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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 29 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nella giornata dell'8 luglio 2015, un tornado estremamente violento si è abbattuto sulla Riviera del Brenta, di livello EF4 della scala Enhanced Fujita. Le sue caratteristiche, con raffiche di vento fino a 350 chilometri orari, hanno eguagliato quelle del tifone Katrina, considerato per potenza il sesto uragano atlantico mai registrato, che nel 2005 devastò la città statunitense di New Orleans;
    il tornado ha colpito duramente i centri abitati sui quali si è abbattuto, devastando gravemente i comuni di Dolo, Pianiga e Mira nella provincia di Venezia. I danni prodotti sono stati ingentissimi: in termini di vite umane con una vittima e 87 feriti; in termini economici con 500 abitazioni danneggiate e 100 edifici da abbattere perché pericolanti e non recuperabili. L'ammontare stimato dei costi e di circa 100 milioni di euro, come dichiarato dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia nel consiglio regionale del 13 luglio Anche il patrimonio storico-architettonico della Riviera del Brenta ha subito ingentissimi danni, che hanno colpito soprattutto le ville venete emblematico il caso di villa Santorini – Toderini – Fini a Dolo, del 1665, completamente rasa al suolo dal tornado;
   nella zona colpita dalla calamità naturale si registrano circa 200 persone sfollate, inoltre molte attività economiche saranno costrette a sospendere la propria attività per un periodo medio lungo, con un grave danno per il sistema economico dell'intera provincia di Venezia;
   i danni materiali prodotti, per caratteristiche e per conseguenze sociali ed economiche, sono molto simili a quelle di un terremoto, come, ad esempio, il sisma che nel 2012 devastò alcune province delle regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto;
   le istituzioni locali, ad iniziare dai sindaci dei comuni colpiti dal disastro hanno chiesto pubblicamente di ottenere aiuti dal Governo, quali ad esempio deroghe al patto di stabilità, al fine di poter avviare quanto prima e con successo i lavori di ricostruzione;
   purtroppo non è la prima volta che zone del territorio italiano vengono colpite e devastate da violenti fenomeni atmosferici che provocano vittime e danni alle infrastrutture. Nei casi più gravi la dichiarazione dello stato di emergenza è stata accompagnata dal varo di provvedimenti speciali volti a sospendere pro tempore gli adempimenti tributari per le persone fisiche e giuridiche residenti nelle zone colpite dagli eventi meteorologici eccezionali. Condizioni di estrema gravità che purtroppo ricorrono anche nel caso oggetto della presente mozione,

impegna il Governo:

   ad adottare, per quanto di competenza, ogni iniziativa utile a sostegno dei comuni della Riviera del Brenta colpiti dal tornado dell'8 luglio 2015, anche attraverso interventi normativi ad-hoc, come già fatto in precedenza con il «decreto Emilia» (decreto-legge n. 74 del 2014), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 giugno 2014, n. 93, con particolare riferimento a misure che dispongano la sospensione dei termini per l'adempimento degli obblighi tributari, che determinino criteri generali idonei ad assicurare a fini di equità la parità di trattamento dei soggetti danneggiati, che prevedano la sospensione dei mutui sugli edifici distrutti o inagibili, oltre all'aumento della ripartizione degli stanziamenti nazionali destinati al Fondo per la ricostruzione e la previsione di procedure semplificate per la presentazione delle domande di rimborso;
   ad assumere iniziative per provvedere allo stanziamento di risorse aggiuntive specifiche per il recupero del patrimonio architettonico delle ville venete danneggiate, sia pubbliche che private, per l'importantissima valenza storica e artistica, riconosciuta a livello mondiale, della Riviera del Brenta, anche attraverso la richiesta di un finanziamento ad hoc alla Banca europea per gli investimenti, finalizzato alla realizzazione di un piano per il recupero, la conservazione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale danneggiato dagli eventi richiamati in premessa, tenuto conto che villa Foscari a Mira, di Andrea Palladio, e nell'elenco dei siti riconosciuti dall'Unesco come patrimonio dell'umanità;
   a valutare, alla luce dello stato di necessità e urgenza di cui in premessa, l'opportunità di individuare risorse aggiuntive a valere sui fondi europei residui e relativi alla dotazione finanziaria 2007-2013, o sui fondi europei del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, anche attraverso una opportuna riprogrammazione e rimodulazione dei fondi strutturali e di investimento, in favore delle imprese danneggiate dalle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi sul territorio regionale veneto della riviera del Brenta, in conformità alle condizioni previste dalla normativa comunitaria relativamente all'utilizzo dei Fondi europei.
(1-00962) «Cozzolino, Da Villa, D'Incà, Spessotto, Benedetti, Brugnerotto, Businarolo, Fantinati».


   La Camera,
   premesso che:
    in base all'attuale normativa, nella determinazione della base imponibile di un fabbricato sono inclusi anche i macchinari e gli impianti ancorati al suolo, benché per loro natura possano essere smontati e trasferiti in un altro sito oppure ceduti per essere sostituiti;
    l'articolo 10 del regio decreto n. 653 del 1939 prevede che la redditività media ordinaria degli immobili ad uso produttivo ai fini della rendita catastale, sia individuata mediante stima diretta per ciascuna unità immobiliare oppure con metodo indiretto;
    il metodo diretto, applicandosi attraverso la comparazione con beni similari di cui si conoscono le caratteristiche tecniche ed economiche, trova però difficile applicazione, quindi, viene comunemente utilizzato il metodo indiretto, che fa invece riferimento ad una valutazione in base al valore di ricostruzione, cioè con l'individuazione delle componenti che concorrono a formare l'investimento di natura immobiliare, operando la valutazione anche degli impianti fissi, incorporati nelle opere murarie, fissati al suolo o installati in via transitoria;
    riguardo alla rilevanza di macchinari ed impianti situati all'interno degli immobili ai fini della determinazione della rendita si verificano però diverse difficoltà interpretative ed applicative: i macchinari imbullonati, infatti, secondo l'attuale interpretazione del regio decreto, non dovrebbero costituire veri e propri immobili suscettibili di rientrare nella determinazione della rendita catastale;
    da tempo il mondo delle imprese chiede di mettere fine a quella che è definita la «patrimoniale» sui beni per l'attività produttiva poiché la determinazione della rendita catastale dei cosiddetti «macchinari imbullonati» non fa che aumentare il prelievo applicato dai Comuni con l'imposta sugli immobili, a cui si aggiunge l'ulteriore penalizzazione della deduzione limitata al 20 per cento dell'IMU delle sole imposte dirette e non dall'Irap;
    in questo modo le imprese subiscono un consistente incremento delle rendite catastali e un conseguente aumento della base imponibile su cui oggi è dovuta l'IMU e in futuro la fantomatica local tax, a cui si aggiungono effetti di determinazione retroattivi e pesanti ripercussioni in termini sanzionatori nei casi di mancato adeguamento;
    inoltre, le norme di accatastamento dei fabbricati industriali spesso sono interpretate e applicate in maniera disomogenea sul territorio, con un effetto distorsivo della concorrenza che crea l'ennesima incertezza sulla norma;
    con la legge di stabilità 2015 – legge 190 del 2014, articolo 1, comma 244, nelle more della tanto attesa riforma del catasto, sono state dettate disposizioni già contenute in una circolare dell'Agenzia del territorio per la determinazione della rendita catastale di taluni beni. La circolare in questione fornisce linee guida per la determinazione della rendita catastale delle unità immobiliari a destinazione speciale e particolare (immobili ad uso industriale);
    negli ultimi anni la linea tenuta dall'Agenzia del Territorio in tema di accertamenti catastali riguardanti gli immobili industriali, ha prodotto una lievitazione delle rendite proprio perché nella determinazione della rendita del fabbricato industriale vengono considerati anche «tutte le componenti, che contribuiscono in via ordinaria ad assicurare, ad una unità immobiliare, una specifica autonomia funzionale e reddituale stabile nel tempo», in quanto «sono da considerare elementi idonei a descrivere l'unità stessa ed influenti rispetto alla quantificazione della relativa rendita catastale»;
    analizzando la circolare 6/2012 dell'Agenzia del territorio ripresa nell'articolo 1, comma 244, della legge di stabilità 2015 emergono, ad avviso dei firmatari, alcune perplessità;
    i macchinari sono un elemento del ciclo produttivo dell'azienda. Essi, insieme ad altri fattori, come anche la capacità dell'imprenditore, premettono di conseguire un'utile o una perdita nell'esercizio. Alla determinazione di tale risultato concorrono anche fattori esterni come il mercato, l'andamento dell'economia, i tassi d'interesse e così via. L'insieme di tutti i fattori, anche molto complessi, determinano il risultato d'esercizio, che diventa imponibile ai fini fiscali, cioè reddito d'impresa;
    dalle attuali modalità di considerazione della rendita catastale degli impianti è evidente dunque che essa fa si che un elemento del ciclo produttivo venga tassato di fatto due volte, spesso in capo allo stesso soggetto, che è il proprietario del bene e l'utilizzatore dello stesso. In un certo senso la tassazione ai fini IMU di tali beni, che sono investimenti per il ciclo produttivo, ricordano alla lontana l'imposta sul patrimonio netto delle imprese (imposta straordinaria), che poi fu sostituita dall'IRAP;
    la commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia III sezione – sentenza 264 16 giugno 2015 – ha affermato che se il fabbricato una volta svuotato degli impianti, senza alcuna trasformazione, può essere utilizzato come supermercato, od altra attività commerciale, non possono essere inclusi nella determinazione della rendita catastale dello stesso anche gli impianti o macchinari, pertanto su tali beni non si paga l'IMU;
    per rendersi conto dell'impatto che ha l'IMU sulle imprese industriali si pensi che dal 2011 l'IMU per tali fabbricati era pari a 3,17 miliardi, nel 2014 si è avuto un aumento del 94 per cento pari a 6,15 miliardi, il tutto a scapito delle nostre imprese che oltre alla crisi scontano un fisco vessatorio. Le stime del 2015 dicono che le rendite catastali di tali fabbricati potranno subire aumenti del 913 per cento;
    già durante l'esame parlamentare della legge di stabilità il Governo, si era impegnato per la esclusione dei cosiddetti imbullonati dalla determinazione della rendita catastale dei fabbricati produttivi, accogliendo l'ordine del giorno 9/2679-bis-A/63 Busin senza tuttavia, ad oggi, aver dato alcun seguito concreto a tale impegno,

impegna il Governo:

   nell'ambito dell'annunciata riforma della local tax, che dovrebbe trovare attuazione nella legge di stabilità per l'anno 2016, o, laddove tale riforma fosse ridimensionata o posticipata, anche con iniziative normative urgenti a chiarire definitivamente quali siano le componenti che concorrono a formare la base imponibile della tassazione immobiliare nel caso dei fabbricati ad uso produttivo, prevedendo anche norme di interpretazione autentica con decorrenza dal 1o gennaio 2015, in linea con l'impegno assunto con l'ordine del giorno Busin 9/2679-bis-A/63;
   ad assumere iniziative definire gli impianti fissi, intesi quali macchinari ed impianti installati all'interno dell'immobile industriale ad uso produttivo, incorporati nelle opere murarie, fissati al suolo o installati in via transitoria, quali mezzi di produzione il cui valore è incorporato nel reddito di impresa, in quanto tale sottoposto ad imposizione fiscale, e pertanto escluderli da qualunque forma di imposizione fiscale mirata.
(1-00963) «Busin, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti, Saltamartini».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VII e X,
   premesso che:
    l'Italia, nel settore aerospaziale, è senz'altro da considerarsi un Paese all'avanguardia, con competenze tecniche, scientifiche ed industriali di estrema rilevanza, pertanto la politica nazionale non può non svolgere un ruolo di primo piano in questo settore;
    i programmi di un Paese sviluppato nel settore aerospaziale, come l'Italia, devono necessariamente essere sinergici con le politiche di alto livello di settore che si sviluppano all'ONU su scala globale. Così come a Bruxelles (Commissione europea) e Parigi (Agenzia spaziale europea) su scala continentale;
    la crescita economica è in funzione dell'innovazione tecnologica e lo spazio è innovazione per definizione, in quanto opera ai limiti tecnologici di ciò che per l'umanità è possibile fare e sviluppare;
    la space economy infatti è insieme delle attività e uso di risorse che, attraverso l'esplorazione, la comprensione e l'utilizzo dello spazio extra atmosferico, creano valore e procurano benefici all'umanità;
    il comparto spaziale e aerospaziale ha subìto, nel corso dell'ultimo ventennio, a causa anche di un susseguirsi di eventi internazionali, profonde modificazioni in termini scientifici, tecnologici ed industriali;
    soggetto istituzionale attivo nel settore aerospaziale è l'agenzia spaziale italiana (ASI), ente di ricerca vigilato dal ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che opera in collaborazione con diversi altri ministeri;
    da quando è stata istituita l'agenzia spaziale italiana con la legge 30 maggio 1988, n. 186, il Parlamento e i Governi che si sono succeduti hanno tentato la riorganizzazione del comparto, ricorrendo, negli ultimi anni, soprattutto allo strumento del decreto legislativo;
    si sono susseguiti interventi frammentati e puramente «cosmetici», non andando per nulla al cuore del problema e cioè verso la salvaguardia al tempo stesso sia dei programmi a valenza scientifica, sia di quelli applicativi che implicano anzitutto l'intervento di soggetti industriali;
    ne è derivata una gestione dell'ASI senza alcun controllo, in quanto il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca risulta, ad avviso di firmatari del presente atto di indirizzo, completamente inadeguato nel suo ruolo di vigilanza politica;
    è necessario tenere conto del fatto che le attività spaziali e aerospaziali, per la loro peculiarità, abbracciano più domini di competenza di cui soltanto una parte, certamente non irrilevante, ma tuttavia limitata, è rappresentata dal sistema della ricerca;
    oltre alle attività di ricerca fondamentale stanno infatti crescendo sempre più di importanza le attività inerenti a settori maturi per le applicazioni anche di natura commerciale, come quelle afferenti alle telecomunicazioni e alle osservazioni della terra che, se devono veramente assumere un ruolo trainante per l'apparato produttivo ed economico del Paese, necessitano di un coordinamento allargato a livello di Presidenza del Consiglio dei ministri, cui va demandata la responsabilità della policy del Paese nel settore, al pari di quanto accade nei principali Paesi impegnati in campo spaziale;
    tale inversione di tendenza, che comporta dunque il superamento dei confini della vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, può garantire, a livello organizzativo, il superamento delle discrasie esistenti nel settore spaziale e aerospaziale nazionale finora monopolio di ristrette e agguerrite lobby di potere, che si muovono al di fuori di ogni reale competitività in un ambito protetto di finanziamenti governativi non strutturali e non collegati a strategie pluriennali di ampio respiro;
    la vigilanza dell'intero settore spaziale e aerospaziale, proprio nella sua più ampia diversificazione di interessi, non può quindi che risiedere nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri;
    un passo avanti è stato fatto con l'attivazione, dal mese di giugno 2014, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, di una cabina di regia sulla politica aerospaziale a cui partecipano rappresentanti dei vari Ministeri, della Conferenza delle regioni e delle province autonome e rappresentanti delle associazioni industriali;
    sarebbe un errore tuttavia dimenticare che una parte importante del settore spaziale è quello della ricerca e sviluppo cui vanno riservati finanziamenti adeguati in una misura non inferiore al 15 per cento dei finanziamenti totali;
    la cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dovrà pertanto, nella definizione dei piani strategici, assegnare annualmente i finanziamenti che vanno distinti in quelli dedicati alla ricerca e sviluppo ed in quelli dedicati agli aspetti applicativi;
    durante un'audizione alla Camera, il presidente dell'ASI si è soffermato sulle risorse dell'Agenzia, ricordando che negli ultimi 7 anni la quota del Fondo ordinario per gli enti di ricerca con cui l'Asi viene finanziata si è attestato intorno ai 500 milioni di euro, sia per effetto dei tagli lineari che per effetto della destinazione di parte del Foe ai progetti premiali (7 per cento) e ai progetti bandiera (+ 8 per cento). Risorse destinate per il 75 per cento all'Esa come contributo italiano ai programmi dell'Agenzia europea. Una riduzione che ha portato negli anni passati alla cancellazione di alcuni programmi e che, l'anno scorso, ha fatto temere per la prosecuzione del programma Cosmo SkyMed di seconda generazione. Nella legge di stabilità 2014 sono stati stanziati 120 milioni di euro in 3 anni che «hanno consentito la messa in sicurezza di Cosmo», per cui è già programmato il lancio di altri 2 satelliti; tali risorse hanno riportato il budget a disposizione dell'Asi sopra la soglia dei 600 milioni;
    non può non tenersi conto dei fatti di cronaca che hanno coinvolto l'Agenzia spaziale italiana e delle relazioni critiche della Corte dei conti sulla gestione dell'agenzia;
    l'Agenzia spaziale italiana, ente pubblico istituito con il compito di promuovere, sviluppare e diffondere la ricerca scientifica e tecnologica applicata al campo spaziale e aerospaziale, opera sulla base di un piano triennale delle attività, aggiornato annualmente in coerenza con il programma nazionale della ricerca, con gli indirizzi del Parlamento e del Governo in materia spaziale, con il piano aerospaziale nazionale, nonché nel quadro dei programmi dell'ESA;
    nell'adunanza del 17 febbraio 2015, dall'esame della gestione e della documentazione relativa per l'esercizio 2013, da parte della Corte dei Conti, è in particolare, emerso:
   a) un disavanzo finanziario di competenza di euro 140.209.767, mentre nel precedente esercizio 2012 era stato registrato un avanzo di competenza pari a 18.551.800 euro;
   b) un avanzo di amministrazione di euro 163.001.340, diminuito di euro 128.506.771 (pari a 44,07 per cento) rispetto al 31 dicembre 2012 (291.568.111, milioni di euro);
   c) un disavanzo economico di euro 223.708.669, quasi triplicato rispetto al risultato negativo relativo al precedente esercizio 2012, pari ad euro 88.239.389;
   d) un patrimonio netto ridotto ad euro 553.605.207 (ammontava ad euro 787.313.876 al 31 dicembre 2012) in dipendenza del disavanzo economico di esercizio;
    l'andamento della gestione evidenziato dalle riferite risultanze, accuratamente rilevate, impone l'adozione di ulteriori urgenti iniziative di contenimento della spesa e razionalizzazione dei costi della gestione, tenuto anche conto delle numerose disposizioni in tal senso dettate dalla legislazione più recente evitando, peraltro, che la riduzione della spesa incida negativamente sui programmi spaziali che costituiscono i compiti istituzionali dell'Agenzia,

impegnano il Governo:

   ad intervenire nelle sedi opportune al fine di razionalizzare l'uso delle risorse per le priorità e gli obiettivi nazionali, attuando una politica di settore che tenga conto dei molti e diversi ambiti coinvolti e che valorizzi «la forte componente industriale e l'ottima componente scientifica» presenti nel nostro Paese;
   ad assegnare alla cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio un ruolo di coordinamento nella definizione dei piani strategici e nell'attribuzione dei finanziamenti;
   ad intervenire affinché i finanziamenti siano ben distinti tra quelli dedicati alla ricerca e allo sviluppo e quelli dedicati agli aspetti produttivi dello sviluppo economico;
   a valutare la necessità che, per quanto riguarda finanziamenti destinati alla ricerca, la loro gestione sia assicurata da un ente ad hoc sotto la vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in cui si incorporino sia l'INAF, sia altre competenze spaziali provenienti da altri centri di ricerca e che, per quanto riguarda i finanziamenti dedicati allo sviluppo, la loro gestione sia assegnata al Ministero dello sviluppo economico;
   a valutare adeguatamente il finanziamento dei programmi ESA, riguardo alla sostenibilità economico-finanziaria delle priorità strategiche nazionali ed internazionali, attesi i vincoli di bilancio, anche pluriennali;
   ad assicurare, anche con il coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti, adeguati controlli annuali sia sulla distribuzione delle risorse sia sui risultati conseguiti;
   a definire, anche ai fini dell'assegnazione delle risorse, criteri improntati sulla trasparenza e sul rispetto di definite priorità relative a temi di forte impatto globale quali il cambiamento climatico, la gestione dei disastri, la gestione del traffico dello spazio, la gestione dei potenziali problemi legati alla cosiddetta spazzatura spaziale, in un'ottica di cooperazione internazionale per l'uso a fini pacifici dello spazio extra atmosferico.
(7-00750) «Luigi Gallo, Da Villa, Simone Valente, D'Uva, Vacca, Brescia, Marzana, Di Benedetto, Crippa, Cancelleri, Fantinati, Vallascas, Della Valle».


   Le Commissioni XII e XIII,
   premesso che:
    nel nostro Paese e in altri Stati europei sono state promosse diverse campagne dalla dubbia validità scientifica per sospendere l'utilizzo dell'olio di palma;
    come hanno dimostrato i ricercatori dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, anche sulla base della valutazione della letteratura sull'argomento, «non ci sono evidenze scientifiche per sostenere che l'olio di palma sia dannoso. I grassi saturi sono contenuti in tutti gli oli vegetali, e nel burro e negli altri grassi animali sono contenuti in misura ancora maggiore. L'olio di palma ha una composizione intermedia»;
    dal punto di vista dell'impatto sulla salute, l'olio di palma è un olio naturale e privo di OGM. La sua composizione è equilibrata, con acidi grassi per metà saturi e per metà insaturi, ed è proprio questo il valore qualitativo aggiunto per la produzione dei prodotti da forno. La presenza di grassi saturi rende la composizione dell'olio di palma semi-solida, permettendo di essere impiegato nella preparazione degli alimenti senza ricorrere al processo dell'idrogenazione. Tale processo, usato invece nell'impiego di altri olii vegetali, causa la formazione di grassi trans, il cui uso è stato recentemente vietato da parte della Food and Drug Administration (FDA) negli Stati Uniti, per essere altamente nocivi alla salute;
    a livello nutrizionale l'olio di palma è ricco di carotenoidi, un fitonutriente naturale pro vitamina A con proprietà antiossidanti, e di tocotrienoli e tocoferoli, una vitamina E con proprietà anti cancro che previene le patologie neurodegenerative;
    quanto all'impatto ambientale della coltura dell'olio di palma, la presunta «non sostenibilità» dell'olio di palma va confrontata con le sue alternative: un ettaro di palme da olio produce infatti 7 volte l'olio prodotto da un ettaro di girasole e 13 volte l'olio prodotto da un ettaro di soia. Per soddisfare la stessa domanda di oli vegetali che riesce a soddisfare la coltivazione della palma, ci sarebbe dunque bisogno di molta più terra coltivabile. Tale produttività è garanzia anche della miglior conservazione e protezione delle foreste. Inoltre la coltivazione dell'olio di palma richiede meno acqua, pesticidi, fertilizzanti e combustibile di tutte le sue alternative non arboree;
    sono false e tendenziose le accuse di deforestazione rivolte alla Malesia, secondo Paese produttore di olio di palma, da parte dei detrattori dell'olio di palma. È difatti noto l'impegno a livello internazionale della Malesia a proteggere almeno il 50 per cento dei terreni come foreste, un vincolo senza pari e precedenti nel mondo, come riconosciuto dall'Onu e dalla Banca mondiale;
    Indonesia e Malesia sono i principali Paesi produttori di olio di palma, rappresentando l'87 per cento della produzione mondiale, e le loro economie si sostengono anche grazie a questa coltura. In Malesia, grande esportatore di olio di palma in Europa e in Italia, il 40 per cento delle piantagioni di olio di palma appartiene a piccoli contadini che, vivendo in zone rurali, sono usciti dalla povertà grazie a questa coltivazione. Infatti, l'aumento della produzione di olio di palma negli ultimi 50 anni ha ridotto di dieci volte la povertà, dal 50 per cento al 5 per cento. L'industria dell'olio di palma impiega 570 mila malesi, con altri 290 mila nell'indotto;
    secondo un'analisi di Europe Economics, in Italia 14 mila posti di lavoro dipendono dalle importazioni dell'olio di palma. L'industria contribuisce al fisco italiano per 500 milioni di euro e più di un bilione di euro del prodotto interno lordo italiano sono attribuibili all'olio di palma. Anche in Francia l'olio di palma contribuisce in modo sostanziale all'economia: sono 4.600 i posti di lavoro legati all'importazione di questo prodotto, che contribuisce al fisco transalpino per 170 milioni di euro e al prodotto interno lordo francese per oltre 320 milioni;
    la nuova normativa europea sull'etichettatura degli alimenti (regolamento n. 1169/2011) prevede l'obbligo di specificare il tipo di olio vegetale tra gli ingredienti. È dunque importante promuovere presso i cittadini italiani una corretta informazione che tenga conto delle implicazioni economiche, ambientali e sociali esposte in premessa,

impegnano il Governo:

   a promuovere un incontro con i rappresentanti politici e industriali dei principali Paesi produttori di olio di palma, volto ad una maggiore conoscenza delle proprietà e potenzialità di questo prodotto;
   a sensibilizzare e informare i cittadini sulle caratteristiche nutritive e ambientali dell'olio di palma, nei termini esposti in premessa, e a contrastare iniziative discriminatorie nei confronti dell'olio di palma;
   ad adottare ogni iniziativa utile in sede internazionale per incentivare il libero commercio di olio di palma certificato sostenibile da standard internazionali, tra cui olio di palma sostenibile malese, olio di palma sostenibile indonesiano e RSPO.
(7-00751) «Monchiero, Vargiu, Capua».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   COVELLO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della giornata del 27 luglio 2015 la provincia di Cosenza è stata interessata da un vastissimo incendio che si è sviluppato nel territorio compreso tra i comuni di Villapiana, Plataci e Cerchiara di Calabria;
   le fiamme hanno devastato decine di ettari di vegetazione e hanno minacciato anche diverse abitazioni private nelle zone rurali;
   il fumo ha invaso la zona ed era visibile lungo tutta la costa jonica;
   è intervenuto un canadair per domare le fiamme e ci sono stati momenti di forte preoccupazione perché si sono interrotte le comunicazioni telefoniche sia fisse che mobili ed è stato molto difficile mettersi in contatto con i residenti nelle campagne, spesso anziani che risiedono in quelle zone;
   il comprensorio interessato dall'incendio è un territorio dal forte richiamo turistico ed occorre rafforzare la vigilanza e l'azione di prevenzione contro il rischio incendio –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per supportare le amministrazioni locali a seguito dei danni derivanti da tale incendio e se non intenda altresì rafforzare in termini di mezzi e di dotazione di personale per il periodo estivo il Corpo dei vigili del fuoco al fine di avere un più efficace e capillare controllo del territorio in chiave di prevenzione del rischio incendi. (3-01651)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ALBANELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Etna ricade nell'ambito del parco naturale regionale omonimo, il primo ad essere istituito tra i parchi siciliani con decreto del Presidente della regione del 17 marzo del 1987, con i suoi 59000 ettari ha il compito primario di proteggere un ambiente naturale unico e lo straordinario paesaggio che circonda il vulcano attivo più alto d'Europa e di promuovere lo sviluppo sostenibile delle popolazioni e delle comunità locali;
   l'Etna è un sito naturale divenuto patrimonio dell'umanità, iscritto nella World Heritage List; il vulcano siciliano, è diventato il quarto sito naturale italiano, dopo le Dolomiti, le Isole Eolie e il Monte San Giorgio, a fregiarsi dello straordinario riconoscimento e pertanto deve essere considerato un laboratorio naturale didattico, fonte di cultura e di vita nonché uno straordinario patrimonio di biodiversità e di ricchezza geomorfologica e per tali motivi deve essere reso, il più possibile, fruibile ai visitatori di tutto il mondo;
   l'accesso alle quote sommitali del vulcano Etna, a decorrere dal 5 aprile 2013, è regolamentato dal documento denominato «Procedure di allertamento rischio vulcanico e modalità di fruizione per la zona sommitale del vulcano Etna»;
   con ordinanza del prefetto di Catania del 12 aprile 2013, a seguito del bollettino di variazione di criticità del vulcano Etna in data 12 aprile 2013, del dipartimento nazionale della protezione civile – centro funzionale rischio vulcanico, con cui veniva segnalata che la criticità per l'attività vulcanica in atto nella zona sommitale era di livello elevata, veniva disposto il divieto assoluto di accedere sul vulcano – versante sud, oltre quota metri 2500 (arrivo funivia) e versante nord, oltre la quota di metri 2450 (monte Pizzillo) – con obbligo di attenersi alle «Procedure» ed alle pianificazioni di protezione civile (Provincia Regionale e Comuni) fino al permanere della criticità elevata;
   le modalità di restrizione all'accesso all'area sommitale del vulcano Etna imposte con l'ordinanza prefettizia su menzionata di fatto impediscono la fruizione di una vastissima area dell'Etna anche in situazioni di ordinaria attività vulcanica con criticità assente o di livello ordinaria;
   ferme restando tutte le misure di prevenzione, allertamento, protezione e tutela della pubblica incolumità nonché tutte le misure di previsione e protezione previste dalla protezione civile, è opportuno che possano essere revisionate le modalità di accesso e fruizione nei casi di ordinaria attività vulcanica e in caso di criticità ordinaria in relazione al rischio sismico e vulcanico;
   tale revisione delle modalità di accesso potrebbe essere accompagnata da una serie di misure di sicurezza e allerta tra le quali innalzamento del livello di informazione degli escursionisti, la pubblicazione informatica sui siti dei bollettini dell'INGV sullo stato delle attività vulcaniche, l'apposizione di ulteriore cartellonistica di segnalazione e invio di messaggistica ai visitatori regolarmente registrati per le escursioni e la realizzazione di sentieristica nelle aree che non riguardano la parte sommitale dei crateri dove ovviamente non è possibile tracciare alcun percorso;
   tale revisione, a cura della protezione civile e dell'INGV, delle modalità di accesso consentirebbe di promuovere una importante attività turistica rilanciando l'intero settore turistico-ricettivo delle comunità locali e del sistema dei servizi correlati alle guide turistiche alpine e vulcanologiche nonché ai ricercatori e divulgatori scientifici;
   la promozione delle attività escursionistiche sull'area sommitale dell'Etna, svolte durante la normale e ordinaria attività vulcanica secondo quanto stabilito dall'INGV e dalla protezione civile, nelle condizioni di massima sicurezza, può rappresentare uno straordinario volano per il rilancio economico dell'intero territorio catanese –:
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative volte all'adozione di una nuova ordinanza prefettizia di concerto con la protezione civile e l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, al fine di rivedere le modalità di accesso e fruizione per l'area sommitale sul vulcano Etna.
(5-06180)


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2003 il giornalista Gianni Lannes denunciò la situazione del sito «Ex-Cemerad» di Statte, sequestrato nel 2000 dove sono stivati da vent'anni, in stato di abbandono, circa 1140 metri cubi di rifiuti radioattivi stoccati all'interno. L'ex Cemerad di Statte è una minaccia ambientale a soli 20 chilometri da Taranto, con migliaia di fusti ammassati in torri alte fino a venti metri in un semplice capannone di lamiera. Le prime immagini dell'interno del deposito furono girate dagli investigatori del Corpo forestale nel 1995, durante una perquisizione richiesta del procuratore di Matera, Nicola Maria Pace;
   secondo Lannes «l'Enea è a conoscenza della situazione, come documenta una sua nota epistolare risalente al 29 novembre 1990; e il ministero dell'Industria lo è addirittura dal 28 luglio 1984. E così la Presidenza del Consiglio dei ministri di cinque Governi che si sono succeduti in questi anni»;
   nel 2005 vi fu il fallimento di Cemerad, fu stimato in 9 milioni euro il prezzo dello smaltimento dei rifiuti radioattivi (http://www.meteoweb.eu);
   dal 2005 la situazione «non è migliorata» e i fusti hanno subito un «deterioramento inevitabile», secondo l'ex direttore del dipartimento nucleare dell'Ispra, Roberto Mezzanotte. A pagare la bonifica dovrà essere anche in questo caso la collettività;
   con il decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, articolo 3, comma 5-bis, si stabilisce che «ai fini della messa in sicurezza e gestione dei rifiuti radioattivi in deposito nell'area ex Cemerad ricadente nel comune di Statte, in provincia di Taranto, sono destinati fino a dieci milioni di euro a valere sulle risorse disponibili sulla contabilità speciale aperta ai sensi dell'articolo 1, comma 4, del decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171»;
   i fusti radioattivi, ad oggi, non hanno ancora ricevuto caratterizzazione. Difatti non sono mai stati aperti per verificare cosa realmente contengano. Su alcuni dei fusti ritrovati nel deposito è riportata una data di decadenza della radioattività a 10 mila anni, ricordano gli ufficiali della forestale che eseguirono la perquisizione;
   il proprietario della Cemerad, Giovanni Pluchino, era un personaggio chiave. Presidente dell'ordine dei chimici di Taranto, massone appartenente alla loggia Pitagora, aveva stabilito stretti rapporti societari con Enea e Nucleco, le società a capitale pubblico che si occupano della gestione del nucleare italiano. Nell'informativa preparata alla fine degli anni ’90 dal Corpo forestale dello Stato erano indicati i rapporti commerciali della Cemerad: tra le tante società c'era la Setri di Cipriano Chianese, la mente dei traffici di rifiuti dei casalesi, legato – raccontano le indagini della Dda di Napoli – all'ambiente di Licio Gelli;
   l'azienda di Giovanni Pluchino, era dedita al trasporto e stoccaggio di rifiuti radioattivi e tossico-nocivi, tutti provenienti dall'Italia centro-settentrionale, grazie ad una semplice autorizzazione dell'Ufficio del medico provinciale di Taranto (nulla osta del 28 luglio 1984, protocollo n. 12478) e in seguito della giunta provinciale (n. 1889 dell'11 ottobre 1989);
   un verbale dei NAS, datato 9 agosto 2000 (quindi poco meno di due mesi dal sequestro), certificava «la sparizione di documenti dai faldoni 50-55». Il 10 giugno 2003 il tribunale di Taranto condannò Giovanni Pluchino ad «1 anno di reclusione e al pagamento di una sanzione pecuniaria di 12 mila euro». L'autorità giudiziaria dispose «il dissequestro del deposito e la bonifica del sito entro sei mesi dalla pubblicazione della sentenza, oltre alla restituzione dell'immobile al proprietario Mario Soprano». Queste le motivazioni: «Il titolare della Cemerad, realizzava una discarica di rifiuti pericolosi e senza la prescritta autorizzazione e gestiva un impianto di raccolta di rifiuti radioattivi senza rispettare le specifiche norme di buona tecnica al fine evitare rischi di esposizione alle persone del pubblico». La sentenza passò in giudicato. E il tutto si inabissò;
   i finanziamenti per caratterizzazioni e bonifica risalivano alla delibera CIPE n. 35/05 (triennio 2005-2008), in cui venne previsto un finanziamento di 3.700.000 milioni di euro per la bonifica del sito ex Cemerad, cifra poi dirottata verso altri interventi; la regione Puglia nel 2008 stanziò dei fondi per la caratterizzazione e la bonifica del sito, che anche in questo caso vennero destinati «altrove»; il 2 dicembre 2014, il sito fu visitato dai parlamentari della commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite collegate al ciclo dei rifiuti; a seguito dell'ispezione e delle audizioni presero forza atti normativi che portarono all'ennesimo finanziamento della caratterizzazione e della bonifica;
   la caratterizzazione dei rifiuti dell'ex Cemerad è importante anche in base a quanto emerso durante l'ispezione della commissione presso lo stabilimento e le audizioni in prefettura a Taranto; è stato infatti dichiarato che presso l'ex Cemerad siano contenuti anche rifiuti radioattivi provenienti dallo stabilimento ILVA di Taranto, almeno per quanto riguarda filtri contenenti Cesio 137, uno dei materiali radioattivi che hanno caratterizzato l'incidente di Chernobyl del 26 aprile 1986, ancora presente negli strati di terreno contaminati presso quella centrale; la dirigenza dell'ILVA ha riferito che la presenza del Cesio nei filtri potrebbe essere dovuta all'aria contaminata dalla nube della centrale che si propagò anche sull'Italia, ma in realtà i filtri sono monodirezionali e teoricamente il materiale radioattivo dovrebbe provenire dal materiale trattato negli altoforni;
   la BBC riporta che nel 2009, degli operai cinesi nella provincia dello Shaanxi stavano demolendo una vecchia fabbrica. Del cesio-137 incapsulato dentro a del piombo venne inviato a un'acciaieria e fuso assieme ai rottami, confermando la fattibilità tecnica della procedura. I rapporti commerciali della ex-Cemerad con il clan dei Casalesi dovrebbero stimolare a tracciare la provenienza del materiale contenuto nei fusti dopo le adeguate caratterizzazioni;
   altri rifiuti pericolosi sono contenuti nello stabilimento ILVA di Taranto, fra cui l'amianto, contenuto in 40 siti all'interno dello stabilimento (lettera di risposta da parte dell'azienda ad un'interrogazione dell'europarlamentare Rosa D'Amato sui siti di amianto da bonificare nel siderurgico), oltre a materiale sequestrato come traversine ferroviarie contaminate da creosoto –:
   se il Presidente del Consiglio e i Ministri interrogati intendano svolgere accertamenti in merito a sostanze radioattive o comunque tossiche e/o cancerogene eventualmente contenute nel perimetro dello stabilimento ILVA di Taranto e ad eventuali progetti di caratterizzazione e tracciatura delle stesse, per tutelare la salute dei lavoratori e dei cittadini delle aree limitrofe;
   se i Ministri interrogati possano fornire notizie in merito allo stato dell'arte della caratterizzazione e bonifica del sito Ex-Cemerad e all'impiego dei fondi stanziati all'uopo. (5-06192)


   VALLASCAS, FICO, CRIPPA, DA VILLA, SIBILIA e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 1o aprile 2015, la Rai ha sospeso la programmazione delle trasmissioni di divulgazione della lingua e della cultura della Sardegna;
   sono state cancellate dal palinsesto regionale una trasmissione radiofonica di 27 minuti, in onda su Radio 1 dal lunedì alla domenica, in totale quattro trasmissioni in italiano e tre in lingua sarda, e i programmi televisivi di circa 30 minuti in «Fuori Spazio» su Raitre, anche questi nelle due lingue, italiano e sardo;
   a seguito di un quesito al presidente e al direttore generale della Rai, della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, a firma dei deputati Roberto Fico e Andrea Vallascas (prot. N. 1667/COMRAI), la Rai, il 9 luglio 2015, ha esposto le motivazioni della sospensione;
   in particolare nel testo viene richiamata la circostanza dell'assenza di un'apposita convenzione tra Rai e regione Sardegna, essendo venuta meno la precedente convenzione, stipulata nel 2014 per un importo di 300 mila euro, per «l'impossibilità dell'amministrazione regionale di poter adempiere alla propria prestazione causa il venir meno dei fondi necessari»;
   nel medesimo documento, la Rai sottolinea, tra le altre cose, che, per evitare disagi agli utenti del servizio radiotelevisivo, ha garantito la programmazione in lingua sarda, senza alcun corrispettivo economico da parte della regione, per circa quindici mesi. Contestualmente, la Rai avrebbe tentato di riaprire la trattativa con la regione Sardegna, tentativo risultato a tutt'oggi vano;
   secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, il motivo che avrebbe spinto l'amministrazione regionale a frenare le trattative sulla convenzione sarebbe stata la scoperta che, contrariamente a quanto accade per le trasmissioni Rai programmate in Sardegna, per altre minoranze linguistiche, come il Friuli e la Valle d'Aosta, sarebbero state stipulate delle convenzione tra lo Stato e la Rai, senza oneri a carico delle regioni;
   in particolare è il caso di rilevare che con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 ottobre 2013, è stata approvata la convenzione stipulata tra la Presidenza del Consiglio dei ministri (dipartimento per l'informazione e l'editoria) e la Rai (Radiotelevisione italiana spa) per la trasmissione di programmi radiofonici e televisivi in lingua francese nella regione Valle d'Aosta e di programmi radiofonici in lingua slovena nonché radiofonici in lingua italiana e friulana nella regione Friuli-Venezia Giulia;
   si evidenzia che l'articolo 6, comma 1, della citata convenzione prevede un corrispettivo, da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri (dipartimento per l'informazione e l'editoria) alla Rai di 11.600.000,00 euro annui per la produzione e diffusione delle trasmissioni radiofoniche e televisive in friulano, italiano ed in lingua slovena, nella regione autonoma Friuli Venezia Giulia, a cui vengono aggiunti 200 mila euro annui per le trasmissioni radiofoniche in friulano;
   al successivo comma 2, viene indicato il corrispettivo, pari a 2.200.000 euro annui per la produzione e diffusione delle trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua francese per la regione Autonoma Valle d'Aosta;
   la grave diversità di trattamento, con l'esclusione della minoranza linguistica della Sardegna dall'accesso al contributo dello Stato di cui godono le sopracitate minoranze linguistiche, sarebbe determinato dal contratto nazionale di servizio pubblico, relativo al triennio 2010-2012;
   in particolare all'articolo 17, comma 2, nell'indicare le minoranze linguistiche per le quali la Rai si impegna, sulla base di apposite convenzioni con la Presidenza del Consiglio dei ministri, a garantire un'adeguata programmazione, non è contemplata la lingua sarda;
   tutto ciò appare una grave discriminazione a danno della minoranza linguistica della Sardegna e disattende le disposizioni di legge, a cominciare dal dettato costituzionale, che tutelano le minoranze linguistiche;
   in particolare, l'articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recita «In attuazione dell'articolo 6 della Costituzione e in armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo»;
   il profondo divario della qualità economica delle risorse investite nella tutela delle lingue delle minoranze rafforzerebbe la convinzione della profonda ingiustizia che sarebbe in atto nei confronti del popolo sardo;
   il sardo è una lingua romanza che presenta peculiarità di grande interesse linguistico per la forte incidenza di tratti arcaici e per la molteplicità di casi di conservativismo fonetico, elementi propri della parlata di una comunità isolata, separata dalle correnti lessicali che hanno interessato il continente europeo e la penisola italiana;
   questo stato di cose lega indissolubilmente la lingua sarda, alla cultura, alle tradizioni, ai processi di aggregazione sociale, nonché alla salvaguardia della memoria delle comunità sarde, tanto da essere, in buona parte del territorio dell'isola, la prima lingua parlata nella quotidianità, mentre la Sardegna risulta essere la comunità bilingue più numerosa d'Europa;
   negli ultimi decenni, sono stati avviati, ad opera di istituzioni pubbliche, organismi privati, associazioni e accademie, processi di promozione della diffusione e della salvaguardia della lingua sarda nelle sue diverse varianti, proprio perché il sardo è considerato a tutti gli effetti una risorsa, nonché elemento distintivo della storia, dell'identità e della specialità dell'isola;
   il processo di salvaguardia e diffusione della lingua sarda trovava nelle trasmissioni identitarie della Rai uno strumento di straordinaria efficacia, per il seguito che i programmi hanno sempre avuto e per la qualità stessa della programmazione in lingua sarda che ha sempre registrato interessanti indici d'ascolto;
   la cancellazione della programmazione dei programmi della cultura e della lingua della Sardegna, ha comportato una brusca interruzione nel processo di divulgazione della lingua della tradizione, soprattutto tra le giovani generazioni, e nella salvaguardia delle professionalità legate alla promozione della conoscenza del Sardo, professionalità che la sede Rai della Sardegna aveva saputo valorizzare a garanzia di una programmazione sempre di alto livello;
   la diversità di trattamento tra minoranze linguiste sembrerebbe sia stata colta anche dalla Commissione parlamentare di vigilanza Rai che, il 7 maggio 2014, nell'esprimere parere favorevole al nuovo contratto di servizio, tra le condizioni, all'articolo 2, comma 1, lettera m), estende alla lingua sarda, per la regione Sardegna, l'obbligo della Rai ad effettuare, per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri e sulla base di apposite convenzione, trasmissioni inerenti la cultura e la lingua locale –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per rimuovere la grave discriminazione nei confronti della minoranza linguistica sarda che si è determinata a seguito della cancellazione della programmazione delle trasmissioni in lingua sarda trasmesse dalla sede Rai della Sardegna;
   quali siano le motivazioni che hanno impedito a tutt'oggi la sottoscrizione da parte del Ministero dello Sviluppo Economico e della Rai del contratto di servizio 2013-2015 approvato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi il 7 maggio 2014;
   se non ritengano opportuno adoperarsi al fine di accelerare le procedure volte alla sottoscrizione e all'adozione del contratto di servizio Rai 2013-2015 che, vista la condizione posta dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza all'articolo 2, comma 1, lettera m), consentirebbe, tra le altre cose, di rimuovere la diversità di trattamento tra minoranze linguistiche, illustrate in premessa, e accogliere il Sardo tra le lingue per le quali la Rai è obbligata ad effettuare, per conto della Presidenza del Consiglio dei ministri e sulla base di apposite convenzioni, trasmissioni inerenti alla cultura e alla lingua locale. (5-06204)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le politiche di risanamento della finanza pubblica adottate negli ultimi anni nel nostro Paese, finalizzate al raggiungimento dei vincoli imposti dall'Europa, pur se hanno coinvolto tutti i livelli della pubblica amministrazione, nei fatti, hanno visto proprio le amministrazioni locali contribuire in modo determinante;
   non è assolutamente accettabile che i problemi al bilancio delle amministrazioni degli enti locali possano ripercuotersi sui servizi essenziali che debbono essere garantiti alle persone diversamente abili, nello specifico: assistenza specialistica per l'autonomia personale, assistenza per la comunicazione, assistenza educativa per le relazioni sociali, ausili specifici, testi scolastici adattati, supporto tiflopedagogico, servizio di trasporto;
   il contributo richiesto al comparto delle province per il risanamento della finanza pubblica rischia di compromettere il prosieguo di servizi fondamentali come l'assistenza ai disabili anche nell'ambito scolastico, pregiudicandone irreparabilmente il diritto allo studio garantito ai sensi dell'articolo 5 della legge 67 del 1993, dell'articolo 139 del decreto legislativo 112 del 1998, dell'articolo 12 della legge regionale 3 del 2008 e dell'articolo 6 della legge regionale 19 del 2007;
   la giurisprudenza costante, in applicazione delle chiare disposizioni di legge, ha da tempo definito quali siano i diritti degli alunni con disabilità e non risulta che tali norme siano state oggetto di modifica;
   la Lega Nord ha presentato proposte al fine di attribuire le risorse necessarie per far sì che le province possano assicurare la continuazione dell'assistenza ai disabili anche in ambito scolastico;
   le principali associazioni delle persone con disabilità e dei loro familiari hanno fatto appello ai rappresentanti delle istituzioni perché sia garantito il diritto allo studio dei bambini e ragazzi con disabilità che fino ad oggi hanno ricevuto assistenza e servizi dalle amministrazioni provinciali: alunni con disabilità sensoriale di ogni età e studenti con disabilità che frequentano le scuole superiori;
   ad oggi solo pochi di loro saranno certi di poter frequentare regolarmente la scuola grazie all'impegno delle loro province nel rispettare gli obblighi loro affidati dalla legge nazionale e regionale;
   per gran parte degli altri le molte promesse non si sono tradotte in atti concreti: impegni di spesa, delibere, modalità di segnalazione dei bisogni. Questa situazione non è più accettabile, visto che la gestione di questi servizi rimane, sulla base della nuova normativa regionale e in attesa della riforma del Titolo V della Costituzione, alle province e alla città metropolitana, rientrando essi a pieno titolo tra le funzioni fondamentali confermate in capo agli enti di area vasta. Non si tratta di una spesa residuale a cui destinare avanzi o risparmi contabili, ma di un diritto soggettivo non comprimibile neppure per ragioni di bilancio ed è compito istituzionale di Stato, regione e province reperire le risorse necessarie per far fronte ai bisogni documentati;
   arrivano comunicazioni allarmanti da parte di molte città metropolitane in cui viene segnalato che in questo momento non è possibile ai competenti uffici avviare le consuete pratiche di rinnovo del servizio;
   in mancanza di un'assegnazione tempestiva delle risorse necessarie le famiglie saranno costrette a rivolgersi al TAR (ed eventualmente al giudice ordinario contestando la condotta discriminatoria ex legge 67 del 2006), in tempi anticipati rispetto all'inizio della scuola, al fine di non vedere compromesso l'anno scolastico dei propri figli e per vedere garantito il diritto alla inclusione scolastica, ponendo tutte le spese a carico delle amministrazioni coinvolte, con diritto al risarcimento del danno –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere, al fine di consentire immediatamente l'organizzazione del servizio, magari raccogliendo le richieste attraverso le scuole;
   se siano state avviate le iniziative di competenza indispensabili per permettere il regolare inizio dell'anno scolastico, decidendo come gestire i servizi per gli alunni con disabilità sensoriale di ogni ordine e grado (assistenza alla comunicazione, fornitura di testi scolastici adattati e supporto psicopedagogico) e per gli studenti con ogni tipo di disabilità delle scuole superiori (assistenza educativa e trasporto). (4-10033)


   PASTORELLI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la situazione dei roghi, da parte dei rom, nella Capitale è diventata oramai intollerabile: i nomadi raccolgono di tutto, bruciano ciò che non possono vendere, interrano ciò che non gli serve creando vere e proprie discariche a cielo aperto di materiali pericolosi e ingombranti, oramai in quasi tutti i quartieri: nel quadrante est, da Tor Sapienza a Ponte di Nona, nel III Municipio, nell'XI Municipio, nell'area golenale del Tevere a Magliana, nei pressi della Roma-Fiumicino e in zona «La Barbuta» tra Roma e l'aeroporto di Ciampino. Ovunque roghi, forti esalazioni di sostanze tossiche e intensi fumi maleodoranti;
   il fenomeno, prima circoscritto ai soli campi nomadi, nell'inerzia generale ha raggiunto dimensioni preoccupanti: a fine del 2014 la superficie interessata raggiungeva i 172 mila 390 metri quadrati, l'equivalente di 40 campi da calcio;
   gli ultimi episodi in ordine di tempo hanno riguardato un vasto incendio divampato il 15 giugno 2015 per il cui spegnimento sono state impiegate, per più di 7 ore, diverse squadre dei vigili del fuoco che ha interessato in maniera notevole il campo nomadi «la Barbuta». La densa colonna di fumo ha creato non pochi problemi alla circolazione aerea, vista la vicinanza con l'aeroporto di Ciampino, e a quella stradale; infatti, forti rallentamenti si sono avuti sul grande raccordo anulare. Inoltre, alcuni episodi di violenza nei confronti di un'auto della protezione civile, presa a sassate, mentre perlustrava la zona interessata dall'ennesimo incendio denotano le condizioni di assoluta pericolosità che vive l'intera zona;
   per quanto di loro competenza, le forze dell'ordine unitamente alla polizia locale, ai vigili del fuoco, al Corpo forestale dello Stato hanno messo in atto tutti i mezzi per bloccare le attività illecite di gestione dei rifiuti e contrastare i reati ambientali;
   l'articolo 13 della direttiva 2008/98/CE (direttiva quadro sui rifiuti) dispone che le autorità competenti devono adottare tutte le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere di fronte a questa insostenibile situazione di degrado e di abbandono;
   se il Governo ritenga opportuno approfondire le conseguenze in termini di inquinamento, di impatto ambientale e di danni alla salute che può determinare il protrarsi di questa situazione di degrado. (4-10042)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella laguna di Orbetello è in atto un disastro ecologico senza precedenti, poiché da circa una settimana si raccolgono in media 40 tonnellate di pesce morto al giorno;
   al fine di evitare problemi igienico-sanitari, i pesci morti vengono trasportati e smaltiti per il loro incenerimento nella città di Livorno;
   dai primi accertamenti risulta che i pesci, indubbiamente sani, sono morti a causa delle elevate temperature record registrate in questi giorni dalle acque della laguna, che hanno toccando la punta massima di 35 gradi centigradi;
   al disastro ambientale si aggiunge quello economico, con il settore dell'itticoltura e della pesca messo in ginocchio nell'immediato, ma anche con la forte probabilità che i danni all'ecosistema marino, e quindi alle attività produttive, si ripercuotano ancora per anni: sì precisa infatti che anche gli avannotti sono morti e le prime stime quantificano i danni all'economia locale pari ad almeno 15 milioni di euro;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, per il tramite dell'Agenzia del demanio, è proprietario dell'intera laguna di Orbetello;
   dati allarmanti giungono anche da altre località lagunari, in particolare ci si riferisce agli impianti di itticoltura situati in Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia;
   si ricorda che gli ambienti naturali lagunari risultano particolarmente fragili e quindi particolarmente esposti agli effetti dell'innalzamento della temperature –:
   se siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, nell'eventualità positiva, se condividano le analisi esposte in premessa con particolare riguardo al rapporto causa-effetto indicato tra l'innalzamento della temperatura e la moria di pesci che ha messo in crisi le attività produttive legate all'itticoltura;
   se intendano assumere iniziative, con priorità e urgenza, volte a erogare fondi per investimenti al fine di dare attuazione ad un piano di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, da definire partendo dalle risultanze emergenti dalla strategia elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, considerando tali investimenti come prioritari per il rilancio dell'economia e dell'occupazione;
   quali iniziative di competenza intendano porre in atto per evitare ulteriori eventi calamitosi e mitigare gli effetti di quelli già realizzatisi;
   relativamente allo specifico caso di Orbetello, se intendano intervenire tempestivamente, eventualmente dichiarando lo stato di emergenza, richiesta già pervenuta da parte degli amministratori locali, per porre in essere misure urgenti al fine di agevolare il ritorno alle condizioni di vita precedenti al disastro ambientale, minimizzare gli effetti negativi sul tessuto produttivo e commerciale, salvaguardare i posti di lavoro e favorire la ripresa economica delle attività produttive locali danneggiate. (4-10049)


   LUIGI DI MAIO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'azione svolta dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Isernia e dal comando provinciale della Guardia di finanza di Isernia, in data 23 giugno 2015 è stato posto agli arresti domiciliari Massimiliano Scarabeo, consigliere regionale molisano del Partito Democratico e assessore regionale con delega alle politiche dello sviluppo economico, politiche del credito, società partecipate, marketing territoriale;
   le accuse mosse dalla procura della Repubblica sono di frode fiscale e truffa aggravata ai danni della regione Molise;
   il GIP presso il tribunale di Isernia, su richiesta della procura della Repubblica di Isernia, ha emesso inizialmente due ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari a carico del consigliere regionale Massimiliano Scarabeo e del fratello;
   in seguito all'ordinanza Massimiliano Scarabeo, in data 23 giugno 2015, ha rassegnato le sue dimissioni dalla giunta regionale, secondo quanto si apprende da fonti di stampa, per quanto dal sito web della regione Molise ciò non risulti;
   il tribunale del riesame di Campobasso, in data 15 luglio 2015, si è pronunciato sulla richiesta di revoca dei domiciliari avanzata dagli avvocati difensori dell'ex assessore regionale Massimiliano Scarabeo revocandoli, ma contestualmente disponendo il divieto di dimora nel territorio della regione Molise;
   il secondo comma dell'articolo 8 dei decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 «Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi» (cosiddetta «legge Severino») stabilisce che per i consiglieri regionali «la sospensione di diritto consegue, altresì, quando è disposta l'applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale nonché di cui all'articolo 283, comma 1, del codice di procedura penale, quando il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale»;
   i provvedimenti emessi dalla magistratura a carico di Massimiliano Scarabeo riguardano le norme del codice di procedura penale richiamate dal citato secondo comma dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 235 del 2012 (articolo 283, divieto e obbligo di dimora; articolo 284, arresti domiciliari);
   secondo quanto previsto dal citato decreto legislativo n. 235 del 2012, è competenza del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, disporre la sospensione del consigliere Scarabeo;
   tuttavia, ad oggi, non risulta che sia stato emanato il necessario decreto del Presidente del Consiglio dei ministri –:
   per quale motivo il Governo, alla luce di quanto sopra esposto, non abbia proceduto a dare attuazione a quanto previsto dal decreto legislativo n. 235 del 2012 – adottando il provvedimento che accerta la sospensione del consigliere regionale Massimiliano Scarabeo – e se non ritenga doveroso procedere con la massima urgenza alla predisposizione delle iniziative necessarie all'immediata adozione dei provvedimenti citati. (4-10052)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   ZAMPA e CHAOUKI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il problema della sottrazione dei figli minori da parte di uno dei due coniugi è un problema molto grave ed esteso e non è stato ancora risolto anche se posto più volte all'attenzione;
   la difficoltà a intervenire efficacemente per risolvere il problema è data anche dal fatto che sono tre i Ministeri di competenza, affari esteri e della cooperazione internazionale, giustizia e interno;
   un ulteriore difficoltà è data dal fatto che molto spesso i figli minori sottratti sono portati da uno dei due coniugi nel proprio Paese d'origine, rendendo ancor più complicata l'individuazione e il successivo rimpatrio del minore;
   negli anni è mancato un coordinamento specifico per far fronte al difficile problema dei figli minori sottratti da uno dei due coniugi;
   le convenzioni internazionali con cui il dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della giustizia è stato designato quale autorità centrale sono state rese esecutive con la legge 15 gennaio 1994, n. 64 e dal regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione in cui si trovano molti genitori italiani a causa delle problematiche esposte in premessa e quali siano in loro orientamenti in merito per trovare delle soluzioni concrete;
   anche alla luce di recenti casi ancora in attesa di soluzione, se non ritengano opportuno assumere iniziative per la creazione di un centro di coordinamento che permetta una migliore sinergia tra le forze in campo, deputate ad affrontare il problema dei figli minori sottratti da uno dei due coniugi, ovviamente nel precipuo interesse del minore, per rendere meno difficile, ai cittadini colpiti da questo problema, interfacciarsi con le istituzioni.
(4-10048)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   BORGHI e TERROSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la sua superficie di 114 chilometri quadrati, il lago di Bolsena è il più grande lago vulcanico d'Europa e il primo assoluto nella regione Lazio. In base all'applicazione delle direttive 92/43/CEE e 79/409/CEE – rispettivamente indicate come «direttiva habitat» e «direttiva uccelli» – recepite in Italia dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell'8 settembre 1997 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 120 del 12 marzo 2003, il lago fa parte dell'elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC) e della rete europea di zona di protezione speciale (ZPS) destinate alla conservazione della biodiversità della rete ecologica denominata NATURA 2000;
   la rete è nata con lo scopo di preservare gli habitat per i quali i siti sono stati identificati, tenendo in considerazione le esigenze economiche, sociali, culturali e regionali in una ottica di sviluppo sostenibile; essa mira a garantire la sopravvivenza a lungo termine delle specie che intende salvaguardare e del loro habitat svolgendo un ruolo chiave nella protezione della biodiversità nel territorio dell'Unione europea. Il lago di Bolsena, da questo punto di vista, si contraddistingue per la presenza di ittiofauna diversificata e abbondante e per una ricca avifauna svernante;
   con la delibera di giunta del 26 ottobre 2005 n. 913, la regione Lazio ha individuato la provincia di Viterbo quale soggetto deputato alla «Predisposizione delle misure di conservazione per la tutela della ZPS “IT6010055 Lago di Bolsena, Isole Bisentina e Martana” e dei SIC in essa inclusi “(IT6010007) – Lago di Bolsena” e “(IT6010041) – Isole Bisentina e Martana”, attraverso la redazione di specifiche misure di conservazione e del relativo Piano di Gestione»;
   purtroppo, da lungo tempo, lo stato di salute del lago di Bolsena desta non poche preoccupazioni;
   è noto che la depurazione degli scarichi provenienti dai comuni circumlacuali avviene per il tramite di un collettore di raccolta dei reflui fognari che, unitamente alle 20 stazioni di sollevamento dislocate lungo il tracciato e all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, a circa 3 chilometri dall'incile, sono gestiti dalla società CO.BA.L.B. (comunità bacino lago di Bolsena spa);
   i suddetti impianti sono mal funzionanti a causa dei mancati o insufficienti interventi di manutenzione che si protraggono da più anni. Ciò determina una serie di problemi, quali i frequenti sversamenti di liquami fognari nel bacino lacustre; la quantità di questi che non si disperde lungo il tracciato, arriva all'impianto di depurazione ubicato nei pressi del fiume Marta, ma l'attività di depurazione non è efficace visto che lo stesso impianto è ormai al collasso e non più in grado di adempiere alla sua funzione;
   è ormai accertato che le tipologie di inquinamento che destano maggiore preoccupazione sono quello di tipo batteriologico, legato alla presenza di enterococchi e colibatteri e quello provocato dall'aumento dei cosiddetti «nutrienti», in particolar modo azoto e fosforo, ambedue connessi alle attività antropiche che si svolgono all'interno del bacino imbrifero;
   mentre la prima tipologia può essere risanata eseguendo i necessari interventi a carico degli impianti di depurazione rendendoli funzionanti, l'inquinamento di natura chimica desta maggiori preoccupazioni poiché, anche eliminando le cause dello stesso, necessitano tempi lunghi affinché il sito inquinato ritorni ad uno stato di salubrità accettabile, sempreché non sia stato irrimediabilmente compromesso;
   l'azoto e il fosforo possono avere origine agricola, ma sicuramente la loro presenza è imputabile alle sostanze chimiche, quali i detersivi utilizzati per l'igiene umana e per la cura della casa, che giungono al lago con gli sversamenti dei liquami fognari. I suddetti «nutrienti» sono responsabili della esplosione algale, della rarefazione di alcuni bioindicatori e, in generale, dello scadimento della qualità delle acque;
   è necessario tenere in debita considerazione il fatto che il bacino del lago di Bolsena ha la caratteristica di essere «a lento ricambio», cioè il tempo necessario a far defluire, attraverso il suo emissario, un volume d'acqua pari al volume del lago, può essere stimato in circa 120 anni. Ciò naturalmente rende il lago estremamente vulnerabile all'inquinamento;
   l'ente deputato alla esecuzione delle analisi delle acque del lago di Bolsena che servono anche a definirne la balneabilità, è ARPA Lazio. Dai dati presenti sul sito internet della suddetta Agenzia, si evince che le analisi eseguite sono prevalentemente di natura batteriologica, mentre gli esami relativi alla determinazione dell'indice LTLeco, previsto dal decreto ministeriale ambiente n. 260 del 2010, sembra siano eseguiti solo sui campioni prelevati nella stazione ubicata in comune di Capodimonte;
   sarebbe opportuno che Arpa aumenti il numero di siti in cui effettuare i prelievi e le analisi al fine di verificare la presenza di elementi chimici, in particolare azoto e fosforo, che sono notoriamente responsabili dei fenomeni di eutrofizzazione;
   come noto il contenuto in arsenico delle acque potabili di molti dei comuni circumlacuali risulta essere al di sopra di quanto previsto dalla normativa vigente. Per superare questo problema il comune di Montefiascone già da tempo adotta la tecnica della miscelazione delle acque che arrivano nelle case dei cittadini, con quelle prelevate dal lago di Bolsena, opportunamente depurate. Tale pratica potrebbe essere utilmente adottata allo stesso scopo da altri comuni che presentano la stessa problematica, solo dopo il ripristino del corretto funzionamento degli impianti di depurazione esistenti e una attenta valutazione degli interventi tecnici che prevedano l'adozione di ulteriori sistemi di depurazione, anche nella realistica prospettiva che i comuni in cui l'acqua potabile presenta valori di arsenico superiori a quelli ammessi dalla normativa vigente decidano di abbassarne il contenuto attraverso la miscelazione con acqua lacuale opportunamente depurata;
   risulta che all'inizio di agosto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, abbia inoltrato ai comuni circumlacuali una lettera avente ad oggetto: «Esposto relativo ad una situazione di criticità ambientale delle acque del lago di Bolsena – Richiesta informazioni» con la quale richiedeva ai sindaci di dettagliare lo stato del bacino lacustre –:
   se non intenda, nel rispetto delle competenze di tutti gli enti territoriali coinvolti, promuovere, per quanto di competenza, uno studio sulla qualità delle acque del lago di Bolsena – monitoraggio di indagine – che relazioni sullo stato di inquinamento generale delle acque provocato sia dalla componente microbiologica sia dalla componente chimica e che attribuisca l'origine dello stesso distintamente alle diverse attività che insistono nel territorio circumlacuale (turismo, agricoltura, altre attività antropiche), anche in vista della prossima scadenza del 31 dicembre 2015, termine entro il quale lo stato ecologico del lago dovrà migliorare da «sufficiente» a «buono» (direttiva quadro acque 2000/60/CE). (5-06193)


   CASTIELLO e LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2015 la Sogin ha consegnato all'Ispra l'aggiornamento della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) alla localizzazione del deposito nazionale e della relativa documentazione, richiesto nel mese di aprile dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico;
   in realtà la mappa era già stata inviata a inizio gennaio dalla Sogin, la società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi. I tecnici dovevano verificare il rispetto della guida tecnica per la localizzazione (pubblicata nel giugno 2014) che prevedeva quindici criteri di esclusione delle aree su cui dovrà essere costruito il deposito all'interno di un parco tecnologico;
   in particolare, sono da escludere le aree vulcaniche, le località a più di 700 metri sul livello del mare o a una distanza inferiore a 5 chilometri dalla costa, le zone a sismicità elevata, a rischio frane, inondazioni, le zone che costeggiano i fiumi e tutte le superfici dove c’è una pendenza maggiore del 10 per cento. Sono escluse anche le aree naturali protette, quelle che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e ferrovie;
   il 20 luglio 2015 l'ISPRA ha inviato ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e dello sviluppo economico la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) ad ospitare il sito unico nazionale di stoccaggio delle scorie nucleari, ancora secretata;
   per rifiuti radioattivi si comprendono diverse categorie di rifiuti, fra loro molto diverse, tra cui quelli provenienti dai reattori di ritrattamento del combustibile nucleare, quelli prodotti dallo smantellamenti di vecchi impianti, e gli elementi di combustibile esauriti; le scorie nucleari possono essere prodotte nelle centrali nucleari (per la maggior parte), in medicina, e nei siti industriali per le analisi produttive di parti metalliche;
   il deposito nazionale sarà un'infrastruttura di superficie dove mettere in sicurezza i rifiuti radioattivi e consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività. Insieme al deposito è prevista la realizzazione del parco tecnologico: un centro di ricerca, aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attività nel campo del decommissioning, della gestione dei rifiuti radioattivi e dello sviluppo sostenibile in accordo con il territorio interessato;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   il nostro Paese ha l'obbligo di dar vita ad un sito di stoccaggio permanente delle scorie, sancito dalla direttiva europea 2011/70 Euratom, che impone ad ogni Stato membro la realizzazione di un punto di stoccaggio in grado di ospitare in sicurezza il combustibile nucleare esaurito e i rifiuti radioattivi, anche derivanti dagli impieghi medicali, di ricerca e industriali. Sono 23 i siti italiani che attualmente ospitano questa «spazzatura atomica», tra cui il centro Itrec Trisaia di Rotondella (MT);
   indiscrezioni giornalistiche affermavano che la Basilicata e in particolare Matera, Montescaglioso, Montalbano Jonico, Banzi, Palazzo san Gervasio, Genzano di Lucania e Altamura erano stati individuati nella carta preliminare delle aree potenzialmente idonee per il deposito unico nazionale delle scorie;
   la città di Matera, Capitale della Cultura 2019, e l'area murgiana non possono essere indicate come sito per l'ubicazione del deposito nazionale di scorie radioattive, in quanto ciò creerebbe un pregiudizio all'immagine della città dei Sassi, Patrimonio dell'Unesco –:
   se il Governo non ritenga quanto prima di tendere pubblica la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) e quindi quali iniziative intenda assumere per evitare che si riproponga la Basilicata quale sito per il deposito unico nazionale delle scorie, regione in cui già è presente il deposito di stoccaggio scorie radioattive di III categoria nell'impianto di Itrec di Rotondella. (5-06194)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'acqua è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile dell'uomo, un diritto universale, indivisibile, che si può annoverare fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
   la direttiva 98/83/CE del Consiglio, del 3 novembre 1998 prevede che in caso di inosservanza dei valori di parametro, lo Stato membro interessato provvede affinché vengano tempestivamente adottati i provvedimenti correttivi necessari per ripristinare la qualità delle acque. Indipendentemente dal rispetto o meno dei valori di parametro, gli Stati membri provvedono affinché la fornitura di acque destinate al consumo umano, che rappresentano un potenziale pericolo per la salute umana, sia vietata o ne sia limitato l'uso e prendono qualsiasi altro provvedimento necessario. I consumatori vengono informati di tali misure;
   da metà anni ’80 nell'area della pianura di Scarlino sono presenti in un'area di proprietà prima ENI, poi, a seguito della privatizzazione e permute, della Nuova Solmine, di Scarlino Energia e del comune di Scarlino, materiali contaminati da ceneri di Pirite, oggetto di bonifica, prodotti dalla trasformazione dei minerali metallici derivati dalle attività minerarie, come riportato nel /report/ ARPAT «Definizione dei Valori di Fondo per alcuni parametri nelle Acque Sotterranee dei Siti in Bonifica della Pianura di Scarlino, Grosseto (2003-2012)» del gennaio 2014;
   la relazione conclusiva dell'aprile 2011 di A. Donati e A. Biondi commissionata dal comune di Scarlino e dalla provincia di Grosseto, evidenzia che le falde idriche (prima falda tra 2 e 18 metri e seconda falda 20 e 50 metri) della pianura di Scarlino presentano un vasto inquinamento da arsenico e di altri inquinanti come manganese, ferro e solfati;
   tale responso risulta confermato successivamente anche dallo stesso documento ARPAT citato in precedenza, specificando che le concentrazioni di arsenico raggiungono valori fino a 680 volte superiori al limite di legge, con l'aggiunta che anche a monte dell'area interessata dalla bonifica se ne riscontrano valori fino a 156 volte superiori;
   i lavori di bonifica dei suddetti siti, consistenti nella cinturazione e messa in sicurezza permanente dei luoghi in cui sono state collocate le ceneri di pirite, effettuati da Nuova Solmine (GR72) e da Scarlino Energia(GR9000-1) e Ex Bacini fanghi Solmine(Gr66) hanno avuto inizio nei primi anni 2000 e sono stati certificati come conclusi a fine anni 2000 (All. al Protocollo ARPAT N.33923 — GR 72 relazione fine monitoraggio 2013), mentre oggi, a seguito dei monitoraggi post-operam, si dimostrano inefficaci e non sono stati previsti o prescritti altri lavori di bonifica sui suddetti siti (si veda ARPAT Protocollo N. CI. GR.01.23.26/21.6, allegato al verbale della conferenza dei servizi del comune di Scarlino del 13 aprile 2015;
   dopo 5 anni dal completamento della messa in sicurezza, l'ARPAT ha eseguito il controllo previsto dalla legge e ha certificato l'esito negativo dei lavori eseguiti, indicando la necessità di ulteriori interventi, che tuttavia non sono stati ancora prescritti o ordinati;
   nell'ottobre 2013 e nell'aprile 2015, nel proporre un piano di bonifica unitario delle falde, la ditta AMBIENTE s.c. Ingegneria Ambientale, incaricata di presentare un progetto operativo di bonifica, certifica il persistere di elevate anomalie di arsenico in falda e le riporta nella relazione al comune di Scarlino, segnalando la presenza in superficie di altre fonti inquinanti (nota Arpat Prot. CI. GR.01.23.26/21.6) non ancora rimosse e motivando la mancanza di un modello concettuale affidabile per il fatto che è stata incaricata di analizzare le sole acque di falda e non anche i terreni in superficie; 
   il verbale della ultima conferenza di servizi presso il comune di Scarlino del 13 aprile 2015 richiama due note presentate e illustrate in quella sede (comune di Scarlino prot. N.4711 e N. 4708), in cui si denunciano gravi criticità nei precedenti iter di approvazione dei progetti di bonifica, che hanno consentito la permanenza in superficie di diverse fonti primarie inquinanti mai rimosse, nonostante fossero certificata la loro presenza, che oggi concorrono nel persistente inquinamento delle falde anche a valle idrogeologica dei siti certificati come bonificati;
   per la Nuova Solmine sono in corso verifiche da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare competente per il rinnovo delle autorizzazioni AIA, comprensive degli impianti di trattamento delle acque inquinate proventi dalle bonifiche previste (si veda parere della provincia allegato al suddetto verbale del 13 aprile 2015) –:
   quali iniziative di verifica, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, intenda promuovere il Ministro interrogato al fine di realizzare un'efficace tutela delle risorse idriche della piana di Scarlino e quindi se la task force istituita dal Ministero con il decreto ministeriale n. 358 del 13 dicembre 2013 dovrà occuparsi anche dell'effettiva realizzazione degli investimenti necessari sia sul fronte della depurazione sia sul fronte delle infrastrutture per la tutela della risorsa. (5-06195)


   MATARRESE, D'AGOSTINO, DAMBRUOSO e VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea – direzione generale «Ambiente» – ha aperto, a seguito di molteplici denunce, la procedura di indagine EU Pilot 6730/14/ENVI «diretta ad accertare se esista in Italia una prassi di sistematica violazione dell'articolo 6 della direttiva Habitat» ovvero la direttiva n. 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita in Italia nel 1997, con regolamento decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, modificato ed integrato dal decreto del Presidente della Repubblica 12 marzo 2003, n. 120;
   la direttiva Habitat ha come obiettivo quello di «salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo degli Stati membri al quale si applica il trattato» (articolo 2) e per il raggiungimento di tale obiettivo sono individuate le misure volte ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat e delle specie di interesse comunitario elencati nei suoi allegati;
   in particolare, l'articolo 6, paragrafo 2, della direttiva dispone che gli Stati membri adottino «le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli obiettivi della presente direttiva»;
   secondo quanto si evince dall'inchiesta pubblicata dall’Espresso in data 4 maggio 2015, la Commissione europea, avrebbe inviato una richiesta di informazioni supplementari al Governo italiano in merito ai casi esaminati nel corso dell'indagine, con 21 richieste che metterebbero in luce una serie di disfunzioni che non garantirebbero la completa attuazione dell'articolo 6 della direttiva «Habitat»;
   da quanto si evince dal documento EU Pilot 6730/14/ENVI, la Commissione europea ritiene utili al raggiungimento degli obiettivi della direttiva «Habitat» una serie di 21 azioni che chiede di porre in essere all'Italia tra le quali: non ammettere deroghe alla Valutazione di incidenza ambientale per determinati piani/progetti, incrementare la trasparenza nelle procedure di Valutazione di incidenza ambientale, garantire la competenza degli enti che a vario titolo sono tenuti a far rispettare la direttiva «Habitat» nel corso dell'approvazione dei progetti e garantire che siano solo professionisti esperti del settore a poterli redigere, stabilire requisiti dettagliati e più adeguati per la redazione degli studi di incidenza, stabilire una durata massima della Valutazione di incidenza ambientale, rafforzare la responsabilità degli amministratori competenti per la Valutazione di incidenza ambientale e prevedere sanzioni amministrative per i soggetti che non eseguono le misure di mitigazione e compensazione imposte dalla Valutazione di incidenza ambientale;
   di particolare rilevanza tra le predette azioni, vi è sicuramente la necessità di assicurare che le prescrizioni impartite dalla Valutazione di incidenza ambientale vengano effettivamente applicate, anche attraverso il rafforzamento del ruolo del Corpo Forestale dello Stato; di effettuare corsi di formazione per agenti incaricati dei controlli e di razionalizzare le forze in campo in materia di vigilanza ambientale quali gli ex guardiacaccia delle province, il Corpo forestale dello Stato, i Corpi forestali provinciali e regionali;
   i casi citati nel rapporto della Commissione sono molteplici e da quanto affermato dell’Espresso presenterebbero profili di gestione insoliti e poco attendibili. L'inchiesta testualmente afferma, infatti, che: «... a giudicare gli interventi nelle zone limitrofe (ai S.I.C. ndr) siano comuni che hanno a malapena il segretario comunale. O che a valutare le eventuali ripercussioni su specie tutelate come il lupo appenninico o l'orso bruno marsicano sia un piccolo municipio di poche centinaia di abitanti, mentre l'Ente parco nazionale viene solo sentito per un parere consultivo...»;
   secondo quanto si evince dall'inchiesta dell'Espresso, si sarebbero verificati «... interventi autorizzati senza considerare l'impatto sulle zone protette, altri che hanno ricevuto “parere favorevole senza certezza che il progetto fosse privo di effetti pregiudizievoli”, in alcuni casi alcuni addirittura “approvati nonostante l'accertata incidenza negativa”. Insomma, “in Italia vi è un problema di natura sistematica nell'applicazione” delle direttiva europea sull'ambiente. E lo conferma il fatto che varie violazioni hanno portato “spesso al degrado dei siti Natura 2000”. Di qui l'invito a intervenire presso le regioni “al fine di impedire un ulteriore degrado...”»;
   nell'ambito della procedura di indagine EU Pilot 6730/14/ENVI, sono state assunte come ipotesi di violazione della normativa comunitaria una serie di attività e progetti realizzati in assenza di adeguata procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.INC.A.) in aree rientranti in siti di importanza comunitaria (S.I.C.) e zone di protezione speciale (Z.P.S.) componenti la Rete Natura 2000, individuati rispettivamente in base alla direttiva n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli Habitat naturali e semi-naturali, della fauna e della flora e la direttiva n. 09/147/CE sulla tutela dell'avifauna selvatica;
   in particolare, nel documento della direzione generale ambiente, che è stato oggetto di una inchiesta dell’Espresso del 4 maggio 2015, si osservano i seguenti casi di possibile violazione dell'articolo 6, paragrafi 2, 3, e 4 della direttiva «Habitat»: CHAP(2012)01673 – si ipotizzano criticità nelle procedure di V.INC.A in regione Abruzzo; CHAP(2012)02307 – si ipotizza che il piano di gestione rifiuti della regione Lazio non sia stato sottoposto a VINCA; CHAP(2014)00800 – si ipotizza l'autorizzazione di pesca sportiva nel SIC «Cave Danesi», in Lombardia, in assenza di VINCA; CHAP(2012)02311 – si ipotizza l'approvazione, in assenza di VINCA, del piano di sviluppo aeroportuale dell'Aerostazione di Cagliari-Elmas ricadente sull'adiacente SIC «Stagno di Cagliari Saline di Macchiareddu, laguna di Santa Gilla; CHAP(2014)02352 e CHAP(2014)02887 – si ipotizza la mancata effettuazione di VINCA su diversi impianti eolici ricadenti nel SIC «Pendici meridionali del Monte Mutria» in Campania; CHAP(2012)2233 – ipotesi di violazioni riguardanti l'impatto ambientale di numerose cave di marmo attive nel Parco regionale delle Alpi Apuane in Toscana; CHAP(2015)00051 – ipotesi di violazioni riguardante la centrale termoelettrica a biomasse nel comune di Monticiano a Siena in area confinante con SIC «Alto Merse», progetto che sembra non essere stato sottoposto a VINCA; Ares(2015)1199501 – ipotesi di violazione riguardante competizioni motociclistiche svoltesi nell'area del parco nazionale dei Monti Sibillini (dove sono vietate), nel comune di Norcia, in Umbria, in assenza di autorizzazione da parte dell'Ente Parco dei Sibillini;
   inoltre, nel predetto documento si evidenziano ipotesi di violazioni dell'articolo 6, paragrafi 2, 3, e 4 della direttiva «Habitat» relative alla persistenza di esercitazioni militari, anche a fuoco, effettuate nei siti Natura 2000 in diverse regioni italiane in assenza di studi e di VINCA, senza tener conto della presenza di fauna e habitat protetti, di cicli biologici nonché delle necessità di conservazione della biodiversità presente nei siti e spesso senza autorizzazioni degli Enti gestori; in particolare, persistono attività addestrative nei poligoni militari di Capo Teulada (Teulada, Cagliari) e di Torre Veneri (Lecce) nei due S.I.C. «Isola Rossa e Capo Teulada» e «Torre Veneri» in assenza di procedura di V.INC.A.;
   sembrerebbe sussistere il rischio di apertura di una procedura di infrazione per violazione della normativa comunitaria sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, della fauna e della flora (direttiva n. 92/43/CEE) e, in conseguenza di eventuale sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia europea, di una pesante sanzione pecuniaria a carico dell'Italia –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, in caso affermativo, se le attività e i progetti esaminati dall'indagine EU Pilot 6730/14/ENVI siano stati già tutti sottoposti a valutazione di incidenza ambientale e quindi sussista il rischio di apertura di procedura di infrazione per violazione della normativa comunitaria sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, della fauna e della flora (direttiva n. 92/43/CEE) e quali iniziative di competenza intenda adottare per scongiurarla. (5-06196)


   PELLEGRINO, ZARATTI, FERRARA, RICCIATTI e DURANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Trieste, nel rione Servola, che conta una popolazione complessiva di circa 40.000 abitanti, è attivo lo stabilimento siderurgico Ferriera in un'area fortemente antropizzata, nei pressi di case, asili e scuole, passato, dalle circa 50.000 tonnellate annue, alla produzione di più 400.000 tonnellate annue di ghisa;
   ad oggi è evidente l'impossibilità di considerare ottemperate le esigenze di compatibilità ambientale, e conseguentemente sanitaria, richieste anche dal provvedimento di AIA (2008);
   già dopo soli sei mesi dal rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale il comune di Trieste ne aveva richiesto alla regione il riesame;
   la situazione ambientale è andata progressivamente degradandosi nell'ultimo decennio, dopo la totale privatizzazione dello stabilimento;
   come riportato dalle testimonianze dei residenti, secondo i quali dalla fine degli anni Novanta l'incidenza di tumori nel rione sarebbe clamorosamente aumentata, il netto peggioramento si avviò nel 1995, anno in cui il gruppo Lucchini prese le redini dell'indotto;
   le criticità ambientali sono state rilevate anche a seguito di una serie di campagne di monitoraggio avviate dalla procura della Repubblica di Trieste e confermate anche dall'ARPA del Friuli-Venezia Giulia, nelle quali sono stati evidenziati notevoli superamenti dei limiti di legge previsti per polveri (PM 10), benzene e benzo(a)pirene nel corso degli ultimi anni;
   a seguito di dette criticità ambientali sono stati condotti, negli anni, procedimenti giudiziari nei confronti della proprietà, che, tuttavia, risolvendosi sempre in sanzioni pecuniarie simboliche, non hanno sortito alcun effetto migliorativo concreto;
   si ricorda, tra l'altro, come a seguito di un'indagine ambientale del 2007, commissionata dalla procura di Trieste ad un istituto universitario cittadino, l'azienda per i servizi sanitari n. 1 inviò al sindaco di Trieste una serie di sollecitazioni a provvedere per la tutela sanitaria della popolazione, senza, a quanto risulta, che da ciò sortisse alcuna significativa novità;
   alcune indagini condotte qualche anno fa su campione di volontari hanno rilevato, nel 100 per cento dei soggetti, superamenti dei range per manganese e/o altri metalli pesanti, con punte da 3 a 22 volte il massimo tabellare;
   è di pubblica visibilità, inoltre, il costante incremento dei cumuli a livello collinare formati da residui di lavorazione, scivolati anche a mare, come dimostra una semplice visualizzazione delle immagini satellitari;
   oggi, lo stabilimento è di proprietà del gruppo Arvedi, nei confronti del quale il presidente della regione Debora Serracchiani ha speso parole di ottimismo e rassicurazione che, tuttavia, non sembrano giustificate, avendo la centralina di monitoraggio rilevato, già ad aprile di quest'anno, il superamento della soglia annuale concessa dalla legge per gli sforamenti delle polveri sottili PM10 (47 sforamenti su un limite di 35), come riportato da un articolo del giornale Il Fatto Quotidiano del 19 maggio 2015, dal titolo «Ferriera di Trieste, già sforate le soglie di inquinamento, Nuovo progetto? Carente»;
   la conseguente diffida giunta dalla regione non ha, come sempre, avuto l'effetto di imporre la chiusura degli impianti; i lavori di bonifica e messa in sicurezza, avviati da mesi, non mostrano ancora risultati tangibili;
   è evidente, dunque, come sia molto difficile consentire la prosecuzione dell'attività dell'area a caldo in condizioni di reale compatibilità ambientale, come dimostra uno studio indipendente condotto negli ultimi mesi, dal quale sono emersi dati altamente preoccupanti sul pericolo cui è esposta quotidianamente la popolazione triestina;
   tale studio, del laboratorio Nanodiagnotics, si basa su polveri sottili raccolte circa un mese fa (in due giornate, il 21 e 26 giugno) nel rione Servola, rilevando una situazione drammatica, con particelle contenenti silicio, alluminio, calcio, ferro, manganese, polveri sottili PM2,5, classificate come cancerogene dall'Organizzazione mondiale della sanità, nonché particelle classificabili come sferule, nuclei di ferro ricoperti di inquinanti quali il benzopirene e i furani: la forma sferica deriva proprio dalla loro produzione in Ferriera;
   l'azienda, ad avviso degli interroganti, non si è dimostrata negli ultimi mesi particolarmente collaborativa: già nel caso degli sforamenti rilevati ad aprile, venne comunicato ai dipendenti che la centralina dove risultavano registrati gli sforamenti era in una posizione irregolare, in quanto troppo prossima all'area industriale, posizione rigettata già nel 2013 dal TAR che aveva considerato come non fosse possibile giudicare illegittima: «una scelta autonoma della regione o degli enti esponenziali della regione (Arpa) di collocare una centralina in un centro abitato»;
   il 25 maggio 2012 l'allora Ministro Clini firmò un accordo di programma per «interventi di riqualificazione ambientale funzionali alla reindustrializzazione e infrastrutturazione delle aree comprese nel Sito di interesse nazionale di Trieste»;
   lo studio SENTIERI del Ministero della salute ha riportato per la città, di Trieste, nel periodo dal 1995 al 2002, dati peggiori (circa il doppio di decessi) persino alla città di Taranto, anch'essa soggetta a grave contaminazione a causa dell'acciaieria Ilva;
   la zona di Trieste, tra cui rientra l'area di Servola, è stata dichiarata sito di interesse nazionale con decreto ministeriale n. 468 del 2001;
   il comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) ha assegnato il 30 ottobre 2014 l'importo di 15,4 milioni di euro alla regione Friuli Venezia Giulia, a valere sulla nuova programmazione 2014/2020 del fondo di sviluppo e coesione, per la realizzazione di interventi di competenza delle pubbliche amministrazioni per la messa in sicurezza SIN di Trieste, in attuazione dell'accordo di programma del 30 gennaio 2014 –:
   quali iniziative urgenti abbia intenzione di mettere in atto il Ministro nel breve e nel, lungo periodo alla luce dei nuovi dati emersi nelle ultime settimane, per contenere i superamenti dei valori soglia per pervenire all'improcrastinabile avvio di un immediato e risolutivo programma di bonifica, al fine di tutelare i cittadini di Trieste da una contaminazione tanto dannosa per la loro salute in una zona classificata come sito di interesse nazionale da ormai quasi quindici anni. (5-06197)


   MICILLO, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dal comunicato stampa n. 86 del 2015 della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 luglio 2015, l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) al pagamento della somma forfettaria di euro 20.000.000 oltre ad una penalità quantificata in euro 120.000 per ogni giorno di ritardo. L'esemplare condanna è stata inflitta a causa della inesatta applicazione della direttiva rifiuti nella regione Campania;
   la notizia è stata subito diffusa da numerosi organi di stampa, anche on line;
   il ricorso all'organo di giustizia comunitario era stato presentato il 10 dicembre 2013 (Commissione europea c/ Repubblica italiana); dallo stesso sono scaturite la causa C-653/13 ed infine la sentenza del 16 luglio 2015;
   sono queste le testuali parole riportate nella sentenza «Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
    1) Non avendo adottato tutte le misure necessarie che l'esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115) comporta, la Repubblica italiana ha violato gli obblighi che le incombono in virtù dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE;
    2) La Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una penalità di euro 120.000 per ciascun giorno di ritardo nell'attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115), a partire dalla data della pronuncia della presente sentenza e fino alla completa esecuzione della sentenza Commissione/Italia (C-297/08, EU:C:2010:115);
    3) La Repubblica italiana è condannata a pagare alla Commissione europea, sul conto «Risorse proprie dell'Unione europea», una somma forfettaria di euro 20 milioni;
    4) La Repubblica italiana è condannata alle spese»;
   si è conclusa pertanto la seconda causa della Commissione europea contro Italia in tema di gestione dei rifiuti nella regione Campania. Tale condanna viene irrogata anche per l'annoso e irrisolto problema delle ecoballe. Un nuovo «salasso» a discapito degli ignari ed incolpevoli cittadini italiani sta per arrivare che andrà ad aggiungersi a quello delle discariche abusive per cui, per ora, sono stati già pagati 40 milioni di euro;
   la direttiva «rifiuti» cui fa riferimento il comunicato stampa, nonché la sentenza, è la 2006/12/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2006, relativa ai rifiuti;
   tale direttiva relativa ai rifiuti ha l'obiettivo di proteggere la salute umana e l'ambiente;
   gli Stati membri hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili;
   tali Stati devono creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti;
   la regione Campania, con una legge regionale ha definito 18 zone territoriali omogenee in cui si doveva procedere alla gestione e allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nei rispettivi bacini;
   in seguito ad una situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione Campania nel 2007, la Commissione ha proposto un primo ricorso per inadempimento contro l'Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica. La Commissione riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l'ambiente;
   il primo ricorso, di cui sopra, si è concluso con la sentenza del 4 marzo 2010. All'interno di tale sentenza la Corte ha constatato che l'Italia, non aveva adottato, relativamente alla regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, ha constatato che l'Italia non aveva creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento; il nostro Paese era pertanto venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza della direttiva 2006/12/CE di cui sopra;
   nel controllo dell'esecuzione della detta sentenza 4 marzo 2010, la Commissione è giunta alla conclusione che l'Italia non ha garantito un'attuazione corretta della prima sentenza (sentenza del 4 marzo 2010);
   la Commissione riferisce che tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati più volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania, che si sono conclusi con l'accumulo per diversi giorni di tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli e di altre città della Campania;
   inoltre, in detta regione si è accumulata una grande quantità di rifiuti storici (sei milioni di tonnellate di «ecoballe»), che deve ancora essere smaltita. Per lo smaltimento di tale quantitativo ci sarebbero voluti circa quindici anni;
   inoltre, la Commissione stima che, alla scadenza del termine impartito per l'esecuzione della sentenza (termine fissato al 15 gennaio 2012), le capacità mancanti di trattamento dei rifiuti per categoria di impianti ammontavano a 1.829.000 tonnellate per le discariche, a 1.190.000 tonnellate per gli impianti di termovalorizzazione e a 382.500 tonnellate per gli impianti di trattamento dei rifiuti organici;
   a fronte di tali mancanze persistevano carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania;
   non ritenendo quindi soddisfacente la situazione che si era venuta a creare, la Commissione ha proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l'Italia, chiedendo alla Corte di constatare il mancato rispetto della sua prima sentenza del 2010;
   nella sentenza del 16 luglio 2016 la Corte constata che l'Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e la condanna a pagare una cifra esemplare;
   la Corte convalida gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema dell'eliminazione delle «ecoballe» e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte sottolinea inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato e adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può minare seriamente la capacità dell'Italia di perseguire l'obiettivo dell'autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti;
   in seguito ad una situazione di crisi nello smaltimento dei rifiuti manifestatasi nella regione Campania nel 2007, la Commissione ha proposto un primo ricorso per inadempimento contro l'Italia, imputandole la mancata creazione, in quella regione, di una rete integrata ed adeguata di impianti atta a garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti sulla base del criterio della prossimità geografica. La Commissione riteneva infatti che tale situazione rappresentasse un pericolo per la salute umana e per l'ambiente;
   il primo ricorso, di cui sopra, si è concluso con la sentenza del 4 marzo 2010. All'interno di tale sentenza la Corte ha constatato che l'Italia, non aveva adottato, relativamente alla regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare, ha constatato che l'Italia non aveva creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento; il nostro Paese era pertanto venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza della direttiva 2006/12/CE di cui sopra;
   nel controllo dell'esecuzione della detta sentenza 4 marzo 2010, la Commissione è giunta alla conclusione che l'Italia non ha garantito un'attuazione corretta della prima sentenza (sentenza del 4 marzo 2010);
   la Commissione riferisce che tra il 2010 e il 2011 sono stati segnalati più volte problemi di raccolta dei rifiuti in Campania, che si sono conclusi con l'accumulo per diversi giorni di tonnellate di rifiuti nelle strade di Napoli e di altre città della Campania;
   inoltre, in detta regione si è accumulata una grande quantità di rifiuti storici (sei milioni di tonnellate di «ecoballe»), che deve ancora essere smaltita. Per lo smaltimento di tale quantitativo ci sarebbero voluti circa quindici anni;
   inoltre, la Commissione stima che, alla scadenza del termine impartito per l'esecuzione della sentenza (termine fissato al 15 gennaio 2012), le capacità mancanti di trattamento dei rifiuti per categoria di impianti ammontavano a 1.829.000 tonnellate per le discariche, a 1.190.000 tonnellate per gli impianti di termovalorizzazione e a 382.500 tonnellate per gli impianti di trattamento dei rifiuti organici;
   a fronte di tali mancanze persistevano carenze strutturali in termini di impianti di smaltimento dei rifiuti, indispensabili nella regione Campania;
   non ritenendo quindi soddisfacente la situazione che si era venuta a creare, la Commissione ha proposto un nuovo ricorso per inadempimento contro l'Italia, chiedendo alla Corte di constatare il mancato rispetto della sua prima sentenza del 2010;
   nella sentenza del 16 luglio 2016 la Corte constata che l'Italia non ha correttamente eseguito la sentenza del 2010 e la condanna a pagare una cifra esemplare;
   la Corte convalida gli argomenti della Commissione, in particolare per quanto riguarda il problema dell'eliminazione delle «ecoballe» e il numero insufficiente di impianti aventi la capacità necessaria per il trattamento dei rifiuti urbani nella regione Campania. La Corte sottolinea inoltre che, tenuto conto delle notevoli carenze nella capacità della regione Campania di smaltire i propri rifiuti, è possibile dedurre che una siffatta grave insufficienza a livello regionale può compromettere la rete nazionale di impianti di smaltimento dei rifiuti, la quale cesserà così di presentare il carattere integrato è adeguato richiesto dalla direttiva. Ciò può minare seriamente la capacità dell'Italia di perseguire l'obiettivo dell'autosufficienza nazionale nello smaltimento dei rifiuti;
   la Corte constatata poi che l'inadempimento addebitato all'Italia si è protratto per più di cinque anni, il che costituisce un periodo considerevole;
   per quanto riguarda la penalità giornaliera di euro 120.000, questa è suddivisa in tre parti, ciascuna di un importo giornaliero di euro 40.000, calcolate per categoria di impianti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici);
   quanto alla somma forfettaria di euro 20.000.000, la Corte tiene conto, ai fini del calcolo della stessa, del fatto che un inadempimento dell'Italia in materia di rifiuti è stato constatato in più di 20 cause portate dinanzi alla Corte. Orbene, una simile reiterazione di condotte costituenti infrazione da parte di uno Stato membro in un settore specifico dell'azione dell'Unione può richiedere l'adozione di una misura dissuasiva, come la seconda a al pagamento di una somma forfettaria;
   nessuna iniziativa sembra essere stata intrapresa al fine di risolvere la situazione descritta all'interno del carteggio degli organi di giustizia europea;
   con bando di gara C.I.G. 528187444F – pubblicato in G.U.R.I. 5a serie speciale contratti pubblici n. 114 del 6 ottobre 2014 – la regione Campania ha manifestato la sua intenzione di smaltire le ecoballe attraverso il sistema dell'incenerimento delle stesse, tuttavia, ai sensi del combinato disposto dell'articolo 1 comma 2 e 2-bis del decreto-legge n. 196 del 2010 e del D.P.G.R. n. 55 del 2012, il termine di durata dell'incarico del Commissario straordinario è decorso –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere al fine di evitare l'aggravio economico scaturente dal ritardo nell'attuazione della direttiva di cui in premessa, tenendo in considerazione il fine ultimo della direttiva che è quello di proteggere la salute umana e l'ambiente, precisando quale posizione intenda assumere in relazione alla eventuale proroga delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 196 del 2010. (5-06198)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la prolungata assenza di pioggia sta determinando una condizione di siccità per il fiume Po paragonabile a quella dell'anno 2003;
   il livello del fiume scende inesorabilmente di 5-6 centimetri al giorno;
   il 15 luglio 2015 a Borgoforte il fiume era tre metri e 2 centimetri sotto lo zero idrometrico, la quota normale di riferimento, e nel 2003 toccò il record di –370 centimetri, a Boretto, la quota è sprofondata a –367 centimetri;
   la situazione è grave anche a valle in quanto a Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara la portata del fiume si è ridotta a 424 metri cubi al secondo e sulla scorta di quanto accaduto 12 anni fa è noto che quando la portata scende al di sotto dei 400 metri cubi al secondo allora sorge il problema della risalita del cuneo salino dell'Adriatico;
   la navigazione, è sospesa su tutta l'asta fluviale in quanto i fondali sono a rischio di spiaggiamento e la situazione più critica è nel tratto fra Ostiglia e Caposotto dove vi è solo un metro d'acqua e ben peggiore è la situazione nel Ferrarese dove in tre punti i fondali misurano appena 70 centimetri;
   al momento la centrale termoelettrica di Ostiglia resta in funzione, ma si sta monitorando l'andamento del fiume e stesso discorso vale per i consorzi di bonifica che sono in preallarme;
   la cabina di regia dell'autorità di bacino si è riunita per chiedere aiuto ai consorzi dei bacini montani e dei laghi, in particolare del lago Maggiore e quello di Como, per far scendere più acqua nel fiume;
   nel 2003 intervenne il Governo, attraverso la protezione civile, per obbligare bacini e laghi a rilasciare flussi maggiori;
   particolarmente colpita è l'agricoltura con colture a rischio come ortaggi, frutta, meloni e pomodori, così come sono in grandi difficoltà le coltivazioni di mais necessarie per l'alimentazione degli animali che hanno bisogno di una adeguata irrigazione e per le quali si prospetta un crollo dei raccolti;
   particolarmente critica è la situazione per gli allevamenti e la produzione di latte perché con il caldo le mucche arrivano a bere fino a 140 litri di acqua al giorno contro i 70 dei periodi più freschi ed a causa dello stress producono in media un 15 per cento in meno di latte –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per monitorare con la massima attenzione l'evoluzione dello stato di siccità del più importante fiume italiano e quali misure intenda eventualmente varare per il comparto agricolo e tutti i segmenti di economia territoriale del Po. (5-06184)


   PARENTELA, NESCI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha messo a disposizione un sito web in cui è possibile visualizzare e avere informazioni sulle aree di balneazione, attraverso un monitoraggio delle nostre coste. Per la regione Calabria sono emerse delle criticità soprattutto nel tratto tirrenico della provincia di Cosenza e in quello di Reggio Calabria. Il problema della balneabilità sarebbe collegato, oltre all'inquinamento, anche al malfunzionamento dei depuratori che non permettono sempre una completa rimozione dei contaminati dalle acque reflue, i quali si riversano nei torrenti più vicini per poi sfociare nei nostri mari;
   diciassette campionamenti sui venticinque eseguiti tra il primo ed il quattro luglio scorso lungo le coste della Calabria da Goletta Verde – la storica campagna di Legambiente dedicata al monitoraggio ed all'informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane – presentano una carica batterica elevata, superiore alle soglie stabilite dalla legge. Per 15 di questi punti, principalmente alle foci di fiumi, torrenti e scarichi, il giudizio è di «fortemente inquinato»;
   i campionamenti eseguiti lungo le coste calabresi hanno dato i seguenti risultati:
    sei i prelievi effettuati in provincia di Reggio Calabria, quattro dei quali giudicati «fortemente inquinati»: si tratta dei campionamenti eseguiti alla foce del torrente Menga (località Sabbie bianche) e presso lo sbocco dello scarico vicino al lido comunale entrambi a Reggio Calabria (per quest'ultimo punto va specificato che nonostante il «temporaneo» divieto di balneazione la zona è altamente frequentata da bagnanti); alla spiaggia presso lo scarico sul lungomare Cenide a Villa San Giovanni; alla foce del fiume Mesima a San Ferdinando. Carica batterica entro i limiti quella riscontrata, invece, alla spiaggia di fronte piazza Porto Salvo a Melito Porto San Salvo e alla foce del fiume Petrace a Marina di Gioia Tauro;
    dei cinque prelievi effettuati nel cosentino è risultato nei limiti di legge soltanto quello effettuato alla spiaggia del lido Diamante in località Torricella di Diamante. Fortemente inquinato, invece, il giudizio per i prelievi alla foce del canale sulla spiaggia libera di Villapiana Lido; alla foce del fiume Crati in località Laghi di Sibari a Cassano allo Ionio; alla foce del fiume Parise a Bonifati e alla foce del fiume San Francesco a Paolo;
    quattro i campionamenti nel crotonese, due dei quali fortemente inquinati: alla foce del fiume Esaro, a Crotone, e in prossimità del canale sulla spiaggia a destra del Castello a Isola di Capo Rizzuto. Entro i limiti invece l'altro prelievo a Crotone, sulla spiaggia del lungomare Magna Grecia, e alla foce del fiume Tacina a Steccato di Cutro;
    in provincia di Catanzaro ha dato esito positivo soltanto il campionamento eseguito alla spiaggia di Caminia a Stallettì. Fortemente inquinato, invece, il giudizio per le acque prelevate alla foce del fiume Fiumarella a Catanzaro Lido e alla foce del torrente Zinnavo a Lamezia Terme. Inquinato, invece, quello alla foce del torrente nei pressi del faro di Capo Suvero a Gizzeria;
    sei i prelievi effettuati in provincia di Vibo Valentia. Fortemente inquinati sono stati giudicati quelli compiuti alla foce del torrente Mandricelle, nella frazione Corrorino-Porticello di Joppolo; alla foce della fiumara Ruffa in località La Torre di Ricardi e alla foce del fiume Sant'Anna di Vibo Valentia. Inquinato il giudizio del prelievo agli scogli alla foce del torrente Britto a Marina di Nicotera. Entro i limiti quello alla foce del fiume Angitola, in località Calamaio di Pizzo Calabro. I tecnici di Legambiente – dopo diverse segnalazioni di cittadini attraverso il servizio Sos Goletta – hanno inoltre esaminato un campione d'acqua prelevato presso la spiaggia libera contrada di Riaci a Ricadi, anch'esso entro i limiti di legge. I bagnanti continuano in ogni caso a segnalare chiazze sospette in acqua in determinati orari e per questo si richiede all'amministrazione di effettuare ulteriori controlli per verificare la provenienza di questa criticità;
   dal dossier di Legambiente «La depurazione in Calabria: un contributo per affrontare il problema dello smaltimento dei fanghi» emerge come la regione Calabria abbia una potenzialità di depurazione pari all'81 per cento degli abitanti equivalenti totali, ma analizzando la reale capacità di trattare adeguatamente gli scarichi, il dato si abbassa notevolmente. Infatti, secondo l'Istat (dati al 2012) ad essere trattati in maniera adeguata è il 51,5 per cento del totale del carico generato;
   le succitate criticità sono state evidenziate anche nell'ultima procedura d'infrazione aperta dall'Unione europea nei confronti dell'Italia che comprende anche 130 agglomerati calabresi. Inadeguatezza che è già costata alla regione una condanna da parte della Commissione europea nel 2012 e che secondo i calcoli del Governo, comporterebbe, a partire dal 2016 e fino al completamento degli interventi di adeguamento richiesti, una multa di 38 milioni di euro all'anno. Per far fronte alla prima condanna del 2012 era stato stimato un fabbisogno per questa regione di circa 243 milioni di euro e di questi la delibera CIPE 60/2012 ne stanziava 160 milioni (più altri 83 milioni da altre risorse). Per ora sono state, però, sbloccate opere solo per 104 milioni di euro (8 interventi) e rimangono ferme ancora 10 opere per circa 140 milioni di euro a causa della mancanza di progetti concreti e immediatamente realizzabili a cui destinare i fondi, com’è ammesso dallo stesso Ministero dell'ambiente e dal presidente Oliverio che ha chiesto un «programma di efficientamento e rifunzionalizzazione degli impianti di depurazione nei comuni costieri della Regione Calabria» che riguarderà 100 amministrazioni comunali per 8 milioni di euro di interventi;
   oltre l'adeguamento degli impianti rimane anche il problema del loro sottoutilizzo. Infatti dall'analisi dei dati forniti alla regione Calabria emerge che alcuni impianti risultano utilizzati in maniera molto ridotta. Tra il 2012 e il 2013 gli impianti negli elenchi della regione sono aumentati, passando da 541 a 548; il numero di controlli è diminuito da 289 a 239 così come il numero di impianti controllati, passato dal 35,67 per cento al 26,64 per cento; il numero di controlli risultati conformi è aumentato passando dal 28,37 per cento al 58,58 per cento. Attualmente si nota che su circa 500 depuratori presenti sul territorio calabrese solo il 25 per cento dei comuni trasmette le informazioni sui fanghi di depurazione. Dai dati emerge inoltre che le quantità di fanghi prodotti sono, nella gran parte dei dati disponibili, non congruenti con i dati di letteratura che riportano una produzione di fanghi di circa 2-6 Kg per mc di acqua trattata;
   a quanto sinora asserito si aggiunga la cattiva gestione degli impianti di depurazione e del collettamento. Da notizie a mezzo stampa, infatti, gli interroganti apprendono che grave è soprattutto la presenza, diffusa lungo la costa, di scarichi a cielo aperto o mediante condotte, spesso non segnalate o addirittura volutamente occultate. Se l'apporto inquinante estivo dei corsi d'acqua è scarso, tranne che in occasione di piogge, assumono, invece, una certa importanza l'entità degli scarichi ed i flussi delle condotte, soprattutto se raccolgono le acque di scarico di insediamenti turistici, seconde case ed aree residenziali non collettate;
   non ci vorrà molto prima che il Governo firmi il decreto che porta al commissariamento della regione Calabria nel settore del trattamento delle acque e della depurazione. Al termine del periodo fissato, il Governo attiverà i poteri commissariali sostitutivi previsti dallo «Sblocca Italia» facendo ripiombare la regione Calabria, di nuovo, in una gestione commissariale che dal 1998 al 2008 ha avuto solo esiti fallimentari come evidenziato nella relazione finale dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) in merito alla gestione dei finanziamenti ricevuti dall'Ufficio del commissario delegato nell'ambito del Por Calabria 2000-2006, del 2010: gravi irregolarità amministrative, assoluta mancanza di controlli, appalti in deroga alle leggi violando le prescrizioni sul cofinanziamento dei programmi comunitari, assenza di collaudi, mancanza di relazioni sulla conclusione o sullo stato dei lavori, varianti e aumenti di spesa non giustificati;
   l'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia», prevede: «Al fine di garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici, è istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un apposito Fondo destinato al finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche. Il Fondo è finanziato mediante la revoca delle risorse già stanziate dalla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) 30 aprile 2012, n. 60/2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 dell'11 luglio 2012, destinate ad interventi nel settore idrico per i quali, alla data del 30 settembre 2014, non risultino essere stati ancora assunti atti giuridicamente vincolanti e per i quali, a seguito di specifiche verifiche tecniche effettuate dall'ISPRA, risultino accertati obiettivi impedimenti di carattere tecnico-progettuale o urbanistico ovvero situazioni di inerzia del soggetto attuatore. Per quanto non diversamente previsto dal presente comma, restano ferme le previsioni della stessa delibera del CIPE n. 60/2012 e della delibera del CIPE 30 giugno 2014, n. 21/2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22 settembre 2014, relative al monitoraggio, alla pubblicità, all'assegnazione del codice unico di progetto e, ad esclusione dei termini, alle modalità attuative. I Presidenti delle Regioni o i commissari straordinari comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'elenco degli interventi, di cui al presente comma, entro il 31 ottobre 2014»;
   l'interrogante ha appreso dalla risposta del Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare all'atto di sindacato ispettivo n. 5/05774, presentato in data 10 giugno 2015 dal MoVimento 5 Stelle, che: «sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate, in “entrata di bilancio dello Stato”». Quindi, in sostanza, il fondo attivato dallo «Sblocca Italia» appare bloccato dallo stesso Governo;
   il sopracitato deficit depurativo non risparmia nessuna provincia calabrese e rischia di compromettere la stessa economia turistica –:
   se si intendano assumere iniziative per creare un sistema di coordinamento strutturato che sia fuori dalla logica del commissariamento con un mandato chiaro e limitato nel tempo che porti quanto prima ad attivare una gestione ordinaria delle risorse idriche che risponda a criteri di efficacia, efficienza e garantisca trasparenza nelle procedure di affidamento degli interventi e nell'utilizzo dei fondi a disposizione;
   se si intenda consentire ai comuni interessati, in via del tutto eccezionale, a fronte della situazione emergenziale in termini di tutela della salute, l'allentamento dei vincoli del patto di stabilità al solo fine di attuare il programma di efficientamento e rifunzionalizzazione degli impianti di depurazione nei comuni costieri della regione Calabria, onde evitare che la carenza di risorse impegnabili comprometta l'efficacia dell'azione intrapresa;
   se non ritenga necessario ed urgente, per superare le procedure di infrazione avviate dall'Unione europea, accelerare, per quanto di competenza, la realizzazione degli interventi, piuttosto che revocare le relative risorse per le quali ad ora manca anche un intervento normativo specifico o quantomeno colmare immediatamente la lacuna normativa relativa al Fondo istituito dall'articolo 7 comma 6 del decreto «Sblocca Italia»;
   se non  intenda adoperarsi, per quanto di competenza, affinché venga eseguita una mappatura subacquea completa che permetta di individuare la presenza di condotte non segnalate o addirittura volutamente occultate. (5-06207)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Consorzio Villaggio Capo piccolo, complesso turistico sito in Isola di capo Rizzuto in provincia di Crotone, ha una ricettività di circa 1600 posti letto e occupa al suo attivo direttamente oltre trenta unità di personale dipendente, oltre 15 lavoratori, assunti da società operanti nel villaggio;
   nel corso degli anni, le acque del mare antistanti il villaggio hanno subito un notevole degrado si è arrivati fino all'emissione dell'ordinanza di divieto di balneazione, adottata dal sindaco di Isola di Capo Rizzuto nel 2012 e revocata nel 2013;
   la qualità delle acque è gravemente messa a rischio dalla principale fonte di inquinamento rappresentata dalla foce del torrente Vorga;
   il torrente Vorga, che si alimenta dalle acque del bacino Idrografico di Sant'Anna attraversa un fitto sistema di valloni posti ad ovest dell'abitato di isola Capo Rizzuto;
   l'inquinamento, causato da una insufficiente depurazione e dalla presenza di scarichi abusivi, specialmente di quelli da attività produttiva, sta deturpando pesantemente un ambiente di pregio, interessato anche dalla presenza dell'area marina protetta, con forti ricadute negative sulle prenotazioni turistiche;
   esistono progetti di adeguamento della depurazione non ancora coperti da sufficienti risorse; nelle more è necessario agire sul controllo sul territorio, intensificando le attività dell'Arpacal e dell'Asp nel periodo balneare;
   è comunque necessario trovare le risorse per finanziare gli interventi necessari, anche in aiuto alla stagione turistica che potrebbe subire grave nocumento da questa situazione di disagio;
   in ossequio alla direttiva quadro sulle acque (direttiva 2000/60/CE) le autorità nazionali sono tenute ad adottare tutte le misure per conservare in buono stato i corpi idrici;
   a parere dell'interrogante l'attenzione deve essere massima e deve essere dedicata ad un settore vitale per l'economia locale;
   i fatti esposti richiedono una immediata verifica al fine di salvaguardare la stagione turistica ormai iniziata che rappresenta per la Calabria, e in particolare per quel territorio, una delle più importanti fonti di reddito;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere, anche promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, in relazione alla situazione di criticità in cui versa l'area in questione anche in considerazione della grave ricaduta che potrebbe avere sia in termini di livelli occupazionali che di crescita economica. (4-10035)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   continua la battaglia per scongiurare la realizzazione di un pozzo petrolifero da parte dell'Eni nel comune lucano di Marsico Nuovo, al confine con il territorio del Vallo di Diano;
   la citata compagnia petrolifera ha infatti già da tempo avviato la procedura autorizzativa per iniziare le trivellazioni nel Vallo di Diano, nel cuore dell'Appennino lucano, un territorio ricco di acqua e di risorse paesaggistiche;
   in particolare, il progetto presentato prevede la realizzazione di un pozzo «Pergola 1», situato nel comune di Marsico Nuovo (Potenza) e tre nuove condotte di collegamento di circa 8,3 chilometri di lunghezza per il convogliamento degli idrocarburi estratti all'area di Innesto 3, anche questa di nuova realizzazione, e di qui tramite condotte già esistenti al Centro d'Oli di Val d'Agri;
   secondo quando si apprende dalle fonti di stampa, nei giorni scorsi l'Ente nazionale idrocarburi ha presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare uno studio di impatto ambientale e studio di incidenza relativamente alla messa in produzione del pozzo Pergola 1;
   appena appresa la notizia dell'ulteriore passo avanti nell’iter burocratico da parte di Eni per arrivare alla realizzazione del pozzo petrolifero, la comunità montana Vallo di Diano si è attivata per contestare la valutazione di impatto ambientale presentata dalla società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze e con una delibera approvata all'unanimità dall'assemblea dei sindaci del comprensorio, ha ribadito la sua contrarietà a nuove estrazioni petrolifere in aree poco distanti dal territorio del Vallo di Diano, confermando in tal modo la posizione già espressa dalle singole amministrazioni comunali;
   oltre a manifestare la propria contrarietà, nella relazione firmata dal Professore Franco Ortolani (ordinario di geologia e docente del Master in pianificazione comunale presso la Federico II di Napoli), la comunità montana ha anche voluto evidenziare l'inadeguatezza rispetto ai requisiti di legge della valutazione presentata, senza ovviamente tralasciare la totale incompatibilità dell'intervento proposto con quella che è l'assetto naturale del territorio e la sua specifica vocazione di sviluppo socio-economico, a sua volta basata su una attenta pianificazione e programmazione per il governo del territorio in grado di rispettarne l'equilibrio sia naturalistico che antropologico;
   anche a parere del presidente della comunità montana, Raffaele Accetta: «L'intervento è incompatibile con l'assetto naturale del territorio e la sua specifica vocazione di sviluppo socio-economico, a sua volta basata su una attenta pianificazione e programmazione per il governo del territorio in grado di rispettarne l'equilibrio sia naturalistico che antropologico. L'analisi presentata da Eni spa non tiene in alcun conto dei “costi-benefici” per la collettività derivanti dalla realizzazione del progetto. Manca, infatti, una qualunque valutazione sugli effetti economici derivanti per il settore agricolo o per quello turistico che, al momento, rappresentano i maggiori “traini” di sviluppo economico delle aree interessate dalle attività di estrazione petrolifere. Inoltre, non si tiene debitamente conto di quelle che sono le specificità del territorio dal punto di vista sismico e idrogeologico; l'area interessata dalle perforazioni è nota per la sua elevata sismicità e per la presenza di sorgenti permanenti di grande importanza che potrebbero essere inquinate dall'eventuale dispersione di idrocarburi, con conseguenze non solo sull'ambiente ma anche sugli abitanti»;
   le politiche comunitarie, nazionali e regionali in detto territorio sono state sempre orientate alla valorizzazione del turismo e delle risorse naturali, culturali, agricole ed artigianali, a sostegno, quindi, del cosiddetto sviluppo eco-compatibile;
   ad allarmare i cittadini e le amministrazioni locali sarebbe, in particolar modo, il rischio che la regione, in grave difficoltà economica, possa cedere alla richiesta della compagnia ed esprimersi favorevolmente in relazione al permesso alle esplorazioni;
   nonostante l'attuale Ministro dello sviluppo economico, in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 4-03567 a prima firma del sottoscritto, non abbia rilevato alcun ostacolo alla realizzazione del progetto Eni, appare oltremodo evidente, invece, la necessità di scongiurare questo ennesimo scempio che potrà segnare la definitiva distruzione del territorio interessato e, in particolare, del Vallo di Diano –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano assumere iniziative per sospendere ogni procedura in essere convocando urgentemente un tavolo tecnico a cui siano invitati tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, tenuto conto altresì della volontà chiaramente e fortemente espressa dai rappresentanti istituzionali del Vallo di Diano contro qualsiasi ipotesi di ricerca petrolifera, a salvaguardia dell'interesse primario e collettivo di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini. (4-10044)


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il rischio proveniente dall'esposizione all'amianto è noto al legislatore italiano per esito del regio decreto n. 442 del 1909, cui conseguirono il regolamento di cui al decreto legislativo 6 agosto 1916, n. 1136, e la tabella di cui al regio decreto n. 1720 del 1936;
   il nostro Paese si è distinto per la sua prolungata inadempienza in materia di protezione dall'amianto tanto da costringere le istituzioni europee ad intervenire con la procedura di infrazione n. 240/89, definita con la decisione di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 13 dicembre 1990, che dichiarava che l'Italia era venuta meno agli obblighi derivanti dal Trattato istitutivo della Comunità economica europea, non aver recepito la direttiva 83/477/CEE del 19 settembre 1983 «Sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con una esposizione ad amianto durante il lavoro» entro la scadenza del 1o gennaio 1987;
   la Repubblica italiana, pur ammettendo sostanzialmente di non aver ancora adottato i provvedimenti necessari per l'attuazione della direttiva nel proprio ordinamento, finalmente, dopo qualche anno, recepiva la direttiva con il decreto legislativo n. 277 del 1991, cui fece seguito la legge 27 marzo 1992, n. 257;
   la legge 27 marzo 1992, n.257, in materia di «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», ha stabilito il divieto di estrazione, commercializzazione e produzione di amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, nonché misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori esposti all'amianto;
   particolarmente rilevante è la presenza di amianto a Civitavecchia che, comunque, non era e non è inserita tra i siti di interesse nazionale, malgrado allo stato attuale il comprensorio della città presenti delle criticità ambientali uniche in Italia: la centrale termoelettrica a carbone di Torrevaldaliga Nord, la centrale termoelettrica a ciclo combinato di Torrevaldaliga Sud (tali impianti rendono il territorio il polo energetico più grande del Paese), il primo porto crocieristico del Mediterraneo, una rete di elettrodotti lunga più di 100 chilometri che percorrono in lungo e in largo il territorio comunale, una rete di depositi costieri ultracinquantennali con notevoli inquinamenti da idrocarburi nel sottosuolo che rischiano di interessare la falda acquifera, uno stabilimento industriale (Italcementi) aperto nel 1896 e solo recentemente dismesso senza che si siano completati gli interventi di bonifica, un centro chimico militare che altro non è che una discarica di materiale spesso ad alto rischio;
   con riferimento all'ex stabilimento di Italcementi la scoperta è stata fatta dalla Asl Roma F invitata già nel luglio del 2012, dall'allora sindaco, ad effettuare un sopralluogo all'interno della struttura. L'indagine ha rilevato che sono ben 22 le zone in cui insiste materiale contenente amianto per una superficie di oltre 3 mila metri quadri, 2.500 dei quali costituiscono coperture di 4 capannoni e i restanti comprendono pareti pluviali, serbatoio e coibentazioni di tubazioni;
   si ricorda che lo stabilimento di Italcementi è in stato di dismissione dalla fine del 2009 e che, a seguito di quell'indagine la proprietà si era fatta carico della celere bonifica. Ma, a diverse anni di distanza sembra che non si sia ancora fatto nulla. Tutto ciò nel più totale abbandono e degrado che sembra compromettere, a causa dell'esposizione di tale pericoloso materiale ai normali eventi atmosferici, ancora di più la salute dei cittadini residenti nelle zone limitrofe –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, abbia intenzione di assumere al fine di verificare lo stato di inquinamento ambientale della zona dello stabilimento di Italcementi e delle zone circostanti e preservare, in tal modo, la salute dei cittadini. (4-10050)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   ARLOTTI e BENAMATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, meglio noto come «Destinazione Italia», ha autorizzato lo stanziamento di 500 milioni di euro per la valorizzazione del patrimonio turistico e culturale del nostro Paese in concomitanza con Expo 2015;
   in particolare, l'articolo 13 prevede al comma 24 che per promuovere il coordinamento dell'accoglienza turistica valorizzando aree territoriali di tutto il territorio nazionale sono finanziati progetti che individuino uno o più interventi di valorizzazione e di accoglienza tra loro coordinati: tali progetti possono essere presentati da comuni, da più comuni in collaborazione tra loro o da unioni di comuni con popolazione tra 5.000 e 150.000 abitanti, con una richiesta di finanziamento non inferiore a 1 milione di euro e superiore a 5 milioni di euro e purché in ordine agli interventi previsti, sia assumibile l'impegno finanziario entro il 30 settembre 2015 e ne sia possibile la conclusione entro venti mesi da quest'ultima data;
   il comma successivo prevede che «entro il 31 dicembre 2014, con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, sono disciplinati i criteri per l'utilizzo delle risorse per gli interventi di cui al comma 24 e sono previste le modalità di attuazione dei relativi interventi anche attraverso apposita convenzione con l'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI)»;
   sono state già poste in essere due proroghe, la prima già scaduta il 31 marzo e la seconda in scadenza il prossimo 30 settembre;
   sono state quindi create, in linea con le finalità della norma, aspettative positive nei comuni e nelle unioni di comuni che stanno lavorando attivamente nella predisposizione dei progetti;
   l'ormai avviata EXPO 2015, e il prossimo Giubileo straordinario che inizierà l'8 dicembre e che durerà un anno, rappresentano un'occasione imperdibile per la promozione di borghi, città, comuni medi e piccoli che potranno così concorrere a valorizzare permanentemente il prezioso patrimonio storico-culturale del nostro Paese;
   ad oggi non risulta essere nota l'entità delle risorse a disposizione che consenta di procedere alla pubblicazione del bando per il finanziamento dei progetti –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per consentire la pubblicazione del bando per l'attuazione degli interventi previsti dai comuni singoli o associati. (5-06200)


   RICCIATTI, PAGLIA e FERRARA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il turismo rappresenta per l'Italia una risorsa economica fondamentale, capace di contribuire nel 2103 per il 10,3 per cento al prodotto interno lordo nazionale e per lo 11,6 per cento all'occupazione;
   esiste ormai un consenso diffuso sull'importanza decisiva del fattore ambientale nel determinare la capacità attrattiva di un Paese;
   l'Italia avrebbe, quindi, un forte interesse nel tutelare il proprio territorio, investendo nel riequilibrio di aree compromesse da decenni di sfruttamento e incuria e soprattutto evitando di gravarlo di nuovi carichi inquinanti;
   la strategia energetica nazionale e il decreto-legge cosiddetto «Sblocca Italia» sembrano purtroppo andare in direzione opposta, puntando sulla moltiplicazione della capacità estrattiva nazionale di petrolio e gas in terra e in mare, con tutto ciò che questo comporta in termini di impatto ambientale negativo;
   al 31 dicembre 2013, risultano vigenti sul territorio italiano 115 permessi di ricerca (di cui 94 in terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di coltivazione (di cui 134 in terraferma e 66 in mare). Le regioni con il maggior numero di titoli minerari in terraferma, per la maggior parte inattivi e in attesa di autorizzazioni, sarebbero l'Emilia Romagna (72), la Lombardia (31) e Basilicata (31);
   informazioni più aggiornate sono pubblicate sul sito internet del Ministero dello sviluppo economico, direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, dove si trovano l'elenco delle concessioni di coltivazioni vigenti, la carta dei titoli minerari, la carta degli impianti con relativa selezione in base alla regione, le istanze per il conferimento di concessioni di coltivazione e l'elenco delle società titolari di concessioni di coltivazione;
   ciononostante, non si conosce ad oggi l'attuale mappa delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie, mentre si susseguono in particolare allarmi sulla stampa relativi a nuove concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, anche in aree particolarmente sviluppate sul piano turistico –:
   quale sia la posizione del Ministro interrogato in ordine ai fatti descritti in premessa e quali elementi di dettaglio intenda fornire, per quanto di competenza, sulla attuale mappatura delle concessioni di esplorazione, prospezione e estrazione di idrocarburi, in essere e in richiesta, con particolare riferimento alle società richiedenti o concessionarie, considerate le ricadute negative che ne potrebbero derivare sotto il profilo del rilancio del turismo e se non intenda dare contezza sul sito internet del proprio dicastero delle aree del Paese a vocazione turistica dove sono presenti istanze per il conferimento di nuove concessioni di coltivazione di idrocarburi. (5-06201)


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Promuovi Italia Spa, società controllata al 100 per cento da Enit – Agenzia nazionale del turismo e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, attiva nell'assistenza tecnica alla pubblica amministrazione, è stata costituita nel 2005 per supportare l'occupazione e lo sviluppo dell'industria turistica. Il progetto «Lavoro e Sviluppo» dedicato alla formazione, finanziato con commesse e profitti che ha impiegato circa 300 lavoratori. Il bilancio, fino al 2013, è stato in attivo con una disponibilità pari 9 milioni di euro e un portafoglio commesse pari a 25 milioni;
   irregolarità nella gestione della società hanno però fatto chiudere il bilancio 2013 con un passivo pari a 17 milioni di euro;
   in seguito a tali irregolarità si sono verificati diversi scontri all'interno del consiglio di amministrazione che hanno portato allo svolgimento di alcune indagini, a partire dal novembre 2013;
   preso atto della situazione, è stata disposta la liquidazione della società Promuovi Italia Spa ex articolo 16 del decreto-legge del 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106;
   in data 10 ottobre 2014, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha emanato un decreto concernente l'istituzione di una Commissione di indagine amministrativa al fine di revisionare tutti gli atti e i provvedimenti adottati durante la gestione del dottor Rocca e consentire al meglio una organica ricostruzione degli atti amministrativi emanati e gli effetti giuridici derivanti, per tutelare l'amministrazione, con specifico riferimento alle, attività svolte dalla direzione generale per le politiche del turismo con gli enti direttamente o indirettamente vigilati tra cui Promuovi Italia Spa;
   il compito della Commissione, come specificato, all'articolo 1 del decreto ministeriale 10 ottobre 2014, è quello di ricostruire i passaggi amministrativi e verificare la regolarità dell'azione dell'amministrazione – direzione generale delle politiche del turismo – nei settori di pertinenza e proporre ad essa eventuali azioni di autotutela;
   durante l'audizione del 7 aprile 2015, presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati, il Ministro Dario Franceschini, in merito ai lavori della Commissione, ha affermato che essa avrebbe dovuto fornire una relazione interna entro il 30 aprile 2015, ma ad oggi i contenuti della relazione non sono ancora stati resi noti;
   in un articolo del giornalista Di Corinto dell'8 giugno 2015, pubblicato dalla rivista Wired.it, viene riportata la notizia di nuove evoluzioni interne della società Promuovi Italia Spa secondo cui la Società avrebbe ricevuto l'atto giudiziario di sfratto dalla sede dove opera dovendo altresì risarcire centinaia di migliaia di euro agli ex dipendenti;
   la società Promuovi Italia Spa avrebbe poi presentato domanda di concordato preventivo che, se ammesso dal tribunale, comporterebbe come conseguenza un pregiudizio per i creditori, tra i quali i dipendenti della società stessa, con rischio per il soddisfacimento integrale dei propri diritti di credito;
   il dottor Roberto Rocca, in merito alle vicende descritte, ha trasmesso il 22 giugno scorso una lettera alle Commissioni attività produttive di Camera e Senato nella quale afferma, tra le altre cose, di aver operato anche merito alle vicende di Promuovi Italia Spa sempre in piena condivisione con il Segretario generale, il Capo di gabinetto e il Sottosegretario delegato per il turismo e di aver presentato altre 4 querele-denunce ampiamente documentate avverso la campagna diffamatoria a mezzo stampa nei suoi confronti;
   da un articolo pubblicato il 3 luglio scorso sul Il Sole 24 Ore si apprende che il tribunale di Roma, ha dichiarato il fallimento della società Promuovi Italia Spa e che la Commissione ad hoc istituita il 10 ottobre 2015 ha concluso gli accertamenti interni, il cui esito è stato confermato dai giudici;
   il 15 luglio la Commissione attività produttive ha dato al Governo parere favorevole sulla nomina di Evelina Christillin alla Presidenza dell'Enit, professionista già Presidente della fondazione Museo Egizio e del Teatro Stabile di Torino –:
   se i fatti di cui in premessa trovino riscontro e, nell'eventualità positiva, in quali tempi intenda fornire informazioni, a partire dalle risultanze emerse dell'indagine amministrativa promossa con il decreto ministeriale 10 ottobre 2014, sullo stato dell'arte delle procedure di messa in liquidazione di Promuovi Italia Spa anche per garantire la migliore tutela ai creditori e soprattutto ai lavoratori coinvolti ed in attesa di risarcimento a seguito della dichiarazione di fallimento della società da parte del tribunale di Roma. (5-06202)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELLEGRINO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di Terna s.p.a in qualità di gestore della Rete elettrica di trasmissione nazionale, denominato «Elettrodotto a 380 kv in doppia terna s.e. Udine ovest – s.e. Redipuglia», è un progetto di un elettrodotto della lunghezza di circa 39 chilometri, con tralicci dell'altezza fino a 61 metri che ha avviato il suo iter autorizzativo nel 2003, con l'inserimento nel piano di sviluppo della Rete di trasmissione nazionale approvato dal Governo, e si era concluso il 12 marzo 2013, dopo il parere favorevole della Commissione VIA nazionale, con il decreto autorizzativo del Ministero dello sviluppo economico;
   il Tar del Lazio aveva «bocciato» il ricorso di sette comuni del Basso e Medio Friuli, che chiedevano la sospensione dei lavori, e di comitati e privati cittadini che avevano sostenuto quale alternativa l'interramento dei cavidotti, per eliminare la deformazione del paesaggio e garantire l'equilibrio ambientale;
   l'impugnazione riguardava la pronuncia di compatibilità ambientale – a seguito di procedimento promosso a domanda di Terna s.p.a. del 22 gennaio 2009, con conferenza di servizi – dell'opera (decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, del 21 luglio 2011);
   la sopraintendenza aveva a suo tempo richiesto l'interramento di parte dell'elettrodotto, per l'impatto negativo, causato anche dall'esbosco di specie arboree significative per l'assetto naturalistico ed ecologico, dei mastodontici tralicci e dei cavi sull'ambiente sottoposto a tutela, e cioè su corridoi fluviali di elevato valore paesaggistico del torrente Comor, del fiume Torre, del fiume Isonzo nonché della Roggia di Udine e della Roggia Mille acque e sulla matrice agricola del paesaggio. Successivamente il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo diede invece parere favorevole vista «l'impossibilità di realizzare l'elettrodotto in cavo, (sotterraneo) nelle zone sottoposte a tutela paesaggistica, come chiarito dalla società Terna s.p.a.»;
   il 23 luglio 2015, il Consiglio di Stato accogliendo il ricorso dei comuni e dei cittadini contro la sentenza favorevole a Terna, ha stabilito, con una fondamentale sentenza, che l'intero procedimento che ha portato all'approvazione definitiva del progetto è viziato perché il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha effettuato illegittimamente un bilanciamento di interessi che non gli compete e non ha esercitato la funzione di tutela del paesaggio di cui è per legge titolare e che noti può venir meno in un procedimento semplificato seppur attinente un settore di particolare rilevanza come quello dell'energia;
   Terna s.p.a. ha comunque avviato i lavori di installazione dei piloni dell'elettrodotto ad aprile 2015 e l'operazione è ormai pressoché conclusa;
   oggi, a seguito della pronuncia del Consiglio di Stato, Terna s.p.a. minaccia lo «stop» lavorativo per 50 imprese e 150 lavoratori, preannunciando addirittura possibili black out elettrici e aumenti delle tariffe, mentre si paventano insufficienti forniture elettriche per l'industria manifatturiera friulana, il rischio dell'utilizzo di linee elettriche obsolete e le conseguenze negative complessive per l'economia regionale;
   come ritenuto dalla sezione VI del Consiglio di Stato del 09 giugno 2014, «la tutela dell'ambiente, preordinata alla salvaguardia dell’habitat nel quale l'uomo vive, è imposta da precetti costituzionali ed assurge a valore primario ed assoluto, con la conseguenza che il diritto all'ambiente, quale espressione della personalità individuale e sociale, costituisce un limite ai principi d'iniziativa privata previsti dagli articoli 41 e 42 della Costituzione»;
   lo stesso piano energetico regionale (Per) del Friuli Venezia Giulia, che ha avviato la sua fase di consultazione pubblica, si riferisce prioritariamente al principio europeo dello sviluppo sostenibile ed alla tutela del patrimonio ambientale e storico culturale –:
   se intenda attivarsi, per quanto di competenza e nel rispetto delle sopraindicate sentenze del Consiglio di Stato, affinché nella valutazione degli elettrodotti sia privilegiata la modalità dell'interramento dei cavidotti, tecnologia oggi disponibile con standard di altissimo livello e altrettanto rilevanti risultati sulla riduzione degli impatti nei territori, dando piena attuazione alla tutela di rango costituzionale dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico della Nazione e della salute dei cittadini. (5-06185)


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le tombe dei Giganti di Mont'e Prama sono state sfregiate a colpi di ruspa provocando un grave danneggiamento del sito archeologico di straordinaria rilevanza per la storia millenaria della civiltà prenuragica e nuragica della Sardegna;
   l'interrogante in tal senso ha formalizzato una segnalazione alla procura e ha chiesto e ottenuto un immediato sopralluogo e rilievo dei danni da parte dei carabinieri della locale compagnia e il giorno successivo del nucleo di tutela dei beni archeologici;
   si tratta di un grande e gravissimo sfregio ai Giganti di Monte Prama;
   la ruspa delle coop di Reggio Emilia incaricate dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che operano in quell'area hanno sfregiato e spaccato per sempre le tombe dell'area archeologica più importante del Mediterraneo;
   dopo lavoro e le cure degli archeologici sardi delle università di Cagliari e Sassari sono arrivate le ruspe degli appalti di Stato;
   ruspe utilizzate per effettuare scavi archeologici delicatissimi;
   si tratta di uno scandalo senza precedenti;
   rilievi fotografici costituiscono la prova di come eloquenti segni di ruspa abbiano sfregiato per sempre le tombe di Monti Prama;
   si è operato a colpi di ruspa dentro un sito archeologico;
   si tratta di un disastro ancor più grave proprio perché si stava operando in un sito noto e già rilevato;
   solo negligenza, trascuratezza, superficialità potevano provocare, ad avviso dell'interrogante, un danno così rilevante;
   solo con questo tipo di gravissima conduzione del cantiere si spiega la cacciata degli archeologi sardi e dell'università;
   di fatto sono stati messi da parte perizia e amore per passare allo sfregio della civiltà nuragica;
   i rilievi fotografici e la documentazione raccolta dai carabinieri sono inconfutabili;
   sono state spaccate le lastre in pietra per la copertura delle tombe;
   sono state sfregiate a colpi di benna in tutti i punti di maggior esposizione;
   si tratta di un vero e proprio atto di aggressione al patrimonio archeologico;
   i rilievi nel sito da parte del comando dei carabinieri mostrano evidentissimi sfregi di ruspa sulle tombe di Monti Prama;
   il comandante ha comunicato l'immediata segnalazione alla procura dei danneggiamenti e l'intervento del Nucleo dei beni archeologici già per domani mattina sui sito;
   è fin troppo evidente che si tratta di uno sfregio gravissimo alla civiltà nuragica della Sardegna;
   altrove vi sarebbero conseguenze politiche rilevanti, non escluse le dimissioni del Ministro;
   gli organi responsabili del Ministero manifestano scarsa attenzione istituzionale e poco rispetto verso i beni archeologici;
   la sottosegretaria Barracciu ha dichiarato che non c’è stato nessun danno, mentre il direttore scientifico Usai ha parlato di qualche graffio;
   in realtà in nessun altra parte del mondo si è vista una ruspa agire all'interno di un sito archeologico della delicatezza di quello di Mont'e Prama con quella furia devastatrice che ha segnato per sempre quei ritrovamenti;
   si è trattato ancora una volta di atti di cui sono responsabili personaggi che, ad avviso dell'interrogante, schiacciano e umiliano la storia della Sardegna;
   nessuno può negare l'evidenza: le lastre tombali sono state gravemente colpite e sfregiate dall'uso di mezzi meccanici –:
   se non ritenga dinanzi all'evidenza dei gravi danni di individuare i responsabili e sollevarli dai rispettivi incarichi;
   se non ritenga di dover vietare l'uso di mezzi meccanici in tali siti archeologici;
   se non ritenga di dover revocare l'affidamento dei lavori ai soggetti risultati affidatari;
   se non ritenga di dover immediatamente affidare tali lavori alle università di Cagliari e Sassari per riprendere il percorso proficuo di scavi avviato nei mesi scorsi e interrotto da questa scandalosa gestione del sito;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover inoltrare una segnalazione formale alle relative procure perché facciano emergere tutta la verità nonostante i tentativi di chi vorrebbe negare l'evidenza;
   se in via subordinata non intenda come organo politico assumersi in toto la responsabilità dell'evento trarne le doverose conseguenze. (5-06203)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a causa di un'assemblea dei sindacati Fp Cisl, Filp e Unsa, riunita alle 9 del 24 luglio 2015, i cancelli del parco archeologico di Pompei sono rimasti chiusi arrecando disagi gravissimi alle centinaia di turisti che, non avvisati preventivamente delle intenzioni delle organizzazioni sindacali, si erano presentati ai varchi di accesso di detta area archeologica;
   medesimi disagi sono stati arrecati ai tour operator che quotidianamente raggiungono Pompei per condurvi i turisti che vogliono visitare l'area archeologica;
   a giudizio dell'interrogante si tratta di una chiusura che ha arrecato non solo enormi disagi ai turisti in attesa ai varchi di ingresso, ma anche danni incalcolabili all'immagine dell'Italia;
   a giudizio dell'interrogante, il nostro Paese dovrebbe valorizzare al massimo l'enorme patrimonio storico, artistico e culturale di cui è dotato e, invece, si ha l'impressione che qualcuno lavori per allontanare i turisti non per attrarli;
   al Governo e al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo va riconosciuto di aver fatto fin qui un ottimo lavoro sul versante della valorizzazione dei beni culturali, storici e ambientali favorendo l'afflusso di turisti nel nostro Paese;
   quanto accaduto a Pompei non può essere tollerato e vanno adottati tutti i provvedimenti necessari a scongiurare altre chiusure improvvise;
   Pompei è patrimonio non solo dell'Italia ma del mondo intero –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per evitare che in futuro si possano verificare altre chiusure improvvise del sito archeologico di Pompei e di tutti i siti di interesse storico e culturale che attraggono migliaia di visitatori da ogni parte del mondo. (4-10047)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   lo schema del decreto interministeriale concernente le modalità di utilizzo dei contributi pluriennali relativi al programma navale per la tutela della capacità marittima della Difesa (atto del Governo n. 128) disciplina le modalità di utilizzo dei contributi pluriennali autorizzati dall'articolo 1, comma 37, della legge di stabilità per il 2014, per l'importo complessivo di euro 5.427.908.654;
   l'articolo 7 del citato atto del Governo n. 128 stabilisce che, qualora le risorse dei contributi pluriennali, a seguito di rimodulazione, siano inserite nel bilancio tra le spese distribuite su più anni, potranno essere utilizzate secondo le ordinarie procedure di spesa;
   a seguito dell'avvenuta rimodulazione delle risorse stanziate per i contributi, risulta attualmente possibile finanziare il programma navale in modo diretto, evitando il ricorso agli istituti finanziari e il conseguente impegno delle somme inizialmente preventivate per gli oneri di finanziamento (originariamente stimate in euro 1.598.908.654) che si rendono quindi disponibili per altri utilizzi;
   il costo di realizzazione dei singoli programmi risulta complessivamente pari a euro 3.829.000.000 (atto del Governo n. 128, articolo 2, comma 1, e allegato);
   il costo di realizzazione del programma di acquisizione di n. 1 unità anfibia multiruolo (LHD) per la proiezione di assetti operativi ad elevata prontezza, militari e umanitari, per il concorso della difesa ad attività di soccorso umanitario in occasione di eventi straordinari/calamità naturali, con spiccati requisiti di standardizzazione e interoperabilità nell'ambito della politica di difesa comune europea, in particolare per le capacità di imbarco, trasporto, rilascio, impiego e supporto di mezzi anfibi e aerei, è pari a euro 844.000.000 (atto del Governo 128, articolo 2, comma 1, e allegato);
   l'articolo 2, comma 2, dello schema di decreto di cui al citato atto del Governo 128 recita: «Ai sensi e per gli effetti dell'articolo 4, comma I 77-bis, della richiamata legge n. 350 del 2003, i soggetti ai quali sarà affidata la realizzazione dei programmi sopra indicati, sono autorizzati ad utilizzare i contributi pluriennali per la realizzazione dei suddetti programmi nella misura, nelle tempistiche e per gli importi che saranno agli stessi assegnati sulla base dei piani delle erogazioni indicati nell'allegato 1 al presente decreto, correlati agli stati di avanzamento dei lavori e quantificati includendo nel costo di realizzazione anche gli oneri di finanziamento»;
   il parere favorevole allo schema di decreto interministeriale di cui al citato atto del Governo 128 espresso dalla IV Commissione Difesa della Camera dei deputati in data 20 gennaio 2015 è stato subordinato alle seguenti condizioni:
    1) venga rideterminato l'ammontare dei contributi pluriennali indicati all'articolo 1, in conformità con la rimodulazione delle risorse disposta dalla tabella E della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015);
    2) le risorse stanziate per gli oneri di finanziamento non più necessarie per tale finalità, siano destinate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica oppure, ove necessario e, in ogni caso, informandone le competenti Commissioni parlamentari, siano utilizzate per l'implementazione del Programma pluriennale navale per la tutela della capacità marittima della Difesa A/R n. SMD 01/2014. In tale ultima ipotesi, all'articolo 7, dopo il comma 1, sia inserito il seguente: «2. Le risorse stanziate per gli oneri di finanziamento, non più necessarie per tale finalità, sono utilizzate per l'implementazione del Programma pluriennale navale per la tutela della capacità marittima della Difesa A/R n. SMD 01/2014, esclusivamente ai fini dell'acquisto, nel limite delle risorse effettivamente disponibili, delle costruzioni navali previste dal citato programma, ivi inclusi i quattro pattugliatori di altura opzionali.»;
    3) il testo definitivo del decreto, una volta adottato, sia trasmesso alle Commissioni parlamentari competenti;
    4) il Governo renda noti al Parlamento i soggetti che risulteranno affidatari della realizzazione dei singoli programmi di cui allo schema in esame, unitamente ai criteri adottati per la loro individuazione;
    5) il Governo garantisca che gli effetti positivi, in termini di occupazione e di sviluppo industriale, derivanti dalla realizzazione del programma riguardino le imprese operanti nella cantieristica nazionale;
   il 1o luglio 2015 Fincantieri e Finmeccanica hanno annunciato, in un comunicato congiunto, di aver ricevuto un contratto per la costruzione e l'equipaggiamento di un'unità anfibia multiruolo (LHD), prevista nell'ambito del piano di rinnovamento della flotta della Marina militare, la cui consegna è prevista per il 2022;
   il contratto è stato stipulato con il raggruppamento temporaneo di impresa (RTI), costituito tra Fincantieri, in qualità di mandataria, e Finmeccanica, attraverso Selex ES, in qualità di mandante, ed è stato firmato per il Ministero della difesa dalla direzione degli armamenti navali (NAVARM) del segretariato generale della Difesa;
   il valore del suddetto contratto è pari a euro 1.126.000.000, di cui la quota assegnata a Fincantieri è pari a circa euro 853.000.000, mentre la quota assegnata a Finmeccanica ammonta a circa euro 273.000.000;
   complessivamente il valore del contratto eccede di euro 282.000.000 gli stanziamenti previsti per la LHD dall'atto del Governo 128;
   secondo quanto riportato nel comunicato ufficiale di Fincantieri e Finmeccanica, la nuova LHD avrà una lunghezza di circa 200 metri e sarà dotata di ponte continuo scoperto;
   la portaerei Cavour misura 244 metri, è dotata di un ponte continuo di 220 metri che comprende una pista di volo di 180 metri atta al decollo e all'appontaggio di aerei tipo AV-8B e F-35B;
   la nuova LHD sarà dotata di ampie aree di imbarco carico, suddivise tra hangar-garage e bacino-garage, per circa 4.500 metriquadri complessivi, sarà in grado di trasportare 4 mezzi da sbarco tipo LCM e disporrà di un'area ospedaliera in grado di ospitare 28 degenti;
   le moderne LHD francesi classe Mistral misurano circa 199 metri, dispongono di 5.335 metriquadri di aree di imbarco carico comprendenti un hangar di 1.800 metriquadri, un garage di 2.650 metriquadri e un bacino allagabile di 885 metriquadri, sono in grado di trasportare quattro mezzi da sbarco tipo LCM o due LCAT e dispongono di un'area ospedaliera capace di ospitare 69 degenti;
   nonostante le dimensioni maggiori la nuova LHD della Marina appare destinata ad avere capacità anfibie e di soccorso umanitario inferiori rispetto alle LHD francesi classe Mistral, il cui costo unitario complessivo ammonta a circa euro 600.000.000;
   il parere favorevole sullo schema di decreto di cui all'atto del Governo 116 (Programma pluriennale di A/R n. SMD 01/2014, relativo al «Programma Navale per la tutela della capacità marittima della Difesa») espresso dalla Commissione Difesa della Camera dei deputati il 4 dicembre 2014, è stato subordinato alla condizione che il Governo trasmettesse alla Commissione, non appena disponibili, i contenuti essenziali degli accordi negoziali tra il Ministero della difesa e le imprese assegnatarie dei programmi oggetto del parere parlamentare, comprensivi delle eventuali varianti apportabili in corso d'opera e delle eventuali penali, nonché i relativi capitolati tecnici, corredati dei costi unitari previsti e dei tempi di consegna –:
   se i maggiori oneri relativi all'acquisizione della LHD siano dovuti a un mutamento del requisito di programma rispetto a quanto finora illustrato alle Camere e descritto nell'allegato 3 dell'atto del Governo n. 116 e, in particolare, se la nuova unità navale sarà dotata di sistemi e infrastrutture atti a consentire l'impiego di velivoli ad ala fissa. (5-06174)


   DURANTI, SCOTTO, MARCON, COSTANTINO, MELILLA, NICCHI, PANNARALE, FRANCO BORDO, ZACCAGNINI, SANNICANDRO, PIRAS e RICCIATTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 185 del 9 luglio 1990, successivamente modificata dalla legge n. 148 del 17 giugno 2003, si sono introdotte norme sul controllo della esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento;
   nello specifico, si prevede il divieto di esportazione di armamenti verso: Paesi in stato di conflitto armato; Paesi la cui politica sia in contrasto con l'articolo 11 della Costituzione, Paesi sotto embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte dell'ONU o dell'Unione europea; Paesi con accertate gravi violazioni delle Convenzioni sui diritti umani;
   all'articolo 5 della citata legge si prevede come strumento di indirizzo e di controllo una relazione annuale con cui il Presidente del Consiglio dei ministri riferisce al Parlamento circa le operazioni autorizzate e svolte nell'anno precedente;
   la relazione annuale ha permesso, in particolar modo nei primi anni dalla entrata in vigore della legge n. 185 del 1990, una sensibile diminuzione dell’export delle armi verso Paesi con situazioni problematiche o in aperto conflitto;
   tale positivo trend ha subito una involuzione negli ultimi anni. Nel quinquennio 2004/2009 infatti è stata l'Unione europea ad essere l'area di maggior vendita delle armi italiane, mentre nel quinquennio successivo il traffico di export ha visto interessato principalmente Medio Oriente e Paesi del Nord Africa, cioè regioni ad alto asso di instabilità, come si evince in maniera dettagliata dai dossier di studio e ricerca presentati dalla «Rete italiana disarmo» e dall’«Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa» (O.P.A.L.);
   l'involuzione del trend di cui al paragrafo precedente dipende anche e soprattutto dalla qualità delle relazioni che vengono trasmesse al Parlamento, divenute negli anni, a giudizio degli interroganti, molto meno trasparenti e caratterizzate da una minore fruibilità dei dati. Condizioni queste che a giudizio degli interroganti hanno compromesso il pieno controllo da parte del Parlamento;
   nel febbraio del 2013 il Governo italiano, con l'allora Ministro della difesa Giampaolo Di Paola, ha donato all'esercito libico venti «autoblindo Puma» (compresi di addestramento degli equipaggi e scorta di pezzi di ricambio) prodotti dalla Iveco, come contributo alla rinascita di un apparato statale dopo la caduta di Gheddafi;
   a quanto si apprende da una inchiesta pubblicata sul sito on-line de L'Espresso in data 15 luglio 2015, dall'inizio del 2014 ed in seguito alla esplosione della nuova guerra civile i sopra citati blindati italiani sono stati impiegati dalle brigate che sostengono l'autorità di Tripoli, espressione di partiti fondamentalisti legati ai «Fratelli Musulmani», gli unici al momento che si rifiutano di firmare l'accordo di pace raggiunto grazie all'intervento di Bemardino Leon;
   inoltre, sempre a quanto si apprende dalla inchiesta de L'Espresso, gli autoblindati Puma sarebbero stati modificati con installazione di «lanciatori trinati per missili antiaerei russi Kub», gli stessi che un anno fa si ritiene abbiano abbattuto il Boeing malese sul cielo ucraino, causando 298 vittime –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa, e se non intenda rendere – eventualmente nella parte di propria competenza della relazione di cui alla legge n. 185 citata – informazioni più dettagliate, fruibili e trasparenti consentendo, quindi, un controllo del Parlamento più stringente, nel pieno rispetto della legge n. 185 del 1990. (5-06175)


   RIZZO, BASILIO, FRUSONE, CORDA, PAOLO BERNINI e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza del tribunale civile di Roma, n. 19437/10, veniva condannato il Ministero della difesa in solido con il Ministero dell'economia e delle finanze a risarcire la famiglia del caporal maggiore dell'Esercito in congedo A.D. deceduto a causa della sua esposizione all'uranio impoverito contenuto nei munizionamenti, durante la missione di pace in Kosovo cui ha partecipato tra il 27 novembre del 1997 e il 7 maggio del 1998; il militare è deceduto per una forma fulminante di leucemia nel 2007;
   il 20 maggio 2015, come si apprende da fonti giornalistiche, la prima pronuncia della corte d'appello di Roma, sui casi dei decessi legati all'uso dell'uranio impoverito in Kosovo ha confermato la condanna ai danni dello Stato, che dovrà risarcire euro 1.300.000 ai familiari del militare deceduto;
   la decisione della prima sezione civile della corte d'appello di Roma conferma «in termini di inequivoca certezza», «il nesso di causalità tra l'esposizione alle polveri di uranio impoverito e la patologia tumorale»;
   viene ulteriormente confermata, dalla sentenza di condanna ai danni del Ministero della difesa, la condotta dei vertici delle Forze armate per aver omesso di informare i soldati «circa lo specifico fattore di rischio connesso dall'esposizione all'uranio impoverito»;
   sono centinaia le vittime, nelle Forze armate italiane, derivanti dall'esposizione all'uranio impoverito in scenari di missioni internazionali di pace; sono tutte vittime che attendono di essere risarcite, come sancito dalla corte d'appello di Roma nel caso del caporal maggiore dell'Esercito A.D. –:
   per quali ragioni il Ministero non abbia ancora ottemperato alla sentenza di condanna al pagamento delle somme stabilite dall'autorità giudiziaria e quante siano le sentenze analoghe in esecuzione che non sono ancora state liquidate dal Ministero della difesa. (5-06176)


   VITO e PALMIZIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   è stato recentemente avviato il riordino delle carriere delle forze di polizia a ordinamento civile;
   in passato il tema del riordino delle carriere delle forze di polizia a ordinamento civile è stato affrontato congiuntamente al tema del riordino delle carriere delle Forze armate;
   è necessario corrispondere alle giuste esigenze ed aspettative di riordino delle carriere sia del personale delle forze di polizia che del personale delle Forze armate, colpito in questi anni dal blocco degli stipendi e delle risorse –:
   quali iniziative, anche normative, il Governo intenda assumere per assicurare in modo unitario il riordino delle carriere di tutto il personale del comparto sicurezza e difesa, evitando così di creare ulteriori differenziazioni di trattamento tra il personale del medesimo comparto. (5-06177)

Interrogazione a risposta scritta:


   LACQUANITI, SCANU, SBERNA e DURANTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto Luigi Olivari sito nel comune di Ghedi in provincia di Brescia è un aeroporto militare utilizzato dal 6o Stormo dell'Aeronautica militare con il 102o gruppo (Papero incazzato), il 154o gruppo (Diavoli Rossi) e il 156o Gruppo (Le linci) equipaggiati con Tornado IDS;
   numerose indagini giornalistiche sostengono che, secondo il programma NATO di condivisione nucleare, nell'aeroporto «Luigi Olivari» Ghedi siano conservate 40 bombe atomiche a fissione nucleare B61-4 di potenza variabile tra 45 e 107 chilotoni;
   la notizia della presenza di suddetti ordigni atomici presso la base di Ghedi, per motivi di segretezza, ufficialmente non è mai stata né smentita né confermata dalla autorità militari italiane;
   secondo fonti giornalistiche statunitensi, riprese da quotidiani italiani, basandosi anche sui dati contenuti nel bilancio 2015 della US Air Force, la NATO sta sviluppando un più potente modello di bomba atomica, B61-12, per sostituire le attuali bombe B61-4 presenti in Europa e ormai prossime alla dismissione per vetustà;
   il primo test in volo della bomba B61-12 sarebbe avvenuto all'inizio del mese di luglio e il processo di integrazione della stessa con i Tornado F-16 in dotazione alla US Airforce e alla NATO dovrebbe concludersi tra il 2017 e il 2018;
   la sostituzione delle bombe presenti nella base di Ghedi, invece, sarebbe prevista tra il 2020 e il 2025, quando dovrebbe essere conclusa l'integrazione tra le moderne bombe B61-12 e i Panavia PA-200 Tornado in dotazione all'Aeronautica italiana, in particolare il modello Tornado IDS presente nell'aeroporto «Luigi Olivari»;
   l'articolo 11 della Costituzione recita «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo»;
   le testate atomiche che sprigionano una enorme quantità di energia risultano inequivocabilmente delle armi di distruzione di massa, quindi puro «strumento di offesa» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intendano intraprendere per rispettare il dettato costituzionale di cui all'articolo 11, e per garantire la sicurezza e la salute dei cittadini residenti in prossimità della base «Luigi Olivari». (4-10032)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   appare quanto mai necessario definire una normativa che sancisca uno stop alla pubblicità del gioco d'azzardo, che nel suo proliferare senza limiti, diventa uno strumento di perversa attrazione per persone che non sanno difendersi e vivono nella aspettativa di una utopia che potrebbe renderli ricchi con un semplice colpo di fortuna, che non richiede abilità di nessun tipo;
   nel frattempo nelle città, sulle riviste, in televisione, su internet, dilaga la pubblicità dei luoghi dove si gioca con VLT a AWP e si divulga la possibilità di ottenere vincite «facili facili»; in modo ancor più capillare si diffonde la pubblicità dei cosiddetti grattini e del gioco on line;
   si tratta di una pubblicità sempre più illusoria e aggressiva, come l'ultima, che considerando il tempo di vacanza che si sta vivendo, ha un nome particolarmente accattivante: «La valigia fortunata mobile»;
   si tratta di una interfaccia di gioco denominata «La valigia fortunata mobile», associata alla lotteria istantanea con partecipazione a distanza denominata «Segui la fortuna». Lo rende noto l'Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   l'interfaccia di gioco «La valigia fortunata mobile» è accessibile mediante l'utilizzo di apposita applicazione software, da scaricare sul proprio apparato mobile dotato di funzione «touch screen», se compatibile con questa applicazione;
   il controllo della pubblicità per quanto riguarda i gratta e vinci è davvero irrilevante e Lottomatica, ora IGT, non sembra porre limiti alla loro diffusione multitasking –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento al «blocco» della pubblicità in un momento in cui si assiste alla sua assurda proliferazione. (3-01652)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha prorogato al 31 dicembre 2015 le detrazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, compresi gli interventi sulle parti comuni e su tutte le unità immobiliari di cui si compone il singolo condominio;
   il sito dell'Agenzia delle entrate ben illustra tutti gli adempimenti utili e necessari all'ottenimento della detrazione, specificando che l'agevolazione fiscale consiste in detrazioni Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche) o Ires (Imposta sul reddito delle società) ed è concessa quando si eseguono interventi che aumentano il livello di efficienza energetica degli edifici esistenti;
   la detrazione, che è pari al 65 per cento per i costi documentati e sostenuti dal contribuente dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2015, è riconosciuta per le spese affrontate per: la riduzione del fabbisogno energetico per il riscaldamento, il miglioramento termico dell'edificio (coibentazioni pavimenti – finestre comprensive di infissi), l'installazione di pannelli solari, la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale e deve essere ripartita in dieci rate annuali di pari importo;
   il limite massimo di risparmio ottenibile con la detrazione (euro 100.000, euro 60.000 e euro 30.000, a seconda del tipo di intervento) va riferito all'unità immobiliare oggetto dell'intervento stesso;
   possono usufruire della detrazione tutti i contribuenti residenti e non residenti, anche se titolari di reddito d'impresa, che possiedono, a qualsiasi titolo, l'immobile oggetto di intervento; in particolare, sono ammessi all'agevolazione: le persone fisiche, compresi gli esercenti arti e professioni, i contribuenti che conseguono reddito d'impresa (persone fisiche, società di persone, società di capitali), le associazioni tra professionisti e gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale;
   nulla viene invece indicato dagli uffici dell'Agenzia delle entrate circa il luogo di approvvigionamento dei materiali utili agli interventi di riqualificazione energetica consentendo di fatto l'acquisto anche presso aziende situate in altri Stati dell'Unione europea, nella fattispecie nei Paesi confinanti quali Austria, Slovenia, Francia –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, anche normative, intenda porre in essere al fine di ridurre il fenomeno descritto, a tutela delle aziende italiane, normative chiaramente che l'ottenimento della detrazione fiscale è subordinato all'acquisto esclusivo, presso aziende con sede sul territorio italiano, di materiali volti al risparmio energetico. (5-06190)


   RUOCCO, LUIGI GALLO, PISANO, ALBERTI, FICO, PESCO, VILLAROSA e CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con le recenti sentenze nn. 14225 e 14226 depositate l'8 luglio 2015, la Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi presentati dal comune di Livorno contro gli istituti paritari «Santo Spirito delle Salesiane di Don Bosco» e «L'Immacolata» della Congregazione delle Suore Mantellate Serve di Maria, in materia di ICI per gli anni dal 2004 al 2009;
   nel dettaglio, la Corte ha cassato la sentenza di appello emessa dalla commissione tributaria regionale della Toscana che, nel confermare la sentenza di primo grado, aveva riconosciuto l'esenzione dal pagamento dell'ICI riconoscendo il carattere non commerciale dell'attività svolta dagli enti religiosi secondo la Corte, invece, si trattava di scuole paritarie i cui utenti pagavano un corrispettivo, che erroneamente il giudice di merito ha ritenuto irrilevante ai fini dell'applicazione dell'imposta comunale sugli immobili; sotto tale profilo, dunque, è stato affermato il principio, più volte ribadito dalla Corte, secondo cui: «l'esenzione prevista dall'articolo 7, comma primo, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, è subordinata alla compresenza di un requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell'immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, e di un requisito soggettivo, costituito dal diretto svolgimento di tali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali (articolo 87, comma primo, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, cui il citato articolo 7 rinvia). La sussistenza del requisito oggettivo deve essere accertata in concreto, verificando che l'attività cui l'immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti, non sia svolta con le modalità di un'attività commerciale»;
   come evidenziato dalla stessa Corte nella motivazione delle sentenze, le difficoltà applicative dell'esenzione dalle imposte locali derivano, come spesso accade, dalla formulazione non proprio chiara delle disposizioni normative che proprio in materia di esenzione ICI/IMU per enti non commerciali hanno subito continue revisioni negli ultimi anni, consegnando agli operatori un quadro normativo di incerta definizione;
   non va sottaciuto poi l'orientamento espresso in ambito comunitario: la Corte di giustizia europea (c. 26/2010 del 19 dicembre 2010) ha infatti dichiarato l'illegittimità dell'esenzione ICI/IMU per le attività di cui all'articolo 7, comma 1, lettera i), così come modificata dall'articolo 39, decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248 (che addirittura aveva esteso l'esenzione alle attività indicate nella stessa lettera e che non abbiano esclusivamente natura commerciale), considerandola un illegittimo aiuto di Stato;
   a parte le suesposte considerazioni, le recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno nuovamente messo in luce la controversa questione relativa alla gestione degli istituti scolastici paritari gestiti da enti ecclesiastici e, più in generale, degli enti religiosi che risultano esercenti, almeno «sulla carta», attività di natura assistenziale e non commerciale, non ultimo, si rammenta il recente caso di cronaca che ha interessato la Congregazione Don Uva che, al di là del crac finanziario da 500 milioni di euro di cui 350 milioni dello Stato, ha portato all'arresto e al fermo domiciliare di decine di persone, nonché alla richiesta di applicazione della custodia cautelare, richiesta respinta dal Senato, del presidente della Commissione bilancio a Palazzo Madama, Antonio Azzollini senatore del Nuovo Centrodestra; le indagini condotte dalla Guardia di finanza di Bari – nucleo di polizia tributaria hanno condotto alla scoperta di una vera e propria associazione a delinquere dietro la Congregazione nonché ha consentito di comprendere le cause del default: a) una gestione totalmente svincolata dai criteri di una corretta amministrazione aziendale, in cui per decenni è mancata persino una contabilità ed organi che controllassero la rispondenza ad economicità delle operazioni gestionali; b) una inesauribile serie di appropriazioni, sperperi, dissipazioni, forniture fuori mercato con contratti a tutto favore dei terzi ed a tutto danno dell'Ente; c) assunzioni clientelari in momenti di crisi, allorché contemporaneamente si procedeva a consistenti riduzioni di personale per poter accedere agli ammortizzatori sociali previsti dalle norme vigenti; d) assunzioni di personale inutile oppure destinato a mansioni del tutto svincolate dalle professionalità richieste: tutto ciò ai danni dello Stato, che ha contribuito con finanziamenti al sostentamento dell'Ente religioso, degli enti locali che per anni hanno disapplicato le imposte locali a fronte di quello che agli interroganti appare il «mascherato» carattere non commerciale dell'attività svolta, e, soprattutto, dei cittadini che nonostante tutto si sono visti costretti al pagamento di rette per l'erogazione di servizi scadenti;
   le sentenze hanno altresì suscitato l'accesa reazione dei vertici della Chiesa Cattolica, che gestisce circa il 63 per cento delle 13.625 scuole paritarie in Italia (per un totale di 993.544 alunni nell'anno scolastico 2013/2014), riaprendo nuovamente il dibattito in merito all'opportunità del riconoscimento di agevolazioni fiscali in favore di enti religiosi, soprattutto nei casi in cui di fatto vengono a svolgere le medesime attività svolte da privati, che di contro non beneficiano di alcuna esenzione o agevolazione (con ovvie ricadute sul piano concorrenziale, come peraltro già sancito dalla Corte di giustizia europea);
   al riguardo, dunque, superando un privilegio anacronistico, sarebbe senz'altro auspicabile un intervento normativo volto alla revisione delle esenzioni fiscali di cui godono le attività commerciali della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose, soprattutto quando non vengono esercitate in via esclusiva, ed in considerazione degli enormi sacrifici che al contempo si chiedo ai comuni cittadini per superare il grave momento di difficoltà che attraversa il Paese;
   in ogni caso sarebbe altresì opportuno un intervento normativo volto a far chiarezza sui profili applicativi dell'esenzione dalle imposte locali previste per gli enti religiosi ed assistenziali, con particolare riferimento al requisito della non commercialità dell'attività svolta –:
   alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione e dei recenti fatti di cronaca giudiziaria, se non ritenga opportuno assumere iniziative normative al fine di chiarire i profili applicativi dell'esenzione dalle imposte locali previste per gli enti religiosi ed assistenziali, con particolare riferimento al requisito della non commercialità dell'attività svolta, e se non ritenga in ogni caso opportuna un'iniziativa normativa volta alla revisione delle esenzioni fiscali in favore di enti ecclesiastici, soprattutto quando svolgono attività di natura tipicamente commerciale, al fine di ripristinare la leale concorrenza tra le imprese e l'equità del prelievo tra i cittadini. (5-06191)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI e MOGNATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 66, comma 5, primo periodo, del Testo unico delle imposte sui redditi, prevede, per le imprese di autotrasporto di merci per conto terzi, una deduzione forfetaria dal reddito per i trasporti effettuati personalmente dall'imprenditore;
   la deduzione è diversa a seconda che il trasporto sia effettuato nella regione o nelle regioni confinanti o oltre tale ambito;
   la deduzione è riconosciuta ai soci delle società in nome collettivo e in accomandita semplice e alle imprese di autotrasporto merci che siano in contabilità semplificata o in contabilità ordinaria per opzione;
   sono, pertanto, escluse le imprese in contabilità ordinaria per obbligo, come le società di capitali;
   tale agevolazione è rivolta a piccoli imprenditori dell'autotrasporto, fondamentali per tutta la catena logistica italiana;
   spetta una sola volta per ogni giorno di effettuazione del trasporto, indipendentemente dal numero dei viaggi;
   la misura dell'agevolazione può essere modificata nel corso degli anni, tenendo conto dello stanziamento annuale previsto e dell'adeguamento ISTAT e tuttavia, dal 2008 al 2014, la misura è rimasta sempre invariata;
   per il 2015, con comunicazione dell'Agenzia delle entrate del 2 luglio 2015, la deduzione forfettaria di cui sopra che sarà deducibile in UNICO 2015 è stata fortemente ridotta e disposta in:
    18,00 euro (anziché 56,00 euro) per le spese non documentate sostenute nel periodo d'imposta 2014 per i trasporti effettuati dall'imprenditore all'interno della regione e delle regioni confinanti; la deduzione spetta anche per i trasporti personalmente effettuati dall'imprenditore all'interno del comune in cui ha sede l'impresa, per un importo pari al 35 per cento di quello spettante per gli stessi trasporti nell'ambito della regione o delle regioni confinanti, cioè in questo caso pari a 6,30 euro (anziché 19,60 euro);
    30,00 euro (anziché 92,00 euro) per le spese non documentate sostenute nel periodo d'imposta 2014 per i trasporti effettuati oltre il precedente ambito;
   quest'anno si è verificata una forte riduzione degli importi spettanti, come si evince facendo un confronto tra gli importi spettanti lo scorso anno e quelli nuovi;
   le deduzioni forfettarie rappresentano spese realmente sostenute dalle aziende ed una delle poche voci di deduzione da iscrivere a bilancio;
   tale riduzione delle deduzioni colpisce ed indebolisce il tessuto delle piccole imprese di autotrasporto o le forme di cooperazione tra queste ultime, ponendo un forte punto di domanda sul futuro stesso di tali aziende –:
   quali iniziative intendano intraprendere per calmierare il taglio imposto alle deduzioni forfetarie delle spese non documentate e quali azioni di tipo strutturale sia possibile mettere in atto nel breve periodo per dare un incentivo ed una forte spinta allo sviluppo dell'autotrasporto in un momento di forte difficoltà del settore. (5-06169)


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'Enpapi è l'ente di previdenza di infermieri professionali, assistenti sanitari, vigilatrici d'infanzia, che esercitano la professione in forma autonoma, associata o in cooperativa;
   una gestione, ad avviso dell'interrogante imprudente, delle risorse dell'ente da parte dei vertici comporta una minaccia ai versamenti contributivi ed ai trattamenti pensionistici dei lavoratori iscritti;
   nella scorsa legislatura la Lega Nord, con atto di sindacato ispettivo n. 5-05754 – Camera, chiedeva «di fare piena luce sulle scelte strategiche, sugli investimenti e sulle spese per gli organi statutari effettuate dall'ENPAPI (Ente nazionale di previdenza ed assistenza della professione infermieristica)»;
   l'allora Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in sede di risposta in data 17 gennaio 2012, nel riferire i costi per gli organi amministrativi e di controllo per gli anni 2008 e 2009, precisava tuttavia che «la vigilanza dell'Enpapi spetta altresì al Ministero dell'economia e delle finanze»;
   con successivo atto di sindacato ispettivo n. 5-07782 presentato alla Camera dei deputati, rimasto senza risposta al termine della legislatura, la Lega Nord ribadiva l'essenzialità della massima chiarezza e trasparenza circa le scelte strategiche, gli investimenti e le spese dell'ENPAPI, soprattutto per quanto riguarda i costi degli organi sociali e quelli sostenuti per l'acquisto della prestigiosa sede in via Farnese, quartiere Prati, a Roma;
   si è appreso dagli organi di stampa di un'indagine in corso, su rilievi della Corte dei conti, del nucleo polizia tributaria della Guardia di finanza di Roma, relativamente all'acquisto dell'immobile sede dell'Enpapi; dell'istruttoria in corso ne dà evidenza anche il verbale della riunione del consiglio di amministrazione n.7/1;
   all'inizio di questo anno, inoltre, l'Ente ha provveduto al rinnovo degli organi statutari mediante elezioni; tuttavia il collegio provinciale Ipasvi di B.A.T. ha segnalato ai Ministeri vigilanti presunte irregolarità nelle modalità di svolgimento di tali elezioni –:
   per quali motivi la vicenda dell'immobile romano sede dell'Enpapi non sia stata ancora oggetto di accertamento da parte dei Ministeri vigilanti;
   come sia possibile che il medesimo immobile abbia avuto in due anni una rivalutazione di oltre il 10 per cento a fronte di un oggettivo calo percentuale del valore del mercato immobiliare;
   se i Ministeri vigilanti, alla luce delle segnalazioni di elezioni non corrette dal punto di vista procedurale, abbiano proceduto alle dovute verifiche, previa acquisizione degli atti e, in caso di risposta negativa, quali siano le ragioni di tale mancato adempimento;
   quali iniziative di competenza i Ministeri vigilanti intendano assumere per cautelare gli iscritti da un dispendio dei loro versamenti contributivi e, al contempo, assicurare loro trasparenza e irreprensibilità nella gestione. (5-06206)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 del decreto-legge n. 58 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2014, n. 87, e successivamente modificato dal comma 174 della legge n. 107 del 2015 prevede, che nei territori in cui non è ancora attiva la convenzione-quadro CONSIP per l'affidamento dei servizi di pulizia e altri servizi ausiliari, fino alla data di effettiva attivazione della convenzione, e, comunque, fino e non oltre il 31 luglio 2016, le scuole sono tenute a provvedere all'acquisto dei medesimi servizi dai raggruppamenti e dalle imprese che li hanno loro assicurati fino al 31 marzo 2014;
   tali convenzioni sono attive in tutte le regioni ad eccezione della Sicilia e delle province di Napoli e Salerno;
   tra le società che hanno stipulato tale accordo con Consip, spicca il Consorzio nazionale servizi che ha fatto le convenzioni in Liguria, Valle d'Aosta, Piemonte, Sardegna, Lazio (province di Rieti, Viterbo e Roma), Umbria, Marche, Abruzzo, Molise;
   il Consorzio nazionale servizi è stato commissariato dal prefetto di Roma nell'esecuzione di alcuni appalti legati allo smaltimento dei rifiuti a Roma in seguito all'inchiesta su Mafia Capitale;
   il suddetto Consorzio attualmente è sottoposto ad istruttoria dell’Antitrust italiana che ha evidenziato come «in relazione allo svolgimento della gara Consip in esame le società facenti parte dell'ATI 1 (Consorzio Nazionale Servizi, EXITone e Kuadra) e Manutencoop Facility Management abbiano posto in essere condotte volte alla ripartizione di 8 dei 10 lotti finora aggiudicati»;
   tra le società che hanno stipulato tale accordo con Consip, spicca la Manutencoop Facility Management spa che ha stipulato le convenzioni in Emilia Romagna, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia;
   il decreto-legge n. 58 del 2014 ha stabilito che il criterio di determinazione delle condizioni economiche del servizio di pulizia nei territori dove ancora non è attiva la convenzione-quadro Consip, è dato dal prezzo medio di aggiudicazione per ciascuna area omogenea nelle regioni in cui è attiva la convenzione Consip e che tale prezzo può derivare da gare attualmente sottoposte a istruttoria da parte dell’Antitrust per presunte violazioni alla legge sulla concorrenza;
   la legge n. 107 del 2015 ha esteso fino al 31 luglio 2016 la possibilità per le istituzioni scolastiche ed educative (collocate in territori dove non esistono convenzioni Consip) di provvedere all'acquisto dei servizi di pulizia ed ausiliari dai medesimi raggruppamenti e imprese che li assicurano alla data del 31 marzo 2014;
   la previsione contenuta nella legge n. 107 del 2015 rappresenta un'ulteriore proroga di una già contenuta nel decreto-legge n. 58 del 2014, come modificato in sede di conversione avvenuta con la legge n. 87 del 2014 –:
   quali siano le motivazioni per cui non vengono indette le gare Consip per la fornitura del servizio di pulizia in Sicilia e nelle province di Napoli e Salerno e si preferisca prorogare le forniture da parte di imprese che già erogano il servizio in regime di proroga dal 31 marzo 2014. (4-10045)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi le prefetture di tutte le province del Paese stanno pubblicando bandi per affidare la gestione di migranti che prevedono ingenti stanziamenti, dell'ordine di grandezza di milioni di euro, ai soggetti che sono disponibili ad organizzare per ciascuno presunto profugo un pacchetto comprendente vitto, alloggio, indumenti, prodotto per l'igiene, sigarette, schede telefoniche, un pocket money di 2,5 euro al giorno, nonché servizi per l'integrazione e anche assistenza legale per i ricorsi contro il respingimento delle domande di asilo;
   a titolo di mero esempio, si cita il bando emanato dalla prefettura di Lodi che ha avviato, con scadenza 31 agosto 2015 una procedura di gara volta di valore pari a 1.102.500,00 IVA esclusa, «per assicurare gli occorrenti servizi di accoglienza ai migranti già presenti e a quelli eventuali futuri»; il bando, pubblicato sul sito della prefettura, è volto ad offrire ai migranti: la gestione amministrativa del loro ingresso e permanenza, la verifica di adeguatezza e funzionalità delle strutture, servizi di lavanderia e assistenza alla persona, le pulizie giornaliere dei locali e degli arredi, servizi di colazione, pranzo e cena per sette giorni a settimana avendo, si legge nel bando «la massima cura nel proporre menù non in contrasto con i princìpi e le abitudini alimentari degli ospiti» e fornendo solo generi alimentari che «dovranno essere di prima qualità». A ciò si aggiungono le forniture da letto regolarmente inviate in lavanderia e quant'altro utile al comfort della persona, un pocket money spendibile per schede telefoniche, snack alimentari, giornali, sigarette, fototessere, biglietti per il trasporto pubblico. Infine, sono previsti servizi di assistenza linguistica e culturale, informazione su diritti e doveri, sostegno socio-psicologico, assistenza sanitaria, assistenza nei rapporti con la questura per l'inserimento nel sistema di protezione per richiedenti asilo, ed anche iniziative per assicurare che gli ospiti possano effettuare telefonate internazionali mettendo a loro disposizione telefoni cellulari o postazioni telefoniche;
   i dati del Viminale, aggiornati purtroppo solo al 31 ottobre 2014, riferiscono di 61.238 migranti ospitati, di cui 32.335 in strutture temporanee, 10.206 in centri governativi per richiedenti asilo, 18.697 in spazi dedicati ai rifugiati. Sono dati parziali che non tengono conto nemmeno del numero complessivo dell'anno scorso;
   gli ultimi dati sugli arrivi fissano in più di 85.000 i soli nuovi sbarcati di quest'anno fino ad oggi, con previsioni di 200.000 nuovi ingressi entro l'anno, che si sommano agli sbarchi degli scorsi anni e ai presunti profughi già presenti nelle strutture di accoglienza. La stima di una cifra tra i 30 ed i 40 euro al giorno di costo per ciascun ospite rapportato al numero totale di persone ospitate, benché approssimativa, porta a un impegno finanziario complessivo notevole;
   allo stesso tempo si stanno concretizzando a livello dettagliato i tagli imposti a partire dal decreto n. 66 del 2014 e acuiti dalla legge di stabilità per il 2015 ai danni di enti locali e territoriali (2,3 miliardi alle regioni sulla spesa sanitaria, circa 1 miliardo alle province, azzeramento del fondo di solidarietà comunale) e si annunciano altri tagli tali da rendere impossibile l'erogazione dei LEA e dei servizi di base ai cittadini e ai residenti –:
   quale sia la cifra complessiva, suddivisa per voci di dettaglio, attualmente resa disponibile a livello nazionale per la accoglienza dei migranti, dal momento dello sbarco fino alla sistemazione in struttura di accoglienza, e quali siano le fonti finanziarie, nazionali ed internazionali, pubbliche e private, che concorrono a dare copertura a tali spese. (4-10055)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

II Commissione:


   SARTI, FERRARESI, AGOSTINELLI, BONAFEDE, BUSINAROLO e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 22 marzo 2013 è in corso il dibattimento del processo «Borsellino quater» sulla strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992 che vede imputati davanti alla Corte d'assise di Caltanissetta i boss di Cosa Nostra Salvatore Madonia, Vittorio Tutino e i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Calogero Pulci e Francesco Andriotta;
   in una delle udienze dibattimentali, i funzionari di polizia già collaboratori di Arnaldo La Barbera nel gruppo d'indagine «Falcone-Borsellino», Vincenzo Ricciardi, Mario Bo e Salvatore La Barbera sono stati citati come indagati in procedimento connesso;
   nel corso di tale udienza si è appreso che i tre funzionari di polizia nel 2009 vennero iscritti nel registro degli indagati dalla procura di Caltanissetta quali concorrenti della calunnia aggravata contestata a Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Salvatore Candura;
   ancora oggi la procura di Caltanissetta non ha definito le indagini a carico dei funzionari di polizia, infatti a quanto consta agli interroganti, ad oggi non vi sarebbe stata né una richiesta di archiviazione, né una richiesta di rinvio a giudizio. Proprio a seguito della mancanza di definizione delle indagini, al momento della loro deposizione nel processo «Borsellino quater», Mario Bo e Vincenzo Ricciardi si sono avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto indagati in un procedimento connesso;
   il codice di procedura penale prevede all'articolo 407 che le indagini preliminari possano avere una durata massima di 18 mesi e in taluni casi di 2 anni decorrenti dalla data in cui il nome della persona cui è attribuito il reato sia stato iscritto nel registro delle notizie di reato. Successivamente alla scadenza di tali termini eventuali atti di indagine tardivi non possono essere utilizzati nel processo; l'articolo 408 prevede che entro tali termini massimi, qualora la notizia di reato sia infondata, il pubblico ministero debba richiedere l'archiviazione e, in caso contrario, debba comunicare agli indagati l'avviso di conclusione delle indagini;
   l'articolo 2, comma 1, lettera q), del decreto legislativo n. 109 del 2006 prevede che «il reiterato, grave e ingiustificato ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni» costituisca causa di responsabilità disciplinare precisando anche che «si presume non grave, salvo che non sia diversamente dimostrato, il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell'atto»;
   alla luce di quanto sopra ricordato, secondo gli interroganti, occorrerebbe valutare, ai sensi di tale disposizione, la condotta della procura della Repubblica di Caltanissetta;
   il Ministero della giustizia che, insieme alle persone dei calunniati, riveste la qualifica di persona offesa dal reato, si è costituito peraltro parte civile in relazione a tutte le fattispecie di reato contestate sia come soggetto offeso dalle calunnie sia in quanto soggetto danneggiato per la strage di via D'Amelio nella quale venne ucciso il magistrato Paolo Borsellino –:
   se il Ministro interrogato abbia ricevuto comunicazioni in ordine al procedimento per calunnia a carico di Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera, o se ritenga opportuno richiederle visto il lungo periodo di tempo trascorso dalla iscrizione nel registro degli indagati e se, alla luce degli elementi indicati in premessa, non ritenga di disporre un'ispezione presso la procura della Repubblica di Caltanissetta ai fini della valutazione dei presupposti per l'esercizio dei poteri di competenza. (5-06178)


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   risultano essere già stati preparati novanta kit sanitari realizzati dalla Croce Rossa Italiana unitamente ad una ventina di tende della protezione civile, in vista del loro utilizzo per garantire l'accoglienza a nuovi presunti profughi nei pressi dell'ex aula bunker adiacente al carcere Bassone di Como;
   a beneficio della medesima infrastruttura e per le stesse finalità sarebbero stati predisposti anche degli allacciamenti per acqua e gas;
   sarebbero altresì in viaggio verso lo stesso immobile detergenti, spazzolini e materassi nuovi;
   tutto lascia intendere che esiste la volontà di allestire nei pressi dell'ex aula bunker una vera e propria tendopoli destinata ad ospitare un certo numero di clandestini richiedenti protezione internazionale;
   la tendopoli verrebbe allestita in spazi esterni e non all'interno dell'ex aula bunker del Bassone soltanto perché questa è stata giudicata inagibile;
   l'aula bunker del Bassone, un tempo utilizzata per processi di mafie, è in effetti in disuso da moltissimi anni;
   il Ministro della giustizia pro tempore respinse una richiesta della Lega Nord di sfruttare anche quella struttura, opportunamente restaurata e rinnovata, per ridurre il sovraffollamento carcerario, mentre oggi si decide di utilizzarne pertinenze ed aree adiacenti per dare inadeguata ospitalità ai presunti profughi –:
   se l'allestimento di una tendopoli destinata ad ospitare migranti irregolari nell'area dell'ex aula bunker del Bassone a Como dopo i rifiuti in passato a riconvertirla a luogo di detenzione sia stato deliberato o meno con l'assenso del Ministro della giustizia ed eventualmente entro quali limiti numerici. (5-06179)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LODOLINI, GIULIETTI, LATTUCA, RUBINATO, FRAGOMELI, PETRINI, MARCHETTI, LUCIANO AGOSTINI e CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 179 del 2012 ha fatto venire meno il carattere di «pubblico elenco» dell'IPA valido ai fini della notificazione-comunicazione degli atti giudiziari in materia civile;
   gli operatori, ad oggi, dispongono, per la ricerca di indirizzi pec utili ai fini della notifica alla pubblica amministrazione dell’«elenco indirizzi PA presso Ministero giustizia» oltre che il «REGINDE»;
   i citati servizi dovevano essere aggiornati ai sensi dell'articolo 16 del decreto-legge 79 del 2012 da parte delle pubbliche amministrazioni entro il termine del 30 novembre 2014 e tuttavia, ad oggi, non risultano contenere gran parte delle amministrazioni pubbliche rispetto alle quali, a questo punto, gli operatori non possono notificare atti telematicamente dovendo ricorrere ai «sistemi tradizionali» con aggravio di spese e di procedure;
   la situazione pertanto ad oggi risulta essere caratterizzata da un grave situazione di ambiguità e di confusione normativa che pregiudica al certezza del percorso di informatizzazione del processo e della pubblica amministrazione –:
   se intenda intervenire per porre rimedio a tale situazione;
   se non ritenga utile assumere iniziative per reinserire l'elenco IPA – registro curato dall'allora Centro nazionale per l'informatica nella Pubblica amministrazione oggi AGID – agenzia per l'Italia digitale, nell'elenco previsto dal decreto-legge 179 del 2012;
   quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione ai casi in cui le pubbliche amministrazioni siano rimaste inerti rispetto all'obbligo di comunicazione di cui sopra;
   se intenda fornire ogni utile elemento in merito all'adempimento degli obblighi citati. (5-06173)


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in 15 giorni il carcere sardo di Bancali, Sassari, è stato trasformato in una polveriera di mafia e camorra;
   un vero e proprio inferno con ospiti che vanno dai killer delle stragi al capo dei Santapaola;
   nella struttura nonostante questi nuovi arrivi mancano 116 agenti, la struttura sanitaria è inesistente con gravissime ripercussioni sulla sanità sassarese già in crisi;
   alla conta del 27 luglio 2015 i detenuti in regime di 41-bis nel carcere di Bancali erano 67;
   ne arriveranno una decina ancora, poi il grande danno alla Sardegna sarà compiuto;
   in meno di quindici giorni, con voli di Stato, gestiti ad avviso dell'interrogante, in regime di segretezza, hanno trasformato il carcere di Bancali in una vera e propria polveriera di mafia e camorra;
   ci sono tutti, dal braccio destro del capo dei capi al numero uno dei Santapaola, dal padrino alla mente delle stragi che hanno funestato la Campania e non solo;
   sono stati trasportati a due a due, svuotando le celle dei reparti destinati al regime di cui all'articolo 41-bis di mezza Italia;
   si tratta, secondo l'interrogante, di un atto vigliacco e gravissimo dello Stato che mette l'intera isola a rischio infiltrazioni;
   da anni l'interrogante denuncia questo rischio di infiltrazioni ed ora anche i magistrati di primo piano lanciano l'allarme;
   quando ci si renderà conto di quanto è avvenuto in questi giorni in Sardegna potrebbe essere troppo tardi;
   concentrare su unico carcere questo tipo di personaggi non solo è una «follia» politica, ma è un errore madornale sul piano della lotta alla mafia;
   lo dicono maggiori esperti della lotta alla mafia;
   si è trasformato di fatto il carcere di Bancali in un grande centro di coordinamento della mafia, della camorra e della ’ndrangheta;
   tutto questo con agenti ridotti all'osso, sia nel carcere ordinario che nel braccio dei capimafia;
   sui 425 agenti previsti nella pianta organica ce ne sono in servizio appena 309;
   un buco di 116 agenti che pesa come non mai nella già complessa gestione della sicurezza di un carcere di quella portata;
   niente vigilanza esterna, passeggi sui muri praticamente inesistenti;
   lo stesso corpo speciale che si occupa dei detenuti in regime di 41-bis è ridotto ai minimi termini;
   in servizio ce ne sono appena 40, ma dovrebbero essere più del doppio;
   il servizio sanitario è totalmente inesistente con un modestissimo lettino per le visite e una cardiolina, poi per il resto solo tubi a mezz'aria per collegare acqua e corrente per attrezzature che non ci sono e non arriveranno;
   una gestione sanitaria che rischia di mandare in tilt la stessa struttura del pronto intervento della Asl che dovrà sottrarre mezzi e uomini al territorio per soddisfare le esigenze del carcere;
   a questo si aggiunge che nei codici è previsto un repartino penitenziario all'ospedale cittadino, ma non vi è traccia;
   ad avviso dell'interrogante si sta gestendo una polveriera con la pressappochezza di chi sta maneggiando un petardo;
   si tratta del più grave atto dello Stato verso la Sardegna compiuto in maniera silenziosa;
   approfittando del caldo estivo, nel silenzio delle istituzioni e con un comportamento del Governo che appare all'interrogante spregiudicato è stato messo a segno un trasferimento che potrebbe segnare un passaggio gravissimo nella storia della Sardegna;
   non basterà la professionalità di agenti e personale e del direttore del carcere ad arginare il gravissimo pericolo di infiltrazioni mafiose; non basterà l'allerta lanciato dai vertici della magistratura;
   dopo questo trasferimento la Sardegna potrebbe essere davvero la prima regione a rischio di infiltrazioni mafiose e non solo;
   dentro il carcere si respira un clima surreale, con celle e reparti che in questi giorni hanno abbondantemente superato i 40 gradi ma soprattutto che vedono la presenza di personaggi protagonisti dei fatti più cruenti della storia di mafia, camorra e ’ndrangheta;
   si tratta di gente che ha commesso molti omicidi, che ha ucciso in modo spietato con autobombe, che ha messo sotto scacco città e quartieri interi con il dominio della violenza più efferata;
   ora sono chiusi in un carcere, ma appare evidente all'interrogante che spesso dai carceri hanno ordinato, gestito e pianificato le azioni dei loro clan;
   tutto questo è un rischio per la Sardegna, dove dai prossimi giorni arriveranno i familiari per gestire i rapporti;
   vi sono cento uomini in meno, con un carcere ancora in altomare sul piano sanitario;
   si tratta di una miscela esplosiva pericolosissima che costituisce un vero e proprio attacco alla Sardegna e alla sua socialità;
   non sarà un tribunale in più o in meno ad arginare questo pericolo;
   mancano uomini e mezzi dentro e fuori il carcere;
   si tratta di una vera e propria calamità contro la Sardegna per la quale bisogna elevare al massimo l'attenzione e la denuncia –:
   se non ritenga di bloccare questo trasferimento verso la Sardegna per gli evidenti pericoli che comporta e per l'errore concettuale di quello che all'interrogante appare un trasferimento di massa;
   se non ritenga di dover revocare tali trasferimenti al fine di evitare gravi pericoli sia dentro il carcere che all'esterno;
   se non intenda chiarire di chi siano le responsabilità di questo trasferimento, avvenuto, a giudizio dell'interrogante, anche senza le minime condizioni di sicurezza e di fruibilità del carcere stesso. (5-06188)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DURANTI, DANIELE FARINA, FERRARA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, ZACCAGNINI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO e ZARATTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 53 del 1994 all'articolo 3-bis dispone che «La notifica e effettuata a mezzo della posta elettronica certificata solo se l'indirizzo del destinatario risulta da pubblici elenchi»;
   tali pubblici elenchi sono indicati all'articolo 16-ter del decreto-legge 179 del 2012, che a seguito delle diverse modifiche intervenute (il decreto-legge è stato convertito, con modificazioni dalla legge 221 del 2012, e successivamente modificato dall'articolo 45-bis, comma 2, del decreto-legge 90 del 2014, convertito, con modificazioni dalla legge 114 del 2014), ha fatto venire meno il carattere di «pubblico elenco» dell'IPA (indice delle pubbliche amministrazioni), valido ai fini della notificazione comunicazione degli atti giudiziari in materia civile;
   a seguito delle modifiche citate, gli operatori di giustizia (uffici giudiziari e uffici notificazioni, esecuzioni e protesti) e gli avvocati attualmente dispongono, per la ricerca di indirizzi PEC utili ai fini della notifica alla pubblica amministrazione, dell’«elenco indirizzi pubblica amministrazione presso il Ministero della giustizia», oltre che del «ReGIndE»;
   benché il termine ultimo per l'aggiornamento dell'elenco suddetto fosse fissato al 30 novembre 2014, ad oggi molte pubbliche amministrazioni non hanno ancora ottemperato alla comunicazione al Ministero di giustizia del proprio indirizzo di posta elettronica certificata, con la conseguenza che l'elenco risulta essere gravemente carente;
   ciò comporta per gli operatori di giustizia e gli avvocati l'impossibilità di notificare atti telematicamente alle pubbliche amministrazioni non presenti nell'elenco del Ministero della giustizia, dovendo ricorrere ai «sistemi tradizionali» con aggravio di spese e di procedure; ciò costituisce una ingiustificata battuta d'arresto nel percorso di informatizzazione del processo e della pubblica amministrazione –:
   se il Governo intenda intervenire per porre rimedio alla problematica illustrata in premessa;
   se non ritenga utile assumere iniziative per inserire nuovamente l'elenco IPA – registro curato dall'allora Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, oggi AGID (Agenzia per l'Italia digitale) – nell'elenco previsto all'articolo 16-ter del decreto-legge 179 del 2012 e successive modificazioni;

quali iniziative di competenza intendano assumere in relazione ai casi in cui le pubbliche amministrazioni siano rimaste inerti rispetto all'obbligo di comunicazione ai registri dell'elenco indirizzi pubbliche amministrazioni presso il Ministero della giustizia;
   se intenda fornire ogni utile elemento in merito all'adempimento degli obblighi citati. (4-10028)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende dal 17 luglio 2015 presso la stazione ferroviaria di Metaponto sono stati disattivati i binari di circolazione dal n. 4 al n. 6 nonché è stato soppresso anche il presenziamento del dirigente di movimento;
   la stazione in questione è il principale snodo tra la linea tirrenica proveniente da Salerno a quella jonica della direttrice Taranto-Reggio Calabria;
   il controllo dello scalo sarebbe quindi passato per competenza al comparto Bari Lamasinata;
   la Stazione di Metaponto è stata interessata da interventi di ammodernamento e di adeguamenti in considerazione della sua rilevanza strategica e anche turistica;
   ove fosse confermata al soppressione della figura del capostazione e la disattivazione di una parte rilevante dei suoi binari è evidente che si troverebbe di fronte a una scelta assolutamente inaccettabile da parte di RFI;
   si segnalano anche altri disservizi come la chiusura della biglietteria e la impossibilità di usufruire della emettitrice automatica poiché guasta;
   la stazione ferroviaria è il primo biglietto da visita per una località turistica –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritenga di intervenire, per quanto di competenza e con la massima urgenza, per ripristinare non solo la funzionalità dei binari e la presenza fisica del capostazione ma anche per richiamare Rfi e Trenitalia a una più attenta politica aziendale nei confronti di una stazione di importanza strategica per tutto il Mezzogiorno.
(5-06167)


   GIULIETTI e BRANDOLIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   molte sono state le segnalazioni in questi giorni specialmente da parte dei pendolari umbri costretti a viaggiare dentro carrozze surriscaldate e spesso sporche;
   la regione Umbria ha posto la questione all'attenzione della direzione regionale di Trenitalia chiedendo tra l'altro una soluzione a una situazione oramai insostenibile per tantissimi cittadini che utilizzano il treno per motivi di lavoro, di studio e altro anche in virtù di quanto stabilito dal contratto di servizio tra regione Umbria e Trenitalia che prevede l'effettuazione di servizi con uno standard ben definito e specifiche penalità a fronte di eventuali disservizi che però devono essere occasionali e non sistematici come quelli attualmente rilevati, imputabili sostanzialmente a una inadeguata ordinaria manutenzione dei rotabili o per altre cause al momento non conosciute;
   la regione si sta impegnando anche in relazione ai treni Intercity che non sono compresi nel contratto di servizio stipulato con Trenitalia –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto, per quanto di competenza, nei confronti di Trenitalia per risolvere una situazione insostenibile per migliaia di cittadini umbri e non solo costretti a viaggiare su carrozze senza aria condizionata (e in questi giorni con temperature intorno ai 40o), oppure in molti casi malfunzionante e spesso senza un'adeguata e minima pulizia, tenendo conto, inoltre, che la situazione in cui versano tanti pendolari va ormai avanti da diverse settimane. (5-06170)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa si apprende che la Galleria Forca di Cerro, sulla strada statale 685 delle Tre Valli Umbre, che collega la valle dell'area Spoleto-Foligno con la Valnerina, è diventata difficile da percorrere a causa del malfunzionamento del sistema di ventilazione interno al tunnel;
   alcuni automobilisti segnalano difficoltà specialmente nel primo tratto del traforo dove l'aria sarebbe irrespirabile a causa dell'accumulo dei gas di scarico delle auto che non è sufficientemente supportato dal necessario ricambio dell'aria;
   anche la visibilità nel primo tratto della Forca di Cerro è ridotta a causa del sistema di illuminazione spento per circa un terzo del tragitto; una tale situazione oltre a creare grande disagio può essere pericolosa per l'incolumità degli automobilisti che ogni giorno percorrono quel tratto della statale 685;
   la Galleria Forca di Cerro nel corso degli anni ha subito diversi lavori di manutenzione, segno di problemi, anche di diversa natura, che caratterizzano il tunnel;
   uno degli interventi più recenti, che ha portato anche alla chiusura notturna del tratto, risale al marzo del 2015 ed era demandato, secondo quanto si legge in una nota dell'Anas, alla manutenzione degli impianti tecnologici a servizio della galleria –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e cosa intenda fare per provvedere nel più breve tempo possibile al ripristino degli impianti di ventilazione e illuminazione;
   se, durante i lavori effettuati quattro mesi fa, si sia provveduto alla manutenzione anche dell'impianto di ventilazione e illuminazione della Galleria Forca di Cerro, il cui malfunzionamento, oggi, sta compromettendo la sicurezza degli automobilisti. (5-06171)


   MINNUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base all'articolo 2 del regio decreto-legge del 23 novembre 1936, n. 2523, «Norme per la disciplina delle agenzie di viaggio e turismo» sono uffici di viaggi e turismo le aziende che svolgono tutte o gran parte delle attività in esso elencate tra cui, alla lettera f), «chi organizza escursioni private o collettive, con o senza accompagnamento, per la visita della città e dintorni, o noleggio di autovetture»;
   nell'ambito della regione Lazio, peraltro, tra le competenze delle agenzie di viaggi viene indicata «l'organizzazione e la realizzazione di gite ed escursioni, individuali o collettive, visite guidate di città con ogni mezzo di trasporto e con personale autorizzato», così come sancito dall'articolo 2, comma 2, lettera B, del Regolamento della regione Lazio n. 19 del 2008, emanato in base alla legge regionale del Lazio n. 13 del 2007;
   nella capitale hanno sede agenzie di viaggio che da alcuni anni propongono ai clienti percorsi turistici a bordo di Ape calessino elettrico, un mezzo di trasporto originale e non inquinante perché elettrico;
   è però avvenuto che alcune vetture che stavano effettuando percorsi turistici siano state fermate dalla polizia locale di Roma capitale; i conducenti sono stati sanzionati ex articolo 85, comma 4, del Codice della strada, che punisce l'esercizio abusivo di attività di noleggio di vettura con conducente da parte di soggetto sprovvisto di autorizzazione, e i veicoli posti in stato di fermo amministrativo, nonostante gli stessi fossero immatricolati per il trasporto di persone ai sensi dell'articolo 83, comma 1, del Codice della strada, e le agenzie operassero nel rispetto della normativa vigente;
   l'avvocatura della città metropolitana di Roma Capitale, con comunicazione n. 32418/15 del 10 marzo 2015, ha valutato la piena legittimità «dell'attività svolta dalle agenzie turistiche mediante vendita di servizi turistici tipo tour personalizzati con vetture in favore dei propri clienti, utilizzando veicoli in conto proprio» e ha affermato che tale legittimità trova riscontro anche in una consolidata giurisprudenza amministrativa in materia di uso in conto proprio per finalità strettamente necessarie rispetto alle finalità delle agenzie turistiche (Cons. di Stato, Sez. IV, Sent. 2085/2010; Cons. di Stato, Sez. VI, Sent. 1919/2008) –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, per quanto di competenza, in relazione ai fatti esposti in premessa e quali iniziative, anche normative, intenda assumere per risolvere le anomalie di cui in premessa e quindi assicurare il corretto svolgimento delle attività delle agenzie di viaggi. (5-06172)


   MINNUCCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferroviaria regionale FR3 del Lazio si sviluppa per circa 90 chilometri a partire dalla stazione di Roma Ostiense fino alla città di Viterbo, mentre il capolinea del servizio metropolitano è a Cesano di Roma, punto nel quale finisce la tratta con doppio binario;
   nel tratto urbano della linea (lungo circa 27 chilometri) transitano 139 treni al giorno (del tipo «TAF» ossia treno ad alta frequentazione), con circa 60.000 passeggeri. La frequenza è di circa un treno ogni 15 minuti in entrambe le direzioni nei giorni feriali e uno ogni 30 minuti nei festivi, per quanto riguarda il tratto Roma Ostiense-Cesano; 30 minuti nella tratta Roma-Bracciano ed 1 ora in quella Roma-Viterbo (che nei giorni festivi diventano 2 ore);
   inoltre, negli orari di punta, nella mattinata in direzione Roma e nel pomeriggio in direzione Viterbo, si effettuano corse aggiuntive, alcune delle quali sono corse dirette da Roma Ostiense a Viterbo con limitazione delle fermate da effettuare;
   per quanto riguarda il tempo medio di percorrenza, si va dai 50 minuti della tratta Roma Ostiense-Cesano alle 2 ore della tratta Roma Ostiense-Viterbo;
   grazie ai fondi stanziati in occasione del Giubileo del 2000, a partire dal 1998 sono stati effettuati interventi di riqualificazione della linea, con ristrutturazione delle stazioni presenti sul tratto urbano e l'interramento del tratto compreso tra Balduina e Pineta Sacchetti;
   nonostante i predetti lavori, però, la linea FR3 risulta essere ancora fortemente penalizzata nel tratto da Cesano verso nord, caratterizzato ad oggi da tempi di percorrenza elevati, un'alta percentuale di ritardi e varie problematiche di circolazione legate alla presenza di un binario unico, che vanno ad incidere in maniera negativa sulle potenzialità di sviluppo turistiche ed economiche in generale delle zone interessate;
   in proposito, nel febbraio 2011 veniva stipulato, tra regione Lazio, Trenitalia s.p.a. e Rete ferroviaria italiana s.p.a., un protocollo d'intesa volto al miglioramento della mobilità ferroviaria regionale nel Lazio, nel quale si confermava il completamento del progetto preliminare per il raddoppio della tratta Cesano-Bracciano, con il prolungamento dei servizi metropolitani fino a Bracciano, ma nello stesso tempo si sottolineava la necessità di reperire ulteriori fondi per proseguire i lavori fino a completamento del progetto;
   quest'ultimo prevede il raddoppio dei binari in affiancamento all'attuale linea per 16 chilometri nella tratta Bracciano-Cesano, l'eliminazione di tutti i passaggi a livello e la realizzazione di un sistema di distanziamento con blocco automatico, al fine di migliorare il servizio in termini di tempo, qualità e accessibilità alle infrastrutture e di incentivare l'incremento degli spostamenti su ferrovia;
   in base a disposizioni approvate di recente, la città metropolitana di Roma, inoltre, dovrebbe investire più di 3 milioni di euro (che possono essere esclusi dal computo delle spese utili ai fini del patto di stabilità) per la realizzazione del sottopasso ferroviario nel comune di Anguillara, condizione necessaria sia per migliorare il traffico stradale da e per Roma, sia per realizzare, in particolare, il previsto raddoppio dei binari;
   per il raddoppio dei binari, però, è necessario affrontare anche il problema relativo al passaggio a livello presente nel centro urbano di Bracciano ed il ponte ferroviario tra Bracciano e Manziana;
   in proposito, attualmente risulta che RFI stia inserendo delle varianti al progetto iniziale, finalizzate all'interramento del predetto passaggio a livello, a seguito di espressa richiesta di modifica da parte del comune di Bracciano, con l'intento di raggiungere l'obiettivo di migliorare il collegamento a costi sostenibili –:
   se sia a conoscenza della questione relativa al progetto di raddoppio dei binari sulla tratta ferroviaria FR3, a partire dalla stazione di Cesano;
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere nei confronti di rete ferroviaria italiana per garantire – anche con risorse adeguate – l'infrastrutturazione e l'efficiente gestione della predetta tratta. (5-06181)


   COVELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 26 luglio 2015 i passeggeri del treno Intercity 727, partito da Roma e diretto a Siracusa, hanno subito notevoli disagi a causa dei guasti che hanno interessato il convoglio;
   il treno è stato fermo per ben tre ore nei pressi di Praia a Mare in condizioni di estremo disagio a causa del caldo;
   secondo i passeggeri il viaggio non era affatto cominciato bene considerato che il treno aveva già manifestato problemi fermandosi all'interno di una galleria nei pressi di Salerno;
   i passeggeri hanno potuto riprendere il loro travagliato viaggio solo dopo l'arrivo di un locomotore diesel che ha consentito di rimorchiare l'Intercity fino alla stazione di Paola;
   l'ufficio stampa di Trenitalia ha tenuto precisare che «La macchina dei soccorsi si è attivata in tempi brevi e soprattutto di avere predisposto interventi di assistenza nelle stazioni di Paola dove il convoglio è stato trainato e, successivamente, anche in quella di Lamezia Terme.»;
   non è la prima volta che si verificano problemi di questo genere a causa della pessima qualità del materiale rotabile che circola sulle tratte da e per la Calabria;
   nell'ambito del contratto di servizio Trenitalia dovrebbe offrire all'utenza diretta o in partenza per la Calabria un servizio qualitativamente corrispondente a quello offerto per altri territori, sapendo che soprattutto nel periodo estivo il primo biglietto da visita del turismo è proprio il servizio di Trenitalia;
   i viaggiatori sono fortemente segnati da questi disagi e da una innegabile pessima condizione del materiale rotabile –:
   in considerazione di quest'ultimo disservizio, quali iniziative intenda adottare il Governo in base al contratto di servizio nei confronti di Trenitalia affinché sulle tratte calabresi possa viaggiare materiale rotabile di migliore qualità adeguando il servizio a standard maggiormente dignitosi e rispettosi dell'utenza. (5-06182)


   MURA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo sciopero dei piloti e degli assistenti di volo Alitalia, proclamato per 24 ore dall'Associazione nazionale professionale aviazione civile (Anpac) nella giornata del 24 luglio 2015 ha creato forti disagi, più che in altre regioni, in Sardegna, già fortemente penalizzata, a causa della sua condizione di insularità, sul versante dei collegamenti aerei da e per l'isola;
   a subire le criticità maggiori è stato l'aeroporto di Cagliari-Elmas, dove sono stati cancellati quattro voli: due in partenza e altrettanti in arrivo; non sono infatti decollati l'aereo con destinazione Milano-Linate che sarebbe dovuto partire alle 11,15 e neppure quello per Roma-Fiumicino che avrebbe dovuto lasciare la pista di Elmas alle 15,10. Annullati anche i voli delle 14,25, in arrivo da Roma-Fiumicino, e quello delle 18,50 da Milano-Linate;
   secondo una stima, i passeggeri in partenza da Cagliari che non hanno potuto lasciare la Sardegna sono stati circa 250;
   sebbene la compagnia aerea Alitalia avesse provveduto nei giorni scorsi ad avvisare i viaggiatori, che sono poi stati riposizionati su altri voli, non sono mancati i disagi per gli utenti;
   a livello nazionale, tra arrivi e partenze, sono stati annullati complessivamente all'aeroporto di Roma Fiumicino circa 60 di voli. Dalla compagnia aerea, hanno precisato che i voli cancellati corrispondono al 15 per cento dei voli totali di corto e medio raggio;
   lo sciopero ha riguardato tutti i voli nazionali, esclusi quelli in partenza e provenienti dagli aeroporti di Bologna e Venezia;
   non è la prima volta che uno sciopero produce tali effetti: ciò conferma la scarsa attenzione di Alitalia per i voli a corto e medio raggio, con gravi ripercussioni su tratte da e per la Sardegna coperte dal regime della continuità territoriale;
   il tutto mentre Alitalia continua a fare operare propri voli a compagnie terze attraverso pratiche di wet lease ed è sempre più forte l'impressione che si vada verso un ulteriore disimpegno dalla attività di medio raggio:
   a tutt'oggi le iniziative intraprese per un reale rilancio dell'Alitalia risultano inefficaci, soprattutto per quanto riguarda le tratte a corto e medio raggio –:
   se sia a conoscenza di questa situazione;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per evitare che nuovi scioperi possano comportare grave disservizi, come la cancellazione dei voli, nelle tratte a corto e medio raggio, e in particolare nei collegamenti da e per la Sardegna, già fortemente penalizzati da un regime di continuità territoriale inefficace;
   quali iniziative di competenza intenda adottare per far sì che la compagnia aerea Alitalia persegua politiche industriali che non comportino un ulteriore disimpegno dalla attività di medio raggio, con gravissime ripercussioni sui collegamenti nazionali, specialmente da e per le isole. (5-06183)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Bari Vecchia, nell'area demaniale compresa fra il porto e largo Ruggero il Normanno, a pochi metri dal Castello, dai complessi conventuali di Santa Chiara e di San Francesco, nel luogo dell'antico porto bizantino-normanno detto «la banchina», sono in corso lavori per realizzare l’«Ampliamento della sede degli uffici OO.MM. del Provveditorato interregionale alle OO.PP. di Puglia e Basilicata»;
   l'edificio, alto almeno 12 metri, sembra compromettere l'inestimabile valore architettonico del Castello e della cortina edilizia di Bari Vecchia, oscurando definitivamente la vista sul mare, in una zona in cui sono presenti già molti altri edifici;
   tale opera ha ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie, nonostante i vincoli paesaggistici a cui pare sia sottoposta l'intera area dal 1930;
   il Comitato «Parco del Castello» di Bari ha più volte sollecitato gli enti preposti di attuare quanto previsto dal Piano particolareggiato di Bari Vecchia, votato all'unanimità dal consiglio comunale di Bari e approvato con delibera di giunta regionale n. 286 del 9 luglio 2002, proponendo il blocco dei lavori di ampliamento della sede degli uffici OO.MM. del provveditorato interregionale alle opere pubbliche di Puglia e Basilicata e la realizzazione del Parco del Castello;
   al momento pare sia stato avviato solo un protocollo d'intesa tra l'amministrazione di Bari e il Comitato Parco del Castello di Bari riguardante la sola realizzazione condivisa e partecipata del Parco. Restano comunque le preoccupazioni per il proseguo dei lavori della palazzina, nonostante l'azione amministrativa al TAR e la richiesta di proroga di sei mesi per il compimento delle indagini preliminari a carico dei funzionari della Soprintendenza di Bari –:
   se ci siano margini di intervento affinché si possa favorire una maggiore collaborazione tra le istituzioni preposte, tenendo conto anche delle proposte avanzate dalle singole associazioni locali da anni interessate alla tutela e valorizzazione dei beni comuni. (4-10039)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, CECCONI, PESCO, BRESCIA, MARZANA, LUIGI GALLO, LUIGI DI MAIO, LOMBARDI, DAGA, VIGNAROLI, VACCA, DI BATTISTA e CORDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle istruzioni per la presentazione e l'ammissione delle candidature (elezione diretta del sindaco e del consiglio comunale) emanate dal dipartimento per gli affari interni e territoriali – direzione centrale dei servizi elettorali del Ministero dell'interno – in occasione delle consultazioni amministrative del 31 maggio 2015, a norma dell'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, viene precisato chi è autorizzato ad eseguire le autenticazioni delle firme di presentazione delle liste;
   in tale testo si legge: «Sono competenti ad eseguire le autenticazioni (...) i notai, i giudici di pace, i cancellieri e i collaboratori delle cancellerie delle corti di appello dei tribunali e delle preture, i segretari delle procure della Repubblica, i presidenti delle province, i sindaci, gli assessori comunali e provinciali, i presidenti dei consigli comunali e provinciali, i presidenti e i vice presidenti dei consigli circoscrizionali, i segretari comunali e provinciali e i funzionari incaricati dal sindaco e dal presidente della provincia. Sono altresì competenti ad eseguire le autenticazioni di cui al presente comma i consiglieri provinciali e i consiglieri comunali che, comunichino la propria disponibilità, rispettivamente, al presidente della provincia e al sindaco»;
   le autenticazioni servono a comprovare l'autenticità di una firma, di una copia di un documento. In base alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, l'autentica della sottoscrizione consiste nell'attestazione di un pubblico ufficiale che la firma è stata apposta in sua presenza, dopo essersi accertato dell'identità della persona che sottoscrive;
   comune di Ceccano (Frosinone), in quei periodo commissariato, si avviava al rinnovo del consiglio comunale ed alla elezione del sindaco nella tornata elettorale amministrativa del 31 maggio 2015;
   fra le liste presentate per questa competizione ben 19 liste su 28 presenterebbero irregolarità; ad attestarlo è l'avviso di conclusione delle indagini preliminari della procura della Repubblica, in cui si accerta l'irregolarità nella raccolta firme di sottoscrizione delle liste. Gli indagati sono cinque consiglieri provinciali che nella loro qualità di consiglieri provinciali della provincia di Frosinone e nell'esercizio delle sue funzioni avrebbero attestato falsamente che le firme apposte da trentotto elettori, sottoscrittori di alcune liste presentate a sostegno delle candidature a sindaco per le elezioni amministrative del comune di Ceccano del 31 maggio 2015, erano vere ed autentiche ed erano state apposte in loro presenza;
   nonostante questo esposto e le indagini della procura, le elezioni sono andate a compimento con l'elezione del nuovo sindaco;
   tra le 19 liste incriminate risulterebbero esservi tutte le liste del candidato sindaco Roberto Caligiore poi effettivamente eletto –:
   se sia conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   quali iniziative di competenza, anche normative, il Ministro interrogato intenda intraprendere, per arginare il fenomeno, sempre più frequente, di cui Ceccano è solo l'ultimo caso, delle irregolarità durante la compilazione delle liste elettorali, fenomeno che influisce sulla stessa regolarità di tutte le operazioni elettorali, e che in caso di nuove elezioni anticipate grava anche sulle casse dello Stato. (5-06205)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 24 luglio 2015, nell'ambito dell'inchiesta denominata «operazione Gambling» coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, sono stati eseguiti due provvedimenti cautelari nei confronti degli avvocati veneti Andrea Vianello e Marco Colapinto, con l'accusa di associazione a delinquere, esercizio abusivo di attività di gioco e di scommessa e truffa ai danni dell'Agenzia delle entrate;
   Andrea Vianello, ora in carcere, classe 1965, residente a Mestre in vicolo Cardinale Monico 55/a, possiede lo studio professionale a Padova in via Guido Reni 198, e il collega Marco Colapinto, 32 anni, agli arresti domiciliari, è residente a Padova in via Tartini 8 e ha lo studio in via Risorgimento 30;
   i due sono considerati dagli inquirenti gli artefici di un complesso sistema costruito per ripulire il denaro di provenienza illecita della ’ndrangheta facendolo transitare da Malta e da altri paradisi fiscali come Antille olandesi, Panama e Romania, tramite società estere di diritto maltese per esercitare abusivamente l'attività di gioco e delle scommesse in Italia eludendo la normativa fiscale e anti-riciclaggio;
   i legali sarebbero responsabili della decisione di usare server per la raccolta informatica delle giocate e la relativa gestione all'estero, in modo da aggirare la normativa italiana;
   parallelamente gli investigatori avrebbero scoperto una catena di comando che, da ciascuna sala giochi e sala scommesse nel nostro Paese, convergeva verso i vari agenti di zona fino al responsabile regionale (o provinciale) costituendo una rete commerciale strutturata gerarchicamente, in grado di distribuire provvigioni a tutti i partecipanti;
   questa rete presente sul mercato web con diversi «siti di casinò» o «circuiti di gambling» avrebbe le sue fondamenta nei consigli tecnici dei due legali destinatari dei provvedimenti cautelari;
   Andrea Vianello considerato il consulente legale del sodalizio criminale, esperto nell'eludere la normativa nazionale in materia di giochi e scommesse a distanza ma anche in campo fiscale, avrebbe avuto un ruolo attivo nelle attività di riciclaggio e di intestazione fittizia attraverso società con sedi estere, come le Isole Vergini Britanniche, ma domiciliate in Italia;
   tra le società figura Elledi Immobiliary Limited domiciliata a Padova in corso del Popolo 21;
   Vianello, mettendo la propria opera professionale qualificata al servizio dell'associazione criminale, ne avrebbe orientato le strategie e le scelte operative, oltre che organizzative, ponendosi ai vertici del sodalizio;
   secondo gli inquirenti, Vianello sarebbe tra i fautori di avventure societarie intraprese sfruttando le normative di favore, appoggi istituzionali e il coinvolgimento di personaggi legati alle cosche di riferimento come le famiglie Ficara, Alvaro e Pesce;
   secondo le indagini, il legale si sarebbe distinto per essersi messo al servizio del gruppo criminale, costruendo meccanismi per frodare l'ordinamento, evitare i controlli delle forze dell'ordine, fornendo consigli e adoperandosi per la costituzione di società di comodo in paradisi fiscali;
   la vicenda conferma in modo più che evidente l'allarme più volte lanciato dagli interroganti negli ultimi anni;
   il Veneto è un obiettivo per le organizzazioni criminali che hanno scelto la regione per penetrare nel tessuto economico e usarlo come uno strumento per ripulire i proventi illeciti e per aumentare la loro influenza e il loro giro d'affari;
   in questa intensa attività di penetrazione nell'economia locale hanno un ruolo fondamentale alcuni professionisti infedeli e compiacenti che si pongono al servizio dei sodalizi criminali, affiliandosi, per eludere la normativa puntando ai cospicui guadagni che solo l'attività illecita può garantire –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative, di competenza, intenda assumere per proseguire e potenziare l'attività di contrasto delle organizzazioni criminali nel territorio e nel tessuto economico del Veneto. (4-10030)


   POLVERINI, BRUNETTA, SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Carta Costituzionale ha previsto, per i cittadini in uniforme, attraverso il combinato disposto degli articoli 49, 52, 98, il potere/dovere di concorrere democraticamente all'esercizio della sovranità popolare, all'interno di una propria scelta di natura politica;
   proprio per questo, a partire dal 1990, il legislatore non ha più proceduto al rinnovo annuale della disposizione di cui all'articolo 114 della legge n. 121 del 1981 (Nuovo ordinamento dell'amministrazione della pubblica sicurezza), che aveva posto il divieto per gli appartenenti alle forze di polizia di iscrizione a partiti politici;
   in mancanza di ulteriori proroghe, l'articolo 114 della legge n. 121 del 1981 è quindi oggi inoperante, permettendo ope legis a tutti gli appartenenti alla polizia di Stato di iscriversi liberamente a partiti politici senza limitazioni di sorta e di svolgere attività come quella di ricoprire incarichi in seno a movimenti politici;
   nonostante quanto sopra riportato sia noto, risulta agli interroganti l'avvio di un procedimento disciplinare nei confronti dell'assistente della polizia di Stato, Giovanni Iacoi, in quanto, nella qualità di appartenente al Corpo di polizia, avrebbe esercitato i suddetti diritti ricoprendo l'incarico di coordinatore del Lazio de «l'Esercito di Silvio» e preso parte a manifestazioni del movimento politico Forza Italia, a quanto risulta agli interroganti documentalmente al di fuori dell'orario di lavoro, al di fuori del luogo di lavoro e senza mai indossare l'uniforme in ossequio alle prescrizioni cui all'articolo 81 della legge n. 121 del 1981;
   per quanto risulta inoltre agli interroganti, vi sarebbe stata la ripetuta insistenza del dirigente generale dell'ispettorato di pubblica sicurezza presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel motivare e pretendere provvedimenti in merito al caso citato, anche in relazione ad affermazioni che sembrano infondate quali quelle che il signor Giovanni Iacoi avrebbe cancellato dal profilo personale di facebook alcune affermazioni che testimoniavano semplicemente, ed in modo consono al proprio incarico, le proprie posizioni politiche rappresentate in qualità di coordinatore Lazio de «L'Esercito di Silvio»;
   per di più, il suddetto procedimento disciplinare sarebbe stato instaurato oltre i termini di 90 giorni stabiliti dalla normativa (articolo 120 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 in relazione all'articolo 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 e all'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981) –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative per verificare, per quanto di competenza, la legittimità delle azioni riportate in premessa, e, più in generale, come intenda garantire la libertà di espressione politica degli appartenenti alla polizia di Stato e quali urgenti iniziative intenda adottare nei confronti di chi prova a rimuovere le condizioni tese a tutelare tale libertà. (4-10031)


   BERRETTA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Etna è stato inserito nella World Heritage List dell'Unesco;
   tale riconoscimento del vulcano etneo investe di una rinnovata responsabilità e opportunità il territorio del parco in cui esso si trova;
   la regolamentazione della fruizione dell'area sommitale dell'Etna è oggetto di numerose criticità da parte degli addetti ai lavori, come si può evincere dalla lettera, accompagnata da un documento condiviso da numerose sigle di addetti tra le quali CAI e Federescursionismo Sicilia, inviata dal comitato «Etnalibera» il 30 giugno 2015 a tutti i deputati eletti nella circoscrizione Sicilia 2;
   in base alle «Procedure di allertamento rischio vulcanico e modalità di fruizione per la zona sommitale del vulcano Etna» emanate nel 2013 dal dipartimento regionale della protezione civile nel 2013 il libero escursionismo non è concesso minando così, secondo il comitato Etnalibera, le attività economiche legate al turismo sull'Etna;
   tali criticità sono state condivise anche da operatori turistici e guide anche attraverso formali richieste di incontro e confronto con le istituzioni locali, come la prefettura di Catania;
   il collegio regionale delle guide alpine ha presentato ricorso avverso alle restrizioni volute dal dipartimento regionale della protezione civile in data 18 giugno 2015;
   in data 10 luglio 2015 a Nicolosi nel territorio del parco dell'Etna si è svolta una manifestazione a sostegno delle richieste del comitato Etnalibera come riportato dal portale telematico nicolosietna.it;
   l'Etna ricade in massima parte nell'ambito di un parco naturale regionale che ha tra le sue finalità istituzionali la fruizione del bene protetto;
   sulla base di ciò attualmente vigono una legge e due regolamenti: la legge della protezione civile (legge n. 225 del 24 febbraio 1992), sugli interventi di «previsione e prevenzione», e di soccorso in caso di catastrofi naturali, il regolamento del 2003 dell'Ente parco, nato dall'esigenza di contemperare il diritto di godimento della natura con la sua salvaguardia, che dispone alcune norme di cautela da osservare da parte dei visitatori e dal 2013 le nuove norme, ricordate, della protezione civile che di fatto impediscono la fruizione di un'area vastissima dell'Etna anche in situazioni di «ordinaria attività vulcanica»;
   le pesanti restrizioni, oltre a essere secondo l'interrogante in contrasto con la Costituzione e con la legge istitutiva della protezione civile, appaiono contrastanti con gli articoli 822 e seguenti del codice civile sul demanio. Inoltre, la periodica emanazione dei divieti inficia e in alcuni casi impedisce l'attività di guida alpina e vulcanologica che, invece, trova una delle sue ragioni di essere proprio nell'assistere i viaggiatori in caso di accresciuto pericolo o di maggiore difficoltà dell'escursione;
   su tali criticità è stata presentata al governo regionale siciliano una interrogazione;
   sarebbe opportuno: restituire all'Ente parco la piena responsabilità di regolamentare e gestire la fruizione dell'area protetta mantenendo le procedure di monitoraggio e allertamento in capo alla protezione civile; mantenere «la zona gialla» (alto rischio) all'interno della quale chi accede lo fa nella piena consapevolezza dell'elevato, potenziale pericolo e assumendosi anche la responsabilità legale nel caso in cui accompagni persone meno esperte –:
   se intendano promuovere, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo e dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e in necessario raccordo con le autorità regionali competenti, una verifica circa le effettive condizioni di rischio per l'incolumità di visitatori e frequentatori delle aree sommitali dell'Etna, al fine di pervenire ad una revisione delle modalità di accesso e fruizione;
   se non ritengano opportuno promuovere un'apposita campagna di informazione e prevenzione allo scopo di consentire che la fruizione del vulcano, di vitale importanza anche per i risvolti sul turismo e sull'economia dell'area, avvenga in situazione di maggiore sicurezza. (4-10034)


   SALTAMARTINI, BUSIN, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 15 luglio, la prefettura di Treviso ha disposto l'invio di 101 presunti profughi nel comune di Quinto di Treviso, allo scopo di smistarli in una trentina di appartamenti sfitti, situati in palazzine dove vivono anche famiglie trevigiane;
   all'arrivo dei citati migranti ha fatto seguito lo scoppio di proteste da parte della popolazione locale, che ha cercato di opporsi alla distribuzione dei presunti profughi nelle palazzine dove si è deciso di alloggiarli;
   la sistemazione per i presunti profughi a Quinto di Treviso derivava da una convenzione che sarebbe stata stipulata tra la società immobiliare proprietaria dei condomini interessati ed una cooperativa che si occupa della gestione dei migranti irregolari;
   in seguito all'intensità delle proteste, il Governo ha ripiegato su una soluzione alternativa, trasferendo i sedicenti profughi in una caserma dismessa e arrivando addirittura a rimuovere il prefetto che aveva disposto l'operazione;
   suscitano tuttavia preoccupazione le dichiarazioni rese dal prefetto Morcone, secondo le quali il Veneto non potrebbe rifiutare l'accoglienza ai sedicenti profughi, minacciando ulteriori interventi unilaterali;
   due giorni dopo, il 17 luglio, è stata la volta di Roma, città nella quale il Governo ha individuato in una ex scuola di dubbia agibilità, la Socrate, situata nell'area disagiata di Casale San Nicola, la destinazione di altri 100 presunti profughi, di cui i primi 19 arrivati lo stesso giorno e altri 39 arrivati il 21, determinando ulteriori, gravi tensioni, dimostrazioni e proteste;
   anche in questo caso, il trasferimento dei sedicenti profughi risulta essere stato autorizzato dal prefetto territorialmente competente, Franco Gabrielli;
   gli scontri si sono conclusi con un bilancio pesante di feriti, tanto tra le forze dell'ordine, chiamate loro malgrado a dar corso alle deliberazioni assunte dal Governo e a fronteggiare l'ira comprensibile della piazza, quanto tra i residenti –:
   se il Governo ritenga di dover proseguire nella sua politica di distribuzione forzata dei sedicenti profughi sul territorio nazionale, prescindendo dall'effettiva disponibilità di strutture, dall'opinione dei cittadini residenti e dal parere delle autorità locali. (4-10037)


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il caldo degli ultimi giorni ha accentuato l'inadeguatezza degli impianti di climatizzazione degli immobili della questura di Trento situata in viale Verona e degli uffici della Commissione tributaria di I e II grado, polizia postale, Guardia di finanza e carabinieri del NOE, situati in via Vannetti 15, a Trento;
   se nei mesi invernali i menzionati complessi immobiliari sono stati caratterizzati da problemi di riscaldamento, per buona parte del periodo estivo non sono state assicurate ai lavoratori le condizioni minime di igiene e salubrità. Le temperature interne ai locali degli edifici hanno infatti raggiunto livelli prossimi ai 40o provocando situazioni di elevata pericolosità tanto che, come riportato con ampio risalto dalla stampa, un'ispettrice di polizia è stata colpita da malore ed è dovuta ricorrere alle cure sanitarie presso l'ospedale cittadino Santa Chiara;
   l'esigenza che si trovi una soluzione che garantisca un maggiore livello di efficienza energetica degli edifici e un'adeguata manutenzione ordinaria agli impianti nel lungo periodo è quindi sempre più impellente, ferma restando la necessità di un intervento urgente per ripristinare gli impianti nell'immediato –:
   se il Governo intenda assumere iniziative affinché si proceda alla predisposizione di un piano di interventi per l'efficientamento energetico dei complessi immobiliari di cui in premessa e quali iniziative siano in programma per scongiurare il protrarsi della situazione d'emergenza, garantendo il rispetto delle previsioni di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. (4-10040)


   SIBILIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dalle testate giornalistiche nazionali e locali, in data 20 luglio 2015 il prefetto di Avellino Carlo Sessa ha diramato una circolare avente per oggetto «Sospensione patente – articolo 186 del C.d.S.»;
   nella circolare si dispone alle forze di polizia operanti sul territorio provinciale di non ritirare più il documento di guida, in caso di violazione dell'articolo 186, comma 2, lettera B (tasso alcolemico fra 0.81 g.l. e 1,5 g.l.) ma di inviare all'ufficio territoriale di Governo solo il relativo rapporto, motivando tale decisione con il fatto che «la giurisprudenza, ormai costante, di questa provincia, anche in sede di appello annulla ordinanze di sospensione della patente di guida adottate per violazione dell'articolo 186 del codice della strada (circolazione in stato di ebbrezza alcolica) e con la conseguente necessità di  “evitare che l'oggettiva controversa scrittura della norma comporti pesanti ricadute sulla pubblica amministrazione”»;
   il prefetto è la massima autorità di pubblica sicurezza in ambito provinciale ed è il rappresentante del Governo. È, quindi, titolare di poteri e funzioni molto ampi;
   il personale delle forze di polizia nelle vesti di pubblico ufficiale nonché di ufficiale o agente di polizia giudiziaria è tenuto al rispetto di tutte le leggi dello Stato;
   le testate giornalistiche nazionali e locali, a seguito della diffusione della circolare, hanno commentano l'accaduto con titoli e frasi del tipo: «Circolare choc ad Avellino» (La Stampa), «Inatteso gesto di clemenza generalizzata» (Ottopagine), «Colpo di sole del prefetto ?» (Asaps.it – il portale della sicurezza stradale), «Clamorosa ordinanza di Carlo Sessa» (Tgcom24), per citare solo alcuni media;
   la circolare ha suscitato polemiche e prese di posizione da parte del personale degli operatori stradali, polizia, carabinieri e polizia locale e municipale e anche del sindacato di categoria. Ad esempio, Stefano Spagnoli, segretario nazionale della Consap ha affermato: «Gravissima la circolare del Prefetto di Avellino con la quale si dispone che le forze dell'ordine non procedano più al ritiro della patente nei confronti di chi guida veicoli in stato di ebbrezza»;
   sembra che il prefetto Sessa abbia provveduto a ritirare la circolare finita al centro delle polemiche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se la circolare de qua sia stata già ritirata in modo da restituire alle forze di polizia la certezza del diritto necessaria al loro agire professionale quotidiano e se non intenda assumere una qualche iniziativa nei confronti del prefetto Sessa per l'atto, a giudizio dell'interrogante, incautamente emanato. (4-10043)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in comune di Orzinuovi (BS) la locale sezione della Lega Nord ha organizzato una campagna contro i profughi tramite appelli in rete e banchetti pubblici previsti per il prossimo venerdì 31 luglio in occasione del mercato di Orzinuovi, chiedendo di segnalare all'indirizzo della sede locale del partito la presenza di profughi sul territorio, diffondendo materiale dall'inequivocabile titolo razzista ed intimidatorio «SEGNALA IL CLANDESTINO» https://www.facebook.com/events/889419281142209/
   da quanto si apprende dalla stampa locale e nazionale la Segretaria della Lega Nord di Orzinuovi, Federica Epis dichiara: «Eviteremo l'invasione che invece vorrebbe l'amministrazione comunale che ha dato disponibilità ad accogliere i profughi», «La cosiddetta "accoglienza" è in realtà un business finanziato a spese di chi paga le tasse perché i nostri soldi vengono usati per pagare vitto, alloggio, sigarette e mancetta giornaliera a chi arriva qui illegalmente coi barconi. Chi ci guadagna sono enti pubblici o privati, ma anche singoli cittadini, che intascano più di mille euro al mese per ogni clandestino "accolto". Questo è il motivo per cui lanciamo la Campagna di segnalazione. Orzinuovi è una comunità unita e coesa, soprattutto su questi temi non ci sono distinzioni di partito che tengano. Ognuno di noi è responsabile per il futuro del nostro paese, ognuno può e deve vigilare affinché non venga meno il vincolo di lealtà e di fiducia che ci lega gli uni agli altri. Non è accettabile che qualcuno cerchi di ospitare i clandestini solo per fare palanche scaricando i costi economici e sociali su tutti gli altri»;
   palese ed evidente è l'intento intimidatorio verso le strutture rivolte all'accoglienza delle persone in difficoltà e dei singoli cittadini disponibili a dare il loro contributo per aiutare il sistema dell'accoglienza come richiesto dalla prefettura di Brescia per far fronte all'emergenza dei rifugiati in fuga da aree di guerra e conflitto;
   l'istigazione all'odio razziale verso i rifugiati e richiedenti asilo politico è palesemente perseguita, da queste iniziative della Lega Nord;
   leggi dello Stato Italiano vietano in modo esplicito tale propaganda e tali comportamenti –:
   quali azioni, di competenza, il Ministro interrogato e la questura di Brescia abbiano adottato o intendano adottare per impedire l'organizzazione di iniziative finalizzate alla diffusione di messaggi discriminatori, improntati all'istigazione all'odio razziale e intimidatori nei confronti di Istituzioni pubbliche, Associazioni, soggetti privati, chiamati a collaborare dalla Prefettura di Brescia nella gestione del piano di accoglienza previsto dal Governo. (4-10056)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alla Sardegna sono stati assegnati zero nuovi insegnanti;
   alla regione con la maggior dispersione scolastica lo Stato assegna zero nuovi insegnanti;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha appena pubblicato i dati sull'aumento dei posti in organico di fatto: Lombardia 755 nuovi insegnanti, l'Emilia Romagna 716, al Piemonte 500, alla Sicilia 420, alla Toscana 320, Lazio 280, Calabria 260, Puglia 250, Campania 240;
   si tratta di un vero e proprio scandalo visto che le regioni del Nord e la Sicilia conquistano centinaia di posti aggiuntivi mentre alla Sardegna ne spettano zero;
   si tratta di posti assegnati in seguito di specifiche richieste da parte degli uffici scolastici regionali;
   la Sardegna, su 4.255 nuovi insegnanti, non ha chiesto niente o peggio non ad essa è stato concesso niente;
   l'offerta scolastica formativa in Sardegna resterà ai minimi termini e gli insegnanti sardi saranno costretti ad emigrare, se troveranno posto altrove;
   le altre regioni si sono ingegnate per ampliare l'offerta formativa, giustificare, chiedere nuovo corpo docente;
   da questo quadro sembrerebbe che qui tutto vada a «gonfie vele» e che nessuno abbia tenuto conto del drammatico dato pubblicato qualche mese fa la Sardegna registra un tasso del 25,8 per cento di giovani tra i 18 e i 24 anni che non riescono a conseguire un diploma o una qualifica di scuola secondaria superiore;
   si tratta del peggior risultato in tutta Italia, un record negativo che oggi registra questo dato incredibile di zero insegnanti aggiuntivi;
   la regione peggiore nella graduatoria della dispersione scolastica, ultima nei rimedi;
   si tratta di un fatto gravissimo, con una Sardegna che appare all'interrogante calpestata e umiliata;
   si è dinanzi ad un dato sconcertante che sta creando la giusta indignazione nel corpo docente sardo ma anche tra coloro che attendevano queste nuove assegnazioni per migliorare l'offerta formativa in Sardegna;
   essere la regione con la maggior dispersione scolastica sembra per il Ministero e la stessa giunta regionale un fatto marginale per il quale non era necessario assumere iniziative adeguate per rafforzare e migliorare l'offerta didattica e formativa;
   è indispensabile un vero e proprio «piano Marshall» per la scuola; invece, risultano zero richieste e zero concessioni;
   qualsiasi giustificazione a questa situazione inaccettabile sarà secondo l'interrogante un pretesto per nascondere responsabilità gravi di una decisione al limite del paradosso;
   i posti aggiuntivi assegnati non ammontano alla richiesta totale di 6 mila unità, ma è davvero ingiustificabile un'attribuzione alla Sardegna di zero insegnanti aggiuntivi;
   a questo si aggiunge che anche i posti degli organici di fatto già predisposti saranno in parte o del tutto occupati da coloro che hanno avuto punteggi altissimi, come quelli siciliani, che si preparano ad invadere le altre regioni, compresa la Sardegna;
   chi ha deciso queste assegnazioni non ha minimamente tenuto conto delle esigenze di una regione che registra, per esempio nelle scuole di formazione professionali, abbandoni addirittura del 49;3 per cento dei ragazzi, il 31 per cento dopo il biennio iniziale;
   dati che avrebbero dovuto far riflettere e attivare le contromisure, in realtà regione e Stato hanno dimostrato, secondo l'interrogante, di non avere alcun interesse alla Sardegna e alla formazione dei suoi giovani, anzi ponendo in essere in sostanza un ennesimo ulteriore atto ostile verso la Sardegna e i sardi;
   sarebbe auspicabile che la regione impugnasse questi atti presentando il ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge di riforma della scuola che si pone in modo grave in contrasto con lo statuto e le prerogative costituzionali della Sardegna –:
   se e come il Governo intenda porre rimedio a questa situazione inaccetabbile che, ad avviso dell'interrogante, umilia la Sardegna e la scuola sarda;
   se non intenda assumere iniziative per definire un parametro di attribuzione di insegnanti aggiuntivi in base alla dispersione scolastica di ogni singola regione;
   se non intenda comunque rivalutare gli atti in questione in relazione alla corretta applicazione delle norme costituzionali e di quelle statutarie proprie della Sardegna. (5-06199)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio del 2015, presso il liceo classico Giovanni Prati di Trento, nell'ambito di una cogestione di due giorni, gli studenti hanno organizzato un dibattito sul tema «Ius soli e matrimoni gay». In occasione dell'evento, Lorenzo Borga, studente del liceo, ha denunciato l'esclusione dal dibattito dei rappresentanti del Movimento Cinque Stelle, unica forza politica non invitata a esporre le propria visione in riferimento al tema;
   da notizie di stampa si è appreso che la dirigente scolastica, la dottoressa Maria Pezzo, si sarebbe opposta alla partecipazione del portavoce del M5S sostenendo che, non trattandosi di esponenti di un partito politico, non sarebbero stati adatti ad affrontare temi così delicati;
   in 23 luglio 2015 si è appreso, secondo quanto riportato dalla stampa, che il fatto di aver espresso il proprio pensiero critico in ordine alla violazione dei principi di pluralità e di democraticità del confronto, in occasione dell'assemblea di istituto del 23 gennaio, sarebbe costato a Lorenzo Borga l'attribuzione di un 7 in condotta. Tale provvedimento sarebbe stato motivato dal professore coordinatore di classe sulla base di un presunto mancato rispetto nei confronti dell'istituzione scolastica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per garantire il rispetto dei princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia e più specificatamente dal decreto del Presidente della Repubblica del 24 giugno 1998, n. 249, e dai successivi provvedimenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. (4-10054)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI, BOCCUZZI, BARUFFI, GIACOBBE, GRIBAUDO, MICCOLI, ROSTELLATO e ROMANINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 19 dicembre 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, da parte dell'INAIL, l'avviso pubblico per l'assegnazione di incentivi alle imprese, anche individuali, per la realizzazione di progetti di investimento per migliorare le condizioni di salute e sicurezza sul lavoro o per l'adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale in attuazione all'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni e integrazioni;
   il bando ha stanziato 267 milioni di euro. Il contributo, pari al 65 per cento delle spese sostenute dall'impresa per la realizzazione del progetto, va da un importo minimo di 5.000 euro e ad uno massimo di 130.000 euro. Per le imprese fino a 50 dipendenti che hanno presentato progetti per l'adozione di modelli organizzativi e di responsabilità sociale non è fissato il limite minimo di contributo;
   dal 3 marzo al 7 maggio 2015 le imprese registrate al sito INAIL hanno avuto a disposizione un'applicazione informatica per la compilazione della domanda che ha consentito loro di effettuare simulazioni relative al progetto da presentare, verificando il raggiungimento del punteggio «soglia» di ammissibilità. Dal 12 maggio 2015 le imprese che hanno raggiunto la soglia minima di ammissibilità hanno potuto effettuare il download del proprio codice identificativo che le individua in maniera univoca;
   il 25 giugno 2015 (cosiddetto «click day»), dalle ore 16 alle ore 16,30 le imprese hanno potuto inviare attraverso lo sportello informatico la domanda di ammissione al contributo, utilizzando il codice identificativo attribuito alla propria domanda;
   i finanziamenti vengono assegnati fino a esaurimento, secondo l'ordine cronologico di arrivo delle domande;
   diverse imprese e associazioni d'impresa hanno lamentato che dopo soli 5/6 secondi il sistema di ricezione delle istanze non accettava più domande di finanziamento per l'esaurimento dei fondi a disposizione;
   quello dell'assegnazione dei fondi secondo l'ordine cronologico di arrivo delle domande parrebbe quindi non essere il più appropriato a fronte del grande interesse che questo bando suscita ogni anno nelle imprese che desiderano investire nella sicurezza sul lavoro. Esso infatti prescinde dalla qualità delle proposte di investimento e premia con contributi pubblici soprattutto la rapidità nell'invio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle problematicità connesse all'erogazione degli incentivi INAIL di cui all'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, più volte denunciate dalle imprese e dalle associazioni d'impresa, e se non ritenga di assumere iniziative affinché l'INAIL riveda tale modalità di assegnazione dei fondi stanziati al fine di premiare maggiormente la qualità e l'efficacia delle proposte di intervento e non solamente la rapidità nell'invio delle istanze nel «click day». (5-06166)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOSCATT. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il programma «Garanzia Giovane» sta offrendo un'importante opportunità per tanti giovani;
   una regione come la Sicilia, seppur con notevole ritardo rispetto ad altre regioni, sta permettendo a ragazzi e ragazze di fare delle esperienze professionali di tirocinio presso Enti e aziende del territorio;
   al di là dell'importante aspetto formativo, in questo particolare momento di crisi economica, la «Garanzia Giovane» garantisce anche un non trascurabile sostegno economico personale;
   a oggi molti giovani partecipanti lamentano ritardi nei pagamenti dei propri contributi economici;
   a seguito di approfondite ricerche di chiarimento non si comprendono né le ragioni né la responsabilità di tali ritardi –:
   quali siano le ragioni di tali ritardi;
   se non ritenga opportuno adoperarsi affinché tale situazione, divenuta inaccettabile per tanti giovani, venga superata prima possibile. (4-10024)


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sono 160 i dipendenti della Cir di Tocco da Casauria (PE) che escono da un anno di cassa integrazione;
   il 30 luglio 2015 scade la cassa integrazione guadagni straordinaria (Cigs) e per ora non c’è certezza che venga prorogata per altri sei mesi come avevano più volte chiesto i lavoratori della Compagnia italiana rimorchi (Cir);
   i sindacati sottolineano come ci sia il forte rischio per questa auspicata proroga e i lavoratori dello stabilimento di Tocco e altrettanti della Cardi di Verona e della Viberti di Torino, perderanno ogni tipo di ammortizzatore sociale;
   insomma il 30 luglio 2015 potrebbe essere la data della chiusura definitiva della Cir –:
   se non intenda intervenire per scongiurare il rischio che i lavoratori perdano la proroga di altri sei mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria e conseguentemente il posto di lavoro. (4-10027)


   SIBILIA e PETRAROLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   fino al 31 maggio 2002 i cittadini italiani e quelli con doppia nazionalità italiana-elvetica potevano chiedere il trasferimento dei loro contributi AVS all'INPS in favore di una pensione italiana maggiore, come specificato dall'articolo 1, commi 1 e 3, dell'accordo aggiuntivo del 4 luglio 1969 della convenzione italo-svizzera relativa alla sicurezza sociale;
   dal 1o giugno 2002 veniva introdotto il criterio della «riparametrizzazione»: poiché in Svizzera l'aliquota contributiva su cui calcolare la retribuzione pensionabile era nettamente inferiore a quella italiana, non si percepiva la pensione che si sarebbe percepita in Svizzera e su cui erano stati versati i contributi, ma si «parametrava» — ovvero si rendeva proporzionale — all'aliquota contributiva;
   per anni l'INPS e gli altri istituti di previdenza italiani hanno ricalcolato i contributi AVS trasferiti dalla Svizzera, tenendo conto dei contributi AVS nettamente inferiori ai contributi italiani (8,47 per cento in Svizzera, 32 per cento in Italia);
   il criterio di «riparametrizzazione» era diverso da una sede INPS provinciale all'altra. Normalmente l'INPS accreditava i periodi di lavoro svizzero per circa un terzo, talvolta meno;
   nel 2003 il tribunale di Bergamo dava ragione ad un ricorrente obbligando l'INPS a tenere conto, per il calcolo della pensione, della retribuzione effettiva percepita in Svizzera senza «riparametrizzazione»;
   avverso questa sentenza l'INPS faceva ricorso;
   la sentenza n. 4623 della Corte di cassazione civile, sez. lavoro, depositata il 6 marzo 2004, dichiarava illegittima la «riparametrizzazione» e invitava i titolari di quelle pensioni a chiedere il ricalcolo della pensione. Ciò ha spinto molte pensionati a fare domanda all'INPS e, in caso di diniego, a ricorrere in tribunale. In tutte le cause successive l'INPS sosteneva che il caso di Bergamo fosse un caso particolare che non poteva essere motivo di ricorso per gli altri;
   successivamente la Corte di Appello di Brescia ha riformato la sentenza di Bergamo, ritenendo giusta la «riparametrizzazione» operata dall'INPS;
   mentre si attendeva il giudizio da parte della Corte di cassazione, è sopravvenuta la legge finanziaria 2007 (legge 27 dicembre 2006 n. 296) che, all'articolo 1, comma 77, prevedeva la possibilità per l'INPS di riparametrare i contributi esteri, dando un esatto metodo di calcolo che comportava l'aumento del 3,1 della pensione; la Corte europea dei diritti dell'uomo con la sentenza del 31 maggio 2011 (causa Maggio e altri c. Italia) e quella più recente del 15 aprile 2014 (causa Stefanetti e altri c. Italia) ha, invece, condannato lo Stato italiano a risarcire i lavoratori italiani in Svizzera che hanno trasferito i contributi in Italia e che non hanno ricevuto quanto loro spettante in base ad accordi italo-elvetici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere nel rispetto dell'ultima sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, datata 15 aprile 2014, al fine di porre fine a una palese ingiustizia. (4-10038)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un documento riservato redatto il 22 luglio 2015 dalla direzione generale agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea relativamente alla normativa europea che disciplina l'uso dei nomi varietali dei vini e dei loro sinonimi, fa esplicito riferimento al Vermentino di Gallura e al Vermentino di Sardegna e alla relativa indicazione geografica;
   il documento dell'importante direzione generale della Commissione europea mette nero su bianco risultati del vertice su «GREX for the common organisation of the agricultural markets» del 22 luglio 2015, nel quale si afferma che alcuni nomi varietali dei vini notificati dai Paesi membri e ricadenti nelle previsioni di cui all'articolo 62, paragrafi (3) e (4), del Regolamento 607/2009 sarebbero difformi rispetto ai criteri di classificazione e definiti alla normativa comunitaria vigente;
   la Commissione ritiene che i Paesi membri applicano criteri differenti per notificare i nomi dei varietali da inserire nelle liste richiamate dalla sopra citata disposizione dell'articolo 62 creando quindi difformità anche nell'applicazione dell'articolo 100 del regolamento 1308/2013;
   il documento comunitario già trasmesso al Governo italiano attraverso la rappresentanza italiana a Bruxelles impone di fatto di fissare dei criteri guida che impongano ai Paesi membri, e in particolar modo all'Italia e dunque alla Sardegna, di modificare le liste dei varietali e dei loro sinonimi a livello nazionale;
   il disposto del 3 paragrafo del regolamento 1308/2013 prevede: «Il nome di una varietà di uva da vino, se contiene o è costituito da una denominazione di origine protetta o da un'indicazione geografica protetta, non può essere utilizzato nell'etichettatura dei prodotti agricoli. Per tener conto delle pratiche esistenti in materia di etichettatura, alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all'articolo 227 intesi a stabilire le eccezioni a tale regola»;
   l'articolo 62 del regolamento 607/2009 introduce, nei paragrafi (3) e (4) delle eccezioni a questa previsione stabilendo che:
    paragrafo 3: «In deroga all'articolo 42, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 479/2008, i nomi di varietà di uve da vino o i loro sinonimi elencati nell'allegato XV, parte A, del presente regolamento, che contengono o sono costituiti da una denominazione di origine protetta o da un'indicazione geografica protetta, possono figurare sull'etichetta di un prodotto a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta o recante un'indicazione geografica di un paese terzo solo se erano autorizzati in virtù delle norme comunitarie in vigore l'11 maggio 2002, o alla data di adesione degli Stati membri se posteriore»;
    paragrafo 4 (caso del VERMENTINO): «I nomi di varietà di uve da vino e i loro sinonimi elencati nell'allegato XV, parte B, del presente regolamento che contengono in parte una denominazione di origine protetta o un'indicazione geografica protetta e si riferiscono direttamente all'elemento geografico della denominazione di origine protetta o dell'indicazione geografica protetta, possono figurare esclusivamente sull'etichetta di un prodotto a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta o a indicazione geografica di un paese terzo»;
   dalla lettura dell'Allegato XV (B) del regolamento 607/2009, come richiamato dall'articolo 62 paragrafo (4), emerge con chiarezza che la denominazione VERMENTINO può esclusivamente apparire sull'etichetta di vini con indicazione geografica «Di Gallura» o «Di Sardegna»;
   la suddetta norma è stata recepita in Italia con il decreto 13 agosto 2012 Disposizioni nazionali applicative del regolamento (CE) n. 1234/2007 del consiglio, del regolamento applicativo (CE) n. 607/2009 della Commissione e del decreto legislativo n. 61 del 2010, per quanto concerne le DOP, le IGP, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti del settore vitivinicolo;
   si tratta di una previsione importante che circoscrive a favore della Sardegna e dei suoi prodotti l'uso del varietale VERMENTINO, oltre a rappresentare una norma che consente di contrastare efficacemente molti casi di contraffazione;
   di particolare rilievo a questo fine è la disposizione dell'articolo 52 paragrafo (1) del Regolamento 607/2009 la quale dispone che: «I prodotti con un'etichettatura o una presentazione non conformi alle pertinenti disposizioni stabilite dal presente regolamento non possono essere commercializzati nella comunità né esportati»;
   è evidente l'intenzione della Commissione europea di adottatore un atto delegato, proprio come previsto dal sopra richiamato articolo 100 paragrafo (3) del Regolamento 1308/2013, per modificare la lista escludendo la denominazione VERMENTINO;
   tale intenzione è manifestata in modo esplicito proprio in riferimento al vermentino che viene citato esplicitamente nel sopra citato documento che riporta quanto segue:
    «In accordo con questo quadro giuridico, le varietà di uve da vino che non rientrano ai sensi dell'articolo 62 (3) e (4) dovrebbe, in teoria, essere autorizzati come l'etichettatura particolare, purché questo uso non induce in errore il consumatore sulla natura e l'origine dei prodotti in questione:
     esempio: nome della varietà Vermentino contiene parzialmente DOP IT Vermentino di Sardegna o il Vermentino di Gallura, ma Vermentino non fa riferimento direttamente all'elemento geografico della DOP, e cioè «Gallura «o» Sardegna»;
   appare evidente l'obiettivo della Commissione europea di scorporare l'indissolubile marchio di «vermentino di Sardegna» e di «vermentino di Gallura»;
   l'obiettivo è quello di eliminare l'indissolubile legame tra la denominazione varietale e l'indicazione geografica di Sardegna e Gallura;
   un'operazione a giudizio dell'interrogante gravissima perché messa in campo dalla direzione generale Agricoltura che dovrebbe occuparsi di tutelare le specificità varietali con precisa indicazione geografica;
   l'obiettivo di rendere autonomo e indipendente il tipo varietale del Vermentino dal richiamo oggi indissolubile anche sul piano giuridico con l'indicazione geografica può rappresentare un danno economico rilevantissimo dando il via a quella che appare all'interrogante la più rilevante operazione di «contraffazione autorizzata» su uno dei vini più rinomati della Sardegna –:
   se non intenda rigettare con assoluta risolutezza tale tentativo della Commissione europea di cancellare questo indissolubile connubio tra l'indicazione varietale e quella geografica;
   se non intenda opporsi con ogni utile valida e urgente iniziativa tesa a tutelare i marchi «varietali con indicazione geografica» al fine di valorizzare il legame consolidato sotto ogni punto di vista tra la varietà e l'indicazione geografica;
   se non intenda proporre, nell'ambito del recepimento delle norme comunitarie e della fase ascendente del rapporto con la Commissione europea un'iniziativa che rafforzi questa diretta dipendenza indissolubile tra indicazione geografica e denominazione varietale;
   se e come intenda tutelare il «Vermentino di Sardegna» e il «Vermentino di Gallura» nella loro indissolubile ed esclusiva denominazione varietale e geografica. (5-06186)

Interrogazioni a risposta scritta:


   L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, BENEDETTI e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 agosto 2012, n. 135, ha stabilito la soppressione immediata dell'ASSI (subentrata all'UNIRE con legge 15 luglio 2011, n. 111 ma mai dotata di statuto) con il passaggio al Ministero competente, tra l'altro, di tutti i rapporti passivi e attivi;
   la rendicontazione di chiusura del bilancio, alla data del 14 agosto 2012, nonché la rendicontazione al termine del 2012 hanno evidenziato residui attivi, in larga parte, imputabili a minori introiti previsti dal bando di concessione tra Agenzia delle dogane e dei monopoli e agenzie per l'accettazione di scommesse ippiche, il quale imponeva la corresponsione dei cosiddetti «minimi garantiti» e prelievi a favore del settore ippico, quale terzo beneficiario;
   tra i «residui attivi» compaiono i cosiddetti «lodi arbitrali». I lodi (all'esito delle procedure arbitrali promosse dai concessionari delle scommesse ippiche, che da verifica operata attraverso il totalizzatore SOGEI al 19 ottobre 2012 ammontavano a oltre 44 milioni di euro) condannarono il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero in indirizzo al risarcimento dei danni subiti dai predetti per inadempimenti delle amministrazioni: risarcimento che i concessionari hanno operato nel corso degli anni tramite la trattenuta dalle somme da destinare all'ASSI (ex UNIRE) –:
   a quanto ammontino oggi i crediti ippici motivati dai predetti lodi e dai mancati regolari pagamenti del dovuto dai concessionari delle scommesse ippiche;
   quali iniziative siano state adottate o si intendono adottare per consentire il pagamento delle spettanze dovute a beneficio della filiera ippica. (4-10023)


   L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della epidemia causata dal batterio Xylella fastidiosa che ha devastato intere coltivazioni della regione Puglia, la tutela dell'olivicoltura regionale, e in particolare di quella salentina, è diventata una priorità non solo nazionale ma anche europea;
   tra gli interventi messi a punto per fronteggiare l'emergenza fitosanitaria e sostenere le aziende agricole gravemente danneggiate, il decreto legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, consente l'accesso agli interventi compensativi di cui al fondo di solidarietà nazionale istituito dal decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, alle imprese agricole che hanno subito danni a causa di infezioni di organismi nocivi ai vegetali con priorità, tra l'altro, per quelli legati alla diffusione del batterio Xylella fastidiosa;
   esperite tutte le procedure necessarie ad attivare gli interventi, al fine di ovviare ai danni causati alle produzioni agricole e alle strutture aziendali, il 21 luglio 2015 il Ministro interrogato ha firmato il decreto di declaratoria del carattere di eccezionalità delle infezioni di Xylella fastidiosa, che consente, di fatto, alle aziende interessate di beneficiare delle provvidenze previste;
   il citato decreto legislativo n. 102 del 2004 dispone che possono beneficiare degli interventi compensativi le imprese agricole che hanno subito danni superiori al 30 per cento della produzione lorda vendibile ma molte aziende interessate dal disseccamento rapido dell'ulivo hanno produzioni differenziate costituite non solo da uliveti ma anche da frutteti e vigneti; è indispensabile chiarire, per consentire la fruizione degli indennizzi alla maggior parte delle aziende danneggiate, se la quota in parola è da riferire alla sola produzione olivicola o se debba invece calcolarsi sul totale delle colture;
   a oggi, in attesa di una più chiara definizione dei percorsi di accesso ai benefici economici, la regione Puglia ha interrotto le procedure per la ripartizione dei fondi ed è pertanto previsto un prolungamento dei tempi che certamente aggrava la condizione di molte aziende che registrano una significativa contrazione dei propri redditi –:
   se non ritenga urgente assumere iniziative al fine di chiarire la norma di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 102 del 2004 e consentire l'accesso agli indennizzi per le aziende agricole interessate dall'emergenza fitosanitaria causata dal batterio Xylella fastidiosa. (4-10025)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in merito al meccanismo di verifica delle esenzioni, in base al reddito, dalla compartecipazione alla spesa sanitaria, tramite il supporto del sistema tessera sanitaria si pone la necessità di una riflessione che la categoria E04 che interessa i pensionati sopra i 60 anni con pensione al minimo;
   la legge prevede l'accesso per i titolari di pensioni al minimo di età superiore a sessant'anni e loro familiari a carico, appartenenti a un nucleo familiare con un reddito complessivo inferiore a 8.263,31 euro, incrementato fino a 11.362,05 euro in presenza del coniuge e in ragione di ulteriori 516,46 euro per ogni figlio a carico;
   in Sicilia sono stati effettuati una serie di controlli sulla platea dei pensionati che non sono presenti nell'elenco Inps dei trattamenti integrati al minimo e che hanno, in buona fede, richiesto l'esenzione del ticket per reddito;
   per molte di queste persone stanno arrivando avvisi di pagamento, per gli anni 2012 e 2013, con importi molto elevati;
   si tratta di una fascia di popolazione spesso in condizioni comunque di disagio economico e che trovandosi in età avanzata necessita di controlli frequenti e di farmaci;
   solo per fare due esempi in questa platea oggetto di controllo ricadono un pensionato solo con pensione di 516,19 euro e un pensionato con carico familiare con pensione di euro 542,89;
   in una forbice che oscilla tra 14 e 40 euro si consuma una profonda iniquità;
   in questi giorni si parla di razionalizzazione della spesa e di contrasto agli sprechi per garantire comunque un servizio universale ai cittadini –:
   se e quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di evitare che i controlli possano trasformarsi in vessazioni per cittadini che comunque presentano con certezza un quadro di reddito prossimo al trattamento minimo, come riportato in premessa attraverso alcuni esempi, e di verificare la possibilità di non sospendere per questi cittadini l'esazione degli avvisi di pagamento ricevuti in attesa di un chiarimento sulla attuale disciplina e sulle misure eventuali di correzione legate a un processo più ampio di riforma dei meccanismi di esenzione dalla compartecipazione alla spesa. (5-06168)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella risposta all'interrogazione n. 5-06119 del 23 luglio 2015, in merito alla riorganizzazione dei punti nascita in Sicilia, il sottosegretario per la salute delegato, ha dichiarato che sulla base delle interlocuzioni avvenute tra il Ministero e l'assessorato regionale, entro il 31 dicembre 2015, saranno chiusi i centri di: Mussomeli (CL), Bronte (CT), Lipari (ME), Mistretta (ME), peraltro già chiuso, Petralia Sottana (PA), S. Stefano di Quisquina (AG), Licata (AG);
   il medesimo esponente del Governo ha altresì aggiunto che, alla luce delle notevoli difficoltà di accesso alle piccole isole e a località disagiate, causate dalle particolari condizioni orografiche e dagli insuperabili disagi alla viabilità che rendono complicati i collegamenti con il territorio e che potrebbero comportare inadeguatezza dell'assistenza sanitaria, la regione siciliana ha effettuato due richieste di deroga alla chiusura di diversi punti nascita, alcuni dei quali elencati nella suindicata risposta, da sottoporre al vaglio preventivo del Ministero della salute;
   al riguardo, lo stesso rappresentante del Governo, ha segnalato che alla regione siciliana erano state impartite prescrizioni (che hanno riguardato la riorganizzazione dei punti nascita, con particolare riferimento a quelli con volumi di attività inferiori a 500 parti/anno), a seguito dell'ispezione avviata dopo il decesso di una neonata verificatosi nella provincia di Catania il 12 febbraio 2015 e altri eventi avversi che hanno riguardato il percorso materno infantile, eventi che hanno rivelato diverse criticità più volte evidenziate, tra l'altro, nel contesto delle verifiche del Comitato LEA;
   il suesposto scenario (prospettato nella risposta fornita dal Governo all'interrogazione in precedenza richiamata), che si inserisce nell'ambito della rimodulazione della rete materno-infantile contenuta nel piano sanitario della regione siciliana, a giudizio dell'interrogante, desta sconcerto e preoccupazione, sia con riferimento al numero dei punti nascita che si prevede di chiudere entro la fine dell'anno in corso, ritenuto eccessivo e penalizzante per le comunità siciliane delle province coinvolte (posto che la cessazione dei servizi determinerà gravissimi effetti in termini di livelli essenziali di assistenza (LEA)) sia soprattutto in ordine alle conseguenze connesse al sistema della viabilità delle province interessate; le decisioni assunte evidentemente non considerano adeguatamente gli estremi livelli di criticità connessi alla rete infrastrutturale stradale, in particolare quella della provincia di Agrigento, che rendono assai complicati i servizi di collegamento non solo stradali, per i residenti coinvolti;
   l'interrogante, al riguardo, evidenzia come le condizioni della viabilità nell'isola estremamente precarie ed insufficienti, oltre a ledere pesantemente il diritto alla mobilità nella regione siciliana e la continuità territoriale, nell'ambito della garanzia dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini e della coesione di natura economica e sociale, confermano, anche in tema di diritto alla salute e all'assistenza sanitaria, la necessità di accelerare da parte del Governo le politiche d'investimento e di sostegno infrastrutturale legate alla viabilità nell'isola, evidentemente assenti nell'agenda dell'Esecutivo in carica;
   gli elevati livelli di pericolosità stradale attestati dal numero di incidenti, molti dei quali purtroppo mortali, verificatisi nel corso degli ultimi anni, proprio nella provincia di Agrigento, in cui il Governo è intenzionato a chiudere alcuni «punti nascita», confermano a parere dell'interrogante come tali decisioni siano improvvide e assunte con avventatezza, in quanto esse non valutano con particolare attenzione le gravi carenze e le inefficienze dei tratti stradali dell'agrigentino, le cui condizioni peggiorano costantemente –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con quanto esposto in premessa;
   se, in considerazione delle difficoltà connesse ai collegamenti stradali, che interessano le comunità locali in particolare quelle della provincia di Agrigento coinvolte dalla chiusura dei punti nascita prevista per il 31 dicembre 2015, il Ministro interrogato non ritenga opportuno rivedere le proprie determinazioni, stanti gli elevati livelli di criticità in ordine alla viabilità che determinerebbero inevitabili e gravi ripercussioni sull'assistenza sanitaria;
   in caso contrario, quali iniziative di competenza intendano assumere, nell'ambito delle rispettive competenze, al fine di garantire i necessari livelli di assistenza sanitaria nei riguardi delle comunità siciliane interessate dalla chiusura dei punti nascita, nonché potenziare il sistema della viabilità in particolare la strada statale n. 115 Agrigento, Licata, Gela, che risulta essere in condizioni di estrema gravità dal punto di vista della sicurezza. (4-10026)


   CORDA, VALLASCAS, MANTERO e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei territori di Tempio Pausania e Calangianus, comuni dell'alta Gallura, si segnala un progressivo e inesorabile depotenziamento dei servizi sanitari territoriali;
   tale progetto di depotenziamento dei servizi in danno dell'ospedale Paolo Dettori di Tempio Pausania vede la luce nel lontano 2011, quando il 20 luglio 2011 il consiglio regionale con la delibera n. 31/2 ha declassato la struttura ospedaliera di Tempio Pausania da DEA di 1o livello (dipartimento emergenza accettazione; ospedali che offrono servizi sanitari medio-alti) a struttura ospedaliera in pronto soccorso semplice, dove si compiono interventi diagnostico-terapeutici, di stabilizzazione e cura del paziente, di ricovero oppure di trasferimento urgente al DEA (Spoke) di riferimento, secondo i protocolli concordati per le patologie di maggiore complessità o che richiedano tecnologie più appropriate;
   tutto ciò senza prendere in considerazione un fattore molto importante e cioè che il centro più vicino a Tempio Pausania è Olbia che si trova a 45 chilometri di distanza, ma raggiungerla significa dover affrontare una strada che versa in condizioni disastrose, a causa di una deviazione causata dalla tragica alluvione del 18 novembre 2013, che ha generato uno smottamento costato la vita a 3 persone. Si mette in evidenza, quindi, la carenza strutturale della rete viaria che collega Tempio Pausania (e quindi l'ospedale Paolo Dettori) con la città di Olbia, collegata dalla strada provinciale 136, oggetto del tragico crollo del novembre 2013, a seguito del quale la strada è stata interrotta e da allora viene utilizzata in alternativa quella che collega Telti con Olbia, tratto ancora più tortuoso, con una perdita di tempo di oltre 12/15 minuti rispetto al tempo medio di percorrenza di 45 minuti;
   alla luce dell'attuale condizione delle rete stradale è evidente che una persona colpita da un infarto del miocardio potrebbe non giungere in tempo utile presso la struttura ospedaliera di Olbia;
   tale deroga permarrà fino alla data del 2016, anno in cui tali posti letto verranno sottratti alle strutture già esistenti sul territorio regionale per favorire la Qatar Foundation e impedendo di fatto a chiunque di poter fruire di un servizio essenziale garantito costituzionalmente dall'articolo 32 della nostra Costituzione –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riguardo all'effettivo rispetto dei livelli essenziali di assistenza, alla luce delle criticità logistiche che caratterizzano l'Alta Gallura. (4-10029)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'ACI ha indetto un concorso pubblico per esami per il conferimento di dodici posti di dirigente di seconda fascia, nel ruolo del personale dirigente dell'Automobile Club d'Italia. Il testo integrale del bando è pubblicato sul sito istituzionale dell'Ente www.aci.it nella sezione pubblicità legale/bandi di concorso;
   come dispone espressamente l'articolo 1, comma 425, della legge n. 190 del 2014, è prioritaria la ricollocazione dei dipendenti provinciali in sovrannumero, fatto poi confermato anche con la deliberazione della Corte dei conti, sezione autonomie, 16 giugno 2015, n. 19. Tale priorità vale per qualsiasi tipo di assunzione che si ponga in contrasto con gli scopi delle norme citate;
   il bando sembra all'interrogante non rispettare le disposizioni contenute nella legge n. 190 del 2014 commi 421, 422, 425, senz'altro applicabili anche all'Automobile Club d'Italia, al quale, in vigenza delle disposizioni indicate, sarebbe consentito esclusivamente negli anni 2015 e 2016 assumere vincitori di concorsi le cui graduatorie risultino vigenti o approvate alla data dell'1 gennaio 2015 o lavoratori in sovrannumero delle province. La circostanza, invece, che l'Ente ACI abbia bandito il concorso evidenzierebbe che non vi siano graduatorie vigenti o approvate alla data del 1o gennaio 2015;
   l'assunzione relativa all'avviso pubblico in questione pare anche contrastare con il disposto dell'articolo 34, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001, laddove prevede che «Nell'ambito della programmazione triennale del personale di cui all'articolo 39 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, l'avvio di procedure concorsuali e le nuove assunzioni a tempo indeterminato o determinato per un periodo superiore a dodici mesi, sono subordinate alla verificata impossibilità di ricollocare il personale in disponibilità iscritto nell'apposito elenco». Ricordato che la collocazione dei dipendenti provinciali in sovrannumero è funzionale alla loro possibile messa in disponibilità a decorrere dal 1o gennaio 2017, apparirebbe evidente che sottraendo un posto disponibile per dirigenti provinciali in sovrannumero mediante il concorso in questione, l'Automobile Club d'Italia violerebbe sul piano sostanziale l'articolo 1, comma 425, della legge 190 del 2014, letto in combinato disposto col citato articolo 34, comma 6, del decreto legislativo 165 del 2001, in quanto contribuirebbe a spingere dirigenti in sovrannumero, virtualmente già in indisponibilità, verso una situazione di disponibilità non più solo di fatto, ma anche di diritto;
   occorrerebbe verificare se sussistano profili di danno erariale. Infatti, l'Automobile Club d'Italia, attivando le assunzioni indicate:
    a) attiverebbe una spesa pubblica nuova, in quanto introduce 12 nuove unità lavorative nel sistema pubblicistico; laddove invece attivasse la procedura di mobilità imposta dalla legge 190 del 2014, l'assunzione di dirigenti provinciali in sovrannumero non creerebbe un incremento di pesa pubblica;
    b) aggraverebbe la situazione finanziaria delle province, impedendo radicalmente che esse possano ridurre la propria spesa di personale, pur essendovi posti liberi per la ricollocazione di dirigenti in sovrannumero –:
   se il bando e la procedura concorsuale attivata si pongano in contrasto con la normativa citata, considerato che si sottraggono al processo di ricollocazione dei dipendenti provinciali i 12 posti previsti;
   se per effetto di tale eventuale violazione di legge, il bando e le conseguenti assunzioni siano da considerare oltre che illegittime, anche nulle, come dispone espressamente l'articolo 1, comma 425, della legge 190 del 2014. (4-10053)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TARICCO, PRINA, OLIVERIO, PIAZZONI, LAVAGNO, AMATO, ROMANINI, LODOLINI, IACONO, FRAGOMELI, CENNI, BORGHI, GALPERTI, MANFREDI, BERGONZI, NARDUOLO, CAPONE, DE MENECH e GINATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa, società affidataria in Italia del servizio postale universale, ha presentato un progetto che prevede il recapito della corrispondenza, e con essa i giornali agli abbonati, a giorni alterni, in 5.296 comuni italiani;
   tale cambiamento colpirebbe in 3 tranche il 25 per cento dei comuni italiani sotto i 30 mila abitanti e sotto i 200 abitanti di densità km/q, coinvolgendo così un totale di oltre 15 milioni di cittadini;
   dalle informazioni relative alle ultime previsioni organizzative parrebbe che praticamente tutti i comuni della provincia di Cuneo siano interessati dalla nuova organizzazione con consegna a giorni alterni;
   il presidente della Fieg, Federazione editori italiani giornali, Maurizio Costa si è espresso con grande preoccupazione nei confronti della decisione e ha sostenuto che contrasti con gli obiettivi ultimi del servizio postale universale, di cui Poste italiane è la società affidataria, in quanto questa dovrebbe mirare a garantire a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, indipendentemente da fattori come il reddito o la collocazione geografica;
   il presidente Francesco Zanotti della Fisc Federazione italiana settimanali cattolici ha espresso a nome di tutti i settimanali locali la più totale contrarietà alla consegna a giorni alterni, in quanto già oggi questi vengono consegnati non sempre con regolarità, anche se per legge i settimanali con oltre 16 pagine dovrebbero essere equiparati ai quotidiani e consegnati il giorno dopo il ricevimento; in questa situazione la consegna a giorni alterni rischia di essere letale per il comparto;
   la riduzione di servizio a quanto pare prevista per interi territori rischia di penalizzare pesantemente i cittadini di quei territori;
   per altro, la stessa, sembra contrastare anche con la direttiva europea sul mercato dei servizi postali che prescrive la distribuzione a domicilio della posta, e quindi dei giornali agli abbonati, almeno cinque giorni lavorativi a settimana;
   il modello di consegna a giorni alterni proposto da Poste Italiane spa sembra pertanto ostacolare la libera distribuzione a domicilio e avvicinarsi ad una possibile violazione dei diritti di cittadinanza, in quanto nega l'accesso all'informazione quotidiana e penalizza l'accesso all'informazione periodica;
   il progetto quindi, rischia di far venire meno il ruolo e la funzione stessa del servizio postale universale, pregiudicando il diritto all'informazione per circa 15 milioni di abitanti, tra i quali figurano quelli di numerose province del territorio Piemonte;
   si ritiene opportuno considerare come necessaria la massima attenzione da parte delle istituzioni europee a garanzia del ruolo e della funzione del servizio postale universale, oltreché della regolare distribuzione della stampa quotidiana e periodica in Italia;
   il progetto di Poste italiane sembra quindi contrastare con la stessa normativa dell'Unione europea e non rientrare nell'ambito delle deroghe consentite, oltreché disattendere la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e diversi articoli e direttive comunitarie –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro intenda mettere in atto per affrontare questo potenziale danno ai diritti dei cittadini dei territori a minore densità abitativa e all'informazione pubblica, facendo sapere come intenda intervenire in particolare relativamente al ruolo e alla funzione del servizio postale universale in Italia e alla regolare distribuzione della stampa quotidiana e periodica in tutto il territorio;
   se e come intenda verificare, per quanto di competenza, in che modo e se detta riorganizzazione sia compatibile con i diritti dell'Unione europea e le direttive comunitarie, evitando così il rischio dell'apertura di una procedura d'infrazione contro l'Italia e salvaguardando i diritti dei cittadini di tanta parte di territorio e la possibilità di una tempestiva consegna della stampa quotidiana e periodica in tutto il territorio nazionale. (5-06187)


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   SDA Express Courier, dal 1998 azienda del Gruppo Poste Italiane, è il partner unico per la gestione logistica, distributiva, l’e-commerce e per la vendita a distanza. L'attività della SDA nelle regione Marche è gestita da una società denominata TRANSMARCHE, mandataria dell'appalto di agenzia, trasporto, smistamento e distribuzione e movimentazione del collettame, pacchi e altro per conto sia di SDA, nonché per UPS con la quale SDA ha un accordo di partnership;
   Transmarche, che ha sede a Falconara Marittima (An), per condurre l'appalto si rivolge ad una serie di società e cooperative a cui sub appalta le attività sopra descritte. Nelle Marche SDA (transmarche) è presente nelle filiali di Ascoli Piceno, Civitanova Marche, Falconara e Pesaro;
   i lavoratori impegnati nell'appalto e/o in sub appalto sono un numero compreso fra i 250/300 suddivisi in varie società e/o cooperative, tra le quali ad esempio figurano:
    Trazione ITALIA (di emanazione diretta TRANSMARCHE) che si occupa del trasporto di linea – Bari Milano Roma e altre linee ed occupa 30 lavoratori;
    Coop DFT (cooperativa che gestisce in parallelo alcune linee di trazione Italia e ne sostituisce l'attività in caso di bisogno) che occupa circa 40 lavoratori;
    Acxelera, società che gestisce il magazzino di Falconara Marittima, e occupa 20 persone;
    Coop RAM 40 che si occupa di distribuzione e movimentazione nelle filiali di Ascoli Piceno e Pesaro;
    Società Tenna trasporti che si occupa di movimentazione e distribuzione ad Ascoli Piceno, e che occupa 35 dipendenti;
    Coop map che si occupa di distribuzione e che ha 40 dipendenti su Falconara e Civitanova;
    Consorzio La Fenice (subappalto) il quale ha subappaltato a Società R&F srl che si occupa di distribuzione e movimentazione nella filiale di Pesaro;
   tali società, unitamente ad altre, ad oggi manifestano criticità a causa della problematica gestione dell'appalto, da parte della mandataria Transmarche;
   da quattro mesi a questa parte le organizzazioni sindacali sono impegnate in una difficile vertenza che vede lavoratori ormai alla esasperazione per l'incertezza del futuro lavorativo;
   i sindacati in più di un'occasione hanno sollecitato le società e la SDA stessa ad intervenire. È stato altresì richiesto l'intervento in surroga per responsabilità solidale, prevista dalle leggi in vigore, sia a Transmarche che a SDA, ma a tale richiesta non sono arrivati riscontri concreti. Nell'incontro svoltosi con SDA il 24 luglio 2015, le risposte che i sindacati hanno avuto dalla stessa, sembrerebbero essere state evasive, rinviando al 29 luglio risposte più puntuali sul destino dell'appalto –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti esposti in premessa e delle implicazioni relative all'appalto e quali iniziative di competenza intendano porre in essere al fine di accompagnare il gruppo attraverso un percorso di tutela dell'occupazione e di rilancio delle diverse realtà locali. (5-06189)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 22 gennaio 2015, presso la sede dell'Accademia nazionale dei Lincei di Roma, si è svolta la seconda conferenza «Energia per oggi e domani», nell'ambito del programma comune di diffusione della cultura scientifica istituito tra quest'Accademia, l'Académie des sciences e l'Ambasciata di Francia in Italia;
   in tale occasione, il premio Nobel Carlo Rubbia ha ricordato l'evoluzione della temperatura della Terra e la concentrazione di gas CO2 su lunghissimi periodi nonché le predizioni riguardanti le fonti d'energia per i prossimi 25 anni, secondo cui le energie fossili resteranno dominanti ma necessitano di nuovi metodi di utilizzo per renderne minime le emissioni di gas ad effetto serra;
   il professor Rubbia ha anche affrontato il caso della Germania, che sta tentando di uscire dalle energie fossili e nucleari;
   secondo quanto riportato da «Ambiente e energia» del 22 gennaio 2015, il professor Rubbia sta portando avanti negli ultimi anni, all'interno dei laboratori del politecnico di Karlsruhe, il progetto di una tecnica innovativa che permette di creare energia dal metano senza produrre inquinante CO2;
   i progressi di tale tecnica sono stati presentati in occasione della conferenza «Energia per oggi e domani» all'Accademia dei Lincei: «Si tratta di un metodo in grado di “spaccare” il metano, detto methan cracking, dividendolo in carbonio e idrogeno. Dall'idrogeno a quel punto è possibile produrre energia senza liberare anidride carbonica mentre il carbonio “scartato” può essere usato per altri scopi»;
   il nuovo metodo messo a punto nei laboratori tedeschi potrebbe quindi rappresentare una valida alternativa di produzione di energia pulita rispetto ai più costosi metodi da fonti rinnovabili;
   secondo quanto spiegato dal professor Rubbia «Gli Usa, e molte altre nazioni, stanno spostando i loro sforzi nello sfruttamento del gas naturale i cui costi di estrazione sono stati abbattuti da nuove tecniche. Questo garantisce una nuova era di “abbondanza” dove però sarà necessario trovare nuovi metodi per abbattere la CO2»;
   nuove risorse di energia potrebbero quindi arrivare dalla possibilità di «rompere» il metano e il prossimo passo sarà quello di passare allo sviluppo applicativo; la scelta, invece, dell'Europa e dell'Italia di investire tutto sullo sviluppo delle rinnovabili rischia di tagliarle fuori dallo sviluppo di tali metodi innovativi –:
   se i Ministri interrogati intendano istituire un gruppo di lavoro scientifico che prenda in seria considerazione il metodo alternativo di produzione di energia pulita dalla «spaccatura» del metano, esposto in premessa e portato avanti dal premio Nobel Carlo Rubbia, allo scopo di evitare di tagliare fuori il nostro Paese dallo sviluppo di tali metodi innovativi e più economici rispetto alla produzione di energia da fonti rinnovabili. (4-10036)


   MURA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il piano di riduzione degli uffici di Poste Italiane produce effetti devastanti nei piccoli comuni, nelle aree montane e, in generale, nelle zone interne del Paese;
   più che a una razionalizzazione si assiste a un vero e proprio taglio di un servizio pubblico essenziale, con la chiusura di uffici in aree del Paese fortemente disagiate e penalizzate;
   in Sardegna è prevista la chiusura di due uffici mentre per altri 14 è stata prevista la riduzione di orario che rischia di produrre gravi effetti in territori isolati e colpiti dal fenomeno dello spopolamento abitativo;
   tale ridimensionamento è soltanto l'ultimo di una serie che hanno già portato alla chiusura di numerosi sportelli postali nell'isola;
   il piano di Poste Italiane accresce il disagio delle comunità dei piccoli comuni e delle zone interne, colpendo in particolare pensionati e anziani che, spesso, vivono condizioni di pesante solitudine e oggettive difficoltà ad utilizzare nuove tecnologie o a muoversi liberamente;
   il timore è che Poste Italiane possa procedere alla chiusura di altri uffici in Sardegna, penalizzando ulteriormente comunità che negli ultimi anni hanno visto una drastica riduzione dei servizi essenziali (presidi di carabinieri, sportelli bancari, farmacie e altri);
   è di tutta evidenza che nei piccoli comuni, nelle aree interne – e in particolare in quelle in via di spopolamento – i servizi non possono essere organizzati nello stesso modo rispetto alle città e ad altre zone ad alta densità di popolazione;
   è incomprensibile, anche per gli effetti che è destinata a produrre, la decisione di chiudere la filiale di Cortoghiana, centro sardo di tremila abitanti che non può rinunciare a un servizio indispensabile;
   nel comune di Ardara l'attività degli sportelli passerà da 6 a 3 giorni alla settimana, orari dimezzati anche per l'ufficio di Ballao, mentre a Borutta gli impiegati riceveranno gli utenti soltanto due giorni alla settimana invece di tre. La filiale di Cheremule passerà al part-time chiudendo per tre giorni a settimana. A Esporlatu l'orario accorciato sarà ulteriormente ridotto, le tre aperture settimanali scenderanno a due. Identico ridimensionamento interesserà gli uffici di Genuri, Modolo e Turri. A Ozieri e Pauli Arbarei le saracinesche si alzeranno per tre giorni ogni settimana, un giorno in meno rispetto a ora. A Tuili e Nurallao si passerà da 6 giorni a 3 giorni. Infine a Nughedu San Nicolò e Romana da 6 a 4 giorni;
   è tutt'altro che infondato il timore che alla riduzione di orario possa seguire la chiusura dei 14 uffici postali tutti situati in piccoli comuni della Sardegna;
   il piano di Poste Italiane, malgrado le dichiarazioni di principio, lede il principio della centralità del cittadino e della massima attenzione alle sue esigenze e non assicura efficienza e capillarità del servizio;
   la Sardegna, come sottolineato, sopporta un ingiusto svantaggio in relazione all'erogazione dei servizi, ivi compresi quelli postali e delle comunicazioni, a causa della sua insularità, della bassa densità della popolazione, dell'ampiezza e morfologia del territorio, della cronica inadeguatezza del sistema dei trasporti e della viabilità;
   tale situazione di svantaggio è aggravata dalle decisioni adottate dai responsabili dei servizi pubblici, come quelli postali, a giudizio dell'interrogante, insensibili al disagio che si determina in alcune aree di crisi e per le fasce più deboli di popolazione –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per impedire la chiusura e la riduzione di operatività di diversi e ulteriori uffici postali della Sardegna;
   con quali strumenti si intenda intervenire per tutelare il diritto delle comunità interessate a ricevere la posta con regolarità e senza disagi, a fronte del piano di ridimensionamento degli uffici previsto da Poste Italiane che colpisce i presidi in piccoli centri;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare l'erogazione dei servizi pubblici essenziali in quelle aree del Paese che, come le zone interne e i piccoli comuni della Sardegna, sono fortemente penalizzate a causa dell'isolamento, della bassa densità della popolazione, dell'ampiezza e morfologia del territorio, della cronica inadeguatezza del sistema dei trasporti e della viabilità. (4-10041)


   FRANCO BORDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2014 Poste Italiane, società di proprietà al 100 per cento del Ministero dell'economia e delle finanze, ha presentato il proprio piano industriale con la chiusura di 450 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura di altri 600 uffici sull'intero territorio nazionale;
   in regione Lombardia il piano prevedeva la chiusura di 61 uffici e la riduzione di orari di apertura per 121 uffici;
   tale piano, comunicato ai sindaci interessati all'inizio di febbraio 2015 ha destato scalpore per la sua invasività nel tessuto sociale ed economico della regione e per la sua assoluta mancanza di confronto e condivisione preventiva con gli enti locali, tanto da portare a diffuse azioni di protesta sia da parte delle popolazioni coinvolte dalle chiusure, sia dalle istituzioni pubbliche, comuni, province e regione. Proteste che hanno trovato il loro punto di sintesi in una mozione approvata all'unanimità dal consiglio regionale della Lombardia il 3 marzo 2015, con la quale l'intera assemblea legislativa lombarda chiedeva alla giunta regionale di intervenire presso il Governo per addivenire ad una sospensione del piano e ad una sua revisione, in accordo con gli enti locali coinvolti;
   a seguito delle proteste e della posizione assunta dal consiglio regionale lombardo, il piano di Poste Italiane in regione Lombardia è stato sospeso ed è stato avviato un confronto tra l'azienda e gli enti locali, tramite l'Anci Lombardia;
   nella provincia di Cremona, la chiusura più pesante ed incomprensibile era quella dell'ufficio di Ombriano, ufficio localizzato in un quartiere periferico della città di Crema, che annovera una popolazione residente di oltre 6.000 persone e oltre cento attività commerciali e produttive che rientra nella categoria C di Poste Italiane, cioè sopra le 40 operazioni al giorno;
   Poste Italiane in sede di trattativa congiunta con regione e Anci Lombardia aveva accettato di mantenere in funzione 15 uffici dei 61 per i quali prevedeva la chiusura. Tra questi uffici stralciati dal piano, a seguito della trattativa con ANCI, era incluso quello di Ombriano, successivamente però con assoluta insistenza di Poste in un successivo incontro del 19 giugno, l'ufficio postale di Ombriano è stato escluso dal salvataggio;
   precedentemente, Poste Italiane aveva anche rifiutato tutte le proposte giunte dal sindaco del comune di Crema finalizzate a mantenere in essere l'ufficio di Ombriano tra cui quella di orario ridotto, addirittura proponendo la chiusura di un giorno alla settimana di tutti gli altri 3 uffici postali periferici della città di Crema, al fine di non creare un simile disservizio ad un quartiere così popoloso della città;
   la volontà di Poste Italiane di chiudere ad ogni costo un ufficio che serve un quartiere di 6.300 abitanti e che ha una media di operazioni/giorno superiore alle 150, trova spiegazione in una lettera che il sindaco di Crema ha scritto alle Poste nella quale risulta evidente come questa decisione sia frutto di una scelta aziendalistica compiuta a tavolino, senza alcun confronto con l'ente locale;
   la decisione di chiudere gli uffici senza discussione con gli enti locali è, secondo l'interrogante, scorretta e di dubbia legittimità e il fatto viene rimarcato il 29 giugno 2015 da un ordine del giorno approvato all'unanimità dal consiglio direttivo dell'Anci Lombardia in merito alla necessità che Poste non proceda senza ulteriori confronti con i comuni alla chiusura degli uffici –:
   nell'ottica di garantire l'accesso al servizio postale quale servizio universale, quali iniziative di competenza il Ministro intenda mettere in atto nei confronti di Poste Italiane per evitare quella che l'interrogante ritiene l'assurda chiusura dell'ufficio postale di Ombriano in comune di Crema che, servendo una popolazione di oltre 6.000 cittadini, diverse imprese e unità commerciali, grazie alle numerose operazioni giornaliere richiamate in premessa, ha una sua evidente sostenibilità economica. (4-10046)


   OLIVERIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta del Sud, nella sua edizione del 4 luglio 2015, ha pubblicato la situazione di difficoltà che stanno vivendo i cittadini residenti nel comune di Falerna, in provincia di Catanzaro, e più precisamente a Castiglione Marittimo a causa della paventata chiusura dell'Ufficio postale;
   dal 7 settembre 2015, infatti, l'ufficio postale non funzionerà più. A comunicare ufficialmente la soppressione è stata la stessa Poste Italiane;
   da anni il servizio postale ha vissuto la cronica carenza di personale, portando l'ufficio in uno stato di agonia, che sta per concludersi, arrecando notevoli disagi alla piccola comunità che vedrebbe sempre più critica la propria vita, anche in considerazione delle difficoltà a raggiungere altri centri postali senza mezzi propri;
   l'ufficializzazione della prossima chiusura ha messo in allarme l'amministrazione municipale che ha elevato una sentita protesta non solo verso Poste Italiane ma anche verso il Governo;
   l'impatto di questa grave decisione, qualora venisse messa in atto, sarebbe fortemente negativo e costringerebbe i residenti della frazione, prevalentemente anziani, a una difficile mobilità per riscuotere il vitalizio o per effettuare qualunque altra tipologia di operazione;
   la decisione presa da Poste Italiane è stata profondamente disapprovata dai cittadini e dalle istituzioni locali, anche perché emerge l'assenza di iniziative per rilanciare la produttività dell'ufficio motivando il personale;
   per evitare la soppressione nei mesi scorsi si era cercato di consegnare all'ufficio postale un locale in comodato, ma dopo 4 mesi è stata ufficializzata la data di chiusura senza darne alcuna notizia alle autorità locali;
   le Poste, insieme alle farmacie, alle scuole e alle stazioni dei carabinieri, storicamente rappresentano l'avamposto dello Stato proprio nei territori svantaggiati e svolgono una serie di servizi essenziali per i cittadini, tra questi, solo a titolo esemplificativo, il pagamento delle pensioni;
   l'amministrazione comunale evidenzia l'assoluta assenza di sensibilità nei confronti della suddetta comunità, che si vedrebbe costretta a non usufruire più di un servizio inteso come manifestazione tangibile della presenza dello Stato;
   a giudizio dell'interrogante, la dimensione e la rilevanza del servizio postale in termini di qualità delle attività svolte negli uffici postali calabresi, richiederebbero piuttosto che una chiusura, un potenziamento del personale e dei presidi presenti;
   le Poste Italiane spa non dovrebbero decidere in solitudine. Queste valutazioni dovrebbero essere frutto di un percorso che coinvolga anche l'amministrazione dello Stato e le amministrazioni locali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali siano, per quanto di competenza, le iniziative che intendono adottare per garantire il proseguimento dell'attività dell'ufficio postale di Castigliane Marittimo, la cui annunciata chiusura determinerebbe un ulteriore colpo per l'intera economia calabrese, già particolarmente colpita dalla grave crisi economica. (4-10051)

Apposizione di firme ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Pagano n. 7-00746, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Causi, Gebhard, Laffranco, Colaninno, Sandra Savino, Busin, Sottanelli.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta immediata in commissione Cenni e altri n. 5-06162, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cova.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza urgente Gigli n. 2-01049, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 470 del 28 luglio 2015.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   le sentenze di Cassazione 14225 e 14226 pubblicate l'8 luglio 2015 escludono l'applicabilità dell'esenzione ICI ad una scuola pubblica paritaria non lucrativa in ragione della presunta natura commerciale delle modalità con la quale la medesima svolge le sue pubbliche funzioni;
   pur vertendosi in materia ICI per avvisi di liquidazioni afferenti gli anni 2004-2009, la suprema Corte ha scelto di utilizzare, a fini della motivazione della decisione, la normativa intervenuta nel 2012 da parte del Governo Monti per superare i sollevati dubbi di non conformità alla normativa europea in materia di aiuti di Stato della disciplina delle esenzioni in materia di imposta comunale sugli immobili;
   la Corte fa menzione dell'articolo 91-bis del decreto-legge n. 1 del 2012 che aveva esteso l'esenzione limitatamente alle attività, seppure fiscalmente commerciali, ma svolte con modalità non commerciali. Non viene invece richiamato dalla Corte il decreto ministeriale n. 200 del 2012 con il quale è stato precisato quando un'attività didattica anche di natura fiscalmente commerciale è svolta con modalità non commerciali; l'articolo 4 del citato decreto dispone infatti che lo svolgimento di attività didattiche si ritiene effettuato con modalità non commerciali se:
    a) l'attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni;
    b) sono comunque osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti, di pubblicità del bilancio;
    c) l'attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell'assenza di relazione con lo stesso;
   inoltre nel modello di istruzioni delle dichiarazioni dei redditi derivanti da attività fiscalmente commerciali degli enti non commerciali, viene specificato con chiarezza mediante il rinvio al seguente indirizzo web http://hubmiur.pubblica. istruzione.it/web/istruzione/dg-ordinamenti/scuola-non-statale-/imutasi ai fini della determinazione del costo medio studente (che non è ancora il costo standard, ma ne è il progenitore) per stabilire la modalità non commerciale dell'attività didattica. In sostanza si stabilisce che se il corrispettivo medio è inferiore o uguale al costo medio per studente significa che l'attività didattica è svolta con modalità non commerciali e quindi non è assoggettabile ad imposizione IMU;
   le scuole paritarie facenti parte del sistema nazionale integrato dell'istruzione pubblica certamente operano nell'ambito del no profit, atteso semmai che lo spazio concorrenziale è interesse delle scuole private operanti a fini di lucro. Le scuole pubbliche paritarie fanno servizio pubblico e lo fanno spesso proprio laddove il pubblico statale non arriva. Lo fanno per bambini ricchi e bambini poveri. Per bambini cattolici, valdesi, ebrei e musulmani. Lo fanno per tutti i bambini;
   oggi circa un milione di studenti risulta iscritto presso uno degli oltre 13 mila istituti scolastici paritari;
   di qui la necessità, tornando al caso di specie, che vi sia una corretta pronuncia da parte della commissione tributaria regionale della Toscana cui la Cassazione ha rinviato il giudizio che dovrà decidere definitivamente la vicenda tutta da valutarsi nell'ambito della visione europea;
   in verità è proprio la visione europea, esplicitata in ben due risoluzioni del Parlamento europeo del 1984 e del 2012 in materia di libertà di scelta educativa, che indica la soluzione di fondo: in un quadro giuridico nazionale appropriato, le scuole che non sono gestite dallo Stato possano favorire lo sviluppo di una educazione di qualità, e l'adeguamento dell'offerta formativa alla domanda delle famiglie». Per questo gli Stati sono tenuti ad accordare alle scuole (paritarie) le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all'adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti pubblici corrispondenti, senza discriminazione nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale;
   ciò può avvenire, nel rispetto degli articoli 33 e 118, ultimo comma, della Costituzione, in forma analoga a quanto già si verifica in Italia per il servizio sanitario nazionale, mediante la individuazione del costo standard in materia di servizi pubblici essenziali quale appunto è quello dell'istruzione e con la conseguente determinazione e attribuzione della quota capitaria (ora prevista della delega di cui al comma 185 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti), per studente da conferirsi a tutti gli istituti scolastici pubblici e quindi anche a quelli paritari;
   quali iniziative urgenti, se necessario anche di tipo normativo, intenda adottare al fine di evitare interpretazioni non aderenti al chiaro dettato normativo in materia fiscale citato in premessa e per accelerare la determinazione e attribuzione della quota capitaria prevista della delega di cui al comma 185 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015, al fine di adeguare il sistema nazionale dell'istruzione alle citate risoluzioni del Parlamento europeo, oltre che per evitare conseguenze negative sul piano della tenuta dei conti pubblici, derivanti dal dover eventualmente far fronte all'ingresso di circa un milione di studenti, attualmente iscritti nel sistema scolastico paritario ove, anche per effetto di pronunce giudiziali, le scuole paritarie si trovassero costrette a chiudere o a richiedere il pagamento di rette molto più alte rispetto agli attuali costi medi per studente individuati dal ministero.
(2-01049)
 «Gigli, Rubinato, Sberna, Dellai, Rotta».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Rizzo n. 5-05841 del 18 giugno 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Sarti n. 5-05979 del 3 luglio 2015.