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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 3 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la comunicazione digitale oggigiorno è diventata basilare per le condotte dell'uomo, sia in ambito sociale che economico, ed è particolarmente importante per la capacità di tradurre le potenzialità offerte dall'innovazione tecnologica in maggiore efficienza, efficacia e soddisfazione di cittadini ed imprese;
    lo sviluppo economico della comunicazione digitale deve tener conto delle tutele delle persone sia in ambito locale che globale, nel rispetto dei diritti delle forze produttive;
    le tecnologie digitali non sono solo un importante mezzo di comunicazione interpersonale sul quale focalizzarsi per evidenziare gli usi distorti che ne possono conseguire, ma sono anche una grande occasione, estesa ad ogni settore dell'economia e della società, per favorire profonde trasformazioni mediante la digitalizzazione;
    internet rappresenta l'infrastruttura tecnologica in grado di migliorare la società, attraverso una maggiore consapevolezza dei diritti e dei doveri delle persone che usufruiscono quotidianamente di tecnologia sempre più avanzata;
    sviluppare appieno le potenzialità di internet e delle nuove tecnologie vuol dire, da un lato creare centinaia di migliaia di posti di lavoro ad alto valore aggiunto e dall'altro consentire allo straordinario patrimonio rappresentato dalle piccole e medie imprese italiane di essere più competitivo e generare nuova ricchezza;
    le istituzioni hanno il compito di promuovere l'uso responsabile e consapevole della infrastruttura tecnologica, promuovendo non solo la conoscenza digitale quanto la cultura digitale, affrontando questioni importanti come la sicurezza, l'anonimato, l'autodeterminazione informatica, l'educazione tecnologica;
    l'obiettivo non può essere solo quello basilare e doveroso di garantire a tutti i cittadini l'accesso alla rete, colmando così il digital divide che impedisce ancora ai cittadini residenti in una valle di fruire di connessioni paragonabili a quelle a disposizione di un abitante di un centro urbano, ma anche di porre «realmente» gli individui nelle condizioni di sfruttare appieno il potenziale espressivo, formativo, creativo e lavorativo fornito dalle nuove tecnologie;
    l'affermarsi della digital & networks economics rende improcrastinabili le trasformazioni radicali dei modelli di sviluppo dove cultura, conoscenza e spirito innovativo sono i volani che proiettano nel futuro: a livello globale la «internet economy» supera i 10.000 miliardi di dollari (presentazione National strategy for trusted identities in cyberspace – Nstic);
    in Italia, le conseguenze di un mancato serio intervento in questo ambito si riflettono, sia per i cittadini che per le aziende, sugli indici di digitalizzazione che si attestano su posizioni di retrovia: i dati di alfabetizzazione informatica, di copertura di rete fissa e di sviluppo dei servizi on line, sia sotto il profilo di utilizzo da parte dei consumatori che delle imprese, sono nettamente al di sotto della media europea;
    l'assenza di norme stabilite in questo settore e la mancanza di un apparato di principi applicabile ad internet rappresenta un vuoto normativo che deve essere colmato se si vuole puntare a recuperare il ruolo storico del nostro Paese come esempio di imprenditorialità e leadership nella produzione di ricerca, sapere e innovazione e a competere con i principali Paesi europei che si sono da tempo dotati di piani strategici di sviluppo delle reti di nuova generazione (ngan);
    l'importanza di internet nel settore economico passa attraverso la protezione della proprietà intellettuale ed industriale per assicurare l'innovazione ed una corretta competizione;
    per generare un tessuto economico e sociale capace di valorizzare il talento, il merito e la competenza con maggiore equità nelle opportunità e nei diritti, l'economia italiana deve, al pari delle altre economie occidentali, avere una prospettiva di sviluppo e di crescita, puntando anche sull'economia di internet, abbattendo il divario che vede il peso di internet nel prodotto interno lordo italiano ancora al 2,5 per cento contro, ad esempio, il 7 per cento dell'economia inglese;
    è fondamentale non limitarsi ad enunciare delle linee guida che possono essere poco trasparenti e demagogiche, bensì definire chiaramente i principi che devono essere alla base dei diritti e dei doveri collegati all'utilizzo di internet che devono prevedere: 1 (Diritti) I diritti della persona nell'utilizzo di internet sono inviolabili. 2 (Opportunità) Gli Stati favoriscono ai cittadini l'opportunità di accedere ad internet per la diffusione del loro libero pensiero. 3 (Cultura) Gli Stati favoriscono la formazione della cultura digitale. 4 (Amministrazione) Gli Stati favoriscono l'utilizzo della comunicazione digitale per assicurare: trasparenza, efficacia e tempestività nei rapporti con il cittadino. 5 (Consapevolezza) Chiunque nell'utilizzo di Internet è chiamato ad un uso responsabile e consapevole dello strumento, nell'interesse proprio e della collettività. 6 (Anonimato) Chiunque può ricorrere a sistemi di anonimizzazione. 7 (Proprietà) La proprietà di beni digitali non può essere violata. 8 (Diritto all'oblio) Gli Stati favoriscono in Internet il diritto all'oblio nel rispetto del diritto di cronaca e della conoscenza. 9 (Riservatezza) Chiunque ha diritto a mantenere la propria riservatezza nell'utilizzo di Internet. 10 (Libera conoscenza) Gli Stati favoriscono la libera conoscenza, attraverso la comunicazione digitale;
    appare prioritaria, in relazione al complesso di interventi volti a sostenere il rilancio dell'economia del Paese, la finalità di assicurare, attraverso il piano di sviluppo delle nuove reti, un'alta capacità di trasmissione alle principali città ed ai distretti industriali che ancora scontano un forte divario di connettività,

impegna il Governo:

   a considerare i principi enunciati in premessa come basilari per iniziative normative e regolamentari che incidano sull'utilizzo della rete e sui diritti e doveri delle persone in relazione all'utilizzo di internet;
   a promuovere una strategia basata sulla massima diffusione dell'utilizzo delle tecnologie digitali, che si dimostri adeguata a permettere ai cittadini ed alle imprese di sviluppare rapidamente una domanda di accesso a servizi innovativi, dando nuovo impulso alla propria competitività attraverso innovazioni di processo.
(1-01052) «Caparini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni IV e VIII,
   premesso che:
    un rapporto preliminare sul rischio idraulico in Sicilia redatto dalla regione nel 2014 ha evidenziato che, negli ultimi 15 anni, si sono verificate 78 frane o alluvioni che hanno provocato 58 vittime e danni stimati in 3,3 miliardi di euro e sono stati censiti 8000 luoghi a rischio idrogeologico per interferenze tra corsi d'acqua e insediamenti umani;
    le recenti cronache riportano eventi in cui la rete infrastrutturale stradale e ferroviaria siciliana è stata seriamente danneggiata, o addirittura distrutta, da fenomeni di dissesto idrogeologico: i casi più emblematici sono il ponte Himera sull'autostrada A19 PA-ME, il crollo sull'autostrada A18 ME-CT, all'altezza dello svincolo di Roccalumera, ma altrettanto dannosi risultano gli innumerevoli blocchi stradali e ferroviari dovuti a continui cedimenti di terreni, rilevati e ponti;
    il Governo ha già avviato il programma denominato «Italiasicura» con l'obiettivo di contrastare le emergenze dovute al dissesto idrogeologico e favorire la difesa del suolo, siglando, nei giorni scorsi, con la regione siciliana un accordo di programma che prevede lo stanziamento di fondi per 360 milioni di euro;
    il 4o reggimento genio guastatori ha sede a Palermo, presso la caserma «Scianna» e dipende dal comando «brigata meccanizzata “Aosta”»;
    erede del 12o reggimento genio dal 1918, dopo diverse modifiche avvenute negli anni in ordine al Corpo del genio militare, venne ricostituito nel 1992 con l'attuale denominazione;
    molti sono stati gli interventi sul territorio siciliano comandati ai militari di questo reparto dell'esercito italiano in questi ultimi decenni, citandone solo i più importanti si ricordano: la crisi idrica a Corleone (PA) nel 1986, la demolizione di opere abusive nella valle dei Templi (AG) nel 2001, l'emergenza Etna nel 2002-03, l'emergenza Stromboli nel 2003, l'operazione «Drink Water» a Misilmeri (PA);
    l'aver condotto con successo ed efficacia numerose attività militari non di natura bellica volte a salvare diverse vite umane, è valsa al 4o reggimento genio guastatori di Palermo anche l'onorificenza di «medaglia d'oro al valor dell'Esercito» proprio per gli interventi in prima linea nelle emergenze Etna e Stromboli nel 2001-2002 e nell'emergenza crisi idrica del 2002;
    la programmazione, la prevenzione e la previsione sono fasi essenziali per affrontare le emergenze legate a fenomeni meteo-idro-geologici. Con la direttiva allegata al decreto del presidente della regione siciliana n. 626 del 30 ottobre 2014, il presidente della regione siciliana delega il dirigente generale del dipartimento regionale della protezione civile all'adozione degli avvisi di criticità regionali, emessi dal centro funzionale decentrato multirischio integrato e lo autorizza alla conseguente emissione degli avvisi regionali di protezione civile. Tuttavia, ancora la regione Sicilia non è autonoma dal punto di vista delle previsioni meteo, che in base al principio di sussidiarietà, vengono fornite dal centro funzionale centrale operativo presso la sede del dipartimento della protezione civile nazionale;
    a questo fine, secondo il decreto legislativo n. 112 del 1998, le attività di previsione meteo dovrebbero essere effettuate dal Servizio Meteorologico nazionale distribuito; nel decreto sopra richiamato è stabilito che: «Per lo svolgimento di compiti conoscitivi tecnico-scientifici ed operativi nel campo della meteorologia è istituito (...) il Servizio meteorologico nazionale distribuito, cui è riconosciuta autonomia scientifica, tecnica ed amministrativa, costituito dagli organi statali competenti in materia e dalle regioni ovvero da organismi regionali da esse designati»;
    nonostante quanto sopra premesso, l'Italia è rimasta, assieme alla Grecia, l'unico paese europeo sprovvisto di un così importante organismo ed attualmente tutti i Governi hanno sempre chiesto di supplire a questa carenza, al servizio meteorologico dell'Aeronautica militare, lo Smam, che ha prevalenti e precisi compiti istituzionali di assistenza al volo militare e che, comunque, è dotato di risorse complessive risibili rispetto a quelle dei corrispondenti servizi meteo delle altre nazioni europee di bilancio paragonabile;
    l'istituzione di un Servizio meteorologico nazionale distribuito (Smnd), che mettesse a sistema Smam e i servizi regionali, è stato già previsto in atti normativi: per la prima volta, in un decreto attuativo del decreto Bassanini, precisamente all'articolo 111 del decreto legislativo 112 del 1998, ma successivi provvedimenti attuativi non hanno mai visto la luce e così il decreto è scaduto da decenni, senza realizzare il Smnd;
    più di recente, è stata reiterata l'istituzione del Servizio meteorologico nazionale distribuito all'interno della legge di riordino del Sistema di protezione civile previsto nel comma 4, dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 59 del 2012, convertito dalla legge n. 100 del 2012; in conseguenza di questo atto, il dipartimento della protezione civile ha istituito un gruppo di lavoro tecnico che ha prodotto una bozza dell'ulteriore Decreto del Presidente della Repubblica necessario a dar vita reale al Smnd, come previsto dalla legge n. 100 del 2012. La bozza è sempre rimasta tale, il Decreto del Presidente della Repubblica non è mai stato emanato e del Servizio meteorologico nazionale distribuito attendiamo ancora l'istituzione;
    in data 23 settembre 2015 il Governo ha accolto positivamente un ordine del giorno a prima firma Segoni, impegnandosi «a valutare la possibilità di adottare tutte le opportune iniziative necessarie alla realizzazione del Servizio meteorologico nazionale distribuito»,

impegnano il Governo:

   ad avviare un piano di attività preventive di controllo e di verifica di staticità di tutte le infrastrutture siciliane segnalate, anche impiegando all'uopo il 4o reggimento genio guastatori di Palermo, in accordo con gli enti territoriali interessati e sotto il coordinamento delle prefetture e del dipartimento regionale della Protezione Civile;
   a concorrere, tramite il dipartimento di protezione civile nazionale e l'unità di missione Italiasicura, a redigere e a rendere pubblica una lista di priorità di intervento in Sicilia;
   a dare sostegno, anche con stanziamento di nuovi mezzi e uomini, attingendo ai fondi preventivamente stanziati dal Governo, per il tramite del Ministero della difesa e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al 4o reggimento genio guastatori di Palermo per attività di ricostruzione di tutte quelle infrastrutture che, a seguito delle attività ricognitive di cui ai punti precedenti, risultino nella condizione di poter essere rimesse in servizio e nella disponibilità della popolazione civile a seguito di lavori della durata non superiore ai tre mesi;
   a dare piena applicazione ai contenuti del decreto legislativo n. 112 del 1998 e della legge n. 100 del 2012 deliberando entro trenta giorni il testo del Decreto del Presidente della Repubblica che istituisce il servizio meteorologico nazionale distribuito.
(7-00834) «Segoni, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'ISEE (indicatore della situazione economica equivalente) è, da lungo tempo, il parametro attraverso cui vengono stabiliti l'accesso e la fruibilità di molte agevolazioni indirizzate a prestazioni di natura sociale;
    all'articolo 5, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001 recante «Uniformità di trattamento sul diritto agli studi universitari, ai sensi dell'articolo 4 della legge 2 dicembre 1991, n. 390», si legge, infatti: «Le condizioni economiche dello studente sono individuate sulla base dell'Indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni ed integrazioni. Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, dello stesso decreto, sono previste come modalità integrative di selezione l'Indicatore della situazione economica all'estero, di cui al successivo comma 7, e l'Indicatore della situazione patrimoniale equivalente, di cui al successivo comma 8.»;
    negli ultimi anni è stata avviata una riflessione circa l'opportunità di modificare tale parametro, per renderlo più aderente alla realtà ed evitare distorsioni nell'accesso ad alcune prestazioni e diritti fondamentali;
    la riforma dell'ISEE è stata dunque attuata attraverso il decreto del Presidente del Consiglio n. 159 del 2013 e attraverso il decreto interministeriale 7 novembre 2014, ed è in vigore da gennaio 2015;
    il tentativo è stato, da un lato, quello di considerare i reali redditi delle famiglie e le voci di spesa a loro carico (affitti, famiglie numerose, con presenza di minori o disabili) e, dall'altro, di rimodulare l'indicatore della situazione patrimoniale (ISP);
    tale operazione, tuttavia, ha generato sin da subito perplessità e preoccupazioni in particolar modo da parte degli studenti, per i quali il calcolo della situazione economica è fondamentale per l'accesso a borse di studio, lo sgravio delle tasse universitarie, l'accesso ai servizi di mensa, agli alloggi ed altre forme di welfare studentesco, nella materializzazione, ossia, di ciò che la Costituzione descrive come la rimozione di tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando l'uguaglianza dei cittadini, non favoriscono le condizioni per assicurare a tutti il diritto all'istruzione e alla conoscenza;
    sin dall'entrata in vigore del decreto n. 159 del 2013, le associazioni studentesche hanno denunciato l'inadeguatezza del nuovo sistema di calcolo e, in particolare, del parametro ISPE, l'indicatore della situazione patrimoniale equivalente;
    il succitato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 9 aprile 2001 disponeva che, a partire dall'anno accademico 2002/2003, i limiti massimi degli indicatori ISPE ed ISEE venissero aggiornati annualmente con decreto del Ministro, emanato entro il 28 febbraio;
    il decreto del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca 14 luglio 2015, n. 486, ha recentemente aggiornato i due parametri, tenendo tuttavia in conto solamente la variazione dell'indice generale ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati;
    è stato dunque stabilito per l'ISEE un limite massimo di 20.988,37 euro, mentre per l'ISPE di 35.434,78 euro;
    la reale criticità della riforma dell'ISEE è legata proprio all'ISPE, che ha adeguato il patrimonio immobiliare non ai fini dell'Ici, ma dell'Imu;
    in tale modo, il peso del patrimonio, anche riguardante l'abitazione principale, è notevolmente aumentato, determinando il superamento della soglia, con una maggiorazione dal 40 al 60 per cento in più degli anni precedenti, provocando l'esclusione di migliaia di studenti dall'accesso alle borse di studio;
    è chiaro come una rivalutazione del patrimonio, soprattutto se concernente la prima casa (la quale, come emerge da uno studio dell'Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana, ha attualmente un peso del 36 per cento nella determinazione dell'ISPE) non possa essere considerato quale indicatore di una situazione economica privilegiata;
    gli studenti, che hanno consultato le aziende regionali per il diritto allo studio, hanno denunciato ulteriori cali vertiginosi, con picchi in regioni come l'Emilia Romagna e la Puglia rispettivamente del 18 e del 30 per cento;
    ai non idonei, infatti, si vanno ad aggiungere le migliaia di studenti che non presentano la richiesta di borsa, a causa dei nuovi criteri di accesso. I dati di confronto tra il numero di richiedenti accesso ai benefici nell'anno 2014/2015 e quelli del presente anno accademico, 2015/2016, mettono in luce un forte calo delle richieste, spiegabile a parere dei firmatari del presente atto solamente con la variazione del valore degli indicatori ISEE e ISPE, che ha indotto gli studenti a non presentare la domanda di borsa;
    si rileva, inoltre, come il conteggio di una borsa di studio eventualmente ricevuta nel 2013 nel calcolo dell'ISEE sia di per sé lesivo del diritto allo studio, poiché considera reddito una somma necessaria allo studente per l'accesso e il completamento degli studi;
    nonostante sia previsto lo scorporo dell'importo della borsa di studio eventualmente percepita nel 2014 dall'ISEEU ai fini della richiesta della stessa prestazione, si verificano storture relative al fatto che vengono conteggiate e scorporate somme relative ad anni accademici diversi;
    il conteggio della borsa di studio nel calcolo dei redditi mette in difficoltà soprattutto le famiglie con più figli beneficiari, poiché determina che una borsa di studio ricevuta da uno dei figli provochi l'incremento dell'indicatore ISEE anche dell'altro. Questa condizione ha causato, in alcuni casi, la perdita del beneficio per entrambi i figli,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rimodulare la soglia ISEE a livello nazionale, alzando il massimale a 23.000 euro, in modo da mantenere una percentuale tra idonei e richiedenti in linea con quella dell'anno accademico 2014/2015;
   ad assumere iniziative volte ad effettuare una sanatoria per coloro che quest'anno sono risultati con un parametro ISEE entro la soglia massima prevista da ciascun bando regionale, ma che non risultino tuttavia idonei a causa del superamento della soglia ISPE, anche prevedendo l'inserimento in una nuova graduatoria, da considerare graduatoria in subordine all'ordinaria graduatoria degli idonei;
   ad assumere iniziative, eventualmente definendo apposite linee guida per l'esenzione dalle tasse, per tutti quei soggetti esclusi in questo anno accademico dalla borsa di studio, a causa dell'aumento del parametro ISEE, ma che presentino ISEE non superiore a 23.000 euro;
   ad assumere iniziative normative al fine di escludere le borse di studio e gli assegni per le attività di tutorato di duecento ore dal conteggio dei redditi necessario alla determinazione dell'ISEE dei nuclei familiari;
   ad assumere iniziative per abolire l'ISPE quale parametro scisso dall'ISEE per l'accesso ai benefici;
   a ripristinare con opportune iniziative normative il conteggio del reddito concernente i fratelli e sorelle, in un nucleo familiare, al 50 per cento;
   ad assumere iniziative normative per escludere, per gli studenti che risultino coniugati e/o con figli a carico, il requisito della residenza da almeno 2 anni al di fuori del nucleo familiare di origine per essere valutato quale studente autonomo, e ponendo per gli stessi una soglia minima reddituale di 3.500 euro a fronte degli attuali 6.500;
   ad assumere, successivamente, iniziative normative per prevedere lo scorporo dall'ISEE del valore dell'assegno di disabilità percepito nel nucleo familiare, nel caso di studenti disabili o appartenenti ad un nucleo familiare in cui uno o più membri percepiscano tale assegno.
(7-00835) «Pannarale, Giancarlo Giordano, Scotto».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   La sottoscritta chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   a causa delle forti precipitazioni che si sono abbattute sulla regione Calabria nella notte tra il 31 ottobre ed il 1o novembre 2015 (in 48 ore sono caduti 600 mm di pioggia, con venti che hanno raggiunto gli 80 chilometri orari), ingenti danni sono stati riportati sulla rete ferroviaria e sulla statale 106 Jonica, lasciando interi centri abitati praticamente isolati;
   le abbondanti precipitazioni hanno provocato un generale e considerevole innalzamento dei livelli idrometrici di tutti i corsi d'acqua (ad esempio, sulle Serre vibonesi il torrente Ancinale che sfocia nello Ionio nella zona di Noverato, è stato raggiunto il livello di 4,95 metri);
   oltre che nella zona del Reggino, la circolazione ferroviaria è stata interrotta anche fra Roccella Jonica e Monasterace, sulla linea Catanziaro-Roccella Jonica, così come reso noto da un comunicato delle Ferrovie dello Stato italiane;
   la strada statale 106 jonica è stata chiusa momentaneamente al traffico in quattro diversi tratti, sempre nel Reggino, a causa di alcune frane e dello straripamento del torrente Ferruzzano che hanno completamente travolto la sede stradale. In entrambe le direzioni, dal chilometro 50 al chilometro 65, è chiuso il tratto compreso tra Palazzi Marina e Brancaleone Marina;
   il secondo tratto interessato si estende dal chilometro 65,8 al 67,20 in località Marinella di Ferruzzano. Stessa situazione si presenta dal chilometro 83 al 92 tra Bovalino ed Ardore, mentre il quarto tratto chiuso è compreso fra il chilometro 121 e 122 tra Marina di Paulonia e Riace Marina;
   a causa di queste interruzioni, il traffico è stato deviato su strade locali, con il tempestivo intervento sul posto delle forze dell'ordine, dei Vigili del fuoco e del personale dell'ANAS;
   per quanto concerne la fascia costiera tirrenica, una frana ha fatto crollare circa 70 metri di muro tra Scilla e Favazzina, mentre a Gioia Tauro le condizioni del fiume Budello, a rischio esondazione, sono tenute sotto stretta osservazione sebbene non siano considerate da criticità rossa;
   è in questa zona, inoltre, che i vigili del fuoco hanno recuperato la salma di un uomo inizialmente disperso che era stato sorpreso in auto con la figlia (quest'ultima tratta in salvo da alcuni passanti) dalla piena di un torrente straripato;
   allo stato attuale, risultano ancora isolati i comuni di Platì, Ferruzzano e Bruzzano, con ingenti danni riportati anche da numerosi altri comuni colpiti dalla violenza delle precipitazioni e dalla straripamento dei torrenti –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, se non sia opportuno dichiarare lo stato di emergenza per calamità naturale nelle regione Calabria, visti i danni riportati in seguito alle ultime precipitazioni ed in considerazione di un livello di dissesto idrogeologico che già interessava il territorio dell'intera regione e che non può che essersi aggravato.
(2-01144) «Dorina Bianchi».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   a partire dal 31 ottobre 2015, una forte ondata di maltempo ha colpito la regione Calabria, in particolare nelle sue zone montane e nell'area ionica della provincia di Reggio Calabria e nell'acquedotto della città capoluogo;
   si considera che in due giorni si sia riversata una quantità di pioggia che mediamente in quel territorio si riversa in quasi un anno (600 millilitri d'acqua);
   sono stati spazzati interi tratti della linea ferroviaria che va da Roccella Jonica a Monasterace (esondato il torrente Ferruzzano che ha interrotto non solo la linea ferroviaria, ma anche la circolazione sulla strada statale 106, isolando di fatto interi paesi);
   è morto un uomo, Salvatore Comandé, di 43 anni, travolto dalla piena di un torrente mentre si trovava nella sua auto a Taurianova, in provincia di Reggio Calabria;
   Anas ha fatto sapere che, a causa di alcune frane prodotte dalle forti precipitazioni, è stato necessario chiudere momentaneamente al traffico quattro diversi tratti della strada statale 106 Jonica: in entrambe le direzioni, dal chilometro 50 al chilometro 65 è chiuso il tratto compreso tra Palizzi Marina e Brancaleone Marina, il secondo tratto interessato va dal chilometro 65,8 al 67,20 in località Marinella di Ferruzzano, poi dal chilometro 83 al 92 tra Bovalino e Ardore. Il quarto tratto chiuso è compreso fra chilometro 121 e il chilometro 122 tra Marina di Caulonia e Riace Marina;
   nella città di Reggio Calabria i vigili del fuoco hanno effettuato 200 interventi di soccorso, sono intervenuti anche per la messa in sicurezza di alcune case a Vibo Valentia. Centocinquanta in totale gli interventi effettuati nella provincia, 110 quelli nel territorio di Catanzaro. Il torrente Catona è esondato nel comune di Laganadi, nel comune di Reggio Calabria, provocando forti danni. Cinque famiglie che abitavano a poca distanza dal luogo dell'esondazione sono state evacuate;
   ancora una volta, in presenza di forti e insistenti piogge, il nostro Paese si trova a dover fare i conti con frane, cedimenti di infrastrutture, argini che non riescono più a trattenere l'impatto con le acque;
   le forti piogge hanno devastato ampi tratti del litorale e impedito il regolare deflusso delle piene dei fiumi, causando ingenti danni alle infrastrutture pubbliche e private e alle attività produttive localizzate sulla costa;
   in una regione in cui il rischio idrogeologico riguarda praticamente il suo intero territorio, già profondamente penalizzato da una forte carenza di infrastrutture e investimenti, emerge con ancora più forza la necessità di spostare l'asse degli interventi di messa in sicurezza dei territori da una logica emergenziale ad una logica di lungo periodo –:
   se non si ritenga di deliberare quanto prima lo stato di emergenza per le province calabresi e per i territori colpiti dalla forte ondata di maltempo iniziata il 31 ottobre 2015, stanziando le prime risorse volte al ristoro dei danni subiti dai privati e dalle attività produttive, per la messa in sicurezza delle aree colpite, e più in generale per il contrasto al dissesto idrogeologico dell'intero territorio nazionale, anche attraverso la previsione per le aree colpite di cui in premessa, dell'esclusione dal patto di stabilità interno delle risorse necessarie per gli interventi post-calamità provenienti dallo Stato, nonché delle spese sostenute dagli enti locali a valere su risorse proprie o provenienti da donazioni di terzi.
(2-01145) «Costantino, Zaratti, Pellegrino, Scotto».

Interrogazione a risposta orale:


   CARRA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è notizia di questi giorni della volontà della procura di Roma di archiviare l'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori poiché «gli accertamenti probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari sono, allo stato, non provvisti della consistenza, neppure indiziaria, necessaria a sostenere l'accusa in giudizio e a giustificare un vaglio dibattimentale, né paiono utilmente esperibili ulteriori indagini con la finalità di valorizzare quegli elementi dotati di una più significativa, ancorché incongruente, pregnanza investigativa»;
   nel procedimento risultavano essere indagate per i reati di sequestro di persona e omicidio diverse persone (tra cui Sergio Virtù, autista di De Pedis, Angelo Cassani, soprannominato «Ciletto», Gianfranco Cerboni, detto «Gigetto», stretti collaboratori del boss della Magliana, oltre a monsignor Vergari e alla supertestimone Sabrina Minardi, già amante di «Renatino»);
   l'ultima speranza per i familiari di Emanuela Orlandi risale alla fine del dicembre 2014 quando Ali Agca, l'ex «Lupo Grigio» attentatore di Papa Giovanni Paolo II nel 1981, si presenta a sorpresa a piazza San Pietro per portare dei fiori sulla tomba del Pontefice e la famiglia si attiva immediatamente per presentare una istanza alla magistratura affinché l'ex terrorista turco potesse essere interrogato;
   la richiesta non fu accolta perché Agca fu ritenuto «soggetto inattendibile» per aver preso più volte dichiarazioni sul caso Orlandi, sia pubbliche che in sede processuale, che si sono rivelate «infondate» e «scarsamente credibili»;
   prima dell'estate scorsa, la procura decide di chiedere l'archiviazione del procedimento sulla Orlandi che, pure in assenza di veri collegamenti, riguarda anche la scomparsa della quindicenne Mirella Gregori, sparita il 7 maggio del 1983 prima del 22 giugno 1983 data della scomparsa di Emanuela Orlandi;
   il caso Emanuela Orlandi rimane uno dei misteri insoluti della storia recente di questo Paese –:
   se il Governo non intenda fornire ogni eventuale ulteriore informazione in suo possesso sulla vicenda, anche al fine di scongiurare la possibilità che sulla medesima cali un sipario definitivo senza che sia stata accertata la verità. (3-01806)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BATTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234 prevede che ogni tre mesi, il Presidente del Consiglio dei ministri inoltri alle Camere un elenco, articolato per settore e materia:
    a) delle sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea relative a giudizi di cui l'Italia sia stata parte o che abbiano rilevanti conseguenze per l'ordinamento italiano;
    b) dei rinvii pregiudiziali disposti ai sensi dell'articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea da organi giurisdizionali italiani;
    c) delle procedure d'infrazione avviate nei confronti dell'Italia ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, con informazioni sintetiche sull'oggetto e sullo stato del procedimento, nonché sulla natura delle eventuali violazioni contestate all'Italia;
    d) dei procedimenti di indagine formale avviati dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia ai sensi dell'articolo 108, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
   al successivo comma 2 dell'articolo 14, la legge prevede che, ogni sei mesi, venga trasmessa alle Camere una relazione concernente le informazioni sulle eventuali conseguenze di carattere finanziario degli atti e delle procedure di cui sopra;
   in data 30 aprile 2015 viene trasmessa alle Camere la «Relazione concernente l'impatto finanziario derivante dagli atti e dalle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea», aggiornata al 30 giugno 2014 (doc. LXXIII n. 5);
   tale relazione è però una relazione generica, ove non si evince alcuna analisi che quantifichi l'impatto finanziario di tali procedure ed inoltre, a giudizio dell'interrogante la stessa è carente di tutte quelle informazioni che trimestralmente, ai sensi del già citato articolo 14, comma 1, della legge n. 234 del 2012, la Presidenza del Consiglio dei ministri dovrebbe aver ottenuto dalle amministrazioni interessate;
   difatti, seppur non esplicitamente previsto, è desumibile secondo l'interrogante dal disposto normativo dei commi 1 e 2 del suddetto articolo che la relazione dovrebbe essere aggiornata secondo i flussi informativi più recenti, che sono appunto trimestrali, mentre l'analisi dell'impatto finanziario è effettuata, sulla base di tali flussi, semestralmente. Appare quindi evidente che la ratio della norma sia quella di dare piena conoscenza al Parlamento di una stima puntuale sull'impatto finanziario derivante dalle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea;
   dalla lettura delle 239 pagine della relazione, oltre a non esistere alcuna quantificazione, nemmeno di stima, delle eventuali sanzioni e spese legali per i contenziosi, manca quindi tutto l'elenco di nuove procedure d'infrazione e di precontenzioso aperte a cavallo tra il 30 giugno 2014 e il 30 aprile 2015, arco temporale di 10 mesi, in cui i flussi informativi previsti dall'articolo 14, comma 1, risultano comunque pervenuti –:
   per quali motivi la relazione di cui all'articolo 14, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, trasmessa il 30 aprile 2015 sia aggiornata soltanto al 30 giugno 2014;
   per quali motivi non sia stata presentata in tale documento una stima quantificabile economicamente dell'impatto finanziario delle procedure e giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea;
   a quanto ammonti oggi la quantificazione economica stimata dei costi (ammontare delle sanzioni e spese legali e amministrative) dovuta per tali pendenze con l'Unione europea;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per sanare le infrazioni in essere e quelle per cui è già stata condannata, come ad esempio quelle relative alla gestione dei rifiuti in Campania, alle discariche abusive e al recupero degli aiuti di Stato illegittimi. (4-10937)


   PARRINI, FANUCCI e BINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il territorio del comune di Uzzano, in provincia di Pistoia, è stato interessato da una pericolosa frana verificatasi, lungo la strada provinciale via Colli per Uzzano, durante le precipitazioni piovose e gli eventi calamitosi del periodo ottobre-novembre 2013;
   nel mese di febbraio 2014, il movimento di materiale terroso ha assunto un livello di pericolosità tale da determinare la chiusura, per ragioni di sicurezza della pubblica incolumità, della circolazione stradale e pedonale; nel luglio dello stesso anno, venivano avviati i lavori, terminati dalla provincia di Pistoia che, con l'installazione di idonea segnaletica stradale e barriera tipo new jersey anticaduta, permetteva, nel periodo estivo del 2014, seppur come soluzione temporanea, la circolazione ad una sola corsia a senso unico alternato;
   alle prime piogge autunnali, il movimento franoso riprendeva però il suo scivolamento verso valle costringendo a una nuova chiusura, questa volta definitiva della circolazione sia pedonale che carrabile: chiusura in atto ancora oggi;
   la riapertura della viabilità lungo il tratto di strada interessato dalla frana rappresenta una priorità assoluta, poiché la forzata interruzione divide — di fatto — il territorio comunale in due parti distinte, in particolare rendendo complesso il raggiungimento del vicino ospedale di Pescia, con evidenti difficoltà da parte dei cittadini residenti nella frazioni – per il comune di Uzzano – di Uzzano Castello e di Pianacci e – per il comune di Buggiano – di Malocchio, di Colle di Buggiano e di Buggiano Castello;
   il disagio per i cittadini che intendono raggiungere l'ospedale per le cure e gli interventi di primo soccorso prosegue da anni, con un notevole aggravio di costi e un pericoloso aumento dei tempi di percorrenza, anche da parte dei mezzi di soccorso pubblico;
   la difficoltà di accesso all'ospedale di Pescia rischia, ad avviso degli interroganti, di inficiare l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza per i residenti delle suddette frazioni collinari, ovvero le prestazioni e i servizi che il servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini;
   è quanto mai necessario affrontare, tempestivamente e con il coinvolgimento di tutti i livelli di Governo, il tema del dissesto idrogeologico e, in particolare, degli ingenti danni provocati alle infrastrutture dagli eventi meteorologici, come è accaduto a Uzzano;
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico ed evitare il ripetersi di situazioni di rilevante criticità come quelle, a più riprese, verificatesi nel territorio del comune di Uzzano, assicurando le risorse e il supporto necessario agli enti locali per la messa in sicurezza dei luoghi e il tempestivo ritorno alla normalità;
   se e quali iniziative si intendano adottare per evitare una compromissione dei livelli essenziali di assistenza alla luce delle insostenibili difficoltà di accesso alle strutture sanitarie registratesi nell'area sopra indicata a causa del blocco della viabilità. (4-10948)


   DIENI, NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle giornate del 31 ottobre e del 1o novembre 2015 specialmente sulla costa ionica della Calabria, ma anche in svariate altre zone di questa regione e della Sicilia, si sono registrati danni consistenti derivanti dal maltempo e dalle conseguenze del dissesto idrogeologico, tali da trasformare la situazione in un vero e proprio bollettino di guerra;
   ciò che è più grave è che tali fatti avvengono solo a distanza di meno di 3 mesi dall'alluvione che ha colpito Rossano Calabro e Corigliano (CS) che aveva già evidenziato la situazione gravissima in cui versa il territorio calabrese;
   alcuni esperti, come il geologo Tonino Caracciolo, spiegarono in quell'occasione che «il 90 per cento dei danni anche di questa alluvione deriva da responsabilità dell'uomo. Urge un piano pluriennale per la messa in sicurezza in tutta la Calabria»;
   proprio a tale scopo dovrebbe servire la nomina, da parte del Governo nazionale, di un commissario straordinario delegato per la mitigazione del rischio idrogeologico nella regione Calabria, ruolo oggi ricoperto dal governatore Mario Oliverio;
   né il Governo nazionale, né quello regionale, tuttavia, sono riusciti ad approntare alcun tipo di intervento atto ad impedire il disastro avvenuto in occasione degli eventi che hanno colpito la costa ionica, soprattutto tenendo conto del fatto che, nella lista dei lavori previsti per il 2016, la maggior parte coinvolgono zone diverse da quelle colpite e non toccano i comuni che hanno subito i danni più gravi;
   vale la pena sintetizzare, a questo proposito, le conseguenze più gravi di questa ondata di maltempo che ha fatto riversare in alcune zone della Calabria meridionale sino a 600 millimetri di pioggia in 48 ore con venti che hanno toccato la velocità di 80 chilometri orari;
   anzitutto va ricordato il fatto più grave: la morte di Salvatore Comandè nel comune di Taurianova, travolto con la sua auto dal Torrente San Nicola in compagnia della figlia diciassettenne che fortunatamente è riuscita a salvarsi;
   il torrente Ferruzzano è esondato spazzando via parte della strada statale 106 Ionica tra Ferruzzano e Brancaleone, principale via di collegamento costiera che unisce un territorio in cui risiede la maggior parte della popolazione calabrese;
   la strada statale 106 risulta interrotta anche in altri 4 punti: il primo tratto chiuso al traffico in entrambe le direzioni va dal chilometro 50 al chilometro 65, tra le località di Palizzi Marina e Brancaleone Marina, il secondo tratto chiuso al traffico in entrambe le direzioni va dal chilometro 65,8 al 67,20 in località Marinella di Ferruzzano, il terzo tratto chiuso al traffico in entrambe le direzioni va dal chilometro 83 al 92, in zona Bovalino Ardore, il quarto tratto chiuso al traffico in entrambe le direzioni va dal chilometro 121 al chilometro 122 ed è compreso tra le località di Marina di Caulonia e Riace Marina;
   non si contano poi le strade secondarie che hanno subito ripercussioni dal maltempo, isolando vaste zone della provincia di Reggio Calabria;
   la situazione della mobilità non migliora se si prende in considerazione l'aspetto della viabilità ferroviaria: il sopra citato torrente Ferruzzano ha colpito anche la linea ionica, che in un tratto è rimasta sospesa nel vuoto;
   l'interruzione di questa tratta ferroviaria che, come emerge da diverse interrogazioni della prima firmataria del presente atto, era già inadeguata durante il suo pieno funzionamento, perché insufficiente a garantire le necessità della popolazione dell'area della Locride, rischia di creare disagi intollerabili in una delle zone più povere d'Italia;
   per quanto riguarda la circolazione ferroviaria, quest'ultima è stata interrotta anche fra Roccella Jonica e Monasterace, sulla linea Catanzaro-Roccella Jonica;
   gravi danni sono stati prodotti all'acquedotto di Reggio Calabria dalla piena di un torrente, causando disagi nell'erogazione idrica nelle zone di Villa San Giuseppe, Modenelle, Arghillà e Pettogallico;
   sebbene dalla giornata del 2 novembre 2015 abbia smesso di piovere in Calabria, non è chiaro se la situazione di pericolo risulti cessata o se vi siano altre situazioni problematiche, visto il permanere di vaste zone difficilmente raggiungibili e di rischi consistenti relativi alla possibilità di nuove frane;
   a Ferruzzano un nucleo familiare di tre persone è stato salvato dai sommozzatori dei vigili del fuoco, dopo che era rimasto intrappolato nella propria autovettura trascinata da un corso d'acqua, mentre a Cosoleto una frana ha coinvolto un'abitazione, e i tre occupanti sono stati salvati dai vigili del fuoco;
   gli interventi di maggiore entità si sono concentrati a Reggio Calabria e provincia dove sono giunti in aiuto ai vigili del fuoco locali uomini dai comandi di Cosenza, Catanzaro, Napoli, Avellino, Taranto e Potenza;
   si registrerebbero tuttavia numerosi interventi per la messa in sicurezza delle case anche a Vibo Valentia, dove una famiglia ha dovuto abbandonare la propria abitazione dichiarata inagibile dai vigili del fuoco –:
   quale sia la situazione attuale, quanto a rischi per la popolazione, nel sud della Calabria e specialmente nella provincia di Reggio Calabria e se sia stata già stesa una prima stima dei danni derivanti dai fenomeni meteorologici del 31 ottobre e del 1o novembre 2015;
   quali siano i piani di primo intervento per rispondere ai più urgenti bisogni delle popolazioni colpite, inclusa la necessità di un rapido ripristino di un livello sostenibile di mobilità nell'area della costa ionica;
   se il Governo non ritenga di rivedere le modalità di programmazione e di gestione degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico nella regione Calabria, atteso che gli effetti ad oggi ottenuti dall'ufficio commissariale sono gravemente insufficienti, anche in considerazione del fatto che i progetti preventivati per l'anno 2016 risultano inadeguati rispetto alle reali situazioni di rischio evidenziati e dalla situazione presente. (4-10949)


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già nel 2009, in un articolo apparso su L'Espresso a firma di Tommaso Cerno We speak furlan veniva denunciato il discutibile uso di denaro pubblico operato della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia presieduta all'epoca da Riccardo Illy, relativamente alla tutela e promozione della lingua friulana. In particolare l'articolo citava il dizionario bilingue costato un milione e trecentomila euro. Appaiono eclatanti le dichiarazioni di un precedente presidente della giunta Regionale espresse in quell'articolo sempre in merito alla vicenda della gestione dei fondi sul friulano «Tutto era partito come tutela di un patrimonio pubblico, la lingua. Poi si è trasformato in un contributificio», denunciava Sergio Cecotti, il leader autonomista che, da governatore, firmò la prima legge del 1996, con un rischio persino più drammatico degli sprechi, secondo lui, «e cioè il ridicolo»;
   sull'argomento pare che la governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani (vice segretario nazionale del PD) persegua la stessa linea del suo predecessore, visto che la gestione dell'A.R.Le.F. (Agenzia regionale per la lingua friulana) struttura deputata a gestire buona parte dei fondi assegnati per la tutela della lingua friulana, appare oggi decisamente discutibile;
   il presidente dell'ente in menzione, Lorenzo Fabbro, nominato dalla giunta Serracchiani, è stato a lungo vicepresidente della Cooperativa informazione friulana, editrice di un'emittente radiofonica locale. Dal momento dell'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione ad oggi, l'A.R.Le.F ha quadruplicato le sovvenzioni alla cooperativa di cui il Presidente e stato amministratore fino a poco prima, peraltro nel comitato tecnico scientifico dell'ente (organo tecnico deputato a valutazioni sulle sovvenzioni da erogare) siedono pure due soci della cooperativa in menzione;
   risulta inoltre all'interrogante che il, consiglio di amministrazione dell'A.R.Le.F. presieduto dallo stesso Fabbro, con propria deliberazione n. 24 del 4 giugno 2015 ha concesso un contributo alla Cooperativa informazione friulana, nonostante il formale parere contrario del direttore dell'ente (sebbene l'articolo 4 dello statuto dell'ente preveda compiti di indirizzo per il consiglio di amministrazione in coerenza con la normativa vigente in materia di separazione di poteri tra indirizzo e gestione);
   si evidenzia infine che in tale gestione rientrano anche le sovvenzioni statali concesse ai sensi della legge n. 482 del 1999 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per un'immediata verifica della gestione delle sovvenzioni statali concesse alla regione Friuli Venezia Giulia ai sensi della legge sopracitata;
   quali controlli e verifiche siano stati fatti finora sulla gestione dei fondi della legge n. 482 del 1999. (4-10953)


   REALACCI e BRAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo italo-svizzero, firmato a marzo 2015 e ratificato dal consiglio regionale della Lombardia con la legge regionale n. 29 del 2015, prevede l'impegno «ad instaurare e a sviluppare la collaborazione transfrontaliera nell'ambito della gestione e destino dei materiali inerti per l'edilizia dalla Lombardia verso il Ticino e del materiale di scavo non inquinato e dei rifiuti edili di origine minerale dal Ticino verso la Lombardia»;
   il suddetto accordo presenta alcune questioni di conformità con la legge nazionale;
   appare necessario valutare se:
    a) si rispetti il principio di reciproca utilità, oppure se l'accordo costituisca un danno univoco per la regione Lombardia e le province di Varese e Como, laddove all'esportazione di materiale vergine corrisponde l'importazione di quelli che già nell'accordo vengono definiti «rifiuti edili»;
    b) non sia ravvisabile nelle modalità dell'accordo una possibile contraddizione con il decreto ministeriale n. 161 del 2012, che ha sostituito l'articolo 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni che concerne l'importazione di materiali; secondo gli interroganti non si trova il corrispettivo principio di precauzione nel corpus normativo elvetico, in particolare nella definizione della tipologia di rifiuti secondo la direttiva UFAM 31-06;
    c) se il materiale proveniente da demolizioni che entra nel territorio italiano da un Paese extra Unione europea sia destinato ad avere un'etichetta di rifiuto ed un codice CER e possa pertanto essere conferito unicamente ad un recuperatore o ad un impianto di smaltimento, ovvero essere utilizzato per «ri-ambientalizzare» dei siti di cava, come invece previsto dall'accordo ratificato dalla legge regionale in questione;
    d) se non sussistano elementi di conflitto della legge regionale con principi e norme di rango costituzionale, legislativo nazionale o norme di diritto internazionale ed europeo, passibili anche di costituire un pericoloso precedente –:
   quali siano, per quanto di competenza, gli orientamenti del Governo in relazione alla criticità sovraesposte e se il Governo, alla luce di tali profili che appaiono sicuramente problematici dal punto di vista costituzionale, non intenda assumere iniziative per impugnare la norma regionale lombarda ex articolo 127 della Costituzione, anche a tutela dei territori, delle risorse naturali, e della salute dei cittadini del territorio lombardo.
(4-10955)


   GREGORI e FASSINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   dal 24 ottobre 2015, a causa di un evento franoso lungo il tracciato dell'infrastruttura dell'acquedotto, nel territorio comunale di Calatabiano (provincia di Catania), la città di Messina risulta provvista della fornitura di acqua corrente;
   tale circostanza è destinata a perdurare, stante dichiarazioni pubbliche dei vertici dell'A.M.A.M. (l'azienda Meridionale acque di Messina che gestisce il servizio idrico nella città siciliana), per un ulteriore congruo intervallo di tempo valutato, in via di prognosi orientativa, in altri quattro o cinque giorni di assenza o grave limitazione del servizio;
   la situazione è ulteriormente precipitata, a causa della dipendenza delle disponibilità idriche cittadine dalla unica fonte di approvvigionamento costituita dalla condotta Fiumefreddo, avendo le amministrazioni comunali che si sono succedute rinunciato a ricorrere alla condotta Alcantara, gestita dalla Siciliacque spa;
   la popolazione locale risulta fortemente colpita da tale disagio, sia sul piano domestico, sia in termini di igiene e di salute pubblica;
   l'iniziale ottimismo dell'amministrazione locale in merito ad una pronta soluzione del problema ha spinto la cittadinanza a non porre in essere pratiche per il rigoroso contenimento del consumo delle risorse idriche private, con evidenti riverberi negativi sui pubblici servizi che necessitano di approvvigionamenti idrici;
   sembra altresì tardivo il vertice del 29 ottobre 2015 tra protezione civile, polizia municipale, esercito, amministrazione comunale ed A.M.A.M per risolvere la grave emergenza in corso;
   stanti i gravi danni arrecati alle infrastrutture idriche, sarebbe auspicabile procedere ad un rapido potenziamento e ad una pronta messa in sicurezza della rete idrica locale –:
   quali iniziative d'urgenza, il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di fronteggiare, nell'immediato, le criticità relative alla rete idrica per soddisfare primarie esigenze di vita della cittadinanza locale. (4-10957)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   nel corso del Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015 è stata assunta la decisione di convocare, a La Valletta l'11 ed il 12 novembre 2015, un vertice che riunirà i leader dell'Unione europea e di diversi Paesi africani al fine di rinforzare la cooperazione con i partner africani, affrontare le cause dell'immigrazione illegale e combattere il traffico di esseri umani;
   la conferenza si baserà sui processi di cooperazione esistenti tra l'Europa e l'Africa, in particolare i processi di Rabat, lanciato nel luglio 2006 con un focus che si è progressivamente spostato sul Sahel e l'Africa occidentale, e di Khartoum, ufficializzato a Roma nel novembre 2014 dall'Unione europea e una ventina di Paesi africani, sulla migrazione e il dialogo Unione europea-Africa in materia di migrazione e mobilità;
   uno degli obiettivi del vertice sarà quello di riconoscere la migrazione come una responsabilità condivisa dei Paesi di origine, di transito e di destinazione, attraverso l'assistenza ai Paesi partner nella lotta ai trafficanti, una cooperazione rafforzata in merito a una politica di rimpatrio efficace, un approccio più mirato alla cooperazione allo sviluppo e il potenziamento degli investimenti in Africa;
   stando a quanto si apprende dagli articoli di stampa che riportano anche le bozze della dichiarazione finale e del piano d'azione in cinque punti su cui l'Unione europea e i partner africani stanno provando a raggiungere un accordo definitivo, ci sarebbe molta insoddisfazione da parte dell'Unione africana relativamente agli accordi finora raggiunti; in particolare sembrerebbe che alcuni Stati membri europei, come l'Austria, la Polonia o la Lituania vorrebbero condizionare gli aiuti allo sviluppo ad uno sforzo reale dei Governi africani per accogliere i migranti illegali rimpatriati dall'Unione europea nei loro Paesi di origine, secondo la logica del «more for more, less for less», che in questo caso si tradurrebbe in una richiesta di maggiori sforzi sui rimpatri e meno aiuti se questi sforzi non vengano realizzati; in tal modo si verrebbe meno ai nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile che gli stessi Stati europei hanno sottoscritto in settembre alle Nazioni Unite, secondo il quale gli aiuti non dovrebbero essere condizionabili alle suddette logiche;
   l'immigrazione dall'Africa non può essere considerata come un fenomeno transitorio, ma, al contrario, costituisce un fatto strutturale, destinato con ogni probabilità ad aggravarsi nei prossimi anni a causa dell'aumento della pressione demografica e del probabile permanere di condizioni di conflitto locali e regionali che si sommano a storiche e irrisolte situazioni di povertà;
   oltre agli interventi volti alla limitazione dei flussi migratori irregolari dall'Africa all'Europa e alla distribuzione dei migranti aventi status di rifugiati tra i diversi Paesi dell'Unione europea, interventi già posti in essere dalla stessa Unione europea grazie alle pressioni del Governo italiano, occorre cominciare a lavorare in modo organico ad una politica finalizzata al miglioramento strutturale delle condizioni di vita nei Paesi dai quali hanno origine i flussi stessi;
   il prossimo summit che si terrà a La Valletta rappresenta un'importante occasione per attuare l'impegno assunto dal Governo con la mozione Alli-Quartapelle Procopio n. 1-00956, approvata dall'aula della Camera dei deputati nella seduta n. 511 del 27 ottobre 2015, di elaborare e attuare una strategia specificatamente volta allo sviluppo e al co-sviluppo dei Paesi africani, da condividere con l'Unione europea e con i partner europei, volta anche a ridurre l'impatto strutturale dei fenomeni migratori dal continente africano verso l'Europa;
   la Valletta Summit Political Declaration, nella bozza in circolazione a mezzo stampa datata 23 ottobre 2015, prevedrebbe l'impegno dell'Unione europea a «stanziare risorse adeguate per l'attuazione di tali azioni concrete utilizzando tutti gli strumenti disponibili, compresa la recente istituzione fondo fiduciario di emergenza dell'UE (EU Emergency Trust Fund) per la stabilità e per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e degli sfollati in Africa»;
   l’EU Emergency Trust Fund, ovvero «Fondo fiduciario di emergenza per la stabilità e per affrontare le cause profonde della migrazione illegale in Africa» è stato costruito dalla Commissione europea che ha stanziato 1,8 miliardi di euro di risorse finanziarie dell'Unione europea, ma si aspetta che anche gli Stati membri partecipino;
   diversi Stati membri hanno espresso interesse a partecipare, la Spagna, per esempio, ha già confermato la sua partecipazione; alcuni Paesi per altro, hanno deciso di destinare alcune risorse originariamente stanziate per l'ODA alla emergenza profughi (ad esempio l'Olanda); la proposta di costituzione del fondo fiduciario sarà presentata agli Stati membri e l'obiettivo della Commissione, come si apprende da documenti ufficiali della Commissione stessa, è quello di completare le procedure necessarie in tempo per il Summit di Valletta;
   la società civile e le ONG impegnate in prima linea per l'emergenza migranti, hanno espresso forti perplessità in merito alle conclusioni del vertice desumibili dai documenti in circolazione; in particolare, riguardo al fondo fiduciario vi è chi teme che non sarà effettivamente usato per progetti di sviluppo, ma piuttosto per la sicurezza delle frontiere e per il contenimento della mobilità delle persone;
   inoltre, l'ultimo punto del piano di azione relativo ai rimpatri e alle riammissioni dei migranti in situazione irregolare nello spazio dell'Unione europea, prevedrebbe la volontà degli Stati membri di concentrare gli sforzi sulla sicurezza alle frontiere e i rimpatri, mentre i partner africani vorrebbero più cooperazione sulla mobilità, sia interna che dall'Africa verso l'Europa; a ciò si aggiunge che gli Stati europei vorrebbero istituire i «centri di ricezione» in Africa per smistare gli ingressi e avviare le eventuali pratiche di riconoscimento dello status di rifugiato internazionale, mentre gli a mani chiedono che i rimpatri siano volontari;
   non da ultimo si ravviserebbe la volontà di «facilitare l'accesso a un'informazione adeguata e credibile sui pericoli dell'immigrazione irregolare e diffondere una visione realistica delle condizioni di vita nei paesi europei» attraverso «campagne d'informazione nei paesi di origine, di transito e di destinazione»; in tal modo sembrerebbe che si intenda fare emergere i rischi di morte per i migranti illegali, tacendo invece le storie positive delle diaspore africane presenti in Europa, il cui volume di fondi è ormai superiore agli aiuti allo sviluppo;
   infine, le ONG hanno espresso rammarico poiché per la prima volta in formati del genere di vertici europei, parrebbe non sia previsto nessun evento a latere del summit che coinvolga la società civile, né i rappresentanti dei parlamenti nazionali e del Parlamento europeo –:
   quale sarà la posizione dell'Italia al vertice di La Valletta in merito all'impostazione emergente che condiziona gli aiuti internazionali, veicolati attraverso il EU Emergency Trust Fund, a una più stringente collaborazione dei Paesi partner in tema di rimpatri («more for more, less for less»), a quanto ammonterà il contributo italiano allo stesso fondo fiduciario e se risulterà addizionale rispetto all'aiuto pubblico allo sviluppo.
(2-01151) «Quartapelle Procopio, Zampa, Scuvera, Locatelli, Tidei, Alli, Gadda, Chaouki, Rampi, Casati, Carnevali, Berlinghieri, Beni, Cuperlo, Verini, Rocchi, Ribaudo, Petrini, Sberna, Baradello, Gigli, Marazziti, Piepoli, Francesco Sanna, Rotta, Malpezzi, Migliore, Lacquaniti, Vazio, Patriarca, Lodolini, Pelillo, Paola Boldrini, Monaco, Salvatore Piccolo, Fragomeli, Laforgia, Impegno, Tacconi».

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la vendita di Budelli ad un magnate è una vicenda che suscita troppi dubbi, con sentenze uguali e contrarie, modifiche di vincoli ad «orologeria», dichiarazioni gravi fatte in Australia dal magnate dalle quali sembrerebbe evincersi che sia dato per acquisito il cambio dei vincoli e un parere del presidente emerito della Corte dei conti che concludeva nel senso dell'acquisizione del bene e infine il progetto, a giudizio degli interpellanti, di mettere le mani sull'intero arcipelago, dall'acquisto del faro di Razzoli per farne un resort esclusivo, all'acquisto di altri immobili nella zona, compresi campi boa in concessione;
   tutto ciò è stato ampiamente e dettagliatamente spiegato in un atto di sindacato ispettivo, precisamente nell'interpellanza 2-01139 presentata dal primo firmatario del presente atto del 27 ottobre 2015;
   riguardo all'isola di Budelli si ricorda che il Parlamento aveva stanziato le risorse per la prelazione del bene naturalistico e quindi per sottrarlo a qualsiasi tipo di possibile speculazione o privatizzazione;
   nonostante questo e una pronuncia netta del Tar Sardegna, con una più che argomentata sentenza, il Consiglio di Stato, ha ribaltato quella decisione;
   alla luce dei fatti la sentenza afferma che non esista un piano da parte dell'ente, anche se non è chiaro a quale piano si faccia riferimento;
   gli interpellanti chiedono come sia stato possibile non dichiarare, come ha fatto il Tar Sardegna, che la pianificazione dei vincoli e la protezione del bene era sufficiente per acquisire il bene con la prelazione;
   la decisione del Consiglio di Stato lascia troppi dubbi;
   vanno esaminati alcuni elementi sui quali è indispensabile che il Governo svolga gli opportuni approfondimenti nell'ambito delle proprie competenze;
   il punto più inquietante è quello relativo alle dichiarazioni riportate in un rapporto della Australian Financial Review, nelle quali Harte ha sostenuto di avere il permesso di ricostruire tre edifici esistenti sull'isola (http.//www.cio.com.au);
   il report australiano è dell'8 ottobre 2013 quando, a quanto consta agli interpellanti, nessun tipo di ristrutturazione di immobili era stata autorizzata, ma che stranamente veniva data per acquisita proprio dal magnate;
   occorre sapere se il Ministero avesse dato tali rassicurazioni al privato anche attraverso organi del parco stesso;
   tutto questo è gravissimo proprio perché alla vigilia della decisione del tribunale di Tempio è stata votata una proposta di piano di vincoli che «declassa» quelli precedenti e, a giudizio degli interpellanti, va direttamente nella direzione di quello annunciato due anni prima proprio dal magnate australiano;
   occorre sapere e capire se su questa vicenda il Governo abbia favorito l'operazione privata o meno;
   a questi aspetti se ne aggiunge uno di rilevante importanza, il parere del procuratore generale emerito della Corte dei Conti, Claudio De Rose, sul diritto-obbligo alla prelazione nel caso di Budelli;
   il giudice emerito nel suo parere sulla vicenda Budelli afferma: «Sotto il profilo delle intenzioni speculative del subentrante – consistenti, a quanto risulta, nella creazione di un museo aperto con relativa bigliettazione – va altresì considerato che le stesse, una volta iniziate, renderebbero necessario un rafforzamento degli attuali controlli, aumentandone il costo complessivo a carico del bilancio pubblico. E tale aumento tanto più risulterebbe ingiustificabile dal momento che l'Ente Parco nel cui ambito operativo rientra l'isola di Budelli ha in progetto iniziative analoghe, intese non a fini speculativi ma, più propriamente, al conseguimento di un valore aggiunto per bene nel quadro strategico della sua valorizzazione. Pur non dovendosi trascurare, naturalmente, il valore dei possibili introiti derivanti da tali iniziative, quale pubblica entrata da destinarsi alle esigenze di valorizzazione del bene. In definitiva, questo primo ordine di valutazioni, sia per quanto detto, sia perché l'Isola di Budelli è un bene unico al mondo per le sue caratteristiche naturali, dovrebbe portare ad una conclusione favorevole all'esercizio del diritto di prelazione»;
   gli interpellanti trasmetteranno tutti gli atti di questa vicenda alla Corte dei Conti e per conoscenza alla stessa procura della Repubblica di Roma e Tempio;
   è impensabile che su un bene naturalistico come questo si pensi di favorire il privato piuttosto che la collettività –:
   se il Governo intenda chiarire il ruolo che ha svolto nella vicenda relativa alla vendita dell'isola di Budelli e alla mancata prelazione o esproprio del bene stesso, considerato che esisteva un preciso «mandato» del Parlamento con apposito stanziamento;
   se non ritenga, anche alla luce del parere espresso dal procuratore emerito della Corte dei Conti, di dover mettere in atto ogni possibile iniziativa per acquisire, eventualmente anche attraverso l'esproprio, il bene dell'isola di Budelli.
(2-01148) «Pili, Pisicchio».

Interrogazione a risposta immediata:


   D'UVA, SORIAL, CRIPPA, NUTI, FERRARESI, MANLIO DI STEFANO, FRUSONE, CASO, PESCO, SIMONE VALENTE, MANNINO, DELL'ORCO, DA VILLA, COMINARDI, GRILLO, L'ABBATE e BATTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 ottobre 2015, un evento franoso verificatosi in località Calatabiano (Catania), ha determinato la rottura di una tubazione dell'acquedotto Bufardo Torrerossa, condotta utilizzata per il trasporto idrico dal fiume Fiumefreddo alla città di Messina e ad altri comuni siciliani;
   l'acqua scaturente dalle sorgenti Bufardo e Torrerossa, così come riportato dalla società Acque Bufardo e Torrerossa s.r.l. nel proprio sito internet, è fornita, «per l'uso irriguo, al comprensorio ricadente nel territorio dei comuni di Giarre, Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Calatabiano e Piedimonte Etneo»;
   nell'anno 1989, a seguito di una protratta siccità verificatasi nel comune di Messina, la società cedette al comune di Messina parte delle proprie gallerie da cui prelevare l'acqua eccedente, quella di cui la Bufardo era concessionaria;
   ancora oggi, l'acqua rinvenuta dalla società Acque Bufardo e Torrerossa s.r.l. viene utilizzata anche dal comune di Messina, per il necessario approvvigionamento idrico;
   per tali motivi, la rottura della tubatura verificatasi in data 24 ottobre 2015 non soltanto ha causato una massiccia inondazione di fango e detriti nei quartieri della città di Calatabiano (Catania), ma, allo stesso tempo, ha determinato l'interruzione totale dell'approvvigionamento idrico nel comune di Messina;
   in data 24 ottobre 2014, il quotidiano consultabile on line La Gazzetta del Sud, riportando la notizia del guasto alla rete idrica, annunciava la possibilità di «disservizi in tutte le zone della città», nonché la possibile «riduzione dell'orario di erogazione del servizio idrico, sia nella giornata odierna che nei prossimi giorni», stimando un ritorno alla normalità entro la giornata del 26 ottobre 2015;
   secondo le notizie riportate dal quotidiano veniva confermato che la «grossa frana ha danneggiato, all'altezza di Calatabiano, la condotta del Fiumefreddo la principale fronte di approvvigionamento della città di Messina»;
   dallo stesso articolo venivano riportate, inoltre, le dichiarazioni dei tecnici dell’Azienda meridionale acque Messina s.p.a., società affidataria del servizio di gestione delle risorse idriche per la città, i quali, confermando l'apertura della falla, annunciavano la necessità di riparare la condotta in una situazione assai complessa, data la necessità di intervento in una zona certamente impervia;
   secondo i tecnici, «non è la prima volta che si verificano guasti dovuti a smottamenti e frane del terreno su cui passa la condotta vecchia oltre 40 anni»;
   l'articolo concludeva ricordando come le «polemiche sono spesso divampate sull'alternativa, costituita dalla condotta dell'Alcantara, ma senza mai trovare una soluzione»;
   la città di Messina, nonostante le continue interruzioni dovute a fenomeni causati dal dissesto idrogeologico dei terreni in cui sorge l'acquedotto, si serve in via praticamente esclusiva dell'impianto situato in località Fiumefreddo, il quale garantisce sì una tariffa più vantaggiosa rispetto ad altre sorgenti attivabili, ma non assicura una quantità d'acqua sufficiente per una popolazione densa qual è quella messinese, soprattutto in caso di guasti alla rete idrica;
   eppure le condizioni di elevata criticità del sistema di rete utilizzato per l'approvvigionamento della città di Messina hanno da tempo sollevato la necessità di un'urgente riorganizzazione dello stesso;
   appare evidente come adeguate misure per la tutela dei territori avrebbero certamente aiutato a scongiurare la possibilità di un mancato approvvigionamento idrico così prolungato, in città densamente popolate e ad elevato rischio sismico ed idrogeologico;
   a tal proposito si ricordi la risoluzione in commissione n. 7-00798, a prima firma Gianluca Rizzo, depositata in data 7 ottobre 2015, seduta n. 497, la quale, richiedendo l'impiego del 4o reggimento genio guastatori in attività di prevenzione e controllo delle principali infrastrutture siciliane segnalate per il tramite delle prefetture e degli enti locali, comporterebbe una più celere risoluzione di casi analoghi;
   nei giorni scorsi un'ondata di maltempo ha letteralmente devastato la costa ionica calabrese, provocando l'esondazione di torrenti, frane, smottamenti, collegamenti bloccati, famiglie evacuate e due vittime: Salvatore Comandè, il quarantatreenne disperso dal pomeriggio di sabato a Taurianova dopo essere stato trascinato dalla piena di un torrente e ritrovato dai vigili del fuoco sull'argine del San Nicola, ad alcune centinaia di metri a valle del punto in cui era stato travolto; Pasquale Princi, di soli 25 anni, colpito da un palo della luce mentre lavorava al ripristino della corrente elettrica;
   gli eventi meteorologici hanno colpito, soprattutto, la fascia ionica catanzarese e l'alto reggino; il torrente Ferruzzano, esondato a causa delle forti precipitazioni, ha danneggiato e in certi tratti distrutto la strada statale n. 106 Ionica e la linea ferrata tra Ferruzzano e Brancaleone, provocando la sospensione della circolazione fra le stazioni di Roccella Jonica e Palzizzi, sulla linea jonica, mentre non è stato possibile attivare servizi sostitutivi con autobus per l'impraticabilità della rete stradale;
   altri disagi si sono avuti sulla Tirrenica, dove la tratta fra Bagnara e Villa San Giovanni-Cannitello è stata temporaneamente interrotta, con il ricorso a bus sostituivi e forti ritardi su tutta la linea;
   le precipitazioni hanno colpito, in particolare, i comuni di Bovalino, Bruzzano, Sant'Ilario e Ardore, mentre violente mareggiate si sono abbattute sulla costa ionica del catanzarese e del reggino, provocando danni ingenti al lungomare di Siderno, con la chiusura del lungomare, e Caulonia, dove è stato disposto, per precauzione, lo sgombero di alcune abitazioni poste nelle vicinanze del mare;
   negli stessi giorni, con epicentro nella notte del 14 ottobre 2015, a seguito dei temporali che hanno colpito il beneventano, alcuni quartieri del comune di Benevento sono stati travolti dall'acqua, provocando due morti, con danni di tale entità da indurre il sindaco a chiedere l'intervento dell'esercito per consentire il ripristino dei collegamenti sulla statale Appia, bloccata dallo straripamento dei fiumi Calore e Sabato;
   gli eventi si sono ripetuti a distanza di pochi giorni nella notte del 20 ottobre 2015, con una nuova esondazione del fiume Calore e di diversi affluenti del fiume, tra cui il Tammaro, con conseguente allagamento delle campagne e dei paesi limitrofi, danni ingenti alle aziende che hanno i propri stabilimenti nella zona e migliaia di persone sfollate dalle contrade della città più vicine al fiume;
   in data 30 ottobre 2015, la deputata Federica Daga, in sede di illustrazione ad un'interpellanza urgente, la n. 2-01131, presentata dalla stessa proprio sul tema degli investimenti relativi alla messa in sicurezza di territori a rischio dissesto idrogeologico affermava come secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui vi erano tracce sulla stampa ma non ancora in Gazzetta Ufficiale, veniva finalmente approvata l'erogazione dei 654 milioni di euro dal 2015 al 2020 e si potrebbe dire dal 2016, visto che si è a novembre 2015, per realizzare soltanto 33 opere, tra l'altro tutte concentrate in 5 regioni del Centro-Nord, confermando i timori di inadeguati interventi governativi per affrontare il problema;
   risulta, inoltre, assente un piano nazionale che stabilisca impegni certi sia per l'assegnazione diretta dei fondi necessaria per la messa in sicurezza dei territori, sia per una datazione certa per l'apertura dei lavori relativi, a oggi annunciati ma ancora senza concreta attuazione –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere – alla luce di quanto avvenuto, solo nei giorni scorsi, nella regione Sicilia, con i gravi problemi di approvvigionamento idrico a Messina, nella regione Calabria, con danni enormi alla viabilità stradale e ferroviaria, nella regione Campania, con la devastazione della città di Benevento causata dallo straripamento del fiume Calore – affinché possa concretamente affrontarsi la grave emergenza del dissesto idrogeologico in tutto il territorio nazionale, la cui estrema fragilità è messa a dura prova dall'assenza di un'efficace politica di prevenzione e di razionale pianificazione territoriale, e, in caso di positivo riscontro, se sia nelle condizioni di indicare la stima degli eventuali stanziamenti che, nel breve periodo, potranno garantire e assicurare un'urgente azione per la messa in sicurezza del territorio, con maggiore effettività rispetto alla risposta data dal Governo alla citata interpellanza urgente Daga ed altri n. 2-00131. (3-01808)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO, DAGA, MANNINO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati dell'OCSE recentemente pubblicati, le esternalità sanitarie da emissioni atmosferiche italiane sono pari a 47 miliardi di euro per il 2014;
   secondo quanto pubblicato sul sito giornalistico on-line «la Provincia Pavese» il 25 ottobre 2015, «la provincia di Pavia è al secondo posto in Italia, battuta da Milano, per decessi causati dall'inquinamento dell'aria, secondo i dati Istat. L'altro record negativo condiviso con il territorio milanese è l'incidenza di tumori che, nella provincia pavese, sono causa di morte per il 40 per cento dei maschi e per il 27 per cento delle femmine. Nel 2015, secondo il rapporto Asl, il tasso di mortalità per tumori nei maschi pavesi è superiore del 10 per cento a quello dei lombardi e del 18 per cento rispetto alla media nazionale, mentre nelle femmine pavesi è superiore dell'11 per cento rispetto a quelle lombarde e del 19 per cento rispetto alla media nazionale»;
   Il Dottore Giuseppe Damiani, biologo ricercatore Cnr, ha fornito alcuni dati durante l'assemblea organizzata dai 14 comuni della Consulta ambiente e territorio della provincia di Pavia per parlare di fanghi, pesticidi, inceneritori, e del rapporto, accertato scientificamente, tra sostanze chimiche utilizzate in agricoltura, tra scorie di incenerimento liberate nell'aria e malattie oncologiche; è emerso come le norme risultino inadeguate, con controlli inefficaci o a volte inesistenti, all'interno di una provincia come quella Pavese che «conta 11 impianti di produzione di fanghi, due inceneritori, a Corteolona e a Parona, la raffineria più grande d'Europa a Sannazzaro, discariche, un impianto di pirolisi in itinere» ricorda Alberto Maccabruni, geologo; lo stesso primo cittadino di Linarolo ammonisce, ricordando che «gli effetti su ambiente e salute sono drammatici e le conseguenze si vedranno tra alcuni anni. Ma sarà troppo tardi»;
   continuando la lettura dell'articolo de «la Provincia Pavese» risulta che le attività agricole-zootecniche siano esposte ai gravi rischi dovuti alla forte pressione antropica inquinante. Infatti, dai dati pervenuti «il 76 per cento delle uova nei pollai che si trovano ad una distanza di 10 chilometri da siti inquinati sono avvelenati da livelli di sostanze tossiche oltre i limiti di legge. Indagini scientifiche ci fanno sapere che 1 persona su 2 avrà un tumore, e che 1 bambino su 5 avrà problemi di neurosviluppo [...] nel rapporto Asl si legge che per le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari il tasso di mortalità in provincia, per gli uomini, è superiore del 6,9 per cento alla media lombarda e del 4 per cento rispetto alla media nazionale. Per le donne è il 9 per cento in più rispetto alla media lombarda e l'1 per cento in più rispetto a quella italiana. E la provincia di Pavia non va meglio per le malattie dell'apparato respiratorio che causano l'8 per cento dei decessi nei maschi e il 7 per cento nelle femmine: il 16 per cento in più rispetto alla media lombarda e il 25 per cento in più rispetto a quella nazionale per gli uomini, mentre è superiore del 14 per cento rispetto alla media lombarda e del 26 per cento rispetto a quella nazionale per le donne [...] I fanghi nei campi contengono anche scorie di materiale plastico e farmaci. Eppure di questi fanghi provenienti da depuratori civili, impianti che depurano acque industriali e quelli di depurazione delle industrie agroalimentari nei campi della nostra provincia ne vengono sparse, 400 mila tonnellate, 50 per cento dei quantitativi dell'intera Lombardia, regione con una produzione annua di circa 800 mila tonnellate e in cui viene smaltito il 40 per cento della produzione nazionale, pari a 2 milioni di tonnellate. Con il pericolo che eventuali sostanze tossiche contenute nei fanghi finiscano per intaccare le acque utilizzate per scopi irrigui e per approvvigionamenti potabili. Ricorda quali sono gli elementi chimici con poteri cancerogeni Matteo Da Vià, ematologo del San Matteo, sottolinea le conseguenze negative che i pesticidi possono avere sulla salute: linfomi, carcinomi bronchiali, cancro alla prostata, al fegato. «Non vanno dimenticati i solventi – aggiunge –. Il più conosciuto è il benzene che può provocare linfomi e leucemie»;
   la provincia di Pavia è una provincia italiana della Lombardia di 548.307 abitanti, ed è quasi totalmente inserita nella pianura padana;
   l'Agenzia europea per l'ambiente da Bruxelles ha nuovamente «bocciato» la qualità dell'aria nella pianura padana; ad oggi lo stato delle cose rimane invariato in termini di rischio per la salute. Sono solo cambiate le composizioni degli inquinanti; la mappa Esa Kidg (immagine satellitare) realizzata con un apposito satellite che rileva l'inquinamento del globo terrestre, indica la forte concentrazione di inquinanti presenti nella pianura padana –:
   se non si intenda eseguire, per quanto di competenza un'analisi puntuale delle fonti di questo disastro ambientale e sanitario individuando misure urgenti di monitoraggio e risparmio economico;
   se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per quanto di propria competenza, non ritenga necessario assumere opportune iniziative di monitoraggio e revisione della normativa in materia di erogazione e controllo dei fanghi da spandimento e pesticidi per uso agricolo in virtù del forte carico inquinante ivi presente;
   considerate le criticità su emerse, in virtù del principio di sostenibilità ambientale, non si ritenga necessario, per quanto di competenza, assumere opportune iniziative di verifica e comparazione tra le diverse attività antropiche atte a sviluppare probabili effetti «cumulo»;
   se il Governo, per quanto di competenza, abbia svolto o intenda svolgere un'approfondita valutazione sulla sostenibilità delle attività inquinanti summenzionate e dell'impatto sulla salute pubblica;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative normative eccezionali e urgenti di tutela ambientale della pianura padana dove l'ecosistema (aria, suolo, acqua) è sempre più a rischio di collasso. (4-10945)


   MARRONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o gennaio 2014 è entrata in vigore la legge 27 dicembre 2013, n. 147, che stabilisce, al comma 304, quanto segue:
    «Al fine di consentire, per gli impianti di cui alla lettera c) del presente comma, il più efficace utilizzo, in via non esclusiva, delle risorse del Fondo di cui al comma 303, come integrate dal medesimo comma, nonché di favorire comunque l'ammodernamento o la costruzione di impianti sportivi, con particolare riguardo alla sicurezza degli impianti e degli spettatori, attraverso la semplificazione delle procedure amministrative e la previsione di modalità innovative di finanziamento:
     a) il soggetto che intende realizzare l'intervento presenta al comune interessato uno studio di fattibilità, a valere quale progetto preliminare, redatto tenendo conto delle indicazioni di cui all'articolo 14, del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, e corredato di un piano economico-finanziario e dell'accordo con una o più associazioni o società sportive utilizzatrici in via prevalente. Lo studio di fattibilità non può prevedere altri tipi d'intervento, salvo quelli strettamente funzionali alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e concorrenti alla valorizzazione del territorio in termini sociali, occupazionali ed economici e comunque con esclusione della realizzazione di nuovi complessi di edilizia residenziale. Il comune, previa conferenza di servizi preliminare convocata su istanza dell'interessato in ordine allo studio di fattibilità, ove ne valuti positivamente la rispondenza, dichiara, entro il termine di novanta giorni dalla presentazione dello studio medesimo, il pubblico interesse della proposta, motivando l'eventuale mancato rispetto delle priorità di cui al comma 305, ed eventualmente indicando le condizioni necessarie per ottenere i successivi atti di assenso sul progetto;
     b) sulla base dell'approvazione di cui alla lettera a), il soggetto proponente presenta al comune il progetto definitivo. Il comune, previa conferenza di servizi decisoria, alla quale sono chiamati a partecipare tutti i soggetti ordinariamente titolari di competenze in ordine al progetto presentato e che può richiedere al proponente modifiche al progetto strettamente necessarie, delibera in via definitiva sul progetto; la procedura deve concludersi entro centoventi giorni dalla presentazione del progetto. Ove il progetto comporti atti di competenza regionale, la conferenza di servizi è convocata dalla regione, che delibera entro centottanta giorni dalla presentazione del progetto. Il provvedimento finale sostituisce ogni autorizzazione o permesso comunque denominato necessario alla realizzazione dell'opera e determina la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza dell'opera medesima;
     c) resta salvo il regime di maggiore semplificazione previsto dalla normativa vigente in relazione alla tipologia o dimensione dello specifico intervento promosso»; secondo il comma 305, gli interventi di cui al comma 304, laddove possibile, sono realizzati prioritariamente mediante recupero di impianti esistenti o relativamente a impianti localizzati in aree già edificate;
   a seguito dell'accordo del 26 maggio 2014 con la AS Roma, Eurnova s.r.l., in qualità di promotore, con il coordinamento e il monitoraggio di Protos s.p.a. e di KPMG Advisory s.p.a. ha redatto, ai sensi della norma richiamata, lo studio di fattibilità, trasmesso a Roma Capitale in data 29 maggio 2014 con protocollo n. 82424;
   l'area oggetto dell'intervento, censita nel nuovo catasto terreni ai fogli 857, 858, è situata al chilometro 9 circa della via Ostiense-via del Mare, nella zona Tor di Valle ricadente nel IX Municipio del comune di Roma. Il masterplan proposto dal promotore consiste nella realizzazione del cosiddetto stadio della Roma (consistenza di circa 49.000 metri quadrati), del cosiddetto business park (consistenza di 305.000 metri quadrati), nella realizzazione di opere di urbanizzazione quantificabili economicamente nella cifra di 270 milioni di euro, all'interno delle quali sono comprese quelle definite come di connettività esterna, di importo pari a 135 milioni di euro (dati dello studio di fattibilità) oltre al contributo di 10 milioni di euro per l'adeguamento della tratta ferroviaria EUR Magliana-Tor di Valle per prolungamento metro, ipotizzando lo scomputo integrale del contributo di costruzione;
   con deliberazione dell'assemblea capitolina di Roma Capitale n. 132, del 22 dicembre 2014, è stato dichiarato, ai sensi della lettera a) del comma 304 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013, il pubblico interesse della proposta di realizzazione del progetto denominato «stadio della Roma-Tor di Valle» in variante al nuovo piano regolatore generale di Roma approvato con delibera di consiglio comunale n. 18 del 12 febbraio 2008, in deroga al piano generale del traffico urbano, in deroga alle norme ambientali, in area golenale del fiume Tevere, presentata dalla società Eurnova;
   in data 15 giugno 2015 il masterplan e gli elaborati di presentazione generale del progetto denominato «stadio della Roma-Tor di Valle» sono stati consegnati al sindaco di Roma Capitale;
   in data 21 luglio 2015 lo stesso masterplan e gli elaborati di presentazione generale del progetto sono stati inviati da Roma Capitale alla regione Lazio accompagnati da una relazione;
   lo spirito della legge sopra riportata prevede l'equiparazione a opera di interesse pubblico degli interventi di ammodernamento e costruzione di nuovi impianti sportivi, tra cui gli stadi. Tali interventi sono, infatti, collocati in una politica pubblica e relativa norma generale per favorire la ricapitalizzazione e comunque il rafforzamento delle società sportive quotate e non quotate in borsa. Tale proposta formulata al comune di Roma appare, invece, non conforme allo spirito e alle finalità di politica generale prevista dal legislatore e fonte della norma, sia perché il nuovo impianto non sarà, neanche in parte, di proprietà dell'AS Roma, sia per l'abnorme abuso del principio di compensazione previsto dalla legge nel riconoscimento di volumetrie a fronte degli oneri di costruzione del nuovo impianto, assolutamente sproporzionate, riconosciute in deroga alle norme vigenti dal comune di Roma. Tale proposta appare quindi all'interrogante ad esclusivo vantaggio degli operatori e delle società private, non giustificando minimamente la pubblica utilità prevista dalle norme e dichiarata dal comune di Roma. Inoltre, essendo sopraggiunta la norma prevista dall'articolo 17 del decreto-legge n. 133, del 2014, detto «Sblocca Italia», per cui al: «d-ter) alla valutazione del maggior valore generato da interventi su aree o immobili in variante urbanistica, in deroga o con cambio di destinazione d'uso. Tale maggior valore, calcolato dall'amministrazione comunale, viene suddiviso in misura non inferiore al 50 per cento tra il comune e la parte privata ed erogato da quest'ultima al comune stesso sotto forma di contributo straordinario, che attesta l'interesse pubblico, in versamento finanziario, vincolato a specifico centro di costo per la realizzazione di opere pubbliche e servizi da realizzare nel contesto in cui ricade l'intervento, cessione di aree o immobili da destinare a servizi di pubblica utilità, edilizia residenziale sociale od opere pubbliche», la procedura appare all'interrogante non conforme da un punto di vista delle normative vigenti;
   la procedura seguita da Roma Capitale presenta poi alcune lacune in merito alla mancata pubblicazione della variante urbanistica, ossia privando, di fatto, i cittadini della facoltà di presentare le osservazioni e di procedere alle conseguenti controdeduzioni. Tutto ciò contravvenendo alle norme generali della legge urbanistica in vigore, non certo abrogata dalle norme sopra riportate, nonché a quelle di evidenza pubblica e partecipazione previste per tutte le trasformazioni urbanistiche;
   Roma Capitale ha assentito, in via preliminare, ai proponenti una volumetria di circa 300.000 metri cubi, calcolata non sulla destinazione originaria dell'area a verde privato attrezzato così come previsto dal nuovo piano regolatore generale di Roma, ma su una nuova previsione con una densità maggiore di «parco a tema», quale non è mai stata definita, a quanto risulta all'interrogante, da apposita procedura a norma di legge, concedendo senza un chiaro corrispettivo circa 80.000 metri cubi in più di volumetria rispetto al pianificato. Tale procedura, quindi, appare in contraddizione se non in evidente contrasto con le norme sopra citate, inerenti alle procedure di progetto di finanza con promotore, rispetto a quanto doveva essere previsto per un progetto di tale portata che dovrebbe essere attuato secondo le ordinarie norme urbanistiche tramite apposita variante ai sensi della legge n. 1150 del 1942 e successive modifiche;
   inoltre, il progetto urbanistico del comprensorio di circa 90 ettari di verde privato attrezzato, oltre a dover essere oggetto di variante ordinaria del piano regolatore generale con una nuova destinazione a centralità, per renderlo conforme in tale ipotesi con le norme tecniche di attuazione del nuovo piano regolatore di Roma Capitale, farebbe discendere una cessione di aree private all'amministrazione comunale da destinare a standard urbanistici e in particolare a verde pubblico. Nel caso in esame, poiché il progetto del promotore ha un carico urbanistico elevato, appare controverso che le aree da cedere conteggiate dal comune di Roma, comprenderebbero anche aree adiacenti al perimetro della proposta che avevano già la destinazione di verde pubblico da parte del piano regolatore generale esponendo così ad avviso dell'interrogante l'atto a vizi formali secondo le normative vigenti;
   in merito alla trasmissione degli elaborati definitivi della proposta del promotore previsti dalla legge sopra citata, da Roma Capitale alla regione Lazio, così come prescritto dalla legge di stabilità del 27 dicembre 2013, n. 147, al punto b) comma 304, si fa presente che il masterplan e gli elaborati di presentazione generale non risponderebbero, secondo l'interrogante, al requisito richiesto, in quanto non ottemperanti alle prescrizioni, che classificano un progetto come «definitivo» ovvero quelle contenute nel decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 5 ottobre 2010 negli articoli 24-32;
   prima di procedere a qualsiasi progettazione definitiva, infatti sarebbe necessario eseguire i relativi sondaggi, la classificazione del terreno ai fini del rischio sismico per tutte le aree interessate dalla proposta, nonché degli elementi infrastrutturali connessi all'opera stessa. Oltre a ciò, risulta mancante la fase di approvazione formale del progetto «definitivo» da parte degli organi tecnici di Roma Capitale e da parte dell'Assemblea Capitolina che aveva riconosciuto a dicembre 2014 la pubblica utilità per il progetto preliminare, prima dell'invio alla regione Lazio. Va da sé che per poter essere oggetto di qualsivoglia autorizzazione amministrativa, o permesso a costruire, i progetti devono essere definitivi, così come tali devono essere per poter costituire oggetto di bando di gara europeo con relativa approvazione tecnica ed economica da parte degli organi competenti e validazione da parte di società specializzate che ne certifichino la completezza e la rispondenza alle norme europee. Inoltre, sempre in riferimento alla mancanza del progetto definitivo di tale proposta, da articoli di stampa si è appreso che sono state dichiarate dallo stesso comune di Roma, dall'assessore alla mobilità e dall'azienda dei trasporti ATAC irrealizzabili le previsioni connesse alle infrastrutture per la mobilità con l'impossibilità di realizzare il collegamento su ferro, considerato condizione «sine qua non», dallo stesso comune di Roma e dall'Assemblea Capitolina per la realizzazione di un intervento ad altissimo carico urbanistico;
   in sintesi il masterplan e gli elaborati generali relativi al progetto denominato «stadio della Roma-Tor di Valle» sarebbero manchevoli della caratteristica di progettazione definitiva, delle opere funzionali e connesse all'intervento, d'inquadramento e fattibilità infrastrutturale dimostratasi infattibile dagli stessi organi del comune di Roma, quindi di relativi computi metrici e stime delle opere compensative che appaiono a giudizio dell'interrogante a dir poco approssimative, di sondaggi geologici e archeologici (compreso il nulla osta necessario), nonché della definizione del contributo straordinario previsto dall'articolo 17 del decreto «Sblocca Italia». Si fa presente che, assumendo il proponente la figura di stazione appaltante delle opere pubbliche ed eseguendo le stesse «a scomputo», senza chiari e dettagliati computi metrici e stime frutto di progettazioni definitive non è dato quantificare gli elementi economici e soprattutto le volumetrie compensative alla base della dichiarazione di pubblica utilità così come definito dalla legge di equiparazione ad opera pubblica per lo stadio e le esclusive opere compensative dello stadio, non di altro, per l'equilibrio economico finanziario, nonché le relative fidejussioni bancarie che il proponente deve alla pubblica amministrazione; di conseguenza ci si troverebbe nella impossibilità di garantire la pubblica amministrazione e quindi la stessa definizione delle volumetrie da assentire per la valutazione «dell'equilibrio economico-finanziario» della proposta stessa, che rischia di essere solo di privata utilità e quindi a favore del solo proponente ad esito dalla particolare procedura e interpretazione della norma fatta dal comune di Roma, vista la vaghezza degli elementi compensativi, della loro fattibilità e quindi delle volumetrie assentite e stime connesse. Considerato che le volumetrie appaiono sproporzionate non solo all'opera stadio, come evidenziato peraltro da altre iniziative del genere sul territorio nazionale, ma anche rispetto alle opere pubbliche considerate complementari per le quali peraltro a conoscenza dell'interrogante mancano i progetti definitivi, e alcune delle quali irrealizzabili sarebbe opportuno rivedere l'intera procedura di pubblica utilità. Per evitare appunto un differenziale troppo a vantaggio dei soggetti privati;
   inoltre, appare all'interrogante scarsamente motivata la scelta del comune di Roma di collocare tale previsione di nuove volumetrie di circa 1.000.000 di metri cubi in un'area non destinata a Centralità dal Piano Regolatore da poco approvato, che peraltro ne prevede altre ancora non realizzate e quindi non si spiega e non è evidenziato nella delibera di pubblica utilità la motivazione per cui il comune abbia voluto collocare in deroga allo strumento di pianificazione generale su un'area a verde particolarmente delicata da un punto di vista ambientale. Infatti per quanto attiene la sistemazione idraulica l'intera proposta è totalmente carente. Per il fosso di Vallerano, essa non presenta nessuna possibilità d'indicazione specifica né tantomeno di stima. L'area, è situata nell'ansa del Tevere, ed è classificata nel piano stralcio n. 5, del piano assetto idrogeologico della regione Lazio come area di esondazione, «a rischio idraulico per esondazione del fosso di Vallerano, e rischio idraulico potenziale per deflusso e accumulo idrico di tipo meteorico», così come già dichiarato dal Governo, nonché direttamente interessata da vincoli paesaggistici volti al mantenimento e alla conservazione di paesaggi naturali e da altri vincoli di inedificabilità assoluta, con elevato consumo di suolo, destinato a produrre un forte impatto, con gravissima alterazione dell'equilibrio idrologico in una zona già più volte interessata da eventi alluvionali e per la quale occorrerebbe verificare se l'intervento proposto risponda alle norme di cui ai commi 304 e 305 della legge 27 dicembre 2013, n. 147;
   tale procedura non essendo sicuramente ordinaria sarebbe in contrasto con le leggi vigenti, la prassi e il testo unico degli enti locali ove il commissario di Governo, considerata la chiusura anticipata della consiliatura sopraggiunta con le dimissioni del sindaco di Roma, volesse proseguire l’iter amministrativo di tale proposta;
   occorrerebbe chiarire se il complesso delle volumetrie previste sia strettamente funzionale alla fruibilità dell'impianto e al raggiungimento del complessivo equilibrio economico-finanziario dell'iniziativa e se per la realizzazione del nuovo stadio della AS Roma siano state valutate preventivamente interventi di recupero d'impianti già esistenti nella Capitale o la localizzazione in aree già edificate e compatibili con la realizzazione di un nuovo stadio e in caso affermativo, con quali risultanze, così come previsto dalla legge;
   sarebbe auspicabile che l'ANAC proceda alle opportune verifiche sui fatti descritti in premessa –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza si intendano adottare con riferimento alle criticità sopra esposte, anche in considerazione della nomina del Commissario di Governo per Roma Capitale;
   se le procedure seguite per l'intervento denominato «stadio della Roma-Tor di Valle» rispondano alle disposizioni di cui ai commi 304 e 305 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ovvero alla legge urbanistica del 1942, all'articolo 17 della legge n. 133 del 2014, detta «Sblocca Italia» al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010 e più in generale alla normativa vigente;
   se non sia configurabile una mancanza di compatibilità del progetto con la Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014;
   se, considerato il fatto che tale proposta andrebbe a ricadere in una zona golenale del fiume Tevere definita dalle stesse dichiarazioni del Governo, in sede di Commissione VIII in risposta ad altra interrogazione, ad alto rischio idrogeologico, siano quindi coerenti e compatibili con tali configurazioni dell'area in cui ricadrebbero le volumetrie compensative ad altissimo carico urbanistico previste dalla proposta, di fatto non connesse alla realizzazione dello stadio da un punto di vista della norma di cui in premessa e delle normative ambientali. (4-10959)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa riportata in data 13 ottobre 2015 dal quotidiano La Stampa sulla versione consultabile online si apprende che l'opera di Amedeo Modigliani conosciuta come «Nu Couché», oppure «Nudo Rosso» o «Nudo Sdraiato» (1917), uno dei capolavori assoluti del pittore livornese, sarà messo in vendita dalla casa d'aste Christie's il 9 novembre 2015 a New York, in occasione della evening sale dal titolo «The Artist's Muse», ad un prezzo base di 100 milioni di dollari;
   il «Nu Couché» di Modigliani risulta attualmente parte della collezione Gianni Mattioli, ereditata alla morte del collezionista milanese dalla figlia Laura Mattioli, la quale avrebbe deciso di affidarla per la vendita alla casa d'aste Christie's;
   secondo quanto disposto ai commi 1 e 2 dell'articolo 2 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, concernente il «Codice dei beni culturali e del paesaggio», «il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici» e si considerano beni culturali «le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà»;
   inoltre, previa denuncia di trasferimento di proprietà o di detenzione di beni culturali al Ministero, l'articolo 60 del succitato decreto stabilisce in materia di «Acquisto in via di prelazione» che «il Ministero o, nel caso previsto dall'articolo 62, comma 3, la regione o l'altro ente pubblico territoriale interessato, hanno facoltà di acquistare in via di prelazione i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione»;
   il «Nu Couché» di Modigliani, realizzato nel 1917 dall'artista livornese per Léopold Zborowski, rappresenterebbe un bene culturale di grande valore, se si considera la presenza di elementi di carattere antropologico, e se si riconosce la testimonianza fornita dall'opera circa gli usi e i costumi della società europea del primo ventennio del XX secolo, così come dimostrò il suo ritiro, insieme ad altri nudi di Modigliani dalla mostra organizzata nel 1917 nella galleria Weill di Parigi, presumibilmente a causa del grado di seduzione espresso dalla posizione languida della figura femminile ritratta;
   da uno scambio telematico con la Reggente della Pinacoteca di Brera (Soprintendenza BAeP Milano), si apprende che prima di approdare alla casa d'aste Christie's, il dipinto in questione è stato portato via dall'Italia in data imprecisata, ma comunque prima dello scadere dei cinquanta anni previsti dall'allora vigente legge 1o giugno 1939, n. 1089, riguardante la «Tutela delle cose di, interesse artistico e storico»;
   dalla sopracitata corrispondenza si evince, inoltre, che dopo una temporanea importazione in Italia nel gennaio 1967, l'opera è stata definitivamente esportata in data 16 gennaio 1987;
   la scheda informativa relativa al «Nu Couché» di Modigliani contenuta nella pagina web del sito www.christies.com riporta che, a partire dal 1987, il dipinto è stato custodito in Svizzera dagli attuali proprietari;
   l'eventuale vendita del dipinto in questione, all'asta tenuta da Christie's il 9 novembre 2015 costituirebbe una gravissima perdita per il patrimonio artistico e culturale italiano. Lo stesso prezzo d'asta di 100 milioni di dollari attesta l'immensità del valore intrinseco del «Nu Couché» di Modigliani;
   pur essendo attualmente custodito al di fuori del territorio nazionale, poiché decaduto il legame territoriale che vincola un bene culturale alla nazione in cui è conservato, sarebbe opportuno che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo valutasse la possibilità di esercitare il diritto di prelazione su un'opera realizzata da Modigliani, uno dei maggiori artisti italiani del secolo passato, sulla base non solo dell'importanza economica del dipinto, ma soprattutto del suo inestimabile valore storico, artistico, culturale ed educativo per la cittadinanza italiana –:
   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno intervenire al fine di chiarire le dinamiche che hanno portato all'esportazione di un dipinto così importante al di fuori del nostro Paese e di verificare se ciò sia eventualmente avvenuto in conformità alle disposizioni normative che regolano tale atto;
   se non ritenga indispensabile assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di impedire la vendita dell'opera o di esercitare, qualora possibile, il diritto di prelazione;
   se, qualora non fosse possibile esercitare il diritto di prelazione sul «Nu Couché» come bene culturale, non consideri la possibilità di acquistare il dipinto con lo scopo di riportare in Italia uno dei capolavori del Modigliani, contribuendo in questo modo alla valorizzazione e all'arricchimento del patrimonio artistico e culturale italiano.
(2-01146) «Brescia, D'Uva».

Interrogazioni a risposta immediata:


   SBERNA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel Museo centrale del Risorgimento al Vittoriano si può ripercorrere la storia delle trasformazioni politiche, sociali ed economiche che hanno caratterizzato l'Italia nei secoli XVIII, XIX e XX attraverso la testimonianza costituita da documenti cartacei (lettere, diari, manoscritti di opere), quadri, sculture, disegni, incisioni, stampe, armi, che, rievocando fatti e protagonisti di questo importante periodo della storia del nostro Paese, formano un grande archivio della memoria del Risorgimento;
   al suo interno, in occasione del 150o anniversario dell'Unità d'Italia, è stata allestita una mostra sulla storia d'Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra 1848-1918. C’è la sezione dedicata alle cinque giornate di Milano del 1848 con lettere, disegni satirici e quadri del secolo scorso che ricordano il sacrificio dei milanesi. C’è la bacheca in cui si parla della nascita della Repubblica di Venezia e quella relativa alla prima guerra d'indipendenza con Carlo Alberto. Inoltre, arrivando al 1848, per commemorare le gesta di chi ha sacrificato la propria vita in nome dell'Unità d'Italia, c’è un'ampia sezione riservata alla Repubblica romana con la bandiera di Giuseppe Garibaldi, quadri, lettere ed antichità che celebrano la battaglia nella capitale;
   non c’è invece nessun riferimento alla città di Brescia, che proprio durante la dominazione asburgica insorse in una rivolta popolare, guidata da un comitato di pubblica difesa, contro gli austriaci. Trentacinquemila bresciani hanno il merito di aver resistito per dieci giorni, dal 23 marzo al 1o aprile 1849 alle truppe del generale Haynau, con grande fierezza e coraggio tale da far meritare alla città il titolo di «Leonessa d'Italia». Le condizioni della resa imposte furono durissime, tanto da costare la vita a molti bresciani; eppure in una mostra dedicata al Risorgimento italiano e allestita all'interno del complesso Vittoriano di piazza Venezia a Roma – in un monumento nazionale quindi – non ci sono dipinti, né disegni, né targhe, né altro riferimento che possa dare testimonianza anche della tenace resistenza dei bresciani e del sacrificio di molte vite per l'Unità d'Italia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso che in una mostra di un museo nazionale si ricordi anche l'episodio delle dieci giornate di Brescia, adottando ogni iniziativa di competenza perché i curatori della mostra dopo quattro anni dalla sua inaugurazione si impegnino ad adeguare il percorso rievocativo alla realtà storica, inserendo anche documenti relativi alle dieci giornate suddette. (3-01809)


   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Colosseo rappresenta un bene culturale di valore inestimabile per la città di Roma e l'Italia intera, simbolo di una storia millenaria e fonte di attrazione turistica paragonabile in Italia per numero di visitatori solo ai Musei vaticani e all'estero a musei d'arte come il Metropolitan museum of art di New York e la National gallery di Londra;
   secondo la rilevazione della direzione generale bilancio-servizio III-ufficio di statistica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel 2014 i visitatori del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino» sono stati 6.181.702, con un introito complessivo di euro 41.440.839,00 euro, al lordo dell'aggio spettante al concessionario del servizio di biglietteria;
   il costo del biglietto combinato Colosseo, Foro romano e Palatino, valido per un ingresso nei due siti per 2 giorni, è pari a 12 euro se intero e 7,5 euro se ridotto. Questi prezzi non si applicano ad alcune categorie di visitatori, che sono esentati dal pagamento del biglietto, mentre maggiorazioni sono previste in caso di acquisto del biglietto on line o in via telefonica (2 euro quale diritto di prevendita) e in caso di acquisto da parte di gruppi o scuole (costi di prenotazione aggiuntivi che vanno da 28 euro per i gruppi a 15 euro per le scuole);
   se si guarda al rapporto tra il totale degli introiti dei biglietti al lordo dell'aggio e il numero dei visitatori, si può riscontrare che l'incasso medio lordo per ciascun biglietto è di 6,7 euro, una cifra inferiore al prezzo del biglietto ridotto di 7,5 euro;
   la gestione del servizio biglietteria del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino» è affidata fin dal 1997 in concessione a un'associazione temporanea di imprese, di cui fa parte CoopCulture, società il cui fatturato risulta in costante crescita;
   sempre secondo la rilevazione della direzione generale bilancio-servizio III-ufficio di statistica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel campo dei cosiddetti servizi aggiuntivi forniti da vari soggetti (audioguide, bookshop e vendita di gadget, prenotazioni/prevendite e visite guidate) gli incassi per il 2014 sono stati pari a circa euro 11 milioni, per un totale di circa 3,5 milioni di clienti. Di tale somma, è stata riconosciuta alla soprintendenza una quota pari a 1.327.719,53 euro (12 per cento del totale). CoopCulture, nei rapporti di sostenibilità 2013 e 2014, ha dichiarato di aver generato 1,1 euro di ricavi aggiuntivi nei servizi al pubblico per ogni 0,90 euro incassati in biglietteria;
   in particolare, sempre nel 2014 a fronte di un incasso di 3 milioni di euro dal servizio prenotazione/prevendita – iscritto tra i servizi aggiuntivi forniti da soggetti esterni – la quota appannaggio della soprintendenza è stata pari a circa 36.273,19 euro (poco più dell'1 per cento);
   la soprintendenza archeologica speciale di Roma per il Colosseo, oltre all'Altare della Patria, è tra i quaranta luoghi della cultura statali nel nostro Paese con concessioni di servizi aggiuntivi in regime di proroga, secondo l'elenco depositato in Commissione cultura, scienza e istruzione della Camera dei deputati dal Governo il 22 gennaio 2015;
   l'articolo 2, comma 5, del decreto ministeriale 11 dicembre 1997, n. 507, recante «Norme per l'istituzione del biglietto d'ingresso ai monumenti, musei, gallerie, scavi di antichità, parchi e giardini monumentali dello Stato», stabilisce che «le convenzioni stabiliscono il versamento da parte del concessionario di una parte degli incassi ricavati dalla vendita dei biglietti non inferiore al 70 per cento degli incassi medesimi. Il compenso spettante al concessionario non può essere superiore al 30 per cento degli incassi»;
   nell'esame di controllo preventivo di legittimità del decreto direttoriale n. 6 del 5 settembre 2013, con il quale il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Lazio ha approvato la proposta di un aumento del costo dei biglietti di accesso all'area Colosseo, Foro romano e Palatino, avanzata dalla sopraintendenza, la sezione regionale della Corte dei conti del Lazio, con deliberazione 278/2013/PREV, rilevava l'attribuzione all'Amministrazione e alla società affidataria del servizio di percentuali di entrate da prezzo dei biglietti opposte a quelle di legge (all'affidatario sarebbe spettato il 68,9 per cento, in violazione del tetto massimo del 30 per cento fissato dalla norma);
   la Corte dei conti rilevava, tra l'altro, che l'Amministrazione, anziché depositare la convenzione di biglietteria, aveva depositato l'atto di concessione in rinnovo dei servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico a favore della Mondadori Electa s.p.a. (allora Elemond s.p.a.) del 3 agosto 2001. Inoltre, veniva sottolineato che alla data del 2001 la Mondadori Electa, concessionaria dal 1997, godeva già di un rinnovo di quattro anni della concessione «per i servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico». Si era, dunque, arrivati a una durata di almeno 16 anni continuativi «con una serie continua di rinnovi e proroghe, in evidente violazione (...) dei principi comunitari in materia di libera concorrenza nel settore»;
   un'analoga situazione di concessione prolungata con proroghe e rinnovi fin dal 1997 si riscontra nel servizio di biglietteria, gestito da CoopCulture. Dai siti web del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e di CoopCulture, inoltre, non è possibile ottenere copia degli atti concessori e degli atti di rinnovo o proroga, né una sintesi del contenuto;
   il capitolo 2584, articolo 01, delle entrate, recante «entrate di pertinenza del Ministero dei beni e delle attività culturali – introiti derivanti dalla vendita di biglietti per l'accesso ai monumenti, musei, gallerie e scavi archeologici dello Stato» presenta, nel rendiconto del bilancio dello Stato relativo all'esercizio finanziario 2014, uno stanziamento di cassa di euro 17.790.000;
   dalle informazioni disponibili, non è possibile ricostruire quali siano gli incassi netti ottenuti dalla soprintendenza dalla vendita di biglietti del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino», che come detto ammontano (al lordo dell'aggio) a oltre 41 milioni di euro;
   per porre fine al regime delle proroghe delle concessioni dei servizi aggiuntivi nei luoghi della cultura, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha avviato una collaborazione con Consip su tre fronti. Il primo, il cui bando di gara è stato lanciato a fine luglio 2015, attiene ai «servizi gestionali». Il secondo riguarda il «servizio di biglietteria nazionale». Infine, il terzo assicurerà le gare per i «servizi culturali», come, ad esempio, noleggio audioguide, visite guidate, laboratori e didattica, spazi, eventi e mostre;
   anche ai fini delle suddette procedure di gara appare opportuno pubblicare sul sito della soprintendenza competente tutti gli atti che regolano dal 1997 in poi i rapporti esistenti con le società concessionarie dei servizi di biglietteria e dei servizi aggiuntivi. È poi essenziale conoscere l'effettivo ammontare degli introiti da biglietti del complesso del Colosseo e la ripartizione tra l'amministrazione e la concessionaria –:
   quale sia stato per l'anno 2014, in termini assoluti e percentuali, l'ammontare spettante alla soprintendenza rispetto al totale degli introiti ottenuti dalla vendita di biglietti del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino», pari a 41.440.839,00 euro. (3-01810)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Castello di Miramare ed i 22 ettari del Parco di pertinenza, edificati nel 1856 da Massimiliano d'Asburgo, fratello dell'Imperatore d'Austria, rappresentano la principale attrazione turistica di Trieste e meta tra le più visitate della regione Friuli Venezia Giulia;
   con il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, emanato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171 e il successivo decreto ministeriale del 23 dicembre 2014 di attuazione, l'organizzazione e il funzionamento dei musei statali sono stati ridefiniti;
   da un articolo del 30 ottobre 2015, pubblicato dal quotidiano Il Piccolo, si apprende che il Ministro interrogato, annunciando la nomina di 114 nuovi direttori dei musei statali non dirigenziali, selezionati tra il personale interno del Ministero, tra storici dell'arte, architetti e archeologi, abbia sostenuto che «Finalmente il nostro paese si è dotato di un sistema moderno e dinamico. I musei non sono più meri uffici delle Soprintendenze ma realtà a se stanti, capaci di gestire programmazione e risorse»;
   dall'articolo si apprende che, per il Castello ed il Parco di Miramare, sia stato scelto l'architetto Maurizio Anselmi, già responsabile del Parco e dei progetti di recupero e risistemazione dell'area verde, che, come più volte segnalato dall'interrogante con precedenti atti di sindacato ispettivo, versa in condizioni di abbandono e degrado da anni;
   secondo quanto riportato, il decreto di nomina del nuovo direttore di Miramare sarebbe stato firmato il 27 ottobre 2015 dal Direttore generale del Ministero, Architetto Ugo Soragni, già direttore regionale in Friuli Venezia Giulia e Veneto;
   inoltre, l'insediamento del nuovo direttore dovrebbe avvenire il 5 novembre 2015, data di avvicendamento con l'attuale direttore del Museo del Castello, la storica d'arte triestina Rossella Fabiani, che ha ricoperto il suo ruolo per 25 anni;
   il nuovo direttore, come riporta l'articolo, entrato in Soprintendenza negli anni ottanta, sarebbe stato rinviato a giudizio nel luglio 2015 in quanto coinvolto nell'ambito dell'inchiesta sull'assenteismo a carico di 31 dipendenti della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, con l'accusa di falso ideologico e truffa ai danni dello Stato;
   appare alquanto inopportuna la nomina del nuovo direttore del Castello e del Parco di Miramare, in considerazione del risultato della gestione attuale del Parco, ma soprattutto in quanto imputato in un procedimento giudiziario –:
   quali siano stati criteri di scelta dei nuovi direttori dei musei nazionali Italiani;
   se non ritenga lesivo per l'immagine delle istituzioni promuovere personale coinvolto in procedimenti giudiziari;
   se ritenga opportuno assumere iniziative per sospendere temporaneamente la nomina del nuovo direttore del Castello e Parco di Miramare in attesa della conclusione del procedimento giudiziario nei suoi confronti;
   quali progettualità intenda predisporre per il recupero del Parco di Miramare, sfruttando le numerose professionalità competenti in materia sul territorio triestino e regionale. (5-06847)

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Contando di Porta Eburnea è un'area a sei chilometri a sud ovest di Perugia, tra le valli dei fiumi Caina, Genna e Nestore di particolare bellezza ed importanza storica, intessuta di monasteri, torri, ville e piccoli borghi medioevali;
   per oltre mille anni il territorio è stato tutelato dalla speculazione edilizia ed è rimasto il naturale punto di passaggio tra la città e la campagna;
   negli ultimi decenni l'area ha però rischiato di essere inghiottita dal fenomeno della speculazione edilizie umbra che, nonostante le proteste di associazioni e cittadini, ne ha ridotto l'estensione da 110 km quadrati a poco più di 58 km quadrati;
   nel 2010, gli abitanti del Contando hanno chiesto al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di sottoporre l'area a vincolo, poiché di evidente e particolare interesse pubblico e storico, che ha dato l'avallo al vincolo solo nel maggio 2015;
   a seguito di tale pronunciamento la regione Umbria e il comune di Marsciano hanno però deciso di presentare un ricorso al TAR per annullare il vincolo poiché è stato valutato, secondo gli interroganti paradossalmente, troppo vincolante e, la giunta regionale umbra richiede addirittura di rimuovere il Soprintendente che si è occupato della gestione del vincolo;
   tra le motivazioni addotte da regione e comune di Marsciano c’è l'equazione tra cemento e lavoro, equazione smentita dagli stessi lavoratori umbri dell'edilizia che hanno diffuso un documento in cui affermano che dalla crisi del settore si può uscire limitando il consumo di territorio e puntando al recupero e alla difesa del territorio, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico e culturale, alla riqualificazione urbana, all'efficientamento energetico, alla messa in sicurezza delle scuole e di tutti gli edifici pubblici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e come intenda tutelare il patrimonio storico-artistico, culturale e paesaggistico del Contado di Porta Eburnea e dei suoi abitanti. (4-10935)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 10 gennaio 2001, la Commissione Difesa della Camera deliberava all'unanimità di svolgere un'indagine conoscitiva sulla prevenzione dei rischi e sulle condizioni di sicurezza dei militari italiani impegnati nei Balcani;
   il 23 novembre 2007 è stato costituito un apposito organismo di ricerca, denominato «Comitato per la prevenzione e il controllo delle malattie del Ministero della difesa»;
   un aumento significativo dei linfomi di Hodgkin fra i militari italiani che avevano operato nei Balcani era già stato evidenziato nell'inchiesta condotta dalla cosiddetta «Commissione Mandelli», istituita dal Ministero della difesa nel 2000 e che ha operato fino al 2002;
   la relazione del 12 febbraio 2008 al presidente del Senato sulle risultanze della commissione parlamentare d'inchiesta, istituita con deliberazione del Senato dell'11 ottobre 2006, conclude: «Si ritiene pertanto che sussistano gli elementi previsti dalle disposizioni vigenti per l'accesso alle diverse forme di assistenza e di indennizzo previste dalle disposizioni vigenti (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione)»;
   la relazione specifica: «Al tempo stesso, vista la obiettiva sussistenza di fenomeni morbosi anche in riferimento alla operatività di altre concause, legate in tutto o in parte ai contesti fortemente degradati ed inquinati dei teatri operativi in cui ha operato il personale militare italiano, ritiene che il verificarsi dell'evento costituisca di per sé elemento sufficiente (criterio di probabilità) a determinare il diritto per le vittime delle patologie e per i loro familiari al ricorso agli strumenti indennitari previsti dalla legislazione vigente (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione) in tutti quei casi in cui l'Amministrazione militare non sia in grado di escludere un nesso di causalità»;
   la commissione parlamentare d'inchiesta costituita con la deliberazione del Senato del 16 marzo 2010 prosegue un lavoro di indagine avviato sin dalla XIII legislatura;
   nella relazione della commissione parlamentare d'inchiesta, approvata nella seduta del Senato del 9 gennaio 2013 si legge: «La difficoltà a pervenire ad una certa e inoppugnabile evidenza scientifica dell'esistenza di un rapporto causa-effetto tra fattori esaminati e malattie appare peraltro accompagnata dalla medesima difficoltà ad affermare, in maniera scientificamente altrettanto certa e inoppugnabile, la insussistenza di relazioni tra cause potenziali di malattia e malattie stesse. La Commissione ritiene che si debba considerare il fatto che le attuali conoscenze scientifiche non consentono di affermare con certezza il ruolo causale dei fattori di malattia esaminati rispetto agli effetti denunciati ma, allo stesso tempo, non consentono di escludere che una concomitante e interagente azione dei fattori potenzialmente nocivi possa essere alla base delle patologie e dei decessi osservati. Alla luce di queste considerazioni la Commissione ritiene che il verificarsi di situazioni caratterizzate dall'esposizione a uno o più dei diversi fattori potenzialmente nocivi sopra elencati, nel caso in cui risultino associati all'insorgenza di malattie, in specie tumorali, non altrimenti motivabili, debba orientare le valutazioni mediche e medico-legali nel senso che queste ultime considerino «altamente probabile» una correlazione effettiva tra il contesto specifico caratterizzato da una multifattorialità di fattori eziologici e quadri clinici diagnosticati»;
   S.A.F. è stato un caporal maggiore dell'esercito, in congedo assoluto dal 2007 per la rottura di un legamento crociato del ginocchio. Ha prestato servizio presso il 7o Rgt Difesa NBC «Cremona» in Civitavecchia con la qualifica di Specializzato NBC;
   dal luglio 2005 al gennaio 2006 è stato in missione in Kosovo nel plotone NBC, in particolare della squadra di rilevazione (chimico/radiologica);
   le attività riguardavano soprattutto controlli nelle base italiane, nelle fabbriche dismesse, molte volte distrutte dai bombardamenti, e nella formazione del personale italiano e kosovaro per quanto riguarda la materia NBC;
   il controllo radiologico avveniva con la strumentazione in dotazione: ANPDR/77, con il collegamento di due sonde una per le radiazioni beta, gamma e raggi x e un'altra per le radiazioni alfa. Dal punto di vista radiologico le radiazioni alfa sono le meno penetranti ma anche le più ionizzanti, ed è proprio questo aspetto a renderle pericolose per la salute;
   tra le attività di controllo radiologico vi era anche quello di controllare una volta al mese, da parte del personale, un container che si trovava all'interno di Villaggio Italia in Pec. All'interno vi erano proiettili di uranio impoverito che erano stati ritrovati dai soldati italiani. I proiettili – secondo le ricostruzioni e la documentazione fotografica – erano contenuti all'interno di scatole di ferro o piombo con della sabbia, i contenitori erano poi isolati da sacche di sabbia. Il personale controllava la manutenzione del container e se vi fossero fuoriuscite radioattive entrando fisicamente all'interno;
   secondo le ricostruzioni e le testimonianze, le attività radiologiche venivano effettuate con una tuta Tyvec ed una mascherina antipolvere. Una volta terminate le operazioni la tuta veniva messa in un normale sacchetto e poi gettata. Infatti era impegnata solo la squadra rilevazione senza squadra bonifica;
   S.A.F. una volta rientrato dalla missione in Kosovo, si è sottoposto alle analisi che il protocollo Mandelli suggerisce, dapprima in caserma, dopo il congedo invece a spese proprie, con una ecografia alla tiroide;
   nel gennaio del 2010 gli esami effettuati hanno riscontrato un nodulo alla tiroide di circa 3.5 centimetri;
   nel luglio 2010 è stato operato con l'asportazione di tutta la tiroide. Il referto della biopsia, datato ottobre 2010 cita: carcinoma follicolare minimante invasivo del lobo sx della tiroide di centimetri 5. A novembre del 2010 ha eseguito la terapia radiometabolica con Iodio 131 e la scintigrafia totalbody per la ricerca di metastasi ed è da allora è stato sottoposto periodicamente a controllo;
   gli viene riconosciuto solo il 15 per cento di invalidità, a seguito di analisi non approfondite da parte della Cmo di Palermo, ritrovandosi così a non avere scrivibilità per la pensione privilegiata ed equo indennizzo;
   successivamente viene intervistato dal programma televisivo Striscia la Notizia. È la prima volta che in Italia che si dimostra la presenza di uranio all'interno del Villaggio Italia;
   dalla documentazione fotografica emerge che il personale militare impegnato nel controllo radiologico è entrato all'interno del container, a contatto diretto con i proiettili e con dispositivi di sicurezza personali insufficienti;
   a novembre, appena un mese dopo l'uscita del servizio televisivo, la commissione di verifica per le cause di servizio emette un decreto sulla dipendenza di causa di servizio della patologia. A dicembre dello stesso anno viene pagata la speciale elargizione per un importo che prende in considerazione il 15 per cento di invalidità;
   S.A.F. presenta ricorso al TAR per la percentuale di invalidità e si sottopone a visite da parte di un medico legale della ASL di appartenenza. Quest'ultima riconosce il 74 per cento di invalidità;
   a luglio del 2013 viene notificato all'ex caporal maggiore un decreto di pensione privilegiata negativo in quanto la CMO di Palermo non ha dato scrivibilità;
   pur essendo stata stabilita la causa di servizio non è stata riconosciuta a S.A.F. dallo Stato assistenza sanitaria, morale ed economica;
   l'osservatorio conta oltre 3600 casi e 381 decessi su cui l'amministrazione della difesa non ha mai risposto;
   la magistratura ha emesso 17 sentenze di condanna in primo grado per l'amministrazione della difesa, di queste 3 passate in giudicato e le altre tutte appellate dall'amministrazione –:
   se i fatti esposti in premessa corrispondano a verità;
   se il personale impiegato nell'area fosse a conoscenza e adeguatamente informato sulla presenza di un container contenente proiettili con uranio impoverito all'interno del Villaggio Italia;
   se le bonifiche e i dispositivi di protezione individuale fossero sufficienti e funzionali riguardo l'uranio impoverito o se riguardassero esclusivamente i rischi chimici e biologici;
   se siano stati conservati e analizzati i dosimetri che il personale militare impegnato nelle operazioni porta per sei mesi;
   se i dosimetri riescano a misurare le radiazioni alfa o se invece sia considerata sufficiente la divisa a schermare questa tipologia di radiazione;
   se siano stati stuccati i filtri dei mezzi che escono in ricognizione;
   se non ritenga il «protocollo Mandelli» ormai superato ed insufficiente, non esaminando il fattore scatenante delle patologie, legate all'aspetto radiologico e alle polveri sviluppate ed in sospensione;
   se sia intenzione integrare il «protocollo Mandelli» con l'utilizzo di ecografie per accertare la presenza di noduli;
   se non ritenga necessario concludere i procedimenti legali in corso, attraverso un accordo tra le parti. (4-10932)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 7 e l'8 ottobre 2015 a Trieste il Ministero della difesa ha tentato di sfrattare un ex luogotenente dell'Esercito in pensione e la moglie invalida al cento per cento, da un edificio di proprietà demaniale nel quale risiedono da trentasei anni, pagando regolarmente l'affitto;
   il tentativo di sfratto, inspiegabilmente avvenuto con un ingente dispiegamento di uomini e mezzi, traeva origine dalla mancata trasmissione ai competenti uffici del Ministero del ricorso presentato dallo stesso pensionato avverso la procedura di alienazione dell'immobile e finalizzato ad ottenere una proroga delle procedure;
   solo in seguito alle proteste dell'ex militare supportato da altri familiari e conoscenti e all'intervento diretto del Ministro della difesa è stata disposta la sospensione del provvedimento in attesa di ulteriori approfondimenti sulla pratica;
   numerose norme intervenute negli anni per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali hanno posto, il principio della salvaguardia dei soggetti con invalidità superiore al 66 per cento dalle procedure esecutive di rilascio degli immobili –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di garantire la correttezza delle procedure di rilascio forzoso degli immobili e per adeguare le vigenti normative riconoscendo una maggiore tutela dei soggetti anziani o invalidi.
(4-10947)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   è notizia recente che l'amministratore delegato di Poste Italiane Francesco Caio, avendo depositato nel mese di settembre 2015 domanda di ammissione per la quotazione, con contestuale richiesta a CONSOB di autorizzazione del prospetto informativo, ha lasciato nel mese di ottobre l'offerta di azioni di Poste Italiane per la quotazione in borsa, preparando così il debutto a Piazza Affari nei primi giorni di novembre. Secondo stime accreditate, il valore complessivo del gruppo Poste Italiane si aggira tra i 6 e gli 11 miliardi di euro e sul mercato pare arriverà fino al 40 per cento del capitale per un valore complessivo compreso tra i 2,4 e i 4,4 miliardi di euro direttamente nelle casse dello Stato. Il gruppo Poste Italiane ha chiuso l'esercizio 2014 con un fatturato di oltre 29 miliardi di pro, in crescita rispetto ai 26 miliardi del 2013. Essendosi però l'utile netto ridotto in un anno di circa il 79 per cento passando da più di 1 miliardo di euro a 212 milioni, lo stesso amministratore delegato nei mesi scorsi avrebbe ipotizzato un piano di ristrutturazione che, per non far perdere redditività al gruppo, prevedrebbe una serie di restrizioni tra cui l'aumento delle tariffe, la consegna della corrispondenza a giorni alterni sul 25 per cento del territorio nazionale, la soppressione di 455 piccoli sportelli, un taglio al personale per 3.500 unità sfruttando anche pensionamenti e prepensionamenti. Giova ricordare però che Poste Italiane rappresenta un unicum nel panorama economico nazionale: un'infrastruttura sociale e amministrativa che assicura il servizio postale universale, il principale gruppo logistico italiano, gruppo di servizi di gestione del risparmio e assicurativi nonché servizi universali di pagamento a cittadini e imprese. Spesso, inoltre, costituisce sportello della pubblica amministrazione, e di frequente in molte località, l'unico, così come rilevantissimo risulta essere il patrimonio immobiliare e tecnologico accumulato. La quotazione in borsa potrebbe portare alla riduzione dei servizi nelle zone rurali e marginali favorendone lo spopolamento o un consistente aumento dei prezzi dei servizi –:
   quale contributo concreto intenda dare il Ministro e quali specifici impegni abbia deciso di intraprendere alla luce di tali considerazioni, per scongiurare i rischi sopracitati insopportabili per un'economia già molto provata quale quella italiana.
(2-01142) «Valiante, Borghi, Bonomo, Luciano Agostini, Arlotti, Carra, Ciprini, Ciracì, Cuomo, D'Attorre, De Menech, Famiglietti, Fauttilli, Fioroni, Giancarlo Giordano, Gribaudo, Tino Iannuzzi, Manfredi, Marchetti, Marguerettaz, Misiani, Narduolo, Fitzgerald Nissoli, Paris, Pastorelli, Preziosi, Romanini, Rubinato, Sgambato, Valeria Valente».

Interrogazione a risposta orale:


   QUARANTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2015 è stata discussa in Commissione finanze l'interrogazione del 5 maggio 2015 dove si chiedeva al Ministro interrogato di rendere più stringenti i requisiti per chi acquista azioni bancarie. L'interrogante faceva in particolare riferimento alla situazione di Volpi, salito al 5,1 per cento in Carige, nonostante sia indagato dalla Consob americana;
   all'interrogazione ha risposto il sottosegretario Pier Paolo Baretta che ha fatto riferimento al futuro decreto ministeriale che darà applicazione al decreto legislativo 72 del 2015 in materia di individuazione di requisiti per potere acquisire azioni bancarie, dichiarando che, oltre all'onorabilità, saranno inseriti anche i criteri di competenza e correttezza;
   nel nuovo regolamento si dovrebbe leggere tra l'altro che chi acquista azioni bancarie, secondo i nuovi criteri di correttezza, dovrà presentare un profilo di affidabilità, sia rispetto alle sue relazioni di affari, sia rispetto ai rapporti con autorità di vigilanza;
   l'interrogante ritiene che sarebbe molto pertinente, visto il tema particolarmente sensibile, che nel definire il criterio si tenesse conto delle condotte attuate anche all'estero, incluse le relazioni con autorità di vigilanza di altri Paesi, si pensi ad esempio a quella americana o a quella canadese;
   i nuovi requisiti, incluso quello di correttezza, saranno operativi con l'entrata in vigore delle modifiche regolamentari adottate dal Ministro. Il venir meno o la mancanza di uno dei requisiti anche dopo l'acquisto di azioni potrebbero portare al congelamento del diritto di voto dell'azionista;
   il Consiglio di amministrazione di Banca Carige verrà formalizzato nei prossimi mesi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attivarsi, per quanto di competenza, con la massima urgenza per applicare la nuova normativa del 12 maggio 2015 che modifica appunto alcune parti del decreto legislativo n. 385 del 1993 e rendere così operativi i nuovi termini, scelta che andrebbe certamente a favorire il bene della collettività e garantirebbe una giusta applicazione della legge per quanto riguarda il sistema bancario. (3-01805)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIMBRO, MONACO, GASPARINI e PELUFFO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate, nell'ambito del vasto programma di revisione della spesa intrapreso, su impulso governativo, ai sensi dell'articolo 23-quinquies del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha recentemente provveduto alla ridefinizione della propria pianta organica e al riassetto degli uffici territoriali dislocati sul territorio nazionale;
   tale piano di razionalizzazione prevederebbe la chiusura di circa cinquanta sedi territoriali, tra cui quella di Legnano, dove attualmente operano trentanove addetti, che servono una media giornaliera di 150 utenti. Nel corso del 2014 le utenze servite sono state circa trentamila;
   le ragioni di tali importanti dati numerici risiedono nella marcata specificità del territorio del Legnanese e dell'Alto Milanese nella quale l'ufficio opera: territorio fortemente caratterizzato da imprese, terziario avanzato e professionisti; un unicum nella vasta area della Città Metropolitana di Milano;
   l'agglomerato urbano di Legnano è altresì estremamente e densamente abitato: sul suo territorio vivono circa 185.000 abitanti, per una superficie di circa 100 km quadrati; la densità di popolazione, va da sé, è molto alta, sfiorando i 1.850 abitanti per chilometro quadrato. I contribuenti interessati dalla chiusura della sede legnanese sono quindi quasi 166 mila;
   lo spostamento verso altre sedi territoriali comporterà per i molti utenti dell'area interessata numerosi disagi, un evidente aggravio di costi, nonché un'inopportuna perdita di tempo che verrebbe sottratto alla propria attività lavorativa;
   l'operatività degli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate incoraggia comportamenti fiscali corretti, facilitando l'instaurazione di un rapporto diretto fra l'amministrazione e i cittadini, certamente favorita dalla garanzia per l'utente di un facile accesso alle sedi territoriali; al riguardo, la presenza fisica degli uffici non può essere adeguatamente compensata dai servizi telematici, almeno fino a che la diffusione degli strumenti digitali e delle conoscenze informatiche dei cittadini non risultino adeguate;
   il buon funzionamento degli uffici territoriali dell'Agenzia delle entrate consente altresì di eseguire controlli più capillari nel territorio per il contrasto di fenomeni evasivi ed elusivi; in tal senso, la lotta all'evasione fiscale richiede non il ridimensionamento delle strutture ma, al contrario, il potenziamento dei presìdi più produttivi –:
   se il Ministro interrogato intenda avviare un riesame dell'annunciata decisione di chiusura della sede territoriale di Legnano, tenuto conto dell'ampio bacino d'utenza e delle specificità del territorio dove attualmente opera tale ufficio, e quali ulteriori iniziative intenda assumere per continuare a garantire la corretta operatività dell'Agenzia delle entrate nei territori interessati. (5-06850)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 27 ottobre 2015 Riccardo Casale, amministratore delegato della Sogin spa, la società responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, dopo soli due anni di attività, ha rassegnato le dimissioni dal suo incarico con una lettera indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze ed al Ministro dello sviluppo economico;
   nella lettera l'ex amministratore delegato della Sogin ha messo in evidenza una situazione allo sbando all'interno della governance della società, tra inerzia operativa, riduzione dei fondi e ritardi che hanno compromesso l'andamento delle attività e il raggiungimento degli obiettivi previsti;
   nello specifico, Casale parla di «gravi problemi» imputati all'inerzia dei vertici dell'azienda, affermando che «i verbali attendono da quasi quattro mesi di essere approvati, il consiglio non viene convocato da quattro mesi e le opere soggette a prescrizione Via non vengono deliberate con il rischio di illeciti penali, e ormai si è fuori tempo massimo per l'approvazione del piano quadriennale»;
   in particolare, nella lettera si legge che lo stato di inerzia dell'operatività della Sogin è determinato dalla presenza di un consiglio di amministrazione «sfiancato da interminabili e sterili polemiche instillate irresponsabilmente da chi lo presiede», in quanto si «attarda sempre più su questioni di micromanagement, mentre manca di visione e non è più in grado di deliberare con la necessaria serenità»;
   le dimissioni di Riccardo Casale appaiono come l'ultimo atto di un amministratore delegato che, in precedenti occasioni, aveva denunciato anche in Parlamento la difficile situazione venutasi a creare a causa della governance della Sogin;
   nello specifico, l'11 novembre 2014, l'allora amministratore delegato della Sogin, durante un'audizione presso la Commissione 10o del Senato riferì sul doppio ridimensionamento del piano industriale quadriennale dell'azienda approvato dal Governo. In particolare, secondo Casale, il primo ridimensionamento del dicembre 2013, attuato dalla precedente amministrazione, aveva comportato un taglio di circa 130 milioni di euro alle attività di decommissioning previste per quel periodo e che tale scelta non era stata, a suo avviso, approfondita a sufficienza da parte del consiglio di amministrazione;
   successivamente, nell'ottobre 2014, il consiglio di amministrazione approvò su proposta dell'amministratore delegato una seconda rimodulazione del piano quadriennale, riducendo le attività di decommissioning per il solo triennio 2015-2017 di ulteriori 120 milioni di euro. Ciò ha comportato per gli anni 2015 e 2016 la riduzione rispettivamente del 42 per cento (da 137 a 80 milioni) e del 37 per cento (da 161 a 102 milioni), rispetto a quanto prospettato solo 10 mesi prima;
   dalla relazione di Casale durante l'audizione informale al Senato si evince, quindi, che sommando i tagli del dicembre 2013 con quelli dell'ottobre 2014 la riduzione dell'attività di decommissioning sul quadriennio 2014-2017 ammonta a ben 250 milioni di euro. Dinanzi a tali evidenze Casale a riferito, nella sua qualità di responsabile della gestione, di aver preso atto dei gravi ritardi nell'avanzamento dei progetti solo dopo le ferie estive e che la causa dei ritardi registrati nell'autunno 2014 era da addebitare alla «mentalità da esercente di centrali nucleari» del personale Sogin;
   inoltre, Casale ha evidenziato come il piano revisionato e adottato nell'ottobre 2014 mostra che, in media sul quadriennio, il valore delle attività di decommissioning è pari a circa 100 milioni di euro, con un potenziale ritardo di 14 mesi nel completamento del decommissioning degli otto siti;
   considerando i costi di manutenzione e di mantenimento in sicurezza dei siti (oltre 70 milioni l'anno) e i costi generali di struttura (circa 45 milioni, sempre su base annua), il ritardo di 14 mesi comporta un costo aggiuntivo di circa 150 milioni di euro, che viene automaticamente scaricato sulla bolletta elettrica dei cittadini. Un tale costo che equivale al 10 per cento del risparmio sul a bolletta elettrica delle piccole e medie imprese che il Governo ha promosso con il «decreto competitività» per il 2015;
   Casale accusa direttamente il presidente Zollino, e in parte anche gli altri membri del consiglio di amministrazione, con il quale da tempo porta avanti una difficile convivenza che da qualche anno ha pregiudicato l'operatività e la funzionalità della società responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, affermando che l'attuale governance societaria è profondamente inadatta e dovrà essere ripensata per creare una nuova Sogin che possa portare a compimento gli obiettivi ad essa assegnati;
   dal mese di agosto 2015 i Ministeri competenti avrebbero dovuto concedere a Sogin il nulla osta per la pubblicazione della carta nazionale per le aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale di rifiuti nucleari e l'apertura della fase di consultazione con i territori interessati –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano intrapreso nel corso degli ultimi mesi per eliminare gli ostacoli che hanno determinato uno stallo nell'attività della Sogin e nella sua operatività, e se non ritengano opportuno, alla luce dei fatti descritti in premessa, assumere iniziative per definire una nuova governance che sia in grado di recuperare i ritardi, altrimenti onerosi per i consumatori, e di attuare gli obiettivi industriali nei tempi previsti;
   quali iniziative di competenza i Ministri intendano intraprendere per accertare le responsabilità di coloro che all'interno del consiglio di amministrazione della Sogin hanno messo in pericolo la funzione della stessa, considerato il delicato compito a cui la società è preposta per la tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente. (5-06851)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   la carcerazione preventiva è una delle misure cautelari previste dal nostro ordinamento come garanzia per il funzionamento della giustizia; la sua applicazione permette il regolare svolgimento del processo, proteggendolo da pericoli provenienti dall'indagato. Per espressa previsione del codice di procedura penale, il ricorso allo strumento della custodia cautelare è da considerarsi extrema ratio, azionabile soltanto laddove ogni altra misura appaia inadeguata. Inteso in questo modo è sicuramente un aiuto efficace e, in molti casi, indispensabile per poter assicurare i colpevoli alla giustizia;
   troppo spesso, però, si ricorre alla carcerazione preventiva in mancanza di reali esigenze cautelari e senza rispettare il criterio dell'assoluta indispensabilità. Come risultato di questa tendenza, le carceri italiane sono stracolme di detenuti in attesa di una condanna definitiva (circa il 35 per cento del totale), e ciò è sbagliato sostanzialmente per due motivi: in primo luogo perché si dimenticano spesso misure alternative e più lievi della custodia cautelare in carcere, che alleggerirebbero l'onere gravante sugli istituti penitenziari; poi, soprattutto, perché la misura dovrebbe essere applicata in istituti appositi, in cui i soggetti sottoposti a custodia cautelare fossero ristretti separatamente dagli altri detenuti. Questo, per problemi di spazio, molto spesso non accade;
   emerge, dunque, una stretta connessione tra il sovraffollamento degli istituti di detenzione e un ricorso con ogni probabilità smodato allo strumento della custodia cautelare in carcere, la cui funzione, purtroppo, ha subìto negli anni una radicale trasformazione: da istituto con funzione prettamente cautelare, ancorché nell'ottica di un'esigenza di prevenzione dei reati e di tutela da forme di pericolosità sociale, è diventata troppo spesso una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza;
   da ultimo, il legislatore, con l'approvazione della legge 16 aprile 2015, n. 47, ha ulteriormente delimitato l'ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere, circoscrivendo i presupposti per l'applicazione della misura e modificando il procedimento per la sua impugnazione. A tal fine, è stato introdotto il requisito dell'attualità – e non solo della concretezza – del pericolo di fuga e del pericolo di reiterazione del reato, ed è stato escluso che attualità e concretezza del pericolo possano essere desunti esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede;
   nella sostanza, quindi, si conferma il carattere residuale del ricorso al carcere: tale misura può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quanto all'applicazione della custodia in carcere per alcuni reati di particolare gravità, la presunzione di idoneità della custodia in carcere continua a operare solamente con riguardo alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti di associazione sovversiva (articolo 270 c.p.), associazione terroristica, anche internazionale (articolo 270-bis c.p.) e associazione mafiosa (articolo 416-bis c.p.). Per altri reati gravi – tassativamente individuati – tra cui i reati di omicidio, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale, violenza sessuale – è possibile applicare la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure;
   con le ultime disposizioni approvate, il legislatore ha dunque mirato fondamentalmente a circoscrivere l'utilizzo della custodia cautelare in carcere, e, quindi, della limitazione preventiva della libertà personale, alle sole ipotesi in cui questa esigenza è davvero indispensabile per garantire la sicurezza della collettività, per salvaguardare il valore delle indagini e soprattutto per assicurare quel contemperamento, che più volte è stato evocato, ma non sempre con misura e con fondatezza, tra tutela della libertà personale ed esigenze di protezione della sicurezza collettiva delle nostre comunità e dei nostri territori;
   alla luce di quanto esposto, è necessario fare chiarezza, a parere degli interpellanti, in ordine all'utilizzo della carcerazione preventiva da parte del tribunale di Milano, che il 13 ottobre 2015, ha ordinato l'arresto del vice presidente della regione Lombardia, Mario Mantovani, con le accuse di concussione, corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti in un'inchiesta della guardia di finanza e della procura di Milano. Sono stati posti in custodia cautelare in carcere anche Giacomo Di Capua, «in qualità di stretto collaboratore di Mario Mantovani e dipendente della regione Lombardia» per le accuse di concorso in concussione, corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti, e Angelo Bianchi «in qualità di ingegnere del Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la Lombardia e la Liguria» per concorso in concussione «rivestendo il ruolo di R.U.P di gare aventi quale Stazione Appaltante il citato Provveditorato» ed «indagato» anche per corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti; altre dodici persone sono indagate;
   i reati contestati nell'indagine sarebbero stati commessi tra il 6 giugno 2012 e il 30 giugno 2014; soprattutto mette conto rilevare come la richiesta di applicazione della ordinanza cautelare, depositata dal pubblico ministero il giorno 17 settembre 2014, sia stata emessa da giudice per le indagini preliminari solamente tredici mesi dopo, ovvero il 12 ottobre 2015;
   un arresto preventivo, dunque, motivato da esigenze cautelari «attuali» (come prescrive la citata legge n. 67 del 2015) viene eseguito a tredici mesi di distanza dalla richiesta del pm, determinando, a giudizio degli interpellanti, fondati elementi di dubbio in ordine alla sussistenza del requisito di urgenza del provvedimento emesso solamente il 12 ottobre 2015: l’«urgenza» infatti presuppone tempi ragionevoli di decisione, e non un'attesa di oltre un anno dalla richiesta dell'accusa;
   non solo: detta grave anomalia, insita nella tardività delle decisione in merito all'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare, si connota di ulteriori criticità rispetto ai principi di civiltà giuridica sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ai quali più volte la Corte europea dei diritti dell'uomo ha purtroppo richiamato l'Italia contestandone l'inosservanza;
   ci si riferisce al fatto che anzitutto il noto principio del termine ragionevole entro il quale si devono trattare gli affari penali dei tribunali europei, risulta, secondo gli interpellanti, già sin da ora clamorosamente violato, laddove a distanza di oltre un anno dalla richiesta dalla misura cautelare, e di oltre tre anni dall'inizio del procedimento penale in questione (il procedimento risulta rubricato al registro notizie di reato all'anno 2013), ancora si discute se applicare o meno la misura cautelare della custodia in carcere;
   il giudice per le indagini preliminari ha poi respinto l'istanza di scarcerazione per Mario Mantovani, rilevando che «resta comunque un influente politico a livello nazionale» e come tale «detiene relazioni personali, sociali, imprenditoriali e politiche»: da qui il pericolo di reiterazione del reato. La decisione non argomenta invece quella che è stata l'obiezione più forte della difesa, che ha sollevato la questione della «abnormità» dell'ordinanza d'arresto, dato che, come detto, la richiesta di custodia cautelare era stata depositata al Gip ben tredici mesi prima dell'arresto. «Oltre all'assenza delle esigenze cautelari per la tardività della misura – aveva chiarito la difesa – “c’è anche un problema più grave di abnormità dell'atto”»;
   si è quindi di fronte ad un caso di applicazione della custodia cautelare in carcere, che, a parere degli interpellanti, non può che sollevare più di un dubbio in merito all'idoneità della misura come extrema ratio, coerente con i nuovi parametri prescritti dal legislatore solo qualche mese fa, con la chiara intenzione di rafforzare il carattere residuale del ricorso al carcere, per evitare che la stessa custodia cautelare si trasformi in una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza –:
   di quali elementi disponga il Ministro interpellato sulla vicenda riportata in premessa, nell'ambito delle proprie competenze;
   se il Ministro interpellato ritenga di dover disporre opportune iniziative di competenza, e di valutare la possibilità di attivare il proprio potere ispettivo al fine di verificare, nel caso esposto in premessa, la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione disciplinare;
   se il Ministro interpellato intenda assumere le iniziative di competenza per restituire alla custodia cautelare la sua funzione di rimedio eccezionale da adottare in situazioni di effettivo inquinamento probatorio o di estrema pericolosità, ed evitare così che l'uso distorto della misura della custodia cautelare si ponga in evidente contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
(2-01147) «Brunetta, Squeri, Gelmini».

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, ha disposto il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e la loro sostituzione con le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), prevedendo, al contempo, che la collocazione dei soggetti presso queste ultime fosse residuale rispetto a misure diverse dalla restrizione;
   il ricovero in ospedali psichiatrici era disposto nei confronti degli autori di fatti dolosi puniti con la pena superiore a due anni di reclusione prosciolti per vizio totale di mente, per infermità psichica, ovvero per intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti, ritenuti socialmente pericolosi;
   in base al decreto-legge il programma di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, con contemporanea presa in carico nelle REMS dei reclusi psichiatrici più pericolosi, doveva avvenire entro il 31 marzo 2015;
   la materia è attribuita alla competenza regionale, salva la facoltà per il Governo di disporre il commissariamento delle regioni inadempienti;
   la regione Piemonte è allo stato inadempiente rispetto alle citate previsioni, non avendo predisposto alcuna struttura REMS, ma ora sembrerebbe che stiano per essere trasferiti 43 detenuti psichiatrici nel vecchio ospedale di Biella;
   inoltre, l'amministrazione regionale del Piemonte starebbe tentando di approntare con urgenza un'area REMS anche a Voltaggio, in provincia di Alessandria;
   i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle REMS, intesi come requisiti minimi per l'esercizio delle funzioni sanitarie, indispensabili per il funzionamento delle strutture e per il raggiungimento degli obiettivi di salute e di riabilitazione ad esse assegnati tramite l'adozione di programmi terapeutico-riabilitativi e di inclusione sociale, sono indicati nell'allegato A al decreto ministeriale 1o ottobre 2012;
   per quanto concerne l'attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, che non costituisce competenza del Servizio sanitario nazionale né dell'amministrazione penitenziaria, le regioni e le, province autonome devono attivare specifici accordi con le prefetture al fine di garantire adeguati standard di sicurezza;
   i requisiti minimi previsti dal predetto allegato A riguardano l'area abitativa, i requisiti organizzativi e i requisiti tecnologici, tra i quali la disponibilità di sistemi di sicurezza congrui rispetto alla missione della struttura, nel rispetto delle caratteristiche sanitarie e dell'intensità assistenziale;
   inoltre, nell'allegato A sono previste anche modalità di attivazione delle forze dell'ordine per le situazioni di emergenza attinenti alla sicurezza;
   alcuna delle citate misure di sicurezza potrà essere predisposta nell'area del vecchio Ospedale di Biella, atteso che per attrezzare e mettere in sicurezza l'ex R.S.A. «Madonna Dorotea» di Bioglio era previsto uno stanziamento di circa sei milioni di euro mai arrivato;
   il vecchio ospedale di Biella non è attrezzato in termini di requisiti abitativi, tecnologici, strutturali ed organizzativi ed ancor meno di sicurezza per convertirsi in REMS, e tale mancanza di requisiti non può che destare inquietudine e preoccupazione nella cittadinanza –:
   se siano informati dei fatti di cui in premessa, e quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di garantire che i detenuti destinati all'ospedale di Biella siano ospitati in condizioni di sicurezza, nel rispetto delle normative e in accordo con le forze dell'ordine. (4-10942)


   GUIDESI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 aprile del 2009 cedette di schianto una delle campate del Po che collega il territorio del lodigiano e Piacenza, provocando il ferimento di tre persone che stavano transitando in quel momento in auto e l'interruzione della via Emilia. Per un anno e mezzo un ponte provvisorio realizzato su barche aveva sostituito quello crollato per non interrompere le comunicazioni tra Lodigiano e Piacentino, mentre a poca distanza ne veniva realizzato uno nuovo su undici campate, entrato in funzione a metà dicembre 2010;
   per la procura della Repubblica presso il tribunale di Lodi l'origine del crollo era da addebitare allo stato di degrado del viadotto, alla corrosione e alla scarsa manutenzione delle strutture portanti. Durante la requisitoria, il 23 ottobre 2014, il sostituto procuratore Mario Bonizzoni, infatti, aveva chiesto la condanna di cinque funzionari Anas (con De Lorenzo erano stati rinviati a giudizio Eutimio Mucilli, Angelo Adamo, Matteo Castiglioni e Salvatore La Rosa) per disastro, lesioni colpose e crollo di costruzioni. Il tribunale ha deciso per la loro assoluzione da tutte le accuse;
   il tribunale di Lodi ha assolto «perché il fatto non sussiste e per mancanza di prove sufficienti» il dirigente del compartimento Lombardia dell'Anas Claudio De Lorenzo e altri cinque tecnici e dirigenti dell'azienda, tutti imputati per disastro colposo;
   da notizie di stampa si è appreso che la procura della Repubblica di Lodi ha rinunciato all'appello, così il processo per il crollo del ponte sul Po tra Piacenza e S. Rocco al Porto, del 30 aprile 2009, non ha responsabili;
   nei limiti propri di ciascun potere, appare un'azione alquanto inconsueta da parte della procura della Repubblica, tenuto conto della richiesta avanzata di condanna degli imputati a due anni e mezzo di reclusione, quella di non procedere all'appello della sentenza di primo grado del tribunale di Lodi –:
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze e dei poteri attribuiti dalla legge, sia a conoscenza del problema evidenziato e quali iniziative anche normative, intenda adottare a fronte del caso sopra evidenziato. (4-10961)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il nuovo presidente dell'Anas, Gianni Vittorio Armani, ha rilasciato alcune dichiarazioni che destano particolare allarme e preoccupazione, anche perché rifletterebbero obiettivi specifici definiti con il Governo e, in particolare, con il Ministro interrogato;
   tra tali obiettivi, c’è infatti anche lo stop agli investimenti sulle grandi opere che riguardano l'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e della strada statale n. 106 Taranto-Reggio Calabria;
   da quanto si apprende da fonti di stampa, gli interventi di adeguamento delle importanti arterie saranno sostituiti da lavori di riqualificazione e manutenzione straordinaria, con previsioni di spesa di molto inferiori. Pertanto, i quaranta chilometri dell'A3 ancora da ammodernare, tutti ricadenti nel tratto calabrese, non saranno rifatti ex novo, come avvenuto per tutto il resto dell'autostrada, ma saranno oggetto di semplice manutenzione. Stesso trattamento seguirà per la strada statale n. 106;
   è evidente che si sta parlando di interventi di semplice restyling, una sorta di «ritocco» che risulterebbe assolutamente insufficiente e inadeguato alla risoluzione dei problemi e delle gravi criticità che affliggono le fondamentali dorsali della già scarsa rete infrastrutturale calabrese;
   a nessuno può sfuggire che gli interventi di ammodernamento che interessano le predette arterie, lungi dall'essere un'opera faraonica inutile e fine a sé stessa (dato che il «mandato» del Governo sembrerebbe essere contrario alle «opere faraoniche»), trovano la loro principale ragion d'essere nell'ineludibile necessità di garantire idonee condizioni di sicurezza e percorribilità, restituendo al territorio infrastrutture viarie degne di questo nome, adeguate a standard di qualità europei e volano per il progresso del tessuto socio-economico regionale;
   la tratta autostradale immediatamente a sud di Cosenza, che attraversa l'area del Savuto, in base agli studi prodromici alla realizzazione degli interventi di adeguamento, è risultata quella a più alto tasso di incidentalità dell'intera A3: l'aver procrastinato l'inizio degli interventi sul tracciato è dipeso unicamente dalla necessità di armonizzare, da una parte, la fasistica dei lavori e, dall'altra, l'attività di approfondimento, analisi e studi ingegneristici e geologi mirati all'adozione di adeguate soluzioni tecniche in un territorio estremamente travagliato dal punto di vista idrogeologico: adesso, la stessa tratta rischia di essere l'unica non ricostruita e quella più a rischio in tutta la Salerno-Reggio Calabria;
   infatti, così come avverrà anche per la strada statale n. 106 («la strada della morte»), semplici interventi di manutenzione non consentiranno di intervenire sugli elementi più critici del tracciato in termini di sicurezza: raggi di curvatura, pendenze longitudinali e trasversali, stato di degrado delle opere d'arte, con particolare riguardo alle sottostrutture di ponti e viadotti e alle dotazioni strutturali e impiantistiche delle numerose gallerie che non potranno essere adeguate, come la legge impone, alle recenti norme di sicurezza. Non si potrà intervenire, altresì, sulle pendici che incombono sulla sede stradale e sui terreni fondali delle opere, ammassi che hanno già dato tragica prova di avere situazioni di stabilità idrogeologica al limite dell'equilibrio e problematiche ancor più accentuate dagli attuali, variati regimi di pioggia;
   le posizioni del Governo, espresse attraverso il presidente Armani, si configurano secondo gli interroganti come l'ennesimo «scippo» operato ai danni della Calabria e dei calabresi, in barba alle procedure tecnico-amministrative in stato avanzato (i progetti degli interventi aspettano solo di essere licenziati dal Cipe per andare in gara) e nel pieno spregio degli impegni finanziari assunti per tali opere nelle precedenti leggi di stabilità e, in ultimo, nel decreto-legge «sblocca Italia» (è lecito chiedersi quale altra destinazione abbiano avuto le risorse all'uopo stanziate) –:
   se il Ministro interrogato intenda confermare quanto dichiarato dal presidente dell'Anas e riportato in premessa e quali siano le reali intenzioni in merito alle opere che riguardano l'ammodernamento dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria e della strada statale n. 106 Taranto-Reggio Calabria, con particolare riferimento alle procedure tecnico-amministrative in stato avanzato e agli impegni finanziari già assunti, al fine di non penalizzare ulteriormente il territorio calabrese e di garantire standard di sicurezza e percorribilità delle infrastrutture. (3-01807)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 29 ottobre 2015 su un Boeing Cargo 747 della SilkWay, atterrato la notte prima all'aeroporto civile di Cagliari Elmas, sono state caricate centinaia di bombe;
   le operazioni si sono svolte proprio nel piazzale dello scalo cagliaritano dove si trovano gli altri aerei di linea;
   si sarebbe trattato di un carico di armi prodotte in una azienda multinazionale tedesca con la sede nel comune di Domusnovas;
   un carico di morte senza precedenti caricato e partito dall'aeroporto civile di Cagliari;
   si è trattato di un fatto di una gravità inaudita proprio per il tipo di carico e perché si sta utilizzando un aeroporto civile per un trasporto di armi da guerra;
   siamo dinanzi a fatti che dimostrano l'atteggiamento verso la Sardegna, dove si arriva a trasformare un aeroporto civile in un aeroporto destinato ad azioni che appaiono all'interrogante di guerra vera e propria;
   per tutta la notte l'aeroporto è stato dedicato a queste operazioni che si sono protratte anche la mattina;
   di questo fatto deve renderne conto il Governo e l'ente nazionale dell'aviazione civile che, dimostrando a parere dell'interrogante un'irresponsabilità senza precedenti, ha autorizzato questo carico e questo volo;
   l'Enac con un comunicato ha dichiarato che il volo cargo operato da Cagliari con materiale bellico a bordo era «regolarmente autorizzato»;
   secondo l'Enac, ente nazionale di aviazione civile «in merito alle notizie apparse oggi su alcune agenzie di stampa relativamente ad un volo operato dall'aeroporto di Cagliari con a bordo materiale bellico afferma che «si trattava di un volo di natura commerciale regolarmente autorizzato nel contesto delle previsioni normative internazionali tecniche che disciplinano il trasporto di tali materiali»;
   l'Enac non solo conferma che si tratta di materiale bellico, come del resto era evidente, ma omette di rilevare che le operazioni di carico sono avvenute a due passi dagli aerei civili e praticamente a ridosso dell'aerostazione;
   è fin troppo evidente secondo l'interrogante che nessuna disposizione di sicurezza risultava essere stata adottata, ignorando soprattutto l'evidente incompatibilità tra un aeroporto civile e simili trasporti;
   in relazione a quanto avvenuto all'aeroporto di Cagliari si rileva la netta e chiara presa di posizione di numerose associazioni e osservatori internazionali che hanno ribadito la richiesta al Governo italiano di sospendere l'invio di bombe e armamenti a tutti i Paesi militarmente impegnati nel conflitto in Yemen;
   la richiesta è stata avanzata da Rete Italiana per il Disarmo, Amnesty International Italia e dall'Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di difesa e sicurezza (OPAL) di Brescia;
   è inaccettabile, secondo tali organizzazioni, che il 29 ottobre 2015, giorno in cui l'Unione europea ha assegnato il Premio Sakharov al blogger saudita incarcerato Raif Badawi, dall'Italia siano partite nuove bombe destinate all'Arabia Saudita, il Paese che guida la coalizione la quale – senza alcun mandato internazionale – da sette mesi sta bombardando lo Yemen, causando migliaia di morti tra i civili;
   secondo le organizzazioni, diverse tonnellate di bombe e munizionamento sono state imbarcate all'aeroporto di Cagliari Elmas su un cargo Boeing 747 della compagnia azera Silk Way con destinazione Arabia Saudita: il cargo, rintracciato dai sistemi di rilevamento, è giunto a Taif, dove c’è una base militare della Royal Saudi Armed Forces;
   si tratta, secondo Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio OPAL di Brescia, con ogni probabilità, di una nuova fornitura di bombe fabbricate nell'azienda tedesca RWM Italia di Domusnovas che prosegue le spedizioni degli ultimi anni;
   secondo quanto riporta l'Osservatorio OPAL, ordigni inesplosi del tipo di quelli inviati dall'Italia, come le bombe MK84 e Blu109, sono stati ritrovati in diverse città dello Yemen bombardate dalla coalizione saudita e il nostro Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale non ha mai smentito che le forze militari saudite stiano impiegando anche ordigni prodotti in Italia in questo conflitto;
   il Segretario generale delle Nazioni unite, Ban Ki moon, ha condannato i bombardamenti aerei della coalizione a guida Saudita che, nei giorni scorsi, hanno colpito un ospedale di Medici senza Frontiere nella provincia di Sa'dah e ha richiamato tutte le parti attive nel conflitto a «rispettare gli obblighi stabiliti dalle convenzioni per i diritti umani e del diritto umanitario internazionale per prevenire attacchi contro i civili»;
   il conflitto in Yemen ha finora causato più di 4mila morti (di cui almeno 400 bambini) e 20mila feriti – di cui circa la metà tra la popolazione civile-provocando una «catastrofe umanitaria» con oltre un milione di sfollati e 21 milioni di persone che necessitano di urgenti aiuti. In tutto il Paese la popolazione sta subendo una grave scarsità di cibo, che sta diventando sempre più raro, e questo minaccia la sopravvivenza dei più vulnerabili;
   «la comunità internazionale – ha dichiarato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – si muove in maniera incoerente rispetto al tema delle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita. Da un lato, si mobilita contro il rischio che venga messo a morte un attivista minorenne e premia un blogger dissidente. Dall'altro, tace sui crimini di guerra commessi in Yemen e, anzi, lo alimenta con trasferimenti irresponsabili di armi. Evidentemente il nostro precedente appello al Governo italiano affinché sospendesse immediatamente l'invio di armi all'Arabia Saudita, non ha sortito effetto»;
   «è evidente – ha dichiarato Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo – come anche dall'Italia stiano partendo bombe e munizionamenti che vengono impiegati per alimentare un conflitto promosso da un paese come l'Arabia Saudita che palesemente viola i diritti umani»;
   i principi alla base della legge n. 185 del 1990 che regolamenta l'esportazione italiana di armamenti vanno in tutt'altra direzione –:
   se non ritenga, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, fornire puntuali chiarimenti sulle modalità di sicurezza adottate nel caso del cargo dall'aeroporto civile di Cagliari;
   se e quali procedure di sicurezza siano state poste in essere in occasione di questo volo cargo e in base a quali norme si sia proceduto;
   se non intenda assumere iniziative per impedire e vietare l'utilizzo degli aeroporti civili per tali trasporti di materiale bellico;
   se non ritenga il ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, di dover chiarire con urgenza la situazione descritta in premessa e di promuovere un'azione a livello comunitario affinché tutti i Paesi membri sospendano l'invio di armamenti alla coalizione a guida Saudita militarmente attiva nel conflitto in Yemen.  (5-06852)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 settembre 2015 il quotidiano «Il tirreno», edizione Livorno, ha riportato e commentato la notizia della nomina di un dirigente dell'autorità portuale livornese, l'avvocato Matteo Paroli, proposta dal presidente dell'autorità portuale di Ancona, dottor Rodolfo Giampieri, nell'incarico di segretario generale dell'autorità portuale di Ancona. Da tale fonte si apprende che il nominativo dell'avvocato Paroli non è sconosciuto nella città di Ancona. L'avvocato Paroli ricopre, infatti, da sei anni l'incarico di presidente del nucleo di valutazione e controllo strategico e valutazione del personale con qualifica dirigenziale dell'autorità portuale, istituito presso l'autorità, portuale di Ancona. Tale incarico era stato conferito dall'ex presidente dell'autorità portuale di Ancona, avvocato Canepa, anch'egli livornese, con deliberazione; presidenziale n. 53, datata 8 giugno 2009, con la quale venivano altresì fissati i compensi annui spettanti ai tre componenti di detto nucleo di valutazione rispettivamente, in 25.000 euro per il presidente e in 20.000 euro per gli altri due membri per un importo complessivo annuo di euro 65.000 a carico del bilancio dell'autorità portuale di Ancona nei cui ruolo sono inquadrati due dirigenti;
   la deliberazione n. 12 del 29 aprile 2009, del comitato portuale di Ancona presieduto dall'avvocato Canepa, all'articolo 2, prevede che il nucleo di valutazione avrà la durata del mandato del presidente dell'autorità portuale (scadenza prevista a marzo 2013) e l'articolo 4 stabilisce che il nucleo riferisce al comitato portuale e al presidente e redige, nei termini previsti dal regolamento, una relazione sui risultati delle analisi effettuate, anche con proposte di miglioramento della funzionalità amministrativa;
   l'avvocato Paroli comunica che lascia il proprio ruolo di dirigente dell'autorità portuale livornese e che continuerà, comunque, a seguire sia il bando dei bacini sia le concessioni del porto turistico;
   in base a tale ricostruzione, emergerebbe, quindi, che l'avvocato Paroli, nel periodo da giugno 2009 a ottobre 2015, ha cumulato l'incarico di dirigente dell'autorità portuale di Livorno (ente pubblico non economico), con quello di presidente del nucleo di valutazione e controllo strategico e valutazione del personale con qualifica dirigenziale dell'autorità portuale di Ancona (ente pubblico non economico), percependo per il detto incarico un compenso totale di 150.000 euro;
   inoltre, lo stesso avvocato Paroli ha cumulato ai predetti incarichi pubblici anche l'attività di consulenza in materia di appalti e forniture per una società privata operante nel settore del trasporto container ossia la Taranto container Termial Spa;
   con il conferimento dell'incarico di segretario generale dell'autorità portuale, l'avvocato Paoli si trova a dirigere e coordinare anche le attività di due dirigenti dipendenti dalla medesima autorità, sui quali ha svolto attività di controllore e valutatore, pur essendo stato dirigente a tempo pieno e a compenso intero dell'autorità portuale di Livorno, e ora, pur essendo segretario generale dell'autorità portuale di Ancona, intenderebbe continuare ad esercitare altre attività per l'autorità portuale livornese –:
   se il Ministro interrogato sia informato delle circostanze suesposte e se, considerati i poteri di vigilanza sulle autorità portuali, ritenga che l'incarico dell'avvocato Paroli a segretario generale della autorità portuale di Ancona sia inconferibile o incompatibile con gli incarichi pregressi a servizio degli enti pubblici non economici e di imprese private e a quelli presso la proveniente autorità portuale di Livorno;
   come si concili la costituzione del nucleo di valutazione e controllo strategico e valutazione del personale con qualifica dirigenziale dell'autorità portuale di Ancona (due dirigenti come risulta dal sito istituzionale) al costo iniziale di 65.000 euro annui con l'indirizzo governativo di risparmio della pubblica amministrazione e con lo svolgimento di attività a servizio di imprese private del settore portuale e per quale motivo il citato dirigente abbia continuato la propria attività dopo la scadenza prevista (marzo 2013), fino alla nomina del presidente dell'anzidetto nucleo, a segretario generale della medesima autorità portuale, considerando che il costo complessivo dei componenti del nucleo di valutazione è stato di circa 400.000 euro, oltre ai rimborsi spese dei tre componenti e alle spese generali di funzionamento in carico all'autorità portuale di Ancona; quale sia l'entità di tali spese in modo dettagliato. (4-10934)


   SIBILIA, COLONNESE e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la città e la provincia di Benevento sono state duramente colpite dall'alluvione del 15 ottobre 2015, riportando ingenti danni alle abitazioni civili, alle aziende private, alle strutture pubbliche e facendo registrare due morti;
   mentre è ancora in atto la conta dei danni, sull'edizione del quotidiano «Corriere del Mezzogiorno» del 21 ottobre 2015 è stato pubblicato un articolo dal titolo: «Ora s'indaga sul funzionamento di una diga» in cui si fa riferimento alla «documentazione relativa alla diga di Campolattaro, in provincia di Benevento, tra il materiale acquisito dal consulente della Procura della Repubblica di Benevento al quale la stessa Procura avrebbe conferito un ampio mandato. Gli inquirenti hanno aperto un fascicolo d'indagine ipotizzando il reato di inondazione colposa. (...) Si vuole accertare, tra le altre cose, se le manovre di alleggerimento della pressione dell'acqua effettuate sulla diga di Campolattaro possano aver peggiorato gli effetti dell'alluvione a Benevento» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del fatto esposto in premessa e se intendano valutare l'opportunità di intraprendere iniziative, per quanto di competenza, al fine di accertare se la diga di Campolattaro fu fatta funzionare secondo criteri di sicurezza e, in caso negativo, individuare le responsabilità tecniche.
(4-10950)


   DELL'ORCO, FERRARESI e SPADONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa risulta che venerdì 23 ottobre 2015 si sarebbe riunito il consiglio d'amministrazione di Coopsette, società cooperativa di Castelnuovo di Sotto (RE), per analizzare la crisi aziendale. In considerazione però dell'esito negativo delle ultime negoziazioni relative alla collocazione del ramo aziendale costruzioni, il consiglio d'amministrazione avrebbe preso atto dell'impossibilità di predisporre un piano industriale, economico finanziario che possegga quelle caratteristiche di credibilità e fattibilità idonee a supportare una proposta concordataria che si fondi sulla continuità dell'attività della società;
   nella suddetta riunione si è deciso pertanto di non presentare presso il tribunale una proposta di concordato e, al momento, risultano comunque scaduti i termini. La strada che si delinea per Coopsette è dunque quella della liquidazione coatta amministrativa, per cui sembrerebbe essere già stata inoltrata istanza al Ministero dello sviluppo economico, che dovrà nominare un commissario tra i tre nominativi proposti dalla Legacoop. Non risulta neppure escluso il fallimento su istanza avanzata da un fornitore della coop, che andrà in udienza tra pochi giorni;
   in entrambi i casi, l'operatività dell'azienda sembra, almeno al momento, non poter essere più assicurata e a questo punto si pone il problema dei nuovi equilibri e degli impegni assunti da Coopsette all'interno delle società di progetto Arc e Autocs concessionarie per la progettazione, la costruzione e la gestione rispettivamente dell'autostrada regionale Cispadana e della Bretella di Campogalliano-Sassuolo;
   inoltre, sebbene la società di progetto sia un'entità giuridicamente distinta da quelle dei soggetti promotori, tuttavia, l'uscita di Coopsette potrebbe configurarsi come un venir meno dei requisiti delle società di progetto stesse. Coopsette, che detiene quasi il 15 per cento della società Autocs e oltre il 19 per cento della società di progetto Arc, è infatti uno dei soci che hanno certamente concorso a formare i requisiti per la qualificazione ai bandi per le suddette tratte autostradali. Ciò risulta chiaro anche da un comunicato stampa, diffuso dalla capofila Autobrennero, subito dopo la costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese, per partecipare al bando della Bretella, in cui si sosteneva che le cooperative Coopsette e Pizzarotti rappresentassero i maggiori soci costruttori, come da collaudate precedenti esperienze quali le iniziative appunto per l'autostrada Cispadana e la superstrada Ferrara-Porto Garibaldi;
   in merito ai soci promotori che concorrono a formare i requisiti di qualificazione di una società di progetto, il legislatore ha inteso porre maggiori garanzie per gli equilibri del piano economico finanziario, per i lavori stessi e per tempistiche, gara, garanzie che, al momento, potrebbero non più sussistere come risulta chiaro in tema ad esempio di cessione di quote su cui l'articolo 156, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, prevede appunto che i soci promotori che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione siano tenuti a partecipare alla società fino al collaudo dell'opera –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che l'eventuale fallimento o liquidazione di Coopsette possa configurarsi come causa di perdita dei requisiti di qualificazione previsti dal bando per Autocs;
   se il Governo sia a conoscenza degli intendimenti di Autocs in merito alla gestione dei fatti in premessa e se si intenda prevedere un subentro a Coopsette;
   se il Governo non intenda sospendere la concessione di Autocs per la bretella di Campogalliano-Sassuolo, almeno fino a quando non risulteranno chiari gli effetti della crisi di Coopsette, per evitare che, in futuro, si palesi la necessità di ulteriori apporti di contributi pubblici. (4-10954)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 luglio 2014, regione Emilia Romagna, provincia di Bologna e comune di Bologna hanno firmato un accordo con Autostrade per l'Italia (ASPI) e con il Ministero delle infrastrutture per la costruzione del «Passante Autostradale Nord»: circa 38 chilometri di semianello autostradale da costruirsi a nord della città di Bologna (per oltrepassarla senza immettersi nel contesto di viabilità cittadina della tangenziale), che attraverserà undici comuni della provincia del Capoluogo;
   il tracciato di 38 chilometri comporterà la perdita definitiva di almeno 600 ettari di pianura bolognese, ma oltre al consumo diretto di suolo naturale ed agricolo, causati dal tracciato, dagli svincoli e dai caselli, il passante nord attraverserà decine di aziende agricole, ritagliando ampie superfici che non potranno più essere coltivate convenientemente e che sono state stimate intorno ai 130-150 ettari dallo studio di fattibilità. Ciò comporterebbe un danno significativo per decine di aziende agricole e per la filiera a monte ed a valle e potrebbe causare la perdita definitiva di molti posti di lavoro in uno dei settori economici che paiono avere più potenzialità di generare reddito ed occupazione. Per l'opera verranno impermeabilizzati almeno 100 ettari di terreno – considerando solo il nastro senza caselli e svincoli –, impedendo l'infiltrazione delle precipitazioni nella falda il cui livello è già in calo di 9 milioni di metri cubi all'anno da 30 anni. L'acqua che non filtra nel terreno scorrerà in superficie e andrà ad impegnare il reticolo di scolo della pianura in cui le esondazioni sono sempre più frequenti;
   in base a tale accordo (http://www.legambientebologna.org), ASPI realizzerà il «Passante Autostradale Nord» solo nel caso in cui vengano rispettati i seguenti impegni:
    l'importo fisso e non modificabile a carico di ASPI sia pari a 1.280.000,00 di euro;
    regione, provincia e comune di Bologna si impegnino a contenere i costi di ASPI per le mitigazioni ambientali e per il reperimento dei siti di cava;
    l'attuale tracciato A14 resti separato dalla Tangenziale (saranno aperti solo alcuni bypass di comunicazione);
    venga aumentato il pedaggio di attraversamento dell'attuale asse autostradale;
    si introduca un divieto di attraversamento ai mezzi pesanti che farà collassare i paesi a nord;
    venga introdotto un pedaggio forfettario pari a 15,5 km per chi entra o esce dai caselli;
    non sia prevista alcuna procedura di consultazione pubblica e nemmeno l'accordo dei comuni rappresentati sul progetto preliminare;
   il Circolo Pianura Nord di Bologna di Legambiente ha pubblicamente dichiarato, in un documento ufficiale, (http://www.pianuranord.bo.it/legambiente/?p=167ASPI), che l'ASPI, riferendosi all'opera, ha sostenuto che avrebbe garantito «scarsi benefici trasportistici» e «consistente impatto territoriale», mentre si rileva la «mancanza di elementi necessari a garantire la fattibilità tecnico/economica dell'iniziativa» (negli stessi documenti si afferma che «la soluzione Passante + Banalizzazione» genera un peggioramento delle condizioni di deflusso della A14 e non migliora in maniera efficace le condizioni di deflusso sulle complanari);
   per risolvere la congestione del traffico e diminuire l'inquinamento totale del nodo di Bologna, sono state proposte varie alternative molto meno costose, sia dal punto di vista economico che ambientale, come l'allargamento della tangenziale, senza consumo di nuovo territorio; il completamento della viabilità alternativa, già prevista da anni nella pianificazione territoriale vigente ma rimasta incompiuta; lo sviluppo del servizio ferroviario metropolitano e del trasporto pubblico bolognese. Nello specifico, il comitato «per l'Alternativa al passante nord» ha presentato una proposta alternativa che interviene, in sede di tracciato attuale e agisce sulle scarpate laterali, senza ricorrere all'esproprio di terreni, creando, con la tecnica dei diaframmi, l'allargamento della tangenziale/autostrada a tre corsie per carreggiata e relative corsie di emergenza. Il progetto alternativo, validato tecnicamente in un Convegno pubblico alla Facoltà di Ingegneria di Bologna, avrebbe un costo stimato intorno ai 600 milioni di euro e i tempi di realizzazione sarebbero notevolmente inferiori e consentirebbero l'uso parziale dell'opera a breve, contro l'impossibilità di utilizzare il passante nord, fin tanto che quest'ultimo non sarà terminato nella sua intera estensione;
   il 9 settembre 2015, gli uffici del settore mobilità sostenibile e infrastrutture del comune di Bologna, in risposta ad una interrogazione della consigliera comunale Federica Salsi, hanno dichiarato che l'unico progetto al vaglio risulta essere quello redatto da ASPI che «ha elaborato uno Studio di Fattibilità del Passante Autostradale Nord di Bologna, con un tracciato della lunghezza di circa 37,5 Km e degli interventi di banalizzazione sull'attuale tratto autostradale dell'A14 sotteso al Passante di Bologna, ricompreso tra Borgo Panigale e S. Lazzaro, comprensivo del sistema di pedaggiamento, per un importo complessivo delle opera non superiore ad euro 1.280.000.000,00 netti, sottoposto alla valutazione degli enti territoriali preposti, e sulla base del quale è stato sottoscritto l'Accordo del 29 luglio 2014 (https://drive.google.com/file/d/0Bxft04yLwd8ucU5lYXZ2dGZBTTg/view). L'assessore ai trasporti della regione Emilia Romagna, Raffaele Donini, nell'assemblea legislativa il 16 giugno 2015, ha dichiarato che è stato invitato il Comitato che propone l'alternativa perché si vuole che oltre al Passante si esamini in questa fase anche la loro idea progettuale ha preso impegni che ora non sembrano venir rispettati;
   nella risposta presentata alla Camera nell'interrogazione n. 5/00694 si legge, invece che «allo stato attuale, prosegue ancora l'esame di tutte le possibili soluzioni ivi compresa l’opzione 0, ovverosia la possibilità di non realizzare l'opera. Si assicura, pertanto, che saranno attentamente esaminate e valutate tutte le posizioni espresse sulla questione, ivi compreso lo studio del progetto Comitato per l'alternativa Passante Nord, cui si fa riferimento. Infine, si ricorda che anche la procedura VIA garantirà, senza dubbio, il più ampio confronto di tutte le posizioni prospettate»;
   come dimostra la lottizzazione di 22 ettari agricoli decisa dall'amministrazione di Granarolo, su cui sorgeranno nuovi insediamenti residenziali e il nuovo centro sportivo del Bologna Calcio, il progetto del Passante Autostradale Nord appare agli interroganti aver poco a che fare con la razionalizzazione dei flussi di traffico e la riqualificazione urbana e rischi di smuovere interessi che non sono di pubblica utilità –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei fatti sopra descritti, pur garantendo la necessità di risolvere le problematiche legate alla viabilità e alla sicurezza stradale, in nome dei reali interessi della collettività, non ritenga doveroso, di assumere iniziative, per quanto di competenza, innanzitutto per prendere in esame soluzioni alternative al progetto del «Passante Autostradale Nord» che possano comportare un evidente risparmio sia sotto il punto di vista economico che ambientale;
   se il Ministro interrogato non consideri indispensabile coordinarsi opportunamente, per quanto di competenza, con gli uffici tecnici degli enti locali coinvolti dall'opera in questione e specificatamente con gli uffici del settore mobilità sostenibile e infrastrutture del comune di Bologna in merito alle procedure e ai progetti che verranno realmente presi in esame, soprattutto in occasione della valutazione di impatto ambientale (VIA). (4-10958)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2015 la questura di Bologna ha dato esecuzione ad un provvedimento di sequestro da parte della procura di uno stabile, sfitto e disabitato, di proprietà dell'Istituto Cavazza, occupato dal mese di febbraio 2015;
   lo sgombero è avvenuto, secondo quanto reso noto dalla stampa, attorno alle 7 di mattina. All'interno dell'edificio c'erano una ventina di occupanti, tra cui cinque minorenni;
   il comune di Bologna, a quanto dichiarato dal sindaco Virginio Merola e dall'assessore al welfare Amelia Fascaroli, non è stato avvisato per tempo così da poter organizzare la necessaria presenza dei servizi sociali –:
   se fosse nota la presenza di famiglie con minori nello stabile sequestrato;
   quali siano i motivi per i quali il questore abbia omesso di avvertire dell'imminente sgombero l'amministrazione comunale, impedendo così che si potesse prevedere in anticipo la presenza dei servizi sociali che non hanno potuto organizzare la loro presenza;
   se non ritenga grave e inammissibile che i minori presenti siano stati sgomberati da agenti in tenuta anti sommossa e non sia stato possibile attivare anticipatamente il pronto servizio sociale (Pris) a tutela dei minori di età così come previsto dalla normativa;
   se non ritenga necessario garantire un coordinamento collaborativo tra le Istituzioni, soprattutto in presenza di questioni così complesse e delicate che coinvolgono minori.
(2-01143) «Zampa, Lenzi, Marchi, Fabbri, Beni, Carlo Galli, Incerti, Patrizia Maestri, Carrozza, Valiante, Arlotti, Amato, Albini, Gnecchi, Culotta, Scuvera, Cimbro, D'Incecco, Marzano, Cassano, Giuditta Pini, Roberta Agostini, Gribaudo, Romanini, Giuliani, Carloni, Gandolfi, Mattiello, Giuseppe Guerini, Tentori, Sbrollini, Piccione, Amendola, Causi, Cenni».


   I sottoscritti, chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   un provvedimento interdittivo (sulla base della normativa antimafia), firmato dal prefetto di Perugia Antonella Miro, è stato notificato il 26 ottobre 2015 alla Gesenu, società di raccolta rifiuti costituita nel 1980, per metà del comune umbro (il socio pubblico rappresenta infatti il 45 per cento), specializzata nella gestione dei servizi per la nettezza urbana e già nell'occhio del ciclone per una inchiesta della magistratura che riguarda 16 indagati;
   l'atto fa riferimento ad un presunto pericolo di infiltrazioni nella gestione dell'attività di impresa, riguardante sia soci privati sia le partecipazioni societarie che Gesenu ha in altre società di gestione ambientale in Sicilia, a Catania, e a Messina;
   nello specifico, tutto ha origine nel mese di maggio 2015, allorché la prefettura di Catania emette un provvedimento antimafia interdittivo a carico del consorzio Simco (con sede a Motta S. Anastasia), costituito da 4 società, fra cui Gesenu spa; all'interno di Simco si evidenziava la presenza della società Oikos spa, già qualche mese prima raggiunta da un medesimo provvedimento emesso dalla stessa prefettura di Catania per rapporti con società ritenute vicine ad ambienti criminali mafiosi;
   come già accennato, altra vicenda inquietante sarebbe quella che vede Gesenu coinvolta in una società con sede a Messina (Tirrenoambiente), protagonista quest'ultima di delitti maturati in contesti di criminalità: episodi sicuramente allarmanti che probabilmente saranno oggetto anche di attività investigativa da parte dei magistrati penali;
   il fatto più grave è che Gesenu avrebbe assunto numerosi lavoratori a Catania (esattamente il 5,27 per cento della sua forza lavoro, appartenente all'area criminale Santapaola), pregiudicati per gravissimi reati, quali associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, rapina, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti;
   oltre ai 29 dipendenti suddetti, spuntano accuse mirate sui vertici aziendali: nelle carte utilizzate per emettere il provvedimento ostativo preventivo la prefettura cita l'inchiesta in corso da parte della procura di Catania sulla gestione dell'isola ecologica di Mascalucia-Messanunziata (zona ad alta densità mafiosa, così come rilevato nelle relazioni al Parlamento) con tanto di richiesta di rinvio a giudizio avanzata nei confronti di dirigenti Gesenu per vari reati, tra cui l'associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti; seconda la ricostruzione accusatoria, avrebbero gestito ingenti quantità di rifiuti, trasportandoli con mezzi non autorizzati, falsificando i documenti e smaltendoli in siti non idonei;
   tra le motivazioni che hanno concorso all'emissione della misura interdittiva c’è anche la presenza di Manlio Cerroni (che possiede il 45 per cento di Gesenu), nominato perfino dal pentito dei casalesi Carmine Schiavone e finito ai domiciliari lo scorso anno per Malagrotta, nonché quella di Carlo Noto la Diega (che possiede il 10 per cento di Gesenu), anche lui indagato per fatti riconducibili allo smaltimento illecito di rifiuti, nell'ambito di Viterbo Ambiente;
   è noto, come è stato giustamente rilevato dal presidente Catiuscia Marini, quale sia il ruolo di Gesenu nella titolarità di molti contratti di servizio in essere nella regione, non solo per ciò che riguarda tutto il sistema di raccolta dei rifiuti e di pulizia delle città, ma anche per l'attività di gestione in capo a questa società degli impianti di trattamento dei rifiuti;
   per queste ragioni, non può che destare viva preoccupazione la notizia di una interdittiva prefettizia antimafia all'azienda che metterebbe a serio rischio la continuità e la praticabilità di un servizio fondamentale per la comunità –:
   se intendano avviare un'attenta riflessione in merito al provvedimento adottato dal prefetto di Perugia, che ha confermato l'acquisizione di «molteplici congruenti elementi per ritenere sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa in Gesenu spa», in modo da contribuire a fare chiarezza, in tempi rapidi, su eventuali responsabilità e garantire dunque, ad ogni livello, trasparenza e legalità;
   se intendano, per quanto di competenza, individuare e, di conseguenza, adottare tutte le iniziative possibili per tutelare la centralità e la funzionalità del servizio di raccolta dei rifiuti, di pulizia delle città e di gestione dello smaltimento dei rifiuti stessi, nonché difendere la storia industriale ed i livelli occupazionali dell'azienda (riducendo al minimo le difficoltà legate agli effetti dell'interdittiva prefettizia).
(2-01149) «Galgano, Monchiero».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 21 ottobre 2015 si sta svolgendo in Sardegna una delle più imponenti esercitazioni militari nell'area del Mediterraneo;
   l'esercitazione coinvolge 36.000 uomini provenienti da oltre 30 Paesi;
   l'esercitazione coinvolgerà soprattutto la Sardegna e l'epicentro sarà concentrato nella base militare di Teulada;
   si terranno operazioni di aria, terra, marittime e parteciperanno forze speciali contemporaneamente in diverse località e da diversi quartier generali per la formazione in un ambiente complesso, per migliorare le capacità e lo spettro completo dell'Alleanza;
   il decreto del Ministro con il quale vengono autorizzate le esercitazioni viene sottoscritto ancora una volta senza l'intesa con la regione Sardegna;
   si tratta di un fatto grave e inaudito, soprattutto per il tentativo del Governo di continuare ad eludere impegni parlamentari e non solo per la riduzione del peso militare in Sardegna;
   appare evidente all'interrogante un tacito assenso della stessa regione che, pur non agendo d'intesa, non impugna né i decreti né gli atti del Ministero;
   a Teulada, in Sardegna, saranno dispiegati centinaia di carri armati, quelli più moderni e più devastanti;
   la costa sarda e il suo territorio, da Teulada a capo Frasca e Quirra, saranno presi di mira con micidiali ordigni bellici da terra, da mare e dall'aria;
   carri armati veri e propri, aerei con e senza piloti, navi ed elicotteri che sparano, da terra, da mare, dall'aria, segnando in modo indelebile un compendio ambientale di straordinaria unicità con una devastazione che non ha precedenti;
   spareranno ovunque, lasciando segni eloquenti del loro passaggio;
   Teulada è un compendio naturalistico di primaria importanza, considerato che tutte le prescrizioni ambientali regionali, nazionali ed europee hanno circoscritto quel territorio con la massima tutela ambientale naturalistica;
   la maggior parte del territorio del sito di interesse comunitario è di proprietà militare, quindi interdetta, in esso presente una base militare Nato, in funzione. Le esercitazioni militari si svolgono per un periodo compreso tra il mese di settembre e quello di maggio di ogni anno e comprendono azioni militari a terra, aeree e a mare;
   l'esercitazione Trident 2015 recherà gravissimo danno all'ambiente, in aree sottoposte ad indagini della procura della Repubblica e soprattutto in totale violazione di siti di importanza comunitaria;
   la questura di Cagliari con un proprio provvedimento ha deciso di impedire la manifestazione di protesta che si dovrà tenere nella giornata di martedì 3 novembre nell'area attigua ed esterna alla base militare di Teulada;
   tale manifestazione regolarmente comunicata vede l'adesione di numerose associazioni che rivendicano il legittimo diritto alla manifestazione del dissenso verso la presenza delle basi militari;
   il diniego dell'autorizzazione della manifestazione appare un fatto grave e non accettabile in quanto si tratta di un legittimo diritto che non può essere in alcun modo essere negato;
   è fin troppo evidente, a giudizio dell'interrogante, che tale rigetto rischi di costituire un fatto ritenuto provocatorio tale da creare tensioni invece evitabili –:
   se non ritenga di dover intervenire con somma urgenza per autorizzare la manifestazione ed evitare gravi tensioni nell'area esterna del poligono militare di Teulada;
   se non ritenga di dover garantire al popolo sardo la libertà di manifestare il proprio legittimo diritto alla protesta contro quello che appare all'interrogante un atteggiamento invasivo e prevaricatore.
(5-06854)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da recenti agenzie di stampa, quotidiani calabresi, da numerosi comunicati di alcuni blog internet, dal sito del gruppo cooperativo «GOEL», famoso tra le varie attività per il primo marchio di moda eco-etica di fascia alta in Italia «Cangiari», i gestori dell'agriturismo biologico «A lanterna» di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria, sono stati vittime di un ennesimo atto criminale ed intimidatorio il 31 ottobre 2015;
   ignoti si sono introdotti nel capannone per il ricovero delle attrezzature dell'azienda e lo hanno completamente devastato con un incendio che ha distrutto anche tutti gli attrezzi agricoli posti all'interno, tra cui un trattore, il gasolio agricolo e l'attrezzatura meccanica. Le pessime condizioni atmosferiche di queste ultime ore hanno reso particolarmente complessa la stima dei danni complessivi che, ad una prima valutazione, sembrano aggirarsi intorno ai 30 mila euro;
   dal 2009, con cadenza quasi annuale, l'azienda di Monasterace è stata oggetto di ripetute intimidazioni di natura incendiaria. È utile non dimenticare che nel 2012 è stata addirittura distrutta parte della struttura di accoglienza agrituristica. Lo scorso anno si è tentato di appiccare fuoco al ristorante;
   si tratta infatti di ben 7 intimidazioni mafiose in 7 anni contro GOEL. Tutte ad oggi impunite, eccone la cronologia:
    10 agosto 2009 (incendio uliveto);
    30 giugno 2010 (ritrovamento bottiglia contenente liquido infiammabile con accendino all'ingresso della locanda Cocintum);
    24 settembre 2011 (incendio quadro elettrico pompa per l'irrigazione);
    23 gennaio 2012 incendio alloggi casa padronale);
    23 maggio 2013 (incendio botte esterna alla locanda);
    3 settembre 2014 (incendio altra  botte  esterna alla locanda);
    31 ottobre 2015 (incendio ricovero attrezzi agricoli);
   l'ultimo incendio risulta di chiara natura dolosa e intende evidentemente minare e fiaccare con i danni e la paura l'impegno e i sacrifici di coloro i quali hanno costruito, in un territorio con grandi potenzialità naturali, economiche e turistiche, ma ad altissima infiltrazione mafiosa della ’ndrangheta, come l'area jonica nella provincia di Reggio Calabria, una struttura agrituristica biologica di altissima qualità;
   la missione del consorzio GOEL, di cui fa parte «A Lanterna», come si legge dal sito di tutti gli appartenenti al gruppo cooperativo, si prefigge peraltro il «cambiamento della Locride e della Calabria nell'affermazione piena della libertà, della democrazia, della sussidiarietà, della giustizia sociale ed economica, del rispetto dei diritti delle persone e fasce sociali più deboli e marginali, del bene comune delle comunità locali e dei territori»;
   tutte le realtà afferenti al gruppo cooperativo GOEL bio, oltre ad essere state colpite da altri atti intimidatori, sono caratterizzate dalla scelta di un modello di sviluppo sostenibile, legato alla Locride e rispettoso del lavoro e della legalità, con tutti i lavoratori regolarmente assunti;
   l'interrogante ha presentato, l'8 settembre 2014, in occasione di un precedente attentato criminale, l'atto di sindacato ispettivo n. 4-05928 la cui risposta, pur sollecitata con cadenza mensile, non è ancora arrivata –:
   quali iniziative urgentissime intenda mettere in campo il Ministro interrogato per rafforzare il controllo del territorio e la presenza dello Stato nella Locride, affinché le sopraddette molteplici intimidazioni non abbiano più a verificarsi e affinché il rilancio legale e sostenibile di quel territorio non venga più minacciato dalla criminalità mafiosa. (4-10933)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o ottobre 2015 è operativa una riorganizzazione nazionale, decretata dal Ministero dell'interno, che ha privato del distaccamento territoriale dei vigili del fuoco (esclusi personale nautico e sommozzatori) il porto di Ravenna e l'area industriale ad esso collegata nonché l'area del Petrolchimico;
   si è in presenza di un porto industriale ad alto rischio potenziale;
   secondo la denuncia di esponenti sindacali di CISAL e CISL, il distaccamento territoriale dei vigili del fuoco del porto aveva tenuto negli ultimi tempi una media di 1.100-1.200 interventi annui, ovvero un terzo del totale sul livello provinciale;
   se sono da sottolineare come positivi l'incremento di 10-12 unità di uomini sull'organico provinciale dei vigili del fuoco nonché la trasformazione del distaccamento di Cervia da stagionale a permanente, per quanto appaia molto chiaro dai numeri degli interventi effettuati il drastico calo da estate a inverno, molto problematica appare invece la situazione del capoluogo lì dove è rimasto un unico distaccamento, quello della sede centrale, mentre rimane scoperta un'area strategica e a rischio come quella del porto;
   sempre secondo le preoccupazioni sindacali di cui sopra, non basterebbe il supporto delle squadre di Cervia, ora distaccamento permanente, alle squadre della sede centrale di Ravenna e la conferma sarebbe nei carichi di lavoro sproporzionati verificatisi durante gli interventi occorsi nel passato mese di ottobre;
   appare quanto meno bizzarro che un settore nel quale la tempestività è fondamentale, debba fare affidamento su squadre provenienti da Cervia in caso di interventi particolarmente complessi –:
   sulla base di quali criteri sia stata approntata detta riorganizzazione nazionale che pare non tenere conto delle specificità locali, come ad esempio quella del porto di Ravenna;
   se non sia il caso di prevedere una riapertura del distaccamento territoriale dei vigili del fuoco del porto di Ravenna o quanto meno di valutare una redistribuzione degli effettivi presenti sui vari distaccamenti della provincia, in modo tale da rispondere alle esigenze del capoluogo. (4-10939)


   RICCIATTI, COSTANTINO, PANNARALE, DURANTI, PELLEGRINO, NICCHI, QUARANTA, PIRAS, SCOTTO, FRATOIANNI e MELILLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   dal rapporto sulla violenza contro le donne, prodotto ogni anno dalla giunta regionale delle Marche a partire dal 2010, e trasmesso all'Assemblea legislativa regionale in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si svolgerà il 25 novembre 2015, è emerso come nella regione questo tipo di violenza continui ad essere poco denunciata (Il Corriere Adriatico, 2 novembre 2015);
   i dati relativi al 2014, raccolti dall'Osservatorio regionale sulle politiche sociali, in collaborazione con i centri antiviolenza (Cav) della regione, evidenzia come nel corso dell'anno di riferimento siano state 422 le donne marchigiane rivoltesi ai Cav denunciando 895 violenze subite;
   le modalità di aggressione che emergono dal rapporto sono la violenza psicologica, fisica, economica, lo stalking e la violenza sessuale;
   le violenze sono causate in prevalenza dal convivente, dal marito o dall'ex marito, nello specifico con profili di età compresi tra i 34 e i 53 anni (nel 35 per cento dei casi), di nazionalità italiana nel 65 per cento degli episodi registrati, con un livello di istruzione medio ed una occupazione stabile;
   il profilo delle vittime è prevalentemente quello di donne di età compresa tra i 34 e i 53 anni, coniugate, italiane e con figli;
   i dati segnalano un calo degli accessi ai Cav (da 439 del 2013 a 422, del 2014), con una maggiore attività segnalata nel comune di Ancona (34 per cento dei casi) e Pesaro (27 per cento);
   il contesto di tali violenze continua ad essere in prevalenza quello domestico, il che segnala come la logica della prevaricazione sia fortemente radicata nella gestione delle relazioni familiari, denotando un deficit culturale significativo in questo contesto, non legato peraltro al livello di istruzione dell'agente –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo anche sul piano normativo, al fine di implementare il contrasto alla violenza di genere con strumenti culturali oltre che repressivi;
   quali iniziative intenda promuovere il Governo per sostenere, anche finanziariamente, l'opera dei centri antiviolenza, anche alla luce del significativo e capillare lavoro che stanno svolgendo, ove presenti, nel offrire supporto alle vittime di tali violenze. (4-10940)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si è di fronte a una politica di risparmio, o meglio di tagli, anche in merito alla organizzazione territoriale dell'Arma dei carabinieri;
   è stato infatti chiesto un risparmio anche sui canoni d'affitto delle caserme dei Carabinieri non di proprietà statale;
   in considerazione di tali esigenze e richieste è stato previsto che la caserma dei carabinieri di via Carlo Pisacane in Fano, provincia di Pesaro e Urbino, attualmente in affitto da privati, sia trasferita presso la ex caserma militare «G. Paolini», di proprietà del demanio, sita sempre in Fano;
   la caserma dei Carabinieri di via Pisacane ospita attualmente il reparto territoriale, la stazione e il nucleo operativo e radiomobile, con ben cinquanta uomini di stanza, oltre ad essere il punto di riferimento di tredici stazioni locali di competenza della stessa compagnia, per un numero complessivo di quasi centocinquanta militari;
   il demanio civile ha demandato il progetto esecutivo al provveditorato per le opere pubbliche, progetto che prevede che la caserma dei Carabinieri sia realizzata nel capannone che forma il retro della ex caserma militare «G. Paolini», capannone un tempo adibito a officina meccanica, palestra e cucine;
   detto capannone, formato dal solo piano terra, lungo, stretto, alto oltre sei metri, non può essere utilmente suddiviso, si trova in posizione infelice, incastrato fra altri immobili, non ha spazi sufficienti né idonei alle esigenze dei Carabinieri, e non garantisce un facile accesso né ai mezzi dell'Arma né ai cittadini che debbono recarsi presso gli uffici della caserma;
   inoltre, nelle immediate vicinanze del capannone in questione si affacciano altre costruzioni, ben più alte, a discapito della sicurezza e della riservatezza di cui deve godere una caserma dei carabinieri;
   tale progetto, non condiviso con l'amministrazione comunale, suscita perplessità in quanto la cittadinanza si troverebbe ad usufruire di un edificio destinato ad una così delicata e strategica funzione in posizione nascosta, poco visibile e difficilmente accessibile;
   il demanio ha imposto, senza alcuna condivisione, il progetto anche alla prefettura che dovrà usufruire del bene da destinare all'Arma dei carabinieri;
   appare incomprensibile la motivazione per la quale non possa essere destinata all'Arma dei carabinieri l'immobile della ex caserma militare «G. Paolini» che costituisce il fronte della struttura de qua, immobile idoneo, per conformazione e per spazi, per accessibilità e fruibilità e, non ultimo, per decoro e prestigio, ad accogliere la caserma;
   occorre anche rilevare come la parte idonea ad ospitare la caserma, ossia la parte dell'immobile che costituisce il fronte della struttura, sarà molto probabilmente affidato a privati che ne cureranno la ristrutturazione per realizzarvi verosimilmente abitazioni e forse anche spazi commerciali, non avendo il comune, destinatario ultimo dei beni del demanio, risorse a disposizione per detta ristrutturazione –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere affinché la caserma dei carabinieri di Fano sia realizzata in un immobile idoneo, per conformazione e per spazi, tenendo presenti anche le esigenze di sicurezza e di riservatezza di una simile struttura. (4-10943)


   BRIGNONE, CIVATI, PASTORINO e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo cooperativo Goel conta oltre 3.000 sottoscrittori, circa 740 organizzazioni ed enti e ne fanno parte per lo più aziende agricole che si oppongono al dilagare delle mafie. Operativo dal 2003, nasce dall'unione di persone e imprese che hanno come obiettivo il cambiamento culturale della Calabria. Infatti, il nome «GOEL» vuol dire «il liberatore», «il riscattatore»;
   le varie cooperative che aderiscono a GOEL si occupano di numerose problematiche sociali come l'accoglienza dei migranti nordafricani, i minori a rischio, i pazienti psichiatrici, promuovono il turismo responsabile, eno-gastronomico e ambientale e producono agricoltura biologica;
   i prodotti agricoli del Gruppo sono venduti a un prezzo più alto della media di mercato ma nonostante ciò trovano molti sbocchi di compravendita. I produttori riescono così a garantire un corretto rispetto dei diritti dei lavoratori agricoli;
   l'azienda di agriturismo biologico «A Lanterna» sita a Monasterace (RC) è socia di Goel Bio. La notte del 31 ottobre 2015 ha subito l'ennesimo attentato della `ndrangheta, il settimo dal 2009;
   ignoti s'introducevano nel capannone destinato al ricovero delle attrezzature agricole da lavoro dando fuoco alle stesse. In particolare, pare che nei mirino ci fosse il trattore, mezzo essenziale per l'avvio prossimo dell'attività di raccolta degli agrumi. Tutta l'attrezzatura è andata persa durante l'incendio;
   sino a oggi, i sette atti intimidatori subiti dall'azienda agricola per lo più di natura incendiaria, sono rimasti impuniti –:
   se e quali siano le iniziative che si intendono mettere in atto al fine di fermare gli attacchi e gli atti intimidatori che le ’ndrine locali continuano a compiere ai danni di aziende che, oltre a dare occupazione, si sforzano di offrire speranza e riscatto sociale dalle mafie;
   non essendo sufficiente ad avviso degli interroganti l'ottimo lavoro svolto dalla magistratura e dalle forze dell'ordine, se non ritenga necessario dare, per quanto di competenza, un forte segnale di vicinanza alle aziende che continuano a subire, impotenti, tali gesti ignobili e gravi perpetrati dalla `ndrangheta, con la finalità di contrastare e intimidire coloro che lavorano per costruire una società finalmente libera a tutte le mafie. (4-10944)


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di giugno 2015 sono arrivati centotrenta migranti nel comune di Eraclea, in provincia di Venezia, e sono stati collocati in appartamenti del locale «residence Mimose» gestiti dalla cooperativa «Solaris» di Carpi;
   nel corso dell'estate la situazione sia all'interno sia all'esterno del residence è diventata sempre più critica, con i migranti, nel frattempo aumentati a centocinquanta e stipati negli appartamenti «porta a porta» con i villeggianti, che hanno iniziato ad occupare le strade d'ingresso alla località turistica per protestare contro la qualità e quantità del cibo e i ritardi nella concessione dei permessi e della protezione internazionale;
   allo stato la presenza dei migranti nel residence, che sarebbe dovuta durare solo pochi mesi, è già stata prorogata sino alla prossima estate, e sembra essere allo studio anche un progetto di un centro per lo sport per profughi che lascia supporre una permanenza anche più lunga;
   gli inquilini del residence si sono rivolti alla magistratura per vedersi riconoscere il danno economico risultante dal deprezzamento dell'immobile dovuto alla presenza al suo interno degli stranieri i quali peraltro, a quanto consta all'interrogante violano spesso le più elementari regole di convivenza condominiale, bivaccando nelle scale e nei corridoi;
   nel frattempo la magistratura ha accertato che la cooperativa «Solaris» non ha mai corrisposto alla società proprietaria dell'immobile i canoni dovuti per l'affitto degli appartamenti dati ai migranti;
   gli inquilini avevano ripetutamente segnalato alla locale prefettura le presunte irregolarità e violazioni commesse dalla cooperativa ma senza ottenere ascolto –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   in che modo intenda garantire che la gestione dell'accoglienza sia realizzata nel più rigoroso rispetto delle normative, delle procedure e dei cittadini delle località coinvolte. (4-10946)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dai media locali si apprende del caso di un libro di testo utilizzato in una classe seconda di una scuola elementare di Aviano e anche in una quinta classe di una elementare di Trieste che, nonostante le proteste dei genitori e le rassicurazioni degli insegnanti, è stato mantenuto malgrado al suo interno vi si trovi un esplicito riferimento alla teoria cosiddetta «Gender», ossia l'approccio multidisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell'identità di genere;
   sembra inoltre che nelle scuole ci siano già in essere progetti per la lotta al bullismo omofobico, organizzati dall'Arcigay;
   è inaccettabile che la funzione educativa su tematiche così importanti sia totalmente sottratta alla famiglia e che il valore della famiglia tradizionale sia ormai calpestato, mostrando così ai bambini modelli sociali spesso discutibili e non condivisi dai genitori;
   anche nella scelta dei libri di testo, qualora si vogliano approfondire tematiche così delicate e che coinvolgono la responsabilità genitoriale, sarebbe necessario richiedere il consenso alle famiglie stesse;
   oggi più che mai, ad avviso dell'interrogante, è fondamentale per i genitori impegnarsi in modo attivo nell'esperienza scolastica dei figli, tenendo alta l'attenzione nei confronti di programmi e testi, perché episodi come quelli di Aviano e Trieste non si verifichino più;
   appare di dubbia legittimità all'interrogante che dei docenti adottino testi scolastici divulgativi dell'ideologia gender senza chiedere espresso consenso ai genitori, primi responsabili dell'educazione dei propri figli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di progetti per le scuole organizzati dall'Arcigay e finanziati dalla regione Friuli Venezia Giulia;
   se il Ministro non ritenga di assumere iniziative normative volte a rendere effettivo l'esercizio del diritto all'educazione dei figli, costituzionalmente garantito, ma sempre più disatteso, a giudizio dell'interrogante, dall'ideologia oggi imperante nelle scuole volta ad annullare l'identità sessuale dei figli. (4-10960)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   fra circa un mese scadrà la cassa integrazione straordinaria per i 116 lavoratori della Evraz Palini e Bertoli, società italiana leader nella lavorazione dell'acciaio, con sede a San Giorgio di Nogaro (UD). Tuttavia, ad oggi, i vertici della società non hanno rilasciato alcuna dichiarazione sul riavvio dell'impianto, ormai fermo da oltre 24 mesi. Ci si attendeva invece un chiaro piano da parte dell'Everaz sulle prospettive del sito, nel rispetto degli impegni presi con un accordo siglato in Confindustria Udine quasi un anno fa. Dunque, è del tutto incerto il destino dei lavoratori, già provati dal clima di preoccupazione che ha caratterizzato la società negli ultimi anni, sebbene il piano industriale posto in essere preveda la salvaguardia dei livelli occupazionali esistenti, con il graduale rientro entro la fine del 2015, dei 116 dipendenti dopo il termine della cassa integrazione straordinaria;
   in assenza di comunicazioni riguardanti la data della riapertura ed eventuali iniziative per far rientrare i lavoratori in azienda, si ritiene necessario adottare provvedimenti affinché vengano tutelati i lavoratori in questione e, quindi, siano rispettati gli accordi;
   si mette in evidenza il comportamento, ad avviso dell'interrogante non corretto, della società, visto che ad un mese dalla scadenza della cassa integrazione non ha ancora fatto conoscere il programma di ripartenza della Evraz Palini e Bertoli. Di contro, la società avrebbe dovuto garantire in tempi certi l'adozione di concrete iniziative per il ravvio dell'impianto e di conseguenza darne comunicazione ai lavoratori, per evitare il protrarsi dello stato d'incertezza in cui stanno vivendo queste persone con le loro famiglie –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano i suoi orientamenti;
   se e quali iniziative intenda adottare, di concerto con i rappresentati della società, della regione Friuli Venezia Giulia e delle organizzazioni sindacali, affinché siano salvaguardati i lavoratori individuando, delle soluzioni per la tutela dei livelli occupazionali, anche attraverso un concreto programma di ripartenza del sito di San Giorgio di Nogaro. (5-06848)

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, nel testo convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, stabilisce che le aziende dei call center con almeno venti dipendenti possano decidere di delocalizzare l'attività di call center fuori da territorio nazionale; in tal caso devono darne comunicazione, almeno centoventi giorni prima del trasferimento, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, indicando i lavoratori coinvolti. Inoltre, devono darne comunicazione all'Autorità garante per la protezione dei dati personali, indicando quali misure vengono adottate per il rispetto della legislazione nazionale, in particolare del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del registro delle opposizioni. Analoga informativa deve essere fornita dalle aziende che già oggi operano in Paesi esteri; la medesima norma stabilisce, altresì, che, in attesa di procedere alla ridefinizione del sistema degli incentivi all'occupazione nel settore dei call center, i benefici previsti dalla legge 29 dicembre 1990, n. 407, non possono essere erogati ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri; infine, l'articolo 24 bis al comma 4, prevede che quando un cittadino effettua una chiamata ad un call center deve essere informato preliminarmente sul Paese estero in cui l'operatore con cui parla è fisicamente collocato e deve, al fine di poter essere garantito rispetto alla protezione dei suoi dati personali, poter scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato nel territorio nazionale. Analoga comunicazione circa la collocazione dell'operatore è prevista nel caso in cui sia un cittadino ad essere destinatario di una chiamata da un call center; il mancato rispetto delle disposizioni sopra citate comporta la sanzione amministrativa pecuniaria di 10.000 euro per ogni giornata di violazione;
   risulta all'interrogante, tuttavia, che molte aziende del settore non rispettino la normativa sopra segnalata, con grave pregiudizio per la tutela di alcuni diritti fondamentali; in primo luogo, infatti, vi è un grave pregiudizio per quanto riguarda la tutela del diritto alla privacy dei cittadini che entrano in contatto con i call center collocati fuori dal territorio nazionale e che non vengono avvisati del fatto che stanno parlando con un operatore non collocato sul territorio nazionale. In fase di instradamento della chiamata al sistema automatico di risposta (IVR), la fonia dovrebbe permettere all'utente di scegliere preliminarmente, come opzione, con quale operatore parlare, se nazionale o straniero, ma ad oggi ciò risulta puntualmente disatteso; inoltre, vi è un gravissimo pregiudizio per i livelli occupazionali italiani, che stanno determinando il collasso di un intero settore, come quello delle telecomunicazioni, che consta di 80.000 famiglie che sul lavoro nei call center ci hanno costruito un progetto di vita –:
   se risulti vi sia una corretta applicazione della normativa sopra citata;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative, anche normative, per l'istituzione di un sistema di vigilanza e controllo sull'attuazione della normativa citata, al fine di renderne più efficace l'applicazione;
   quali azioni intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali.
(4-10936)


   DURANTI, NICCHI, COSTANTINO, PANNARALE, RICCIATTI, PELLEGRINO, PIRAS, SANNICANDRO e MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «Libera Federazione di Donne» (LFD), è una Federazione di nove associazioni, tutte di donne: ArciLesbica Salento Le Pizzicanti, AWMR (Association of Women of the Mediterranean Region), La Linguere-(Rete donne per la 194), Associazione Le Meticce, NAeMI - Forum di Donne Native e Migranti, Rete di Donne per la 194, Trust «Nel Nome della Donna», WILPF, Le Gocce;
   obiettivo della LFD è quello di realizzare il progetto di una «casa delle donne» a Lecce che sia punto di riferimento del movimento delle donne e di gruppi femministi, luogo di incontro, di relazione, di scambio, di sostegno tra donne, di attività e organizzazione politica autonoma delle donne, spazio autogestito ed aperto alle varie pratiche femministe, a tutte le donne di qualunque orientamento sessuale, ai gruppi e alle associazioni di donne;
   suddetta «casa delle donne» ha fatto domanda all'ufficio regionale competente di iscrizione al Registro regionali delle associazioni di promozione sociale («APS»). In base a quanto previsto dalla normativa regionale vigente, legge regionale n. 39 del 18 dicembre 2007, l'inclusione in questione è subordinata al parere dell'ufficio servizi sociali del comune di Lecce, che ha espresso parere sfavorevole;
   alla base del diniego, l'ufficio servizi sociali avrebbe interpretato alcuni passi dello statuto della associazione in cui ricorrono termini come «antifascismo», «pacifismo», «spazio politico», ritenendoli in contrasto con un estratto della legge 383 del 2000 per cui «non sono considerate associazioni di promozione sociale, ai fini e per gli effetti della seguente legge, i partiti politici, le organizzazioni sindacali (...)»;
   la «LFD-Casa delle Donne», regolarmente iscritta dal 2010 all'albo delle associazioni e movimenti femminili della regione Puglia-servizio politiche di benessere sociale e pari opportunità, non è con ogni evidenza né un, partito politico né tantomeno una organizzazione sindacale, date le finalità e le modalità della sua azione sociale;
   nello specifico dello statuto, il riferimento all'antifascismo non è altro che richiamo diretto ai valori costituzionali fondativi della Repubblica italiana; mentre il termine politica è evidentemente utilizzato nella sua accezione più importante, alta ed ampia, volta ad indicare l'azione di promozione sociale e di cittadinanza attiva (in particolar modo delle donne) in ottica di attivazione di processi di democrazia diretta e di autoconsapevolezza;
   ad avviso degli interroganti il diniego espresso dagli uffici competenti del comune di Lecce risulta quindi arbitrario oltre che infondato e privo di qualsivoglia sostegno normativo;
    la legge n. 383 del 2010, all'articolo 1, comma 1, recita: «La Repubblica riconosce il valore sociale dell'associazionismo liberamente costituito e delle sue molteplici attività come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo; ne promuove lo sviluppo in tutte le sue articolazioni territoriali, nella salvaguardia della sua autonomia; favorisce il suo apporto originale al conseguimento di finalità di carattere sociale, civile, culturale e di ricerca etica e spirituale»; e all'articolo 1 comma 3 recita: «La presente legge ha, altresì, lo scopo di favorire il formarsi di nuove realtà associative e di consolidare e rafforzare quelle già esistenti che rispondono agli obiettivi di cui al presente articolo» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative normative volte a chiarire le disposizioni della legge n. 383 del 2000 sulle associazioni di promozione sociale, in modo da evitare il ripetersi di casi come quello sopra riportato. (4-10951)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il mercato del latte ha perso oltre il 20 per cento nel giro di un anno e mezzo, con prospettive non certo confortanti, il che impone strategie di azione condivise e forti e comunque diverse da quelle applicate fino ad oggi;
   il mercato stenta a trovare una giusta remunerazione del prezzo del latte per la complessità di uno scenario condizionato da un operatore principale, straniero, soprattutto francese e tedesco, che determina le oscillazioni del prezzo;
   le stalle italiane ormai stanno facendo i conti con una remunerazione ben al di sotto dei costi di produzione che rende impossibile resistere. Il latte oggi viene pagato agli allevatori in media 0,35 centesimi al litro, mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di circa 1,5 euro al litro. Il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre neanche i costi per l'alimentazione degli animali. Fino ad oggi sono state chiuse in Italia oltre 172.000 stalle e fattorie ad un ritmo di oltre 60 al giorno, con effetti drammatici sull'economia, sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale, nonché sull'occupazione. Queste chiusure hanno causato un aumento delle importazioni dall'estero di latte;
   il settore lattiero-caseario rappresenta la voce più importante dell'agroalimentare italiano, con 36 mila imprese di allevamento che producono 110 milioni di tonnellate di latte bovino di produzione complessiva e generano nella filiera un valore di 28 miliardi di euro, con quasi 180 mila occupati della filiera. Circa la metà del latte consegnato è destinato alla produzione di ben 48 formaggi dop;
   non si può aspettare inermi la scomparsa degli allevamenti italiani, dei lavoratori italiani e del vero made in Italy e il conseguente abbandono dei territori. Sono necessarie regole trasparenti sulle produzioni lattiero-casearie, al fine di consentire agli allevatori e ai consumatori di avere un'equa remunerazione, un giusto prezzo e la garanzia di quello che si mangia. È necessario, quindi, poter garantire agli allevamenti di poter continuare a lavorare e al consumatore un prodotto di grande qualità;
   a luglio 2015 la regione Lombardia raggiunse un accordo al «tavolo latte» con i produttori e le cooperative ad un prezzo di 37,004 euro per 100 litri. L'accordo prevedeva l'introduzione di un'indicizzazione del prezzo basata sull'andamento del prezzo al consumo di una serie di prodotti lattiero-caseari (ad esempio, formaggi dop) e delle materie prime a carico degli allevatori, con conseguente effetto correttivo rispetto alle oscillazioni, senza dover ricorrere ad una contrattualistica ingessata;
   la regione Lombardia è il principale produttore di latte nazionale e se non si riesce a raggiungere un accordo con i produttori diventa impossibile poter ottenere un risultato congruo per gli allevatori e le stalle si trovano ad essere ancor più a rischio chiusura. Oggi gli allevatori vivono una situazione surreale, con un soggetto che invia lettere in cui comunica il prezzo di acquisto del latte in maniera unilaterale;
   in merito all'indicazione in etichetta dell'origine del prodotto, la normativa italiana è andata spesso in contrasto con le «regole» europee. La Commissione europea ritiene incompatibile con il mercato unico e la libera concorrenza la presunzione di qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di tutto o di parte del processo produttivo di un prodotto alimentare;
   si prenda il caso del regolamento (UE) n. 1169/2011, entrato in vigore il 12 dicembre 2014, che ha fissato nuove disposizioni circa le informazioni contenute nelle etichette dei prodotti alimentari allo scopo di realizzare una base comune per regolamentare le informazioni sugli alimenti e consentire ai consumatori di compiere scelte consapevoli. Tra le informazioni obbligatorie importanti non viene menzionata l'indicazione dello stabilimento di produzione e di confezionamento della merce. La normativa italiana, che invece ne prevedeva l'obbligo, a seguito di questo regolamento, è stata abrogata e quindi ora l'indicazione rimarrà solo facoltativa per il produttore. La non obbligatorietà dell'indicazione dello stabilimento di produzione comporta un grave danno al made in Italy;
   alle indicazioni obbligatorie contenute nel regolamento, circa l'origine e gli altri elementi obbligatori da inserire in etichetta, gli Stati membri possono introdurre disposizioni relative ad ulteriori indicazioni obbligatorie, con particolare riferimento al Paese d'origine o al luogo di provenienza di alimenti, solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell'alimento e la sua origine o provenienza e ciò sia ritenuto rilevante per i consumatori. È impensabile che oggi i consumatori non debbano sapere precisamente da dove arriva la metà del latte che si beve e con quale latte siano prodotti i formaggi e suoi derivati;
   è fuor di dubbio che la normativa comunitaria sull'etichettatura va rivista e adeguata ai migliori standard qualitativi esistenti nei Paesi virtuosi, come l'Italia, perché è ambigua e contraddittoria, come nel caso dell'obbligo di indicare la provenienza in etichetta della carne bovina, ma non per i prosciutti, per l'ortofrutta fresca, ma non per quella trasformata, per le uova, ma non per i formaggi, per il miele, ma non per il latte. Tutte queste contraddizioni giuridiche non fanno altro che impedire al consumatore di conoscere quello che realmente sta consumando, visto che, ad esempio, per il latte a lunga conservazione tre cartoni su quattro sono stranieri perché privi dell'indicazione di provenienza –:
   quali iniziative intenda assumere per rendere obbligatoria – per il latte fresco e quello a media e lunga conservazione, nonché per il latte usato come materia prima su tutti i prodotti lattiero-caseari italiani, formaggi, latte, mozzarella e altri, che poi si avvalgono del marchio made in Italy – l'indicazione in etichetta del luogo di origine, di provenienza, dello stabilimento di produzione e confezionamento, nonché quali siano le intenzioni del Ministro interrogato circa la possibilità di far ripartire sul tavolo della regione Lombardia le trattative con i produttori sul prezzo del latte, tutto ciò al fine di valorizzare la qualità del latte italiano e dei suoi derivati, che si trova a dover competere con il latte estero, che ha un minor costo e soprattutto una qualità inferiore e che è causa dell'abbattimento del prezzo del latte e della conseguente chiusura di molteplici stalle. (3-01813)


   FIORIO, CARRA, OLIVERIO, LUCIANO AGOSTINI, ANTEZZA, ANZALDI, CAPOZZOLO, COVA, DAL MORO, FALCONE, LAVAGNO, MARROCU, MONGIELLO, PALMA, PRINA, ROMANINI, TARICCO, TENTORI, TERROSI, VENITTELLI, ZANIN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il comparto lattiero-caseario è il primo settore alimentare italiano e rappresenta circa il 12 per cento del fatturato complessivo del food nazionale. Il valore della produzione supera i 15 miliardi di euro. Nel settore trovano impiego circa 25.000 lavoratori; ogni anno le imprese italiane producono un milione di tonnellate di formaggi, 2,7 milioni di tonnellate di latte alimentare, un miliardo e seicentomila vasetti di yogurt e 160.000 tonnellate di burro;
   l'Italia ha una posizione di rilievo nell'ambito del settore lattiero-caseario mondiale, in cui è il maggior Paese produttore di formaggi tipici di origine certificata;
   il settore lattiero-caseario apporta anche un importante contributo socio-economico allo sviluppo agricolo e rurale e sottolinea la sua particolare importanza nelle zone svantaggiate, montane e insulari e nelle regioni periferiche, dove l'allevamento è spesso l'unica attività agricola praticabile;
   da dieci anni il settore lattiero-caseario sta attraversando una grave crisi, che ha causato la scomparsa di 66.000 stalle italiane. Il crollo della domanda, causato anche dalla forte riduzione delle esportazioni nei Paesi extra Unione europea, ha portato ad un abbassamento generalizzato dei prezzi all'origine del latte bovino ed ha messo in ginocchio numerose imprese, in tutta Europa, che non riescono più a coprire i costi di produzione;
   la Commissione europea ha recentemente ammesso che l'attuazione delle misure presenti nel «pacchetto latte», in vigore da ottobre 2012, si è rivelata deludente;
   la Commissione europea ha, inoltre, rimarcato come le attuali misure della rete di sicurezza, come l'intervento pubblico e gli aiuti all'ammasso privato, non siano adeguate per far fronte alla persistente volatilità o a una crisi del settore del latte. La Commissione europea ha, infatti, constatato dubbi circa la capacità del quadro normativo comunitario di far fronte agli episodi di estrema volatilità del mercato o a una situazione di crisi dopo la scadenza del regime di quote, specialmente per garantire uno sviluppo equilibrato della produzione di latte ed evitare una concentrazione eccessiva nelle zone maggiormente produttive;
   per la Commissione europea è, quindi, necessaria una rete di sicurezza più reattiva e realistica e che il prezzo d'intervento rifletta maggiormente i costi di produzione. Il prezzo attuale, immutato dal 2008, deve essere quindi rivisto per tenere conto dei crescenti costi di produzione e dovrebbe essere sottoposto a regolare revisione. L'agricoltura sostenibile, quale fonte di prodotti alimentari di alta qualità, può essere, infatti, garantita solo se i produttori ricevono adeguati prezzi che coprano tutti i costi di una produzione sostenibile;
   il Consiglio straordinario dei Ministri agricoli dell'Unione europea, che si è svolto a Bruxelles il 7 settembre 2015, ha varato un pacchetto di aiuti d'emergenza da 500 milioni per tamponare la crisi del settore lattiero-caseario (destinandoli circa 25 all'Italia), oltre alla possibilità per gli Stati membri di aumentare dal 50 al 70 per cento l'anticipo a ottobre 2015 dei pagamenti diretti della politica agricola comune agli allevatori;
   tra le principali azioni messe in campo dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nell'ambito di un apposito «piano latte», rientrano in particolare:
    a) 0,5 centesimi di euro in più al litro per i produttori di latte attraverso aumento della compensazione Iva. Si prevede l'innalzamento dell'aliquota di compensazione Iva dall'8,8 al 10 per cento a favore degli allevatori del settore latte;
    b) l'istituzione di un tavolo tecnico nazionale per metodo di indicizzazione dei prezzi del latte. È prevista la costituzione presso il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali di un gruppo di lavoro per la definizione a livello nazionale di un sistema di indicizzazione del valore del latte alla stalla condiviso dagli attori della filiera;
    c) piano straordinario di promozione del consumo di latte fresco;
    d) promozione dell’export dei prodotti lattiero-caseario italiani. I formaggi dop italiani saranno protagonisti di specifiche azioni nell'ambito del piano straordinario per il made in Italy, previsto dalla legge di stabilità per il 2015 e messo in campo dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali insieme al Ministero dello sviluppo economico;
    e) sostegno agli impianti per il biometano di aziende zootecniche. Per stimolare l'integrazione al reddito degli allevatori il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali intende sostenere gli investimenti in impianti di biometano per la valorizzazione delle biomasse residuali e dei sottoprodotti della lavorazione agricola;
   il disegno di legge di stabilità per il 2016, all'esame del Senato della Repubblica, coerentemente con le azioni proposte, prevede l'innalzamento dell'aliquota di compensazione Iva dall'8,8 al 10 per cento per i produttori di latte;
   sempre nel disegno di legge di stabilità per il 2016 (articoli 4 e 5) è stata anche soppressa l'Irap e l'Imu sui terreni e sulle imprese agricole: un provvedimento che porterà, quindi, benefici anche al comparto lattiero-caseario;
   il Ministro interrogato ha, inoltre, recentemente annunciato che i fondi europei per l'acquisto di alimenti a sostegno degli indigenti (fead) saranno utilizzati, in parte, per l'acquisto di formaggi dop –:
   quali ulteriori iniziative saranno intraprese a sostegno del settore lattiero-caseario, che versa nel grave stato di crisi descritto in premessa. (3-01814)


   TOTARO, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI e TAGLIALATELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento europeo ha approvato nei giorni scorsi una proposta di regolamento volta a semplificare le procedure di commercializzazione di nuovi alimenti, prevedendo che la relativa autorizzazione non sarà più affidata ai singoli Stati ma direttamente alla Commissione europea;
   tra i cibi interessati dalla proposta rientrano alimenti esotici, quali alghe e insetti, tra cui cavallette, formiche, scorpioni ed altri, come anche prodotti alimentari frutto di tecnologie innovative o preparati utilizzando ingredienti nuovi, tra cui alcuni coloranti, nonché quelli derivati dalla discendenza di animali clonati, in attesa che la Commissione europea intervenga con una legislazione ad hoc;
   negli anni le rigide normative sui cibi imposte dall'Unione europea ai propri Stati membri hanno messo fuori legge, per un periodo di tempo limitato oppure per sempre, diversi alimenti e piatti tipici della tradizione culinaria italiana;
   nel luglio 2001, per far fronte alla cosiddetta emergenza mucca pazza, sono stati proibiti la pajata e l'ossobuco alla piemontese e tali restrizioni sanitarie sono ancora mantenute, nonostante l'Organizzazione mondiale per la sanità animale nel giugno 2013 abbia ufficialmente sancito per l'Italia il nuovo stato sanitario di «trascurabile» rispetto all'encefalopatia spongiforme bovina (bse);
   nel giugno 2010, invece, sono entrate in vigore le nuove norme sulla pesca dell'Unione europea, che, di fatto, hanno fatto sparire dalle tavole degli italiani specialità della tradizione gastronomica regionale, con il divieto di pesca-raccolta dei molluschi a distanza inferiore di 0,3 miglia marine dalla battigia dove si concentra il 70 per cento delle vongole ed il 100 per cento delle telline e dei cannolicchi;
   di contro, l'Unione europea ha permesso negli anni la commercializzazione di vino senza uva, cioccolato senza cacao ed è di pochi mesi fa la notizia della diffida inviata all'Italia dall'Unione europea per l'eliminazione del divieto dell'utilizzo di latte in polvere e simili per la fabbricazione di formaggi, yogurt o latte, mentre in tutta Europa circolano liberamente imitazioni low cost del parmigiano;
   le decisioni sui cibi adottate in ambito europeo sono ispirate da una tendenza eccessivamente «livellatrice» che, in ossequio al rigido rispetto di norme sanitarie comuni a tutti, alla riduzione degli sprechi e alla necessità di aprire il mercato alimentare europeo anche a quei Paesi dove, per motivi geografici e climatici, l'agricoltura non ha molto spazio, hanno determinato un appiattimento verso il basso delle normative;
   questo atteggiamento danneggia i Paesi come l'Italia che vantano una secolare tradizione agricola ed enogastronomica –:
   quali iniziative intenda assumere in ambito europeo al fine di salvaguardare le produzioni agricole e i cibi tipici italiani, anche con riferimento alla tutela del made in Italy. (3-01815)


   DORINA BIANCHI e BOSCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Corte di giustizia europea ha da poco sentenziato che l'etichettatura di un prodotto alimentare non deve indurre il consumatore in errore. Un precedente che potrebbe trasformarsi in un sostegno per le aziende danneggiate dal cosiddetto Italian sounding, ovvero la pratica di far passare per italiani, attraverso il nome o la confezione, alimenti che italiani non sono;
   secondo fonti del Ministero dello sviluppo economico, il fenomeno dell’Italian sounding vale un giro d'affari stimato in 50 miliardi di euro l'anno, pari a 147 milioni di euro al giorno: si tratta del doppio del valore delle esportazioni italiane di alimenti, che si ferma a 23 miliardi di euro;
   il Ministro interrogato ha recentemente affermato che, nel contesto europeo, vi è la massima attenzione possibile per quanto concerne la lotta al falso cibo italiano;
   il problema riguarda gli accordi bilaterali e commerciali con gli Stati Uniti ed il resto del mondo, dove è necessario definire una maggiore tutela delle indicazioni geografiche italiane, al fine che siano riconosciute da questi mercati;
   la nuova frontiera dell'agro-pirateria è costituita dal web: il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, insieme all'ispettorato repressione frodi, ha stipulato due accordi con i maggiori player dell’e-commerce mondiali, come eBay ed Alibaba: l'obiettivo è quello di assicurare ai prodotti dop e igp italiani una protezione pari a quella che ricevono i grandi marchi della rete. Solo negli ultimi 12 mesi, sono stati oltre 300 gli interventi, con un blocco di flussi di vendite di prodotti falsi per un valore che supera i 60 milioni di euro –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di assicurare ed estendere la tutela del cibo italiano anche oltre i confini europei. (3-01816)

Interrogazione a risposta scritta:


   OCCHIUTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 10 dicembre 2013 è stato bandito il concorso interno per 199, vice ispettori del Corpo forestale dello Stato;
   nei precedenti concorsi per vice ispettori, il numero dei posti messi a disposizione sono stati poi ampliati, provvedendo a collocare tutti gli idonei non vincitori;
   il precedente concorso interno, bandito per 182 posti, è stato poi ampliato a n. 183 posti; successivamente, sono stati convocati tutti gli idonei non vincitori, ovvero ulteriori n. 222 unità, arrivando a complessivi n. 405 posti, costituendo di fatto un ampliamento superiore al 121 per cento dei posti previsti;
   un ulteriore concorso per la nomina di n. 400 unità, una parte dei quali riservata agli interni, ha messo poi a disposizione complessivamente n. 481 posti, con un ampliamento del 20 per cento come possibile sulla base della normativa vigente;
   in merito al citato concorso interno per n. 199 posti bandito nello scorso 2013, sono risultate idonee complessivamente n. 236 unità;
   ad oggi, 197 vincitori hanno terminato di frequentare il corso di istruzione e specializzazione tecnico-professionale della durata di sei mesi presso la Scuola della polizia di Stato di Spoleto, il giorno 18 settembre 2015, mentre due vincitrici, per motivi di maternità, hanno dovuto rinunciare a frequentare il relativo corso per poi essere ammesse al corso successivo;
   ad oggi, per il concorso richiamato, non risulta esser stato esteso il numero dei posti messi a disposizione, pur essendo possibile – in base alla normativa vigente richiamata nel bando – un ampliamento entro il 20 per cento;
   allo stato attuale il ruolo risulta avere posti vacanti;
   l'ampliamento specifico non è in contrasto con il blocco delle assunzioni previsto dalle norme vigenti, in quanto non si tratta di nuove assunzioni, ma di un transito nei ruoli;
   la legge n. 125 del 2013 recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» ha configurato lo scorrimento delle graduatorie concorsuali valide ed efficaci come la regola generale per la copertura dei posti vacanti nella dotazione organica;
   in merito al concorso in questione, non ci sono ricorsi pendenti in atto;
   il mancato ampliamento dei posti, ad oggi, risulta inspiegabile per il personale in questione che da anni presta servizio con merito nel Corpo forestale dello Stato, come da requisiti nel bando; di fatto, poi, si tratterebbe del primo concorso nel ruolo penalizzato dal mancato ampliamento di soli ventinove unità, ovvero un numero di gran lunga inferiore anche al previsto 20 per cento –:
   se e con quale tempistica si intenda procedere all'ampliamento dei posti messi a disposizione dal concorso interno per 199 Vice ispettori del Corpo forestale dello Stato, bandito il 10 dicembre 2013, al fine di includere anche gli idonei non vincitori del concorso. (4-10938)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un bambino marchigiano di nome Simone Storani, 5 anni, rimase gravemente ustionato in un incidente domestico tre anni fa quando gli cadde addosso dell'acqua bollente. Numerosi gli interventi già effettuati, un lento calvario fatto di operazioni e spostamenti in Germania. Il 17 dicembre 2015 verrà nuovamente operato in Germania;
   il bambino ha dovuto indossare una maschera speciale per diminuire le cicatrici, non rinunciando a tutte le attività che un bambino intelligente e sveglio come lui vuole fare;
   il piccolo Simone non ha diritto al rimborso delle creme medicinali per il viso che deve necessariamente usare;
   il grido di aiuto è arrivato, nei giorni scorsi, direttamente dalla madre la signora Tiziana Bardi che alla stampa locale ha dichiarato: «Oggi ennesima risposta negativa da Roma. Siamo spiacenti di comunicarle che le creme che deve usare suo figlio sono medicinali che la sanità pubblica non rimborsa e che i medici non possono prescrivere perché inserite nell'elenco dei trattamenti estetici non curativi»;
   il bimbo ha bisogno assoluto del trattamento che costa alla sua famiglia 1400 euro al mese. Le applica tre volte al giorno per il recupero del punto di vista cutaneo;
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda assumere per aiutare la famiglia del piccolo Simone e quelle che si trovano in situazione analoga. (5-06849)


   GALLINELLA, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale del 1o giugno 2015, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha integrato le norme tecniche del libro genealogico con un piano di gestione e risanamento rivolto alle razze da carne colpite dal virus dell'IBR (rinotracheite infettiva del bovino): «Piano di gestione degli allevamenti dei bovini iscritti ai libri genealogici delle 5 razze italiane da carne finalizzato al risanamento da virus responsabile della rinotracheite infettiva del bovino (IBR)»;
   il suddetto piano è stato messo a punto nel marzo 2015 dall'ANABIC (Associazione nazionale allevatori bovini italiani da carne, che gestisce il libro genealogico delle razze Chianine) e concordato da un apposito tavolo tecnico del quale hanno fatto parte anche rappresentanti del Ministero della salute; esso prevede un monitoraggio sierologico per almeno due anni di tutti gli animali riproduttori sopra i 12 mesi presenti in allevamento; fissa dei limiti di sieropositività e prevede un premio accoppiato per le vacche nutrici iscritte ai libri genealogici e al registro anagrafico, i cui vitelli sono registrati secondo la regolamentazione nazionale e comunitaria;
   l'IBR è una malattia, non trasmissibile all'uomo, causata da un herpesvirus (BHV1) che si manifesta con sintomi respiratori e genitali, febbre, tosse, congiuntivite, caduta, della produzione lattea, aborto, pustole, ipofertilità; sintomi non sempre evidenti poiché l'animale è un portatore latente;
   l'impatto economico sulle imprese è tuttavia rilevante: spese veterinarie, perdita dei capi, aumento degli aborti, ma anche possibili restrizioni commerciali, anche a livello europeo, non valutabili a priori;
   i piani di profilassi di eradicazione dell'IBR sono stati avviati solo in alcune regioni e in maniera disomogenea, pertanto, ad oggi, non sono operativi su tutto il territorio in cui i bovini sono colpiti dalla malattia; ciò crea delle criticità sotto un duplice aspetto: quello delle attività dell'ANABIC, che ha difficoltà a reperire soggetti esenti da IBR da sottoporre al performance test presso i centri genetici gestiti dall'ANABIC e quello relativo ai vincoli commerciali e al blocco della movimentazione degli animali positivi in Italia, anche tra una regione e l'altra, in funzione della presenza del piano di controllo ed eradicazione dell'IBR;
   nelle Marche, ad esempio – regione, insieme all'Umbria, in cui, secondo uno studio condotto dall'IZS di Umbria e Marche e dall'ANABIC, si evidenzia una diffusione dell'IBR che raggiunge l'80 per cento nella razza Chianina e il 64 per cento nella Marchigiana – le prestazioni veterinarie sono a pagamento anche se concomitanti con le profilassi obbligatorie, nonostante le indicazioni contenute nella circolare del Ministero della salute 19 giugno 2015, n. 16330;
   in Campania, a quanto consta agli interroganti, alcune Asl chiedono agli allevatori interessati al piano in oggetto di aderire obbligatoriamente anche piano regionale IBR, mentre i due percorsi risultano, sono separati ed autonomi;
   difficoltà sono state anche riscontrate nella gestione della richieste di adesione ai piani regionali, in quanto numerose Asl, nonostante l'ANABIC abbia messo a disposizione procedure informatiche per consentire alle Asl di monitorare le adesioni, nell'ottica della semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi a carico delle amministrazioni e delle aziende, chiedono agli allevatori di inoltrare le richieste di adesione alla stessa Asl regionale;
   questo contesto, specie relativamente ai diversi costi che sono a carico degli allevatori, determina una disparità di trattamento nell'attuazione del piano in questione e, conseguentemente, nell'erogazione del beneficio del sostegno accoppiato accordato con i finanziamenti della PAC agricola –:
   se i Ministri interrogati in base a quanto esposto in premessa e alle evidenti ripercussioni negative di una gestione frammentata e disomogenea del piano di profilassi, sia dal punto di vista degli oneri per gli allevatori, sia da quello del miglioramento della qualità del bestiame, non ritengano opportuno assumere iniziative per quanto di propria competenza per organizzare, la gestione e soprattutto i costi dei prelievi ematici da sottoporre a test sierologico, differenti da regione a regione, anche al fine di non compromettere la gestione del sostegno accoppiato accordato con i finanziamenti della politica agricola comune. (5-06853)

Interrogazione a risposta scritta:


   MUCCI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, PRODANI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Emilia Romagna è in discussione un progetto per l'ampliamento della discarica di Tre monti. Nell'eventualità in cui il progetto venisse approvato essa diverrebbe la più grande dell'Emilia Romagna e servirebbe allo smaltimento dei rifiuti di gran parte del territorio regionale;
   la stampa locale ha posto in evidenza il fatto che già ora, senza incrementare la portata volumetrica della discarica, per gli abitanti che vivono in prossimità della stessa è stato riscontrato una tasso di patologie maggiore a quello medio, imputando ciò a un nesso causale esistente tra i due fatti e descrivendo «un gioco a somma negativa» poiché gli svantaggi appaiono maggiori dei vantaggi;
   i dati riportati dalle fonti di stampa suddetti non sono ufficiali poiché non è mai stata fatta un'analisi epidemiologica sui fattori di rischio per la salute degli abitanti;
   il presidente di CON.AMI ha dichiarato, tra l'altro, alla stampa che «solo in un caso eccezionale il percolato è fuoriuscito sfociando nel Rio Rondinella»;
   se i fatti narrati in premessa siano a conoscenza del Ministro interrogato e quali iniziati urgenti di competenza intenda assumere, a partire dalla promozione di una indagine epidemiologica, tramite l'Istituto superiore di sanità, in relazioni ai rischi per la salute dei cittadini residenti nella zona adiacente il territorio individuato. (4-10952)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta immediata:


   AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, MARCON e MELILLA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha conferito un'ampia delega al Governo per la riforma della pubblica amministrazione;
   agente e motore essenziale di tale riforma dovranno essere i lavoratori del pubblico impiego nelle cui mani è affidata la gestione quotidiana di amministrazioni e pubblici servizi;
   da ben 6 anni, viceversa, i vari Governi che si sono succeduti hanno bloccato il rinnovo dei contratti di lavoro e ridotto ai minimi termini il turn over;
   tale situazione ha creato notevoli disagi e tensioni tra i pubblici dipendenti e le rispettive amministrazioni;
   i sindacati hanno indetto uno sciopero nazionale del pubblico impiego;
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 178 del 2015, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del regime di sospensione della contrattazione collettiva –:
   quali iniziative concrete intenda assumere il Governo al fine di creare tra i pubblici dipendenti un clima collaborativo adatto alla realizzazione della riforma della pubblica amministrazione, superando disagi e tensioni nella categoria. (3-01811)


   RIZZETTO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, SEGONI e TURCO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il primo firmatario della presente interrogazione, per far fronte ai reiterati e irregolari sistemi che, da circa quindici anni, regolano la gestione del personale delle agenzie fiscali, con una risoluzione presentata nel mese di settembre 2015, ha richiesto l'istituzione di un'area quadri nella pubblica amministrazione, analoga a quella esistente nel settore privato, con figure professionali altamente specializzate. L'assenza della figura dei quadri nella pubblica amministrazione italiana era stata già censurata dal Parlamento europeo, in seguito ad un'audizione della Dirstat, e ciò aveva condotto l'Italia ad adottare una norma (articolo 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165), per l'introduzione della vicedirigenza, figura rientrante nell'area quadri. Tuttavia, tale disposizione è rimasta inattuata sino alla sua abrogazione avvenuta durante il Governo Monti;
   la mancanza di tale figura intermedia nella pubblica amministrazione ha contribuito incisivamente a determinare il proliferarsi dell'attribuzione fiduciaria di incarichi ad personam in favore di soggetti non titolati e, conseguentemente, ha determinato un gravissimo danno per le casse dello Stato per la corresponsione illecita di laute indennità. Per porre rimedio a tale imbarazzante situazione di illegalità che vige presso le agenzie fiscali e che gli interroganti denunciano da mesi, nulla è stato fatto da questo Governo. Anche le attuali dichiarazioni a mezzo stampa del Sottosegretario Zanetti sulle criticità funzionali dell'Agenzia delle entrate non appaiono pregevoli, in quanto tardive ed in contraddizione con la ferma difesa dell'operato dell'Agenzia delle entrate assunta proprio dal Sottosegretario, in risposta a recenti atti di sindacato ispettivo sulla questione;
   a placare l'arbitrarietà con la quale si attribuiscono incarichi in assenza di regolari procedure non è servita nemmeno la nota sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015, che, nel dichiarare illegittimi 1.200 dirigenti delle agenzie fiscali, di cui ben 800 dell'Agenzia delle entrate, aveva indicato l'applicazione dell'istituto della reggenza regolato dall'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 8 maggio 1987, n. 266, quale soluzione per rimediare alla vacanza delle posizioni decadute nelle more dell'espletamento di concorsi pubblici; tuttavia, non si è proceduto all'applicazione di tale norma, pur essendo vigente: difatti, l'autorevole pronuncia dei giudici costituzionali ne ha indicato l'applicazione;
   ebbene, ad oggi, l'Agenzia delle entrate continua a procedere arbitrariamente nell'investitura degli incarichi. A riguardo, a titolo di esempio, vi è la recente nomina del capo della direzione del personale dell'Agenzia delle entrate conferita il 22 ottobre 2015 con modalità a giudizio degli interroganti del tutto discrezionali, in quanto non preceduta da regolare interpello volto a far partecipare alla selezione tutti coloro che ne avevano titolo, violando l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   altra irregolare prassi avviene attraverso un'applicazione distorta dell'articolo 19, comma 6, del predetto decreto legislativo n. 165 del 2001, per attribuire incarichi esterni. A riguardo, è assurdo che, come ha anche riportato il quotidiano Italia oggi in un articolo del 28 marzo 2015, nonché una recente pubblicazione della rivista Panorama, risulta sia stato investito un funzionario interno collocato in aspettativa di incarico dirigenziale esterno;
   il Governo non solo non è intervenuto tempestivamente per ripristinare la legalità nell'ambito delle procedure che regolano la gestione del personale delle agenzie fiscali, ma ha poi aggravato la situazione con l'introduzione dell'articolo 4-bis nel decreto-legge n. 78 del 2015, norma che istituisce delle «posizioni organizzative speciali» nell'ambito delle agenzie, per far fronte alle vacanze delle posizioni dirigenziali decadute. Tale norma è illegittima poiché in antitesi con quanto stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale e viola il principio per il quale il concorso pubblico deve essere la via ordinaria non solo per le assunzioni pubbliche, ma anche per l'investitura di nuovi incarichi per coloro che fanno già parte dell'organico (si confronti la sentenza del Consiglio di Stato n. 4139 del 2015). Dunque, le procedure concorsuali interne possono essere un'eccezione al generale principio di entrata in servizio per il tramite del concorso pubblico, che deve essere giustificata da straordinarie esigenze adeguatamente motivate, che nella fattispecie in questione non sussistono;
   le predette prassi di nomina rappresentano una continuazione delle medesime procedure censurate dalla giustizia amministrativa e dalla Corte costituzionale, che hanno caratterizzato negli anni la gestione del personale degli enti pubblici in questione. A tale grave situazione ha contribuito, come predetto, anche l'assenza nell'ambito della pubblica amministrazione di un'area contrattuale del tutto omologa a quella dei cosiddetti quadri, che, come è noto, costituiscono una figura intermedia tra la classe impiegatizia e quella dirigenziale, la cui presenza consentirebbe, tra l'altro, di evitare l'istituzione di posizione organizzative speciali che a parere degli interroganti sono del tutto irregolari –:
   se il Ministro interrogato intenda, per quanto di competenza, adottare iniziative per istituire l'area quadri nell'ambito della pubblica amministrazione anche per ovviare alle predette prassi, applicate alla gestione del personale nell'ambito degli enti fiscali, che appaiono agli interroganti irregolari. (3-01812)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa intitolato «Bollette elettriche, vanno a segno misure governo: risparmi per 2,7 miliardi» il Ministero dello sviluppo economico nel febbraio di quest'anno dichiarava che «Con il “taglia bollette” e le altre agevolazioni le Pmi, nel 2015, spenderanno 1,7 miliardi in meno (riduzione compresa tra l'8,5 e il 10 per cento)», tenendo conto dei primi effetti delle diverse misure adottate dal Governo e dal Parlamento, in particolare con il DL 91/2014 (Decreto Competitività) che indirizza buona parte delle azioni a favore delle Pmi aggiungendo inoltre che a ciò si sarebbero sommati «Benefici significativi anche per le famiglie»;
   l'aggiornamento tariffario è definito quattro volte l'anno dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico e stabilisce le variazioni delle componenti tariffarie destinate alla copertura degli oneri generali e di ulteriori componenti del settore elettrico e del settore gas;
   nell'ultima deliberazione del 28 settembre 2015 451/2015/r/com di aggiornamento, dal 1o ottobre 2015, delle componenti tariffarie destinate alla copertura degli oneri generali e di ulteriori componenti del settore elettrico e del settore gas, si legge che «è confermata la previsione di un consistente aumento nel medesimo anno degli oneri» «per effetto del termine del meccanismo dei certificati verdi», in quanto «oltre ai costi derivanti dalle tariffe incentivanti che ne prenderanno il posto (stimabili in circa 3 miliardi di euro), si sosterranno i costi associati al ritiro, da parte del GSE, degli ultimi certificati invenduti», per un totale stimato dalla suddetta relazione in circa 2 miliardi di euro;
   gli interventi di riduzione del contributo tariffario descritti nel documento del mese di febbraio 2015 riguardano principalmente il settore delle fonti energetiche rinnovabili, attraverso misure di riduzione degli incentivi erogati e misure meramente contabili e una misura «una tantum» di rimodulazione del meccanismo di pagamento degli incentivi, al fotovoltaico che, posticipati, avrebbero portato a un risparmio di cassa per 600 milioni di euro, da recuperare negli anni successivi;
   le altre misure adottate prevedevano:
    a) estensione della platea dei soggetti al pagamento degli oneri di sistema per un risparmio atteso di 70 milioni di euro;
    b) pagamento degli oneri sostenuti dal Gse per lo svolgimento delle attività di gestione, verifica e controllo inerenti ai beneficiari dei medesimi incentivi per un risparmio atteso di 30 milioni di euro;
    c) rimodulazione degli incentivi ai grandi impianti fotovoltaici, con più opzioni a scelta dell'operatore per un risparmio atteso di 420 milioni di euro;
    d) cancellazione dello sconto sul prezzo dell'energia elettrica riconosciuto ai dipendenti delle imprese distributrici per un risparmio atteso di 23 milioni di euro;
    e) rimodulazione del sistema tariffario elettrico delle Ferrovie dello Stato per un risparmio atteso di 80 milioni di euro;
   altre misure, previste per diminuire la componente tariffaria prevedevano:
    la riduzione del sistema di interrompibilità, meccanismo definito «necessario tecnicamente per gestire in sicurezza il sistema elettrico», allo stesso modo del capacity payment, il cui costo non è stato rivisto;
    la mancata richiesta di risoluzioni anticipate di convenzioni CIP6 per il 2015, salve ulteriori richieste che potevano essere presentate entro il 30 settembre 2015;
    la riduzione dei benefici per lo Stato del Vaticano che tuttora ha garantita una fornitura di energia a prezzi ridotti, così come lo Stato di San Marino;
    la riduzione della spesa per i certificati verdi, contrariamente a quanto riportato nei documenti dell'AEEGSI, per un importo previsto pari a 456 milioni di euro;
   non tutte le operazioni effettuate dal Governo prevedevano una diminuzione degli oneri in bolletta; il comma 193 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge stabilità 2015), ha stabilito che la rete elettrica delle Ferrovie dello Stato (FS) è inclusa all'interno della rete di trasmissione nazionale, subordinatamente all'acquisizione di tale rete da parte di Terna, società privata concessionaria della rete elettrica e che riceve una remunerazione del servizio attraverso una componente tariffaria;
   dopo circa un anno dall'approvazione della suddetta norma l'Autorità ha definito la remunerazione riconoscibile alla porzione di reti elettriche in alta tensione oggi di proprietà di Ferrovie dello Stato Italiane s.p.a. nel caso in cui venisse acquisita da Terna s.p.a., diventando così parte della rete di trasmissione nazionale (RTN), con un valore del capitale investito netto fissato pari a 674 milioni di euro, riconoscendo a Terna i maggiori costi operativi a partire dal 2016, cui si aggiungerà la remunerazione del capitale a partire dal 2017, sempre con recupero in bolletta;
   a ciò si aggiungono i costi addebitati, tra 2,5 e 3 miliardi di euro in sei anni (circa 400-500 milioni di euro all'anno), nella voce costi di dispacciamento per finanziare le interconnessioni private con l'estero –:
   quali tra le cifre riportate come attese e previste in premessa trovino conferma e quali siano le iniziative che intende adottare al fine di evitare ulteriori aggravi sulla bolletta degli italiani.
(2-01150) «Crippa, Da Villa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Vallascas, Dell'Orco, Liuzzi, Nicola Bianchi, Carinelli, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cariello, Caso, Castelli, Cecconi».

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2014/94/UE pone le basi per la realizzazione di un'infrastruttura europea di rifornimento per i combustibili alternati, fra cui l'idrogeno;
   il provvedimento dispone che gli Stati membri mettano a punto, entro il 18 novembre 2016, un piano strategico nazionale di sviluppo di tale infrastruttura da inviare alla Commissione europea, al fine di ottenere i fondi europei necessari allo sviluppo del mercato dei carburanti alternativi;
   la strada, da sempre, rappresenta la modalità di trasporto privilegiata, rispetto alle altre forme di trasporto; in Italia, la quota del trasporto stradale è pari a circa il 90 per cento della mobilità totale;
   negli ultimi anni le città hanno registrato un aumento del traffico di veicoli con la grave conseguenza di un peggioramento dell'inquinamento ambientale ed un deterioramento della qualità della vita nelle aree urbane;
   l'inquinamento da mobilità rappresenta il 33-35 per cento del totale mondiale e una parte di tale percentuale proviene proprio dalla mobilità pubblica; l'Italia a breve si troverà a dover prendere una posizione in merito alla necessità o meno di allargare lo spettro di interesse della mobilità sostenibile dal gpl e metano, all'idrogeno;
   nel settore sono nate diverse aziende con grandi competenze che fanno dell'Italia uno dei Paesi all'avanguardia nello sviluppo di tecnologie a servizio di forme alternative di carburanti, ma senza adeguati interventi di settore, tali eccellenze rischiano di disperdersi a vantaggio della concorrenza;
   diversi Paesi si sono già attivati in tal senso: il Ministro dei trasporti tedesco ha da poco firmato un accordo per portare a 400 i distributori ad idrogeno entro il 2023, con l'obiettivo di arrivare a mille nel 2030; attualmente in Italia l'unico comune che può contare su una stazione di rifornimento ad idrogeno per una flotta di 10 mezzi pubblici è Bolzano;
   l'adozione di una strategia di sviluppo di infrastrutture dedicate all'impiego di carburanti alternativi darebbe la possibilità alle aziende di un'eventuale filiera della mobilità ad idrogeno di poter ottenere i previsti finanziamenti europei, permettendo ad esse di crescere e svilupparsi;
   il rischio è che l'eventuale indecisione da parte dell'Italia in merito allo sviluppo di una rete di distribuzione a idrogeno porti ad un dirottamento delle risorse verso aziende straniere, come peraltro già accaduto in altri settori strategici della economia italiana, come il fotovoltaico, disperdendo l'importante patrimonio di conoscenze e di competenze di cui il nostro Paese dispone –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito allo sviluppo di infrastrutture di rifornimento dedicate alla distribuzione di carburanti alternativi, fra cui l'idrogeno, e se stia già lavorando alla predisposizione di un piano nazionale di sviluppo di tale rete infrastrutturale che permetta, da un lato alle aziende di settore di ottenere i finanziamenti europei a sostegno della loro crescita, e dall'altro di ridurre l'inquinamento atmosferico, intraprendendo la strada avviata da altri Paesi europei, come la Germania. (4-10941)


   DI LELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   sembra si stia consumando l'ultimo atto nell'area industriale di Acerra che un tempo ospitava gli stabilimenti del colosso della chimica italiana visto il fallimento del piano per il rilancio dell'ex Montefibre;
   a nulla sono servite le rassicurazioni e le promesse, nei 10 anni di cassa integrazione e sacrifici: in questi giorni un'altra fetta dell'area industriale del napoletano rischia di chiudere i cancelli ed oltre 500 lavoratori rimarranno a casa;
   la Montedison Fibre, dopo aver costretto i suoi dipendenti a lavorare a contatto con l'amianto fino a paggio 2004 (anno di chiusura dello stabilimento), lascia Acerra «svendendo» rami aziendali ad altre 4 società;
   si ricorda che la Montefibre è un'industria chimica e tessile di rilievo europeo che è stata allocata sul territorio di Acerra, in area Asi, nel 1976. Tale azienda faceva parte del Gruppo Montedison, nel 1984 passò ad Enimont nel 1991, a seguito del fallimento di quest'ultima, le attività di Montefibre spa passarono sotto il controllo dell'EniChem, che le conferisce alla controllata EniChem Fibre;
   con un accordo tra Ministero e azienda si decide di assorbire i lavoratori SNIA Fibre nello stabilimento di Acerra con incentivi all'esodo per gli operai presenti ed accompagnamento alla pensione. Il Governo mette a disposizione circa tre miliardi di lire per la costruzione di un nuovo impianto denominato NIFA (Nuovo Impianto Filati Acerra), per favorire l'operazione; l'impianto viene realizzato in tempi brevi e le maestranze SNIA vengono in pochi anni riassorbite dal processo produttivo;
   poi, nel 1996, vi è l'acquisizione del gruppo Montefibre, controllata Enichem da parte del gruppo Orlandi Finlane, a fronte di un investimento di 200 miliardi di lire;
   nel 2000 la Montefibre spa ha differenziato le sue attività dividendo Acerra in NGP spa e Monte fibre. Di fatto, lato chimico/energetico (DMT-PolyCTE) e lato tessile Fiocco e IMFRA. Nel frattempo, l'azienda ha smantellato gli impianti ed in particolare il NIFA è stato trasferito in un Paese dell'Est europeo. Questo impianto è stato costruito per permettere l'inserimento degli ex lavoratori della SNIA Viscosa di S. Giovanni a Teduccio;
   nel 2003, la Montefibre spa, mediante un'operazione di scissione parziale, conferiva alla nascente Società NGP il ramo d'azienda relativo alla produzione polimero poliestere con annessi servizi quali: centrale termoelettrica, impianto biologico trattamento reflui e impianto di produzione utilities dello stabilimento di Acerra; alla Montefibre rimaneva la proprietà degli impianti fili e fiocco. Il personale relativo agli impianti scissi veniva conferito ad NGP;
   nel gennaio 2004, NGP spa annuncia la fermata e la dismissione dell'impianto DMT del sito di Acerra (Na), espellendo dal ciclo produttivo circa 200 lavoratori diretti. La proprietà Orlandi ha dichiarato di dismettere il reparto DMT e voler sostituire l'alimentazione della polimerizzazione con acido tereftalico, meno costoso e più facilmente reperibile sul mercato. Il tutto in 15-18 mesi, mettendo i lavoratori in cassa integrazione guadagni straordinaria;
   due anni più tardi, la società ha stretto un accordo con la spagnola La Seda de Barcelona e accetta la proposta di acquisto, da quest'ultima avanzata, del settore poliestere; e nel biennio 2006 – 2008 Monteforte spa è entrata al 50 per cento nel capitale della cinese Jilin Jimont Fiber Co. Ltd;
   da allora un sistema molto complesso di aziende si è riunito sotto il nome di Montefibre spa, vista, non solo, la differenziazione delle attività produttive, ma anche la cessione ad altre società di rilevanti rami di azienda;
   sta di fatto che diversi stabilimenti, tra cui Simpe spa e Ngp (società nata da uno spin off della stessa Montefibre), sono stati dichiarati falliti e sono state avviate le procedure di cassa integrazione per diverse decine di unità lavorative, ma a nulla sono serviti gli incontri con il Governo, le organizzazioni sindacali e i piani di rilancio;
   a nulla è servito anche l'annuncio, nel luglio del 2009, dell'accordo tra la regione Campania ed una serie di aziende, circa 20 tra cui la Montefibre, per la realizzazione del polo aerospaziale. Le lungaggini nella realizzazione di quest'ultimo che, forse, avrebbe potuto cambiare la situazione, si intrecciano, da un lato con le proteste dei lavoratori per il mancato pagamento della cassa integrazione e per il mancato decollo dell'accordo di programma e, dall'altro, con una gestione fallimentare della multinazionale, tanto che nel gennaio 2012 la LSB annuncia la dismissione definitiva dell'impianto SIMPE;
   la situazione gestionale si aggrava sempre più e si accrescono le preoccupazioni dei lavoratori i quali, non solo, sono costretti a scontare la totale inefficacia dei vari accordi via via sottoscritti, ma, nel dicembre del 2013, con la sospensione in borsa delle azioni della Montefibre, sono costretti a subire gli effetti nefasti della conseguente dichiarazione di messa in liquidazione –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati, per gli aspetti di propria competenza, abbiano intenzione porre in essere al fine di tutelare (mediante la cassa integrazione guadagni straordinaria, il trattamento di fine rapporto, ai versamenti ai fondi pensione, e altro) le centinaia di lavoratori che, a breve, si troveranno senza occupazione in un territorio già difficile sia per quanto riguarda la prospettiva lavorativa sia per quanto riguarda lo stato di degrado ambientale;
   quali iniziative abbiano intenzione di assumere, per quanto di competenza, per scongiurare l'ennesima chiusura di sedi produttive che fanno capo a società multinazionali che, per far quadrare i bilanci, a volte preferiscono delocalizzare anziché trovare soluzioni ad un prosieguo dell'attività. (4-10956)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Quintarelli e altri n. 1-01031, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Miotto, Bruno Bossio.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Artini n. 5-02521, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o aprile 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Moretto n. 5-06711, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Manfredi.

  L'interrogazione a risposta scritta Tidei e altri n. 4-10881, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Valeria Valente.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Busto n. 5-06794, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Fragomeli n. 1-01003, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 491 del 28 settembre 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    con la presentazione della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, il Governo italiano si appresta a rivedere al rialzo le stime di crescita per il Paese (+0,9 per cento) migliorano sensibilmente anche il dato sull'export (+6,3 per cento) e – secondo le ultime previsioni di Confcommercio – quello relativo ai consumi (+2,1 per cento);
    affinché queste tendenze positive diventino un dato strutturale è necessario un insieme di interventi volti principalmente a rilanciare gli investimenti pubblici;
    rispetto a questo obiettivo, si rivela strategica la possibilità degli enti locali di attivare la spesa in conto capitale;
    in conseguenza di numerosi interventi normativi finalizzati al risanamento dei conti e alla progressiva diminuzione dell'indebitamento, alcuni enti locali sarebbero nelle condizioni di estinguere anticipatamente i mutui contratti;
    le procedure per svolgere questa operazione, sia presso la Cassa depositi e prestiti sia presso altri 2 istituti bancari, possono prevedere la corresponsione di un indennizzo oltre alla restituzione del capitale residuo;
    l'entità dei suddetti indennizzi supera spesso, per i mutui a tasso fisso, il 15 per cento del capitale da rimborsare, configurandosi come una sorta di «penalità»;
    sull'argomento, in particolare sugli indennizzi dovuti per l'estinzione dei mutui erogati dalla Cassa depositi e prestiti, sono già stati presentati numerosi atti di sindacato ispettivo e di indirizzo: l'interrogazione a risposta immediata in Commissione finanze n. 5-00975, l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01410, l'interpellanza urgente n. 2-00922 e la mozione n. 1-00861;
    il Governo ha sempre sostenuto che l'indennizzo, previsto per l'estinzione anticipata dei prestiti ordinari regolati a tasso fisso, concessi dalla Cassa depositi e prestiti, ha la finalità di recuperare i costi connessi al disallineamento tra i tassi dell'originaria provvista, necessaria ai fini della concessione del finanziamento e i tassi di mercato, vigenti al momento del rimborso anticipato. Pertanto, a fronte di una sua riduzione, potrebbero verificarsi significative conseguenze per la Cassa depositi e prestiti in termini di redditività ed equilibrio economico-patrimoniale;
    questo orientamento, però, non è stato sufficientemente suffragato dall'analisi e dalla presentazione di dati disaggregati, su un campione realmente rappresentativo;
    l'importanza dell'ammontare dell'indennizzo disincentiva la conclusione di una operazione che consentirebbe agli enti locali di ridurre l'indebitamento pubblico e di spendere l'avanzo di amministrazione, altrimenti non utilizzabile, visti i limiti imposti dal patto di stabilità;
    in un contesto di grande criticità della finanza locale sarebbe importante consentire agli enti territoriali la possibilità di destinare tutte le risorse potenzialmente attivabili agli investimenti e alla crescita,

impegna il Governo:

   a presentare una relazione sintetica al Parlamento che contenga i dati disaggregati relativi ai mutui accesi in favore degli enti locali con i diversi istituti bancari e con Cassa depositi e prestiti suddivisi per anni di concessione con l'indicazione dell'indennizzo medio, del costo medio di raccolta associato originariamente e dell'attuale evidenziando la relazione tra variazione effettiva del costo medio di raccolta e valore di indennizzo in base alle vigenti clausole contrattuali di estinzione anticipata;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per contenere l'entità dell'indennizzo nella misura di una percentuale massima da determinarsi rispetto al capitale da rimborsare e ad attivare, anche attraverso la sottoscrizione di un accordo con l'Associazione bancaria italiana, tutti gli strumenti necessari per ridurne il più possibile l'importo.
(1-01003)
«Fragomeli, Marchi, Galperti, Giuseppe Guerini, Giulietti, Rampi, Gadda, Borghi, Lodolini, Fossati, Cominelli, Gasparini, Manfredi, Fabbri, Moretto, Patriarca, D'Incecco, Antezza».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Massimiliano Bernini n. 7-00826, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 507 del 21 ottobre 2015.

   Le Commissioni XI e XIII,
   premesso che:
    con il termine «caporalato» si tende ad indicare una complessa gamma di fenomeni criminali all'interno dei quali si individua il lavoro nero, l'evasione contributiva e fiscale, il trasporto abusivo, il lavoro minorile, il mercato delle «braccia straniere» e dello sfruttamento sessuale, fenomeni ascrivibili alla più ampia categoria dello sfruttamento del lavoro, purtroppo, sempre più spesso attigui a forme di vero e proprio neoschiavismo;
    numerose indagini hanno confermato la presenza del fenomeno in tutta Italia, da Nord a Sud e nelle aree di alta produzione agricola con uso intensivo di manodopera sia italiana che straniera, molto spesso «stipata» in veri e propri ghetti, organizzati in squadre e capisquadra. Si tratta di donne e uomini altamente ricattabili a causa dello status giuridico e dell'assenza dell'applicazione dei diritti riconosciuti, con situazioni abitative al di sotto degli standard minimi della dignità umana, e luoghi e condizioni di lavoro estremi, con violenze endemiche quali mancati pagamenti e sempre più spesso aggressioni fisiche, anche a sfondo sessuale;
    nel corso di questa legislatura l'Esecutivo è stato più volte sollecitato ad agire sulla questione del caporalato e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura, con numerose interrogazioni ed atti presentati dal Movimento 5 Stelle, tra questi, il 7 agosto 2013, durante l'esame della «conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 giugno 2013, n. 76, recante primi interventi urgenti per la promozione dell'occupazione, in particolare giovanile, della coesione sociale, nonché in materia di Imposta sul valore aggiunto (IVA) e altre misure finanziarie urgenti», è stato accolto l'ordine del giorno (9/1458/54) a prima firma Lupo che impegna il Governo a valutare l'opportunità di prevedere incentivi ad hoc per la manodopera agricola così da abbassare il costo del lavoro e disincentivare il ricorso al lavoro nero da parte degli imprenditori agricoli, mentre il 25 novembre 2014, durante l'esame della «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro», è stato accolto l'Ordine del Giorno (9/2660-N77) a prima firma Gagnarli, che impegna il Governo ad adoperarsi al fine di prevedere agevolazioni per la manodopera agricola;
    sebbene le precedenti premesse, la stagione estiva appena trascorsa (2015) ha fatto registrare una serie di eventi tragici e luttuosi collegati allo sfruttamento del lavoro nei campi durante le attività di raccolta ortofrutticola e al mancato rispetto delle regole di sicurezza nei luoghi di lavoro molto spesso a seguito della carenza di controlli da parte degli organi di vigilanza, in modo particolare dell'Ispettorato del lavoro e delle Asl, dovuti probabilmente alla mancanza di risorse economiche, strumentali ed umane che se implementati consentirebbero di prevenire il proliferare di tali fenomeni;
    di fronte alle necessità tecniche legate alla tipicità della produzione agricola, a parere dei firmatari del presente atto le istituzioni hanno fatto un passo indietro lasciando campo aperto alle organizzazioni criminali che in vario modo hanno preso il controllo della situazione. Il caporalato nella sua accezione più ampia risponde alle esigenze specifiche dei territori e per questo si è diffuso ed è ben radicato nella aree dov’è presente, tanto che non sono da escludere casi nei quali gli accordi raggiunti siano il risultato di una vera e propria contrattazione consensuale tra le parti (contratto di strada, vietato per legge);
    lo stretto legame tra il fenomeno del caporalato e la criminalità organizzata si evince anche dal documento finale della «Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata mafiosa o similare» della XV legislatura (2007-2008);
    accanto a contesti di evidenti manifestazioni di illegalità, criminalità mafiosa e sfruttamento schiavistico, vivono anche situazioni che pur rientrando nella fattispecie del caporalato si muovono all'interno di un quadro di parziale o apparente legalità, rendendo la situazione complessa e stratificata, nonché varia a seconda dei territori, delle colture specifiche e delle regioni nei quali si è sviluppata nel tempo;
    nel gennaio del 2010 a Rosarno (Reggio Calabria), i violenti scontri tra residenti e lavoratori migranti, quest'ultimi oggetto di gravi forme di sfruttamento durante la raccolta degli agrumi, hanno portato per la prima volta all'attenzione dell'opinione pubblica italiana, la questione delle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini stranieri nelle nostre campagne;
    il fenomeno del caporalato non è nuovo alle istituzioni democratiche del nostro Paese e, come emerge da varie indagini, è parte integrante del sistema economico agroalimentare nazionale da diversi decenni. Tra questi approfondimenti si ricorda la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno del cosiddetto «Caporalato» che svolse i suoi lavori nel corso della XII Legislatura (1995-1996), e «l'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera)» della XI commissione, durante la XVI legislatura (2009-2010);
    come evidenziato anche nell'ambito dell'indagine conoscitiva su taluni fenomeni distorsivi del mercato del lavoro (lavoro nero, caporalato e sfruttamento della manodopera straniera) della XI commissione, la situazione nel suo complesso si inserisce nel più ampio scenario della globalizzazione dei mercati che ha sancito la diffusione del pensiero e delle pratiche neoliberiste che pongono in primo piano il profitto a discapito dei diritti delle persone e dei lavoratori, condizioni generali che hanno generato una «guerra» sui prezzi di alimenti e materie prime senza esclusione di colpi che di fatto ha portato miseria e forme di neoschiavismo in ampie parti del globo;
    nel corso della predetta indagine, i rappresentanti dell'Eurispes, del Censis, del CNEL e di MSF (Medici Senza Frontiere) hanno evidenziato, ognuno nei propri settori di competenza la gravità della situazione e la necessità di apportare urgenti modifiche sia in ambito normativo che sul piano dei controlli;
    secondo il rapporto «Agromafie» e «caporalato» (2014) pubblicato dalla Flai CGIL (mentre si scrive è in corso di stesura del III Rapporto) si tratta di non meno di 400 mila lavoratori sfruttati dai caporali (di cui più dell'80 per cento stranieri), di cui 100 mila in condizioni di grave assoggettamento, definite nel rapporto «paraschiavistiche», concentrati in circa 80 epicentri (distretti agricoli a rischio) dello sfruttamento in Italia; dei quali più della metà registrano condizioni generali indecenti. Più del 60 per cento dei lavoratori sotto caporale non ha accesso a servizi igienici né all'acqua corrente, mentre il 70 per cento presenta malattie (non segnalate prima dell'inizio della vita nei campi), mentre è di 25/30 euro la paga media per una giornata «lavorativa» anche di 12 ore, esattamente il 50 per cento in meno rispetto alla paga prevista dai contratti nazionali che è di circa 8 euro/ora per un massimo di 6,5 ore di lavoro al giorno, mentre in altre aree del nostro, come in prossimità del CARA di Mineo (Catania), la paga è di molto inferiore, circa 10 euro al giorno. Dal suddetto salario il «caporale» sottrae 5 euro/lavoratore per il trasporto sul posto di lavoro, 1,5 euro per una bottiglia d'acqua, 3,5 euro per un panino, ingenerando perciò un trattamento economico col quale nessun essere umano è in grado di condurre una vita dignitosa e sicura;
    sempre secondo il rapporto di cui prima, il «caporalato» ha un costo per le casse dello Stato in termini di evasione contributiva non inferiore a 600 milioni di euro l'anno, in un contesto dove l'economia sommersa nel settore sottrae un flusso di denaro all'economia legale superiore a 9 miliardi di euro l'anno, mentre nella relazione della direzione nazionale Antimafia del gennaio 2014, la criminalità organizzata nel settore agroalimentare oggi controlla direttamente o condiziona l'intera filiera, con un fatturato di 12,5 miliardi di euro l'anno;
    il caporalato ovvero l'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente solo nel 2011 (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, in vigore dal 13 agosto 2011, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148) essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie (Primo Rapporto su caporalato e agromafie realizzato da Flai Cgil) sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte «giocato» tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato. Dall'approvazione della suddetta norma fino alla fine del 2013, per il reato in questione sono state arrestate o denunciate 355 persone, 63 nel 2012 e 281 nel 2013;
    ai sensi dell'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 116, è istituita dal 1o settembre 2015 la «Rete del lavoro agricolo di qualità» l'organismo autonomo nato per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e delle criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo. Possono fare richiesta le imprese agricole in possesso dei seguenti requisiti:
     a) non avere riportato condanne penali e non avere procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto;
     b) non essere stati destinatari, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive per le violazioni di cui alla lettera a);
     c) essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi. Le aziende potranno così registrarsi ed essere valutate dalla cabina di regia della rete presieduta dall'INPS di cui ne fanno parte le organizzazioni sindacali, le organizzazioni professionali agricole, insieme ai rappresentanti dei Ministeri delle politiche agricole, alimentari e forestali, del lavoro e delle politiche sociali e dell'economia e delle finanze e della Conferenza delle regioni, che presenterà un piano organico complessivo per il contrasto stabile al lavoro nero e per intensificare ancora gli sforzi;
    le aziende agricole possono aderire alla «Rete del lavoro agricolo di qualità» in modo volontario e senza un'intensificazione dei controlli da parte degli organi preposti in materia di vigilanza del lavoro, addirittura facendo presagire un vero e proprio «allentamento» del controllo, e per questo appare del tutto evidente come la misura assuma solamente un mero carattere «promozionale», che fornisce un blando contributo al contrasto dello sfruttamento agricolo e all'intermediazione illecita che necessità bensì di azioni cogenti;
    non può esserci una produzione di qualità senza la qualità del lavoro, ovvero senza il rispetto dei diritti, dei contratti, delle leggi e della dignità delle persone coinvolte nella filiera della produzione-raccolta, trasformazione e commercializzazione del prodotto e, per questo, è necessario che la popolazione sia informata al massimo sulle condizioni di filiera dell'agroalimentare, al fine di operare una scelta di consumo più critica e consapevole, e possibilmente premiando le buone produzioni valorizzandole rispetto a quelle che contengono fenomeni di caporalato e affini. Sarebbe necessario quindi predisporre una strategia complessiva che faccia leva sulla vigilanza, su interventi di semplificazione della normativa, di incentivazione e, soprattutto, su politiche di sviluppo locale, attraverso l'azione congiunta di tutti gli attori impegnati su questo fronte, siano essi soggetti istituzionali, forze sociali, scuola, università, enti di formazione e di ricerca,

impegnano il Governo:

   ad incrementare i controlli su tutto il territorio nazionale ed in particolare nelle aree dove il caporalato è più diffuso, al fine di contrastare e reprimere l'intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, anche attraverso lo stanziamento di maggiori risorse economiche in favore degli organi di vigilanza tra cui gli ispettorati del lavoro;
   ad attivare un coordinamento nazionale dei controlli per quanto attiene la sicurezza e l'igiene nei luoghi di lavoro, l'applicazione della legislazione sociale e tributaria, la regolarità contrattuale e contributiva e la prevenzione dei fenomeni di sfruttamento, al fine di rendere più efficaci i servizi ispettivi espletati dall'ispettorato del lavoro, dall'INPS e dalle forze dell'ordine, prevedendo anche la creazione di una banca dati unica nazionale dei controlli o mettendo a sistema le diverse banche dati esistenti, quali quelle del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, quelle dei centri per l'impiego, dell'INPS (CISOA), dell'INAIL, della guardia di finanza, dell'Agenzia delle entrate e di AGEA;
   ad intraprendere ogni utile iniziativa, anche normativa, al fine di disciplinare la responsabilità solidale delle aziende committenti nel caso di constatazione di sfruttamento del lavoro anche attraverso la predisposizione di un indice di congruità definito a livello nazionale, che indichi il rapporto tra la produzione in campo e la manodopera impiegata nella lavorazione;
   ad attivare un «numero rosso» nazionale in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al quale potranno rivolgersi tutti i cittadini italiani e stranieri, che subiscano sfruttamenti, maltrattamenti, condizioni di vita disumane o altre vessazioni durante il lavoro, assicurando parallelamente, una tutela specifica a chi denuncia tali situazioni, facendo si che l'attivazione del servizio sia pubblicizzata a «mezzo stampa», nonché presso i centri di identificazione, tenendo conto di tutte le differenze linguistiche e che le denunce siano trasmesse agli organi ispettivi competenti del luogo da cui provengono, per gli immediati accertamenti;
   a relazionare periodicamente alle Camere, sul numero e sulla tipologie di denunce pervenute;
   a realizzare una comunicazione sociale per informare e sensibilizzare l'opinione pubblica sul valore del lavoro, sul vergognoso fenomeno del caporalato, che viola i diritti inalienabili dell'uomo stabiliti dalla Costituzione e riconosciuti a livello internazionale, e sugli strumenti di denuncia che possono essere fin dal subito adottati, facendo sì che tale comunicazione, al fine di essere fruibile dalla stragrande maggioranza della popolazione possa necessariamente superare ogni tipo di ostacolo linguistico e culturale, oltre che coinvolgere le organizzazioni imprenditoriali, i sindacati, gli enti locali, in modo da stimolare la crescita di una cultura collettiva che sanzioni tali comportamenti;
   in accordo con le regioni, ad assumere iniziative per potenziare la Borsa continua nazionale del lavoro, in modo da renderla più congruente alle esigenze del settore primario caratterizzato da una notevole «stagionalità» delle lavorazioni e a tal fine prevedere una sezione apposita per la domanda e l'offerta di «lavoro agricolo», nella quale inserire i nominativi dei lavoratori stagionali con tutte le informazioni necessarie per l'identificazione professionale e che sia immediatamente e facilmente fruibile da parte dei datori di lavoro e dei centri per l'impiego pubblici e, contestualmente, a promuovere lo sviluppo di apposite applicazioni installabili sui dispositivi portatili, di facile utilizzo che consentano, di informare rapidamente i lavoratori stagionali delle offerte di lavoro sopraggiunte (insieme alle caratteristiche del lavoro, durata, mansione richiesta, paga, e altro), e previa accettazione del lavoratore, di fornire un'immediata disponibilità di manodopera ai datori di lavoro;
   a promuovere l'utilizzo delle liste di lavoratori inseriti nella BCNL o presso i centri dell'impiego pubblici, da parte dei datori di lavoro, attraverso sgravi fiscali, assicurativi (riduzione dell'aliquota contro gli infortuni sul lavoro), previdenziali o burocratici, in quest'ultimo caso, facendo sì che, attraverso apposite convenzioni con le ASL locali, i medici del lavoro, gli organismi paritetici, tutti gli iscritti alle liste di collocamento, abbiano eseguito la visita medica preventiva, come stabilito dal «Testo unico salute e sicurezza nei luoghi di lavoro», senza ulteriori oneri per i datori di lavoro, nonché ad adottare iniziative per favorire semplificazioni nella stipula dei contratti di lavoro;
   in accordo con le regioni, a promuovere in via sperimentale, l'istituzione della figura del «garante del lavoro agricolo», inquadrato nell'ambito dei centri per l'impiego provinciale o degli assessorati regionali del lavoro che fornisca il servizio d'intermediazione tra lavoratori e datori del lavoro nell'ambito del settore primario;
   ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito della «Rete del lavoro agricolo di qualità», un periodo transitorio di due anni durante il quale gli organi di vigilanza intensifichino i controlli ispettivi presso le aziende aderenti, in materia di sicurezza, igiene sul lavoro e assunzione della manodopera, superato il quale, senza l'aver riscontrato irregolarità, si avrà pieno accesso alla «rete», prevedendo per queste realtà virtuose, agevolazioni o corsie preferenziali;
   ad assumere iniziative normative affinché il permesso di soggiorno del lavoratore sia prolungato fino alla scadenza dell'indennità di disoccupazione, facendo decorrere il termine della proroga, ai fini della ricerca di una nuova occupazione, dalla scadenza naturale del permesso di lavoro e non dalla data di licenziamento;
   ad emanare, entro e non oltre il mese di gennaio 2016 il decreto attuativo, previsto ai sensi dell'articolo 49, comma 1, del decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81;
   ad assumere ulteriori iniziative per garantire meccanismi che consentano l'utilizzo legittimo del voucher, rispetto alla quantificazione oraria della prestazione lavorativa, al fine di impedire l'eventuale sfruttamento della manodopera agricola, assunta per lo svolgimento di attività occasionali di tipo accessorio anche attraverso l'applicazione permanente della procedura sperimentale FastPOA, rendendola obbligatoria per tutti i soggetti interessati;
   ai fini dell'accertamento dei contributi previdenziali dovuti per gli operai agricoli occupati e della gestione dell'anagrafe delle aziende agricole, valutare l'opportunità di anticipare la cadenza prevista per gli adempimenti connessi con la presentazione della denuncia della manodopera agricola, in modo tale da omogeneizzarla con quella prevista per tutte le altre aziende, appartenenti a settori diversificati.
(7-00826)
«Massimiliano Bernini, Chimienti, Lupo, L'Abbate, Gagnarli, Gallinella, Benedetti, Parentela, Cominardi, Lorefice».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cozzolino n. 4-10842 del 22 ottobre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Russo n. 5-06776 del 27 ottobre 2015.

Ritiro di firme da una interrogazione.

  Interrogazione a risposta in Commissione Artini e altri n. 5-02521, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o aprile 2014: sono state ritirate le firme dei deputati: Basilio, Frusone, Tofalo, Paolo Bernini, Corda, Rizzo.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Artini e altri n. 5-02521 del 1o aprile 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-10932.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Nesci e Grillo n. 5-06827 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 513 del 30 ottobre 2015.

  Alla pagina 30362, seconda colonna, dalla riga trentasettesima alla riga quarantesima deve leggersi: «se si intenda procedere alla immediata revoca della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015 relativa alla nomina del commissario e del» e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALBERTI, CORDA, RIZZO, PAOLO BERNINI, FRUSONE e BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la grave crisi economica in cui versa il Paese impone di rivedere le scelte e le strategie anche nel comparto della difesa;
   dai mass-media si apprende che alle Frecce Tricolori, pattuglia acrobatica nazionale (PAN) dell'Aeronautica militare, costituente il 313° gruppo addestramento acrobatico saranno sostituiti, entro il 2017, l'attuale velivolo MB-339 con il nuovo M-345 HET;
   Alenia Aermacchi e il segretariato generale della difesa/direzione nazionale degli armamenti del Ministero della difesa hanno siglato nel giugno 2013 un accordo per definire congiuntamente le specifiche operative e per collaborare allo sviluppo di un nuovo velivolo da addestramento basico-avanzato, denominato M-345 HET, High Efficiency Trainer, la cui disponibilità per l'adozione in servizio è prevista per il 2017-2020;
   l'accordo, annunciato al salone aeronautico di Le Bourget prevede la costituzione di un gruppo di lavoro congiunto tra l'amministrazione della difesa e l'industria per la definizione delle specifiche tecniche della nuova macchina e definire i passi necessari per lo studio preliminare e il suo successivo sviluppo, adottando principi di costo/efficacia ed economicità in grado di soddisfare i potenziali requisiti del mercato internazionale;
   tra quattro anni la flotta di addestratori dell'Aeronautica militare sarà composta da ben tre velivoli diversi: gli MB-339 in fase di progressiva dismissione, i nuovi M-345 in fase di acquisizione in un numero non ancora precisato e 6 M-346 acquistati negli ultimi anni soprattutto per fare da traino all’export del velivolo finora adottato da Israele e Singapore;
   secondo il libro bianco della difesa 2002, un'ora di volo del velivolo in dotazione alle Frecce Tricolori nel 2002 costava 7,495 milioni di lire. Calcolando un venti per cento di incremento dei costi in undici anni e facendo la conversione all'euro, un'ora di volo di questo aereo oggi corrisponderebbe a circa 4800 euro –:
   quali risparmi intenda il Ministro della difesa proporre in merito alla gestione delle Frecce Tricolori ed al loro impiego di rappresentanza;
   a quanto ammonti la spesa prevista per l'acquisto dei nuovi velivoli per la pattuglia acrobatica nazionale e se reputai razionale tenere in vita, ad acquisizione conclusa, contemporaneamente i velivoli delle classi MB-339, M-345 e M-346. (4-02202)

  Risposta. — La Pattuglia acrobatica nazionale (Pan) impiega per i propri compiti lo stesso velivolo da addestramento basico, in servizio presso la scuola di volo nazionale per la formazione dei piloti militari.
  Si tratta oggi del velivolo MB 339, progettato e realizzato in Italia dalla ditta Aermacchi e in servizio dal 1982.
  Questo velivolo terminerà la propria vita operativa a partire dal 2018 e sarà, pertanto, necessario provvedere alla sua sostituzione.
  Con la stessa logica e con lo stesso principio adottato nel passato, è previsto che la Pan continui a impiegare per la propria attività lo stesso addestratore in servizio presso le scuole di volo.
  Questa soluzione garantisce il duplice risultato di mantenere i piloti della Pattuglia allenati e addestrati per gli incarichi operativi previsti (sia di supporto alle forze terrestri che di difesa aerea contro velivoli leggeri e lenti) e di promuovere, contemporaneamente, un prodotto italiano in ambito internazionale.
  Qualora la collaborazione dell'Aeronautica militare con la ditta Alenia-Aermacchi (formalizzata con una lettera di intenti) producesse un addestratore basico idoneo a sostituire gli ormai anziani MB 339, questo nuovo velivolo (chiamato T345) sostituirebbe sia i velivoli deputati alla formazione iniziale dei piloti militari, sia gli attuali MB339 in dotazione alla Pan.
  Le specifiche di progetto del nuovo addestratore sono improntate a ridurre in modo significativo il costo orario di volo (di oltre il 50 per cento).
  Il costo per ora di volo è un elemento essenziale, forse il più importante, nell'economia di gestione di un velivolo, considerato sia il volume di ore di volo sviluppato ogni anno, che la vita media prevista per la macchina (oltre 35 anni).
  Il velivolo T-345 non va confuso con il T-346 che è, invece, un addestratore avanzato, ben più sofisticato e complesso del T-345.
  Il T-346, infatti, è dedicato esclusivamente alla formazione avanzata dei soli piloti destinati alle linee caccia (Eurofighter, Tornado, AMX); soluzione, questa, che comporta ulteriori importanti economie consentendo, grazie alle sue avanzate caratteristiche e dotazioni, di ridurre al minimo le ore di volo addestrative che, altrimenti, verrebbero svolte direttamente sui caccia operativi con costi decisamente più elevati.
  Non esisteranno, pertanto, sovrapposizioni tra la linea 339 e il suo successore, se non nel limitato periodo di transizione che prevede la graduale dismissione delle vecchie macchine al raggiungimento del termine della vita operativa e la contemporanea entrata in linea del nuovo addestratore.
  Per quanto concerne, poi, i risparmi da porre in essere nella gestione delle Frecce tricolori, si fa presente che l'attività di sviluppo alla base della collaborazione tra la Difesa e la ditta Alenia Aermacchi sarà opportunamente indirizzata, affinché il velivolo T345 risponda alle pressanti esigenze di costo-efficacia – tra le quali bassi costi di acquisizione e di esercizio – poste alla base di ogni eventuale acquisizione in tal senso.
  Pertanto, è verosimile supporre che il nuovo velivolo potrà operare con costi per ora di volo ben al di sotto dei citati 4800 euro.
  Si evidenzia, inoltre, che il processo decisionale relativo all'eventuale acquisizione non è stato ancora avviato, pur essendo la stessa tra le capacità individuate e inserite nei documenti programmatici di riferimento.
  In tale ambito, sarà solo a valle della conclusione di questi atti che potrà definirsi – insieme agli aspetti operativi – anche la durata della possibile contestualità delle 3 linee di volo che, comunque, sarà contenuta al minimo indispensabile, al fine di assicurare continuità alla correlata capacità.
  Il costo di acquisizione dei nuovi velivoli è valutato in circa 178 milioni di euro, per una vita operativa stimata di 35 anni, come precisato in precedenza.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   BASILIO. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa nazionali riportano in questi giorni la notizia di un accordo-memorandum, firmato a Bruxelles da Italia, Francia e Germania in occasione dell'ultima seduta del Consiglio Europeo Esteri-Difesa del 15 maggio scorso, avente ad oggetto la realizzazione di nuovi velivoli a pilotaggio remoto, già definiti «euro-droni» per un futuro impiego in attività di ricognizione, riconoscimento e sorveglianza di carattere europeo;
   in particolare, il predetto progetto, che prende il nome di RPAS (remotely piloted aircraft system), rientrerebbe tra quelli affidati alla European defence agency e dovrebbe coinvolgere i principali gruppi dell'industria della difesa europea, come Dassault (Francia), Airbus Defence e Space (Francia/Germania) e Finmeccanica-Alenia Aermacchi (Italia);
   tale progetto è stato presentato come una importante evoluzione nel campo dell'industria della difesa europea e nell'utilizzo della tecnologia in ambito militare, tanto che l'AD di Finmeccanica Mauro Moretti lo ha ritenuto «un passo decisivo per l'agenda della difesa e della sicurezza europea»;
   si ritiene, infatti, che la realizzazione dei nuovi velivoli da parte dei gruppi industriali europei consentirà agli stessi di superare il colosso dell'industria statunitense della difesa e di assumere piena autonomia nel settore;
   l'accordo stipulato il 15 maggio 2015 riguarderebbe la fase iniziale di definizione dei requisiti tecnici e militari, oltre che la fattibilità complessiva del progetto, a cui seguirebbe una seconda fase che dovrebbe portare alla realizzazione di un prototipo entro il 2020 e, successivamente, all'operatività dei primi esemplari nel 2025;
   dal punto di vista tecnologico, i nuovi velivoli dovrebbero essere dotati di due turbogetti ed essere certificati per operare senza restrizioni nello spazio aereo europeo; dalle informazioni sinora pubblicate non è chiaro se sia stata definita la possibilità di armare i velivoli;
   nonostante gli effetti certamente positivi sul piano industriale e per lo sviluppo tecnologico applicato al comparto difesa-sicurezza, sussistono dubbi e perplessità circa l'eventualità che i nuovi «droni europei» possano essere armati ed essere utilizzati, quindi, anche in funzione offensiva;
   è di poche settimane fa la notizia che a causare la morte nel gennaio scorso del cooperante italiano Giovanni Lo Porto, in servizio in Pakistan per la ONG «Welt Hunger Hilfe» e preposto alla costruzione di alloggi di emergenza, fu un drone americano armato, utilizzato per bombardamenti durante un raid statunitense contro Al Qaida;
   sussistono, al contempo, dubbi e perplessità circa la possibilità che la conduzione di tali velivoli avvenga, da remoto, da parte di piloti privi di concreta esperienza di volo e, quindi, potenzialmente privi della capacità di comprendere la reale capacità offensiva di un drone armato –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   se non ritengano opportuno, anche alla luce delle notizie diffuse dai mass-media, specificare dettagliatamente le caratteristiche tecnico-operative dei nuovi velivoli a pilotaggio remoto, con particolare riferimento alla possibilità che gli stessi possano essere armati;
   se non ritengano opportuno effettuare una stima dell'incidenza costi/benefici che tale progetto potrà arrecare all'industria della difesa italiana. (4-09381)

  Risposta. — In occasione del Consiglio affari esteri e difesa dell'Unione europea, tenutosi a Bruxelles il 18 maggio 2015, i Ministri della difesa di Italia, Francia e Germania hanno sottoscritto una Declaration of Intent per lo sviluppo congiunto, entro il 2025, di un sistema europeo a pilotaggio remoto (Remotely Piloted Aircraft System – RPAS) a media altitudine e lungo raggio, denominato «MALE 2025» (Medium Altitude Long Endurance) per operazioni di ricognizione, sorveglianza e riconoscimento a lunga distanza con una grande varietà di carico utile.
  Tale documento, pur formalizzando la volontà delle nazioni interessate di avviare il programma, non risulta vincolante per i Paesi costruttori.
  Infatti, dopo un preliminare studio di definizione, i cui principali parametri saranno la navigabilità e la certificazione del sistema, sulla base delle evidenze che emergeranno, i tre Paesi decideranno l'opportunità o meno di proseguire con la successiva fase di sviluppo e di produzione. Ad oggi, non è stato stipulato alcun accordo relativo ad una seconda fase per la realizzazione, entro il 2020, di un prototipo.
  Nello specifico, il programma prevede l'avvio, entro la fine del 2015, dello «studio di fattibilità», con la stipula di un contratto tra le nazioni partecipanti e l'industria per il tramite dell’Organisation Conjointe de Coopération en matière d'Armement (OCCAR), sulla base della proposta presentata dalle Società Finmeccanica, Dassault e Airbus Defence & Space nel corso del 2014.
   Questa fase di studio sarà condotta in coordinamento con altri pertinenti progetti dell'EDA (European Defence Agency) che, tuttavia, non parteciperà alla gestione diretta del programma in quanto «MALE 2025» non si identifica con quelli già gestiti in prima persona dall'EDA.
  L'obiettivo dello studio di fattibilità, che dovrebbe durare circa due anni, è quello di stabilire e di validare parametri e criteri tecnico-operativi relativi a un sistema a pilotaggio remoto di nuova generazione, in stretto coordinamento tra i tre Paesi e le relative industrie nazionali. Pertanto le specifiche caratteristiche del progetto potranno essere rese note solo al termine di tale fase.
  Il settore degli RPAS rappresenta una tra le più importanti sfide e opportunità tecnologiche ed industriali, da cui dipenderà il mantenimento delle capacità europee nel settore aerospaziale e dell'elettronica.
  Il programma MALE, che può avvalersi di «expertise» e «know how» di cui eccellono le industrie del nostro Paese, mira allo sviluppo di un sistema europeo di nuova generazione, contraddistinto da una spiccata innovazione sia in ambito tecnologico sia nei materiali che saranno utilizzati, oltre a favorire il rilancio del settore aeronautico e assicurarne, in tale prospettiva, l'evoluzione nel campo industriale nazionale.
  Attraverso questo programma, in linea con le aspettative del Consiglio europeo, l'Italia, la Francia e la Germania potranno rafforzare la cooperazione europea nel settore della difesa e promuovere una industria della difesa più competitiva, sviluppando e mantenendo le capacità di maggiore rilievo e fondamentali dell'industria europea.
  Un'accurata stima economica del progetto e delle ricadute nazionali in termini di work-share verrà effettuata solo quando, eventualmente, verranno autorizzate le fasi di sviluppo e di produzione che, come precisato, non sono oggetto della fase preliminare.
  Per quanto riguarda invece la possibilità di armare il velivolo MALE, non sono presenti nel documento di riferimento espliciti richiami.
  Sarà, semmai, il successivo studio di fattibilità a valutare eventuali implementazioni di sottosistemi di armamento, a bordo del MALE 2025.
  Quanto, infine, alla paventata possibilità che tali velivoli possano essere condotti da «piloti privi di concreta esperienza di volo», si precisa che, in ottemperanza alla vigente normativa nazionale, comunitaria e internazionale di riferimento, l'Aeronautica militare italiana impiega esclusivamente personale qualificato, dotato di brevetto di pilota militare per la conduzione di RPAS di classe MALE, conseguito dopo aver frequentato specifici corsi e, pertanto, in possesso della imprescindibile esperienza di volo.
La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   BASSO, BRAGA, BRATTI, CAROCCI, MARIANI e TULLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a causa della gravissima situazione di degrado ambientale, il sito dello stabilimento «Stoppani» di Cogoleto è stato inserito, con decreto ministeriale 18 settembre 2001, n. 468 – Regolamento recante «Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale», tra i siti di rilievo nazionale (S.I.N.), ai fini della bonifica; con decreto ministeriale 8 luglio 2002 è stata decretata la perimetrazione del S.I.N. di «Cogoleto – Stoppani»;
   a fronte delle reiterate inadempienze della società immobiliare Val Lerone spa su richiesta della regione Liguria, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 novembre 2006, è stato decretato lo stato di emergenza per il sito ex Stoppani e con successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3554 del 5 dicembre 2006, è stato nominato un commissario governativo con poteri straordinari per l'esecuzione dei primi interventi urgenti per il superamento dell'emergenza stessa;
   la struttura commissariale si è sostituita al fallimento nell'esecuzione degli interventi, con oneri a carico dello stesso fallimento consentendo il proficuo svolgimento degli interventi per la messa in sicurezza d'emergenza dell'area, propedeutici all'esecuzione delle operazioni di bonifica, e, dall'altro lato, ha garantito ai lavoratori, già dipendenti dell'immobiliare Val Lerone, di continuare la propria attività, con il mantenimento dei livelli retributivi già in godimento;
   il commissario delegato si è sostituito in danno con proprie ordinanze nn. 83 del 2007, 89 del 2007 e 128 del 2007 per l'esecuzione di interventi di messa in sicurezza di emergenza relativi alla gestione della falda, allo smaltimento dei rifiuti speciali, alla decontaminazione da amianto, alla decontaminazione e demolizione delle strutture ed alla caratterizzazione di Pian Masino;
   a seguito dello stanziamento di circa 4,23 milioni di euro da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della regione Liguria (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2013), è stata finanziata la concessione di lavori, il cui progetto e relativo quadro economico sono stati approvati nel mese di dicembre dal commissario delegato, inerente: l'adeguamento ai disposti di cui al decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 della discarica di Molinetto, il conferimento alla stessa dei rifiuti in deposito presso l'area di Pian Masino (crostoni prelevati dagli arenili), per la quale è stata conclusa la conferenza dei servizi, e la chiusura dell'impianto;
   il comune di Cogoleto ha fatto richiesta, prima in data 26 settembre 2014 e ancora in data 15 aprile 2015, di accesso alla progettazione esecutiva degli «Interventi di messa in sicurezza e di adeguamento della Discarica Cava Molinetto» alla struttura commissariale, al fine di dare informazioni e rassicurazioni alla cittadinanza fortemente preoccupata dalle notizie apparse nelle settimane precedenti sulla stampa e sui media locali;
   con lettera prot. 781/15 del commissario delegato, in data 27 aprile 2015 il soggetto attuatore nega la documentazione con la seguente motivazione: «si precisa che l'accesso agli atti è disciplinato dalle disposizioni di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 241/90 e che la scrivente amministrazione provvede ad evadere le istanze previa eventuale notifica ai controinteressati giusta applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 184/2006. In tal senso la S.V. potrà esercitare il diritto di accesso indicando l'interesse, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, collegata al documento al quale è chiesto l'accesso stante l'inammissibilità delle istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. In relazione alle successive modalità procedimentali, una volta ricevuta l'istanza nei termini indicati, si farà riferimento al decreto del Presidente della Repubblica 184/06 sopra richiamato»;
   il Presidente del Consiglio dei ministri il 28 febbraio 2014 nel discorso di insediamento del suo Governo ha annunciato che «vorremmo che la parola accountability trovasse una traduzione in italiano, perché vi sono le responsabilità erariali, quelle penali e quelle civili, però non ve n’è una da mancato raggiungimento degli obiettivi, se non a livello teorico: questa, però, è una sfida di buon senso, che nell'arco di quattro anni può essere vinta e affrontata se partiamo subito e se abbiamo anche il coraggio – lasciatemelo dire – di far emergere in modo netto, chiaro ed evidente che ogni centesimo speso dalla pubblica amministrazione debba essere visibile on line da parte di tutti. Questo significa non semplicemente il Freedom of Information Act, ma un meccanismo di rivoluzione nel rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione tale per cui il cittadino può verificare giorno dopo giorno ogni gesto che fa il proprio rappresentante.» –:
   se il Ministro non ritenga opportuno che siano sempre fornite ai comuni interessati tutte le informazioni utili a informare la popolazione sugli atti che interessano la salute pubblica dei cittadini presenti sul proprio territorio;
   quali azioni il Ministro intenda mettere in atto per consentire ai cittadini del comune di Cogoleto, in cui risiede il SIN «Cogoleto – Stoppani», di conoscere in maniera trasparente tutte le azioni, i tempi e i dettagli del piano di messa in sicurezza della discarica di Molinetto e del SIN «Cogoleto – Stoppani». (4-09265)

  Risposta. — In merito alle problematiche ambientali relative al sito di bonifica di interesse nazionale di «Cogoleto Stoppani», si rappresenta quanto segue.
  In data 26 settembre 2014 e, successivamente, in data 15 aprile 2015 il comune di Cogoleto ha fatto richiesta di accesso alla progettazione esecutiva degli «Interventi di messa in sicurezza e di adeguamento della Discarica Cava Molinetto» alla struttura commissariale, al fine di dare informazioni e rassicurazioni alla cittadinanza fortemente preoccupata dalle notizie apparse nelle settimane precedenti sulla stampa e sui media locali.
  Con nota del commissario delegato, in data 27 aprile 2015, il soggetto attuatore nega la documentazione con la seguente motivazione: «si precisa che l'accesso, agli atti è disciplinato dalle disposizioni di cui agli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990 e che la scrivente amministrazione provvede ad evadere le istanze previa eventuale notifica ai controinteressati giusta applicazione del decreto del Presidente della Repubblica n. 184 del 2006.
  In tal senso la S. V. potrà esercitare il diritto di accesso indicando l'interesse, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, collegata al documento al quale è chiesto l'accesso stante l'inammissibilità delle istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni. In relazione alle successive modalità procedimentali, una volta ricevuta l'istanza nei termini indicati, si farà riferimento al decreto del Presidente della Repubblica 184/06 sopra richiamato...».
  Questo Ministero, non avendo agli atti l'elaborato progettuale esecutivo relativo agli «Interventi di messa in sicurezza e di adeguamento della Discarica Cava Molinetto», sintetizza le attività relative alla stessa discarica di Molinetto (esterna alla perimetrazione del S.I.N.), descritte nell'ultima relazione trimestrale relativa al periodo Febbraio-Aprile 2015 trasmessa dal commissario delegato in data 22 giugno 2015 in ottemperanza alle disposizioni dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3554 del 5 dicembre 2006 e successive modificazioni e integrazioni ed all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 110 del 6 agosto 2013.
  In particolare, si evidenzia che:
   sono proseguite le attività propedeutiche al conferimento in discarica dei rifiuti, mediante devegetazione con accatastamento dei tronchi e degli arbusti in aree dedicate;
   sono stati effettuati la realizzazione della messa in sicurezza delle strade di accesso interne alla discarica, il completamento delle recinzioni e la messa in posa della cartellonistica di sicurezza;
   sono state eseguite le operazioni di prova della posa in opera di casseri in legno e rete metallica come da progetto;
   sono state eseguite le perforazioni e la posa in opera dei nuovi piezometri PP3, PP4, PS4 e PP5;
   sono iniziate le lavorazioni di livellamento terreno zona nord-est per la posa di tubo drenante e di sistemazione preliminare del versante Nord-Est;
   è stata eseguita la posa in opera, la sistemazione e la calibratura della pesa a ponte;
   è stata realizzata la prima fase di formazione fori con l'inghisaggio dei chiodi Dywidag sulla parete rocciosa.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, SCAGLIUSI, SPADONI, GRANDE, SIBILIA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha appreso, da organi di stampa, che una cittadina belga e tre cittadini italiani Alberto M., Michela C. e Daniele B. – risultano dispersi dal 15 agosto 2015 nel mare del Borneo, in Indonesia, dove stavano effettuando un'immersione subacquea;
   nel gruppo c'erano anche altri due italiani, che, invece, sono riusciti a rientrare ed a salvarsi;
   tali informazioni sono state rese note dalle autorità di Giacarta e sono state poi confermate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   come riportato dalla stampa i cinque italiani e la cittadina belga hanno raggiunto con un motoscafo la piccola isola di Sangalaki, interessata, sembrerebbe, da forti correnti marine e onde alte due metri e mezzo;
   il capo delle operazioni di ricerca e soccorso della provincia del Kalimantan orientale, Hendra Sudirman, avrebbe poi riferito che numerose imbarcazioni sono state inviate al fine di perlustrare l'area, finora senza esito, e avrebbe altresì affermato quanto segue: «Speriamo che siano stati trascinati dalla corrente su qualche isolotto e che siano in salvo»;
   la guida che ha accompagnato i sei turisti, di nazionalità indonesiana, non sembrerebbe, però, essere stata in grado di chiarire cosa possa essere accaduto;
   inoltre il tour operator che ha organizzato l'escursione è la «Derawan Ocean Drive», un'agenzia specializzata in immersioni per l'arcipelago al largo della parte indonesiana del Borneo il cui proprietario, Andrew Lioe, non ha voluto commentare l'accaduto;
   secondo la sorella di uno dei dispersi, Alberto M., la vicenda oggetto del presente atto di sindacato ispettivo sarebbe caratterizzata da molti punti oscuri, a cominciare dalla versione della guida Osland;
   le parole della sorella di A.M., riportate da alcuni organi di informazione, sono state le seguenti: «(la guida Osland, ndr) ha avuto difficoltà a indicare le coordinate del punto d'immersione e non aveva addosso il gps. Dice di averli riportati tutti in superficie e di averli lasciati da soli dopo aver dato loro la sua bombola e il giubbotto. Ma perché i ragazzi gli avrebbero permesso di allontanarsi da solo ? Mio fratello era esperto, aveva già praticato diverse immersioni, anche in oceano. Daniele e Michela avevano il brevetto di sub. E la ragazza belga quello di “rescue sub”, di soccorso. ... I ragazzi volevano vedere le mante. Un'immersione relativamente semplice, che non comportava l'ingresso in corpi cavernicoli... Finora non è stato trovato nulla, nemmeno una pinna. Come mai ? ... E poi, ciascuno avrebbe dovuto avere un palloncino che ne segnalasse la presenza una volta riemerso»;
   inoltre da una pagina aperta sui social network da parte dei familiari di Alberto M. («Help us to find Alberto in Indonesia»), si legge che «Le ricerche dei nostri tre connazionali non si devono fermare. Ancora molta area non è stata perlustrata»;
   gli interroganti, da un lato, hanno appreso che l'Indonesia ha deciso «di prolungare eccezionalmente fino a martedì 25 le attività di ricerca» nonostante tali operazioni, di norma, vengano portate avanti fino ad un massimo di 7 giorni dopo la scomparsa;
   dall'altro lato, però, si ritiene che, in considerazione delle predette lacune nella ricostruzione dell'accaduto, sia necessario richiedere ed ottenere nuove indagini e, al contempo, porre in essere tutte le azioni utili a far luce sulla terribile vicenda ed a chiarire cosa sia successo durante l'escursione, non solo attraverso le rappresentanze diplomatiche italiane in Indonesia, ma altresì facendo pressione direttamente con il Governo indonesiano e con il Ministro indonesiano degli affari esteri –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che le ricostruzioni della vicenda oggetto di interrogazione, che sono emerse in queste settimane, siano lacunose e contraddittorie e se, di conseguenza, non intenda chiedere nuove indagini e ricerche;
   quali azioni di propria competenza intenda adottare al fine far luce sulla vicenda de qua e se intenda valutare l'adozione di ogni iniziativa utile direttamente nei confronti del Governo indonesiano e del Ministro indonesiano degli affari esteri. (4-10357)

  Risposta. — La Farnesina, tramite l'ambasciata d'Italia a Giacarta, ha seguito la vicenda dei connazionali Daniele Buresta, Michela Caresani e Alberto Mastrogiuseppe sin dal primo momento con la massima determinazione, mantenendo costanti contatti con i familiari e compiendo numerosi passi presso le Autorità indonesiane per intensificare e prolungare le ricerche.
  Non appena si è avuta notizia della scomparsa dei nostri connazionali, la nostra ambasciata ha sensibilizzato le autorità locali, che hanno immediatamente avviato le operazioni di ricerca. Nello stesso tempo, l'ambasciatore Failla ha compiuto dei passi presso il governatore del Kalimantan, ovvero la regione dove sono scomparsi i sub, il Ministero della difesa indonesiano e i responsabili della locale protezione civile, ottenendo tra l'altro l'invio di un elicottero militare attrezzato per il recupero in mare, così da rafforzare le squadre di soccorso.
  Su nostra richiesta le autorità indonesiane hanno ulteriormente potenziato i mezzi di ricerca, con l'utilizzo di numerose navi ed imbarcazioni, e persino la popolazione locale, con i propri pescherecci, ha raccolto il nostro appello a contribuire alle ricerche. La nostra presenza nella regione è stata successivamente rafforzata con l'invio di un funzionario diplomatico della nostra ambasciata e di un interprete sull'isola di Derawan per monitorare da vicino la situazione e fornire il sostegno e l'assistenza necessarie alla signora Baffè, divenuta punto di contatto delle famiglie in loco. L'ambasciata ha inoltre messo in contatto le famiglie con una compagnia di aviazione privata, attraverso cui è stato messo a disposizione, a loro carico, un ulteriore elicottero che si è mosso in stretto coordinamento con i soccorritori.
  Dopo una settimana di ricerche, su richiesta della Farnesina, le autorità locali hanno eccezionalmente prolungato di qualche giorno la durata delle operazioni e il direttore delle operazioni della protezione civile ha voluto recarsi in loco per monitorare la situazione in prima persona. In seguito, la nostra Rappresentanza diplomatica ha comunque chiesto il sostegno della Protezione civile indonesiana per la prosecuzione delle ricerche delle famiglie in forma privata.
  Per quanto riguarda le indagini in corso, l'ambasciata a Giacarta ha richiesto in più occasioni, attraverso canali informali e formali, la consegna del report della polizia indonesiana, l'unica autorità titolata a condurre operazioni investigative e ad accertare eventuali responsabilità penali per quanto accaduto. Tale richiesta è stata reiterata da ultimo venerdì 25 settembre 2015, nel corso di un incontro fra il nostro ambasciatore a Giacarta e il direttore operativo della protezione civile indonesiana. Da parte delle autorità locali è stato assicurato che il resoconto delle operazioni di ricerca e soccorso è in fase di finalizzazione e che potrebbe essere consegnato a breve.
  La Farnesina e l'ambasciata d'Italia a Giacarta continueranno a rimanere in stretto contatto con le autorità locali, affinché si possa giungere il prima possibile a un chiarimento sulle dinamiche dell'accaduto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   DI GIOIA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'area sarda di Minciaredda, un tempo polmone verde di fronte al Golfo dell'Asinara, con una superficie complessiva di circa 29 ettari, è stata utilizzata negli anni come discarica abusiva, fino al 1982. La discarica, creata dalla Sir Rovelli, venne poi utilizzata dalle società che negli anni si sono succedute alla gestione del petrolchimico per scaricare le scorie industriali più tossiche e tutti gli altri scarti di raffineria;
   la discarica venne alla luce il 19 agosto 2003, quando un gruppo di indipendentisti sardi seffettuarono un bliz nella collina di Minciaredda tra la centrale di Fiume Santo e il polo petrolchimico di Porto Torres, portando alla luce quella che poi venne soprannominata «la collina dei veleni»;
   le numerose indagini eseguite nel corso degli anni hanno rilevato un altissimo livello di contaminazione per quanto riguarda i terreni e le acque di falda che attraversano l'area di Minciaredda, determinato principalmente da idrocarburi, composti aromatici, metalli, cloro benzeni e composti clorurati cancerogeni;
   i residui radioattivi sono presenti non solo sottoterra, ma anche nell'aria in forma di palte fosfatiche, ovvero piccole isole di polvere bianca radioattiva, che costituiscono il residuo delle lavorazioni dell'acido fosforico. La loro presenza è dichiarata dai dati ufficiali dell'Eni. Il controllo periodico di radioattività conferma la dispersione pericolosissima di questo materiale, polvere che si sparge non appena si leva il vento; dal decadimento di tali residui si genera il radon, un materiale radioattivo pericolosissimo;
   gli enti territoriali hanno affidato il progetto di bonifica dell'area alla Syndial spa, società del gruppo ENI che fornisce un servizio integrato nel campo del risanamento ambientale, che avrebbe dovuto presentare un progetto definitivo entro l'inizio del 2012, ma che ad oggi non ha fatto altro che ripresentare più volte un progetto di sola messa in sicurezza permanente dell'area, più volte respinto dalle amministrazioni del territorio e contestato dagli enti tecnici della Ras, provincia, comune Porto Torres, Arpas e Ministero dell'ambiente nella conferenza di servizi del 2011;
   in questa situazione di grave pericolo per l'ambiente e per tutti gli abitanti dell'area, le operazioni di bonifica risultano ad oggi ancora ferme, mentre la popolazione chiede a gran voce che l'area venga completamente bonificata attraverso la rimozione dei residui industriali e del terreno contaminato –:
   se siano a conoscenza dei dati preoccupanti, di cui alle premesse, sull'elevata presenza di residui radioattivi presenti nell'area di Minciaredda, che risultano contaminare non soltanto il terreno ma anche l'aria, attraverso la formazione di palte fosfatiche;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative con immediatezza, per quanto di competenza e in accordo con le autorità e le istituzioni locali e regionali, al fine di tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini, esposti a rischi gravissimi. (4-04709)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, inerente al sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) «Aree industriali di Porto Torres», si rappresenta quanto segue.
  Il SIN «Aree industriali di Porto Torres» è stato inserito nell'elenco dei siti di interesse nazionale dall'articolo 14, della legge 31 luglio 2002, n. 179 e perimetrato con decreto ministeriale del 7 febbraio 2003 e con decreto ministeriale del 3 agosto 2005.
  All'interno del SIN sono presenti diverse criticità ambientali riconducibili ad attività industriali anche ad alto impatto ambientale per la presenza di un polo petrolchimico, un polo elettrico, alcune aree di discarica e un agglomerato artigianale-industriale.
  Si evidenzia, in primo luogo, che le palte fosfatiche sono presenti nell'area denominata «Deposito delle Palte Fosfatiche» ubicata all'interno del settore C dello Stabilimento petrolchimico Syndial di Porto Torres, ben distinta dall'area denominata «Minciaredda», ubicata all'interno del Settore B del predetto stabilimento.
  Agli atti di questo Ministero non risulta alcuna documentazione tecnica, per l'area Minciaredda, da cui rilevare la presenza di residui di radioattivi nel sottosuolo o di radioattività nell'aria.
  Nel dettaglio, in relazione alle citate due aree, si rappresenta quanto segue.
  L'area Minciaredda si estende per oltre 27 ettari ed in passato è stata utilizzata come discarica per i fanghi e i residui/rifiuti delle lavorazioni industriali. Non si hanno informazioni sugli estremi del provvedimento autorizzativo di tali pregresse attività.
  Da quanto agli atti della direzione generale per la salvaguardia del territorio e delle acque di questo Ministero, il deposito dei residui/rifiuti è avvenuto sul terreno esistente in un avvallamento di circa 15 ettari, senza sistemi di drenaggio e raccolta del percolato; l'area di discarica è caratterizzata da:
   assenza di una barriera naturale impermeabile al di sotto del corpo rifiuti;
   assenza di una separazione fisica tra «acque di impregnazione» e l'acquifero sottostante;
   scarsa o assente garanzia di rimozione dall'acquifero del prodotto in fase libera.

   Nell'area sono presenti, quali interventi di messa in sicurezza d'emergenza delle acque di falda, due barriere idrauliche, rispettivamente lungo il confine settentrionale (lato fronte mare) e lungo il lato ovest, attivate nel 2005.
  L'area è sottoposta dal giugno 2015 a sequestro preventivo su disposizione dell'autorità giudiziaria.
  In relazione alle attività istruttorie svolte dal Ministero dell'ambiente, titolare del procedimento di bonifica ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, si rappresenta sinteticamente quanto segue.
  Attesa la gravità della contaminazione delle acque sotterranee, la conferenza di servizi decisoria del 22 giugno 2004 ha chiesto alla società di adottare immediate misure di messa in sicurezza di emergenza; la successiva conferenza di servizi decisoria del 6 dicembre 2004 ha preso atto dei primi interventi di messa in sicurezza di emergenza dell'area Minciaredda, nelle more della realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza d'emergenza complessivo, costituito dallo sbarramento idraulico e fisico della falda.
  Nel periodo febbraio 2007-marzo 2010 Syndial spa ha trasmesso n. 4 revisioni del progetto di messa in sicurezza permanente dell'area Minciaredda, ritenute non approvabili in sede di conferenza di servizi decisoria, in quanto ritenute non sufficientemente cautelative sotto il profilo della sicurezza ambientale.
  Nel periodo dicembre 2012-maggio 2013, sono state eseguite delle indagini ambientali integrative, finalizzate alla rielaborazione del progetto di messa in sicurezza permanente, che hanno confermato la grave contaminazione del suolo/sottosuolo e delle acque di falda, con presenza di prodotto idrocarburico surnatante in fase separata.
  La conferenza di servizi istruttoria del 26 maggio 2014, alla luce dei citati risultati, ha chiesto alla Syndial di adottare tutte le misure necessarie ad impedire l'ulteriore diffusione della contaminazione e di avviare gli interventi di ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 3 comma 32 della legge n. 549 del 1995 e del Titolo VI del decreto legislativo n. 152 del 2006, come già chiesto dalla precedente conferenza di servizi decisoria del 17 luglio 2013.
  La bonifica dei suoli dell'area Minciaredda è prevista nell'ambito del «Progetto Nuraghe» trasmesso da Syndial a dicembre 2014. L'elaborato progettuale è stato esaminato dalla conferenza di servizi istruttoria del 9 luglio 2015 che ne ha chiesto la rielaborazione; l'azienda ha quindi trasmesso ad agosto 2015 un documento integrativo, in relazione al quale è stata fissata una riunione tecnica presso il Ministero dell'ambiente nel corrente mese di settembre.
  In relazione agli interventi di bonifica delle acque di falda dell'intero stabilimento ex Petrolchimico, inclusa l'area «Minciaredda», Syndial ha trasmesso a giugno 2015 la «Variante al progetto operativo di bonifica della falda del sito di Porto Torres, identificabile come terza variante», che sarà esaminata nella prossima conferenza di servizi istruttoria/decisoria.
  Per quanto riguarda l'area del deposito Palte Fosfatiche, di superficie complessiva pari a circa 2 ettari, questa contiene i residui denominati «Palte Fosfatiche», provenienti dalle lavorazioni degli impianti di produzione dell'acido fosforico e del tripolifosfato, entrambi dismessi nel 1990.
  Anch'essa è sottoposta dal giugno scorso a sequestro preventivo con distinto provvedimento disposto dall'autorità giudiziaria.
  In relazione alle attività istruttorie svolte dal Ministero dell'ambiente, titolare del procedimento bonifica ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, si evidenzia sinteticamente quanto segue.

  L'area è stata oggetto di indagini chimiche e radiometriche tra il 2005 e il 2006, che, in particolare, hanno mostrato la presenza di rifiuti e concentrazioni oltre i limiti di legge per i parametri in arsenico, cadmio, cromo VI, berillio, vanadio e idrocarburi pesanti.
  La conferenza di servizi decisoria del 14 ottobre 2011 ha approvato con prescrizioni il progetto operativo di bonifica trasmesso da Syndial, specificando che il procedimento è da inquadrarsi nell'ambito di applicazione dell'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni.
  Come noto, infatti, le attività svolte negli impianti di produzione di acido fosforico e tripolifosfato, dismessi e demoliti, da cui originano i residui radioattivi presenti nell'area del deposito delle palte fosfatiche, ricadono fra quelle contemplate nel paragrafo 1, lettera
a), dell'Allegato I-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni «industria che utilizza minerali fosfatici e depositi per il commercio all'ingrosso di fertilizzanti», la cui competenza è in capo al Prefetto territorialmente competente.
  A dicembre 2014 Syndial ha trasmesso il «Progetto Nuraghe» che interessa anche l'area delle palte fosfatiche, rinunciando all'istanza di approvazione del progetto operativo di bonifica del 2011.
  Nel febbraio 2015 è stata costituita la commissione tecnica prefettizia per gli interventi di cui all'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995.
  In relazione alle competenze per l'approvazione del «Progetto Nuraghe», limitatamente alla parte relativa alle palte fosfatiche, la conferenza di servizi del 9 luglio 2015 ha ribadito che, solo all'esito del procedimento amministrativo di cui all'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995, questo Dicastero potrà procedere all'iter istruttorio di competenza, nell'ambito del procedimento di bonifica di cui all'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2014, la procura della Repubblica di Tempio Pausania ha seguito un sequestro preventivo, per presunto reato di maltrattamento di animali a carico del circo denominato «circo Martin» che si esibiva in uno spettacolo nel 2014;
   un provvedimento esemplare poiché si tratta del primo sequestro di tutti gli animali di un circo le cui condizioni di detenzione hanno evidenziato forti criticità per il rispetto dell'etologia degli esemplari coinvolti;
   sin dal 2008 i volontari della LAV hanno raccolto numerose testimonianze foto e videografiche sugli animali nello zoo del circo, noto soprattutto per il numero del carretto con un orso, trainato da un cavallo con in groppa una tigre; le immagini mostravano gabbie minuscole e prive di qualsiasi arricchimento ambientale. Preoccupante, per la sicurezza pubblica, anche l'assenza di protezioni idonee ad impedire il contatto tra i visitatori e alcuni degli animali;
   lo stesso circo era stato certificato appena un anno e mezzo da un medico veterinario dell'università di Sassari, in regola addirittura rispetto al benessere degli animali, e nessuna asl ha mai rilevato nessun problema agli animali, nei controlli effettuati in occasione del rilascio dei permessi per l'attendamento –:
   se il circo in questione abbia beneficiato delle risorse del fondo unico per lo spettacolo destinate ai circhi e agli spettacoli viaggianti e se non ritenga di valutare l'opportunità di assumere iniziative per subordinare l'eventuale erogazione di fondi pubblici alla verifica del rispetto delle norme in materia di tutela degli animali. (4-10143)

  Risposta. — Nell'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante riferisce che il Circo Martin avrebbe subìto «un sequestro preventivo, per presunto reato di maltrattamento di animali», nell'ottobre 2014, da parte della Procura della Repubblica di Tempio Pausania (OT), e chiede se il circo in questione abbia beneficiato delle risorse del Fondo unico per lo spettacolo, destinate ai circhi e agli spettacoli viaggianti e, più in generale, se non si ritenga opportuno subordinare l'erogazione di fondi pubblici alla verifica del rispetto delle norme in materia di tutela degli animali.
  Prima di rispondere sul caso specifico rappresentato dall'interrogante è opportuno richiamare la normativa sul finanziamento pubblico delle attività circensi.
  L'attività circense e di spettacolo viaggiante costituisce uno dei settori in cui interviene il Fondo unico dello spettacolo (Fus), che rappresenta oggi l'unica e sola fonte di sostegno pubblico da parte del Ministero a queste attività. Il finanziamento pubblico al settore trova il proprio fondamento normativo nella legge 18 marzo 1968, n. 337 (Disposizioni sui circhi equestri e sullo spettacolo viaggiante), secondo la quale «Lo Stato riconosce la funzione sociale dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante. Pertanto sostiene il consolidamento e lo sviluppo del settore» (articolo 1).
  Né la disposizione di legge sopra richiamata, né i decreti ministeriali attuativi – prima il decreto ministeriale 20 novembre 2007 (Criteri e modalità di erogazione di contributi in favore delle attività circensi e di spettacolo viaggiante, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163), ora non più vigente, e poi il decreto ministeriale 1o luglio 2014 (Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163) – prevedono obblighi diretti per quanto concerne la gestione degli animali e le loro condizioni di vita; né, tantomeno, attribuiscono, a questa Amministrazione, compiti di vigilanza o di repressione di violazioni in materia di trattamento degli animali.
  La vigilanza su questi aspetti compete ad altre amministrazioni pubbliche quali il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la commissione scientifica Cites per l'attuazione della convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione e dei regolamenti comunitari in materia, il Corpo forestale dello Stato e le amministrazioni locali, con le quali la direzione generale per lo spettacolo di questo Ministero intrattiene frequenti relazioni e sviluppa forme di collaborazione su specifiche problematiche, così come è avvenuto, anche di recente, a proposito di alcune modifiche dell'elenco attrazioni relative agli zoo, agli acquari ed alle mostre faunistiche.
  Il citato decreto ministeriale 20 novembre 2007 prevedeva, però, all'articolo 7, comma 2), la decadenza dei contributi al settore circense, nel caso di condanna definitiva per i delitti di cui al titolo IX-
bis del libro II del codice penale (delitti contro il sentimento per gli animali), o di ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali.
  Analogamente, il vigente decreto ministeriale 1o luglio 2014, all'articolo 33, comma 3, lettera
e), richiede, a pena di inammissibilità della domanda, che le richieste di contributo siano corredate da una dichiarazione, resa ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, di non aver riportato condanne definitive per i delitti di cui al titolo IX-bis del libro II del codice penale, e di non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione, detenzione e utilizzo degli animali.
  La Direzione generale per lo spettacolo controlla con regolarità l'esistenza o meno di tale requisito e la veridicità delle dichiarazioni presentate, mediante verifiche presso il casellario giudiziale, per accentare l'eventuale esistenza di condanne definitive per i reati di cui sopra. Tali verifiche vengono effettuate sia prima delle assegnazioni dei contributi, in fase di valutazione delle domande, sia successivamente, prima dell'erogazione dei contributi assegnati.
  Se l'Amministrazione riscontra, dalla documentazione presente nel casellario, la presenza di una condanna passata in giudicato per maltrattamenti agli animali a carico del legale rappresentante dell'impresa circense che ha presentato istanza di contributo, respinge la domanda di contributo perché inammissibile, oppure revoca il contributo già assegnato e non procede alla sua erogazione.
  La normativa consente all'Amministrazione di effettuare controlli solo sul legale rappresentante e non anche sugli artisti, i tecnici e gli altri addetti del circo. Si precisa, inoltre, che l'inammissibilità della richiesta o la revoca dell'assegnazione del contributo possono conseguire solo in caso di condanna definitiva ma che, in caso di successivi provvedimenti giudiziali che dichiarino l'estinzione del reato o la riabilitazione del condannato, il soggetto, già escluso, può di nuovo chiedere ed ottenere contributi.
  Con riferimento allo specifico fatto riferito dall'interrogante, si precisa che, agli atti della Direzione generale per lo spettacolo, non risultano assegnati contributi a nessun organismo denominato «Circo Martin».
  La titolarità di tale circo è attribuita al signor Eusanio Martino da notizie di stampa e da informazioni reperite sul
web, ma non è documentata negli atti in possesso della Direzione generale per lo spettacolo.
  Agli atti della direzione, invece, risulta che ha beneficiato del contributo statale, fino all'anno 2010, la produzione circense «Martin Show», rappresentata dal signor Eusanio Martino.
  Nel successivo periodo 2011/2013, a seguito del parere della Commissione consultiva per i circhi e lo spettacolo viaggiante, sono stati assegnati contributi al signor Eusanio Martino per attività circense in Italia e all'estero che, però, sono stati revocati a seguito di controlli effettuati per verificare l'esistenza di eventuali condanne per delitti di cui al titolo IX-
bis del libro II del codice penale, o di ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione, detenzione e utilizzo degli animali.
  Infatti, in data 7 novembre 2013 il competente ufficio della Direzione generale per lo spettacolo ha rilevato, dal certificato del casellario giudiziale, una violazione delle norme sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione e sulla commercializzazione e detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possano costituire pericolo per la salute ed incolumità pubblica,
ex articolo 6, comma 1, legge n. 150 del 1992, «per aver detenuto n. 2 esemplari vivi di leone, “pantera leo”, ... appartenenti a specie pericolose per la salute e l'incolumità pubblica», accertata il 26 maggio 2011.
  L'Amministrazione, pertanto, ha disposto, ai sensi del sopra ricordato articolo 7 del decreto ministeriale 20 novembre 2007, i provvedimenti di revoca dell'erogazione dei contributi per l'attività circense in Italia e all'estero per gli anni 2011 (anno in cui è stata commessa la suddetta violazione normativa), 2012 e 2013, in quanto il richiedente risultava non essere in possesso del requisito di accesso, richiesto dall'articolo 4, comma 1, lettera
f) del decreto ministeriale sopra citato, ossia «non aver riportato condanne per i delitti di cui al titolo IX-bis del libro II del codice penale, e (...) non aver commesso ogni altra violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali».
  Inoltre, sempre a seguito dell'accertamento della violazione di cui sopra, la domanda di contributo relativa all'anno 2014 è stata dichiarata inammissibile.
  Contro le decisioni dell'Amministrazione, il signor Eusanio Martino ha presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale per il Lazio, chiedendo sia l'annullamento dei provvedimenti di decadenza dei contributi già assegnati, che di quello che dichiarava inammissibile la domanda di contributo per l'anno 2014.
  Il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con sentenza dell'11 giugno 2015, ha accolto il ricorso ed annullato i provvedimenti impugnati, condannando il Ministero al pagamento, in favore del ricorrente Eusanio Martino, delle spese di giudizio, in quanto, secondo il giudice amministrativo, «la condanna riportata dal ricorrente non rientra né tra quelle previste dal codice penale né tra quelle discendenti da una “violazione di disposizioni normative statali e dell'Unione europea in materia di protezione degli animali”».
  Secondo il giudice amministrativo, la
ratio della norma violata attiene alla prevenzione e alla repressione del pericolo per la salute e l'incolumità pubblica e non direttamente alla protezione degli animali e, pertanto, l'Amministrazione ha erroneamente applicato la previsione del decreto ministeriale 20 novembre 2007, «la quale – sottolinea il tribunale amministrativo regionale – presuppone invece la violazione di un profilo di interesse protezionistico».
  Relativamente al triennio 2015-2017, il signor Martino Eusanio non ha presentato alcuna domanda di contributo per attività circensi.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   GINATO e SBROLLINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Villa Capra Barbaran Colleoni a Santa Maria di Camisano, Vicentino (VI) risale al 1672 ed è di proprietà dell'Istituto regionale Ville Venete demandato dalla regione Veneto alla cura e tutela di tale patrimonio storico del territorio;
   nel giugno 2001, la soprintendenza aveva chiesto all'amministrazione comunale di Camisano Vicentino «l'eliminazione di nuove prescrizioni edificatorie, come passaggio essenziale e necessario per consentire il restauro degli spazi aperti della campagna di stretta pertinenza della Villa, già offesi da interventi di lottizzazione nelle immediate adiacenze del Complesso Monumentale di Villa Capra». Tale disposizione ha di fatto impedito l'edificazione di un centro residenziale-commerciale nell'area di rispetto della Villa, in quell'occasione infatti il comune aveva acquisito il lotto con una permuta pubblico-privato rendendolo inedificabile mediante l'adozione di una variante al PRG che vietava un incremento di volumetria rispetto agli esistenti 2.030 metri cubi;
   nel 2009 l'amministrazione camisanese ha deciso di realizzare nell'area di rispetto della Villa un centro civico polifunzionale destinato ad associazioni locali. Il progetto, partito nel 2009 (delibera n. 11 del 2009) e approvato a varie riprese nel 2010 (progetto preliminare approvato dalla giunta comunale il 10 maggio 2010) sta proseguendo;
   il comitato difesa Villa e Paesaggio Veneto con la collaborazione della sezione medio-basso vicentino di Italia Nostra, in corrispondenza con l'inizio dei lavori e ritenendo il progetto in violazione delle disposizioni emanate nel 2001 dalla sovrintendenza, ha attivato la procura regionale della Corte dei conti per l'ipotesi di danno erariale, l'Istituto regionale per le Ville Venete proprietario di Villa Capra, l'ordine degli architetti sul rispetto delle norme deontologiche, la provincia di Vicenza sugli aspetti procedurali rispetto al Ptcp. Ha inoltre inviato nei mesi scorsi un dossier dettagliato sulla questione all'attenzione dell'allora Ministro Bray –:
   se e in che modi la soprintendenza sia intervenuta nel valutare il progetto in esame;
   per quale motivo il progetto non sia stato considerato illegittimo dalla stessa alla luce delle disposizioni già formulate nel 2001;
   se e come il Ministro intenda tutelare l'area di pertinenza della Villa anche in conformità con le norme contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo n. 42 del 2004, articolo 150.
(4-05834)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo con il quale l'interrogante chiede:
   se la Soprintendenza territorialmente competente sia intervenuta nel valutare il progetto che l'amministrazione comunale di Camisano Vicentino ha deciso di realizzare nel 2009 nell'area di rispetto della Villa Capra Barbaran Colleoni;
   per quale motivo il progetto non sia stato considerato illegittimo dalla stessa Soprintendenza;
   se e come il Ministro intenda tutelare l'area di pertinenza della Villa anche in conformità con le norme contenute nel Codice dei beni culturali e del paesaggio.

  Al riguardo si comunica quanto segue.
  Il sito della Villa Capra Barbaran Colleoni è soggetto alle disposizioni di tutela delle parti II (Beni culturali) e III (Beni paesaggistici) del codice dei beni culturali e del paesaggio. Relativamente alla tutela ai sensi della parte II, un decreto ministeriale risalente al 1959 tutela esclusivamente il fabbricato della Villa. Con successivo provvedimento del 14 aprile del 2000 sono stati inseriti, all'interno del perimetro di tutela, anche l'edificio della barchessa, la cappella, alcuni annessi rustici e la porzione di territorio circostante fino alla peschiera.
  In data 10 gennaio 2011 è pervenuta alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, ai sensi dell'articolo 146 del codice sopra citato, la richiesta di parere per la realizzazione di un piano urbanistico attuativo che ricadeva, in parte, in zona sottoposta alla tutela di cui alla parte III del codice, in forza dell'articolo 142, lettera
c) (disposizione che tutela per legge i fiumi, torrenti, corsi d'acqua iscritti in appositi elenchi), per la presenza della Roggia Capra. In data 25 gennaio 2011, detta Soprintendenza ha espresso parere negativo all'intervento e, in data 28 settembre 2011, la provincia di Vicenza ha emesso il provvedimento di diniego dell'autorizzazione paesaggistica.
  Agli atti del competente ufficio non risultano ulteriori richieste di parere o di autorizzazione relative a progetti ricadenti nei suddetti ambiti sottoposti a tutela.
  Si comunica, infine, che il comune di Camisano Vicentino ha trasmesso, in data 29 settembre 2014, alla Soprintendenza belle arti e paesaggio competente per territorio la documentazione relativa alle attività edilizie in prossimità di Villa Capra, che risultano essere totalmente esterne alle aree sottoposte a tutela da parte di questo Ministero.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, DI VITA e GRILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la cava d'Ispica è una vallata fluviale che si estende per 13 chilometri sull'altopiano ibleo, tra le città di Modica e Ispica. La vallata custodisce necropoli preistoriche, catacombe cristiane, oratori rupestri, eremi monastici e nuclei abitativi di tipologia varia;
   intorno all'area si trovano siti archeologici d'importanza mondiale, come la Tomba del re a finti pilastri o la Grotta dei santi;
   è stato documentato dalla stampa come questo spettacolo della natura sia stato trasformato in una grande discarica. Il versante nord della Cava, in contrada Baravitalla, oggetto di opere infrastrutturali negli anni novanta per oltre mezzo miliardo delle vecchie lire, è invasa oggi da grandi quantità di rifiuti anche pericolosi, come eternit e carcasse di animali, alcune delle quali in stato di putrefazione, con tutti i rischi e i pericoli per la salute dell'uomo;
   un grave pericolo per l'incolumità degli abitanti della zona, ma anche per tutti i cittadini che accedono all'area, è rappresentato dal ponte crollato di Baravitalla, facilmente accessibile a chiunque con il rischio di caduta nella scarpata sottostante a causa dell'assenza di segnaletiche o di transenne volte a segnalare il pericolo e ad ostruire il passaggio verso la voragine –:
   se il Ministro interrogato non intenda richiedere una verifica dello stato dei luoghi al Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente. (4-09323)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che, ai sensi dell'articolo 197 del decreto legislativo n. 152 del 2006, le funzioni amministrative concernenti la programmazione ed organizzazione del recupero e dello smaltimento dei rifiuti e, in particolare, anche l'accertamento delle violazioni delle disposizioni di cui alla parte IV del sopracitato decreto, spettano agli enti locali.
  Pertanto, sui fatti esposti, è stata interpellata la regione Sicilia – assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana, la quale ha riferito quanto segue.
  La soprintendenza per i beni culturali ed ambientali di Ragusa, competente per territorio, nonostante l'insufficienza dei fondi destinati alla manutenzione ordinaria dei luoghi, ha garantito la scerbatura e la pulizia del sito grazie all'intervento dell'amministrazione comunale di Modica che ha provveduto con fondi propri.
  Nei luoghi citati dagli interroganti, attualmente non si registrano situazioni di degrado ambientale né la presenza di carcasse di animali.
  Un progetto per interventi strutturali a carico del piano operativo regionale ha interessato, a suo tempo il parco archeologico di Cava d'Ispica ed i percorsi meridionali nonché l'acquisizione di altre aree archeologiche, oggi di proprietà del demanio regionale mentre, le aree che insistono nella contrada Baravitalla, appartengono al demanio comunale. In quest'ultima area ricadono altri monumenti archeologici (Grotta dei Santi e Tomba a finti pilastri), già espropriati dal comune di Modica negli anni ’80 e a tutt'oggi appartenenti al demanio comunale.
  Si tratta di monumenti archeologici che la soprintendenza beni culturali di Ragusa ha proposto di inserire nella perimetrazione dell'istituendo parco archeologico di Cava d'Ispica.
  Per quanto riguarda la presenza in Baravitalla di un ponte in parte crollato, la regione Sicilia ha riferito che la causa di tale evento è da addebitarsi alle abbondanti piogge degli anni trascorsi, specie nel 2006, e che il comune di Modica ha presentato, per il tramite del dipartimento della protezione civile, un progetto di ripristino e riqualificazione delle strutture e dell'alveo onde consentire adeguati interventi.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, CATALANO, BALDASSARRE, DE LORENZIS, TOFALO, GRILLO, TERZONI, LOREFICE, COLONNESE, D'INCÀ e DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 1999, la dichiarazione dello stato di emergenza nella regione siciliana in ordine alla situazione di crisi determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi è stata estesa alle problematiche socio-economiche ed ambientali connesse al sistema dei rifiuti speciali, pericolosi e in materia di bonifica e risanamento ambientali;
   con successive proroghe, lo stato di emergenza in materia di bonifica e di risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati – oltre che in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cigli di depurazione – e la connessa gestione commissariale curata dai presidenti della regione in qualità di commissari delegati si sono protratti sino al 31 dicembre 2012;
   il decreto-legge del 15 maggio 2012, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2012, n. 100 – con il quale è stata sancito un limite temporale stringente, e non derogabile, rispetto alla possibilità di procedere alla proroga ovvero al rinnovo di una dichiarazione dello stato di emergenza, come è accaduto in Sicilia dal 16 dicembre 1999 fino al 31 dicembre 2012 – detta le norme da osservare per procedere a una regolare e ordinata transizione dal regime commissariale a quello ordinario;
   in conformità con le richiamate disposizioni contenute nel decreto-legge n. 59 del 2012, il capo dipartimento della protezione civile ha emanato un'apposita ordinanza di protezione civile, la n. 44 del 29 gennaio 2013, con la quale sono state disciplinate le modalità attraverso le quali la regione siciliana è subentrata al presidente della stessa regione, quale commissario delegato, nel coordinamento delle attività necessarie al completamento degli interventi da eseguirsi in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati;
   dalla lettura della «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in data 12 dicembre 2012 emerge un quadro particolarmente critico, e dunque drammatico, dei risultati conseguiti dalle gestioni commissariali che si sono susseguite nell'ultimo decennio con specifico riferimento al sito di interesse nazionale di Gela;
   dal quadro aggiornato al mese di marzo 2012 fornito alla Commissione dalla struttura commissariale risulta, infatti, quanto segue:
    a) rispetto alla caratterizzazione dell'area marino-costiera, i risultati della fase prioritaria sono stati trasmessi al commissario delegato l'8 settembre 2008, le attività sono state oggetto di collaudo nel mese di dicembre 2011, ma «non vi sono allo stato informazioni in merito alla fase di completamento delle indagini di caratterizzazione»;
    b) rispetto alla discarica idrocarburi Biviere di Gela, l'intervento che prevede la realizzazione di indagini indirette di tipo geofisico, indagini geotecniche in situ, realizzazione di sondaggi per il prelievo di campioni di terreno e la realizzazione di piezometri per le analisi di acqua di falda, è stato approvato nel mese di aprile 2010, e i lavori, propedeutici alla definizione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza (MISE), sono iniziati nel novembre 2011;
    c) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale del sito «Biviere di Gela» approvato nel luglio del 2009, l'intervento operativo che prevede l'esecuzione di sondaggi, il prelievo di campioni e l'esecuzione delle analisi sugli stessi campioni è stato approvato nel 2010, e i lavori sono in corso di esecuzione;
    d) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale del sito «Discarica Cipolla, Piana del Signore», l'intervento finanziato con due successive ordinanze nel 2009 e nel 2011 è in corso di esecuzione;
    e) rispetto alla messa in sicurezza d'emergenza (MISE) della «Discarica Cipolla» in contrada Marabusca, i lavori, affidati in esecuzione nel 2011, sono in corso di esecuzione;
    f) rispetto al piano di caratterizzazione ambientale dei sedimenti dei fiumi Gela e Dirillo, del torrente Gattano e del canale Valle Priolo, finanziato nel 2008, è stata redatta ed approvata la valutazione di incidenza, con conclusione prevista nel febbraio 2012;
   nella stessa relazione, sono state riportate le informazioni trasmesse dalla procura della Repubblica di Gela l'11 giugno 2012, dalle quali risultava che:
    a) per quanto riguarda il progetto definitivo di bonifica con misure di sicurezza della vasca A zona 2 dell'area della vecchia discarica controllata dalla Raffineria di Gela s.p.a., approvato nel dicembre del 2004, i lavori previsti sono ancora in corso, il target raggiunto è lo svuotamento della vasca dal rifiuto palabile e sono in corso varianti al progetto relativamente al trattamento dei terreni contaminati al bordo e al fondo della stessa vasca;
    b) relativamente alla stessa bonifica con misure di sicurezza della vasca A zona 2, si sono concluse le indagini preliminari con la contestazione di diverse ipotesi di reato per gravi fatti di inquinamento da sostanze pericolose classificate tossico-nocive (H7-H14) «causati da ingiustificati gravi ritardi nell'esecuzione dei lavori di bonifica e messa in sicurezza della vasca A zona 2 dell'area della vecchia discarica controllata della raffineria di Gela»;
    c) per quanto riguarda il progetto definitivo di bonifica delle acque di falda dello stabilimento multisocietario di Gela e il progetto definitivo di bonifica delle acque di falda relativo all'impianto di trattamento acque di falda, alle bonifiche delle aree Syndial e Isaf, approvato nel dicembre del 2004, sono in corso accertamenti relativi all'effettiva funzionalità delle misure adottate per la bonifica della falda e al funzionamento delle barriere idrauliche e fisiche poste a protezione dell'ambiente marino, rispetto alle quali, durante gli accertamenti, sono stati rilevate delle criticità;
    d) per quanto riguarda il progetto definitivo di bonifica per la messa in sicurezza permanente della discarica fosfogessi, approvato nell'agosto del 2009, i lavori di capping sono stati ultimati e gli impianti di trattamento del percolato sono stati potenziati dopo l'intervento della procura della Repubblica di Gela;
    e) relativamente alla stessa bonifica per la messa in sicurezza permanente della discarica Fosfogessi, sono in via di definizione gli accertamenti relativi all'inquinamento causato del riversamento del percolato nelle aree adiacenti e circostanti alla discarica;
    f) per quanto riguarda i progetti operativi di bonifica dell'area nuova unità recupero zolfo 2, dell'area steam reforming, dell'Area novi serbatoi S-111 e S-112 presentati dalla Raffineria di Gela S.p.A. presentati dalla Raffineria di Gela S.p.A. e approvati nel febbraio del 2010, la corretta applicazione delle prescrizioni previste dal progetto è costantemente monitorata;
    g) per quanto riguarda gli interventi di bonifica delle discariche abusive di rifiuti «non può che registrarsi, quando non siano identificati i responsabili, la pressoché totale assenza e/o estrema difficoltà ad intervenire da parte degli enti territoriali»;
   nelle considerazioni finali della «Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell'attuazione degli interventi e i profili di illegalità» sull'esperienza siciliana in materia di bonifiche, è stato riportato il seguente giudizio: «è la prova lampante dell'assoluta inettitudine delle strutture commissariali ad affrontare le problematiche connesse alla bonifica dei siti inquinanti e, in generale, all'ambiente. Il territorio rientrante nel SIN di Gela è ben lontano dall'essere bonificato e la magistratura sta svolgendo un attento lavoro finalizzato alla verifica della liceità delle condotte tenute dagli enti interessati alla bonifica medesima» –:
   nelle stesse considerazioni finali della relazione si segnala l'esistenza di una situazione sanitaria molto preoccupante, riportando che Progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) per il sito di Gela ha evidenziato «un eccesso di tumori polmonari sia tra gli uomini sia tra le donne; tra gli uomini sono in eccesso anche il tumore dello stomaco e l'asma; tra le donne il tumore del colon-retto e l'asma»;
   la relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, e le iniziative della procura della Repubblica di Gela, richiamate in premessa, evidenziano a giudizio degli interroganti la totale inadeguatezza della presidenza della regione siciliana, in qualità di commissario delegato, ad assicurare sia un effettivo controllo sull'efficacia e sulla regolare esecuzione degli interventi a carico dei soggetti privati, sia una tempestiva realizzazione delle attività di bonifica delle aree comprese all'interno del perimetro del sito di interesse nazionale, non riferibili a soggetti privati;
   con l'ordinanza del capo dipartimento protezione civile n. 44 del 29 gennaio 2013, la gestione commissariale dell'emergenza affidata, fino al 31 dicembre 2012, al presidente della regione siciliana è stata sostituita con una gestione ordinaria della stessa problematica e delle stesse attività, da parte della regione siciliana, e dunque da parte della stessa struttura amministrativa chiamata, negli ultimi anni, a supportare l'attività del commissario delegato;
   la stessa ordinanza n. 44 del 2013 fa, comunque, salvi gli obblighi di rendicontazione stabiliti dalla legge n. 225 del 1992 ma il rendiconto relativo allo stato di emergenza in questione, contrariamente a quanto stabilito dall'articolo 5, comma 5-bis della stessa legge n. 225 del 1992, non risulta pubblicato nel sito internet del dipartimento della protezione civile;
   la stessa ordinanza n. 44 del 2013, pur prevedendo la trasmissione al dipartimento della protezione civile di una relazione sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi finalizzati al definitivo superamento delle situazione di criticità in materia di bonifica e risanamento dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, non introduce un meccanismo, attivabile da parte dello stesso dipartimento della protezione civile nel caso in cui la prevista relazione non pervenga nei termini previsti, ovvero evidenzi il protrarsi, nel tempo, della gravissima situazione ambientale in essere, e l'oggettiva incapacità/inadeguatezza della regione siciliana ad assicurare una tempestiva e regolare realizzazione degli interventi necessari –:
   se il presidente della regione siciliana, in qualità di commissario delegato pro tempore – successivamente all'adozione della citata ordinanza n. 44 del 2013 – abbia inviato al dipartimento della protezione civile una relazione sulle attività svolte contenente l'elenco dei provvedimenti adottati, degli interventi conclusi e delle attività ancora in corso con relativo quadro economico;
   se lo stesso presidente della regione siciliana in qualità di commissario delegato abbia provveduto, con i tempi e le modalità stabiliti dalla legge n. 25 del 1992, a predisporre e a trasmettere il rendiconto di tutte le entrate e di tutte le spese riguardanti l'intervento delegato;
   se il direttore generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato dell'energia e dei servizi di pubblica utilità della regione siciliana abbia trasmesso al dipartimento della protezione civile la relazione semestrale sullo stato di avanzamento delle attività condotte per l'attuazione degli interventi di cui all'ordinanza del capo dipartimento protezione civile n. 44/2013 con il relativo quadro economico e se non ritenga, necessario assumere iniziative normative per stabilire che il subentro della regione siciliana nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità in materia di bonifica e risanamento ambientale dei suoli, delle falde e dei sedimenti inquinati, preveda anche un controllo di efficacia, efficienza ed adeguatezza rispetto all'azione della regione siciliana, e non escluda – ove detto controllo dia un esito insoddisfacente – la possibilità di esercitare i poteri sostitutivi nelle forme previste dall'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131. (4-02858)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in oggetto si evidenzia quanto segue.
  Il dirigente generale del dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti della regione siciliana ha trasmesso al dipartimento della protezione civile la relazione sullo stato di avanzamento delle attività condotte, fino al dicembre 2013, per l'attuazione degli interventi di cui all'ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile 29 gennaio 2013, n. 44.
  Con nota del 15 gennaio 2014 il dirigente sopra richiamato ha chiesto una proroga degli effetti dell'articolo 1, comma 6, della citata ordinanza n. 44 del 2013 per completare le iniziative intraprese in modo da evitare interruzioni e/o sospensioni dei lavori in corso, per un periodo non inferiore a 16 mesi, facendo presente che la contabilità speciale a lui stesso intestata (la n. 2854) sarebbe scaduta il 4 febbraio 2014. Contestualmente, ha trasmesso la «tabella degli interventi prioritari» ancora da terminare per il settore «bonifiche» e per il settore «tutela delle acque», nella quale ha indicato l'importo impegnato, quello erogato, lo stato di attuazione ed i tempi residui per il completamento di ciascuno degli interventi.
  La contabilità speciale n. 2854 è stata prorogata, fino alla scadenza del 4 giugno 2015, con ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile n. 158 del 19 marzo 2014, per consentire il completamento degli interventi e, conseguentemente, ancora non è stata trasmessa allo scrivente la relazione conclusiva.
  Si fa inoltre presente che la regione siciliana ha, successivamente, richiesto, con nota prot. 639 del 12 maggio 2015, la proroga della suddetta contabilità speciale per un periodo non inferiore a 16 mesi, allegando una relazione aggiornata al mese di maggio 2015 sugli interventi previsti dal piano commissariale ed il quadro delle risorse a disposizione della Regione.
  A seguito della richiesta di chiarimenti da parte del dipartimento della protezione civile, con nota del 14 luglio 2015 la regione ha trasmesso la documentazione integrativa elencando, altresì, tutti gli interventi ritenuti oggetto di proroga da parte della regione con i relativi elementi di dettaglio. Da quanto rappresentato, degli interventi elencati, alcuni (circa una ventina) sono stati ultimati e, in alcuni casi, sono stati anche collaudati, altri sono ancora da avviare o sono stati interrotti (contratti rescissi) e infine, di pochissimi non si conosce lo stato dei lavori, atteso che la regione non ne ha specificato la previsione di completamento.
  Esaminata la documentazione integrativa e dopo aver ricevuto il parere positivo trasmesso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in ordine all'ulteriore proroga della contabilità speciale, è stato redatto lo schema di ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile concernente la proroga della contabilità speciale fino al 4 ottobre 2016, contenente, nell'allegato, soltanto l'elenco degli interventi che attualmente risultano
in itinere. Lo schema di ordinanza è stato, quindi, trasmesso alla regione con nota prot. DPC/CG/45532 del 17 settembre 2015, ai fini dell'intesa, specificando che, per tutti gli altri interventi (interrotti non ancora affidati e/o in fase di progettazione) non inclusi nell'allegato, dovrà essere avviata la procedura disciplinata dall'articolo 1, commi 7 e 8, dell'ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile n. 44 del 2013 (con cui è stato disciplinato il rientro nell'ordinario dell'emergenza).
  Le richiamate disposizioni prevedono che, qualora residuino delle risorse sulla contabilità speciale, il dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti dell'assessorato regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità ha la facoltà di predisporre un piano contenente gli ulteriori interventi strettamente finalizzati al superamento della situazione di criticità, da realizzare a cura dei soggetti ordinariamente competenti secondo le ordinarie procedure di spesa ed a valere su eventuali fondi statali residui, di cui al secondo periodo del comma 4-
quater dell'articolo 5 della legge n. 225 del 1992. Tale piano deve essere oggetto di un accordo di programma da stipulare, ai sensi dell'articolo 15 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione siciliana.
  A seguito della avvenuta stipula dell'accordo, le risorse residue giacenti sulla contabilità speciale sono quindi trasferite al bilancio della regione siciliana ovvero, ove si tratti di altra amministrazione, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione.
  Ad oggi, si è in attesa del riscontro della regione siciliana.
  Quanto alle relazioni semestrali di cui all'ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile n. 44 del 2013, premesso che, con nota del 9 dicembre 2014, lo scrivente dipartimento ha sollecitato il dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti della regione siciliana a trasmettere le relazioni relative all'anno 2014 (e che, ad oggi, non risulta pervenuto alcun riscontro da parte della regione) si fornisce comunque un aggiornamento dello stato di avanzamento degli interventi inerenti al SIN di Gela, sulla base delle informazioni contenute nella relazione trasmessa con nota del 15 gennaio 2014, aggiornata al dicembre 2013, e della relazione inerente alla verifica amministrativo-contabile trasmessa dal Ministero dell'economia e delle finanze con nota del 12 agosto 2011:
   «Caratterizzazione area marino-costiera»: riguarda l'attuazione del piano di caratterizzazione ambientale redatto da ICRAM (ora ISPRA) e del piano di caratterizzazione radiometrica redatto da APAT (oggi ISPRA) approvati nella conferenza dei servizi del 24 luglio 2007. Le attività per la realizzazione del piano sono state svolte in due fasi successive: una fase prioritaria, consistente nello svolgimento con urgenza di indagini ambientali, terminata il 15 novembre 2006 ed una fase di completamento, affidata a seguito di procedura di gara nel 2008 e conclusasi nel 2009. Le analisi sono state validate da ISPRA nel 2010. Le attività sono state collaudate nel mese di dicembre 2011;
   «Discarica idrocarburi Biviere di Gela»: riguarda l'esecuzione di analisi specifiche finalizzate alla messa in sicurezza della discarica all'interno del SIN. Il progetto è stato redatto ed approvato nel mese di aprile 2010 ed i lavori sono stati ultimati il 5 ottobre 2011;
   «Esecuzione del Piano di caratterizzazione ambientale del Sito Biviere di Gela»: riguarda l'esecuzione delle indagini di caratterizzazione previste nel piano di caratterizzazione dell'area «Biviere di Gela» ubicata nel SIN di Gela. Il progetto è stato redatto ed approvato nel mese di aprile 2010 ed i lavori sono stati realizzati. Il piano è stato trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la validazione dei risultati;
   «Esecuzione del Piano di caratterizzazione ambientale del sito Discarica Cipolla, Piana del Signore»: i lavori sono conclusi e i risultati consegnati;
   «Esecuzione della Messa in sicurezza d'emergenza della discarica Cipolla, contrada Marabusca»: i lavori sono stati realizzati;
   «Piano di caratterizzazione ambientale dei sedimenti dei fiumi Gela e Dirillo»: riguarda la definizione del grado di contaminazione dei sedimenti dei fiumi, canali e torrenti e all'esecuzione delle analisi di campioni d'acqua prelevati nei pressi dello scarico del depuratore «Macchitella». L'intervento è stato ultimato;
   «Piano di caratterizzazione del Torrente Gattano»: riguarda la messa in sicurezza d'emergenza del letto del torrente. Le attività sono terminate il 5 ottobre 2011;
   «Impianto di depurazione Macchitella»: l'intervento è stato richiesto dalla procura di Gela che ha sequestrato l'impianto per sversamenti non conformi. Il progetto esecutivo è stato approvato nel 2012 e la gara espletata. I lavori, al dicembre 2013, erano in corso di realizzazione;
   «Adeguamento e Potenziamento dell'impianto consortile di depurazione interno alla raffineria di Gela»: riguarda il raddoppio e l'adeguamento del suddetto impianto. Al dicembre 2013, il progetto era stato aggiudicato in via provvisoria ed erano in corso le verifiche relative al ricorso presentato da un'altra ATI partecipante.

  Sulla base di della relazione, quasi tutti gli interventi sono terminati: al dicembre 2013, infatti, gli unici interventi ancora in corso risultavano essere gli interventi n. 3, 8 e 9, per i quali il dirigente generale del dipartimento dell'acqua e dei rifiuti della regione siciliana aveva stimato una durata residua rispettivamente di 2, 6 e 12 mesi.
  Per ciò che attiene il quesito riguardante la pubblicazione del rendiconto, si fa presente che, ai sensi dell'articolo 14, comma 7, del decreto legislativo n. 123 del 2011; è l'ufficio di controllo a diffidare il funzionario delegato inadempiente, assegnandogli un termine per la presentazione, informando l'amministrazione centrale di appartenenza. Decorso senza esito tale termine, il rendiconto è predisposto d'ufficio a cura dell'amministrazione che ha disposto l'apertura di credito, con oneri finanziari a carico del funzionario delegato inadempiente.
  Circa la possibilità di esercitare i poteri sostitutivi, nelle forme previste dall'articolo 5 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dall'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, si fa presente, non solo, che tale esercizio, che presenta delicatissimi aspetti di rilievo costituzionale, ai sensi della vigente normativa, esula delle competenze dello scrivente Dipartimento, ma anche che la situazione di criticità in argomento non è più oggetto del regime derogatorio connesso alla delibera dello stato di emergenza e che, quindi, l'ordinanza del capo del dipartimento n. 44 del 2013, ha come specifica finalità proprio il subentro dell'amministrazione ordinariamente competente che, in questo caso, è anche una regione a statuto speciale.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'istituzione sinfonica abruzzese (ISA) è una delle più prestigiose realtà nazionali nel panorama musicale italiano;
   con 50 dipendenti sviluppa una intensa attività regionale, nazionale ed internazionale;
   nonostante il trauma del terremoto dell'Aquila, l'ISA è stata in grado di rialzarsi subito con passione e professionalità;
   versa da tempo in una grave crisi finanziaria per il taglio dei contributi nazionali e regionali;
   da quattro mesi gli orchestrali sono senza stipendio;
   è necessario che il Governo e la regione Abruzzo predispongano un piano per affrontare questa grave crisi dell'ISA –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere con urgenza per favorire un accordo tra le parti interessate e risolvere questo problema nell'interesse non solo dei lavoratori e lavoratrici dell'ISA, ma della cultura musicale nazionale. (4-09926)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo, in esame nel quale l'interrogante riferisce che l'Istituzione sinfonica abruzzese (Isa) «versa da tempo in una grave crisi finanziaria per il taglio dei contributi nazionali e regionali» e chiede quali iniziative si intendano assumere per affrontare la crisi.
  Al riguardo, si informa che l'istanza di contributo sul Fondo unico per lo spettacolo dal vivo, per l'anno 2015, presentata dall'Istituzione sinfonica abruzzese (Isa), ai sensi dell'articolo 20 del decreto ministeriale 1o luglio 2014, recante «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163», è stata sottoposta all'esame della competente Commissione consultiva per la musica, nella seduta del 1o luglio 2015. Conclusi i controlli e le verifiche riservate agli uffici della direzione generale per lo spettacolo, successivi alla predetta riunione, i risultati della Commissione sono stati formalizzati nel decreto di assegnazione del 31 luglio 2015, a firma del direttore generale dello spettacolo, che ha assegnato all'Isa un contributo di euro 1.430.000 per l'anno 2015.
  Si fa presente, inoltre, che le disposizioni di cui al decreto ministeriale 26 ottobre 2011, contenente «Criteri e modalità straordinarie di erogazione di contributi a favore delle attività dello spettacolo dal vivo nell'anno 2012 nei comuni danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009, in corrispondenza degli stanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163», già prorogate al 31 dicembre 2013 dal decreto ministeriale 11 dicembre 2012, sono state ulteriormente prorogate al 31 dicembre 2017 e i benefici ivi previsti sono stati applicati all'Isa, con il provvedimento di cui sopra.
  Il decreto ministeriale sopra richiamato prevede che: «ai fini dell'assegnazione e della corresponsione del contributo a favore degli organismi che alla data del 6 aprile 2009 avevano sede legale nei comuni danneggiati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009 come individuati dal decreto del Commissario delegato per l'emergenza terremoto in Abruzzo del 16 aprile 2009 e successive integrazioni, si tiene conto anche delle rappresentazioni ad ingresso gratuito realizzate dagli organismi predetti in tali comuni»; per gli organismi sopra individuati, «in ragione delle difficoltà operative rappresentate dai medesimi sono ridotti, o sospesi ove occorra, i requisiti, le condizioni, ed i minimi di attività previsti dalle disposizioni dei singoli settori. Il Direttore generale per lo spettacolo dal vivo, sentito il parere delle competenti commissioni consultive, può assegnare a tali organismi, fermo restando il limite del pareggio tra entrate e uscite del preventivo, un contributo superiore a tre volte la base quantitativa»; «...il Direttore generale per lo spettacolo dal vivo, all'atto della liquidazione a saldo del contributo a favore degli organismi (come sopra) individuati (...), in caso di contrazione dell'attività sovvenzionata, applica per la determinazione del contributo medesimo un margine di tolleranza in misura doppia rispetto a quella prevista dai decreti ministeriali 8, 9, 12 e 20 novembre 2007, in ragione delle difficoltà operative incontrate».

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoFrancesca Barracciu.


   NESCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Tropea (Vibo Valentia) è comune famoso nel mondo per le sue bellezze naturalistiche e paesaggistiche, cui si accompagna un centro storico letteralmente affacciato sul mare e collegato all'omonimo premio letterario nazionale, già aperto al grande tema dell'integrazione fra le culture;
   l'economia di Tropea è legata alla sua vocazione turistica, la quale deriva anzitutto dalla natura e dalle bellezze del territorio, che con l'abitato costituiscono un insieme;
   con decreto dirigenziale n. 3582 del 04 aprile 2008, la regione Calabria approvava un bando per progetti integrati finalizzati alla riqualificazione, recupero e valorizzazione dei centri storici calabresi;
   con delibera di giunta regionale n. 170 del 8 aprile 2009, ai suddetti interventi veniva destinata la somma complessiva di euro 155.448.469,67;
   con delibera di giunta regionale n. 157 del 31 marzo 2009 veniva approvato il Programma attuativo regionale (Tar Calabria collegato al Fas 2007-2013);
   con decreto dirigenziale n. 6642 del 24 aprile 2009, la regione Calabria approvava la graduatoria di merito e l'elenco degli interventi ammessi a finanziamento;
   con delibera di giunta regionale n. 171 del 27 febbraio 2010, la regione Calabria aggiornava il relativo quadro finanziario;
   con delibera n. 79 del 30 luglio 2010, il Cipe congelava l'utilizzo delle risorse derivanti dai rientri finanziari del Fas, di cui al predetto quadro finanziario aggiornato;
   il 26 settembre 2011, i progetti per i centri storici venivano candidati a finanziamento sull'Intesa generale quadro di programma (Igq) Governo-regioni nell'ambito del Piano straordinario per il Mezzogiorno;
   a seguito di successiva istruttoria, i progetti considerati venivano inclusi nei piani di utilizzo per il Fondo di sviluppo e coesione (Fsc) con la programmazione Cipe per la Regione Calabria delle risorse residue FAS 2000/2006, a modifica delle precedenti delibere del Cipe;
   con delibera n. 89 del 3 agosto 2012, il Cipe dava alla regione Calabria risorse pari a 97.814.635,95 euro per la riqualificazione dei centri storici;
   nell'ambito degli interventi ammessi a finanziamento veniva inserito il progetto del Comune di Tropea, dell'importo di 3.586.544,40 euro, avente per oggetto il recupero e la riqualificazione di Palazzo Giffone – palazzo nobiliare del XIX secolo, ubicato in largo Municipio, già residenza della famiglia Giffoni e sede del ginnasio-liceo «Pasquale Galluppi», del catasto urbano, dell'ufficio del registro e della Guardia di finanza – per la realizzazione di un centro Mediterraneo di cultura e innovazione;
   con convenzione del 13 maggio 2013, il dipartimento urbanistica e territorio della regione Calabria e il comune di Tropea stabilivano, modificando precedente atto analogo, i reciproci obblighi in relazione al finanziamento per il succitato recupero, avente come attuatore il comune di Tropea e quale l'obiettivo la realizzazione di «uno spazio ed un contenitore culturale dedicato ai ragazzi, capace di affrontare i temi della diversità, dell'integrazione, della socializzazione, della crescita umana e culturale», utilizzando Palazzo Giffone come «centro studi sull'ambiente, i popoli e le culture del Mediterraneo»;
   prima ancora, e precisamente con atto del 13 dicembre 2008, l'Agenzia del demanio concedeva Palazzo Giffone in uso al comune di Tropea e per la durata di 25 anni;
   in un articolo pubblicato l'otto gennaio 2014 sul portale Internet di «Sole 24 Ore», si fa riferimento a Palazzo Giffone tra «i gioielli dello Stato in vendita» «ma solo dopo il via libera del ministero dei Beni culturali»;
   il 22 gennaio 2014 l'Agenzia del demanio-direzione regionale Calabria comunicava di essere stata autorizzata, con decreto ministeriale del 23 dicembre 2013, alla vendita a trattativa privata di beni di proprietà dello Stato e quindi del suddetto immobile, la cui compravendita veniva poi formalizzata con apposito contratto, datato 28 dicembre 2013;
   con delibera del 25 febbraio 2014, nell'esercizio delle competenze e dei poteri della giunta comunale, il commissario straordinario del comune di Tropea, Anna Aurora Colosimo, per difendere le ragioni dell'ente proponeva ricorso al Tar del Lazio avverso il summenzionato decreto ministeriale, nominando all'uopo un legale –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto;
   se il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo abbia autorizzato la riferita vendita di Palazzo Giffone;
   quali provvedimenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano adottare al fine di consentire l'attuazione del progetto di riqualificazione di palazzo Giffone già finanziato, e l'uso da parte del comune di Tropea di cui alla convenzione con l'Agenzia del demanio richiamata in premessa. (4-04473)

  Risposta. — L'interrogazione in esame, è volta ad acquisire elementi informativi in merito alla procedura di vendita dell'immobile denominato «Palazzo Giffone», ubicato nel comune di Tropea, e incluso nell'ambito degli interventi, ammessi al finanziamento, di recupero e riqualificazione dei centri storici calabresi.
  Al riguardo, sentiti gli uffici competenti dell'amministrazione, per quanto di competenza, rappresenta quanto segue.
  L'articolo 11-
quinquies, comma 1, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, recante disposizioni in materia di dismissione di immobili, autorizza, per finalità di finanza pubblica, l'Agenzia del demanio, previo decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con le amministrazioni che li hanno in uso, a procedere alla vendita a trattativa privata, anche in blocco, di beni immobili, ad uso non prevalentemente abitativo, appartenenti al patrimonio pubblico.
  Nella relazione tecnica al decreto-legge n. 120 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 137 del 2013, recante: «Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione», si evidenzia che, al fine di riportare il deficit del bilancio 2013, entro un valore non superiore al 3 per cento del Pil, sarà adottato, tra gli altri strumenti, un programma di dismissioni immobiliari per complessivi 525 milioni di euro, da realizzare inderogabilmente entro il 2013.
  Conseguentemente, l'Agenzia del demanio è stata autorizzata a svolgere le attività inerenti la dismissione degli immobili, secondo le procedure previste dal citato articolo 11-
quinquies.
  Concluse tali attività prodromiche, consistenti in atti tecnico-amministrativi estimali e nell'acquisizione dei pareri delle amministrazioni competenti, con decreto del direttore generale del Tesoro del 23 dicembre 2013, la predetta Agenzia del demanio è stata autorizzata alla vendita a trattativa privata, anche in blocco, entro il 31 dicembre 2013, degli immobili individuati nell'elenco allegato al medesimo decreto, ove figura anche l'immobile denominato «palazzo Giffone». Trattasi di bene di interesse storico artistico, concesso in uso al comune di Tropea con atto del 12 dicembre 2008, per la durata di 25 anni, a decorrere dal 1o gennaio 2009, in base al quale l'ente locale si impegnava a procedere al recupero e alla valorizzazione del cespite.
  Il citato decreto del direttore generale del Tesoro ha espressamente previsto la vendita degli immobili nello stato di fatto e di diritto in cui si trovano, con la conseguenza che la cessione, ai sensi del comma 2 del menzionato articolo 11-
quinquies ha fatto venir meno anche le concessioni in essere e, quindi, ogni diritto di prelazione all'acquisto da parte degli utilizzatori.
  Riguardo al cespite in questione è da evidenziarsi che la sua individuazione tra gli immobili alienabili risponde, tra l'altro, all'esigenza di assicurarne la valorizzazione, da anni perseguita dal Comune senza esito, e che la cessazione della concessione non impedisce il raggiungimento di intese, tra la società acquirente e l'ente locale, finalizzate proprio alla valorizzazione del bene.
  Si fa poi presente che, nell'ambito delle attività propedeutiche alla vendita, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, in data 30 ottobre 2013, con nota protocollo n. 6723, impartiva le necessarie prescrizioni e condizioni, in ordine alle misure di conservazione e fruizione pubblica di palazzo Giffone, recepite poi nel parere favorevole alla cessione dello stesso, reso, in data 11 novembre 2013, dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria, ai sensi dell'articolo 55 del decreto legislativo n. 42 del 2004.
  Si evidenzia che il tar Lazio, adito dal comune di Tropea, per l'annullamento degli atti adottati dal Ministero dell'economia e delle finanze e dall'Agenzia del demanio, in relazione a tale operazione di vendita in blocco, ha respinto la domanda cautelare, con ordinanza resa in data 2 aprile 2014 (non impugnata), rinviando ad altra data la trattazione del merito del ricorso.

Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanzePier Paolo Baretta.


   NICCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'11 giugno 2011 col patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri e dei Ministeri della Pubblica amministrazione e l'innovazione, turismo, per i beni e le attività culturali, delle infrastrutture e dei trasporti, per le pari opportunità, dello sviluppo economico, della Regione Toscana, della Provincia di Pisa e la Federazione italiana gioco calcio, a Sasso Pisano nel Comune di Castelnuovo di Val di Cecina – PI – è stato inaugurato il Museo delle arti e dei Mestieri della Toscana «Gualerci Nicola»;
   l'interessante idea di realizzare all'interno del sito medievale di Sasso Pisano, frazione medievale di Castelnuovo Val di Cecina, in provincia di Pisa, una struttura museale allo scopo di valorizzare l'artigianato e l'arte manifatturiera, eccellenze della regione Toscana in Italia e nel mondo, tanto decantata dall'amministrazione comunale non ha mai avuto la possibilità di innervarsi nonostante la grande rilevanza dell'iniziativa sotto il profilo culturale, artistico ed economico;
   dopo più di quattro anni tale struttura museale non è aperta al pubblico e quindi non solo non fruibile, ma le opere di grandissimo pregio artistico offerte da imprese d'eccellenza toscane come la Richard Ginori, la IVV, la Mital, la Ceramiche Bartoloni, la Coltellerie Berti, la Busatti, la Vetreria Mackingtosh, la AMA Artistici Marmi Apuani, la Grevi, la Ferro Battuto Biagiotti, solo per citarne alcune e da personalità illustri del mondo della cultura e dell'arte come ad esempio il tenore Andrea Bocelli, lo stilista Salvatore Ferragamo, la Scuola Normale superiore di Pisa, l'Accademia navale di Livorno, la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, l'università di Pisa, la Federazione italiana giuoco calcio ad oggi non si sa bene come e dove vengano custodite anche se pare siano depositate in pessime condizioni e senza alcuna garanzia di sicurezza, nella chiesa del paese di Sasso Pisano, aperta al culto. Alcune di tali opere sono addirittura poste all'aperto all'ingresso della chiesa;
   occorrerebbe verificare la congruità delle strutture e dei metodi e delle procedure di conservazione delle opere soprattutto in considerazione del valore culturale del progetto, a vocazione nazionale, e del pregio artistico delle opere donate –:
   se non ritenga opportuno acquisire elementi in merito al motivo della chiusura del Museo, anzi della mai avvenuta apertura dal giorno dell'inaugurazione a tutt'oggi. (4-09889)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame l'interrogante riscontra che l'11 giugno 2011 è stato inaugurato a Sasso Pisano, sotto il patrocinio della Presidenza del consiglio dei Ministri e di altre amministrazioni statali, il Museo delle Arti e dei Mestieri della Toscana «Gualerci Nicola» e chiede di sapere le motivazioni per le quali il museo, a distanza di quattro anni dall'inaugurazione, non sia mai stato aperto al pubblico, nonché se si ritenga opportuno verificare le congruità delle strutture e delle procedure di conservazione delle opere in esso raccolte, a salvaguardia del valore culturale del progetto.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  Riguardo alla realizzazione del complesso museale denominato «Museo delle Arti e dei Mestieri della Toscana “Gualerci Nicola”» nel centro storico del borgo medievale di Sasso Pisano, nel comune di Castelnuovo Val di Cecina (PI), occorre innanzitutto sottolineare che il parere per la concessione del patrocinio da parte del Ministero per l'inaugurazione della raccolta museale fu espresso nel gennaio 2011 dall'allora Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici per la Toscana, che accolse favorevolmente la pregevole iniziativa dell'esposizione proprio in virtù del fine di raccogliere oggetti di uso quotidiano e attrezzi di vari mestieri quale testimonianza e documentazione di arti e mestieri e del passato artigianale nazionale, dal grande valore sociale ed educativo.
  Risulta poi che i lavori di ristrutturazione dell'edificio destinato ad accogliere la collezione si sono conclusi nel 2014; tuttavia l'amministrazione comunale – riferisce la competente Soprintendenza – non ha potuto passare alla successiva fase del progetto (allestimento museale) per il blocco dell'acquisto degli arredi, disposto dalle nonne in materia di spesa degli enti locali (cosiddetta «spending review»).
  Successivamente, nel corso del 2015, il comune ha stipulato una convenzione con l'associazione culturale «la Fumarola» (con contestuale richiesta di finanziamento inoltrata al «Gal-Etruria») per assegnare ad essa gli spazi inizialmente previsti per il museo; l'associazione ha quindi allestito in alcune delle stanze una mostra didattica di argomento mineralogico.
  Pare comunque intenzione del comune, di non proseguire nell'originario progetto museale e di destinare gli spazi ad accogliere gli oggetti etruschi provenienti dal vicino scavo dell'area archeologica del Bagnone.
  Secondo quanto riferito dal comune, alla competente Soprintendenza, gli oggetti inizialmente destinati all'esposizione si trovano tuttora, almeno in gran parte, chiusi in scatole e quindi non risulta che vi sia pericolo di degrado da parte degli agenti atmosferici, quantomeno nel breve periodo.
  Tuttavia sarà cura del Ministero effettuare quanto prima, in maniera congiunta con i funzionari della Soprintendenza architettonica e paesaggistica per le province di Pisa e Livorno e con quelli della Soprintendenza archeologica per la Toscana, una verifica dell'attuale stato di conservazione delle opere sottoposte a vincolo culturale.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta da notizie stampa riportate dalla Gazzetta del Sud del 22 giugno scorso che in località Santa Lucia alcuni immobili, in pessime condizioni e con rischio di cedimenti strutturali, presenterebbero coperture in eternit;
   ormai da qualche tempo si è diffusa la conoscenza del «rischio amianto». L'attenzione del mondo scientifico si è concentrata sulle caratteristiche di questo materiale, nonché sulle metodiche per l'individuazione e l'eliminazione dei rischi e dei danni dallo stesso provocati negli ambienti di vita e di lavoro alla salute delle persone e dei lavoratori;
   l'amianto è stato utilizzato, in passato, in modo massiccio per le sue ottime proprietà tecnologiche e per la sua economicità;
   ma con il passare del tempo e con gli approfondimenti tecnici il suo utilizzo si è rivelato nocivo per la salute dell'uomo, data la capacità del materiale stesso di rilasciare fibre potenzialmente inalabili, che provocherebbero gravi ed irreversibili patologie prevalentemente all'apparato respiratorio, malattie che si manifestano anche dopo molti anni dall'esposizione;
   oggi né è vietata la sua applicazione e, se utilizzato come componente in alcuni prodotti, deve essere dichiarato apponendo le apposite etichette previste dalla normativa vigente;
   per queste ragioni la legislazione ha da tempo disposto non solo la cessazione della produzione e della commercializzazione di qualsiasi materiale contenente fibre di amianto, ma ha anche dettato le regole per le cosiddette bonifiche;
   ad oggi non risultano però ancora avviati gli interventi previsti dalla conferenza di servizi di Santa Lucia e lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nello scorso luglio ha riscontrato essere in notevole ritardo;
   i frammenti sprigionati dagli immobili risultano essere resistenti e molto piccoli, meno di mezzo millimetro di diametro, tanto da poter essere facilmente inalati con conseguenze gravissime per i cittadini che risiedono vicino a tali insediamenti a che sarebbero tutt'ora esposti al rischio di contrarre gravi malattie;
   è stato accertato che la vicinanza ad aree in cui persiste l'amianto può dare luogo all'insorgenza di gravissime malattie come il mesotelioma che colpisce la pleura, il peritoneo e il pericardio e l'asbestosi che colpisce direttamente i polmoni –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alle problematiche insorte – a seguito del mancato avvio del procedimento di bonifica – visto che la salute di ogni cittadino è un diritto tutelato dalla nostra Costituzione all'articolo 32 e che questo diritto comprende anche il diritto alla salubrità e sicurezza di ogni ambiente lavorativo. (4-05259)

  Risposta. — In merito alle problematiche ambientali relative alla presenza di edifici pericolanti con copertura in eternit nel comune di Santa Lucia del Mela (Messina) si rappresenta quanto segue.
  Il sito segnalato risulta non presente nella banca dati sui siti con presenza di amianto, predisposta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sulla base dei dati trasmessi dalle regioni. Infatti, nell'ultimo aggiornamento dei dati per la mappatura dell'amianto inviato dalla regione Sicilia (dati 2013, confermati nel 2014), non è compreso alcun sito all'interno del territorio comunale di Santa Lucia del Mela.
  Si rammenta, a tal proposito, che a partire dal mese di giugno 2015, i dati relativi all'amianto sono stati pubblicati (
open data) sul sito del Ministero dell'Ambiente e sono consultabili al seguente link: http://www.bonifiche.miniambiente.it/piano_amianto.html. Pertanto, la competente direzione generale del mio Dicastero, chiederà alla regione Sicilia di effettuare le dovute verifiche sul sito segnalato con presenza di amianto.
  Il decreto ministeriale n. 101 del 18 marzo 2003 attribuisce alle regioni, che si avvalgono degli organismi locali di salvaguardia della salute e dell'ambiente (ARPA e ASL), la competenza per l'individuazione sul territorio di situazioni di rischio collegate alla presenza di amianto.
  I cittadini hanno la facoltà di segnalare con qualsiasi mezzo la presenza di amianto sul territorio e gli organismi preposti sono, quindi, tenuti a svolgere le verifiche del caso.
  Si rappresenta inoltre, che, al fine di definire le somme da destinare al rifinanziamento del piano nazionale amianto, reso possibile dalla legge; 27 dicembre 2013 n. 147 e in particolare dalla dotazione aggiuntiva del fondo per lo sviluppo e la coesione per il periodo 2014-2020, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota del 3 febbraio 2014 ha richiesto a tutte le regioni di definire la lista delle priorità in materia di bonifica da amianto.
  Attualmente, la gestione delle aree critiche derivanti dal censimento del piano nazionale amianto, in attesa del rifinanziamento del piano stesso, ricade nelle competenze regionali.
  Infine, si ricorda che, nel marzo 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario delegato per l'emergenza bonifiche e la tutela delle acque in Sicilia, la regione Siciliana, la provincia di Messina, il comune di Milazzo, il comune di Monforte San Giorgio, il comune di Pace del Mela, il Comune di San Filippo del Mela ed il comune di San Pier Niceto hanno stipulato una proroga dell'accordo di programma del 23 febbraio 2011, riguardante la definizione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese all'interno della perimetrazione del sito di bonifica di interesse nazionale «Area Industriale di Milazzo».

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1996 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 settembre 1996, n. 215, istituisce l'ente parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 «Legge quadro sulle aree protette»;
   l'ente parco ha personalità di diritto pubblico, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ne sono organi: il presidente, il consiglio direttivo, la giunta esecutiva, il collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73 «Regolamento recante riordino degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell'articolo 26, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» ha modificato la normativa in materia dettata dalla succitata legge quadro n. 394 del 1991 e ha ridotto il numero dei componenti del consiglio direttivo da dodici a otto (articolo 1, comma 1);
   l'articolo 1 dello statuto dell'ente parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena – secondo quanto disposto dall'articolo 9, comma 8-bis, e seguenti della legge n. 394 del 1991 – assegna alla comunità del parco un ruolo consultivo e propositivo ed attribuisce alla stessa il compito di deliberarne il piano pluriennale economico e sociale;
   la comunità del parco è a sua volta costituita da tre enti: la regione autonoma della Sardegna, la provincia di Olbia Tempio ed il comune di La Maddalena;
   ogni cinque anni, la RAS trasmette le nomine al Ministro interrogato per il decreto di nomina;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73, all'articolo 1, comma 1, primo capoverso, prevede che «il Consiglio Direttivo è formato dal Presidente e da otto componenti nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare entro 30 giorni dalla comunicazione della rispettiva designazione. Il Ministro procede alla nomina sentite le regioni interessate che si esprimono entro e non oltre 30 giorni dalla data della richiesta. Decorso inutilmente detto termine il Ministro procede egualmente alla nomina dei soggetti designati»;
   l'attuale presidente della regione Sardegna ha convocato la comunità del parco, composta da regione, provincia Olbia/Tempio e comune di La Maddalena, al fine di designare, di concerto, quattro nominativi;
   il comune di La Maddalena è interessato fra meno di due mesi alla prossima competizione elettorale amministrativa di maggio 2015;
   il sindaco uscente, quasi a scadenza di mandato, ha designato due componenti della comunità del parco in quota al proprio comune, quali il coniuge di un assessore ed il suo segretario particolare uscente, rischiando di non rispondere alle esigenze della propria collettività per i prossimi cinque anni a fronte del futuro risultato elettorale di maggio 2015;
   la legge 20 luglio 2004, n. 215, dispone norme sul conflitto di interessi che, pur non perseguendo l'intento vero e proprio di imporre l'incompatibilità delle cariche di governo con quella di parenti incardinati in qualsivoglia altra carica politica, ha avuto lo scopo, come si legge sin dal primo disegno di legge (A.C. 1707, XIV legislatura), di far prevalere, sotto il profilo etico, il munus publicum su qualsiasi altra ipotesi di conflitto rilevante, così da impedire che sul responsabile svolgimento dell'attività di Governo possa pesare il sospetto di un esercizio non imparziale;
   nella stessa disposizione è previsto che sussista un conflitto di interessi qualora il titolare di cariche governative partecipi alla formazione di un atto o ometta un atto dovuto che abbia un'incidenza specifica e preferenziale sul patrimonio non solo del titolare, ma anche del coniuge o dei parenti entro il secondo grado, ovvero delle imprese o società da essi controllate, secondo quanto previsto dall'articolo 7 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (articolo 3), conflitto che vale allo stesso modo anche quando si assumano atti o comportamenti aventi per oggetto o per effetto quello di costituire o mantenere una posizione dominante in favore dei medesimi familiari e delle loro imprese e società (articolo 4, comma 3);
   è fin troppo evidente che per analogia e comparazione di diritto la nomina del coniuge di un esponente di un esecutivo comunale a far parte di un ente (in questo caso l'ente parco) di cui lo stesso comune è soggetto costituente, di indirizzo e di controllo fa emergere a giudizio dell'interrogante vari profili di incompatibilità familiare, più recentemente messi a punto, laddove è stata riconosciuta e regolata la situazione della «convivenza», accanto a quella, ormai sufficientemente consolidata, del coniugio, della parentela e dell'affinità (che, peraltro, non si spinge mai oltre al quarto grado e, quindi, al cugino dell'interessato o del coniuge del medesimo) –:
   se non ritenga di dover sottoporre ad attenta valutazione, prima di qualsiasi fase decretativa finale, le nomine proposte al fine di evitare casi palesi ed evidenti di incompatibilità quantomeno familiare, considerata l'indicazione di persone attigue e incardinate alle dirette dipendenze funzionali del sindaco;
   se non ritenga di dover soprassedere alla ratifica delle nomine per consentire alla futura amministrazione di La Maddalena di poter svolgere a pieno titolo il ruolo di indirizzo verso l'ente parco senza pregiudicare tale funzione con nomine di fine mandato che appaiono all'interrogante dubbie sul piano della legittimità e gravi su quello morale, etico e politico;
   se non ritenga corretto e doveroso rinviare il decreto di nomina della comunità del parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena, a conclusione della consultazione elettorale al fine di consentire alla comunità del parco di designare i componenti del parco, in relazione alle proprie quote, al fine di individuare i componenti effettivamente rappresentativi della comunità di La Maddalena per i prossimi cinque anni. (4-08423)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  A seguito del parere favorevole pervenuto dalla regione Sardegna in ordine alle designazioni sottoposte ai fini della nomina del consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale dell'Arcipelago de La Maddalena non avendone ritenuto ulteriormente rinviabile la ricostituzione, il suddetto organo dell'Ente parco è stato ricostituito in data 27 maggio 2015, n. 98, con decreto a mia firma.
  Lo stesso, allo stato, è nel pieno espletamento delle proprie funzioni.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   POLVERINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   presso la IV Commissione Difesa sono in discussione diversi progetti di legge inerenti la riforma della rappresentanza militare e/o il riconoscimento dei diritti sindacali ai lavoratori militari;
   nella prima fase dei lavori parlamentari sono già stati auditi i Co.Ce.R. delle quattro Forze armate e della Guardia di finanza unitamente ad una delegazione dei Co.I.R. confluenti;
   concluso il primo ciclo di audizioni sono stati presentati ulteriori progetti di legge e la Commissione ha ritenuto opportuno audire anche professori di diritto internazionale per valutare l'impatto sull'ordinamento italiano delle recenti sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo che hanno imposto alla Francia di adeguare la propria legislazione rimuovendo il divieto di associazione professionale per i militari;
   tutti i progetti di legge presentati sono all'attenzione delle rappresentanze militari per il parere previsto ai sensi dell'articolo 1478 del decreto legislativo n. 66 del 2010 e dell'articolo 879 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010;
   il 4 febbraio 2015 il Co.I.R. affiancato al comando delle forze terrestri dell'esercito italiano ha deliberato di esprimere parere favorevole alle sole proposte di legge che riconoscono il diritto di associazione ed i diritti sindacali al personale militare;
   in data 26 febbraio 2015 il comandante del comando forze terrestri generale A. Alberto Primicerj non ha autorizzato la pubblicazione della delibera in argomento in quanto la stessa «non è aderente al dettato normativo ed esula dalle competenze di codesto Consiglio (articolo 1478 del decreto legislativo n. 66 del 2010);
   a parere dell'interrogante il diniego alla pubblicazione della delibera in rassegna non risulta giustificato dalla normativa richiamata (articolo 1478 del decreto legislativo n. 66 del 2010), tanto, che proprio in forza della medesima disposizione normativa, le rappresentanze militari sano state adite in Commissione ed hanno deliberato in materia –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di rimuovere l'ingiustificato diniego in parola e favorire la libertà di espressione e di pensiero della rappresentanza militare. (4-08704)

  Risposta. — Desidero evidenziare che l'attività dei Consigli intermedi di rappresentanza (Coir) delle Forze armate – diversamente dal Consiglio centrale di rappresentanza (Cocer) al quale sono riconosciute anche competenze in materia di pareri e proposte che formano oggetto di norme legislative o regolamentari (articolo 1478, comma 5 del decreto legislativo n. 66 del 2010 recante il codice dell'ordinamento militare) – è rivolta, ai sensi dell'articolo 895, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 recante il testo unico dell'ordinamento militare, alle problematiche di competenza della rappresentanza che possono essere risolte dall'alto comando corrispondente.
  Il successivo comma 3 del citato articolo 895 stabilisce, altresì, che i Coir possono individuare e trattare problemi relativi a materie di competenza della rappresentanza che, per natura o vastità del campo di interesse, meritano di essere portati all'attenzione del Cocer.
  Ciò detto, sebbene con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, la decisione di non pubblicare la delibera n. 4/2015 del Coir del Comando delle forze terrestri (Comfoter) sia stata adottata attribuendo particolare (e probabilmente eccessiva) prevalenza al comma 1 del citato articolo 895, che come accennato circoscrive l'attività dell'organo di rappresentanza alla trattazione di problematiche risolvibili dall'alto comando di riferimento rispetto al successivo comma 3 che, invece, consente al Coir di individuare materie di competenza del Cocer da portare necessariamente all'attenzione di quel livello rappresentativo, soggiungo in via sostanziale che, pur in assenza della pubblicazione negli albi dei comandi interessati, i contenuti della citata delibera sono stati, comunque, portati a conoscenza degli organi della rappresentanza militare, sia di base che centrale, per il tramite della cosiddetta «linea della rappresentanza militare».
  Considerato che il Cocer Esercito ha comunque ricevuto la citata delibera 4/2015 del Coir di Comfoter al fine di poter effettuare gli eventuali approfondimenti che a tale livello competono, non posso assumere che sia stata concretamente limitata la capacità di espressione dei delegati, né la libertà di pensiero, tutelate fin dalla istituzione della rappresentanza militare in quanto espressione di fondamentali garanzie.
  Ad ogni buon conto, ho fatto segnalare la necessità di una lettura complessiva dei contenuti del citato articolo 895 che ben salvaguardi il comma 3 pur tenuto conto del comma 1.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Alberto Mastrogiuseppe, Michela Caresani, Daniele Buresta e la ragazza belga Vana Chris Vanpuyvelde risultano dispersi al largo dell'isola di Sangalaki, a est del Borneo in Indonesia dal 15 Agosto;
   il gruppo, che si era affidato al tour operator Derawan Ocean Dive che ha organizzato l'escursione e l'immersione al largo dell'isola, era composto anche da altri due italiani che hanno praticato snorkeling e quindi non hanno seguito gli altri durante l'immersione;
   l'allarme è stato dato dal conducente del motoscafo che in precedenza aveva portato il gruppo nei pressi dell'isola poiché, all'ora concordata, i quattro partecipanti all'immersione non erano tornati in superficie;
   le ricerche hanno presto portato al ritrovamento della sola guida, di nome Oslan, che afferma di essere riemerso con tutto il gruppo ma che le correnti in superficie erano così forti che si sono ritrovati lontanissimi dalla posizione iniziale e per questo motivo ha lasciato l'attrezzatura e ha nuotato, da solo, in cerca del motoscafo;
   secondo le procedure standard, ogni sub avrebbe dovuto avere un palloncino che ne segnalasse la presenza una volta riemerso e quindi non un unico palloncino come in questa occasione;
   non coinciderebbero neppure gli orari perché la guida avrebbe detto di essere riemerso alle ore 15 col gruppo, di essere stato coi ragazzi un'ora e di essere andato poi a cercare aiuto, venendo ritrovato dopo due ore ma risulta che fossero le 17 quando è stato tratto in salvo;
   inoltre il motoscafo, infrangendo le normali procedure, non ha seguito i ragazzi durante l'immersione e la guida, che ha avuto difficoltà a indicare le coordinate del punto d'immersione, afferma di aver perso il computer da polso, rendendo impossibile così il recupero di preziosi dati sull'immersione;
   infine, secondo le informazioni ottenute sul posto dalla sorella di Alberto Mastrogiuseppe, Claudia Mastrogiuseppe, la Derawan Ocean Dive e la guida Oslan non sono in possesso della relativa licenza per operare;
   nonostante gli sforzi delle famiglie e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che collabora giornalmente con le autorità indonesiane e ha inviato in loco un proprio funzionario a seguire le operazioni, le pur tempestive e prolungate ricerche effettuate con imbarcazioni, elicotteri e successivamente anche con sommozzatori, sono terminate il 25 Agosto senza produrre alcun risultato –:
   quali iniziative intenda avviare il Governo per rafforzare l'interlocuzione e la collaborazione con le autorità indonesiane, a partire dall'ottenimento e traduzione del verbale della polizia dell'Indonesia, affinché si giunga quanto prima, alla luce delle suddette informazioni, a un chiarimento circa le dinamiche dell'accaduto e l'individuazione di eventuali responsabili;
   se ci sia la possibilità di riprendere le ricerche in modo mirato data la mancanza di prove tangibili sulle sorti dei quattro dispersi. (4-10406)

  Risposta. — La Farnesina, tramite l'ambasciata d'Italia a Giacarta, ha seguito la vicenda dei connazionali Daniele Buresta, Michela Caresani e Alberto Mastrogiuseppe sin dal primo momento con la massima determinazione, mantenendo costanti contatti con i familiari e compiendo numerosi passi presso le autorità indonesiane per intensificare e prolungare le ricerche.
  Non appena si è avuta notizia della scomparsa dei nostri connazionali, la nostra ambasciata ha sensibilizzato le autorità locali, che hanno immediatamente avviato le operazioni di ricerca. Nello stesso tempo, l'ambasciatore Failla ha compiuto dei passi presso il governatore del Kalimantan, ovvero la regione dove sono scomparsi i sub, il Ministero della difesa indonesiano e i responsabili della locale protezione civile, ottenendo tra l'altro l'invio di un elicottero militare attrezzato per il recupero in mare, così da rafforzare le squadre di soccorso.
  Su nostra richiesta le autorità indonesiane hanno ulteriormente potenziato i mezzi di ricerca, con l'utilizzo di numerose navi ed imbarcazioni, e persino la popolazione locale, con i propri pescherecci, ha raccolto il nostro appello a contribuire alle ricerche. La nostra presenza nella regione è stata successivamente rafforzata con l'invio di un funzionario diplomatico della nostra ambasciata e di un interprete sull'isola di Derawan per monitorare da vicino la situazione e fornire il sostegno e l'assistenza necessarie alla signora Baffè, divenuta punto di contatto delle famiglie
in loco. L'ambasciata ha inoltre messo in contatto le famiglie con una compagnia di aviazione privata, attraverso cui è stato messo a disposizione, a loro carico, un ulteriore elicottero che si è mosso in stretto coordinamento con i soccorritori.
  Dopo una settimana di ricerche, su richiesta della Farnesina, le autorità locali hanno eccezionalmente prolungato di qualche giorno la durata delle operazioni e il direttore delle operazioni della protezione civile ha voluto recarsi
in loco per monitorare la situazione in prima persona. In seguito, la nostra Rappresentanza diplomatica ha comunque chiesto il sostegno della protezione civile indonesiana per la prosecuzione delle ricerche delle famiglie in forma privata.
  Per quanto riguarda le indagini in corso, l'ambasciata a Giacarta ha richiesto in più occasioni, attraverso canali informali e formali, la consegna del
report della polizia indonesiana, l'unica autorità titolata a condurre operazioni investigative e ad accertare eventuali responsabilità penali per quanto accaduto. Tale richiesta è stata reiterata da ultimo venerdì 25 settembre 2015 nel corso di un incontro fra il nostro ambasciatore a Giacarta e il direttore operativo della protezione civile indonesiana. Da parte delle autorità locali è stato assicurato che il resoconto delle operazioni di ricerca e soccorso è in fase di finalizzazione e che potrebbe essere consegnato a breve.
  La Farnesina e l'ambasciata d'Italia a Giacarta continueranno a rimanere in stretto contatto con le autorità locali, affinché si possa giungere il prima possibile a un chiarimento sulle dinamiche dell'accaduto.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   SIMONE VALENTE, MANTERO e BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il piano territoriale di coordinamento paesistico della regione Liguria (dcr n. 6/90) classifica l'area del porto di Santa Margherita come area urbana di «mantenimento» e prescrive di evitare che vadano perdute quelle testimonianze dell'assetto preesistente che contribuiscono a determinare la qualità ambientale della struttura urbana attuale;
   il suddetto porto è sottoposto a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004, con decreto ministeriale 11 giugno 1954 che ne protegge, oltre alle vedute panoramiche, la ricca vegetazione arborea e le singolarità geologiche, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale;
   come confermato dalla stessa recente variante di aggiornamento al piano territoriale di coordinamento paesistico della COSTA, approvata con Dgr n. 936 del 29 luglio 2011, il porto di Santa Margherita Ligure è tuttora classificato quale «porto rifugio» che deve «garantire l'accessibilità in sicurezza in ogni condizione di mare»;
   il piano della costa vigente, approvato nel dicembre 2000, prevede una sistemazione del porto con un limitato allungamento della diga esistente funzionale alle opere di difesa a mare;
   nel 2009, la Santa Benessere e Social spa, riconducibile tra gli altri a Gabriele Volpi, propose all'Amministrazione di Santa Margherita Ligure un progetto di riqualificazione del porto della città;
   nel settembre 2011, i concessionari operanti nel porto di Santa Margherita, non convinti del progetto di Volpi, si costituiscono in un ATI denominata porto Cavour;
   in cambio del progetto, le società chiedono una concessione demaniale cinquantennale;
   in definitiva, la Santa Benessere & Social spa chiede 179.288 metri quadrati (di cui 145.209 di specchio acqueo e 33.079 di aree terra); 180.219 i metri quadrati invece per l'ATI Porto Cavour (di cui 156.832 di specchio acqueo e 23.387 di aree a terra);
   va segnalata la risposta scritta dell'allora Ministro per i beni e le attività culturali, Giancarlo Galan, pubblicata mercoledì 3 agosto 2011 nell'allegato B della seduta della Camera dei deputati n. 512, all'interrogazione n. 4-11156 presentata lunedì 7 marzo 2011, seduta n. 444, dagli onorevoli Elisabetta Zamparutti, Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta Farina Coscioni, Matteo Mecacci e Maurizio Turco, relativa al progetto di ampliamento del porto di Santa Margherita Ligure. Dal testo si legge: «La competente Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria ha evidenziato la contrarietà dell'ufficio ad ogni intervento di trasformazione dello storico porto di Santa Margherita Ligure. Va, altresì, segnalato che non più di due anni fa la stessa Soprintendenza aveva reso parere negativo su di un altro progetto, che prevedeva un maggiore prolungamento del molo di sopraflutto e la formazione di un altro molo, ad esso perpendicolare leggermente emergente e la realizzazione di diversi pontili. Già allora si era avuto modo di evidenziare come l'intervento avrebbe chiuso ed intasato lo specchio acqueo originale che da sempre caratterizza lo storico porto rifugio di Santa Margherita. Si era riscontrato, infatti, che oltre a venire stravolta la conformazione tipica di un porto da sempre connotato al ricovero delle imbarcazioni di passaggio, privandolo quindi della sua configurazione storica, si sarebbero alterate e danneggiate le visuali panoramiche che si percepiscono dai numerosi punti di belvedere pubblici oggetto dei decreti ministeriali con cui il territorio è stato sottoposto a tutela paesaggistica ex lege n. 1497 del 1939, oggi decreto legislativo n. 42 del 2004, parte III. Pertanto, pur non avendo ancora reso alcun parere su di un progetto definitivo, si ribadisce fermamente l'intenzione e la volontà di mantenere intatta ed inalterata la conformazione storica del porto e, dunque, di evitare la modifica di quegli elementi che rendono unica nel suo genere la costa del Tigullio»;
   a detta dell'associazione «Tuteliamo Santa» i progetti presentati sono una copia pressoché identica dei progetti già rigettati in passato, con, anzi, un incremento dei metri cubi di cemento sulla spiaggia e nel retroporto;
   nel maggio 2012 si riunisce la conferenza dei servizi, che boccia di fatto i due progetti, almeno nella loro versione originale, richiedendone però l'adeguamento al PUC e al Piano della costa regionale –:
   se il Ministro, sentiti gli uffici distaccati sul territorio, ritenga che i due progetti siano in contrasto con il decreto legislativo n. 42 del 2004. (4-08131)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento a due progetti riguardanti l'ampliamento e la riqualificazione dell'area del porto di Santa Margherita Ligure, chiede se non si ritenga che detti progetti siano in contrasto con il decreto legislativo n. 42 del 2004.
  L'area del porto di Santa Margherita Ligure è stata sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497 con decreto ministeriale dell'11 giugno 1954; è inoltre sottoposta alle disposizioni del Piano territoriale di coordinamento paesistico della regione Liguria (delibera del Consiglio regionale n. 6 del 25 febbraio 1990) e della variante di aggiornamento del piano territoriale di coordinamento della costa (delibera della Giunta regionale n. 936 del 29 luglio 2011).
  Tra la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Liguria (di seguito Direzione regionale) e la regione Liguria, il 30 luglio 2007, è stato stipulato un accordo, ai sensi dell'articolo 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 dicembre 2005, che prevede per l'area la presentazione della relazione paesaggistica non semplificata.
  Nel 2012, la direzione regionale aveva espresso il parere circa l'opportunità di sottoporre a valutazione ambientale strategica (vas) il progetto preliminare del piano urbanistico del comune di Santa Margherita Ligure, in considerazione dei potenziali significativi impatti diretti e indiretti che il piano avrebbe potuto avere sul patrimonio culturale, al fine di garantire un elevato livello di protezione dell'ambiente tutelato compreso nel territorio comunale di Santa Margherita.
  Nell'ambito del procedimento di valutazione ambientale strategica successivamente avviato dalla regione Liguria, nel febbraio 2014, la medesima direzione regionale, sulla base dei pareri endoprocedimentali rilasciati dalle soprintendenze competenti, in data 3 aprile 2014 con nota n. 3017, esprimeva il proprio parere evidenziando la notevole valenza paesaggistica del porto e precisando che ogni eventuale modifica avrebbe dovuto essere valutata nell'ambito dell'autorizzazione paesaggistica sul progetto di riordino dell'ambito portuale, dettando, altresì, una serie di prescrizioni relative sia ad aspetti di tutela monumentale che di tutela paesaggistica e archeologica.
  Relativamente alle proposte progettuali cui si riferisce l'interrogazione in esame, la Soprintendenza belle arti e paesaggio della Liguria (di seguito Soprintendenza bap) non ha ancora espresso alcun parere di merito sulla scelta dei due progetti presentati ma è intervenuta alle conferenze di servizi solo a titolo collaborativo, precisando che avrebbe espresso il parere di competenza sul progetto definitivo completo di tutta la documentazione necessaria.
  La stessa Soprintendenza bap, sempre a titolo collaborativo, ha fornito un proprio contributo istruttorio al comitato tecnico regionale avviato dalla regione Liguria per la valutazione dei due progetti presentati. In tale documento, pur non configurandosi come parere definitivo, sono state evidenziate criticità riscontrate in entrambe le soluzioni progettuali.
  La Soprintendenza bap, infatti, sebbene fosse difficoltosa «una coerente valutazione dell'impatto paesaggistico delle diverse proposte, in ragione della disponibilità unicamente di elaborati di massima e/o preliminari, la cui definizione risulta pertanto inadeguata a valutare l'impatto delle opere sul pregiato contesto paesaggistico del porto rifugio di Santa Margherita Ligure», ha ritenuto che le soluzioni proposte «non affrontano in modo coerente le tematiche dell'inserimento nel paesaggio delle nuove strutture o dotazioni in progetto, traducendosi in opere che appaiono capaci di snaturare in modo rilevante le particolari connotazioni dell'area interessata» (nota n. 6235 del 3 marzo 2015).
  Con successiva nota n. 14533 dell'8 giugno 2015, la Soprintendenza bap ha comunicato che la conferenza di servizi in sede deliberante, tenutasi in data 29 aprile 2015, viste le delibere del consiglio comunale di Santa Margherita Ligure e della Giunta regionale, ha ammesso il progetto della società Santa Benessere & Social spa, escludendo quello della Simes Tigullio e che quest'ultima ha presentato ricorso contro il comune di Santa Margherita Ligure e nei confronti dell'altra società, della regione Liguria, della Soprintendenza bap e della soprintendenza archeologia della Liguria, per l'annullamento del procedimento
ex articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 509 del 29 dicembre 1997, relativo alla richiesta di concessione demaniale marittima presentata da entrambe le società richiedenti.
  La Soprintendenza bap, stante il rilevante interesse del contesto portuale di Santa Margherita Ligure, si riserva di esaminare la soluzione prescelta dalla conferenza dei servizi, che dovrà essere predisposta ad un livello progettuale definitivo, completa di tutta la documentazione necessaria ad un'attenta valutazione.
  Per quanto riguarda l'aspetto della tutela archeologica, la direzione generale archeologia, sulla base di quanto riferito dalla competente Soprintendenza archeologia della Liguria, ha comunicato che nel comune di Santa Margherita Ligure non sono presenti siti dichiarati di interesse archeologico, ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio) e che la Soprintendenza archeologia, per emettere il parere di merito, sottoporrà i progetti di interventi nell'area del porto alla valutazione inerente le attività di archeologia preventiva, in conseguenza delle risultanze desunte dalla Carta del rischio archeologico (articoli 95 e 96 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), ad integrazione della progettazione preliminare che il comune di Santa Margherita Ligure sta attualmente elaborando.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1996 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 settembre 1996, n. 215, istituisce l'ente parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, «Legge quadro sulle aree protette»;
   l'ente parco ha personalità di diritto pubblico, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ne sono organi: il presidente, il consiglio direttivo, la giunta esecutiva, il collegio dei revisori dei conti e la comunità del parco;
   il decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 73, «Regolamento recante riordino degli enti vigilati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a norma dell'articolo 26, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» ha modificato la normativa in materia dettata dalla succitata legge quadro n. 394 del 1991 e ha ridotto il numero dei componenti del consiglio direttivo da dodici a otto (articolo 1, comma 1);
   l'articolo 1 dello statuto dell'ente parco nazionale dell'arcipelago di La Maddalena – secondo quanto disposto dall'articolo 9, comma 8-bis e seguenti della legge n. 394 1991 – assegna alla comunità del parco un ruolo consultivo e propositivo ed attribuisce alla stessa il compito di deliberarne il piano pluriennale economico e sociale;
   la comunità del Parco è a sua volta costituita da tre enti: la regione autonoma della Sardegna, la provincia di Olbia Tempio ed il comune di La Maddalena;
   ogni cinque anni, la RAS nomina i quattro componenti della comunità del Parco (uno in quota alla stessa regione, uno in quota alla provincia di Olbia Tempio e due in quota al comune di La Maddalena) e li trasmette al Ministro in interrogato per la ratifica del decreto di nomina;
   in seguito alle consultazioni per l'elezione del presidente della regione e del consiglio regionale della Sardegna del 16 febbraio 2014, l'attuale giunta regionale non ha confermato i quattro componenti della comunità del parco nominati dalla precedente giunta, poiché ritenuti interpreti non coerenti della progettualità del nuovo governo regionale ed ha conseguentemente provveduto a designarne altri quattro, secondo le quote sopra richiamate;
   il comune di La Maddalena è tra i 169 comuni sardi interessati alla prossima tornata elettorale amministrativa di maggio 2015. Il sindaco uscente, nonostante l'imminenza della scadenza del proprio mandato, ha ritenuto in questi giorni di procedere alla designazione dei due componenti della comunità del parco in quota al comune stesso, rischiando in tal modo di alterare per i prossimi cinque anni la rappresentanza della comunità maddalenina e di non rispettare la volontà popolare che emergerà dalle consultazioni di maggio;
   se la regola della coerenza progettuale dei componenti designati è stata ritenuta importante e virtuosa in occasione del cambio di governo regionale, non si comprende perché non dovrebbe essere adottata in modo ancora più rigoroso in occasione del rinnovo dell'amministrazione comunale di La Maddalena, anche in considerazione del ruolo strategico che l'ente parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena riveste nella complessiva azione di sviluppo economico dell'isola, attraverso un'attività di promozione turistica e di salvaguardia ambientale che dovrebbe rispondere unicamente alle esigenze della collettività e del territorio di riferimento, nel rispetto della volontà popolare –:
   se non ritenga istituzionalmente corretto, oltre che politicamente opportuno, di attendere l'espletamento delle prossime elezioni amministrative di maggio 2015 prima di procedere alla ratifica del decreto di nomina della comunità del parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, in modo tale che, secondo quanto disposto dalla normativa nazionale richiamata in premessa e, in particolare, dall'articolo 9, comma 4, della legge quadro n. 394 del 1991 come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 73 del 2013, la comunità locale sia legittimamente rappresentata dai due componenti in quota all'amministrazione comunale che si insedierà dopo le elezioni di maggio. (4-08365)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta quanto segue.
  A seguito del parere favorevole pervenuto dalla regione Sardegna in ordine alle designazioni sottoposte ai fini della nomina del consiglio direttivo dell'Ente parco nazionale dell'arcipelago de La Maddalena, non avendone ritenuto ulteriormente rinviabile la ricostituzione, il suddetto organo dell'Ente parco è stato ricostituito in data 27 maggio 2015, n. 98, con decreto a mia firma.
  Lo stesso, allo stato, è nel pieno espletamento delle proprie funzioni.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, ARTINI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e SEGONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 7 agosto 2013 il quotidiano on line «Huffington Post.it» pubblicava un articolo dal quale si veniva a conoscenza che: «La flotta di elicotteri delle nostre forze armate è a rischio contaminazione: innumerevoli modelli attualmente in dotazione a Esercito, Marina, Aviazione e Carabinieri sarebbero in pratica scatole volanti piene di amianto». E questa situazione andrebbe avanti da oltre quindici anni, nel silenzio più assoluto delle autorità. E ciò che si scopre leggendo una recentissima quanto conflittuale corrispondenza fra il Ministero della salute e l'azienda che li ha fabbricati, l'Agusta Westland. In tale carteggio, è la stessa azienda a definire gli apparecchi «inquinati». Come noto, l'Huffington Post ha potuto analizzare questa corrispondenza – adesso in mano ai magistrati delle procure militari di Roma e Napoli – grazie alla segnalazione del Partito per la tutela dei diritti dei militari. Da tale documentazione risulta evidente, come già dopo il 1992 (anno della legge che bandisce l'impiego dell'amianto), la controllata di Finmeccanica avesse debitamente, e dettagliatamente, provveduto a informare la Difesa su quali e quanti modelli di velivoli da loro prodotti contenessero asbesto, in quali e quante parti delle rispettive carlinghe. Si legge, infatti, in proposito, che nella lettera del 6 giugno 2013 inviata dall'Agusta Westland al Segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti «Sin dal 1996 abbiamo trasmesso l'elenco di tutti i materiali “pericolosi” presenti sui nostri elicotteri», ossia quanto scritto nella loro lettera del 6 giugno 2013 inviata dall'Agusta Westland al segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti, a dimostrazione del fatto che il Ministero semplicemente non poteva non sapere;
   dall'articolo si apprendeva, inoltre, che il Ministero della difesa, pur essendo a conoscenza della gravissima situazione, non avrebbe mai provveduto alla bonifica degli elicotteri contenenti amianto, né tantomeno avrebbe informato (circostanza gravissima) gli equipaggi dei notevoli rischi cui erano giornalmente sottoposti durante l'orario di lavoro, violando in tal modo, quanto stabilito dagli articoli 32 e 117 della Costituzione;
   la legge n. 257 del 1992, anticipando quanto sostenuto dalla recente direttiva 2009/148/CE detta le norme per la messa al bando di tutti i prodotti contenenti amianto, vietandone l'estrazione, l'importazione, la commercializzazione nonché la produzione di amianto e di prodotti che lo contengono, secondo un preciso programma di dismissione che definisce i criteri per il finanziamento delle imprese interessate alla riconversione produttiva e per i benefici previdenziali a favore dei lavoratori occupati nella produzione dell'amianto;
   con la legge n. 271 del 1993 venivano estesi tali benefici a tutti i lavoratori professionalmente esposti ad amianto. Il legislatore, tuttavia, non si limitava a prescrivere la cessazione dell'impiego dell'amianto ma metteva in evidenza alcuni problemi considerati particolarmente rilevanti ai fini della tutela della salute pubblica, connessi alla presenza nell'ambiente di prodotti di amianto liberamente commercializzati ed installati in precedenza;
   il decreto legislativo n. 81 del 2008, ovvero il testo unico sulla salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, prevede delle forme di tutela dei lavoratori nei vari ambienti di attività, dai diversi agenti chimici cui possono venire in contatto. Tra questi, viene considerato anche l'amianto. In particolare, l'articolo 254 del decreto, stabilisce che il valore limite di esposizione all'amianto deve essere pari a 0,1 fibre per centimetro cubo di aria, misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore, ponendo a carico dei datori di lavoro il controllo, affinché nessun lavoratore sia esposto ad una contaminazione di amianto nell'aria, che superi il valore limite. Il datore di lavoro, conseguentemente, (ex articolo 249 valore limite) è tenuto a valutare i rischi dovuti alla polvere proveniente dall'amianto e dai materiali che lo contengono, al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive da attuare, affinché non venga superato il prescritto valore limite di esposizione, di cui al predetto articolo 254. Ai fini del rispetto di questo valore limite, il datore di lavoro ha, altresì, l'obbligo di effettuare periodicamente la misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell'aria del luogo di lavoro (ex articolo 253 controllo dell'esposizione). I campionamenti che vengono effettuati a tale fine devono avvenire sempre previa consultazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti;
   nel quarto rapporto Registro nazionale mesoteliomi del 2012, ovvero il sistema di sorveglianza epidemiologica istituito ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 308 del 2002, redatto dal settore ricerca dipartimento di medicina del lavoro dell'Inail veniva affermato che: «Fra gli agenti cancerogeni, l'amianto si caratterizza per una serie di fattori di particolare pericolosità, legati alle quantità del materiale usato, in una gamma assai ampia di attività industriali, al numero di lavoratori esposti, alle ricadute in termini di matrici ambientali contaminate, con conseguenze di rischi per la salute non solo negli ambienti di lavoro. La legge che nel 1992 ha bandito l'impiego dell'amianto ha posto l'Italia tra le nazioni che hanno condotto una politica di contrasto, di controllo e di prevenzione dei rischi specifici. Restano, tuttavia, ancora aperte le questioni della bonifica e del risanamento ambientale, della sorveglianza epidemiologica e sanitaria per la prevenzione primaria e secondaria, della tutela dei soggetti ammalati»;
   inoltre, sempre nel documento sopracitato venivano riportate compiutamente delle percentuali inerenti ai casi di mesotelioma maligno riscontrati in alcuni lavoratori e più specificatamente tra coloro prestanti attività di servizio nella Cantieristica navale, la percentuale risulta essere del 9,6 per cento nei trasporti terrestri ed aerei del 6,3 per cento, nella portualità e trasporto marittimo del 5,5 per cento ed infine nella difesa militare del 2,6 per cento. Nel quarto rapporto si evince anche che per quanto riguarda gli elicotteri militari: «Risulta che la scatola del rotore può essere coibentata con amianto e durante le manutenzioni programmate (ogni 30 ore di volo) debba essere smontata e revisionata. È segnalato inoltre la presenza di pannellature in amianto inserite nei pianali»;
   il Ministro della difesa in risposta ad un'interrogazione a risposta in Commissione (Artini e altri n. 5-00945) in cui si sollevava il problema qui riportato ovvero quello relativo alla presenza di amianto a bordo degli elicotteri Augusta Westland rispondeva che: «l'impegno finalizzato a garantire che il personale non venisse sottoposto ad esposizioni all'amianto oltre il prescritto valore limite, non si è limitato soltanto ai componenti degli elicotteri, ma ha riguardato, fin dalla sua messa al bando, tutti i mezzi e tutte le strutture delle Forze armate»; ma anche che: «non è realistica, tuttavia, la prospettiva di una rimozione integrale della presenza di amianto, che, peraltro, possiamo trovare ancora in grandi quantità anche nelle fabbriche, negli edifici privati e pubblici e nell'ambiente» –:
   quali misure il Ministro della difesa abbia assunto a tutela dell'ambiente e del diritto alla salute del personale civile e militare della difesa sia nella loro attività operativa che manutentiva, in relazione alla necessità di predisporre aggiuntive azioni e misure di protezione per il personale della difesa così come annunciato dal Ministro competente il 20 ottobre 2013;
   se risulti, ai ministri interrogati per le rispettive competenze, che per le attività lavorative che comportano per i lavoratori, un'esposizione da amianto, sia stato redatto un documento di valutazione dei rischi al fine di stabilire la natura e il grado dell'esposizione e le misure preventive e protettive da attuare nonché il controllo dell'esposizione ai sensi del combinato disposto degli articoli 249 e 254 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 recante «Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro» ed in relazione all'osservanza delle linee guida ministeriali per il corretto smaltimento dell'amianto e dei materiali e rifiuti contenenti amianto. (4-06147)

  Risposta. — In piena e scrupolosa ottemperanza delle previsioni normative vigenti, l'Amministrazione ha sviluppato un complesso di attività volte all'individuazione dei materiali e della componentistica contenenti tracce di amianto e alla loro rimozione, all'adozione di tutte le più efficaci misure di prevenzione per il personale eventualmente esposto e al sostegno e all'attribuzione dei benefici previdenziali e assistenziali previsti a favore del personale e dei rispettivi familiari.
  A conferma ulteriore della sensibilità del Dicastero in materia, il 2 febbraio 2015 è stato sottoscritto dalla Difesa e dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) un accordo per individuare e pianificare adeguati e incisivi interventi operativi nella specifica materia, potendo, così, avvalersi anche della esperienza e delle professionalità dell'Istituto.
  In particolare, si osserva che il mesotelioma, una delle più gravi patologie asbesto-correlate, impiega un periodo che oscilla tra i 25 e i 45 anni per sviluppare una massa tumorale di entità tale da consentirne l'individuazione.
  Considerato che l'amianto è stato utilizzato in diversi settori dell'industria – compresa la cantieristica navale civile e militare – almeno fino alla metà degli anni ottanta, i casi di neoformazioni ad oggi registrati sono riconducibili al periodo antecedente la conoscenza della nocività per la salute dell'uomo di tale minerale, il cui utilizzo è stato vietato solo con l'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992 recante le «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto».
  Prima di quella data, il suo impiego era addirittura prescritto obbligatoriamente, anche da varie convenzioni internazionali, come l’
International Labour Organization, in materia di tutela dei lavoratori e la Safety Of Life At Sea (SOLAS 74), in materia di sicurezza della navigazione, le quali prevedevano l'utilizzo dell'amianto per i vestiti degli operatori delle squadre antincendio o per la coibentazione dei quadri elettrici.
  L'esposizione professionale ad amianto è stata oggetto di numerosi provvedimenti legislativi; attualmente, la norma di riferimento è rappresentata dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 «Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro», che ha recepito le direttive comunitarie in materia (direttiva 2003/18/CE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 marzo 2003.
  Nello specifico, tra le «misure» avviate a «tutela dell'ambiente e del diritto alla salute del personale civile e militare della difesa», nel confermare quanto indicato in sede di risposta all'atto 5-00945, cui fa riferimento l'interrogante nell'atto di sindacato ispettivo in esame, si segnala che:
   l'Esercito ha intrapreso un'attività per accertare la presenza di amianto all'interno dei veicoli in dotazione, dalla quale è emerso che i veicoli di recente introduzione (dopo il 1992) risultano privi di amianto. I veicoli logistici costruiti prima dell'entrata in vigore della legge n. 257 del 1992 e ancora in servizio sono stati completamente bonificati. Per altre tipologie di veicoli o di armamenti, introdotti in servizio prima del 1992, la Forza armata ha provveduto alla bonifica o, comunque, alla stipula di appositi contratti per la rimozione, da parte di ditte specializzate e autorizzate, della componentistica contenente amianto;
   la Marina militare (già attivatasi quando, nel 1986, l'allora Ministero della sanità emanò la prima circolare che vietava l'utilizzo dell'amianto nelle scuole e negli ospedali), non ha più impiegato materiali contenenti amianto e, dal 1992, tutte le unità navali sono state costruite e messe in servizio con la certificazione «amianto
free» da parte del cantiere costruttore. Già a partire dagli anni ’90, la Forza armata ha provveduto alla bonifica delle unità navali entrate in servizio prima del 1992 e ad effettuare la mappatura e la messa in sicurezza di tutti i materiali contenenti amianto. Tali attività, effettuate con appositi contratti stipulati, anche in questo caso, con ditte specializzate del settore, vengono completate con la rimozione definitiva dei materiali contenenti amianto, quando le unità navali si fermano per le periodiche soste manutentive. Eventuali componenti con presenza di amianto, ancora presenti a bordo, sono stati confinati e messi in sicurezza e vengono sottoposti, da parte di personale qualificato, a verifiche e controlli periodici in attesa della loro rimozione;
   l'Aeronautica militare ha dettato le norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto e, a seguito delle informazioni pervenute dalle ditte costruttrici, ha potuto consolidare il quadro relativo alla possibile ubicazione dell'amianto negli aeromobili che, in estrema sintesi, si può ricondurre ad alcuni componenti o assiemi. Anche in questo caso è stata avviata sin dal 1992 la sostituzione delle parti contenenti amianto mediante prescrizioni tecniche dedicate. Tale attività è proseguita negli anni, eliminando le possibili contaminazioni da amianto e il relativo impatto per tutte le linee di aeromobili ad eccezione di alcune, per le quali la sostituzione dei materiali contenenti amianto è tuttora in corso sulla base delle indicazioni tecniche più recentemente fornite dalle ditte costruttrici.

  Nell'ambito della più generale e complessa attività di monitoraggio/bonifica, nel 2012 è stata anche espletata, da parte degli organi esecutivi del genio di singola Forza armata, l'attività di mappatura dei propri immobili per individuare quelli contenenti amianto, redigendo gli elenchi degli interventi tecnici necessari.
  Per tali esigenze è stata elaborata una programmazione triennale scorrevole per il triennio 2013-2015 e per il successivo 2015-2017, attestata sul pertinente capitolo di spesa appositamente previsto per avviare tutte le attività inerenti alla bonifica ambientale nel senso più lato del termine.
  Per quanto concerne il «documento di valutazione dei rischi», nel più generale obbligo di valutazione dei rischi imposto dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 81 del 2008, il datore di lavoro effettua, per tutti i propri dipendenti e anche per eventuali soggetti esterni comunque coinvolti, la valutazione del rischio amianto che può svilupparsi in più fasi e avvenire anche nel corso delle stesse lavorazioni.
  In relazione alle condizioni che si presentano agli operatori, questi vengono istruiti per affrontare tutte le diverse situazioni operative che possono presentarsi e per le quali devono conoscere le adeguate misure di prevenzione e di protezione.
  Si sottolinea che tale tipo di valutazione e, in particolare, quella dei rischi derivanti dalla presenza di fibre di amianto, rientra quale normale prassi operativa in tutte le attività che svolge l'Amministrazione e viene effettuata anche attraverso esami di laboratorio eseguiti da organismi tecnici delle Forze armate e da ditte qualificate.

La Ministra della difesaRoberta Pinotti.