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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 15 giugno 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 15 giugno 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Bellanova, Benamati, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Businarolo, Caparini, Casero, Castiglione, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, D'Alia, Da Villa, Dambruoso, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Madia, Merlo, Migliore, Nicoletti, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Scalfarotto, Scotto, Sereni, Sisto, Tabacci, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli, Zanetti, Zolezzi.

Annunzio di una proposta di legge.

  In data 12 giugno 2015 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
   RAMPELLI ed altri: «Modifica all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, in materia di divieto del finanziamento dei partiti politici da parte delle cooperative sociali» (3168).

  Sarà stampata e distribuita.

Trasmissione dal Senato.

  In data 12 giugno 2015 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:
   S. 859-1357-1378-1484-1553. – Senatore SCILIPOTI ISGRÒ; senatore FALANGA; senatori MOSCARDELLI ed altri; senatore STUCCHI; senatrice GINETTI: «Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali, nonché disposizioni di coordinamento al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e al decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274» (approvata, in un testo unificato, dal Senato) (3169).

  Sarà stampata e distribuita.

Annunzio di una domanda di autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni di conversazioni.

  Con nota pervenuta il 12 giugno 2015, il Presidente della I sezione penale del tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha trasmesso alla Presidenza della Camera una domanda di autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni di conversazioni nei confronti di Nicola COSENTINO, deputato all'epoca dei fatti, nell'ambito del procedimento penale n. 325/11 RG Mod. 16 - n. 61604/10 RG Mod. 21 DDA. La domanda è stata assegnata in data odierna alla competente Giunta per le autorizzazioni.

  Copia della domanda sarà stampata e distribuita (Doc. IV, n. 10).

Trasmissioni dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 11 giugno 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente parco nazionale della Sila, per gli esercizi dal 2011 al 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 285).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 11 giugno 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Ente parco nazionale dell'Appennino Lucano – Val D'Agri – Lagonegrese, per l'esercizio 2013. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 286).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VIII Commissione (Ambiente).

Trasmissione dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

  Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con lettera in data 15 giugno 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge 29 ottobre 1997, n. 374, la relazione – per la parte di propria competenza – sullo stato di attuazione della medesima legge n. 374 del 1997, recante norme per la messa al bando delle mine antipersona, riferita al secondo semestre del 2014 (Doc. CLXXXII, n. 6).

  Questa relazione è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri), alla IV Commissione (Difesa) e alla X Commissione (Attività produttive).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 12 giugno 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1829/2003 per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare l'uso di alimenti e mangimi geneticamente modificati sul loro territorio (COM(2015) 177 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti.

  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali), alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 12 giugno 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
  Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Corte dei conti – Sintesi delle realizzazioni della Commissione in materia di gestione per il 2014 (COM(2015) 279 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio);
  Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'esercizio del potere di adottare atti delegati conferito alla Commissione a norma della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento) (COM(2015) 284 final), che è assegnata in sede primaria alla VIII Commissione (Ambiente);
  Proposta di decisione di esecuzione del Consiglio che autorizza l'Italia ad introdurre una misura speciale di deroga agli articoli 206 e 226 della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (COM(2015) 289 final), che è assegnata in sede primaria alla VI Commissione (Finanze).

Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.

  Il Ministero dell'interno, con lettere in data 11 giugno 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Belcastro (Catanzaro), Fisciano (Salerno), Parrano (Terni), Pennadomo (Chieti), Piadena (Cremona), San Sebastiano al Vesuvio (Napoli) e Terracina (Latina).

  Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

  Sono pervenute alla Presidenza dai competenti Ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

RELAZIONE, AI SENSI DELL'ARTICOLO 37 DELLA LEGGE 30 LUGLIO 2002, N. 189, SULLE AZIONI ADOTTATE PER LA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI E SULL'IMPIEGO DI LAVORATORI IMMIGRATI IN ITALIA, NEL PERIODO OTTOBRE 2013-APRILE 2015, APPROVATA DAL COMITATO PARLAMENTARE DI CONTROLLO SULL'ATTUAZIONE DELL'ACCORDO DI SCHENGEN, DI VIGILANZA SULL'ATTIVITÀ DI EUROPOL, DI CONTROLLO E VIGILANZA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE (DOC. XVI-BIS, N. 3)

Doc. XVI-bis n. 3 – Risoluzione

   La Camera dei deputati,
   esaminata la Relazione del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia d'immigrazione, presentata all'Assemblea ai sensi dell'articolo 37 della legge 30 luglio 2002, n. 189, sulle azioni adottate per la gestione dei flussi migratori e sull'impiego di lavoratori immigrati in Italia, nel periodo ottobre 2013-aprile 2015 (Doc. XVI-bis, n. 3);
   tenuto conto che il Regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 – ove si stabiliscono i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide (Rifusione), cosiddetto Regolamento di Dublino III – prevede il criterio della competenza del Paese di primo ingresso per l'esame della domanda di protezione internazionale, in larga parte sostenuto dalla maggioranza dei Paesi del centro e del nord Europa, fortemente penalizzando Paesi come l'Italia, che geograficamente rappresentano il primo punto d'approdo rispetto alle coste africane, quale successivo territorio di transito verso l'Europa continentale;
   evidenziato che il suddetto Regolamento Dublino III, secondo le informazioni acquisite dal Comitato essendo stato recentemente adottato con l'accordo di tutti gli Stati membri, potrebbe essere modificato solo in tempi non brevi;
   considerato che il Regolamento Dublino III prevede espressamente le cosiddette clausole discrezionali di cui all'articolo 17, e cioè la clausola di sovranità e la clausola umanitaria, che stabiliscono, da un lato, che uno Stato membro, a prescindere dal principio dello Stato «di primo approdo» fissato dal Regolamento di Dublino, può sempre decidere di assumere la responsabilità di esaminare una richiesta di asilo presentata in frontiera o sul territorio, anche se, in base ai criteri ordinari, la competenza dovrebbe essere attribuita ad altro Stato membro, e, dall'altro lato, che qualsiasi Stato membro, pur non essendo competente per l'esame della domanda secondo i criteri ordinari, può diventarlo in considerazione di esigenze familiari o umanitarie del richiedente asilo;
   evidenziato quindi che l'applicazione puntuale del Regolamento di Dublino III, e in particolare delle clausole discrezionali di cui all'articolo 17 del Regolamento, consentirebbe di derogare ai criteri generali di determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo, in base al principio del «primo approdo», facilitando i ricongiungimenti familiari dei rifugiati o degli immigrati che arrivano in Italia, diretti verso un altro Stato membro, senza necessità di modificare il medesimo Regolamento,

impegna il Governo

a valorizzare a pieno, per quanto di sua competenza, in sede europea e nazionale, con particolare riguardo alla riunione del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015, quanto previsto dall'articolo 17 del Regolamento (UE) n. 604/2013, cosiddetto Regolamento Dublino III, promuovendo un sistema di asilo europeo che consenta un'equa ripartizione degli oneri tra gli Stati membri di primo ingresso e gli altri.
(6-00139) «Ravetto».


MOZIONI GRILLO ED ALTRI N. 1-00767, MIOTTO ED ALTRI N. 1-00899, CALABRÒ ED ALTRI N. 1-00900, NICCHI ED ALTRI N. 1-00904, PALESE E FUCCI N. 1-00905, VARGIU ED ALTRI N. 1-00907 E RONDINI ED ALTRI N. 1-00908 CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN MERITO AL PERSONALE DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE, AL FINE DI ASSICURARE I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il comma 98 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ha disposto che per «gli enti del servizio sanitario nazionale, sono fissati criteri e limiti per le assunzioni per il triennio 2005-2007, previa attivazione delle procedure di mobilità e fatte salve le assunzioni del personale infermieristico del Servizio sanitario nazionale»;
    il comma 173 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 ha disposto, alla lettera d), il rispetto degli obblighi di programmazione a livello regionale, al fine di garantire l'effettività del processo di razionalizzazione delle reti strutturali dell'offerta ospedaliera e della domanda ospedaliera, con particolare riguardo al riequilibrio dell'offerta di posti letto per acuti e per lungodegenza e riabilitazione, alla promozione del passaggio dal ricovero ordinario al ricovero diurno, nonché alla realizzazione degli interventi previsti dal piano nazionale della prevenzione e dal piano nazionale dell'aggiornamento del personale sanitario, coerentemente con il piano sanitario nazionale;
    il comma 198 dell'articolo 1 della legge del 30 dicembre 2005, n. 266, prevede che «gli enti del servizio sanitario nazionale, fermo restando il conseguimento delle economie di cui all'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese di personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'IRAP, non superino per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1 per cento»;
    il comma 565 dell'articolo 1 della legge 30 dicembre 2006, n. 296, ha disposto alla lettera a) che gli enti del Servizio sanitario nazionale, fermo restando quanto previsto per gli anni 2005 e 2006 dall'articolo 1, commi 98 e 107, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e, per l'anno 2006, dall'articolo 1, comma 198, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando misure necessarie a garantire che le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell'Irap, non superino per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento;
    il comma 583 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, riduce i termini temporali del blocco del turnover;
    il comma 584 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, estende al periodo 2016-2020 i vigenti parametri di contenimento della spesa per il personale degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale;
    il comma 72 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, prevede che «Gli enti destinatari delle disposizioni di cui al comma 71, nell'ambito degli indirizzi fissati dalle regioni, anche in connessione con i processi di riorganizzazione, ivi compresi quelli di razionalizzazione ed efficientamento della rete ospedaliera, per il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa previsti dal medesimo comma:
     a) predispongono un programma annuale di revisione delle consistenze di personale dipendente a tempo indeterminato, determinato, che presta servizio con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di lavoro flessibile o con convenzioni, finalizzato alla riduzione della spesa complessiva per il personale, con conseguente ridimensionamento dei pertinenti fondi della contrattazione integrativa per la cui costituzione fanno riferimento anche alle disposizioni indicate nell'articolo 1, commi 189, 191 e 194, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni;
     b) fissano parametri standard per l'individuazione delle strutture semplici e complesse, nonché delle posizioni organizzative e di coordinamento, rispettivamente, delle aree della dirigenza e del personale del comparto del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto comunque delle disponibilità dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa così come rideterminati ai sensi del presente comma»;
    l'articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 5 agosto 2010, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla legge 1o ottobre 2010, n. 163, ha disposto, nelle regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, il blocco automatico del turnover del personale dipendente e del personale convenzionato e il divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi dell'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, nel caso in cui i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino, entro il 31 ottobre 2010, il venire meno parziale delle condizioni che hanno determinato l'applicazione delle citate misure, nel limite del 10 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
    l'ultimo capoverso del comma 2-bis dell'articolo 2 del citato decreto-legge n. 125 del 2010 prevede che la disapplicazione delle stesse norme sopra citate è disposta con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale;
    il punto 3 dell'allegato A dell'atto di rettifica dell'atto repertorio n. 98/CSR 2014 prevede una serie di standard minimi e massimi di strutture per singole discipline, un determinato numero di posti letto (3,7/1.000) nonché un tasso di ospedalizzazione (160/1.000 abitanti) legati ad un indice di occupazione del posto letto che deve attestarsi sui valori del 90 per cento) e sulla durata media di degenza, per ricoveri ordinari, che deve essere inferiore mediamente a sette giorni;
    il punto 6.2 dell'allegato A dell'atto di rettifica dell'atto repertorio n. 98/CSR 2014 prevede che nei presidi ospedalieri il rapporto percentuale tra il numero di personale del ruolo amministrativo e il numero totale del personale non può superare il valore del 7 per cento;
    il recente documento pubblicato dall'Agenas dal titolo «Andamento della spesa sanitaria nelle Regioni anni 2008-2013» indica come «La dinamica del livello di spesa mostra che dal 2010 si registra una contrazione della spesa a dimostrazione che la sanità è stata interessata da politiche di contenimento dei costi, e soprattutto dalla particolare attenzione alle situazioni di squilibrio, si rileva, infatti che la variazione media annua 2010-2013 risulta pari a - 0,28 per cento»;
    recentemente il Ministro della salute ha presentato la proposta relativa ai nuovi livelli essenziali di assistenza (lea) dalla quale si evince una maggiore spesa rispetto alla situazione attuale; già attualmente numerose aziende sanitarie e ospedaliere, al fine di garantire gli attuali livelli essenziali di assistenza, sono costrette a ricorrere a convenzionamenti interni e/o a prestazioni lavorative che vengono tuttavia contabilizzate in bilancio sotto la voce di «acquisti di beni e servizi», eludendo di fatto le norme precedentemente riportate e attuando soluzioni spesso più onerose di eventuali contratti, quali, ad esempio, quelli a tempo determinato,

impegna il Governo:

   ad istituire, in sede di Conferenza Stato-regioni, un tavolo di confronto al fine di individuare le modalità di rivisitazione, nel rispetto della programmazione come stabilito dalle normative vigenti, delle norme di gestione del personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, facendo sì che i risultati del tavolo di lavoro sopra indicato siano presentati entro e non oltre il 30 aprile 2015, data di scadenza per la presentazione dei costi e dei fabbisogni standard (comma 601 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190);
   al fine di assicurare il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, ad assumere iniziative per una deroga al blocco del turnover del personale del Servizio sanitario nazionale, applicandola anche alle regioni sottoposte ai piani di rientro;
   ad assumere le iniziative di competenza, anche di concerto con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, al fine di semplificare ed attuare le procedure di mobilità interregionale del personale sanitario in relazione alle piante organiche e alla garanzia di assicurare i livelli essenziali delle prestazioni in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale.
(1-00767) «Grillo, Baroni, Di Vita, Silvia Giordano, Lorefice, Mantero, Cecconi, Dall'Osso, Tripiedi, Ciprini».


   La Camera,
   premesso che:
    le indagini conoscitive condotte dalle commissioni di Camera e Senato sulla sostenibilità del sistema sanitario hanno consegnato al Parlamento ed al Governo impegnative conclusioni: una su tutte attiene alla necessità di non diminuire il finanziamento al sistema sanitario, ma di reinvestire nel sistema i risparmi che si debbono realizzare attraverso un'oculata spending review;
    un capitolo decisivo per l'efficienza del Servizio sanitario nazionale riguarda il personale. Come evidenzia la relazione approvata in data 10 giugno 2015 presso la 12a Commissione del Senato della Repubblica, «il personale costituisce oggi uno dei fattori di maggiore criticità del Servizio sanitario nazionale. Nel Servizio sanitario nazionale lavorano oltre 715 mila unità di personale, di cui 665 mila dipendenti a tempo indeterminato, 34 mila con rapporto di lavoro flessibile e 17 mila personale universitario. A questo si aggiunge il personale che opera nelle strutture private (accreditate e non) e, più in generale, nell'industria della salute, fra i quali i 222 mila occupati nella filiera del farmaco (produzione, indotto e distribuzione); la sanità è, quindi, un settore ad alta intensità di lavoro, in gran parte molto qualificato»;
    la ragione delle criticità è principalmente da ricondurre ai tanti vincoli imposti, sia alla spesa sia alla dotazione di personale, in questi ultimi anni, in particolare nelle regioni sottoposte a piano di rientro: riduzione della spesa rispetto al livello del 2009; blocco totale o parziale del turnover, in particolare in caso di disavanzo sanitario; blocco delle procedure contrattuali; blocco della indennità di vacanza contrattuale (congelata al 2013); blocco dei trattamenti accessori della retribuzione; contenimento della spesa per il lavoro flessibile; riduzione delle risorse per la formazione specialistica dei medici;
    un insieme di vincoli che, se hanno consentito una riduzione dal 2010 al 2012 di oltre 1 miliardo di euro (e ulteriori 700 milioni di risparmio sono già previsti per i prossimi anni), hanno anche prodotto una riduzione della capacità di risposta ai bisogni della popolazione (aumento delle liste di attesa e limitazioni dell'offerta, soprattutto nella componente socio-sanitaria), un aumento dell'età media dei dipendenti (il 36 per cento dei medici ha più di 55 anni e il 30 per cento degli infermieri ha più di 50 anni), un incremento dei carichi di lavoro e dei turni straordinari di lavoro del personale, nonché una serie di problematiche tra cui un malessere diffuso tra gli operatori ed una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di outsourcing elusive della normativa sul blocco;
    l'esperienza insegna che, la prassi dell’outsourcing e del ricorso al lavoro flessibile, spesso necessaria (per garantire i servizi) e per lo più illusoria (quanto a contenimento della spesa), ha di fatto aumentato il precariato all'interno del sistema, anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale (dal pronto soccorso alla rianimazione) e indebolito progressivamente la sanità pubblica, in ragione del crescente impiego di personale non strutturato, non appartenente al servizio, non destinatario di specifiche attività formative e non titolare di alcune importanti tutele (si pensi, ad esempio, alla tutela della maternità);
    si aggiunga che, con la legge di stabilità per il 2015, ulteriori 2,6 miliardi di euro sono stati detratti dai trasferimenti a valere sul fondo sanitario nazionale, aggravando la già precaria condizione dei bilanci regionali, in particolare nelle regioni con piano di rientro;
    peraltro, l'approvazione del recente Patto per la salute, l'approvazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 6 marzo 2015 per la stabilizzazione dei lavoratori precari del Servizio sanitario nazionale e la recente pubblicazione del decreto sugli standard organizzativi e strutturali degli ospedali rappresentano la strumentazione normativa che può consentire l'avvio al superamento delle criticità sopra indicate;
    è d'obbligo tener conto dei vincoli generali di finanza pubblica che impegnano Parlamento e Governo a reperire le risorse per il rinnovo dei contratti che da anni sono congelati, ma alcune innovazioni possono rappresentare impegno prioritario per il Governo;
    tra il personale sanitario un intervento specifico deve riguardare la dirigenza sanitaria, viste sia la peculiarità della funzione svolta a garanzia di un diritto fondamentale costituzionalmente garantito, sia la peculiarità in materia di reclutamento con laurea magistrale e percorsi formativi soggetti alla normativa europea sulle specializzazioni mediche e sanitarie,

impegna il Governo:

   a predisporre una revisione complessiva dei vincoli imposti per la gestione del personale del Servizio sanitario nazionale con provvedimenti volti a favorire il ricambio generazionale;
   ad assumere iniziative per preservare la dotazione di personale attraverso assunzioni a tempo indeterminato nei servizi strategici come i servizi d'emergenza-urgenza, terapia intensiva e subintensiva, centri trapianti, assistenza domiciliare;
   ad assumere iniziative per limitare il blocco del turnover e, più in generale, per evitare l'adozione di vincoli che producono effetti perversi, perché riducono il personale dipendente ma aumentano il ricorso a personale precario e/o a servizi esterni molto spesso più costosi a parità di attività;
   a rimuovere, per quanto di competenza, gli ostacoli che di fatto, oggi, impediscono la mobilità a livello regionale;
   a valutare la necessità di assumere iniziative di competenza per introdurre una distinta area negoziale della dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale ai fini della stipula dei relativi accordi nazionali di lavoro, in aggiunta a quelle già attualmente previste, visto che la dirigenza medica veterinaria e sanitaria costituisce oltre l'80 per cento di tutta la dirigenza pubblica contrattualizzata.
(1-00899) «Miotto, Lenzi, Gelli, Grassi, Albini, Amato, Argentin, Carnevali, Capone, D'Incecco, Murer, Sbrollini, Luciano Agostini, Albanella, Antezza, Beni, Borghi, Carloni, Carrozza, Fabbri, Fanucci, Fontanelli, Fossati, Fragomeli, Giacobbe, Iacono, Incerti, Marchetti, Marchi, Montroni, Rampi, Mariano, Patriarca, Lodolini, Casellato, Cominelli, Valeria Valente, Mognato, Preziosi».


   La Camera,
   premesso che:
    nell'ambito di un ampio processo volto alla razionalizzazione e riorganizzazione della rete assistenziale, si è assistito all'adozione di misure relative alla gestione del personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale che hanno progressivamente comportato una contrazione nelle assunzioni del personale sanitario al fine di un ridimensionamento della spesa complessiva;
    la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (articolo 1, comma 583) prevede che gli attuali strumenti di contenimento della spesa per il personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale siano estesi al periodo 2016-2020;
    il personale sanitario costituisce oggi uno dei fattori di maggiore criticità del Servizio sanitario nazionale e i vincoli imposti, tra cui il blocco totale e parziale del turnover, se, da un lato, hanno consentito una riduzione della spesa sanitaria, dall'altro, hanno determinato una contrazione dell'offerta sanitaria con riflessi anche sui livelli essenziali di assistenza (lea) e sull'uniforme garanzia dei medesimi sul territorio nazionale;
    a seguito del verificarsi di situazioni di carenza di personale necessario per garantire i servizi sanitari essenziali, si è sempre più diffusa la pratica dell’outsourcing e del ricorso al lavoro flessibile, eludendo in tal modo la normativa in materia ed aumentando il precariato all'interno del sistema;
    allo stato attuale, le stesse caratteristiche del Servizio sanitario nazionale consentono di gestire eventuali carenze o eccedenze di personale solo a livello regionale, poiché, se si rilevasse un'eccedenza di personale in una singola regione e contemporaneamente una carenza in un'altra, oggi non sarebbe possibile governare il flusso per riequilibrare la distribuzione di risorse umane a livello nazionale;
    il Patto per la salute 2014-2016 prevede, oltre a misure volte a stabilizzare il personale precario e ridurre i vincoli del turnover, l'introduzione di standard di personale per livello di assistenza, anche attraverso la valorizzazione delle iniziative promosse a livello comunitario, al fine di determinare il fabbisogno dei professionisti sanitari a livello nazionale (articolo 22);
    l'adozione di efficaci misure volte alla razionalizzazione e gestione del personale sanitario, idonee al assicurare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza e il contenimento della spesa pubblica, presuppone che venga accertato il fabbisogno di personale sanitario a livello nazionale e per livello di assistenza;
    a fronte del verificarsi di situazioni di carenza di personale sanitario è quanto mai necessario trovare soluzioni adeguate, puntando all'utilizzo ottimale delle risorse umane, anche attraverso politiche che favoriscono la mobilità,

impegna il Governo:

   ad adottare, in tempi rapidi, una metodologia, mediante accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, che consenta di determinare il fabbisogno di personale sanitario a livello nazionale e regionale in modo univoco, in quanto determinato in base a uniformi e definiti parametri e criteri di valutazione, nonché a garantire un'attività di monitoraggio, a livello centrale, per la sopraddetta iniziativa;
   a valutare, ferma restando la competenza regionale in materia, ogni iniziativa di competenza, anche di concerto con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, affinché siano individuate misure volte a realizzare la mobilità interregionale del personale sanitario.
(1-00900) «Calabrò, Binetti, Dorina Bianchi».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge n. 833 del 1978, il nostro Paese ha istituito il Servizio sanitario nazionale. A 37 anni dalla sua istituzione il Servizio sanitario nazionale continua, nonostante tutto, a rappresentare un pilastro fondamentale del sistema di welfare;
    per poter continuare a garantire l'universalità e l'equità, la sanità pubblica ha però bisogno di un rafforzamento capace di garantire effettivamente a tutti il diritto alla salute e alle cure, l'equità di accesso ai servizi, l'universalità e il finanziamento pubblico;
    in realtà, si sta sempre più andando verso un sistema sanitario a due binari: uno pubblico sempre meno efficiente e non adeguato, e destinato alle fasce sociali medie e basse, e un sistema misto pubblico-privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, e con prestazioni spesso quali-quantitativamente migliori destinate ai cittadini con maggiori possibilità economiche. Le politiche del definanziamento al Servizio sanitario nazionale e dei ticket intraprese in questi anni stanno quindi rendendo competitive le prestazioni private e mettono in crisi i diritti alle prestazioni sanitarie di larghe fasce di popolazione;
    a confermare la strada intrapresa, che, di fatto, conduce a soluzioni privatistiche di uscita dalla crisi, è la ricerca Censis-Rbm Salute, presentata proprio nei giorni scorsi a Roma, dalla quale emerge come il servizio sanitario pubblico è sempre più ingolfato per le lunghe liste d'attesa e per gli italiani diventa più conveniente ricorrere alle strutture private. La scelta del privato spesso diventa un obbligo per accorciare i tempi. Così si ha un miliardo di euro in più in un anno uscito dalle tasche degli italiani, per un totale di 33 miliardi nel 2014 (+2 per cento rispetto all'anno precedente). A tanto ammonta la spesa sanitaria «out of pocket», mentre la spesa sanitaria pubblica supera i 110 miliardi di euro;
    il rapporto Censis, evidenzia come «pagare diventa per tutti, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alla prestazione in tempi realistici». Oltre 9 milioni di italiani hanno effettuato visite specialistiche nell'ultimo anno nel privato a pagamento intero (2,7 milioni di questi sono persone a basso reddito);
    le risorse per i servizi e il personale del Servizio sanitario nazionale si sono ridotte e si vanno sempre più riducendo, tanto da compromettere il diritto stesso alla salute e alle cure dei cittadini;
    lo stesso Documento di economia e finanza 2015, presentato dal Governo e approvato dal Parlamento nell'aprile 2015 non prevede alcuna inversione di tendenza nella riduzione di risorse, ma anzi stima una crescita per i prossimi anni della spesa sanitaria inferiore a quella del prodotto interno lordo, con un progressivo calo dal 6,8 per cento del 2015 al 6,5 per cento dell'anno 2019, nel rapporto fra spesa sanitaria e prodotto interno lordo;
    il Documento di economia e finanza prevede un taglio di 2,352 miliardi di euro al Fondo sanitario nazionale a decorrere dal 2015, con conseguente riduzione di pari importo del livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale. In realtà, il totale dei tagli è di 2,637 miliardi di euro, in quanto ai 2,352 miliardi di euro di minore stanziamento del fondo sanitario, stabilito dall'intesa Stato-regioni del 26 febbraio 2015, si sommano i 285 milioni di euro in meno per l'edilizia sanitaria, previsti anch'essi dall'intesa di febbraio 2015;
    il Governo prosegue con la politica dei tagli al Servizio sanitario nazionale, senza ricordare che la spesa sanitaria pubblica italiana risulta inferiore a quella dei principali Paesi europei: poco meno di 2.500 dollari pro capite nel 2012, a fronte degli oltre 3.000 dollari spesi in Francia e Germania. Il servizio sanitario pubblico italiano rimane quindi tra i meno costosi al mondo. Nelle statistiche internazionali, l'Italia si presenta con una spesa più bassa della media Ocse e della media dell'Unione europea;
    la stessa Corte dei conti, nella sua recente «Relazione sulla gestione finanziaria per l'esercizio 2013 degli enti territoriali», ha ricordato come «Ulteriori risparmi, ottenibili da incrementi di efficienza, se non reinvestiti prevalentemente nei settori dove più carente è l'offerta di servizi sanitari, come, ad esempio, nell'assistenza territoriale e domiciliare oppure nell'ammodernamento tecnologico e infrastrutturale, potrebbero rendere problematico il mantenimento dell'attuale assetto dei LEA, facendo emergere, nel medio periodo, deficit assistenziali, più marcati nelle regioni meridionali, dove sono relativamente più frequenti tali carenze»;
    in un'intervista al quotidianosanita.it dell'8 maggio 2015, il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, dichiarava, tra l'altro, che «la sanità, al di là dei risparmi di efficienza ottenibili, ha bisogno di più risorse soprattutto su tre fronti: innovazione, investimenti, ricerca e personale. (...). Implementeremo con azioni specifiche per dare finalmente fiato al personale del SSN che da anni ha il contratto e il turn over bloccati»;
    è auspicabile che il Ministro della salute Lorenzin, coerentemente con le sopraddette dichiarazioni, intervenga per superare l'insostenibilità delle restrizioni imposte al personale del Servizio sanitario nazionale in questi anni;
    i contratti per il personale dipendente del Servizio sanitario nazionale sono bloccati da 6 anni, con condizioni di lavoro peggiorate e sempre più gravose e con lavoratori privati di prospettive professionali ed economiche, e tutto questo con ricadute negative sempre più evidenti, a cominciare dalla capacità di garantire i livelli essenziali di assistenza;
    non c’è bisogno di attendere la sentenza della Corte costituzionale in calendario a partire dal 23 giugno 2015, chiamata a decidere sulla legittimità del blocco degli stipendi degli impiegati statali, per capire che il blocco per i dipendenti della pubblica amministrazione, protrattosi per troppi anni, sia una misura intollerabile e ingiusta, e questo forse ancora di più laddove questo blocco colpisce un settore fondamentale quale quello della sanità pubblica;
    dal 2009, con la crisi, al 2013 gli occupati nel Servizio sanitario nazionale sono diminuiti di oltre 23 mila unità. Rispetto al 2012 si è registrato un calo di oltre 3 mila unità (-0,5 per cento);
    il blocco del turnover per il personale impedisce il ricambio generazionale, con carichi di lavoro sempre più pesanti che si ripercuotono ovviamente sull'assistenza sanitaria, e, di più, nell'attività dei pronto soccorso, per definizione più stressante e comunque attiva 24 ore su 24;
    come ricorda il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, approvato dalle Commissioni parlamentari V (Bilancio) e XII (Affari sociali) della Camera dei deputati il 4 giugno 2014, le politiche di contenimento del costo del personale dovrebbero tener conto dell'usura del personale medesimo, anche in considerazione del fatto relativo all'aumento dell'età media dei medici del Servizio sanitario nazionale. Il blocco del turnover ha fatto sì che circa un terzo del totale abbia un'età tra i 51 e i 59 anni. Da qui la propensione a supplire alla carenza di personale anche attraverso esternalizzazioni dei servizi sanitari e non sanitari e utilizzo di personale in convenzione;
    il medesimo documento conclusivo sottolinea come le «perduranti restrizioni all'ingresso di nuovi medici, potrebbe tradursi nel prossimo futuro in una riduzione dell'offerta sanitaria. In tale contesto sono state segnalate alcune criticità da parte dei giovani medici, che ritengono di trovarsi in una situazione di precarietà lavorativa e sotto tutela previdenziale, con un percorso formativo troppo lungo»;
    una delle conseguenze di politiche che continuano da anni a puntare al blocco dei contratti e del turnover è quello di dequalificare il lavoro, visto sempre più come opportunità di risparmio e non come investimento e occasione di miglioramento della qualità dei servizi socio-sanitari erogati. È evidente così il rischio di un aumento dei fenomeni diffusi di demansionamento, dove organici carenti obbligano chi lavora a dover spesso svolgere il lavoro anche degli altri, e di incremento del ricorso al precariato;
    devono essere programmate risorse aggiuntive per lo sviluppo della rete territoriale finalizzata principalmente alla prevenzione e alla deospedalizzazione e a garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale l'appropriatezza delle prestazioni. Occorre investire oggi sul personale, sull'assistenza domiciliare e territoriale, nella consapevolezza che questi ambiti possono davvero consentire nel prossimo futuro importanti risparmi al Servizio sanitario nazionale, oltre che evidenti benefici alla collettività e un ritorno occupazionale indispensabile,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative volte a rivedere le politiche che limitano le assunzioni di personale del Servizio sanitario nazionale, anche per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi sanitari, con particolare riguardo a quelle che manifestino criticità nell'erogazione delle prestazioni proprio a causa del blocco del turnover, al fine di garantire la piena erogazione dei livelli essenziali di assistenza e consentire la riorganizzazione e riqualificazione del Servizio sanitario nazionale;
   ad avviare le opportune iniziative volte ad avviare un condiviso e graduale percorso di stabilizzazione del personale precario degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale;
   ad adoperarsi per una reale riqualificazione della spesa sanitaria, prevedendo che i risparmi conseguiti all'interno del Servizio sanitario nazionale siano reinvestiti all'interno del medesimo sistema sanitario, anche al fine di consentire una nuova politica occupazionale, quale premessa indispensabile per il potenziamento qualitativo e quantitativo dell'offerta sanitaria nel nostro Paese;
   ad assumere le iniziative di competenza volte a favorire una migliore mobilità regionale e interregionale, concertata con il lavoratore, del personale sanitario;
   a garantire che l'avviata razionalizzazione della rete ospedaliera sia contestualmente affiancata da un reale e convinto sviluppo dell'assistenza territoriale, affinché la riduzione/riconversione delle strutture ospedaliere avvenga in presenza di una contemporanea maggiore offerta a garanzia dei livelli di assistenza sociosanitaria distrettuale (centri aperti 24 ore su 24, assistenza domiciliare integrata, residenziale, semiresidenziale ed altro), anche a garanzia degli attuali livelli occupazionali;
   ad individuare, fin dal prossimo disegno di legge di stabilità, le risorse necessarie per consentire una ripresa dei finanziamenti al Servizio sanitario nazionale e alle politiche sociali, entrambi al di sotto della media dell'Unione europea e dell'Ocse.
(1-00904) «Nicchi, Airaudo, Placido, Scotto, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Marcon, Melilla, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    in data 10 giugno 2014 è stata approvata presso la 12a Commissione parlamentare (igiene e sanità) del Senato della Repubblica la relazione congiunta del Parlamento che fornisce gli esiti dei lavori e dell'indagine conoscitiva condotta dalle Commissioni competenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica sull'efficienza del Servizio sanitario nazionale;
    la Commissione ha iniziato il suo percorso d'indagine nel 2013 e ha condotto numerose audizioni, nel corso delle quali sono emersi importanti profili tutti legati dal comune denominatore di cercare di trovare il bandolo di una matassa che aveva come minimi termini il servizio sanitario su base nazionale e le politiche finanziarie, evidenziando come si tratti di una coperta troppo corta che deve trovare una sua quadra;
    la premessa è la considerazione di come si sia disgregato il sistema in maniera dirompente. In Italia sono presenti ventuno sistemi sanitari diversi. Le diseguaglianze si ravvisano a partire dalla disposizione di cui all'articolo 1, comma 34, della legge n. 662 del 1996, che iniziò a modificare i criteri di riparto di finanziamento: regioni con lo stesso numero di abitanti avevano all'epoca un dislivello di finanziamento di 900 miliardi di vecchie lire all'anno. Poi c’è tutto il resto, ossia la modifica del Titolo V della Costituzione e le disposizioni dettate dalla partecipazione dell'Italia all'Unione europea;
    la legge finanziaria del 2000 ebbe inoltre l'arduo compito di eliminare il vincolo di destinazione del Fondo sanitario nazionale, che diventa bilancio autonomo delle regioni;
    per le regioni con elevati disavanzi sanitari e per evitarne sostanzialmente il default, la legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), come previsto dal Patto per la salute 2010-2012, stabilì nuove regole per i piani di rientro e per il commissariamento delle regioni. Oltre a ridurre al 5 per cento il livello di squilibrio economico (in precedenza fissato al 7 per cento), per la presentazione del piano di rientro regionale, ha infatti modificato la procedura per la predisposizione e l'approvazione del piano, nonché il procedimento di diffida della regione e della nomina di commissari ad acta;
    pertanto, come noto, accertato il deficit la regione presenta, entro il 30 giugno, il piano, di durata non superiore al triennio, elaborato con l'Agenzia italiana del farmaco e Agenas. Dopo l'approvazione regionale, la valutazione è compiuta dal tavolo tecnico di monitoraggio, a cui partecipano rappresentanti dei Ministeri competenti, delle regioni e della Conferenza Stato-regioni. Decorsi i termini previsti, il Governo valuta il piano e lo approva. In caso di valutazione negativa lo stesso Governo nomina commissario ad acta per gli adempimenti necessari;
    ciò comporta, oltre all'applicazione delle disposizioni già vigenti, l'automatica adozione di misure restrittive e sanzionatorie verso la regione, tra le quali la sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, la decadenza dei direttori generali, amministrativi e sanitari, e l'incremento delle aliquote. Le regioni, già sottoposte ai piani di rientro e già commissariate, possono, in alternativa alla prosecuzione del piano di rientro secondo programmi operativi coerenti con gli obiettivi della gestione commissariale, presentare un nuovo piano di rientro, che determina, con la sua approvazione, la cessazione del commissariamento (articolo 2, comma 88);
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, dispose, inoltre, per le regioni sottoposte ai piani di rientro, ma non commissariate, la possibilità di proseguire, alla scadenza del 31 dicembre 2009, il piano di rientro per il triennio 2010-2012, al fine anche dell'attribuzione della quota di risorse finanziarie, già subordinata, a legislazione vigente, alla piena attuazione del piano;
    sempre il decreto-legge n. 78 del 2010 dispose, per le regioni con piani di rientro e commissario ad acta, la ricognizione definitiva dei debiti accertati, la predisposizione di un piano che definisca modalità e tempi di pagamento dei debiti medesimi, il divieto di intraprendere o proseguire, fino al 31 dicembre 2010, azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni in oggetto;
    la legge di stabilità 2011 (articolo 1, commi 50-52, della legge n. 220 del 2010) concesse, per l'esercizio 2010, che le regioni che non avevano attuato completamente il loro piano potessero provvedere al disavanzo sanitario con risorse proprie, purché le misure di copertura fossero adottate entro il 31 dicembre 2010;
    sempre la legge di stabilità del 2011 previde il divieto di intraprendere o proseguire fino al 31 dicembre 2013 (articolo 1, comma 51, così modificato, dall'articolo 17, comma 4, lettera e), del decreto-legge n. 98 del 2011 e, successivamente, dall'articolo 6-bis, comma 2, lettere a) e b), del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012), azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni sottoposte ai piani di rientro e commissariate alla data dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010. Previde inoltre, sempre dettata dalla difficoltà economica dei tempi, una deroga del 10 per cento del blocco automatico del turnover del personale sanitario dal 1° gennaio 2011;
    il decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2010, all'articolo 15, comma 20, ha da ultimo disposto per un ulteriore triennio, dal 2013 al 2015, l'applicabilità delle disposizioni di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto-legge n. 78 del 2010: le regioni in piano di rientro e non commissariate proseguono i programmi previsti nel piano di rientro, a condizione che abbiano garantito l'equilibrio economico nel settore sanitario, ma non abbiano raggiunto gli obiettivi strutturali previsti. In particolare, l'equilibrio economico è garantito se la regione non raggiunge o supera il 5 per cento di squilibrio economico ovvero meno del 5 per cento, per il quale gli automatismi fiscali o altre risorse di bilancio della regione non garantiscono la copertura integrale del disavanzo medesimo, (articolo 2, commi 77 e 88, della legge n. 191 del 2009 – legge finanziaria per il 2010);
    la prosecuzione ed il completamento del piano di rientro sono dunque le condizioni per l'attribuzione di risorse aggiuntive e della quota premiale del finanziamento del Servizio sanitario nazionale. Dal 2013, una quota premiale annua, pari allo 0,25 per cento delle risorse ordinarie previste per il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, è assegnata alle regioni che hanno adottato misure idonee per una corretta gestione dei bilanci sanitari (articolo 15, comma 23);
    l'articolo 4-bis del decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto «decreto sanità») prevede per le regioni in piano di rientro la disapplicazione del 15 per cento del blocco del turnover per il 2012;
    il decreto-legge n. 95 del 2012 (articolo 15, commi 21-25) interviene, tra l'altro, sul contenimento della spesa del personale sanitario. La disciplina modifica quanto previsto sul contenimento della spesa per il personale del Servizio sanitario nazionale dall'articolo 2, commi 71, 72 e 73, della legge n. 191 del 2009 (legge finanziaria per il 2010), per il triennio 2010-2012 e per gli anni 2013 e 2014;
    in particolare, viene confermato, per il 2013 e per il 2014 ed esteso al 2015, il livello di spesa stabilito per il 2004, ridotto dell'1,4 per cento, al netto dei rinnovi contrattuali successivi al 2004. Per il conseguimento del sopraddetto obiettivo le regioni adottano interventi sulla rete ospedaliera e sulla spesa per il personale (fondi di contrattazione integrativa, organizzazione delle strutture semplici e complesse, dirigenza sanitaria e personale del comparto sanitario);
    la regione è ritenuta adempiente al raggiungimento degli obiettivi previsti, a seguito dell'accertamento eseguito dal tavolo di verifica degli adempimenti (ai sensi dell'articolo 2, comma 73 della legge n. 191 del 2009). Per gli anni 2012, 2013 e 2014, la regione che non ha conseguito i risultati previsti è adempiente, ove abbia almeno assicurato l'equilibrio economico (ai sensi dell'articolo 2, comma 73, della legge n. 191 del 2009);
    sempre per quanto disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012, dal 2015, la regione giudicata adempiente deve conseguire l'obiettivo finale dell'1,4 per cento. Per le regioni sottoposte ai piani di rientro dai deficit sanitari o ai programmi operativi di prosecuzione di detti piani restano comunque fermi gli specifici obiettivi ivi previsti in materia di personale;
    le misure di contenimento della spesa del personale della pubblica amministrazione (articolo 16 del decreto-legge n. 98 del 2011) si applicano anche al personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale (medici di medicina generale e pediatri di libera scelta);
    in tutto questo, non si può tralasciare il tema attinente la definizione dei costi standard, anche alla luce dei principi fissati dal decreto legislativo n. 68 del 2011. Il Patto per la salute 2014- 2016 ha ribadito la regola per la quale il fabbisogno sanitario standard deve essere determinato in coerenza con i livelli essenziali di assistenza erogati in condizioni di efficienza ed appropriatezza, assumendo come base i valori di costo rilevati nelle regioni benchmark. Ma il significato di costo standard è ancora lontano da una definizione univoca e non è del tutto adeguato intenderlo come sinonimo di «spesa pro capite standard» perché se ne perde una parte importante del potenziale di razionalizzazione del processo di allocazione delle risorse. In definitiva, i costi standard non sono la panacea e sotto certi aspetti potrebbero degenerare e costituire uno strumento per eludere la possibilità del controllo reale e di andare a incidere da subito sulla spesa sanitaria;
    è dunque ormai evidente come sia indispensabile un controllo adeguato sulla gestione delle risorse, che è la variabile su cui si può certamente essere determinanti per migliorare sia i servizi che la spesa relativa al personale;
    il sistema è infatti carente di controlli. Non avendo più la possibilità di individuare strumenti di controllo sugli atti preventivi, bisognerebbe cercare di potenziare a livello centrale il più possibile, d'intesa con le regioni, la struttura locale per poter determinare un controllo e un monitoraggio, considerando che anche le regioni hanno l'interesse al monitoraggio, e non potrebbe essere altrimenti, perché il bilancio delle regioni per l'80 per cento è spesa sanitaria;
    è infine chiaro a tutti che le regioni che sono andate in piano di rientro dalla rianimazione sono finite in terapia intensiva. Se vengono lasciate sole, non andranno a finire nei reparti, ma ritorneranno di nuovo immediatamente in rianimazione, perché è molto difficile tenere a redini l'enormità della spesa da gestire;
    l'altro aspetto sicuramente da individuare è se, in particolare nel contesto delle regioni con un piano di rientro, la spesa si sia ridotta tagliando i servizi. Anche in tal caso è necessario improntare un adeguato sistema di controlli successivi per appurare che non ci sia stata un'aggressione degli sprechi sui beni e servizi. Non si ha, ad oggi, un sistema di monitoraggio che fornisca costantemente dati aggiornati, soprattutto in tutte quelle regioni dove fino a qualche tempo addietro la situazione contabile veniva tramandata non attraverso la veridicità e la certificazione dei bilanci, ma attraverso un'imprecisa tenuta dei dati. E questo perché gli sprechi e la cattiva gestione delle pur limitate risorse stanno creando la falsa e ingiusta convinzione che si possa risparmiare tagliando anche sul piano della qualità dell'assistenza;
    ad esempio, è quanto emerge dai dati dello «Studio per l'individuazione di possibili interventi di contenimento della spesa sanitaria» elaborato dal centro studi SIC-sanità in cifre di FederFarma, dove si legge che «Le regioni volatilizzano 1,4 miliardi di euro l'anno tra sprechi e inefficienze»;
    sulla base dell'analisi di 42 indicatori di performance differenziati in 5 sottogruppi, sono stati «esplorati» i sistemi sanità di 34 Stati europei e nel ranking europeo il Sistema sanitario nazionale italiano risulta al 21esimo posto per la «qualità» e al 26esimo posto per la «prevenzione e la qualità»,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa di competenza, e nel rispetto delle prerogative attribuite alle regioni in materia sanitaria dalla normativa vigente, atta a porre in essere gli opportuni controlli per fornire un quadro aggiornato, riferito all'intero territorio nazionale, delle conseguenze derivanti dalle operazioni di contenimento della spesa sul piano del rispetto dei livelli essenziali di assistenza;
   a procedere ad un monitoraggio degli effetti degli interventi di razionalizzazione e contenimento della spesa per rimuovere tutti gli ostacoli volti ad impedire un'adeguata gestione del personale degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, anche mediante l'istituzione di opportuni tavoli di confronto con le categorie interessate al fine di superare, ove ce ne sia la possibilità, il blocco del turnover del personale e favorire l'adeguata allocazione delle professionalità presenti in campo medico ed infermieristico.
(1-00905) «Palese, Fucci».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    come evidenziato dalle conclusioni dell'indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale promossa dalle Commissioni affari sociali e bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati, la spesa per il personale del sistema sanitario ammonta a circa 36 miliardi di euro, una cifra pari a un terzo del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, e dunque rappresenta uno dei principali capitoli di spesa sotto la lente d'ingrandimento per la razionalizzazione dei costi in sanità;
    secondo il rapporto della Stem, la struttura tecnica di monitoraggio sulla sanità che opera presso il dipartimento degli affari regionali della Conferenza Stato-regioni, nel triennio 2010-2012 si è registrato un calo generalizzato, anche se non omogeneo, tra le regioni, soprattutto quelle in piano di rientro, sia del costo complessivo che della dotazione organica del personale del Servizio sanitario nazionale;
    lo stesso rapporto mette in luce una marcata differenza del costo medio del personale, sia in generale sia per i singoli ruoli, tra le regioni e tra aziende sanitarie locali all'interno di una stessa regione. In alcune regioni, soprattutto in quelle in piano di rientro, è imputabile al blocco del turnover l'influenza sui costi medi elevati, gonfiati dal ricorso a prestazioni aggiuntive retribuite in base ad accordi integrativi aziendali;
    parimenti è emerso che il costo medio della dirigenza di vertice dipende esclusivamente dalle scelte politiche delle regioni e non da variabili come il reddito medio, il finanziamento pro capite o la popolazione residente;
    le politiche di contenimento del costo delle risorse umane non possono ignorare il progressivo invecchiamento e l'usura del personale medico. L'età media del personale è, infatti, cresciuta e oggi si attesta a 47,3 anni. I professionisti over 55 rappresentano il 27 per cento del personale, mentre un terzo dei medici (115 mila) ha tra i 51 e i 59 anni. Si è di fronte, dunque, a un difficile ricambio della dirigenza medica, con vere e proprie barriere all'accesso per i più giovani;
    in questo quadro va rafforzato il sostegno alla formazione dei giovani medici, intensificando e consolidando gli sforzi meritoriamente compiuti dai Ministeri della salute, dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dell'economia e delle finanze che hanno portato a 6.000 il numero dei contratti di formazione specialistica;
    a ciò si aggiunga il delicato tema della garanzia dei contratti di formazione per i medici specializzandi nelle aree più marginali e disagiate del sistema, che diventa sempre più rilevante, in relazione alla riduzione del numero complessivo degli specialisti e al previsto picco dei pensionamenti. È il caso, ad esempio, della regione Sardegna e di tutte le altre regioni esposte al rischio della fuga dei futuri medici verso aree del Paese che offrono maggiori opportunità, con la conseguente possibilità di veder impoverire quantità e qualità del proprio personale medico;
    oltre a tale rischio di dispersione su base territoriale, incombe un'ulteriore vera e propria desertificazione legata all'ambito di azione della scuola di specializzazione, con scuole chirurgiche, come cardiochirurgia, neurochirurgia, ortopedia, ginecologia e otorinolaringoiatra, a rischio abbandono per l'elevatissima alea medico-legale connessa all'esercizio di tali attività professionali;
    il processo di aziendalizzazione in sanità è andato progressivamente in crisi, non tanto per un eccesso di privatizzazione, ma per le contraddizioni irrisolte del sistema pubblico soffocato da una enormità di norme di impronta burocratica e dalla tendenza dei decisori politici a intervenire con misure di regolazione formale non coerenti con i principi che hanno ispirato l'aziendalizzazione;
    l'articolo 22 del Patto per la salute tra Stato e regioni, siglato ormai quasi un anno fa, affronta in maniera puntuale le principali problematiche che riguardano le risorse umane del sistema sanitario nazionale,

impegna il Governo:

   a prevedere un'attenuazione dei vincoli per le assunzioni per quelle regioni che, pur avendo avviato concreti percorsi di rientro, manifestino pesanti criticità nell'erogazione delle prestazioni a causa del blocco del turnover, cosa che appare preferibile alle esternalizzazioni nelle attività sanitarie core ed evita il rischio del mancato trasferimento di know how tipico del personale in convenzione;
   a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, una maggiore autonomia delle aziende sanitarie locali, attivando nei loro confronti una virtuosa logica premiale che consenta alle aziende che si sono distinte per best practice di far valere a cascata lo stesso meccanismo nelle strutture organizzative interne, al fine di migliorare l'equilibrio tra costi e produzione e la complessiva qualità delle prestazioni erogate al paziente;
   a fornire elementi sull'attuale situazione delle dotazioni organiche del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale, con specifico focus sulle dinamiche previste per il turnover della dirigenza medica di cui è imminente il picco dei pensionamenti e con speciale attenzione alle iniziative che si intendono intraprendere per garantire la disponibilità delle figure professionali meno presenti sul mercato nelle aree più marginali del Paese;
   a predisporre un programma del turnover del personale sanitario specializzato in tutte le regioni italiane, con particolare riferimento a quelle sottoposte a più stringente contingentamento delle assunzioni per effetto dei vincoli normativi ed economici dei piani di rientro, con l'obiettivo di superare la precarietà delle posizioni con contratto a tempo determinato che rendono difficoltosa la piena formazione delle nuove risorse professionali e il trasferimento e il consolidamento delle conoscenze e della competenza, indispensabili per la garanzia della miglior qualità dell'assistenza sanitaria;
   ad adottare efficaci misure in tema di formazione del personale sanitario, con particolare riferimento alle borse di studio ed ai contratti di formazione specialistica, da un lato, e alla distribuzione territoriale delle specialità mediche e chirurgiche, dall'altro, quale presupposto essenziale per il mantenimento dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
   ad accelerare la piena applicazione del Patto per la salute e a presentare alle Camere in tempi rapidissimi il disegno di legge delega previsto dall'articolo 22 del Patto in cui promuovere i principi della valutazione del personale medico e della valorizzazione dell'aggiornamento e della formazione professionale continua, anche alla luce delle nuove competenze richieste dalla crescente digitalizzazione dei processi informativi-organizzativi (e-health), essenziale ai fini dell'efficientamento del sistema sanitario e dunque del mantenimento, a costi compatibili, dei livelli essenziali di assistenza.
(1-00907) «Vargiu, Monchiero, Matarrese, Capua, Antimo Cesaro, Quintarelli, Bombassei, Vezzali, Oliaro, Rabino, Sottanelli, D'Agostino, Molea, Catania, Pinna, Galgano, Librandi, Dambruoso, Mazziotti Di Celso, Vitelli».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


   La Camera,
   premesso che:
    il blocco delle assunzioni e di ogni altra forma di reclutamento, a fronte delle progressive uscite di personale per quiescenza, può incidere sia sull'offerta sanitaria e il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza, sia sull'effettivo conseguimento degli obiettivi di risparmio preventivati;
    l'esigenza di assicurare i livelli essenziali di assistenza induce i soggetti gestori del servizio a porre in essere talune procedure «alternative» per sopperire alla mancanza di personale dedicato (quali il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario o in regime di prestazioni aggiuntive o altre fattispecie, quali l'acquisto di prestazioni professionali da privati) che, tutte insieme, vanificano le conseguenze della misura rigorosa del blocco in termini di mancato risparmio, addirittura in taluni casi comportando maggiori costi;
    a dicembre 2014 dopo l'approvazione della legge di stabilità, con cui si chiede un sacrificio da 4 miliardi di euro alle regioni tra il 2015 e il 2018, si profila una «regressione» del fondo sanitario 2015 ai livelli 2014 o quasi. Le regioni avevano annunciato la disponibilità a rinunciare a 1,5 miliardi di euro;
    le conseguenze sul fondo sanitario sono che dai 112,4 miliardi di euro previsti per il 2015 nel Patto per la salute tra Governo e regioni, firmato solo ad agosto 2014, si scenderebbe a 111 miliardi di euro. Gli stanziamenti per il fondo sanitario possono essere oggetto di revisione, infatti, in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica (articolo 30 del Patto per la salute);
    sul fronte del personale si profila la ripetizione degli stessi sacrifici ai quali medici ospedalieri e convenzionati subiscono dal 2010, con i contratti bloccati; inoltre, i sindacati hanno verificato come nelle maglie della stessa legge di stabilità vi sia una norma che mantiene fino al 2020 il blocco del turnover: la disposizione riprende quanto previsto dalla legge n. 191 del 2009 (articolo 1, comma 71), secondo cui le regioni adottano nel triennio 2010-2012, misure necessarie a garantire che le spese del personale non superino l'ammontare corrispondente del 2004 diminuito dell'1,4 per cento, inclusi i contratti a termine e i contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
    la prima manovra finanziaria del 2011 aveva prorogato a tutto il 2015 il sacrificio che ora interesserà gli anni dal 2013 al 2020 (comma 253); si prevede, di fatto, per i prossimi 6 anni una revisione al ribasso delle consistenze di personale, dipendente a tempo indeterminato e determinato, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di lavoro flessibile o con convenzioni;
    il tutto si traduce in blocco del turnover «eterno» che condanna quantità e qualità dei servizi sanitari ad una progressiva asfissia, una pietra tombale su ogni annuncio di staffetta generazionale;
    lo stesso Ministro della salute, dopo il drammatico caso del decesso di una neonata a Catania nel mese di febbraio 2015, dichiarava che: «Va tolto il blocco del turnover, almeno in certi casi. Io sto provando un po’ alla volta a farlo, ma il Ministero dell'economia e delle finanze ogni tanto riblocca tutto (...) Il punto è che la sanità non può essere paragonata ad altri comparti pubblici, perché ha a che fare con la salute delle persone»;
    i rapporti della Ragioneria generale dello Stato e della Corte dei conti certificano che le spese della sanità hanno avuto lievi contrazioni, ma i numeri attestano che per raggiungere tali risultati si è operato sul blocco del turnover e degli incrementi retributivi che hanno agito pesantemente sul contenimento della spesa per il personale dipendente, mentre le spese relative ai farmaci ospedalieri registrano tassi di crescita sostenuti;
    per arrivare a reperire le risorse necessarie al fine di invertire la contrazione del numero del personale ospedaliero, soprattutto nei settori più esposti, appare indifferibile l'attuazione in brevissimo tempo del principio del meccanismo dei costi standard;
    i dati presentati da tutti gli organismi interessati dimostrano come siano in difficoltà anche le regioni virtuose, i cui conti in ambito sanitario sono sempre stati in ordine, razionalizzando i costi della spesa del personale e riuscendo a garantire livelli di assistenza di assoluta eccellenza, a tal punto che il blocco del turnover comporta un inesorabile peggioramento dei livelli assistenziali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere controlli stringenti sulle assunzioni di personale per quelle regioni in cui è previsto un piano di rientro per quanto riguarda le spese sanitarie, tenuto conto che il costo del personale è la voce più rilevante nei bilanci;
   ad assumere iniziative per la rimozione del blocco del turnover per quelle regioni i cui bilanci in materia sanitaria raggiungono obiettivi di sostenibilità e di efficienza, invece di penalizzarle con costanti tagli finalizzati al ripiano dei deficit dei bilanci di regioni che per gestioni poco oculate rischiano il dissesto finanziario;
   a valutare la necessità di assumere iniziative per rafforzare l'autonomia regionale in merito alle assunzioni del personale, salvaguardando gli equilibri di bilancio ed assumendo iniziative per rivedere le norme che uniformano le sanità regionali, di fatto penalizzando le regioni virtuose.
(1-00908) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


MOZIONI DAMBRUOSO, FIANO, CICCHITTO E MAZZIOTTI DI CELSO N. 1-00771 E ARTINI ED ALTRI N. 1-00906 IN MATERIA DI INTERVENTI PER LA PREVENZIONE E IL CONTRASTO DELLA MINACCIA TERRORISTICA DI MATRICE JIHADISTA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    i recenti episodi verificatisi in Europa e in diversi Paesi dello scacchiere mediorientale hanno evidenziato l'innalzamento della minaccia terroristica di matrice jihadista e gli interventi sia di prevenzione che di repressione messi in campo dal Governo italiano con il decreto-legge 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 aprile 2015, n. 43, si ispirano al principio secondo cui la lotta al terrorismo internazionale va realizzata in maniera unitaria senza far distinzione tra sicurezza interna ed esterna, come dimostrato proprio dal fenomeno dei cosiddetti foreign fighters;
    in questo preoccupante contesto le scuole e gli educatori si confrontano ogni giorno con realtà sociali sempre più complesse che derivano spesso da un'esasperata ricerca di identità o percorsi di integrazione non riusciti. Gli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi, i due attacchi in Danimarca e la recente adesione di ragazzi occidentali – con un buon livello di istruzione – al cosiddetto «Stato islamico» sono solo alcuni esempi della difficile sfida educativa che gli studenti, da un lato, e gli insegnanti, dall'altro, devono affrontare. Gli educatori svolgono, pertanto, un ruolo fondamentale per l'individuazione del disagio e la prevenzione del rischio di radicalizzazione dei ragazzi e occorre creare una vera e propria rete sociale che, partendo proprio dalla scuola, coinvolga famiglie, associazionismo, istituzioni, e accompagni i bambini, sin dai primi anni di vita, nel loro percorso di sviluppo del pensiero critico e di rifiuto di ogni forma di estremismo;
    nel 2010 l'Unione europea ha adottato una «strategia di sicurezza interna», tra i cui obiettivi è incluso quello della prevenzione del terrorismo e del contrasto alla radicalizzazione. La maggior parte dei Paesi dell'Unione europea ha promosso politiche nazionali di contro-radicalizzazione aventi ad oggetto:
     a) misure general-preventive (quali dialogo interreligioso e programmi a favore dell'integrazione) dirette a sacche di popolazione particolarmente esposte al rischio di radicalizzazione;
     b) misure mirate su specifici soggetti che manifestano segni di radicalizzazione, per il loro recupero e reinserimento;
     c) programmi di de-radicalizzazione di soggetti già radicalizzati, inclusi i cosiddetti foreign fighters di ritorno;
    la maggior parte di tali attività è incentrata sulla cooperazione della società civile che viene considerata parte fondamentale nell'opera di prevenzione della radicalizzazione e svolge una funzione complementare – benché non sostitutiva – alle misure repressive tradizionali;
    un progetto di grande interesse è stato elaborato, in occasione della conferenza RAN sulla radicalizzazione e l'istruzione (Manchester, 3-4 marzo 2015), da oltre 90 educatori provenienti da tutti gli Stati membri dell'Unione europea ed è stato, poi, trasmesso ai Ministri dell'istruzione europei per il loro incontro a Parigi del 17 marzo 2015 sui medesimi temi. Tra i vari interventi esaminati in quella sede i più significativi riguardano: la formazione specializzata e il supporto psicologico degli educatori anche mediante l'impiego di linee telefoniche o siti dedicati; la definizione di una vera e propria strategia contro la radicalizzazione e l'estremismo da perseguire con il dialogo, la diffusione di materiale informativo e corsi sul corretto utilizzo dei siti web per contrastare la propaganda estremista; il contributo delle organizzazioni non governative che operano in territori di guerra per offrire testimonianze anche mediante il coinvolgimento di ragazzi provenienti da quelle aree geografiche in veste di ambasciatori della gioventù e «consiglieri anti-pregiudizi»; l'incremento delle iniziative di prevenzione del fenomeno, favorendo la cooperazione tra gli istituti scolastici e le best practice in essi sperimentate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre nel nostro Paese una strategia nazionale di contro-radicalizzazione mediante la formazione di operatori qualificati e una campagna di prevenzione che coinvolga la società civile e le istituzioni a tutti i livelli.
(1-00771) «Dambruoso, Fiano, Cicchitto, Mazziotti Di Celso».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto dichiarato il 3 giugno 2015 dal Vice Segretario di Stato statunitense Antony Blinken, la campagna aerea avviata dalla coalizione internazionale ad agosto 2014 ha portato, nei primi 9 mesi, alla morte di circa 10.000 miliziani dell'Isis in Iraq e Siria;
    tuttavia, secondo fonti della Cia citate dalla Cnn, si stima che il «califfato» disponga oggi di un numero di combattenti compreso tra le 20.000 e le 32.000 unità;
    la stessa Cia stimava la forza dell'Isis a settembre 2014 tra 20.000 e 31.500 miliziani, dei quali circa 15.000 foreign fighters, inclusi 2.000 occidentali, dimostrando di riuscire ad ampliare esponenzialmente le proprie forze che a giugno 2014 erano stimate tra 10.000 e 15.000 uomini;
    il raffronto tra queste cifre dimostra come l'Isis sia stata in grado di reclutare un numero di miliziani superiore a quello delle perdite subite a causa degli attacchi aerei della coalizione e durante i combattimenti terrestri con le forze locali in Iraq e Siria;
    ciò evidenzia come la soluzione al fenomeno dell'estremismo jihadista non possa essere esclusivamente di tipo militare;
    appare, dunque, necessario l'avvio di un'azione di contro-propaganda volta a ridurre, nell'immediato, l'impatto dell'efficacissima campagna propagandistica condotta dai gruppi jihadisti, Isis in primis, al fine di creare consenso per la loro causa anche e soprattutto nei Paesi occidentali, incrementando così il flusso di arruolamenti volontari;
    l'azione per contrastare tale propaganda non può essere efficacemente condotta esclusivamente con la censura dei siti web estremisti, come dimostrato dal fatto che le varie iniziative poste in essere in tal senso dai diversi Paesi occidentali non hanno sortito gli effetti sperati in termini di riduzione delle adesioni ai gruppi jihadisti;
    la campagna propagandistica dei gruppi jihadisti in Occidente è rivolta soprattutto a immigrati, o figli di immigrati, di fede sunnita con permesso di soggiorno o cittadinanza dei Paesi in cui risiedono;
    il successo di questa campagna riguarda, soprattutto, i giovani marginalizzati che sentono di non avere prospettive nei Paesi occidentali in cui vivono e tendono, dunque, a seguire dinamiche di radicalizzazione in opposizione a una società che percepiscono come ostile;
    per comprendere tale fenomeno bisogna tener presente: l'apparente mancanza di contatti tra jihadisti autoctoni e affiliazioni qaediste tradizionali; l'utilizzo massiccio che gli homegrown jihadisti fanno del web, sfruttando le innumerevoli potenzialità offerte da internet in termini d'indottrinamento, addestramento, comunicazione e altro; la duplice via che i lone terrorists possono intraprendere, ovvero quella di pianificare attacchi in Italia o spostarsi all'estero per unirsi a un jihad e la presunta scarsa interazione esistente tra mancanza d'integrazione socio-economica e radicalizzazione di jihadisti autoctoni italiani;
    per quanto riguarda le due principali conseguenze che la presenza del jihadismo autoctono in Italia ha comportato, si devono tener presente le difficoltà insite nel tentativo di monitorare e contrastare soggetti, spesso cittadini italiani, non vincolati ad alcuna struttura terroristica e le conseguenze negative che un eventuale attentato, posto in essere da un musulmano cresciuto in Italia, avrebbe su dibattiti nazionali delicati, quali quelli sull'immigrazione e sull'integrazione;
    si può ritenere che i soggetti attivamente coinvolti in questa nuova scena jihadista autoctona siano una quarantina, forse una cinquantina. Allo stesso modo, si può stimare che il numero di coloro che in vario modo e con differenti livelli d'intensità simpatizzino con l'ideologia jihadista sia di qualche centinaio. Si tratta, in sostanza, di un piccolo insieme di persone dalle caratteristiche sociologiche (età, sesso, origine etnica, istruzione, condizione sociale) estremamente eterogenee, ma che condivide la fede jihadista;
    la maggior parte dei soggetti «simpatizzanti» interagisce su internet con altri dello stesso credo in Italia (poca moschea, tanto internet) e molti dei network jihadisti autoctoni osservati in Europa negli ultimi dodici anni possedevano caratteristiche simili; molti di loro dimostravano scarsi legami con le grosse moschee e non avevano, perlomeno all'inizio delle loro attività, alcuna connessione con gruppi jihadisti strutturati;
    è evidente che la nascente scena jihadista autoctona italiana abbia pochi contatti con le moschee e, osservando le attività su internet di quelli che paiono essere residenti italiani che frequentano «circoli virtuali» salafiti e che, in molti casi, adottano idee jihadiste, utilizzando un software specializzato, è stato possibile identificare centinaia di soggetti che dall'Italia regolarmente accedevano a forum, quali Shumukh, Ansar al-Mujahideen Arabic, al-Qimmah e Ansar al-Mujahideen English;
    questa scena virtuale pro-jihad italiana è molto fluida e informale e opera come molte altre comunità on line, ma la maggior parte di «cyber-guerrieri» jihadisti è esattamente come gli altri cyber-guerrieri: estremisti virtuali, le cui esternazioni non passeranno mai dalla tastiera alla strada;
    molti dei soggetti che fanno parte della comunità italiana di simpatizzanti del jihad a un certo punto ne usciranno del tutto, considerandola solo una fase della propria gioventù. Snobbati dalla ridotta e sospettosa scena jihadista tradizionale, i nuovi militanti devono ricorrere al web per trovare materiale che li guidi nel loro cammino e per interagire con altri soggetti dalle idee simili: due bisogni normali per quei soggetti che adottano qualsiasi ideologia radicale;
    capire quali fattori portino un soggetto a radicalizzarsi è stata una fonte pressoché inesauribile di dibattito nella comunità dell'antiterrorismo mondiale, nel corso degli ultimi quindici anni, ma teorizzare che l'unica causa sia la mancanza di integrazione socio-economica non porta ad una comprensione del problema. Più rilevante è l'integrazione intesa nel senso di appartenenza a una determinata società, indipendentemente dalle proprie condizioni socio-economiche, dal momento che molti musulmani europei che si radicalizzano sono soggetti confusi dalla loro identità e che rintracciano un mondo di appartenenza in un'interpretazione fondamentalista dell'Islam, invece che nella loro identità di cittadini europei;
    l'Italia è un Paese favorevole all'integrazione. I recenti casi in Europa, per esempio in Svizzera, che aspirano a un giro di vite nei confronti dei fenomeni migratori, dimostrano le differenze che animano la società di tutto il continente. In molti Paesi stanno sbocciando casi d'integralismo autoctono, nati dalla paura e dall'avversione per le «diversità», che vanno interpretati come causa e, al tempo stesso, come reazione al jihadismo autoctono;
    le barriere vengono spesso alzate a cautela dei singoli mercati nazionali del lavoro. Si sta diffondendo il timore che, imboccando la strada della Gran Bretagna, della Francia e dell'Olanda, le nazioni di prossima integrazione multietnica vengano costrette prima o poi a confrontarsi con i vizi e le debolezze delle società che sono già multirazziali. Vizi e debolezze che includono anche un più o meno elevato rischio di jihadismo autoctono;
    risulta, pertanto, necessario l'avvio di un progetto di lungo periodo, a livello nazionale ed europeo, volto a favorire una maggiore comprensione della cultura occidentale da parte degli immigrati di prima, seconda e terza generazione attraverso il dialogo interculturale;
    appare, altresì, fondamentale prevenire i fenomeni di discriminazione da parte di cittadini italiani e degli altri Paesi europei a danno di immigrati e cittadini di fede musulmana derivanti da un sentimento di reazione causato dalle attività dei gruppi jihadisti e dalla loro propaganda;
    tali fenomeni di discriminazione, infatti, non farebbero altro che favorire la radicalizzazione degli immigrati, con il conseguente ampliamento del fenomeno dei foreign fighters;
    l'articolo 270-bis del codice penale copre forme di terrorismo in cui la forma associativa costituisce un elemento fondamentale. Tuttavia, come nella maggior parte dei Paesi europei, quando il legislatore italiano scrisse la norma aveva in mente una forma di terrorismo tradizionale, che implica una struttura più o meno gerarchica o, perlomeno, un'associazione di persone dotata di una certa stabilità, ma, come si è visto, le dinamiche relative al terrorismo sono cambiate notevolmente in tutta Europa negli ultimi anni e molti sistemi giuridici europei hanno fatto fatica a tenere il passo;
    un aggiornamento delle norme in materia è stato fatto dal Governo italiano, che ha approvato il decreto-legge comprendente nuove norme di modifica del codice penale, introducendo una pena da tre a sei anni di reclusione per chi va a combattere il jihad nei teatri di guerra o supporta i combattenti finanziando e facendo propaganda anche via web e prevedendo fino a 10 anni per i lone actors che si auto-addestrano all'uso delle armi;
    il jihadismo non è solo una guerra ma è materia della legislazione e delle rappresentanze religiose non solo musulmane, nonché dei soggetti responsabili dell'educazione, dell'istruzione e dell'informazione nei singoli Paesi e nelle organizzazioni governative internazionali: Onu, Nato, Unione europea sono chiamate in causa alla stregua dei Governi nazionali nel definire una politica preventiva del fenomeno e l'Italia, essendo membro e alleato dell'Occidente, è tenuta a uscire dal limbo in cui si trova attualmente,

impegna il Governo

a elaborare e attuare un piano nazionale di contro-propaganda impiegando i canali già disponibili, come la scuola e i mass media, per contrastare in tempi brevi gli effetti dell'attività propagandistica condotta dall'Isis e da altri gruppi jihadisti, a valutare l'avvio di programmi di dialogo e avvicinamento interculturale rivolti ai giovani immigrati e italiani, anche tramite specifici programmi da condurre nelle scuole e nelle università, e a valutare iniziative di facilitazione all'inserimento sociale, sfruttando anche risorse già disponibili come il sistema del servizio civile nazionale.
(1-00906) «Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Matarrelli, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)