Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 29 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


  La Camera,
   premesso che:
    il gap infrastrutturale della Calabria, rispetto ad altre realtà del Paese, raggiunge livelli critici sia in ordine allo sviluppo della rete dei trasporti sia in ordine alla manutenzione straordinaria delle infrastrutture esistenti e quindi anche ai livelli qualitativi e di sicurezza raggiunti da tutte le infrastrutture di trasporto, aeroportuale, marittimo ferroviario e stradale;
   tale carenza delle reti infrastrutturali, che riguarda tutte e tre le arterie stradali che collegano la regione Calabria al resto d'Italia, ossia la A3 – Salerno-Reggio Calabria, la strada statale n. 106 e la strada statale n. 18, ha oramai raggiunto per la stessa regione carattere emergenziale in quanto da una parte provoca notevoli disagi ai residenti e agli utenti in transito e dall'altra danneggia anche l'economia dell'intero Paese creando notevoli incidenze negative al movimento delle merci e allo sviluppo del turismo, anche tenendo conto che quest'ultimo rappresenta una delle più importanti industrie del Paese ed è soprattutto fondamentale per il Mezzoggiorno;
    i trasporti rappresentano infatti servizi essenziali, costituzionalmente garantiti, che rivestono carattere strategico sul piano della garanzia del diritto fondamentale dei cittadini per la comunicazione e per la mobilità, che rispecchiano la qualità della vita e che, purtroppo, oggi, nel nostro Paese contribuiscono a caratterizzare la vera e propria qualità della cittadinanza, profondamente variegata e differenziata tra Nord e Sud su una serie di servizi essenziali, siano essi servizi per il cittadino, smaltimento di rifiuti, rete dei trasporti;
    tutti i cittadini nel territorio del Paese hanno, invece, gli stessi diritti per la qualità delle infrastrutture e dei servizi di mobilità del proprio territorio e il Governo deve garantire realmente questi diritti;
    ultimamente il Governo, in risposta ad una interpellanza in Aula, nell'elogiare il proprio operato, ha anche, indirettamente, denunciato un ritardo per la presentazione alla Commissione europea di tre POR, Abruzzo, Calabria e Campania, fondamentali per la programmazione dei Fondi europei 2014-2020, nonché una rimanenza ancora del 26 per cento dei fondi della programmazione 2007-2013; si tratta di situazioni che riguardano tutte ritardi nell'infrastrutturazione del Mezzogiorno;
    la rete infrastrutturale del Mezzogiorno costituisce, invece, una parte importante dei corridoi trans-europei Ten-T; infatti, i due corridoi, quello «Mediterraneo», orizzontale, al sud delle alpi (Algeciras - Bobadilla Madrid - Zaragoza - Tarragona - Sevilla - Bobadilla - Murcia - Cartagena - Murcia - Valencia - Tarragona - Barcelona - Perpignan - Marseille/Lyon - Torino - Novara - Milano - Verona - Padova - Venezia - Ravenna/Trieste/Koper - Ljubljana - Budapest - Ljubljana/Rijeka - Zagreb - Budapest - UA border) e quello «Scandinavo-Mediterraneo» verticale, lungo tutta la penisola (Helsinki - Turku/Naantali - Stockholm - Malmö - Oslo - Goteburg - Malmö - Trelleborg - Malmö - København - Kolding/Lübeck - Hamburg Hannover - Bremen - Hannover - Nürnberg - Rostock - Berlin - Leipzig - München - Nürnberg - München - Innsbruck - Verona - Bologna - Ancona/Firenze - Livorno/La Spezia - Firenze - Roma - Napoli - Bari - Taranto - Valletta - Napoli - Gioia Tauro - Palermo/Augusta - La Valletta), se non completati, comporteranno l'esclusione dell'Italia dai traffici europei e internazionali con gravi ripercussioni sull'economia dell'intero Paese;
    la realizzazione dello stesso corridoio Helsinki - La Valletta, se non completato nell'asse Napoli - Reggio Calabria - Messina Palermo, attraverso il Ponte sullo Stretto, optando, invece, per il collegamento Napoli Bari e da lì verso Malta (La Valletta) e Palermo, per le vie del mare, comporterà una vera e propria esclusione di una gran parte del Paese dai traffici internazionali, creando un danno enorme per la coesione territoriale, sociale ed economica del Mezzogiorno e soprattutto delle regioni Calabria e Sicilia;
    le dichiarazioni del Governo in tema infrastrutturale evidenziano e pubblicizzano una volontà di indirizzare le risorse alla rete logistica dei trasporti, piuttosto che ad interventi sporadici a pioggia, e pertanto al collegamento infrastrutturale di porti o aeroporti con la piattaforma logistica e da lì con la rete viaria e ferroviaria rapida di collegamento Ten-T; in tale ambito, l'asse Salerno - Reggio Calabria costituisce quindi un asse di fondamentale interesse strategico dal punto di vista sia nazionale sia internazionale e sia per il trasporto tra il Sud e il Nord della penisola;
    nonostante l'importanza che riveste tale arteria, la stessa detiene, purtroppo, il primato per la lunghezza dei tempi e per i ritardi della realizzazione e spesso viene definita come il cantiere più lungo d'Europa; infatti, l'avvio dei lavori di realizzazione dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria, per una lunghezza pari a 442,9 chilometri, in gestione da Anas spa, risale all'anno 1966; dopo ben 49 anni, l'autostrada è ancora in fase di realizzazione con tratti ancora da cantierizzare o in fase di ammodernamento;
    già dall'apertura dei primi tratti autostradali, infatti, il tracciato si rivelò del tutto inadeguato per contenere il traffico in aumento, in quanto dotato di due sole corsie per senso di marcia e diverse curve molto tortuose che provocarono gravi incidenti. Alla luce di ciò, nel 1990 l'Unione europea ha obbligato l'Italia all'adeguamento del tratto realizzato della Salerno-Reggio Calabria secondo le normative europee e da quel momento sono iniziati i lavori di riammodernamento la cui conclusione è stata rimandata di anno in anno;
    i  lavori che interessano il tratto dell'autostrada A3 ricadente in Calabria (circa 295 chilometri su 443 chilometri totali) coprono, tra opere in esecuzione e cantieri non avviati, circa 90 chilometri. In particolare, è previsto un piano parziale di interventi, non ancora totalmente finanziati, relativo ai seguenti tratti:
     a) 20 chilometri con lavori in corso di esecuzione, relativi al macrolotto 3 parte 2 tra gli svincoli di Laino Borgo (chilometro 153+400) e Campotenese (chilometro 173+900);
     b) 10 chilometri, relativi al tratto finale dell'autostrada tra lo svincolo di Campo Calabro (chilometro 433+750 circa) e lo svincolo di Reggio Calabria/Santa Caterina (chilometro 442+920), da sottoporre a intervento di messa in sicurezza (cosiddetto restyling), con bando di gara pubblicato a luglio 2015;
     c) 6 chilometri, relativi al tratto tra il viadotto Stupino (chilometro 280+350) e lo svincolo di Altilia (chilometro 286+000), per il quale sono in corso le procedure finalizzate all'appalto dei lavori;
     d) 10 chilometri, relativi al tratto tra lo svincolo di Rogliano (chilometro 270+700) e il viadotto Stupino (chilometro 280+350), da appaltare;
     e) nuovo svincolo di Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria, situato al chilometro 377+750, da appaltare;
     f) adeguamento e messa in sicurezza dal chilometro 185+000 al chilometro 206+500 (da Morano Castrovillari a Sibari), in progettazione;
     g) nuovo svincolo di Rende (chilometro 250+000), in progettazione;
     h) sistema di svincoli di Cosenza sud (tra il chilometro 262+000 ed il chilometro 266+000), in progettazione;
     i) adeguamento e messa in sicurezza dal chilometro 259+700 al chilometro 270+700 (da Cosenza a Rogliano), in progettazione; adeguamento e messa in sicurezza dal chilometro 337+800 al chilometro 348+600 (da Pizzo Calabro a Sant'Onofrio), in progettazione;
     l) svincolo di Scilla-collegamento urbano con Ieracari (al chilometro 423+300, località Scilla), da finanziare. Inoltre ad oggi, risultano rescissi i seguenti lavori di ammodernamento: dal chilometro 206+500 al chilometro 213+500 (svincolo di Sibari-svincolo di Altomonte);
     m) dal chilometro 320+400 al chilometro 331+400 (svincolo Lamezia Terme-torrente Randace), addirittura in seconda rescissione; dal chilometro 369+800 al chilometro 378+500 (svincolo di Mileto-località Candidoni);
    dalle dichiarazioni pubbliche del Governo dei mesi scorsi, è indicata la data del 31 dicembre 2015 come ultima data per il completamento dei cantieri; tali dichiarazioni oltre a dimostrare una superficialità nella stima dei tempi di completamento di un'arteria di così difficile concretizzazione, dimostrano una carenza di informazione del Governo riguardo alla reale condizione in cui versano attualmente i tratti di strada già costruiti. Infatti, percorrendo la Salerno-Reggio Calabria si contano 32 lavori temporanei mentre da Cosenza in giù la segnaletica sull'asfalto è pressoché inesistente e nelle gallerie l'illuminazione non è funzionante;
    in quasi 50 anni, l'infrastruttura, gestita dall'ANAS, ha pesato, sia come costruzione che come gestione, sulla fiscalità generale; sono state spese ingenti somme di denaro per fare male i lavori, correggere e rifare interi tratti stradali, e per finanziare cantieri in cui, successivamente, sono state scoperte pesanti infiltrazioni della ’ndrangheta; si tratta di sprechi sui quali occorre indagare, e assumersi le dovute responsabilità; occorre informare i cittadini danneggiati sulle colpe di chi ha contribuito alla negazione dei propri diritti essenziali;
    in più occasioni il Governo ha pubblicizzato l'intenzione di risolvere i problemi della Calabria e dell'intero Mezzogiorno, con stanziamenti appositi e con l'implementazione delle strutture dell'Agenzia per la coesione territoriale e del dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, che ancora stentano a funzionare con efficienza;
    tuttavia, nonostante sia slittata al 31 ottobre 2015 la data entro la quale devono risultare cantierabili le opere previste dall'articolo 3, comma 2, lettere b) e c), del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, «sblocca Italia», ovvero i lavori di ammodernamento ed adeguamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria, dallo svincolo di Rogliano allo svincolo di Atilia e lo svincolo Laureana di Borrello, queste ultime, non rispettando i requisiti della cantierabilità, rischiano concretamente di perdere i finanziamenti previsti dalla legge, determinando un rilevante danno e ulteriori ritardi per la conclusione dei lavori;
    in condizioni pessime versa anche la strada statale n. 106 (lunghezza 491 chilometri di cui 405 ricadenti nella regione Calabria), principale arteria che collega la Calabria, la Basilicata e la Puglia, che è inadeguata a gestire gli attuali volumi di traffico per una serie di criticità infrastrutturali storiche, dovute ad una sbagliata progettazione, per la presenza di lunghi tratti a due corsie di marcia, di una moltitudine di accessi non autorizzati, fuori norma o non segnalati, di un manto stradale in pessime condizioni, di attraversamenti dei centri abitati, di guardrail «assassini», di una pessima illuminazione, tanto da essere denominata la «strada della morte», con oltre 600 vittime e circa 9.000 feriti solo dal 1996 al 2014; ad oggi risultano ancora in una fase di stallo la maggior parte dei tratti della strada statale n. 106, in particolare:
     a) il megalotto 3, Sibari-strada statale n. 534 e Roseto Capo Spulico (Sibari), è stato appaltato ma non cantierizzato;
     b) il megalotto 5, località San Gregorio (Reggio Calabria)-Melito di Porto Salvo, ed il megalotto 9, Crotone aeroporto-Mandatoriccio, non sono stati avviati poiché in attesa dei pareri approvativi;
     c) la variante di Palizzi (2o stralcio funzionale), l'adeguamento e messa in sicurezza del tratto Crotone (chilometro 256+000) - Sibari (chilometro 329+000) - tronco 1 dal chilometro 309+200 - al chilometro 329+000, il megalotto 8, Rossano (Mandatoriccio-Sibari), l'adeguamento e messa in sicurezza del tratto Crotone (chilometro 256+000) - Sibari (chilometro 329+000) - tronco 2 dal chilometro 290+200 - al chilometro 309+200, strada statale n. 106 «Jonica» - adeguamento e messa in sicurezza del tratto Crotone (chilometro 256+000) - Sibari (chilometro 329+000) - tronco 3 dal chilometro 256+000 - al chilometro 290+200, la variante di Crotone dal chilometro 241+250 (svincolo Crotone-Papanice) al chilometro 250+500 (svincolo Passovecchio), il nuovo svincolo per l'ospedale della Sibaritide al chilometro 11+350 della strada statale n. 106, sono ancora in fase di progettazione;
    anche la strada statale n. 18 «Tirrena inferiore» (lunghezza 535 chilometri di cui 236 in territorio calabrese) è chiusa in più parti a causa di lavori di manutenzione con la presenza di una miriade di sensi unici alternati e anche la ex strada statale n. 522 (ora strada provinciale) presenta numerosi deficit circa gli standard di sicurezza;
    al pessimo livello della rete stradale calabrese si aggiunge una pessima gestione del sistema ferroviario, tagliato fuori dalla rete nazionale ad alta velocità, e anche del servizio aeroportuale, del tutto inadatto a fronte della crescita della domanda di servizi e isolato rispetto alla rete ferroviaria;
    si tratta di difficoltà infrastrutturali che recano gravi disagi ai cittadini calabresi, penalizzano le attività produttive e l'agricoltura e scoraggiano i turisti nel considerare la Calabria come meta della loro vacanza, indebolendo irreparabilmente il settore alberghiero, l'occupazione e l'indotto della regione e danneggiando l'economia del Paese,

impegna il Governo:

   a garantire ai cittadini calabresi e delle aree del Mezzogiorno gli stessi diritti essenziali nel settore dei trasporti e della mobilità delle altre aree del Paese e dell'Unione europea, inquadrando le infrastrutture della regione Calabria e del Mezzogiorno d'Italia, ed in particolare l'asse Salerno-Reggio Calabria, come parti integranti e imprescindibili del completamento dei corridoi trans-europei Ten-T;
   ad attuare ogni utile iniziativa per garantire l'ammodernamento delle reti, viarie, ferroviarie e aeroportuali, e le condizioni di sicurezza, nonché la qualità degli standard europei, evitando penalizzazioni e consentendo il regolamentare trasporto delle merci, e la normale percorrenza dei cittadini e dei turisti tra il Nord e il Sud del Paese;
   a chiarire definitivamente le intenzioni politiche e i programmi di Governo in merito alla realizzazione dell'opera relativa al ponte sullo Stretto di Messina, nonché all'eventuale stanziamento di ulteriori risorse a copertura degli oneri derivanti dalle procedure di contenzioso, tenendo conto delle ripercussioni sulla economia italiana che possono derivare da una definizione in sede europea dei tracciati Ten-T che escludono parti del territorio nazionale;
   ad attuare le opportune iniziative, anche in collaborazione con l'Autorità nazionale anticorruzione, affinché venga eliminato il rischio di infiltrazioni malavitose nell'affidamento di appalti e concessioni per la costruzione, ricostruzione e manutenzione della tratta autostradale Salerno-Reggio Calabria;
   ad istituire un'apposita sezione al sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ove i cittadini, vessati dagli sprechi che la realizzazione dell'autostrada ha comportato fino ad oggi, possano controllare l'andamento dei cantieri e i relativi costi e soprattutto possano conoscere i costi fino ad oggi sostenuti per la realizzazione o ricostruzione di ciascun lotto, gli estratti delle relazioni della Corte dei conti sulla gestione dei cantieri da parte dell'ANAS e i risultati delle inchieste giudiziarie e amministrative fino ad oggi concluse in relazione alle gare d'appalto e i relativi lavori;
   a presentare una relazione al Parlamento con una descrizione dettagliata dei finanziamenti che il Governo ha destinato fino ad oggi al Mezzogiorno e con chiarimenti puntuali sul programma effettivo del Governo per il rilancio del Mezzogiorno.
(1-01005) «Saltamartini, Attaguile, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    a seguito della riunione del Consiglio affari generali del 20 luglio 2015, nella quale si è affrontata, tra le altre, la questione relativa alla grave instabilità politica che caratterizza la Repubblica tunisina, la Commissione europea ha proposto, in sostegno all'economia del Paese maghrebino, l'adozione di una misura commerciale autonoma consistente in un contingente tariffario senza dazio, temporale e unilaterale, di 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio di oliva nell'Unione;
   il contingente, precisa la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'introduzione di misure commerciali autonome di emergenza a favore della Repubblica tunisina COM (2015) 460, sarà disponibile per due anni, dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017; tale volume supplementare sarà aperto una volta esaurito il contingente tariffario senza dazio di 56.700 tonnellate già iscritto nell'accordo euro-mediterraneo di associazione;
   l'olio di oliva è il principale prodotto agricolo esportato dalla Tunisia verso l'Unione e il relativo settore occupa un posto importante nell'economia del Paese in quanto da lavoro, direttamente e indirettamente, a oltre un milione di persone; la misura in questione, se da un lato rappresenta uno straordinario aiuto all'economia tunisina, dall'altro appare come una vera e propria minaccia per le produzioni unionali, posto che l'aumento delle importazioni avrà un impatto pesantissimo sulla olivicoltura europea e segnatamente italiana;
   la Repubblica tunisina è uno dei Paesi con il maggior numero di giovani che sposano la causa del califfato e si arruolano come combattenti nell'Isis, specie dopo il rapido tradimento delle speranze coltivate a seguito delle proteste del 2011 e della conseguente gravissima crisi occupazionale; è indispensabile che l'Unione europea intervenga a sostegno della creazione di posti di lavoro e che tuttavia tale obiettivo può essere conseguito attraverso la predisposizione di particolari programmi di aiuto da iscriversi nell'ambito dell'accordo euro mediterraneo di associazione e a cui destinare anche le risorse derivanti dal mantenimento dei dazi, posto che, comunque, la loro mancata riscossione avrebbe una incidenza negativa sul bilancio comunitario;
   l'utilizzo da parte dell'Unione europea di strumenti di politica commerciale a sostegno della stabilità dei Paesi beneficiari, oltre a danneggiare spesso le produzioni degli Stati membri come nel caso delle sanzioni imposte alla Russia a seguito della crisi con l'Ucraina, non consente la rimozione delle cause strutturali della disoccupazione, non favorisce programmi di sviluppo endogeno in grado di eliminare le dinamiche di esclusione e anzi rischia di favorire fenomeni speculativi, poiché, come noto, a beneficiare in larga misura delle misure in questione saranno i grandi gruppi industriali a cui fa capo la produzione tunisina di olio di oliva e nessuna certezza può aversi, a oggi, circa le eventuali ricadute positive sui tassi di occupazione giovanile nazionale,

impegna il Governo

a intervenire con urgenza, nelle competenti sedi europee, affinché la Commissione ritiri la proposta di regolamento di cui in premessa e proceda alla predisposizione di adeguati programmi di aiuto, o di ogni altra utile azione in favore della Repubblica tunisina, da finanziare nell'ambito degli stanziamenti previsti nell'accordo euro mediterraneo di associazione e destinati a sostenere progetti di formazione specificamente finalizzati all'occupazione di giovani nel settore agricolo e in particolare, in quello olivicolo.
(7-00788) «Gallinella, L'Abbate, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Parentela, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   nell'isola di Santo Stefano l'ex carcere è in uno stato di completo abbandono e a rischio di crollo isola;
   l'isola si trova a circa 2 chilometri ad est di Ventotene, dal cui comune dipende amministrativamente. L'unico edificio presente sull'isola è un carcere (edificio circolare di architettura «illuminista») con 99 celle, fatto costruire nel periodo borbonico nel 1794-95 da Ferdinando IV e in uso fino al 1965. I detenuti più celebri del penitenziario tra metà Ottocento e inizi del Novecento furono lo scrittore Luigi Settembrini, il brigante Carmine Crocco, gli anarchici Gaetano Bresci e Giuseppe Mariani, dal ventennio fascista in poi, il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Altri antifascisti erano confinati sull'isola di Ventotene, ma non furono carcerati a Santo Stefano: Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Lelio Basso, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Proprio a questi ultimi due si deve la redazione del cosiddetto Manifesto di Ventotene che nel 1941, in pieno conflitto mondiale, chiedeva l'unione dei Paesi europei e che costituirà, negli anni successivi, il riferimento ideale cui guarderanno in molti per il processo di integrazione continentale. Nel 1981, su iniziativa dell'allora Ministro della difesa Lelio Lagorio, sopra il portone di accesso alla fortezza è stata apposta una grande lapide in marmo candido del Monte Altissimo (Alpi Apuane) per ricordare i patrioti dell'Ottocento e i prigionieri dell'epoca fascista. Questa importante testimonianza di architettura penitenziaria e di storia democratica del Risorgimento e dell'Antifascismo rischia di andare irrimediabilmente dispersa se non ci sarà un rapido intervento del Governo, tenendo conto che da anni si parla di un progetto di messa in sicurezza dell'ex carcere di Santo Stefano da parte dei vari Governi succedutisi –:
   se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di prevedere un urgente intervento per salvare l'ex carcere di Santo Stefano
(2-01093) «Melilla».

Interrogazioni a risposta immediata:


   BOMBASSEI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il quadro al quale imprese e cittadini sono confrontati evidenzia l'urgenza e la necessità di rimettere al centro dell'agenda politica nazionale ed europea la competitività del sistema industriale. La definizione di un approccio di politica industriale coordinato e coerente costituisce, infatti, un presupposto imprescindibile per migliorare il potenziale di crescita del nostro Paese;
   i dati evidenziati in un recente studio presentato dalla Roland berger strategy consultants (in occasione del convegno «Automotive: progettare il rilancio – made in Italy, smart regulation e competitività, le linee guida per ripartire» svoltosi presso la Camera dei deputati) nel mese di marzo 2015, mostrano come i vari Paesi europei stiano vivendo, più degli altri competitor mondiali, una fase di deindustrializzazione. Nel decennio che va dal 1991 al 2011, se da un lato, a livello globale, la quota di valore aggiunto prodotta dal settore manifatturiero è andata costantemente crescendo, dall'altro lato, il contributo fornito dall'Europa alla realizzazione del valore aggiunto derivante dal settore manifatturiero a livello globale è andato gradualmente riducendosi, passando dal 36 per cento nel 1991 al 25 per cento nel 2011. Di contro, l'Europa si conferma al secondo posto tra i Paesi manifatturieri, anche se è stata superata dal blocco dei Paesi emergenti, che sono passati dal 21 per cento al 40 per cento;
   questa tendenza è confermata dai dati riguardanti i posti di lavoro garantiti dal settore manifatturiero: tra il 2000 e il 2013 la percentuale degli occupati è passata dal 20 per cento al 17 per cento in Germania e dal 21 per cento al 18 per cento in Italia, a fronte di un aumento dal 23 per cento al 31 per cento in Cina e dal 13 per cento al 14 per cento in Brasile. Inoltre, i dati evidenziano anche un profondo deficit di competitività dell'Europa nei confronti dei Paesi emergenti ed evidenzia l'esigenza di invertire il trend negativo europeo, avviando una fase di reindustrializzazione che coinvolga, in primo luogo, Italia e Germania, quali Paesi leader manifatturieri europei;
   Italia e Germania rappresentano, infatti, insieme il secondo cluster di esportazione al mondo, tenuto conto che il 14,4 per cento sul totale del contributo al prodotto interno lordo del manifatturiero è dato dalle esportazioni e sono preceduti soltanto dalla Cina, con il 16,7 per cento. I dati sull’export rivelano come oltre il 90 per cento delle esportazioni dei due Paesi sia composto da beni manufatti e come i due Paesi si collochino in posizioni di leadership nelle esportazioni per ciascun settore manifatturiero in termini di contributo al prodotto interno lordo;
   i dati contenuti nell'analisi sovra menzionata ravvisano, nell'affermarsi dell’«internet degli oggetti e dei servizi», l'avvento di una nuova quarta rivoluzione industriale, successiva a quella dell'automazione attraverso cui entro il 2030 – con una percentuale del 20 per cento dell'attività industriale sul totale del valore aggiunto del vecchio continente – il numero di addetti dell'industria potrà conoscere un incremento dai 25 milioni del 2011 ai 31 milioni della fine del prossimo decennio;
   nel contesto europeo ed internazionale alcuni Paesi stanno da tempo sostenendo la modernizzazione dell'industria manifatturiera 2.0 attraverso programmi di finanziamento e specifiche iniziative di ricerca per adeguare i processi di produzione e sviluppare nuovi prodotti;
   nella fattispecie, «Industrie 4.0» è un'iniziativa strategica del Governo tedesco adottata come parte integrante dell’high-tech strategy 2020 action plan del novembre 2011; l'obiettivo è quello di realizzare la fabbrica intelligente (smart factory), che si caratterizza per la capacità di adattamento, efficienza delle risorse ed ergonomia e vede l'integrazione dei clienti e partner commerciali nei processi di business e di valore;
   in questa direzione, gli Stati Uniti hanno sviluppato la smart manufacturing leadership coalition (smlc), organizzazione no-profit di professionisti di produzione, fornitori e aziende di tecnologia, consorzi di produzione, università, agenzie governative e laboratori che ha l'obiettivo di consentire agli stakeholders del settore manifatturiero di aggregarsi per sviluppare attività di ricerca e sviluppo, standard, piattaforme e infrastrutture condivise che facilitino l'adozione della produzione intelligente diffusa. Inoltre, il programma Networking and information technology research and development (Nitrd) riunisce 18 agenzie di ricerca e coordina la ricerca in diversi domini IT, tra cui human-computer interaction e information management;
   anche nella Repubblica popolare cinese il 12o piano quinquennale (2011-2015) stabilisce l'obiettivo di ridurre la dipendenza dalla tecnologia estera e di perseguire la leadership tecnologica a livello mondiale in sette «settori strategici», tra cui l'high-end equipment manufacturing e new-generation information technology. La Cina ha, inoltre, istituito una «IoT innovation zone» nella città di Wuxi (nella provincia del Jiangsu), con oltre 300 aziende e con una forza lavoro attualmente impegnata pari a circa 70.000 unità;
   ancora, nella Repubblica dell'India il finanziamento per l'innovazione è una delle priorità fondamentali del 12o piano quinquennale (2012-2017) che prevede un aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo pubblica e privata del 2 per cento del prodotto interno lordo. Nel 2011, è stato lanciato il progetto «Cyber-physical systems innovation hub», sotto l'egida del Ministero delle comunicazioni e delle IT per condurre una ricerca in molteplici settori, tra cui la robotica umanoide;
   nell'ambito della «strategia Europa 2020», con la comunicazione del 2010 «Una politica industriale integrata per l'era della globalizzazione» (COM(2010) 0614), successivamente ripresa dalle comunicazioni «Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica» (COM (2012)0582), adottata nell'ottobre del 2012, e «Per una rinascita industriale europea» (COM(2014)0014) del gennaio 2014, l'Unione europea ha indicato le grandi linee per una rinnovata politica industriale proattiva, capace di accrescere la competitività del tessuto produttivo e di porre le basi della reindustrializzazione dell'Europa, proponendo una serie di azioni concrete, dirette a rispondere in modo puntuale ai problemi della crescita, dell'occupazione nel breve/medio termine, ribadendo la centralità del manifatturiero e l'importanza di avanzare verso un approccio integrato ed innovativo di politica industriale;
   il Comitato economico e sociale (Cese), nel parere espresso sul tema della reindustrializzazione dell'Europa e dell'impatto dei servizi alle imprese nell'industria (CCMI/121, 16 ottobre 2014) sottolinea come «(...) l'industria 4.0 offrirà all'Europa l'opportunità unica di perseguire diversi obiettivi investendo in una sola infrastruttura. Rinviare tale investimento significherebbe compromettere la competitività europea. Un investimento di questo tipo dovrebbe, pertanto, essere valutato positivamente anche nel quadro delle raccomandazioni specifiche per Paese emanate ogni anno nel corso del semestre europeo», ed ancora, nella relazione illustrativa sul tema «Trasformazioni economiche nel mondo, conseguenze per la competitività dell'Unione europea» (CCMI/134, 23 luglio 2015), si sottolinea l'importanza del ruolo dell'industria 4.0 e delle tecnologie rivoluzionarie, evidenziando che «(...) Le imprese degli Stati membri con scarse competenze digitali hanno più difficoltà ad applicare le innovazioni di punta, le tecniche di modernizzazione e i modelli aziendali aggiornati»;
   a livello comunitario, la ricerca su «Internet delle cose e dei servizi» (Internet of things and services) ha beneficiato di un importante sostegno attraverso il settimo programma quadro di ricerca (2007-2013) per le attività di ricerca e sviluppo tecnologico nell'ambito del quale sono stati allocati circa 9 miliardi di euro per il settore Ict. Sono stati, altresì, investiti 2,4 miliardi di euro nella piattaforma tecnologica Artemis per promuovere progetti di sviluppo in otto sottoprogrammi che includono sia la manufacturing and production automation che il cyber-physical system;
   sotto gli auspici di questa iniziativa, il progetto «ActionPlanT», co-finanziato dalla Commissione europea nell'ambito dell'iniziativa di partenariato pubblico-privato Factories of the future, ha presentato la sua «Vision for manufacturing 2.0», un documento di discussione per le future iniziative di finanziamento della ricerca nell'ambito del nuovo programma quadro per la ricerca – Horizon 2020 (2014-2020);
   la Commissione europea ha definito gli ambiti di intervento prioritari su cui concentrare l'attenzione nell'individuazione della strategia globale relativa alla creazione del «mercato unico digitale»: con la digital single market strategy la Commissione europea intende «(...) sostenere tutti i settori industriali a integrare nuove tecnologie e gestire la transizione verso un sistema industriale intelligente (Industry 4.0)»;
   il Commissario europeo all'economia digitale Günther Oettinger ha recentemente annunciato la presentazione di un piano di azione – che verrà presentato a inizio 2016 ai Ministri europei – articolato su quattro linee guida: interventi («dal sostegno alla ricerca e alla diffusione di expertise tecnologico sino alla creazione di hub regionali d'innovazione digitale») per favorire l'integrazione delle tecnologie di nuova generazione nei propri processi produttivi, sostegno allo sviluppo di piattaforme digitali di prossima generazione e alla diffusione delle competenze digitali in linea con la strategia già in atto per il mercato unico digitale, un nuovo pacchetto legislativo ed una regolamentazione più smart, partendo dalla libera circolazione dei dati;
   con l'approvazione della «Strategia italiana per la crescita digitale 2014-2020» e della «Strategia italiana per la banda ultra-larga» il Governo intende perseguire l'obiettivo di colmare il ritardo digitale del Paese sul fronte infrastrutturale e nei servizi, concorrendo a delineare un quadro normativo aggiornato ed un ecosistema digitale favorevole alla crescita economica, alla volontà di investire ed innovare, allo sviluppo delle reti tecnologiche e delle reti tra istituzioni e imprese, nonché orientato alla transizione verso un sistema industriale in grado di raccogliere la sfida della competitività digitale globale;
   secondo i dati Istat la produzione industriale è tornata a crescere: a luglio 2015, infatti, si è registrato un aumento tendenziale dell'indice generale dell'1,1 per cento rispetto a giugno 2015 e del 2,7 per cento rispetto al 2014. I dati congiunturali mostrano tutti i principali settori produttivi in miglioramento e nella media dei primi sette mesi la produzione è cresciuta dello 0,7 per cento. Si conferma, dunque, in questa fase, l'esigenza di avviare un nuovo ciclo industriale, in particolare sul modello dell’«Industria 4.0», che si fonda su un rinnovato e riconfigurato legame tra innovazione, competenze e capitale umano, tecnologie digitali e macchinari, nell'ottica di creare sistemi manifatturieri avanzati e riportare le produzioni delocalizzate in Europa –:
   quali iniziative il Governo ritenga opportuno adottare, in un'ottica di rilancio strategico della politica industriale nazionale, orientata all'adozione pervasiva del paradigma «Industria 4.0» ed alla digitalizzazione delle filiere dell'industria manifatturiera e dei relativi servizi accessori e complementari. (3-01729)


   SCOTTO, NICCHI e FRATOIANNI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, cosiddetto «decreto enti locali», prevede una serie di norme in materia sanitaria, diverse delle quali non potranno non avere ricadute negative sulla stessa tenuta del servizio sanitario italiano;
   gran parte delle misure sono volte a recepire le misure concordate nell'intesa Stato-regioni del 2 luglio 2015 e si traducono, di fatto, in una nuova riduzione di risorse a favore del fondo sanitario nazionale per 2,352 miliardi di euro all'anno a decorrere dal 2015;
   si continua così a reperire risorse a danno della sanità pubblica, laddove le necessarie risorse da «liberare» al fine di un finanziamento del servizio sanitario nazionale, dovrebbero individuarsi altrove, e prioritariamente in un vero, serio e credibile contrasto alla corruzione presente nel settore, in un controllo realmente rigoroso degli accreditamenti, alle diseconomie, piuttosto che con una riduzione dei diritti e dell'universalismo e nei tagli che da troppi anni stanno interessando il servizio sanitario nazionale;
   il recentissimo «Rapporto sullo stato sociale 2015» del dipartimento di economia e diritto dell'Università di Roma «La Sapienza» ha confermato come i dati della spesa sanitaria italiana, sia in rapporto al prodotto interno lordo (7 per cento) che pro capite, indicano che l'Italia è sotto la media dei rispettivi valori dell'Unione europea a 15 (8,7 per cento); dopo l'Italia ci sono solo Spagna, Grecia e Portogallo;
   nonostante il basso livello di spesa sanitaria dell'Italia rispetto agli altri Paesi, già si ventilano ulteriori riduzioni per il 2016 delle risorse che erano state garantire per il servizio sanitario nazionale. Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha in questi giorni dichiarato che il fondo sanitario arriverà a 111 miliardi di euro. Con questa dichiarazione, il Presidente del Consiglio dei ministri sancisce, di fatto, un taglio al comparto salute di circa 2 miliardi di euro. L'aumento programmato, frutto dell'accordo in Stato-regioni del 2 luglio 2015, prevede infatti per il 2016 uno stanziamento di circa 113 miliardi di euro, cifra peraltro in linea con l'ultima nota di aggiornamento del documento di economia e finanza ora all'esame del Parlamento. Peraltro, la stessa Ministra Lorenzin, solo pochi giorni fa, ha affermato che per il 2016 sotto i 112 miliardi di euro non si può andare;
   l'articolo 9-quater del suddetto decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, prevede, in particolare, una serie di misure volte alla riduzione delle prestazioni sanitarie inappropriate. In pratica si interviene su prestazioni specialistiche e riabilitative ritenute non necessarie ma prescritte ugualmente dai medici, con misure penalizzanti (riduzione della retribuzione) per i medici stessi, qualora questi non rispettino le condizioni di erogabilità e le indicazioni per la prescrizione appropriata delle prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale;
   sono norme che nelle intenzioni del Governo dovranno produrre dei risparmi, ma che nei fatti finiranno per avere ricadute negative sulla prevenzione e per ridurre il perimetro del servizio sanitario nazionale;
   a pagarne le conseguenze sarà ancora una volta il cittadino che si vedrà «scaricare» la responsabilità di una prestazione sanitaria che gli è stata prescritta, ma che si giudica non appropriata. Al di fuori delle condizioni di erogabilità consentite, le prestazioni saranno infatti poste a totale carico dell'assistito, che si vedrà posto nella condizione di rivolgersi al privato, accollandosi così il relativo costo;
   si tratta di misure che, volendo affrontare il problema reale della medicina difensiva, finiscono per tradursi in disposizioni sostanzialmente punitive nei confronti dei pazienti e dei medici;
   la quasi totalità dei medici hanno criticato fortemente sia le sanzioni, sia la limitazione della loro libertà di agire in scienza e coscienza e in base alla loro esperienza;
   il fondatore di Emergency, Gino Strada, in un'intervista a Il Fatto quotidiano del 25 settembre 2015, ha ben sottolineato: «chi decide se un esame è inutile ? La Lorenzin ? (...) È l'ultimo scempio ai danni della sanità: ormai medici e infermieri fanno il lavoro non grazie alle politiche pubbliche, ma nonostante queste. Nello specifico, alcuni di questi esami si potranno prescrivere solo in caso di anomalia pregressa: ma come posso accertarla se l'esame non si può fare ? (...) Come medico ho il diritto e il dovere di utilizzare le prestazioni necessarie per accertare le condizioni di salute del mio paziente»;
   è in via di emanazione, previo passaggio in conferenza Stato-regioni e a conclusione di un confronto con i soggetti interessati, il previsto decreto del Ministro della salute di attuazione dell'articolo 9-quater del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, che individua 208 misure che saranno soggette a condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva;
   le suddette misure riguardano odontoiatria, radiologia, risonanze magnetiche, tac, esami di laboratorio e genetici, test allergici e molte altre. Chi vorrà sottoporsi alle prestazioni elencate nella bozza di decreto ministeriale potrà ottenerle a carico del servizio sanitario nazionale solo a certe precise condizioni, altrimenti dovrà rivolgersi al privato e pagarle di tasca propria;
   tutto questo si inserisce in un contesto dove sono sempre più gli italiani che si vedono costretti a rivolgersi al privato con sacrifici economici considerevoli;
   come ricorda la ricerca Censis-Rbm salute sulla sanità integrativa, del giugno 2015, una risonanza magnetica al ginocchio nel pubblico richiede un ticket di 63 euro e 74 giorni di attesa, 142 euro di costo nel privato con soli 5 giorni di attesa. «Sono 22 milioni gli italiani che nell'ultimo anno hanno fatto almeno un accertamento specialistico (radiografia, ecografia, risonanza magnetica, tac, elettrocardiogramma, pap-test ed altro): 5,4 milioni hanno pagato per intero la prestazione (1,7 milioni di questi sono persone a basso reddito). E sono 4,5 milioni gli italiani (di cui 2,8 milioni a basso reddito) che hanno dovuto rinunciare ad almeno una prestazione. Pagare diventa per tutti, anche per le persone con redditi bassi, la condizione per accedere alla prestazione in tempi realistici» –:
   se non si ritenga di adottare iniziative volte individuare altre modalità di risparmio rispetto a quanto previsto dal decreto-legge «enti locali», e comunque di modificare l'articolo 9-quater del decreto-legge n. 78 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2015, sospendendo conseguentemente l'emanazione del decreto ministeriale di cui in premessa, al fine di rivedere profondamente, attraverso un preventivo percorso di consultazioni e di serio confronto con gli operatori e i soggetti interessati, le misure in materia di prescrizioni sanitarie ritenute non appropriate. (3-01730)


   MARAZZITI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nella primavera del 2011 è iniziato il sostegno occidentale a coloro che in Siria chiedevano riforme;
   in quel periodo la repressione messa in atto dal regime di Assad aveva causato decine di vittime e centinaia di arresti;
   il sostegno occidentale, americano ed europeo, dei Paesi del Golfo e della Turchia agli insorti ha, però, rivelato presto il carattere ambiguo della ricerca di una soluzione militare che sul terreno era pressoché impossibile e che ha visto crescere esponenzialmente il numero delle vittime civili e il rafforzamento delle componenti jihadiste, dovuto anche al grave errore del riconoscimento da parte francese del cosiddetto «Governo di opposizione siriana» all'estero;
   inoltre, con il processo di Doha si è verificato lo smembramento di ampie zone della Siria e la nascita del califfato che da Rakka ha annullato i confini tra Siria e Iraq, creando per la prima volta nella storia moderna ampi territori controllati dalle milizie terroriste e jihadiste che battono ma bandiera nera del cosiddetto Daesh e che affermano un terrorismo jihadista che vuole espandersi come «Stato»;
   il terribile bilancio di questa guerra mondiale «a pezzetti» ha causato solo in Siria circa 250 mila vittime, quasi dieci milioni di sfollati interni, ricattati e in balia o in fuga dai diversi signori della guerra interni, e 4 milioni di profughi e richiedenti asilo che interrogano la coscienza e la capacità politica e di accoglienza dell'Europa;
   i recenti bombardamenti francesi contro obiettivi del cosiddetto Daesh in Siria rappresentano un ulteriore elemento di preoccupazione;
   ancora una volta a parere dell'interrogante la Francia rischia di creare un’escalation senza idee e una soluzione muscolare senza possibilità di controllo del territorio;
   al contrario, sono necessari interventi per aiutare concretamente iniziative per «piccole paci» nella zona a sud di Damasco e per la città di Aleppo, a rischio di scomparsa, così come sarebbero necessarie iniziative a favore delle millenarie diverse presenze religiose di quell'area;
   inoltre, eventuali attacchi militari in Libia, messi in atto senza un mandato internazionale, sarebbero controproducenti e potrebbero, anzi, favorire il Daesh che potrebbe chiamare masse musulmane non omogenee a riunirsi per difendersi dalla «invasione occidentale» –:
   cosa il Governo intenda fare per rafforzare l'iniziativa internazionale per l'unica soluzione possibile, di natura politica, e che veda coinvolte tutte le forze dell'area assieme ai grandi Paesi alleati e amici Usa e Russia, ora che anche l'Iran potrebbe giocare un ruolo utile nel concerto delle nazioni ai fini della pace.
(3-01731)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   stando ad alcune recenti prese di posizione, l'Italia sarebbe contraria ad iniziative militari in Siria suscettibili di comprometterne l'unità e l'integrità territoriale, trasformando quel Paese in una «seconda Libia»;
   malauguratamente, tuttavia, la Siria ha già perso da tempo i connotati di uno Stato unitario, ospitando sul suo territorio una parte cospicua delle aree occupate dal Daesh, che ha individuato in Raqqa la sede della sua capitale;
   sempre in Siria opera almeno un'altra aggregazione maggiore di forze ribelli, in cui sarebbero presenti anche miliziani del gruppo jihadista denominato al Nusra, affiliato ad al Qaeda;
   in Siria agiscono inoltre i curdi siriani, che aspirano all'indipendenza e potrebbero essere sostenuti anche dagli Stati Uniti, e naturalmente le forze regolari ed irregolari del regime di Bashar el Assad;
   la coalizione che combatte contro il Daesh da oltre un anno conduce una campagna blanda, per il momento tendente più al contenimento che allo sradicamento della nuova formazione, come prova la circostanza che le missioni aeree offensive siano all'incirca venti al giorno e neanche tutte appropriatamente armate;
   l'indebolimento del regime di Assad e della posizione dei curdi siriani non è estraneo all'esodo di profughi che ha investito recentemente l'Europa, abbandonando la Siria e risalendo dalla Turchia i Balcani, fino ad approssimarsi alle frontiere nord-orientali del nostro Paese, improvvidamente sguarnite nei mesi scorsi per destinare personale alla protezione degli aeroporti;
   sembra probabile che l'intervento russo al fianco dell'esercito regolare siriano possa contribuire ad alleviare la pressione migratoria gravante sull'Europa ed anche su di noi;
   il Ministro della difesa ha annunciato l'intenzione di potenziare il contingente distaccato in Iraq per addestrare e sostenere logisticamente i peshmerga curdi, fornendo alcuni carabinieri in più, ma senza considerare alcuna forma di ricorso alla forza da parte del nostro Paese contro lo Stato islamico;
   appare in effetti opportuno agire tanto sul teatro dal quale defluiscono i profughi quanto sui confini italiani, dove a coloro che fuggono da persecuzioni e conflitti si aggiungono migranti economici sotto finte spoglie –:
   se il Governo non ritenga opportuno appoggiare politicamente gli sforzi intrapresi dalla Russia per prevenire il crollo del regime di Assad ed evitare il successo dello Stato islamico, assumendo contemporaneamente le misure militari e di polizia necessarie al contenimento del deflusso dei profughi dalla Siria ed al respingimento di coloro che non hanno alcun titolo apparente alla tutela internazionale. (3-01732)


   SORIAL, AGOSTINELLI, ALBERTI, BARONI, BASILIO, BATTELLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, NICOLA BIANCHI, BONAFEDE, BRESCIA, BRUGNEROTTO, BUSINAROLO, BUSTO, CANCELLERI, CARIELLO, CARINELLI, CASO, CASTELLI, CECCONI, CHIMIENTI, CIPRINI, COLLETTI, COLONNESE, COMINARDI, CORDA, COZZOLINO, CRIPPA, DA VILLA, DADONE, DAGA, DALL'OSSO, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DE ROSA, DEL GROSSO, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BATTISTA, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, MANLIO DI STEFANO, DI VITA, DIENI, D'INCÀ, D'UVA, FANTINATI, FERRARESI, FICO, FRACCARO, FRUSONE, GAGNARLI, GALLINELLA, LUIGI GALLO, SILVIA GIORDANO, GRANDE, GRILLO, L'ABBATE, LIUZZI, LOMBARDI, LOREFICE, LUPO, MANNINO, MANTERO, MARZANA, MICILLO, NESCI, NUTI, PARENTELA, PESCO, PETRAROLI, PISANO, RIZZO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, RUOCCO, SARTI, SCAGLIUSI, SIBILIA, SPADONI, SPESSOTTO, TERZONI, TOFALO, TONINELLI, TRIPIEDI, VACCA, SIMONE VALENTE, VALLASCAS, VIGNAROLI, VILLAROSA e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di una recente trasmissione tv, il Presidente del Consiglio dei ministri Renzi ha dichiarato: «Si guardi ai costi di Palazzo Chigi prima e dopo la cura: noi stiamo facendo i tagli sulla spesa pubblica»; tuttavia, nel 2014 il Presidente Renzi risulta aver speso 140 milioni di euro più del 2013 e sforato le previsioni di spesa di mezzo miliardo di euro: il bilancio preventivo 2014, infatti, fissava la spesa massima a 3,1 miliardi di euro, ovvero 570 milioni di euro in meno rispetto a quelli effettivamente spesi;
   anche per quanto riguarda il 2015, non c’è risparmio: secondo il bilancio di previsione 2015 di della Presidenza del Consiglio dei ministri (redatto sulla base di quello del 2014 risultato esser già «sballato» di mezzo miliardo di euro), quasi tutto il risparmio, stimato in 1,75 miliardi di euro (le spese totali passano da 3,11 a 1,33 miliardi di euro), è da attribuirsi in realtà al passaggio a livello contabile della protezione civile e dei suoi mutui al Ministero dell'economia e delle finanze, come spiegato dalle tabelle e dalla «nota preliminare»;
   risulterebbe inoltre che la Presidenza del Consiglio dei ministri abbia preso in leasing un nuovo Airbus, probabilmente un A340, grande il doppio dell'attuale A319, senza rivelare l'entità della spesa, che comunque in media, secondo i prezzi di mercato, dovrebbe essere intorno agli 800 mila euro a settimana, per un totale di una quarantina di milioni di euro l'anno. Secondo il generale Leonardo Tricarico, questa sarebbe «un'operazione finanziaria poco vantaggiosa come dimostrano i precedenti (...) quanto verrebbe usato il super-Airbus? L'attuale A319 può già portare fino a 50 persone fino a 8.500 chilometri senza scalo, quante volte sono necessarie prestazioni maggiori? L'esperienza suggerisce pochissime»;
   tra le voci di spesa vi sarebbero: 118 mila euro per «il servizio di piante interno» e 256 mila euro per l’«anagrafica di postazioni arredi», nonché i quasi 600 mila euro stanziati per i sondaggi, dunque cinque volte più di quanto spese il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Letta per la stessa voce; inoltre, ci sono i costi per le assunzioni di esterni come i due vicesegretari generali della Presidenza del Consiglio dei ministri, Raffaele Tiscar e Salvo Nastasi;
   la sbandierata spending review della Presidenza del Consiglio dei ministri si sarebbe concentrata su qualche dipartimento interno, come quello dell'integrazione che è stato soppresso, e su programmi di intervento come «le provvidenze all'editoria», le «politiche per la famiglia» e il servizio civile;
   sempre dal bilancio di previsione 2015, si rileva che il segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, struttura alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio dei ministri, nel 2015 spenderà per il suo solo funzionamento 42,7 milioni di euro in più rispetto al limite 2014, già superato; in generale, il budget della segreteria generale è stimato in crescita di 63,2 milioni di euro;
   infine, nel dicembre 2014 sarebbe stato ordinato un «mega appalto» Consip per il noleggio di circa 6 mila automobili di servizio per la pubblica amministrazione, come riportato da Il Fatto quotidiano, con una base d'asta di 106 milioni di euro, questo nonostante la lotta alle «auto» blu fosse stata uno dei cavalli di battaglia del Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, che si vantava di aver fatto abolire 3 mila «auto blu» in pochi mesi; in questo modo, rispetto al 2013, sotto i Governi Monti e Letta, Consip pagherebbe ben 26 milioni di euro in più, per quasi 2 mila vetture in più, senza dimenticare che Mario Monti aveva addirittura cancellato la gara;
   negli ultimi sette anni il numero delle persone in povertà assoluta in Italia è più che raddoppiato, passando dagli 1,8 milioni del 2007 ai 4,1 milioni del 201, e manca ancora una misura universale di sostegno economico contro la povertà, ritenuta «non è più rinviabile» dalla Caraitas, nel suo rapporto «Le politiche contro la povertà in Italia – Dopo la crisi costruire il welfare» presentato il 15 settembre 2015, in cui viene rimarcata «la responsabilità dello Stato centrale rispetto alla tutela dei diritti dei poveri, che si sarebbe potuta esercitare, e non si è finora esercitata, attraverso l'introduzione di una misura universale contro la povertà. Questa assenza, all'origine anche dei problemi di frammentazione e parzialità delle misure esistenti, sarebbe più che mai da colmare e il tema sembra solo ora guadagnare attenzione nel dibattito pubblico, grazie a diverse iniziative di movimenti, associazioni e partiti politici»;
   i fondi nazionali per le politiche sociali, dall'inizio della crisi, sono stati più che dimezzati, passando dai 3.169 milioni di euro del 2008 ai 1.233,70 milioni di euro del 2015, mentre nella legge di stabilità per il 2015 si è provveduto alla cancellazione del fondo per l'acquisto dei beni alimentari per i più bisognosi (fead);
   in nome della spending review, il Governo Renzi nel 2015 ha eseguito tagli lineari alle regioni per 4 miliardi di euro, 2,3 dei quali si sono abbattuti sulla sanità, ai comuni per 1,2 miliardi di euro e alle province per 1 miliardo di euro e altri tagli sulla sanità sarebbero in procinto di essere effettuati nell'ambito del disegno di legge di stabilità per il 2016: demolire, in pieno contrasto con l'articolo 32 della Costituzione, il modello di un servizio sanitario nazionale pubblico, equo e universalistico;
   non è stato ancora portato a termine il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, poiché un terzo delle spese arretrate deve ancora essere saldato; infatti, secondo quanto riportato dal sito del Ministero dell'economia e delle finanze, che l'11 agosto 2015 ha inserito i dati nella sezione dedicata del sito che non veniva aggiornata da gennaio 2015, solo 38,6 miliardi di euro su quasi 57 stanziati sono stati girati alle aziende, a cui ora vanno aggiunti i 2,9 miliardi di euro previsti dal «decreto-legge enti locali», e questo nonostante le imprese italiane siano ancora in gravi difficoltà;
   le attività di controllo sugli enti cooperativi, che dal 2006 sono compito del Ministero dello sviluppo economico, sono ferme a causa della legge di stabilità per il 2015 che ha ridotto il trasferimento a un solo milione di euro, dai 12 del 2014;
   anche l'annunciato pacchetto di riduzione delle imposte avrà secondo il rapporto Caritas un'utilità quasi nulla per le fasce di popolazione meno abbiente, dal momento che solo il 35 per cento delle famiglie in povertà assoluta paga la Tasi, mentre la rimodulazione degli scaloni Irpef prevista per il 2018 avrà scarsi effetti per la maggioranza delle famiglie povere, dal momento che, analizzando la percentuale di famiglie che pagano un'Irpef positiva (quella per le quali è zero) e quella delle famiglie che ricevono un credito di imposta dopo l'introduzione del bonus degli 80 euro al mese, si evidenzia come nel primo 5 per cento delle famiglie, tutte di fatto in povertà assoluta, l'attuale sistema di interventi pubblici risulti infatti essere del tutto inadeguato per volume di risorse economiche dedicate, con una distribuzione della spesa pubblica decisamente sfavorevole ai poveri: al 10 per cento della popolazione con minore reddito è destinato il 3 per cento della spesa sociale complessiva e il 7 per cento della spesa per protezione sociale non pensionistica; inoltre, l'Italia ha una percentuale di stanziamenti dedicati alla lotta alla povertà che risulta essere inferiore alla media dei Paesi dell'area-euro: solo lo 0,1 per cento del prodotto interno lordo rispetto allo 0,5 per cento che rappresenta la media dei Paesi dell'eurozona –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, se il Presidente del Consiglio non ritenga di chiarire al più presto le motivazioni di tale mancato taglio delle spese della Presidenza del Consiglio dei ministri, auspicato, necessario e secondo gli interroganti moralmente indifferibile, considerati la situazione economica del Paese ed i sacrifici che il Governo chiede ogni giorno ai cittadini italiani, e se non intenda adottare in tempi brevi azioni che vadano nella direzione dell'istituzione di una misura universale di sostegno economico contro la povertà come il reddito di cittadinanza, volte a contrastare efficacemente l'indigenza e auspicate più volte anche dal rapporto Caritas di cui in premessa. (3-01733)


   BRUNETTA e PALESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel corso del mese di settembre 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri ha affermato in due occasioni (intervista al quotidiano Il Foglio del 12 settembre 2015 e intervista alla trasmissione televisiva Otto e mezzo del 14 settembre 2015) di aver già ottenuto dall'Unione europea di poter fare, nel disegno di legge di stabilità per il 2016, fino a 17 miliardi di euro di deficit in più, pari a oltre un punto di prodotto interno lordo, e di poter usare questo ulteriore deficit per realizzare la politica economica del Governo, fatta soprattutto di tagli fiscali;
   un punto di deficit in più significa uscire dal sentiero di riduzione dell'indebitamento pubblico, dando un segnale assolutamente in controtendenza rispetto alla virtuosità del bilancio italiano;
   tanto le regole europee (Fiscal compact, Six pack, Two pack) quanto la legge di contabilità e di finanza pubblica italiana (legge n. 196 del 2009), nonché l'articolo 81 della Costituzione, non consentono che impegni di spesa di carattere strutturale, quale il taglio delle tasse, siano finanziati da misure una tantum, quale sarebbe la cosiddetta «flessibilità» europea;
   d'altra parte, la Commissione europea e l'Eurogruppo si esprimono sui documenti programmatici degli Stati membri soltanto dopo la presentazione del disegno di legge di stabilità, il cui termine è fissato per il 15 ottobre, e comunque non prima del 30 novembre di ogni anno (articolo 7 del regolamento (CE) n. 473/2013) –:
   in quali sedi europee ufficiali la Commissione europea e/o l'Eurogruppo abbiano deliberato, già a settembre 2015, la concessione di un margine di flessibilità fino a 17 miliardi di euro all'Italia. (3-01734)


   ROSATO, MAURI, MARTELLA, PAOLA BRAGANTINI, DI SALVO, FREGOLENT, GRASSI, GRIBAUDO, MORANI, BINI, CINZIA MARIA FONTANA, MARCO DI MAIO, GARAVINI, GIORGIS, GIUSEPPE GUERINI, POLLASTRINI, STUMPO e MARANTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la previsione di crescita del prodotto interno lordo reale per il 2015 è salita dallo 0,7 per cento del documento di economia e finanza del mese di aprile 2015 allo 0,9 per cento nella nota di aggiornamento all'esame delle Camere;
   la previsione programmatica per il 2016 è migliorata anch'essa dall'1,4 all'1,6 per cento e le proiezioni per gli anni seguenti sono più positive, sia pur nell'ambito di una valutazione che rimane prudenziale dato il pesante lascito della crisi degli ultimi anni;
   a conferma di un generalizzato miglioramento della situazione economica del Paese, i dati diffusi dall'Istat indicano un aumento del clima di fiducia dei consumatori, fatto 100 il dato del 2010, da 109,3 del mese di agosto 2015 a 112,7 per il mese di settembre 2015. L'indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane (Iesi, Istat economic sentiment indicator) sale, passando a 106,2 da 103,9 di agosto 2015. Per trovare dati più favorevoli bisogna risalire a 13 anni fa;
   non solo gli indicatori delle cosiddette aspettative degli operatori economici, ma anche i dati concreti della produzione sembrano confermare tale trend, laddove si consideri che sul versante degli ordini questi sono saliti dello 0,6 per cento congiunturale a luglio 2015 e del 10,4 per cento tendenziale, in sette mesi l'indice grezzo è salito del 4,2 per cento. Secondo il rapporto Istat, gli ordini interni solo aumentati del 3,1 per cento su mese e del 14,4 per cento su anno a luglio 2015; si tratta del secondo aumento consecutivo a due cifre su base tendenziale e ancora una volta l'incremento maggiore è per la fabbricazione di mezzi di trasporto (+61,3 per cento);
   le riforme sin qui realizzate stanno contribuendo al rafforzamento dell'economia italiana ed alla credibilità sul piano internazionale del nostro Paese –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, già a partire dal prossimo disegno di legge di stabilità per il 2016, per rafforzare la ripresa economica e produttiva, condizione indispensabile per il consolidamento della ripresa occupazionale e per uno sviluppo più equilibrato della società italiana. (3-01735)


   FRANCESCO SAVERIO ROMANO, ABRIGNANI, D'ALESSANDRO, FAENZI, GALATI, MOTTOLA, PARISI, BORGHESE e MERLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Istat, in base ai dati del censimento del 2011, le famiglie italiane che dimorano in una casa di proprietà sono 17.666.209 (pari al 72,1 per cento delle famiglie censite);
   la tassazione sulla prima casa, nata nel 1992 come imposta straordinaria sugli immobili, e poi divenuta negli anni prima Ici, poi Imu ed infine Tasi, si configura come una vera tassa patrimoniale sulle famiglie di ogni ceto;
   secondo l'Eurostat, nel 2012, la pressione fiscale in Italia è stata pari al 44 per cento del prodotto interno lordo, ben al di sopra della media dell'Unione europea (39,4 per cento) e dell'eurozona (40,4 per cento);
   la pressione fiscale registrata nel 2012 in Germania è stata pari al 39,1 per cento, in Gran Bretagna al 35,4 per cento ed in Spagna addirittura al 32,5 per cento;
   secondo l'Eures, l'Italia è il secondo Paese europeo per livello di tassazione sugli immobili;
   il Presidente del Consiglio dei ministri ha annunciato l'intenzione di abolire la tassazione sulla prima casa, come a suo tempo fatto nel 2008 dal Governo allora in carica;
   tanti italiani all'estero continuano ancora oggi a pagare l'Imu sulla prima casa posseduta in Italia;
   la Commissione europea ha recentemente invitato i Governi nazionali a concentrare l'attenzione «sui modi appropriati per spostare il carico fiscale dal lavoro e ad altri tipi di tassazione che sono meno dannose alla crescita e all'occupazione come i consumi, la proprietà e le tasse ambientali»;
   non è certo compito delle istituzioni europee decidere in merito ai livelli di tassazione che i Governi dei singoli Stati decidono di imporre e, anzi, l'abolizione della tassa sulla prima casa avrebbe sicuramente il merito di rilanciare un settore, quello dell'edilizia, che, dal 2008 ad oggi, secondo l'Ance – Associazione nazionale costruttori edili ha perso 522 mila posti di lavoro (790 mila contando l'indotto), con 68 mila imprese che sono uscite dal mercato –:
   quali siano gli orientamenti del Presidente del Consiglio dei ministri in merito alla tassazione sulla prima casa e sugli immobili in generale, per gli italiani residenti in Italia e per quelli residenti all'estero, a partire dal 2016. (3-01736)


   LUPI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi ha preannunciato agli italiani che in sede di manovra economica per l'anno 2016 saranno soppresse due imposte sulla casa, l'Imu e la Tasi dovute per le abitazioni principali, e che, inoltre, per il 2017 il Governo prevede l'abolizione di una buona parte dell'Ires, mentre per il 2018 è in programma la rimodulazione degli scaglioni Irpef;
   nel 2014 il prelievo Imu e Tasi è arrivato a 24,9 miliardi di euro, con un aumento di 15,1 miliardi di euro, pari al 153,5 per cento in più, rispetto ai 9,8 miliardi di euro prelevati nel 2011 con l'Ici. L'Italia negli anni della crisi ha visto un aumento delle tasse sugli immobili del 111 per cento, contro una media europea del 23 per cento;
   secondo i dati Ocse, la ricchezza delle famiglie italiane è maggiormente concentrata, rispetto agli altri Paesi dell'Unione europea, in asset non finanziari e, in particolare, in asset immobiliari. In Italia, infatti, la ricchezza delle famiglie si concentra per il 65 per cento circa in asset non finanziari, che sono costituiti per quasi l'80 per cento da asset immobiliari; Queste analisi hanno confermato che per l'Italia l'introduzione dell'Imu e della Tasi ha avuto un effetto negativo sulla propensione marginale al consumo delle famiglie. L'inasprimento della tassazione immobiliare ha anche provocato un effetto ricchezza negativo per le famiglie;
   la linea di Governo sopra evidenziata, condivisa anche dalle associazioni dei costruttori e delle imprese, è stata tuttavia oggetto di osservazioni da parte dei tecnici della Commissione europea, che, seguendo un'impostazione costante negli ultimi anni, hanno chiesto che il carico fiscale sia spostato dal lavoro al patrimonio, e quindi in sostanza, per quel che riguarda l'Italia, alla casa;
   giova ricordare che la prima casa è un bene strumentale, non fruttifero di reddito e solo in termini di calcolo del prodotto interno lordo può essere considerata patrimonio. Correttamente il Presidente del Consiglio dei ministri ha osservato che «(...) il compito dell'Unione europea non è mettere bocca su quali scelte fiscali fa uno Stato. Non deve decidere al posto dei singoli Governi quali scelte fiscali vanno fatte. Quali tasse ridurre lo decidono i singoli Stati, non un euroburocrate». L'eliminazione della tassa sulla prima casa per tutti «rappresenta un elemento fondamentale per restituire fiducia agli italiani (...)»;
   si esprime l'apprezzamento di questa parte politica per la linea di condotta del Presidente del Consiglio dei ministri –:
   con quali modalità il Governo intenda rispondere alle osservazioni avanzate in sede di Unione europea, facendo valere in tale ambito un'impostazione che nel Paese è generalmente condivisa, e come il Governo intenda rispondere alle critiche relative ai problemi di copertura della manovra per il 2016, che giungono dalle opposizioni. (3-01737)


   GIORGIA MELONI, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, NASTRI, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2015 è in vigore il nuovo modello Isee – indicatore della situazione economica equivalente – rivisto in base alle indicazioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
   i nuovi criteri introdotti per determinare il reddito delle famiglie, e quindi il diritto ad accedere alle prestazioni sociali agevolate, si stanno tuttavia sostanziando in gravi penalizzazioni per moltissimi soggetti;
   tra le categorie maggiormente in difficoltà in base all'applicazione dei nuovi parametri spiccano le persone affette da disabilità e gli studenti universitari, due categorie che dovrebbero godere della massima protezione sociale;
   per quanto concerne i soggetti con disabilità, infatti, il nuovo indicatore della situazione economica equivalente sta mettendo a rischio l'accesso ai presidi sanitari ed assistenziali;
   alla stessa stregua, per quanto riguarda gli studenti, l'applicazione del nuovo indicatore della situazione economica equivalente sta facendo sì che ben il 30 per cento dei richiedenti un sostegno economico per il proprio percorso di formazione universitaria, da un giorno all'altro, hanno perso il diritto alla borsa di studio e ora rischiano di dover abbandonare gli studi;
   in Italia è in costante aumento il numero delle famiglie che vive in condizioni di difficoltà economica e peggiorano gli indici relativi alla povertà e molte di queste persone si trovano ora anche escluse dall'accesso alle agevolazioni per i servizi sociali –:
   quali urgenti iniziative, anche normative, intenda assumere per correggere i nuovi parametri dell'indicatore della situazione economica equivalente, al fine di garantire la più completa tutela dei nuclei familiari economicamente più deboli.
(3-01738)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MONGIELLO, REALACCI, OLIVERIO, BOCCIA, MICHELE BORDO, CAPONE, CASSANO, GINEFRA, GRASSI, LOSACCO, MARIANO, MASSA, PELILLO, VICO, FEDI, MOGNATO, D'OTTAVIO, LUCIANO AGOSTINI, PATRIARCA, ANTEZZA, MALISANI, TENTORI, PICCIONE, FREGOLENT, MANFREDI, GIOVANNA SANNA, SBROLLINI, AMATO, RUBINATO, VENTRICELLI, D'INCECCO, ROMANINI, BOSSA, MONTRONI, ALBANELLA, ZARDINI, PREZIOSI, GRIBAUDO, CENNI, ARLOTTI, PORTA, CAPOZZOLO, VALERIA VALENTE, IACONO e FALCONE. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 17 settembre 2015 la Commissione europea ha adottato una proposta legislativa (COM(2015) 460 final), che autorizza un accesso temporaneo supplementare dell'olio d'oliva tunisino nel mercato dell'Unione europea al fine di sostenere la ripresa della Tunisia dall'attuale periodo di difficoltà;
   il meritevole e condivisibile atto compiuto dalla Commissione europea mira a mantenere l'impegno di sostenere il Governo e i cittadini tunisini, approfondire le relazioni tra l'Unione europea e la Tunisia e proteggere l'economia tunisina a seguito dei recenti attentati terroristici del 26 giugno 2015 a Sousse;
   la Commissione europea propone di mettere a disposizione dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, con apertura a decorrere dall'esaurimento del già vigente contingente tariffario senza dazio di 56.700 tonnellate iscritto nell'accordo di associazione euromediterraneo, un contingente tariffario senza dazio unilaterale di ulteriori 35.000 tonnellate all'anno per le esportazioni tunisine di olio d'oliva nell'Unione europea, in aggiunta alle predette 56.700 tonnellate previste dall'accordo di associazione Unione europea-Tunisia;
   le relazioni commerciali tra l'Unione europea e la Tunisia sono disciplinate dall'accordo euromediterraneo di associazione, firmato nel 1995, che prevede un contingente annuo senza dazio di 56.700 tonnellate;
   la proposta di regolamento sarà trasmessa al Consiglio e al Parlamento europeo per esame e adozione formale prima dell'entrata in vigore;
   è utile ricordare che l'accordo euromediterraneo del 1995 ha posto le basi di una zona di libero scambio, con progressiva liberalizzazione dell'agricoltura;
   in tale ambito, nell'ottobre 2015 la Tunisia e l'Unione europea avvieranno i negoziati per istituire un accordo di libero scambio globale e approfondito che provvederà in particolare a liberalizzare ulteriormente gli scambi del settore agricolo;
   seppure nella relazione tecnica correlata alla proposta legislativa si indichi che le misure in questione potrebbero comportare solo un leggero aumento netto delle importazioni europee, in quanto la maggior parte dell'incremento del contingente sostituirà probabilmente l'attuale traffico di perfezionamento attivo (circa 50.000 tonnellate/anno sotto il regime di perfezionamento attivo), il che si tradurrebbe in una riduzione delle importazioni sotto questo regime e che inoltre, l'incidenza sul bilancio comunitario (riscossione del dazio), al momento non quantificabile, si presumerebbe irrilevante, appare certo invece che gli effetti del maggior quantitativo preferenziale di olio d'oliva tunisino nel mercato europeo può recare seri danni quasi solo e soprattutto alle produzioni d'olio d'oliva italiano, segnatamente a quelle delle regioni mediterranee come la Puglia, la Sicilia e la Calabria;
   infatti, dopo le mancate produzioni degli ultimi due periodi del 2013-2014 e del 2014-2015, dovute alle avversità climatiche ed alla fitopatologia della Xylella, criticità che hanno determinato una perdita di quota di mercato di circa il 40 per cento annuo di volumi di olio di oliva, il rischio è che il nuovo contingente tariffario di 35.000 tonnellate di olio di oliva tunisino senza dazio potrebbe rimpiazzare proprio i precedenti livelli di esportazioni occupate dall'olio italiano, consolidandosi irrimediabilmente a detrimento delle produzioni italiane;
   se è pur vero che la proposta di regolamento preveda che per prevenire le frodi, le misure commerciali autonome previste saranno subordinate al rispetto, da parte della Tunisia, delle norme dell'Unione europea sull'origine dei prodotti e relative procedure, nonché ad una cooperazione amministrativa efficiente della Tunisia con l'Unione, ciò non garantisce affatto che l'olio tunisino, una volta entrato nell'Unione europea possa essere falsamente etichettato come olio di origine comunitaria se non addirittura di origine italiana, come già spesso purtroppo le autorità di controllo italiane accertano avvenga quotidianamente;
   appare indispensabile che il Governo italiano, in sede di Consiglio, al momento di deliberare sull'approvazione della proposta legislativa adottata dalla Commissione, ponga condizioni più esplicite e rigorose affinché l'olio tunisino ammesso all'importazione senza dazio sia accompagnato da misure di tracciabilità e di commercializzazione che ne impedisca la possibilità di essere etichettato come di origine Unione europea o peggio come di origine made in Italy;
   per tutelare in maniera trasparente il settore olivicolo oleario italiano, senza quindi pregiudicare il lodevole intento europeo di venire incontro alle difficoltà del popolo tunisino, a livello interno il Governo italiano dovrebbe adoperarsi senza indugi per rendere compiutamente applicabili tutte le misure previste dalla legge 14 gennaio 2013, n. 9, ad iniziare dal cosiddetto «tappo antirabbocco», passando per i criteri specifici della «ammissione al regime di perfezionamento attivo per gli oli di oliva vergini», fino alle nuove «Norme contro il segreto delle importazioni agroalimentari»;
   al fine di consentire agli agricoltori ed ai produttori di olio di oliva italiani di superare con maggior facilità le crisi produttive e di mercato registrate negli ultimi anni e di assicurare all'intero Paese di riassumere una posizione di vertice nella produzione europea ed internazionale di olio di oliva, si rende necessario dare immediata attuazione al «Piano di interventi nel settore olivicolo-oleario», previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015 –:
   quali iniziative intendano assumere per tutelare gli interessi del settore olivicolo-oleario nazionale nell'ambito del Consiglio che sarà impegnato nell'approvazione di competenza della proposta di regolamento approvata dalla Commissione dell'Unione europea il 17 settembre 2015 in materia di «Introduzione di misure commerciali autonome di emergenza a favore della Repubblica tunisina»;
   se, anche al fine di impedire che i nuovi quantitativi di olio di oliva tunisino che dal 2016 saranno importati nell'unione europea senza dazi, possano essere fatti oggetto di fenomeni fraudolenti e di contraffazioni a danno delle produzioni di olio di origine italiana, non intendano nell'immediato assumere iniziative per rendere pienamente applicabili tutte le previsioni della legge n. 9 del 2013 ed in particolare le norme di cui all'articolo 7, comma 2, sul dispositivo di chiusura che impedisce il rabbocco delle confezioni utilizzate nei pubblici esercizi, all'articolo 9, relativo alla subordinazione del regime di perfezionamento attivo per l'olio vergine di oliva alla previa autorizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e al parere obbligatorio e vincolante del comitato di coordinamento di cui all'articolo 6 del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1986, n. 462, ed all'articolo 10, recante norme contro il segreto delle importazioni concernenti l'origine degli oli di oliva vergini e delle olive;
   se non intendano adottare iniziative urgenti volte a consentire l'immediata applicazione del «piano di interventi nel settore olivicolo-oleario» di cui all'articolo 4 del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015. (5-06507)


   GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti stampa è emersa l'intenzione del Governo di nominare un nuovo vertice per Ferrovie dello Stato italiane, dopo che l'attuale amministratore delegato, Michele Elia, sembra essere fuori dai giochi già da qualche mese;
   l'idea del Presidente del Consiglio dei ministri, secondo quanto riporta un articolo de Il Fatto Quotidiano del 4 settembre 2015, sarebbe quella di Renato Mazzoncini, attuale amministratore delegato di Busitalia spa, controllata dalle Ferrovie dello Stato italiane;
   Mazzoncini è anche presidente dell'Ataf, l'azienda tranviaria fiorentina, privatizzata nel 2012 proprio grazie ad un accordo tra l'allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi e lo stesso Mazzoncini –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, non si ritenga che l'eventuale nomina di Renato Mazzoncini al vertice di Ferrovie dello Stato italiane possa generare un conflitto di interesse con le due attuali cariche ricoperte dallo stesso ingegnere. (5-06519)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DELLA VALLE. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nell'epoca del terrorismo globale anche un evento di spiritualità come il Giubileo della Misericordia, che comincerà l'8 dicembre 2015, richiede precauzioni e misure di sicurezza;
   infatti, sono state prese delle misure di sicurezza come ad esempio: l'accesso alla Porta Santa della Basilica di San Pietro verrà filtrato con un doppio controllo; i pellegrini che partecipano al Giubileo dovranno prima registrarsi sul sito www.im.va indicando le generalità, la data e l'ora del pellegrinaggio;
   quindi, nel varco di accesso fissato a via della Conciliazione, i pellegrini verranno sottoposti a un secondo filtro prima di raggiungere piazza San Pietro;
   durante il Giubileo il lungo rettilineo che porta a piazza San Pietro verrà diviso in due corsie, una riservata alle automobili, l'altra alle file dei fedeli attesi da tutto il mondo. La procedura, oltre a garantire una maggiore sicurezza, sarà utile per regolare al meglio l'afflusso dei pellegrini;
   un sistema simile è già stato adottato per la visita alla Sindone durante l'ostensione nel Duomo di Torino e per un evento di una così tale importanza il controllo del territorio deve essere una priorità;
   al riguardo il Governo ha risposto che provvederà all'assunzione di 1.050 unità nella polizia, 1.050 unità nell'Arma dei carabinieri, di 400 unità della Guardia di finanza e 500 militari (ora in addestramento) da utilizzare insieme con le forze dell'ordine nella vigilanza degli oltre 400 obiettivi nella lista di quelli sensibili, compresi musei, monumenti e complessi archeologici. D'altra parte, in Tunisia è stato preso di mira il turismo e non si esclude che lo stesso possa accadere in Italia;
   a parere dell'interrogante sarebbe opportuno ottimizzare le forze e ridurre gli sprechi utilizzando personale militare già addestrato per questi eventi come quello presente in Val di Susa –:
   se il Governo non ritenga necessario trasferire il personale dell'Esercito stanziato in Val di Susa a Roma per l'evento del Giubileo dell'8 dicembre 2015.
(4-10521)


   MERLO e BORGHESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è stata condannata a pagare un ammontare forfettario pari a 30 milioni di euro e una penalità di 12 milioni di euro per ogni semestre di ritardo nell'esecuzione di una precedente sentenza del 2011, riguardante la mancata adozione delle misure necessarie al recupero di alcuni aiuti di Stato, giudicati incompatibili con il mercato comune, concessi tra il 1995 e il 1997 ad una serie di imprese italiane, in conseguenza della sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 17 settembre 2015, relativa alla causa C — 367/14 avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell'articolo 260, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   la Commissione europea, con decisione del 25 novembre 1991, ha ritenuto che le riduzioni e sgravi dagli oneri sociali concessi tra il 1995 e il 1997 a una serie di imprese del territorio insulare di Venezia e Chioggia costituivano aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune;
   queste riduzioni ammontavano in media a 37,7 milioni di euro per anno suddivisi tra 1.645 imprese, mentre le esenzioni ammontavano a 292.831 euro per anno suddivisi tra 165 imprese;
   la Commissione europea ha pertanto imposto che l'Italia recuperi gli aiuti presso i beneficiari;
   nell'anno 2000, 59 ricorsi sono stati proposti dinanzi al Tribunale dell'Unione europea avverso detta decisione. Sull'insieme di questi ricorsi, il Tribunale ne ha dichiarati 28 irricevibili mentre quattro cause sono state scelte come cause pilota e giudicate infondate nel 2008;
   la Corte di giustizia, in seguito nell'anno 2011, ha confermato la sentenza del Tribunale e gli altri ricorsi, proposti avverso la decisione della Commissione, sono stati anch'essi respinti dal Tribunale e dalla Corte;
   nel 2009, la Commissione europea ha proposto un ricorso per inadempimento contro l'Italia, addebitando a quest'ultima di non avere adottato, entro i termini prescritti, tutte le misure necessarie al recupero degli aiuti;
   sempre nell'anno 2009 in una sentenza, la Corte ha accertato che l'Italia non aveva soddisfatto l'obbligo di recupero a essa incombente in forza della decisione della Commissione;
   l'Italia non ha tuttora recuperato l'insieme degli aiuti, malgrado la sentenza per inadempimento pronunciata dalla Corte nel 2011, e inoltre ha chiesto chiarimenti alla Commissione solo nel giugno 2013, ovvero dopo la scadenza del termine assegnato;
   le autorità italiane non avrebbero fornito alla Commissione sufficienti elementi per poter escludere l'obbligo di recupero degli aiuti presso alcune delle imprese;
   l'Italia si sarebbe limitata a redigere solo una mera petizione di principio, senza però fornire dettagli sufficienti a dimostrare che i presupposti a tale riguardo fossero soddisfatti e in particolare sulla questione se la soglia, nel caso di cooperative di cui siano membri diversi proprietari di imbarcazioni da pesca, si applichi alla cooperativa nel suo complesso oppure a ciascun proprietario preso individualmente –:
   come il Governo intenda procedere per risolvere il problema e se non ritenga che l'eventuale recupero, a oltre quindici anni dalla concessione dell'aiuto, possa impattare negativamente sulle aziende che ne hanno usufruito;
   se il Governo non ritenga necessario attivare ogni possibile iniziativa preventiva intesa a chiarire in ogni minimo dettaglio la normativa europea e assicurarne la corretta applicazione, con l'obiettivo di evitare di incorrere in simili addebiti. (4-10522)


   RICCARDO GALLO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la scorsa settimana durante una visita ufficiale nella regione Sicilia, finalizzata a valutare nel distretto orientale l'uso dei fondi strutturali comunitari, il presidente di una delegazione di dodici rappresentanti della commissione sviluppo regionale del Parlamento europeo, l'eurodeputato socialista francese, Younous Omarjee, ha rilevato che se la suddetta regione utilizzasse bene i finanziamenti provenienti dalla politica di coesione ne trarrebbe beneficio non solo la stessa isola, ma addirittura l'intera Europa;
   il rappresentante europeo ha inoltre aggiunto che, sebbene la Sicilia evidenzi numerose difficoltà, ma al tempo stesso indubbie potenzialità, necessita il completo utilizzo dei fondi europei, in considerazione del fatto che essi rappresentano un'opportunità che l'isola non può mancare di sfruttare in pieno;
   nel corso della visita degli europarlamentari a Catania, è emerso inoltre come i fondi strutturali rappresentano, in alcune circostanze, fino all'80 per cento degli strumenti di sviluppo a disposizione delle regioni e costituiscono l'autentica dimostrazione pratica della solidarietà e della cooperazione fra istituzioni come accaduto per alcuni progetti attivati nella medesima regione siciliana;
   l'obiettivo di incrementare i livelli occupazionali attraverso le politiche di coesione, utili per finanziarie progetti che favoriscano l'integrazione, la lotta alle disuguaglianze e la riduzione del divario con le altre aree del Paese, che in Sicilia ha raggiunto dimensioni estremamente allarmanti, secondo quanto ribadito dai rappresentanti dell'Unione europea, ribadisce nuovamente l'esigenza di rafforzare gli strumenti a disposizione ed incrementare l'utilizzo dei fondi comunitari nell'isola, il cui ritardo è divenuto a giudizio dell'interrogante, inaccettabile;
   la visita richiamata nella regione siciliana da parte della delegazione degli eurodeputati sul tema dell'utilizzo dei fondi di coesione conferma nuovamente, a parere dell'interrogante, la scarsa attenzione e superficialità da parte del Governo regionale sul mancato utilizzo di importanti risorse messe a disposizione dell'Unione europea per la Sicilia, tuttora non sfruttate appieno;
   l'interrogante evidenzia come sia paradossale il quadro complessivo attuale nella medesima regione isolana, se a fronte di una mole di risorse assolutamente di rilievo anche per una regione a statuto speciale come la Sicilia (tanto più importante quanto più si fanno sentire le ristrettezze della finanza pubblica), non siano utilizzati tali fondi europei, considerando la necessità di imprimere un'accelerazione allo sviluppo territoriale in un contesto di crisi come quello attuale;
   desta infatti particolare preoccupazione, a giudizio dell'interrogante, l'incapacità dell'amministrazione regionale siciliana di sfruttare pienamente questa opportunità e di rischiare di perdere buona parte dei fondi disponibili, come ribadito dalla delegazione degli eurodeputati in Sicilia la scorsa settimana;
   un potenziamento della capacità di utilizzo delle risorse assegnate dall'Unione europea alle regioni in ritardo di sviluppo, proprio come la regione isolana, a parere dell'interrogante, risulta in definitiva urgente e necessario, al fine di evitare il declino strutturale irrimediabile dal punto di vista sociale ed economico –:
   quali orientamenti intenda esprimere, per quanto di competenza, relativamente alle difficoltà di utilizzo da parte della regione Sicilia dei finanziamenti provenienti dalla politica di coesione dell'Unione europea, come è emerso nel corso della citata visita da parte della delegazione dei rappresentanti dell'istituzione comunitaria;
   se risulti a quanto ammontino le risorse finanziarie tuttora disponibili e non utilizzate da parte della regione siciliana, relativamente all'uso dei fondi strutturali comunitari;
   quali iniziative urgenti e necessarie, per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere, al fine di consentire una rapida accelerazione dell'uso dei fondi europei attualmente non ancora utilizzati;
   quale ruolo stia svolgendo attualmente l'Agenzia per la coesione territoriale, istituita con l'obiettivo di dotare l'amministrazione pubblica di un «organo d'indirizzo dell'attuazione della programmazione dei fondi strutturali», la cui efficienza come dimostra il ritardo di numerose regioni italiane e, in particolare, della regione Sicilia sull'utilizzo dei fondi di coesione, a giudizio dell'interrogante, appare assai modesta. (4-10526)


   BARONI, LOREFICE, DI VITA, GRILLO, SILVIA GIORDANO e MANTERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con decisione del 16 settembre 2015 il Consiglio dell'Unione europea ha definito la composizione del Comitato economico e sociale europeo (CESE) per il quinquennio 2015-2020;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri cui spetta la designazione della rappresentanza italiana su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha ritenuto di inserire per la prima volta il Comitato unitario degli ordini e dei collegi professionali italiani (CUP) tra i componenti del gruppo III, nella persona del presidente pro tempore Marina Elvira Calderone;
   il CESE è un organo consultivo dell'Unione europea. Istituito nel 1957, esso fornisce consulenza qualificata alle maggiori istituzioni dell'Unione europea (Commissione, Consiglio e Parlamento europeo) attraverso l'elaborazione di pareri sulle proposte di leggi europee, e si esprime inoltre con pareri formulati di propria iniziativa su altre problematiche che a suo giudizio meritano una riflessione; uno dei compiti principali del CESE è fungere da ponte tra le istituzioni dell'Unione europea e la società civile organizzata;
   i membri del CESE rappresentano un ampio ventaglio di interessi economici, sociali e culturali nei rispettivi Paesi. All'interno del Comitato sono divisi in tre gruppi: «datori di lavoro», «lavoratori» e «attività diverse» (agricoltori, consumatori, ambientalisti, associazioni delle famiglie, ONG e altro). Gli ordini e collegi professionali nonché le rispettive federazioni sono enti pubblici non economici e appartengono all'apparato della pubblica amministrazione e in tale ambito il loro ruolo non è certamente di rappresentanza degli interessi di una data professione quanto piuttosto la tutela della collettività intera, in funzione di diritti costituzionalmente garantiti a tutti i cittadini (salute, giustizia e altro);
   la quota contributiva è obbligatoria per esercitare la professione ed è esigibile anche tramite riscossione a ruolo, e tale potere impositivo è delegato dallo Stato proprio con le leggi istitutive; alcuni ordini e collegi professionali finanziano diversi organismi tra i quali emerge il CUP (Comitato unitario degli ordini e dei collegi professionali) che, finanziato solo da alcuni ordini professionali (10 su 27), vanta un potere di rappresentanza istituzionale non ben identificato giuridicamente da alcuna disposizione normativa;
   il CUP è integralmente finanziato da enti pubblici non economici e pertanto ha natura di organismo di diritto pubblico assimilabile ad una partecipata o controllata pubblica. Gli organi direttivi o esecutivi del CUP sono nominati dai rappresentanti degli ordini professionali che vi afferiscono; il CUP, quindi, al pari di qualsiasi organismo pubblico (come definito dalle direttive comunitarie) dovrebbe applicare anch'esso sia il codice dei contratti pubblici sia le norme sulla trasparenza e sull'anticorruzione, secondo le limitazioni stabilite dalla legge. E invece sul sito del CUP, a quanto risulta agli interroganti, non è dato rinvenire alcunché né i bilanci né un codice fiscale né una partita iva –:
   se siano a conoscenza dei fatti in premessa;
   in base a quale accreditamento istituzionale o a quale norma abbiano ritenuto di dare rappresentanza istituzionale ad un organismo che appare agli interroganti dalla dubbia natura rappresentativa e giuridica;
   che tipo di verifica sia stata fatta sulla reale rappresentatività di tale organismo di cui non si conosce neanche il codice fiscale;
   che tipo di logica, secondo gli interroganti «lobbistica», abbia condotto il Governo a tale scelta, stante la natura pubblica degli ordini e dei collegi professionali, deputati non già alla rappresentanza economica o sociale di una certa professione, bensì alla tutela collettiva di diritti costituzionalmente garantiti. (4-10533)


   ROMANINI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nata nel lontano 1913, la squadra di calcio della città di Parma, vanta una lunga e lusinghiera tradizione calcistica, una storia che, anche grazie ai risultati raggiunti, è parte di quella di un territorio già famoso nel mondo, per la musica e l'arte, per l'alta qualità dei suoi prodotti alimentari;
   dopo il fallimento della Parmalat, che detiene il 100 per cento delle azioni del Parma A.C., nel giugno 2004 nasce il Parma F.C. a cui sono conferite tutte le attività sportive del Parma A.C. posto in amministrazione straordinaria;
   la squadra viene stata acquistata il 25 gennaio 2007 all'asta dall'industriale bresciano Tommaso Ghirardi in compartecipazione con Angelo Medeghini e Banca Monte Parma;
   secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, nel giugno 2013 il club ha ceduto il marchio e il contratto con la concessionaria di pubblicità sportiva alla Parma Brand Srl di proprietà della società Eventi Sportivi spa di Brescia, la holding di Tommaso Ghirardi e altri soci;
   l'11 dicembre 2014 la società Parma F.C. ha comunicato il raggiungimento di un accordo per la cessione del pacchetto di maggioranza della controllante Eventi Sportivi spa (detentrice del 90 per cento della società). Pochi giorni dopo sul sito del club viene annunciato quale nuovo presidente il gioielliere piacentino Pietro Doca il quale, i giorni immediatamente seguenti, smentirà tale ruolo comunicando che la trattativa di vendita della società non è conclusa;
   il 19 dicembre 2014 Tommaso Ghirardi comunica la cessione del Parma F.C. al gruppo Dastraso Holgind Limited con sede a Cipro dell'imprenditore albanese Rezart Taci che rileva il 66,55 per cento delle quote azionarie di Eventi Sportivi spa;
   dopo un breve periodo in cui il titolo sportivo è stato rappresentato dal solo avvocato Fabio Giordano il 20 gennaio 2015 diventa presidente del club Ermir Kodra, che ricopre inoltre la carica di amministratore delegato. Pietro Leonardi ricopre le cariche di amministratore delegato e direttore generale Parma F.C., Ermir Kodra è anche presidente e amministratore delegato di Eventi Sportivi spa;
   in quelle stesse settimane cominciano a comparire sulla stampa nazionale e locale, specialistica e di cronaca, notizie sulla difficile situazione finanziaria del Parma F.C. Dall'ultimo bilancio depositato, si scrive, emergerebbe a carico della società un debito tributario di 16 milioni 746 mila euro, di cui 8 milioni 443 mila per redditi di lavoro dipendente e 7 milioni 218 mila di Irap. L'intero ammontare lordo del debito, considerati anche quelli con la controllante Eventi Sportivi spa sarebbe di 197 milioni di euro;
   emergono anche dati sulla gestione del parco calciatori. Negli otto anni di presidenza Ghirardi, riporta la Gazzetta di Parma, sono stati comprati e/o ceduti 1.382 giocatori, 670 in entrata e 712 in uscita con una media di 173 trattative concluse a stagione, media cresciuta sensibilmente negli ultimi anni. Nell'ultimo anno il Parma F.C. ha movimentato 325 giocatori contro una media delle altre formazioni di serie A di 90;
   intanto il 9 febbraio 2015 sempre sulla pagina ufficiale del club si comunica che: «A seguito delle assemblee dei soci di Parma F.C. ed Eventi Sportivi spa tenutesi oggi presso il centro direzionale di Collecchio, Parma F.C. comunica che il club è stato acquisito da Giampietro Manenti. Ermir Kodra ha rassegnato in data odierna le proprie dimissioni. Giampietro Manenti assicura fin dalle prime interviste il pagamento delle scadenze imminenti e degli stipendi sospesi da diversi mesi, impegno che a tutt'oggi non è stato onorato;
   il 16 febbraio la procura di Parma attraverso i pubblici ministeri Paola Dal Monte, Giuseppe Amara e Umberto Ausiello ha chiesto il fallimento del Parma F.C. per inadempienze fiscali e ha aperto anche un fascicolo per bancarotta fraudolenta. L'udienza è stata fissata per il 19 marzo; Intanto Energy tg group socio di minoranza si è rivolto al tribunale per gravi inadempienze sulla nomina nuovo consiglio d'amministrazione ed è stato nominato un curatore speciale;
   sono state rinviate al momento due partite Parma-Udinese e Parma-Genoa;
   Maurizio Beretta, presidente della Lega di Serie A, intervenendo a «Radio Anch'io Sport» ha escluso responsabilità dirette di Figc e della stessa Lega Calcio: «Ci sono dei dati che vengono valutati alla fine di giugno per l'ammissione dei campionati, i pagamenti di stipendi e contributi, tutta la parte fiscale e così ha fatto la Covisoc ed evidentemente tutto era in linea con la parte sotto osservazione da parte del mondo sportivo. Poi c’è stata un'ulteriore verifica al primo di ottobre che riguarda la parte residua di stipendi, tasse e contributi e il problema si è evidenziato a novembre e lì sono scattate le misure, cioè le penalizzazioni, ed è cominciato il passaggio di mano della società»;
   il presidente del Coni Giovanni Malagò ha definito quanto sta accadendo a Parma inaccettabile dichiarando che «Nel 2015, nello sport in Italia, non è accettabile. Questo scarico di responsabilità l'uno con l'altro io non lo accetto, quindi aspettiamo questa assemblea di Lega in programma venerdì 6 marzo e vediamo cosa emerge, poi è chiaro che con il sottosegretario Delrio ci confronteremo non solo ufficiosamente ma anche ufficialmente»;
   nel consiglio comunale di Parma svoltosi il 3 marzo, rispondendo ad una interrogazione del capogruppo Pd Nicola Dall'Olio, l'assessore al bilancio Marco Ferretti ha dichiarato che il debito verso il comune ammonta a 1 milione e 400 mila euro (Tep, Parma infrastrutture e Parma gestione entrate), 250 mila euro maturati nel corso dei primi tre mesi del 2015. L'assessore ha anche precisato che il Parma F.C. non paga l'affitto per lo Stadio Tardini dal 2011;
   notizie di stampa riferiscono che il comandante della Guardia di finanza e il suo vice sono sotto inchiesta per omissione di atti d'ufficio nell'inchiesta sul Parma F.C. e sono stati assegnati ad altra sede –:
   se la Presidenza del Consiglio dei ministri sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se non ritenga (opportuno assumere una iniziativa urgente, anche in considerazione degli emergenti risvolti giudiziari, per addivenire ad una rapida soluzione della vicenda al fine di salvaguardare la dignità della città e del mondo italiano del calcio, nonché gli attuali livelli occupazionali della società Parma F.C. (fra cui 23 dipendenti, 14 collaboratori e una decina di lavoratori a partita iva);
   se non si ritenga di valutare ulteriori e nuove iniziative, per quanto di competenza tali da impedire che analoghe circostanze, purtroppo non nuove al mondo del calcio, possano ripetersi nel futuro.
(4-10534)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   Cizre è una città della Turchia situata nel distretto di Sirnak, al confine con la Siria, delimitato geograficamente dal fiume Tigri e non lontana dal confine iracheno;
   la città di Cizre ha una popolazione di circa 130 mila abitanti, la maggior parte dei quali curdi, ma conta anche una modesta presenza di assiri e armeni;
   nelle ultime elezioni per il parlamento nazionale, avvenute nel giugno del 2015, il partito dell'HDP ha ottenuto nella città di Cizre il 98 per cento dei voti;
   in data 11 settembre 2015 il Governatore del distretto di Sirnak, in Turchia, ha dichiarato lo stato di emergenza nella città di Cizre durato fino al 12 settembre e poi nuovamente imposto dal 13 al 15 settembre;
   in data 11 settembre 2015 la co-sindaca di Cizre è stata sospesa dal suo incarico dal Ministro degli interni turco, con l'accusa, formalizzata dal Procuratore Capo di Cizre, di aver incitato la popolazione all'insurrezione armata;
   dal 4 settembre 2015 fino alle ore 6 del 12 settembre 2015, nella città di Cizre si sono consumate gravissime violazioni dei diritti umani in danno dei civili presenti all'interno della città;
   per otto giorni il centro urbano è rimasto totalmente isolato dall'esterno, con le linee di comunicazione fuori uso e i militari a imporre un coprifuoco permanente;
   le violazioni dei diritti umani nella città turca di Cizre sono state documentate da circa 300 avvocati turchi e curdi provenienti da Istanbul, Ankara, Izmir, Batman, Mardin, Diyarbakir ed altre città della Turchia e, in particolare con la presenza dell'avvocata Barbara Spinelli del Foro di Bologna (Italia) membro dell'esecutivo della Associazione europea delle avvocate ed avvocati per la democrazia e i diritti dell'uomo nel mondo (ELDH) che ha curato il dettagliato rapporto sulle violazioni in lingua italiana;
   nei giorni successivi la città di Cizre è stata visitata da una delegazione della «carovana internazionale per Kobane» presente al confine turco-siriano per portare materiale scolastico e medicine e materiale sanitario alla popolazione stremata e per chiedere l'apertura di un corridoio umanitario tra la Turchia e la Siria per permettere la ricostruzione dei territori sotto il controllo, de facto, della regione del Rojava (Kurdistan occidentale) e quindi del cantone di Kobane;
   alla delegazione hanno partecipato anche gli interpellanti Franco Bordo e Giovanni Paglia, che hanno documentato le violazioni dei diritti umani non solo a Cizre ma anche nel quartiere di Sur a Diyarbakir, anch'esso per giorni sotto coprifuoco e oggetto delle violenze delle forze di sicurezza turche;
   alla delegazione, nonostante la regolare richiesta effettuata alla prefettura di Sanliurfa, è nato negato il permesso per poter varcare il confine ed entrare a Kobane direttamente dalle autorità di Ankara, le quali hanno minacciato di chiudere definitivamente il varco di frontiera, aperto solo pochi giorni alla settimana a totale discrezione delle autorità turche, qualora il gruppo avesse solo tentato di avvicinarsi al confine;
   si segnala che nella serata del 14 settembre, mentre la delegazione tornava in albergo a Sanliurfa, un pulmino della delegazione veniva fermato dalla polizia turca che aveva bloccato tutti i componenti del gruppo, inclusi i due parlamentari Giovanni Paglia e Franco Bordo che venivano intimiditi dalle forze di sicurezza turche e quindi perquisiti;
   a Cizre una delegazione di 50 avvocati è entrata immediatamente dopo la fine del coprifuoco, il 12 settembre 2015, per verificare le condizioni dei civili dopo nove giorni di isolamento, gli altri avvocati hanno raggiunto la città in mattinata insieme ai deputati dell'HDP giunti sul posto;
   all'ingresso ed alla fine delle arterie di scorrimento principali che attraversano la città erano ancora posizionati i carri armati dotati di mitragliatrici (panzer kobra) ed i veicoli della polizia;
   agli occhi degli avvocati si è presentato uno scenario di guerra, con segni evidenti fin dall'ingresso nella città degli attacchi armati alle abitazioni ed alle attività commerciali dei civili. Lungo le strade principali (Nusaybin Caddesi e Idil Caddesi) sono stati trovati numerosi bossoli esplosi, vetri ed altri detriti;
   nei 9 giorni di vigenza dello stato di emergenza, la popolazione di Cizre è stata posta nelle condizioni di isolamento più assoluto, sia dal resto del mondo sia rispetto agli altri abitanti della città, determinato attraverso l'adozione di plurime misure di sicurezza. In particolare, è stato riferito dai civili intervistati dalla delegazione degli avvocati:
    il divieto di accesso nella città a civili, personale medico e paramedico, avvocati, parlamentari;
    l'interruzione del funzionamento delle reti mobili, GSM e internet, e dunque l'impossibilità di accesso ad internet ed anche alle conversazioni telefoniche per chiunque non fosse dotato di telefono fisso;
    l'interruzione dell'elettricità, anche mediante la distruzione con armi pesanti degli impianti elettrici, che ha impedito la possibilità di accedere alle informazioni radio-televisive. A tal proposito nella municipalità di Cudi Mahallesi è stato possibile visionare i quadri elettrici che risultavano bruciati. È stato riferito che la polizia speciale (özel harekat polisi), su ordine del prefetto (Governatore) di Şirnak, abbia impedito ai vigili del fuoco di rompere il coprifuoco per spegnere l'incendio dei quadri elettrici;
    l'imposizione del coprifuoco H24 ha impedito ogni comunicazione anche tra vicini circa l'evolvere della situazione;
   il coprifuoco H24 ha impedito agli abitanti di Cizre l'accesso alle cure mediche ed ai beni essenziali. La vita e la salute della popolazione è stata messa a repentaglio dall'interruzione delle forniture idriche ed elettriche, dalla contaminazione delle acque di scolo per la mancata raccolta dei rifiuti e per le carcasse di animali abbandonate sulle strade. Il mancato accesso alle cure mediche anche di emergenza, ed il divieto di circolazione delle ambulanze, hanno determinato la morte di numerosi civili e l'aggravamento delle condizioni di salute di molti altri;
   è stata documentata dalla delegazione l'interruzione della fornitura di energia elettrica attraverso il danneggiamento con armi pesanti dei quadri elettrici;
   anche nelle abitazioni dei civili, sono stati danneggiati i generatori elettrici privati e gli impianti di condizionamento posti al di fuori delle abitazioni;
   la prolungata assenza di forniture di energia elettrica e le alte temperature che hanno caratterizzato il periodo interessato dal black out hanno determinato un rapido deterioramento dei cibi presenti nelle abitazioni e, conseguentemente, il rapido esaurimento delle scorte alimentari, sia per l'impossibilità di cucinare in assenza di elettricità, sia per l'impossibilità di uscire di casa per fare la spesa, considerato il coprifuoco in vigore ventiquattro ore su ventiquattro;
   specialmente nel quartiere di NUR, più di una famiglia ha dichiarato di essere rimasta senza pane e di aver contingentato cibi anche avariati per sfamare almeno i bambini;
   è stata documentata l'interruzione delle forniture idriche attraverso il danneggiamento con armi esplosive dei tubi, per ostacolare l'approvvigionamento di acqua in città. È stato riferito che le forze dell'ordine avrebbero vietato l'ingresso in città degli operai che avrebbero dovuto occuparsi della manutenzione delle condutture e che due dipendenti dell'azienda incaricata di occuparsi di questa attività risulterebbero dispersi;
   è stato documentato il danneggiamento con armi da fuoco delle cisterne con le riserve private di acqua;
   la carenza di acqua e l'utilizzo di acqua non potabile, congiuntamente alla malnutrizione per carenza di cibo o per l'ingestione di cibo avariato dal caldo, ha determinato l'insorgere di malattie correlate, specialmente nei bambini;
   molti dei medici che lavoravano nell'ospedale di Cizre, alla dichiarazione dello stato di emergenza, hanno rassegnato le proprie dimissioni per motivi di sicurezza, e sono rientrati nel loro distretto di residenza, lasciando in questo modo la città sfornita di personale medico specializzato. Le forze dell'ordine hanno vietato la circolazione delle ambulanze, contattate attraverso i numeri di emergenza per il soccorso di feriti gravi, mentre le farmacie sono state chiuse per tutto il periodo di emergenza;
   come documentato dal dettagliato rapporto elaborato dagli avvocati dell'ELDH, almeno 7 persone sono morte a Cizre a causa dell'impedimento nell'accesso a cure mediche;
   le autorità governative turche hanno riferito alla stampa che nel corso delle «operazioni» a Cizre oltre 32 militanti del PKK sono stati uccisi e 10 detenuti, ed inoltre sono stati colpiti oltre 150 appartamenti utilizzati dal PKK come deposito per le munizioni;
   quanto osservato dalle delegazioni si scontra con la versione ufficiale del Governo turco: i civili uccisi sono perlopiù anziani e bambini, residenti nei quartieri dove sono stati colpiti dalla polizia (e lasciati morire dissanguati senza cure, secondo quanto riferito);
   il sopralluogo effettuato negli appartamenti colpiti evidenzia che si tratta di normalissime abitazioni civili, ed i proprietari rintracciati risultano residenti del posto con normali attività lavorative e i danni riportati dalle abitazioni sono incompatibili con quelli prodotti dallo scoppio di eventuali riserve di armi contenute all'interno;
   i danni riportati inoltre, per quanto verificato e per quanto riferito dai civili, sarebbero l'esito di attacchi unilaterali con armi ufficiali in dotazioni all'Esercito, alla polizia ed alle forze speciali turche;
   la maggior parte dei bossoli esplosi risulterebbe di fabbricazione del fornitore ufficiale delle forze armate turche, la ditta MKA;
   sarebbe stato documentato anche l'uso di armi non convenzionali, quali bombe a grappolo, con la dicitura «HE» (high explosive), il cui uso in contesti urbani è vietato dal protocollo I della Convenzione di Ginevra;
   nessuno dei civili intervistati dalla delegazione ha riferito di attacchi del PKK alla popolazione ovvero di scontri nel quartiere tra PKK e forze dell'ordine;
   i sopralluoghi effettuati dalle delegazioni hanno consentito di verificare che la città di Cizre è stata colpita via terra, attraverso appostamenti di tiratori scelti e attraverso le mitragliatrici dei panzer kobra ed altre armi pesanti, e via aria, attraverso attacchi armati effettuati dagli elicotteri leopard;
   i civili hanno riferito nella città la presenza di oltre cento veicoli blindati (panzer kobra) e di oltre 1000 militari appartenenti alle forze speciali turche. È stato riferito che molti delle forze armate parlavano arabo;
   dopo l'assedio di Cizre sono 26 i civili identificati di cui è noto che abbiano perso la vita per via di ferite mortali inflitte dalle forze di sicurezza statali, mentre il numero dei feriti è di diverse centinaia di persone;
   in tutti questi casi di omicidio si trattava di civili disarmati, soprattutto donne, bambini e anziani residenti nei luoghi dove sono stati uccisi, colpiti con ferite mortali per aver violato il coprifuoco per rispondere ad elementari esigenze di vita, molto spesso durante ore del giorno;
   stando alle descrizioni dei fatti si tratta di vere e proprie esecuzioni sommarie, aggravate dal fatto che in molti casi la morte è conseguenza dell'impedimento da parte delle autorità di sottoporre i feriti a soccorsi immediati: sia perché è stato aperto il fuoco anche contro le persone che si sono avvicinate ai feriti per soccorrerle, avendo questi violato a loro volta il coprifuoco, sia perché alle ambulanze veniva vietato di raggiungere immediatamente i feriti e di portarli in emergenza in ospedale per ricevere le cure opportune;
   la tipologia di ferite riportate, e le circostanze in cui sono state inflitte, dettagliate nel rapporto, evidenziano, ad avviso degli interpellanti, un uso sistematico da parte delle forze dell'ordine di violenza sproporzionata ed ingiustificata nei confronti dei civili e delle proprietà dei civili;
   quanto visto dalle delegazioni a Cizre evidenzia che lo Stato turco non ha preso in seria considerazione la responsabilità di proteggere il suo popolo, ivi inclusi i cittadini turchi di origini curde e armene, da ogni forma di violazione dei loro diritti umani. Nello specifico a giudizio degli interpellanti sono stati violati, sistematicamente e deliberatamente, i diritti fondamentali alla vita ed alla incolumità psicofisica, alla salute, all'educazione e alla proprietà privata dei residenti della città di Cizre;
   le gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani imposte alla popolazione di Cizre non possono trovare giustificazione alcuna per motivi di sicurezza, e costituiscono di fatto una grave violazione degli obblighi internazionali assunti dalla Turchia attraverso la ratifica delle principali Convenzioni internazionali, ivi inclusa la Convenzione di Ginevra e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani;
   analoghe violazioni dei diritti umani sono state documentate dalla delegazione internazionale nel quartiere di Sur a Diyarbakir subito dopo il coprifuoco e l'attacco delle forze di sicurezza turche dove è stato riportato che molti abitanti sono stati costretti a lasciare le loro case per spostarsi in altre parti della città;
   il 28 settembre 2015, le forze di sicurezza turche hanno ricominciato a bombardare e attaccare con armi pesanti e cecchini posizionati sugli edifici la popolazione di diverse città curde. Il coprifuoco è stato nuovamente imposto nella municipalità di Sur, della città di Diyarbakir, mentre nel quartiere di Hancepek la polizia ha ferito 5 bambini, di cui uno in maniera grave;
   a Bismil nella provincia di Diyarbakir, nelle stesse ore, a seguito di manifestazioni di protesta contro i massacri in corso è stato dichiarato il coprifuoco e le forze di sicurezza turche hanno sparato contro i civili;
   cecchini appostati sugli edifici più alti hanno sparato sulla gente per strada e un ragazzo di 22 anni ferito mentre era seduto davanti a casa sua è morto il giorno seguente, il 29 settembre. Un'abitazione nel quartiere Avasin è stata bombardata uccidendo una bambina di 8 anni. Un altro bambino curdo di 9 anni è stato ucciso dalla polizia turca a Bismil il 29 settembre mentre era seduto su una panchina;
   dal 27 settembre, quando è stato dichiarato il coprifuoco, a Bismil la polizia ha ucciso quattro civili: Elif Simsek (8 anni), Agit Yildiz (22 anni), Halil Kurtis (19 anni) e Berat Guzel (9 anni);
   il 1o novembre 2015 ci saranno le elezioni anticipate in Turchia, queste elezioni sono di importanza cruciale per la democratizzazione del Paese e per il processo di pace in Turchia;
   dopo il risultato elettorale del 7 giugno 2015, l'esercito turco ha iniziato a bombardare le montagne di Qandil, in Iraq, mentre in seguito le incursioni e gli attacchi della polizia hanno preso di mira i civili e questo ha messo fine al processo di pace. Già durante questa intensificazione della guerra, moltissimi civili hanno perso la vita, e più di 1000 membri del partito HDP, che era riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10 per cento alle scorse elezioni, di cui 7 sindaci eletti, sono stati arrestati;
   la dichiarazione di Dolmabahçe del 27 febbraio 2015 aveva rappresentato uno storico passaggio per una soluzione pacifica e democratica della questione curda, rafforzando la democrazia in Turchia; tuttavia la non accettazione del risultato elettorale del 7 giugno 2015 da parte del principale partito turco, l'AKP e il massacro del 20 luglio scorso a Suruc, condotto da un membro turco dell'ISIS in cui sono morti 33 giovani attivisti turchi e curdi che tentavano di rompere l'isolamento di Kobane portando aiuti alla popolazione, hanno condotto il Paese in una terribile spirale di sangue e violenza che vede drammaticamente coinvolta la popolazione civile;
   ci sono molti elementi che provano la responsabilità delle forze di intelligence turche nell'aver permesso che membri dell'ISIS entrassero in Turchia e potessero muoversi liberamente nel Paese, attraversando altrettanto liberamente il confine con la Siria;
   il massacro di Suruc è visto da molti come il primo segno della crescente spirale di violenza in Turchia e la politica aggressiva del Governo turco nei confronti dei curdi del Rojava ha alimentato notevolmente le tensioni all'interno del Paese;
   la libertà di espressione e di informazione in Turchia, a quanto consta agli interpellanti, è oggi fortemente compressa. Molti giornalisti, anche esteri, sono stati arrestati nelle ultime settimane. La limitazione dell'accesso a internet è spesso decisa in maniera autoritaria e l'utilizzo dei social media, inclusi Twitter, Facebook e Youtube, viene spesso preclusa dalle autorità, ed è soggetta a censura;
   secondo il World Press Freedom Index, la Turchia si colloca nel 2015 al 149o posto su 180 Stati del mondo monitorati per la libertà di informazione ed è in cima alla lista dei Paesi che censurano con 72 per cento delle richieste di cassare tweet e limitare l'accesso agli account di Twitter;
   recentemente molti giornalisti occidentali, come Jake Hanrahan e Philip Pendlebury di Vice UK e la giornalista freelance olandese Frederike Geerdink sono stati arrestati con l'accusa di favoreggiamento di organizzazioni illegali e di promuovere la propaganda pro-curda. Tutti poi sono stati successivamente rilasciati e estradati nel proprio Paese, secondo gli interpellanti nel tentativo di intimidire e censurare qualsiasi copertura internazionale degli sviluppi nel Paese. Il Governo turco, a quanto risulta agli interpellanti, fa ogni sforzo possibile per evitare che la documentazione e le notizie, in particolare quelle provenienti dalle città curde, raggiungano la comunità internazionale e riportano dei massacri di cui si stanno macchiando le autorità turche;
   in questa spirale di violenza sono stati documentati soltanto nel periodo dal 6 all'11 settembre 2015, 105 attacchi alle sedi del partito HDP o a persone riconducibili al movimento, alcune delle quali addirittura condotte dalle forze di polizia turca, mentre la maggior parte sono state organizzate da gruppi nazionalisti e fascisti turchi –:
   se non ritenga urgente l'apertura di un corridoio umanitario al confine tra la Turchia e la Siria per permettere la ricostruzione in Rojava, attraverso l'estensione della decisione delle Nazioni Unite S/RES/2165 (2014) del 14 luglio 2014, articolo 2, al fine di garantire un ulteriore passaggio di frontiera per Kobane consentendo così il passaggio dei convogli umanitari in aiuto della popolazione curdo-siriana;
   se non ritenga di interpellare con urgenza il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa per intraprendere un dialogo urgente con il Governo turco al fine di valutare la situazione locale dei diritti umani nelle città e nelle municipalità a maggioranza curda dove le prefetture (governatorati) hanno dichiarato lo stato di emergenza.
(2-01095) «Palazzotto, Scotto, Franco Bordo, Paglia, Costantino, Marcon, Duranti, Piras».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MATARRESE, DAMBRUOSO, D'AGOSTINO e VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 256 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che reca norme in materia ambientale, sanziona, prevedendone una specifica contravvenzione, chiunque effettui attività di raccolta e di recupero di rifiuti in mancanza della prescritta autorizzazione;
   in base alla rigida interpretazione della predetta disposizione normativa, con riguardo alla raccolta e al recupero dei rifiuti individuati «quali cartucce di toner per stampanti laser, cartucce di stampanti inkjet e cartucce di nastri per stampanti ad aghi», come da decreto 22 ottobre 2008 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il successivo 12 novembre 2008, rubricato al n. 265 e reso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ogni singolo esercizio commerciale, concedente della società concessionaria a essa affiliata in virtù di accordo di franchising, si troverebbe a dover affrontare una serie di problematiche evidenti in quanto dovrebbe attivarsi per richiedere di volta in volta un'autorizzazione ad hoc per la sola e mera raccolta dei rifiuti proveniente dall'acquirente-cliente finale, si tratterebbe quindi di più di 10.000 autorizzazioni;
   un'interpretazione così rigida sarebbe causa di una serie di effetti negativi sia dal punto di vista ambientale, in quanto inficerebbe il corretto e celere smaltimento del rifiuto qualora il negozio non avesse richiesto ovvero ottenuto l'autorizzazione in questione (per cui l'acquirente-cliente finale disperderebbe il rifiuto riponendolo indistintamente nei raccoglitori urbani senza possibilità di recuperarlo), sia per quanto riguarda le procedure amministrative, gli adempimenti e i costi ai quali sarebbero sottoposti gli esercenti;
   tale interpretazione apparirebbe poi in aperto contrasto con:
    a) i criteri di priorità nella gestione dei rifiuti individuati dall'articolo 179 dello stesso decreto legislativo, per cui quello principale è «il recupero dei rifiuti mediante riutilizzo, riciclo o ogni altra azione diretta a ottenere da essi materia prima secondaria» e, allo scopo di incentivare tale recupero, vengono adottate misure in via di priorità;
    b) l'obiettivo previsto dal successivo articolo 181 in ordine al recupero dei rifiuti, in base al quale «ai fini di un corretta gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscono la riduzione dello smaltimento finale degli stessi attraverso il riutilizzo, il riciclo, o altre forme di recupero»;
    c) il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 22 ottobre 2008, peraltro espressamente dedicato alla «Semplificazione adempimenti per specifiche tipologie di rifiuti — cartucce per stampanti», che ha ravvisato «l'opportunità di individuare delle procedure amministrative semplificate per il recupero della categoria di rifiuti individuati quali cartucce di toner per stampanti laser, cartucce di stampanti inkjet e cartucce di nastri per stampanti ad aghi». Tale rigida interpretazione non semplificherebbe la richiesta di autorizzazione in capo al solo concedente, obbligando ogni singolo concessionario ad attivarsi in tal senso per ottenerla al solo fine della mera raccolta del rifiuto;
   d) l'intento del legislatore che ha fortemente voluto il decreto-legge n. 5 del 2012 cosiddetto «Semplifica Italia», per velocizzare le vie amministrative e ridurre i costi della burocrazia eliminando vincoli e liberando risorse;
   e) quanto concretamente fatto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: si pensi all'autorizzazione unica, all'esenzione dall'obbligo di produrre la documentazione di impianto acustico, giusto per gli esercizi commerciali al dettaglio di cui hanno fruito più di un milione e mezzo di piccole imprese a bassa rumorosità, e a tutti gli altri provvedimenti in questo senso;
   al fine di chiarire l'autentica interpretazione della norma in questione e di disporre una serie di provvedimenti finalizzati al corretto recupero dei rifiuti e a una migliore raccolta delle cartucce esauste da parte degli acquirenti — clienti finali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe già predisposto una bozza di accordo di programma, alla quale, però, non si è ancora dato seguito;
   le disposizioni contenute nella bozza di accordo di programma sembrerebbero positive, avrebbero trovato l'accoglimento di tutti i produttori di settore e sarebbero conformi alla normativa vigente e, in particolare, all'articolo 178-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006 sulla responsabilità estesa del produttore, che impone a quest'ultimo di interessarsi e rispondere dell'intero ciclo di vita della cosa prodotta o commercializzata sino alla restituzione e alla condizione di rifiuto della medesima, nonché alla direttiva 2012/19/UE del 4 luglio 2012 e al principio in essa contenuto per cui i distributori devono assicurare che i rifiuti possano essere resi gratuitamente in ragione di uno per uno; in aggiunta, qualora in luogo della restituzione venisse conferito un contributo economico in base all'oggettivo valore della cartuccia resa, verrebbe rispettata, altresì, la definizione normativa di «deposito temporaneo» di cui all'articolo 183/1, lettere bb) del decreto legislativo n. 152 del 2006, poiché la cartuccia medesima sia essa esausta o solamente da rigenerare, ritornerebbe a essere di effettiva proprietà dell'originario produttore;
   le disposizioni del predetto accordo di programma, inoltre, sarebbero adeguate a soddisfare i principi della direttiva 2008/98/CEE del 19 novembre 2008 e in particolare dell'articolo 15, con riguardo alla responsabilità della gestione dei rifiuti, che stabilisce espressamente che «gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire che ogni produttore iniziale ... provveda personalmente al trattamento dei rifiuti»;
   vi è da evidenziare che più volte alcuni produttori, per il tramite dei propri studi legali, avrebbero sottoposto la problematica al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiedendo peraltro un'interpretazione autentica del dettato dell'articolo 256 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ma sembra che a tutt'oggi non sia ancora stata elaborata una soluzione adeguata;
   il perdurare di questo problema ha causato, nel corso del tempo, una enorme dispersione di cartucce che non sono mai state correttamente smaltite;
   se si tiene conto, infatti, che nell'arco di un anno solare vengono prodotte o semplicemente commercializzate 6 milioni di cartucce, è facile comprendere che l'attuale «incertezza normativa e procedimentale» ne ha, di fatto, impedito il recupero nella misura di circa dell'80 per cento, ossia di ben 9.600.000 cartucce in due anni, disperse nell'ambiente e di cui solo una piccola parte può considerarsi «rifiuto», poiché la maggioranza di esse sono rigenerabili e ricaricabili e, quindi, veri e propri beni produttivi;
   se intenda assumere iniziative per chiarire l'interpretazione autentica dell'articolo 256 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e pertanto quale sia lo stato di avanzamento relativo alla bozza di accordo di programma citato in premessa e quali iniziative intenda adottare affinché siano garantiti il corretto smaltimento dei rifiuti in questione nonché la semplificazione delle norme e degli adempimenti. (5-06511)


   ZARDINI, COMINELLI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il lago di Garda è caratterizzato da paesaggi spettacolari e da un ambiente unico: rive con vegetazioni termofile di impronta mediterranea, ambienti naturali come i canneti, colline moreniche, zone a falesia nella parte nord, abitate da uccelli rari;
   il livello del Garda è soggetto ad oscillazioni naturali e dipende dagli afflussi meteorici, dalle portate degli immissari, dei quali il maggiore è il fiume Sarca, e localmente viene influenzato da fenomeni particolari, come le sesse;
   esso è controllato artificialmente dagli edifici regolatori di Salionze e Governalo, ubicati lungo il fiume Mincio. L'opera di sbarramento di Salionze sul fiume Mincio è in grado di fare defluire portate sino a 200 metri cubi per secondo. Secondariamente, il livello del Garda è regolato tramite la modulazione degli afflussi, che avviene soprattutto operando negli invasi idroelettrici del bacino dell'immissario Sarca, in Trentino. Nel 1960 è stata completata la galleria scolmatrice dell'Adige, usata solo due volte per evitare piene disastrose dell'Adige nella zona di Verona. Così il Garda è stato regimentato sia a nord che a sud, attraverso i sistemi di regolazione a Salionze di Monzambano del 1949 e quelli di Governolo degli anni ’80;
   data la notevole densità abitativa sulle sponde del lago, con comuni di tre province che si spingono sino alle rive, e gli importanti utilizzi irrigui delle acque derivate dall'emissario Mincio, è comprensibile che la regolazione del livello del lago di Garda sia un argomento di grande interesse economico e sociale, e quindi oggetto di normativa e di accordi politici;
   una deliberazione del Consiglio superiore dei lavori pubblici (n. 55 dell'11 marzo 1965) fissò, rispetto allo zero idrometrico di Peschiera d/G, i seguenti livelli di regolazione: – massimo nel mese di aprile 140 cm (eccezionale 175 cm); – massimo primaverile-estivo (maggio-agosto) 135 cm; – massimo estivo-autunnale (settembre-dicembre) 70 cm; – minimo 15 cm (eccezionale -5 cm). Nel 2002, con delibera del comitato istituzionale dell'Autorità di bacino del fiume Po, si decise di modificare il livello massimo autunnale, elevandolo in via provvisoria da 70 cm a 90 cm;
   la Commissione per l'esercizio della regolazione dei livelli del lago ha stabilito nel 1984 quote operative, con riferimento allo zero idrometrico di Peschiera posto a 64,027 m s.l.m., che tengono conto delle attività economiche dipendenti dal lago;
   il 6 settembre 2013 l'Agenzia interregionale per il Po, in seguito ad accordi fra regioni e province ripariali ed enti di gestione delle risorse idriche, ha pubblicato una proposta concordata di regolamentazione dei livelli idrometrici del lago di Garda che prevede una fase di gestione sperimentale dei livelli, in deroga ai valori fissati nel 1965, per una durata di almeno cinque anni, prendendo come riferimento un modello previsionale da sviluppare sulla base delle stime dello scioglimento delle coperture nevose. Qualora l'incremento connesso alla neve, seppur previsto dal modello, dovesse non verificarsi, si ritiene necessario che sia automaticamente consentita la possibilità di scendere di 15 centimetri al di sotto del minimo ordinario stabilito, portandolo dai 140 definiti dalla vigente norma del 1965 ai 125 sopra lo zero idrometrico;
   nel fissare i principi di regimazione delle acque lacuali bisogna tenere conto della sicurezza degli abitati rivieraschi del lago e dei territori sub-lacuali; garantire la dotazione di acque irrigue all'utenza e l'esercizio della navigazione e tutelare l'ambiente lacustre nel suo insieme;
   avendo il lago un'escursione ordinaria di circa 125 cm appare evidente come la regolazione dei livelli possa influire sulla dinamica costiera, determinando un avanzamento o un arretramento della linea di riva;
   anche necessità di protezione civile possono influire sui livelli del lago di Garda: infatti, in situazioni eccezionali di rischio di alluvione in Trentino ed in Veneto, su decisione del magistrato alle acque del bacino dell'Adige, vengono immesse nel Garda le acque del fiume Adige, tramite una galleria che parte dall'alveo del fiume a Mori (TN) e che scarica nel Garda a Torbole (TN). Questa galleria, che è il più grande canale scolmatore europeo, può far affluire nel Garda portate sino a 500 m3/s;
   l'afflusso delle acque dell'Adige nell'invaso benacense, oltre alla variazione di livello, ha anche altri impatti: intorbidimento delle acque del lago, dovuto ai solidi sospesi nelle acque dell'Adige in piena, abbassamento della temperatura dell'acqua nei pressi del recapito, e, secondo alcuni, formazione di nebbie e disturbo alla fauna ittica. Sono i motivi per cui la decisione di aprire la galleria/scolmatore viene presa solo in caso di estrema necessità;
   i problemi legati ai livelli troppo alti del Benaco, peraltro, incidono anche sul collettore fognario, che oltre la quota di 125 centimetri «imbarca» acqua e scarica nel lago il sovraccarico di portata;
   le elevate temperature e la siccità dell'estate 2015 hanno avuto numerosi effetti negativi: ad agosto l'Agenzia interregionale del fiume Po ha fatto calare ulteriormente il deflusso verso il territorio mantovano, nonostante a fine luglio la regione Veneto avesse richiesto un aumento da 80 a 105 metri cubi al secondo. Dal 19 agosto il deflusso è stato fatto scendere a 40 m3/s e poco prima era già stato abbassato a 60. Nonostante le piogge di agosto, il livello del lago di Garda è sceso sotto la soglia di 40 centimetri sullo zero idrometrico di Peschiera, fissata dall'Autorità di bacino. Il lago è sceso, in media, di un centimetro al giorno, riducendo la risorsa idrica del Garda quasi ai minimi storici;
   ambienti naturali come i canneti risentono pesantemente del forte e persistente abbassamento dei livelli del lago, il loro prosciugamento crea problemi alla fauna ittica e al turismo; il livello troppo basso del lago ha ripercussioni anche sulla navigazione, soprattutto per l'attracco dei mezzi della Navigarda e il trasporto delle automobili sulla tratta Desenzano-Riva del Garda;
   le regole dettate dalle esigenze di mezzo secolo fa non sembrano più in grado di rispondere alle mutate condizioni dei nostri giorni: se negli anni fra il 1950 ed il 1970 il problema era quello di contenere i livelli massimi e dunque le piene, evitando allagamenti e disastri, ora, con le mutate condizioni climatiche e il grande uso della risorsa idrica, il problema è esattamente l'opposto;
   l'acqua, salvo qualche rara eccezione, negli ultimi anni è scarsa e i consumi sono spesso superiori alle disponibilità. Un futuro incerto pesa nel basso Garda per l'industria del turismo se spiagge e centri balneari con bassi livelli dell'acqua diventano lunghe distese melmose e inutilizzabili;
   poiché si è in presenza di molteplici e variegate esigenze, e di diversi e a volte contrastanti interessi, è assolutamente necessaria l'adozione di una normativa definitiva che disciplini in maniera idonea la regolazione dei livelli del lago. Per questo i sindaci di numerosi comuni che si affacciano sul Garda chiedono di adottare le nuove misure previste dall'accordo siglato nel 2013 –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se non ritenga di assumere iniziative volte a rendere giuridicamente vincolanti i nuovi parametri di regolamentazione dei livelli idrometrici del lago di Garda stabiliti nel 2013 con l'accordo promosso dall'Agenzia interregionale per il Po. (5-06512)


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea, in primis tende a marginalizzare il ruolo degli inceneritori nel processo di gestione dei rifiuti, contestando in tal senso anche la normativa italiana che riconosce anche ai termovalorizzatori gli incentivi. (CIP6 e certificati verdi), riferiti alla produzione di energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili;
   la perseveranza nelle scelte a favore dell'incenerimento dei rifiuti è data, in primo luogo, proprio dall'incentivazione tariffaria dell'energia prodotta da tale tipo di impianti prevista dalla normativa italiana, che include i termovalorizzatori tra i beneficiari di incentivi, senza alcuna distinzione tra fonti organiche e fonti non biodegradabili; l'incenerimento dei rifiuti è la pratica con minima sostenibilità nell'ambito della gerarchia europea dei rifiuti, che privilegia invece il recupero di materia;
   in contrasto con le direttive europee, l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 dispone che «entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico, fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   il primo impianto italiano di incenerimento, funzionale anche al recupero energetico, è l'impianto di termovalorizzazione dei rifiuti di Padova-San Lazzaro, risalente agli anni ’50 e messo in funzione nel 1962, con potenzialità nominale del forno di 140 t/giorno e generazione di 1,4 MWh/giorno. L'impianto venne successivamente ampliato e modificato per– adeguarlo alla normativa sopravvenuta, fino ad assumere l'attuale conformazione; con tre linee di incenerimento, una capacità nominale complessiva di 600 t/giorno di rifiuti e una produzione di energia elettrica (al netto dell'autoconsumo) superiore di 95 GWh/giorno;
   da cronaca di stampa (Corriere di Verona 10 febbraio 2012) l'ingegnere Sergio Trapanotto, artefice della III linea dell'impianto di San Lazzaro, in occasione della visita di un gruppo di giornalisti veronesi all'inceneritore così dichiara: «mi raccomando si chiama inceneritore non termovalorizzatore, alla gente bisogna dire la verità. La verità è che l'impianto non serve a produrre energia ma a bruciare rifiuti. Ciò che ricaviamo dalla produzione di energia è marginale, non basterebbe a sostenere i costi»;
   il termovalorizzatore di via Manin, a Sesto S. Giovanni, è composto di tre linee d'incenerimento parallele, ciascuna con potenzialità pari a un terzo di quanto autorizzato, che consentono di produrre energia elettrica (che, per la parte eccedente gli autoconsumi interni, è ceduta alla rete elettrica nazionale) ed energia termica (che è utilizzata per il teleriscaldamento della città di Sesto San Giovanni). Esso, seppur di taglia piccola, ha le migliori tecnologie di settore e dal 2004 è gestito direttamente dalla società CORE, proprietaria dell'impianto. In totale, vengono trattate nell'impianto di via Manin circa. 70.000 t/anno. Complessivamente la popolazione equivalente servita dal termovalorizzatore CORE può essere stimata in circa 350.000 abitanti;
   come è noto, a partire dal 21 settembre 2010 è scaduta la convenzione CIP6/92 e, quindi, l'impianto di Sesto S.Giovanni è passato alla condizione di autoconsumo dell'energia prodotta e necessaria al suo funzionamento, cedendo la quota residua ai prezzi del mercato libero dell'energia elettrica;
   il 27 settembre 2012 al lab-meeting di Ravenna «no Ambiente», la dottoressa Anna Moretto, facente parte dell'Ente di Bacino Padova 2, durante la presentazione dell'analisi sulle tariffe degli impianti di trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani, mette, in risalto, nello specifico dell'impianto di incenerimento di Padova, come su una quantità di energia prodotta nell'anno 2010 pari a 15.275.616 kWh, 8.241.318 kWh sono utilizzati per autoconsumo per il funzionamento dell'impianto di incenerimento, 6.794.336 kWh sono ceduti al gestore dell'impianto di produzione CDR e compost presenti nell'impianto stesso e i rimanenti 239.962 kwh sono ceduti in rete al Gestore Rete Trasmissione Nazionale (GRTN);
   il caso degli inceneritori di Padova e di Sesto San Giovanni porta a ipotizzare come la produzione energetica da incenerimento dei rifiuti costituisca una modalità non sostenibile di gestione dei rifiuti stessi anche sul versante energetico; risulta infatti che oltre all'autoconsumo diretto, una porzione cospicua dell'energia prodotta venga spesa in impianti connessi alla selezione dei rifiuti per l'immissione nell'inceneritore stesso (CDR) e va chiarita l'eventuale incentivazione della produzione di questa quota energetica (dai dati della professoressa Moretto sembrerebbe più redditizio il consumo da parte degli impianti della filiera che la cessione in rete);
   in Italia, i costi dello smaltimento dei rifiuti, tramite incenerimento sono indirettamente sostenuti dagli enti governativi e territoriali sotto la forma di incentivi alla produzione di energia elettrica, da fonte rinnovabile;
   le modalità di finanziamento sono due, correlate ma diverse: pagamento maggiorato dell'elettricità prodotta per 8 anni (incentivi cosiddetti CIP 6); riconoscimento di «certificati verdi» che il gestore dell'impianto può rivendere (per 12 anni);
   sulla base delle criticità evidenziate, in virtù del principio di sostenibilità economica degli impianti di incenerimento, appare necessario assumere opportune iniziative di verifica e comparazione economica durante il tempo in cui sono stati erogati gli incentivi per le energie rinnovabili e dopo la scadenza di tale stanziamento (CIP6 e «certificati verdi») nonché verifiche sugli esiti delle attività di produzione energetica, atte a dimostrare la reale necessità di garantire la sicurezza nazionale attraverso la gestione dei rifiuti finalizzata all'autosufficienza, affinché essa stessa non comporti il depauperamento delle risorse economiche e ambientali necessarie alla realizzazione della filiera virtuosa dei rifiuti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, per quanto di competenza, di assumere opportune iniziative di monitoraggio sulle emissioni inquinanti degli impianti di incenerimento, al fine di valutarne l'impatto ambientale, in previsione di una eventuale revisione della normativa in materia di erogazione degli incentivi per le energie rinnovabili. (5-06513)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'iprite e il fosgene sono dei gas incolori ma dagli odori caratteristici, estremamente tossici e aggressivi, impiegati come armi chimiche nella Seconda Guerra Mondiale, catalogati dalle Nazioni Unite come armi di distruzione di massa, la cui produzione è stata messa al bando dalla Convenzione sulle Armi Chimiche del 1993;
   da fonti storiche si apprende che a Foggia, in via del Mare, proprio in corrispondenza del cartello «Foggia città denuclearizzata», all'interno della recinzione dei terreni dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (I.P.Z.S.-Cartiera), durante la seconda guerra mondiale, venne costruita una fabbrica chimica, nota come «la fabbrica della morte» i cui lavori furono ultimati nel 1941 per cui la produzione andò a regime soltanto nel 1943;
   dai dati ricavati dalla scarsa letteratura, si apprende che nello stabile si producevano in gran segreto circa trecento tonnellate mensili di prodotti chimici (fosgene – gas soffocante, iprite – gas vescicante, ossicloruro di carbonio, gas lacrimogeno e asfissiante, altri aggressivi chimici e nitrocellulosa) utilizzabili a fini bellici;
   in un documento storico rinvenuto negli anni ’90 compaiono indicazioni minuziose su come si dovesse procedere alla distruzione dello stabile chimico che venne distrutto il 26 settembre del 1943;
   i resti della fabbrica oggi abbandonata sorgono a ridosso di un centro abitato e sono circondati da campi agricoli, anche se i cartelli con i quali si è avvisata la popolazione del pericolo sono stati affissi solo nel 2008 secondo quanto espresso sul blog «sulatestagiannilannes. blogspot.it» realizzato dal giornalista Gianni Lannes che da tempo si occupa in maniera dettagliata della vicenda;
   da fonti storiche documentate si apprende che il Prefetto di Foggia nel 1948 tentò di adoperarsi per la bonifica del sito, utilizzando gli stessi operai che vi avevano lavorato, ma tale proposta non fu accolta dall'allora Ministero della Difesa non ritenendo idoneo l'utilizzo di semplici operai per bonificare il sito, data l'elevata pericolosità (sempre sul blog di Lannes si può leggere un documento che fu inviato al Prefetto del capoluogo di Capitanata in data 11 giugno 1948, a firma del Ministro della Difesa, nel quale viene espressamente dichiarato che «i lavori di bonifica e sgombero macerie e materiali degli ex impianti di produzione aggressivi chimici di Foggia non possono essere eseguiti che da personale specializzato, in quanto il personale stesso, durante il lavoro, deve essere munito di maschere antigas, guanti e indumenti protettivi, dato che esistono ancora sotto le macerie apparecchi contenenti quantità considerevoli di iprite e di fosgene»;
   la Costituzione Italiana, nell'articolo 32, descrive «la tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività» anche se, a distanza di oltre settanta anni, i resti della «fabbrica della morte» versano ancora in uno stato di totale abbandono e non sono ancora pervenute notizie sull'avvenuta bonifica del suolo ed il sottosuolo che furono contaminati con conseguente grave rischio di salute per tutta la collettività –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti sopra riportati e se, in caso ne abbia ricevuto notizia, possa fornire maggiori informazioni in merito ad attività di bonifica eseguite negli anni successivi. (5-06514)


   ZARATTI, PIRAS e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la normativa vigente, il decreto-legge del 15 febbraio 2010, n. 31, prevede la predisposizione di una proposta di carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e di un progetto preliminare relativi alla localizzazione di un deposito nazionale delle scorie nucleari da parte della Sogin spa (la società statale per lo smantellamento degli impianti nucleari italiani e la gestione dei rifiuti radioattivi), da approvare solo successivamente a necessarie valutazioni dell'Ispra e all'organizzazione di un seminario nazionale a cui partecipino regioni, province e comuni sul cui territorio ricadono le aree interessate dalla suddetta proposta, nonché l'UPI, l'ANCI, le associazioni degli industriali delle province interessate, le associazioni sindacali maggiormente rappresentative sul territorio, le università e gli enti di ricerca presenti nei territori interessati, ex articolo 27, comma 4, del suddetto decreto legislativo;
   il deposito nazionale, infrastruttura di superficie dove collocare rifiuti radioattivi, condurrà alla sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e allo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività;
   dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, ricorda Sogin, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   la pubblicazione della Carta e quella contestuale del progetto preliminare, spiega la Sogin, «apriranno una fase di consultazione pubblica e di condivisione, che culminerà in un Seminario nazionale, dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti coinvolti ed interessati»;
   l'articolo 27, comma 3, del succitato decreto-legge, prevedeva la pubblicazione tempestiva sul sito internet della Sogin spa della proposta di carta nazionale e del progetto preliminare;
   tale tempistica, tuttavia, è stata dilatata attraverso il decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 45, che ha disposto la trasmissione all'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) della proposta di Carta nazionale da parte della Sogin;
   l'Ispra doveva, entro 60 giorni, validarne e verificarne i dati, inviando una relazione ai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico, i quali, a loro volta, dovevano comunicare, ai sensi del novello comma 1-bis dell'articolo 27, il proprio nulla osta alla Sogin ai fini della pubblicazione della proposta di Carta nazionale entro 30 giorni, dopo il recepimento degli eventuali rilievi ministeriali contenuti nel nulla osta;
   il 2 gennaio 2015 la Sogin ha consegnato ad Ispra la carta delle aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale;
   il percorso istituzionale previsto, teoricamente in 90 giorni, avrebbe dovuto condurre alla pubblicazione della proposta di carta nazionale all'inizio del mese di aprile 2015, ma la possibilità dettata da una normativa non chiarissima circa i tempi necessari al recepimento dei rilievi ministeriali ha condotto a un dilatarsi ulteriore dei tempi;
   il comma 4 dell'articolo 27 del decreto-legge n. 31 del 2010, prevedeva l'organizzazione del suddetto seminario nazionale entro 60 giorni dalla pubblicazione della proposta di carta; tuttavia, il decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, ha prorogato da 60 a 120 giorni tali tempistica attraverso il comma 4-bis dell'articolo 9;
   il 16 giugno l'ISPRA ha comunicato di aver ricevuto dalla Sogin l'aggiornamento della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee alla localizzazione del deposito nazionale e della relativa documentazione;
   in data 20 luglio 2015 l'ISPRA ha consegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministero dello sviluppo economico l'aggiornamento della relazione;
   i Ministeri avevano a disposizione 30 giorni per trasmettere a Sogin il nulla osta alla pubblicazione della carta che avrebbe dunque dovuto essere pubblicata entro il 20 agosto;
   tuttavia, in occasione del Meeting di Comunione e Liberazione de 24 agosto 2015, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti ha dichiarato: «abbiamo ritenuto con il Mise di fare un ulteriore approfondimento. Non è facile fare una mappa dei siti idonei per ospitare il deposito nazionale. L'operazione ha richiesto più tempo di quanto avessimo preventivato», aggiungendo, inoltre, che non è possibile per il Ministero pronunciarsi sui tempi di pubblicazione;
   la pubblicazione della carta continua, dunque, ad essere procrastinata, dilatando l'avvio del seminario nazionale e, dunque, dell'informazione e della partecipazione degli enti territoriali e locali e dei cittadini;
   l'accesso all'informazione e la partecipazione sono due elementi centrali dei processi decisionali in materia ambientale, come riconosciuto nella convenzione di Aarhus sul diritto di accesso alle informazioni, la partecipazione ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale del 1998, ratificata in Italia con la legge n. 108 del 16 marzo 2001, e dal diritto comunitario attraverso le direttive 2003/4/CE e 2003/35/CE;
   il ritardo appare ampiamente in contraddizione non soltanto con quanto previsto dalla legge, ma anche con quanto dichiarato fino ad oggi dal Governo: si ricorda, in tal senso, come il 20 febbraio 2015 sia stato approvato in aula l'ordine del giorno 9/02803-A/149, presentato dall'onorevole Piras, in cui si richiedeva il rispetto della tempistica prevista dalla normativa vigente in modo tale da non dilatare ulteriormente l'avvio della fase di consultazione pubblica;
   tale ordine del giorno aveva ricevuto inizialmente il parere contrario del Governo, poiché appariva «ultroneo», pleonastico;
   la proposta di carta è invece, ancora, ad avviso degli interroganti inspiegabilmente, secretata, a tutti i livelli istituzionali, negando così la possibilità ai governi regionali e ai livelli parlamentari di poter sapere quali territori sono stati individuati in via preliminare per la costruzione del deposito nazionale –:
   quali siano le motivazioni che, ad oggi, impediscono di trasmettere il nulla osta a Sogin per la pubblicazione della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee e se non si ritenga di procedere immediatamente alla pubblicazione della carta e del progetto preliminare relativi alla localizzazione del deposito nazionale delle scorie nucleari, avendo il Governo non soltanto dilatato i tempi previsti dalla legge sino alla loro ultima scadenza, ma risultando in ritardo di più di un mese, tanto da ledere il diritto dei cittadini all'accesso alle informazioni ambientali, riconosciuto a livello nazionale, europeo e internazionale. (5-06515)


   CASTIELLO e LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tema dei rifiuti, da tempo all'attenzione dell'Unione europea, presenta aspetti che prescindono dalla sola tutela dell'ambiente e ciò in ragione del fatto che i rifiuti rappresentano, nello stesso tempo, una fonte di inquinamento e un bene economico suscettibile, in quanto tale, di scambi e transazioni commerciali tra diversi Paesi;
   l'Unione europea è intervenuta al fine di prevedere, in tema di rifiuti, una disciplina unica da dover applicare in tutto il continente europeo. L'Italia, come tutti gli Stati membri è dunque tenuta a dare attuazione alla direttiva n. 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, alla n. 91/689 CE, relativa alla gestione controllata dei rifiuti pericolosi e alla n. 1999/31/CE, concernente la gestione delle discariche;
   l'articolo 4 della direttiva n. 75/442/CEE stabilisce che gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare un pregiudizio all'ambiente. Inoltre, gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie per vietare l'abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti;
   la direttiva 91/689/CEE stabilisce, altresì, che nelle discariche non possono essere smaltiti rifiuti non trattati, e che la separazione dei rifiuti destinati agli invasi deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano altresì l'effetto di evitare o diminuire nel miglior modo possibile ripercussioni negative sull'ambiente nonché rischi per la salute umana;
   la direttiva 1999/31/CE — recepita in Italia con il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, e attuata con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio 3 agosto 2005 individua come biodegradabile qualsiasi rifiuto che per natura subisce processi di decomposizione aerobica o anaerobica, quali, a esempio, rifiuti di alimenti, rifiuti dei giardini, rifiuti di carta e di cartone;
   l'ISPRA, Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, nel rapporto rifiuti urbani 2013, con dati riferiti all'anno 2012, ha certificato che la metà dei rifiuti raccolti (53 per cento), a livello nazionale, sono stati smaltiti — in palese violazione della direttiva europea 1999/31/CE — senza essere sottoposti ad alcuna forma di pretrattamento;
   secondo il rapporto rifiuti urbani 2014 dell'ISPRA, con dati riferiti all'anno 2013 in Basilicata la percentuale di rifiuti urbani smaltiti senza alcun trattamento preliminare è pari al 61 per cento;
   il 23 novembre 2012, la Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2011/2215 ha emesso nei confronti dell'Italia un parere motivato ex articolo 258 del TFUE per la violazione degli obblighi imposti dall'articolo 4 della direttiva 1999/31/CE. In particolare, la Commissione ha considerato irregolari 102 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001 per le quali, entro 16 luglio 2009, in base alla normativa europea si sarebbe dovuto prevedere e dare esecuzione a un adeguato piano di riassetto ovvero procedere alla chiusura, qualora detto piano fosse risultato inadeguato;
   la Commissione europea ha successivamente ritenuto che nonostante i progressi compiuti, sul territorio italiano vi sono ancora 46 discariche con riferimento alle quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dalla direttiva. Le regioni interessate sono l'Abruzzo (15 discariche), la Basilicata (19 discariche), la Campania (2 discariche), il Friuli Venezia Giulia (4 discariche), la Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi) e la Puglia (5 discariche);
   il 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento forfettario di 40 milioni di euro per non aver dato esecuzione alla sentenza del 2007 C-135/05 della stessa Corte, che ha constatato l'inadempimento alle richiamante direttive sui rifiuti. La stessa Corte ha riconosciuto all'Italia la possibilità di applicare la penalità in forma decrescente, cioè in maniera proporzionale alla risoluzione delle problematicità riscontrate nei siti oggetto di contestazione;
   in particolare, il problema dei rifiuti nella regione Basilicata sta assumendo, ormai da tempo, un peso sempre più rilevante. La raccolta differenziata si attesta a un livello modesto, pari al 25 per cento; la carenza degli impianti di trattamento comporta che i rifiuti vengano sversati nelle discariche senza sottoporli ad alcuna lavorazione; inoltre, continua a essere invalso il conferimento e il successivo smaltimento, presso siti della regione Basilicata di rifiuti speciali, industriali provenienti da altre regioni;
   la Basilicata e in particolare la provincia di Matera, specialmente nell'ultimo periodo, stanno vivendo una situazione di emergenza che potrebbe peggiorare a causa dell'insufficienza di impianti di trattamento presenti nel territorio lucano. Attualmente sono in funzione soltanto tre impianti in provincia di Potenza e 2 in provincia di Matera: quello di Pisticci e il termovalorizzatore Fenice di San Nicola di Melfi a fronte di 205 mila tonnellate di rifiuto prodotto all'anno;
   devono ancora essere resi operativi alcuni impianti di trattamento rifiuti, come quello di Colobraro, Pisticci e Lauri, deve essere realizzata una nuova impiantistica a Matera-La Martella e occorre accelerare la procedura di caratterizzazione. Inoltre, si parla da tempo anche del possibile ampliamento degli impianti di Venosa, Tricarico e Pomarico, attraverso un'ipotesi di ripartizione dei rifiuti solidi urbani presso gli impianti presenti nel territorio;
   stando alle ultime dichiarazioni dell'Assessore all'ambiente della regione Basilicata, anche a fronte della impossibilità per il termovalorizzatore Fenice di San Nicola di Melfi di smaltire rifiuti solidi urbani in eccedenza (per effetto di alcune scelte in parte di responsabilità della regione) saranno Tricarico, Colobraro e Matera a farsi carico, a breve e medio termine, dell'emergenza rifiuti che si registra nell'intera regione prospettando, quindi, una soluzione inaccettabile rispetto alle esigenze del territorio –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di verificare, anche alla luce degli obblighi derivanti dalla partecipazione all'Unione europea, l'entità della grave situazione venutasi a creare nel territorio della regione Basilicata e quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere per migliorare gli strumenti di controllo della tracciabilità dei rifiuti al fine di tutelare la sicurezza dei cittadini e dell'ambiente. (5-06516)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Anzio si trova nell'Agro Romano, il cui limite meridionale è segnato dal fiume Astura, a 58 chilometri a sud di Roma, ed a 26 chilometri ad ovest da Latina. Il centro della città si sviluppa sull'omonimo promontorio, proteso sul Mar Tirreno; la riserva naturale regionale Tor Caldara (IT 6030046) situata nel comune di Anzio è un'area naturale protetta, istituita nel 1988 con provvedimento legislativo della regione Lazio. Sulla base del decreto 25 marzo 2005, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 157 dell'8 luglio 2005 e predisposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi della direttiva CEE, la riserva naturale regionale Tor Caldara viene considerata Sito di interesse comunitario;
   da un articolo di stampa del luglio 2015, apparso sul quotidiano online «In libera uscita», risulta che le opere di dragaggio avviate nel periodo estivo per combattere l'erosione delle spiagge attraverso il ripascimento delle stesse abbiano provocato la formazione di acqua torbida impedendo ai bagnanti l'ingresso in mare: «Uno scempio, dicono a gran voce i frequentatori degli stabilimenti. Stare in spiaggia a queste condizioni non è il massimo, e non è certo da incentivo per il turismo»;
   secondo un comunicato stampa della Capitaneria di porto di Anzio, pubblicato il 12 maggio 2015, giorno in cui è giunta da La Spezia la Draga, «L'intervento di dragaggio prevede di prelevare un quantitativo di 80.000 metri cubi dall'ingresso del Porto di Anzio per essere poi conferita nel tratto di spiaggia tra Tor Caldara e Capo D'Anzio è prossimo all'avvio»; nel comunicato si evidenzia anche come «l'intervento durerà complessivamente fino alla fine di Giugno (salvo eventuali proroghe dovute alle avverse condizioni meteo marine). Per consentire alla draga di mettersi subito all'opera, il Comandante del Porto di Anzio ha già emanato dal 3 maggio 2015 l'ordinanza di sicurezza, prevedendo la possibilità per il mezzo di lavorare nell'arco delle 24 ore anche nei week end»;
   da un comunicato stampa del comune di Anzio del 23 marzo 2015 si apprende che «Il Ministero dell'ambiente, in collaborazione con la Coldiretti, ha affrontato la problematica relativa alla classificazione ed alla caratterizzazione dei fanghi derivanti dall'escavo del porto, al loro smaltimento ed alla loro ricollocazione. Ho avuto rassicurazioni dal Sottosegretario che, fortunatamente, la materia verrà nuovamente regolamentata e la procedura sarà resa più snella con il riposizionamento e riutilizzo della sabbia dove si renderà necessario. Lo afferma il Sindaco f.f. di Anzio, Giorgio Zucchini, che ha partecipato all'incontro convocato dal Sottosegretario all'Ambiente, On. Silvia Velo, teso a rivedere e semplificare le procedure per gli interventi di dragaggio dei porti. Auspico – conclude Zucchini – che a breve la regione Lazio, concluso l'iter procedurale, effettui l'intervento di dragaggio per mettere in sicurezza la nostra area portuale. Il porto rischia la chiusura e l'intervento non può più essere rimandato»;
   risulta che le attività di dragaggio abbiamo inevitabilmente compromesso la stagione turistica 2015, oltre a non garantire una precisa chiarezza sulle conseguenze di questa attività in termini di inquinamento sul litorale Laziale. Le acque in prossimità della costa sono torbide, piene di rifiuti, schiuma maleodorante e chiazze oleose. L'intervento di dragaggio del porto, diventato urgente per inspiegabili lungaggini della regione Lazio e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si sta sviluppando con dinamiche non ordinarie, tra cui il ritardo inspiegabile dei lavori che dovevano durare da aprile fino a giugno 2015, ma che si sono ultimati solamente a fine del mese di agosto;
   risulta che molti bagnanti soprattutto bambini, sono stati colpiti da sfoghi cutanei, prurito, sintomi di intossicazione quali vomito, diarrea, fino a febbri alte;
   da un articolo dell’Unità, pubblicato l'11 agosto 2015, risulta che nella zona di Anzio e Nettuno siano stati realizzati alcuni prelievi «e le acque hanno una carica batterica superiore di escherichia coli e di enterococco di oltre il doppio del limite consentito per legge – ci spiega Roberto Scacchi, Presidente di Legambiente Lazio –; il problema è che l'Arpa spesso non considera balneabili alcune zone, a volte per la presenza di un porto, volte per altre motivazioni, e non esegue i campionamenti. Poi, però, è pieno di stabilimenti e di persone che fanno il bagno»;
   secondo quanto predisposto dall'articolo 184-quater del decreto legislativo n.152 del 2006 (Utilizzo dei materiali di dragaggio):
    1. I materiali dragati sottoposti ad operazioni di recupero in casse di colmata o in altri impianti autorizzati ai sensi della normativa vigente, cessano di essere rifiuti se, all'esito delle operazioni di recupero, che possono consistere anche in operazioni di cernita e selezione, soddisfano e sono utilizzati rispettando i seguenti requisiti e condizioni:
     a) non superano i valori delle concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5 al titolo V della parte quarta, con riferimento alla destinazione urbanistica del sito di utilizzo, o, in caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo, rispondono ai requisiti tecnici di cui alla lettera b), secondo periodo;
     b) è certo il sito di destinazione e sono utilizzati direttamente, anche a fini del riuso o rimodellamento ambientale, senza rischi per le matrici ambientali interessate e in particolare senza determinare contaminazione delle acque sotterranee e superficiali. In caso di utilizzo diretto in un ciclo produttivo, devono, invece, rispettare i requisiti tecnici per gli scopi specifici individuati, la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti e alle materie prime, e in particolare non devono determinare emissioni nell'ambiente superiori o diverse qualitativamente da quelle che derivano dall'uso di prodotti e di materie prime per i quali è stata rilasciata l'autorizzazione all'esercizio dell'impianto.
    2. Al fine di escludere rischi di contaminazione delle acque sotterranee, i materiali di dragaggio destinati all'utilizzo in un sito devono essere sottoposti a test di cessione secondo le metodiche e i limiti di cui all'Allegato 3 del decreto del Ministro dell'ambiente 5 febbraio 1998, pubblicato nel supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta Ufficiale n. 88 del 16 aprile 1998. L'autorità competente può derogare alle concentrazioni limite di cloruri e di solfati qualora i materiali di dragaggio siano destinati ad aree prospicienti il litorale e siano compatibili con i livelli di salinità del suolo e della falda;
   ad oggi la sabbia prodotta dall'escavo è stata completamente ricollocata sulle spiagge attigue alla costa maggiormente frequentata da turisti, adiacente al sito archeologico della Villa di Nerone e al sito di interesse comunitario del Parco di Tor Caldara –:
   se i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, alla luce delle numerose criticità riportate in premessa, dopo attenta valutazione del potenziale rischio di danno ambientale e di gravi ripercussioni sulla salute dei cittadini, non ritenga che sia opportuno disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al comando carabinieri tutela ambiente (C.C.T.A.), ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, sullo stato di inquinamento di tutte le matrici ambientali presenti in loco;
   se i ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, non ritengano necessario verificare se l'attività di dragaggio abbia determinato un probabile «effetto cumulo» nell'ambiente marino già compromesso dal probabile inquinamento di natura antropica, a causa della forte presenza di elementi batterici. (5-06517)

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere — premesso che:
   una delle pratiche più opinabili, sia per ciò che riguarda l'opportunità sia per quanto concerne il diritto, configurandone talvolta un'aperta violazione, è l'uso di disattendere, specie in alcune realtà del Mezzogiorno, l'istituto dell'incompatibilità tra cariche, fatto che consegue a giudizio dell'interrogante ad un approccio clientelare, spartitorio e proprietario nella gestione della cosa pubblica che è senza dubbio molto spesso anticamera di fenomeni legati allo scambio di favori e alla corruzione;
   l'accumulo di cariche in capo ad alcuni soggetti, tuttavia, oltreché inopportuno e di dubbia legittimità, appare un sintomo di scarsa trasparenza che potrebbe rafforzare nei cittadini la percezione non solo di una sistematica lottizzazione della cosa pubblica, ma anche di una scarsa vigilanza rispetto alla necessità di una cesura netta delle istituzioni rispetto ad ambienti caratterizzati da infiltrazioni della criminalità organizzata;
   riguardo a questa specifica tematica l'interrogante poneva al Governo pro tempore, il 6 maggio 2015, con interrogazione a risposta scritta 4-09091, una domanda circa l'opportunità di sollevare la questione di legittimità costituzionale riguardo alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 10, Modifiche alla legge regionale 10 gennaio 2013, n. 2 (disciplina del collegio dei revisori dei conti della giunta regionale e del consiglio regionale della Calabria) approvata dalla regione Calabria, a seguito della seduta del consiglio regionale del 9 marzo 2015;
   il testo, di un solo articolo, proposto dal capogruppo del Partito Democratico in consiglio regionale Sebastiano Romeo, cambia le cause di esclusione e incompatibilità dei revisori dei conti, dato che introduce una novella alla precedente disciplina tale per cui risultano incompatibili con l'incarico di componenti del collegio solo gli amministratori pubblici degli enti locali della regione «aventi popolazione superiore ai 5.000 abitanti»;
   la legge risulta di fatto essere coincidente con la candidatura di Francesco Malara, uno dei 3 componenti del collegio dei revisori regionale e nipote del noto «boss mafioso Rocco Musolino, a sindaco del comune di Santo Stefano in Aspromonte, carica che egli effettivamente ricopre dopo la vittoria alle elezioni del maggio 2015;
   il sottosegretario Gianclaudio Bressa rispondeva all'interrogante che il Governo, nella riunione del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2015, ha deliberato per la non impugnativa, consentendo di fatto la coesistenza in capo a Francesco Malara delle due cariche di revisore dei conti del consiglio regionale e di sindaco di Santo Stefano d'Aspromonte;
   secondo quanto emerso dalla stampa locale, il 15 luglio 2015 la comunità del parco nazionale dell'Aspromonte, composta da 37 sindaci, da un rappresentante della provincia e da uno della regione, nomina Malara membro del consiglio direttivo, in sostituzione dell’ex sindaco di Santo Stefano, Michele Zoccali;
   secondo quanto emerge da notizie derivanti dai giornali, tuttavia, la nomina sarebbe stata tutto fuorché condivisa e sostenuta dallo stesso Sebastiano Romeo promotore della legge regionale 13 marzo 2015, n. 10;
   come riporta il Corriere della Calabria del 26 settembre 2015, infatti, nell'articolo «Parco Aspromonte, le “pressioni” di Romeo per far eleggere Malara» nelle ore successive all'elezione di Malara i sindaci avrebbero vergato un documento che, per motivi non meglio chiariti, non verrà mai diffuso. «Riteniamo decisamente inopportuna la decisione con la quale ieri è stato eletto come rappresentante dei sindaci nel consiglio direttivo dell'Ente Parco il sindaco di Santo Stefano in Aspromonte, dottor Francesco Malara», spiegavano nell’incipit della nota;
   secondo lo stesso documento la scelta di Malara «aumenta l'ambiguità politica, e non solo, tra controllori e controllati, visto l'evidente conflitto d'interesse esistente e per i modi in cui è avvenuta. La nomina è stata preceduta infatti da una riunione nella quale la regione, attraverso il delegato presente, il consigliere regionale Sebi Romeo, si è attivata per sostenere, non solo con il proprio voto, l'elezione del candidato Malara, esercitando pressione politica su tutti i primi cittadini della provincia»;
   i sindaci, nel documento mai pubblicizzato, ponevano l'accento proprio sul possibile conflitto d'interessi di un revisore contabile che potrebbe anche avere debiti di «gratitudine» nei riguardi del capogruppo del primo partito di maggioranza in regione;
   lo stesso articolo ricorda come «avere un ruolo di vertice nel Parco d'Aspromonte, in fondo, significa prendere parte alla gestione di una vera montagna di soldi» dato che l'ente, solo per l'esercizio finanziario 2015, può disporre di una dotazione finanziaria di circa 9 milioni di euro;
   si rileva peraltro che il parco nazionale d'Aspromonte non risulta nuovo a tali fenomeni di cumulo di cariche: Francesco Cannizzaro, componente del consiglio regionale calabrese, del consiglio provinciale di Reggio Calabria è anch'egli nel consiglio direttivo dell'Ente Parco, quale membro designato dal Ministro delle politiche agricole alimentati e forestali e nominato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 febbraio 2015;
   non risulta all'interrogante che ad oggi la designazione di Francesco Malara abbia ancora portato alla nomina da parte del Ministro interrogato –:
   se non ritenga, visti quelli che l'interrogante giudica profili di potenziale conflitto d'interessi e date le ulteriori criticità segnalate, di non dare seguito alla nomina di Francesco Malara, già sindaco di Santo Stefano d'Aspromonte e membro del collegio dei revisori dei conti del consiglio regionale della Calabria, a componente del consiglio direttivo del parco nazionale d'Aspromonte. (4-10524)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è risuonato nuovamente con insistenza, in questi giorni, sugli organi di stampa territoriali, un rinnovato drammatico allarme per il futuro dell'Ico Tito Schipa il cui destino, come il Ministero sa, appare estremamente incerto nonostante la chiara volontà degli orchestrali di salvaguardare un patrimonio culturale così rilevante, testimoniata dal riavvio della stagione concertistica, apertasi l'8 agosto 2015 e proseguita anche nel mese di settembre;
   tale volontà va adeguatamente sottolineata e rimarcata dal momento che, quasi contemporaneamente all'avvio della stagione concertistica, dal Ministero è stata notificata alla Fondazione Ico Tito Schipa la revoca del finanziamento per il 2015 di euro 497.590 motivata con la decisione assunta nel luglio scorso dalla stessa Fondazione di procedere a licenziamenti collettivi. Contestualmente, a quanto si apprende, il Ministero non ha confermato le risorse del fondo unico per lo spettacolo nemmeno alla stagione lirica della provincia di Lecce;
   nel frattempo, si apprende dalla stampa, la Fondazione ha proceduto alla riassunzione degli orchestrali, sia pure a tempo determinato, e ha già formalizzato la richiesta al Ministero di riammissione al fondo unico per lo spettacolo, sottolineando nella stessa richiesta l'avvio della stagione concertistica;
   contemporaneamente, il comune di Lecce, socio di minoranza della Fondazione, per voce del suo assessore allo spettacolo, ha ribadito l'impegno nei confronti della Fondazione. Si legge infatti sulla stampa: «L'amministrazione sta facendo la sua parte, destinando 120 mila euro, scelta finalizzata a garantire un'offerta culturale adeguata alla città di Lecce»;
   il precipitare di tale situazione, e la revoca del fondo, rischiano dunque di vanificare quanto deciso nel corso dell'incontro svoltosi il 29 luglio 2015 a Bari, presso la sede della regione Puglia e alla presenza del governatore Emiliano, nel corso del quale ad una ricognizione sulla situazione economica dell'orchestra ha fatto seguito l'assicurazione da parte del presidente Emiliano di voler scongiurare la «morte» dell'orchestra, perseguendo il progetto di costituzione di un consorzio regionale delle imprese pugliesi;
   si comprende dunque il grido accorato delle rappresentanze degli orchestrali che, anche recentemente, sono tornati a chiedere a regione e comune di Lecce il rispetto degli accordi circa le quote da versare alla Fondazione, e soprattutto la riammissione dell'orchestra al fondo unico per lo spettacolo –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze e alla luce di quanto in premessa per garantire il futuro ad una realtà culturale meridionale di rilevante qualità che in questi anni ha dimostrato nei fatti una grande capacità di radicamento territoriale e di crescita, suscitando l'entusiasmo di critica e pubblico;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere relativamente alla richiesta di riammissione al fondo unico per lo spettacolo dell'orchestra e della stagione lirica, nella consapevolezza che la decisione di revoca appare doppiamente penalizzante nella disparità di finanziamenti che sembra aver particolarmente colpito le imprese meridionali della cultura;
   se il Ministro non ritenga necessario, anche con la revoca di quanto deciso, contribuire a dare un segnale importante perché la cultura possa sempre più essere considerata, anche al Sud, un segmento rilevantissimo di sviluppo e di crescita. (5-06508)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Asilo della Marina, sito in via Bajlle a Cagliari, rappresenta una pietra miliare della storia recente della città, per aver ospitato dal 1864 l'attività sociale delle Figlie della Carità e, in particolare, per aver accolto il magistero educativo di suor Giuseppina Nicoli, beatificata nel 2008 e di suor Teresa Tambelli;
   le spoglie mortali della Beata Giuseppina Nicoli sono ancora oggi conservate all'interno della cappella annessa all'Asilo della Marina;
   il quartiere della Marina di Cagliari è sempre stato uno dei quartieri più problematici della vecchia città, raccogliendo, a cavallo tra l'ottocento e il novecento, una notevole quantità di sbandati e diseredati che traevano le scarse occasioni di produzione di reddito dalla attività portuale e da quella dei mercati cittadini ubicati nel vicino largo Carlo Felice;
   in particolare, le attività dei mercati cittadini nella fine dell'ottocento e nei primi anni del novecento avevano come protagonisti i «ragazzi con la cesta» (piccioccus de crobi) che, in cambio di piccole mance, scortavano «i signori» che facevano la spesa e, con le loro ceste, trasportavano la spesa delle famiglie borghesi sino al domicilio;
   la figura del «picioccu de crobi», che oggi rappresenta il simbolo della simpatia umana nell'immaginario collettivo dei cagliaritani, era a quei tempi la cartina di tornasole della sofferenza sociale e della emarginazione di una fascia di bambini e di adolescenti, destinati ad un futuro privo di cultura, educazione ed opportunità;
   in tale contesto sociale operavano le Figlie della Carità dell'Asilo della Marina, che si ponevano l'obiettivo di intercettare i ragazzini, spesso orfani e senza futuro, che gravitavano intorno alle modeste attività commerciali del quartiere, per dare loro assistenza morale ed economica, in grado di aprire qualche opportunità di futuro dignitoso;
   tale attività delle Figlie della Carità è stata universalmente riconosciuta e apprezzata dall'intera città che l'ha sempre generosamente sostenuta e, nel corso degli anni, si è adattata ai tempi moderni, senza mai stravolgere la propria, originaria missione di carità cristiana;
   anche oggi che il quartiere della Marina si presenta intensamente popolato e ricco di attività commerciali, la sua vocazione multietnica ne accentua le contraddizioni e ne sottolinea la eterogeneità di composizione sociale, mantenendo centrale il ruolo educativo delle suore vincenziane che, sino a pochi anni or sono, hanno mantenuto in funzione l'Asilo della Marina, tenendo alta la sua originaria funzione di insostituibile presidio sociale;
   la disagiata logistica dei locali dell'Asilo, che è ospitato in uno stabile vecchio e ben difficilmente riadattabile ai moderni criteri delle attività formative e i nuovi obblighi normativi relativi al rispetto dei parametri standard rendono antieconomica la gestione della struttura;
   la diseconomicità d'impresa è resa ancora più insostenibile dalla vocazione istituzionale delle suore vincenziane che, sino a quando l'Asilo è rimasto aperto, hanno accolto gratuitamente presso la propria struttura i figli delle famiglie disagiate che abitano nel quartiere e non possono permettersi di pagare la retta dell'asilo;
   neppure la recente trasformazione della istituzione «Asilo Marina e Stampace» da ex IPAB a Fondazione (dicembre 2012) ha consentito di modificare i parametri economici gestionali dell'Asilo, che ha ultimamente chiuso la propria attività senza riuscire neppure a ripianare i propri debiti nei confronti del personale docente che ha prestato negli ultimi anni di esercizio la propria attività presso l'asilo;
   proprio i debiti nei confronti del personale (che pare peraltro ammontino ad appena 237.000 euro) hanno dato corso ad una lite giudiziaria che ha portato al pignoramento dello stabile che ospita l'Asilo della Marina, di proprietà della Fondazione;
   per effetto di tale pignoramento, il bene rischia di essere messo all'asta, con il rischio reale che venga sottratto non soltanto alle attività solidaristiche, educative e caritatevoli che in esso ancora si esercitano, ma più ancora alla fruizione dell'intera città di Cagliari, alla cui memoria storica esso appartiene;
   una parte della struttura potenzialmente oggetto di alienazione giudiziaria apparteneva in passato alla contigua chiesa di Sant'Agostino, risalente al 1576, per cui nei giorni scorsi, il rettore di tale edificio di culto ha simbolicamente iniziato a picconare la parete divisoria con l'Asilo a significare la necessità di salvaguardare almeno quella parte del bene che costituisce parte integrante di Sant'Agostino –:
   quali vincoli esistano sullo stabile dell'Asilo della Marina di Cagliari e, in particolare sulla porzione di edificio che ospita le spoglie mortali della Beata suor Giuseppina Nicoli e su quella parte di stabile che costituirebbe pertinenza dell'adiacente chiesa di Sant'Agostino;
   se le parti vincolate e, in particolar modo, quelle di maggior pregio e valore storico, possano essere oggetto di alienazione per vendita giudiziaria;
   se non ritenga che sussistano i presupposti per intervenire immediatamente, anche attraverso eventuale acquisizione diretta della proprietà dell'immobile, per bloccare ogni attività di alienazione del bene per via giudiziaria e garantire all'utilizzo di pubblica utilità l'intero stabile dell'Asilo della Marina, che rappresenta un simbolo peculiare e universalmente riconosciuto della storia recente della città di Cagliari, che ben volentieri lo vedrebbe restituito all'attività di carità e solidarietà incarnata dalle suore vincenziane.
(4-10532)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, RIZZO, CORDA e FRUSONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   a pagina 369 della relazione Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato 2014, volume II, si afferma che «per la realizzazione della Final Assembly and Check Out (FACO) di Cameri la spesa fino a ora sostenuta è stata pari a 734 milioni di euro. Altri investimenti sono previsti per la sua trasformazione in MRO&U che, a seguito della decisione dell'Ufficio di Programma americano, dovrà iniziare a essere operativa dal 2018»;
   lo stabilimento FACO, costruito a spese dello Stato all'interno di un'area demaniale a Cameri in Piemonte, è attualmente gestito congiuntamente dalle aziende Alenia, del gruppo Finmeccanica, e Lockheed Martin, sulla base di un contratto stipulato in data 18 giugno 2010 dalle aziende stesse con il Ministero della difesa;
   vi si svolge attività di assemblaggio di velivoli F-35 nonché di produzione di cassoni alari per i medesimi velivoli;
   il Ministero della difesa statunitense aveva a suo tempo annunciato la scelta di Cameri per lo svolgimento anche di attività di maintenance, repair, overhaul and upgrade (MRO&U) per la regione europea, limitatamente alla cellula dell'aereo (la manutenzione dei motori è stata assegnata alla Turchia in via principale e alla Norvegia e Paesi Bassi in via secondaria);
   non era tuttavia noto che lo svolgimento di attività maintenance, repair, overhaul and upgrade comportasse ulteriori investimenti in uno stabilimento già costato quasi un miliardo di euro allo Stato italiano e gli annunci da parte italiana avevano omesso di chiarire questa circostanza che adesso è rivelata, incidentalmente, dalla Corte dei conti –:
   quali e di che ammontare siano gli ulteriori investimenti necessari per rendere lo stabilimento di Cameri idoneo allo svolgimento di attività di maintenance, repair, overhaul and upgrade per gli F-35 basati in Europa;
   se i predetti investimenti verranno posti a carico di Finmeccanica oppure delle finanze pubbliche e, in quest'ultimo caso, chi e con quali modalità rimborserà le spese sostenute dallo Stato. (5-06506)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO, RIZZO e ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'Arsenale militare marittimo di La Spezia rappresenta, insieme alle strutture di Taranto e di Augusta, una delle principali basi della Marina militare italiana;
   la presenza da oltre un secolo di una base militare strategica nel golfo di La Spezia, insistente su una vasta area di circa 85 ettari e poco distante dal centro cittadino, comporta un notevole impatto non solo sul piano sociale ed economico, ma anche dal punto di vista ambientale;
   a seguito di un graduale potenziamento delle strutture di Augusta e di Taranto, a cui è conseguito nel corso degli ultimi anni un inevitabile depotenziamento della base spezzina, quest'ultima è risultata al centro di numerose polemiche relative sia al riutilizzo dell'Arsenale e alla nuovi funzioni da attribuire allo stesso, sia alla presenza di elementi nocivi all'interno di vaste aree contenenti materiali fuori uso e rottami vari;
   a seguito di diverse iniziative parlamentari assunte negli ultimi anni, che hanno portato alla ribalta la questione dell'Arsenale di La Spezia, il Governo ha preventivato il cosiddetto «Piano Brin», un piano pluriennale di ammodernamento e messa a norma degli arsenali e degli stabilimenti della Marina, ivi compreso quello di La Spezia, ma il predetto programma governativo non sembra aver sortito gli effetti sperati;
   anche in merito alla possibile presenza di elementi nocivi all'interno di alcune aree dell'Arsenale, in particolare in quella definita «Campo in ferro», il Ministro della difesa Pinotti nell'ottobre del 2014 si è limitata a riferire che l'inchiesta aperta dalla procura della Repubblica di La Spezia per il reato di «abbandono incontrollato di rifiuti pericolosi e non pericolosi», si è conclusa il 17 giugno 2005 con un decreto di archiviazione perché «il fatto non costituisce reato»;
   posto che la predetta inchiesta è rimasta isolata e non ha fatto seguito ad alcuna ulteriore iniziativa giudiziaria, considerata la quantità di materiali presente all'interno dell'Arsenale è comunque possibile ipotizzare, a distanza di dieci anni dalla chiusura dell'inchiesta, la presenza di numerose sostanze tossiche, metalli pesanti e polveri di amianto, altamente nocive per l'ambiente circostante e per la salute dei cittadini;
   rimangono, inoltre, irrisolti problemi relativi al recupero di Marola, Fabiano e Cadimare, un tempo caratteristici borghi marinari alle porte della città di La Spezia, ma la cui conformazione paesaggistica è risultata notevolmente compromessa dai lavori di ampliamento dell'Arsenale;
   la razionalizzazione e la conversione di aree interne alle grandi strutture militari dovrebbe rappresentare una priorità per l'ammodernamento dello strumento militare in Italia, salvaguardando al contempo l'impatto socio-economico e la tutela dell'ambiente –:
   se il Ministro ritenga opportuno fornire risposte concrete sullo stato attuale dell'Arsenale di La Spezia, sul livello di attuazione del «piano Brin», sulla razionalizzazione delle aree in disuso e sulla presenza, all'interno delle stesse, di materiali e sostanze tossiche, a distanza di dieci anni dalla chiusura dell'inchiesta della procura della Repubblica di La Spezia. (4-10525)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   come risulta da notizie apparse anche su quotidiani locali, tra cui «Il Gazzettino» del 21 settembre 2015, nel comune di Este, in provincia di Padova, nel centro storico, durante la notte, un soggetto, poi identificato «si è presentato con un machete al tavolo in cui la ex fidanzata festeggiava il compleanno di un'amica, e ci è scappato pure il ferito. Il parapiglia è avvenuto nella notte fra sabato e ieri in via Matteotti, in piena zona pedonale e in un orario in cui i bar del centro cittadino sono ancora molto affollati. Verso l'una, infatti, il quarantasettenne atestino Federico Soattin si è accorto della presenza ... (della ex fidanzata) ... dove erano in corso i festeggiamenti di un compleanno. Soattin, già noto alle forze dell'ordine per una lunga serie di intemperanze, disoccupato e tossicodipendente, non ha gradito quel che stava accadendo ai tavolini del locale e si è presentato alla festa in evidente stato di alterazione ... Poco dopo l'ubriaco è tornato alla carica, e stavolta le cose si sono fatte più serie. Dopo la seconda baruffa Soattin ha infatti lasciato il bar di corsa ed è andato nella sua abitazione, che dista poche centinaia di metri dalle vie dello shopping estense. Pochi minuti ed è ricomparso in via Matteotti, e il gelo è sceso sul chiasso del popolo della notte. L'uomo brandiva un machete dalla lama lunga quasi mezzo metro, con il quale si è messo bene in mostra fra i locali della zona. Poi è scattato l'attacco: l'esagitato è piombato fra i tavolini del bar e ha menato un fendente fra i bicchieri e le bottiglie delle persone che stavano festeggiando con la sua ex. Il primo colpo è diventato il segnale per il fuggi fuggi generale ... Decine di persone sono scappate verso il ponte della porta vecchia e in piazza Maggiore, mentre gli avventori degli altri locali della zona sono usciti sul pavé per vedere cosa stesse succedendo. Intanto Soattin continuava a menare fendenti sul tavolino, scrollandosi di dosso chi tentava di fermarlo. Un diciottenne di Megliadino San Vitale si è trovato di colpo nel mirino dell'uomo armato, che gli ha puntato la lama alla gola. Il giovane ha tentato di divincolarsi e il machete gli ha asportato un lembo di pelle, procurandogli anche una ferita alla mano destra. Nel momento più drammatico sono arrivati sul posto i carabinieri del radiomobile della compagnia di Este, ai quali Soattin si è arreso senza ulteriori colpi di testa. Il quarantasettenne è stato tratto in arresto e il provvedimento è stato convalidato dal tribunale di Rovigo, che ha disposto l'immediata liberazione dell'arrestato in attesa del processo. Soattin, che ieri mattina sedeva tranquillamente allo stesso bar dal quale era partito il suo blitz notturno ...»;
   come emerge dalle notizie pubblicate dal quotidiano in parola, l'arresto è stato convalidato dal pubblico ministero di turno, che non ha previsto nessuna misura coercitiva, così determinando l'immediata liberazione del reo, mentre, a parere dell'interrogante, dalla ricostruzione dei fatti, pare potersi desumere elementi in relazione sia alla gravità del fatto, sia alla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità che dalle circostanze del fatto, e ciò al fine di disporre almeno una misura;
   è di tutta evidenza che tale diffuso allarme sociale di impunità di coloro che commettono gravi reati sta provocando nell'opinione pubblica, da un lato, tensioni sociali che potrebbero scaturire in manifestazioni di protesta come già avvenuto in altre città (vedasi a Roma nel quartiere Tor Sapienza), e dall'altro lato – seppur vi sia stato l'immediato intervento da parte delle forze di polizia accorse sul posto, e nel caso di specie dei carabinieri, che hanno prontamente posto in arresto il reo –, l'evidente insicurezza, poiché per fatti, come nel caso in esame, di gravissimo allarme sociale, non è stata applicata nessuna misura coercitiva al fine di scongiurare l'eventuale ripetersi degli stessi –:
   se il Governo sia a conoscenza della vicenda, e se intenda assumere iniziative, anche normative, finalizzate a evitare il diffuso allarme sociale di insicurezza e impunità per coloro che commettono reati di gravissimo allarme sociale;
   se non ritenga sussistenti i presupposti per promuovere iniziative ispettive presso la procura della Repubblica del tribunale di Rovigo, in relazione ai fatti di cui in premessa. (4-10538)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il sistema infrastrutturale del Sud Italia, secondo quanto evidenziato anche dai rapporti Istat e Svimez, risulta decisamente meno sviluppato rispetto al resto del Paese, presentandosi come periferico e diviso, non solo rispetto al cuore del sistema produttivo nazionale, ma anche rispetto alle opportunità del Mediterraneo. Il Sud Italia è infatti caratterizzato da carenza di collegamenti per la mobilità interregionale e per la logistica territoriale e dall'assenza di nodi di scambio tra le principali modalità di trasporto;
   tra le regioni del Mezzogiorno che soffrono maggiormente questo divario vi è certamente la Basilicata, dove il complesso sistema dei trasporti e dei collegamenti con il resto del Paese sconta un pesantissimo quadro di perduranti ritardi e di inefficienze nell'ammodernamento e sviluppo della rete regionale;
   l'attuale assetto del sistema viario lucano si presenta con molte carenze e limiti, strutturali, funzionali e organizzativi, che generano situazioni di estrema criticità, specialmente per quanto riguarda i principali assi viari che collegano i maggiori punti di interesse della regione;
   la situazione delle reti infrastrutturali del trasporto in Basilicata riveste, ormai da diverso tempo, il carattere della precarietà, provocando notevoli disagi sia ai residenti sia ai turisti, nonché a tutti coloro che si trovano a transitare nella medesima regione;
   con la delibera 3 agosto 2011, n. 62 (Gazzetta ufficiale n. 304 del 2011), il Cipe ha previsto l'individuazione e il finanziamento delle infrastrutture sia di rilievo nazionale che interregionale per l'attuazione del Piano nazionale per il Sud, agendo sia sul comparto delle merci, ponendo i presupposti per lo sviluppo di un'offerta di Alta Capacità ferroviaria anche nel Mezzogiorno, sia su quello delle persone, con il decongestionamento di alcuni assi stradali interni al Mezzogiorno;
   nello specifico, la delibera sopra citata ha assegnato alla regione Basilicata risorse per un totale di 16 interventi infrastrutturali stradali e ferroviari di rilevanza sia interregionale che regionale, per un costo complessivo di 1.561 milioni di euro, di cui si hanno finanziamenti già disponibili di 202.7 milioni di euro 418.6 assegnati ed un ulteriore fabbisogno di 950.3 milioni di euro;
   l'Accordo di programma quadro, sottoscritto nell'aprile del 2014, tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica, la regione Basilicata e l'Anas ha previsto un investimento complessivo di circa 400 milioni di euro in merito ai lavori di adeguamento e messa in sicurezza, di completamento di opere già avviate e di realizzazione di nuove infrastrutture stradali sul territorio lucano;
   gli interventi previsti dall'accordo riguardavano in particolare: il completamento di un primo stralcio funzionale della statale 655 Bradanica tra i chilometri 76 e 82, nel comune di Spinazzola, ai confini tra Puglia e Basilicata; i lavori di messa in sicurezza su tratti saltuari tra i chilometri 0 e 48 del nuovo itinerario della statale 658 «Potenza-Melfi»; il completamento della bretella di collegamento tra la statale 585 «Fondo Valle del Noce» e l'abitato di Lauria in provincia di Potenza; i lavori sulla strada statale 95 «Tito-Brienza» per la costruzione dello svincolo per l'abitato di Tito in località Nuvolese, per l'adeguamento dello svincolo per Satriano e per la nuova «Variante di Brienza»; la progettazione preliminare e definitiva dei nuovi itinerari «Matera-Ferrandina-Pisticci» e «Gioia del Colle-Matera» sul corridoio «Murgia-Pollino». Nell'accordo di programma quadro rientrano anche interventi come la messa in sicurezza della strada statale 18 «Tirrena Inferiore», nel comune di Maratea; i lavori del 1o, 2o e 3o lotto della statale «Strada Fondo Valle Sauro-Corleto Perticara – strada provinciale Camastra»; l'adeguamento strutturale e messa in sicurezza dell'itinerario Basentano (compreso il Raccordo autostradale Sicignano-Potenza) e infine il 1o e il 3o stralcio del tratto di collegamento tra le statali Basentana e Sinnica (Pisticci-Tursi). La copertura finanziaria dell'accordo è assicurata principalmente dai fondi di coesione e sviluppo 2007-2013, pari a oltre 194 milioni di euro e dai 181 milioni di euro previsti della legge 488 del 1999;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, durante una visita a Matera tenutasi lo scorso giugno, si era assunto l'impegno di presentare un cronoprogramma con la regione Basilicata per lo sviluppo delle sue infrastrutture; in quella occasione il presidente della regione ha delineato alcune priorità di intervento, per un importo complessivo di circa un miliardo e 300 milioni di euro, di cui 950 milioni per le strade, 325 per la rete ferroviaria e 8,5 per l'aeroporto;
   in particolare, per la città di Matera, capitale della Cultura 2019, andrebbero potenziate le infrastrutture della viabilità extraurbana ed urbana, procedendo in particolare alla realizzazione del raddoppio della Matera-Ferrandina (ex SS7), la Matera-Gioia del Colle, che permetterebbe il collegamento con l'autostrada A14, l'esecuzione della linea ferroviaria ad alta velocità Taranto-Potenza-Salerno, nonché la velocizzazione del collegamento ferroviario Matera-Bari;
   l'investitura di Matera quale «Capitale della Cultura 2019» dovrebbe prevedere la realizzazione di una serie di opere infrastrutturali che siano in grado di agevolare la partecipazione dei cittadini italiani e stranieri all'evento, anche al fine di contribuire nel lungo periodo allo sviluppo culturale e sociale della città e dell'intero Paese;
   nel 13o allegato al Def, sul programma delle infrastrutture strategiche del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, approvato il 10 aprile 2015, l'elenco delle opere strategiche, viene drasticamente tagliato, passando dalle 419 opere previste dalla legge obiettivo del 2011, alle 25 su cui il Governo Renzi ha deciso di investire;
   dopo la pubblicazione dei dati sulle condizioni di arretratezza delle regioni del sud Italia nel rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno 2015, diffusi lo scorso 30 luglio 2015, il Ministro Delrio ha annunciato che, nei prossimi venti mesi, nelle regioni del sud d'Italia, è prevista l'apertura di una serie di cantieri per grandi opere e infrastrutture con investimenti che attiveranno 15 miliardi di risorse;
   è dunque evidente che il Governo continua a fare annunci di infrastrutture e investimenti, ma in molti casi non sono altro che proclami di opere già segnalate e comunque già finanziate da governi precedenti, senza procedere alla loro effettiva realizzazione e in alcuni casi prevedendo il blocco di parecchie opere già deliberate –:
   se il Ministro possa fornire informazioni circa la programmazione delle opere descritte in premessa, già finanziata e non attuata, e se siano effettivamente previsti investimenti per il potenziamento e lo sviluppo della rete viaria nonché ferroviaria della regione Basilicata;
   quali iniziative intenda assumere al fine di verificare, per quanto di competenza, lo stato dei lavori di adeguamento e messa in sicurezza della rete infrastrutturale già avviata sul territorio lucano, anche in vista del prossimo appuntamento internazionale che vede Matera quale Capitale della cultura 2019.
(2-01094) «Latronico, Palese».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono continue e ripetute le denunce per furti di cavi di rame e guasti dei locomotori che compromettono la circolazione dei treni delle Ferrovie Sud-est;
   l'ultimo caso, in ordine cronologico risale al 26 settembre 2015, quando è stato denunciato il furto di 1.200 metri di cavi sulla tratta Bari-Casamassima via Putignano. Tale furto ha bloccato le corse per l'intera giornata. Stessa cosa dicasi il giorno 25 settembre sulla tratta Bari-Putignano via Conversano;
   presso le locali stazioni è comparso l'avviso «causa linea interrotta Valenzano-Adelfia non sono previsti treni per Bari e Putignano», con inevitabili conseguenze su tutta la tratta ferroviaria;
   alcune amministrazioni comunali, tra le quali quella di Sammichele di Bari, hanno denunciato «che tutto questo è ormai inaccettabile in quanto ogni giorno i treni delle FSE sono utilizzati da migliaia di studenti e lavoratori per raggiungere le sedi di lavoro e le scuole superiori di Bari e Provincia, e puntualmente (ormai non si contano i casi) i cittadini, beneficiari di servizio pubblico in convenzione, rimangono “appiedati”»;
   le Ferrovie del Sud Est sarebbero al collasso. Sempre l'amministrazione di Sammichele di Bari denuncia che «a parte i furti di rame, si registrano disservizi giornalieri, corse soppresse, mezzi non conformi agli standard di sicurezza, carrozze affollate oltre ogni limite e, infine, inchieste giudiziarie e una situazione debitoria di 240 milioni di euro come appreso da recenti fonti di stampa»;
   le Ferrovie del Sud-Est sono un'azienda a totale partecipazione pubblica del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti –:
   se sia stato informato dai vertici aziendali di tale incresciosa situazione;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di migliorare il servizio offerto dalle Ferrovie Sud-Est ai pendolari pugliesi. (5-06510)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le forze dell'ordine hanno eseguito 48 misure cautelari emesse dalla procura di Reggio Calabria a carico di altrettante persone accusate di associazione mafiosa, ricettazione aggravata, traffico internazionale di sostanze stupefacenti, cessione continuata di sostanze stupefacenti, detenzione e porto di armi da guerra e intestazione fittizia di beni;
   le indagini, svolte dalle direzioni distrettuali antimafia di Roma e Reggio Calabria e coordinate dal procuratore nazionale antimafia in collaborazione con la procura di Amsterdam, si sono focalizzate da una parte sulle famiglie Comisso e Crupi, considerate ai vertici del clan di Siderno, che annovera ramificazioni in Olanda e Canada e, dall'altro, sulla famiglia Aquino-Coluccio, importante clan ’ndranghetista attivo a Marina di Gioiosa Jonica in provincia di Reggio Calabria;
   l'indagine avrebbe inoltre messo in luce un pericoloso asse tra ’ndrangheta e mafia dal momento che la famiglia Coluccio sarebbe il riferimento della mafia per il traffico di marijuana;
   secondo gli investigatori ciò significherebbe che la ’ndrangheta sta diversificando gli affari rispetto al tradizionale traffico di cocaina;
   uno degli arresti è stato eseguito in pieno centro a Padova nei confronti di Massimo Dalla Valle, 53 anni, con una serie di precedenti penali per truffa alle spalle, nato e cresciuto a Padova dove ha abitato fino a pochi anni fa;
   attualmente l'uomo risulta residente in Ungheria, dove ha moglie e un figlio e da dove sembra operasse per contro della ’ndrangheta;
   a Dalla Valle è stato notificato un provvedimento restrittivo per associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzato al riciclaggio e al traffico internazionale di droga;
   secondo l'accusa, da almeno due anni, Dalla Valle avrebbe compiuto un salto di qualità nel panorama criminale, diventando a poco a poco un elemento organico alla ’ndrangheta;
   sembra che Dalla Valle vanti stretti legami con esponenti della famiglia Crupi, con cui avrebbe gestito un traffico transnazionale di sostanze stupefacenti;
   dall'indagine emergerebbe che Dalla Valle aveva costruito un business tra Italia e Olanda in grado di far entrare milioni di euro nelle casse della ’ndrangheta grazie al traffico di cocaina e marijuana, riciclando le ingenti quantità di denaro sporco attraverso i contatti olandesi nel commercio di fiori e cioccolata;
   gli investigatori della questura di Padova hanno svolto una serie di accertamenti e hanno scoperto che la madre risiede in via Altinate, dove hanno raggiunto e arrestato il sospettato verso le 3 di notte, all'uscita dall'abitazione;
   gli accertamenti in corso a carico di Della Valle starebbero tentando di far luce sui suoi contatti e sui legami con la criminalità organizzata a Padova;
   la vicenda conferma gli allarmi più volte lanciati dall'interrogante circa la presenza della criminalità organizzata a Padova e la capacità delle mafie di penetrare il tessuto economico per ripulire i proventi dell'attività criminale;
   ancora una volta nel territorio del padovano emerge l'abilità delle cosche nel servirsi di raffinati procedimenti finalizzati al riciclaggio dei proventi delle attività illecite e questo aspetto produce forti preoccupazioni nella comunità per le modalità di penetrazione e per l'ampiezza del fenomeno –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di sua competenza intenda adottare, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, per prevenire e contrastare la presenza della criminalità organizzata a Padova e in Veneto. (4-10528)


   RICCIATTI, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, COSTANTINO, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, KRONBICHLER, DURANTI, PELLEGRINO, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 settembre 2015 la testata Il Corriere Adriatico, nell'articolo «Qui c’è un tesoro confiscato alla mafia», a firma del giornalista Lorenzo Furlani, ha riportato il dato dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata nelle Marche;
   l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) è stata istituita con decreto-legge 4 febbraio 2010, n.4, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2010, n. 50, oggi recepita dal decreto legislativo n.159 del 6 settembre 2011 (codice antimafia), con il compito di «provvedere all'amministrazione e alla destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie, a seguito di confisca definitiva, nonché coadiuvare l'amministratore giudiziario sotto la direzione dell'Autorità Giudiziaria in fase di sequestro fino alla confisca di primo grado, dopo la quale assume la gestione diretta degli stessi beni»;
   tra le funzioni dell'Agenzia vi è, inoltre, quella di fornire «supporto alla programmazione della destinazione del bene, già durante la fase giudiziaria, acquisendo tutte quelle informazione e nel contempo indicando quelle attività necessarie al superamento delle criticità che spesso ostacolano o rallentano la restituzione alla collettività dei patrimoni mafiosi e quindi il riutilizzo sociale degli stessi»;
   al Ministro dell'interno spettano funzioni di vigilanza sull'Agenzia, autonoma sotto il profilo organizzativo e contabile;
   secondo i dati dell'Agenzia i beni sottratti nella regione Marche sarebbero 21, tra ville, appartamenti condominiali, terreni, fabbricati, società di persone e di capitali;
   tali beni sono in gran parte frutto di riciclaggio di denaro proveniente da attività criminali quali usura, estorsioni, rapine, droga;
   i beni citati sarebbero in massima parte situati in provincia di Pesaro e Urbino (14): a Fano, Isola del Piano, Montefelcino e Pesaro. Il resto a Falconara Marittima e Cupramontana (provincia di Ancona), San Benedetto del Tronto e Grottammare (Ascoli);
   dai dati resi disponibili sarebbero circa un terzo i beni restituiti alla collettività rispetto a quelli complessivamente sottratti;
   deve, inoltre, segnalarsi come i dati dell'Agenzia, relativi ai territori citati, risultino essere aggiornati soltanto al 2013;
   più in generale, sono emerse sempre con maggior evidenza, dalla sua istituzione, numerose criticità nell'operato della Anbsc, che vanno da una scarsa trasparenza sui dati pubblicati; alla lentezza con i quali i beni confiscati e sequestrati vengono riassegnati alle comunità, attraverso progetti di reimpiego sociale; nonché alla governance stessa dell'ente;
   tali criticità sono state riconosciute ed evidenziate anche nella relazione sulle prospettive di riforma della gestione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, approvata dalla «Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere» nella seduta del 9 aprile 2014, dove si legge che «la gestione di questi beni ha mostrato spesso enormi difficoltà e non sempre è andata a buon fine, vanificando nei singoli territori l'impatto positivo dell'aggressione ai patrimoni mafiosi che, a partire dalla legge Rognoni-LaTorre, è uno dei punti di forza della nostra legislazione antimafia». Proprio per tale ragione la Commissione aveva inteso dedicare la sua prima relazione al Parlamento a questo tema «perché appare prioritario un intervento sull'organizzazione del sistema di gestione dei beni, che evidenzia grandi criticità sia dal punto di vista amministrativo-operativo, con particolare riguardo al ruolo dell'Agenzia nazionale istituita nel 2010, sia dal punto di vista normativo» (relazione citata, pagina 7) –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per agevolare una più celere assegnazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;
   se sia in grado di fornire chiarimenti sulle ragioni dei ritardi nella mappatura dei beni e sulla loro trasparente pubblicazione e quali iniziative di competenza intenda assumere su tale specifico aspetto per ovviare alle problematiche illustrate in premessa. (4-10529)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a fine 2014 il Ministero dell'interno ha indetto una gara per dotare polizia di Stato e carabinieri di nuove vetture di servizio;
   delle quattro concorrenti sono state escluse in prima battuta BMW Italia e Citroen Italia mentre sono rimaste in gara i gruppi Volkswagen e Fiat;
   risultato vincente grazie ad un'offerta di prezzo inferiore rispetto a quella del concorrente italiano, è stato il gruppo tedesco ad acquisire il diritto a fornire le nuove auto alle forze dell'ordine del nostro Paese;
   la Seat – azienda spagnola che fa parte di Volkswagen – si è, infatti, spinta a richiedere 43.897 euro per auto, contro i 43.980 di Fiat, prevalendo per 83 euro;
   l'assegnazione basata sul mero prezzo finale dei mezzi ha, però, causato vivaci polemiche; si è, infatti, fatto osservare che l'industria nazionale può così perdere anche per piccole differenze di prezzo commesse particolarmente importanti e che una somma di denaro spesa nell'acquisto di prodotti nazionali consente di mettere nuovamente in circolo nell'economia nazionale i capitali impiegati dallo Stato, mentre se questi vengono spesi all'estero devono essere considerati irrimediabilmente perduti;
   Fiat ha presentato ricorso al Tar del Lazio, lamentando irregolarità nelle procedure e nelle forme dell'offerta;
   in data 26 settembre 2015, il Tar del Lazio – Sezione IaTer – ha respinto tale ricorso e la contestuale domanda risarcitoria dell'azienda italiana, rafforzando di fatto la posizione del gruppo tedesco;
   infatti, Seat ha potuto fornire 206 nuove vetture: 100 per la polizia di Stato e 106 per carabinieri, per un importo di circa 9,7 milioni di euro, e ha acquisito il diritto ad una posizione privilegiata per la fornitura di altri 3.900 veicoli;
   il diritto d'opzione del Ministero dell'interno, infatti, prevede la possibilità di acquistare dallo stesso gruppo altre 1.800 vetture per la polizia di Stato e 2.100 per i carabinieri, per un importo massimo di 184 milioni di euro;
   l'11 luglio 2015 il Ministero dell'interno ha aggiudicato in via definitiva l'appalto alla Volkswagen, e il modello scelto è la Leon con motore 2.0 Tdl da 150 cavalli;
   questo tipo di modello, però, è tra quelli compresi nella lettera inviata pochi giorni fa a tutti i concessionari del gruppo da parte dell'amministratore delegato di Volkswagen Italia, Massimo Nordio;
   in quella lettera si chiede in forma precauzionale la sospensione immediata della vendita di questo modello di auto, che è tra quelli coinvolti nello scandalo che sta scuotendo l'azienda tedesca;
   le auto sui cui viaggiano polizia di Stato e carabinieri, infatti, sono quelle omologate euro 5, ossia quelle coinvolte nello scandalo del software truccato per le emissioni, mentre il Ministero dell'interno non ha previsto l'omologazione euro 6 ma solo quella euro 5;
   all'interrogante appare a questo punto involontariamente ironica l'affermazione dello stesso Nordio che a luglio 2015 affermava in una nota «Per la prima volta Polizia e Carabinieri viaggeranno sulla stessa vettura. La scelta di questo modello evidenzia la volontà di compiere un passo strategico all'insegna dell'efficienza energetica e del risparmio in termini di consumi e di emissioni»;
   come detto, in via preventiva e precauzionale il gruppo tedesco ha sospeso la vendita di tutte le vetture diesel euro 5 –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, per quanto di competenza, che sussistano i presupposti per sospendere, quantomeno in via cautelativa, gli effetti dell'accordo del luglio 2015 con il gruppo Volkswagen almeno per quel che riguarda l'opzione sopra citata. (4-10530)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, ha emanato il 25 settembre 2015 una ordinanza con cui predispone l'allontanamento di tutte le persone presenti e/o dimoranti abusivamente nell'area posta in Pisa, località Tirrenia via della Bigattiera, entro tre giorni dalla notifica della stessa. L'ordinanza viene motivata con ragioni di gravi mancanze igienico-sanitarie, sulla base del sopralluogo effettuato dall'ufficio igiene pubblica e nutrizione, dell'USL 5 Pisa;
   il campo indicato nell'ordinanza è occupato da oltre venti anni da famiglie di etnia rom, le quali sono costrette a vivere senza acqua corrente, senza rete elettrica e senza servizi fondamentali come ad esempio lo scuolabus, che garantisce l'integrazione e la scolarizzazione dei minori presenti nel campo;
   in data 1o agosto 2013, il consiglio comunale di Pisa aveva approvato una mozione che impegnava l'amministrazione comunale a ripristinare lo scuolabus e le forniture di corrente elettrica e acqua potabile;
   nella mozione approvata si legge che la situazione del campo della Bigattiera è inadeguata a ospitare le persone che continuano a dimorarvi e che si debba procedere su due binari: uno a medio termine per la definitiva chiusura del campo, l'altro a breve termine per il ripristino di alcune condizioni minime di vivibilità e il superamento dell'attuale situazione emergenziale con il coinvolgimento attivo di tutte le istituzioni coinvolte nella conferenza di servizi convocata dal sindaco e nel tavolo tecnico già convocato dalla prefettura e della regione Toscana;
   nei successivi due anni non è stato fatto praticamente nulla di quanto stabilito dalla mozione del consiglio comunale su citata, se non un'ordinanza di sgombero che non considera le particolari condizioni del campo, a partire dalla presenza di bambini. Infatti, su 100 abitanti, i minori sono circa 40;
   inoltre, un'ordinanza così fatta, senza l'individuazione di alcuna valida alternativa abitativa, secondo l'interrogante si pone in contrasto con le convenzioni internazionali e nazionali in materia;
    di fatto, nella propria risoluzione n. 1993 del 1977, la Commissione diritti umani delle Nazioni Unite ha stabilito che «la pratica degli sgomberi forzati rappresenta una violazione dei diritti umani» (UN Commission on Human Rights, Forced evictions, 10 marzo 1993, E/CN.4/RES/1993/77);
   le linee guida delle Nazioni Unite sugli sgomberi forzati (United Nations, Committee on Economic, Social and Cultural Rights, General Comment no. 7 on Forced Eviction, and the right to adequate housing (Sixteenth session, 1997), U.N. Doc. E/1998/22, annex IV at 113 (1997), stabiliscono che in caso di sgomberi debbano essere attivate precise garanzie, tra le quali una genuina consultazione con gli interessati (punto 16a), e l'individuazione di soluzioni abitative alternative (punto 19); nella propria comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 5 aprile 2011, Quadro dell'Unione europea per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020, la Commissione europea ha richiamato gli Stati membri a promuovere, politiche di inclusione nei confronti delle popolazioni rom e sinti;
   nella propria strategia nazionale di inclusione per le popolazioni rom, il Governo italiano ha chiarito che «si rende necessaria una progettazione che, partendo dalla consapevolezza dell'uso eccessivo degli sgomberi avvenuto nel passato e della sua sostanziale inadeguatezza, avvii una nuova fase improntata alla concertazione territoriale, ovvero una programmazione di interventi che coinvolga gli attori locali istituzionali e non, garantendo il raccordo tra le proposte progettuali e le politiche locali, nel rispetto dei diritti fondamentali e della dignità delle persone coinvolte nel percorso di inserimento sociale» [punto 2.4.6]. Lo stesso Governo precisa che «le esperienze di successo dimostrano che nella maggior parte dei casi, l'uscita dal campo è possibile grazie ad una collaborazione forte tra livelli istituzionali (locale, regionale e nazionale) e tra questi, le Associazioni di rappresentanza delle Comunità RSC e le associazioni di terzo settore»;
   risultano forti discrepanze fra gli intendimenti del sindaco e quanto stabilito dal Governo della strategia nazionale di inclusione per le popolazioni rom –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda esposta in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per assicurare la piena attuazione delle linee guida contenute nella strategia nazionale di inclusione per le popolazioni Rom, in conformità con le indicazioni e le garanzie previste in ambito internazionale.
(4-10537)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Patti, in provincia di Messina, è interessato oramai da tempo da diversi procedimenti penali che coinvolgono i dirigenti di quasi tutti gli uffici, oltre a consiglieri e amministratori comunali;
   agli indagati delle diverse inchieste giudiziarie, che sono state avviate già dal 2010, viene contestato il reato di associazione a delinquere finalizzata a reati contro la pubblica amministrazione tra cui voto di scambio, turbativa d'asta nel settore dei servizi sociali, corruzione e abusi d'ufficio;
   le indagini in corso mostrano il coinvolgimento di politici, amministratori, funzionari, dirigenti e dipendenti pubblici comunali, oltre ad imprenditori locali ed esponenti di spicco di alcune cooperative sociali che operano nel territorio comunale;
   i fatti delittuosi ipotizzati ed emersi nell'ambito dell'ultima inchiesta «Patti e affari», che vede coinvolti amministratori e funzionari comunali, oltre ad imprenditori locali in affari con il comune, a distanza di appena due anni dalla precedente denominata «fake», che ha coinvolto altri amministratori e funzionari dello stesso comune per voto di scambio ed altri reati contro la pubblica amministrazione, dimostrano ad avviso dell'interrogante che all'interno del comune della città di Patti è annidato un sistema illegale;
   lo scioglimento del consiglio comunale può essere disposto, ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 oltre che per infiltrazioni e condizionamenti di tipo mafioso, anche quando vengano compiuti atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico. Quindi, alla luce di quanto detto sarebbe secondo l'interrogante doveroso avviare procedure immediate per la rimozione del sindaco e della giunta nonché per lo scioglimento del consiglio comunale di Patti ai sensi del decreto legislativo n. 267 del 2000 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se il Ministro, ritenga che sussistano i presupposti per avviare le procedure di cui agli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-10539)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PLACIDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 luglio 2015 il Consiglio regionale della Basilicata ha approvato con 8 voti favorevoli e 6 contrari (la maggioranza assoluta in consiglio è di 11 voti) la mozione consiliare «Ruolo della famiglia e teoria gender»;
   i presupposti della mozione che impegna la giunta regionale ad intervenire nelle scuole di ogni ordine e grado della regione Basilicata, sono oltremodo discutibili, sia riguardo alla veridicità di quanto scritto, sia per la visione a giudizio dell'interrogante alquanto mistificatoria e retrograda in merito all'educazione, all'affettività che da anni ispira i programmi della scuole della Repubblica. Nel testo della mozione si legge che: «Non venga introdotta la teoria “gender” e che venga rispettato il ruolo della famiglia nella educazione alla affettività e alla sessualità, riconoscendo il suo diritto prioritario; sia oggetto di spiegazione e di studio la ragione per la quale la nostra Costituzione, all'articolo 29, privilegi la “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, della quale “riconosce” gli speciali diritti, diversamente da ogni altro tipo di unione; si educhi a riconoscere il valore e la bellezza della differenza sessuale e della complementarietà biologica, funzionale, psicologica e sociale che ne consegue. In questo modo gli studenti impareranno anche che la madre e il padre, nella famiglia, ancor più che nel mondo del lavoro o in altri contesti, apportano la loro propria e insostituibile ricchezza specifica; si educhi al rispetto del corpo altrui ed al rispetto dei tempi della propria maturazione sessuale ed affettiva. Questo implica che si tenga conto delle specificità neurofisiologiche e psicologiche dei ragazzi e delle ragazze in modo da accompagnarli nella loro crescita in maniera sana e responsabile, prevedendo corsi di educazione alla affettività e alla sessualità, concordati con i genitori e non imposti senza alcuna informazione a riguardo e senza consenso esplicito e consapevole»;
   oltre alla contrarietà allo svolgimento nelle scuole di educazione alla affettività secondo criteri di parità e di correttezza educativa riconosciute da tutte le Democrazie occidentali, la mozione dedica una ampia parte alla fantomatica «teoria del gender», invenzione creata dalle componenti religiose più conservatrici e retrograde. Una strategia comunicativa di reazione all'autodeterminazione delle donne e recentemente utilizzata come strumento di reazione negativa all'equiparazione dei diritti e all'accettazione sociale delle persone LGBT, creando paura e terrore nei genitori per far credere che i programmi educativi che contrastano le discriminazioni e gli stereotipi di genere mirano all'omosessaulizzazione dei bambini o all'annullamento delle differenze biologiche fra maschi e femmine;
   l'evidente intento di conservazione dei pregiudizi e delle discriminazioni della mozione è reso in modo plastico da questo passaggio: «la “teoria del gender” vuole, come imposizione dall'alto, che tutti noi, compresi i bambini, non diciamo più “io sono maschio” o “io sono femmina”, ma “io sono come mi sento”; (...)tali teorie non sono solamente contrarie al diritto naturale, ma sono anche antiscientifiche. L'umanità è sempre stata caratterizzata da un chiaro dimorfismo sessuale (differenza morfologica tra individui appartenenti alla medesima specie ma di sesso differente), maschio/femmina, il cui determinante biologico è rappresentato dal cromosoma Y: la sua presenza costruisce il maschio, la sua assenza realizza la femmina; la promozione della “teoria del gender” nelle scuole potrebbe essere attuata mediante progetti chiamati educativi, che vorrebbero promuovere codeste pretese per renderle invece “norma”; le famiglie ordinariamente non hanno neanche idea di cosa sia questa “teoria del gender” e di cosa si vuole insegnare, oggi ed in futuro, ai propri bambini, così sottoponendo, di fatto, genitori e figli ad un vero inganno voluto dalla disinformazione sull'argomento; in alcune scuole vengono proposte, e si vorrebbero imporre per legge, fiabe come “Perché hai due mamme”, “Perché hai due papà” o altre che promuovono apertamente la transessualità come “Nei panni di Zaff” o “Il bell'anatroccolo” che indirettamente invitano i bambini e gli studenti a “scegliere il proprio genere”, ignorando le proprie origini biologiche; questo tipo di insegnamento oggettivamente confonde e ferisce la crescita e l'innocenza dei bambini; il sesso rimanda a criteri biologici, ovvero tutte quelle caratteristiche anatomiche e fisiologiche che indicano se si è maschi o se si è femmine, mentre il “genere” sarebbe un costrutto psicologico che cambierebbe e si modificherebbe a seconda delle epoche e dei contesti culturali»;
   la mozione contiene numerosi riferimenti alla prerogativa delle famiglie di decidere e sovrintendere all'educazione dei propri figli in ambito scolastico;
   il diritto delle famiglie all'educazione dei propri figli e alla trasmissione dei propri valori è un diritto riconosciuto e legittimo, ma non può essere utilizzato per la trasmissione di pregiudizi o di preconcetti;
   nella formazione della persona umana è compito riconosciuto e conclamato della scuola dare ai ragazzi tutti gli strumenti per comprendere la società e relazionarsi con gli altri, senza pregiudizi o comportamenti discriminatori;
   la vicenda in questione appare assai discutibile anche sotto il profilo del rispetto dell'assetto delle competenze, definito a livello costituzionale, relativo ai rapporti Stato-regioni, considerata oltretutto l'estrema delicatezza della materia –:
   quali iniziative di competenza si intendano adottare per impedire che le regioni esulino dalle proprie attribuzioni con riferimento ai programmi scolastici relativi all'educazione all'affettività e al contrasto alle discriminazioni;
   quali azioni il Ministro interrogato intenda adottare per tutelare gli insegnanti e i dirigenti scolastici che non vorranno tener conto di interventi — quale quello segnalato in premessa — a giudizio dell'interrogante di natura propagandistica e basati su discriminazione, pregiudizio e omofobia. (4-10535)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa riportata in data 21 settembre 2015 dal quotidiano La Repubblica – Bari sulla versione consultabile online, si apprende che una giovane studentessa iscritta alla facoltà di giurisprudenza dell'università degli studi di Bari sarebbe stata oggetto di avance e proposte a sfondo sessuale da parte di un docente in cambio di un aiuto nel superamento degli esami universitari;
   secondo la testimonianza della studentessa riportata nell'articolo succitato, un docente della facoltà di giurisprudenza di Bari avrebbe inizialmente rivolto alla giovane apprezzamenti fisici, dandole del tu e invitandola a cena o a trascorrere la notte con lui;
   la studentessa avrebbe rifiutato ogni invito e, in seguito, si sarebbe anche sottratta a un approccio fisico da parte del docente che avrebbe provato a baciarla;
   a quanto denunciato dall'articolo del quotidiano, il docente avrebbe quindi fatto leva sull'influenza del suo ruolo all'interno della facoltà di giurisprudenza e la studentessa si sarebbe offerta di pagarlo in cambio della sua raccomandazione nel superamento di più esami;
   il docente avrebbe quindi chiesto alla giovane mille euro in cambio della sua raccomandazione e i due si sarebbero accordati telefonicamente tramite messaggio, utilizzando un linguaggio in codice, per la consegna di tale cifra;
   secondo quanto riportato dall'articolo succitato, attualmente la procura di Bari avrebbe avviato delle indagini per accertare la fondatezza di quanto esposto in denuncia dalla studentessa, per chiarire se la giovane sia stata realmente raccomandata e se la faccenda coinvolga altri docenti;
   il rettore dell'università degli studi di Bari, Antonio Uricchio, ha dichiarato di voler attendere l'esito delle indagini condotte dalla magistratura prima di intraprendere un intervento disciplinare nei confronti del docente –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se intenda adottare iniziative di competenza, anche normative affinché sia valorizzato il principio meritocratico in ambito universitario e affinché casi simili di compravendita di esami, purtroppo sempre più frequenti, non debbano verificarsi nuovamente. (4-10536)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sono 160 i dipendenti della Cir di Tocco da Casauria (Pescara);
   il 30 luglio 2015 è scaduta la cassa integrazione guadagni straordinaria (cigs) e il 5 agosto 2015 i sindacati hanno chiesto e ottenuto una riunione con i vertici aziendali presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per discutere la proroga ed evitare la chiusura dello stabilimento;
   nel corso della riunione i sindacati hanno rappresentato che nel corso dell'anno di cassa integrazione guadagni straordinaria, il numero dei lavoratori in forza alla procedura si è ridotto a 206 unità, e in data 22 luglio 2015, il tribunale di Verona ha omologato il concordato preventivo liquidatorio con contestuale nomina del liquidatore nella persona del dottor Andrea Rossi:
   sempre nell'incontro si è ribadito che in data 15 aprile 2015 è avvenuta la cessione di un ramo d'azienda al gruppo metalmeccanico polacco Wielton Italia (oggi Italiana Rimorchi Sri) che ha acquistato il 30 per cento della fabbrica toccolana attinente al montaggio e all'assemblaggio dei pezzi che vengono fabbricati in Polonia e trasportati a Tocco da Casauria da dove escono i semirimorchi come prodotto italiano;
   grazie a questa operazione si è potuta garantire una parziale rioccupazione e si valuta nel prossimo futuro, ed in riferimento all'andamento del mercato, la possibilità di allargare il progetto industriale per arrivare ad un massimo di 70 nuove unità stimato a fine 2017;
   nell'incontro sono state presentate le carte per ottenere la proroga di un semestre per il trattamento del cassa integrazione guadagni straordinaria;
   a tutt'oggi però il Ministero non ha ancora firmato il decreto per sbloccare la proroga dei sei mesi mettendo in seria difficoltà i lavoratori dello stabilimento che ormai da luglio 2015 non ricevono più nessun tipo di contributo economico –:
   se non si intenda procedere con urgenza, per dare seguito all'incontro del 5 agosto 2015 e sbloccare la cassa integrazione guadagni straordinaria (cigs) scaduta il 30 luglio 2015. (4-10531)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta Ufficiale n. 152 del 3 luglio 2015 è stata pubblicata e, quindi è entrata in vigore, la legge approvata il 2 luglio 2015, n. 9, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, recante disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture ministeriali»;
   all'articolo 1 del decreto-legge citato «Rateizzazione del pagamento dell'importo del prelievo supplementare sul latte bovino non ancora versato», comma 6-bis, si legge: «Al fine di garantire l'efficiente qualità dei servizi del Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) e l'efficace gestione dei relativi servizi in relazione alla cessazione del regime europeo delle quote latte e all'attuazione della nuova politica agricola comune (PAC), alla cessazione della partecipazione del socio privato alla società di cui all'articolo 14, comma 10-bis, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, l'AGEA provvede, in coerenza con la strategia per la crescita digitale e con le linee guida per lo sviluppo del SIAN, alla gestione e allo sviluppo del SIAN direttamente, o tramite società interamente pubblica nel rispetto delle normative europee in materia di appalti, ovvero attraverso affidamento a terzi mediante l'espletamento di una procedura ad evidenza pubblica ai sensi del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche avvalendosi a tal fine della società CONSIP Spa, attraverso modalità tali da assicurare comunque la piena operatività del sistema al momento della predetta cessazione. La procedura ad evidenza pubblica è svolta attraverso modalità tali da garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali della predetta società di cui all'articolo 14, comma 10-bis, del decreto legislativo n. 99 del 2004 esistenti, alla data di entrata in vigore del presente decreto. L'AGEA provvede all'attuazione delle disposizioni del presente comma con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica»;
   in risposta all'interpellanza urgente n. 2-00908 presentata dal deputato Gallinella Filippo del 10 aprile 2015, il vice Ministro Morando in un passaggio riferiva: «Appare, dunque, possibile — vorrei dire all'interpellante —, contrariamente a quanto sostenuto in premessa dagli interpellanti, che le soluzioni utili a garantire la continuità dell'attività del sistema Sian siano approntate in tempi perfettamente compatibili con la scadenza del contratto in essere. Lo dico perché nell'interpellanza si dice — ma qui si dà praticamente per scontato che non si arriverà in tempo, e quindi dovremo fare assegnazioni provvisorie. Il Governo sostiene che questo non accadrà»;
   l'eventuale inottemperanza nell'avvio della procedura ad evidenza pubblica potrebbe configurare un danno erariale con relative responsabilità oggettive e soggettive tenuto conto della conoscenza da parte di tutti i soggetti della scadenza al 20 settembre 2016 del contratto dei servizi del SIAN (sistema informativo agricolo nazionale), che come noto appartengono alla categoria dei servizi pubblici (Consiglio di Stato, II; 18 aprile 2007, n. 456) –:
   quali siano le ragioni per le quali ad oggi non risulta essere stata ancora avviata la procedura ad evidenza pubblica di cui all'articolo 1, comma 6-bis, della legge n. 9 del 2 luglio 2015, considerato che è di fondamentale importanza che un soggetto terzo sia al più presto incaricato di redigere il capitolato di gara per consentire l'aggiudicazione e l'avvio del rilascio del know how al fornitore aggiudicatario nei tempi previsti per evitare un vantaggio competitivo all'attuale fornitore;
   se PricewaterhouseCoopers Advisory spa, affidataria del servizio di determinazione del prezzo che dovrà essere corrisposto sempre nel 2016 dal socio pubblico AGEA ai soci privati per il riacquisto del 49 per cento di SIN e delle sue partecipate, abbia quantificato tale prezzo, e se il cottimo fiduciario per l'aggiudicazione di tale servizio non dovesse essere più propriamente bandito da AGEA piuttosto che da SIN, la cui composizione ad oggi è quella si una società mista pubblico-privata. (5-06518)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, LOREFICE, L'ABBATE, GAGNARLI, BENEDETTI, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2015 si è tenuto a Lamezia Terme (Cosenza) il workshop regionale sulle intossicazioni da funghi organizzato dal dipartimento per la tutela della salute e le politiche sanitarie della regione Calabria, con la collaborazione dell'AMB (Associazione micologica bresadola) e della CMC (Confederazione micologica calabrese);
   l'organizzazione del workshop si rese necessaria per cercare strumenti atti a prevenire intossicazioni da funghi spontanei, sulla spinta di alcuni drammatici episodi, come decessi e ricorso a trapianto di fegato, verificatisi in Calabria nell'autunno 2014;
   nel corso dell'evento è stata ribadita la pericolosità della non corretta informazione che sempre più spesso viene diffusa sia attraverso le reti televisive che attraverso la carta stampata, in merito al consumo alimentare dei funghi spontanei, i quali, ogni anno, sono causa di rilevanti danni alla salute, con conseguenze talora molto gravi, quali morte, trapianto d'organo o dialisi permanente, per un cospicuo numero di cittadini consumatori;
   il numero dei casi di intossicazione da funghi che ogni anno, si registrano nel nostro Paese è allarmante, come riportano, in particolare, i dati del Centro antiveleni di Milano che, dal 1994 al 2014, ha registrato 13.891 casi clinici di varia gravità, di cui i più seri hanno causato 46 decessi e 21 trapianti di fegato;
   a questi casi va sommato un numero variabile di commensali che hanno partecipato al pasto in ciascun evento (da un minino di 2, fino a 60 commensali), il che aumenta il numero di pazienti intossicati di circa il 38 per cento, in media, circa 1000 casi all'anno;
   per avere, su scala nazionale, una stima annua ancora più realistica sul numero di pazienti con problematiche cliniche relative al consumo di funghi, occorrerebbe poi considerare tutti gli altri casi, sia quelli gestiti da altri centri antiveleni, sia quelli per i quali non è stata richiesta la consulenza tossicologica del centro antiveleni di Milano;
   nell'autunno del 2012 si sono verificati numerosissimi gravi casi di intossicazioni fungine che hanno determinato un cospicuo aumento del numero di morti, di trapianti d'organo e di menomati permanenti, al punto che il Ministero della salute diramò un comunicato stampa di «allerta» sul consumo di funghi non controllati, pubblicando altresì sul proprio sito, un opuscolo informativo e un decalogo sul consumo dei funghi in sicurezza (redatto a cura del centro antiveleni di Milano);
   nello stesso periodo, a dimostrazione della pericolosità del fenomeno e quindi dell'urgente necessità da parte delle istituzioni di intervenire, l'AMB, la provincia di Milano, il Centro antiveleni di Milano, con il patrocinio del Ministero della salute, del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), erano impegnati nell'organizzazione del 5o convegno internazionale di micotossicologia;
   il susseguirsi di nuovi casi di avvelenamento da funghi spontanei afferma l'insufficienza degli sforzi fin qui profusi atti a fornire le informazioni corrette sul gravissimo pericolo rappresentato dal consumo «inconsapevole» di funghi spontanei;
   a fronte della recrudescenza del fenomeno, che ha visto il suo apice nel 2012, i mass media hanno continuato troppo spesso a sottovalutare la problematica;
   per esempio il 24 maggio 2014, durante una nota trasmissione della RAI, veniva presentato e cucinato in diretta televisiva il fungo Gyromitra esculenta, considerato velenoso dal Ministero della salute e dalla comunità scientifica, in quanto responsabile di intossicazioni anche letali;
   inoltre, si sono continuate a diffondere pericolose credenze o consuetudini locali, legate sia alla raccolta che alla preparazione alimentare dei funghi: esempio tipico di questa disinformazione è l'errata indicazione, diffusa anche da un popolarissimo cuoco italiano che l'aglio, durante la cottura dei funghi, dia informazioni sulla loro velenosità se annerisce;
   si fa notare che proprio sulla base di questa errata credenza popolare una donna, che lo poté direttamente dichiarare in quanto, per fortuna, l'esito dell'intossicazione fu positivo, fu vittima di un'importante intossicazione da Amanita phalloides da lei stessa cucinata con l'aglio che non annerì, come è normale che sia. Il fatto avvenne in provincia di Cosenza nell'autunno 2013;
   la prevenzione delle intossicazioni da funghi rientra pienamente nei principi garantiti dalla Carta costituzionale che, all'articolo 32, riporta testualmente: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività...», il danno in termini di salute che questi avvelenamenti producono è socialmente significativo, a causa dell'importante periodo invalidante con esiti in alcuni casi permanenti se non mortali;
   la prevenzione delle intossicazioni fungine attraverso una corretta informazione dei cittadini rientra appieno nel «pubblico interesse», visto che consentirebbe un notevole risparmio degli oneri sanitari, derivanti dalla degenza presso strutture ospedaliere di alta specializzazione, nonché degli eventuali interventi chirurgici per trapianto d'organo delle terapie di mantenimento permanenti per coloro che hanno subito gravi danni ai reni;
   il legislatore nel 1996 istituì gli ispettorati micologici presso ciascuna azienda sanitaria con compiti di controllo sulla commercializzazione, sulla trasformazione e sul consumo dei funghi e di consulenza per i privati raccoglitori, in occasione di un evento tossico, per i pronto soccorso, per i medici ospedalieri di medicina generale e di continuità assistenziale;
   in collaborazione con i dipartimenti pubblici di prevenzione, anche l'AMB, iscritta con il numero 159 al registro nazionale delle associazioni di promozione sociale, grazie alla sua presenza capillare su tutto il territorio Nazionale (130 Gruppi) e mediante l'impegno volontario dei circa 10.000 associati, realizza, da circa sessant'anni, un'incessante attività di prevenzione tramite la divulgazione di una corretta cultura micologica e collabora dal 2003 con ISPRA a titolo non oneroso a tutte le tematiche di ricerca del «progetto speciale funghi»;
   l'intossicazione da funghi non deve essere considerata un evento ineludibile o una fatalità, bensì una circostanza grave che può e deve essere preventivamente contrastata veicolando, in modo diretto, la giusta informazione;
   dai tragici avvenimenti del 2012 si evince una inadeguatezza del sistema di prevenzione, oltre al potenziale ruolo della non corretta informazione sui funghi che sempre più spesso è veicolata dai mezzi di informazione e in modo particolare da alcune trasmissioni televisive che si avvalgono di «sedicenti esperti di funghi»;
   purtroppo pur essendo nel 2015, la conoscenza della micologia è costellata di superficialità, pressappochismo, misconoscenza e superstizioni di tipo ancestrale che possono creare, nella pubblica opinione, un disorientamento così elevato da vanificare ogni sforzo informativo di corretta prevenzione reso sia dai servizi pubblici che dalle associazioni di volontariato;
   da quanto esposto si evince con chiarezza come la disinformazione sui funghi, troppo spesso perpetrata dai programmi televisivi, purtroppo anche attraverso i canali pubblici, abbia una «corresponsabilità oggettiva» nel verificarsi degli episodi di intossicazione e come pochi minuti di disinformazione, in una rete televisiva nazionale o locale, possano vanificare il lavoro di coloro che fanno prevenzione sulle intossicazione da funghi;
   per essere definiti «esperti di funghi» non è sufficiente essere assidui frequentatori dei boschi e raccoglitori o chef rinomati;
   in data 2 luglio 2015 l'Associazione micologica bresadola la Confederazione e il Centro antiveleni di Milano, hanno inviato un accorato appello a tutte le massime cariche istituzionali del nostro Paese, tra le quali il Presidente del Consiglio dei ministri, i presidenti delle giunte regionali nonché il dirigente del settore area LEA (dipartimento per la tutela della salute e le politiche, sanitarie della regione Calabria), il presidente del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti e le associazioni nazionali dei consumatori, denunciando il grave stato di disinformazione in ambito micologico –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda adottare per porre regole precise che impongano a qualunque operatore dell'informazione, in qualunque contesto esso operi, di essere a conoscenza almeno dei documenti elaborati sulla tematica dal Ministero della salute e di consultare preventivamente, nell'affrontare l'argomento «funghi») esperti effettivamente qualificati quali i tossicologi dei centri antiveleni, gli ispettori micologi degli ispettorati micologi, gli esperti del «progetto speciale funghi» dell'ISPRA ed i micologi dell'AMB;
   se ritenga necessaria la realizzazione di una pubblica campagna di spot pubblicitari televisivi (tipo «pubblicità progresso») sul «consumo in sicurezza dei funghi» curata, a garanzia dei corretti contenuti, dalle medesime figure professionali. (5-06509)

Interrogazione a risposta scritta:


   CARLONI, MANFREDI e VALERIA VALENTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 luglio 2015, il Comitato Cittadino di Pianura (Napoli) depositava presso l'ufficio protocollo della regione Campania un documento recante la descrizione della situazione relativa al distretto A.S.L. in questione avente protocollo n. 11568 del 18 luglio 2015;
   il documento evidenziava che in Pianura, alla via Giorgio De Grassi, è sita una struttura comunale completamente ristrutturata dal 2007 per essere adibita a sede A.S.L. mai aperta al pubblico e, che attualmente l'A.S.L. di Pianura è collocata in una struttura condotta in locazione alla Via San Donato, dove eroga il solo servizio di vaccinazioni, ciò rappresentando un grave motivo di disagio per i cittadini che per fruire di tutte le prestazioni sanitarie sono costretti a recarsi presso la sede A.S.L. di Soccavo;
   il documento inoltre evidenzia quanto sia un inutile ed ingiustificato disagio questa situazione per la cittadinanza, che deve subire estenuanti attese causate da un trasporto pubblico letteralmente al collasso, per starsi da Pianura verso Soccavo, una situazione che appare anche un manifesto esempio di danno economico;
   tale documento, documento, recante l'anzidetto contenuto, veniva poi recapitato presso l'ufficio 5, l'ufficio di diretta collaborazione del presidente della regione Campania;
   in riscontro al suddetto documento, in data 28 luglio 2015, una delegazione del Comitato Cittadino, incontrava l'allora direttore generale dell'A.S.L. Napoli 1 Centro, nonché il suo più stretto collaboratore. Nel corso del colloquio la delegazione esprimeva il disagio avvertito dalla cittadinanza nel subire l'inerzia della situazione prolungatasi nel corso degli ultimi anni, e immediatamente dopo il direttore generale dell'ASL sopra menzionato esponeva le ragioni tecnico-amministrative per le quali la situazione persisteva, e che persiste, tuttora. In particolare, durante la fase di ristrutturazione dell'edificio, la realizzazione del vano ascensore veniva effettuata dalla ditta appaltatrice in maniera non conforme all'originario progetto, e pertanto l'impianto di risalita acquistato non poteva essere installato per incompatibilità tra la predisposizione dell'impianto e l'ascensore stesso. Stante questa circostanza, l'A.S.L. provvedeva all'acquisto di un nuovo ascensore adeguato alla predisposizione esistente e per la cui installazione occorreva il rilascio di specifica documentazione ad opera del genio civile. Il colloquio si concludeva con la promessa che in breve tempo la situazione si sarebbe sbloccata, e con l'accordo di avere aggiornamenti telefonici, ove vi fossero state rapide evoluzioni;
   attualmente, nonostante la disponibilità del direttore generale della ASL sopra richiamato nonché del suo collaboratore, ad offrire chiarimenti inerenti all'evoluzione del problema, appare poco chiara la natura dei continui ritardi che non consentono di superare le presunte difficoltà amministrative. Pertanto, il Comitato Cittadino di Pianura, ove mai non si dovesse pervenire alla risoluzione di quanto innanzi, senza ulteriori indugi, si riserverà di intraprendere le opportune azioni legali a tutela del diritto alla salute dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopraesposta e se, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti volte a dirimere la situazione (4-10527)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il rapporto Istat sulla povertà in Italia, pubblicato il 15 luglio 2015 con i dati relativi al 2014, vede tra i primi posti della lista la Basilicata con l'indice di povertà familiare pari al 25,5 per cento è un paradosso per la regione che ha il più grande giacimento petrolifero in Europa;
   in Basilicata si estrae il 70,6 per cento del petrolio e il 14 per cento del gas. I pozzi attivi nell'area della Val d'Agri sono 59, (di cui 40 realizzati, 27 oggi in produzione, altri 4 in attesa di nulla osta dalle soprintendenze e 2 pozzi di reiniezione previsti di cui solo un in esercizio), mentre nel giacimento di Tempa Rossa ci sono altri sei pozzi già perforati che andranno in produzione nel 2016;
   la regione ha utilizzato i proventi dell'oro nero per finanziare lo stato sociale: tra i 20 e i 30 milioni di euro al sistema sanitario, due milioni in borse di studio universitarie, 20 milioni in programmi di forestazione e per le vie blu, marittime, 3,5 milioni in investimenti nella Società energetica lucana, dieci milioni all'anno all'università della Basilicata, altri fondi sono destinati alla riduzione della bolletta energetica e del costo della benzina, nonché a un fondo di garanzia per le imprese;
   l'articolo 16 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, come novellato dall'articolo 36, comma 1, del decreto-legge «Sblocca Italia» prevede che una quota pari al 30 per cento dell'Ires versato cime compagnie petrolifere per effetto dell'incremento delle attuali produzioni minerarie concorra a finanziare un fondo di sviluppo delle infrastrutture e delle attività produttive, oltre che delle misure necessarie per una rigorosa ed attiva tutela ambientale del territorio;
   l'articolo 36 del decreto «Sblocca Italia» ha modificato la denominazione del suddetto fondo in «Fondo per la promozione di misure di sviluppo economico e l'attivazione di una social card nei territori interessati dalle estrazioni di idrocarburi liquidi e gassosi»; per la Basilicata le risorse di tale fondo per il biennio 2013 – 2014 ammontano a circa 130 milioni di euro da inserire in diversi settori d'intervento: social card e misure di sviluppo economico a favore dei sistemi di impresa, delle piccole e medie imprese, di artigiani;
   il decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia» è intervenuto con una serie di disposizioni volte a semplificare e accelerare le procedure per favorire le trivellazioni di idrocarburi nel nostro Paese; sono state qualificate le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale come attività di interesse strategico, di pubblica utilità, urgenti e indifferibili; sono state introdotte semplificazioni per ridurre i tempi necessari per il rilascio della valutazione d'impatto ambientale e dei titoli abilitativi per la ricerca e la produzione di idrocarburi, prevedendo il rilascio di un titolo concessorio unico; è trasferita dalle regioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la competenza al rilascio del provvedimento di valutazione dell'impatto ambientale relativamente ai progetti relativi ad attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sulla terraferma;
   la legge di stabilità 2015 legge 23 dicembre 2014 n. 190) ai commi 552, 553, 554, dell'articolo 1, pone l'Italia in una posizione di retroguardia nello scenario energetico europeo, favorendo a giudizio dell'interrogante, lo sviluppo delle fonti fossili e gli interessi commerciali delle compagnie petrolifere, contro le comunità e gli enti locali, costretti a subire sul proprio territorio infrastrutture dichiarate «di interesse strategico». Si prevede che le autorizzazioni a trivellare aree molto vaste siano rilasciate previa «intesa» con la Conferenza Stato-regioni. Nel caso di mancato raggiungimento dell'intesa tra Stato e Conferenza Stato regioni sul «piano delle aree» interessate dalle trivelle, entro 150 giorni il Ministero dello sviluppo economico invita la Conferenza unificata Stato-regioni a esprimersi entro un termine non superiore a 30 giorni. In caso di ulteriore mancato raggiungimento dell'intesa, lo stesso Ministero rimette gli atti alla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, entro 60 giorni dalla rimessione, provvede in merito «con la partecipazione della regione interessata» (ma che, di fatto, anche esprimendo la sua contrarietà alle trivelle, non può più opporsi). Quindi, una volta «varato» il «piano delle aree» interessate dalle trivelle, la regione interessata è definitivamente estromessa. Fermo restando che le valutazioni di impatto ambientale sono definitivamente sottratte alle regioni e attribuite al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il Governo torna a «fare pressing» perché le estrazioni in Basilicata aumentino. Attualmente Eni estrae 80.00 barili su una concessione di 104.000 stabilita dai patti notarili del 1998, mentre nei patti del 2006 con la Total è stata prevista una estrazione di 50.000 barili al giorno che non è ancora partita. Il tetto degli ottantamila barili, in termini di quantità dei barili che si vorrebbero estrarre sui quali scatterebbero benefici dall'IRES va inquadrato geograficamente passo-passo nelle nuove zone dove si vuole continuare a estrarre;
   in questi giorni si è riaccesa la polemica sugli effetti del petrolio nella regione che a distanza di quasi 20 anni ha disatteso tutte le aspettative di crescita, di sviluppo, di occupazione e soprattutto sullo stato dell'attuazione degli accordi presi. Nel 1959 in Valbasento fu scoperto il metano e in pochi anni furono costruite dighe, strade e aree industriali tuttora competitive sotto l'aspetto dei servizi offerti. Si era pianificato un processo di sviluppo che ha garantito 30 anni di vita economica alla regione, mentre il petrolio ha generato una spesa pubblica improduttiva e aumentato il gap di sottosviluppo e povertà costringendo i giovani ad emigrare altrove;
   la Basilicata è una regione che ha tutti gli elementi per essere un territorio di grande sviluppo: dalla collocazione geografica, all'agricoltura, al turismo, all'impresa artigianale e industriale ed ha le potenzialità con le sue risorse di essere da traino per le regioni del Sud –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare per verificare lo stato di attuazione degli impegni sottoscritti e se non ritenga opportuno attivare iniziative normative, e per un processo adeguato al riequilibrio socio-economico sotto i profili dello sviluppo e della tutela ambientale e occupazionale del territorio lucano.
(5-06505)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la bolletta elettrica dei clienti finali è composta oltre che dal costo dell'energia elettrica consumata, anche dalle seguenti ulteriori voci: costi relativi all'attività di dispacciamento dell'energia effettuata dal gestore della rete di trasmissione nazionale (Terna); costi legati agli «oneri generali di sistema» (cosiddetti oneri A-UC-MCT); costi relativi alla distribuzione dell'energia (trasporto), effettuata attraverso le reti gestite dai diversi concessionari, tra cui Enel Distribuzione (società del gruppo Enel che detiene una quota dominante nel mercato, pari all'86 per cento dei volumi complessivamente distribuiti sia a clienti domestici sia a clienti non domestici);
   gli oneri generali di sistema sono prestazioni patrimoniali imposte (anche definiti cosiddetti oneri parafiscali), finalizzate alla copertura di costi per attività di interesse generale (esempio costi per l'incentivazione delle fonti rinnovabili e per lo smantellamento delle centrali nucleari dismesse), che, per tale motivo il legislatore ha espressamente posto a carico dei clienti finali (articolo 3, comma 11, del decreto legislativo n. 79 del 1999 e ora articolo 39, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012), individuando i criteri generali per la loro ripartizione tra i clienti stessi (in particolare, favorendo quelli ad alto consumo energetico);
   attualmente detti oneri generali rappresentano la voce principale del costo della bolletta elettrica, costituendo in media circa il 30 per cento della somma totale che il cliente finale paga, ma potendo arrivare anche a percentuali maggiori per i clienti domestici o comunque con consumi ridotti;
   il fornitore/venditore, cosiddetti trader, riscuote dal cliente finale tutte le somme dovute in base alla bolletta elettrica, trattiene per sé le poste di propria competenza, relative al prezzo dell'energia fornita, e versa al distributore la restante parte delle somme riscosse, che comprendono il corrispettivo per il servizio di trasporto (che è di competenza del distributore stesso) e gli oneri generali di sistema, che il distributore è tenuto a versare alla Cassa conguaglio per il settore elettrico (CCSE) ovvero al Gestore di servizi energetici (GSE). Il trader quindi, oltre alla propria funzione di vendita ai clienti di energia elettrica e gas, deve svolgere anche la funzione di raccolta delle somme di denaro relative ai servizi prestati da soggetti terzi – cioè il distributore – sopportando costi notevoli in termini di risorse umane, oneri finanziari e garanzie richieste, senza tuttavia ricevere alcun rimborso;
   negli anni si è consolidata una prassi nei rapporti contrattuali tra distributori e trader – imposta con dubbie modalità dai distributori stessi, ed in particolare da Enel Distribuzione, sfruttando di fatto la propria posizione dominante sul mercato – in base alla quale, mediante l'inserimento di quelle che appaiono clausole contrattuali vessatorie, si è in sostanza addossata ai trader la responsabilità in proprio del pagamento anche degli oneri generali di sistema da parte dei clienti finali. Infatti, i medesimi trader sono obbligati a garantire, mediante apposite fideiussioni, il versamento integrale di tutti i corrispettivi per il servizio di trasporto, e quindi anche degli oneri generali di sistema; essi sono dunque tenuti a versare detti oneri generali anche nel caso di inadempimento da parte dei clienti finali stessi, pena l'escussione delle garanzie versate e la risoluzione contrattuale;
   questa prassi contrattuale, a giudizio dell'interrogante sostanzialmente vessatoria sta dando luogo ad un diffuso contenzioso. In un recente caso, il tribunale delle imprese di Roma ha avuto modo di riconoscere la nullità delle clausole contrattuali imposte dal distributore ad un trader che prevedevano in capo a quest'ultimo l'obbligo di garantire il pagamento degli oneri generali da parte dei clienti finali (ordinanza del 15 ottobre 2013 n. 27462/2013);
   di recente, questa prassi contrattuale è stata recepita quasi integralmente nella delibera dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico in data 4 giugno 2015 n. 268/2015/R/REL, che ha confermato che l'obbligo di pagamento degli oneri generali grava sul trader a prescindere dall'incasso dai clienti finali. In aggiunta a tale rischio creditizio, l'Autorità non ha previsto neanche un riconoscimento tariffario per tale servizio che i venditori di energia elettrica e il gas forniscono per i distributori e per il sistema elettrico nazionale nella sua interezza;
   appare evidente la dissonanza tra l'impianto legislativo, che prevede che gli oneri generali siano posti a carico dei clienti finali (articolo 39, comma 3, del decreto-legge n. 83 del 2012) e la prassi seguita in questi anni e recepita da ultimo con la delibera dell'AEEGSI cit. 268/2015, che addossa la responsabilità del pagamento di detti oneri ai trader. La predetta prassi e la citata delibera, introducendo una disciplina contrastante con il dettato legislativo o comunque non contemplata dallo stesso, si pongono secondo gli interroganti in violazione del principio fondamentale sancito dall'articolo 23 della Costituzione, il quale sancisce la riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali imposte, riservando alla legge stessa, in particolare, l'individuazione dei soggetti passivi dell'imposizione;
   la disciplina adottata rischia di determinare la fuoriuscita dal mercato dei trader di minori dimensioni, in quanto, da un lato, l'incidenza degli oneri generali di sistema è molto cresciuta rispetto al momento in cui la prassi si è instaurata (soprattutto la componente destinata all'incentivazione delle fonti rinnovabili); dall'altro lato, in conseguenza della perdurante crisi, vi è stato un incremento esponenziale dei casi di insolvenza dei clienti finali. Ciò ha comportato gravissime difficoltà in capo ai trader medio-piccoli, e il rischio che si corre è che gli stessi siano estromessi dal mercato, pregiudicando lo stesso scopo della riforma del sistema elettrico, che è quello di consolidare un mercato della vendita dell'energia elettrica e del gas massimamente concorrenziale;
   inoltre, fino ad oggi il distributore, nei casi di mancato incasso di quanto fatturato per gli oneri di sistema, è stato tutelato dalla legge in quanto ha trattenuto sempre e comunque lo 0,5 per cento dell'intero importo dovuto a CCSE/GSE (cassa conguaglio del settore elettrico – CCSE e gestore servizi energetici – GSE) a ristoro dei mancati incassi, oltre a non risultare soggetto ad alcuna azione che potesse pregiudicare la sua attività, se non quella di vedersi applicati degli interessi moratori qualora non avesse girato i citati oneri di sistema;
   tale condizione di privilegio del distributore, accentuata nella posizione di Enel, come incumbent e parte di una filiera che copre anche l'attività di vendita dell'energia, in concorrenza con gli altri trader, non è trasferita a questi ultimi, che sono sempre e comunque tenuti a pagare integralmente il distributore, anche quando i clienti finali non paghino nulla, senza poter scontare la quota relativa agli oneri di sistema –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti indicati e ne abbia valutato l'impatto, secondo gli interroganti, estremamente negativo, sul corretto funzionamento del mercato dell'energia elettrica e del gas;
   se intenda promuovere l'adozione di iniziative normative che chiariscano i limiti del potere dell'Autorità nella materia e ridefiniscano correttamente la posizione dei trader, come soggetti tenuti solo a riscuotere le somme versate dai clienti finali a titolo di oneri generali di sistema, escludendo in capo agli stessi l'obbligo di versamento delle somme corrispondenti al distributore, ove non incassate dai clienti finali, e le conseguenze vessatorie in caso di inadempimento di detto obbligo, risultanti dalla prassi contrattuale indicata in premessa. (4-10523)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Gallinella e altri n. 1-01002, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Uva.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in commissione Sani e altri n. 7-00777, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sgambato.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   Interrogazione a risposta scritta Segoni n. 4-10293 del 10 settembre 2015;
   Interrogazione a risposta scritta Sorial n. 4-10507 del 25 settembre 2015.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Romanini e Patrizia Maestri n. 5-04965 del 10 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10534.