Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 24 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    secondo uno studio di Accord, servizio di consulenza e mediazione, nel 2014 i casi di pignoramenti e le esecuzioni immobiliari sono stati 5.500, con un incremento a dicembre dello scorso anno dell'11 per cento rispetto al 2013. Secondo Accord, i primi 10 giorni del 2015 confermano un trend in crescita, tanto che le case pignorate potrebbero superare quota centomila nello spazio di pochi mesi. L'impennata dei pignoramenti e delle esecuzioni immobiliari ha portato ad un incremento delle richieste di aiuto da parte delle famiglie italiane, che si rivolgono a un soggetto terzo in grado di riso vere un problema per loro insormontabile, come la cancellazione del pignoramento sull'immobile, o per impedire la svendita della casa pignorata;
    occorre tutelare espressamente chi rischia di perdere la prima casa poiché in Italia le politiche abitative sono pressoché nulle. Ad esempio, a Genova sono quasi 4000 le famiglie in difficoltà in lista per un alloggio Erp (edilizia residenziale pubblica) e il patrimonio edilizio attualmente a disposizione degli enti non è neanche lontanamente sufficiente a soddisfare la richiesta. La situazione non cambia nelle altre città italiane,

impegna il Governo:

  ad assumere immediate iniziative normative che prevedano, fuori dei casi già previsti dalla legge, la sospensione per trentasei mesi della procedura espropriativa immobiliare al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni:
    a) che l'immobile sia l'unica abitazione adibita ad abitazione principale dal debitore esecutato;
    b) che altri componenti del nucleo familiare del debitore, con lui residenti secondo le risultanze dei registri anagrafici nel medesimo immobile alla data della notifica dell'atto di pignoramento, non siano in atto proprietari o titolari di diritti reali di godimento su altri immobili adibiti a civile abitazione e situati entro 150 chilometri dal comune di residenza e che inoltre, negli ultimi tre anni, non abbiano ceduto a terzi diritti su altri immobili;
    c) che il valore dell'immobile sia inferiore ad euro 300.000,00 tranne che per gli immobili ricadenti nei comuni di Roma, Milano, Torino, Bologna, Venezia e Firenze per cui detto limite è pari ad euro 4,000,00, facendo sì il valore dei fabbricati, ai fini di quanto disposto dalla presente lettura sia calcolata in misura pari all'importo stabilito ai sensi dell'articolo 52, quarto comma, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e successive modificazioni, moltiplicato per tre, qualora non sia possibile determinare il valore in conformità a quanto previsto dalla presente lettera, il valore sia determinato ai sensi dell'articolo 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, e successive modificazioni;
    d) che l'immobile non sia sottoposto a sequestro e a confisca in attuazione della legislazione contro la criminalità organizzata;
   ad assumere iniziative per prevedere al contempo l'istituzione di un fondo, con dotazione annua di almeno dieci milioni di euro, per la remunerazione degli interessi ai creditori la cui procedura esecutiva immobiliare sia stata oggetto di sospensione ex lege che remuneri i creditori ad un tasso di interesse dello 0,5 per cento annuale sul credito vantato, con la previsione che potranno accedere a tale fondo solo i creditori, muniti di titolo esecutivo, che abbiano proceduto a pignoramento ovvero sia intervenuti, a norma dell'articolo 551 cpc, nell'espropriazione immobiliare de quo.
(1-00921) «Colletti, Ferraresi, Bonafede, Businarolo, Agostinelli, Sarti, Sibilia».


   La Camera,
   premesso che:
    il 19 giugno 2015 il tribunale di Firenze ha inflitto pesanti pene a carico dei vertici, ispiratori e fondatori de Il Forteto, cooperativa agricola all'interno della quale – e alla quale – sono stati affidati, nel corso degli ultimi trenta anni, numerosi minorenni in difficoltà;
    sito in località Mugello, Il Forteto è sempre stato considerato da Legacoop, dalle istituzioni e dalla sinistra toscana una best practice dal punto di vista non solo produttivo ma anche educativo, al punto da essere associato alla scuola di Don Milani. Si è invece scoperto essere un luogo non di accoglienza ma di sevizie e violenze, fisiche e psicologiche. Una vera e propria setta, articolata formalmente in una associazione, una Fondazione e, appunto, una cooperativa agricola;
    in particolare, il tribunale ha comminato al fondatore della comunità, Rodolfo Fiesoli, che si faceva chiamare «il Profeta», una pena di 17 anni e mezzo per violenza sessuale e maltrattamenti ai danni di numerosi ragazzi affidati alla comunità, molti dei quali hanno rivissuto i drammi subiti testimoniando davanti alla corte le sevizie. Il suo braccio destro, l’«ideologo» del gruppo Luigi Goffredi, dovrà scontare 8 anni. Con loro sono state condannate altre 14 persone, con pene che variano da 1 a 8 anni, sulle 23 che erano state mandate a processo. Appare dunque chiaro come sia l'intero «sistema Forteto» ad essere stato sanzionato dai giudici;
    Rodolfo Fiesoli, per il quale il pm Ornella Galeotti aveva chiesto una condanna a 21 anni, rimane a piede libero. Il tribunale ha inoltre stabilito provvisionali per 1.260.000 euro immediatamente esecutive a favore delle vittime. In alcuni risarcimenti è obbligata in solido anche la cooperativa agricola;
    la comunità del Forteto si costituisce negli anni ’70 e quasi subito decide di «ritornare alla terra» costituendo una cooperativa agricola all'interno della quale vivere e lavorare. All'interno della comunità la vita è organizzata secondo alcune teorie «parapsicologiche» tra cui quella della «famiglia funzionale» che doveva sostituire la famiglia naturale. Inoltre, uomini e donne – anche se ufficialmente sposati – dovevano vivere separatamente, vi erano momenti serali di «confronto» in cui spesso le persone venivano spinte a «confessare» in pubblico i propri eventuali desideri sessuali e le «provocazioni» messe in atto di conseguenza. Testimoni hanno raccontato di come bambini che sono andati in braccio ad adulti siano stati accusati di essere provocatori. «In quella comunità – ha detto il Pm Galeotti nella requisitoria – si verificò per anni una sospensione delle leggi dello Stato, attraverso un programma criminale in cui il Fiesoli “rapinava il sesso” ai ragazzini, con la complicità degli altri imputati»;
    Fiesoli e Goffredi erano già stati arrestati e condannati negli anni ’80 per reati analoghi (maltrattamenti e atti di libidine su minori), ma continuarono le loro attività perché i tribunali per i minorenni non smisero di affidare minori al Forteto. Nel 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo sanzionò l'Italia per quanto vi avveniva. Fiesoli venne nuovamente arrestato nel 2011 dopo le accuse di alcune vittime che denunciarono anche lo sfruttamento del lavoro minorile nella cooperativa agricola in cui erano impiegati;
    nonostante i precedenti giudiziari e la condanna della Corte europea, la regione Toscana così come numerose altre istituzioni locali e nazionali hanno continuato ad elargire fondi e riconoscimenti a Il Forteto, elogiandone tra l'altro i metodi educativi e frequentando e visitando spesso la comunità;
    nel mese di aprile 2013, su richiesta del consiglio regionale toscano, il Ministero dello sviluppo economico ha inviato suoi ispettori a Il Forteto. Nella loro relazione, in cui si chiedeva il commissariamento della cooperativa, si rilevava la «tendenza a confondere le regole ed i principi della “comunità” con il rapporto lavorativo e societario», il che pare aver «condotto gli stessi soci a ritenere “normali” atteggiamenti particolarmente “interferenti” dell'organo amministrativo», tra questi il fatto che molti dei soci avessero inconsapevolmente sottoscritto strumenti finanziari. Nel mese di dicembre 2013 il Ministero sospendeva la procedura di commissariamento chiedendo un supplemento di indagini che, comunque, portava gli ispettori a concludere che «La situazione non appare al momento sostanzialmente mutata». Ciononostante, a luglio 2014 il Governo decideva di non procedere con il commissariamento. Oggi, all'indomani della sentenza di condanna di Fiesoli ed altri, non solo il centrodestra toscano continua a invocare il commissariamento ma anche il sindaco di Firenze, Dario Nardella, si è espresso nello stesso senso, innovando la posizione del Pd toscano sulla vicenda;
    se la vicenda de Il Forteto ha trovato una sua definizione nelle aule di tribunale, deve ancora scrivere la sua pagina nera circa le responsabilità politiche e istituzionali di enti locali, giudici, servizi sociali, mondo cooperativo, certi intellettuali e ovviamente di tutti quei politici che nel corso degli anni hanno ignorato o sottovalutato le denunce. Il processo stesso, secondo quanto consta ai firmatari del presente atto, ha rischiato più volte di arenarsi, tra fascicoli spariti e poi miracolosamente rinvenuti e testimonianze prima rese e poi inspiegabilmente ritrattate;
    per questo, il Gruppo Forza Italia ha depositato alla Camera una proposta di legge recante l’«Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori a comunità e istituti», su cui si auspica la più ampia convergenza delle forze politiche, che si faccia carico di raccogliere e tesorizzare le vicende accadute presso la struttura di accoglienza «Il Forteto» di Firenze affinché, anche alla luce di quanto riportato dalla commissione regionale d'inchiesta istituita sui medesimi fatti, si possano colmare le lacune e le smagliature legislative a livello nazionale e si possa avviare un'indagine su tutto il territorio nazionale circa la bontà delle attività delle altre strutture, comunità e istituti d'accoglienza dei minori,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni opportuna iniziativa di propria competenza volta ad accertare e definire le responsabilità e le manchevolezze politiche ed istituzionali che negli anni hanno portato alla prosecuzione degli affidi di minori nonostante gli arresti e le condanne inflitte ai due fondatori negli anni ’80 per reati analoghi (maltrattamenti e atti di libidine con i minori ospiti), e nonostante la sanzione inflitta all'Italia da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo per quanto avveniva nella comunità, anche in raccordo con tutte le iniziative intraprese in tal senso e richiamate in premessa;
   a verificare con urgenza la sussistenza dei presupposti per la nomina di un commissario che gestisca la cooperativa agricola in modo tale da dissociarla completamente dalla precedente gestione e dall'Associazione e dalla Fondazione Il Forteto, di cui sono tutt'ora parte tutti i condannati e in generale il gruppo dei fondatori, al fine anche di pervenire al più presto al pagamento delle provvisionali a favore delle vittime.
(1-00922) «Bergamini, Brunetta, Carfagna, Brambilla, Prestigiacomo, Picchi».

Risoluzione in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    il decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ha introdotto nel nostro Paese la disciplina degli studi di settore quale strumento di lotta all'evasione fiscale: il precedente sistema tributario prevedeva infatti che il reddito d'impresa e di lavoro autonomo fosse determinato attraverso le scritture contabili. Gli accertamenti induttivi potevano essere esperiti soltanto in via del tutto eccezionale e in presenza di gravi irregolarità contabili commesse dai contribuenti; questo aveva creato la paradossale situazione di veder privilegiato il contribuente-evasore che riusciva a tenere in ordine le scritture contabili, a discapito del contribuente in regola che, pur assolvendo tutte le obbligazioni tributarie, poteva incorrere in sanzioni molto onerose, per il solo fatto di aver commesso degli errori formali nella tenuta delle scritture;
    gli studi di settore consistono in un metodo finalizzato a misurare e a valutare la capacità di guadagno dei singoli settori economici avvalendosi di una raccolta di dati afferenti al settore economico che si prende in esame. Lo studio stima, in via preventiva, le possibilità dei ricavi e compensi del contribuente al fine di poter avviare o meno la relativa procedura di accertamento da parte dell'amministrazione fiscale;
    le macroaree prese in considerazione dagli studi di settore sono quattro: servizi, commercio, manifatture e professionisti, applicandosi quindi alle partite IVA indipendentemente dalla forma giuridica scelta o dal profilo fiscale;
    per verificare se i risultati della dichiarazione dei redditi sono allineati con i ricavi o i compensi previsti dalla metodologia degli studi di settore i contribuenti sono tenuti a dichiarare i dati contabili e i dati extracontabili al fine di riscontrarne la congruità, ossia il confronto tra i ricavi o compensi dichiarati e quelli risultati dallo studio, e la coerenza dei principali indicatori economici che caratterizzano l'attività del contribuente;
    lo scopo dell'introduzione degli studi di settore era facilitare il fisco nella procedura di accertamento di casi di evasione, fornire uno strumento all'imprenditore e al professionista al fine di valutare la propria efficienza economica, disporre di uno strumento per monitorare le attività presenti sul territorio da utilizzare nelle scelte di programmazione economica, ed evitare le situazioni di concorrenza sleale tra imprenditori onesti e coloro invece che potevano praticare prezzi più bassi grazie all'evasione;
    in realtà, questo meccanismo, collegando i redditi dei contribuenti a standard di riferimento ha prodotto fin da subito effetti esattamente contrari a quelli previsti sottoponendo il contribuente, in caso di dichiarazione di valori minori a quelli prefissati, a lunghe ed estenuanti indagini fiscali;
    lo studio di settore inverte l'onere della prova a danno del contribuente, e ha quindi spinto una buona parte dei professionisti e degli imprenditori ad adeguarsi agli standard previsionali dell'amministrazione fiscale, con la grave conseguenza di dover assolvere ad obbligazioni tributarie maggiori;
    a ciò si aggiunge il fatto, duramente contestato dai contribuenti, che nonostante si prendano in considerazione le variabili esterne, spesso queste, soprattutto quelle riferite alle particolarità territoriali, non risultano essere efficacemente aderenti alla realtà, facendo sorgere un enorme contenzioso tributario;
    negli ultimi anni, inoltre, i pesanti effetti della crisi economica su decine di migliaia di attività hanno aumentato lo scollamento tra gli standard previsti dall'amministrazione finanziaria e gli effettivi ricavi e compensi dei contribuenti. Per ovviare a ciò sono stati predisposti diversi adeguamenti verso il basso, a partire dal 2011 fino all'ultimo di quest'anno, ma gli interventi – arrivati in ogni modo tardivamente, poiché l'anno della prima revisione coincideva con il quarto anno consecutivo di crisi – non hanno prodotto i risultati sperati, posto che gli aggiustamenti non sono stati comunque coerenti con gli effetti reali che la crisi ha prodotto sul volume di affari di imprenditori e professionisti interessati dagli studi,

impegna il Governo

al fine di permettere all'economia del Paese di beneficiare dei primi, debolissimi segnali di fine della crisi economica internazionale, ad assumere iniziative per prevedere l'immediata sospensione dell'applicazione degli studi di settore per i periodi di imposta 2015 e 2016, in modo da evitare che i contribuenti siano costretti a dichiarazioni più alte degli effettivi incassi e a sottoporsi ad una maggiore imposizione per evitare vessazioni da parte dell'amministrazione finanziaria, fino ad una completa revisione del sistema delle verifiche fiscali a fini anti evasivi.
(7-00713) «Busin, Guidesi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ANTIMO CESARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la legge di stabilità 2015, è stato prorogato per il quinto anno consecutivo il blocco degli scatti stipendiali dei docenti e dei ricercatori universitari;
   per altre categorie, invece, magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, personale militare e delle forze di polizia, diplomatici ed insegnanti, il blocco è stato revocato;
   il dissenso del mondo universitario — con varie forme di agitazione e protesta — non è teso ad una rivendicazione di mera natura economica, ma alla valorizzazione della figura e al riconoscimento del prestigio e dell'autorevolezza della figura del docente universitario;
   il provvedimento, ignorando le richieste di migliaia di docenti universitari che dopo quattro anni di blocco ne chiedevano la fine, appare discriminatorio e punitivo;
   i docenti universitari sono l'unica categoria per la quale tale blocco permane per il 2015, e, a parte il danno economico, la docenza universitaria considera il perdurare del blocco solo nei suoi riguardi discriminatorio e lesivo della sua dignità, quasi che essa faccia parte della spesa improduttiva;
   è opportuno evitare che di tali sperequazioni il Governo se ne faccia carico solo a seguito di sentenze della Corte Costituzionale;
   i reiterati tagli all'università e alla ricerca, se da un lato hanno contribuito al risanamento della finanza pubblica, dall'altro lato non hanno certo inciso positivamente sulla qualità dei servizi e sulla competitività del Paese;
   per il quadriennio (2011-2014) ogni docente universitario, dal più giovane ricercatore (con uno stipendio di circa 1500 euro al mese), al professore ordinario, ha dato al Paese in virtù del blocco degli scatti — in media —, 180 euro netti mensili, con il disconoscimento di quattro anni di anzianità ai fini giuridici ed economici. Tale blocco della maturazione delle classi inciderà maggiormente sui più giovani e si tradurrà in un prelievo crescente e prolungato nel tempo;
   gli scatti stipendiali dei docenti universitari non sono automatici (come alcuni erroneamente ritengono) ma concessi solo al seguito di una valutazione dell'attività didattica e scientifica svolta;
   bloccare indiscriminatamente gli scatti stipendiali va nella direzione opposta a quella della valorizzazione del merito, colpendo — inoltre — un asset fondamentale per la competitività del sistema Italia;
   demotivare la docenza e la ricerca si traduce in un danno per l'istituzione universitaria, mortificando altresì e più in generale il comparto cultura che necessita di riconoscimenti e di finanziamenti –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno assumere al fine di sbloccare a partire dal 1o gennaio 2015 gli stipendi dei docenti universitari, col pieno riconoscimento del quadriennio lavorativo 2011-2014, sia ai fini giuridici con conseguenti effetti economici a partire dal 1o gennaio 2015, sia ai fini pensionistici. (3-01572)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAPONE, GINEFRA, MONGIELLO, VENTRICELLI, GRASSI, MARIANO, MICHELE BORDO, PELILLO, MASSA, CASSANO, VICO e LOSACCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni grande preoccupazione sta assumendo, tra gli amministratori e nelle popolazioni pugliesi, la notizia di autorizzazioni da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e da parte del Ministero dello sviluppo economico per la prospezione delle coste pugliesi finalizzate alla ricerca, meglio coltivazione, di idrocarburi;
   più specificamente dai siti istituzionali dei due Ministeri e da quanto riportato dagli organi di stampa si apprende di una autorizzazione su un milione 400 mila ettari di area del mar Adriatico dal Gargano a Santa Maria di Leuca, a quanto si legge l'ultima in ordine di tempo, rilasciata alla Petroleum Geo Service Asia Pacific a conclusione della Via presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre negli stessi giorni è stato dato il via libera anche a Enel Longanesi per la ricerca di petrolio sulla costa jonica, al largo di Gallipoli;
   è sufficiente – in ogni caso – osservare la mappa sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativa alle procedure di Via-Vas in corso, e nello specifico alle prospezioni idrocarburi, mappate in verde, e alla ricerca idrocarburi, mappata in fucsia, per una idea aggiornata sullo stato dell'arte e sul coinvolgimento intensivo della regione Puglia e dell'ultimo segmento del canale adriatico in fatto di ricerca/prospezioni idrocarburi;
   secondo quanto riportato da organi di stampa «nell'intera area sarà dunque possibile esplorare i fondali utilizzando la tecnica dell'air gun, la pistola sottomarina ad area compressa in grado di generare onde sismiche utili per poter individuare i possibili giacimenti petroliferi. Non le trivellazioni, quelle arriverebbero solo una volta accertata la presenza del petrolio, ma la nuova tecnica che negli anni ha sostituito l'esplosivo in mare, ritenuta meno dannosa per l'ambiente ma letale per la fauna marina, in particolare per i cetacei»;
   si legge inoltre: «Con il nuovo decreto, datato 12 giugno, il Ministero autorizza dunque la Petroleum Geo-service Asia Pacific ad effettuare prospezioni di idrocarburi liquidi e gassosi sull'intero tratto pugliese, una linea di mare spessa e lunghissima, che assorbe al suo interno anche le aree richieste – e ottenute – dalla Northern Petroleum, una sovrapposizione che comunque non scoraggia le compagnie, abituate anche a capitalizzare sul mercato ogni singolo atto autorizzativo»;
   alla linea lungo il basso Adriatico deve aggiungersi quella jonica che per quanto riguarda la regione Puglia è relativa all'autorizzazione rilasciata ad Enel Longanesi Development «con un progetto che prevede l'Air Gun nell'area centrale del Golfo di Taranto, di fronte alle coste di Gallipoli e Nardò e, sull'altra sponda, di Rossano Calabro». Anche in questa area, secondo la mappa presente sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono cinque i siti autorizzati per la ricerca di idrocarburi e sei finalizzati alla prospezione idrocarburi;
   è dunque questo stato di cose che fa osservare: «L'accerchiamento denunciato dalle istituzioni locali e dagli ambientalisti è un dato di fatto, soprattutto tenuto conto che alle richieste più vecchie arrivate al traguardo in queste ore si sono aggiunte successivamente quelle della texana Schlumberger Italia, per 4.285 chilometri quadrati, che si estendono dal Salento a Taranto, e interessano i comuni salentini di Porto Cesareo, Nardò, Galatone, Gallipoli, Melissano, Racale, Sannicola, Taviano, Alliste, Ugento, Castrignano del Capo, Morciano di Leuca, Patù, Salve e nel Tarantino, oltre al capoluogo anche Torricella, Lizzano, Manduria, Pulsano, Maruggio, Castellaneta, Palagiano, Leporano, Ginosa, Massafra nel tarantino, proseguendo verso Basilicata e Calabria. E poi ci sono quelle della Global Med, con sede in Colorado, che la scorsa estate bussò alla porta di 24 comuni salentini del Basso Salento con la richiesta di prospezione per 1.493,7 chilometri quadrati al largo di Leuca (oltre che di Crotone e Capo Colonna). Solo una delle due istanze è bloccata per il contenzioso con Petroceltic Italia-Edison, anche lei interessata alla medesima area. Per il resto, l’iter è in corso e non è detto che non si concluda a breve, dando il via a quella che da parte dei territori si annuncia come una resistenza a oltranza»;
   per opporsi a tale stato di cose lo scorso 18 giugno la giunta regionale pugliese ha approvato d'urgenza la delibera con cui dà mandato all'Avvocatura di impugnare dinanzi al TAR del Lazio i nove decreti di Via del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e tale linea sarebbe stata anticipata e confermata anche nel corso dell'incontro organizzato dal comune di Polignano a Mare il 17 giugno scorso allo scopo di concordare una strategia unitaria;
   nello stesso incontro svoltosi a Polignano la presidenza del consiglio regionale ha presentato una scheda tecnica dove si sottolinea: «il 71 per cento delle richieste di permessi per prospezioni di idrocarburi in mare riguarda la Puglia; ... le tecniche geosismiche adottate per risultano estremamente dannose per l'ambiente e la fauna sottomarina e marina; ... ad un chilometro di distanza dal sito in cui si effettua la prospezione l'intensità sonora si mantiene sui 150 decibel (120 possono causare negli uomini danni irreversibili)», E ancora: «la probabilità di trovare idrocarburi secondo i tecnici è stimata intorno al 17 per cento, mentre il petrolio adriatico è classificato col grado 9 della scala internazionale Api (fino a 25 è petrolio pesante, oltre i 40 leggero). Le torri petrolifere possono elevarsi dalle acque marine fino a 60 metri, visibili dalla costa; le più vicine sorgerebbero all'interno delle 12 miglia dal litorale». Nel corso dell'incontro il presidente del consiglio regionale ha poi ricordato come già nei primi anni ’70 «l'Enfi di Mattei aveva scartato gli idrocarburi dell'Adriatico perché troppo costoso estrarli, troppo scadenti e buoni al massimo per bitumare strade»;
   tale parete negativo espresso dai vertici del Governo regionale viene confermato tecnicamente anche dall'autorità di bacino che per voce dell'assessore alle opere pubbliche della Puglia sottolinea come nella regione «negli ultimi anni siano state istituite numerose aree protette costiere e parchi marini che, pur introducendo vincoli nell'uso del territorio hanno sviluppato una cultura ambientale della popolazioni locali interessate e di quelle extraregionali»;
   nel frattempo contro le prospezioni in mare si sono pronunciati anche i vertici nazionali di Federalberghi che in una nota ufficiale afferma: «I sei decreti emessi dal Ministero dell'Ambiente nei primi mesi di giugno hanno di fatto consegnato tutto il mare pugliese nelle mani delle società multinazionali che avevano richiesto le autorizzazioni alla trivellazione per la ricerca di giacimenti petroliferi. Sono interessati a questa operazione 1,6 milioni di ettari di mare: una superficie paragonabile a quella dell'intera Puglia». E prosegue: «L'impatto dell'intera operazione è dirompente per il futuro della nostra regione: il settore del turismo non può permettersi il lusso di vedere vanificati gli importanti investimenti, pubblici e privati, degli ultimi cinque anni, e proprio adesso che l'intera filiera comincia i registrare i primi segnali positivi rispetto alla drammatica crisi che ci ha aggredito negli ultimi tre anni e che il brand Puglia naviga a piene vele nei mercati internazionali». Mentre il presidente regionale di Federalberghi si dichiara «al fianco dei sindaci e della gente di Puglia nella mobilitazione per salvare le bellezze della nostra costa»;
   a questo stato di cose va sommato l'allarme del rischio connesso alla presenza di ordigni inesplosi nel mare Adriatico. Rischio che coinvolge il fronte italiano, quello croato e, più in generale, anche le coste delle altre sponde adriatiche come si evince dalla comunicazione del Ministero dell'economia della Croazia del 2 gennaio 2015 circa la concessione da parte del Governo di Zagabria di dieci licenze per esplorazione e sfruttamento di idrocarburi in Adriatico in seguito alla prima gara pubblica conclusasi il 2 novembre 2014 e come d'altra parte confermano anche numerosi atti parlamentari prodotti in questi anni;
   in particolare il Governo, rispondendo nell'aprile scorso a una interrogazione in merito, per voce della sottosegretaria all'ambiente onorevole Silvia Velo, si è detto consapevole della presenza di «numerosissimi ordigni bellici inesplosi, caricati anche con aggressivi chimici, distribuiti in svariate aree di fondale marino in Adriatico, la cui esplosione accidentale potrebbe causare danni diretti agli organismi marini o provocare la fuoriuscita incontrollabile di prodotti petroliferi dai pozzi in via di perforazione» e che a tal fine era stata prevista sia una azione di bonifica degli ordigni in capo al Nucleo Sdai della marina militare con uno stanziamento di 5 milioni di euro, sia la condizione di una «adeguata attività di survey» relativamente alle autorizzazione alle attività di ricerca cui le società sarebbero, a quanto pare, obbligate anche in Croazia;
   d'altra parte anche nell'Alto Adriatico la regione Veneto si è dichiarata per voce del suo Governatore contraria alle trivellazioni paventando il rischio di incidenti sulle piattaforme con gravissime ripercussioni sull'ecosistema causa il cosiddetto fenomeno di subsidenza;
   va ricordato inoltre, e stavolta sotto il profilo prettamente energetico, che la Puglia in modo rilevante (pari circa all'80 per cento eccedente il proprio fabbisogno di energia) ha contribuito e contribuisce al bilancio energetico nazionale con le centrali a carbone di Brindisi, con la raffineria petrolifera, con l'oleodotto di Taranto, con gli impianti per la produzione di energia eolica e fotovoltaica e, da ultimo, con i gasdotti che attraversando l'Adriatico potrebbero a breve collegare il sistema produttivo dell'est europeo alla dorsale appenninica, e che alla produzione di energia ha pagato un prezzo altissimo in termini di tutela e salvaguardia territoriale, di minacce alla salute delle popolazioni, di aumento dell'incidenza tumorale –:
   quale sia, ad oggi lo stato, dell'arte relativamente alla situazione descritta;
   quali iniziative intendano intraprendere a tutela del mare Adriatico e delle coste pugliesi;
   quali iniziative intendano intraprendere in relazione ai rischi più volte paventati relativamente agli ordigni inesplosi nel Mare Adriatico;
   se in relazione a quanto sopra descritto e anche in considerazione di analogo stato d'animo tra le popolazioni e gli amministratori locali croati non si renda opportuno l'avvio di una moratoria in sede europea tale da definire protocolli comuni e condivisi relativamente alle richieste di prospezioni e autorizzazioni alla ricerca e coltivazione di idrocarburi e, contemporaneamente, non si ritenga necessaria e opportuna la definizione di un protocollo condiviso tra i Paesi che si affacciano sul corridoio Adriatico a tutela dell'ambiente marino e costiero, a salvaguardia dell'unicità di quell'ambiente e degli sforzi sviluppatisi negli anni verso un turismo di qualità. (5-05874)


   SIMONE VALENTE, D'UVA, MARZANA, CHIMIENTI e DI BENEDETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 febbraio 2012 concernente la «Modificazione al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1o marzo 2011, recante ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri», l'ufficio per lo sport è stato inserito all'interno del dipartimento per gli affari regionali (che dal 21 ottobre 2013 ha preso il nome di dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport);
   a tale struttura organizzativa è attribuito il rilevante compito di supportare la Presidenza del Consiglio nell'esercizio delle funzioni in materia di sport e, nello specifico, di esercitare funzioni quali provvedere agli adempimenti giuridici ed amministrativi degli atti in materia di sport, effettuare studi e ricerche, curare l'istruttoria degli atti concernenti l'attività fisica e sportiva (con particolare riguardo agli atti concernenti l'erogazione dei contributi destinati all'impiantistica sportiva), intrattenere relazioni con gli enti e le istituzioni anche internazionali, provvedere alla prevenzione del doping della violenza nello sport e svolgere, infine, il delicato compito di vigilanza e monitoraggio dell'attività svolta dal Comitato olimpico nazionale (CONI) nonché dall'Istituto per credito sportivo;
   fino al 2 aprile 2015 a ricoprire il ruolo di segretario del Consiglio dei ministri con delega alle politiche di coesione territoriale e allo sport era Graziano Delrio (nominato in data 28 aprile 2013 durante il Governo Letta Ministro per gli affari regionali con delega allo sport, delega parimenti confermata dal Governo Renzi ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 aprile 2014);
   tuttavia, allo stato attuale appare agli interroganti del tutto evidente assenza di una figura politica d'indirizzo che funga da responsabile e che sia di esplicito riferimento per le questioni afferenti all'attività sportiva, rendendo in tal modo difficoltoso il perseguimento delle linee guida del Governo come la diffusione della pratica sportiva dei giovani e nelle scuole, la realizzazione, valorizzazione e ammodernamento delle strutture sportive e più in generale la promozione della funzione sociale insita nello sport; a tale situazione si aggiunge, inoltre, la vacanza nella titolarità del dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e lo sport a seguito delle dimissioni del Ministro Lanzetta rassegnate in data 30 gennaio 2015 –:
   stante il delicato compito attribuito all'ufficio per lo sport soprattutto per la parte relativa alla vigilanza sul CONI posta sotto forma di controllo di legittimità e, in talune ipotesi, anche di merito sull'attività del Comitato, se non ritenga opportuno accelerare la procedura di individuazione e nomina di un'altra figura politica deputata a riceve le deleghe in materia di sport. (5-05880)


   BATTELLI e PETRAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa e da un generico comunicato del dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri si apprende che l'Italia ha presentato una proposta di revisione dell'Unione economica e monetaria (UEM) da sottoporre ai «quattro presidenti» (sono così denominati il presidente della Commissione, il presidente del Consiglio europeo, il Presidente dell'eurogruppo e il presidente della Banca centrale europea);
   la proposta prende le mosse da un report preparato dai 4 presidenti e discusso durante il Consiglio europeo informale di febbraio 2015, che si concludeva con una richiesta di proposte di revisione dell'UEM agli Stati membri;
   sempre da fonti di stampa si apprende che l'Italia propone, una serie di misure, in parte limitative della sovranità nazionale, ampliando i poteri dell'Unione europea in tema non solo di governance economica, ma anche in materia fiscale. Nel documento sembra auspicarsi una svolta dell'Unione europea nel senso della creazione di un'unione più politica. Si propone inoltre di affiancare alle politiche economiche e monetarie delle misure redistributive atte a controbilanciare gli squilibri derivanti dall'unione monetaria. Una proposta di questo tipo comporta un evidente cessione di sovranità nazionale da parte dell'Italia all'Unione europea e pertanto dovrebbe essere sostanziata dalla legittimità popolare che solo il Parlamento potrebbe fornirgli;
   la proposta italiana è stata inviata dal Governo direttamente in sede europea, senza essere stata preventivamente trasmessa al Parlamento né tanto meno aver messo le Camere nelle condizioni di approvare atti di indirizzo;
   il trattato di Lisbona prevede all'articolo 12 che i parlamenti abbiano un ruolo centrale nell'integrazione comunitaria, principio rafforzato con il protocollo n. 1 allegato al trattato stesso, non solo nel controllo del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, ma anche un ruolo fondamentale nell'ambito delle proposte legislative presentate delle istituzioni comunitarie e dagli Stati membri stessi;
   in virtù dei principi costituzionali, è da intendersi chiaro, ad avviso degli interroganti, come qualsiasi proposta che tratta di nuove cessioni di sovranità, debba preventivamente passare per il vaglio del Parlamento italiano, unico organo rappresentativo dei cittadini, dove solo dopo una discussione e un voto su un atto di indirizzo il Governo può ritenersi legittimato a portare avanti nuove proposte di governance in seno all'Unione europea;
   l'articolo 7 della legge n. 234 del 2012, in particolare letto alla luce dell'articolo 6 a cui fa riferimento, prevede che sugli atti quali i progetti di atti dell'Unione europea o atti preordinati alla formulazione degli stessi e le loro modificazioni i competenti organi parlamentari possono adottare ogni opportuno atto di indirizzo al Governo, secondo le disposizioni dei regolamenti delle Camere. Parimenti si prescrive che il Governo è tenuto ad assicurare che la posizione rappresentata dall'Italia in sede di Consiglio dell'Unione europea ovvero di altre istituzioni od organi dell'Unione, sia coerente con gli indirizzi definiti dalle Camere; se ne deduce un obbligo del Governo a trasmettere alle Camere atti come quelli in esame –:
   su che basi ed in virtù di quale principio il Governo abbia ritenuto di non dover consultare le Camere prima della trasmissione in sede europea della proposta descritta in premessa;
   quale sia la legittimazione democratica di una proposta che cede sovranità popolare senza coinvolgere il Parlamento;
   cosa intenda fare il Governo per coinvolgere il Parlamento nel processo di completamento dell'Unione economica e monetaria. (5-05892)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   consultando il sito ufficiale della Presidenza del Consiglio, alla sezione «Contributi Editoria», sembra che la pubblicazione di tali dati sia ferma all'anno 2013;
   per il principio di massima trasparenza delle risorse pubbliche, appare urgente la pubblicazione dell'aggiornamento dei suddetti dati anche per l'anno 2014 con il relativo elenco dei beneficiari e specifiche sull'ammontare economico ricevuto –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri sia a conoscenza della suddetta criticità;
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri possa fornire, pubblicando urgentemente l'allegato, i dati relativi all'anno 2014. (4-09570)


   DEL GROSSO, VACCA, SIBILIA e D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi in Molise, nel territorio ricompreso nella provincia di Campobasso, risulta incompiuta l'infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale e di prioritario interesse regionale, compresa fra gli interventi di cui alla legge obiettivo n. 443/01 denominata Acquedotto Molisano Centrale, necessaria per l'adduzione idropotabile delle sorgenti del Biferno ai comuni del Basso Molise, ad oggi quindi migliaia di utenze risultano essere servite da acqua proveniente dal potabilizzatore della diga del Liscione che con frequenza fa riscontrare alterazioni dei parametri normativi, atti ad assicurare acqua di buona qualità in uscita dal trattamento di potabilizzazione;
   con delibera CIPE n. 110 del 29 marzo 2006 veniva approvato il progetto definitivo per la costruzione dell'Acquedotto Molisano centrale (CUP G59J04000020001) per l'importo di euro 92.960.000 (IVA inclusa) presentato da regione Molise;
   attraverso convenzione stipulata in data 9 ottobre 2006 la regione Molise affidava all'azienda speciale Molise Acque (già ERIM), per la durata di mesi 48 tutte le funzioni e le attività per la realizzazione dei lavori di cui trattasi, successivamente Molise Acque esperiva procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, mediante, appalto integrato (progettazione esecutiva e costruzione) ex articolo 53 comma II lettera b) decreto legislativo n. 163 del 2006 ovvero con criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Esperita la procedura di gara con D.D. n. 033 del 22 luglio 2007, Molise Acque aggiudicava l'appalto con ribasso del 15,17 per cento all'ATI consorzio cooperative costruzioni (capogruppo) Falcione-Favellato-Giuzio-Zurlo e con delibera di consiglio di amministrazione n. 14/07 del 27 giugno 2007 Molise Acque ha approvato il progetto esecutivo redatto dall'impresa aggiudicataria;
   nella fase di esecuzione dell'opera, secondo quanto riportato dalla direzione generale della giunta Area IV, si sono rilevate delle criticità che hanno comportato il blocco dei lavori e l'instaurazione di contenzioso fra stazione appaltante e impresa, sfociato nella rescissione contrattuale;
   il presidente della giunta regionale del Molise con decreto n. 198 del 30 giugno 2009 ha nominato il dottor ingegner Donato Carlea commissario straordinario per la realizzazione dell'Acquedotto Molisano centrale ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185 convertito con legge n. 2 del 28 gennaio 2008;
   successivamente il comune di Montenero di Bisaccia con nota prot. n. 2011/00001539 del 15 febbraio 2011, ha richiesto al commissario straordinario di spostare l'ubicazione del serbatoio per la zona marina e di attuare i necessari provvedimenti al fine di garantire nel periodo estivo, che l'eventuale integrazione idrica avvenga esclusivamente con acqua proveniente dall'Acquedotto Molisano Centrale e non con quella derivante dal potabilizzatore della diga del Liscione; inoltre il comune di Petacciato con nota prot. n. 2286 del 10 marzo 2011 ha chiesto al commissario straordinario di modificare il tracciato della condotta ed individuare un nuovo sito di ubicazione del serbatoio di accumulo, al fine di garantire un maggiora apporto idrico alla zona marina in fase di espansione;
   con nota prot. n. 7764/11 il presidente della regione Molise invitava il commissario straordinario a redigere un nuovo studio di fattibilità per la definizione degli ulteriori lavori integrativi della zona costiera che dimostrasse, anche rispetto all'attuale portata dell'acquedotto, la fattibilità delle opere correlate alla richiesta dei comuni di Montenero di Bisaccia e Petacciato e del soggetto gestore (Azienda speciale Molise Acque) ai fini del recepimento delle relative risorse finanziaria;
   con ordinanza prot. n. 254/AMC del 15 aprile 2011 è stato approvato lo studio di fattibilità redatto dalla struttura commissariale;
   con nota del presidente della regione Molise n. 0010338/11 del 18 aprile 2011 il commissario straordinario per la realizzazione dell'Acquedotto Molisano centrale e interconnessione con lo schema basso Molise è stato autorizzato ad attuare le procedure di competenza per la redazione della variante progettuale relativa alle ulteriori opere in Montenero di Bisaccia, Petacciato e Termoli;
   con delibera della giunta regionale del Molise n. 457 del 9 luglio 2012, su precisa indicazione del presidente della giunta regionale è stata prevista la destinazione di euro 5.412.000,00 delle risorse regionali al commissario straordinario per la variante progettuale;
   la perizia di cui trattasi, secondo una nota del responsabile unico del procedimento, geometra Domenico Montagano, «costituisce un momento di sintesi della attività svolte in forte collaborazione fra il commissario straordinario il soggetto gestore (Molise Acque) e i comuni costieri, nell'ottica del superamento di circostanze impreviste ed imprevedibili sopravvenute»;
   l'importo complessivo della perizia di variante ammonta a euro 88.894.161,24 di cui:
   euro 83.269.373,31 – finanziati dal CIPE con delibera n. 110 del 29 marzo 2006;
    euro 302.787,93 finanziati per compensazione ai sensi dell'articolo 133, comma 4, del decreto legislativo n. 163 del 2006, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 30 settembre 2010;
    euro 5.412.000,00 destinati con delibera 457 del 9 luglio 2012 della giunta della regionale del Molise;
   la perizia di cui trattasi approvata in linea tecnica dal commissario straordinario, è stata inviata alla struttura tecnica di missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la istruttoria di rito, convocazione della conferenza di servizio e definitiva approvazione da parte del CIPE;
   si evidenzia che nella giornate del 7 e 8 marzo 2007 è stata svolta una verifica da parte del servizio ispettivo dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture che ha portato alla deliberazione 142 del 10 maggio 2007 con conseguente trasmissione degli atti alla Procura generale della Corte dei conti e per conoscenza alla procura regionale Molise presso la medesima Corte e copia della stessa deliberazione è stata altresì trasmessa alla procura della Repubblica per i profili di competenza –:
   se il Governo, alla luce di Quanto sopra esposto, non ritenga opportuno predisporre le misure necessarie a:
    a) comprendere a fondo le motivazioni alla base dei ritardi nell'esecuzione dell'opera anzi descritta accertando eventuali responsabilità e il relativo incremento dei costi legati al suddetto ritardo anche a seguito della deliberazione della AVCP 142 del 10 maggio 2007;
    b) predisporre tutte le misure necessarie al fine di ultimare l'istruttoria di rito presso la struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e relativa approvazione definitiva da parte del CIPE a seguito dell'ultima variante progettuale, in modo da dare riscontro in tempi celeri e certi ai cittadini del basso Molise in merito alla definitiva ultimazione dell'infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale e di prioritario interesse regionale, necessaria per l'adduzione idropotabile delle sorgenti del Biferno ai comuni del Basso Molise. (4-09577)


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2014 avrebbe predisposto, tramite l'Avvocatura dello Stato, una richiesta di risarcimento di 1 miliardo e 103 milioni di euro alla proprietà per la mega-discarica sita a Bussi sul Tirino (Pescara);
   l'atto sarebbe pronto dal marzo del 2014 e il 9 aprile seguente avrebbe avuto anche il parere positivo del comitato consultivo che lo avrebbe autorizzato, ma a tutt'oggi giacerebbe fermo in un cassetto. Dunque nonostante sia stata riconosciuta la responsabilità oggettiva del disastro ambientale colposo, non esiste ancora una citazione formale e nessuna udienza sarebbe stata fissata;
   l'Avvocatura dello Stato dipende direttamente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri che dovrebbe autorizzare la procedura per la richiesta risarcitoria –:
   quali siano i motivi di questa scelta dilatoria e se intendano procedere in sede civile per formalizzare la richiesta di risarcimento per i danni causati dal grave inquinamento del sito industriale chimico di Bussi (Pescara). (4-09582)


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, reca norme in materia di Organismo indipendente di valutazione della performance (OIV) e stabilisce che «Ogni amministrazione, singolarmente o in forma associata, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, si dota di un Organismo indipendente di valutazione della performance», in sostituzione dei precedenti servizi di controllo interno;
   il medesimo articolo 14, al comma 3, stabilisce altresì che i membri dei vari OIV sono nominati dall'organo di indirizzo politico-amministrativo per un periodo di tre anni rinnovabili una sola volta;
   l'articolo 13, comma 6, lettera g) del citato decreto legislativo, conferiva in capo ad una «Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche» il compito di definire i «requisiti per la nomina dei componenti dell'Organismo Indipendente di valutazione», assolto tramite propria delibera n. 4/2010 del 16 febbraio 2010, integrata successivamente dalle delibere n. 107/2010, n. 21/2012, n. 23/2012, n. 27/2012 e n. 29/20121;
   la Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CiVIT) è intervenuta in seguito tramite propria delibera n. 12/2013 per riformare i requisiti e il procedimento per la nomina dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione;
   in tale delibera n. 12/2013 si stabiliva al punto 3.6 che «nel caso di organo collegiale, va assicurata la presenza sia di un componente che abbia un'adeguata esperienza maturata all'interno dell'amministrazione interessata, sia di componenti in possesso di conoscenze tecniche e capacità utili a favorire processi di innovazione all'interno dell'amministrazione medesima»; secondo l'interrogante ciò va interpretato sotto forma di inclusione, all'interno dell'organo, di almeno due soggetti che provengano da amministrazioni diverse o che, almeno, possano vantare buona parte della propria esperienza professionale al di fuori di tale amministrazione;
   sempre all'interno della citata delibera n. 12/2013, al punto 10, si ribadisce quando già espresso dall'articolo 14, comma 3 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, sottolineando che il mandato dei membri degli OIV hanno durata triennale e che «a garanzia dell'indipendenza dell'Organismo, non può essere prevista l'automatica decadenza dei componenti dell'OIV in coincidenza con la scadenza dell'organo di indirizzo politico – amministrativo dell'amministrazione che li ha designati»;
   le funzioni stabilite dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 in capo agli OIV sono state recepite all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri tramite il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o marzo 2011 così come modificato dall'articolo 11 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 giugno 2012: in tale sede veniva espressamente stabilito che i membri componenti la direzione dell'ufficio controllo interno, trasparenza e integrità sono scelti dal Presidente del Consiglio con proprio decreto esclusivamente tra i consiglieri della Presidenza, su proposta del segretario generale; appare così ovvio che una tale previsione possa apparire in contrasto con quanto espresso al punto 3.6 della delibera n. 12/2013 della CiVIT in quanto non verrebbe garantita la possibilità di includere «componenti in possesso di conoscenze tecniche e capacità utili a favorire processi di innovazione all'interno dell'amministrazione medesima»;
   inoltre, agli interroganti risulta che i membri del collegio posto a capo della direzione dell'ufficio sopra indicato siano soggetti alle norme relative allo spoil system all'interno delle strutture apicali amministrative: nello specifico, ricoprendo i membri di tale ufficio la carica di dirigenti apicali ai sensi dell'articolo 19, comma 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, gli stessi cessano dalle proprie funzioni «decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo», a sensi dell'articolo 19, comma 8 del medesimo decreto legislativo; ciò appare palesemente in contrasto con quanto disposto dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, articolo 14, comma 3, nonché ribadito dalla delibera CiVIT. n. 12/2013, al punto 10;
   infine, si rileva che l'ufficio controllo interno, trasparenza e integrità sia sottoposto al controllo e alla valutazione del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, così come si evince dal decreto del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri 29 agosto 2012, recante l'organizzazione dell'ufficio medesimo, in cui si dispone, all'articolo 2, comma 2, lettera c) che il capo dell'Ufficio «relaziona al Segretario generale, per quanto attiene al funzionamento delle strutture che compongono il Segretariato generale» mentre a Ministri senza portafoglio e Sottosegretari di Stato per le strutture di loro competenza;
   tuttavia, la normativa, specificatamente il comma 2, articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, dispone che l'organismo preposto alla valutazione delle performance debba riferire direttamente all'organo di indirizzo politico-amministrativo, che, secondo l'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può che essere l'organo di governo e, nel caso specifico della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio medesimo –:
   se non intenda porre fine a quelle che l'interrogante giudica essere le numerose irregolarità esposte in premessa, anche modificando l'organizzazione interna delle proprie strutture e garantendo un'effettiva indipendenza dell'ufficio controllo interno, trasparenza e in integrità.
(4-09584)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Caserta, ormai da decenni, è soggetto a flussi migratori di varie etnie e natura, quasi sempre incontrollati e irregolari, ma negli ultimi anni il fragile equilibrio tra italiani e immigrati si sta spezzando, diventando una pericolosa bomba sociale pronta ad esplodere da un momento all'altro;
   come solo un anno fa, nel luglio 2014, quando a Pescopagano decine di immigrati sono scesi strada, scatenando una vera e propria azione di guerriglia urbana, il 19 giugno 2015 la rabbia incontrollata e ingiustificata dei migranti, alcuni a mani nude e altri armati di bastone, è esplosa tra le strade di Pontelatone in una «rivolta annunciata»;
   i protagonisti della vicenda erano quaranta dei 114 migranti ospitati nella struttura turistica «Le Campole», che, seduti al bivio della strada provinciale, unica via di accesso ai comuni della zona, protestavano per ottenere le carte di identità, ma quando è arrivato un furgoncino con a bordo quattro operai che volevano passare per andare al lavoro, il sit-in si è trasformato in un'aggressione e la violenza non si è fermata neppure all'arrivo dei Carabinieri;
   il bilancio della giornata ha fatto registrare il ferimento di due cittadini, due militari dell'Arma e quattro extracomunitari e sono quattro anche gli immigrati arrestati, che saranno processati per direttissima;
   l'hotel Le Campole è una struttura a quattro stelle, costruita sotto l'egida politica dell'allora presidente della provincia di Caserta, Riccardo Ventre, e voluta come luogo di villeggiatura per rilanciare la zona, ma ad oggi turisti non se ne sono visti e la società alla quale hanno affidato in concessione il villaggio turistico ha deciso di usarlo per ospitare immigrati;
   le prime avvisaglie di malessere sarebbero arrivate pochi giorni fa quando, come si apprende dalle cronache locali, sarebbero dovute arrivare le prime carte d'identità, ma poi il comune avrebbe chiesto nuovi chiarimenti e la consegna è slittata;
   sul punto, ha precisato il sindaco del confinante comune di Formicola che gli immigrati sono tutti già regolarmente iscritti nell'anagrafe temporanea, ma la loro pretesa sarebbe stata, invece; quella di essere registrati in quella residente. «Come si può costituire una comunità all'interno di un albergo ? Secondo noi non è possibile. Per questo abbiamo inoltrato richiesta specifica alla Prefettura. Solo quando ci saranno fornite adeguate risposte rilasceremo i documenti di identità. Del resto non si capisce l'esigenza di questa tessera considerato che gli immigrati posseggono già un documento di riconoscimento valido (permesso di soggiorno)»;
   in particolare, l'indice degli amministratori di Formicola è puntato contro la prefettura che, a loro avviso, non riuscirebbe a fornire delucidazioni sulla vicenda, come precisa il sindaco Michele Scirocco: «Abbiamo inviato decine di comunicazioni alla Prefettura senza ottenere risposte chiare. Ho più volte sollecitato il nostro responsabile del servizio al rilascio delle tessere richieste. Purtroppo la normativa appare molto lacunosa. Giustamente il nostro funzionario non intende assumersi responsabilità sulla questione»;
   forte è stata la reazione anche del sindaco di Pontelatone, Antonio Carusone, che stanco delle ripetute tensioni innescate dalle proteste dei rifugiati, dopo l'ultimo episodio ha scritto alla procura della Repubblica per sollecitare una soluzione al problema: «Come di consueto, armati di pietre e bastoni hanno bloccato nuovamente la strada provinciale che cade in tenimento del Comune di Pontelatone. L'aggressione oltremodo violenta è stata perpetrata anche con lo scaglio di pietre contro civili inerti, nonostante l'immediato intervento delle forze dell'ordine e delle autorità locali. I manifestanti hanno aggredito quattro persone, di cui tre civili ed un carabiniere, che sono stati soccorsi ed accompagnati in ospedale. Oltremodo, la circostanza che lascia senza parole è che tra le vittime vi è una giovane donna, in evidente stato di gravidanza, mentre le altre persone coinvolte sono onesti lavoratori che si accingevano ad espletare la loro attività lavorativa»;
   nelle parole di Carusone trapela il condivisibile timore che il ripetersi di queste proteste possa innescare reazioni nella comunità locale: «L'insostenibilità di questa situazione è palese e mette in costante pericolo l'intera comunità, che si trova in balia di figure che senza alcuno scrupolo fanno ricorso alla violenza, incuranti sia delle norme di comune e civile convivenza che dell'iter burocratico sotteso alle loro richieste»;
   i territori, in particolare quelli del sud Italia, sono al collasso e si è ormai al punto in cui non è più possibile tollerare la presenza incontrollata di migranti, né si può più restare immobili di fronte a tanta prepotenza e a manifestazioni di violenza di chi invece dovrebbe ringraziare e, rispettare una comunità, che li ospita;
   lasciati soli a fronteggiare tale «eterna emergenza», i comuni, tra mille difficoltà ed enormi sofferenze, continuano a garantire l'accoglienza, oltre i limiti delle proprie capacità, ma il sistema, in assenza di interventi straordinari, è prossimo al collasso;
   non si può lasciare che questa provincia, come molte altre, vada alla deriva, che città e luoghi di accoglienza diventino la sversatoio di problemi di cui si dovrebbe far carico l'intera Unione europea;
   in tutto questo, il grande assente è lo Stato che, perseguendo politiche a dir poco inaccettabili, come l'abolizione del reato di immigrazione clandestina, ha consentito che il territorio divenisse vittima di «sciacallaggio sociale»;
   il fenomeno dell'immigrazione incontrollata, insieme alla delinquenza, al malaffare, all'assenza di trasparenza nell'amministrazione pubblica, contribuisce a esasperare lo stato e la sicurezza sociale;
   a ciò si aggiunga che in un territorio così vasto come quello casertano le forze dell'ordine sono in difficoltà, perché sono in numero troppo esiguo rispetto alle istanze di sicurezza e «normalità» disattese da decenni e per effetto delle politiche del tutto inadeguate del Governo in materia di sicurezza, con gli svuota-carceri, e di immigrazione;
   si è di fronte a una spirale del degrado che ha una sola origine: l'abbandono del controllo del territorio, e la più totale mancanza di azioni che lo tutelino come un pezzo di Stato italiano –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per affrontare seriamente il fenomeno dell'immigrazione nel territorio in questione e, in particolare, nelle province, come quella casertana, dove il fragile equilibrio tra italiani e immigrati rischia di spezzarsi da un momento all'altro;
   se e quali responsabilità siano rilevabili nell'operato della prefettura per l'accoglienza degli immigrati nel territorio casertano, così come posta in essere;
   se non ritengano necessario assumere iniziative normative per ripristinare il reato di immigrazione clandestina, a tutela della sicurezza del nostro Paese dell'incolumità dei cittadini. (4-09590)


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, cosiddetta riforma Brunetta, reca norme di «Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni»;
   le norme contenute nei titoli II e III di tale decreto legislativo sono state recepite all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri tramite decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 maggio 2011, n. 131;
   l'articolo 3 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri disciplina la valutazione della performance, più in particolare, i commi 4 e 5 dispongono norme in materia di rendicontazione dei risultati raggiunti, in particolare «entro il mese di marzo, gli organi di indirizzo politico-amministrativo assicurano, contestualmente alla valutazione dei dirigenti di vertice, che siano evidenziati a consuntivo, con riferimento all'anno precedente [...] i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati e alle risorse»;
   inoltre, all'articolo 4, comma 3, lettera a) si dispone che «La Presidenza del Consiglio dei ministri pubblica sul proprio sito istituzionale, in apposita sezione di facile accesso e consultazione denominata “Trasparenza, valutazione e merito” [...] l'indicazione dei risultati raggiunti da ciascuna struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri rispetto agli obiettivi programmati»;
   secondo l'interrogante si può già rilevare una evidente discrasia tra quanto disposto all'articolo 3, comma 4, e quanto disposto invece all'articolo 4, comma 3, lettera a), in quanto da una parte si dispone l'obbligo di rendicontazione dei risultati organizzativi e individuali raggiunti sia rispetto ai singoli obiettivi programmati e che alle risorse, mentre dall'altra parte si dispone l'obbligo di pubblicazione per quanto concerne i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmati e non anche rispetto alle risorse;
   l'articolo 5 stabilisce che le funzioni di valutazione della performance debbano essere svolte assicurando la «garanzia della trasparenza dei risultati conseguiti»;
   l'articolo 10 del decreto legislativo richiamato in premessa, recante norme in materia di Piano della performance e Relazione sulla performance, impone che le amministrazioni pubbliche debbano redigere annualmente «un documento, da adottare entro il 30 giugno, denominato: “Relazione sulla performance” che evidenzia, a consuntivo, con riferimento all'anno precedente, i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali scostamenti, e il bilancio di genere realizzato»; tale articolo viene esplicitamente recepito all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri dall'articolo 2 del citato decreto del 25 maggio 2011, n. 131; l'obbligo di pubblicazione della relazione sulla performance, inizialmente contenuto nell'articolo 11 del decreto legislativo richiamato, recepito del citato decreto del 25 maggio 2011, n. 131, è stato inserito successivamente inserito all'articolo 10, comma 8 lettera b) del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33;
   inoltre la Presidenza del Consiglio dei ministri, sempre ai sensi del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, all'articolo 3, comma 4, ha l'obbligo di definire e adottare il sistema per la misurazione e la valutazione della performance con il quale sono individuate le modalità di monitoraggio e verifica dell'andamento della performance, tuttavia, risulta che il vigente sistema di misurazione e valutazione della performance all'interno della Presidenza del Consiglio dei ministri risulta essere quello approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 novembre 2003, quindi anteriore anche alle nuove norme introdotte per tutte le pubbliche amministrazione dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150;
   i principi di trasparenza e pubblicità costituiscono principi fondanti dell'attività amministrativa, nonché un valido strumento per consentire la partecipazione attiva della cittadinanza alla gestione della cosa pubblica; inoltre, trasparenza e pubblicità costituiscono una modalità efficiente per prevenire degenerazioni corruttive e clientelari nell'azione della pubblica amministrazione e, più in generale, della democrazia medesima;
   agli interroganti non risulta che la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia mai pubblicato sul proprio sito istituzionale, in apposita sezione di facile accesso e consultazione denominata «Trasparenza, valutazione e merito», le relazioni che evidenzino a consuntivo i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati e alle risorse –:
   per quali ragioni non abbia provveduto ad adempiere agli obblighi di legge, inclusi quelli stabiliti con proprio decreto e se non intenda pubblicare i risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati così come esposto in premessa;
   se non intenda modificare il decreto 25 maggio 2011, n. 131, al fine di introdurre l'obbligo di pubblicazione, non solo dell'evidenziazione a consuntivo dei risultati organizzativi e individuali raggiunti rispetto ai singoli obiettivi programmati bensì anche rispetto alle risorse, così come previsto dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, articolo 11, prima e, successivamente, dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, articolo 10, comma 8 lettera b);
   se non intenda emanare, secondo quanto già previsto tramite proprio, decreto 25 maggio 2011, n. 131, articolo 3, comma 5, un nuovo e aggiornato sistema per la misurazione e la valutazione della performance. (4-09592)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   CARRESCIA e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con l'acronimo EMAS si intende il sistema comunitario di ecogestione e audit cui possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni, sia pubbliche che private, aventi sede nel territorio dell'Unione europea o al di fuori di esso, che si impegnano a migliorare la propria efficienza ambientale;
   le norme internazionali ISO 14000 rappresentano un altro strumento volontario per migliorare la gestione della variabile ambientale all'interno dell'impresa o di qualsiasi altra organizzazione;
   è interesse per il «sistema ambientale» che le imprese aderiscano a questi sistemi volontari di ecogestione e audit perché consentono di migliorare il livello della qualità dell'organizzazione, dei processi e dei prodotti e in tal senso depongono agevolazioni che il legislatore ha inteso assicurare a coloro che sono certificati EMAS o Uni En ISO;
   l'articolo 194, comma 4, lettera a) del decreto legislativo n. 152 del 2006 ha previsto che con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono determinati i criteri per il calcolo degli importi minimi delle garanzie finanziarie da prestare per le spedizioni dei rifiuti transfrontalieri che sono ridotte del cinquanta per cento per le imprese registrate ai sensi del regolamento (CE) n. 761/2001, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2001 e successive modificazioni e integrazioni e del quaranta per cento nel caso di imprese in possesso della certificazione, ambientale ai sensi della norma Uni En Iso 14001;
   il decreto, nonostante gli anni trascorsi, non è mai stato emanato per cui le autorità preposte non ammettono riduzioni alle garanzie finanziarie con un'interpretazione che appare agli interroganti capziosa, non conforme alla ratio legis e penalizzante per le imprese;
   le garanzie per il trasporto transfrontaliero di rifiuti sono infatti già disciplinate dal decreto del Ministro dell'ambiente del 3 settembre 1998, n. 370, che si applica, come disposto dall'articolo 194, comma 5, fino alla determinazione dei nuovi criteri per cui, agli importi oggi determinati in base a tale norma dovrebbe comunque applicarsi la riduzione prevista dal TUA per le imprese registrate Emas o certificate Uni En Iso 14001;
   sussiste incertezza sulla interpretazione e corretta applicazione dell'articolo 194 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e le imprese costituite per lo più da piccole e medie imprese, continuano a dover assicurare, garanzie di gran lunga superiori a quelle che dovrebbero se fosse stato già emanato il decreto ministeriale ovvero se si applicasse secondo ratio legis la normativa ora vigente –:
   se a legislazione vigente, nelle more dell'emanazione del decreto ministeriale di cui all'articolo 194, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia già applicabile ai trasporti transfrontalieri di rifiuti la riduzione del 50 per cento per le imprese certificate EMAS e del 40 per cento per quelle in possesso della certificazione ambientale ai sensi della norma UNI EN ISO 14001 delle garanzie finanziarie calcolate ai sensi del decreto del Ministro dell'ambiente 3 settembre 1998, n. 370. (5-05881)


   MATARRESE, D'AGOSTINO e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese, sono molteplici gli atti e i provvedimenti elaborati nel corso del tempo per contrastarlo e ingenti sono le risorse stanziate; il quadro complessivo dei lavori in corso è complesso e articolato e sono tante le fonti di finanziamento e le tipologie di intervento sui territori;
   uno degli ultimi provvedimenti risale alla legge di stabilità 2014, tramite la quale il Governo, al comma 111 dell'articolo 1, ha stanziato complessivamente 1.584.000.000 di euro per il contrasto al fenomeno del dissesto idrogeologico in Italia ed in particolare, «(...) al fine di permettere il rapido avvio nel 2014 di interventi di messa in sicurezza del territorio, le risorse esistenti sulle contabilità speciali relative al dissesto idrogeologico, non impegnate alla data del 31 dicembre 2013, comunque nel limite massimo complessivo di 600 milioni di euro, nonché le risorse finalizzate allo scopo dalle delibere CIPE n. 6/2012 e n. 8/2012 del 20 gennaio 2012, pari rispettivamente a 130 milioni di euro e 674,7 milioni di euro, devono essere utilizzate per i progetti immediatamente cantierabili, prioritariamente destinandole agli interventi integrati finalizzati alla riduzione del rischio, alla tutela e al recupero degli ecosistemi e della biodiversità e che integrino gli obiettivi della direttiva 2000/60/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque, e della direttiva 2007/60/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni (...)»;
   in particolare, secondo quanto si evince dai dati consultabili sul sito predisposto dal Governo italiasicura.gov.it nella regione Puglia risultano 232 «cantieri totali» con lavori per 299.649.694,40 euro e tra questi ci sono 122 «cantieri conclusi» con lavori per 92.840.693,20 euro, 56 «cantieri in corso» con lavori per 107.571.625,60 euro e 54 «altri interventi» i cui lavori risultano finanziati per 99.237.375,50 euro;
   il 21 maggio 2015 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha sottoscritto il «Protocollo d'intesa, monitoraggio e vigilanza collaborativa sugli interventi contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche» con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con l'ANAC e con la Presidenza del Consiglio dei ministri; in particolare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, secondo quanto disposto dall'articolo 3, comma 3, si impegna a «...promuovere l'attività di monitoraggio e a favorire la costruzione di un sistema di regolazione in collaborazione con l'ANAC per l'espletamento della vigilanza collaborativa...» –:
   quale sia lo stato di attuazione delle opere previste per il contrasto del dissesto idrogeologico in Puglia e se, e per quali opere, sussistano concreti rischi di definanziamento. (5-05882)


   CASTIELLO e SISTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la regione Puglia si estende per quasi 900 chilometri di costa, di cui la maggior parte balneabili;
   per l'anno 2015 sono 11 i comuni pugliesi che ricevono il riconoscimento come «bandiere blu» e fra questi sono confermati i comuni di Monopoli e Polignano a Mare (Cala Fetente, Cala Ripagnola, Cala San Giovanni) e (Lido Rosso, Castello S. Stefano, Capitolo), nonché i comuni di Fasano e Ostuni (Creta Rossa, Lido Fontanelle, Lido Morelli Pilone, Rosa Marina); solo per citare il tratto di costa interessato da questa interrogazione;
   tra le mete turistiche scelte dai 32 milioni di italiani, per questa estate 2015, la Puglia rimane la prima, con il 17 per cento di preferenze, con un valore economico che supera i 3 miliardi di euro;
   le bellezze naturali della Puglia sono il patrimonio principale della regione, come di tutta l'Italia, ed essa fonda la propria economia sull'uso sostenibile del mare, sul turismo e sulla pesca;
   già nel 2012 il Governo italiano stava permettendo le prospezioni in mare Adriatico dinanzi alle coste pugliesi, in particolare dinanzi alla riserva naturale delle isole Tremiti;
   l'8 giugno 2015, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha definitivamente autorizzato le prospezioni geosismiche per la ricerca di petrolio a largo della costa pugliese, nel tratto compreso, tra Bari e Brindisi, incluse Polignano e Monopoli: si tratta di provvedimenti di valutazione di impatto ambientale per la ricerca di idrocarburi proprio dinanzi alle coste pugliesi nel tratto che va dal comune di Mola di Bari al comune di Fasano, a poche miglia dai luoghi più belli d'Italia, bandiere blu anche per il 2015;
   la decisione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di fatto ignora il parere negativo rilasciato da regione Puglia ed enti locali;
   l'aggressione ai fondali marini attraverso la tecnica suindicata e l'installazione a largo di piattaforme petrolifere mal si conciliano con la bassa quantità di idrocarburi stimata nel mare pugliese;
   il rischio di inquinamento ambientale e il rischio per la salute dei cittadini sono molto alti, vista la delicatezza dell'intervento di ricerca autorizzato;
   tutti i comuni, gli amministratori pugliesi, la regione Puglia, i rappresentanti a vario titolo delle istituzioni locali e nazionali, nonché tante associazioni professionali, economiche, ambientaliste hanno manifestato netta contrarietà a questo progetto petrolifero e sono pronti ad una seria e compatta mobilitazione –:
   se il Ministro intenda revocare le autorizzazioni concesse e tutelare il «sistema Puglia» anche attraverso l'uso di fonti energetiche alternative, escludendo definitivamente questo tipo di ricerche invasive nei mari e a ridosso delle coste pugliesi. (5-05883)


   TERZONI, DE ROSA, ZOLEZZI, MANNINO, DAGA, MICILLO, BUSTO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   all'inizio del mese di aprile 2015 si è appreso da notizie apparse sulla stampa che nei vecchi pozzi petroliferi, e in particolare nelle vasche di accumulo, della Montedison a Cercemaggiore nel Molise i tecnici dell'Arpa Molise hanno misurato una radioattività dieci volte superiore ai valori normali;
   la ricostruzione di ciò che sarebbe avvenuto è molto dettagliata e parte dal giugno del 1981 quando la giunta regionale, che era anche l'ente preposto a eseguire i controlli, autorizza con la delibera n. 2210 la reimmissione dei fluidi associati alla produzione di idrocarburi liquidi per 120 mila metri cubi nel pozzo denominato Cercemaggiore 1 del cantiere estrattivo Capoiaccio. Le operazioni proseguirono in questo senso, nonostante l'opposizione da parte del consiglio comunale;
   nel 1987 in seguito all'attività di indagine dei carabinieri, che rilevarono un movimento sospetto di mezzi pesanti in arrivo e in partenza dal sito di Cercemaggiore, e trasmisero un rapporto alla prefettura di Campobasso, vennero accertate delle violazioni alle norme sulla tutela delle acque;
   nel 1988 la regione Molise autorizzò la Montedison ad immettere nel pozzo le acque proveniente soltanto dai giacimenti di Melfi. Il comune di Cercemaggiore si oppose di nuovo impugnando l'atto davanti al Tar e chiedendone la sospensiva e l'annullamento. L'udienza non si è mai tenuta con conseguente estinzione del processo nel 2003;
   altre indiscrezioni vengono riportate in un articolo apparso sul quotidiano «Il Tempo» che riferisce di smaltimenti in Molise a Cercemaggiore di reflui radioattivi provenienti in prevalenza dai pozzi della Montedison che in passato gestiva — riferisce Il Tempo — la concessione «Masseria Spavento» con una mezza dozzina di pozzi nell'area di San Nicola di Melfi dove venne realizzata la Fiat e l'inceneritore Fenice;
   nel documento prodotto dall'Arpa Molise protocollo n. 3781, dove vengono riportati i dati delle rilevazioni condotte nei siti interessati, si legge appunto che le indagini hanno permesso di stabilire una diffusa presenza su determinate aree di una radioattività superiore anche di 10 volte il valore di fondo;
   dalle analisi condotte anche mediante esame delle ortofoto storiche l'Arpam ha potuto rilevare che sull'area che si estende per circa 2,5 ettari, e che viene indicata con il nome di «Santa Croce 001», in origine insistevano elementi impiantistici tra cui serbatoi e vasche destinate alla decantazione delle acque di estrazione, per la successiva reiniezione nei pozzi di estrazione;
   analizzando la documentazione in suo possesso l'Arpam ha poi stabilito che in tali vasche venivano trattate non solo le acque provenienti da altri pozzi insistenti sul territorio di Cercemaggiore ma anche quelle provenienti da pozzi extra-regionali con chiaro riferimento alla Basilicata;
   valori elevati sono stati riscontrati anche nei luoghi attraversati dal fosso vernile che costeggia il sito indagato per uno sviluppo lineare di circa 1 chilometro. Le acque del fosso vengono poi sversate nel torrente Freddo con conseguente contaminazione di un'area molto vasta che è tuttora oggetto di attenzione da parte dell'Agenzia;
   nelle sue considerazioni l'Arpam si spinge a ipotizzare la causa dell'inquinamento parlando di carenze nella procedura di allontanamento dei residui di trattamento che doveva essere eseguita nelle acque, nelle melme e nei fanghi di perforazione all'interno delle vasche dove avveniva la sedimentazione;
   nelle conclusioni l'Arpam auspica l'intervento di tutti gli organi preposti, ciascuno per le proprie competenze, al fine di tutelare la salute dei cittadini –:
   quali iniziative concrete e immediate, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo, anche al fine di tutelare la salute dei cittadini che risiedono nei pressi dell'area inquinata, considerando eventualmente l'opportunità – alla luce di eventuali verifiche tecniche effettuate sullo stato di inquinamento delle acque e del suolo e sullo stato di conservazione di ambienti naturali disposte ai sensi dell'articolo 8, comma 2 della legge n. 349 del 1986 e nel rispetto delle competenze delle regioni e degli enti locali — di disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela dell'ambiente (CCTA), in relazione all'oggettivo pericolo per la popolazione residente. (5-05884)


   PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la strategia energetica nazionale (2013), esplicitata nel documento disponibile sul sito del Ministero dello sviluppo economico ha il grande merito di proporre una strategia energetica nazionale (SEN) che dovrebbe rispondere alle attuali esigenze di risparmio energetico, che coinvolgono problemi quali l'approvvigionamento di energia, l'aumento della produzione di energia da fonte rinnovabile, l'efficienza energetica;
   il documento riporta gli obiettivi da conseguire al 2020, definendo sette priorità; alcune di queste, come l'efficienza energetica, dovrebbero da anni essere una realtà, altre, come l'opportunità di diventare il principale hub sud-europeo per il mercato del gas, non sembrano essere facilmente conseguibili considerata la situazione attuale;
   oggi viene ancora erogato un contributo dato alle centrali tradizionali, affinché non vengano chiuse, dal momento che ormai producono meno delle loro effettive potenzialità per via dello sviluppo delle rinnovabili, in modo da ripagarle per il solo fatto di esistere e di essere funzionanti. In pratica un sistema di incentivo alle energie fossili;
   solo quattro anni fa la previsione di domanda nazionale di gas naturale era di 100 Gmc (100 miliardi di metri cubi);
   i dati preconsutivi del Ministero dello sviluppo economico stimavano per il 2013 un consumo interno lordo di gas in Italia di 70,1 Gmc (70,1 miliardi di metri cubi di gas a 38,1 MJ/mc): il terzo anno consecutivo di calo e un ritorno ai valori del 1999-2000;
   non tragga in inganno il fatto che nei primi quattro mesi dell'anno in Italia si registra un aumento a due cifre del consumo di gas naturale: la domanda nazionale di gas è aumentata del 10,2 per cento sullo stesso periodo 2014 (28,2 miliardi di metri cubi contro 25,6 su gennaio-aprile 2014). Tuttavia rispetto al primo quadrimestre del 2013 il calo è del 9,2 per cento e rispetto allo stesso periodo 2012 è di quasi il 14 per cento (cioè di circa 4,5 miliardi di metri cubi in meno). I dati sono ricavati dal Ministero dello sviluppo economico;
   tale incremento di richiesta è legato alle temperature più basse rispetto alla media mensile dello scorso anno;
   stante quanto evidenziato, ci si ritrova oggi paradossalmente con il decreto-legge «sblocca Italia» che definisce strategici i rigassificatori, con tutto quello che comporta, e una politica energetica Italiana che proprio sulle fonti fossili punta nel medio termine;
   se tutti gli impianti autorizzati, approvati ed in progetto venissero davvero realizzati la capacità complessiva degli stessi potrebbe raggiungere entro il 2020 una quantità di gas pari a quasi 48 miliardi di metri cubi, ben superiore alla stima di 24-32 miliardi fatta dalla strategia energetica nazionale, che nell'incremento di capacità, però, tiene in considerazione anche un gasdotto, il Trans Adriatic Pipeline (TAP) che dovrebbe approdare in provincia di Lecce;
   a fronte del fatto che a tutt'oggi la regione Friuli Venezia Giulia non ha ancora presentato il piano energetico regionale e pertanto non è dato conoscere i flussi energetici di cui la stessa regione ha bisogno, è in fase autorizzativa il terminale di rigassificazione di Monfalcone;
   per tale impianto la relazione di VIA prevede testualmente al punto «7.1.3 Ambiente Idrico – L'esercizio del Terminale GNL è caratterizzato dal prelievo di acqua che, utilizzata nel processo di rigassificazione, è successivamente scaricata ad una temperatura inferiore di alcuni gradi rispetto a quella di prelievo. Il progetto prevede di utilizzare parte delle acque di raffreddamento del ciclo termico della cartiera Burgo come acque di rigassificazione, senza ulteriore addizione di agenti antifouling, andando a bilanciare parzialmente l'incremento termico indotto dalla cartiera con il decremento indotto dalla rigassificazione (in sostanza, le acque scaricate dal terminale in prossimità del punto di scarico della cartiera avranno una temperatura simile a quella di prelievo da parte della cartiera stessa). Durante il normale esercizio della cartiera, l'esercizio del terminale comporterà pertanto un impatto di segno positivo che non si avrebbe nel caso di non realizzazione del progetto» –:
   come sia possibile valutare quale sarà la temperatura dell'acqua che verrà scaricata in mare e quale sia il cono di diffusione in assenza di dati sulla quantità di acqua scaricata dalla cartiera, sulla portata e temperatura di immissione in canale dell'acqua di scarico della cartiera e quindi sulla temperatura dell'acqua miscelata canale-cartiera e, infine, sulla contemporaneità di produzione cartiera-rigassificatore, e quale si ritenga essere l'impatto sull’habitat marino conseguente all'immissione delle due acque di scarico.
(5-05885)


   SEGONI, BARBANTI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, MUCCI, RIZZETTO, TURCO e PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza n. 53 del 13 maggio 2015 il presidente della giunta regionale della Calabria, Mario Oliverio, ha emesso una ulteriore ordinanza contingibile e urgente che permette lo sversamento di rifiuti non trattati ai sensi di legge e l'utilizzo delle discariche private in supporto al sistema pubblico per il trattamento dei rifiuti indifferenziati, detti tal quale;
   l'ordinanza per lo sversamento dei rifiuti non trattati fa riferimento ad una norma prevista dall'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 che permette di derogare al decreto legislativo n. 152 del 2006 per sei mesi reiterabili due sole volte; l'ordinanza del 13 maggio 2015 risulta essere invece la quinta deroga per complessivi 30 mesi, per essere precisi sono state emesse le seguenti ordinanze: n. 41 del 10 maggio 2013, n. 146 dell'11 novembre 2013, n. 46 dell'8 maggio 2014, n. 115 del 13 novembre 2014, n. 132 del 23 dicembre 2014 e infine la n. 53 del 13 maggio 2015, tempistica prevista dalla legge che è stata ampiamente superata (le ordinanze, compresa l'ultima, si protraggono per 30 mesi) in violazione palese quindi alla norma sopra richiamata;
   l'ordinanza va in deroga anche al piano regionale rifiuti, prevedendo l'utilizzo delle discariche private a supporto del sistema pubblico; soprattutto si sono riproposti nelle ultime due ordinanze (emesse dalla giunta Oliverio) gli stessi dubbi di legittimità sorti in occasione dell'approvazione dell'emendamento alla legge regionale n. 18 del 12 aprile 2013 contestato in più sedi dalla minoranza in seno al consiglio regionale nel 2014 ed oggi diventata maggioranza;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 rubricato «Ordinanze contingibili e urgenti e poteri sostitutivi» recita testualmente:
    «1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alle disposizioni sul potere di ordinanza di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all'autorità d'ambito di cui all'articolo 201 entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi;
    2. Entro centoventi giorni dall'adozione delle ordinanze di cui al comma 1, il Presidente della Giunta regionale promuove ed adotta le iniziative necessarie per garantire la raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti. In caso di inutile decorso del termine e di accertata inattività, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare diffida il Presidente della Giunta regionale a provvedere entro un congruo termine e, in caso di protrazione dell'inerzia, può adottare in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini;
    3. Le ordinanze di cui al comma 1 indicano le norme a cui si intende derogare e sono adottate su parere degli organi tecnici o tecnico-sanitari locali, che si esprimono con specifico riferimento alle conseguenze ambientali;
    4. Le ordinanze di cui al comma 1 non possono essere reiterate per più di due volte. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione d'intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare può adottare, dettando specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini»;
   appare agli interroganti che siano state seguite procedure in contrasto con le norme suddette –:
   in base a quali norme, prassi o consuetudini il Ministro interrogato abbia consentito alla giunta regionale di prorogare per ben 5 volte – arrivando come sopra detto sino a 30 mesi – la deroga al decreto legislativo n. 152 del 2006 e quali eventuali iniziative gravi ed urgenti intenda assumere per far rispettare il comma 2 dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 considerato che il conclamato decorso del termine di accertata inattività necessita di promuovere e adottare tutte le decisioni necessarie per garantire la effettiva raccolta differenziata, il riutilizzo, il riciclaggio e lo smaltimento dei rifiuti, eventualmente giungendo a diffidare il presidente della giunta regionale calabrese, a causa dell'inerzia dimostrata non avendo provveduto alla soluzione dei problemi narrati in premessa entro un congruo termine, e ad adottare, ove ne ricorrano i presupposti, in via sostitutiva tutte le iniziative necessarie ai predetti fini. (5-05886)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso maggio venivano completati i lavori sul tratto della strada cilentana al chilometro 109,500 tra le uscite di Agropoli sud e Prignano Cilento a seguito dell'enorme frana che causò la chiusura al traffico della SP430 nel marzo 2013. Dopo solo poche settimane, come riportato sui media locali, il manto del medesimo tratto di strada si deformava e ne veniva interdetto il passaggio ai veicoli, verosimilmente sino alla fine del prossimo mese di luglio. Oltre al serio problema di viabilità, in vista anche del periodo estivo e dell'intensificarsi delle percorrenze, vi è quello di natura ambientale. A monte del cantiere insiste l'ex discarica comunale in località Gorgo ricadente in parte su territorio comunale agropolese ed in parte sul comprensorio di Prignano Cilento. Nonostante lo scorso novembre vi sia stato, da parte della regione Campania, il via libera al progetto definito per la messa in sicurezza permanente, a monte della sopracitata strada affiorano rifiuti di ogni sorta che giungono fino a valle, cumuli di spazzatura accantonata negli anni specie durante l'emergenza rifiuti del 2006 in bella mostra, un quantitativo di percolato che avvelena lentamente i terreni circostanti e che sicuramente incide anche sulla tenuta e la sicurezza della strada –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, effettuando opportune verifiche circa lo stato dei luoghi richiamati per scongiurare un probabile danno ambientale rilevante. (5-05890)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, PARENTELA, VIGNAROLI e LUPO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2014 la Commissione Europea, a seguito di numerosi esposti provenienti da cittadini, comitati ed associazioni ha aperto una procedura Pilot 6730/2014/ENVI, sulle modalità di svolgimento della valutazione di incidenza ambientale prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni;
   il 30 marzo 2015 la Presidenza del Consiglio – dipartimento per le politiche europee ha scritto alle regioni allegando una nota tecnica della Commissione europea in cui sono sollevate 21 criticità relativamente alle procedure di valutazione di incidenza ambientale;
   tra le problematiche sollevate vi sono, tra l'altro, quelle relative alla trasparenza dei procedimenti e alla partecipazione del pubblico, alla capacità tecnica dei redattori degli studi e dei valutatori, alla mancanza di una visione d'insieme degli impatti sui siti derivanti dalla sommatoria dei singoli progetti valutati, alla capacità di assicurare un controllo efficace sul rispetto delle prescrizioni, alla incapacità di adempiere agli obblighi di monitoraggio ante e post-operam;
   più specificatamente al punto 5 della lettera la Commissione richiede un maggiore coinvolgimento dei soggetti gestori delle aree Natura2000 nelle procedure di VINCA; si evidenzia che il decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni, prevede come obbligatorio il coinvolgimento delle aree protette solo nel caso siano di livello nazionale;
   al punto 7 della lettera della Commissione richiede l'attivazione di un archivio informatico nazionale sulla valutazione di incidenza ambientale;
   al punto 13 richiede di prevedere espressamente che la valutazione d'impatto ambientale abbia una durata massima di 5 anni;
   al punto 14 sui controlli in merito all'attuazione delle prescrizioni chiede il rafforzamento del ruolo del Corpo forestale dello Stato;
   al punto 16 la Commissione chiede di rafforzare il coordinamento tra le direzioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (conservazione della natura e valutazione d'impatto ambientale);
   al punto 18 si richiede di modificare il decreto 7 luglio 2011 n. 121 per prevedere la responsabilità degli amministratori competenti e di chi approva le valutazioni d'impatto ambientale nonché di modificare l'articolo 733-bis per precisare meglio i «casi consentiti»;
   al punto 21 la Commissione chiede di rafforzare il ruolo dell'ISPRA e delle agenzie regionali nelle attività di verifica rispetto alla realizzazione delle misure di compensazione e nella valutazione tecnica delle procedure di VINCA;
   per quanto riguarda la trasparenza si ricorda che il decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni in relazione alle procedure di valutazione di incidenza ambientale purtroppo non ha previsto l'obbligo per le regioni di assicurare che i procedimenti amministrativi connessi fossero partecipati e trasparenti, nonostante l'articolo 6, comma 2, della convenzione di Aarhus, ratificata dalla Stato italiano con la legge n. 108 del 16 marzo 2001 stabilisca che tutti i procedimenti di carattere ambientale siano oggetto di pubblicità e debbano prevedere obbligatoriamente una fase di partecipazione pubblica;
   numerosi tentativi, sotto forma di emendamenti a vari provvedimenti, da parte del M5S volti ad integrare le previsioni del decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997 nella direzione indicata dalla Commissione europea e, in particolare, per assicurare la trasparenza e la partecipazione del pubblico ai procedimenti sono stati respinti in questi due anni dalla maggioranza;
   il recente Report State of nature in the EU della Commissione europea sullo stato delle specie e degli habitat in Europa ha evidenziato per l'Italia, che solo il 22,2 per cento delle valutazioni sugli habitat è nella classe «favorevole» mentre ben il 67,4 per cento è nelle classi «sfavorevole/sconosciuto» o «sfavorevole» (Tab.C.5 dell'Allegato al rapporto);
   per quanto riguarda gli habitat in stato «sfavorevole», nella Tabella C.6 si evidenzia che in Italia il 44,4 per cento è ancora in ulteriore declino e solo lo 0,4 per cento in miglioramento;
   il decreto del Presidente della Repubblica 357 del 1997, all'articolo 15, prevede che il controllo sull'applicazione del decreto sia affidato al Corpo forestale dello Stato;
   la stampa nazionale ha riportato con grande enfasi, evidenziando anche casi concreti, l'intervento della Commissione europea dimostrando l'interesse del Paese alla tutela delle aree Natura2000 e, in generale, delle aree protette (a mero titolo di esempio: http://espresso.repubblica.it) –:
   quali iniziative di tipo normativo il Governo intenda attivare al fine di rispondere, almeno per le modifiche richieste a livello di disciplina nazionale, alle criticità sollevate dalla Commissione europea con particolare riferimento:
    a) all'obbligo di coinvolgimento nelle procedure di valutazioni d'incidenza ambientale di tutte le aree protette, anche quelle di carattere non nazionale;
    b) alla durata massima di validità della valutazioni di incidenza ambientale;
    c) alla modifica del decreto 7 luglio 2011, n. 121;
    d) al rafforzamento del ruolo dell'ISPRA e delle agenzie;
   se il Governo non ritenga, alla luce dei dati fortemente preoccupanti sullo stato degli habitat e dell'estensione dei siti Natura2000 in Italia, di rivedere la propria posizione sulla riorganizzazione dei Corpi di polizia che attualmente prevede la soppressione del Corpo forestale dello Stato, visto che la Commissione addirittura richiede un rafforzamento del ruolo del Corpo per la tutela degli habitat e delle specie;
   quali iniziative di tipo organizzativo abbia messo in campo per garantire il coordinamento tra direzione conservazione della natura e direzione VIA, per rafforzare il ruolo di ISPRA e delle agenzie nonché per prevedere un archivio informatico nazionale al fine di rispondere ai precisi rilievi della Commissione europea;
   quali attività siano in via di programmazione e quali fondi siano destinati alle aree Natura2000 interessate da fenomeni di peggioramento degli habitat e, in generale, dalla presenza di vaste zone con habitat classificati in cattivo stato di conservazione. (4-09567)


   ROSTELLATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   le problematiche relative alla situazione della C&C di Pernumia sono note al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del mare;
   diversi atti sono stati presentanti da altri deputati e anche dall'interrogante;
   la grave situazione in cui versano i cittadini delle aree adiacenti alla struttura ha spinto anche il Ministro Galletti a ispezionare la zona;
   dal quotidiano locale «il Mattino di Padova» si apprende che il Ministro ha visitato la zona il 27 gennaio 2015 e in quell'occasione aveva annunciato «che il Governo avrebbe convocato a giorni la Regione per un tavolo tecnico al fine di accelerare le operazioni di disinnesco della bomba ecologica di via Granze, possibilmente prima che il prossimo nubifragio faccia lievitare ancora il conto già salatissimo (si parla di 12 milioni di euro) degli interventi necessari»;
   da quella giornata sono passati ben cinque mesi, ma ancora nulla è stato possibile;
   l'interrogante occupandosi della questione, ha incontrato dapprima le associazioni che da anni si battono per la bonifica dell'area, poi il sindaco del comuni di Pernumia, e infine l'assessore Conte, l'allora assessore all'ambiente della regione Veneto;
   risulta all'interrogante che la regione Veneto, nella persona dell'ex assessore Conte, dapprima in data 26 gennaio, poi in data 20 aprile 2015 abbia fatto richiesta al Ministero per un incontro e per la fissazione di un tavolo tecnico, richiesta che l'interrogante ha appoggiato e sollecitato con e-mail del 28 aprile 2015;
   la volontà di bonificare l'area e mettere in sicurezza la zona è evidente da parte di tutti i soggetti interpellati, ma manca un piano ben preciso e strutturale tale da garantire la riuscita dell'intervento;
   nell'occasione della visita, come anticipato dal Ministro, l'ideale sarebbe convocare al più presto un tavolo tecnico con le parti preposte vale a dire Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e regione Veneto –:
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di mettere tra le priorità la situazione gravissima in cui verte la C&C e quindi convocare al più presto la regione al fine di dare una positiva soluzione alla vicenda. (4-09581)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la polemica suscitata dallo sversamento nelle acque della baia di Marmorata, in Costiera, dove si è formata una enorme chiazza marrone;
   sull'episodio, per il quale è stata aperta una indagine dalla guardia costiera di Amalfi, è intervenuto il sindaco di Ravello, Paolo Vuilleumier, che ha firmato un'ordinanza di divieto di balneazione temporaneo relativo allo specchio d'acqua compreso tra punta dello Scarpariello e la località Cippo di Minori;
   stando alle dichiarazioni del primo cittadino «Il provvedimento, emesso in via cautelare, resterà in vigore fino a quando arriveranno i risultati delle analisi delle acque richieste all'Arpac dalla capitaneria di porto di Amalfi e fa riferimento ai recenti inconvenienti che hanno riguardato la condotta sottomarina di Marmorata, nel Comune di Ravello. Fenomeni che si sono verificati a seguito delle abbondanti piogge cadute nel pomeriggio del 5 giugno scorso e, successivamente, al danneggiamento all'impianto causato presumibilmente dall'ancoraggio di un'imbarcazione di grosse dimensioni»;
   quanto accaduto, che ha messo peraltro in allarme numerosi cittadini, sarebbe stato già chiarito da una relazione dell'Ausino, la società affidataria del servizio di gestione delle acque: il responsabile del servizio fognature avrebbe, infatti, comunicato all'amministrazione comunale di Ravello che, a seguito di un sopralluogo per verificare lo stato della condotta sottomarina posta a circa cento metri dalla costa, alla località Marmorata, sono stati rilevati dei danni probabilmente a causa di un'ancora di una non ancora identificata imbarcazione;
   relativamente all'accaduto i tecnici avrebbero constatato che l'abbondante quantità di acqua proveniva dal canale naturale di convogliamento delle acque meteoriche: il colore marrone è giustificato dal fenomeno di dilavamento superficiale, che hanno subito i terreni pendenti verso il canale naturale e le stesse sponde del canale, determinando la formazione di fango;
   intanto, gli uomini della capitaneria di Amalfi proseguono con le indagini, posto che quello accaduto di recente non sarebbe il primo episodio nell'ultimo mese, specie in concomitanza con l'arrivo di precipitazioni;
   al termine delle indagini coordinate dalla capitaneria di porto di Amalfi, atte a verificare la tenuta e soprattutto il rispetto delle normative vigenti in materia di impianti, il fascicolo sarà inviato all'autorità giudiziaria che dovrà accertare le responsabilità su quello che si può definire un vero e proprio danno ambientale;
   la situazione, oramai al limite, arriva proprio nel periodo in cui la costiera si prepara ad ospitare, come ogni anno, migliaia di bagnanti attratti dalle sue acque limpide e, se non risolta con tempestività, rischia di creare un enorme danno, non solo per l'ambiente, ma anche economico per tutte le attività balneari del luogo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, se non ritenga doveroso assumere ogni iniziativa di competenza volta a far luce sulle cause dell'accaduto e a verificare lo stato dei luoghi, anche ai fini della tempestiva revoca del divieto di balneazione nello specchio d'acqua compreso tra punta dello Scapariello e la località Cippo di Minori, alla luce del periodo estivo alle porte. (4-09587)


   SCOTTO, PELLEGRINO, ZARATTI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 10 giugno 2015 hanno avuto inizio attività di scavo ispettive nella zona di Calvi Risorta, in provincia di Caserta, sotto l'impulso della procura di Santa Maria Capua Vetere, a seguito di denunce provenienti da comitati locali e, soprattutto, da alcuni giornalisti, che hanno sorvolato la zona con l'ausilio di un drone rilevando numerose «collinette anomale»;
   gli scavi hanno fatto emergere la presenza di una quantità impressionante di materiali tossici con i quali, come ipotizzato dalla procura stessa, l'area è stata pesantemente contaminata nel corso degli ultimi decenni;
   la zona, ex area industriale Pozzi Iplave dove, prima del fallimento dell'impresa, venivano prodotti vernici, sanitari e Pvc, è stata definita dal generale Sergio Costa, comandante regionale del Corpo forestale, come «la più grande discarica europea di rifiuti industriali»;
   sin dai primi scavi, infatti, sono emersi fusti di vernici e fissanti, solventi, resine, fanghi, idrocarburi, plastiche industriali, cocci sanitari e vari altri rifiuti industriali stratificati, oltre all'amianto presente nei capannoni aziendali;
   i tecnici, in base a quanto emerso finora dalle attività di scavo, ipotizzano che possano essere stati interrati nell'area più di due milioni di metri cubi di rifiuti speciali;
   la zona sequestrata ha, attualmente, un'area di circa 25 ettari: sin dalle prime ricerche, il suolo è apparso estremamente alterato, presentando terre esauste che mutano colore al contatto con l'aria divenendo azzurre, grigie, ardesia, nere, rosso carminio, rosa;
   le strumentazioni dell'Arpa, della Guardia forestale e dei vigili del fuoco hanno tutte dimostrato la contaminazione del suolo e la presenza di alte concentrazioni di inquinanti nell'aria, nonché di anomalie magnetiche rilevate con i geomagnetrometri, che dimostrerebbero l'interramento di metalli;
   gli accumuli di rifiuti raggiungono una profondità di circa nove metri, al di sotto dei quali si trova uno strato di tufo che impedisce di proseguire nelle rilevazioni;
   tuttavia, a valle dell'area è presente un torrente, il Rio Lanzi, di cui fino al 2011 si sono serviti gli agricoltori della zona, interdetto all'utilizzo dal 2011 a causa dell'elevato grado di inquinamento;
   nonostante le prime denunce circa i livelli di contaminazione dell'area partano dal 1978, quando il luogotenente dei carabinieri Giuseppe Clemente avviò la prima indagine ottenendo una condanna per la Pozzi Ginori per violazione dell'articolo 674 del codice penale, e nonostante l'interdizione inerente all'utilizzo del Rio Lanzi sia di circa quattro anni fa, gli scavi sono iniziati solamente ora, facendo emergere una realtà inquietante e tragica per tutti i cittadini del casertano;
   l'area, inoltre, già due anni fa risultava inserita nel piano regionale di bonifica come sito in attesa di indagini, che, tuttavia, sono partite solo negli ultimi giorni, nonostante le pressioni dei comitati, dei giornalisti e di alcuni amministratori locali;
   la zona, dopo il fallimento della Pozzi Ginori, è passata sotto il controllo di diversi imprenditori, per essere venduta e riacquistata in più occasioni; attualmente, come riportato dal quotidiano Il Mattino nell'articolo «Veleni industriali, spunta una megadiscarica» del 16 giugno 2015, sarebbero iscritti nel registro degli indagati i nomi dei dieci proprietari dell'area;
   se si escludono alcuni articoli pubblicati sui quotidiani La Stampa («Due milioni di metri cubi di rifiuti tossici interrati», 16 giugno 2015), Avvenire («Due milioni di metri cubi di rifiuti sepolti sotto le campagne di Caserta», 16 giugno 2015; «Tutti i veleni della discarica di Calvi», 17 giugno 2015; «Si allarga la Terra dei fuochi», 18 giugno 2015) e il succitato articolo de Il Mattino, la questione non sembra aver suscitato l'interesse e la preoccupazione che dovrebbero derivarne;
   nell'area, inoltre, dovrebbe sorgere una centrale a biomasse, impianto fortemente osteggiato da cittadini e comitati locali; in tal senso, si ricorda come l'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, classifichi tra le biomasse anche «la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani»;
   la minaccia per la salute dei cittadini e la salubrità dell'ambiente che rileva dalle prime indagini sembra configurare un pericolo di estrema entità per tutta l'area, e richiede dunque interventi di massima urgenza ed efficacia;
   in tal senso le dichiarazioni del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gianluca Galletti e l'accordo tra i Ministeri delle politiche agricole alimentari e forestali, della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare circa l'inserimento della zona di Calvi Risorta nei siti riconosciuti dal decreto-legge del 10 dicembre 2013, n. 136, noto come decreto «Terra dei fuochi», non forniscono rassicurazioni adeguate sulle azioni in programma, data la vocazione del provvedimento volta soprattutto a tutelare le produzioni agricole;
   la zona, per lo stato in cui versa, andrebbe probabilmente, invece, inserita tra i siti di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e andrebbe avviato immediatamente un piano di bonifica dell'area, unico strumento in grado di garantire la salute dei cittadini e il ripristino dello stato dell'ambiente, ove possibile –:
   quali siano le iniziative urgenti che il Governo intende avviare al riguardo e se, in particolare, intenda inserire l'area nei siti da bonificare di interesse nazionale per tutelare la salubrità dell'ambiente e della salute dei cittadini dal disastro ambientale emerso nell'area medesima attraverso l'avvio immediato delle attività di bonifica e monitoraggio, garantendo altresì la piena informazione dei cittadini circa i risultati delle analisi sui livelli di contaminazione del suolo e delle altre matrici ambientali. (4-09589)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, negli ultimi giorni i Carabinieri della compagnia di Ischia (Napoli) hanno notificato un avviso di garanzia al senatore di Forza Italia Domenico De Siano, coordinatore del partito in Campania;
   l'accusa contestata riguarderebbe lavori eseguiti in uno degli alberghi della famiglia De Siano: in particolare, nel lussuoso albergo San Montano, che si trova a Lacco Ameno sull'isola di Ischia (Napoli), lavori formalmente legittimi, basati su «permesso a costruire» che però, secondo il sostituto procuratore Nicola Miraglia Del Giudice, sarebbe viziato da falsità ideologica e materiale, in sostanza lavori ritenuti abusivi;
   con De Siano è coinvolto anche il tecnico di fiducia del senatore, il geometra Ernesto Silvio, indiziato dei reati di «falso materiale e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale e abuso edile»;
   sulla base delle fonti di stampa si apprende che l'attività di indagine svolta dai militari avrebbe accertato — secondo la procura — che alcuni titoli abilitativi, relativi a lavori di ampliamento dell'albergo San Montano di Lacco Ameno, sarebbero illegittimi, poiché rilasciati in violazione di legge e basati su false rappresentazioni dello stato dei luoghi;
   nei giorni scorsi i carabinieri avrebbero eseguito delle perquisizioni al fine di accertare lo stato delle cose –:
   se i Ministri interrogati, al netto dell'esito giudiziario della vicenda illustrata in premessa, non ritengano di doversi fare promotori di una modifica normativa al fine di rendere più stringenti i controlli amministrativi e di evitare che si possano ripetere ulteriori situazioni analoghe a quella descritta in premessa. (4-09593)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   risale al 7 maggio 2015 l'ultimo riparto effettuato di concerto tra Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed il Ministero dell'economia e delle finanze concernente le risorse attribuite alle regioni per la chiusura dell'anno 2014 per i percettori degli ammortizzatori in deroga;
   tali risorse sono andate a coprire i periodi spettanti ai lavoratori in cassa integrazione e mobilità in deroga suddivisi ai sensi del decreto ministeriale 83743 del 1o agosto 2014;
   poiché mediamente e si è trattato di 4-5 mensilità arretrate e in alcune regioni anche di periodi più lunghi (7/8 mensilità) si è trattato di risorse importanti per lavoratori e famiglie allo stremo delle loro forze, considerato che tali risorse sono state attribuite con ritardo per periodi che andavano indietro nel tempo di un anno;
   questo ritardo non è certo imputabile ai lavoratori e già nel 2014 per spettanze del 2013 si era verificato un ritardo nei tempi di assegnazione e riparto delle risorse;
   oltre al ritardo in sé che rappresenta già un evidente problema per chi è in quelle condizioni vi è un ulteriore e grave questione che deve essere affrontata dagli organi competenti;
   le spettanze erogate dall'Inps sono di competenza dell'anno precedente e quindi l'istituto in qualità di sostituto d'imposta, nei confronti dei percettori di tali indennità di sostegno al reddito, applica il metodo della tassazione separata;
   viene quindi applicata l'aliquota prevista del 23 per cento come da relativa tabella Tuir, ma nel contempo essendo somme riferite all'anno precedente non si riconoscano le detrazioni d'imposta e ciò determina una evidente iniquità, in quanto fa applicare una imposta alta su queste indennità ricevute in ritardo;
   secondo alcuni patronati ed organizzazioni sindacali, per questi lavoratori è possibile presentare ai sensi dell'articolo 17, comma 3, del Tuir la richiesta di rimborso, ma, ove fosse accettata, questa verrebbe comunque riconosciuta dopo anni e comunque non risolverebbe la questione di una evidente ingiustizia perpetrata ai danni di queste platee già fortemente penalizzate;
   si finisce sostanzialmente per costringerli a «finanziare lo Stato» per un certo periodo di tempo (pur essendo al livello di assoluta povertà), in attesa di avere il rimborso fiscale, magari dopo anni, se e quando, in base all'articolo 17, comma 3, del Tuir –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale assurdo meccanismo di calcolo della tassazione applicata sulle indennità degli ammortizzatori in deroga riferiti all'annualità precedente e se non intenda intervenire, attraverso l'Agenzia delle entrate e l'Inps, al fine di applicare un meccanismo di perequazione che riconosca le detrazioni spettanti senza che le indennità vengano decurtate e di restituire, in tempi brevi, quanto già trattenuto per quanto concerne le indennità percepite a seguito dell'ultimo riparto del maggio. (5-05877)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 14 giugno 2015 la sottoscritta si è recata in visita al carcere di Rossano, ed in tale circostanza, ha potuto apprendere dagli a enti presenti, del grave disagio connesso alle carenze di organico degli agenti di polizia penitenziaria;
   invero, numerosi sono gli articoli della stampa locale che riportano fatti gravi relativi ai detenuti, connessi, per lo più alla mancata sorveglianza dovuta inevitabilmente alla carenza di personale;
   difatti, a titolo di esempio, per effettuare la visita di una sezione, si è atteso un ampio lasso di tempo affinché l'agente che deteneva le chiavi aprisse, in quanto impegnato ad aprire le celle per l'ora d'aria all'interno della stessa sezione;
   come spiegava l'agente presente, ogni sezione dovrebbe essere presidiata dalla presenza di due agenti: uno in ufficio per aprire e chiudere le porte o, in casi gravi, per chiamare rinforzi e l'altro in sezione per aprire le celle. Ciò non è sempre possibile a causa del ridotto organico, per cui capita spesso che vi sia un unico agente a gestire le sezioni;
   è stato inoltre riferito che in alcuni casi non è possibile garantire le normali attività dei detenuti proprio a causa della mancanza di personale;
   oltretutto gli agenti riferiscono di avere poco sostegno psicologico essendo in sezioni di alta sicurezza e dovendo gestire i detenuti reclusi per terrorismo internazionale di matrice religiosa, essendo Rossano l'unico carcere ad ospitare tali detenuti;
   vanno considerati l'alto rischio evidente in capo agli agenti, e nel contempo la preoccupante situazione dovuta alla mancata sicurezza relativa alla sorveglianza –:
    se il Ministro interrogato, alla luce del numero effettivo sia dei detenuti che degli agenti, non intenda effettuare controlli sulla gestione della sicurezza e/nel contempo, appurare se il numero degli agenti sia sufficiente al fine di mantenere l'ordine all'interno della struttura e permettere, di conseguenza, di effettuare le ordinarie attività dell'istituto;
   se il Ministro interrogato non ritenga sia necessario fornire maggiore supporto psicologico agli agenti di polizia penitenziaria al fine di garantire l'adeguato equilibrio psicofisico degli agenti medesimi stante il difficile compito che si trovano giornalmente ad affrontare. (5-05879)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge 29 luglio 1949, n. 717 (Norme per l'arte negli edifici pubblici) prevede all'articolo 1 che «le Amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, nonché le regioni, le province, i comuni e tutti gli altri Enti pubblici, che provvedano all'esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici devono destinare all'abbellimento di essi, mediante opere d'arte, una quota della spesa totale prevista nel progetto non inferiore alle seguenti percentuali: due per cento per gli importi pari o superiori ad un milione di euro ed inferiore a cinque milioni di euro; un per cento per gli importi pari o superiori a cinque milioni di euro ed inferiore a venti milioni; 0,5 per cento per gli importi pari o superiori a venti milioni di euro»;
   l'articolo 2 della medesima legge dispone che «la scelta degli artisti per l'esecuzione delle opere d'arte di cui all'articolo 1 è effettuata, con procedura concorsuale, da una commissione composta dal rappresentante dell'amministrazione sul cui bilancio grava la spesa, dal progettista della costruzione, dal soprintendente per i beni artistici e storici competente e da due artisti di chiara fama nominati dall'amministrazione medesima»;
   il decreto 23 marzo 2006 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali, indica le linee guida per l'applicazione della legge n. 717 del 1949 recante norme per l'arte negli edifici pubblici, che costituiscono atto di indirizzo interpretativo ed applicativo rivolto a tutte le amministrazioni dello Stato;
   i lavori dell'appalto principale riguardanti la costruzione del palazzo di giustizia, di Rimini sono stati conclusi e collaudati con certificato di collaudo emesso in data 5 aprile 2011 e approvato con D.G. n. 232 del 9 agosto 2011 del comune di Rimini;
   fin dalla approvazione dei livelli preliminare, definitivo ed esecutivo del progetto per la costruzione del palazzo di giustizia, l'opera è stata individuata da tutti gli organi competenti tra quelle soggette alla collaborazione di una opera d'arte con rispetto delle finalità e delle procedure stabilite dalla legge sopra richiamata;
   con la delibera di G.C. n. 143 del 18 giugno 2013 del comune di Rimini nel quadro economico rideterminato dell'opera è stata accantonata per l'opera d'arte la somma di euro 90.000,00;
   ai sensi della succitata legge, il comune di Rimini ha bandito, in coerenza con le linee guida approvate con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro per i beni e le attività culturali del 23 marzo 2006, il concorso fra artisti per la realizzazione di un'opera d'arte, destinata all'abbellimento del nuovo palazzo di giustizia di Rimini, per un importo complessivo dell'iniziativa stabilito nell'importo euro 281.735,11;
   le risorse necessarie all'opera dovranno essere stanziate dal Ministero della giustizia;
   con delibera di giunta del comune di Rimini numero 166 del 2015 sono stati approvati il bando di concorso e i documenti di gara;
   il comma 526, articolo unico, della legge di stabilità 2015 – sostituendo il secondo comma, articolo 1, della legge 392 del 1941 e, conseguentemente, abrogando i successivi articoli 2, 3, 4 e 5 — prevede che dal 1o settembre 2015 le spese e obbligatorie di funzionamento per gli uffici giudiziari, attualmente a carico dei comuni (e parzialmente rimborsate dallo Stato) saranno trasferite al Ministero della giustizia per ridurre gli oneri finanziari a carico degli enti locali e, più in generale, nell'ambito del processo di razionalizzazione della spesa pubblica;
   il comma 529, articolo unico, della stabilità 2015 prevede che con decreto dei Ministeri della giustizia e dell'economia e delle finanze sia determinato, per ciascun ufficio giudiziario, l'importo complessivo delle spese per il suo funzionamento, sulla base dei costi standard per categorie omogenee di beni e servizi, in rapporto al bacino di utenza ed all'indice delle sopravvenienze di ciascun ufficio;
   il trasferimento delle spese obbligatorie è previsto a decorrere dal 1o settembre 2015, con la conseguenza che sino ad allora rimangono a carico dei comuni, che dovranno far fronte a pesanti impegni di bilancio in vista dell'approvazione del previsionale 2015, potendo fare affidamento soltanto su una parziale loro successiva copertura a titolo di contributo statale –:
   se il Governo non ritenga opportuno, vista la necessità di razionalizzare la spesa pubblica, assumere iniziative per rivedere le previsioni della legge n. 717 del 1949 nell'ottica di ridurre i costi, valutare attentamente le spese e introdurre una maggiore sobrietà nella scelta ed esecuzione di opere pur importanti dal punto di vista artistico e del significato simbolico per la collettività. (4-09568)


   PINNA, ANTIMO CESARO, MAZZIOTTI DI CELSO, MONCHIERO, CAPUA, VECCHIO, VARGIU, CATALANO, MOLEA, SOTTANELLI, IORI, LABRIOLA, GIOVANNA SANNA e ZAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il principio della rieducazione della pena ex articolo 27, terzo comma, della Costituzione prevede che «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», principio quest'ultimo che rappresenta l'unico riferimento esplicito alle funzioni della pena che si trovi nel testo costituzionale e che è finalizzato al progressivo reinserimento armonico della persona nella società;
   a tal riguardo l'articolo 28 della legge n. 354 del 1975 stabilisce che vi sia una «particolare cura a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» e l'articolo 18, della medesima legge, prevede che «il trattamento del condannato e dell'internato è svolto avvalendosi principalmente dell'istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia. Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all'internato è assicurato il lavoro. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica», pertanto la valorizzazione dei rapporti familiari rientra fra gli elementi fondamentali del trattamento, unitamente a: lavoro, istruzione, religione e attività culturali, ricreative e sportive;
   inoltre, l'articolo 42 della legge n. 354, del 1975, disciplina la materia dei trasferimenti dei detenuti prevedendo che «i trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'istituto, per motivi di giustizia, di salute, di studio e familiari. Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle famiglie». Con l'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, si specifica che «nei trasferimenti per motivi diversi da quelli di giustizia o di sicurezza si tiene conto delle richieste espresse dai detenuti e dagli internati in ordine alla destinazione». Dunque, il trasferimento costituisce un diritto del detenuto;
   come esplicitato dalle citate disposizioni, anche i motivi di studio e di lavoro rappresentano elementi essenziali del trasferimento, così come garantiti dall'articolo 42 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in combinato disposto con gli articoli 34 e 35 della Costituzione, i quali sanciscono rispettivamente che «da scuola è aperta a tutti» e che «da Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni»;
   inoltre, le Regole penitenziarie europee (EPR) – adottate per la prima volta nel 1973 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, in seguito modificate nel 1987 e nel 2006, e volte a standardizzare le politiche penitenziarie degli Stati membri per dar vita a norme e prassi comuni – prevedono che «i detenuti devono essere assegnati, per quanto possibile, in istituti vicini alla propria famiglia o al loro centro di reinserimento sociale» (articolo 17.1) e «per quanto possibile, i detenuti devono essere consultati circa la loro assegnazione, iniziale nonché per ogni ulteriore trasferimento da un istituto all'altro» (articolo 17.3), «il lavoro deve essere considerato un elemento positivo del regime penitenziario» (articolo 26.1) e «ciascun istituto deve cercare di offrire ai detenuti l'accesso ai programmi d'istruzione che siano i più completi possibili e che soddisfino i bisogni individuali dei detenuti e ne prendano in considerazione le aspirazioni» (articolo 28.1);
   sulla base del riportato principio costituzionale di rieducazione della pena detentiva e a conferma di quanto esposto, l'articolo 1 della legge n. 354 del 1975 dispone che «nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi»;
   infine, in base all'allegato 1 del decreto ministeriale 7 novembre 1997, n. 488, il termine finale del procedimento di trasferimenti a domanda di detenuti è di 180 giorni, tuttavia, nella circolare n. 3654/6104 del 20 febbraio 2014 del Ministero della giustizia, recante «Disposizioni in materia di trasferimento dei detenuti», al punto 1.9 si precisa che «pare congruo fissare un termine di sessanta giorni entro cui fornire una risposta al detenuto, che decorreranno dall'acquisizione da parte dell'Ufficio competente di tutti gli elementi necessari alla decisione». È pertanto necessario che questo suggerimento sia accolto e che al contempo si scelga di fornire, in caso di rigetto della richiesta, motivazioni valide e ben argomentate evitando le ricorrenti risposte generiche e standardizzate;
   la permanenza di un detenuto in una regione diversa da quella di appartenenza determina problematicità rilevanti dal momento che il territorio non deve essere concepito unicamente dal punto di vista meramente geografico bensì come ambiente storicizzato e caratterizzato da influssi sociali, culturali, economici ed umani;
   tuttavia, come denunciato da più fronti e nello specifico dalle associazioni istituite a tutela dei carcerati, la questione della territorialità della pena resta tutt'ora irrisolta facendo emergere le contraddizioni di un sistema che si discosta dalla disciplina prevista e sopra citata. Molti detenuti si trovano lontano dal loro contesto di appartenenza o si vedono rifiutata la domanda di trasferimento, senza che siano addotte adeguate giustificazioni, mentre in alcuni casi il trasferimento in altro istituto penitenziario viene utilizzato come «punizione», anche se non esplicita, nonostante la limitazione della libertà non possa comportare pene aggiuntive e non stabilite dalla sentenza. Tali situazioni ed episodi determinano un peggioramento della condotta del detenuto influenzata da sentimenti di rabbia, umiliazione e frustrazione;
   in particolare, come dichiarato dall'associazione Socialismo Diritti Riforme in prima linea sul tema, sempre più spesso le strutture penitenziarie della Sardegna registrano un aumento delle presenze di detenuti italiani e/o stranieri provenienti dalle altre regioni, al contempo però raramente e dopo varie insistenze viene concesso il trasferimento nell'isola ai cittadini privati della libertà che hanno in Sardegna i propri parenti. Ciò appare ingiustificabile soprattutto quando a chiedere il ritorno nell'isola sono detenuti che scontano l'ergastolo e sono ristretti da oltre venti anni. Si tratta spesso di persone ormai anziane che molto spesso non possono effettuare colloqui con i familiari per le distanze e per le condizioni economiche. Tali fatti confermano che le nuove strutture penitenziarie sorte nell'isola sono destinate a mitigare il sovraffollamento degli altri istituti italiani e non a rafforzare il reinserimento sociale dei condannati;
   l'articolo 61, comma 2, del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, prevede che «particolare attenzione è dedicata ad, affrontare la crisi conseguente all'allontanamento del soggetto dal nucleo familiare, a rendere possibile il mantenimento di un valido rapporto con i figli, specie in età minore, e a preparare la famiglia, gli ambienti prossimi di vita e il soggetto stesso al rientro nel contesto sociale». Tale disposizione è volta a ovviare alle problematiche che insorgono per i detenuti allontanati dal loro contesto familiare, e per gli stessi parenti, e alle criticità che ne conseguono in ordine al reinserimento nel tessuto sociale di appartenenza. Dunque, occorre scongiurare che gli effetti dolorosi coinvolgano più dell'inevitabile anche altre persone, che nulla hanno fatto di penalmente rilevante;
    una soluzione interessante, specialmente nei casi in cui non sia disposto l'eventuale trasferimento del ristretto e nei casi in cui il detenuto sia straniero, è rappresentata dall'utilizzo di internet e linee voip seguendo un protocollo di uso vigilato della rete. Tali strumenti permettono al detenuto di comunicare con i propri cari, con i figli minori e con i familiari anziani che si vedono nell'impossibilità di raggiungere le strutture carcerarie. Inoltre, l'utilizzo di tali dispositivi si rivela molto importante per il raggiungimento della finalità del reinserimento nella società, vi sono casi in cui è stato permesso al detenuto di dialogare mediante skype con gli insegnanti del figlio minorenne per avere notizie sull'andamento scolastico, rendendo il padre partecipe in prima persona;
   per quanto riguarda la citata presenza di detenuti stranieri sul sito online del Ministero della giustizia sono periodicamente pubblicati i dati loro relativi. In Sardegna vi è stato un evidente aumento nei primi mesi dell'anno, infatti si è passati dai 432 stranieri (23,56 per cento) – a fronte di 1.833 detenuti – del 31 gennaio ai 509 (26,10 per cento) – su un totale di 1.950 reclusi – del 31 maggio quando peraltro gli istituti sono diminuiti da dodici a dieci a seguito della chiusura delle strutture di Iglesias e Macomer. Emblematico il caso della colonia penale di Mamone-Lodè dove si trovano 138 detenuti di cui 109 non italiani, ovvero il 78,98 per cento;
   a tali difficoltà delle carceri sarde vanno aggiunte altre gravi problematiche quali il sovraffollamento – a Tempio-Nunchis a fronte di 167 posti regolamentari i detenuti sono 198 e negli altri istituti si è al limite della capienza – e le difficoltà nello sviluppare attività lavorative all'interno delle stesse strutture. Queste ultime rappresenterebbero una reale possibilità di recupero. Tuttavia, pur avendo assunto un ruolo centrale nel percorso di reinserimento dei detenuti, il lavoro è ancora il grande assente nelle carceri sarde, si pensi ai penitenziari di Uta o Massama, dove la regola è l'inattività forzosa;
   in ultimo, in diverse regioni italiane non è ancora presente il Garante dei detenuti, istituito a tutela dei diritti e della dignità delle persone sottoposte a restrizioni nella libertà personale. In Sardegna la legge regionale 7 febbraio 2011, n. 7, all'articolo 10 ha istituito tale figura che, tuttavia, non è stata ad oggi nominata nonostante siano trascorsi più di quattro anni –:
   se il Ministro  interrogato ritenga che, ai sensi della normativa vigente, il principio di territorialità della pena debba essere garantito dall'amministrazione penitenziaria, così come stabilito nella circolare n. 3654/6104 del 20 febbraio 2014 del Ministero della giustizia, assicurando la funzione rieducativa e risocializzante alla base del principio stesso;
   se voglia trattare con attenzione la particolare situazione della regione Sardegna, le cui peculiarità si riflettono anche nell'ambito di applicazione del principio di territorialità della pena;
   se intenda incentivare la diffusione sul territorio nazionale dei progetti volti all'utilizzo di internet e voip dando modo ai detenuti di comunicare con i propri familiari, specialmente nei casi di ristretti stranieri e di italiani lontani dal proprio territorio, detenuti in aree isolate e difficilmente raggiungibili;
   se il Ministro ritenga opportuno promuovere e valorizzare i progetti promossi da istituti penitenziari, da agenzie e organismi che si occupano di detenzione e danno un contributo significativo a elaborare interventi innovativi che contribuiscono a fornire una soluzione alla questione lavorativa in carcere e al contempo se intenda far sì che tali attività si sviluppino anche laddove al momento non sono presenti o non sono ben strutturate, come nel caso indicato delle carceri sarde;
   se intenda adoperarsi affinché la nomina del Garante dei detenuti sia assicurata in tutte le regioni del territorio nazionale al fine di garantire uguali tutele ai ristretti prescindendo dal luogo in cui è situata la struttura che li accoglie.
(4-09574)


   PAGLIA e DANIELE FARINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da notizie diffuse dalla stampa, nonché da segnalazione del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Parma, Roberto Cavalieri, si apprende che, a fronte della paventata chiusura delle sezioni di alta sicurezza del carcere di Padova, alcuni detenuti di tali sezioni verrebbero trasferiti presso la sezione AS1 (detenuti appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso) del carcere di Parma;
   sembrerebbe che già due trasferimenti siano stati effettuati, con preoccupazioni circa il degrado delle condizioni detentive della popolazione carceraria di Parma;
   come noto, presso gli istituti di Parma è presente una sola sezione per detenuti AS1 sulle 6 sezioni presenti di alta sicurezza; le restanti 5 sono destinate a detenuti AS3 (condannati per reati associativi). A tale gruppo di detenuti in AS1, per comprensibili motivi organizzativi del reparto alta sicurezza, sono offerte poche occasioni di partecipazione ad attività che sono da considerarsi marginali rispetto a quelle destinate agli altri detenuti del circuito AS3;
   non è presente alcuna attività lavorativa significativa; solo ed unicamente, quando presente, ristretta ai lavori alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria per portavitto e poco più;
   sotto il profilo dello studio, questo è in gran parte rappresentato dalla autonoma iniziativa di alcuni detenuti iscritti a percorsi universitari;
   quanto alla collocazione nelle celle, questa è in parte soddisfatta in termini di assegnazione in cella singola, molto spesso sostenuta e obbligata anche da esigenze di salute, patologie psichiatriche e di studio dei detenuti;
   il trasferimento di detenuti della sezione alta sicurezza del carcere di Padova presso il carcere di Parma non può che rappresentare a giudizio degli interroganti una scelta assolutamente inopportuna, anche in quanto l'offerta trattamentale presente a Parma non è in alcun modo paragonabile a quella presente nel penitenziario di Padova; dunque, si penalizzerebbero le scelte dell'istituto, anche operate da anni, per il trasferimento di detenuti che a Parma non troverebbero che poche attività di trattamento, spesso senza disponibilità di posti, e con un'erogazione delle stesse assai rarefatta nel corso della settimana;
   inoltre, il carico sanitario caratterizzante il carcere di Parma — conseguente alla detenzione di persone con patologie complesse e che richiedono prestazioni già allo stato carenti sotto il profilo della tempestiva erogazione — si aggraverebbe con una ricaduta negativa per tutti i detenuti, oltre che per il personale sia sanitario, sia dell'amministrazione penitenziaria;
   quanto alla collocazione nelle celle, le condizioni di vita dei detenuti AS1 sarebbero compromesse con allocazione di più persone nella stessa cella, con ricadute negative sia sul piano delle relazioni, sia dello stato psico-fisico, dei detenuti, soprattutto in riferimento agli studenti e ai detenuti con problemi di salute;
   i detenuti del circuito AS1 e reclusi a Parma non hanno prospettive di sviluppo trattamentale e di partecipazione ad attività che, anche se proposte dal volontariato o dalla comunità esterna, non sono realizzabili per problemi organizzativi legati ai divieti di incontro con i detenuti in AS3, alla mancanza di spazi idonei, nonché alle note questioni di disponibilità di personale addetto alla sorveglianza che possa permettere una apertura alle attività che vada oltre al normale, e ristretto, orario vigente (dalle 9.00 alle 15.00 con un'ora di pausa);
   come illustrato, il trasferimento paventato dei detenuti della sezione alta sicurezza dal carcere di Padova a quello di Parma comprometterebbe dunque i percorsi trattamentali in corso presso l'istituto di Parma, nonché le generali condizioni di vivibilità all'interno della struttura carceraria, sia per la popolazione reclusa, sia per chi opera all'interno del carcere, con grave compromissione di quanto garantito dall'articolo 27 della Costituzione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover salvaguardare la condizione detentiva e i percorsi trattamentali delle persone ospitate nelle sezioni di alta sicurezza di Parma, non procedendo al trasferimento nella menzionata struttura dei detenuti ristretti a Padova. (4-09579)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   AMATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria di Vasto-San Salvo serve un territorio esteso con una popolazione di oltre 100.000 abitanti che incrementa di circa il 20 per cento nell'area costiera durante la stagione estiva;
   tale stazione ha subito una grave menomazione del servizio di trasporto ferroviario nazionale a seguito della progressiva riduzione del numero di treni che vi effettuano fermate, determinando un grave disservizio per gli utenti che utilizzano il treno come mezzo di trasporto, con particolare riferimento ai pendolari che si muovono per ragioni di lavoro e di studio;
   l'area costiera di Vasto-San Salvo rappresenta una delle zone di maggiore pregio ambientale e di attrattiva turistica e l'istituendo arco della costa teatina ha per questo territorio una valenza di economia e sviluppo oltre che di tutela del territorio;
   la decisione di Trenitalia di non prevedere fermate dei treni Frecciabianca a Vasto-San Salvo penalizza fortemente l'Abruzzo ed in particolare i territori meridionali e al confine col Molise, e non solo, in quanto per la sua posizione l'Abruzzo rappresenta uno snodo strategico di collegamento tra i territori posti a nord e sud della dorsale adriatica;
   i collegamenti lungo la dorsale adriatica nel tratto Pescara – San Salvo sono garantiti dalla strada statale 16 fortemente danneggiata in più tratti da recenti eventi calamitosi e per sua stessa morfologia inadatta al trasporto di merci su gomma e dalla A14, costruita secondo vecchi criteri, con lunghi tratti privi di corsia di emergenza e attualmente, e da oltre due anni, estremamente disagiata per la presenza di cantieri nel tratto Pescara-Vasto sud che ne accentuano la naturale pericolosità;
   le infrastrutture abruzzesi, sia stradali che ferroviarie, risultano talmente compromesse che rischiano non solo di tagliare fuori l'Abruzzo da qualsiasi collegamento, con conseguenti ripercussioni economico-finanziarie, ma costituiscono un serio pericolo per la sicurezza e l'incolumità dei cittadini;
   è acclarato che trasporto su ferro rappresenta il trasporto a maggiore sostenibilità ambientale;
   lo sviluppo turistico dell'area sud dell'Abruzzo è condizionato dalla sua raggiungibilità;
   le aree industriali della zona già in sofferenza per il lungo periodo di crisi economica necessitano di un miglioramento infrastrutturale che non può prescindere dal potenziamento della rete ferroviaria –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano attuare per contrastare la politica di mercato di Trenitalia non applicabile ad un servizio di pubblica utilità e per non penalizzare il territorio di Vasto con la soppressione della fermata dei treni Frecciabianca;
   quali sinergie ritengano di mettere in campo con Trenitalia e la regione Abruzzo per implementare il contributo della rete ferroviaria nella infrastrutturazione dell'area del vastese, considerato che l'intera rete di infrastrutture abruzzesi, stradale e ferroviaria, appare gravemente compromessa sia in termini di bassa qualità dei servizi e conseguenti disagi per gli utenti sia, soprattutto, in termini di sicurezza e incolumità dei cittadini;
   quali iniziative di competenza reputino opportuno adottare per consentire una programmazione di risorse per la realizzazione di progetti diretti alla riqualificazione e all'ammodernamento della tratta ferroviaria abruzzese, anche sotto il profilo della sicurezza e in considerazione della più ampia programmazione europea nell'ambito della realizzazione delle grandi reti infrastrutturali ferroviarie. (3-01573)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIPPA e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni anni in diversi aeroporti italiani enti gestori e compagnie aeree offrono ai viaggiatori la possibilità di usufruire del servizio «Fast Track»;
   tale servizio permette, dietro ad un compenso solitamente variabile tra i 5 e i 10 euro a viaggiatore, di usufruire di una corsia preferenziale per la consegna del bagaglio al check-in;
   tale procedura permetterebbe quindi un imbarco prioritario nei confronti degli altri viaggiatori che a loro volta hanno già provveduto ad acquistare il viaggio alle normali condizioni previste dalla propria compagnia aerea;
   si può notare come quotidianamente i viaggiatori, pur arrivando in orario all'interno dell'aeroporto di partenza, come da consiglio delle compagnie aeree di riferimento, si imbattano in code considerevoli di utenti in attesa delle operazioni di check-in;
   tali code suscitano generalmente incertezza e preoccupazione nei consumatori che quindi vengono incentivati ad accedere alle corsie preferenziali messe a disposizione dagli aeroporti con il già citato servizio «Fast Track»;
   come da esperienza dell'interrogante, si riporta ad esempio come nel caso del Terminal 2 dell'Aeroporto di Milano-Malpensa alcune delle sopracitate code siano solitamente attribuibili alla concomitanza di almeno 15/19 voli in partenza tra le ore 6.30 e le ore 7.30, per un totale di passeggeri transitanti che va dai circa 2700 e i circa 3400;
   essendo facilmente constatabile un'oggettiva ripetitività della formazione di queste code ed essendo i servizi «Fast Track» offerti dagli enti gestori degli aeroporti e dalle compagnie aeree, sorge il dubbio che questo servizio facoltativo a pagamento stia diventando necessario perché il viaggiatore non rischi di perdere il proprio volo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   quale ente stia vigilando al fine di verificare che il servizio «Fast Track» non diventi, da servizio facoltativo a pagamento, necessario per non perdere il proprio volo;
   se il Ministero interrogato stia verificando che non vengano messi in atto da parte degli enti gestori degli aeroporti e delle compagnie aeree comportamenti scorretti tali da generare un problema (le code) salvo poi individuare dagli stessi enti soluzioni a pagamento a discapito degli stessi viaggiatori anziché inserire personale aggiuntivo nelle ore di punta.
(5-05888)


   CARLONI, SGAMBATO, MANFREDI, BOSSA, VALIANTE, TINO IANNUZZI, AMENDOLA, CARELLA, MICCOLI e VALERIA VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal prossimo primo luglio per le tratte dell'alta velocità, Trenitalia ha introdotto l'obbligo della prenotazione del posto a sedere da effettuare esclusivamente nelle biglietterie o sul portale internet, prevedendo una sanzione di 8 euro per i viaggiatori che saliranno sul treno senza prenotazione;
   un nutrito gruppo di pendolari, abbonati alle tratte ad alta velocità della linea Roma – Napoli, sta manifestando una profonda contrarietà per tale decisione a causa dell'impatto rilevante che, inevitabilmente, avrà sulla loro quotidianità mettendo a rischio lo spostamento, per motivi di lavoro, tra le due città metropolitane;
   infatti ogni giorno viaggiano per lavoro dalla Capitale a Napoli e viceversa numerosissimi abbonati che hanno la necessità di arrivare con certezza sul posto di lavoro; per tali persone essere vincolati alla prenotazione dei limitati posti messi a disposizione da Trenitalia determinerà l'impossibilità di viaggiare in alcuni orari e di raggiungere i luoghi di lavoro in orario, soprattutto laddove si consideri che l'obbligo di prenotazione viene introdotto senza incrementare il servizio che risulta già essere caratterizzato da una scarsa offerta mattutina, in particolare da Roma a Napoli; infatti, il primo e unico treno utile ai fini lavorativi parte da Roma Termini alle ore 7,35 e quello successivo solamente alle 8,45;
   inoltre – specie nei mesi turistici – le carrozze sono sature e impraticabili, di fatto non prenotabili e i pochi treni non potranno accogliere ulteriori passeggeri privi di prenotazione con conseguenti gravi e non altrimenti fronteggiabili ripercussioni di natura lavorativa;
   contrariamente ai ritmi lavorativi sempre più incalzanti e variabili, le modalità di prenotazione e di modifica della stessa sono lente e macchinose e sono, altresì, effettuabili scontando l'incertezza dell'accesso alla biglietteria, insufficiente a fronteggiare la mole di utenti;
   con la prenotazione obbligatoria Trenitalia elimina quindi un importante elemento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro negando una elasticità di utilizzo dell'abbonamento per quanti non sono in grado di prevedere, per ragioni legate al ruolo professionale ricoperto, l'orario di partenza e sono soggetti a repentini cambi di orario;
   tale situazione non garantirà più a tutti gli abbonati la possibilità di spostarsi nei modi e tempi necessari rendendo difficile l'interazione dei due sistemi locali di lavoro più grandi del Centro e del Sud Italia, quali Roma e Napoli;
   le città sono un campo essenziale per le politiche pubbliche e per porre le basi di una strategia di rilancio attraverso una molteplicità di interventi tra cui assume un assoluto rilievo lo sviluppo dei territori da perseguire anche mediante una idonea politica nazionale dei trasporti collegata all'integrazione di importanti realtà territoriali e tessuti economici locali;
   l'iniziativa di Trenitalia rischia di compromettere la corretta erogazione del servizio pubblico comprimendo i diritti dei cittadini e penalizzando le forti connessioni tra le economie dei territori –:
   se il Ministro intenda intervenire, per quanto di propria competenza, perché si ponga a una sospensione dell'obbligo di prenotazione con lo scopo di individuare una soluzione che tuteli gli abbonati sulle tratte dell'alta velocità, con particolare riferimento alla tratta Napoli-Roma, e si eviti un peggioramento della qualità del servizio, anche promuovendo il potenziamento dei collegamenti mattutini e la creazione di un'apposita applicazione telefonica per la prenotazione che per gli abbonati sia facoltativa e non obbligatoria. (5-05889)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Abruzzo l'unico treno a lunga percorrenza a fermarsi è il Frecciabianca, effettuando una sola sosta a Pescara. Il Frecciarossa infatti «salta» completamente l'Abruzzo fermandosi ad Ancona ed escludendo L'Abruzzo, il Molise e la Puglia dall'alta velocità. Eppure l'orario estivo di Trenitalia, appena varato, prevede fermate aggiuntive delle frecce bianche in Emilia-Romagna (Riccione, Cattolica), Marche (Senigallia) e Puglia (Fasano Monopoli, Ostuni), ma nulla concede all'Abruzzo;
   i turisti che volessero raggiungere le spiagge del Teramano o del Vastese continueranno a scendere a Pescara o a Termoli. Fa peggio il Frecciabianca che collega Roma all'Adriatico: salta letteralmente la regione per puntare a nord verso le stazioni di Falconara marittima, Pesaro, Rimini, Ravenna. Andare a Roma da Pescara e viceversa è un calvario, con tempi di percorrenza che si avvicinano alle 4 ore, cioè il doppio rispetto al collegamento autostradale;
   per Trenitalia la logica aziendale è quella della domanda e dell'offerta, poiché il servizio su queste tratte ferroviarie non prevede contributi. E dunque si lavora a mercato: se non ci sono fermate aggiuntive in Abruzzo, è perché non c’è sufficiente domanda di treni a lunga percorrenza. Ma è anche vero, fanno notare a Trenitalia, che non arriva dai territori la richiesta chiara e forte di un servizio aggiuntivo. Come per esempio è successo a Senigallia, dove l'associazione degli albergatori si è mossa per promuovere il Frecciabianca con accordi e convenzioni. La regione sta discutendo il rinnovo del contratto di servizio con Trenitalia nella previsione futura della concorrenza garantita da gare per l'affidamento del servizio. Tra le richieste della regione Abruzzo c’è il miglioramento complessivo dell'offerta di treni e un aumento delle fermate del Frecciabianca –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di Trenitalia che, ad avviso dell'interrogante, con le sue scelte sta affossando la relazione ferroviaria tra la regione e il resto d'Italia penalizzando i viaggiatori abruzzesi sia nella linea adriatica che nella trasversale verso Roma e nel trasporto pubblico regionale creando gravi danni economici, in particolare nella stagione estiva, al turismo. (4-09571)


   CAPODICASA e IACONO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   alcuni mesi addietro è stato deciso dall'Anas di inibire il traffico automobilistico lungo il viadotto Akragas (ponte Morandi) che collega la città di Agrigento con le popolose frazioni di Villaseta e Monserrato dove abita oltre un terzo dell'intera popolazione della città;
   tale chiusura, come è stato comunicato alla popolazione, si sarebbe resa necessaria per poco tempo allo scopo di effettuare delle verifiche della stabilità del viadotto su cui giornalmente transitano migliaia di autovetture;
   la chiusura al traffico di tale manufatto comporta notevoli disagi per la popolazione e per il traffico intra ed extra cittadino, costituendo il viadotto anche lo sbocco per il traffico sulla direttrice Siracusa-Trapani e verso il porto del limitrofo comune di Porto Empedocle;
   i disagi causati dalla chiusura al traffico del viadotto si ripercuotono negativamente anche sulle attività commerciali ed artigianali che insistono lungo tale asse viario in cui è ricompreso anche un grande centro commerciale abitualmente visitato da migliaia di avventori;
   le vie di transito, alternative al percorso interrotto, sono disagevoli e comportano problemi di intasamento di aree urbane interessate da tali flussi di traffico –:
   quali siano le ragioni della prolungata chiusura al traffico del viadotto in questione;
   se le cause siano dovute a motivi tecnici e, nel caso, quali siano tali motivi;
   se tale chiusura non sia dovuta a lentezze burocratiche o a colpevoli negligenze;
   se non ritenga di dovere intervenire per ripristinare tempestivamente la funzionalità e la percorribilità del viadotto e rimuovere così una delle cause del disagio che quotidianamente si vive in Sicilia a causa delle interruzioni di importanti arterie stradali ed autostradali. (4-09575)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il sopraggiungere della stagione estiva la situazione dei pendolari italiani risulta ulteriormente compromessa a causa del malfunzionamento degli impianti di climatizzazione interni alle vetture;
   in queste settimane sono molte le denunce che arrivano da tutta Italia, in particolare gli interroganti segnalano quelle dell'Umbria e della Toscana che, attraverso l'intervento dei comitati dei pendolari, hanno scritto e ottenuto risposte ufficiali da Trenitalia circa il malfunzionamento dell'aria condizionata;
   la situazione in queste prime settimane di giugno è invivibile, tanto che molti pendolari chiamano il loro viaggi quotidiani "viaggi della speranza": carrozze super riscaldate mentre fuori ci sono 30 gradi, carrozze in cui l'impianto funziona ma è difettoso e si assiste pertanto a perdite d'acqua che costringono i viaggiatori a viaggiare con l'ombrello aperto o ad abbandonare il proprio posto; vetture in cui alcune carrozze sono fornite di aria condizionata e altre no, carrozze in cui l'impianto funziona ma la temperatura è rigidissima (causando spesso problemi di salute ai pendolari), tutto questo senza andare a ricordare le porte inservibili — che spesso bloccano letteralmente i pendolari all'interno di una carrozza, i vagoni inadeguati, i bagni inutilizzabili;
   in particolare nelle risposte fornite al Coordinamento comitati pendolari Umbri, Trenitalia ha ribadito che di norma essa provvede ad una manutenzione preventiva sugli impianti di climatizzazione delle vetture; ma le operazioni quest'anno sono iniziate con un leggero ritardo sui tempi previsti per uno slittamento nell'assegnazione dell'appalto;
   è stato predisposto da Trenitalia, infatti, un «crash program» con una task force operativa 7 giorni su 7 che ha interessato tutte le vetture del parco circolante in Umbria (si tratta di circa 150 vetture), che avrebbe dovuto portare a dei risultati per la fine del mese di maggio;
   la manutenzione e gestione degli impianti di climatizzazione dei treni regionali in circolazione nell'Umbria sono state affidate, come si evince ancora dalla risposta all'istanza del Coordinamento pendolari umbri, da Trenitalia con un'apposita gara alla Mitsubishi Electric Klimat Transportation, ma è evidente che ad oggi i risultati non sono all'altezza delle aspettative richieste e che anche la task force messa in atto non ha dato i risultati auspicati;
   relativamente al caso umbro si segnala inoltre, in particolare, che è stata più volte segnalata l'anomalia che la manutenzione ordinaria dei treni venga effettuata fuori regione (Ancona), che di fatto, a quando segnalano dal Coordinamento Pendolari, sembrerebbe non consono con gli standard qualitativi che vengono dichiarati, tanto che più volte lo stesso coordinamento ha fatto presente la necessità dell'istituzione di una squadra di manutenzione, presso la stazione di Foligno, dove insistono già le Grandi Officine di Manutenzione di FSI, proprio per effettuare la manutenzione a quei materiali che lì sostano, per poi effettuare dei treni sovraregionali sia su Roma, Firenze, Ancona, che relazioni interne alla Regione, senza attendere che per la turnazione dei servizi, tornino, dopo vari giorni, presso le officine di Ancona per le riparazioni;
   la situazione dell'Umbria è la stessa alla quale quotidianamente assistono i pendolari di tutta Italia, costretti a viaggiare in condizioni disastrose o a subire i ritardi e le soppressioni che spesso tali problemi nella manutenzione dei treni comportano –:
   se sia a conoscenza della situazione sopra descritta e se, nell'ambito delle proprie competenze, non ritenga di assumere iniziative affinché vengano salvaguardati gli standard qualitativi e la corretta manutenzione straordinaria, ordinaria nonché le revisioni periodiche sia del materiale rotabile che dei servizi, quali anche quelli di climatizzazione, all'interno delle vetture utilizzate quotidianamente dai cittadini italiani. (4-09585)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi giorni il territorio crotonese è interessato da una serie di atti intimidatori ed episodi di violenza ai danni di imprese ed operatori economici che hanno suscitato molta preoccupazione;
   ad essere state colpite in vario modo sono state la Trony, il supermercato MD e l’Abramo custode care;
   recentemente altri atti intimidatori hanno riguardato l'imprenditore Fiorino evidenziando una offensiva ai danni del tessuto produttivo crotonese;
   organizzazioni di categoria del mondo produttivo da Confindustria a Confcommercio da Confartigianato ad Api, organizzazioni sindacali e le istituzioni territoriali a partire dal sindaco della città hanno espresso solidarietà e vicinanza agli imprenditori e ai lavoratori oggetto di tali gravi episodi intimidatori;
   le forze dell'ordine e la magistratura stanno svolgendo un importantissimo lavoro sul territorio mettendo a segno negli ultimi tempi importanti operazioni contro la criminalità organizzata;
   va innalzato il livello di attenzione e vanno rafforzate tutte le misure possibili per contrastare fenomeni che puntano ad inquinare la vita civile e a penetrare nei segmenti economici del territorio –:
   se il Ministro interrogato non intenda convocare, con la sua partecipazione diretta, un Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica per il territorio crotonese, alla luce di questi recenti episodi, riportati in premessa, per adottare ogni misura necessaria di controllo e contrasto del crimine organizzato nonché per segnalare una forte e più incisiva presenza dello Stato nei confronti di una città che vuole reagire ad atti violenti ed intimidatori. (5-05878)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi non è stata ancora sottoscritta la convenzione tra la regione Sardegna e il Ministero dell'interno per l'utilizzo dei vigili del fuoco nella campagna estiva antincendio 2015;
   la Sardegna considerata la sua gravissima condizione in termini di protezione civile proprio per la sua insularità rischia di restare isolata dinanzi a gravi emergenze che già nel recente passato hanno provocato decine di vittime umane;
   la mancata firma di tale accordo rappresenta la dimostrazione con la quale, ancora una volta, le istituzioni regionali e nazionali stanno sottovalutando il tema della protezione civile e il rischio per le popolazioni sarde;
   oltre alla tardiva e grave mancata sottoscrizione va registrata l'assenza di risorse finanziarie adeguate sia per il pagamento dei vigili impegnati nella campagna estiva che per la dotazione di mezzi sufficienti e adeguati alla lotta agli incendi;
   nel 2011 la firma della convenzione fra i due enti, senza la necessaria copertura finanziaria, portò i vigili del fuoco permanenti a negare la loro disponibilità a prestare servizio durante il turno libero e in orario straordinario;
   sono numerose le regioni che hanno già sottoscritto adeguate convenzioni con i vigili del fuoco mentre la Sardegna continua ad essere sprovvista di convenzione adeguata all'emergenza della campagna estiva antincendio;
   ognuna di queste regioni, con problematiche decisamente inferiori rispetto a quelle sarde, hanno stanziato risorse finanziarie dai 2 ai 10 milioni di euro;
   la regione Sardegna ha messo a disposizione la cifra di 600.000 euro che appare all'interrogante irrisoria di fatto non consente in alcun modo di gestire nemmeno marginalmente una presenza minima di vigili del fuoco nella campagna antincendio;
   le diverse regioni hanno persino attivato con fondi dell'Unione europea l'ammodernamento dei mezzi e della colonna mobile dei vigili del fuoco;
   senza un soccorso pubblico efficiente, non può essere garantita la tutela della sicurezza dei cittadini;
   la direzione regionale dei vigili del fuoco e i comandi provinciali hanno reiteratamente sollecitato, ormai da tre anni la regione e i comuni, ad adeguarsi a quanto previsto dalle normative in vigore in materia di antincendio;
   la Sardegna è l'unica regione che non possiede una rete cittadina d'idranti antincendio;
   i vigili del fuoco della Sardegna, con le poche e malandate autobotti, in caso d'incendio sono costretti a cercare risorse idriche alternative per dare continuità agli interventi percorrendo svariati chilometri;
   è evidente che la mancata tempestiva continuità negli interventi per incendio non può essere imputata ai vigili del fuoco ma esistono responsabilità evidenti;
   gli operatori dei vigili del fuoco rivendicano da sempre di essere messi in condizione di garantire un soccorso pubblico efficiente e tempestivo;
   occorre evitare tragedie come quella di Curragia con innumerevoli vittime anche per l'insufficienza di mezzi e uomini;
   con le risorse messe a disposizione dalla regione, secondo le stime sindacali, si riuscirà a malapena a garantire la presenza di non più di 35 uomini per turno per la campagna antincendio per tutta la Sardegna;
   dei preannuncianti 250 vigili del fuoco sardi da destinare alla Sardegna solo 60 sono stati inviati e di questi 15 già destinati a sedi fuori dall'isola;
   risultano incrementati gli organici di appena 45 uomini con un'esigenza di non meno di 240 uomini per garantire la sicurezza dei cittadini, del territorio, degli insediamenti civili e industriali e, allo stesso tempo, quella degli operatori dei vigili del fuoco –:
   se non ritenga il Ministero dell'interno di intervenire per favorire un accordo idoneo per la campagna antincendio in corso;
   se non ritenga di destinare con urgenza le risorse finanziarie di propria competenza per il rafforzamento strutturale e organico delle squadre di vigili del fuoco al servizio della sicurezza della Sardegna e dei sardi;
   se non ritenga di dover mettere a disposizione le forze necessarie a coprire i buchi in organico con il pieno e definitivo trasferimento dei vigili del fuoco sardi in Sardegna;
   se non ritenga di dover compiere una valutazione approfondita delle piante organiche e delle dotazioni necessarie per fronteggiare l'insularità che come si è visto in occasione dell'alluvione del 18 novembre 2013 ha fatto registrare un ritardo di intervento sulle aree colpite di oltre 48 ore proprio per la difficoltà di raggiungere l'isola. (5-05891)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante in data 16 aprile 2015 ha presentato atto di sindacato ispettivo n. 4-08809, ancora senza risposta, denunciando una grave escalation criminale nella città di Catanzaro: esplosione di una bomba davanti ad una macelleria nella notte tra il 25 e il 26 marzo, incendio di origine dolosa al lido balneare «Sunrise» lo scorso 12 aprile, uccisione di un giovane imprenditore all'ingresso della macelleria di famiglia il 14 aprile, lancio di due bottiglie incendiarie, come atto intimidatorio, davanti agli uffici di una impresa edile lo scorso 16 aprile e ultima, ieri, l'esplosione di una bomba carta davanti ad un call center Smile Contact;
   il quartiere Aranceto, uno dei quartieri a sud della città di Catanzaro dove illegalità regna sovrana e le uniche istituzioni presenti sono le forze di polizia, è tornato alle cronache dopo l'uccisione del boss Bevilacqua alias Toro Seduto ad opera di sicari a bordo di uno scooter. Notizia di questi giorni è quella di un'altra aggressione, questa volta ai danni dei militari dell'Arma dei carabinieri, da parte di cittadini di etnia rom, durante un controllo;
   è bastato un semplice controllo ad un sorvegliato speciale per scatenare l'ira dei rom i quali hanno accerchiato, in breve tempo, due carabinieri, costretti ad allontanarsi, per tornare poco dopo a portare a termine il lavoro – supportati da militari delle compagnie limitrofe – tra lanci di patate e limoni provenienti dai palazzi del quartiere Aranceto. L'operazione è finita con due carabinieri feriti e quattro arresti per violenza, minaccia, resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, lesioni violazione della sorveglianza, a vario titolo. Il giudice del tribunale dopo aver convalidato gli arresti ha disposto la misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria per i 4 malviventi;
   prima un gruppo unico, poi diviso dagli interessi, i rom – oggi catanzaresi a tutti gli effetti – si sono impossessati del capoluogo accontentandosi di essere affiliati – quando non solo manovalanza – delle ‘ndrine;
   se da un lato c’è una parte di città che trema per le continue intimidazioni a scopo estorsivo, dall'altra c’è una parte di città che invece continua a foraggiare i rom con l'acquisto di grossi quantitativi di droga;
   il presidente della commissione antimafia, Rosy Bindi, al termine della missione della delegazione parlamentare a Catanzaro che, lo scorso 22 giugno, è stata dedicata al confronto con la Conferenza Episcopale Calabra sui temi del comune impegno nella lotta alla criminalità organizzata ha affermato: «negli ultimi mesi la Calabria ha vissuto un periodo fecondo di inchieste, come quelle che hanno portato al sequestro di ingenti beni e allo smantellamento di cosche a Lamezia Terme, e di episodi legati al fenomeno dei rom che nella provincia di Catanzaro ha assunto tratti inquietanti per i suoi legami con la ’ndrangheta locale. In una fase di riorganizzazione della criminalità sul territorio le mafie sono più fragili e possono essere oggetto di indagini più efficaci». La giornata è servita anche a riportare l'attenzione sulle carenze della procura di Catanzaro già all'attenzione della delegazione parlamentare: «Continueremo a vigilare – ha continuato la Bindi – perché qui c’è bisogno di più uomini e mezzi. Ci siamo interessati della questione in occasione della missione precedente e abbiamo informato sia il Ministro della giustizia che il Csm con cui a breve terremo un'audizione per sottolineare una problematica che qui è ancora più forte che altrove;
   è giunto il momento di bonificare Catanzaro dai nuclei delinquenziali che si annidano nella comunità rom e che danneggiano anche chi ne condivide l'etnia ma si differenzia lavorando onestamente e sforzandosi di integrarsi con la città, rispettandone le regole;
   l'impegno dovrebbe partire in primis dalla classe politica e dall'impegno sul territorio che dovrebbe muoversi in direzione opposta alle scelte scellerate del passato. «Nel 1999 il Comune di Catanzaro» – riporta un articolo dello scorso 4 giugno de Il Fatto Quotidiano – «ha sfornato la famigerata delibera numero 586 con la quale, a pochi giorni dal voto il sindaco Sergio Abramo (al suo primo mandato) e la sua giunta avevano concesso un'area comunale di circa 600 metri quadrati per la costruzione, in via Magna Grecia, di un'abitazione destinata ad una famiglia nomade. Guarda caso, la famiglia era quella del capo dei rom Domenico Bevilacqua che, in quel terreno, costruì non un'abitazione popolare ma una mega villa oggetto ancora oggi di un procedimento penale a carico di alcuni dirigenti del Comune che non solo hanno consentito la realizzazione di opere abusive ma non hanno mai ottemperato agli ordini di demolizione nonostante le numerose segnalazioni dei carabinieri. «Toro seduto» non c’è più. Ma la villa è ancora lì» –:
   se, al fine di garantire l'efficace e capillare controllo del territorio, non ritengano più sensato tener conto dell'evoluzione delle minacce da affrontare assumendo tutte le iniziative economiche, compatibilmente con le risorse di bilancio, e normative per garantire un presidio di legalità costante e permanente nella città di Catanzaro che possa contare su un incremento di uomini, mezzi e dotazioni. (4-09576)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i componenti delle forze di polizia di Stato sono rappresentanti dei valori della costituzione repubblicana, democratica e antifascista;
   in data 19 giugno 2015 su testate giornalistiche nazionali e locali quali repubblica.it, Livesiciliacatania, meridionews, sono stati pubblicati articoli che riportano affermazioni xenofobe e razziste riconducibili all'ispettore della pol.fer. Gioacchino Lunetto;
   nei citati articoli vengono riportati commenti sui migranti in arrivo in Italia che hanno in spregio i più elementari principi di umanità;
   tali commenti sono stati espressi dall'ispettore Lunetto pubblicamente sui social media accompagnati ad immagini e invocazioni a dittatori quali Hitler e Mussolini;
   il sindacato di polizia Coisp ha chiesto immediati provvedimenti riguardo alla situazione;
   il sostituto commissario Gioacchino Lunetto ha determinato un clima di tensione all'interno dell'ufficio da lui diretto con una gestione arbitraria e irrituale di ferie e trasferimenti come denunciato dal sindacato di categoria Coisp;
   i superiori del sostituto commissario Lunetto interpellati dall'organizzazione sindacale Coisp non hanno ritenuto di dover approfondire e verificare la questione –:
   quali iniziative intenda assumere per tutelare l'immagine della polizia dello Stato;
   se non ritenga opportuno verificare la correttezza dei comportamenti del sostituto commissario Lunetto nella gestione dell'ufficio di competenza;
   se non si ritenga di dover adottare iniziative nei confronti dell'ispettore Lunetto responsabile di atteggiamenti discriminatori e xenofobi che sono inconciliabili con il ruolo di rappresentante delle forze dell'ordine del Paese. (4-09580)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la gestione del Centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Mineo è sottoposta a verifiche da parte della magistratura dell'inchiesta «mafia capitale»;
   autorità anticorruzione ha chiesto la revoca dell'appalto al consorzio Sol.Calatino, alla Coop. la Cascina e a Pizzarotti, rilevando diversi profili di illegittimità;
   interno del Centro d'accoglienza per richiedenti asilo, i servizi di tutela sanitaria sono stati gestiti dalla Croce Rossa Italiana;
   il comitato provinciale di Catania della CRI è parte integrante dell'ati aggiudicataria dell'appalto del Centro d'accoglienza per richiedenti asilo;
   per l'erogazione dei servizi sanitari la CRI di Catania percepisce circa 1.700.000 euro all'anno, quindi circa 140.000 euro al mese, circa 5.000 euro al giorno;
   in data 20 giugno 2015 sul portale di informazione telematica Sudpress con un articolo a firma di P. Di Rosa si sollevano numerosi dubbi sulla gestione, da parte del presidente del comitato provinciale delle CRI di Catania dei volontari per l'erogazione dei servizi sanitari;
   nel menzionato articolo si fa riferimento ad intrecci tra la politica e la CRI, ormai associazione di diritto privato, nel territorio catanese funzionali a far ottenere consensi, in cambio di sostegno per le attività dell'associazione;
   nell'articolo si fa riferimento tra l'altro, al conferimento da parte del comune di Bronte alla Croce Rossa di uno stabile in uso gratuito che sarebbe stato assegnato senza una procedura regolare di evidenza pubblica;
   sempre nello stesso articolo si fa riferimento ad esternazioni del presidente provinciale della stessa CRI, nelle quali si annunciano prossime stabilizzazioni di «volontari» impegnati nelle attività del Centro d'accoglienza per richiedenti asilo comprendendosi in che modo si concilino tali promesse con le finalità della CRI, per come meglio precisate nello statuto –:
   quali iniziative ritenga di dover intraprendere, per quanto di quanto di competenza e nell'esercizio del potere di vigilanza spettante al Governo, per verificare la correttezza dei comportamenti dell'associazione CRI di Catania nell'ambito dell'appalto del Centro d'accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. (4-09583)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende anche dal sito www.arcese.com, il gruppo Arcese Trasporti s.p.a. è un'azienda specializzata nel campo della logistica, del trasporto terrestre, e di spedizioni in mare e in aereo che opera in tutta Europa, in Russia, nei Paesi Baltici e quindi a livello internazionale. Tra gli anni 2000 e 2014 l'Arcese ha sviluppato il suo network con l'apertura di filiali ad esempio in Belgio, Spagna, Regno Unito, Turchia, Cina e Messico, con una filiera logistica che va dall'Asia fino al Sud America. Come riportato sul sito del gruppo stesso, recentemente la Ford ha rinnovato al gruppo Arcese, fino al 2017, il «Logistic Service Quality Award», certificato necessario per attestare di standard di qualità. Non solo, con un comunicato pubblicato sul sito del gruppo dall'oggetto «Il Gruppo Arcese si espande in Russia», l'azienda starebbe rafforzando la propria presenza nel mercato europeo, implementando il servizio FTL da e per Russia, Ucraina, Paesi Baltici, Paesi membri della CSI, adottando una strategia di espansione e crescita aziendale. Il gruppo Arcese comunica sul suo sito internet, di avvalersi di «network consolidato di partner, specializzati presenti capillarmente con sedi in tutto il mondo: con oltre 2600 dipendenti, 500.000 mq di magazzini e una moderna flotta di proprietà». Al tempo stesso, si legge «Per il Gruppo Arcese essere un'impresa socialmente responsabile significa infatti arricchire le scelte gestionali e strategiche dell'azienda con considerazioni etiche e sociali, investendo nel capitale umano, nell'ambiente e nei rapporti con tutti gli stakeholder»;
   come già ampiamente riportato nell'atto parlamentare n. 5-04656, presentato dal Movimento Cinque Stelle, nel 2009 il gruppo Arcese aveva più di 1300 dipendenti, di cui circa 700 autisti con più di 700 mezzi a disposizione. In tutte le sue sedi dislocate sul territorio nazionale, il gruppo Arcese ha usufruito di ammortizzatori sociali dall'anno 2009 al 2015 per ristrutturazione aziendale mirata al taglio delle commesse poco redditizie e a una drastica riduzione del costo del lavoro;
   secondo quanto riportato nella risposta pubblicata mercoledì 8 aprile 2015, nell'allegato al bollettino in Commissione X (Attività produttive) n. 5-04656, in data 19 febbraio 2015, si è conclusa al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con esito positivo, la fase amministrativa della procedura di licenziamento collettivo, ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, con un accordo che prevede 5 mesi di cassa integrazione guadagni in deroga, per 111 lavoratori con riduzione oraria, a rotazione tra loro, per le sedi di Arco (Trento), Rovereto (Trento) e Torino, come misura alternativa ai licenziamenti previsti da tale procedura. L'accordo prevede, altresì, la possibilità a tutti i 66 addetti in esubero di chiedere il ricollocamento all'interno dello stesso gruppo, oppure la mobilità incentivata fino al 31 luglio 2015;
   a giudizio degli interroganti, tenuto conto della complessa situazione occupazionale e aziendale fin qui evidenziata e dell'importante riduzione dell'organico del gruppo Arcese dal 2009 ad oggi, che nel suo sito internet comunica di investire sul capitale umano, appare fondamentale richiedere, alle istituzioni competenti, l'avvio di un attento monitoraggio in merito alla vertenza in questione, considerata sia la scadenza del periodo della cassa integrazione in deroga al 22 luglio 2015 per 111 lavoratori che l'ulteriore scadenza al 31 luglio 2015 del periodo di collocazione per i lavoratori del gruppo Arcese per la mobilità incentivata;
   inoltre, secondo quanto riportato dal sito www.linkiesta.it, articolo del 24 febbraio 2012, dal titolo «Arcese licenzia in Italia, assume in Romania e prende soldi pubblici», l'Arcese Trasporti spa, guidata da Eleuterio Arcese, all'epoca dell'articolo presidente di Anita (associazione di categoria aderente a Confindustria) il 30 gennaio 2012 avviava le procedure di licenziamento collettivo per 190 autisti, 10 operai e 50 impiegati, circa un quarto dei dipendenti che nel 2012 in Italia erano circa 1.100. Nel medesimo articolo, si evidenziava il rapporto tra la provincia di Trento e l'Arcese relativamente ad un «operazione di leaseback con cui l'ente nel 2009 comprò da Arcese per 18,6 milioni di euro un'area di 47 mila metri quadrati per poi riaffittarla all'azienda. Come ricordato dalla Provincia stessa (pag. 45), l'operazione mirava allo sviluppo del traffico su rotaia e vincolava l'azienda a mantenere 791 dipendenti nelle sue sedi in Provincia di Trento». Secondo il medesimo articolo di linkiesta.it il responsabile del sindacato di base multicategoriale di Trento chiedeva alla provincia misure più idonee a garantire la salvaguardia del lavoro pretendendo da Arcese la restituzione dei 18,6 milioni di euro «essendo venuta meno la clausola del mantenimento dell'occupazione». Inoltre, si legge nell'articolo di linkiesta.it del 24 febbraio 2012 che «la società avrebbe cominciato a cercare e ad assumere personale comunitario, ma proveniente da paesi esteri (Slovacchia e Romania in particolare), immatricolando molti dei suoi mezzi in paesi in cui sono state aperte apposite filiali (l'ultima in Romania). Il che stonerebbe con i soldi che il contribuente (attraverso l'Inps) spende per pagare il personale di Arcese in cassa integrazione»;
   a giudizio degli interroganti, la mera possibilità di ricorrere a contratti di lavori con autisti dell'Est Europa, dove il costo del lavoro è presumibilmente più basso, dovrebbe essere esaminata dal Ministero al fine di valutare se il gruppo Arcese sia — o sia stato – in possesso dei requisiti per la concessione degli ammortizzatori sociali secondo la normativa vigente. Tale circostanza è di fondamentale rilievo se si tiene conto dei fondi pubblici, e degli ammortizzatori sociali, che vengono ogni anno erogati dallo Stato italiano in favore di aziende italiane che dichiarano di essere in difficoltà. Del resto, l'eventuale instaurazione di contratti di lavori con autisti dell'Est Europa, a fronte dell'erogazione della cassa integrazione e della mobilità in favore dei lavoratori italiani, dovrebbe essere accuratamente controllata dalle istituzioni competenti, al fine di disincentivare la delocalizzazione della manodopera italiana per questo settore. Tra l'altro, in tema di trasporti internazionali, e di utilizzo di autisti stranieri è opportuno segnalare l'esistenza delle disposizioni comunitarie in materia di «cabotaggio» previsto con regolamento (CE) n. 1072/2009. Difatti, tale regolamento, direttamente applicabile nell'ordinamento giuridico italiano, fissando norme comuni per l'accesso al mercato internazionale del trasporto di merci su strada, all'articolo 8 circoscrive la durata complessiva del cabotaggio all'interno di sette giorni e fissa nel numero di tre le operazioni massime ammesse in tale periodo;
   in conclusione, a giudizio degli interroganti, l'assunzione di personale comunitario di Paesi stranieri per il trasporto interno dovrebbe essere valutato in termini di osservanza delle normative europee, tenuto conto anche del regolamento n. 1072/2009. Inoltre, si rende necessario sottoporre al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la questione relativa alla vertenza Arcese, per la salvaguardia dei livelli occupazionali, viste anche le concessioni degli ammortizzatori sociali dal 2009 al 2015, nonché i 18,6 milioni di euro erogati da Trentina Sviluppo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   se il Ministro interrogato sia intenzionato a convocare un tavolo ministeriale con tutte le organizzazioni sindacali, l'azienda e gli enti locali interessati al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e raggiungere un'intesa che possa escludere completamente i licenziamenti dei lavoratori del gruppo Arcese, garantendo agli stessi la conservazione del posto di lavoro e tutelandone integralmente i diritti;
   se il Ministro interrogato, vista la crisi economica ed occupazionale, alla luce dei numerosi cicli di cassa integrazione e mobilità riconosciuti anche al gruppo Arcese, non intenda avviare una procedura ispettiva e di monitoraggio nei confronti dell'azienda in questione, adottando tutte le iniziative necessarie, per quanto di competenza, al fine di valutare il rispetto della normativa italiana – in materia erogazione di ammortizzatori sociali – e della normativa europea – in materia di assunzioni di personale comunitario – tenuto conto anche degli accordi raggiunti con gli enti pubblici e delle sovvenzioni pubbliche erogate pari a circa 18,6 milioni di euro. (5-05887)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BURTONE, ALBANELLA, CARDINALE, MOSCATT, GALPERTI, SCHIRÒ, AMATO, ANZALDI, BOCCADUTRI, MINARDO, GAROFANI, LODOLINI, FERRARI, VILLECCO CALIPARI, MORETTO, GRASSI, VICO, MARAZZITI, PIEPOLI, GINEFRA, MAGORNO, FERRO, BOCCUZZI, BATTAGLIA, STELLA BIANCHI, PICCIONE, BERRETTA, CAPONE, MARIANO, DONATI, CHAOUKI e LAURICELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da diverse settimane e da ultimo in occasione del Festival dell'economia che si è svolto a Trento il presidente dell'Inps, Tito Boeri, ha annunciato entro giugno una proposta «chiavi in mano» al governo per tutelare coloro che si trovano in una fascia di età compresa tra i 55 e i 65 anni che perso il lavoro non hanno ancora maturato il diritto per l'accesso alla pensione;
   sempre secondo il presidente dell'Inps «bisogna garantire protezione sociale da 55 anni in su, ovvero quando il lavoro lo ritrova solo uno su dieci»;
   è evidente che in un contesto sociale duramente provato dalla crisi e con il problema degli esodati ancora da risolvere tale proposta suscita un notevole interesse;
   fino ad ora il ricorso agli ammortizzatori sociali in deroga ha consentito di tamponare situazioni sociali molto delicate;
   il superamento di questo regime con l'emanazione del decreto interministeriale 83473 del primo agosto 2014 che ha diviso la platea della mobilità in deroga l'ultimo stadio prima dei baratro per molti lavoratori tra chi ne ha beneficiato per più di tre anni consecutivi e chi meno di tre anni ha posto un problema prioritario che è quello appunto di tutelare chi si trova prossimo al raggiungimento dei requisiti previdenziali ma non avendo lavoro e non avendo possibilità di trovarlo rischia di trovarsi in una terra di nessuno;
   molte regioni stanno introducendo forme di tutela parziali che non garantiscono uniformità di trattamento tra lavoratori nelle stesse condizioni;
   dal 1o gennaio 2017 sarà definitivo il superamento del sistema degli ammortizzatori in deroga;
   poiché siamo agli inizi di giugno e si è parlato del fatto che tale proposta di tutela possa concretizzarsi entro questo stesso mese –:
   se davvero tale proposta risulti essere di interesse del Governo e in quali termini e in quali tempi sarà possibile declinare una effettiva tutela dei lavoratori ultracinquantacinquenni al fine di farli uscire dal terribile limbo sociale nel quale si trovano e consentirgli la possibilità di accedere a forme di protezione sociale in attesa del raggiungimento dei requisiti previdenziali.
(4-09573)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 marzo 2014 l'interrogante ha depositato l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04110 (alla quale non è stata ancora data risposta, nonostante quanto previsto dall'articolo 134 del Regolamento) concernente il dramma dei lavoratori dei consorzi rifiuti di Benevento;
   da allora, la situazione si è evoluta e vi sono state ulteriori novità, anche se non quella più importante, ovvero la ripresa del pagamento degli stipendi dei dipendenti, i quali rimangono a tutt'oggi senza salario;
   inutile evidenziare le gravi situazioni di disagio segnalate all'interrogante in famiglie che ormai da anni non percepiscono più il reddito, in molti casi l'unico su cui poter in passato fare affidamento;
   la sezione controversie del lavoro e di previdenza ed assistenza sociale della corte d'appello di Napoli ha condannato con sentenza del 14 maggio 2014 il consorzio BN2 a reintegrare e pagare i relativi emolumenti, ma il commissario, mostrando ad avviso dell'interrogante totale disinteresse a quanto sancito dai giudici, ha deciso di ricorrere in Cassazione;
   in riferimento ai licenziamenti intimati ai lavoratori dei consorzi di bacino dal commissario del BN1, la direzione generale ORMEL della regione Campania, con una nota del 19 febbraio 2015, ha ritenuto di essere impossibilitata all'inserimento dei lavoratori nelle liste di mobilità essendo i consorzi di natura pubblicistica. Pertanto, è stata finalmente statuita la natura giuridica dei consorzi e dei lavoratori quali pubblici dipendenti, non potendosi attuare le forme di ammortizzatori sociali in deroga secondo i dettami normativi che si applica al settore del privato ovvero i licenziamenti collettivi di cui alle procedure previste dalla legge n. 223 del 1991. I lavoratori hanno opposto tali procedure dinanzi al tribunale del lavoro di Benevento;
   infine, occorre segnalare che con la legge regionale 27 gennaio 2014, n. 5, la regione Campania ha provveduto al riordino della gestione del ciclo integrato dei rifiuti mediante la nascita di un nuovo ATO. Ad oggi tale organismo, nella provincia di Benevento, non è ancora operativo nonostante siano stati esercitati i poteri sostitutivi da parte della regione Campania mediante la nomina di un commissario ad acta il cui compito era quello di provvedere alla sottoscrizione della convenzione a causa dell'inadempienza dei comuni –:
   quali azioni abbia intrapreso il Ministro interrogato in merito alla vicenda denunciata in premessa dalla data di presentazione dell'interrogazione a risposta scritta n. 4-04110;
   se il Governo, nel rispetto dei vari livelli di competenza, non ritenga di dover intervenire a tutela dei diritti dei lavoratori. (4-09588)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'INCECCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in base al comma 381 della legge del 23 dicembre 2014, n. 190, il commissario straordinario, dottor Salvatore Parlato, sta elaborando un piano di riorganizzazione dell'ente CRA, il più importante ente pubblico nazionale con competenza scientifica generale nel settore agricolo, agroalimentare, agroindustriale, ittico e forestale, vigilato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   nell'ultima bozza del piano, presentata l'8 maggio, è previsto il trasferimento della storica sede di città Sant'Angelo (Pescara), già Istituto sperimentale per elaiotecnica, oggi Centro CRA-OLI;
   questa sede viene collocata all'interno del Centro di ricerca per le trasformazioni agroalimentari e i processi agro-industriali, ma la sua mission viene trasferita in altra sede fuori regione. Privata della mission e conseguentemente di tutto il resto la sede di città Sant'Angelo è destinata ad essere chiusa;
   il Centro di ricerca per l'olivicoltura e l'industria olearia (CRA-OLI) si dedica alla biologia, alla genetica, al miglioramento genetico e alla selezione varietale dell'ulivo. Collabora con il Centro di ricerca per la genomica e la post-genomica animale e vegetale per l'identificazione e la caratterizzazione di geni utili e per lo sviluppo di metodologie biomolecolari di supporto al miglioramento genetico. Studia le tecniche di coltivazione e di difesa della specie con particolare riferimento alle tecniche di produzione integrata e biologica. Sviluppa attività di ricerca relative alla raccolta, conservazione e relativa chimica del frutto sia per la trasformazione in olio che per il consumo fresco. Si occupa della caratterizzazione delle cultivar locali e delle relative produzioni in un'ottica di valorizzazione del binomio territorio-prodotto. Sviluppa le attività scientifiche relative all'elaiotecnica, elaiochimica, alle tecniche per la conservazione dell'olio e per la tracciabilità delle produzioni. Studia i problemi legati allo smaltimento e utilizzazione dei reflui dell'industria olearia;
   l'enorme bagaglio di conoscenze che i lavoratori della sede angolana hanno acquisito in anni di ricerche e di sperimentazioni ha contribuito in maniera fondamentale all'implementazione delle norme relative alla tutela e valorizzazione degli oli di oliva e delle olive da tavola;
   il Centro ha inoltre svolto un ruolo determinante nella definizione del metodo organolettico del Panel Test per la classificazione degli oli di oliva vergini e dispone di un panel di assaggiatori riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale (COI-Consiglio oleicolo internazionale);
   i risultati raggiunti con grande professionalità e passione dai lavoratori del CRA-OLI di città Sant'Angelo costituiscono oggi un valido e prezioso supporto scientifico e tecnico per olivicoltori, frantoiani e industria dell'olio di oliva e delle olive da tavola;
   la paventata chiusura delle storica sede angolana mette seriamente a rischio il futuro dei lavoratori, le competenze e il patrimonio tecnico-scientifico, con gravi ripercussioni sull'intera comunità agroindustriale olearia e sui servizi –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per risolvere positivamente la questione e salvaguardare la sede angolana, i posti di lavoro e le conoscenze acquisite in anni di ricerche che hanno permesso di valorizzare e migliorare la qualità dell'olio d'oliva, uno dei prodotti simbolo del Made in Italy e uno dei pilastri della dieta mediterranea. (4-09566)


   CIRIELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'isola di Zannone fa parte dell'arcipelago delle isole ponziane, in provincia di Latina e dal 1979, grazie alla sua straordinaria rilevanza di carattere paesaggistico e ambientale, è entrata a far parte del parco nazionale del Circeo;
   il corpo forestale dello Stato, per il tramite del coordinamento territoriale per l'ambiente di Sabaudia (LT), ai sensi della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991, si occupa della sorveglianza e della tutela di questo preziosissimo lembo di macchia mediterranea;
   è un grosso impegno del Corpo forestale dello Stato, che le guardie forestali esplicano volentieri con entusiasmo consci del grande valore naturalistico dell'isola, una delle poche zone che mantengono quasi del tutto integre le caratteristiche della flora e della fauna tipiche del mediterraneo;
   nonostante ciò, nel corso della stagione estiva 2015 i servizi di vigilanza da parte del Corpo forestale dello Stato rischiano di non poter essere svolti in quanto la squadra nautica locale del Corpo sarebbe attualmente ferma;
   tale situazione renderebbe infatti difficoltoso un regolare trasporto di personale e i materiali verso l'isola;
   la vulnerabilità del sistema ambientale è di elevato livello soprattutto nei mesi estivi –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per convocare, con estrema urgenza, un tavolo presso l'ispettorato generale del Corpo forestale dello Stato congiuntamente ai vertici e ai tecnici del parco nazionale del Circeo al fine di risolvere la descritta situazione di stallo e ripristinare i regolari servizi di polizia e di conservazione sull'isola di Zannone, avvalendosi, se necessario, anche di collaborazioni temporanee di altre amministrazioni statali, quali la capitaneria di porto.
(4-09569)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   OTTOBRE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'intesa raggiunta in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano il 16 dicembre 2010, relativa alle «linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», ha stabilito la permanenza dei punti nascita con un numero di parti all'anno pari o superiore a 500;
   tale requisito ha tolto, così, almeno il 30 per cento dei punti nascita presenti sul territorio nazionale, secondo i dati del 2013 forniti dalla banca dati SDO del Ministero della salute, senza tenere in considerazione la particolare situazione orografica delle regioni alpine, dove i punti nascita sono raggiungibili con notevole difficoltà, soprattutto nel periodo invernale che, come noto, in quelle zone è notevolmente prolungato, e dove c’è anche il problema della mancanza di bacino di utenza che, con tali scelte politiche, si contribuisce solo ad alimentare;
   in Austria, Germania e Svizzera, invece, sono state fatte scelte diverse, più flessibili e più ragionevoli per le esigenze dei cittadini, nonostante tali Paesi debbano rispettare le medesime linee di indirizzo internazionali, con la «pronta disponibilità sostitutiva» di ginecologi, anestesisti e pediatri che garantiscono una rapidità di intervento di 10 minuti;
   tutto ciò ha comportato che le regioni che non hanno il problema della presenza di zone montane o disagiate sono già riuscite a riorganizzare il percorso nascita, con la chiusura di 60 strutture tra il 2010 e il 2013, mentre le regioni dell'arco alpino e quelle che presentano difficili condizioni territoriali quali la distanza, l'orografia, nonché difficoltà a garantire il servizio di trasporto assistito materno (STAM) e il servizio di trasporto d'emergenza neonatale (STEN) ancora non riescono a riorganizzarsi;
   tale problema è quanto mai sentito in Trentino, dove la pura applicazione dell'intesa del 16 dicembre 2010 comporta la chiusura di diversi punti nascita con tutte le ripercussioni, principalmente in termini di sicurezza della vita delle madri e dei nascituri, ma anche politiche, che tutto ciò sta determinando –:
   se ritenga possibile avviare un progetto pilota a livello nazionale, volto ad aggiornare e rivedere gli standard fissati nell'accordo Stato-regioni e province autonome del 2010, al fine di verificare se siano ammissibili modalità organizzative più flessibili e idonee a garantire un servizio efficiente per i cittadini, anche al di sotto della soglia dei 500 parti all'anno, almeno nelle zone montane e disagiate, purché siano rispettati gli standard qualitativi, di efficienza e di appropriatezza stabiliti dall'accordo stesso. (5-05875)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO e PIAZZONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli ftalati sono prodotti chimici che vengono aggiunti alle materie plastiche per migliorarne la flessibilità e la modellabilità. Sono sostanze tossiche per la riproduzione, soggette a restrizione europea: il loro utilizzo non è consentito a concentrazioni superiori allo 0,1 per cento né nei giocattoli, né negli articoli destinati all'infanzia; il motivo della restrizione è dovuto al pericolo di esposizione che può derivare dal masticare o succhiare per lunghi periodi di tempo oggetti che contengono ftalati;
   a partire dal 2005, la presenza di ftalati nei giocattoli e il conseguente ritiro dal commercio in vari Paesi europei viene segnalato sistematicamente nel sistema RAPEX, sistema comunitario di informazione rapida sui prodotti non alimentari per proteggere i consumatori europei dai prodotti pericolosi. Dal 2008, una media di più di 110 notifiche l'anno riguarda questa categoria di prodotti pericolosi, per la presenza degli ftalati oltre al limite consentito;
   in Italia, ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo 14 settembre 2009, n. 133, il fabbricante e l'importatore, che immettano sul mercato giocattoli, in violazione, con concentrazione di ftalati superiori allo 0,1 per cento incorrono in una sanzione penale, che prevede l'arresto fino a tre mesi o l'ammenda da 40.000 a 150.000 euro;
   gli ftalati, in particolare il DEHP, distruttore endocrino, a basso peso molecolare, rientrano in categoria 113 e sono classificati come sostanze estremamente preoccupanti (SVHC) dalla normativa REACH del febbraio 2011;
   il DEHP è presente in numerosissimi presidi medici plastici utilizzati negli ospedali pediatrici, in reparti di pediatria, ostetricia e ginecologia e nell'assistenza quotidiana domiciliare ai bambini disabili. Questi presidi possono essere temporanei, ma anche impiantati direttamente nel corpo o tenuti in esso in permanenza per anni, come sondini nasogastrici, sonde endotracheali per aspirazioni, peg, cateteri venosi, cateteri vescicali, prodotti medici di terapia intensiva neonatale, drenaggi, stomie, guanti, linee di infusione, dialisi peritoneali, raccordi, sacche, kit di nutrizione enterale e parenterale. Inoltre, i prodotti medicali in PVC hanno un costo maggiore, generalmente il doppio, dei presidi medici in cui c’è la presenza di ftalati, e in alcuni casi vengono addirittura esclusi dai bandi aziendali con i fornitori di presidi medici –:
   se il Governo sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se intenda assumere iniziative vista la mancanza di normativa di settore, per vietare la presenza degli ftalati nei prodotti medicali destinati od utilizzati sui bambini e le donne in stato di gravidanza. (4-09572)


   NASTRI, FALCONE, ALLASIA, GRIBAUDO e SIMONETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della delibera 1-600, dello scorso 19 novembre 2014 integrata con quella dello scorso 23 gennaio 2015, la giunta regionale del Piemonte, ha indicato le linee d'indirizzo per lo sviluppo della rete territoriale e degli adeguamenti della rete ospedaliera in coerenza con gli standard richiesti dalla legge n. 135 del 2012 e del Patto per la Salute 2014/2016;
   la suindicata delibera 1-600, a giudizio degli interroganti, sebbene si prefigga l'obiettivo di applicare il cosiddetto «Regolamento Balduzzi», utilizza una metodologia per il calcolo dei posti letto ospedalieri normalizzati, di cui all'Allegato A della deliberazione medesima, palesemente incoerente con tale finalità;
   nel conteggio dei posti letto, si considerano infatti le giornate di degenza erogate nel 2013 e non del numero dei casi (con il criterio di appropriatezza) assegnati che dovrebbero essere moltiplicati per il parametro della degenza media regionale per singola disciplina (con il criterio di efficienza);
   a tal fine, gli interroganti evidenziano, che l'articolo 15, comma 13, lettera c) del decreto-legge n. 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, stabilisce che le Regioni adottino provvedimenti di riduzione dello standard dei posti letto accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale «(...) sulla base e nel rispetto degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera fissati, entro il 31 ottobre 2012, con regolamento approvato ai sensi dell'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 ...». e che a seguito del medesimo intervento legislativo è stato successivamente emanato dal Ministero interrogato, il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (cosiddetto «Regolamento Balduzzi»);
   il Regolamento Balduzzi, al punto 3.2 dell'allegato, individua le modalità per la determinazione del numero di posti letto per disciplina. In particolare, la metodologia individuata dal Regolamento parte «dai ricoveri appropriati per ciascuna disciplina», considerando «per ciascuna disciplina, la degenza media per ricoveri ordinari e per ricoveri diurni e il tasso di occupazione standard», per calcolare il numero regionale totale di posti letto;
   gli interroganti rilevano altresì che all'interno del «Regolamento Balduzzi», al quale la regione Piemonte si ricollega nei principi dei suoi deliberati, si provveda alla corretta «pesatura» della popolazione residente, anche in base alle sue caratteristiche, quindi, a dare coerenza alla determinazione del fabbisogno per singole specialità, come espressamente stabilito dai punti 1, 2, 3 e 4 dell'Allegato 1 del Regolamento medesimo, nonché al punto 3.2, punto 1 che prevede: «Identificare, partendo dai ricoveri appropriati per ciascuna disciplina, il tasso di ospedalizzazione che, prendendo in considerazione la struttura della popolazione e la mobilità attività/passiva “strutturale”, porta complessivamente ad un dato compatibile con l'obiettivo nazionale»;
   a giudizio degli interroganti, risulta ineludibile constatare che la corretta determinazione, per ciascuna disciplina specialistica, del tasso di degenza media in base a requisiti di appropriatezza dei ricoveri, consiste nell'accertamento preliminare indispensabile per provvedere alla corretta stima del fabbisogno, e per procedere con la stessa coerenza alla riduzione di posti letto per ogni disciplina;
   al riguardo la suindicata procedura, a parere degli interroganti, impone la verifica che il richiamato decreto-legge n. 95 del 2012 da cui trae origine il «Regolamento Balduzzi», si pone nell'ottica di provvedere alla riduzione dei posti letto in base all'effettivo fabbisogno territoriale di ricoveri e prestazioni;
   la metodologia invece utilizzata dalla regione Piemonte per il calcolo dei posti letto ospedalieri normalizzati, in apparente difformità con quanto previsto dal citato regolamento, a parere degli interroganti, parte dalle giornate di degenza, invece che dal numero di ricoveri, senza effettuare alcuna analisi specifica di disciplina, né per la degenza media, né per il tasso di occupazione;
   la deliberazione in oggetto pertanto prescinde completamente da una stima del fabbisogno effettivo ma determina l'esigenza del servizio sanitario regionale sulla base del dato storico delle percentuali di occupazione dei posti letto accreditati;
   a giudizio degli interroganti inoltre tale metodologia, penalizzando i comportamenti virtuosi (indice comparativo di performance <h 1) e premiando le inefficienze organizzative (indice comparativo di performance >g 1), determina risultati fuorvianti in termini di fabbisogno di posti letto ospedalieri per acuzie, tanto da concludere che, in Piemonte, siano sufficienti 2,6 posti letto per mille abitanti, a fronte dei 3, individuati dalla programmazione nazionale come standard di riferimento, ma soprattutto, a fronte degli attuali 2,9 (dato inferiore a quello ritenuto congruo dalla legge n. 135 del 2012, che la Deliberazione della Giunta Regionale 19 novembre 2014, n. 1-600 intende attuare in Piemonte);
   con riferimento alla soglia di accredito, indicata nel Regolamento Balduzzi il limite di 60 posti letto per acuti è da intendersi sul numeri di posti letto accreditati al 1o gennaio 2014 e non sul numero di posti letto normalizzati derivante dall'applicazione del Regolamento come è invece intervenuta la regione Piemonte;
   la sopradescritta metodologia di calcolo piemontese utilizzata nella delibera 1-600 in considerazione delle norme dettate dalla disciplina nazionale, che prevedono che l'accreditamento ai privati non è concedibile per strutture con numero di letti inferiore ad 80 e determinerà in definitiva, a parere degli interroganti, (per la maggior parte delle strutture già accreditate) un numero di posti letto nettamente inferiori, determinando dunque, quale sconcertante effetto indotto perfino la perdita dell'accreditamento –:
   di quali elementi disponga e quali iniziative intenda assumere in relazione alla puntuale attuazione di quanto stabilito dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, con particolare riferimento alle decisioni assunte dalla regione Piemonte descritte in premessa;
   se, essendo la regione Piemonte in regime di piano di rientro dal disavanzo sanitario, le scelte descritte in premessa abbiano effetti sull'andamento della spesa sanitaria e sull'erogazione dei livelli essenziali di assistenza;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di eventuali deroghe previste per la regione Piemonte nell'applicazione del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, cosiddetto «Regolamento Balduzzi», e, in caso affermativo, se intenda renderne noto il contenuto. (4-09578)


   SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il divieto alla vendita e al consumo delle anguille pescate nel lago di Garda, entrato in vigore con l'ordinanza del 2011 recante «Misure urgenti di gestione del rischio per la salute umana connesso al consumo di anguille contaminate provenienti dal lago di Garda», è stato prorogato in questi giorni dal Ministero della salute fino a giugno 2016, poiché l'Istituto zooprofilattico sperimentale per l'Abruzzo e il Molise, riferimento nazionale per l'analisi delle diossine e i policlorobifenili contenuti in mangimi e alimenti destinati al consumo umano, avrebbe esaminato in questi giorni delle anguille pescate sulla sponda bresciana del Garda ed emesso giudizio negativo, dichiarando di aver rilevato: «elevati livelli di diossine e pcb»;
   in particolare, dall'analisi di campioni di prodotti ittici del lago di Garda sarebbe emerso che nelle anguille, nel 38 per cento dei casi, vi sarebbero concentrazioni di derivati di diossina o pcb superiori ai limiti consigliati, e dunque pericolose per l'uomo, come riportato nella relazione dell'Istituto zooprofilattico sperimentale, condivisa con il Centro di referenza per l'epidemiologia veterinaria, la programmazione, l'informazione e l'analisi del rischio (COVEPI);
   il divieto alla pesca e al consumo di anguille del Garda era scattato per la prima volta nella primavera del 2011, quando le analisi su alcune anguille prelevate nell'area veronese del lago avevano evidenziato, in alcuni esemplari, concentrazioni di diossine e pcb superiori ai limiti previsti dalla normativa vigente;
   sembra che le diossine si depositino con più facilità nelle carni grasse delle anguille, anche perché questi pesci si muovono spesso sul fondo del lago, dove, nel corso degli anni, si sono depositati oli industriali contenenti pcb, divenuti fuorilegge solo nel 1984;
   si conferma, in questo modo, l'esistenza nella provincia di Brescia, di un secondo «caso pcb», dopo l'emergenza sanitaria e ambientale di contaminazione diffusa da policlorobifenili e diossine, che interessa vaste aree collocate nel comune di Brescia, limitrofe alla ex-fabbrica Caffaro, dove vivono più di 25 mila tra uomini, donne e bambini, che, sono a tutt'oggi a rischio di contaminazione;
   la pericolosità dei pcb e le loro potenzialità tossiche sono tristemente note dagli anni settanta: l'esposizione ai pcb al di sopra dei limiti evidenziati dalla ricerca medico-scientifica e definiti dal legislatore, avrebbe effetti patogeni di vario tipo: alterazioni al funzionamento di fegato e pancreas, alterazioni a carico del sistema immunitario, fino al loro grave e riconosciuto effetto cancerogeno (IARC 2013) –:
   se il Governo sia al corrente del problema esposto in premessa e se non consideri necessario attivarsi, per quanto di competenza, per monitorare la situazione e fare chiarezza sulle cause di tale contaminazione;
   se il Governo non intenda informare adeguatamente la cittadinanza. (4-09586)


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI, FRUSONE e VIGNAROLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la salute è un diritto fondamentale, tutelato dalla Costituzione;
   Arpa Lazio ha effettuato analisi su campioni di acqua prelevati dai servizi igienici e dai punti di erogazione idrica degli uffici dell'ACEA spa siti in via delle Cave Ardeatine 2 di cui è amministratore delegato il signor Irace Alberto, riscontrando in data 5 giugno 2015 esiti positivi per presenza di legionella;
   in data 9 giugno 2015 l'azienda sanitaria locale RM/A con n. prot. 47243 richiede al dipartimento politiche sociali, sussidiarietà e salute l'adozione di provvedimento di chiusura immediata dei servizi igienici e dei punti di erogazione idrica degli uffici siti in via delle Cave Ardeatine 2 a tutela della salute pubblica fino ad avvenuta bonifica dell'impianto idrico stesso e a ulteriori esiti analitici negativi;
   in data 11 giugno 2015 il direttore di direzione del dipartimento politiche sociali, sussidiarietà e salute firma una determinazione dirigenziale, notificata il 12 giugno 2015, avente come oggetto «sospensione e chiusura immediata dei servizi igienici e dei punti di erogazione idrica degli uffici ACEA spa per Legionella siti in Via delle Cave Ardeatine 2 di cui in qualità di amministratore delegato è il signor Irace Alberto»;
   in data 13 giugno 2014 l'amministratore delegato e direttore generale di Acea spa il signor Irace Alberto con n. prot. 48 del 13 giugno 2015 comunica l'avvenuta bonifica degli impianti idrici, dei servizi igienici e dei punti di erogazione idrica degli uffici Acea spa siti in piazzale Ostiense, 2 e non in via delle Cave Ardeatine 2 in quanto all'appena menzionato civico non risultano immobili riconducibili alla sua persona;
   sempre nella stessa nota il signor Irace scrive che dopo aver ritenuto che detto provvedimento potesse riferirsi alla loro sede in piazzale Ostiense 2 ha provveduto ad una puntuale bonifica, ad opera di una ditta specializzata, (Società Elabori ex Laboratori spa) mediante iperclorazione, di tutti gli impianti idrici interni all'azienda;
   sempre nella stessa nota il signor Irace chiede un urgente intervento di nuovo campionamento e analisi, urgente in quanto negli uffici in questione si svolgono attività riconducibili all'erogazione di servizi essenziali di pubblica utilità che non sono interrompibili;
   infine, precisa che fino a comunicazione di esito negativo delle nuove analisi, a titolo di massima cautela e salvaguardia della salute dei lavoratori, ha disposto la chiusura e totale inaccessibilità dei locali relativi a tutti i servizi igienici e punti di erogazione idrica oggetto del menzionato campionamento;
   nella sede in via Ostiense 2 ci sono oltre mille dipendenti nei nove piani dell'edificio, un asilo nido aziendale, un punto di ristoro ed un salone del pubblico dove stazionano quotidianamente centinaia di cittadini-utenti;
   in data 16 giugno 2015 gli RSL (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) in una nota sostengono di essere stati tenuti all'oscuro di questa vicenda e inviano alla procura della Repubblica di Roma la richiesta di intervento urgente in merito al mancato rispetto delle prescrizioni previste dalla legislazione vigente ed alle «autorità sanitarie» la sollecitazione a svolgere le verifiche di tutti gli impianti di aerazione e di distribuzione idrica nell'edificio principale di piazzale Ostiense 2;
   in un articolo di Affari Italiani viene riportato dai sindacati quanto segue «... si comunica che, dopo analisi da parte dell'Arpa Lazio dove si evidenziava la presenza di legionella nella sede di Piazzale Ostiense, 2, l'erogazione dell'acqua non è stata interrotta e l'utilizzo dei servizi igienici non è stato interdetto»; si chiede un intervento sollecito in virtù dell'articolo 650 del codice penale che prevede «se il fatto non costituisce un più grave reato con l'arresto sino a tre mesi...»;
   l'informativa della ASL ROMA A è scattata già il 18 maggio 2015 quando un lavoratore si è sentito male ed è stato ricoverato all'ospedale Spallanzani. La diagnosi effettuata dai sanitari ha accertato la presenza del batterio killer ed ha prontamente segnalato il caso;
   sempre nella nota del RLS si legge «Lunedì, a distanza di molti giorni, la conferma è arrivata da due comunicati contraddittori inviati a tutto il personale, mentre ieri dalla riunione svolta dal direttore del personale Paolo Zangrillo con gli RLS si sono scoperte diverse verità. «Durante i controlli – ha detto Zangrillo – abbiamo trovato al 3o piano nel boiler dell'acqua calda il batterio della legionella e si è proceduto alla iperclorazione». Dal racconto è emerso, tra l'altro, che già da maggio era noto quanto successo ed infine che «gli impianti, le stanze ed i locali del palazzone di piazzale Ostiense non sono stati sottoposti a massicci interventi di sanificazione, né informazioni in proposito sono fornite fino ad oggi»;
   il quadro normativo-regolamentare è delineato dalle «Linee guida per la prevenzione ed il controllo della legionellosi», approvate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 5 maggio 2000, n. 103, un documento che sembra non tener conto di alcuni metodi di bonifica e di profilassi messi a punto recentemente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopracitati;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere, anche promuovendo una verifica ispettiva del Comando dei carabinieri per la tutela della salute, per monitorare le condizioni igienico-sanitari della struttura e garantire il rispetto delle prescrizioni previste dalla normativa vigente;
   se il Ministro intenda promuovere la revisione delle linee guida nazionali del 2000 al fine di includere i nuovi e più efficaci metodi ed anche le condizioni dettagliate di impiego dei nuovi metodi di sanificazione. (4-09591)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VENTRICELLI, GRASSI, MARIANO, BOCCIA, MONGIELLO, PELILLO, CAPONE, VICO e GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è notizia attuale, riportata in queste ultime ore anche dai maggiori organi di stampa, che la «SO.G.I.N. S.P.A.» – società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi –, ha consegnato all'ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) a ospitare quello che sarà il deposito nazionale delle scorie nucleari;
   dall'ISPRA la documentazione passerà al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che dovranno deliberare e dare il via libera alla pubblicazione della carta, che presumibilmente dovrebbe essere pronta per il mese di luglio 2015; a pubblicazione avvenuta ci saranno quattro mesi di consultazione pubblica e un seminario nazionale dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti interessati – dalle istituzioni alle associazioni ambientaliste, passando per il mondo scientifico –, e dopo tale periodo si potrà dare il via alla costruzione del deposito che dovrebbe iniziare nel 2020, perché possa essere attivo a partire dal 2024, con una spesa stimata per un costo totale di 1,5 miliardi di euro;
   il deposito sarà una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie, progettata sulla base delle esperienze internazionali e secondo i più recenti standard AIEA (Agenzia internazionale energia atomica) che consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila di rifiuti ad alta attività; dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   nonostante una possibile rosa di luoghi, non è ancora stato stabilito con esattezza dove sorgerà il deposito: tra i parametri di cui si dovrebbe tenere conto per decidere il posto considerato più idoneo a ospitare le scorie, si dovrà considerare la sismicità della zona, la presenza di zone protette e parchi naturali, la presenza di miniere e poligoni di tiro, la presenza di lagune o dighe; inoltre il luogo dove nascerà il deposito nazionale italiano non potrà essere sopra i 700 metri di quota né sotto i 20 metri sul livello del mare, non potrà essere a meno di cinque chilometri dal mare né a meno di un chilometro da ferrovie o strade particolarmente trafficate, inoltre il deposito di scorie nucleari non potrà essere costruito in vicinanza di fiumi o di aree abitate;
   a quanto è dato di sapere al momento, i prodotti di scarto del nucleare in Italia potranno essere collocati entro un centinaio di siti individuati dalla «SO.G.I.N. S.P.A.» entro una dozzina di diverse regioni; il progetto per la costruzione del sito vedrebbe la costruzione di un deposito di superficie dove i barili dovrebbero essere coperti da tre diversi tipi di protezioni in calcestruzzo e in cemento e posti in celle sigillate e impermeabilizzate, e la costruzione di un centro di ricerca specializzato nel decommissioning; si stima che il luogo dove sorgerà l'impianto potrà tornare utilizzabile dopo circa tre secoli da un eventuale smantellamento, considerando però, come già detto, che il deposito immagazzinerà solo scorie radioattive di intensità bassa o media, poiché allo stato attuale non è in programma la costruzione di un cimitero per scorie altamente radioattive;
   tenendo dunque conto dei criteri già indicati, gli esperti ministeriali e della «So.g.i.n. S.p.a.» avrebbero indicato tra i luoghi preposti alla costruzione del deposito Puglia, Lazio, Toscana, Veneto, Basilicata e Marche come leoni più adatte per ospitare la struttura; nonostante dopo l'invio degli elenchi, i criteri potrebbero subire delle modifiche; come già detto la pubblicazione della mappa dei siti idonei ad ospitare il deposito nazionale sarà seguita da una fase di consultazione pubblica, che culminerà nel seminario nazionale dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti interessati, e solo al termine di questa complicato iter si arriverà a una versione aggiornata della carta dei siti. Quindi si procederà all'acquisizione di possibili manifestazioni di interesse da parte di regioni ed enti locali: in assenza di adesioni spontanee, e se non si dovesse arrivare ad una scelta concordata, a decidere sarà il Consiglio dei ministri, ipotesi che vedrebbe coinvolto il Governo in maniera diretta –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario intervenire affinché vengano messe al più presto in atto indagini specifiche per determinare se realmente i territori in questione siano adatti ad ospitare un simile deposito e, nel caso in cui la scelta di costruirlo sia imprescindibile, quali reali soluzioni si intendano porre in essere perché vi siano meno danni possibile per i cittadini e il nostro Paese;
   nel caso si tratti effettivamente di scegliere la regione Puglia, se esista realmente un luogo che abbia tutti i requisiti per poter costruire in sicurezza il deposito;
   se non ritengano di dover smentire questa possibilità e intervenire per disporre un cambio di rotta deciso sulla collocazione del deposito unico nazionale e, in particolare, se non ritengano di dover escludere la regione Puglia da questa ipotesi. (5-05876)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Stella Bianchi n. 7-00711, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Borghi, Braga, Bratti, Carrescia, Cominelli, Mariani, Morassut, Manfredi, Giovanna Sanna, Arlotti, Gnecchi, Amato, Lodolini, Marchi, Piazzoni, La Marca, Venittelli.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Carocci e altri n. 3-01567, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sgambato.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Terzoni n. 4-04556 del 17 aprile 2014;
   interpellanza urgente Burtone n. 2-00995 del 4 giugno 2015;
   interrogazione a risposta scritta Barbanti n. 4-09373 del 5 giugno 2015;
   interpellanza urgente Sisto n. 2-01011 del 16 giugno 2015.