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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 9 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la Commissione europea ha inviato una diffida all'Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, nella sostanza si vuole imporre al nostro Paese, per mere logiche dettate dalle lobby delle multinazionali e non dal diritto alla salute e alla conoscenza del prodotto, di produrre formaggi senza latte;
   la diffida (del 29 maggio 2015 procedura d'infrazione n. 2014/4170) è stata inviata perché il nostro ordinamento prevede il divieto di utilizzare polvere di latte per produrre formaggi, yogurt e latte alimentare ai caseifici situati sul territorio nazionale (legge n. 138 del 1974, Nuove norme concernenti il divieto di ricostituzione del latte in polvere per l'alimentazione umana);
   la motivazione giuridica posta a base della diffida dalla Commissione europea, sarebbe la violazione dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   il caso EU-Pilot (EU Pilot 5697/l3/AGRI) nei confronti dell'Italia, per la non conformità al diritto europeo delle norme nazionali sulla fabbricazione di prodotti lattiero-caseari, era stato avviato il 18 novembre 2013, con la raccolta di informazioni da parte della Commissione europea riguardanti il recepimento in Italia della direttiva 2001/114/CE (relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana) del Consiglio del 20 dicembre 2001, impegnandosi a comunicarne successivamente le risultanze;
   la normativa italiana sulla produzione dei prodotti lattiero-caseari ha origine dal regio decreto del 15 ottobre 1925, n. 2033;
   il 2 luglio 2015 il Viceministro delle politiche agricole alimentari e forestali nel rispondere ai question time parlamentari presentati in Commissione agricoltura, ha evidenziato di aver già comunicato alla Commissione europea che, in assenza di un'armonizzazione a livello europeo, tutti i Paesi dell'Unione europea hanno la possibilità di introdurre specifiche disposizioni sulla fabbricazione dei formaggi, con speciale riferimento alle previsioni di produzione e alle materie prime utilizzabili e che, l'eventuale abrogazione della legge n. 138 del 1974 avrebbe provocato un vuoto normativo in un settore tradizionale e fondamentale dal punto di vista socio-economico per il nostro Paese;
   la Commissione ha evidenziato al riguardo come, a livello europeo, vi siano già specifiche protezioni per la politica della qualità (DOP e IGP). Come possibile alternativa al divieto, la Commissione europea ha suggerito di utilizzare un sistema di etichettatura per informare i consumatori dell'eventuale presenza di latte in polvere;
   la Commissione europea ritiene che la legge italiana in materia della tutela della qualità delle produzioni rappresenti una restrizione alla «libera circolazione delle merci», essendo che la polvere di latte e il latte concentrato sono di utilizzo comune in Europa per la produzione di formaggi di dubbia se non di pessima qualità (i maggiori produttori europei di latte in polvere sono la Germania e la Francia). Altri elementi critici sono la non conoscenza della filiera di produzione, gli standard igienico-sanitari, la quantità ormonale contenuta, la tracciabilità del prodotto di tali surrogati e le conseguenze a medio-lungo periodo sulla salute umana;
   l'adeguamento normativo che l'Europa ci chiede è, di fatto, una vera e propria deregolamentazione dei sistemi dei controlli di cui il nostro Paese è leader nel mondo e, la diretta conseguenza, sarà un non contrasto delle sofisticazioni e delle adulterazioni, all'aumento di tali reati che non verranno più perseguiti qualora il nostro ordinamento recepisse tale indicazione, oltre alla perdita culturale che la produzione lattiero-casearia nana dei territori con la notevole qualità, diversità, sicurezza e quantità delle produzioni casearie;
   è evidente che alla base di questa scelta della Commissione europea non vi è l'applicazione né del principio di precauzione e né tanto meno la tutela delle produzioni e delle certificazioni di qualità, anzi vi è la messa a repentaglio del made in Italy, per poi addivenire ad adeguamenti ordinamentali che di fatto disperderanno l'evocazione di garanzia che il made in Italy ha nel mondo;
   è indubbio che ci sono i grandi proventi delle multinazionali del settore le quali hanno tutti gli interessi per creare le precondizioni per il Transatlantic trade and investment partnership che si rivelerà la tomba delle produzioni alimentari di qualità e certificate;
   il 31 marzo 2015 è terminato il regime delle quote latte e l'Italia dovrà pagare una multa, circa 41 milioni di euro, per aver splafonato nelle quantità delle quote assegnate al nostro Paese nell'ultima campagna lattiero-casearia. Quindi, se passasse questo pericolosissimo adeguamento normativo sul nostro territorio arriverà latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito a costi bassissimi, di pessima qualità con conseguenze socio-economiche pesantissime per la tenuta degli allevamenti italiani;
   è opportuno ricordare tutti i processi di deregolamentazione nel settore della trasformazione del primario operati finora dalla Commissione europea come, ad esempio, dal vino senza uva (wine kit che promettono di ottenere in pochi giorni le etichette più prestigiose con la semplice aggiunta di acqua), al cioccolato senza cacao, di aumentare la gradazione del vino (vino zuccherato) attraverso l'aggiunta di zucchero nei Paesi del Nord Europa (lo zuccheraggio è sempre stato vietato nei Paesi del Mediterraneo), la possibilità per alcuni tipi di carne di non indicare l'aggiunta di acqua fino al 5 per cento, ma per alcuni prodotti (wurstel, mortadella) tale indicazione può essere elusa, la circolazione libera di imitazioni del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano (cosiddetti similgrana) in tutta Europa o come le mozzarelle dove, una su quattro, non sono prodotte in Italia ma ottenute con semilavorati industriali (cagliate) che provengono dall'estero senza alcuna indicazione in etichetta per effetto della normativa europea. A quanto summenzionato bisogna aggiungere la mancanza di informazioni chiare e definite per l'olio extravergine di oliva ottenuto da olive straniere dove, nella stragrande maggioranza dei casi, è quasi impossibile leggere in etichetta nei supermercati scritte come «miscele di oli di oliva comunitari», «miscele di oli di oliva non comunitari» o «miscele di oli di oliva comunitari e non comunitari», tutto questo a scapito dei consumatori e della sicurezza alimentare;
   è fuor di dubbio che la normativa comunitaria sull'etichettatura va radicalmente rivista e adeguata ai migliori standard qualitativi esistenti nei Paesi virtuosi, come l'Italia, perché è ambigua e contradditoria come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste antinomie giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando visto che, a mo’ d'esempio, due prosciutti su tre venduti come italiani, in realtà non lo sono perché provenienti da maiali allevati all'estero, come del resto anche per il latte a lunga conservazione dove tre cartoni su quattro sono stranieri perché privo dell'indicazione di provenienza;
   le esportazioni di formaggi e latticini italiani nel primo trimestre del 2015 sono aumentate del 9 per cento per effetto della reputazione conquistata a livello internazionale che rischierebbe di essere messa a rischio dalla liberalizzazione dell'uso di latte in polvere;
   il settore lattiero-caseario rappresenta la voce più importante dell'agroalimentare italiano con un valore di 28 miliardi di euro e con quasi 180 mila occupati nell'intera filiera. Ad oggi, sono sopravvissute appena 35 mila stalle che hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte, mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente;
   il via libera alla polvere di latte comporterà l'aumento della dipendenza dall'estero con la chiusura delle stalle, la perdita di posti di lavoro e l'abbandono delle montagne, delle aree collinari e rurali. Per ogni centomila quintali di latte in polvere importato in più, scompaiono 17 mila mucche e 1.200 occupati solo in agricoltura, cui si aggiunge l'elevato costo ambientale perché il processo di trasformazione del latte in polvere in quello fresco, comporta, per il processo di re-idratazione, un elevato consumo di acqua;
   per fare un esempio in Italia sono stati censiti dalle regioni 487 formaggi tradizionali, da un chilo di latte in polvere, che costa sul mercato internazionale 2 euro, è possibile ottenere 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt il tutto con l'identico sapore perché viene meno l'elemento distintivo dei diversi territori: si produrrà l'omologazione e l'appiattimento dei sapori e dei saperi agroalimentari;
   nel primo trimestre del 2015 le importazioni di latte e crema in polvere (privi di proprietà organolettiche) sono aumentate del 16 per cento rispetto allo scorso anno e, circostanza alquanto singolare, che i due terzi delle importazioni provengono dalla Francia e dalla Germania;
   desta preoccupazione commista a indignazione e sconcerto il fatto che le sollecitazioni affinché l'Europa ci mettesse sotto procedura di infrazione siano partite dall'associazione italiana delle industrie lattiero-casearie (Assolatte),

impegna il Governo:

   a porre in essere le azioni necessarie e opportune al fine di evitare che il nostro ordinamento venga deregolamentato, adeguandolo a quello comunitario, a scapito delle produzioni di qualità del lattiero-caseario che utilizzano latte e non latte in polvere, concentrato e ricostituito per la produzione di formaggi;
   ad appellarsi, nelle sedi comunitarie, al principio di sovranità alimentare e sicurezza alimentare e al principio di precauzione al fine di scongiurare che questa alchimia giuridico-lobbistica si traduca in realtà ordinamentale;
   a confutare, in punto di diritto e nelle sedi opportune, la base giuridica posta a fondamento da parte della Commissione europea, che ha prodotto quale conseguenza la diffida nei confronti del nostro Paese, visto che l'articolo 258 del Trattato di Funzionamento dell'Unione europea afferma che: «...la Commissione quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù dei Trattati emette un parere motivato al riguardo dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni...», posto che è evidente la forte componente normativa su base «discrezionale» (...quando reputi...);
   ad adottare le opportune e necessarie azioni politico-istituzionali per difendere il made in Italy nel settore agroalimentare dalla crescente pressione internazionale e comunitaria, che mira alla deregolamentazione e all'abbassamento degli alti standard qualitativi che sono alla base e a garanzia delle produzioni di qualità del nostro sistema Paese.
(1-00943) «Franco Bordo, Zaccagnini, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Kronbichler, Fratoianni, Palazzotto, Placido, Duranti, Sannicandro, Ricciatti, Piras, Paglia».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (United Nations Convention on the Law of the Sea – UNCLOS), firmata a Montego Bay nel 1982, ratificata da 167 Stati e dall'Unione europea, entrata in vigore nel 1994, rappresenta, a livello internazionale, il sistema di regole degli oceani e dei mari, finalizzato a disciplinarne tutti gli usi. Definisce, inoltre, i principi che regolano l'ambiente marino e la gestione delle risorse naturali dei mari e degli oceani;
    la legge 2 dicembre 1994, n. 689, ha autorizzato l'Italia alla ratifica ed esecuzione della Convenzione;
   nella Parte VI della Convenzione, all'articolo 76, viene definito il concetto di piattaforma continentale di uno Stato costiero, intesa come il naturale prolungamento del territorio di uno Stato, che «comprende il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine», oltre le 200 miglia nautiche, ma entro le 350 o calcolato misurando 100 miglia nautiche dall'isobata dei 2.500 metri;
    l'articolo 77, comma 1, secondo cui «lo Stato costiero esercita sulla piattaforma continentale diritti sovrani allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali», sancisce un diritto esclusivo relativamente all'uso delle risorse minerali e non viventi in genere, sia del fondale che del sottosuolo, nonché di quelle viventi appartenenti alle specie sedentarie, salvo consenso diverso concesso dallo stesso Stato rivierasco;
    a seguito di ciò, l'Italia ha esercitato il proprio diritto di sfruttamento minerario e biologico della flora e della fauna riemersale entro le aree della piattaforma continentale – quest'ultima definita in accordo con il Governo tunisino già con la legge 3 giugno 1978 n. 347 – e, inoltre, ha attribuito concessioni petrolifere a società private, senza però potere regolare e controllare lo sfruttamento esclusivo della pesca, trattandosi di attività non inerente all'istituto della piattaforma continentale;
    l'assenza dell'esercizio di controllo e di tutela biologica ha permesso ai pescatori italiani, ma anche tunisini, spagnoli, turchi, greci e giapponesi, sui banchi di pertinenza italiana – come Banco Avventura, Pantelleria, Talbot e Grahham, per fare alcuni esempi – di attingere indiscriminatamente al mare e depauperare le principali nursery di moltissime specie ittiche mediterranee del tratto compreso tra il canale di Sicilia e le coste tunisine, usando metodi leciti, ma anche illeciti;
    la distruzione delle specie in crescita è una delle cause della diminuzione del pescato delle marinerie nazionali e locali che, oltre alla riduzione progressiva delle taglie delle catture, determina un danno economico al settore e ai lavoratori, con la conseguente necessità di dover prevedere aiuti economici;
    l'istituto della «zona economica esclusiva» – ZEE –, definita nella parte V della Convenzione UNCLOS, agli articoli 55-75, come «la zona al di là del mare territoriale e ad esso adiacente, sottoposta allo specifico regime giuridico stabilito nella presente Parte», costituisce un fondamentale strumento per porre un freno allo sfruttamento indiscriminato della pesca, per la tutela dell'ambiente marino e delle risorse biologiche, per lo sviluppo di una pesca sostenibile, nell'interesse anche dell'industria peschereccia nazionale e dei posti di lavoro che essa contribuisce a creare;
    la stessa Unione europea ha sensibilizzato gli Stati membri a proclamare la propria ZEE per garantire l'attuazione della politica di gestione delle risorse ittiche, di competenza esclusiva, al fine di contrastare, tra l'altro, lo sviluppo della pesca illegale da parte di pescherecci dei Paesi asiatici, che pregiudica anche il perseguimento degli obiettivi europei di gestione di tali risorse;
    l'Italia non ha tuttora proclamato la propria ZEE, nonostante l'importanza di tale strumento e le ampie problematiche di delimitazione tra Stati continui e rivieraschi nel Mediterraneo;
    la circostanza che, nelle more, Paesi della sponda sud del Mediterraneo, come la Tunisia, abbiano proclamato la propria ZEE, estendendo in tal modo diritti esclusivi di sfruttamento economico su spazi marini del Mediterraneo, accentua gli squilibri e la posizione di svantaggio a danno dell'Italia e delle sue politiche ambientali e della pesca, nonché degli interessi nazionali dei soggetti operanti nel settore;
    la proclamazione della ZEE conferirebbe all'Italia poteri sovrani di controllare le proprie acque, proteggere il proprio inestimabile patrimonio marino e gestire la risorsa pesca, con importanti ricadute anche in settori limitrofi e strategici per il nostro Paese, come il turismo;
    anche la convenzione di Barcellona relativa alla tutela dell'ambiente marino e delle regioni costiere del Mediterraneo, adottata nel 1976 e modificata nel 1995, nonché i protocolli elaborati a seguito, hanno lo scopo di proteggere l'ambiente marino e costiero del Mediterraneo dall'inquinamento, attraverso l'incoraggiamento di piani regionali e nazionali volti allo sviluppo sostenibile;
    l'articolo 38 della legge n. 164 del 2014 incentiva, come attività strategiche, le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, pur comportando un elevato rischio per l'equilibrio e la tutela dell'ambiente marino;
    l'Italia dovrà recepire entro il 19 luglio 2015, la direttiva europea 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE, per salvaguardare l'ambiente marino, le coste e le risorse naturali contro i rischi di incidenti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire, quanto prima, una zona di protezione ecologica nel canale di Sicilia – passaggio propedeutico alla ZEE – e successivamente, in accordo con la Tunisia, a proclamare la zona economica esclusiva, al fine di imporre il diritto italiano di tutela e protezione dell'ambiente marino, ponendo fine a tutte le attività che finora hanno contribuito a deturpare, senza controllo e confine, il mare italiano;
   a garantire la gestione delle risorse naturali marine e costiere, integrando queste stesse in un piano di sviluppo economico e sociale che sia doverosamente controllato e sostenibile, al fine di salvaguardare le risorse del mare nazionale, difendendole dalle mire degli Stati non autorizzati.
(7-00729) «Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, Lupo, Sibilia».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'Italia è tra i principali Paesi consumatori ed al contempo importatori di frutta secca al mondo;
    il nostro Paese; che in passato primeggiava per quantità e qualità nel panorama internazionale, oggi registra una forte contrazione della quota nazionale sul totale mondiale; la produzione nazionale di frutta secca ha registrato infatti incrementi significativi solo per il nocciolo e risulta complessivamente insufficiente a soddisfare il fabbisogno interno;
    le specie di frutta a guscio diffuse in Italia, nocciolo, mandorlo, noce, pistacchio sono cultivar di eccellente qualità che si avvalgono anche delle favorevoli condizioni climatiche, anche se non sempre sono competitive per produttività e resa dello sgusciato;
    le piante che producono frutta a guscio diffuse in Italia hanno non solo una funzione produttiva ma anche protettiva, naturalistica, paesaggistica e hanno forti legami con il territorio e con la tradizione gastronomica;
    il consumo mondiale e nazionale della frutta a guscio è in forte aumento, anche perché contiene molte sostanze benefiche alla salute: la nocciola, ad esempio, è ricca di molecole bioattive (fitosteroli, polifenoli, vitamine) fibre e sali minerali che favoriscono la prevenzione di malattie cronico-degenerative; l'acido oleico, di cui sono ricche le nocciole e le noci, consente di mantenere sotto controllo i livelli di LDL, il cosiddetto «colesterolo cattivo», mentre innalza quelli di HDL, il «colesterolo buono»;
    quanto alle nocciole, secondo le statistiche FAO, l'Italia è il secondo produttore mondiale con 105.000 tonnellate l'anno; dal punto di vista qualitativo le nostre nocciole sono di gran lunga le più buone al mondo per valori nutrizionali ed organolettici; in Italia, negli ultimi anni, cresce l'interesse e la diffusione della corilicoltura sia perché questa cultura è altamente remunerativa sia per l'abbandono di altre colture; per quanto concerne, invece, i Paesi consumatori, l'Italia si colloca al primo posto, sia per il consumo complessivo annuo, sia in termini di consumo medio annuo pro-capite di prodotto sgusciato, in costante e forte crescita negli ultimi anni;
    per quanto riguarda la noce, mentre negli ultimi 30 anni – dal 1980 al 2012 – il trend produttivo mondiale della noce da frutto ha registrato una forte e continua crescita sia per i quantitativi prodotti, sia in termini di superficie investita, in Italia la nocicoltura ha subito un progressivo ridimensionamento delle superfici investite, con conseguente diminuzione delle quantità prodotte; molte le ragioni che hanno determinato la crisi: tecniche colturali irrazionali e vetustà degli impianti; eccessiva frammentazione della proprietà; assenza di programmi di miglioramento genetico per il rinnovo delle varietà; scarsa propensione dei produttori a forme di aggregazione commerciale; alla contrazione della produzione nazionale di noci si contrappone un consumo e quindi importazioni in costante aumento; incrementare la produzione di noci significa pertanto non solo contribuire in misura rilevante alla nostra bilancia commerciale ma anche inserirsi in un settore in forte espansione grazie alla crescente richiesta del mercato;
    quanto alle mandorle, il deficit produttivo dell'Italia comporta ogni anno un flusso di importazioni per circa 138 milioni di dollari, un valore destinato a crescere per il costante aumento del consumo nazionale di mandorle sgusciate in linea con la crescita dei consumi a livello mondiale; la mandorlicoltura italiana ha ricoperto un ruolo di primaria rilevanza a livello mondiale fino al secondo dopoguerra, ma dal 1970 al 2012 si è registrato un forte ridimensionamento della produzione e delle superfici investite a mandorlo; in questo settore, in particolare, esiste un ampio margine per l'ammodernamento degli impianti, l'aggiornamento delle tecniche colturali, per migliorare le produzioni e ridurre l'approvvigionamento dall'estero;
    quanto al pistacchio, la pistacchicoltura italiana si distingue da quella dei Paesi extraeuropei per le elevate caratteristiche organolettiche delle produzioni; è concentrata quasi interamente in Sicilia, dove si produce il 98 per cento del totale nazionale; a seguito dell'aumento della domanda di pistacchio registrato negli ultimi anni, le superfici mondiali destinate a tale coltura hanno subito un ampliamento consistente, mentre in Italia la produzione è rimasta sostanzialmente statica, nonostante le produzioni pistacchicole europee, in particolare la pistacchicoltura italiana, si distingua dalle quelle dei Paesi extracomunitari per le migliori caratteristiche qualitative;
    dai dati economici della produzione, del consumo, dell'import/export delle specie di frutta a guscio diffuse in Italia emerge il valore e le opportunità offerte da queste coltivazioni; le iniziative – sin qui realizzate – per ridare slancio e far decollare a livello mondiale la produzione italiana non sono sufficienti; i piani sin qui avviati sono scaduti e non sono stati rinnovati; le risorse stanziate, in ogni caso, non sono state sufficienti a realizzare le iniziative necessarie allo sviluppo del settore;
    il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha costituito un «tavolo di filiera della frutta a guscio: sezione mandorle, noci, pistacchio e carrube» per esaminare le problematiche di settore; nel tavolo promosso dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali tra tecnici, ricercatori e amministratori locali, sono emerse le criticità strutturali del settore; da queste sono nate le ipotesi di soluzione e le proposte di azioni prioritarie di intervento per il rilancio del comparto che hanno dato vita ad un «Piano di settore mandorle, noci, pistacchi e carrube» che contiene proposte sia tecniche che di politica economica da inserire nel quadro di sostegno comunitario e nazionale;
    il tavolo si è in sostanza proposto come promotore e coordinatore di progetti di ricerca e sviluppo di iniziative per incentivare gli impianti, l'aggregazione dell'offerta e la promozione commerciale del prodotto italiano, che si trova a fronteggiare la forte concorrenza di prodotti stranieri che entrano nel mercato nazionale e comunitario a prezzi inferiori a quelli dei prodotti italiani; in alcuni casi, e per alcune specie, si assiste ad un crollo delle quotazioni del prodotto a livelli tali da non rendere più remunerativa la coltivazione; questo determina l'abbandono delle produzioni, con gravi conseguenze sociali, economiche e ambientali;
    le criticità della filiera della frutta in guscio, con particolare riguardo a mandorlo, pistacchio, carrube e noci sono emerse con chiarezza; pochi operatori che trasformano e commercializzano il prodotto sui mercati nazionali e esteri, un'offerta frammentata, costituita principalmente da aziende di piccole dimensioni, presenza di numerosi intermediari, assenza di strumenti associativi (cooperative e Organizzazioni di Produttori) nelle aree meridionali; questa struttura della filiera si riflette sia sul prezzo alla produzione (in genere poco remunerativo) che su quello al consumo (troppo elevato), mentre pregiudica la costanza degli approvvigionamenti, in qualità e quantità, e la possibilità di lavorare il prodotto fresco; gli operatori commerciali importano infatti prodotto estero per garantire un'offerta stabile sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo,

impegna il Governo:

   a realizzare, in coordinamento con le regioni e le amministrazioni locali, tutte le iniziative e le attività istituzionali, tecniche ed economiche, previste dal piano di settore, ivi compresi gli accordi conseguenti all'approvazione del piano;
   ad attivare tutti gli interventi utili alla creazione di una filiera nazionale della frutta secca più efficiente, competitiva sui mercati internazionali per qualità eccellente e quantitativi adeguati;
   a favorire la crescita di professionalità degli operatori, l'evoluzione delle tecniche di coltivazione, l'ammodernamento e la specializzazione degli impianti;
   a promuovere, anche mediante iniziative normative, l'associazionismo dei produttori e la costruzione della filiera per favorire la collaborazione nelle fasi di raccolta, lavorazione, conservazione, trasporto e commercializzazione del prodotto tra tutti i segmenti del settore;
   a realizzare campagne informative destinate ai consumatori sulle qualità nutrizionali ed organolettiche dei prodotti ed efficaci azioni di marketing del prodotto italiano sui mercati nazionali ed internazionali;
   a garantire alle imprese un'informazione completa e approfondita dei mercati di sbocco anche mediante la costituzione di un «Osservatorio» – come previsto dal «Piano di filiera» – che raccolga e aggiorni costantemente i dati statistici relativi: al numero di aziende per regione, alle superfici agricole interessate, alla produzione annuale stimata di mandorle, noci, pistacchi e carrube italiane, al fine di una corretta determinazione del valore della produzione nazionale; alla dinamica dei prezzi, a livello nazionale ed internazionale, per il monitoraggio costante e tempestivo della situazione del mercato, dei flussi di export/import e della domanda internazionale, anche in relazione alle previsioni di raccolta; delle strategie commerciali e di marketing della concorrenza;
   ad avviare azioni di rilancio dell'impiego di mandorle, pistacchi, carrube e noci italiane nei settori merceologici tradizionali;
   a promuovere e sostenere le iniziative degli operatori del settore per la creazione e promozione di marchi collettivi, a tutela della qualità e dell'origine del prodotto italiano;
   a favorire, con ogni iniziativa utile, anche normativa, l'interazione tra mondo produttivo e ricerca, per il miglioramento dei prodotti, in termini di qualità, di resa, di resistenza a dannose patologie, delle tecniche di coltivazione, raccolta, conservazione e trasformazione;
   a promuovere e sostenere «accordi di filiera» per le aziende del settore della trasformazione (pasticceria, confetteria, semilavorati).
(7-00730) «Venittelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   COSTANTINO, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE e MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel 2013 il comune di Venezia, attraverso la consigliera comunale delegata ai diritti civili e politiche contro le discriminazioni Camilla Seibezzi, ha proposto un emendamento al bilancio che venne accolto e che stanziava i fondi per un corso di aggiornamento/formazione per educatori di asili nido e materne sulla lotta alle discriminazione. Il corso fu poi realizzato all'interno dell'azione dell'allora assessorato alle politiche educative. Altissime sono state le adesioni da parte del collegio insegnanti al corso;
   l'anno successivo, sempre in qualità di delegata ai diritti civili e politiche contro le discriminazioni, la consigliera dispone l'acquisto di 49 albi illustrati contro ogni tipo di discriminazione (credo religioso, identità di genere, divorzi, omofobia, razzismo, disabilità e altro ancora) da regalare alle biblioteche di ogni asilo nido e scuola dell'infanzia del Comune di Venezia all'interno del progetto «Leggere senza stereotipi» (in tutto 1000 volumi);
   la lista dei titoli viene indicata dalla professoressa Bastianoni, professore associato dell'università di Ferrara, che aveva tenuto come docente il corso per i formatori l'anno precedente, dai rappresentanti delle associazioni che da decenni lavorano contro le discriminazioni, da varie realtà bibliotecarie, da psicologi e pedagogisti affinché, senza alcun obbligo, fosse compito dell'educatore nella libertà del suo mandato educativo decidere quali tra le tante favole sugli scaffali leggere;
   molti dei volumi in questione come «Piccolo Blu e piccolo Giallo» di Leo Lionni, «Orecchie di farfalla» di Luisa Aguilàr, «Piccolo Uovo» disegnato da Altan o «Il pentolino di Antonino» di Isabelle Carrier sono stati riconosciuti da numerose istituzioni internazionali della letteratura per l'infanzia, ma anche dell'educazione e della formazione, come capolavori della letteratura da zero a sei anni. Il progetto avviato dal comune di Venezia e sostenuto da altri settanta comuni d'Italia inoltre, aveva ricevuto l'avallo di numerosi atenei italiani, fra i quali l'università di Roma La Sapienza;
   il comune di Venezia ha provveduto a mettere a disposizione degli insegnanti i libri in questione, ovviamente, senza che vi fosse alcun obbligo di utilizzarli in classe e ad integrazione, non certo in sostituzione, dei libri di testo già utilizzati e previsti dai programmi ministeriali;
   il neoeletto Sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha diffuso una circolare (che vorrebbe essere indirizzata ai dirigenti scolastici ma non è consultabile on-line e dunque avrebbe valore di comunicazione interna) con la quale si impone il ritiro dei 49 volumi da ogni scuola, sostenendo tale scelta con la necessità di privilegiare un'educazione di tipo tradizionale, impostata su un concetto di famiglia composta da due genitori necessariamente uomo e donna;
   per la giurisprudenza il contenuto di una circolare interna, a differenza di un'ordinanza, non è vincolante pertanto gli uffici potrebbero non aderire all'oggetto. Inoltre una circolare non «supera» ciò che è stato deciso da una Giunta (l'adesione al progetto: «Leggere senza stereotipi») a cui ha fatto seguito la determinazione di impegno di spesa dell'11 dicembre 2013 per l'acquisto dei libri sopra citati. Tuttavia i libri acquistati vengono dati in consegna alle scuole che ne gestiscono l'uso ma il proprietario rimane sempre il comune –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, se l'UNAR si sia interessato della questione, posto che l'interrogante ritiene l'iniziativa assunta discriminatoria in quanto in contrasto con gli obiettivi della convenzione di Istanbul ratificata all'unanimità dal Parlamento italiano e, comunque, se non intenda assumere iniziative normative per introdurre nel sistema scolastico italiano l'educazione sentimentale così da fornire una cornice di riferimento comune a progetti come quello avviato nel comune di Venezia. (3-01608)


   MARTELLA, MOGNATO, ZOGGIA, MURER, MORETTO, SBROLLINI e PRATAVIERA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del pomeriggio del giorno 8 luglio 2015 a partire dalle ore 17 ampi comprensori del Veneto, in prossimità della Riviera del Brenta, in particolare per quanto concerne i territori di Pianiga, Dolo e Mira sono stati interessati da una tromba d'aria di inaudita violenza:
   le immagini amatoriali e quelle diffuse dai vari telegiornali hanno riportato la devastazione che ha flagellato il Veneto;
   case e capannoni gravemente danneggiati, alberi sradicati, automobili ribaltate, un vero e proprio inferno;
   oltre ai danni materiali si è registrata anche una vittima, una persona anziana alla guida della sua autovettura è morta sul colpo per via del vento che ha ribaltato il mezzo su cui viaggiava;
   ci sono anche 72 feriti alcuni dei quali gravi, delle persone ancora disperse ed un centinaio di sfollati;
   l'eccezionalità del fenomeno atmosferico con i conseguenti danni arrecati al territorio veneto necessitano di una adeguata attenzione da parte del Governo centrale;
   le istituzioni locali, insieme alla protezione civile e ai volontari, hanno subito avviato le operazioni di soccorso e iniziato la conta dei danni che appaiono davvero ingenti sia per quanto concerne il patrimonio privato sia per quanto concerne infrastrutture, immobili pubblici e comparto agricolo –:
   se e quali iniziative il Governo intenda adottare con la massima urgenza per l'eventuale dichiarazione dello stato di emergenza e, dopo gli adempimenti da parte della regione, per il riconoscimento dello stato di calamità anche stanziando risorse finanziarie a sostegno dei territori interessati dall'evento calamitoso.
(3-01609)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CENNI, TERROSI, TENTORI, FIORIO, LUCIANO AGOSTINI e CARRA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia la legge numero 138 del 1974 vieta la detenzione, la commercializzazione e l'utilizzo del latte in polvere e di latte conservato con qualunque trattamento chimico, o comunque concentrati, per la produzione di latte Uth e dei prodotti lattiero caseari;
   le norme vietano esplicitamente, a differenza di quanto apparso in alcune notizia di stampa, l'uso del latte in polvere nei prodotti caseari a denominazione;
   tale norma è stata riconfermata dal decreto-legge numero 175 del 2011 per il recepimento della direttiva UE 2007/61/CE relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana;
   è in corso una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti dell'Italia, in quanto la Legge numero 138 del 1974, impedendo di fatto la produzione dei formaggi tramite l'utilizzo di latte in polvere, limiterebbe la libera circolazione delle merci in ambito comunitario;
   tale procedura è stata confermata dal viceministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Oliverio che intervenendo in Commissione Agricoltura della Camera il 2 luglio per rispondere ad interrogazioni a risposta immediata su questa tematica ha dichiarato: «il Governo ha chiesto una proroga del termine fissato al 28 luglio prossimo per rispondere alla richiesta di osservazioni avanzata dalla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea»; «la competenza su questo caso è stata attribuita congiuntamente al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e a quello dello sviluppo economico», «per quanto di competenza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, come ribadito dallo stesso Ministro Martina, desidero confermare l'assoluta determinazione nella difesa dell'impianto normativo esistente che, ad avviso del Ministero, non comporta alcuna restrizione di mercato cosiddetto “equivalente” all'importazione di latte in polvere, come invece lamentato dalla Commissione europea, atteso che non vi è alcuna norma nell'ordinamento che vieta l'importazione o la circolazione del latte in polvere», «il Ministero ritiene peraltro che le disposizioni nazionali si muovano nell'ambito di una materia non armonizzata, nella quale ciascuno Stato ha la facoltà, nel rispetto del Trattato, di legiferare salvaguardando le proprie specificità e tradizioni»;
   secondo quanto è emerso, inoltre, da organi di informazione la Commissione europea avrebbe già respinto una prima motivazione del Governo italiano rispetto alle norme sull'utilizzo del latte in polvere, ribadendo che le disposizioni nazionali avrebbero l'effetto di impedire l'accesso al mercato interno di tale prodotto;
   l'iniziativa della Commissione europea ha creato allarme, in alcuni produttori, associazioni, consumatori, circa la possibilità che l'uso di latte in polvere possa diminuire la qualità dei formaggi e creare un danno di immagine al Made in Italy;
   altre associazioni di categoria, pur difendendo l'attuale disciplina nazionale e le tipicità nazionali, hanno sottolineato che per la produzione dei formaggi italiani di qualità certificata, non potrà comunque essere utilizzato il latte in polvere;
   appare infatti evidente che una eventuale armonizzazione con la normativa europea, e quindi l'eventuale o possibile abrogazione del divieto di utilizzo di latte in polvere, non costituirebbe nessun rischio per le nostre produzioni ad indicazione d'origine Dop e Igp, per le quali è impiegato oltre il 70 per cento della produzione di latte italiano, che manterrebbero l'obbligo di utilizzare «latte liquido»;
   il Commissario europeo alle politiche agricole Hogan, in occasione di una audizione svolta martedì 30 giugno presso il Senato della Repubblica, ha confermato l'esistenza di una indagine in corso nei confronti del nostro paese avviata dopo la protesta di un produttore italiano contro la restrizione alla libera circolazione delle merci a base di latte condensato; il Commissario europeo ha inoltre precisato che l'indagine «non riguarda prodotti della filiera lattiero – casearia protetti da Dop, Igp e neanche la mozzarella»;
   secondo fonti stampa la Commissione europea avrebbe inoltre suggerito all'Italia di utilizzare un sistema di etichettatura per informare i consumatori della presenza di latte in polvere nel prodotto;
   sarebbe quindi auspicabile, in caso si un nuovo stop da parte della Unione europea e per coniugare la piena applicazione delle direttive comunitarie sulla liberalizzazione del libero mercato con la necessità di tutelare l'eccellenza della produzione interna salvaguardando aziende e consumatori, valutare l'opportunità di individuare ulteriori strumenti di certificazione. Come ad esempio il marchio francese «Label Rouge», regolato dall'ente nazionale Cnlc (Commission Nationale des Label set des Certifications des Produits Agricoles et Alimentaires) che garantisce la qualità superiore di un prodotto in seguito a specifiche di prodotto controllate ad ogni anello della filiera di produzione, trasformazione e commercializzazione;
   in conseguenza di una fase di deprezzamento del latte che penalizza prevalentemente i produttori, anche di latte di alta qualità, si riterrebbe particolarmente utile ogni iniziativa tesa al massimo rafforzamento della filiera del latte, ed a sostegno della giusta valorizzazione delle produzioni casearie di qualità –:
   quali ulteriori iniziative intendano mettere in campo i Ministri interrogati nel confronto aperto con la Commissione europea sulla modifica della legge numero 138 del 1974, al fine di preservare la qualità e la tipicità delle nostre produzioni e se i Ministri interrogati, anche al fine di contrastare gli effetti causati da una futura necessità di una modifica alla legge numero 138 del 1974 circa la commercializzazione e l'utilizzo del latte in polvere e per la produzione lattiero casearia, non ritengano opportuno prevedere un rafforzamento degli strumenti di certificazione e tracciabilità lungo tutta la filiera.
(5-06026)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RUSSO e PETRENGA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 1998, sulle «norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità», la sede dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è stata individuata nella città di Napoli;
   l'articolo 22 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, è intervenuto in tema di razionalizzazione dell'attività delle autorità indipendenti, ed ha previsto, nel testo iniziale, che entro il 30 settembre 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze indicasse uno o più edifici vicini da destinare a sede comune di diverse autorità indipendenti, tra le quali anche l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
   la misura ha provocato perplessità rispetto alle ripercussioni sul funzionamento delle Autorità le cui sedi non si trovano nella capitale;
   nel corso della conversione del decreto il provvedimento è stato riformulato ed ha previsto che le autorità indipendenti gestiscano i propri servizi logistici nel rispetto di una serie di criteri volti ad una loro razionalizzazione; in particolare, si è chiesto che le autorità indipendenti individuino la loro sede in un edificio di proprietà pubblica o in uso gratuito oppure in affitto a condizioni più favorevoli rispetto a quelle degli edifici demaniali disponibili; che concentrino gli uffici nella sede principale, salvo che per oggettive esigenze di diversa collocazione; che abbiano una spesa complessiva per sedi secondarie, rappresentanza, trasferte e missioni non superiore al 20 per cento della spesa complessiva; che la presenza effettiva del personale nella sede principale non sia inferiore al 70 per cento del totale su base annuale;
   all'articolo 22 è stato poi aggiunto un nuovo comma secondo il quale le diverse autorità dovranno garantire il rispetto dei criteri entro un anno dall'entrata in vigore della legge di conversione, vale a dire entro l'11 agosto 2015;
   del tutto evidente la ratio della norma: mantenere la sede originaria delle Autorità. Contrariamente alle intenzioni del legislatore e specificatamente per l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è invece verificato il contrario e cioè l'ampliamento della sede secondaria di Roma, a cominciare dal numero del personale in servizio nella capitale rispetto alla sede principale di Napoli;
   non è un caso, infatti che i dipendenti dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in servizio presso la sede centrale di Napoli siano ricorsi al Tar della Campania per ottenere l'annullamento della determina n. 08/15/SG dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni pubblicata in data 3 aprile 2015, recante «allocazione del personale in attuazione del piano di assegnazione delle risorse umane»; determina che, secondo i ricorrenti, «ha irragionevolmente destinato alla sede secondaria di Roma circa il 70 per cento delle risorse umane di cui dispone»;
   l'attività posta in essere si presenta ad avviso degli interroganti in contrasto con le indicazioni ed i precetti della legge –:
   quali iniziative intenda assumere per scongiurare quello che si prefigura come un vero ingiustificato danno per Napoli, la Campania ed il Mezzogiorno. (4-09761)


   PARENTELA e NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è caratterizzata da un territorio fragile per quanto concerne il dissesto idrogeologico; circa il 10 per cento è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe e più di 2/3 delle aree esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive. Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente se si considera che, negli ultimi 50 anni, sono stati spesi per sopperire ai danni, limitatamente ai fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro, circa il 10 per cento del territorio italiano e più dell'80 per cento dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica;
   nel dossier «Effetto bomba», di recente pubblicato da Legambiente, si illustrano dieci edifici per cui è improrogabile intervenire al fine di scongiurare tragedie ed effetti disastrosi;
   i suddetti immobili giacciono in aree R3 e R4 di rischio idrogeologico, con frequenti esondazioni, alluvioni e pericoli;
   in particolare l'associazione Legambiente, nella regione Calabria menziona: la Casa dello Studente di Reggio Calabria, edificata entro una fiumara, edifici residenziali abusivi sul torrente Coriglianeto (Cs) e il centro Multisala Cinema di Zumpano (Cs), edificato su una scarpata vicino al fiume Crati;
   la Calabria presenta una superficie di 66 chilometri quadrati in dissesto idrogeologico;
   sino al 2007 nella provincia di Cosenza erano censite 2.304 frane, 1.147 in quella di Catanzaro, 1.330 nella provincia di Reggio Calabria, 488 nella provincia di Vibo Valentia e 279 nella provincia di Crotone;
   tra il 1950 e il 2008 il dissesto idrogeologico in Calabria ha causato 517 vittime in 37 eventi, coinvolgendo 5.425 persone negli ultimi 25 anni;
   il 25 novembre 2010, fu firmato fra la regione Calabria e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un accordo finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico;
   a tale ultimo riguardo furono stanziati 220 milioni di euro in totale, di cui 110 milioni a carico del predetto Ministero e 110 milioni con riserve FAS 2007-2013 e a carico della Regione;
   dei 185 interventi previsti, però, per 39 la progettazione fu ultimata e per 18 furono espletate le gare per l'affidamento dei lavori fra 2010 e il 2013;
   soltanto per 5 dei prefati interventi, i lavori risultano ultimati;
   la commissione per il federalismo fiscale ha certificato che tra 2009 e 2012 le regioni hanno destinato solo 1,1 miliardi alla voce «cura del territorio», cioè lo 0,6 per cento delle risorse disponibili;
   solo recentemente il Governo ha pubblicato sul sito italiasicura.governo.it gli interventi effettuati e quelli da effettuare nell'immediato;
   in Calabria si contano 492 cantieri per una spesa totale di circa 391 milioni di euro, di cui 235 conclusi mentre 258 verranno avviati entro 2015 (euro 266 milioni di investimenti);
   considerato che il protocollo d'intesa del 21 maggio 2015 sul monitoraggio e la vigilanza sugli interventi e opere contro il dissesto idrogeologico sottoscritto fra il Presidente del Consiglio, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e l'Autorità nazionale anticorruzione prevede la stipula di un piano nazionale straordinario per la Prevenzione e contro l'emergenza del dissesto per le aree metropolitane, di un Piano per l'intero territorio nazionale da attuate attraverso specifici accordi di programma con i presidenti delle regioni nella veste di commissari, il conferimento alla struttura di missione di compiti di coordinamento di tutte le strutture dello Stato (Ministeri, protezione civile, regioni, enti locali, consorzi di bonifica, provveditorati alle opere pubbliche, Genio civile ed enti e soggetti locali) e di funzioni di controllo e monitoraggio sulle funzioni di realizzazione degli interventi;
   mentre il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avranno il compito di monitoraggio e in particolare di segnalare all'Anac i procedimenti di particolare complessità e di elevato importo, a livello locale spetterà alla Struttura di missione far valere l'indirizzo nazionale per l'accelerazione massima della messa in attività dei cantieri, legittimando con responsabilità precise le autorità tecniche nell'individuazione delle criticità, nella soluzione di esse e nella predisposizione di sistemi e format comunicativi;
   la regione Calabria avrebbe dovuto procedere all'attuazione di quei primi interventi finalizzati al superamento delle situazioni emergenziali e per i quali con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 giugno 2014 è stato previsto lo stanziamento di 2,4 milioni di euro per l'attuazione degli stessi –:
   quali iniziative di competenza il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la struttura della mission, intendano adottare per accelerare gli interventi e per sbloccare le procedure in situazioni paralizzate per motivi di natura politico-istituzionale;
   quali attività intendano avviare per rendere effettivamente operanti monitoraggio e la vigilanza collaborativi, sollecitando così la realizzazione di tutti gli interventi connotati da estrema urgenza nella regione Calabria e nelle altre regioni colpite da frane e alluvioni;
   se non ritenga opportuno che per la manutenzione e il potenziamento delle reti strumentali utili alla previsione e al monitoraggio delle condizioni meteorologiche e idrologiche (reti pluviometriche, nivometriche, idrometriche, radar meteo e altro) si provveda con cofinanziamento nazionale;
   se, al fine di un progressivo passaggio da una gestione emergenziale a una preventiva, ogni anno, non ritenga che debbano essere stanziati fondi per la prevenzione pari almeno al 50 per cento in più di quelli stanziati nell'anno precedente;
   se non ritenga fondamentale istituire un programma nazionale di revisione dei piani comunali di emergenza opportunamente valutati da un comitato di esperti per la loro efficacia e per livello di diffusione tra la cittadinanza che preveda, in caso di gravi carenze, sanzioni fino al commissariamento. (4-09762)


   MANNINO, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti (75/442/CEE), ai rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e alle discariche di rifiuti (1999/31/CE);
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti» (dal che si poteva desumere che fossero in esercizio discariche prive di autorizzazione); inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa C-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza del 2 dicembre 2014, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ricorda innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea rileva poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; riguardo ad altri siti, la Corte constata che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte ne trae la conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni sono stati violati in modo persistente;
   l'Italia non si è assicurata che il regime di autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato. Essa non ha assicurato la cessazione effettiva delle operazioni realizzate in assenza di autorizzazione. L'Italia non ha neppure provveduto ad una catalogazione e un'identificazione esaustive di ciascuno dei rifiuti pericolosi sversati nelle discariche. Infine, essa continua a violare l'obbligo di garantire che per determinate discariche sia adottato un piano di riassetto o un provvedimento definitivo di chiusura;
   la Corte ha tratto la conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione;
   di conseguenza, la Corte di Giustizia dell'Unione europea, il 2 dicembre 2014, ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro;
   la Corte ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione europea prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data da oggi e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 di euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma ed 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre –:
   a quanto ammonti la penalità semestrale che – secondo quanto stabilito sia dai criteri di calcolo previsti nella sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea in merito alla Causa C-196/13 sia dai documenti trasmessi dal nostro Paese alla Commissione europea – l'Italia dovrà pagare;
   quante e quali discariche non siano ancora conformi a quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea in merito alla causa C-135/05 del 2007;
   se i Ministri interrogati – per quanto attiene alle proprie competenze ed in merito pagamento della cosiddetta multa semestrale – intendano avvalersi del diritto di rivalsa così come previsto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234 all'articolo 43 che dà la possibilità allo Stato di chiedere il risarcimento a quelle regioni o ad altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell'Unione europea. (4-09771)


   MANNINO, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti mira a prevenire o ridurre le ripercussioni negative sull'ambiente e sulla salute umana risultanti dall'intero ciclo di vita delle discariche;
   a questo riguardo l'articolo 14 della stessa direttiva, infatti, prevedeva che gli Stati membri adottassero misure affinché le discariche, che avevano ottenuto un'autorizzazione o che erano già in funzione al momento del recepimento della direttiva, potessero rimanere in funzione alle seguenti condizioni:
    a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica doveva elaborare e presentare all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1;
    b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti dovevano adottare una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva;
    c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti avrebbero dovuto autorizzare i necessari lavori, stabilendo un periodo di transizione per l'attuazione del piano. Lo stesso articolo 14 prevedeva, altresì, che tutte le discariche preesistenti dovessero conformarsi ai requisiti previsti dalla direttiva, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, e che gli Stati membri adottassero le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non avessero ottenuta l'autorizzazione a continuare a funzionare;
   in merito al rispetto degli obblighi previsti, tra l'altro, dal citato articolo 14 della direttiva, in data 15 luglio 2009, la Commissione europea ha inviato una richiesta di informazioni alle autorità italiane (Ares (2009) 173208), alla quale l'Italia ha risposto con nota della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea del 13 ottobre 2009 (prot. n. 10910);
   nell'ambito della procedura EU Pilot 1513/10/ENVI la Commissione ha poi inviato alle Autorità italiane una nuova lettera datata 18 novembre 2010. In questa la Commissione ha osservato che, a settembre 2009, erano presenti nel nostro Paese almeno 187 discariche «preesistenti» (ovvero discariche già autorizzate o in funzione al momento del recepimento della direttiva 1999/31/CE) che non erano ancora state rese conformi alle prescrizioni della direttiva, né chiuse in base a quanto previsto dalla stessa direttiva, e ha, pertanto, invitato le autorità italiane a presentare le loro osservazioni in merito;
   le autorità italiane hanno risposto alla lettera succitata in data 23 dicembre 2010 tramite nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 22 dicembre 2010. In tale lettera e nei relativi allegati esse hanno fornito informazioni su alcune iniziative intraprese per attuare l'articolo 14 della direttiva. La Commissione ha inviato un'ulteriore richiesta di chiarimenti l'11 aprile 2011, chiedendo all'Italia di trasmettere dati completi ed aggiornati in merito all'applicazione dell'articolo 14 della direttiva. Le autorità italiane hanno di nuovo risposto tramite lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 maggio del 2011 nella quale sono state fornite informazioni dettagliate. Dalle analisi di tali informazioni emergeva che sul territorio italiano vi erano almeno 102 discariche «preesistenti» (3 delle quali per rifiuti pericolosi) che non erano ancora state né oggetto di provvedimenti di chiusura né rese conformi alla direttiva;
   la Commissione, in data 28 febbraio 2012, ha inviato alla Repubblica Italiana una lettera di costituzione di messa in mora, invitando il Governo italiano, conformemente all'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a trasmettere osservazioni, entro due mesi dal ricevimento della lettera;
   le autorità italiane hanno risposto alla costituzione di messa in mora mediante note della rappresentanza permanente d'Italia dell'11 maggio e dell'8 giugno 2012, dalle quali emergeva che, malgrado i notevoli progressi compiuti, sul territorio italiano vi fossero ancora 46 discariche «preesistenti» (1 delle quali per rifiuti pericolosi), con riferimento alle quali non erano stati rispettati gli obblighi previsti dell'articolo 14 della direttiva;
   tali discariche sono presenti nelle seguenti regioni: Abruzzo (15 discariche), Basilicata (19 discariche), Campania (2 discariche), Friuli Venezia Giulia (4 discariche), Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi), Puglia (5 discariche);
   la Commissione europea in data 21 novembre 2012 — dopo aver posto la Repubblica italiana in condizione di presentare osservazioni con lettera di costituzione di messa in mora del 28 febbraio 2012 (rif. SG(2012)D/3668) e tenuto conto delle risposte del Governo italiano dell'11 maggio 2012 (rif. INF(2012) 105002) e del giugno 2012 (rif. INF (2012)105172) — ha emesso il seguente parere motivato: poiché sul territorio italiano vi sono 46 discariche «preesistenti» che non sono ancora state rese conformi alle prescrizioni della direttiva 1999/31/CE né chiuse, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE, pertanto, in applicazione dell'articolo 258 primo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la Commissione invita la Repubblica italiana a prendere le disposizioni necessarie per conformarsi al presente parere motivato, entro due mesi dal ricevimento del medesimo;
   la Commissione europea in data 18 giugno 2015 ha chiesto all'Italia di assicurare che le discariche operino in conformità delle norme dell'Unione europea, tant’è che le informazioni più recenti di cui dispone la Commissione indicano che, a quasi sei anni dal termine ultimo per la chiusura, almeno 50 discariche in Italia sono ancora non conformi e avrebbero dovuto essere chiuse o adeguate alle norme richieste. Almeno una delle discariche in questione contiene rifiuti pericolosi. È stato quindi inviato un ulteriore parere motivato. Adesso l'Italia ha due mesi di tempo per comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di porre rimedio a tale situazione. In caso contrario la Commissione ha facoltà di deferire tale paese alla Corte di giustizia dell'Unione europea –:
   quali siano i comuni e le località dove sono ubicate le discariche oggetto della procedura di infrazione 2011_2215;
   se e quali iniziative siano state intraprese, o si intendano avviare, affinché – in merito alla procedura di infrazione 2011_2215 inerente alla violazione dell'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti in Italia — venga evitato il deferimento del nostro Paese innanzi alla Corte di giustizia europea. (4-09772)


   MARCON. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata dell'8 luglio 2015 si è abbattuta una tromba d'aria sulla Riviera del Brenta ed in particolare sulla zona tra i comuni di Dolo e Pianiga;
   la tromba d'aria in questione ha causato un morto, oltre 30 feriti, lo scoperchiamento dei tetti di numerose abitazioni, ingenti danni al patrimonio storico-architettonico della zona (dove sono presenti numerosi Squeri storici e Ville venete del periodo neoclassico e palladiano) nonché altri danni a beni pubblici e privati sul territorio;
   l'allerta meteo diffusa nella giornata dell'8 luglio 2015 riguardava esclusivamente grandine e precipitazioni abbondanti;
   eventi metereologici calamitosi di tali gravità e dimensione sono fenomeni non nuovi in Veneto e nell'area specifica che ricomprende le province di Padova, Venezia e Treviso –:
   se attraverso le istituzioni decentrate del Governo nella provincia di Venezia ed il sistema nazionale della protezione civile sia stato previsto tale evento calamitoso e se ne sia data tempestiva comunicazione alla popolazione;
   quali siano le iniziative che il Governo intenda mettere in atto, a sostegno ed in collaborazione con le autorità locali, per affrontare l'emergenza e soccorrere la popolazione ed avviare opere di ripristino sul territorio. (4-09784)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCON, DURANTI, PIRAS e PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dal 26 marzo del 2015, da quando è stata lanciata operazione «Tempesta di fermezza» dall'Arabia Saudita e da Egitto, Giordania, Emirati arabi uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Marocco e Sudan e appoggiati logisticamente da USA, GB e Francia, si stanno conducendo pesanti bombardamenti su città e villaggi yemeniti;
   l'operazione militare è stata avviata senza alcuna autorizzazione da parte dell'ONU e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, successivamente riunitosi per discutere in merito il 14 aprile, con la risoluzione n. 2216, non avvalla l'intervento militare ma si limita a condannare l'azione dei ribelli Houti e impone loro un embargo sulle armi;
   i bombardamenti sono stati in questi mesi indiscriminati, colpendo anche obiettivi civili: interi quartieri e campi profughi non vengono risparmiati dall'operazione militare a guida saudita causando centinaia di morti tra i civili soltanto nelle ultime settimane;
   reported.ly è un sito di giornalismo che esiste dal dicembre 2014 ed è formato da un gruppo di giornalisti che lavorano da diversi Paesi che realizzano anche inchieste giornalistiche molto approfondite;
   in una delle inchieste più recenti, scritta dal giornalista Malachy Browne, reported.ly si è occupato della guerra che si sta combattendo in Yemen e delle bombe che vengono usate dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita per colpire i ribelli Houthi e si è occupato in particolare di alcuni componenti di armi prodotti in Italia e usati poi per assemblare armi che hanno bombardato lo Yemen;
   l'inchiesta ha ricostruito e documentato la costruzione e la spedizione dei componenti di alcune bombe prodotte da costruttori europei e destinate agli Emirati Arabi Uniti, uno degli stati che fanno parte della coalizione che sta bombardando lo Yemen. L'inchiesta ha scoperto che le bombe costruite con questi componenti sono state usate in Yemen, dove potrebbero anche essere stati compiuti attacchi contrari alle norme del diritto internazionale;
   i componenti sono stati prodotti da Rheinmetall AG, una società tedesca che ha avuto tra i suoi principali azionisti alcune società finanziarie statunitensi – come per esempio il fondo pensionistico dello stato di New York e altri fondi assicurativi e d'investimento – e il fondo pensionistico sovrano, della Norvegia. Attraverso i loro investimenti in Rheinmetall, queste organizzazioni stanno generando profitti;
   un gruppo di hacker che si fa chiamare «Yemen Cyber Army» ha sottratto diversi documenti e comunicazioni diplomatiche che provano la spedizione di componenti di bombe dal territorio della UE alla penisola arabica. Lo Yemen Cyber Army ha poi mandato il materiale a Reported.ly: i documenti mostrano come alcuni componenti siano partiti dal porto di Genova e siano arrivati a Gedda, in Arabia Saudita. Da lì sono stati trasferiti a Jebel Ali, a Dubai, e poi via terra a un centro di produzione di armi di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti;
   i componenti delle bombe – che sono bombe di tipo MK82 e MK84 – sono partiti da Genova perché sono realizzati in Sardegna dalla RWM Italia s.p.a., una società sussidiaria della Rheinmetall. I componenti sono poi assemblati dall'azienda Burkan Munitions Systems per le forze armate degli Emirati Arabi Uniti;
   tra i documenti in possesso di Reported.ly c’è anche una lettera del 21 aprile 2015 spedita da Burkan Munitions. La lettera chiede all'esercito degli Emirati Arabi Uniti di concedere un permesso di transito per una spedizione per maggio attraverso il porto di Gedda, in Arabia Saudita. La lettera è stata trasmessa dal quartiere generale dell'esercito all'ambasciata degli Emirati Arabi Uniti di Riyad, in Arabia Saudita. L'ambasciata ha chiesto «un permesso diplomatico per facilitare le procedure d'ingresso [al porto di Gedda, ndr] per la nave Jolly Cobalt, noleggiata dalle forze armate degli Emirati Arabi Uniti». Il comunicato è stato contrassegnato come «molto urgente» ed è stato spedito dal Ministero degli affari esteri dell'Arabia Saudita a molti altri Ministeri: e anche al re Salman, al principe Abdullah e al ministro dei Trasporti, che ha anche la funzione di presidente dell'autorità portuale dell'Arabia Saudita;
   la nave in questione, la Jolly Cobalto, è il traghetto porta container più grande del mondo. I dati di MarineTraffic.com e i documenti di spedizione del Gruppo Messina – la società italiana che possiede la nave – dicono che è partita da Genova il 12 maggio ed è arrivata a Dubai il 5 giugno. Le informazioni sul contenuto del carico parlano di sei container da 12 metri con all'interno componenti delle bombe MK82 e MK84 prodotte da RWM Italia. Il comunicato stampa dice che il carico conteneva componenti per bombe, e non ordigni veri e propri;
   di queste bombe MK82 e MK84 prodotte da RWM Italia non c’è traccia nelle autorizzazioni rilasciate dal Governo italiano nel 2014 (export 2014). Per cui si ipotizza che la spedizione si stata autorizzata nel 2015 dal Governo;
   andando a ritroso, nella relazione inviata alle Camere nel 2013 (esportazioni autorizzate per l'anno 2012) ci sono licenze per l'export alla RWM Italia nei confronti dell'Arabia Saudita di bombe MK82 e MK84 e componentistica accessoria per 8,5 milioni di euro (precisamente per 1.000 bombe 500LB MK82 INERTE e 300 bomber 2000LB MK84 INERTE);
   fermo restando le bombe spedite a maggio 2015 agli Emirati Arabi Uniti, un ulteriore ipotesi potrebbe essere quella che le bombe che vengono usate dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita siano appartenenti a questa partita di export;
   nella relazione del 2013 risultano ulteriori esportazioni di 500LB MK82 INERTE, le quali però risultano irrintracciabili, con destinazione sconosciuta;
   altrettanto sconosciuta risulta essere nella relazione presentata alle Camere nel 2014 (relativa all'export del 2013), l'autorizzazione all'esportazione rilasciata a RWM Italia per più di 62 milioni di euro per 3.650 bombe 1000LB MK83 ATTIVA e per 300 bombe 1000LB MK83 INERTE per un valore di 120 mila euro;
   appare opportuno per cui un chiarimento sulle autorizzazioni per l'export concesse a RWM Italia –:
   se il Ministro abbia intenzione di chiarire la procedura seguita per l'invio di componenti di bombe dello scorso maggio;
   se il Governo abbia autorizzato l'esportazione di bombe MK82 o MK84 verso gli Emirati Arabi Uniti o l'Arabia Saudita nel 2015;
   se il Governo non intenda fornire i dettagli delle esportazioni effettuate dalla RWM Italia per cui risultano sconosciute le destinazioni per le bombe MK82, MK84 e MK83. (4-09775)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente dei Consiglio dei ministri del 9 luglio 2010 è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della regione siciliana in materia di gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi;
   contestualmente alla dichiarazione dello stato di emergenza, il presidente della regione siciliana è stato nominato commissario delegato con il compito di predisporre l'adeguamento del piano regionale di gestione dei rifiuti;
   il piano doveva essere adottato d'intesa con il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri e, successivamente, approvato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'11 luglio 2012 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro-tempore ha approvato con proprio decreto piano di gestione dei rifiuti della regione siciliana, invitando contestualmente il commissario delegato a effettuare la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS);
   si sottolinea che il precedente 4 giugno 2012 era stata inviata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la richiesta della Commissione europea di informazioni riguardo lo stato dei predetto piano (Caso EU PILOT 6582/ENVI), in particolare, con detta nota venivano richieste le seguenti informazioni: il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di approvazione del piano di gestione dei rifiuti; l'espletamento della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) nel corso del procedimento di approvazione del piano di gestione dei rifiuti; l'espletazione della valutazione ambientale strategica (VAS) successivamente all'approvazione del piano di gestione dei rifiuti della regione siciliana da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; gli atti autorizzativi per tutti gli impianti compresi nel Piano regionale e lo stato di realizzazione degli stessi; l'espletamento della valutazione di incidenza per tutti gli impianti compresi nel piano che ricadono o si trovano nelle vicinanze dei siti Natura 2000; l'espletamento della VIA per tutti gli impianti compresi nel piano regionale; il rispetto delle direttive VIA, VAS, IED, habitat, discariche, 2008/98/CE per quanto concerne il progetto di discarica in c.da Timpazzo nel comune di Gela e l'impianto di trattamento meccanico biologico; il rispetto delle VIA, VAS, IED, Habitat, Discariche, 2008/98/CE per quanto concerne il progetto di discarica di Bellolampo (PA);
   gli elementi di risposta forniti non hanno, tuttavia, soddisfatto le richieste della Commissione europea la quale ha richiesto allo Stato italiano le seguenti ulteriori informazioni: chiarire se il piano è stato sottoposto a valutazione di incidenza ambientale; chiarire i motivi per cui il piano non riporta le interferenze con i siti Natura 2000; trasmettere copia del parere di chiusura della VAS; trasmettere informazioni circa il calendario di aggiornamento del piano sulla base delle prescrizioni della VAS; fornire le informazioni sugli impianti in esercizio e quelli non ancora realizzati; trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della discarica di Timpazzo nel comune di Gela e dell'impianto TMB, trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della piattaforma ma integrata di Cozzo Voturo nel comune di Enna; trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della piattaforma integrata di Pace nel comune di Messina; trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della piattaforma integrata di c.da Borranea nel comune di Trapani;
   rispetto alla prima nota di chiarimenti la Commissione europea ha ampliato molto lo spettro delle contestazioni e delle richieste formulate;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 28 maggio 2015, ha firmato un decreto ministeriale attraverso il quale ha espresso parere favorevole sulla proposta di piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana e sul relativo rapporto ambientale a condizione che, nella stesura dell'aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti in Sicilia, già avviata e nel relativo rapporto ambientale, siano tenute in considerazione le osservazioni e prescrizioni riguardanti: paesaggio, biosfera e habitat, geosfera (suolo e sottosuolo), atmosfera, idrosfera (ambiente idrico) e coerenza degli interventi con il piano di tutela acque Sicilia, rifiuti, obiettivi ambientali, coerenza interna dei piano, coerenza esterna del piano, misure di mitigazione, monitoraggio ed altre prescrizioni provenienti dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del Turismo –:
   se il parere favorevole al piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le relative osservazioni e prescrizioni, abbia persuaso la Commissione europea ad archiviare l'indagine denominata Caso EU PILOT 6582/ENVI;
   quali siano, laddove ancora esistano, le contestazioni della Commissione europea in merito al piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana;
   se esiste un'indagine della Commissione europea per quanto attiene allo smaltimento dei rifiuti tal quali ovvero trito vagliati presso le discariche siciliane relativamente al rispetto dell'articolo 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE, letto in combinato disposto con l'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva/1999/31/CE e con gli articoli 4 e 13 della direttiva 2008/98/CE. (4-09773)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la sua superficie di 114 chilometri quadrati, il lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico d'Europa e il primo assoluto nella regione Lazio. In base all'applicazione delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE – rispettivamente indicate come «direttiva habitat» e «Direttiva uccelli» – recepite in Italia dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 12 marzo 2003, il lago fa parte dell'elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC) e della rete europea di zona di protezione speciale (ZPS) destinate alla conservazione della biodiversità della rete ecologica denominata NATURA 2000. Inoltre, esso è classificato come area sensibile e vulnerabile (direttiva 2000/60/CE, decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152) a causa del lento ricambio delle acque;
   purtroppo, da lungo tempo, lo stato di salute del lago di Bolsena desta non poche preoccupazioni;
   è noto che la depurazione degli scarichi provenienti dai comuni circumlacuali avviene per il tramite di un collettore di raccolta dei reflui fognari che, unitamente alle 20 stazioni di sollevamento dislocate lungo il tracciato e all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, a circa 3 chilometri dall'incile, sono gestiti dalla società COBALB (Comunità bacino lago di Bolsena spa);
   l'attuale situazione strutturale, però, del collettore per la raccolta dei reflui e della loro depurazione, è da tempo compromessa. Ciò ha determinato il mal funzionamento dell'intero circuito di sollevamento delle elettro pompe delle stazioni del collettore lungo il semi-perimetro del lago il quale ha causato e continua a causare sversamenti di sostanze nocive nel lago;
   a questo si deve aggiungere il continuo sversamento nel lago di scarichi fognari civili che ha determinato, secondo le recenti indagini della «Goletta dei Laghi» di Fare Ambiente, un aumento dei fattori inquinanti;
   infatti, secondo il rapporto presentato nei giorni scorsi, su un totale di 8 punti analizzati, ben 6 sono risultati critici, precisamente nei comuni di Montefiascone (Foce torrente presso parco giochi), Capodimonte (presso spiaggia in Via Regina Margherita, tra Via dei Pini e Via degli Eucalipti), San Lorenzo Nuovo (Foce del fosso Ponticello e Località Prati Renari), Gradoli (Foce del fosso Cannello), tutti risultati «fortemente inquinati», ovvero che superano del doppio i parametri imposti dai valori limite decisi dalle norme sulle acque interne vigenti in Italia, per presenza di «microrganismi di origine fecale»;
   infatti, i parametri indagati dal laboratorio mobile della Goletta dei Laghi sono microbiologici (Enterococchi intestinali, Escherichia coli, secondo le procedure indicate dal, decreto legislativo 30 maggio 2008 n. 116) per individuare la presenza di scarichi civili non depurati. Un monitoraggio il cui obiettivo è quello di individuare e denunciare le pressioni inquinanti che gravano sul lago. Si tratta di scarichi il più delle volte provenienti dal territorio circostante attraverso fossi o piccoli corsi d'acqua che sfociano direttamente nel bacino lacustre, come per la maggior parte dei punti monitorati nel lago di Bolsena;
   i gravi fattori di inquinamento a cui è sottoposto il lago di Bolsena mettono a rischio la salute pubblica considerato l'elevata presenza turistica nelle aree prospicienti il lago specialmente durante la stagione estiva –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di garantire lo stato di salute del lago di Bolsena, nel rispetto comunque delle competenze in materia degli altri livelli istituzionali coinvolti, con particolare riferimento all'esigenza di evitare rischi di ulteriori procedure di infrazione da parte dell'Unione europea.
(4-09779)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   MORASSUT. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'entroterra del litorale del comune di Roma – totalmente ricompreso nel territorio del X Municipio – vede la presenza di grandi quartieri – un tempo definiti borgate – cresciuti nel dopoguerra attraverso uno sviluppo edilizio complesso e non sempre aderente agli indirizzi stabiliti dagli strumenti urbanistici di piano regolatore;
   molti quartieri di oggi – tra cui il quartiere Infernetto – sono sorti da nuclei edilizi spontanei e si sono ulteriormente sviluppati negli anni ‘70 e ‘80 anche a seguito delle leggi di condono edilizio approvate dal parlamento negli anni 1985, 1994, 2003;
   a causa di ciò ne è derivata una complessa situazione nell'equilibrato sviluppo dei quartieri in primo luogo per quel che riguarda la certezza e la continuità nella realizzazione dei servizi primari e secondari ma anche per quel che riguarda la corretta interpretazione delle norme edilizie ed urbanistiche purtroppo rese assai complesse dalle sovrapposizioni di provvedimenti nazionali, regionali e comunali che non sempre sono stati ispirati ad un pieno coordinamento e coerenza;
   molte famiglie – a causa di questa situazione – pagano ancora oggi le conseguenze dovute ad una situazione non del tutto sanata o sanabile delle proprie abitazioni che rappresentano tuttavia il proprio unico patrimonio ed il frutto di anni di sacrificio e di lavoro;
   una delle incertezze più grandi riguarda la situazione decreto ministeriale «del 21 ottobre del 1954 titolato in Gazzetta ufficiale come «Dichiarazione di notevole interesse pubblico della fascia costiera Ostia, Anzio e Nettuno sita nell'ambito del Comune di Roma, Anzio, Pomezia e Nettuno»;
   secondo l'interrogante vi sarebbe una palese discordanza tra la delimitazione dell'area vincolata, come definita dal testo del decreto ministeriale 21 ottobre 1954 e la delimitazione risultante dalla planimetria, che si presume predisposta a cura del Ministero all'epoca competente e comunque redatta posteriormente al decreto ministeriale in oggetto, relativamente al territorio, ora noto come «Infernetto»,compreso tra la Cristoforo Colombo, la pineta di Castel Fusano e la tenuta Presidenziale di Castel Porziano;
   tutti gli atti successivi a predetto decreto ministeriale sono stati redatti sulla base della planimetria di cui sopra che è in contrasto, per quanto riguarda in particolare l'Infernetto, con la descrizione della delimitazione dell'area vincolata risultante dal testo del decreto ministeriale stesso;
   testo del decreto ministeriale (allegato b) decreta: «La fascia costiera di Ostia, Anzio, Pomezia e Nettuno, delimitata da una parte dalla spiaggia, nelle altre da una linea che dalla foce del Tevere (fiumara grande) risale il corso del fiume fino a Torre Boaccina, gira intorno alla zona archeologica monumentale con una fascia di m. 50, attraversa l'Ostiense e l'autostrada, comprende poi tutta la pineta di Castel Fusano fino al Canale allacciante della Lingua, quindi la macera di confine della tenuta di Castel Porziano, segue poi l'andamento della strada litoranea comprendendo una fascia di metri 50 a monte di questa... omissis...»;
   la delimitazione riportata nella planimetria sopra citata e conseguentemente nelle planimetrie del Piano territoriale paesistico ambito territoriale n. 2, (ex XIII e XIV circoscrizione, ora municipio X del comune di Roma e comune di Fiumicino) e quindi nei successivi elaborati tra i quali anche quelli del P.T.P.R. adottato si discosta dalla descrizione dei limiti della zona vincolata, sopra riportata, nel tratto che interessa l'infernetto;
   il testo infatti recita: «La fascia costiera... comprende tutta la Pineta di Castel Fusano sino al canale della Lingua, quindi la macera di confine della tenuta di Castel Porziano» mentre il limite indicato negli elaborati segue il canale della Lingua sino all'incrocio dello stesso con il Viale di Castel Porziano qui abbandona il canale, che prosegue ben oltre, per seguire il viale stesso oltrepassando il limite della tenuta di Castel Porziano;
   la delimitazione grafica che si contesta include nella zona vincolata l'area tra il viale di Castel Porziano ed il limite della tenuta omonima ed escludeva, prima di una successiva rettifica, dalla zona vincolata l'area della tenuta di Castel Porziano compresa tra il viale omonimo e la via Cristoforo Colombo;
   nello stralcio della carta tecnica regionale allegato sotto la lettera A) viene identificato con linea rossa il limite riportato nei grafici elaborati in epoca successiva al decreto ministeriale 21 ottobre 1954, nella stessa planimetria viene indicato con linea verde il limite della zona vincolata che corrisponde al testo del decreto. L'area dell'Infernetto erroneamente compresa nella zona vincolata e indicata a velatura di colore giallo;
   la delimitazione dell'area vincolata adottata negli elaborati grafici successivi al decreto ministeriale 21 ottobre 1954 è quindi palesemente errata in quanto in contrasto con la descrizione di tale limite risultante dal testo del decreto ministeriale allegato alla presente;
   al integrazione, chiarimento e sostegno alle osservazioni ed affermazioni di cui sopra si riportano le seguenti considerazioni;
   lo spirito e la lettera del decreto 21 ottobre 1954 vogliono tutelare la fascia costiera tra Ostia, Anzio e Nettuno con particolare riguardo, come affermato nell'ultimo comma della premessa al decreto ministeriale alla salvaguardia delle pinete e delle aree boschive di Castel Fusano e di Castel Porziano; in contraddizione a quanto sopra la delimitazione grafica che si contesta escludeva una parte rilevante della tenuta di Castel Porziano, con la scelta del Viale omonimo come limite, mentre veniva indebitamente compresa nella zona vincolata una vasta area non boscata facente parte dell'attuale Infernetto, evidenziata in giallo nell'estratto della Carta Tecnica Regionale allegato sotto la lettera A);
   la descrizione letterale del limite dell'area vincolata contenuta nel decreto ministeriale è sufficientemente dettagliata e fa riferimento ai limiti individuabili sul terreno quali strade, canali, ferrovie, confini materializzati da macere e altro ma non vi è alcun riferimento al viale di Castel Porziano, già esistente nell'ultimo decennio del 1800 e noto anche per i secolari pini marittimi che lo fiancheggiano quale linea di raccordo, delimitante l'area vincolata, crea il canale della Lingua e la macera di confine della Tenuta di Castel Porziano;
   si rileva che tra l'incrocio del Canale della Lingua con Viale e l'attraversamento del confine della Tenuta Presidenziale da parte dello stesso Viale corrono ben tre chilometri. È impensabile che per tale lungo tratto il limite dall'area vincolata non sia stato descritto nel decreto quando esisteva sul terreno un confine naturale facilmente identificabile costituito appunto dal viale di Castel Porziano;
   la spiegazione all'evidente contrasto esistente tra la descrizione letterale del limite della zona vincolata, come definita dal testo del decreto ministeriale e l'errata indicazione di tale limite negli elaborati grafici successivi al decreto ministeriale si ritiene possa essere la seguente: nella redazione della planimetria dell'area vincolata dal decreto ministeriale in oggetto non è stato tenuto conto che il corso canale della Lingua ha sempre oltrepassato il viale di Castel Porziano proseguendo con tale denominazione sin quasi al confine della Tenuta di Castel Porziano dove assumeva il nome di Canale Pantanello per sfociare poi in mare attraversando il territorio della Tenuta stessa, come risulta dalla planimetria delle mappe del Catasto Pontificio;
   pertanto la corretta delimitazione dell'area vincolata, secondo il testo del decreto ministeriale 21 ottobre 1954, deve seguire il corso del canale della Lingua nella sua originaria configurazione, coincidente come sopra dimostrato con un tratto dell'alveo del canale Pantanello, ora denominato Palocco, sino all'incrocio del medesimo con il confine della Tenuta di Castel Porziano; il limite segue poi tale confine, comprendendo così l'intera Tenuta Presidenziale ed escludendo quindi dalla zona vincolata l'area dell'Infernetto indicata a velatura gialla nell'estratto della Carta tecnica regionale (ALLA) nel quale il limite che si ritiene esattamente corrispondente al dettato del decreto ministeriale 21 ottobre 1954 è indicato con linea di colore verde;
   si rileva infine che sono stati adottati almeno tre provvedimenti interpretativi del decreto ministeriale 21 ottobre 1954 resisi necessari per rettificare le discrasie esistenti tra la descrizione letterale del limite dell'area vincolata e la indicazione di tale limite negli elaborati grafici successivi all'emanazione del Decreto stesso;
   l'area erroneamente vincolata è così individuata nel catasto del comune di Roma:
    foglio 1117, allegati 674, 675, 676, 677, 678, 679, 680;
    foglio 1118, allegati 845, 846, 847, 848, 849, 850;
    foglio 1121, allegato 39 –:
   quali provvedimenti si intendano adottare al fine di risolvere l'annosa questione di cui in premessa per dare ai cittadini dell'Infernetto piena certezza della loro condizione di abitanti nel rispetto dei vincoli di legge nazionale e della tutela paesistica regionale. (4-09763)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCOLIN. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   per i soccorsi in mare, la Guardia costiera del nostro Paese sarebbe dotata di ben 6 navi e oltre 20 motovedette della classe CP300, costruite con i fondi di Frontex;
   nella sede di Lampedusa sarebbero dislocate solo 3 o 4, motovedette della suddetta classe CP300, capaci di caricare fino a 150 naufraghi, veloci e dotate di bordi in gomma che permettono di evitare il ribaltamento dei barconi e le lungaggini nelle operazioni di salvataggio, rendendole in grado di affiancarsi e di trasbordare i clandestini con facilità;
   le navi della Guardia costiera caricano diverse centinaia di naufraghi e rispetto alle maggiori navi da guerra della Marina militare vantano maggior velocità e versatilità, potendo offrire nelle missioni d'altura a lungo raggio una piattaforma per il coordinamento di mezzi aeronavali in missioni complesse e dare supporto logistico ad attività di protezione civile;
   le navi della Guardia costiera vantano anche bassi consumi, non dispongono di pericolosi sistemi d'arma a bordo ed imbarcano fra i 25 e 40 membri di equipaggio, a differenza dei 200 delle fregate, personale che va comunque opportunamente indennizzato;
   dal 27 giugno 2015 è iniziata l'attività navale del dispositivo EUNAVFORMED, per ora al solo fine di raccogliere informazioni d'intelligence, mentre dipenderà dal verificarsi di alcuni presupposti giuridici, in particolare l'ottenimento di un mandato dall'ONU o l'arrivo di una richiesta dalle autorità libiche, il fatto che si passi al contrasto vero e proprio e alla distruzione o sequestro delle imbarcazioni degli scafisti;
   già attualmente, dopo il trasbordo dei naufraghi sulle navi soccorritrici, dalle navi o vedette della Guardia costiera sarebbe possibile individuare il conduttore del barcone ed arrestarlo;
   all'atto pratico, inoltre, i barconi degli scafisti vengono già sabotati dopo aver trasbordato i naufraghi. Non a caso, nel mese di febbraio 2015, una motovedetta della Guardia costiera sarebbe stata fatta bersaglio di colpi d'arma da fuoco dagli scafisti proprio perché i «Guardia Coste» stavano mettendo fuori uso il barcone dopo aver concluso le operazioni di soccorso;
   le navi della Guardia costiera da 100 metri dovrebbero costare circa 70 milioni di euro, mentre quelle di 60 metri, 15. Le motovedette classe 300, circa 2 milioni. Si tratta quindi di mezzi economici rispetto alle nuove navi da guerra in costruzione nel prossimo decennio, che nella migliore delle ipotesi (le cosiddette «dual use») al netto dei sistemi d'arma verranno a costare almeno 200 milioni di euro;
   in merito all'attività nel canale di Sicilia, il Consiglio di rappresentanza livello nazionale della Guardia costiera ha chiesto di aumentare il personale anche semplicemente quello di truppa, al fine di razionalizzare gli incarichi del ruoli più alti;
   lo stesso Consiglio di rappresentanza ha chiesto altresì di intensificare l'attività addestrativa dell'uso delle armi, oltre che dotazioni adeguate a bordo, per poter rispondere nell'immediato ad eventuali malviventi e scafisti –:
   se il Governo ritenga davvero più utili allo svolgimento di attività di polizia marittima e soccorso le navi maggiori della linea d'altura della Marina militare, in luogo delle imbarcazioni della Guardia di finanza e della Guardia costiera;
   se il Governo non ritenga che il dispositivo navale allestito nel Mediterraneo nell'ambito delle missioni EUNAVFORMED, TRITON e MARE SICURO non incentivi l'afflusso dei migranti che si concentrano da diverse parti dell'Africa e Medioriente a Tripoli, per imbarcarsi clandestinamente verso l'Europa;
   se il Governo non ritenga più utile incrementare le risorse economiche per, la costruzione di nuovi economici ed efficienti mezzi della Guardia costiera;
   se il Governo non consideri opportuno incrementare la presenza in mare dei mezzi della Guardia costiera e al contempo le risorse economiche per soddisfare le richieste dei delegati nazionali rappresentanti del personale della Guardia costiera, che aspirano a vedersi riconosciuti i giusti emolumenti economici (straordinari ed accessori) connessi allo svolgimento dell'attività operativa nel canale di Sicilia;
   se il Governo non giudichi opportuno, assumere iniziative per istituire una Guardia costiera che abbia lo status di forza di polizia, così come richiesto dai delegati della rappresentanza al fine di rendere più sicuri ed efficienti le aree marittime d'interesse nazionale, i mezzi impiegati e il personale che opera nel Mediterraneo e in particolare nel Canale di Sicilia. (4-09769)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LODOLINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella tarda serata del 2 luglio 2015 a poche ore dalla scadenza dei pagamenti delle tasse, è stata pubblicata sul sito dell'Agenzia delle entrate la nota che «quantifica» le deduzioni forfettarie per il settore dell'autotrasporto merci, ovvero le spese non documentabili, riconosciute per l'anno 2015;
   da fonti governative, in più di un'occasione, anche in maniera ufficiale, era stata data conferma dei vecchi importi. A 48 ore dalla scadenza dei pagamenti, volendo rispettare tempi e termini, si impose di ricalcolare tutto per circa l'80 per cento delle imprese del settore ovvero quelle imprese dell'autotrasporto che utilizzano le deduzioni forfettarie. Si tratta di deduzioni e crediti d'imposta essenzialmente legati al recupero delle spese sostenute dagli autotrasportatori per le trasferte in relazione ai trasporti personalmente effettuati dall'imprenditore, titolare di ditta individuale, o dai singoli soci di società di persone. È un beneficio essenziale per la sopravvivenza di oltre 2000 imprese marchigiane;
   quanto sopra descritto rischia di compromettere seriamente un settore, quello dell'autotrasporto che è essenziale per l'economia delle Marche, mettendo in crisi il sistema marchigiano, dei consorzi e cooperative dell'autotrasporto che sono costituite da oltre 1000 imprese e occupa direttamente circa 200 dipendenti di queste strutture. Si rischia pertanto di disperdere una realtà importante che ha dato vita a significativi fenomeni di aggregazione che hanno fatto delle Marche una realtà di riferimento e competente nel settore dell'autotrasporto;
   occorre ripristinare il meccanismo e percentuali del riconoscimento di tali spese che sono state drasticamente ridotte di oltre il 60 per cento rispetto al 2014, le imprese italiane sono costrette a ricorrere alla riduzione delle imposte con il meccanismo delle spese forfettarie per ridurre il differenziale con gli altri competitori europei che pagano costi inferiori per autostrade, gasolio, assicurazioni. I trasportatori italiani subiscono, quotidianamente, concorrenza sleale e dumping sociale da parte di aziende di altri Paesi, principalmente dell'est Europa, ma anche di società italiane che hanno da tempo delocalizzato sfruttando l'opportunità di un costo del lavoro decisamente più basso;
   il 27 gennaio 2015 è stato firmato un protocollo d'intesa di ripartizione dei complessivi 250 milioni di euro stanziati a favore dell'autotrasporto dalla legge di stabilità 2015. Nel suddetto verbale, in corrispondenza della voce «deduzione forfettaria», pur prevedendo un accantonamento di 60 milioni di euro (nel 2013-2014 la cifra accantonata era pari a 113 milioni di euro), veniva espressamente specificato che sarebbero stati «garantiti gli stessi importi delle deduzioni previste nel 2013»;
   il conseguente decreto interministeriale firmato il 29 aprile 2015 dai Ministri competenti conferma le cifre individuate nella suddetta richiamata ripartizione;
   il 26 giugno 2015 in occasione del comitato centrale dell'Albo presieduto dalla dottoressa Di Matteo, contrariamente a tutto quanto sopra rappresentato, a margine dei lavori, verbalmente, comunicava, facendosi portavoce del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che la ragioneria dello Stato aveva quantificato in 186 milioni le risorse necessarie per garantire gli stessi importi delle deduzioni dello scorso anno e che, a motivo di ciò, la proposta era di ridurre gli importi di riferimento ad un terzo;
   tale prefigurazione contraddiceva ogni intesa ed aspettativa, legittimamente maturata nel quadro di incontri ed intese come sopra rappresentati e che hanno costituito elementi essenziali dei verbali delle sedute e degli accordi –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire i livelli di deduzione forfettaria che erano stati garantiti, dal Governo fino ad oggi. (5-06028)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7, comma 9, del recente decreto-legge n. 78 del 2015 ha individuato la platea dei contribuenti ai quali va posto a carico il rischio di inesigibilità dei crediti TARI;
   con un'integrazione all'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che introduceva la nuova tariffa nel panorama fiscale comunale, è stato reso obbligatorio l'inserimento, tra i costi del servizio, delle quote di crediti inesigibili,
   i contribuenti TARI, a legislazione vigente, non sono dunque chiamati a pagare solo la quota posta a loro carico ma anche a vedersi bollettare le quote non pagate dai contribuenti morosi;
   i comuni ed i loro concessionari hanno l'obbligo di esperire tutte le azioni possibili per poter recuperare ogni singola quota di TARI; prima di dichiarare il credito inesigibile e di inserirlo tra i costi del servizio;
   l'integrazione normativa introdotta dai nuovi principi armonizzati (punto n. 3.3 dell'allegato n. 4/2 del decreto legislativo n. 118 del 2011) impone però di iscrivere le quote dei crediti inesigibili TARI nel Fondo crediti dubbia esigibilità (FCDE) a carico dei bilanci comunali, con la conseguenza che i cittadini dovrebbero sopportare il carico dei crediti inesigibili due volte:
    a) la prima in tariffa TARI (se l'ente ricorre all'inserimento del fondo svalutazione crediti nel piano economico finanziario Tari per una quota massima del 5 per cento o, negli anni successivi, nel momento in cui saranno dichiarati definitivamente inesigibili);
    b) la seconda come accantonamento al FCDE del bilancio comunale;
   l'obbligo di accantonare risorse nel fondo crediti di dubbia esigibilità da parte dei comuni si configura quindi quale duplicazione dell'accantonamento già previsto in sede di approvazione del piano economico/finanziario TARI;
   il decreto-legge n. 78 del 2015 necessita perciò di chiarimenti –:
   se al punto 3.3 dell'allegato n. 4/2 al decreto legislativo n. 118 del 2011, fra i «crediti di dubbia e difficile esazione ...» rientrino o meno quelli relativi alla TARI oppure se per sopravvenienza di norme non risulti più obbligatorio per l'ente locale provvedere ad accantonare risorse proprie nel Fondo crediti di dubbia esigibilità del bilancio di previsione 2015/2017 e successive annualità da far confluire poi nel risultato di amministrazione calcolato in sede di rendiconto dei medesimi esercizi finalizzato ad affrontare il rischio di inesigibilità dei crediti Tari;
   se la nuova disposizione introdotta dall'articolo 7, comma 9, del decreto-legge n. 78 del 2015 che prevede che i crediti inesigibili siano inseriti tra i costi del piano economico/finanziario della TARI vada interpretata nel senso che essi non vanno poi posti anche a carico della fiscalità generale ma solo a carico dei contribuenti Tari;
   se risulti obbligatorio per i comuni confermare l'accantonamento di somme già effettuato a titolo di FCDE in sede di riaccertamento straordinario, in applicazione del citato principio contabile di cui al n. 4/2 allegato al decreto legislativo n. 118 del 2015, al fine di affrontare il rischio di dubbia esigibilità dei residui attivi Tari e Tares. (5-06033)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e PETRAROLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la corruzione è definita da Trasparency International Italia, schematicamente, come «abuso della fiducia pubblica e del potere per l'ottenimento di vantaggi privati». Attiene, in generale, al malcostume politico e amministrativo. La corruzione distrae le risorse disponibili in forme irregolari, illecite e accresce la povertà, stravolgendo i fini democratici, egualitari, perequativi caratterizzanti la Costituzione italiana;
   il piano nazionale anticorruzione impone a tutte le amministrazioni, compresi regioni ed enti locali, l'adozione di piani triennali di prevenzione della corruzione (ptpc). Tale adempimento è qualificabile come un'obbligazione di risultato, rispetto alla quale mancano sanzioni per la mancata attuazione. Il «pacchetto anticorruzione (legge n. 190 del 2012)» agisce essenzialmente attraverso i piani anticorruzione, la trasparenza, le misure di garanzia. In base al complesso di disposizioni normative, le amministrazioni hanno dovuto predisporre: 1) un sistema di misurazione e valutazione delle performance; 2) un piano delle performance; 3) un piano trasparenza e integrità; 4) la definizione di standard di qualità dei servizi;
   il decreto legislativo n. 39 del 2013 individua cause di inconferibilità e di incompatibilità che attengono agli incarichi amministrativi e quindi stabilisce limiti e divieti tesi a garantire l'imparzialità di questi incarichi;
   con il decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 è stato emanato il nuovo codice nazionale di comportamento dei funzionari pubblici. Le diverse amministrazioni dovranno (entro termini che la legge non stabilisce in modo netto) adottare propri codici di condotta: esercizio imparziale delle funzioni pubbliche svolte, o direttamente (come nel caso dei dirigenti, cui è riservata la competenza per gli atti di amministrazione e gestione) o indirettamente (come nel caso dei funzionari che partecipano, con funzioni istruttorie o comunque di supporto) all'esercizio della funzione;
   la riforma, a giudizio degli interroganti, non ha saputo andare fino in fondo, dal momento che il testo finale del decreto legislativo esclude del tutto dal regime delle inconferibilità e incompatibilità i soggetti provenienti da incarichi politici di livello nazionale;
   nel primo rapporto sullo stato di attuazione della normativa anticorruzione, l'ANAC evidenzia criticità sulla scarsa incisività a livello politico per l'attuazione della normativa anticorruzione, specialmente in relazione alla disciplina delle inconferibilità e delle incompatibilità, di cui al decreto legislativo n. 39 del 2013; inoltre le amministrazioni risultano restie all'assunzione di responsabilità, prevalentemente ispirate ad «una logica di adempimento», costrette entro un abito mentale meramente formale, pericolosamente antitetico rispetto al senso profondamente innovativo della legge anticorruzione;
   uno degli aspetti critici della legge n. 190 del 2012 è il formalistico divieto di perseguire i denunzianti di anomalie provvedimentali e/o gestionali, che però rimane allo stato teorico, in quanto non è corredato da garanzie effettive per coloro che denunziano illeciti;
   la separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione introdotta con legge n. 142 del 1990 definisce il riparto di competenze e responsabilità dei dirigenti e funzionari, ai quali infatti è stata attribuita la formalizzazione del parere sulle proposte di delibera della giunta e del consiglio, mentre agli amministratori politici spetta l'indirizzo politico amministrativo che dovrebbe ricomprendere la programmazione, le scelte strategiche dell'ente ed il controllo della gestione amministrativa. La Corte dei conti ritiene che: «gli amministratori debbano essere chiamati a rispondere del danno quando uno o più amministratori abbiano avuto un ruolo decisivo nel determinare l'adozione di un atto illecito, anche inducendo il funzionario ad emettere un parere favorevole contra legem». La legge n. 20 del 1994, che non estende le responsabilità di atti degli uffici agli organi politici che li abbiano approvati in buona fede, non rappresenta una clausola di salvaguardia tesa a rendere totalmente irresponsabili i titolari degli organi politici in ragione del fatto che tutti gli atti amministrativi sono istruiti dall'apparato burocratico;
   dopo la riforma attuata con la legge n. 127 del 1997, le nomine dei dirigenti, del segretario comunale e dei direttori generali, hanno ampliato significativamente l'ambito fiduciario nella scelta del corpo burocratico, che dovrebbe invece riferirsi ad un criterio oggettivo. I segni di un eccessivo condizionamento della dirigenza, da parte della classe politica, sono spesso ben visibili: influenza esercitata sia in via diretta, negli enti politici (regione, comune) attraverso il canale istituzionale, sia indirettamente negli enti i cui vertici sono comunque, in qualche modo, di derivazione politica. Inoltre, gli amministratori, sia pure attraverso i nuclei di valutazione, restano arbitri della corresponsione della parte variabile della retribuzione dei dirigenti e dipendenti, ossia delle indennità di posizione e di risultato. In un tale contesto la tutela dell'imparzialità del dirigente o del funzionario pubblico e la effettività del principio di separazione, non appaiono sufficientemente garantite;
   l'esplodere di scandali, quali gli appalti dell'Expo di Milano e la vicenda Mose, e molte altre, con un'equa e diffusa distribuzione sul territorio nazionale, è il segno evidente del mancato intervento dei responsabili amministrativi e tecnici sotto la cui vigilanza avrebbero dovuto essere concepite, affidate ed eseguite le opere. Non appare possibile che, inefficienze, rallentamenti, intrecci e operazioni malsane, si siano protratti per anni senza che da parte dei soggetti responsabili si sia verificato e indagato approfonditamente e fatto emergere le patologie inerenti a tali gestioni. Un mancato intervento che non è spiegabile se non ipotizzando incapacità, appiattimento su altrui volontà o, peggio, corruzione. A titolo di esempio, nella regione Veneto, la magistratura sta rivelando un intreccio di rapporti personali e affaristici che, grazie alle consolidate posizioni politiche e tecniche ricoperte all'interno della regione, favoriscono spesso «gli amici»: gli scandali legati al Mose, alle infrastrutture viarie, ai rifiuti, alla sanità hanno coinvolto e stanno coinvolgendo, oltre a politici e imprese, anche funzionari e dirigenti della regione o di altri enti pubblici;
   infatti, in questi giorni la commissione di tecnici con il «superdirigente» di sanità e welfare della regione Veneto, Domenico Mantoan, sta esaminando l'avanzamento dei progetti finanziati con il fondo di rotazione 2011 di 50 milioni di euro per la disabilità e sta effettuando la verifica interna sugli atti dell'assessorato. Solo 4 dei 23 progetti finanziati sono partiti concretamente, mentre il 25 per cento delle risorse sono finite a tre cooperative legate all'ex assessore alla sanità Sernagiotto e al presidente della commissione sanità, il consigliere Padrin, pur non avendo realizzato i progetti finanziati. Pare che il rapporto della commissione «stringa» sull'operato del dirigente del welfare dell'epoca, Mario Modolo, «pupillo» dell'assessore Sernagiotto. In particolare, è stata ricostruita l'attività della commissione che ha esaminato le domande fino al varo della graduatoria per l'accesso ai fondi, sia l'attività di controllo su andamento dei progetti, liquidazione delle somme, verifica sui soggetti vincitori. La commissione valutatrice era tutta trevigiana: lo stesso Mario Modolo, Franco Moretto, allora funzionario in regione del settore welfare e oggi dirigente, e Francesco Gallo, direttore dei servizi sociali dell'Usl 8 di Asolo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative intendano mettere in campo, per rendere efficace a tutti i livelli il «pacchetto anticorruzione» al fine di: stabilire un regime sanzionatorio in caso di inadempimento da parte delle amministrazioni, definire le responsabilità sia per i tecnici che per i politici, chiarire quali siano le garanzie effettive per coloro che denunziano illeciti;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per modificare il regime delle inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, estendendolo anche ai soggetti provenienti da incarichi politici di livello nazionale;
   se e quali iniziative normative intendano adottare, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze, al fine migliorare l'efficienza della gestione della cosa pubblica;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per definire prontamente le tempistiche, affinché le amministrazioni si dotino in tempi certi di un proprio codice di condotta. (4-09767)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCUVERA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio esecuzione penale esterna di Pavia (UEPE), servizio specialistico del Ministero della giustizia, che opera per il reinserimento degli imputati e dei condannati, competente per la provincia di Pavia e per 22 comuni dell’hinterland milanese, lavora da anni in difficilissime condizioni operative determinate dalla grave carenza di organico e dal costante aumento del carico di lavoro;
   tali condizioni non sono migliorate anzi si registrano ulteriori difficoltà – a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 67 del 28 aprile 2014, sull'istituto della «messa alla prova» anche per gli adulti, riforma in sé assolutamente positiva nell'ottica della rieducazione del condannato, ma la cui concreta attuazione necessita di un potenziamento delle strutture competenti;
   attualmente l'ufficio esecuzione penale esterna di Pavia sta gestendo circa 1.000 casi, con un carico medio individuale di 170 casi, suddivisi tra 6 funzionari di servizio sociale a fronte dei 21 previsti dalla pianta organica, con una carenza di organico pari al 72 per cento e con un carico di lavoro riconosciuto dai superiori uffici dell'amministrazione penitenziaria come tra i più alti del Paese;
   l'apertura dei nuovi padiglioni nelle strutture penitenziarie di Pavia e Voghera, con l'aumento di circa 500 detenuti (300 Pavia, 200 Voghera), ha aggravato ulteriormente il carico di lavoro dei funzionari di servizio sociale;
   i liberi professionisti che collaborano con l'ufficio esecuzione penale esterna di Pavia, individuati tramite la selezione prevista dal Progetto Master, sono attualmente 3 per 20 ore ciascuno al mese fino al 31 dicembre 2015 –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della forte carenza di personale in cui versa l'ufficio esecuzione penale esterna di Pavia e se non ritenga necessario, in relazione alla criticità del contesto, valutare la messa in atto di interventi atti a procedere all'adeguamento numerico e professionale della pianta organica degli uffici di esecuzione penale esterna del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, come da articolo 7 della legge n. 67 del 2014. (5-06021)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   in queste ore si è formalmente perfezionato l'annunciato acquisto di Tirrenia da parte dell'armatore Vincenzo Onorato, per la somma complessiva – così trapela da fonti giornalistiche – di 100 milioni di euro;
   attraverso la liquidazione dei tre ex soci del gruppo – fondo Clessidra, Gip e Shipping Investment – Onorato acquisisce il 100 per cento della proprietà azionaria della compagnia di navigazione e, congiungendo il nuovo acquisto alla proprietà di Moby Lines, realizza il controllo assoluto del 95 per cento dei collegamenti marittimi tra la Sardegna e la Penisola;
   in questa maniera si conclude la singolare parabola del processo di privatizzazione della ex compagnia di navigazione dello Stato: dal monopolio pubblico della navigazione al monopolio privato, dopo anni nei quali le tariffe della Tirrenia privatizzata sono schizzate progressivamente alle stelle, senza che mai vi fosse una corrispondente implementazione della qualità e quantità del servizio;
   il monopolio privato dei mari di Sardegna oggi è formalmente una realtà, quindi anche la palese infrazione della logica che ispira e delle norme che regolano la libera concorrenza, sistema ideologico sulla base del quale iniziò vent'anni fa l'era delle privatizzazioni;
   al di là della palese violazione della «filosofia» del libero mercato va ribadito che esiste un diritto alla mobilità di ogni cittadino della Repubblica, che trae ispirazione dai valori e principi inscritti nella Costituzione, perciò anche di coloro che vivono in un'Isola;
   tale diritto dei cittadini sardi risulta palesemente limitato, innanzitutto da una condizione di insularità che – incredibilmente ancora nel 2015 – condiziona pesantemente gli spostamenti da e verso la Sardegna, in secondo luogo dai disservizi, le carenze qualitative e quantitative del servizio e il progressivo incremento delle tariffe;
   la politica della cosiddetta «continuità territoriale» – quella aerea e quella marittima – fin qui non solo non ha funzionato ma si è dimostrata un vero e proprio fallimento, incidendo pesantemente sia sul comparto turistico, che in questi ultimi anni ha subito importanti contrazioni laddove al peggioramento generalizzato delle condizioni di vita delle persone si è aggiunta l'esplosione delle tariffe (per una famiglia venire in nave in Sardegna oggi può costare fino a 1000 euro), che su quello commerciale, fortemente penalizzato sia nell’export che nelle importazioni dal costo esorbitante del trasporto merci;
   in Sardegna il dato saliente della cosiddetta crisi economica è la sua strutturalità, ovvero non si tratta di una fase transitoria ma di un dato ormai – in assenza di un mutamento di segno nella considerazione dello Stato – consolidato: da una parte il collasso del sistema produttivo sardo, la chiusura della maggior parte degli impianti produttivi industriali e la crisi generalizzata di tutti i comparti, dall'altra l'oggettiva impossibilità che l'economia sarda possa riorganizzarsi e risorgere, in assenza di una strategia pubblica di rinascita economica e sociale della Sardegna, innanzitutto una politica del trasporto pubblico delle persone e delle merci;
   in questi giorni cresce la preoccupazione nell'Isola circa il rischio che il neonato monopolio privato della navigazione possa ulteriormente produrre un aggravio nei costi e un peggioramento della situazione esistente;
   lunedì 6 luglio 2015 la Regione Sardegna, che già aveva espresso – insieme con la grande parte della rappresentanza politica sarda – forte preoccupazione per la trattativa in corso fra Onorato e i soci di Tirrenia, ha depositato un esposto all'autorità anti-trust nella quale si mette in evidenza il «rischio» di monopolio –:
   se non ritenga che, in considerazione delle mutate condizioni iniziali societarie, e il venir meno sostanziale del rispetto del principio della concorrenza, non si debba recedere dal contratto in base all'articolo 15 della convenzione e definire l'assegnazione, del contributo attraverso procedure trasparenti di evidenza pubblica che possano garantire un abbattimento dei costi e il miglioramento del servizio.
(2-01029) «Piras, Franco Bordo, Quaranta, Duranti, Ricciatti, Nicchi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MORASSUT. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree di servizio autostradali è classificata come servizio pubblico il cui esercizio è fatto ricomprendere negli atti di concessione con i quali vengono affidate le differenti tratte autostradali italiane;
   la distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree di servizio autostradali è soggetta ad una specifica concessione petrolifera rilasciata dalla regione competente per territorio, ai sensi e per gli effetti della legge 1034/1070 e del decreto legislativo n. 112 del 1998, nonché all'affidamento del servizio presso la singola area conseguente ad apposita procedura di gara ad evidenza pubblica organizzata dalla società concessionaria;
   i meccanismi di gara ed i criteri dell'aggiudicazione di tali servizi decisi dalle società concessionarie autostradali sono stati sostanzialmente improntati, a partire dal 2002 in avanti, a premiare il massimo rilancio dei concorrenti in ordine alle royalty collegate alle vendite dei prodotti carburanti;
   gli affidatari del servizio di distribuzione dei prodotti carbolubrificanti corrispondono nella generalità dei casi alle compagnie petrolifere normalmente attive nel nostro mercato, le quali di norma si servono di un gestore per l'espletamento di tale servizio;
   a tutela dell'interesse collettivo prevalente, della continuità e della qualità dei servizi resi, della tutela dell'autonomia della impresa di gestione nel rapporto trilatero con il concessionario e la compagnia petrolifera e della salvaguardia dei livelli di occupazione nel settore, i Ministeri delle attività produttive e delle infrastrutture e dei trasporti si fanno promotori e firmatari di due appositi accordi collettivi interprofessionali, sottoscritti in sede istituzionale l'8 luglio 2002 ed il 4 dicembre 2002 a livello interassociativo ai sensi del decreto legislativo n. 32 del 1998 e delle leggi n. 496 del 1999 e n. 57 del 2001. Accordi con i quali i concessionari, le compagnie petrolifere ed i rappresentanti dei Gestori assumono formali impegni, tra l'altro, in relazione al fatto che i bandi di gara ed i relativi contratti di convenzione che legano i concessionari agli affidatari prevedano:
    a) la cosiddetta «continuità gestionale», vale a dire la prosecuzione del contratto che lega l'affidatario al Gestore fino alla sua naturale scadenza temporale, peraltro sancita dalla legge, anche nel caso che la gara sia vinta da un altro concorrente;
    b) il rispetto della normativa speciale di settore per la distribuzione carburanti e dei relativi Accordi collettivi che regolano i rapporti tra affidatari e gestori;
    c) che gli affidatari possano ribaltare sui gestori gli obblighi assunti nei confronti dei concessionari solo se compatibili con la suddetta normativa di settore;
    d) che ai Gestori sia consentito di esercitare le attività collaterali cosiddette «non oil», così come previsto dalle norme volte a liberalizzare le attività commerciali ed in particolare le già citate leggi n. 496 del 1999 e n. 57 del 2001;
   a questo ultimo proposito l'Autorità di garanzia per la concorrenza ed il mercato si è ripetutamente pronunciata nel tempo a favore della eliminazione della cosiddetta «esclusiva d'area», che di fatto affida in regime di monopolio la vendita e la somministrazione di alimenti e bevande ai marchi della ristorazione, e dell'introduzione e dell'affidamento al Gestore dei servizi carbolubrificanti di attività cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce»;
    i meccanismi di gara ed i criteri di aggiudicazione delle gare finora adottati hanno determinato uno straordinario innalzamento del livello di royalty percepito dalle società concessionarie sui carburanti che, secondo la stima resa pubblica da alcuni operatori del settore, è quantificabile in un +1.400 per cento; all'esito della crescita delle royalty dalle 25 lire/litro medie del 2002, ai 18 eurocent/litro medi del 2009;
   tutto ciò ha evidentemente finito per determinare un livello medio di prezzi al pubblico dei carburanti distribuiti presso le aree di servizio autostradali particolarmente superiore a quello praticato sulla viabilità ordinaria della rete distributiva italiana, oltreché presso le reti autostradali degli altri Paesi europei;
   l'alto livelli di prezzi al pubblico ha sviato progressivamente sia il singolo utente sia quello professionale – autotrasportatori, pendolari, eccetera – producendo una drastica contrazione dei volumi di vendita mediamente superiore al 50 per cento negli ultimi cinque anni, con punte oltre il 70 per cento;
   il settore specifico della distribuzione carburanti in autostrada – che, come detto, è chiamato ad assolvere un servizio pubblico essenziale per assicurare il diritto alla mobilità dei cittadini, oltre a vedere il coinvolgimento di centinaia di aziende grandi e piccole e ad impiegare circa 8.000 lavoratori – si trova perciò da anni in uno stato di crisi eccezionale caratterizzato dalla contrazione dei volumi di vendita, alto livello dei prezzi al pubblico, scarso livello di servizi sia in termini di diversificazione, sia in termini di standard qualitativi, dall'inadeguato livello di investimenti e manutenzione delle stesse aree di servizio;
   il legislatore, ha opportunamente previsto con l'articolo 17 della legge n. 27 del 2012 che le procedure competitive in aree autostradali in concessione siano espletate secondo gli schemi stabiliti dall'Autorità di regolazione dei trasporti di cui all'articolo 37 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201;
   esercitando una funzione di surroga, non prevista però dalla norma, «nelle more dell'entrata in operatività dell'Autorità della regolazione dei trasporti», il Ministro dello sviluppo economico e delle infrastrutture e dei trasporti del Governo allora dimissionario e quindi in carica per i soli atti di ordinaria amministrazione, il 29 marzo 2013 emanò un atto di indirizzo avente ad oggetto l'individuazione dei criteri per l'affidamento dei servizi di distribuzione carbolubrificanti e delle attività commerciali e ristorative nelle aree di servizio delle reti autostradali;
   pur mostrando implicitamente di aver compreso quale parte rilevante abbiano avuti i meccanismi di gara ed i criteri di affidamento adottati dai concessionari autostradali nello stato di crisi del settore relativo, le indicazioni – generiche e di massima – che il Ministero offre con l'atto di indirizzo del 2013 verso la formulazione di bandi di gara che privilegino «offerte» dei concorrenti più riequilibrate verso il livello di «servizio» piuttosto che quello delle «royalty», non sembrano essere in grado di raggiungere l'obiettivo indicato, non essendo accompagnate né dalla necessaria cogenza, né da parametri certi e misurabili, né dalla necessaria previsione di penalità in caso di inadempienza;
   inoltre il medesimo Atto pare in evidente contraddizione con la natura stessa del concetto di pubblico servizio nel lasciare ai concessionari l'ampia possibilità di adottare sistemi di distribuzione dei carburanti interamente automatizzati che naturalmente richiamano il venir meno anche della mera assistenza all'automobilista e, infine, persino del presidio dell'area. La qual cosa, oltre al resto, è in aperto contrasto con la normativa speciale che regola la distribuzione dei carburanti e gli Accordi collettivi di livello interprofessionale di livello aziendale sottoscritti in forza di tale normativa, ivi compresi quelli già citati e condivisi in sede ministeriale nel 2002;
   non appare in un tale contesto così degradato e confuso evidenziare come proprio i suddetti accordi collettivi che la legge impone – nel rispetto dell'interesse generale prevalente sia in ordine ai principi di tutela e di equità, che in ordine alla necessità di garantire condizioni di concorrenza in un mercato naturalmente oligopolistico – regolino le condizioni economico-normative alla base del rapporto tra compagnie petrolifere e Gestori, sono scaduti e non adeguati mediamente da 6 anni con tutte le aziende. Accordi collettivi che quindi riguardano direttamente i soggetti – vale a dire i gestori – sui quali ricade in definitiva il compito di assicurare il pubblico servizio al livello migliore possibile per il consumatore. Tutto questo risulta peraltro agli atti dello stesso Ministero dello sviluppo economico, al quale la legge affida sia il compito di ricevere e assicurare la pubblicità di tali accordi collettivi, sia quello di avviare procedure per la mediazione delle vertenze collettive, oltreché a quelli della Commissione di garanzia per lo sciopero nei pubblici servizi essenziali che più di una volta, dal 2012 in avanti, si è fatta promotrice di procedure di raffreddamento delle vertenze in atto;
   in ogni caso, contrariamente a quanto prescritto, la suddetta autorità della regolazione dei trasporti non si è ancora mai espressa in materia nonostante i suoi Commissari siano stati nel frattempo regolarmente nominati e svolgano pienamente le funzioni loro assegnate;
   valutando il contenuto dell'Atto di indirizzo del 2013 non pienamente corrispondente ad offrire le necessarie risposte allo stato di crisi del settore, a marzo del 2014 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti avanza una formale richiesta di parere all'Autorità garante della concorrenza e del mercato in ordine all'eventuale adozione di un nuovo Atto di indirizzo teso all’«elaborazione di un Piano di ristrutturazione delle aree di servizio autostradali che razionalizzi le infrastrutture e rivisiti le modalità di resa dei servizi»;
   con tale richiesta di parere il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti contempla la necessità di un nuovo Atto di indirizzo che preveda anche la chiusura di una serie di aree di servizio ritenute inefficienti e, a questo scopo, la proroga fino al 31 dicembre 2015 della scadenza degli attuali affidamenti dei servizi, sospendendo le procedure di gara per il loro rinnovo per un periodo di uguale durata;
   con comunicazione del 16 aprile 2014, l'Antitrust esprime il proprio parere favorevole, rilevando da una parte «il valore estremamente elevato delle royalties pagate dalle società sub-concessionarie alle concessionarie autostradali a seguito dell'ultima tornata di gare (svoltasi tra il 2007 ed il 2008)», nonché valutando che «il ritardo nell'effettuazione delle gare per gli affidamenti delle sub-concessioni oil sul sedime autostradale possa essere accettabile esclusivamente nella prospettiva che ad esso si affianchi un processo di ristrutturazione», vale a dire piani per la chiusura di un congruo numero di aree di servizio, a cui dovrebbero attivamente essere chiamate «tutte le amministrazioni coinvolte nell'attuale processo di rilascio della concessione petrolifera sul sedime autostradale ai sensi dell'articolo 105, comma 2, lettera f), del decreto legislativo n. 112/98, e dunque in primo luogo le Regioni competenti»;
   in conseguenza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha invitato, con apposita comunicazione del 5 maggio 2014, tutte le società concessionarie a sospendere le procedure di gara, ivi comprese quelle già avviate, per il rinnovo degli affidamenti dei servizi carbolubrificanti;
   seppure in regime di prorogatio, in non pochi casi alcuni concessionari hanno comunque proceduto ad effettuare nuovi affidamenti dei servizi carbolubrificanti e/o ad autorizzare, anche attraverso specifiche intese con le compagnie petrolifere/affidatarie del servizio, l'adozione di sistemi interamente automatizzati di distribuzione dei carburanti presso alcune aree di servizio;
   in data 29 gennaio 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con quello dello sviluppo economico hanno emanato un secondo atto di indirizzo avente ad oggetto l'individuazione dei criteri per l'elaborazione di un piano di ristrutturazione della rete delle aree di servizio presenti sui sedimi autostradali;
   anche tale secondo atto non appare rispondere positivamente né alle necessità, né agli obiettivi che dichiara di voler perseguire. In primo luogo, perché non aggiunge alcun elemento utile a quanto già contenuto nel primo Atto del 2013 in relazione ai meccanismi di gara ed ai criteri di aggiudicazione dei nuovi affidamenti, soprattutto in ordine al contenimento del livello di royalty pretese dai concessionari e, di conseguenza, a beneficio degli standard di servizio offerto e dei prezzi al pubblico praticati sui carburanti. In secondo luogo, perché sotto il profilo della razionalizzazione della rete distributiva autostradale e quindi della riduzione dei punti vendita, l'Atto prevede soglie – sotto i due milioni di litri di carburanti e sotto i 750 mila euro di fatturato sulla ristorazione ed altro – per individuare aree di servizio da portare eventualmente in chiusura del tutto inadeguate a immaginare chiusure in numero congruo per realizzare un concreto contenimento dei costi ed una reale efficienza complessiva che avvicini la rete italiana a quella europea. In terzo luogo, perché non mette riparo in alcun modo alle mancate omissioni relative alla legislazione speciale sulla distribuzione carburanti, alla tutela degli operatori attualmente presenti e alla salvaguardia dei livelli occupazionali;
   in questo contesto maturano anche le condizioni che hanno portato le organizzazioni di categoria dei gestori a proclamare lo stato di agitazione e a preannunciare una agitazione collettiva nazionale prevista già dai primi giorni del prossimo mese di marzo, quale estremo atto di una vertenza, finora senza esito né evoluzione alcuna, all'attenzione dei Ministeri competenti già dal 2011 ed incentrata sostanzialmente proprio sui temi oggetto della presente interrogazione –:
   quali iniziative intendano intraprendere affinché siano prontamente predisposti gli schemi secondo i quali saranno espletate le procedure competitive in aree autostradali in concessione, così come previsto dall'articolo 17 della legge n. 27 del 2012;
   quali iniziative intendano assumere per quanto di competenza affinché, nell'interesse generale prevalente, il servizio di distribuzione dei prodotti carbolubrificanti presso le aree autostradali torni ad essere esercitato secondo le caratteristiche proprie del pubblico servizio essenziale in concessione, vale a dire all'interno di strutture idonee ed adeguatamente ricettive, assicurando standard di servizio minimi (con ciò escludendo la completa automazione del servizio) e diversificazione dell'offerta, adottando meccanismi di assegnazione delle aree tali da garantire prezzi al pubblico in linea con il resto del mercato, prevedendo parametri certi e procedure di verifica e controllo, oltreché penalità per il concessionario nel caso di inadempienza;
   in tale ambito, quali iniziative intendano assumere affinché sia davvero raggiunto l'obiettivo essenziale di razionalizzare la rete delle aree autostradali attraverso la chiusura di punti vendita tra i meno efficienti e comunque in numero tale da assicurare che la distanza tra essi sia ricompresa tra i 50 ed i 70 chilometri, così come già avviene in altri Paesi europei;
   nel medesimo ambito, quali iniziative intendano assumere per garantire che già nei meccanismi di gara, nei criteri di aggiudicazione dei nuovi affidamenti e, di conseguenza, nei contratti di affidamento dei servizi sia tassativamente previsto l'obbligo al rispetto anche del quadro normativo vigente relativo alla distribuzione dei carburanti – decreto legislativo n. 32 del 1998, legge n. 496 del 1999, legge n. 57 del 2001, legge n. 57 del 2012 – e degli accordi collettivi interprofessionali ed aziendali discendenti dal medesimo quadro normativo, con particolare riferimento alle previsioni contenute negli Accordi collettivi interprofessionali sottoscritti in sede governativa l'8 luglio 2002 ed il 4 dicembre 2002 in ordine alla «continuità gestionale» e all'esercizio delle attività collaterali cosiddette «sottopensilina» e di «sosta veloce». (5-06023)


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sistema Mose (modulo sperimentale elettromeccanico) è un sistema di paratoie mobili a scomparsa, concepito per la difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte, i cui lavori di esecuzione sono stati affidati al Consorzio Venezia Nuova;
   a seguito delle recenti indagini condotte dalla procura di Venezia per una serie di reati legati alla realizzazione del Mose, i lavori per la costruzione delle paratoie mobili alle bocche di porto, risultano, per quanto di conoscenza, fermi da otto mesi, così come i cantieri del consorzio Venezia Nuova;
   in particolare, tale interruzione nell'esecuzione dei lavori sarebbe conseguente allo svolgimento delle indagini tuttora in corso da parte della magistratura e all'impossibilità di bandire nuove gare d'appalto per le opere ancora in via di realizzazione;
   stando alle ultime notizie di stampa, un ulteriore slittamento della data conclusiva dei lavori di realizzazione del Mose al 2018 appare altresì altamente probabile, proprio alla luce dei ritardi accumulati soprattutto negli ultimi mesi, con un costo quantificato pari a oltre 150 milioni di euro, relativo ai danni dell'interruzione dei lavori per l'opera di cui in oggetto;
   per quanto riguarda i lavori di realizzazione del Mose, data l'ampiezza della bocca di porto e la presenza di due canali con profondità diverse, in località Lido sono previste due schiere di paratoie: una sul canale di Treporti a nord (21 paratoie per uno sviluppo di 420 metri) e una sul canale di San Nicolò a sud (20 paratoie per uno sviluppo di 400 metri);
   in particolare, il progetto per il canale di Lido Treporti — largo 420 metri e profondo 6 metri — prevede per questa barriera 21 paratoie, ciascuna delle quali lunga 18,55 metri e larga 20 metri, incernierate ai 7 cassoni di alloggiamento, costruiti all'interno del bacino lato mare del porto rifugio;
   con deliberazione del consiglio comunale di Cavallino Treporti n. 22 del 13 aprile 2015, è stato adottato il Masterplan riferito al lungomare Dante Alighieri in località di Cavallino, area paesaggistica che è stata investita, nel corso degli ultimi dieci anni, dalle consistenti opere del Mose che ne hanno alterato profondamente la conformazione e le originarie valenze ambientali;
   il lungomare confina con ambiti paesaggistici di rilievo e sta subendo una profonda trasformazione, non ancora completata, a causa della realizzazione del gigantesco progetto del MOSE, che in questo punto ha realizzato le barriere mobili con il rifacimento completo delle sponde oltre ad un'isola centrale in mezzo alla bocca di porto, comportando una radicale trasformazione dell'assetto urbanistico e paesaggistico dell'intera area adiacente;
   proprio in ragione degli interventi strutturali previsti per il Mose, tale progetto ha modificato per sempre, in questo tratto di Cavallino, il rapporto tra il lungomare ed il canale di porto ed ha di fatto negato l'interfaccia con il mare che era sempre rimasta nel corso degli anni;
   a causa della grande trasformazione messa in atto dal MOSE, si verifica la cesura del rapporto tra il lungomare Dante Alighieri e l'acqua, sia acqua della laguna che acqua della bocca di porto. Questa cesura si attua sia sul piano orizzontale, poiché la linea di costa si è letteralmente spostata di decine di metri verso l'acqua, sia sul piano verticale poiché buona parte dell'opera idraulica si situa ad una quota superiore rispetto al piano stradale di circa 1,5 metri. Questi fattori fisici vanno a detrimento della situazione del lungomare che ora assume quasi un ruolo di retro rispetto al rapporto con l'acqua;
   inoltre, si rileva come l'infrastruttura del Mose arrivi ad a avere quote di 3,5 metri dall'altezza medio mare, creando un vero ostacolo all'accesso all'acqua, mentre generalmente le sponde in laguna misurano 1,7 metri e il progetto di base prevedeva terrapieni aventi quote conformi al territorio. Questo indicatore di altezza rappresenta un ulteriore forte impatto negativo sul territorio di Cavallino Treporti per le attività imprenditoriali dell'area;
   nonostante l'area situata al termine del lungomare Dante Alighieri, verso il Faro di Punta Sabbioni, rappresenti una zona di grande interesse paesaggistico facente parte della Rete Natura 2000, riconosciuta come zona SIC e ZPS, attualmente l'area versa in uno stato di grave abbandono e degrado;
   al contrario delle altre bocche di porto, quelle riferite al lato Lido nord, lato Cavallino-Treporti (VE), presentano, a ridosso del cantiere, oltre alle numerose abitazioni private, anche numerose attività economiche, turistiche e commerciali, come campeggi, affitta camere e appartamenti, e attività di ristorazione (bar, ristoranti, pizzerie);
   a causa dei sopracitati ritardi nell'esecuzione dei lavori, sia le attività economiche che gli abitanti di Cavallino, oltre a subire i disagi legati a cantieri costantemente rumorosi, inquinanti e spesso privi di controlli efficaci, sono stati privati, durante questi lunghi 11 anni, della visione e del contatto con la laguna, elemento paesaggistico considerato vitale dalla comunità, insieme alla sua spiaggia e alla sua acqua;
   i comitati cittadini della comunità di Cavallino-Treporti hanno denunciato in questi anni la perdita, per il territorio del litorale, di importanti risorse turistiche legate alla laguna, oltre ad aver subito gravi danni economici, mai realmente compensati;
   nello specifico, per quanto di conoscenza, la zona lagunare avrebbe subito un progressivo depauperamento dovuto ai metodi di lavoro adottati fin dall'inizio per la realizzazione delle paratoie, spesso irriguardosi nei confronti di chi li abita e lavora: scarico di sassi a terra — effettuati direttamente dai ribaltabili dei camion — con conseguenti vibrazioni che hanno provocato danni strutturali agli edifici; traffico di mezzi pesanti che hanno distrutto la sede stradale e ciclabile di Cavallino, ancora oggi da sistemare; macchine operatrici ed imbarcazioni che hanno operato, a ridosso delle abitazioni, a tutte le ore del giorno e della notte, con effetti inquinanti sia con riguardo all'acustica sia alla qualità dell'aria; e non ultimi i recenti lavori di frantumazione a vibrazione degli inerti in cemento armato a pochi metri dalle abitazioni;
   inoltre, nonostante fosse previsto il trasferimento «attraverso acqua» dei materiali utilizzati per i vari cantieri del Mose, risulta agli interroganti, come denunciato dagli abitanti di Cavallino, che i suddetti materiali per la costruzione dell'isola nuova siano passati dalle piarde sud e soprattutto nord di Punta Sabbioni, a ridosso della città di Cavallino –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della grave situazione di disagio vissuta dagli abitanti della località di Cavallino Treporti a causa del ritardo fatto registrare nel completamento dei lavori per la realizzazione delle paratoie del Mose e se possa riferire informazioni certe, per quanto di competenza, in merito alla presunta data di conclusione dei suddetti lavori e all'accessibilità alle piarde e al bacino;
   a fronte dei fatti esposti in premessa, per la sua valenza specifica di strumento ordinatore, se il Ministro non ritenga opportuno acquisire per il Masterplan riferito al lungomare Dante Alighieri il parere della soprintendenza per le belle arti e il paesaggio per Venezia e laguna ed assumere, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile per far rimuovere quelle parti del cantiere di Cavallino Treporti ormai dismesse e divenute inutilizzabili, in modo da favorire la graduale liberazione della zona di Treporti, interessate dalla presenza di ormeggi per imbarcazioni da pesca, dai cantieri e restituire in tal modo anche a chi vive e lavora nella zona del lungomare Dante Alighieri l'affaccio sulla laguna;
   in un'ottica di compensazione della esternalità negativa provocata dalla realizzazione del MOSE, se il Ministro possa riferire informazioni aggiornate in merito alla previsione o meno, nell'ambito dei costi complessivi stimati per la realizzazione dell'opera, anche degli oneri previsti per le opere di sistemazione, per i danni provocati alle infrastrutture di Cavallino Treporti e se siano stati altresì programmati, in particolare, interventi urgenti per la sistemazione delle opere viarie della zona, disastrate da undici anni di cantieri. (5-06031)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in seguito alla vendita dell'intero capitale azionario della Cin/Tirrenia al gruppo Onorato, oggetto di altri atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante, l'amministratore delegato della Cin ha rassegnato le dimissioni dall'incarico;
   secondo autorevoli fonti giornalistiche, come riportato dal quotidiano economico finanziario «Il Sole 24 ore», l'amministratore delegato avrebbe ricevuto una buonauscita di un milione e mezzo di euro;
   tale ricompensa è del tutto in contrasto con i risultati dichiarati in Commissione trasporti e soprattutto oggetto di una rinegoziazione della convenzione tra lo Stato e la Cin che ha proposto tagli rilevanti ai servizi della convenzione in seguito ad un dichiarato grave deficit di bilancio;
   tali dati relativi ad una grave situazione finanziaria di Cin Tirrenia sono stati accettati dal Governo senza che questi fossero stati certificati dall'approvazione del bilancio;
   la Cin ha, dunque, proposto al Governo e alla regione Sardegna la modifica della convenzione regolatrice del servizio di continuità territoriale da e per la Sardegna che con, ad avviso dell'interrogante grave violazione del principio di trasparenza, ha accettate a scapito del servizio;
   il Governo e la regione Sardegna, ad avviso dell'interrogante con grave irresponsabilità, e in sostanziale accordo con la stessa società di navigazione, hanno accolto le modifiche alla convenzione proposte dalla Tirrenia;
   il contenuto e le modalità di modifica della convenzione costituiscono, secondo l'interrogante, un comportamento assai pregiudizievole ai danni dello Stato e della regione Sardegna che si somma ad una convenzione già di per sè con gravi profili di dubbia legittimità;
   tale modifica ha comportato un danno gravissimo alla Sardegna e ai sardi;
   è auspicabile che la Corte dei conti sia preventivamente investita del provvedimento per bloccare quello che all'interrogante appare un continuo dilapidare di risorse pubbliche;
   dalla modifica della convenzione emerge con chiarezza che non vi è nessun vantaggio per la Sardegna ma solo ed esclusivamente un guadagno per la Tirrenia a fronte di una cancellazione netta di servizi ai danni della regione per un valore di 13 milioni e 546 mila euro;
   a questo si aggiunge che i bilanci della Tirrenia devono essere sottoposti ad attento esame, visto che lo squilibrio economico dichiarato coincide proprio con uno dei parametri della cosiddetta clausola di salvaguardia;
   la stessa convenzione prevede, infatti, che se viene dichiarato un costo superiore dei servizi del 3 per cento rispetto a quelli previsti dalla convenzione si devono ripristinare le condizioni di equilibrio;
   la Tirrenia ha dichiarato in breve tempo questo squilibrio;
   risulta all'interrogante che i Ministeri avrebbero esaminato tale proposta di «riequilibrio» senza avere elementi fondamentali a disposizione e soprattutto con largo anticipo rispetto ai tempi previsti;
   tutto questo si configura secondo l'interrogante come un vantaggio per Tirrenia in difformità dalle norme previste;
   quel che è più grave è che il Governo ha posto in essere una concessione così rilevante dichiarando di non avere i documenti;
   quel che è più grave è che con questo meccanismo perverso la Tirrenia potrebbe in teoria far risultare la propria società in debito perenne continuando a tagliare servizi e a incassare sempre lo stesso stanziamento di quasi 73 milioni di euro;
   tutto questo, ad avviso dell'interrogante senza adeguati controlli sui bilanci, considerato che questa operazione si è svolta senza che sia stato nemmeno comunicato il bilancio 2013;
   in ogni passaggio della modifica della convenzione si evince che il danno per la Sardegna sarà concreto in termini di cancellazione di servizi;
   Tirrenia ha continuato ad incassare i 73 milioni di euro annui, ma ha ridotto i già precari servizi per la Sardegna di almeno 14 milioni di euro;
   tutto questo al buio, considerato che la convenzione è caratterizzata secondo l'interrogante da zone grigie tipiche d'altri tempi che rendono quel finanziamento un ingiustificato vantaggio;
   con altro atto di sindacato ispettivo si fece rilevare che, secondo l'interrogante contravvenendo a tutte le disposizioni, il Governo accolse le richieste di Tirrenia nonostante la stessa non avesse prodotto i bilanci del 2013, non avendolo approvato al momento della richiesta;
   risultano ad avviso dell'interrogante davvero vergognose le decisioni assunte per quanto riguarda il sud Sardegna, con oltre il 50 per cento dei tagli che riguardano Cagliari;
   la tratta Cagliari Civitavecchia passa da quotidiana a trisettimanale, da 7 frequenze a 3. Sulla solo rotta cagliaritana la Tirrenia taglia servizi per 7 milioni di euro;
   si registra un milione e 700 mila euro di tagli sulle rotte con la Sicilia;
   c’è stata la vendita della nave di riserva, l'Aurelia per un guadagno per Tirrenia di quasi 2 milioni di euro;
   è fin troppo evidente che la notizia relativa alla buonauscita dell'amministratore delegato stride con quanto dichiarato sia dal Governo che dallo stesso amministratore delegato Cin;
   se la Cin Tirrenia, così come dichiarato, ha registrato gravi deficit finanziari legati certamente alla non corretta e ottimale gestione appare all'interrogante davvero improponibile e ingiustificata una buonuscita di tale entità;
   risulta evidente che tale buonuscita milionaria non può in alcun modo essere giustificata con i tagli ai servizi della Sardegna, perché in quel caso si arriverebbe al paradosso che ogni amministratore delegato che  limitasse la continuità territoriale da e per la Sardegna verrebbe premiato;
   appare davvero incomprensibile come il Ministero competente possa da una parte accettare una dichiarazione di deficit di bilancio e dall'altra una buonuscita sui conti della Tirrenia di ben un milione e mezzo di euro –:
   se, anche in considerazione della presenza nel collegio sindacale della società dei rappresentanti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze, non ritengano indispensabile  esercitare i controlli di competenza su qualsiasi buonuscita in contrasto con le dichiarazioni di deficit di bilancio poste alla base della grave cancellazione dei servizi da e per la Sardegna;
   se non intendano esercitare, per quanto di competenza, ogni iniziativa di controllo sui conti della Cin Tirrenia;
   se non ritengano di dover verificare i costi reali del servizio di continuità territoriale sia in termini parametrici che di qualità di servizio;
   se non ritengano di dover acquisire ogni elemento utile circa i termini dei contratti con i dirigenti stessi della Cin, considerato il preminente finanziamento dell'attività con risorse pubbliche. (5-06034)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni fa, dopo insistenti e pressanti richieste di incontro da parte delle associazioni di categoria e appena tre giorni prima della scadenza del pagamento delle tasse, un comunicato dell'Agenzia delle entrate ha annunciato la riduzione di circa il 70 per cento, rispetto allo scorso anno, degli importi per la deduzione di spese non documentate da parte delle imprese di autotrasporto;
   sembra infatti che la Ragioneria generale dello Stato abbia bloccato la fruibilità delle agevolazioni relative alle cosiddette «deduzioni forfettarie», ritenendo i 60 milioni di euro destinati alla copertura di tale agevolazione non sufficientemente capienti;
   il Governo ha quindi disatteso gli impegni assunti nei mesi scorsi ed ha drasticamente ridotto gli importi giornalieri delle deduzioni, facendoli passare da 56 a 18 euro, da 19,60 a 6,30 euro e da 92 a 30 euro a seconda dell'ambito territoriale in cui il servizio viene svolto;
   quello che all'interrogante risulta essere veramente grave e inaccettabile è che il Governo abbia disatteso alla sua funzione istituzionale di fatto relegandola a mero registro delle decisioni della ragioneria, che prescindendo da considerazioni politiche, dispongono sulla base delle poste in bilancio. Si procede così alla rovescia, cioè dall'ammontare della copertura disponibile invece che dall'opportunità o dalla necessità di quelle deduzioni;
   si tratta di deduzioni e crediti d'imposta essenzialmente legati al recupero forfettario delle spese sostenute dagli autotrasportatori per le trasferte e che, in questa drammatica congiuntura economica, sono la sola voce che consente a migliaia di piccole imprese monoveicolari di sostenere i propri bilanci;
   se questo provvedimento non ve rà rivisto, ne andrà della sopravvivenza delle aziende artigiane del nostro Paese, soprattutto quelle di piccole dimensioni, perché una corretta gestione amministrativa presuppone la redazione di un bilancio nel quale inserire costi e ricavi e quindi risorse economiche su cui fare affidamento;
   la morfologia del territorio italiano e la carenza di infrastrutture di trasporto stradali e ferroviarie, contribuisce a fare dell'autotrasporto un'attività insostituibile per l'intera economia ed è quanto mai necessario, soprattutto in questo periodo di crisi, scongiurare la chiusura delle imprese e l'alterazione del regolare servizio di movimentazione delle merci, che rappresenta per il sistema produttivo italiano, per la grande distribuzione e, quindi, per l'intera collettività una risorsa primaria –:
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente trovare delle soluzioni condivise al fine di salvaguardare le piccole imprese di trasporto monoveicolari, anche utilizzando risorse destinate attualmente ad altri capitoli di spesa in questo momento non altrettanto prioritari;
   se non ritengano doveroso valutare l'opportunità di assumere iniziative per aumentare la misura delle deduzioni che appare insufficiente e inadeguata alle reali esigenze del settore, permettendo ai contribuenti di recuperare le eventuali maggiori imposte versate tramite compensazione dell'eccedenza sul modello F24.
(4-09759)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DONATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Arezzo, con oltre 3000 chilometri quadrati ed una popolazione di 350.000 abitanti, è una delle maggiori della Toscana per superficie e popolazione;
   storicamente e geograficamente, il territorio della provincia di Arezzo è diviso in quattro vallate: Valdarno, Casentino, Valdichiana e Valtiberina;
   tale suddivisione è utile per una ripartizione razionale dei servizi pubblici;
   nel caso specifico dei vigili del fuoco, tuttavia, la Valtiberina risulta penalizzata, poiché è l'unica vallata a non avere un distaccamento permanente;
   in Valtiberina sono presenti, ad oggi, soltanto i volontari dei vigili del fuoco;
   recenti fatti di cronaca, incidenti alla diga di Montedoglio e incidenti sulla E45, hanno messo in evidenza l'opportunità di prevedere un presidio permanente dei vigili del fuoco in Valtiberina –:
   se il Governo ritenga opportuno predisporre un distaccamento permanente di vigili del fuoco in Valtiberina, con sede a Sansepolcro. (5-06020)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO, D'INCÀ e PETRAROLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Il Gazzettino del 2 luglio 2015 riporta la denuncia del Coisp, sindacato di polizia, secondo cui tra i profughi dell'emergenza continua ci sarebbero anche spacciatori di droga senza scrupoli. Secondo il sindacato l’escamotage che consente agli spacciatori di «rientrare» tra i migranti avviene al momento dell'identificazione; quando infatti i migranti vengono portati nelle questure, la maggior parte di loro si rifiuta di essere fotosegnalata: molti non vogliono lasciare le proprie impronte digitali. Allora vengono denunciati e rilasciati. E di questo meccanismo c’è chi approfitta;
   secondo le dichiarazioni del Coisp «Camminano sulle nostre strade liberi e in mezzo a loro, a quelli senza un nome, ci sono anche gli spacciatori. I venditori di morte espulsi dall'Italia con un decreto prefettizio, dopo essere già stati arrestati per spaccio in una delle nostre città. Vogliono rientrare in Italia per proseguire la redditizia attività dello spaccio, capace di fruttare a un semplice pusher quasi mille euro al giorno. In fondo basta vendere venti grammi di droga in meno di ventiquattro ore ai clienti italiani, pronti a comprarsi ogni tipo di sballo dall'hashish alla cocaina. L'obiettivo di uno spacciatore è restare in Italia almeno cinque anni, nei quali riesce a racimolare quasi 300 mila euro al netto delle spese. In conto mettono qualche mese di carcere e gli avvocati. In fondo sanno che in Italia più di tanto non rischiano, spesso intercettati dalle forze di polizia i pusher al telefono cellulare si sono lasciati sfuggire «Qui in Italia non ci fanno niente, ti arrestano e ti liberano». E allora perché non tornarci in Italia anche attraversando il mare in mezzo ai profughi ? E così gli spacciatori tunisini e nigeriani si mimetizzano tra chi soffre veramente, tra chi scappa da una guerra, e lo fanno per continuare a spacciare e diventare ricchi. I tunisini ad esempio mandano i soldi a casa dove acquistano immobili o investono il denaro nei villaggi turistici. Con i soldi della droga diventano imprenditori. Per risparmiare mangiano per strada e dormono in abitazione diroccate»;
   il segretario provinciale su Padova del sindacato di polizia Coisp, Fausto Fanelli, dichiara «Non hanno nulla da perdere e qui in Italia producono con lo spaccio montagne di soldi. Ed è per questo che quelli espulsi rientrano in mezzo ai profughi». E l’escamotage per aggirare la legge italiana è di una banalità stravolgente. Lo spacciatore, in questura in mezzo ai profughi, come di solito fanno i siriani e i somali, si rifiuta di sottoporsi al fotosegnalamento e alla presa delle impronte digitali. Ma soprattutto dà false generalità. A questo punto i poliziotti sono costretti a denunciarlo e a liberarlo. E lui se ne torna in strada a rivendere l'ampia gamma di droga richiesta dal mercato e a gonfiare le sue tasche di denaro. Certo non sempre gli va bene, perché se ad esempio ricapita in una questura dove è già stato arrestato gli agenti lo riconoscono e lo bloccano. Ma nella maggior parte dei casi il trucco funziona. E se c’è lo spacciatore che rientra in Italia in mezzo ai profughi, ci sono anche diversi profughi che diventano pusher per fame. I galoppini sono abili nel muoversi in bicicletta e a spacciare per avere garantito da un connazionale, legato a filo diretto con la criminalità organizzata, vitto e alloggio –:
   se sia al corrente dei fatti sopra descritti e quali  iniziative intenda adottare per ovviare al problema della mancata fotosegnalazione (e delle false generalità) che di fatto innesca l’iter della denuncia, ma senza reali conseguenze, se non il rilascio, consentendo di fatto al «malintenzionato» di restare sul territorio italiano e di tornare indisturbato alla sua «attività». (4-09760)


   PASTORINO, CIVATI e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i fatti esposti in questa interrogazione sono stati appresi dall'interrogante lo scorso 19 giugno durante un sopralluogo a Ventimiglia, in particolare presso il valico di Ponte San Ludovico – dove sono presenti i due posti di polizia italiana e francese –, assieme al collega deputato Stefano Quaranta;
   l'Accordo di Chambery prevede che i cittadini di Stati terzi in territorio francese (o viceversa) i quali non soddisfino le condizioni di soggiorno possano essere fisicamente riconsegnati («riammessi» in linguaggio giuridico) alla polizia di frontiera italiana, qualora sia accertato che sono entrati in Francia dopo essere transitati nel nostro Paese. La prova del transito deve essere basata su elementi di fatto individuati dall'Accordo medesimo, quali esempio il possesso di un titolo di trasporto nominativo (articoli 5 e 8 e Annesso I, punti 2 e 3). Nessuno, comunque, può essere consegnato alle autorità di frontiera italiane senza che le stesse abbiano accettato la riammissione (Annesso I, punto 1.5); a questo fine, la polizia italiana dispone delle quarantotto ore successive alla ricezione del verbale di riammissione per decidere se ammettere o rifiutare la riconsegna (Annesso I, punto 1.4), mentre le forze di polizia d'Oltralpe non potrebbero, per la legislazione nazionale, privare qualcuno della libertà personale oltre le quattro ore senza avvertire il pubblico ministero. Le disposizioni dell'Accordo di Chambery prevedono infine degli uffici di coordinamento unificati composti di agenti della polizia italiana e di quella francese e individuano con precisione le aree di frontiera nelle quali possono essere svolte operazioni coordinate di controllo,
   i diritti di difesa, e dunque il diritto a un ricorso effettivo, sono garantiti in favore di qualsiasi persona, quale che sia il suo stato giuridico, dalla Costituzione italiana (Articolo 24), dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (Articolo 47) e da tutte le carte che costituiscono la tradizione costituzionale comune a fondamento della stessa Unione europea;
   lo stesso Accordo di Chambery prevede espressamente all'articolo 24 che «le disposizioni del presente accordo non ostacolano l'applicazione degli accordi sottoscritti dalle parte contraenti in materia di tutela dei diritti dell'uomo»;
   la Direttiva «Rimpatri» 2008/115/CE in materia di respingimenti chiede il rispetto dei diritti di difesa, da riconoscere a ogni essere umano assieme alla mediazione linguistica e la conoscenza effettiva dei provvedimenti adottati dalle autorità di polizia, anche ai fini di un eventuale esercizio del diritto di ricorso;
   la già citata Carta dei diritti dell'Unione europea, all'articolo 19 vieta in modo espresso qualsiasi respingimento collettivo, senza distinguere tra frontiere esterne e frontiere interne;
   non ci sono e non ci possono essere zone franche rispetto al principio di legalità e alla riserva di giurisdizione. Non esistono in Europa terre di nessuno, zone di transito o sale di attesa, nelle quali le polizie possano limitare la libertà personale di circolazione con procedure sommarie impedendo così alle persone anche l'accesso a una procedura equa per il riconoscimento della protezione e il conseguente inserimento nei sistemi nazionali di accoglienza;
   l'articolo 6 della Direttiva «Procedure» 2013/32/UE prevede che ogni domanda di protezione internazionale presentata a un'autorità competente (come polizia e guardie di frontiera) sia registrata entro tre giorni lavorativi; se presentata a una autorità non competente per la registrazione, questa avviene entro sei giorni lavorativi. Il personale delle forze di polizia e guardie di frontiera, delle autorità competenti per l'immigrazione e dei centri di trattenimento devono ricevere un livello di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti sui modi per inoltrare le domande di protezione. In generale, l'articolo 6 stabilisce che spetti agli Stati membri fare in modo che chiunque abbia presentato una domanda di protezione abbia l'effettiva possibilità d'inoltrarla quanto prima, potendo solo esigere che sia introdotta personalmente in un luogo designato. La domanda di protezione deve comunque considerarsi presentata quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle autorità competenti dello Stato membro interessato. L'articolo 8 della direttiva impone agli Stati membri di fornire informazioni con i necessari servizi di interpretazione sulle possibilità di presentare una domanda di protezione quando vi siano indicazioni che cittadini di Paesi terzi o apolidi tenuti in centri di trattenimento o presenti ai valichi di frontiera abbiano interesse a farlo; le organizzazioni e persone che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti hanno un diritto di accesso alle persone trattenute o in transito, salvo restrizioni ragionevoli e obiettivamente necessarie per la sicurezza, l'ordine pubblico o la gestione amministrativa dei valichi. L'articolo 9 della direttiva, infine, prevede che i richiedenti possano rimanere nello Stato membri fino alla decisione sulle domande di protezione;
   la convenzione europea dei diritti dell'uomo vieta i trattamenti inumani e degradanti (articolo 3), riconosce il diritto a un equo processo nonché a un ricorso effettivo (articoli 6 e 13), proibisce le espulsioni collettive (protocollo 4, articolo 4);
   le forze di polizia francese dai primi di giugno stanno operando o hanno richiesto la riammissione in Italia per cittadini stranieri fino al numero di centocinquanta al giorno, sulla base degli accordi di Chambery;
   il legittimo dubbio presto sorto alle nostre autorità è che non fossero persone per le quali è prevista la riammissione, ma di cittadini di Paesi terzi irregolarmente soggiornanti in Francia, a volte da lunghi periodi, rintracciati anche in luoghi ben lontani dalla frontiera. In effetti, verificato che la polizia francese aveva richiesto la riammissione di persone rintracciate fino a Parigi o già titolari di permessi di soggiorno francesi venuti a scadere o comunque in possesso di documentazione che ben provava la loro lunga permanenza in Francia, la polizia di frontiera italiana ha esercitato con più meticolosità gli accertamenti consentiti dall'Accordo di Chambery. A esempio, secondo quanto riferito da dirigente della polizia di frontiera di Ventimiglia, solo il 19 scorso le autorità francesi hanno richiesto la riammissione per sessanta cittadini extracomunitari; per quaranta di essi la domanda è stata respinta in mancanza degli elementi previsti dalle disposizioni dell'Accordo;
   le persone colte in questo contrasto tra polizie di frontiera – cittadini stranieri che potrebbero richiedere asilo o comunque vulnerabili, spesso minori non accompagnati – sono fermate e private della libertà personale senza notifica di alcun provvedimento da parte delle autorità francesi o italiane (il verbale di riammissione, infatti, è direttamente consegnato dalla polizia francese nelle mani di quella italiana); nell'attesa delle procedure burocratiche per la riammissione, sono rinchiuse in container;
   nonostante il responsabile della polizia di frontiera francese abbia assicurato, sempre in data 19 giugno, che si tratti di normali procedure previste dall'Accordo di Schengen, l'interrogante ha potuto constatare come l'incremento nelle ultime settimane delle richieste di riammissione non sia dovuto né all'applicazione né alla sospensione del Regolamento Schengen;
   non risulta a chi scrive che i cittadini di Paese terzi presenti al valico di San Ludovico dei quali la polizia francese ha chiesto la riammissione o che ha effettivamente riammesso in Italia siano stati informati della possibilità di presentare domanda di protezione internazionale o comunque delle disposizioni poste a tutela dei loro diritti fondamentali. Né è ipotizzabile che questa informativa e tutela sia stata effettivamente assicurata, dato che la procedura di riammissione avviene in maniera informale, sommaria e collettiva, senza l'esame di situazioni individuali, in assenza di qualsiasi notifica agli interessati di alcun provvedimento e senza alcuna possibilità di presentare un ricorso effettivo contro misure che limitano la libertà personale;
   non risulta neppure che, a oggi, la Repubblica francese abbia attivato formalmente la procedura, che segue criteri di trasparenza e verifica di proporzionalità, di richiesta di ripristino dopo quindici giorni dei controlli delle frontiere per situazioni di «minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna» –:
   quali misure il Governo intenda assumere o abbia assunto, sia nei rapporti bilaterali con la Francia e nelle istituzioni europee sia unilateralmente, per ripristinare nel più breve tempo possibile il rispetto dei diritti fondamentali e del principio di legalità, sanciti innanzitutto dalla nostra Costituzione, al valico di San Ludovico, in particolare per fornire rifugio e assistenza alle persone coinvolte nei modi stabiliti dalle varie disposizioni summenzionate per far valere il diritto a chiedere protezione;
   quali soluzioni di prospettiva il Governo e le istituzioni europee stiano immaginando per evitare il ripetersi di situazioni del genere, che hanno ripercussioni gravi su centinaia di persone e mettono in crisi l'intera costruzione europea. (4-09764)


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ieri in località Sant'Onofrio nel pressi di Lanciano (Chieti) si è svolta una manifestazione pacifica da parte di comitati e associazioni ambientaliste per protestare con la società Terna per la realizzazione dell'elettrodotto Villanova-Gissi;
   finora in Frentania le immissioni di Terna sui terreni espropriati per il passaggio dei fili e tralicci della rete elettrica sono sempre state pacifiche;
   i manifestanti erano un centinaio tra i ragazzi dei centri sociali Zona 22 e Uallò Uallà, No elettrodotto Villanova-Gissi, Nuovo Senso Civico e Cast (Comitato ambiente, salute e territorio);
   sul posto anche diversi amministratori del comune di Lanciano e numerose forze dell'ordine, alcune in tenuta anti-sommossa;
   i manifestanti volevano ostacolare il passaggio di un tecnico Terna sul terreno per l’«immissione in possesso». Da regolamento, secondo quanto detto da comitati e proprietari, per l'avvenuta immissione basta che uno dei tecnici incaricati metta anche un solo piede sul terreno;
   diversi feriti e diverse decine di denunce sono l'epilogo di una giornata drammatica;
   i tecnici Terna sosterrebbero di essere stati spintonati, i manifestanti hanno preparato una denuncia per episodi di violenza e aggressione che avrebbero subito;
   tutto finirà in procura, così come hanno lasciato intendere le forze di polizia di Lanciano presenti sul posto. L’«immissione» sui terreni è successivamente stata sospesa su ordine del commissariato di polizia –:
   se non intenda intervenire per verificare la gestione dell'ordine pubblico con particolare riferimento al rispetto del diritto di manifestare liberamente e senza violenza nel caso citato in premessa.
(4-09776)


   LUIGI DI MAIO e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al deputato interrogante sono giunte reiterate segnalazioni in merito alla presenza di componenti in amianto sugli elicotteri in uso ai vigili del fuoco;
   a tal proposito, peraltro, si sottolinea come sin dal 1992 sul territorio italiano siano state bandite la commercializzazione e la produzione di amianto. Nonostante ciò, così come denunciato con l'interrogazione a risposta scritta Luigi Di Maio n. 4-09498 dello scorso mercoledì 17 giugno 2015 (alla quale non è stata ancora data risposta nonostante quanto previsto dall'articolo 134 del Regolamento della Camera), alcune fonti giornalistiche hanno segnalato che un documento dell'ente minerario del Governo indiano rivela che l'Italia nel 2011 e nel 2012 sarebbe risultato il maggiore importatore al mondo di amianto con rispettivamente oltre 1.040 tonnellate e 2.000 tonnellate. Tale nocivo minerale sarebbe tuttora impiegato non solo nel campo dell'edilizia, ma sarebbe ancora utilizzato dall'azienda Augusta Westland, partecipata di Finmeccanica e guidata da Daniele Romiti, che fornisce elicotteri a tutti i Corpi armati dello Stato. Il minerale sarebbe presente anche in alcuni elicotteri in uso dalla Guardia di finanza (ma secondo quanto riportato nella denuncia giornalistica anche agli altri corpi di sicurezza), gli AB412, A109, NH500 prodotti dalla predetta azienda;
   risulta di tutta evidenza l'estrema gravità della circostanza riportata – e nei confronti della quale non risultano al momento smentite – per cui una azienda partecipata da Finmeccanica – e quindi dallo Stato italiano – seguiti ad acquistare e utilizzare amianto nella fabbricazione di beni strumentali che vengono poi utilizzati dalle forze di sicurezza italiane;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, peraltro, in seguito alle numerosissime denunce da parte del personale dei vigili del fuoco e anche grazie all'intervento della magistratura con il dottor Raffaele Guariniello che avrebbe aperto un fascicolo di indagine a Torino, sarebbero state avviate seppur parzialmente le necessarie bonifiche sugli elicotteri in dotazione ai vigili del fuoco;
   tuttavia, i provvedimenti adottati risultano, a parere del deputato interrogante, insufficienti e comunque inadeguati, per cui occorrerebbe senz'altro un maggiore e più incisivo impegno nella bonifica dei aeromobili e una maggiore sistematicità nel sottoporre il personale che utilizza elicotteri a controlli sanitari periodici e nel verificare la non contaminazione degli aeromobili e dei luoghi di lavoro;
   infine, a parere del deputato interrogante sarebbe necessario ottenere il riconoscimento per i vigili del fuoco, per lo meno con riferimento agli addetti al traffico elicotteristico, di categoria a rischio con eventuali benefici economici, pensionistici, ma soprattutto sanitari, dal momento che tutto il personale del Corpo nazionale non ha tutele assicurative per mancanza di fondi e conseguentemente tutto l'onere diagnostico e terapeutico grava sulle spalle di lavoratori che vengono beffati doppiamente dallo Stato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto che l'Italia ancora importa amianto, cosa che l'interrogante ritiene vergognosa e se non si sentano in dovere di attivarsi, ciascuno per quanto di competenza, affinché cessi quanto prima l'importazione e l'utilizzo di un minerale che ha provocato e sta provocando in Italia e nel mondo milioni di morti tra atroci sofferenze;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di dover accelerare le operazioni di bonifica dei mezzi infestati dall'amianto;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di dover intensificare i controlli sul personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco esposto all'amianto;
   se il Ministro dell'interno non ritenga di dover riconoscere al personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco la specialità di categoria a rischio, garantendo loro una copertura assicurativa in relazione alle patologie sviluppate per causa di servizio con particolare attenzione alla malattie asbesto correlate.
(4-09777)


   PAGLIA, ANDREA MAESTRI e PAGANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ormai da diversi anni durante l'ultima domenica di agosto, si tiene un raduno presso il cimitero monumentale di Ravenna con lo scopo di commemorare l'uccisione del gerarca fascista Ettore Muti avvenuta tra il 23 e il 24 agosto 1943;
   Ettore Muti è stato uno dei capi del movimento fascista nel Ravennate nonché segretario del nazionale del Partito Nazionale Fascista (PNF) al momento dell'entrata dell'Italia nella Seconda Guerra Mondiale;
   il raduno succitato in molte occasioni passate si è tramutato in luogo per proclami, orazioni dai contenuti propri o prossimi a quelli di matrice fascista, nonché spazio propizio per l'esposizione di stendardi o labari o bandiere e per l'ostentazione di saluti romani, fez, camice nere; episodi sempre riportati dalla stampa locale, nei blog e nei siti della destra;
   la legge n. 645 del 1952 punisce chiunque con parole, gesti o in qualunque altro modo compie pubblicamente manifestazioni usuali al disciolto partito fascista;
   la legge n. 205 del 1993 punisce chi pubblicamente esalta esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche;
   nonostante l'associazione organizzatrice del raduno, Associazione nazionale arditi d'Italia (ANAI) tramite le Federazioni ravennate e bolognese, abbia nel corso degli anni tenuto a specificare che il raduno si configurasse come cerimonia apolitica, i fatti si sono incaricati di smentire questo auspicio;
   i cimiteri sono luoghi di raccoglimento per tutta la cittadinanza e sarebbe buona norma che non vi avessero luogo manifestazioni di alcun genere atte a turbare la memoria e la sensibilità di coloro che vi hanno i propri cari sepolti, in tal caso quelli che caddero in battaglia, combattendo contro quei simboli e quell'ideologia; quelli che perirono in vario modo per causa della guerra imposta da quel regime e ne sopportarono le conseguenze; quelli che provenienti da altri Stati caddero qui per concorrere a sconfiggere la dittatura nazi-fascista e a riportare la libertà e la democrazia in Italia –:
   se non sia il caso di assumere le più opportune iniziative per impedire che la prosecuzione di questi accadimenti che gli interroganti ritengono irriguardosi dei principi costituzionali e in contrasto con norme di legge e regolamentari. (4-09783)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CALABRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto ministeriale 3 luglio 2015, n. 463 – all'allegato 4 – statuisce che i posti disponibili per l'accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia per l'anno accademico 2015/2016 sono pari a 9.513, quasi 500 in meno rispetto all'anno accademico precedente;
   la riduzione dei posti disponibili registratasi negli ultimi anni è dovuta, da quanto emerso più volte nei dibattiti parlamentari, alla carenza di risorse adeguate a finanziare il numero di borse di studio in medicina generale e dei contratti di scuola di specializzazione;
   la Fnomceo (Federazione nazionale dell'Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri) ritiene che il numero degli accessi a medicina dovrebbe essere pari a 6.500 /7.000 per soddisfare il fabbisogno del personale medico, senza creare sacche di disoccupazione e sottoccupazione;
   all'opposto, l'Anaao nel marzo del 2014 presentava una ricerca, basata sui dati forniti dalla Fnomceo – Federazione degli ordini dei medici, dall'ente di previdenza dei medici Enpam (annuario 2012 su dati 2010), dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalla Ragioneria generale dello Stato sulle curve di pensionamento, fabbisogni specialistici e numero chiuso per l'accesso alle scuole di medicina e chirurgia, la quale mostrava che tra 10 anni mancheranno all'appello oltre 15.000 medici specialisti nel servizio sanitario nazionale –:
   quale sia la posizione del Ministro tra queste due analisi diametralmente opposte sul fabbisogno di medici nel prossimo decennio, anche alla luce della revisione delle nuove piante organiche, attualmente in corso, alla luce dell'entrata in vigore del regolamento sulla definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera e se non ritenga che il numero di borse di studio in medicina generale e dei contratti di scuola di specializzazione debba essere commisurato al fabbisogno di medici del servizio sanitario nazionale e non alle risorse disponibili. (3-01607)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MURER, MALISANI, BLAZINA, CAROCCI, BOSSA, ROCCHI, NARDUOLO e MOGNATO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   uno dei primi atti del nuovo sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, è stato quello di ritirare 1098 libri comprensivi di 49 titoli (10 per gli asili nido e 39 per le scuole dell'infanzia) inviati nel 2014 alle scuole nell'ambito del progetto «Leggere senza stereotipi»;
   i libri furono acquistati per 10 mila euro della giunta precedente; i volumi arrivarono nel 2014 nelle biblioteche delle scuole (nidi e infanzia), a libero uso dei 78 educatori che avevano seguito un corso contro gli stereotipi sessuali, religiosi e di nazionalità di origine;
   i libri altro non sono che fiabe, le quali attraverso disegni e storie di animali introducono al tema delle famiglie omogenitoriali, ma anche alle differenze religiose o di nazionalità; sono testi molto apprezzati e ampiamente adoperati nelle scuole; volumi che promuovono l'idea che le differenze e le peculiarità di ognuno sono una risorsa e non un problema, e in questo senso favoriscono la prevenzione della violenza, la lotta ad ogni discriminazione di genere, la tutela dell'orientamento sessuale;
   nel motivare la scelta del ritiro dei volumi, il sindaco Brugnaro ha dichiarato a vari organi di stampa che ci sono «temi che non devono riguardare i bambini, ma materie da lasciare ai loro genitori, nella piena libertà di scelte degli adulti»;
   il riferimento, a quanto pare, è alle cosiddette «teorie gender»; quando parliamo di teoria gender guardiamo, in realtà, al dibattito culturale ampio e aperto sull'identità di genere e l'orientamento sessuale con varie idee, tutte tese a considerare la complessità del reale, l'esistenza di fatto dei tanti modi per essere e sentirsi donne e uomini, non per cancellare le differenze ma per puntare all'uguaglianza; non per spingere qualcuno a diventare altro da sé ma per educare alla tolleranza e alla differenza;
   appare singolare e paradossale che un primo cittadino intervenga in modo così pesante e censoreo sui temi educativi, che non rientrano nelle sue competenze istituzionali dal momento che anche la scuola dell'infanzia, pur comunale, risponde a criteri di indirizzo pedagogico non stabiliti dalle amministrazioni comunali ma comuni all'intero sistema scolastico pubblico;
   nel disegno di legge di iniziativa del Governo sulla cosiddetta «Buona scuola», approvato in via definitiva alla Camera, peraltro c’è un esplicito riferimento alla necessità di inserire nelle Linee guida dell'insegnamento anche l'educazione di genere che si dovrà concentrare sui temi dell'uguaglianza, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere;
   un tema, quindi, non da affidare solo alle famiglie ma da portare pienamente nel complesso educativo e pedagogico del sistema scolastico;
   sono depositate, a tal proposito, in attesa di essere discusse sia alla Camera sia al Senato, proposte di legge – come il Ddl Fedeli al Senato – che mirano ad introdurre l'insegnamento dell'educazione di genere nel sistema scolastico italiano, in considerazione della assoluta centralità del tema;
   l'articolo 2 della legge n. 53 del 28 marzo 2003, stabilisce, del resto, che la scuola dell'infanzia è un «primo segmento del percorso di istruzione e concorre all'educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo, morale, religioso e sociale dei bambini promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e ad assicurare un'effettiva eguaglianza delle opportunità educative. Nel rispetto della primaria responsabilità educativa dei genitori, la scuola dell'infanzia contribuisce alla formazione integrale dei bambini e, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con la scuola primaria»;
   nessun atto, pur stabilendo il diritto all'informazione per le famiglie, impedisce l'attivazione di percorsi educativi riferiti all'identità di genere; tantomeno si può e si potrà mai giustificare il ritiro da biblioteche di competenza comunale, di volumi che sono proposti ma non imposti, che sono a disposizione ma non obbligatori, e che rappresentano strumenti di supporto e di servizio a chi vuole sapere –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se il Governo non ritenga ormai necessario assumere una iniziativa normativa per l'introduzione nel sistema scolastico italiano dell'insegnamento dell'educazione di genere. (5-06025)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 118, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, stabilisce che: «al fine di promuovere forme di occupazione stabile, ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, e con riferimento alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico, decorrenti dal 1o gennaio 2015 con riferimento a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2015, è riconosciuto, per un periodo massimo di trentasei mesi, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, l'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL, nel limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua»;
   la circolare dell'INPS n. 17 del 29 gennaio 2015, nel ribadire che l'incentivo in oggetto è riconosciuto a tutti i datori di lavoro privati, a prescindere dalla circostanza che assumano o meno la natura di imprenditore, ivi compresi i datori di lavoro del settore agricolo, ha chiarito, in via esemplificativa, che tra i datori di lavoro privati che non svolgono attività imprenditoriale ex articolo 2082 del codice civile, rientrano le associazioni culturali, politiche o sindacali, associazioni di volontariato, studi professionali;
   l'articolo 9 del recente decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, dispone, al comma 2, che «Ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui al presente decreto»;
   tale disposizione, in sé chiarissima, ancora oggi non ha trovato piena attuazione: i datori di lavoro non imprenditori i cui dipendenti sono iscritti alla gestione previdenziale ex INPDAP – che mantiene propria autonomia gestionale, anche in questo caso al di là del dato legislativo della sua confluenza nell'INPS stesso – non possono a tutt'oggi accedere alle agevolazioni contributive previste per le nuove assunzioni a tempo indeterminato a tutele crescenti;
   allo stato, non sono state fornite indicazioni utili a sbloccare tale situazione in via amministrativa, attraverso apposite circolari;
   la perdurante impossibilità di accedere alle agevolazioni contributive configura una chiara disparità di trattamento a danno di datori di lavoro che hanno un altissimo rilievo sociale e che non possono procedere a nuove assunzioni con la formula contrattuale del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per dare la possibilità a tutti i datori di lavoro che svolgono attività senza fine di lucro di avvalersi delle agevolazioni per le nuove assunzioni a tempo indeterminato previste dalla riforma del mercato del lavoro. (5-06022)


   TRIPIEDI, COMINARDI, ALBERTI, PESCO, MANLIO DI STEFANO, TONINELLI, CASO, SORIAL, CARINELLI, PETRAROLI, ZOLEZZI, DE ROSA, DALL'OSSO, CHIMIENTI, CIPRINI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 luglio 2015, sul quotidiano La Provincia di Cremona, veniva pubblicato un articolo riguardante il recente incontro avvenuto nella sede della regione Lombardia tra rappresentanti dell'assessorato al lavoro e delegati della Cgil, Cisl e Uil, sulla tematica dei ritardi delle erogazioni della cassa integrazione in deroga ai lavoratori lombardi;
   nell'articolo veniva indicato che da dieci mesi 27 mila dei 35 mila cassintegrati, ossia tre quarti di questi, non ricevono l'ammortizzatore sociale a loro destinato. Nello specifico, nonostante le rassicurazioni ricevute a maggio 2015 dalla regione Lombardia, solo un quarto dei cassintegrati totali hanno ricevuto le spettanze a loro dovute nel periodo settembre-dicembre 2014;
   nell'incontro è inoltre emerso che regione Lombardia ha sino ad ora autorizzato 2.224 domande su un totale di 4.082 per un ammontare complessivo di 45 milioni di euro, ma solo la metà dei lavoratori aventi diritto ha già ricevuto il pagamento delle spettanze da parte dell'INPS;
   i segretari lombardi di Cgil, Cisl, Uil presenti all'incontro, hanno denunciato il rimpallo di responsabilità spesso burocratico tra i diversi soggetti istituzionali responsabili delle erogazioni degli ammortizzatori sociali ed hanno sottolineato come non sia possibile, nella regione Lombardia, registrare un così elevato e crescente ritardo nella distribuzione della cassa integrazione, il tutto a discapito dei lavoratori –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei motivi della mancata erogazione della cassa integrazione agli spettanti lavoratori della regione Lombardia e se non ritenga di intervenire nell'immediato al fine di ripristinare le regolari erogazioni, comprese quelle ritardate di dieci mesi sopraindicate. (5-06024)


   TINAGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   per favorire il reinserimento nel mercato del lavoro e ridurre la disoccupazione di lungo periodo, la legge di riforma del mercato del lavoro, legge 28 giugno 2012, n. 92, all'articolo 4, commi da 8 a 11, ha introdotto una nuova tipologia di incentivi all'occupazione consistenti nella riduzione del 50 per cento della quota contributiva a carico del datore di lavoro in caso di assunzioni di determinate categorie di lavoratori: lavoratori e lavoratrici over 50 e donne di qualsiasi età prive di impiego;
   con la circolare n. 111 del 24 luglio 2013 sono state fornite le indicazioni per l'applicazione degli incentivi all'assunzione in favore di coloro che assumano le seguenti categorie di lavoratori: uomini o donne con almeno cinquant'anni di età e «disoccupati da oltre dodici mesi»; donne di qualsiasi età, residenti in aree svantaggiate e «prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi»; donne di qualsiasi età, con una professione o di un settore economico caratterizzati da un'accentuata disparità occupazionale di genere e «prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi»; donne di qualsiasi età, ovunque residenti e «prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi»;
   in conseguenza del mancato rinnovo della Carta di aiuti a finalità regionale, con il messaggio n. 6235 del 23 luglio 2014 l'Inps ha sospeso in via cautelare gli incentivi previsti dall'articolo 4, commi da 8 a 11, della legge 28 giugno 2012, n. 92, per l'assunzione di «donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, residenti in regioni ammissibili ai finanziamenti nell'ambito dei fondi strutturali dell'Unione europea»;
   al riguardo è stato interpellato il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il quale ha chiarito che, poiché l'incentivo previsto dalle disposizioni citate costituisce un regime di aiuti in favore dei lavori svantaggiati, è possibile continuare a considerare utili ai fini della applicazione dell'incentivo le aree indicate nella Carta, fino all'adozione della nuova Carta, ripristinando la possibilità di riconoscere l'incentivo anche per le assunzioni, proroghe e trasformazioni effettuate dal primo luglio 2014;
   al fine di monitorare lo stato di attuazione degli interventi e di valutare gli effetti sull'efficienza del mercato del lavoro, sull'occupabilità dei cittadini, sulle modalità di entrata e di uscita nell'impiego, la già citata legge 28 giugno 2012, n. 92, all'articolo 1, comma 2, ha disposto l'istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione con le altre istituzioni competenti di un sistema permanente di monitoraggio e valutazione basato su dati forniti dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e da altri soggetti del Sistema statistico nazionale (Sistan);
   inoltre, il comma 3 del citato articolo 1 ha stabilito che dagli esiti del monitoraggio sono desunti elementi per l'implementazione ovvero per eventuali correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla medesima legge, anche alla luce dell'evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali –:
   quali siano i dati relativi al monitoraggio svolto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali riguardanti gli incentivi attuati per tali categorie di lavoratrici e lavoratori citati in premessa. (5-06027)


   CAPARINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Compagnia unica lavoratori portuali di Savona, dopo un triennio particolarmente difficoltoso sotto il profilo finanziario ed economico, è riuscita nel corso del 2011 – anche grazie alla disponibilità di tutti i lavoratori coinvolti – a risistemare i propri conti ed intraprendere un percorso virtuoso per giungere all'importantissimo progetto dell'avvio della piattaforma di Vado;
   da allora la CULP è riuscita a mantenere in ordine i propri conti, a rispettare le scadenze finanziare, a garantire salari dignitosi ai propri soci, mantenendo l'obiettivo di presentarsi ai futuri appuntamenti in una condizione accettabile;
   purtroppo tutti gli sforzi compiuti rischiano oggi di essere vanificati alla luce della sentenza della corte di appello di Genova (24 marzo 2015), che ha confermato la condanna del tribunale di Savona per la compagnia a pagare agli eredi di due ex soci deceduti per mesotelioma pleurico dovuto alla manipolazione di amianto – una somma superiore a 2.400.000 euro;
   il predetto importo indubbiamente pone la compagnia portuale a rischio di sopravvivenza; peraltro all'epoca di verificazione della genesi della malattia per esposizione all'amianto – metà degli anni ’60 – la stessa operava ai sensi dell'articolo 110 del codice della navigazione, limitandosi di fatto a fornire personale in base alle richieste pervenute e sotto le disposizioni e la supervisione dell'ufficio del lavoro portuale;
   all'epoca, pertanto, la Compagnia non svolgeva attività di impresa e, dunque, non rivestiva il ruolo di datore di lavoro, concreto soggetto responsabile nella consolidata giurisprudenza in materia di amianto;
   l'interrogante, pur ritenendo inviolabile il diritto degli eredi dei lavoratori deceduti al risarcimento spettante a legislazione vigente, intende porre l'attenzione sulla dimensione sociale del problema, in quanto riguarda non soltanto la CULP ed i suoi soci e dipendenti, ma anche il soggetto titolare dell'articolo 17 della legge n. 84 1994 nel porto di Savona Vado –:
   se e quali provvedimenti di propria competenza il Governo intenda porre in essere per disciplinare la complessa situazione creatasi alla luce delle svariate pronunce giurisprudenziali, al fine di tutelare il diritto legittimo al risarcimento di legge per i lavoratori che hanno contratto la malattia per esposizione all'amianto e/o per i loro eredi e, al contempo, garantire la stabilità economica delle compagnie dei lavoratori portuali e degli enti autonomi dei porti italiani. (5-06032)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PORTA, FEDI, GIANNI FARINA, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, commi da 1 a 4, della legge 3 agosto 2007, n. 127, che ha convertito, con modificazioni, il decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81, prevede a partire dall'anno 2007 la corresponsione di una somma aggiuntiva (detta anche «quattordicesima»), in presenza di determinate condizioni reddituali, a favore dei pensionati ultrasessantaquattrenni titolari di uno o più trattamenti pensionistici a carico dell'assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, gestite da enti pubblici di previdenza obbligatoria;
   per l'anno 2015 la somma aggiuntiva è erogata una tantum con la rata del mese di luglio e ne sono interessati tutti i soggetti nati prima del 1o gennaio 1952. L'aumento spetta, in misura proporzionale, anche a coloro che compiono il 64o anno di età entro il 31 dicembre dell'anno di erogazione, con riferimento ai mesi di possesso del requisito anagrafico, compreso il mese di raggiungimento dell'età;
   tale beneficio viene erogato anche ai titolari di pensione in convenzione internazionale residenti all'estero i quali possiedano sia i requisiti anagrafici (64 anni) che quello reddituale (per il 2015 non superiore a 10.122,86 euro);
   la legge stabilisce che per coloro i quali fanno valere fino a 15 anni di contribuzione la somma aggiuntiva è pari a 336 euro; oltre i 15 e fino ai 25 anni è pari a 420 euro; oltre i 25 anni è pari a 504 euro;
   per la corresponsione dell'aumento viene considerata tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto), nonché quella utilizzata per la liquidazione di supplementi;
   tuttavia l'Inps, anche quest'anno come negli anni precedenti ha deciso (vedere circolare n. 130 del 2 luglio 2015) che ai fini dell'importo da erogare nel caso di pensioni liquidate in regime internazionale deve essere considerata utile solo la contribuzione italiana. Tale decisione ha avuto come conseguenza l'erogazione dell'importo più basso previsto dalla legge alla stragrande maggioranza dei titolari di pensione in convenzione residenti all'estero che di norma in Italia fanno valere un'anzianità contributiva, inferiore ai 15 anni a causa dell'emigrazione in altri Paesi;
   sia la legge istitutiva della somma aggiuntiva n. 127 del 2007 all'articolo 5, comma 1, che la circolare applicativa dell'Inps n. 119 del 2007 affermano che la somma aggiuntiva è determinata in funzione dell'anzianità-contributiva complessiva e che al fine della valutazione dell'anzianità contributiva deve essere considerata tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto) relativa alla pensione su cui spetta il beneficio, utile e non utile per il diritto a pensione;
   la contribuzione estera, anche in virtù del principio dell'assimilazione dei territori che informa tutti i Trattati, gli accordi e le convenzioni internazionali di sicurezza sociale stipulati dall'Italia, viene sempre presa in considerazione dall'Inps sia ai fini della maturazione del diritto che ai fini del calcolo (pensione virtuale) delle prestazioni italiane in pro-rata;
   con riferimento alla somma aggiuntiva l'Inps ha deciso invece di non prendere in considerazione la contribuzione estera ai fini del calcolo dell'anzianità contributiva complessiva degli aventi diritto;
   la tesi dell'INPS (che delimita detta anzianità contributiva alla sola contribuzione italiana) contrasta con il criterio determinativo del pro-rata temporis previsto per le pensioni in regime internazionale; criterio che tiene conto della contribuzione estera e, attraverso l'istituto della totalizzazione, fa rientrare l'anzianità contributiva estera nella determinazione dell'entità della prestazione a carico dello Stato italiano;
   anche il Trattato istitutivo della Comunità europea prevede l'adozione di un sistema che consenta di assicurare ai lavoratori migranti «il cumulo di tutti i periodi presi in considerazione dalle varie legislazioni nazionali, sia per il sorgere e la conservazione del diritto alle prestazioni, sia per il calcolo di queste» e pertanto la regola del conteggio di tutti i contributi versati o comunque attribuiti dalla legislazione di uno Stato membro al fine di determinare il diritto alle prestazioni da parte di altro stato membro rappresenta un principio fondamentale, insuscettibile di deroga –:
   se il Ministro interrogato, alla luce del comportamento dell'Inps, abbia emanato provvedimenti interpretativi riguardo all'utilità della contribuzione estera ai fini della determinazione dell'importo della somma aggiuntiva (cosiddetta quattordicesima) sulle pensioni in convenzione o se l'Inps abbia autonomamente interpretato la legge istitutiva di tale prestazione;
   se il Ministro interrogato, qualora non abbia fornito specifiche nozioni interpretative all'Inps, intenda verificare i motivi per cui l'Istituto abbia deciso di non prendere in considerazione la contribuzione estera ai fini del calcolo dell'importo della somma aggiuntiva sulle pensioni in convenzione internazionale ed intenda valutare l'opportunità di impartire istruzioni all'Inps affinché riconsideri le modalità di calcolo della somma aggiuntiva prendendo a tal fine in considerazione anche la contribuzione estera utilizzata per il perfezionamento di una pensione in convenzione internazionale. (4-09765)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'obiettivo dichiarato degli sgravi contributivi previsti per un triennio per un massimo di 8.000 euro a contratto per gli assunti con contratto a tutele crescenti è la riduzione della quota di lavoro precario;
   tale misura ha un costo stimato dal Presidente dell'Inps Boeri in 5 miliardi e sarebbe quindi opportuno avere almeno le dovute garanzie che tali risorse siano correttamente indirizzate rispetto agli obiettivi della norma;
   si apprende che la Magneti Marelli di Bologna abbia annunciato l'assunzione con contratto a tutele crescenti di 7 fra i 28 lavoratori attualmente impiegati in stage o con contratto a progetto, mentre a 3 è stato proposto un contratto a somministrazione a tempo determinato e a 18 un impiego con staff leasing dopo assunzione a tempo indeterminato presso agenzie esterne;
   è del tutto evidente che lo staff leasing si configuri a tutti gli effetti come lavoro precario, dipendendo dal mantenimento del contratto con l'agenzia;
   trattandosi di contratti nominalmente a tempo indeterminato, le agenzie godrebbero comunque degli sgravi contributivi;
   si verificherebbe quindi la condizione di favorire con fondi pubblici la precarizzazione dei rapporti di lavoro;
   si deve sottolineare che tutti i lavoratori coinvolti sono tecnici ad alta formazione e professionalità, e che nella provincia di Bologna, anche nel settore automotive, sono stati anche recentemente firmati accordi avanzati fra le parti sociali, effettivamente indirizzati alla stabilizzazione e valorizzazione del lavoro –:
   se debba ritenersi conforme allo spirito della legge quanto sta avvenendo alla Magneti Marelli, con particolare riferimento all'utilizzo dello staff leasing, e in caso contrario se non ritenga di dover intervenire mediante opportune iniziative normative per una tutela di un'effettiva maggiore stabilizzazione dei rapporti di lavoro. (4-09774)


   DURANTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   «Taranto Isolaverde Spa» nasce a dicembre 2004 per consentire la stabilizzazione degli ultimi 118 «Lsu» rimasti in carico alla provincia di Taranto. Inizialmente le azioni della società mista erano detenute per il 51 per cento dalla provincia di Taranto e per il 49 per cento da «Italia Lavoro Spa». A partire dal 2010, in seguito alla vendita da parte di «Italia Lavoro Spa» delle proprie quote di partecipazione (a cui nessun privato è risultato essere interessato), la società è posseduta al 100 per cento dalla provincia di Taranto;
   sin dagli inizi all'organico aziendale è stato integrato personale non «Lsu», mentre negli anni successivi sono stati progressivamente inseriti anche gli ex Lsu rivenienti dai piani di impresa in scadenza e non più rinnovati;
   i settori in cui opera il personale sono: supporto amministrativo ai centri per l'impiego e ad alcuni uffici dell'ente; servizio verifiche impianti termici; servizio di uscierato/guardiania presso le università; i servizi di manutenzione e pulizie degli immobili dell'ente e delle strade provinciali; manutenzione, pulizie e custodia dello stabile dell'istituto musicale «Paisiello»;
   tutto il personale citato è inquadrato secondo il CCNL Servizi Integrati Multiservizi FISE;
   dal 1o settembre 2010 per la durata di 12 mesi, e dal giugno 2012 sempre per la durata di 12 mesi, oltre 200 lavoratori sono stati sottoposti a cassa integrazione guadagni in deroga, con esclusione dei dipendenti operanti nei centri per l'impiego addetti al front office ed i lavoratori dedicati al servizio verifiche impianti termici;
   nel settembre 2013, a causa della crisi aziendale in corso, la società è stata posta in liquidazione (ex articolo 2484 codice civile), e tutto il personale è stato sottoposto a contratto di solidarietà difensivo ai sensi dell'articolo 5, comma 5, della legge n. 263 del 1993 al 50 per cento dell'orario lavorativo. Da gennaio 2014 fino al 20 ottobre 2014 invece non è stato svolto il 25 per cento del lavoro;
   in data 19 settembre 2014, con deliberazione del sub commissario prefettizio, si è disposta la riduzione del capitale sociale da 150.292,00 euro a 50.000,00 euro, ed è stato revocato lo stato di liquidazione;
   in data 19 novembre 2014 è stato siglato un nuovo verbale di accordo per sottoporre tutto il personale a contratto di solidarietà difensivo al 50 per cento del monte ore, per il periodo dal 1o dicembre 2014-31 maggio 2015, ulteriormente rinnovato sino al 30 novembre 2015;
   nel gennaio 2015 viene definitivo un nuovo consiglio di amministrazione che sostituisce l'amministratore unico esistente;
   suddetto consiglio di amministrazione, dal 13 maggio 2015, ha emesso diversi comunicati aziendali sospendendo di fatto quasi tutte le attività lavorative svolte dai dipendenti dell'azienda, salvo revoca;
   ad oggi, sulla totalità di 231 dipendenti, operano solo quelli impiegati negli uffici centrali e i dipendenti del servizio verifiche impianti termici, pur se in contratto di solidarietà;
   ad oggi si attende l'approvazione del progetto «Difesa del Suolo», ma, nonostante il presidente della provincia di Taranto asserisca di aver già presentato la documentazione necessaria, risulta all'interrogante da incontri tecnici tenuti presso il competente ufficio della regione Puglia, che ciò non sia mai avvenuto;
   in riferimento al residuo di 950.000,00 euro, derivante dal progetto relativo al ciclo di rifiuti interrotto circa due anni, non si ha notizia del se, e del come, la provincia intenda utilizzarlo e come mai fino ad ora non sia stato ancora chiesto il cambio di destinazione d'uso di quei fondi;
   la cessazione dell'attività di supporto del personale «Isolaverde» ai Cti (avvenuta dal 30 aprile 2015, mentre dal 13 maggio 2015 tutto il personale è stato sospeso) è causa di disagio anche per gli utenti della provincia jonica, che non riescono ad accedere in maniera ottimale al servizio data la presenza di pochissimi operatori;
   nonostante le dichiarazioni del presidente della provincia di Taranto, circa l'indisponibilità dell'ente di fondi necessari utili ad erogare servizi ai cittadini, risultano pubblicazioni di bandi di gara sull'albo pretorio. Risulta inoltre l'affidamento ad aziende esterne di attività sino ad ora sempre svolte dal personale dipendente di Isolaverde;
   la mancanza di personale addetto sta inoltre causando disservizi ulteriori, come ad esempio la mancata manutenzione delle strade provinciali, mettendo a rischio l'incolumità dei cittadini tutti;
   in data 6 luglio 2015, nel corso del consiglio provinciale di Taranto, è stata autorizzata la 2 procedura di liquidazione della società;
   i lavoratori di Isolaverde garantiscono da anni servizi ed attività essenziali alla comunità jonica, a costi sicuramente più convenienti rispetto alla esternalizzazione degli stessi, contribuendo quindi ad una migliore gestione delle disponibilità finanziarie dell'ente provincia;
   la provincia jonica versa in uno stato di forte disagio economico e sociale, che verrebbe ulteriormente aggravato dalla perdita definitiva dei posti di lavoro di cui in premessa –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza di tutto quanto esposto in premessa;
   se non intenda assumere tempestivamente iniziative, per quanto di competenza, e comunque necessariamente prima che decadano i 75 giorni dalla procedura di liquidazione, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e di fronteggiare le criticità che riguardano la situazione dei lavoratori. (4-09782)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FERRARA, PALAZZOTTO, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, ZACCAGNINI, GIANCARLO GIORDANO, MELILLA, DURANTI e PELLEGRINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 28 maggio 2015 la Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea ha ricevuto una lettera di costituzione in mora, nella quale, a seguito di una denuncia pervenuta alla Commissione europea, si richiama «l'attenzione dell'Italia» sul divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, previsto dall'articolo 1 della legge 11 aprile 1974 n. 138, chiedendone la modifica in quanto restrittiva rispetto alle norme sulla libera circolazione delle merci nel mercato comune (11 Corriere della Sera, 29 Giugno 2015); sebbene la richiesta della Commissione europea non riguardi direttamente i prodotti Dop e Igt, secondo Coldiretti la caduta del divieto ex articolo 1 legge 138 del 1974, comporterebbe conseguenze pesanti per il settore, dal momento che «con 1 chilo di polvere di latte che costa 2 euro, è possibile produrre 10 litri di latte, 15 mozzarelle o 64 vasetti di yogurt e tutto con lo stesso sapore», ma abbattendo significativamente i costi di produzione e mettendo perciò a rischio circa 487 produzioni casearie tipiche (Ansa, 8 giugno 2015);
   il problema attiene quindi al rischio che il «mercato», una volta decaduto il divieto della legge 138 del 1974 (come chiede la Commissione europea), possa penalizzare prodotti caseari comuni, che in Italia godono comunque di livelli qualitativi alti, in favore di prodotti realizzati con latte in polvere, qualitativamente inferiore, ma più competitivo in termini di prezzo. Un adeguamento al ribasso che oltre a colpire i consumatori, danneggerebbe fortemente anche le produzioni lattiero casearie locali;
   il Ministro in indirizzo ha già dichiarato, in una nota stampa dello scorso 28 giugno, il suo impegno a tutela della «qualità del sistema lattiero caseario italiano e la trasparenza delle informazioni da dare ai consumatori», e la volontà di ribadire alla Commissione europea «la necessità di un intervento più approfondito sull'etichettatura del latte, che sappia rispondere meglio alle esigenze dei nostri produttori soprattutto dopo la fine del regime delle quote»;
   ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea la lettera di messa in mora – di cui ha dato conto la stampa – rappresenta semplicemente l'avvio di una procedura di infrazione (cosiddetta fase «pre-contenzioso»); pertanto l'Italia ha ancora diversi strumenti sul piano tecnico-giuridico per contestare la posizione della Commissione europea circa il rilievo mosso al nostro Paese;
   in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-05944 in Commissione XIII (Agricoltura), il Viceministro alle politiche agricole, alimentari e forestali Andrea Oliviero, oltre a confermare per conto del Governo la difesa dei principi alla base dell'impianto normativo italiano sulla materia, sottolineando come non vi sia, a parere del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, «alcuna restrizione di mercato cosiddetto “equivalente” all'importazione di latte in polvere, come invece lamentato dalla Commissione europea, atteso che non vi è alcuna norma nell'ordinamento che vieta l'importazione o la circolazione del latte in polvere», ha fatto presente che «il Governo ha chiesto una proroga del termine fissato al 28 luglio prossimo per rispondere alla richiesta di osservazioni avanzata dalla Commissione europea», per svolgere ulteriori approfondimenti e per consentire lo svolgimento «di un dibattito parlamentare aperto e trasparente sulla questione»;
   ancora nella risposta del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali all'atto di sindacato ispettivo citato, il delegato del Governo ha riferito come la procedura di infrazione sia nata, secondo quanto dichiarato dal Commissario Hogan, dalla «segnalazione ricevuta da un produttore italiano» –:
   se i Ministri non intendano fornire elementi in merito alle osservazioni che l'Italia presenterà alla Commissione europea ai sensi dell'articolo 258 TFUE;
   se siano in grado di riferire la ragione o denominazione sociale del produttore italiano che avrebbe effettuato la segnalazione che ha dato avvio alla procedura di infrazione a carico dell'Italia. (5-06029)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello Stato conduce essenziali attività per la tutela del Made in Italy agroalimentare dalle contraffazioni e per il contrasto all'illecito utilizzo di fondi comunitari;
   nei soli primi dieci mesi del 2014 il Corpo forestale dello Stato ha prodotto nei settori di competenza 150 reati accertati, 180 persone segnalate all'autorità giudiziaria, 1.300 illeciti amministrativi scoperti, sanzioni per un totale di 3 milioni di euro, 6.200 controlli effettuati e 160 tonnellate di prodotti sequestrati;
   inoltre, proprio in questa stagione, quando la piaga dei roghi estivi torna d'attualità, il ruolo del Corpo forestale dello Stato in termini di prevenzione e vigilanza sul grande patrimonio agricolo e forestale italiano diventa ancora più evidente;
   a parere dell'interrogante, sono quindi numerosi e significativi i motivi che dovrebbero spingere il Governo a tutelare il Corpo forestale dello Stato non solo in merito alla necessità di salvaguardarne nel concreto il ruolo, ma anche in merito al personale;
   l'interrogante ritiene di particolare importanza la vicenda relativa alla graduatoria del concorso per il reclutamento di 400 allievi vice-ispettori del Corpo forestale dello Stato di cui al bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 94 del 21 novembre 2011, approvata con D.C.C. del 24 luglio 2014 e rettificata il 21 ottobre 2014, affinché sia utilizzata, nel caso di assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altro Corpo di polizia, dal Corpo assorbente;
   dalla graduatoria finale di merito del suddetto concorso, sono risultati 1.047 candidati idonei, di cui 829 esterni e 218 interni. Successivamente, è stato deliberato un aumento dei posti a concorso da 400 a 481, dei quali 320 destinati ai candidati esterni e 161 destinati alle varie aliquote riservate agli interni. È stata, inoltre, fissata per il giorno 20 novembre 2014, la partenza del corso di formazione e addestramento della durata di quindici mesi. Pertanto, a seguito del recente incorporamento dei 481 candidati vincitori e tenuto conto dei candidati rinunciatari/dimissionari, all'attualità la graduatoria di cui si parla conta ancora 522 candidati idonei non vincitori, dei quali 507 esterni e 15 interni –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo in merito alla riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato nell'ottica di salvaguardarne le caratteristiche e le eccellenze descritte in premessa;
   se il Governo intenda assumere iniziative in merito al concorso per il reclutamento di 400 allievi vice-ispettori del Corpo forestale dello Stato, in particolare al fine di attuare lo scorrimento della graduatoria degli idonei. (4-09766)


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   sta per arrivare la scadenza per il censimento degli alberi monumentali da parte dei comuni, fissata al 31 luglio. Con la legge del 2013 n. 10, i comuni infatti hanno l'obbligo di censire gli alberi monumentali comunali e chi ne provoca il danneggiamento dovrà pagare fino a 100 mila euro di sanzione;
   come spiega anche la Federazione degli agronomi e dei forestali il censimento «è un'operazione ecologica e culturale ma anche altamente simbolica». L'attenzione ricade peraltro giustamente sulle condizioni fitosanitarie e agronomiche degli alberi in città «riconoscendoli soggetti biologici viventi invece che oggetti architettonici di semplice arredo urbano»;
   secondo le vecchie stime del Corpo forestale, che già a partire dagli anni Ottanta, fece il primo censimento nazionale, in Italia, ci sono circa 22.000 alberi di particolare rilievo, tra cui 2.000 esemplari di grande interesse e 150 di eccezionale valore storico o monumentale;
   ogni censimento comunale andrà poi a comporre un ulteriore elenco a livello regionale, che a sua volta formerà l'Elenco nazionale gestito dal Corpo forestale dello Stato. A livello locale, i risultati di ogni censimento comunale dovrebbero essere disponibili ai primi di agosto –:
   se e quali iniziative abbiano messo in campo i Ministri interrogati, anche in coordinamento tra gli stessi dicasteri, al fine di vigilare affinché il censimento sia portato a termine nei tempi previsti e con rigore a tutela dei preziosissimi alberi monumentali d'Italia, veri e proprio testimoni biologici del nostro Paese;
   se essi non intendano attivarsi, dato il valore simbolico del censimento, per pubblicarne quanto prima il catasto nazionale completo. (4-09768)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARLONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   uno studio dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA) in materia di discriminazioni, maltrattamenti e vessazioni motivate sulla base dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere divulgato alla fine del 2014 assegna all'Italia la maglia nera dell'omofobia fra i Paesi membri;
   da decenni il mondo scientifico sostiene che l'omosessualità e la bisessualità non sono malattie su base organica, né tanto meno disturbi della personalità ma varianti del comportamento sessuale umano e che già dal 1973, con la terza edizione internazionale del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), non rientrano più tra i disturbi della sfera psichica;
   l'Organizzazione Mondiale della Sanità definiscono l'omosessualità e la bisessualità varianti naturali del comportamento umano e il 17 maggio 1990 la stessa organizzazione ha depennato l'omosessualità e la bisessualità dall'elenco delle malattie mentali;
   il nostro Paese riconosce la patologia di omosessualità egodistonica, ai sensi dell'ICD 9CM, per la quale è prevista una terapia cosiddetta riparativa, senza nemmeno il bisogno di scriverlo in cartella;
   a differenza degli psicologi, che da cinque anni si sono dati un codice deontologico preciso, i medici seguono ancora il dettato dell'ICD 9CM, manuale di diagnostica internazionale, ormai obsoleto, che prevede l'omosessualità ego-distonica come patologia da curare, anche senza specificarla in cartella;
   l'omosessualità ego-distonica è la condizione di una persona omosessuale o transgender che soffra per il proprio orientamento sessuale e sia spinto dall'omofobia familiare, scolastica o sociale a nascondersi, vergognarsi e fingere di essere eterosessuale;
   questo è un fatto inaccettabile che mette soprattutto gli adolescenti in pericolo, anche di gravi patologie psichiatriche fino al suicidio, se sottoposti alle cosiddette terapie riparative;
   gli studi scientifici dimostrano che l'omosessualità e la bisessualità non sono malattie, quindi non devono e non possono essere curate, e che le cosiddette terapie riparative sono inefficaci, causano gravi stati d'ansia, sensi di colpa e depressione reattiva;
   attualmente risulta che con un comunicato stampa solo l'ordine dei medici di Benevento abbia dichiarato, per la prima volta nella storia della medicina in Italia la propria assoluta contrarietà ad ogni forma di omofobia augurandosi che, nel rispetto del mandato dell'OMS del 17 maggio 1993, al più presto anche in Italia si possa giungere alla completa depatologizzazione della omosessualità e bisessualità;
   per quanto attiene il Governo, solo una nota del 2012 del Ministero della salute chiariva come in Italia, la completa depatologizzazione come secondo nota del 1993 dell'OMS, sarebbe stata adottata dal 1o ottobre 2013, in concomitanza del passaggio alla classificazione di tutte le patologie mediche e chirurgiche secondo il più moderno ICD 10CM;
   questo passaggio a tutt'oggi non risulta ancora avvenuto con tutte le conseguenze del caso –:
   se il Ministro non ritenga opportuno e doveroso aderire in modo chiaro ed inequivocabile alla norma dell'OMS in materia sulla completa depatologizzazione di omosessualità e bisessualità, escludendo l'omosessualità egodistonica dall'elenco delle patologie mediche e chirurgiche prevedendo così anche il passaggio immediato all'ICD 10CM;
   se il Ministro non ritenga opportuno una condanna delle cosiddette «terapie riparative» già riconosciute, sempre dagli anni novanta, dall'OMS, come «forme di tortora senza alcuna base scientifica»;
   se il Ministro non ritenga opportuno introdurre protocolli e buone pratiche per garantire accoglienza, promozione della salute, prevenzione, ricerca, terapie, anagrafica ed altri accessi sanitari adeguati alle esigenze delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali. (5-06030)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal 7 luglio 60 mila frontalieri italiani dovranno pagare per le cure mediche che erano praticamente gratuite, infatti una nuova tragica sorpresa è arrivata senza far rumore: datata 12 maggio, una circolare «di chiarimento», è stata indirizzata dal Ministero della salute italiano agli enti della fascia di confine;
   la circolare DGPROGS 0014180-P del 12 maggio 2015 precisa che, visto quanto previsto nell'accordo sulla libera circolazione (Accordo 21 giugno 1999 – ratificato con legge n. 364 del 2000), firmato dalla Svizzera e dagli Stati della Unione europea, si prevede, tra l'altro, che alcune categorie di assistiti (prescindendo dalla cittadinanza) di contratto svizzero, residenti in Italia, possano scegliere il Servizio sanitario nazionale esercitando il diritto d'opzione, oppure continuare ad essere assicurati presso l'istituzione svizzera di provenienza;
   è il caso ad esempio di titolari di sola pensione svizzera, o di lavoratori (frontalieri o distaccati) assoggettati al regime svizzero che, residenti in Italia, possono presentare il modello 51 per l'iscrizione al servizio sanitario nazionale, oppure scelgono di iscriversi direttamente al nostro Servizio versando, in tal caso, un contributo (iscrizione volontaria);
   nel verbale della riunione del 3 luglio 2012 del Gruppo interistituzionale per la mobilità sanitaria internazionale, il Ministero aveva fornito alle regioni, già da allora, indicazioni relative alla possibilità dell'iscrizione volontaria per i soggetti che avevano esercitato il suddetto diritto di opzione;
   come precisato nella circolare «a seguito di numerose richieste di chiarimenti, la circolare precisa che tali indicazioni superano quelle fornite dal Ministero prima del 2010 ed in particolare le note allegate del 2006 e 2007, diramate in vigenza dei preesistenti Regolamenti 1408/71 e 574/72. In particolare si fa riferimento al contenuto delle citate note nella parte in cui risultano contrastanti con l'articolo 32 del vigente Regolamento 987/2009, norma di seguito riportata, che consente ad uno Stato membro di residenza di non assumersi l'onere dell'assistenza della persona assicurata in altro Stato che chiede l'esonero della assistenza allo Stato di competenza»;
   dal 12 maggio nulla è stato indicato ai lavoratori frontalieri, infatti sino ad oggi, a conoscere la circolare era solo qualche funzionario locale, qualche assessore, oltre agli sportellisti delle Asl cui toccherà spiegare ai frontalieri italiani la nuova stangata;
   secondo le indicazioni di legge la spesa non è da poco: fino a 1.549 euro l'anno (il 7,5 per cento) per i redditi da zero a 20.658,2 euro – da chiarire la questione del cambio con il franco – fino a un massimo di 2.788 euro per chi guadagna dai 51.564,68 euro in su. Lo dicono i primi moduli ritirati in questi giorni agli sportelli;
   in merito alla nuova imposizione si tratta, in ogni caso, di una soluzione transitoria valida fino al 2018, quando entrerà in vigore il nuovo regime fiscale per i pendolari della fascia di confine –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire sospendendo l'applicazione della norma sulle spese mediche, ricordando come oltre ad un ulteriore aggravio impositivo per i lavoratori, porterebbe ad una disparità di trattamento tra i frontalieri che già lavorano in Ticino visto che non hanno scelta, mentre per i nuovi frontalieri le casse malati svizzere saranno da oggi un'opzione più interessante.
(4-09770)


   ANZALDI e BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge 15 marzo 2010, n. 38, recante Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore;
   in particolare, al comma 2 dell'articolo 1, della legge n. 38 del 2010 si legge: «È tutelato e garantito, in particolare, l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato [...] nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza»;
   ai sensi dell'articolo 3, comma 4, del decreto-legge 28 dicembre 1998, n. 450, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1999, n. 39, sono state stanziate risorse alle regioni, vincolate alla realizzazione di strutture residenziali per le cure palliative;
   similmente, con le leggi finanziarie 2007 e 2009 (rispettivamente legge 27 dicembre 2006, n. 296, e legge 22 dicembre 2008, n. 203), sono state stanziate ulteriore risorse volte alla realizzazione di strutture residenziali per le cure palliative;
   anche a fronte di tali interventi normativi, e posto che la regione Calabria (soprattutto nella provincia di Catanzaro) era sprovvista di un modulo di cure palliative residenziale – hospice, necessario al fine del rispetto dei cosiddetti livelli essenziali di assistenza (LEA), la Fondazione «Villa della Fraternità – Onlus», organizzazione non lucrativa di utilità sociale con sede in Sant'Andrea Apostolo dello Jonio (Catanzaro), nel mese di luglio 2009 propone un progetto di riconversione del suo Centro di Riabilitazione, Diagnosi e Terapia «Nuova Calabria», centro polifunzionale diagnostico e terapeutico, intendendo istituirvi un modulo di 12 posti letto per le cure palliative residenziali, valutato positivamente dal dipartimento tutela della salute della regione Calabria in apposita conferenza dei servizi nel settembre del 2009;
   al fine di dare risposte inevase sul territorio in materia di cure palliative, a giugno 2010 sono completati i lavori dell'Hospice come modernissima struttura residenziale socio-sanitaria, attrezzata con 12 posti degenza per persone affette da malattia in stadio avanzato non più suscettibile di trattamenti specifici e non assistibili presso il proprio domicilio;
   ad agosto 2010, l'ex governatore della Calabria, nonché commissario ad acta per Piano di rientro della stessa regione, Giuseppe Scopelliti, insieme a Gerardo Mancuso, commissario dell'Azienda sanitaria provinciale (ASP) di Catanzaro, visitano la struttura ed auspicano un rapido percorso della stessa verso l'accreditamento presso il servizio sanitario regionale, al fine di renderla operativa in tempi brevi in quanto suscettibile di soddisfare l'intera utenza del catanzarese, ancora altrimenti sprovvista di questa tipologia di strutture;
   in data 19 novembre 2014, con decreto del commissario ad acta Luciano Pezzi, la fondazione «Villa della Fraternità – Onlus» ottiene l'autorizzazione all'esercizio della struttura Sant'Andrea Hospice – richiesta sin dal mese di agosto 2010;
   successivamente, nel mese di marzo del 2015, il Sant'Andrea Hospice inizia la sua attività;
   come previsto dalla legge regionale 18 luglio 2008, n. 24, recante Norme in materia di autorizzazione, accreditamento, accordi contrattuali e controllo delle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private, dopo due mesi di attività, la fondazione «Villa della Fraternità – Onlus», presenta la domanda di accreditamento del Sant'Andrea Hospice;
   in data 8 giugno 2015, la regione Calabria non accoglie la richiesta di, accreditamento del Sant'Andrea Hospice, e rinvia all'articolo 1 del decreto del Presidente della giunta regionale del 24 agosto 2010, n. 4, recante Disposizioni in materia sanitaria relative alla delibera del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 di cui al comma a), punto 9), e comma b), che recita «Fino alla formalizzazione della nuova rete ospedaliera, laboratoristica e specialistica ambulatoriale, è sospeso il rilascio di provvedimenti di autorizzazione alla realizzazione, di autorizzazione sanitaria all'esercizio, accreditamento istituzionale ai sensi degli articoli 8-ter e 8-quater del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, tranne quelle necessarie al piano di rientro» –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario intenda assumere al fine di salvaguardare il diritto di tutti i cittadini di accedere alle cure palliative residenziali. (4-09780)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAVAGNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Agcom, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ha approvato in via sperimentale, a partire dal prossimo ottobre, la consegna della posta a giorni alternati. Le conseguenze relative alla consegna della posta a giorni alterni porterebbe a notevoli disagi per gli editori di quotidiani e periodici;
   il processo di conversione avverrà in più fasi: prima scadenza ottobre 2015, poi aprile 2016 e febbraio 2017. Quanto alla copertura, nella prima fase coprirà solo lo 0,6 per cento della popolazione, per raggiungere il 25 per cento dei comuni italiani nel 2017, coinvolgendo oltre 5.200 comuni su poco più di 8.000 e oltre 15 milioni di cittadini. Le modalità prevedono giorni alterni su uno schema bisettimanale: lunedì, mercoledì, venerdì, martedì, giovedì. È previsto anche il monitoraggio dell’Authority sullo stato di avanzamento del recapito a giorni alterni, in modo che possa bloccarlo laddove emergessero criticità;
   la decisione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di approvare, con il voto a maggioranza, il piano presentato da Poste rischia di pregiudicare l'accesso all'informazione da parte dei cittadini nel 65 per cento dei comuni italiani;
   il piano presentato da Poste italiane espone il nostro Paese al rischio di una procedura d'infrazione comunitaria, come anticipato a Poste e all'Agcom in una lettera informale fatta recapitare nei primi giorni di giugno, il cui contenuto è stato diffuso dai media;
   la Camera dei deputati, approvando una serie di mozioni presentate da tutti i gruppi parlamentari, ha impegnato il Governo ad assicurare il servizio postale nei piccoli Comuni e a garantirne la sostenibilità economica, salvaguardando la presenza capillare su tutto il territorio nazionale;
   per coprire parte dei costi del servizio universale, lo Stato da tempo versa alle Poste un contributo;
   il fornitore del servizio universale, garantisce per almeno 5 giorni a settimana una raccolta e una distribuzione al domicilio di ogni persona (fisica o giuridica), salvo deroghe stabilite dall'Autorità e notificate alla Commissione europea;
   senza il servizio universale vi sarebbero conseguenze pesanti sulla consegna dei quotidiani e di periodici a casa degli abbonati, con la penalizzazione dei giornali quotidiani e settimanali, spediti via posta, che basano il loro rapporto con gli abbonati sulla puntualità del recapito domiciliare –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle problematiche sopra esposte e se non ritenga necessario un intervento urgente per continuare a garantire il servizio postale universale in modo da poter mantenere in vita il servizio. (4-09778)


   DELL'ORCO, FERRARESI, SPADONI, DALL'OSSO e SARTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Ferrari Spa è una casa automobilistica italiana del gruppo Fiat, oggi FCA, che ne detiene il 90 per cento del pacchetto azionario e che produce autovetture sportive d'alta fascia e da gara, oltre a gestire direttamente la Scuderia Ferrari;
   la storica azienda fondata, dal pilota automobilistico Enzo Ferrari, non è semplicemente uno dei tanti soggetti economici del nostro Paese ma è un pezzo di storia italiana e uno dei simboli del nostro Made in Italy nel mondo. Anche nel sito ufficiale del gruppo, di cui si riporta uno stralcio, si sottolinea particolarmente il legame della società con l'Italia: «La storia dell'azienda comincia ufficialmente nel 1947, quando dallo storico portone di via Abetone Inferiore 4 a Maranello esce la prima vettura, la 125 S, una biposto destinata alla vittoria nel GP di Roma del 1947 e dalla quale presto sarebbe nata una raffinata granturismo da strada. Da allora l'Azienda ha percorso un lungo cammino, ma la missione è rimasta la stessa: costruire vetture sportive uniche, destinate a rappresentare, in pista come sulle strade, l'automobile italiana d'alta scuola. Simbolo di eccellenza e di sportività, Ferrari non ha bisogno di presentazioni. Il suo biglietto da visita sono i titoli conquistati in Formula Uno: 16 nella categoria Costruttori e 15 in quella Piloti. Oltre che, ovviamente, i modelli Gran Turismo: automobili uniche nel design, nella tecnologia e nel lusso, che in tutto il mondo rappresentano il più prestigioso «Made in Italy»;
   da qualche mese Fiat Chrysler ha annunciato l'intenzione di voler scorporare Ferrari dopo averne collocato in borsa una quota del 10 per cento del capitale. Il ricavato dell'offerta andrà alla stessa Fca; il restante 80 per cento in mano a Fca verrà distribuito ai soci. Il 3 luglio 2015 alla presentazione della nuova Fiat 500 al Lingotto a Torino, l'ad Marchionne è tornato a dichiarare che per la quotazione e lo scorporo della Ferrari potrà essere seguito lo stesso modello di Fca con sede legale in Olanda e sede fiscale nel Regno Unito;
   le ragioni di tale manovra societaria non sono del tutto chiare: secondo la versione più accreditata da fonti stampa, alla base della manovra societaria ci sarebbero semplici motivazioni di governance in quanto, al termine dell'operazione, la Exor, ovvero la finanziaria controllata dalla famiglia Agnelli, dovrebbe avere una quota sul capitale Ferrari inferiore al 30 per cento ma, grazie alla legislazione olandese potrà mantenere il controllo dell'assemblea. L'Olanda ha infatti introdotto una legislazione che permette il cosiddetto «voto doppio» per i soci storici, un meccanismo di voto speciale concepito per favorire una base di azionariato stabile e premiare l'investimento nel lungo periodo, blindando rispetto a un'eventuale offerta pubblica d'acquisto;
   l'amministratore delegato Marchionne avrebbe spiegato che l'operazione Ferrari sarebbe necessaria soprattutto a pagare i dividendi agli azionisti americani ma è stato anche dichiarato che comunque l'azienda pagherà tutte le tasse in Italia dove produce; le suddette dichiarazioni, se pure tese a tranquillizzare, dovrebbero comunque destare l'attenzione del Governo non solo perché potrebbe trattarsi di un preludio ad una completa delocalizzazione con ripercussioni sulle maestranze ma anche perché, in ogni caso, l'operazione avrà comunque effetti sull'economia del nostro Paese che devono essere opportunamente analizzate;
   in particolare andrebbe considerato che la Ferrari e tutte le grandi società, nate e cresciute sul nostro territorio che si sono poi imposte sul mercato mondiale, da una parte, hanno da sempre contribuito in misura consistente allo sviluppo della nostra organizzazione sociale ed economica con i tributi versati, dall'altra, a parere dell'interrogante, da sempre hanno ricevuto dallo Stato e delle istituzioni locali un trattamento di riguardo con ampia elargizione di contributi pubblici e una particolare attenzione alle loro esigenze nelle decisioni e nello sviluppo delle politiche produttive nazionali e locali: ciò significa che interessi pubblici e privati sono di fatto talmente consolidati e stretti che non è possibile muovere azioni unilaterali;
   secondo il presidente di Confimi Modena l'operazione prevista da FCA dovrebbe fruttare per l'azienda circa il 25 per cento di risparmi tra Ires e Irap. Tali manovre finanziarie, facili da realizzare per multinazionali e grandi aziende come la Ferrari in ottima salute economica, vanno però a ridurre le entrate dell'erario e potrebbero generare ammanchi tali da richiedere un aumento della tassazione a scapito di quelle piccole e medie imprese che invece rimangono sul territorio e che stanno già da tempo soffrendo per la crisi economica;
   inoltre non è chiaro se oltre alla sede legale si trasferiscano anche i beni immateriali, cioè marchi, brevetti, knowhow. Si tratterebbe di un segmento di business, che può contare almeno su 64 contratti di licenza stipulati in tutto il mondo e 28 di franchising (anch'essi distribuiti nei cinque continenti). Quando si vende un prodotto Ferrari, una quota va infatti a retribuire i marchi: il brand della Ferrari nel 2013 ha generato ricavi per 100 milioni di euro e un utile di 50 milioni di euro. Nel caso in cui anche marchio e brevetti Ferrari finiscano in mano olandese smetterebbero di contribuire alla base imponibile italiana e contribuirebbero a quella olandese, danneggiando dunque le casse dello Stato;
   secondo le dichiarazioni rilasciate alla stampa dal tributarista Di Tanno, il trasferimento dei beni immateriali sarebbe la vera motivazione per questa operazione: in Olanda è infatti possibile creare delle letterbox company, cioè società praticamente senza personale, inoltre per i beni immateriali l'Olanda ha stretto accordi con il fisco delle Antille per cui sarebbe possibile per la nuova holding olandese mantenere solo la proprietà giuridica dei marchi e cedere la proprietà economica ad una società delle Antille;
   andrebbe anche valutato un danno all'immagine del Paese causata dalla possibilità di legare un importante simbolo italiano all'Olanda e al Regno Unito che, come pubblicamente noto, sono tra i Paesi europei più permeabili all'economia poco trasparente dei paradisi fiscali. Il Regno Unito in particolare è al centro della rete del sistema globale off-shore dove molte delle colonie di un tempo si sono trasformate in giurisdizioni segrete, in qualche modo legate alla Corona –:
   se il Governo sia informato dei fatti in premessa e intenda avviare un tavolo di confronto con le parti per capire quali possano essere gli sviluppi e le ripercussioni dell'operazione;
   se il Governo sia venuto a conoscenza delle precise e reali motivazioni che stanno spingendo l'azienda all'operazione illustrata in premessa;
   se risulta che, negli ultimi dieci anni, la società Ferrari abbia ricevuto contributi pubblici ed eventualmente a quanto ammontino e a quale titolo;
   se il Ministro dello sviluppo economico intenda assumere iniziative anche normative, per quanto di sua competenza, tesi ad ostacolare facili delocalizzazioni che riguardino aziende storiche e simboliche del made in Italy, anche ipotizzando di prevedere in tali casi un ampliamento ai Paesi europei della norma antidelocalizzazione prevista dalla legge di stabilità 2014 per i Paesi extracomunitari;
   se il Governo intenda avviare un confronto nelle sedi istituzionali europee per definire regolamentazioni e politiche fiscali più uniformi che non permettano all'economia finanziaria, fatta soprattutto di giochi societari, di prevalere sull'economia reale, soprattutto quando siano coinvolte aziende che contribuiscono all'identità produttiva e imprenditoriale di un Paese;
   se i Ministri interrogati non intendano avviare un confronto con l'azienda per capire se la costituzione di una società di diritto olandese non sia la premessa per una più completa delocalizzazione con spostamento delle sedi produttive e possibili ripercussioni lavorative sulle maestranze;
   se il Governo abbia informazioni più dettagliate in merito all'operazione Ferrari e se in particolare sia a conoscenza se, oltre al marchio, anche i brevetti Ferrari finiranno in mano olandese non contribuendo dunque più alla base imponibile italiana ed, eventualmente, a quanto ammonterebbe l'ammanco per le casse dell'erario italiano;
   se il Governo ritenga plausibile l'ipotesi del tributarista di Tanno e quali provvedimenti intenda prendere per assicurarsi che un marchio italiano come la Ferrari non entri nel circuito di un'economia poco trasparente e legata ai paradisi fiscali;
   se sia vero che a seguito dell'operazione societaria, l'azienda potrà ridurre di circa il 25 per cento i versamenti Ires e Irap e se eventualmente il Governo abbia già incontrato anche il Presidente della regione Emilia Romagna e ipotizzato delle misure in proposito;
   se il Governo non ritenga che da questa operazione possa derivare un possibile danno all'immagine del nostro Paese e soprattutto un danno al turismo del modenese e di Maranello in particolare e quali eventuali provvedimenti si intenda prendere per porvi rimedio. (4-09781)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Locatelli e altri n. 1-00553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carfagna, Giammanco.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Bergamini e altri n. 1-00940, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Rampelli, Giorgia Meloni e Ciprini e contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: «Bergamini, Cozzolino, Rondini, Rampelli, Brunetta, Carfagna, Brambilla, Prestigiacomo, Picchi, Palese, Bonafede, Gagnarli, Nuti, Toninelli, Cecconi, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Ferraresi, Businarolo, Agostinelli, Colletti, Sarti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti, Giorgia Meloni, Ciprini».

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Brunetta n. 2-00988, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Occhiuto.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis e altri n. 5-05334, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 aprile 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marzana.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Carra n. 5-05895, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zolezzi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Arlotti e altri n. 5-05993, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Brandolin.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Sottanelli n. 5-06010, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vargiu.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Benamati e altri n. 5-06019, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Senaldi, Taranto.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Di Battista n. 7-00725, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 457 dell'8 luglio 2015.

   La III Commissione,
   premesso che:
    la Repubblica dell'Ecuador è un Paese che, nel corso degli ultimi otto anni durante i quali ha governato il Presidente Correa a capo di una rivoluzione democratica chiamata Revolución Ciudadana, è stato caratterizzato da profondi cambiamenti sociali, primi tra tutti la riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali, la riduzione delle discriminazioni culturali, la riaffermazione della sovranità nazionale e di una propria politica economica redistributiva;
    l'Ecuador, in questo lasso di tempo, è dunque riuscito a ritrovare una stabilità politica e sociale che ha messo fine a una stagione di continuo conflitto sociale, manifestazioni popolari e colpi di Stato; il Paese, difatti, ha subito, in precedenza, una grave crisi economica con alti tassi di povertà e disuguaglianze, con una crisi inflazionistica terminata con un salvataggio delle banche che ha colpito tutta la classe media a beneficio del settore finanziario, dei governanti e delle oligarchie;
    viceversa, durante gli anni di governo Correa, è stato possibile sia combattere la povertà, che è diminuita con risultati straordinari – passando da un 52 per cento di povertà, calcolata secondo la misurazione delle necessità di base insoddisfatte, nel 2006, a un 31,1 per cento nel 2014 – sia adottare politiche volte alla inclusione scolastica, all'accesso all'istruzione e alla formazione, universitaria, post universitaria e professionale;
    dopo anni di dipendenze e imposizioni da parte degli organismi Internazionali (BM, FMI, BID), nel 2008 il Governo di Rafael Correa, a seguito del risultato di una commissione di investigazione sul debito pubblico (composta da società civile, accademici, politici nazionali e internazionali), ha deciso che non avrebbe pagato quella quota del debito considerata «odiosa, illegittima e immorale», dichiarando che: «...L'Ecuador non pagherà il proprio debito estero, perché fu contratto in maniera illegittima e anche perché l'80 per cento del debito è servito a rifinanziare il debito stesso, mentre solo il 20 per cento è stato destinato a progetti di sviluppo. È evidente che il sistema dell'indebitamento è una forma per difendere gli interessi delle banche e delle multinazionali, non certo dei Paesi che lo subiscono. La Commissione che abbiamo costituito è quindi giunta alla conclusione che il debito estero dell'Ecuador è illegittimo e dunque non verrà pagato...»;
    nella Costituzione ecuadoriana, tra l'altro, si riconoscono, tra gli altri, l'acqua come diritto umano fondamentale e irrinunciabile e di gestione pubblica; una economia popolare e solidale; le priorità dell'intervento dello Stato a favore dei più poveri, degli esclusi, degli emarginati, delle minoranze, delle persone diversamente abili; la cittadinanza universale; i pieni diritti alle coppie di fatto;
    il governo di Correa ha inoltre proceduto alla rinegoziazione dei contratti petroliferi con le compagnie multinazionali, generando nuove entrate da utilizzare per l’«investimento» sociale (in Ecuador non si utilizza il termine «spesa» sociale, ma «investimento» sociale): se prima le casse dello Stato percepivano solo il 13 per cento delle entrate lorde derivanti dalla vendita del greggio, oggi si parla di percentuali pari all'87 per cento; l'Alleanza bolivariana per le Americhe (Alianza bolivariana para América Latina y el Caribe), di cui l'Ecuador è membro, è un sistema di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell'America Latina e i paesi caraibici e rappresenta oggi un modello collaudato d'integrazione dei popoli dei Caraibi e dell'America Latina, basato sui principi di cooperazione e solidarietà, dotato di una architettura finanziaria e bancaria alternativa alle politiche economiche neo-liberiste promosse dalle istituzioni del cosiddetto «consenso di Washington» e oggi anche europeo;
    in Ecuador, il 30 settembre del 2010, il Presidente Correa e il popolo ecuadoriano, sono già stati vittime di un tentativo di colpo di stato, manovrato da una minoranza che, come raccontato dettagliatamente all'epoca da organi di stampa, manipolando l'informazione e grazie al supporto internazionale, ha sequestrato in un ospedale militare il Presidente Correa, in seguito liberato solo grazie alla reazione da parte della popolazione e all'intervento di squadre speciali della polizia;
    il presidente Correa nel 2009 non ha rinnovato agli USA il mandato per l'utilizzo della base aereo-navale di Manta;
    recentemente la capitale, Quito, e la popolosa Guayaquil, sono state teatro di manifestazioni di protesta organizzate dai cosiddetti «Democracy Promoter», formati dalla fondazione statunitense, National Endowment for Democracy, con l'obiettivo di destabilizzare il presidente Rafael Correa con tecniche ormai note e ben delineate dal rapporto del filosofo americano Gene Sharp «Dalla dittatura alla democrazia» e già applicate in diversi Paesi dell'America Latina come Venezuela, Argentina, Brasile, Bolivia;
    il motivo apparente delle proteste sarebbe stata la presentazione di due proposte di legge del presidente Rafael Correa, la «Ley de Redistribución de la Riqueza» concernente l'introduzione di una tassazione sulle eredità di grandi patrimoni e la «Ley de plusvalía» concernente le plusvalenze di patrimoni immobiliari e la speculazione illegittima; entrambe le proposte di legge colpirebbero le minoranze più ricche del Paese e introdurrebbero un principio di progressività e di redistribuzione alla società, limitando la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. Si stima che solo il 2 per cento della popolazione sarà coinvolta da queste leggi, che sono state momentaneamente ritirate dall'esecutivo per procedere a una socializzazione con la popolazione, prima della successiva discussione nell'ambito del legislativo;
    infatti il 15 giugno 2015 il presidente Correa ha annunciato il ritiro temporaneo della citata proposta legge sia nel quadro della visita di Papa Francesco nel continente latinoamericano (come prima tappa proprio l'Ecuador) sia per prevenire ulteriori atti di violenza e per permettere la realizzazione di una campagna nazionale di chiarimento e per evitare che i notiziari in spagnolo della TV statunitense CNN e della NTN24, continuino a adulterare il significato della proposta sostenendo che «tutti gli equadoriani saranno supertassati quando questa legge sarà approvata»;
    il presidente venezuelano Nicolàs Maduro, il suo omologo Evo Morales e altri leader regionali, tra cui il presidente nicaraguense Daniel Ortega, hanno espresso sostegno totale all'Ecuador e al suo presidente Rafael Correa, che ha denunciato una cospirazione ordita per cercare di rovesciare il suo Governo,

impegna il Governo:

   a esprimere solidarietà e sostegno al popolo ecuadoriano e al governo costituzionale di Rafael Correa, governo democraticamente eletto con il 57,7 per cento dei voti validi;
   a farsi promotore, in tutte le sedi internazionali nonché in tutti gli incontri diplomatici, bilaterali e multilaterali, nei quali oggetto di discussione sono i rapporti e le relazioni con Paesi dell'America Latina e dei Caraibi, del rispetto della sovranità e del processo democratico dell'Ecuador e dei paesi dell'ALBA.
(7-00725)
«Di Battista, Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Del Grosso, Scagliusi, Sibilia».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Rampelli n. 1-00938 del 6 luglio 2015.