al mese;
   ad Alessandria d'Egitto l'Istituto di credito Intesa San Paolo, proprietario della mediorientale Bank of Alexandria, nel luglio 2014 ha avuto in fitto in piazza Saad Zaghloul il Palazzo del Bulacco, di ben 1.300 metri quadrati, alla cifra di 3.800 euro al mese;
   a Teheran l'immobile in Avenue France di proprietà dell'ambasciata italiana, di 1.685 metri quadrati, è stato concesso ai frati cappuccini dell'arcidiocesi di Isfahan per 20 euro l'anno;
   a Casablanca la sede del Circolo degli Italiani è diventata un ristorante senza gara e a trattativa privata sulla base di una concessione di 1.800 euro per 330 metri quadrati;
   a Praga l'appartamento accanto all'Istituto di cultura, di 183 metri quadrati, nel quartiere Malà Strana, uno dei più ricercati della città boema, è stato dato in fitto per 1.000 euro lordi all’Alchymist Group, una società che gestisce 4 tra alberghi superlusso e spa nella capitale ceca –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per garantire un equo rapporto tra canone di locazione e valore degli immobili di proprietà del Ministero in modo da assicurare il giusto introito nelle casse statali.
(4-07224)

  Risposta. — In risposta ai quesiti posti dall'interrogante, si premette che l'istituto della concessione dei beni demaniali è regolato, come anche ricordato nell'articolo del Il Fatto Quotidiano, dal decreto del Presidente della Repubblica 13 settembre 2005, n. 296 il quale dispone che il canone da richiedere al concessionario è commisurato ai prezzi praticati in regime di libero mercato e accertato da parte della Agenzia del demanio. Al fine di ottemperare a quanto previsto dalla normativa italiana, le Ambasciate – per la determinazione del canone – provvedono ad acquisire una perizia sul valore degli immobili da parte di tecnici e professionisti locali indipendenti in base alla quale viene formulato dalla sede il parere di congruità, tenendo presenti le condizioni poste dal mercato locale. Il decreto del Presidente della Repubblica n. 296 del 2005 prevede anche la possibilità di attribuire concessioni e locazioni a titolo gratuito o a canone agevolato in favore di enti ecclesiastici o associazioni di utilità sociale.
  Nel caso di Washington, lo spazio descritto dall'articolo de
Il fatto Quotidiano è l'atrio centrale dell'ambasciata. I locali concessi in locazione sono invece quelli della caffetteria, ovvero uno spazio più limitato che è situato all'interno di un edificio (l'ambasciata) ad accesso limitato e controllato. Per questi motivi e comunque sulla base di un parere di congruità fornito da uno studio di consulenza, il canone è stato stabilito per un importo di 400 dollari mensili. Si fa presente inoltre che l'ambasciata britannica e francese concedono spazi analoghi a privati a titolo gratuito a causa della scarsa redditività dell'attività economica ivi esercitata.
  A Tirana il canone per l'uso dell'immobile è stato determinato (e successivamente rivalutato) sulla base della perizia di un tecnico locale. Al termine dello scorso anno, l'ambasciata ha revocato la concessione poiché i locali non risultavano più idonei all'uso commerciale ed ha chiesto lo sgombero dei locali, avvenuto il 1o novembre 2014.
  Anche l'immobile ad Alessandria d'Egitto è stato concesso in uso con bando pubblico e l'importo del canone è stato determinato mediante perizia tecnica sulla base dei valori di mercato.
  Nel caso di Teheran, alla base della concessione d'uso a titolo gratuito dell'immobile vi è una convenzione del 1936 con l'Arcidiocesi di Isfahan, che si inserisce nel quadro dell'impegno del Governo italiano a tutelare la libertà di religione in Iran, così come fanno anche altre ambasciate in quel Paese. L'affitto ammonta a 20 euro annuali ma a tale cifra vanno aggiunti i costi della manutenzione ordinaria e straordinaria, che sono a carico del concessionario. Va inoltre tenuto presente che l'immobile è stato a suo tempo costruito a spese dell'Arcidiocesi e che, in passato, l'Ambasciata ha potuto utilizzare alcune strutture dell'Arcidiocesi, come il teatro (tale collaborazione è oggi interrotta per motivi di sicurezza).
  L'immobile di Casablanca è stato sempre utilizzato dalla collettività italiana attraverso l'associazione «Circolo degli italiani», che ha anche provveduto nel tempo alla sua manutenzione ordinaria e straordinaria. Per questo motivo, all'inizio, non è stato applicato alcun canone per il suo utilizzo. Nel 2006, proprio a seguito dell'entrata in vigore del predetto decreto del Presidente della Repubblica del 2005, il consolato chiese il pagamento di un canone mensile, determinato sulla base del libero mercato, che però la predetta associazione si rifiutò di pagare, facendo così sorgere un contenzioso. Al fine di evitare una perdita per il bilancio dello Stato e assicurare la manutenzione dei locali, l'ufficio consolare nel 2012 ha dichiarato la decadenza della concessione stipulata con il «Circolo degli italiani», provvedendo a formalizzare una nuova concessione con altro soggetto per un canone di circa 2.000 euro mensili.
  Infine, nel caso di Praga, l'uso dell'appartamento all'interno dell'immobile dell'istituto italiano di cultura è stato concesso a seguito di una procedura ad evidenza pubblica, condotta sulla base della normativa in materia. Il canone è stato determinato mediante perizia tecnica acquisita da professionisti sulla base degli indicatori economici del mercato locale. La perizia teneva conto anche dello stato manutentivo dell'appartamento, dell'assenza di arredi e di ascensore, nonché delle limitazioni legate alla destinazione dell'immobile, che è aperto al pubblico e che, durante la settimana, ospita i corsi di lingua. Oltre al pagamento del canone il concessionario provvede al restauro e alla manutenzione ordinaria dell'appartamento.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   SPADONI, RIZZO, TOFALO, SCAGLIUSI e SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha presentato, il 4 marzo 2014, l'atto di sindacato ispettivo a risposta scritta n. 4-03793 al quale è giunta risposta il successivo 21 luglio;
   nell'interrogazione si chiedeva di conoscere l'esatta ripartizione delle voci di spesa afferente al capitolo 2001 (competenze fisse e accessorie al personale al netto dell'imposta regionale sulle attività produttive) della Tabella 6 della legge di bilancio 2014, ovvero quali mansioni il personale al punto 1 e 3 dello stesso rivestono nell'ambito della direzione generale per la cooperazione allo sviluppo (DGCS) e all'estero;
   i punti 1 e 3 del capitolo 2001 riguardano, rispettivamente, gli stipendi e gli assegni fissi al personale comprensivi degli oneri fiscali e contributivi a carico del lavoratore, e il compenso per il lavoro straordinario al personale anch'esso comprensivo degli oneri fiscali e contributivi a carico del lavoratore;
   tuttavia, il Ministero interrogato, nella citata risposta all'interrogazione in oggetto, ha fornito, a parere dell'interrogante, una risposta insufficiente, sostenendo che, con riferimento al menzionato capitolo di bilancio, questo riguarda gli stipendi per il personale di ruolo che presta servizio nella direzione generale della cooperazione allo sviluppo, senza però entrare nel dettaglio richiesto nel dispositivo dell'atto di sindacato ispettivo –:
   a quali categorie (diplomatici, dirigenti e aree funzionali) appartiene il personale di cui al punto 1 e 3 del capitolo 2001 della Tabella 6 della legge di bilancio 2014, e quali mansioni ricopre nell'ambito della direzione generale della cooperazione allo sviluppo e all'estero. (4-05756)

  Risposta. — In merito a quanto richiesto nel dispositivo dell'interrogazione in questione, si precisa quanto segue.
  Il personale di cui al punto 1 e 3 del capitolo 2001 della tabella 6 della legge di bilancio 2014 al momento è costituito da trentatré funzionari appartenenti alla carriera diplomatica, da quattro dirigenti amministrativi e da cento dipendenti appartenenti alle aree funzionali. Questo personale è incardinato nella direzione generale della cooperazione allo sviluppo (Dgcs) ai sensi dell'articolo 16, comma 1, lettera
a) della legge n. 49 del 1987 e del decreto organizzativo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) n. 95 del 2010.
  Ad esso sono attribuiti le mansioni di istituto di cui all'articolo 10 della legge n. 49 del 1987: in particolare al personale della carriera diplomatica e dirigenziale è affidata la direzione apicale, quella dei dodici uffici, dell'Unità tecnica centrale e delle
task forces per le iniziative di cooperazione in Afghanistan, Pakistan e Myanmar, nonché in Iraq. Al personale appartenente alle aree funzionali sono assegnati i compiti previsti nel CCNL area non dirigenziale, comparto ministeri: compiti questi di staff e non afferenti agli aspetti tecnici della attività di cooperazione, i quali sono affidati agli esperti ex articolo 16, comma 1, lettere e) ed e) della legge n. 49 del 1987.
  Si ravvisa in questa sede l'opportunità di evidenziare che l'assetto organizzativo sopra illustrato è destinato a mutare (sia in termini di numeri di funzionari in servizio presso la Dgcs, sia per quanto riguarda il numero delle strutture dirigenziali) a seguito dell'abrogazione della legge n. 49 del 1987. A norma della legge n. 125 del 2014, tale circostanza si concretizzerà il primo giorno del sesto mese successivo all'entrata in vigore dello Statuto dell'Agenzia, sul cui testo il concerto interministeriale è nella fase conclusiva.

Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleLapo Pistelli.


   TAGLIALATELA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   gli articoli 655 e 663 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il Codice dell'ordinamento militare, disciplinano l'arruolamento degli ufficiali nei ruoli speciali dei diversi Corpi;
   in particolare, l'articolo 655 disciplina l'alimentazione degli ufficiali del ruolo speciale di Esercito, Marina e Aeronautica, differenziando i requisiti di partecipazione ad un concorso per il conseguimento di uno stesso posto di lavoro, ovvero per il conseguimento del grado di sottotenente (guardiamarina per la marina militare) in base alle condizioni personali e di status sociale dei soggetti aspiranti, non tenendo in alcun conto le qualità professionali o la formazione pregressa del concorrente;
   secondo la norma infatti, si è idonei a partecipare ad un concorso per vestire il grado da sottotenente: fino al non superamento del 32° anno di età dal personale giudicato idoneo e non vincitore dei concorsi per la nomina a ufficiale in servizio permanente effettivo dei ruoli normali dell'Esercito italiano, della Marina militare e dell'Aeronautica militare; fino al non superamento del 34° anno di età se si proviene dal ruolo dei marescialli o dal ruolo dei sergenti, oppure se si proviene dagli ufficiali di complemento; fino al non superamento del 40° anno di età se si proviene dagli ufficiali del completamento, oppure se si proviene dal ruolo degli Ufficiali in ferma prefissata; senza limite di età per i frequentatori dei corsi normali delle accademie militari che non hanno completato il secondo o il terzo anno del previsto ciclo formativo, purché idonei in attitudine militare;
   di conseguenza, a parità di requisiti, un maresciallo di 35 anni non è idoneo a partecipare ad uno stesso concorso per il quale, invece, sarebbe idoneo un suo coetaneo che presti – o abbia prestato – servizio di ufficiale in ferma prefissata;
   analogamente, l'articolo 663 del citato decreto legislativo, relativo all'alimentazione del ruolo speciale ufficiali dell'arma dei carabinieri, prevede che vi si possa accedere, tramite concorso, fino al non superamento del 32° anno di età se si proviene dagli ufficiali di complemento dell'arma dei carabinieri, e fino al non superamento del 40° anno di età se si proviene dal ruolo dei marescialli dell'arma dei carabinieri;
   anche con riferimento a questa disposizione si ravvisano, quindi, le differenziazioni inerenti il requisito dell'età in base allo status di provenienza che impediscono la progressione in carriera, per il raggiungimento di uno stesso impiego –:
   quali iniziative intenda assumere con riferimento alle problematiche esposte in premessa. (4-03148)

  Risposta. — I profili di carriera degli ufficiali dei ruoli normale e speciale sono contemplati dal codice dell'ordinamento militare che ne regola lo sviluppo e ne prevede dettagliatamente l'articolazione, i periodi minimi di permanenza nei vari gradi, i requisiti di avanzamento e le promozioni a scelta da attribuire.
  In particolare, il reclutamento degli ufficiali del ruolo speciale, cui fa riferimento l'atto di sindacato ispettivo, è disciplinato dagli articoli 655, 656, 657, 658 per l'alimentazione dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica e dall'articolo 663 per l'Arma dei carabinieri.
  Va inoltre sottolineato che i predetti ruoli sono differenti tra loro sia per compiti istituzionali che per indirizzi e profili di carriera e quindi le differenze tra limiti di età per accedervi devono essere viste e analizzate tenendo conto che:
   le diverse permanenze nei gradi derivano dalla differenza strutturale tra i ruoli e dalla diversa articolazione dei profili di carriera dove per il ruolo speciale sono previsti 6 gradi (da sottotenente a colonnello) e per il ruolo normale 9 (da sottotenente a generale di corpo d'armata);
   un ingresso in ruolo in età avanzata comunque precluderebbe gli sviluppi di carriera dei «neo» ufficiali e, quindi, sarebbe deleterio per il personale stesso.

  L'alimentazione dei ruoli e delle categorie, quindi, assume un'importanza strategica, nell'ottica di mantenere il necessario bilanciamento tra i gradi dirigenziali e quelli del personale direttivo, consentendo in tal modo il soddisfacimento delle molteplici esigenze funzionali connesse ai compiti istituzionali della difesa del territorio e della partecipazione alle missioni internazionali.
  Pertanto la
ratio che sta alla base dei diversi limiti d'età individuati dal legislatore per l'accesso ai vari ruoli, compreso quello in questione, è quella di consentire un'armonica dinamica delle carriere, di garantire un equilibrato bilanciamento della struttura organica delle Forze armate e dell'Arma dei carabinieri e di consentire, infine, il corretto svolgimento dei compiti istituzionali.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la prefettura – ufficio territoriale di Governo di Napoli – Servizio amministrazione servizi generali ed attività contrattuali ha emanato un bando di gara per l’«acquisizione di offerta, ai sensi degli articoli 20 e 27 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e del Regolamento di attuazione n. 207 del 2010 e successive modifiche e integrazioni, per la fornitura di vitto (rispettoso dei princìpi ed abitudini alimentari) e alloggio, gestione amministrativa degli ospiti, assistenza generica alla persona compresa la mediazione linguistica, l'informazione, il primo orientamento e l'assistenza alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, il servizio di trasporto per provvedere alle necessità di spostamento degli ospiti, il servizio di pulizia, la fornitura di biancheria e abbigliamento adeguato alla stagione, prodotti per l'igiene, pocket money di euro 2,5 al giorno, tessera/ricarica telefonica di euro 15 all'ingresso, ai cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale.» – CIG: 563410742D;
   la gara è finalizzata alla stipula di una convenzione, valida fino al 30 giugno 2014, per la fornitura del servizio di accoglienza di un primo scaglione, ed eventuali successivi arrivi di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, così come richiesto dal Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e immigrazione, con circolare n. 104 dell'8 gennaio 2014;
   l'appalto è affidato selezionando la migliore offerta con il criterio del prezzo più basso, ai sensi dell'articolo 82 del codice dei contratti, ponendo a base d'asta il prezzo di euro 30,00 (oltre IVA) pro-capite giornaliero;
   l'Italia mediante lo SPRAR (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, peraltro richiamato dal bando stesso), gestito dal Ministero dell'interno e dall'ANCI, offre un ottimo modello di accoglienza e integrazione, molto apprezzato anche in ambito europeo;
   bandi come quello oggetto della presente interpellanza devono uniformarsi a quei criteri e a quegli standard, garantendo le risorse necessarie, anche allo scopo di evitare che nel nostro paese possano convivere due trattamenti di accoglienza per gli stessi soggetti, di cui uno di qualità nettamente inferiore all'altro;
   da anni le organizzazioni di terzo settore (associazionismo, cooperazione sociale e volontariato) hanno, del resto, evidenziato che il ricorso alle gare al massimo ribasso è quanto mai inadatto in materia di politiche sociali e di servizi di cura alla persona –:
   se il bando della prefettura – ufficio territoriale di Governo di Napoli sia conforme alla normativa vigente in materia;
   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative al fine di evitare che il bando della prefettura – ufficio territoriale di Governo di Napoli, ed in particolare il ricorso al criterio del massimo ribasso, possa determinare gravi pregiudizi alla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. (4-03878)

  Risposta. — Per fronteggiare l'incessante pressione migratoria registratasi a partire dal secondo semestre 2013, nell'attesa dell'approvazione della graduatoria per l'attivazione dei nuovi posti Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) per il triennio 2014-2016, il Ministero dell'interno – con una prima circolare dell'8 gennaio 2014 e successivamente con ulteriori circolari – ha chiesto ai prefetti di promuovere tutte le iniziative necessarie a reperire ulteriori strutture per l'accoglienza dei cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale.
  È in adesione a tale richiesta che la prefettura di Napoli ha predisposto e pubblicato il bando di gara citato nell'interrogazione, finalizzato a individuare il contraente con cui stipulare una convenzione per la fornitura del servizio di accoglienza, valida fino al 30 giugno 2014.
  In conformità alle previsioni del decreto legislativo n. 163 del 2006 – che individua l'economicità come primo principio da rispettare assieme a quelli dell'efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità – il criterio su cui si è basata la scelta è stato quello del massimo ribasso.
  Inoltre, come previsto dalla suddetta normativa, il bando di gara conteneva non solo elementi tecnici dettagliati sui servizi da fornire, ma anche indicazioni per salvaguardare le finalità sociali sottese al servizio di accoglienza.
  La partecipazione alla gara è stata consentita sia agli enti pubblici che a quelli del privato sociale, purché avessero tra i propri finì istituzionali quello di operare in un settore di intervento pertinente con i servizi di assistenza e accoglienza oggetto dell'appalto.
  Agli stessi enti è stato chiesto di dimostrare di aver prestato tali servizi nel corso dell'ultimo triennio e di avere una comprovata esperienza in ambito Sprar o in progetti di accoglienza similari, destinati ai richiedenti la protezione internazionale.
  Il bando poneva come ulteriore condizione che la struttura ricettiva avesse una capacità minima di 20 persone, fino a un massimo di 50 unità per struttura.
  Tali requisiti soggettivi e oggettivi sono stati recepiti e rafforzati nella convenzione da sottoscrivere con i soggetti aggiudicatari, contenente ogni elemento analiticamente predeterminato a garanzia dei cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale.
  Va tenuto conto, peraltro, che l'aggiudicazione della gara è avvenuta al prezzo di 27,80 euro pro-capite giornaliero, che poco si discosta da quello posto a base d'asta nel bando. Tale ribasso – seppur minimo – ha prodotto un sensibile risparmio per le finanze dello Stato e non ha inciso sicuramente sulla qualità delle prestazioni da garantire ai cittadini stranieri.
  Si assicura, dunque, che le procedure svolte dalla prefettura di Napoli per l'aggiudicazione del servizio di accoglienza sono conformi alla normativa vigente in materia e che tale servizio si svolge nel pieno rispetto dei diritti dei cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale.
  Più in generale, si precisa che il criterio del massimo ribasso sul prezzo a base d'asta è stato utilizzato a partire dal 1o gennaio 2012 per l'appalto dei centri governativi, in seguito a una serie di interventi legislativi finalizzati alla razionalizzazione e al contenimento della spesa pubblica, che hanno ridotto di circa 70 milioni di euro lo stanziamento statale sul capitolo di bilancio destinato alle spese di accoglienza (decreto-legge n. 138 del 2011 convertito in legge n. 148 del 2011 e legge n. 183 del 2011, legge di stabilità per l'anno 2012).
  Per quanto riguarda le strutture di accoglienza temporanea le cui convenzioni scadevano il 30 giugno 2014 – come quella cui fa riferimento l'interrogante –, con circolare del 20 giugno 2014 è stato chiesto ai prefetti di avviare le procedure di gara per assicurare la prosecuzione dell'accoglienza, alle stesse condizioni, fino al 31 dicembre 2014. Nelle more dell'aggiudicazione delle nuove gare, la continuità dell'assistenza dei migranti è stata garantita tramite la prosecuzione dei contratti già in atto.
  Inoltre, sulla base delle indicazioni emerse nell'ambito dei tavoli di coordinamento regionali, con successiva circolare del 27 giugno 2014, il prezzo posto a base d'asta per l'aggiudicazione dei nuovi appalti è stato elevato a 35 euro più iva, analogamente ai servizi afferenti allo Sprar.
  Nella stessa circolare è stato posto l'accento sulla necessità di pubblicizzare adeguatamente gli avvisi di gara, al fine di garantire un'effettiva concorrenza, come previsto dal predetto decreto legislativo n. 163 del 2006.
  Da ultimo, con circolare del 17 dicembre 2014, nelle more dell'ampliamento dei posti dello Sprar, è stata confermata l'esigenza di continuare a disporre dei posti disponibili nelle strutture temporanee di accoglienza, dando indicazione ai prefetti, nel caso di indizione di nuove gare d'appalto, di adottare il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e di tener presente che il prezzo pro die/pro capite, finora praticato, è compreso tra i 30 e i 35 euro al giorno a persona.
  La scadenza delle nuove convenzioni, di norma, dovrà essere fissata al 31 dicembre 2015, fatta salva la possibilità di cessazione anticipata al venir meno delle esigenze di accoglienza dei richiedenti asilo.
  Si sottolinea infine che, nelle citate circolari, il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha sempre ribadito la necessità che le prefetture esercitino l'attività di controllo e monitoraggio sulla puntuale erogazione dei servizi prestati in regime convenzionale, adottando i provvedimenti necessari a rimuovere le irregolarità gestionali eventualmente accertate.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   TOTARO e CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 maggio 2014 si sono tenute le elezioni amministrative del comune di Curti (Caserta) che hanno visto contrapposte le liste «Curti Positiva», amministrazione uscente, e «Legalità e Trasparenza»;
   all'esito della consultazione è risultata vincitrice la lista «Curti Positiva» per un solo voto di vantaggio rispetto alla lista Legalità e Trasparenza, vale a dire 2.251 voti contro 2.250;
   già nella serata del 25 maggio 2014 gli animi erano più che accesi al di fuori dei seggi elettorali, tanto che si è reso necessario l'intervento di una pattuglia di carabinieri e di una pattuglia della polizia di Stato per stemperare i toni dello scontro avvenuto tra i sostenitori delle opposte fazioni;
   il giorno successivo la tensione tra i due gruppi è sfociata in una vera e propria bagarre all'atto dello spoglio delle schede elettorali relative alle consultazioni comunali;
   sei delle sette sezioni costituenti il seggio elettorale hanno terminato le operazioni di scrutinio intorno alle ore 17.50, mentre, per motivi ignoti, nella sezione 5 tali operazioni sono protratte, con la conseguenza che l'attenzione degli elettori si è canalizzata su tale sezione, perché dall'esito dello scrutinio di tale sezione sarebbe dipeso l'esito dell'intera consultazione amministrativa;
   dall'affissione dei risultati riportai nelle altre sei sezioni già scrutinate risultava in vantaggio la lista «Legalità e Trasparenza per Antonio Raiano Sindaco» con uno scarto di 81 voti sull'altra liste, a conferma il trend di tutto lo spoglio;
   dopo ore concitate, con il coinvolgimento della prefettura di Caserta e dei carabinieri, lo spoglio è stato dichiarato concluso con la proclamazione a sindaco di Curti del dottor Michele Di Rauso per un solo voto di scarto sull'altro candidato, Antonio Raiano, il quale ha disconosciuto il risultato elettorale e ha presentato un ricorso al TAR della Campania, la cui discussione è fissata per il prossimo 20 novembre 2014;
   i motivi di tale ricorso sono da un lato l'erronea attribuzione di voti delle schede elettorali scrutinate, e, dall'altro, alcuni vizi di legittimità riscontrati nell'ambito delle operazioni di voto, tra i quali l'ammissione al voto di persona interdetta con sentenza definitiva per conclamato deficit cognitivo-mentale, e una discordanza nel numero dei votanti presso la sezione in oggetto;
   vale la pena segnalare, infatti, che la presidente della sezione n. 5 alla chiusura del seggio, ore 23,00 di domenica 24 maggio 2014, inviava la prescritta comunicazione all'ufficio elettorale del comune di Curti indicando che il numero di votanti sia per le elezioni europee che per quelle comunali nel proprio seggio era di 607, salvo, poi, il giorno successivo, in occasione dello spoglio delle schede relative alle elezioni comunali, verbalizzare che il numero di votanti fosse di 608;
   tale elemento assume una valenza davvero significativa se tiene conto del fatto che le elezioni comunali sono state decise proprio da un solo voto di differenza;
   il rappresentante della lista «Trasparenza e Legalità» ha presentato un esposto ai Carabinieri della stazione di San Prisco in cui ha denunciato ingiurie e minacce da parte di tutto il seggio elettorale allorquando tentò, invano, di far mettere a verbale tutte le irregolarità prodotte nella sezione n. 5 –:
   se il Ministro intenda acquisire notizie presso la prefettura circa le problematiche che hanno determinato la situazione di tensione nel comune di Curti e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere affinché sia sempre garantito il sereno svolgimento delle competizioni elettorali. (4-06726)

  Risposta. — Come riferito dall'interrogante, avverso la proclamazione degli eletti appartenenti alla lista «Curti Positiva» è stato prodotto, in via principale, dal candidato sindaco della lista contrapposta «Legalità e Trasparenza» ed incidentalmente da alcuni elettori del comune di Curti, ricorso al Tar Campania per l'annullamento degli atti relativi al procedimento elettorale per le elezioni amministrative del 25 maggio 2014, compresi i verbali di sezione e gli atti finali.
  Con ordinanza del 20 novembre 2014, il tribunale adito, previa riunione dei predetti ricorsi, ha disposto, tramite la prefettura, una mirata indagine conoscitiva finalizzata a verificare le censure contenute nei predetti ricorsi, con l'acquisizione del verbale delle operazioni dell'Ufficio centrale ed il verbale del prospetto dei voti di preferenza, nonché i verbali e le tabelle di scrutinio relativamente alle sezioni interessate. Il collegio giudicante ha rinviato la trattazione della causa all'udienza del 23 aprile 2015.
  Per quanto concerne gli altri aspetti dell'interrogazione, si fa presente che le operazioni elettorali di voto e scrutinio sono di esclusiva competenza dell'ufficio elettorale di sezione costituito, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, presso ogni sezione elettorale di un comune, mentre le operazioni di riepilogo dei risultati degli scrutini delle varie sezioni elettorali e quelle per la proclamazione degli eletti (sindaci e consiglieri) sono di competenza dell'Adunanza dei Presidenti dei seggi nei comuni sino a 15.000 abitanti.
  In proposito, il segretario comunale di Curti ha riferito che la persona cancellata per interdizione dalle liste elettorali nel 1991 è stata reiscritta nelle stesse liste per riacquisto dei diritti politici in data 24 marzo 1995. Per quanto concerne, invece, la discordanza tra la segnalazione effettuata subito dopo il termine delle operazioni di voto dal presidente del seggio n. 5 di «n. 607 votanti» e quella risultante dal verbale delle operazioni dell'ufficio elettorale di «n. 608 votanti», dagli atti depositati in comune è emerso che, in sede di comunicazione di chiusura dei seggi alle ore 23,00, il presidente della sezione n. 5 ha omesso di operare una distinzione del numero dei votanti relativi alle due elezioni in corso, quelle comunali e quelle per il Parlamento europeo.
  Infine, si informa le tensioni verificatesi all'esterno della sezione elettorale, dovute a un gruppo di persone che invocavano ad alta voce il riconteggio delle schede elettorali, hanno determinato l'intervento sul posto di personale della polizia di stato e dell'Arma dei carabinieri, che hanno vigilato sulla corretta consegna dei plichi elettorali alla sede comunale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   VARGIU. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità dei servizi» stabilisce che le prestazioni del servizio postale universale sono fornite permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane;
   l'articolo 12 del menzionato decreto legislativo dispone che l'autorità di regolamentazione del settore postale stabilisce gli standard qualitativi del servizio postale universale, adeguandoli a quelli realizzati a livello europeo;
   l'unico ufficio postale presente nel comune di Nuragus (CA) fornisce il servizio a circa mille residenti (il 28,2 per cento dei quali rappresentato da pensionati ultra sessantacinquenni) solo nei giorni dispari;
   il territorio comunale, comprensivo della frazione di Lixius, presenta forti criticità, tra le quali l'inefficiente sistema di trasporto pubblico locale, l'isolamento e l'insufficiente copertura della rete internet;
   l'operatività nei soli giorni dispari rischia di compromettere il regolare svolgimento del servizio postale universale che dovrebbe essere assicurato a tutti i cittadini, con particolare riguardo alle zone svantaggiate del Paese colpite ormai da anni da un irreversibile fenomeno di spopolamento e, proprio per questo, fortemente penalizzate;
   nel comune di Nuragus ed in altre località dell'entroterra sardo l'insufficienza dei servizi di pubblica utilità non si limita ai soli sportelli postali, ma riguarda anche quelli bancari, ai quali si aggiunge l'assenza di scuole secondarie di primo grado e di prospettive occupazionali per le giovani generazioni, tutto ciò costituendo una concreta prospettiva di fine certa per numerose piccole comunità e territori dell'isola –:
   se, nell'ambito delle competenze del Ministero dello sviluppo economico ferme restando che le funzioni di regolazione e vigilanza del servizio postale sono state trasferite all'Autorità garante per le comunicazioni con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, intenda avviare un'azione di sensibilizzazione nei confronti della concessionaria Poste italiane, relativamente alla rimodulazione dei giorni di apertura al pubblico degli sportelli postali nel comune di Nuragus, in quanto area disagiata. (4-06554)

  Risposta. — In merito all'ufficio postale di Nuragus, la società Poste italiane ha rappresentato che a seguito degli esigui flussi di traffico rilevati nel tempo ed ancora perduranti, lo stesso è stato interessato nell'anno 2012 da una rimodulazione dell'orario di apertura, nel rispetto del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete pubblica», modificato dalla delibera Agcom 342/14 Cons del 26 giugno 2014, regolarmente comunicata all'Agcom, e rimane aperto nei giorni di lunedì, mercoledì e venerdì.
  La società ha fatto, peraltro, presente che, in posizione limitrofa, ad una distanza di circa 3 chilometri, sono presenti sul territorio altri 2 uffici: «genomi», aperto 3 giorni a settimana nelle giornate in cui l'ufficio «Nuragus» rimane chiuso, e «Gesturi», aperto tutti i giorni.
  Al riguardo l'Agcom ha specificato che l'articolo 2, comma 4, lettera
c) del decreto legislativo n. 261 del 1999 attribuisce alla stessa autorità una competenza specifica nella «determinazione dei criteri di ragionevolezza funzionali alla individuazione dei punti del territorio nazionale necessari a garantire una regolare ed omogenea fornitura del servizio». Su tale delicata materia l'autorità con la citata delibera n. 342/14/CONS, recante «punti di accesso alla rete postale: modifica dei criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane», ha integrato i criteri di distribuzione degli uffici postali di cui all'articolo 2 del decreto del 7 ottobre 2008, attraverso l'introduzione di specifiche previsioni di garanzia a tutela degli utenti residenti nelle zone remote del Paese, qualificando come tali, da un lato, i comuni rurali che rientrano anche nella categoria di comuni totalmente montani, dall'altro, le isole minori.
  La predetta autorità ha, inoltre, evidenziato che le suddette previsioni, dettate dalla necessità di garantire la fruizione del servizio universale anche in situazioni caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, sono in parte controbilanciate, al fine di consentire il perseguimento degli obiettivi di contenimento degli oneri del servizio universale previsti dal contratto di programma, da una riduzione dell'orario di apertura minimo, da tre giorni e 18 ore settimanali a due giorni e 12 ore settimanali, che riguarda un numero limitato di uffici ovvero quegli uffici che sono presidio unico di comuni con popolazione residente inferiore a 500 abitanti, a condizione che in prossimità (entro 3 chilometri di distanza) vi sia un ufficio che, nei restanti giorni lavorativi della settimana, assicuri alla popolazione locale la fruizione dei servizi postali.
  Secondo quanto riferito dall'Agcom, il comune in oggetto, rientra nella categoria dei Comuni rurali a presidio unico (secondo l'elenco di Comuni italiani pubblicato dall'Istat a giugno 2013), con una popolazione residente superiore ai 500 abitanti.
  Pertanto, per l'autorità, l'operatività dell'ufficio in esame nei soli giorni dispari, disposta dalla società poste italiane, risulta conforme ai criteri di distribuzione degli uffici postali previsti all'articolo 2 del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, al fine di garantire l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso alla rete postale sul territorio nazionale (articolo 3, comma 5, lettera
c)) del decreto legislativo n. 261 del 1999).
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   VEZZALI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 10 maggio 2012, nell'ambito di una missione di pace in Kosovo, la dottoressa Barbara Balanzoni, all'epoca dei fatti ufficiale medico presso la base militare italiana in Kosovo, aiutava una gatta, mascotte della base italiana militare, in evidente stato di difficoltà, a partorire i suoi cuccioli;
   secondo il racconto del medico Balanzoni, la gatta, proprio perché visibilmente sofferente nel partorire rischiava la propria vita e quella dei suoi piccoli;
   questo gesto è stato punito con cinque giorni di consegna per «disobbedienza aggravata continuata» per non aver rispettato il divieto firmato dal comandante della base di avvicinare animali randagi;
   con la sua azione, il medico tenente dell'esercito italiano ha aiutato il povero animale a partorire salvando la vita anche ai suoi cuccioli;
   il 7 febbraio 2014 la donna sarà processata davanti al tribunale militare di Roma, dopo il rinvio a giudizio del mese di dicembre da parte del Gup, nel quale si rileva che la stessa «in esecuzione di un medesimo disegno criminoso disobbediva all'ordine scritto, datato il 6 maggio 2012, a firma del comandante della Base, riguardante il divieto di avvicinare o farsi avvicinare da animali selvatici, randagi o incustoditi, venendo così morsa»;
   di fatto, il medico Balanzoni riferisce di non essere stata morsa ma graffiata da un animale spaventato;
   la vicenda, ha sollevato proteste e la solidarietà di cittadini e l'appoggio di enti per la protezione animali a cui si aggiungono le firme raccolte in suo favore;
   l'interrogante ritiene grave che in Italia si venga processati, nell'ambito di missioni di pace, solo perché si è salvata la vita ad un animale che rischiava di morire di parto, per di più senza che tale atto compromettesse qualsiasi azione legata agli interventi di pace della missione –:
   se non intenda assumere iniziative affinché eventuali sanzioni in relazione a difformità relative ad ordini provenienti da vertici militari, anche in aree di operazioni, non producano effetti paradossali come quelli descritti in premessa. (4-03124)

  Risposta. — Sulle questioni oggetto dell'interrogazione in esame il Governo ha già avuto modo di riferire dinanzi alla 4a Commissione difesa del Senato, in data 6 febbraio 2014, in risposta ad un'interrogazione orale a firma della senatrice Amati (n. 3-00610).
  In tale occasione era stata posta nella dovuta evidenza la circostanza che i reati contestati alla dottoressa Balanzoni si riferivano ad una vicenda giudiziaria più complessa di quanto rappresentato nell'atto e riportato dalle stesse agenzie giornalistiche e che l'autorità giudiziaria, all'epoca, stava indagando per accertare la fondatezza della sussistenza di fattispecie criminose ben determinate in capo all'interessata.
  Con sentenza depositata in cancelleria in data 18 febbraio 2014, il tribunale militare di Roma ha assolto l'interessata dal reato di «disobbedienza aggravata continuata» disponendo, al contempo, la separazione dei processi relativamente ai reati di «diffamazione aggravata» e di «ingiuria aggravata e continuata».
  Dagli stessi atti processuali, pertanto, si evince che il rinvio a giudizio della dottoressa Balanzoni non è stato disposto «solo perché si è salvata la vita ad un animale che rischiava di morire di parto», ma ha trovato fondamento in condotte ritenute riconducibili a fattispecie di reato su cui si dovrà attendere la pronuncia giudiziale.
  In ragione di ciò, non è possibile assumere alcuna iniziativa nel senso indicato dall'interrogante, quantomeno fino all'avvenuta definitiva pronuncia del giudice.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.