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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 522 di lunedì 16 novembre 2015

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI

  La seduta comincia alle 15,30.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta.
  Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

  RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 9 novembre 2015.

  PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Bellanova, Bernardo, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bruno Bossio, Caparini, Casero, Castiglione, Cirielli, Costa, D'Alia, Dambruoso, De Lorenzis, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Liuzzi, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Gianluca Pini, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sani, Scalfarotto, Scotto, Sorial, Tabacci, Valeria Valente, Velo e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente settantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione (A.C. 3393-A) (ore 15,35).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3393-A: Conversione in legge del decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione.
  Ricordo che nella seduta del 10 novembre 2015 sono state respinte le questioni pregiudiziali Frusone ed altri n. 1 e Scotto ed altri n. 2.

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(Discussione sulle linee generali – A.C. 3393-A)

  PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
  Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
  Avverto, altresì, che le Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
  Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la III Commissione (Affari esteri), l'onorevole Andrea Romano.

  ANDREA ROMANO, Relatore per la maggioranza per la III Commissione. Grazie, Presidente.
  Presidente, colleghi deputati, proprio oggi, il 16 novembre 2015, ci troviamo ad iniziare la discussione generale sul provvedimento legislativo che consentirà all'Italia di continuare ad essere presente, con le proprie Forze armate e di polizia e con gli altri strumenti della propria iniziativa internazionale e di cooperazione, su tanti difficili scenari del pianeta.
  E proprio oggi, per una coincidenza che aggiunge peso e responsabilità alla nostra discussione, il Parlamento italiano si riunisce per la prima volta dopo i terribili fatti di Parigi dello scorso venerdì. Dopo l'attacco barbaro e vile che ha colpito tanti civili indifesi, per la maggior parte giovani e giovanissimi, sorpresi dalla violenza mentre trascorrevano una serata normale in una delle capitali simbolo del nostro continente. Civili di tante nazionalità diverse e di tante religioni diverse, colpiti da un attacco che ha inteso minacciare la nostra sicurezza e le nostre libertà: un attacco che si rivolge con gli strumenti del terrore contro l'Europa e contro il nostro essere una comunità di donne e di uomini liberi che condividono culture, religioni, storia e futuro.
  È stato questo un atto di barbarie che ha troncato anche la vita di una giovane italiana, Valeria Solesin, il cui nome vogliamo ricordare proprio alla riapertura dei lavori della Camera dei deputati. Una cittadina dell'Italia e dell'Europa – come è stato detto – nel cui percorso di vita troppo breve troviamo tante delle ragioni e dei valori che dobbiamo riaffermare e difendere di fronte alla minaccia del terrore: l'amore per la conoscenza, la scelta del volontariato come strumento di formazione civile, la capacità di varcare i confini per migliorare e migliorarsi, la ricerca della condivisione di culture e contesti nazionali diversi.
  È quindi giusto e anche inevitabile che, nella nostra discussione di oggi, si guardi anche ai fatti di Parigi e alla necessità di riaffermare (e se necessario adeguare, con le modifiche che si renderanno opportune) gli strumenti della presenza delle Forze armate e di polizia italiane nel mondo.
  Già da questo pomeriggio, come sappiamo, dopo le comunicazioni del Governo, questo Parlamento discuterà più ampiamente della sfida che gli attentati di Parigi pongono alla nostra democrazia e alla comunità internazionale di cui facciamo parte.
  Ma già con la discussione di questo provvedimento il Parlamento può dimostrare di essere all'altezza dei tempi che viviamo, mostrandosi capace quindi di maturità, unità e responsabilità sui grandi temi della sicurezza nazionale e internazionale, al di là della insopprimibile esigenza del confronto politico e della naturale diversità di visione tra i nostri schieramenti. Perché è solo con maturità, unità e responsabilità che la politica può trovare le risposte più efficaci ad una minaccia che viene da una piccola minoranza del mondo islamico, animata però da spirito totalitario e armata della volontà di scatenare la guerra fin dentro le nostre case, ma che è rivolta contro le ragioni di fondo delle nostre comunità civili, culturali e politiche.
  Queste risposte non possono essere dettate dall'isteria o, peggio ancora, dalla tentazione di incassare piccoli e temporanei tornaconti elettorali, ma devono guardare all'interesse nazionale italiano ed Pag. 3europeo, e dunque alla fondamentale esigenza di essere efficaci senza perdere i tratti della giustizia e del diritto su cui si fondano le nostre democrazie. D'altra parte, è in questo stesso spirito di unità, responsabilità e autentica collaborazione tra parti politiche diverse che le Commissioni Affari esteri e Difesa hanno già lavorato su questo provvedimento in sede referente, approvando, per esempio, due importanti emendamenti che erano stati richiesti dalle opposizioni e ascoltando, con ampia partecipazione dei deputati, due audizioni proposte dalle opposizioni e condivise da entrambe le Commissioni.
  Lo stesso spirito, ne sono sicuro, sarà osservato da oggi nella nostra discussione plenaria, riaffermando, quindi, il senso e la lettera dell'articolo 11 della nostra Carta costituzionale, nel quale, mentre si «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli», si riafferma che l'Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni» e «promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
  È nel nome della pace e della giustizia, e della necessità di contribuire attivamente a garantirle e a difenderle, che questo provvedimento di cui discutiamo oggi è stato emanato, mentre è in via di approvazione, al Senato, la nuova normativa quadro sulle missioni internazionali, già approvata dalla Camera dei deputati. E, in questo stesso spirito, il provvedimento prevede il finanziamento di un'ampia serie di iniziative di cooperazione e di sostegno ai processi di ricostruzione, nonché a misure di sostegno alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione.
  Di fronte alla gravissima crisi in corso nel Medio e Vicino Oriente, che sta conducendo al crollo di Stati e di equilibri geopolitici pluridecennali, di fronte alle nuove sfide epocali rappresentate dalle grandi masse di migranti, questo provvedimento rispecchia la nuova consapevolezza della proiezione internazionale del nostro Paese e la nuova complessità richiesta all'impegno politico-militare dell'Italia nel mondo: non si tratta più, infatti, di consolidare il nostro ruolo e il nostro rango negli equilibri internazionali in quanto Stato appartenente al G8 o come Paese membro dell’inner circle dell'Alleanza atlantica e dell'Unione europea, ma, più estesamente, di partecipare con il massimo impegno e con la massima credibilità allo sforzo della comunità internazionale per stabilizzare e pacificare aree del pianeta in preda a fenomeni nuovi, che arrivano ad avere ripercussioni violente e minacciose ben all'interno dei nostri confini nazionali, come abbiamo visto.
  In questo senso, il decreto-legge riflette pienamente la posizione assunta dal Governo italiano di fronte al vastissimo movimento migratorio in corso verso l'Europa. La ricerca, quindi, della solidarietà europea è stata lunga e difficile, e, proprio in questi giorni, si vede quanto essa rimanga fragile di fronte a spinte nazionalistiche ben presenti in alcuni Stati europei. Ed è sempre più chiara, tra l'altro, l'esigenza di intervenire in modo più efficace nei Paesi di origine dei profughi e nei confronti dei criminali che speculano su queste tragedie.
  Le misure previste dal decreto-legge mirano a consolidare il patrimonio di credibilità e di apertura al dialogo che stiamo accumulando, ad esempio, in Libia, dove possiamo ben dire di essere stati lungimiranti nel non concedere alcuno spazio alle dinamiche della narrativa «islamici contro secolari», favorendo, al contrario, una fattiva partecipazione delle componenti islamiste più propense al dialogo e alla soluzione dell'intricata vicenda politica e militare. La diplomazia italiana ha cercato, al tempo stesso, di placare l'eccessiva animosità di alcune tra le voci più irruenti della compagine di Tobruk, coinvolgendo in questo processo i Paesi della sfera regionale e, soprattutto, quelli più direttamente interessati dalle dinamiche di crisi, come la Tunisia, l'Egitto e l'Algeria.
  Proprio in questa prospettiva, il decreto-legge amplia, sia pure limitatamente Pag. 4all'ultimo trimestre di quest'anno, lo stanziamento destinato ad iniziative di cooperazione volte a migliorare le condizioni di vita della popolazione e dei rifugiati e a sostenere la ricostruzione civile in teatri di crisi come Afghanistan, Etiopia, Repubblica Centrafricana, Iraq, Libia, Mali, Niger, Myanmar, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Yemen e anche, in relazione all'assistenza dei rifugiati, dei Paesi a questi limitrofi.
  Nello specifico, in Afghanistan saranno realizzate iniziative per dar seguito agli impegni di mantenimento del livello di cooperazione allo sviluppo assunti dall'Italia nelle conferenze internazionali di Bonn, Tokyo e Londra, così come si darà priorità geografica alla regione occidentale, e in particolare alla provincia di Herat.
  D'altra parte è proprio in Afghanistan, come sappiamo, che la comunità internazionale sta giocando una partita fondamentale per contenere l'espansione di Daesh, che ha scelto quell'area per provare ad estendere la propria influenza, i propri strumenti di finanziamento e i propri mezzi di reclutamento. Ed è proprio in Afghanistan che l'Italia è chiamata a svolgere una funzione ancora più importante nel sostegno ai processi di pacificazione e di inclusione sociale e culturale, ivi compreso il fondamentale settore dell’empowerment femminile, insieme alla funzione di addestramento delle forze di sicurezza.
  È bene dirselo con estrema chiarezza: lo scenario afghano presenta a tutta la comunità internazionale e all'Italia i tratti di una minaccia nuova e non quelli della prosecuzione di una storia già nota. Una minaccia nuova, in costante evoluzione, dinanzi alla quale non dobbiamo e non possiamo escludere la necessità di ricorrere ad un salto di qualità nella dimensione del nostro impegno politico-militare. E proprio nella consapevolezza della centralità dell'Afghanistan in questa crisi – come è stato ricordato dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Gentiloni, di fronte alle Commissioni Affari esteri e Difesa lo scorso 10 novembre – l'Italia ha predisposto, accanto allo strumento militare, una dimensione di intervento civile del valore di 820 milioni di euro in tredici anni.
  Per quanto riguarda l'Iraq, nel corso dell'ultimo trimestre del 2015 verrà proseguita e rafforzata l'azione a sostegno della risposta alla crisi conseguente al conflitto scatenato da Daesh e all'esodo di sfollati in altre regioni del Paese, soprattutto in un'ottica di sostegno alla stabilizzazione e al rientro degli sfollati nelle aree gradualmente liberate da Daesh. Si intende quindi sostenere lo strumento messo a punto dalle Nazioni Unite di concerto con il Governo iracheno, ossia la Funding Facility for Immediate Stabilization gestita dall'UNDP.
  Sul piano bilaterale verranno finanziati interventi nel settore sanitario e del capacity building nel Kurdistan iracheno, avvalendosi dell'apporto di università e cooperazione decentrata italiana, per il rafforzamento delle istituzioni locali e della loro capacità di pianificazione e risposta alle esigenze della popolazione sfollata e di quella ospitante, in particolare, ma non esclusivamente, in ambito sanitario. Verrà inoltre proseguita l'azione di tutela del patrimonio culturale iracheno, imprescindibile fattore identitario di convivenza multietnica e multireligiosa, attraverso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in risposta alle devastazioni già realizzate da Daesh al patrimonio culturale di quel Paese e allo spettacolo di sapore e senso totalitario di distruzione della memoria storica e monumentale che quella organizzazione terroristica ha offerto al mondo intero.
  Per la Siria e i Paesi limitrofi, il provvedimento prevede la prosecuzione di una serie di interventi nell'ambito della piattaforma tematica «Agricoltura e sicurezza alimentare», di cui l'Italia è capofila.
  In Libia si intende utilizzare una parte delle risorse per garantire il contributo italiano agli sforzi di stabilizzazione, in considerazione dei recenti sviluppi politici e della possibile firma, da parte delle varie fazioni in lotta, di un accordo di pace e di riconciliazione proposto dall'ONU. L'Italia Pag. 5intende prendere parte all'esercizio di programmazione congiunta dell'Unione europea che verrà prossimamente avviato, nell'ambito del quale saranno definiti i settori e le azioni principali su cui si intenderà intervenire in Libia, con particolare riferimento, per quanto riguarda le azioni di ripresa iniziale e sviluppo, a quanto attiene ai settori sanitario, della sicurezza alimentare e dell'agricoltura. In Libia, inoltre, potrà essere destinato circa un terzo delle risorse assegnate al settore dell'emergenza per l'ultimo trimestre del 2015 per finanziare programmi di aiuto umanitario sul canale multilaterale, soprattutto nel settore della protezione delle categorie più vulnerabili della popolazione, affidandone l'esecuzione ad agenzie delle Nazioni Unite, all'OIM o al Comitato internazionale della Croce Rossa.
  Proprio queste misure – e mi avvio alla conclusione – testimoniano, Presidente, la centralità del multilateralismo che caratterizza la proiezione internazionale del nostro Paese e che caratterizza anche questo decreto-legge, ovvero ribadire le ragioni della ricerca di un framework multilaterale efficace, nel quale collocare l'intervento nazionale, ovvero quello che qualifica la nostra azione di politica estera. E acquista un valore peculiare questo tratto proprio oggi in un contesto internazionale caratterizzato da profondi e drammatici mutamenti geopolitici e strategici.
  È proprio da questo punto di vista, infine, che voglio ricordare il successo dell'iniziativa che l'Italia ha assunto in sede Unesco per la realizzazione dei cosiddetti caschi blu della cultura, un modello di impegno internazionale a tutto campo, che accanto agli strumenti della forza e della sicurezza è capace di rappresentare concretamente il tema della difesa del patrimonio culturale dell'umanità, come aspetto fondamentale delle missioni di pace e di stabilizzazione, come peraltro è stato recentemente riaffermato dal Presidente del Consiglio Renzi di fronte all'Assemblea delle Nazioni Unite.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza per la IV Commissione (Difesa), onorevole Causin.

  ANDREA CAUSIN, Relatore per la maggioranza per la IV Commissione. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali in cui sono impegnate le nostre Forze armate è apparentemente un atto amministrativo, una scelta di bilancio volta a prorogare alcuni impegni che il nostro Paese ha assunto in sede internazionale. Tuttavia, sappiamo che, almeno per due ragioni, non è così. In primo luogo perché l'assenza di una normativa quadro, che ci auguriamo trovi compimento presto, nell'arco della corrente legislatura, ci obbliga a procedere attraverso la modalità del decreto di rifinanziamento. In secondo luogo soprattutto perché i drammatici avvenimenti che hanno sconvolto Parigi il 13 novembre scorso rammentano a questo Parlamento, in modo urgente e inequivocabile, la ragione dell'impegno di tanti militari italiani negli scenari più delicati e difficili del pianeta.
  Gli attentati di venerdì scorso hanno violato l'integrità e la sicurezza della Francia, del popolo francese e anche dell'Europa e non c’è dubbio che, di fronte a tanto orrore, non si possa più parlare solo di misure di prevenzione. Siamo di fronte a un atto unilaterale di guerra, una guerra che sicuramente l'Italia non vuole, che non ha cercato, una guerra che ripudia secondo i principi morali della nostra Costituzione, ma con la quale, nostro malgrado, siamo e saremo sempre di più chiamati a confrontarci.
  Il livello di attenzione dei Paesi che partecipano alla coalizione internazionale di contrasto all'ISIS è altissimo. La cooperazione tra servizi, polizie e forze di sicurezza consente oggi di raccogliere e vagliare un numero altissimo di situazioni e di informazioni e sappiamo che in Francia, soprattutto dopo l'attentato di Charlie Hebdo, queste misure erano stringenti. Tuttavia, in 33 minuti, diversi commando hanno colpito sette punti diversi della città con tecniche di guerra, in modo Pag. 6brutale e preciso, scegliendo appositamente luoghi non simbolici, colpendo, invece, la vita quotidiana delle persone. Potevano scegliere chiese, infrastrutture, comandi di polizia oppure un'ambasciata, invece, hanno colpito un bar, hanno colpito dei ristoranti, una sala da concerti, lo stadio e probabilmente un aereo su una rotta turistica, un paio di settimane fa, in Egitto: luoghi di vita abitati da gente normale. Sicuramente è un salto di qualità nella tecnica del terrore, perché ciò che fa più paura è essere colpiti nella propria quotidianità.
  C’è da chiedersi come tutto questo sia potuto accadere. Un attacco su vasta scala come quello di Parigi è stato preparato per tempo, sicuramente, e coordinato, necessita di approvvigionamenti di armi, di munizioni, di esplosivi e di mezzi di trasporto e di un coinvolgimento di un vastissimo numero di miliziani. È possibile che nelle settimane precedenti i servizi francesi non abbiano avuto nessun sentore di ciò che stava per capitare ? Siamo di fronte all'incapacità del sistema di sicurezza francese oppure siamo di fronte ad un salto di qualità della macchina del terrore ? Io sono più propenso a considerare la seconda ipotesi, ovvero che la capacità logistica e tecnologica, congiunta alla preparazione militare, consenta in questo momento all'ISIS di farsi beffa dei nostri servizi di prevenzione.
  In Italia siamo consapevoli del fatto che c’è una grande esperienza di antiterrorismo: venticinque anni di guerra sul fronte interno contro le Brigate Rosse e la criminalità organizzata hanno sicuramente consentito di rafforzare il nostro apparato di sicurezza. Servizi, Polizia, Forze dell'ordine ed Esercito hanno saputo, in questi anni, prevenire molti eventi drammatici. Questo lo sappiamo con certezza. Ma siamo sicuri che basti la vigilanza interna per metterci al riparo dal rischio che quello che è capitato a Parigi possa ripetersi anche in una delle nostre città ? Io sono convinto di no.
  Mai come in questo momento l'impegno dei militari italiani è stato di fondamentale importanza per la sicurezza nazionale. Il lavoro che stanno svolgendo nelle missioni di stabilizzazione, come quelle in Afghanistan, in Libano e nei Balcani, che sono quelle che vedono il maggior numero di personale impegnato, oppure in quelle del Mare arabo, dell'Oceano indiano e del Mediterraneo, dove quotidianamente si contrasta la pirateria e l'immondo traffico di esseri umani, ha contribuito e contribuisce alla nostra sicurezza nazionale, oltre che rappresentare un'opportunità per i Paesi in cui si interviene per uscire da situazioni di guerra, come nel caso dei Balcani, o da regimi che negavano ogni libertà e opportunità di sviluppo alle popolazioni locali, come in Afghanistan e in Iraq.
  Venendo al profilo legislativo del decreto, si tratta di un provvedimento di proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali, che reca una serie di disposizioni volte ad assicurare la partecipazione del personale delle Forze armate e di polizia alle missioni all'estero, relativamente al periodo tra il 1o ottobre 2015 e il 31 dicembre 2015, nonché la prosecuzione degli interventi di cooperazione allo sviluppo.
  Congiuntamente il decreto disciplina i profili normativi, giuridici, amministrativi e contabili connessi alle missioni e al personale militare e civile che vi prende parte. Come è noto all'Aula, in tema di partecipazione delle nostre Forze Armate e di polizia alle missioni internazionali si interviene ad oggi con lo strumento del decreto-legge poiché manca nella vigente Costituzione e negli strumenti legislativi in essere la disciplina che ne prevede l'impiego. Mi è d'obbligo ricordare che la Camera dei deputati di recente ha approvato la legge-quadro sulle missioni internazionali ed è auspicabile che la rapida e definitiva approvazione da parte del Senato della Repubblica e la lettura finale della Camera possano consentire, anche in virtù della complessità del quadro internazionale, che questa sia per davvero l'ultima volta che si interviene attraverso un decreto-legge di proroga del finanziamento. Nello specifico è un mio obbligo relazionare all'Aula che il provvedimento Pag. 7in questione si compone di 12 articoli. Il Capo I è composto dei primi sette articoli e reca le autorizzazioni di spesa relative al periodo dal 1o ottobre 2015 fino al 31 dicembre 2015 in relazione alla proroga del finanziamento delle missioni e delle Forze armate e di polizia nonché le norme amministrative, contabili e previdenziali in materia penale.
  Il Capo II, composto dagli articoli 8 e 9, reca le disposizioni in materia di cooperazione allo sviluppo e processi di stabilizzazione. Infine il Capo III, composto dagli articoli 11 e 12, reca le disposizioni concernenti la copertura finanziaria. Oltre alle variazioni di carattere finanziario, legate alla proroga basata sui tre mesi anziché sui nove, desidero segnalare che per esigenze operative non risultano più finanziate per un minor costo complessivamente di 38.176.818 mila le seguenti missioni: la NATO Baltica air policing; la EUMM in Georgia; la EUBAM in Libia relativa al personale militare e alla Guardia di finanza; la missione dell'Unione europea in Repubblica Centrafricana e sempre rispetto al precedente decreto risultano, invece, inserite le missioni EUNAVFOR MED e EUPOL COPPS nei territori palestinesi.
  Venendo, dunque, al merito del decreto desidero soffermarmi sui primi tre articoli che definiscono le tre principali aree di intervento che offrono un quadro qualitativo e quantitativo dell'impegno dell'Italia nelle missioni internazionali. Relativamente al periodo in questione si prevede l'impiego complessivo di 4.798 unità di personale delle Forze armate e di polizia per un costo complessivo previsto intorno ai 301.170.000 euro. In Europa è previsto l'impiego di 1.887 unità di personale per un costo complessivo di 65.105.270 euro. Le due aree prioritarie di impegno in Europa sono i Balcani, dove le missioni dispiegate in Kosovo, Albania e Bosnia impiegano 619 militari, e le missioni navali nel Mediterraneo, che svolgono attualmente opera di pattugliamento, difesa dei confini, save e rescue dei natanti in difficoltà e contrasto al traffico di esseri umani, impegnando in queste missioni navali complessivamente 1.264 unità di personale.
  In Africa, che è la seconda area prioritaria di impegno, è previsto l'impiego di 696 unità di personale per un costo complessivo di 22.088.845 euro. Seicentosessantacinque militari sono impegnati nelle missioni in Somalia, nel Corno d'Africa, nell'Oceano indiano per contrastare la pirateria in un tratto di mare dove transita circa il 70 per cento del traffico marittimo e commerciale internazionale, inclusa una quota molto importante della Marina mercantile italiana. Trentuno unità di personale sono invece impegnate nella missione di stabilizzazione in Mali.
  L'Asia rimane l'area geografica di maggiore impegno con 2.842 unità di personale e un costo complessivo di 173.257.000 euro. Millecentoventicinque militari rimango impegnati in Libano nelle diverse missioni di stabilizzazione; 750 sono impegnati nella missione della coalizione internazionale antidaesh; 31 nelle missioni dislocate in Israele e Palestina; 102 tra Qatar e Bahrein in supporto logistico e operativo alle missioni dell'area asiatica. Desidero sottolineare che, contrariamente a quanto si era paventato, è invece previsto un impiego incrementale in Afghanistan con 834 unità di personale per le ragioni politiche ed operative che i Ministri Pinotti e Gentiloni hanno avuto modo ampiamente di illustrare nel corso delle audizioni in Commissione. È prevista inoltre una spesa di 40.798.000 euro in relazione alle esigenze di trasporto truppe e profili assicurativi e all'acquisto di servizi di informazione e sicurezza e potenziamento del dispositivo navale.
  Per ragioni di tempo non entro nel dettaglio delle singoli missioni, tuttavia nel corso del dibattito sia il relatore sia il Governo immagino saranno a disposizione per fornire ogni informazione necessaria su richiesta.
  L'esame del decreto-legge nelle Commissioni è avvenuto la settimana scorsa in modo spedito, nonostante la contrarietà manifestata inizialmente, in particolare dai gruppi di Sinistra Italiana – Sinistra Pag. 8Ecologia Libertà, e rispetto ad alcuni profili specifici dal MoVimento 5 Stelle. È prevalsa infatti la consapevolezza che sia preferibile in questo caso un esame celere, in considerazione del fatto che i 60 giorni di cui il Parlamento dispone per la conversione, che scadono il 29 dicembre, coincidono praticamente con il periodo di validità delle norme.
  Nel complesso sono state apportate modifiche lievissime, che riguardano solo l'elenco dei Paesi destinatari delle iniziative di cooperazione civile di cui all'articolo 8: a tale elenco sono stati aggiunti Nepal, Haiti ed Ucraina. Il Governo si è poi riservato di svolgere un approfondimento per l'Aula su due emendamenti dell'onorevole Artini, che prevedono un finanziamento maggiore per la missione di Hebron.
  Le Commissioni competenti in sede consultiva hanno espresso tutte parere favorevole, la Commissione affari costituzionali ha espresso parere favorevole con osservazioni, il Comitato per la legislazione ha posto una condizione; sia l'osservazione della I sia la condizione posta dal Comitato sono ed attengono a profili di correttezza sulla formulazione della norma, più che a profili di merito. Si tratta cioè di rilievi condivisibili e corretti, ma che non è stato possibile recepire nel breve tempo a disposizione. La Commissione bilancio si esprimerà invece per l'Aula.
  Mi avvio quindi a concludere. Il decreto-legge in questione testimonia ancora una volta che l'Italia, con professionalità ed orgoglio, è in prima linea nel mondo per difendere i valori della sicurezza: quella sicurezza senza la quale non è possibile alcuna forma di libertà personale. Ciò è maggiormente necessario oggi, che il quadro internazionale è diventato maggiormente instabile e imprevedibile, e si realizza attraverso l'impegno e la dedizione degli uomini e delle donne delle Forze armate e di polizia.
  Desidero infine ricordare la testimonianza e l'impegno delle persone che hanno perso la vita nelle missioni internazionali, e le vittime innocenti barbaramente trucidate a Parigi dai militanti dell'ISIS venerdì scorso. Mi sia consentito a questo riguardo un pensiero particolare rivolto ad una nostra connazionale, una mia concittadina, Valeria Solesin, che ha perduto tragicamente la vita nell'attentato del teatro Bataclan. Il nostro impegno per la sicurezza, anche per ricordare e per fare onore a queste persone, in particolare a Valeria Solesin, esiste proprio perché queste tragedie non debbano più accadere.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Intanto salutiamo studenti ed insegnanti della Scuola paritaria Sant'Onofrio di Rimini, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna (Applausi).
  Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la Commissione affari esteri, onorevole Emanuele Scagliusi.

  EMANUELE SCAGLIUSI, Relatore di minoranza per la III Commissione. Presidente, vorrei in premessa esprimere il cordoglio e la vicinanza da parte del gruppo del MoVimento 5 Stelle alle famiglie delle vittime degli attentati di Parigi e alla famiglia della nostra connazionale coinvolta negli attentati.
  Dopo i tragici fatti di Parigi, siamo qui a discutere sul disegno di legge di conversione dell'ennesimo decreto-legge di proroga delle missioni internazionali; mentre la stessa Francia, che ha subito gli attentati, sull'onda emotiva ha intensificato i bombardamenti in Siria, e gli esponenti di partiti di maggioranza ed opposizione sostengono la necessità dei bombardamenti stessi, pontificando su provvedimenti da prendere e sul dovere di reagire. Non a caso risuscitano in queste ore le sconsiderate frasi di Oriana Fallaci, grande sostenitrice delle guerre di George Bush, ormai riconosciute anche dagli americani per quello che in realtà furono: un cumulo di menzogne e di inefficienze che servì da innesco a molti degli attuali orrori del Medio Oriente.
  Vede Presidente, dell'ISIS e delle sue efferatezze sappiamo tutto da anni, non c’è nulla da scoprire. È un movimento terroristico che ha sfruttato le repressioni Pag. 9del dittatore siriano Bashar al-Assad per presentarsi sulla scena: armato, finanziato e organizzato dalle monarchie del Golfo, prima fra tutte l'Arabia Saudita, con la colpevole indifferenza di Europa e Stati Uniti. Quando l'ISIS ha espanso il suo perimetro operativo, e prima ancora di autoproclamare un califfato illegittimo, Washington e Riyad gli hanno lasciato mano libera in Siria nel tentativo di rovesciare il regime di Assad, in quella che numerosi analisi giustamente definiscono una «guerra per procura siriana».
  In questo scenario cosa ha fatto e cosa sta facendo la comunità occidentale ? Ha assistito senza battere ciglio di fronte alle ambiguità della Turchia nei confronti dell'ISIS, ha taciuto quando i Paesi del Golfo hanno posto il veto all'accoglienza di un solo rifugiato siriano, è rimasta silente quando – peggio ancora – all'Arabia Saudita è stato concesso di sedere alla guida del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.
  Nel frattempo l'ISIS ha continuato a diffondere orrore e macerie: ha abbattuto sul Sinai un aereo di turisti russi (224 morti), ha compiuto una strage in un mercato di Beirut, in Libano. E poi si è rivolto, di nuovo, contro la Francia. Quali passi intraprendere ora ? Sicuramente tagliare i canali tra l'ISIS e i suoi finanziatori: monarchie del Golfo in primis. Stop all'export di armi ai Paesi coinvolti in conflitti. E invece al contrario avete rifornito di armamenti il Medio Oriente, con l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti ai primi posti nell'importazione di armi. Solo l'altro giorno, Matteo Renzi, che come tutti ora parla di attacco all’ umanità, era in Arabia Saudita a celebrare gli appalti raccolti presso il regime islamico più integralista del mondo, legato a doppio filo con l’ ISIS e padre del salafismo.
  Per fermare l'avanzata dell'ISIS, sappiamo benissimo quello che bisogna fare e quali canali di finanziamento bisogna colpire. Il modo migliore di risolvere la questione non è certo quella di intervenire militarmente, altrimenti il problema terrorismo l'avremmo già risolto con le guerre che hanno seguito l'11 settembre, e che invece hanno solo generato lo scenario attuale. Sarebbe utile usare queste energie per avviare un processo di pacificazione in Medio Oriente e contemporaneamente un rafforzamento delle misure di sicurezza interne al nostro Paese, nell'ultimo decreto missioni c’è stato un inasprimento delle pene per i terroristi, senza tuttavia incrementare le risorse per aumentare i livelli di sicurezza interna. Cosa può cambiare aumentare gli anni di prigione per un estremista che è pronto a farsi saltare in aria da un momento all'altro ?
  Riteniamo sia utile fornire maggiori risorse e mezzi alle forze dell'ordine e militari che hanno il compito di vigilare sulla sicurezza interna al nostro Paese. Poiché ormai è cambiato lo scenario e l'Europa stessa è divenuta campo di battaglia. Nella legge di stabilità infatti chiediamo di aumentare i fondi all'intelligence di 20 milioni nei prossimi tre anni, proprio per prevenire eventuali attacchi.
  Una misura essenziale per rispondere ad organizzazioni terroristiche in continua evoluzione, sia tecnologica che di mezzi. Invece, la prima evidenza è che questo decreto appare vecchio e del tutto avulso dal contesto internazionale e dalle innumerevoli crisi e minacce alla pace che si sono palesate ulteriormente nell'ultimo periodo.
  Quale credibilità il Presidente del Consiglio pensa di avere nel consesso internazionale quando avanza la pur giusta proposta di «caschi blu della cultura» a tutela del patrimonio artistico e culturale minacciato dalle guerre e poi il suo stesso governo vende missili e bombe ai sauditi che li usano per distruggere città patrimonio dell'UNESCO ?
  E le parti di ricambio degli F16 che qui doniamo all'Egitto – altro paese che bombarda lo Yemen – è un investimento in sicurezza per il futuro o l'ennesimo boomerang che prima o poi si rivolgerà contro di noi ?
  Neanche in questa occasione abbiamo sentito dai ministri Gentiloni e Pinotti una severa autocritica degli errori fatti dall'Italia e dai suoi alleati in questi decenni. Siamo al fallimento conclamato di oltre un Pag. 10ventennio di interventismo militare «umanitario e democratico», come lo avete chiamato, che ha contribuito solo a destabilizzare queste aree strategiche da un punto di vista energetico pagate pesantemente dalle popolazioni civili.
  Altro che missioni di pace, la base fondante di questo decreto, ovvero delle missioni militari più importanti che hanno visto l'occidente e l'Italia impegnate si sono rivelate un tragico fallimento e le cui conseguenze pagheremo a lungo. Dentro questo quadro allarmante il testo del decreto pone di nuovo problemi sui quali è opportuno promuovere una riflessione approfondita. Innanzitutto, come è stato in altre occasioni sottolineato, va ricordata la mancanza, ancora una volta, di una legge quadro che disciplini la partecipazione dei contingenti italiani alle missioni internazionali di pace in maniera organica, generale e coerente, al fine di evitare le gravissime disfunzioni e, incongruenze che, ancora una volta, andiamo a riscontrare in un provvedimento di questo tipo. Attualmente, peraltro, la discussione risulta avviata presso l'Aula del Senato della Repubblica – dopo che il testo è già stato approvato dalla Camera – ma i cui lavori stanno procedendo con grande fatica non essendo, evidentemente, materia in cima alle priorità politiche della maggioranza, che ha provveduto, in Commissione, a modificare in peggio il testo alterandone il già precario equilibrio politico trovato in prima lettura.
  Nel decennio 2004-2014 il costo complessivo per l'Italia delle missioni internazionali militari è stato già di 12 miliardi e 731 milioni. Hanno portato la pace ? Siamo più sicuri oggi ? O piuttosto quelle guerre non hanno fatto che alimentare a dismisura i bacini di odio ? Per esempio con questo decreto non ci ritiriamo affatto dall'Afghanistan, per la cui occupazione abbiamo speso, dal 12 novembre 2001 al 31 dicembre 2014, 5 miliardi e 749 milioni. Infatti, per la Resolute Support Mission (una missione «no combat») verranno dispiegate altre 204 unità (per un totale di 834), che guarda caso corrisponde più o meno al contingente militare spagnolo che invece lo ha ritirato, su espressa richiesta del Presidente americano. Va ricordato che per tale missione, subentrata, dal 1o gennaio 2015, alla missione ISAF chiusa il 31 dicembre 2014, sono già stati stanziati oltre 300 milioni per tutto il 2015. Per quanto riguarda le disposizioni invece previste dall'articolo 8, relative alla cooperazione allo sviluppo e ai processi di ricostruzione civile e al miglioramento delle condizioni di vita dei rifugiati, va sottolineata, come sempre, la sproporzione tra l'entità delle risorse finanziarie destinate alle missioni militari e di quelle finalizzate alla cooperazione allo sviluppo prendendo atto del fatto, purtroppo, che la situazione non è mutata. Peraltro, in sede di esame nelle Commissioni riunite, sono stati accolti due emendamenti del MoVimento 5 Stelle che estendono la platea dei Paesi beneficiari degli aiuti di cooperazione con l'inserimento di altri tre Paesi: Nepal, Haiti e Ucraina. Tuttavia, la copertura di 38.500.000 di euro comincia a farsi corta e quindi sollecitiamo il Governo a provvedere magari ad un aumento di questi fondi. Sempre relativamente alla cooperazione, segnaliamo che dalla relazione tecnica non si evince la suddivisione dei fondi per i vari progetti di cooperazione, quindi manca una trasparenza per capire come questi 38 milioni vengono realmente poi utilizzati. Esprimiamo perplessità perché nell'articolo 8, al comma 1, si conferiscono il 50 per cento dei fondi per l'Afghanistan direttamente al bilancio del Governo afgano, uno dei Governi più corrotti al mondo e che non ha il controllo della regione e di conseguenza non ci fornisce nessuna garanzia su come questi fondi vengano utilizzati. La nota positiva è il finanziamento dei campi profughi e rifugiati ai confini della Siria, ma sempre nell'articolo 8 si stanziano fondi per lo IAMB di Bari, per un progetto di cooperazione in Siria. Abbiamo contattato la stessa sede di Bari, ma ci hanno detto che il progetto è interrotto a causa delle ostilità in Siria: quindi ci chiediamo, questi soldi dove vanno ? Concludo, Presidente, esprimendo una considerazione generale Pag. 11sulla parte relativa alla cooperazione, dove magari servirebbe più trasparenza già a partire magari da questo decreto.

  PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la IV Commissione, onorevole Frusone.

  LUCA FRUSONE, Relatore di minoranza per la IV Commissione. Signor Presidente, ancora una volta siamo chiamati a discutere della partecipazione dei nostri militari in missioni all'estero, questa volta però tutto è tristemente accompagnato dai fatti di sangue di Parigi e dinanzi a tutto ciò non possiamo tutti che esprimere semplicemente cordoglio per tutte le vittime di questi giorni. Non ho intenzione di andare oltre la relazione di questo testo, in questi giorni troppe parole vuote, troppe urla violente e troppa superficialità hanno già tinto questo tema ed è ora di tornare sui fatti, sugli atti e lasciare agli altri le sterili polemiche. Questo decreto comporta una spesa per soli tre mesi di 354 milioni di euro che, sommati alle spese dei mesi precedenti, arrivano sempre al solito miliardo e 200 milioni, una cifra che noi ogni anno paghiamo appunto per queste missioni. Una cifra del genere è sinonimo di un impegno all'estero molto grande, grande e costante, visto che da anni abbiamo fuori dai nostri confini circa 5 mila soldati. Ad ascoltare alcuni personaggi sembrerebbe quasi che l'Italia sia invece stata in vent'anni di pace e che l'Afghanistan per esempio non fosse mai esistita, come la Libia o l'Iraq.
  Quella in Afghanistan è una missione figlia di un evento tragico, quello dell'11 settembre. La risposta a quell'evento l'abbiamo davanti agli occhi: una missione ad egida Nato che non si basa su nessuna norma di diritto internazionale se andiamo a guardare bene i fatti e che non ha portato nessun risultato. La democrazia da esportare si è persa per strada, la lotta al terrorismo ha dato tragici risultati, i tragici risultati che abbiamo davanti agli occhi. Possiamo definirla un fallimento su tutta la linea. Nonostante ciò, cosa decide di fare il Governo ? Di aumentare il numero del nostro contingente che era in ritiro di circa 200 soldati, praticamente lo stesso numero degli spagnoli che invece saggiamente decidono di andare via. Questo non è solamente un numero, fa capire tutta la sudditanza che c’è nei confronti degli Stati Uniti. Nel momento in cui Obama decide di rimanere per i suoi affari allora anche il Premier Renzi da diligente paggetto decide di rimanere anche lui per gli interessi di Obama.
  C’è un aumento anche nella coalizione per il contrasto di Daesh. Fino ad oggi la coalizione non è certo stata con le mani in mano, se leggiamo i giornali di oggi e di ieri pare che la Francia, per esempio, fino ad oggi non abbia fatto nulla in Siria e solo oggi si sveglia a seguito dei tristi fatti di Parigi. In realtà da un anno a questa parte sono stati oltre 250 interventi della Francia in Siria, semplicemente hanno aumentato la frequenza.
  Voglio ricordare i grandi errori fatti in quel territorio, nel territorio siriano, con gli amici della Siria, le armi date a cellule estremiste, come il silenzio nei confronti dei peshmerga curdi e l'ambivalenza della Turchia in questa situazione. Questo Governo non ha mai pronunciato una parola in ambito internazionale contro la posizione turca nei confronti dei curdi né sulla gestione delle frontiere.
  Un'altra missione che purtroppo troviamo è la missione Atalanta, una missione europea anti-pirateria nell'oceano indiano. Da tempo noi abbiamo chiesto la cancellazione di questa missione visto l'irrisolta questione dei due fucilieri di marina Latorre e Girone, ma vediamo come questo Governo sia più interessato a mantenere gli impegni con gli alleati piuttosto che a tutelare gli italiani.
  Questi sono alcuni dei punti nodali di questo decreto-legge, senza tralasciare la parte della cooperazione che è già stata passata al setaccio dal mio collega Scagliusi che ci porta a un altro punto nodale. Vediamo come al solito sempre meno interesse alla cooperazione e ormai lo strumento militare è l'unica strada che questo paese ha per tracciare una linea in materia di politica estera, secondo voi Pag. 12naturalmente. Una politica estera carente di lungimiranza; anche di fronte alla minaccia terroristica non vediamo risposte. Un pavido Governo quando si tratta di parlare con quelli che definiamo alleati, militari o commerciali. Come già detto, mai nulla è stato detto sull'ambiguità della Turchia, nulla si dice sulla massiccia esportazione di armi dell'Italia verso l'Arabia Saudita, che usa poi quelle armi in Yemen dove ogni giorno ci sono vittime, più vittime e più odio e sappiamo benissimo che l'odio è la benzina del terrorismo. Le bombe le abbiamo persino filmate mentre prendevano il volo da Cagliari verso altri lidi. Ma del resto Renzi è andato proprio in Arabia Saudita a festeggiare gli affari fatti e gli appalti vinti. Insomma, ci troviamo di fronte a un Governo con poche idee e molto confuse e spesso persino dannose. Il principio delle bombe che chiamano altre bombe ancora non è entrato nella testa di chi governa questo paese, di chi blatera da una finta posizione di opposizione, interventi senza avere la benché minima idea di cosa stiano dicendo. Noi vorremmo vedere in realtà più risorse per la sicurezza interna, meno spese per missioni che avete abbracciato solamente perché gli Stati Uniti ce lo chiedevano. Abbiamo proposte su molti punti che abbiamo messo su carta già da tempo, mozioni, risoluzioni, emendamenti, ordini del giorno, proposte che vogliamo spiegare e che possono aiutare in questa situazione caotica. Sinceramente non abbiamo voglia di strumentalizzare in tutto questo contesto, non abbiamo voglia di urlare, diligentemente le mettiamo a disposizione dell'Italia e degli italiani e per favore che qualcuno questa volta ci ascolti grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio relatore Frusone. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che immagino si riservi. Passiamo agli interventi degli iscritti in discussione sulle linee generali.
  È iscritto a parlare l'onorevole Amendola. Ne ha facoltà.

  VINCENZO AMENDOLA. Grazie signor Presidente, signora Ministra, cari colleghi e care colleghe, è evidente che la nostra discussione su questo decreto, e sugli atti che nell'Aula del Parlamento andremmo a esaminare nei prossimi giorni, sono figli anche di un momento della storia del nostro continente che è assolutamente scossa da un fatto di natura straordinaria. La nostra commozione che come gruppo del PD, insieme al nostro capogruppo, abbiamo testimoniato già dalla giornata di sabato all'ambasciatrice è di solidarietà con il popolo francese e con Parigi. È la solidarietà ai nostri valori toccati da questo atto barbarico ed è soprattutto voglia di reagire. La libertà è più forte delle barbarie, abbiamo detto, i nostri valori fondanti sono più forti di questo atto di terrore. Ha detto il Presidente della Repubblica: intransigenza, decisione e fermezza contro un nemico che è quello della violenza, dell'oscurantismo e del fondamentalismo, di un'idea totalitaria di islamismo che si sta affermando non solo su quel terreno che va tra la Siria e l'Iraq, ma che ha scelto di portare atti di barbarie e di grande forza evocatrice anche in altri parti del nostro continente. È successo a Parigi, ma prima era successo nel Sinai, a Beirut, così come abbiamo visto nei mesi passati con una lunga serie di rivendicazioni che hanno fatto sì che quella rete di terrorismo, di fondamentalismo e di idea totalitaria della politica e della religione si strutturasse. Abbiamo pianto il 7 gennaio scorso Charlie Hebdo e ci siamo stretti tutti quanti a Parigi, l'Europa, i grandi leader della comunità, legati in una coalizione internazionale, ma è evidente che quello che è successo venerdì ci chiama a delle responsabilità nuove, perché lo scenario che da troppo tempo si dipana nel Medioriente è uno scenario di conflitto, di dissoluzione dello Stato e soprattutto dell'avanzare di un'idea totalitaria che non guarda alle minoranze, che non guarda al rispetto dei diritti umani e che soprattutto vuole allargare lo spettro della paura al di là dei confini. È evidente che il nostro richiamo, anche in queste Aule parlamentari, sarà sempre all'unità. L'unità delle forze politiche, l'unità al di là delle polemiche strumentali, al di là delle polemiche, Pag. 13come ha detto giustamente il nostro Presidente del Consiglio al G20 in Turchia, perché l'unità non è solo un valore, ma è un elemento di forza ed è un elemento di forza per il nostro Paese, per il continente europeo e per gli alleati che, dentro una coalizione nata nell'agosto del 2014 (lo ricordo con una risoluzione delle Nazioni Unite, la 2178), hanno dato vita a uno schieramento largo che include Paesi della regione, Paesi arabi sunniti e molti Paesi europei e che dal 2014 sono già intervenuti su quel terreno per contrastare, sia in Siria, sia in Iraq l'avanzata di Daesh-ISIS. Noi vogliamo con questi atti parlamentari (oggi con la conversione del «decreto missioni», che io spero tutte le forze politiche in maniera seria e serrata, a breve, riescano, già nella giornata di domani a portare a termine), dare un segnale al nostro Paese di una reazione che fa parte di una strategia. Noi sappiamo che per sconfiggere questo totalitarismo fanatico islamista serve una grande alleanza culturale dentro i confini dell'Europa e fuori. Serve rafforzare la cooperazione per far sì che i Paesi non scendano dentro quello che è un tunnel che porta molte delle giovani generazioni a sognare un sogno folle e totalitario. Sappiamo che serve cooperazione, sviluppo, impegno culturale, ma serve anche alzare il livello della cooperazione politica e militare della coalizione che sta fronteggiando l'ISIS. Venerdì abbiamo sofferto per Parigi e la prima risposta è stata a Vienna, dove l'Italia con altri Paesi della regione e membri del Consiglio di sicurezza hanno abbreviato quelli che sono i ritardi colpevoli per la risoluzione del conflitto civile
siriano; 250 mila morti, tanti profughi che sono arrivati in Europa scappando proprio da quel terrore e da quegli orrori del Daesh. Noi sappiamo che la coalizione che si è formata, e che deve in queste ore rafforzare l'impegno e l'azione, non solo deve sanare la ferita della guerra per procura siriana, ma deve far sì che si muova unitariamente dentro un quadro di azione.
  L'Italia che fa ? Abbiamo provato a spiegarlo nell'agosto del 2014, quando con un voto parlamentare abbiamo aderito alla coalizione anti-Daesh, e abbiamo scelto in questa coalizione (lo confermiamo con questo «decreto missioni» e con la missione militare Prima Parthica) di aiutare le popolazioni e soprattutto le forze che in campo stanno fronteggiando l'avanzata dell'Isis. Abbiamo schierato addestratori, più di cinquecento, fornito mezzi militari e sostegno, perché sappiamo benissimo, e l'abbiamo visto nella battaglia di Sinjar di pochi giorni fa, che le forze in campo che stanno difendendo il proprio Paese, l'Iraq e la Siria, sono forze che ovviamente hanno bisogno della comunità internazionale. Questo basta ? Io non credo, è importante che l'Italia sia forte dentro questa coalizione. Siamo quelli che donano in termini di sostegno molto, ma chiediamo alla coalizione, chiediamo agli attori che sono sul terreno, a partire dagli Stati Uniti, dalla Russia, dai membri del Consiglio di sicurezza, che adesso, di fronte a queste tragedie e di fronte a questo scenario che si allarga oltre i confini della Siria e dell'Iraq, di avere più coordinamento politico, di essere più uniti nella soluzione, nella transizione siriana che porti quel Paese fuori dalla guerra civile e che contrasti su tutto il campo, culturale, in termini di cooperazione, di taglio netto dei finanziamenti e di sostegno alle forze schierate sotto la bandiera nera e che faccia sì che la comunità internazionale, non solo una parte, liberi quei territori e liberi innanzitutto quei popoli da una guerra che è primariamente dentro l'Islam, di chi vuole costruire uno scisma religioso, politico, prendere in ostaggio popoli che vivono in quella parte del mondo e costruire un sogno folle totalitario. Noi pensiamo che in queste ore il tono della discussione, per le paure evocate e per le paure che sono presenti non solo nella comunità italiana, ma in Europa, sia un qualcosa che si deve legare alle paure, alle tragedie, agli orrori che in quella parte del mondo si vivono dal 2011. L'alleanza che deve avere un carattere – ripeto – culturale, di cooperazione, di sostegno politico e anche di azioni di intervento di repressione delle forze terroristiche, Pag. 14si deve legare a un'idea di globo e di multilateralismo che negli ultimi anni è assolutamente saltata; è squilibrata e non vede tutti i protagonisti lavorare nella stessa direzione. Certo, tanti errori si sono fatti. Tanti errori si sono fatti nel recente passato. Se quei territori sono figli impauriti e pervasi dalla guerra questo è anche frutto delle scelte scellerate fatte all'inizio del secolo scorso, quando si decise di esportare la democrazia sulla punta di una baionetta, producendo più disastri e più divisioni e rendendo quei Paesi figli di un'instabilità. Dal 2011, le rivolte arabe per molti dei Paesi, a partire dalla Siria, si sono sviluppate rendendo quegli scenari, quelle popolazioni preda di una guerra civile. Sta a noi, nel momento della tragedia, usare toni giusti, togliere di mezzo polemiche e divisioni e cercare di alzare il livello della collaborazione internazionale di tutti i soggetti, a partire dall'Europa, per una soluzione che sia, come ho ripetuto più volte, usata su più livelli, culturale, di cooperazione, di soluzione politica e diplomatica e di repressione. Non può mancare nessuno di questi anelli e tutto ciò deve essere svolto in unità a livello di forze politiche e istituzionali, in unità di Governi che sono dentro una coalizione internazionale che da tanto tempo sta lavorando, spesso con risultati ancora non sufficienti. È evidente, e vado a concludere, che il nostro impegno come Italia a livello di missioni internazionali è nel segno dell'articolo 11 della Costituzione, perché sappiamo benissimo che il multilateralismo oggi è fatto anche di un impegno per la stabilizzazione e per la pace. Che cosa sarebbe il Libano se non fossero schierate le truppe sotto bandiera dell'ONU per far sì che quel Paese scosso dalla guerra per procura siriana non scivoli in un'ecatombe anche più dolorosa ?
  Che cosa sarebbe il nostro intervento, insieme a tanti alleati, dal Corno d'Africa all'Afghanistan, al centro Africa, alla Terra Santa pervasa da odio, se noi non stessimo sotto l'ombrello delle Nazioni Unite anche con missioni nuove come quella Eunavfor Med in base alla risoluzione 2240/2015 delle Nazioni Unite ? Se non ci fosse questo multilateralismo e questo impegno, io credo, che il quadro di sconforto, di paura, di disperazione, oggi, sarebbe ancora più drammatico. È orgoglio dell'Italia, e credo di tutte le forze politiche, sostenere le nostre missioni, sostenere il nostro impegno, perché non è figlio solo dell'utilizzo dello strumento militare, ma di una logica della convivenza pacifica, di risoluzione politica dei conflitti, soprattutto per guardare ai conflitti, quelli più recenti, e a tutti gli elementi che stanno sotto gli occhi della nostra attenzione. Parigi apre uno scenario completamente differente. Quell'attentato ricorda Mumbai nel 2008, dieci attacchi e tante vittime, ricorda la strage a Garissa nell'università keniota di studenti cristiani. È una violenza cieca, non solo contro simboli, ma contro persone inermi, contro ragazzi, giovani, studenti. È una violenza contro l'umanità, come contro la nostra connazionale Valeria che cercava, e cerca ancora oggi, di dar vita a un'idea di convivenza, di pace e di aiuto in tutti i settori della nostra società. È a questa violenza che noi dobbiamo rispondere con tanti strumenti che messi insieme fanno la forza, soprattutto se sospinta dall'unità. La nostra opinione pubblica è scossa in Italia, come in tutti i Paesi europei. Questa scossa deve vedere noi, che crediamo nei valori fondanti della convivenza pacifica dei diritti e delle libertà, unirci, non per superare le differenze tra di noi, ma per dare un messaggio: la pace, e il coraggio di difendere la pace, sono più forti delle barbarie e di qualsiasi totalitarismo.
  Per questo, nella conversione di questo decreto e di tutti gli atti che approveremo nei prossimi passaggi, anche nella legge di stabilità, il nostro messaggio sarà quello di tentare in maniera anche orgogliosa, modesta, senza aver paura delle polemiche, di trovare dei punti di condivisione, perché credo che questi sono all'altezza di un grande Paese, in un momento della storia in cui tutti siamo chiamati a dare una risposta, per difendere i nostri valori e non per modificarli sotto l'istinto della paura. Vi ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 15

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Amendola.
  È iscritto a parlare l'onorevole Lainati. Ne ha facoltà.

  GIORGIO LAINATI. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevole sottosegretario, il Parlamento oggi è di nuovo davanti a un decreto-legge di proroga delle missioni internazionali che costituiscono uno strumento essenziale della politica estera italiana. Ricordiamo, infatti, che il nostro Paese, attraverso le missioni internazionali, partecipa attivamente ai processi di pace e di stabilizzazione del mondo, contribuendo non solo a difendere i diritti delle popolazioni civili coinvolte nei conflitti, ma anche a promuovere una cultura della solidarietà e della cooperazione tra i popoli, nel quadro del rispetto dei principi del diritto internazionale. Alla luce dei tragici e dolorosi fatti di Parigi, che hanno messo in una drammatica evidenza quanto l'Europa e il nostro Paese siano esposti ai rischi del terrorismo internazionale di matrice islamica, risulta ancora più evidente la necessità di prorogare l'ormai tradizionale impegno dell'Italia nelle missioni delle Forze armate e di polizia nei teatri più difficili sparsi in Europa, Asia e Africa.
  Forza Italia, signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, come forza di Governo e come forza di opposizione, ha sempre appoggiato in Parlamento, per senso dello Stato, i vari provvedimenti che si sono susseguiti per la proroga e il finanziamento delle missioni dei nostri soldati all'estero. D'altra parte, come detto, alla base delle missioni non ci sono solo i nostri valori umanitari, la nostra cultura giuridica, bensì anche i legittimi interessi nazionali.
  Quando inviamo i nostri soldati, le nostre forze di polizia in aree critiche difendiamo anche il nostro Paese, per la semplice ragione che le minacce non hanno più confini e si muovono con la medesima facilità e velocità dei flussi finanziari. È evidente, quindi, che l'impegnativa e costosa partecipazione italiana a diverse missioni internazionali, anche nell'ambito della NATO e dell'Unione europea, sia strettamente legata al mantenimento e al rafforzamento dello status e del ruolo dell'Italia in ambito internazionale, status che ci siamo guadagnati a caro prezzo grazie al sacrificio e alla grande professionalità delle nostre Forze armate – alle quali rendo omaggio –, che tutti riconoscono. Ad ogni modo, questa volta non possiamo non osservare che ci troviamo di fronte ad una proroga di soli tre mesi, il che dà l'impressione di un'operazione di corto respiro; impressione che deve essere evitata per tutelare la nostra credibilità, sia nei confronti dei nostri alleati sia rispetto a coloro che sono i nostri avversari attuali o potenziali. Per tali precise ragioni, auspichiamo che i provvedimenti che inevitabilmente seguiranno sullo stesso tema siano di più ampio respiro temporale e diano così il senso del nostro fermo impegno, a medio e lungo termine, nei vari scacchieri internazionali, dove sono in gioco i nostri interessi politici, economici e, soprattutto, nel campo della sicurezza, che i feroci e sanguinosi attentati di Parigi ha riportato di grande attualità. Nel nostro Paese, dobbiamo riconoscerlo, si avverte un forte deficit di politica estera, particolarmente per quanto riguarda il fronte mediterraneo. Si pensi solo al caso della Libia, che ci riguarda in maniera diretta per ragioni geopolitiche, economiche, storiche e culturali. A lungo siamo stati colpevolmente assenti in quella crisi; cionondimeno ne subiamo e ne subiremo le conseguenze nel modo più drammatico. Per questo, avere una seria e coerente politica mediterranea non è solo un nostro diritto ma un nostro dovere, quali membri responsabili della comunità delle democrazie costituzionali. In particolare, nel campo della politica mediterranea, che ci tocca tanto da vicino, stiamo assistendo, infatti, al fallimento – drammatico, direi – del tentativo patrocinato dall'ONU, con il mediatore Bernardino León, di raggiungere in Libia un accordo tra i Governi, o presunti tali, di Tobruk e Tripoli e le altre entità minori per la formazione di un Governo di unità nazionale. Di conseguenza, su questo scacchiere, Pag. 16per noi fondamentale, siamo tornati purtroppo al punto di partenza. Pertanto, nella missione europea Eunavfor Med, per contrastare l'immigrazione clandestina dal nord Africa, in particolare dalla Libia, all'Europa meridionale, non si può passare alla terza e decisiva fase, che presuppone il consenso del Governo costiero interessato, cioè del Governo libico, che però ancora non esiste. Riteniamo quindi indispensabile un cambio di rotta da parte del Governo. In particolare, proprio per quanto riguarda la missione Eunavfor Med, riteniamo che si debba decidere di sospendere la missione stessa, perché non si è mai arrivati – e chissà quando mai si arriverà – alla terza fase, quella che dovrebbe dar luogo all'effettivo smantellamento delle attività degli scafisti. Mancano i presupposti per questa terza fase. Gli accordi in Libia, difatti, sono lontanissimi; le navi si stanno aggiungendo a quelle che trasportano clandestini in Italia. Il rischio della missione, ora, è che nel suo svolgimento si ripeta quanto accaduto nelle due missioni precedenti, ovvero che la parte umanitaria venga attuata e l'altra, subordinata alla risoluzione dell'ONU e all'accettazione dei Paesi costieri, rimanga invece agli atti. Credo che una cosa del genere rischi di non mettere all'attenzione di tutti che non è questo il modo per poter risolvere il problema centrale nel nostro rapporto con l'immigrazione dalla Libia, perché sembra ci sia un atteggiamento quasi inerziale. Abbiamo fatto una missione Mare Nostrum e le abbiamo cambiato il nome in Triton, poi abbiamo cambiato anche quel nome e ora siamo al terzo cambio di nome.
  Se non si procede a un intervento che vada alla radice, il problema rischiamo di portarcelo dietro all'infinito. È accaduto anche a proposito della vicenda dei marò. Credo che per essere presi sul serio nella comunità internazionale non possa essere dato per scontato il compito che l'Italia fa per dovere. Occorre avere un'interlocuzione credibile, occorre prendere degli impegni solo se la stessa comunità internazionale è la prima ad assumersene. Il nostro appoggio a questo provvedimento di breve proroga delle missioni internazionali non significa, quindi, appoggiare la politica estera del Governo, una politica che riteniamo talvolta debole e talaltra declamatoria. Naturalmente auspichiamo che, nell'ambito della presa di coscienza da parte di tutte le maggiori potenze – determinata sia dai tragici fatti di Parigi sia dall'abbattimento dell'aereo russo in Sinai – dei pericoli per tutti derivanti dal consolidamento delle centrali terroristiche di matrice islamica, si consideri non solo l'esigenza di abbattere l'ISIS in Siria e in Iraq ma anche l'assoluta necessità di riprendere in mano la situazione libica, il cui stato di caos crea un terreno quanto mai favorevole all'espansione dell'ISIS e del fondamentalismo islamico comunque denominato. In tale contesto, è evidente che occorre superare lo stato di tensione tra l'Alleanza atlantica e la Russia, evitando, ad esempio, che la missione NATO Active Endeavour nel Mediterraneo orientale, cui partecipano anche mezzi e personale della nostra Marina militare, assuma un carattere inutilmente ostile nei confronti della Russia, il cui appoggio ci è essenziale per la lotta al terrorismo, sia in Siria che in Iraq e soprattutto in Libia. In tale contesto, signor Presidente, occorrerebbe ripartire – noi riteniamo – dal cosiddetto spirito di Pratica di Mare, cioè di quella intesa di fondo tra Occidente e Russia, promossa con oggettiva lungimiranza e successo dall'allora Presidente del Consiglio, Berlusconi. Con tutta evidenza, poi, se vogliamo al nostro fianco la Russia nella lotta al terrorismo, non possiamo continuare ad applicare pesanti sanzioni di varia natura, che sono anche molto controproducenti per l'economia italiana. Dunque, chiediamo al Governo, come abbiamo già fatto più volte, di compiere un atto d'indipendenza, a tutela dei nostri interessi economici e politici, chiedendo con forza e determinazione la fine delle sanzioni occidentali contro la Russia, senza che questo, ovviamente, rappresenti un riconoscimento di quanto avvenuto in Crimea e nell'est dell'Ucraina. Dato che questo provvedimento rifinanzia, tra le molte altre, l'operazione Atalanta, dell'Unione Pag. 17europea contro la pirateria, non posso esimermi dal richiedere al Governo un rinnovato impegno sulla sorte dei due marò, per il rientro di Girone e per la permanenza di Latorre in Italia, anche in sede di arbitrato internazionale in essere. Tutto ciò precisato e chiarito, Presidente, Ministro, Forza Italia rinnoverà il suo tradizionale sostegno parlamentare alle missioni internazionali delle nostre Forze armate (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Fitzgerald Nissoli. Ne ha facoltà.

  FUCSIA FITZGERALD NISSOLI. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, ci troviamo ad esaminare questo provvedimento di rifinanziamento delle missioni di peacekeeping e peace enforcing dopo che gli attentati di Parigi hanno scosso il mondo e il cuore di ciascuno di noi, riportando in primo piano la questione della sicurezza dell'Occidente di fronte ad organizzazioni del terrore che sono globalizzate e che richiedono un'attenta analisi e strumenti adeguati anche di intelligence a livello europeo per sconfiggerli. Permettetemi di esprimere la solidarietà del mio gruppo parlamentare alla Francia e ai familiari delle vittime. Colpita Parigi ci siamo sentiti tutti colpiti. Oggi, dopo il cordoglio ci corre l'obbligo di fare una riflessione politica per agire e si ripropone forte il tema della cooperazione internazionale di polizia e militare per il contrasto al terrorismo, a partire dai luoghi di origine. Sappiamo bene che vi è un'urgenza di copertura giuridica e finanziaria delle nostre missioni di pace nel mondo e, a maggior ragione, dopo quello che è avvenuto.
  Quindi, guardiamo con favore i contenuti del presente provvedimento che, in una situazione di crisi anche aggravata, rispondono alla necessità di dare continuità alle azioni intraprese per il mantenimento della pace sul piano internazionale. Oggi più che mai vi è la consapevolezza da parte della comunità internazionale della minaccia globale rappresentata dalle nuove forme di terrorismo, e la presenza dell'Italia con i suoi contingenti militari e le sue forze di polizia nei vari scenari di crisi rappresenta un contributo anche alla lotta al terrorismo, favorendo la pace e ricostruendo quel tessuto sociale che possiede in sé gli anticorpi contro le forme di oppressione dei popoli come dei singoli. Ci troviamo di fronte ad un imperativo morale: proteggere i più deboli, ovunque si trovino, di fronte ai crimini del Daesh, e vi deve essere un'attenzione ancora maggiore nell'effettiva tutela delle minoranze oggetto di quella che possiamo ormai definire vera e propria pulizia etnica. La fermezza nella lotta al terrorismo e nel cercare la stabilizzazione dei teatri di crisi ci deve portare a costruire adeguate sinergie anche con il mondo islamico, forse il più colpito da quello che viene definito terrorismo islamico, che tutto è tranne che islamico. Infatti, il terrore non ha colore né religione, è solo la negazione dell'uomo ed è, quindi, contro ogni forma di religione che sia effettivamente anche promozione umana da cui non si può prescindere qualsiasi rapporto col divino. Siamo convinti che l'Italia può e deve svolgere un ruolo importante nel promuovere la pace in accordo con la Carta delle Nazioni Unite, lavorando all'evoluzione di articolati e complessi processi tesi all'affermazione di un ordine internazionale che si basa sulla sicurezza degli Stati e la creazione dei presupposti per la convivenza pacifica e lo sviluppo armonioso di tutte le nazioni. Oggi, in accordo con l'articolo 11 della Costituzione, ci apprestiamo a compiere un gesto politico che parte dalla necessità di garantire la pace per arrivare alla gestione della sicurezza, autorizzando la copertura necessaria alle operazioni già in corso dei nostri militari all'estero, impegnati a salvaguardare i diritti fondamentali in ogni angolo del mondo con indiscussa capacità operativa ed umanità, quell'umanità che è in grado, prima ancora delle armi, di sconfiggere sul piano culturale i fanatismi e i terrorismi Pag. 18per aprire la strada del rispetto dell'altro in una società dove ognuno si sente partecipe di un percorso di vita comune. Voglio esprimere ai nostri militari il nostro grande «grazie»: grazie per il vostro impegno, siamo orgogliosi di voi; e lo siamo anche – voglio ricordare – dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Tralascio l'elenco dei teatri di crisi dove i nostri militari sono impegnati (dal Mediterraneo al Corno d'Africa, passando per Cipro) ma mi preme ricordare che per ben operare hanno bisogno che venga approvata al più presto la legge sulle missioni internazionali, attualmente all'esame del Senato. Abbiamo piena fiducia in loro e dobbiamo dargli gli strumenti giuridici adeguati al loro impegno.

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fava. Ne ha facoltà.

  CLAUDIO FAVA. La ringrazio, Presidente. Credo che il miglior auspicio per una buona discussione di questa Camera sul «decreto missioni» sia arrivato questa mattina, nell'aula che vedeva la riunione delle Commissioni esteri di Senato e Camera, dall'ambasciatrice francese, che ci ha ricordato con parole di straordinaria sobrietà ed efficacia che i fatti di due giorni fa pongono sotto attacco, ancor prima che la democrazia, ancor prima che i nostri diritti, i nostri valori, la dignità umana, la dignità dell'uomo. Nel suo editoriale di oggi, Ezio Mauro, il direttore di la Repubblica, ricordava e notava come sotto attacco è andato il rito della vita quotidiana, che è un esercizio minore, forse inconsapevole, ma estremamente fondamentale della nostra libertà. Ecco, se ci attaccano è perché siamo liberi, e questo non ci esime dal dover ragionare su quali risposte costruire. Non serve l'isteria e non servono nemmeno i buoni sentimenti, i buoni propositi.
  Servono alcune cose concrete, efficaci, pragmatiche, di buonsenso e di buona memoria. Serve unità; unità di tutte le nazioni che sono chiamate a fare fronte a questo attacco, a questa minaccia. L'unità e la coerenza. Importante che ci sia la Russia, che non può essere additata al disprezzo dei popoli quando decide di bombardare le truppe di Al-Nusra, per poi scoprire che oggi i bombardamenti vengono considerati l'unico rimedio possibile secondo alcuni. Occorre l'unità includendo anche la Turchia per la sua funzione strategica, per la sua condizione di prossimità geografica, purché si chieda coerenza alla Turchia. Se chiederemo alla Turchia di darci una mano continuando a bombardare i curdi, a regolare, diciamo tra le righe di questo conflitto, di questa guerra, i suoi conflitti geopolitici, naturalmente non sarà il tipo di unità che serve a dare una risposta adeguata. Serve una strategia complessiva, una risposta che non sia solo militare. Ora qui non si tratta di intervenire, di valutare e giudicare i bombardamenti sulla base di un pregiudizio etico, ma si tratta anche di chiederci, se davvero fossimo stati e fossimo convinti che bombardare massicciamente Raqqa sia la soluzione per questo conflitto, perché si sia fatto questa notte e non tre, quattro, cinque giorni o una settimana fa. Ci rendiamo conto che c’è anche il diritto di una nazione ferita ad attingere alla propria emotività, al proprio dovere di reagire, ma sappiamo al tempo stesso – lo sanno i francesi, lo sappiamo tutti – che non saranno i bombardamenti, per quanto con questo incremento esponenziale, a risolvere il problema. Occorre prevenzione. Occorre sapere prima, soprattutto perché siamo di fronte a un terrorismo che è liquido, che assume la forma dell'acqua ed è difficile da localizzare in un luogo, in un simbolo, in una bandiera, in un contesto, persino in una dimensione sociale. Il terrorismo dell'ISIS assume la forma dell'acqua e, quindi, richiede una grande capacità strategica nel prevenire, nel saper prima. Quindi, l’intelligence e quindi una cooperazione che per adesso non esiste tra le centrali di intelligence in Europa. Vuol dire più mezzi e siamo noi di Sinistra Italiana i primi a chiederlo che ci siano più mezzi, anche dal punto di vista materiale, per le agenzie di sicurezza e che ci sia più coordinamento con le altre agenzie. Abbiamo chiesto oggi in Commissione Pag. 19esteri che venga audito il sottosegretario Minniti, non al Copasir, ma qui alla Camera, alla Commissione esteri della Camera, perché ci dica, alla luce della sua responsabilità e delle sue cognizioni, qual è il grado di salute, la capacità di efficacia, di risposta preventiva della nostra intelligence e quali sono i rimedi e quali sono le richieste e le esigenze che ci arrivano dalle nostre agenzie. Occorre uno sforzo di verità, uno sforzo di sincerità con noi stessi. Non possiamo immaginare di combattere il terrorismo islamico continuando a vendere armi ai Paesi che a loro volta le girano a queste centrali di fondamentalismo eversivo. Non possiamo continuare a vendere armi ai Paesi confinanti, ai Paesi contigui, ai Paesi amici, opacamente amici dell'ISIS, come è avvenuto in questi anni. L'Italia ha venduto armi negli ultimi due anni fatturando un miliardo e mezzo di euro. Molte di queste armi sono finite in Arabia Saudita, in Turchia, negli Emirati. Lo sappiamo e ce lo racconta, non un editoriale de Il Manifesto, ma un editoriale di Famiglia Cristiana che oggi ci dice: attenzione, tutti i Paesi che sono membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite hanno venduto impunemente armi e buona parte delle quali, attraverso il transito opportuno di Paesi terzi, sono finite nelle mani di chi oggi ci combatte e che siamo chiamati a combattere.
  Allora, forse, colleghi della Camera, occorre uno sforzo di coerenza e di verità, oltre che di razionalità, nel capire quali sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per affrontare questa minaccia. Occorre, infine, capire che servono pensieri non convenzionali. Diceva bene oggi il sottosegretario Giro evocando Hannah Arendt: il Daesh è totalitarismo e nichilismo. E ogni forma di pensiero totalitario non vuole vincere, non vuole semplicemente vincere, ma vuole sovvertire la natura umana, per cui occorre una risposta alla quale certamente non siamo attrezzati. E qui arriviamo al nostro decreto-legge, signor Presidente, per questo rifinanziamento, che noi non voteremo.
  Anche in questo caso vorrei che fosse chiaro che non lo voteremo non per pregiudizio. Infatti, ci sono missioni sulle quali noi siamo assolutamente d'accordo. Conveniamo sulla necessità, sull'utilità e anche sull'efficacia della nostra presenza in Libano in questi anni. Ma pensiamo che ci siano tre vulnus all'interno di questo decreto-legge. Il primo è un problema di metodo che, però, tracima fatalmente, come spesso accade trattando argomenti sensibili, in una questione di merito e non soltanto di metodo. Siamo di fronte alla decretazione d'urgenza. Questo Parlamento ancora una volta è utilizzato come la cassetta della posta a cui il Governo affida le proprie esigenze, le proprie richieste, chiamandolo a ratificare. Manca il requisito della straordinarietà che è previsto dall'articolo 77 della nostra Carta costituzionale. Lo sappiamo perfettamente. E manca l'urgenza. È un atto periodico, che viene programmato nella sua prevedibilità. Rifinanziare ogni sei mesi le missioni, tutto può essere fuorché urgente. C’è un livello di prevedibilità geometrico, assoluto. Abbiamo chiesto più volte, più gruppi, in questo Parlamento, che si proceda a uno «spacchettamento», cioè che ci sia la possibilità di andare ad esprimere una valutazione di merito missione per missione. Noi siamo convinti che sia utile un impegno dell'Italia in Libano; non siamo convinti che sia utile una proroga della nostra missione in Afghanistan. Possiamo assumerci la responsabilità di un voto che preveda una valutazione diversa per ciascun impegno che viene ratificato da questo Parlamento ? Sappiamo che la legge quadro, che è stata approvata alla Camera, questo chiede al Governo: presentare proposte che andranno valutate e discusse singolarmente. Ma sappiamo anche che questa proposta di legge è ferma al Senato senza che arrivino sollecitazioni particolarmente robuste perché si rimetta in moto. Occorrono una legge e una discussione ad hoc sulla cooperazione e sui finanziamenti alle attività di cooperazione e di sostegno agli interventi nella società civile. È una forzatura sbrigativa, semplicistica, mescolare in un decreto missioni ciò che riguarda lo sforzo di polizia internazionale, il contributo Pag. 20con risorse di ambito militare a queste missioni, e ciò che riguarda lo sforzo, anche economico e anche finanziario, che prevede un investimento in cause, attività, strumenti civili. Va rivista la filosofia complessiva di queste missioni. Ci piacerebbe un dibattito in cui, oltre alle valutazioni e ai giudizi, ci sia anche una capacità autocritica sulle scelte sbrigative e velleitarie che noialtri abbiamo consumato in questi anni affinché esse possano essere riviste e rilette senza aspettare l'editoriale di Famiglia Cristiana, senza aspettare il mea culpa di vecchi ex Presidenti ed ex Capi di Governo, ma assumendo intanto noi come classe politica e dirigente italiana il compito di capire quante volte e dove e come abbiamo sbagliato. Noi abbiamo avuto come obiettivo quello di costruire condizioni di sicurezza, stabilità, democrazia, tutela dei diritti umani e dobbiamo chiederci perché questo non sia avvenuto in Iraq, in Libia, in Afghanistan, in Siria e in molti dei Paesi in cui siamo intervenuti.
  Il terzo punto, il terzo elemento di disaccordo con questo decreto-legge, tra quelli fondativi del nostro disaccordo, riguarda l'Afghanistan. In Afghanistan, signor Presidente, avviandomi a concludere – avremo modo di continuare ad approfondire questi punti intervenendo sugli emendamenti che abbiamo presentato –, avevamo tre obiettivi: proteggere le popolazioni locali, consolidare le istituzioni democratiche e fermare i talebani. Mi sembra che anche in questo caso l'onestà di un censimento ci possa portare a considerare falliti tutti e tre gli obiettivi. La missione dell'ONU a Kabul ci dice che abbiamo registrato un incremento quasi esponenziale nel numero di morti civili e dei feriti e l'allargamento degli ettari di territorio afgano messi a disposizione delle produzioni di oppio e del traffico internazionale di stupefacenti. Questo settore continua ad essere un buon 50 per cento della bilancia del fatturato annuo dell'Afghanistan. Abbiamo immaginato di poter costruire un consolidamento democratico accompagnando queste nuove elezioni in Afghanistan e sappiamo che questo Governo viene considerato, a giudizio di terzi e non quindi di questo Parlamento, tra i più corrotti e tra i più inefficienti che esistano. E soprattutto non siamo riusciti a realizzare nessuna forma di pacificazione: i talebani controllano sette province e c’è una saldatura in corso con il Daesh e ci sono condizioni preoccupanti che ci costringono dopo quattordici anni a un bilancio. Signor Presidente, quattordici anni è più del tempo che ha impiegato il conflitto in Vietnam a esaurirsi. Sono andati via i francesi, sono andati via gli inglesi, sono andati via gli spagnoli e noi restiamo.
  Abbiamo speso 5 miliardi di euro. Non ne facciamo una questione di micragnosa contabilità, però ci piace mettere insieme cinque miliardi di euro, da una parte, e gli 800 milioni destinati alla cooperazione, dall'altra. Come molti suggeriscono, forse invertire questo rapporto di forze aritmetico, forse investire un po’ di più nella cooperazione avrebbe creato anche i presupposti di consolidamento civile, sociale e culturale che poi diventino anche degli atout, la capacità di resistere a nuovi insediamenti della cultura talebana e di questa ritrovata auspicata alleanza con il terrorismo del Daesh.
  Abbiamo aumentato i costi su queste e altre missioni, portando in questo decreto da 97 a 118 milioni di euro ogni mese, abbiamo deciso di restare per tutto il 2016, lo abbiamo deciso il 15 ottobre e questo è l'ultimo punto che ci preme sottolineare, signor Presidente. Lo abbiamo deciso di fronte alle tragedie che sta conoscendo questo pianeta, di fronte al saldo di vite umane che ha rappresentato per questa nazione l'Afghanistan, di fronte alla durezza e alla brutalità di questo argomento che parla di guerra e non di pace, che parla di conflitti, che parla di dolore, un dolore nostro e di tanti altri, di fronte a tutto questo, decidiamo di restare sull'onda di una battuta che il Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, ha regalato al Paese: avete sentito tutti cosa ha detto il Presidente Obama ? Questo è stato l'inizio e la fine del dibattito sull'opportunità o meno di prorogare la Pag. 21nostra missione in Afghanistan e lo stesso Presidente del Consiglio che ricordava che non avrebbe mai ricevuto ordini da Bruxelles – forse da Washington sì – e anche in questo caso, signor Presidente, non lo diciamo in punta di pregiudizio, perché noi riteniamo che sia dovuto, opportuno e necessario discutere con l'amministrazione americana sulle soluzioni da assumere e trovare il massimo grado di condivisione, però con un rispetto diverso delle istituzioni parlamentari.
  Obama annuncia la scelta di restare in Afghanistan il 15 ottobre; Renzi annuncia la scelta dell'Italia di restare il 17 ottobre, perché così ha appreso dalle agenzie per ciò che è stato deciso a Washington, ma una settimana prima, quando il sottosegretario americano alla difesa, Carter, è venuto a discutere con la signora Ministra e con altri nostri rappresentanti istituzionali immagino che si sia discusso, anche una settimana prima, dell'eventualità di prorogare questa missione sulla quale il dibattito politico e istituzionale nel Congresso americano era in corso da settimane. Ed è questo il punto umiliante, signor Presidente: la Commissione affari esteri del Congresso era stata chiamata a discutere sulla possibilità che si prorogasse questa missione, Obama si è ben guardato dal dire: «si resta», come una decisione da comunicare, come un atto notarile di cui chiedere soltanto la controfirma al proprio Congresso. Ha preteso prima di comunicare questa decisione che le istituzioni parlamentari del suo Paese, che il Congresso e coloro che nel Congresso di questo si occupano fossero informati e avessero anche la responsabilità di discutere e di assumere una decisione coerente. Noi no.
  E questo, signor Presidente, signori del Governo, a nome di questo Parlamento lo considero un fatto umiliante. Considero umiliante questa totale mancanza di fiducia, per la quale si ritiene che portare qui un elemento di discussione ancor prima di aver deciso quale debba essere l'esito di questa discussione debba essere considerato un rischio che questo Governo e questa maggioranza non possono correre.
  Questa è una ragione in più, non contenuta negli atti e nei fatti di questo decreto, ma nello spirito con cui questo decreto, ancora una volta, è stato portato all'esame di questo Parlamento, una ragione in più del nostro voto contrario (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lacquaniti. Ne ha facoltà.

  LUIGI LACQUANITI. Grazie, signor Presidente, signora Ministra, signor sottosegretario, onorevoli colleghe e colleghi, stiamo svolgendo questa discussione generale sulle missioni internazionali con il fragore delle armi a Parigi ancora nelle orecchie, le esplosioni, le urla; lo hanno detto anche quanti mi hanno preceduto. Davanti agli occhi scorrono quelle immagini drammatiche che ci dovrebbero ricordare e che ci ricordano che quando facciamo politica, prima di occuparci di idee, ci occupiamo di persone. Di più: che la realtà è fatta di persone, che non viviamo nel mondo delle idee.
  La proroga delle missioni internazionali che ci viene chiesta oggi cade all'indomani di quei fatti drammatici e proprio quei fatti ci impongono un di più di razionalità e un'analisi improntata a concretezza, direi quasi a logica.
  Il delicato ruolo che ricopriamo in quest'Aula e le responsabilità non ci permettono, non dovrebbero permetterci, di abbandonare la nostra mente a giudizi, per così dire, di pancia, alle passionalità spicce del momento. Ce lo chiede la stessa pietas, questo sì un sentimento che dobbiamo coltivare e che non ci deve abbandonare, con cui guardiamo a quei poveri corpi senza vita di Parigi. Le nostre missioni internazionali, e dunque persone: persone i militari che partecipano a queste missioni; persone i civili che vivono nei teatri di conflitto in cui si svolgono le missioni; persone quanti operano, in quelle stesse regioni, nei programmi di aiuti delle organizzazioni non governative, della Croce rossa e anche di missioni e comunità religiose.Pag. 22
  Con la logica stringente delle necessità impellenti di ogni giorno, dei sacrifici individuali, purtroppo della sofferenza delle persone, abbiamo a che fare. Spetta a noi decidere se intervenire in questi scenari, come farlo, le strategie, le politiche, le alleanze, e la responsabilità che grava su di noi, sulle nostre coscienze, è enorme. Dico tutto questo, signor Presidente, perché la tentazione di ridurre tutto a slogan o, nella migliore delle ipotesi, a ideali manifesti di principio è forte e, in fondo, anche un po’ comoda.
  Mancano straordinarietà e urgenza al decreto-legge, ho sentito dire anche oggi, anche poco fa. Ma come valutare questa straordinarietà e questa urgenza, se non con riferimento alla sofferenza di quelle persone che prima ho elencato ? O abbiamo bisogno che sia stampigliato sul provvedimento «straordinario e urgente» ? A noi, tuttavia, spetta la strada scomoda delle soluzioni da cercare, delle decisioni da assumere, la fatica vera del fare politica, e non sono mai decisioni facili.
  E, dunque, mentre ci accingiamo a confermare le missioni internazionali per quest'ultimo scorcio del 2015 e in attesa della legge, già approvata da questa Camera, adesso al Senato, che disciplinerà organicamente le missioni internazionali, con questo quesito dobbiamo confrontarci: le nostre missioni arrecano danno o beneficio a tutte quelle persone che prima ho elencato ? È danno o beneficio per il nostro personale militare, che è tenuto professionalmente, per così dire, ad assumersi anche dei rischi ? È danno o beneficio per quel personale che, in modo tanto appassionato, ha accettato un mandato spesso così rischioso all'interno delle organizzazioni non governative ? E, soprattutto, colleghe e colleghi, è danno o beneficio per quelle popolazioni martoriate da anni di guerra civile, da massacri, da distruzioni ?
  Notevole è il programma di aiuti che le missioni prevedono su un'area geografica vastissima ed eterogenea. Basta scorrere il dispositivo del decreto-legge: sostegno ai civili e alla ricostruzione previsto dall'Afghanistan all'Etiopia, dal Mali alla Libia, dalla Somalia alla Palestina.
  Più in particolare, proseguirà l'impegno italiano in Afghanistan, di sostegno alle popolazioni della provincia di Herat; sarà supportato il rientro degli sfollati iracheni nei rispettivi territori di origine, una volta liberati dall'occupazione di Daesh; sarà difeso il patrimonio culturale iracheno sopravvissuto alle guerre e alle demolizioni dei fondamentalisti. Aiuti sanitari saranno inviati al Kurdistan iracheno, aiuti alla popolazione siriana, laddove il conflitto lo permetta, e anche ai profughi siriani che hanno trovato rifugio nei Paesi confinanti, senza dimenticare la partecipazione alla ricostruzione della Palestina e, poi, il salvataggio quotidiano nel Mediterraneo, da parte delle unità della nostra Marina, delle popolazioni in fuga dalla guerra.
  E, ancora, i programmi che saranno realizzati per determinate categorie: disabili, minori, donne vittime di abusi e di violenze. È evidente che si tratta di progetti che richiedono investimenti notevoli e che le risorse in campo appaiono ancora insufficienti; tuttavia, non possiamo non valutare in termini positivi che, rispetto al passato, siano stati aumentati gli stanziamenti per la cooperazione.
  L'appello che, quindi, faccio al Governo – più pensando alle prossime missioni che a quella oggi in discussione che scadrà il 31 dicembre – è proprio un ulteriore incremento delle risorse, tanto più che il nostro programma di intervento all'estero non si realizza solo in termini di aiuti alla cooperazione, ma vede pure le nostre forze impegnate attivamente in programmi di polizia e in azioni di supporto e formazione delle forze militari locali, a loro volta impegnate nella lotta contro il fondamentalismo.
  Se questo è in estrema sintesi lo scenario che abbiamo davanti, a mio avviso, ci sono due errori di valutazione che dovremmo evitare, errori in cui molti di noi incorrono e in cui anche oggi qualcuno è incorso. Il primo errore è giudicare le missioni internazionali esclusivamente in riferimento a quelle serie di gravi errori Pag. 23che nel recente passato hanno commesso alcuni Governi impegnati in politica estera e che spesso sono state la causa prima della situazione in cui ci troviamo. L'abbattimento del dittatore iracheno non ha visto una gestione adeguata del dopoguerra e alla fine ha aperto la strada alle formazioni terroristiche di matrice sunnita che in questi mesi hanno costituito Daesh. E valutazioni analoghe potremmo farle per la Libia e la più recente caduta di un altro dittatore, Gheddafi, fortissimamente voluta da Sarkozy, com’è noto: anche in questo caso una gestione inadeguata del dopoguerra, un altro errore madornale. E quello che è la Libia oggi è davanti ai nostri occhi e nelle stesse carte di queste missioni che oggi analizziamo, che pure di Libia parlano.
  E tuttavia, colleghe e colleghi, gli errori gravi e gravissimi di ieri, gli stessi enormi interessi economici che – è inutile nascondercelo – hanno talvolta originato quelle scelte di politica estera non sottraggono nulla all'urgenza dei problemi odierni e alla radicalità delle decisioni che abbiamo innanzi e a cui tentiamo di rispondere con queste missioni internazionali. Gli errori di ieri non sottraggono nulla alle nostre responsabilità di oggi, che ci appellano ad un impegno nello scenario internazionale.
  Il secondo errore in cui incorrono in molti è riconoscere sì l'urgenza odierna e la radicalità drammatica dei problemi, ma convincersi che non si debba rispondere ad essi con le missioni internazionali, ma esclusivamente tramite la ricerca di trattative e l'avvio di tavoli di pace, confondendo così due distinti strumenti di politica estera, come fossero alternativi l'uno all'altro. Ma così non è. Le missioni internazionali possono rispondere a problemi connessi alla sicurezza oggi, all'urgenza del terrorismo oggi, alla minaccia di Daesh oggi. Per portare la pace, però, quella vera, occorrono gli strumenti della diplomazia, la definizione degli intermediari, l'avvio delle trattative, la costituzione dei tavoli diplomatici e occorre tempo. E dunque le missioni da sole non possono nulla, senza l'attenzione continua della diplomazia internazionale alla ricerca della pace. Ma nemmeno la diplomazia può sperare di avere successo, senza quelle missioni internazionali che oggi possono garantire sicurezza alle ONG, assistenza ai Governi che nascono dall'abbattimento dei tiranni, corretta gestione degli aiuti umanitari alle popolazioni, protezione alle infrastrutture sopravvissute alla distruzione della guerra e senza la cui azione spesso non si possono nemmeno indurre le parti in conflitto alla ricerca della pace.
  Guai a noi, dunque, se leggessimo le missioni solo come un utile strumento per rafforzare la nostra politica estera e la nostra influenza nello scacchiere internazionale, senza gli aiuti effettivi alle popolazioni e alle organizzazioni non governative e senza il contributo che le missioni possono dare all'eliminazione delle cause che hanno generato il terrorismo, giacché non basta combattere il terrorismo, ma occorre cancellarne le cause.
  Allo stesso modo, guai a noi, se disconoscessimo il ruolo che le missioni svolgono, separando le parti in conflitto, dando primo soccorso a popolazioni in fuga da fame e guerra, supportando la ricostruzione. E dovremmo pure affrontare il cortocircuito generato da certa nostra industria bellica anche dopo la messa al bando delle mine antiuomo, impegnata nell'esportazione di armi spesso finite nelle mani delle unità di Daesh, basti immaginare a cosa possa essere avvenuto alle armi esportate a suo tempo al regime di Gheddafi, le stesse armi dai cui danni spesso i nostri stessi militari, impegnati nelle missioni internazionali, devono proteggere le popolazioni locali.
  Guai a noi, insomma, se rinunciassimo, con il ritiro dalle missioni internazionali, alle nostre responsabilità in politica internazionale.
  Certo, converrebbe volgere lo sguardo altrove, potrebbe dire qualcuno. Basta missioni, potremmo ripetere anche noi: risparmiamo una montagna di denaro pubblico, non esponiamo più le nostre forze a pericoli quotidiani e, chissà, forse non saremmo più nel mirino del terrorismo Pag. 24internazionale. Ma restare umani significa anche non volgere lo sguardo dall'altra parte.
  Signor Presidente, da quando è stato avviato il nostro programma di missioni all'estero sono trascorsi parecchi anni, la società italiana è rapidamente mutata e si avvia a diventare compiutamente una società multietnica e multiculturale. Se ne facciano una ragione certo razzismo di casa nostra e i terroristi che, in nome di Dio, seminano morte, entrambi accomunati dall'ostilità alle società multietniche e alle società multiculturali.
  Ma questa trasformazione ineludibile della nostra società non può non influire anche sulle nostre missioni internazionali, sulle missioni di domani. Dialogo, confronto, società multietnica, società multiculturale dovranno sempre più caratterizzare anche i metodi di approccio, le finalità di ingaggio delle nostre missioni all'estero, la nostra politica estera (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Artini. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente. In un momento come questo penso che la responsabilità sia d'obbligo. Quindi, cercherò di svolgere un intervento che non si abbassi a piccole diatribe politiche, ma che andrà esclusivamente a trattare quello che penso sia uno dei punti nodali di questo «decreto missioni» per quanto riguarda la parte difesa, ovvero l'estensione per un anno della missione in Afghanistan.
  Già di per sé richiedere l'estensione di un anno della missione certifica quello che è stato purtroppo un fallimento anche nella parte di Resolute Support. Il punto, anche a fronte delle audizioni del Governo e di tutta la trattazione in Commissione, sta non tanto nel fatto se rimaniamo o meno in Afghanistan, ma nel fatto che gli obiettivi rimangono tendenzialmente i medesimi, e le azioni da compiere sono le medesime. La paura quindi è che i risultati siano gli stessi, ovvero risultati che, in oltre dieci anni, non hanno portato altro che, in particolare negli ultimi anni, a un incremento di morti sia dal punto di vista militare che dal punto di vista dei civili, con un incremento dei feriti che è impressionante, talvolta anche doppio.
  Quindi, la domanda che mi pongo è perché, a differenza di quanto indicato a febbraio – ritengo anche correttamente – quando l'idea del Governo era quella di concentrarsi direttamente su interessi che erano più vicini alla nostra nazione (penso alla Libia e penso anche effettivamente a un modo diverso di affrontare la situazione in Iraq e in Siria, così come anche nella parte balcanica, attualmente molto sensibile per i flussi, ma penso anche alle notizie che ci arrivano dalla Francia che ci fanno ancora più preoccupare), ora non ci si concentra su cosa deve essere cambiato in quella missione, rispondendo invece solo a esigenze forniteci da altri alleati per continuare nella medesima azione, che purtroppo, peraltro, nel prossimo anno – spero mi sconfessino i fatti – non sarà altro che una difesa del forte che noi abbiamo ad Herat.
  Noi, come Italia, indubbiamente nel mondo abbiamo esempi di missioni che sono completamente diverse, che nascono da una nostra volontà di essere diversi nel training, nell'istruzione delle forze, nella capacità di contrastare, come in Libano, un conflitto che sarebbe reale tra le due opposte fazioni, libanese e israeliana. Questo ci fa anche vedere che questo strumento, il «decreto missioni», è uno strumento inutile, perché non ci permette di entrare o di lavorare in maniera politica proprio al fine di cambiare questo tipo di azioni.
  Io ringrazio – e chiedo a lei, Presidente, di farlo per conto mio – la signora Ministro Pinotti, perché, in una giornata come questa, essere qui e ascoltare anche quella che è la discussione parlamentare è sicuramente importante.
  A maggior ragione mi aspetto dalla senatrice Pinotti che ci sia l'impegno, come rappresentante del Governo e come membro del Senato, a terminare entro l'anno la discussione sia al Senato sia alla Camera, per dare a questo Parlamento, dal prossimo Pag. 25anno, la possibilità di discutere queste missioni in maniera diversa. Infatti vanno tratte considerazioni ben diverse e mi avvio a concludere. Ritengo che giustamente non si debba volgere lo sguardo altrove, ma l'importante è che lo sguardo che mettiamo nelle situazioni in cui c’è un conflitto, in cui c’è una crisi sia diverso – l'ho detto più volte in queste fasi di discussione – dal punto di vista della valutazione politica di quelli che sono gli obiettivi. Il rischio, che in queste ore si corre, di intraprendere un'altra guerra con gli stessi risultati della Libia, dell'Afghanistan e dell'Iraq è elevatissimo, se noi tutti, come Italia e come Unione europea, non ci prendiamo la briga di modificare e di pensare ad una pianificazione per il futuro di quelle zone.

  PRESIDENTE. Salutiamo studenti e insegnanti dell'Istituto comprensivo statale Serino in provincia di Avellino, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  È iscritto a parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA PINI. Grazie Presidente, la ringrazio anche per aver concesso questi pochi minuti nonostante l'inghippo, senza che questo chiaramente costituisca un precedente. Ringrazio anche i colleghi degli altri gruppi che hanno permesso questo breve intervento a chiusura della discussione sulle linee generali. Già la settimana scorsa, quando erano state presentate e discusse delle questioni pregiudiziali – noi non avevamo presentato pregiudiziali contro il decreto-legge –, noi ci siamo astenuti sul voto delle pregiudiziali perché ritenevamo che, al netto dei soliti provvedimenti mal fatti, perché fatti di corsa, che il decreto-legge contiene, comunque vi siano disposizioni condivisibili ed altre che devono essere in qualche modo migliorate. Sarò molto breve e consegnerò quelli che sono i punti che riteniamo sia importante modificare in questo testo in fase di conversione e, alla luce dei fatti purtroppo accaduti nel fine settimana a Parigi, non solo abbiamo ripresentato gli emendamenti che avevamo posto all'attenzione della Commissione in fase di discussione del provvedimento, ma ne abbiamo aggiunto anche uno, che chiaramente va nella linea di un contrasto pesantissimo nei confronti del terrorismo e del reclutamento al terrorismo e soprattutto va nella linea della prevenzione perché purtroppo è chiaro che il difetto congenito della politica, soprattutto quando si trova sotto attacco lo Stato e non solo la politica, è quello di ragionare in termini emergenziali. Noi, invece, cerchiamo sempre e comunque anche in situazioni di crisi di questo tipo di ragionare in termini prospettici. Quindi sappiamo benissimo che se in questo Paese ancora non sono fortunatamente avvenuti attentati è perché evidentemente abbiamo un’intelligence capace, fatta da uomini capaci. Tuttavia, se si alza il livello di scontro, è chiaro che dobbiamo alzare anche noi il livello di risorse da dare a questi uomini perché da soli non possono fare assolutamente nulla. Quindi, al di là di tutti quelli che sono i punti che non condividiamo e che chiediamo di cambiare (la questione dell'Afghanistan, la questione della presenza in Libano, considerato che, secondo me, quei mille e più ragazzi possono diventare – continuiamo a dirlo – una sorta di ostaggi di hezbollah), all'interno della conversione di questo decreto-legge deve essere affrontato il tema delle maggiori risorse da dare alle forze di polizia, all’intelligence; come forze di polizia parlo, ad esempio, della polizia postale che svolge un controllo serrato di quelle che sono le comunicazioni via Internet e sui social. Di questo andremo a dibattere nella fase di esame degli emendamenti e degli articoli di conversione del «decreto missioni». Ribadiamo la nostra contrarietà a tutta una serie di missioni che non riteniamo assolutamente utili per gli interessi del nostro Paese e che costituiscono sprechi inutili di risorse che potrebbero essere impiegate in altra maniera. Tuttavia – ripeto – andremo ad affrontare analiticamente ogni singolo punto all'interno di quello che sarà il dibattito nei prossimi giorni per la conversione del testo del decreto-legge. Pag. 26Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna delle considerazioni integrative del mio intervento, contenenti i dieci punti di modifica di questo decreto-legge che riteniamo fondamentali (La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

  PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Pini, anche per la sintesi.
  Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo – A.C. 3393-A)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza per la IV Commissione, onorevole Causin.

  ANDREA CAUSIN, Relatore per la maggioranza per la IV Commissione. Signor Presidente, intervengo in modo veramente telegrafico per ringraziare i colleghi per aver tenuto la discussione sulle linee generali nel merito delle questioni: tutte le osservazioni, che possono essere opinabili politicamente, sono comunque delle osservazioni fondate e rilevanti, di cui chiaramente va tenuto conto poi nel dibattito e nell'esame degli emendamenti.
  Mi sento semplicemente di fare due osservazioni, relativamente a quanto emerso nel dibattito; la prima rispetto alla legge-quadro sulle missioni internazionali. Ne parlavo prima col Presidente: l'impressione mia e l'impressione anche di chi fa parte delle Commissioni Affari esteri e Difesa che hanno seguito il percorso nella prima fase qui alla Camera, è che finalmente in questa legislatura ci sia la volontà di portare a termine il percorso; e da quello che ci consta c’è una elevata probabilità ed opportunità che questo percorso si chiuda prima di Natale e che questa sia veramente l'unica volta che noi andiamo a rifinanziare le nostre missioni internazionali attraverso lo strumento del decreto-legge. Su questo mi sento di dare testimonianza a chi ha posto il dubbio: la volontà politica generale è emersa, altrimenti anche alla Camera il decreto non avrebbe avuto quel tipo di percorso, e anche quel tipo di approvazione da parte dei gruppi; non ci furono infatti persone che votarono contro, ma ci furono soltanto delle astensioni.
  La seconda notazione mi sento di farla rispetto alla missione Eunavfor Med, perché insieme al presidente e ad un altro paio di colleghi della Commissione Difesa abbiamo avuto l'opportunità straordinaria di visitare la missione: una missione che ha terminato la «fase due» il 7 ottobre, sorprendentemente anche in anticipo rispetto ai tempi; che coinvolge 22 dei 28 Paesi dell'Unione europea; che ha lavorato molto sul tema della raccolta di informazioni di intelligence, che sono utili anche per la sicurezza nazionale; e che ha fatto registrare anche un calo significativo in termini di percentuali di sbarchi, ma soprattutto di partenze, attraverso lo strumento della deterrenza sulla costa libica.
  È vero, c’è un problema legato alla vicenda diplomatica che ha seguito Bernardino León, relativamente all'autorizzazione dell'ONU rispetto alla «fase tre»; però anche la «fase due» sembrava non dovesse poter iniziare per mancanza della risoluzione, che poi è arrivata. Quindi volevo dare testimonianza anche a quest'Aula che invece quella missione sta svolgendo un ruolo ed un compito molto importante.

  PRESIDENTE. Il Governo ?

  ROBERTA PINOTTI, Ministra della difesa. Presidente, intervengo soltanto per ringraziare, e per dire che la legge-quadro è una legge che sta a cuore al Governo come al Parlamento, quindi da questo punto di vista non c’è nessuna intenzione da parte del Governo di rallentare questa approvazione. Anzi, posso solo ricordare, soltanto perché comunque è attestato dagli atti parlamentari, che la prima legge-quadro l'avevo presentata quando ero presidente di Commissione, quindi potete capire che c’è anche un interesse personale Pag. 27di vedere conclusa questa vicenda legislativa.
  Non ho da replicare agli interventi. Ho ascoltato le relazioni, ho ascoltato gli interventi; credo che sia importante, perché qui sono venuta per ascoltare. Quindi vi ringrazio anche per la qualità del dibattito e per i toni che avete tenuto, legati al fatto che oggi è una giornata particolare, ma credo legati anche al fatto che comunque il lavoro delle Forze armate è un lavoro apprezzato da tutto il Parlamento, e quindi ci possono essere punti di vista diversi sulle singole missioni o sulle strategie, ma c’è comunque una condivisione e una vicinanza di tutto l'arco parlamentare al lavoro dei nostri militari.

  PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
  Sospendo la seduta, che riprenderà alle 18,30 per lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo in relazione ai gravissimi attentati di Parigi. La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa alle 18,35.

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA BOLDRINI

Sui gravissimi attentati di Parigi.

  PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lei, l'intera Assemblea ed i membri del Governo). Care colleghe e cari colleghi, nella notte tra venerdì 13 e sabato 14 novembre, come sapete, la città di Parigi è stata teatro di una serie di terribili attacchi terroristici che hanno ucciso 129 persone – tra cui la nostra connazionale Valeria Solesin – e ne hanno ferite molte altre.
  Ribadisco la mia più ferma condanna ed indignazione per la barbara violenza terroristica che ha colpito non soltanto la Francia, ma l'Europa tutta, minacciando i valori e i diritti che sono alla base delle nostre società democratiche e delle nostre Costituzioni. L'Europa è ora chiamata ad una risposta urgente, unitaria e solidale, per prevenire e contrastare efficacemente il terrorismo di matrice islamista e rimuovere le cause che lo alimentano. La minaccia terroristica è diffusa ad ogni latitudine, non ha risparmiato nessun continente e richiede, pertanto, una strategia coordinata di intervento a livello globale, di cui l'Unione europea può e deve farsi promotrice.
  Ho già provveduto a trasmettere al Presidente dell'Assemblea nazionale francese, Claude Bartolone, alla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, nonché ai familiari di Valeria Solesin, i sentimenti di profonda vicinanza e solidarietà miei e della Camera dei deputati.
  Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio – Applausi).

Informativa urgente del Governo in relazione ai gravissimi attentati di Parigi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo in relazione ai gravissimi attentati di Parigi.
  Dopo l'intervento dei rappresentanti del Governo interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per dieci minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.

(Intervento dei rappresentanti del Governo)

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni Silveri.

  PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Signora Presidente, colleghi, Parigi e la Francia, una città e un Paese carissimi a noi così vicini – in Italia Pag. 28diciamo i nostri cugini, oggi dovremmo dire nostri fratelli – sono stati colpiti per la seconda volta questo anno e ci sentiamo colpiti anche noi. Quindi la prima cosa che credo il Governo debba dire in questa Aula è che ci sentiamo colpiti insieme ai nostri fratelli francesi e reagiremo uniti, reagiremo insieme. Centotrentadue morti, trecentocinquanta feriti, di cui un centinaio molto gravi, tra questi, come ha appena ricordato la Presidente, Valeria Solesin, una donna italiana esemplare, che ricordiamo stasera abbracciando anche i suoi genitori, che hanno dato un buon esempio di umanità in questi giorni, e i suoi cari.
  Di questa terribile tragedia due cose credo siano molto chiare, la prima è che si tratta di un attacco di un livello senza precedenti per numero di terroristi coinvolti, per il loro coordinamento, per la ferocia nel colpire obiettivi comuni, per l'uso di cinture esplosive. Un attacco senza precedenti. L'altra cosa che è molto chiara sono i responsabili, è il terrorismo fondamentalista islamico. Questo terrorismo non nasce oggi, è attivo da un quarto di secolo, ha avuto il suo picco nella versione Al Qaeda nell'11 settembre, ma è dall'estate del 2014, dall'estate scorsa che con la sfida di Daesh è diventato – bisogna, credo, riconoscerlo – molto più pericoloso. Pericoloso perché oggi controlla un territorio abbastanza vasto, ha ingenti risorse finanziarie, è in grado di attirare tra i 25 ed i 30 mila combattenti stranieri, dall'esterno, anche se gli italiani sono meno di un centinaio. È dunque una sfida nuova per la sua violenza e per la sua pericolosità e a questa sfida il Governo e il Parlamento devono reagire innanzitutto intensificando il lavoro per proteggere la vita e la sicurezza degli italiani, questa è oggi la principale preoccupazione diffusa tra i nostri concittadini ed è il principale impegno del Governo e su questo ascolteremo, subito dopo il mio intervento, il Ministro dell'interno Angelino Alfano. A me spetta, se volete, una premessa più generale su come fronteggiare la minaccia innanzitutto a livello internazionale. Fronteggiarla significa una cosa molto semplice: combattere il terrorismo con l'obiettivo di distruggere la sua capacità di controllare il territorio e di estirpare la sua capacità di attrazione. La strage di Parigi avviene del resto in un momento particolare in cui Daesh ha insieme forza, capacità di colpire – come dimostra questa tragedia – ma anche debolezza e dobbiamo esserne consapevoli per mirare bene il nostro intervento. In Iraq, dopo la liberazione di Tikrit, dove è tornato oggi il 90 per cento degli abitanti, e questo è molto importante e non ce l'aspettavamo. L'accerchiamento della città strategica di Ramadi, capitale della regione di Al Anbar, è ormai completato, anche se l'avanzata delle forze irachene è rallentata dai kamikaze e dalle trappole esplosive. L'ultimo e più significativo sviluppo è stata la liberazione del Sinjar, al confine iracheno-siriano. L'area, se ricordate, è popolata dalle minoranze yazide, cristiane e siriache, che proprio nell'estate del 2014 fu teatro della conquista più visibile da parte di Daesh. Intervennero degli elicotteri americani per liberare una parte dei superstiti da questa che appariva una straordinaria avanzata. Ebbene, è stata liberata ed è stata liberata dai Peshmerga curdi, sostenuti da altre forze irachene e della coalizione. Questa operazione ha consentito di tagliare la principale arteria che collega quelle che per Daesh sarebbero le due capitali, quella irachena e quella siriana, del suo territorio e cioè Mossul e Racca.
  Nelle stesse settimane in Siria i curdo-siriani dello Ypg, assistiti dalle forze speciali americane, stanno accentuando la pressione da nord verso appunto l'altra «capitale», tra virgolette, di Racca.
  Sono in corso, come sapete, bombardamenti da parte delle forze statunitensi e australiane, turche e ultimamente anche francesi. Avete sentito che il Presidente Hollande ha detto in Parlamento che i bombardamenti e le operazioni francesi proseguiranno. Ed è in questo quadro che si è inserito a settembre l'intervento militare russo, diretto in parte contro Daesh ma in parte cospicua nella zona ovest della Siria, dove il regime di Assad era in maggiore difficoltà.Pag. 29
  Si tratta di aree in cui sono simultaneamente presenti gruppi ribelli cosiddetti moderati, la Free Syrian army, Jabhat Al Nusra, un'altra organizzazione che l'ONU ha listato tra le organizzazioni terroristiche, e alcune fazioni armate radicali. La settimana scorsa le truppe siriane con il sostegno aereo russo hanno anche liberato una base aerea in questa zona del nord. Bisogna dire che l'intervento russo ha avuto finora un limitato impatto sul piano militare, ma un impatto molto rilevante sul piano politico e ne parleremo pensando alle prospettive della situazione siriana. L'Italia in questo contesto fa la sua parte ed è – e lo dobbiamo dire con orgoglio perché abbiamo centinaia di nostri militari impegnati in questo lavoro – una parte importante nella coalizione anti Daesh. Siamo da sempre, dall'inizio, nella coalizione politico-militare che combatte Daesh, facciamo parte del gruppo di coordinamento di 22 Paesi che ne coordina l'attività, le nostre Forze armate sono presenti con 280 unità in Iraq, di cui 200 lavorano per l'addestramento in Kurdistan di quei peshmerga che hanno liberato qualche giorno fa la città di Sinjar. Ricordiamo il ruolo dei peshmerga e ricordiamo anche con orgoglio il fatto che l'Italia è la leading nation in questo momento nell'addestramento militare alle forze curde perché credo che sia molto importante in quello che sta succedendo nella zona (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà, Scelta Civica per l'Italia, Area Popolare (NCD-UDC)).
  Infine, il nostro Paese svolge un ruolo molto apprezzato nell'addestramento della polizia irachena per il quale operano a Baghdad circa 100 formatori dei nostri carabinieri. Facciamo molto dunque, ma credo che dobbiamo dirci, sull'onda di quello che è successo venerdì notte a Parigi, che dobbiamo fare di più e dobbiamo tra di noi prendere l'impegno nel fatto che faremo di più, faremo di più come Paese perché la situazione che abbiamo di fronte lo merita e lo impone, non è il momento oggi di discuterne i dettagli, ne discuteremo nel corso della normale attività parlamentare, ma non c’è dubbio che questo è un impegno solenne che dobbiamo prendere, reagiremo uniti assieme alla Francia, stiamo facendo molto, possiamo e dobbiamo fare ancora di più.
  Oltre a combattere, onorevoli colleghi, signora Presidente, l'Italia deve svolgere un ruolo sempre più importante, se possibile, se ci riusciamo, nel contribuire all'orientamento politico della coalizione anti Daesh, per non ripetere gli errori del passato, gli errori fatti in Iraq, in Libia, nella stessa Siria, errori dai quali in parte è maturata, è cresciuta la minaccia e l'offensiva dei terroristi, perché dobbiamo sempre essere onesti con noi stessi e riconoscere che la forza di questa offensiva in parte dipende anche dai nostri errori. Certamente noi non abbiamo nulla a che fare con quei criminali, ma il brodo di coltura in cui questa cosa si è sviluppata è anche frutto di alcuni degli errori dell'Occidente. In Siria noi diciamo due cose molto semplici: la prima è che serve una transizione politica per allontanare Assad, il dittatore Assad, il responsabile della più drammatica crisi umanitaria degli ultimi anni senza che il vuoto che si crea venga riempito da Daesh o da Al Nusra; la seconda, è che i russi possono essere fondamentali nel contribuire a questa soluzione e a questa transizione politica.
  Gli incontri di Vienna a cui hanno partecipato i cinque membri permanenti dell'ONU, la Germania e l'Italia e 10 Paesi della regione, hanno aperto uno spiraglio in questa direzione; è solo uno spiraglio, onorevoli colleghi, ma va esattamente nella direzione che noi abbiamo auspicato.
  Una transizione che faccia uscire Bashar al-Assad dalla scena, senza lasciare un vuoto riempito dai terroristi. Quindi, questa è la via che cercheremo di seguire in Siria mentre continua l'attività militare e di combattimento nei confronti di Daesh e del terrorismo.
  Infine, signora Presidente, onorevoli colleghi, questa sfida la vinceremo se la Pag. 30condurremo da italiani, da europei, da occidentali, se, voglio dire, continueremo ad essere noi stessi. Loro vogliono distruggere le nostre libertà, la nostra cultura, le fedi religiose diverse dalla loro, il ruolo delle donne; sono esattamente i valori che noi, invece, vogliamo difendere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà, Per l'Italia - Centro Democratico), e combatteremo per difenderli, lo ripeto, combatteremo per difenderli. Combatteremo non dichiarando guerra all'Islam, ma combattendo quelli che il re di Giordania Abd Allah chiama: i rinnegati, e cercheremo di farlo con la maggioranza delle comunità islamiche che vivono nei nostri Paesi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà, Per l'Italia - Centro Democratico).
  Gli italiani ci chiedono di difendere la nostra sicurezza senza rinunciare alla nostra libertà e al nostro modo di vivere; questo ci chiedono gli italiani. Lavoreremo per snidare e neutralizzare i terroristi, ovunque siano infiltrati o cerchino di infiltrarsi, ma senza fare confusione tra i criminali e le decine di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga dalle guerre e dalle dittature (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà, Per l'Italia - Centro Democratico), e dovremo farlo, onorevoli colleghi, come si fa nei grandi Paesi e cioè insieme, insieme Governo e Parlamento, insieme maggioranza e opposizione. Proprio perché il momento è difficile è insieme che dobbiamo vincere la paura, assicurare la sicurezza dei nostri concittadini e difendere la nostra patria (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà, Per l'Italia - Centro Democratico).

  PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro dell'interno, Angelino Alfano.

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. Signora Presidente, onorevoli colleghi, mi associo alle parole del collega Gentiloni che riguardano tutto il Governo nella solidarietà alla Francia, agli amici francesi, al Governo francese e al popolo francese. Alla solidarietà alla Francia si è unita in queste ore la vicinanza dei Governi di ogni Paese e della comunità internazionale alle famiglie delle vittime, tra le quali non figurano, come sappiamo, solamente cittadini d'Oltralpe. Anche l'Italia è stata colpita dall'odio dei terroristi e lo è stata non solo come parte di un'Europa devastata, in quanto alcuni nostri concittadini hanno sperimentato di persona l'orrore e il desiderio di morte che è sembrato impossessarsi di Parigi nella notte di venerdì scorso. Consentitemi, qui, di esprimere il mio sincero cordoglio e la vicinanza ai familiari della giovane donna veneziana Valeria Solesin (Applausi) che ha trovato la morte nell'eccidio del teatro Bataclan e di ricordarne la figura di valorosa italiana che era lì per godere della propria libertà.
  I fatti di Parigi dimostrano con un'eloquenza crudele che nessun Paese può considerarsi completamente al sicuro dal rischio di un attacco terroristico. Come ho detto infinite volte e mi ostino ancora a ripetere, non esiste il livello zero di rischio. Esiste, piuttosto, e ne parlerò diffusamente, la possibilità di agire sul suo coefficiente e cioè sul coefficiente di rischio, per fare sì che ne vengano ragionevolmente ridotte il più possibile la dimensione e la capacità di incidenza.
  Ma veniamo alla ricostruzione di ciò che è avvenuto nel nostro Paese subito dopo gli attentati. La risposta da parte del sistema di sicurezza è stata immediata, consentendo fin dalle prime ore successive a quegli eventi di adottare ogni misura di prevenzione considerata adeguata all'evoluzione in atto della minaccia. Una prima Pag. 31circolare del capo della polizia, indirizzata a tutti i prefetti e questori d'Italia, è diramata nella tarda serata di venerdì scorso. Con quella circolare è stato innalzato il livello di allerta al grado 2, corrispondente a quello di rischio elevato, immediatamente inferiore al livello attivato nei casi di attacco terroristico in corso. Chiarisco subito che l'elevazione dello stato di allerta non corrisponde al fatto che in concomitanza con gli eccidi di Parigi siano stati registrati segnali ritenuti indicativi di specifiche iniziative terroristiche che abbiano a bersaglio il nostro territorio o interessi riconducibili all'Italia; vuol dire, piuttosto, che le attività di prevenzione sono dispiegate al loro massimo grado, come è giusto e naturale che sia all'indomani di un atto di siffatta violenza, il che comporta, ad esempio, un'attenzione ancora più elevata nello svolgimento di tutte quelle attività di prevenzione che sono svolte presso i più importanti snodi di traffico, stazioni ferroviarie, scali portuali e aeroportuali, e che comportano, o possono richiedere, il controllo meticoloso dei passeggeri e le ispezioni di bagagli e merci. È proprio quello che è accaduto nelle ore successive ai fatti di Parigi, allorché è stata intensificata la vigilanza sui treni da e verso la Francia nonché all'interno delle stazioni che sono poste lungo la relativa fascia di confine. L'innalzamento dell'allerta consente anche l'attivazione rapida, naturalmente in caso di necessità, dei reparti speciali delle Forze di polizia, in particolare di NOCS e GIS, e delle Forze speciali militari chiamate a entrare in azione in scenari di particolare complessità operativa.
  Tornando alle iniziative assunte all'indomani degli attentati di Parigi, riferisco che la mattina del 14 novembre è stata convocata una riunione del Comitato di analisi strategica antiterrorismo, il CASA, che ha proceduto a una prima analisi degli eventi parigini. Anche sugli elementi emersi in quella riunione si è fondata la seduta straordinaria del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica presieduto al Viminale, poco dopo, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi. È in quella sede che si è stabilito di anticipare l'utilizzazione a Roma del contingente ulteriore di mille uomini delle Forze armate il cui impiego, finalizzato alle specifiche esigenze del Giubileo, era stato deciso il giorno prima dal Consiglio dei Ministri, nell'ambito del decreto-legge dedicato non solo a Roma, ma anche ad altre specifiche esigenze territoriali.
  Mentre vi parlo, si stanno avviando le operazioni di dispiegamento immediato di settecento militari a cui, nei prossimi giorni, si aggiungeranno le altre unità che completeranno questo dispositivo supplementare. Tengo a sottolineare che si tratta di un nucleo aggiuntivo, cioè di uomini in più, messi a disposizione della capitale, proprio in ragione delle maggiori esigenze di controllo derivanti dal Giubileo. Preciso, infatti, che a Roma è già a disposizione del prefetto un contingente di 1.300 militari, precisamente 1.296 nell'ambito dell'operazione «Strade sicure» che ha visto nel 2015 l'impiego di 4.800 uomini, più i 1.800 di Expo in tutto il territorio nazionale e altrettanti ne vedrà nel 2016, in forza delle previsioni inserite nella legge di stabilità.
  Ho detto e lo ripeto che il ricorso all'utilizzazione di aliquote delle Forze armate non corrisponde al disegno di militarizzare la capitale. Il concorso delle Forze armate sarà misurato e, proprio in quanto tale, circoscritto e limitato soltanto al presidio fisso degli obiettivi sensibili. Questo consentirà di ottimizzare gli sforzi e di poter disimpegnare un numero corrispondente di risorse – di risorse, ovviamente, delle Forze di polizia – per utilizzarle in impieghi operativi e info-investigativi destinati alla prevenzione e al controllo del territorio. Del resto, Roma è adeguatamente presidiata dalle nostre Forze di polizia ed è il caso di ricordare che la forza effettiva, cioè concretamente dispiegata nella capitale e nel territorio della provincia, è di poco superiore a 24 mila unità tra Polizia di Stato, che concorre con l'aliquota più consistente pari a 11.694 operatori, Arma dei Carabinieri, che ne conta 7.438, e Guardia di Finanza, Pag. 32che, a sua volta, ne impiega 4.897. Comunque, nonostante tali ragguardevoli numeri è previsto un potenziamento ulteriore degli organici che non riguarderà solo Roma, ma interesserà anche altre attività italiane particolarmente rappresentative nella prospettiva dell'evento giubilare per la presenza di significative vestigia della cristianità. Intanto sono state assegnate a Roma 1.197 unità aggiuntive delle Forze di polizia; inoltre, a partire dal prossimo mese di giugno, in virtù di nuove assunzioni autorizzate dal decreto-legge n. 78 di quest'anno saranno impiegabili altre 2.500 unità, la cui parte preponderante verrà simmetricamente divisa tra Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, e cioè 1.050 ciascuno, mentre un'aliquota di 400 uomini verrà invece incorporata dalla Guardia di finanza.
  Fin da questo mese si procederà, inoltre, ad assicurare un rinforzo anche ai presidi di polizia ubicati in alcuni centri del turismo religioso che, con l'anno giubilare alle porte, vedranno, sicuramente, incrementati i flussi di pellegrini. Mi riferisco alle città di Padova e Perugia, ma anche ad Ancona e Foggia in relazione alla Santa Casa di Loreto e al santuario di San Giovanni Rotondo.
  Nella stessa giornata di sabato il capo della polizia ha diramato una seconda circolare di allertamento; è stata richiamata l'attenzione delle autorità provinciali di pubblica sicurezza su alcune essenziali attivazioni dettate dal particolare momento. In questo ambito è stata sottolineata la necessità che venissero incrementate quelle particolari attività che il nuovo contesto emergenziale ha reso prioritarie. Sono stati, pertanto, implementati i controlli delle arterie stradali, delle reti ferroviarie e dei valichi di frontiera, in particolare rafforzando, con l'invio di ulteriori uomini, i principali punti di transito con la Francia, anche in esito a intese intervenute con le stesse autorità di sicurezza transalpine.
  Riguardo al possibile rischio di atti eclatanti anche sul nostro territorio, è stato poi richiesto l'aggiornamento dei piani che prevedono l'impiego, ovviamente eventuale, delle unità operative di primo intervento della polizia di Stato, costituite presso alcune questure dopo l'attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Si tratta di speciali task force destinate a fronteggiare, grazie al loro addestramento, le situazioni di intervento più critiche. Contestualmente, è stato disposto l'aggiornamento del quadro di analisi degli obiettivi sensibili per adeguare le misure di vigilanza e i piani provinciali antiterrorismo e di emergenza alle diverse condizioni di rischio.
  Signora Presidente, onorevoli colleghi, naturalmente la predisposizione di pianificazioni di sicurezza dedicate all'evento giubilare risale a ben prima che si consumassero i tragici attentati del 13 novembre. Una direttiva generale per la pianificazione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e la gestione integrata delle emergenze è stata diramata dal dipartimento della pubblica sicurezza ai prefetti e questori d'Italia lo scorso 22 ottobre. Il metodo che si sta seguendo vede chiamati in causa diversi gruppi e tavoli di lavoro tecnici, perché, di fondo, il lavoro svolto fin qui ha inteso fortemente valorizzare e proseguirà a farlo i principi di sinergia, collegialità e coordinamento, vale a dire che si sta operando con la massima consapevolezza di dover coinvolgere ogni componente del sistema di prevenzione e ogni componente del sistema di sicurezza allo scopo di fare sì che le possibili ipotesi di rischio trovino la loro risposta in una specifica e studiata contromisura. La governance centrale di questo complessivo dispositivo di prevenzione è naturalmente assicurata dal dipartimento della pubblica sicurezza e ha fondamentalmente il compito di delineare e aggiornare costantemente gli scenari di rischio e conseguentemente elaborare le misure organizzative, tecniche e gestionali finalizzate ad assicurare il migliore svolgimento del Giubileo e delle iniziative ad esso collegate.
  Come accennavo, vorrei precisare che vi è una collaborazione continuativa con tutte le altre competenti articolazioni dello Stato a vario titolo interessate dall'evento giubilare. Il raccordo operativo ed informativo Pag. 33è stato attivato, quindi, sia con il Comando operativo di vertice interforze del Ministero della difesa sia con il Ministero degli esteri, in particolare per garantire i dispositivi protettivi in favore delle personalità e delegazioni straniere che interverranno alle cerimonie in programma. Il cuore di questo modello che fa dell'esperienza italiana una delle più avanzate del mondo dell’intelligence è rappresentato dal Comitato di analisi strategica antiterrorismo che siede presso il dipartimento della pubblica sicurezza. È questo l'organismo motore cioè il luogo istituzionale di alto coordinamento in cui le articolazioni antiterrorismo delle Forze di polizia e gli organismi di informazione e sicurezza del Paese lavorano fianco a fianco con metodica frequenza, attivando uno scambio osmotico il cui risultato finale è quello di rafforzare il patrimonio di notizie e il bagaglio informativo di ciascun attore. In questa sede viene costantemente affinata l'analisi circa l'evoluzione dei vari scenari di rischio ed è da questa sede che il sistema genera, in direzione di tutti i protagonisti della sicurezza gli alert necessari a mantenere sempre alta la guardia. È una metodologia che io stesso ho portato come esempio di best practice italiana, suscettibile di essere trasposta nei fori di cooperazione internazionale, coinvolgendo più strettamente le diverse agenzie nazionali e anche organismi come Europol e Interpol. L'impegno dei singoli Paesi, infatti, è una condizione insufficiente rispetto alla globalità e diffusività della minaccia jihadista, capace di mimetizzarsi abilmente nelle società europee eludendo controlli e verifiche di polizia.
  Vorrei aggiungere che la consapevolezza di acquisire e veicolare informazioni con la più ampia circolarità è il fondamento operativo di un gruppo tecnico del Consiglio europeo, il Police working group on terrorism, il cui mandato è stato opportunamente orientato al contrasto dei combattenti stranieri.
  Il fatto nuovo, evidenziato dalla tragica sequenza di morte di venerdì sera, sta nell'apparente casualità degli obiettivi prescelti dal comando degli attentatori. Non più luoghi simbolo dell'opposizione anche culturale al jihad, come fu a gennaio di quest'anno in occasione della strage di giornalisti satirici di Charlie Hebdo; non più obiettivi sensibili, riconducibili a interessi di Paesi ritenuti ostili, verso i quali si è sempre indirizzata la furia distruttrice dei kamikaze. Il bersaglio dei terroristi in azione è rappresentato, stavolta, da una molteplicità di quelli che gli analisti definiscono i «soft target», luoghi di aggregazione comune destinati, in varia forma, allo svago e al divertimento, quali un bar, un ristorante, uno stadio, una sala concerti, il che sembra seguire una perversa logica di attacco frontale alle libertà più elementari, ai nostri stili di vita, al nostro stesso modo di essere.
  Non dobbiamo, tuttavia, nemmeno perdere di vista quelli che ancora consideriamo gli obiettivi più appetibili, legati all'essenza della minaccia terroristica e al suo fanatismo ideologico di matrice religiosa. È del tutto naturale, quindi, che il livello di preoccupazione possa crescere in coincidenza con l'imminente avvio del Giubileo straordinario della misericordia e, del resto, la persona del Pontefice, il Vaticano, Roma e gli altri simboli della cristianità sono già stati al centro di dichiarazioni minacciose incitanti alla distruzione e all'odio, come quelle che nel settembre del 2014 – e anche a gennaio di quest'anno – sono state pronunciate da Mohammad al-Adnani, il portavoce dell’Islamic State, e poi diffuse attraverso il web, cioè l'arma di comunicazione strategica più suggestiva e potente utilizzata dal terrorismo islamico.
  È per questo motivo che la pianificazione dei dispositivi di sicurezza, relativi allo svolgimento dell'Anno santo, si concentra sui punti più sensibili e a rischio, a cominciare da piazza San Pietro, dove confluiranno imponenti masse di visitatori e di pellegrini, soprattutto in occasione delle cerimonie più significative del Giubileo. Il loro afflusso seguirà percorsi prestabiliti e il filtraggio verrà eseguito sia in transitu, con l'ausilio di metal detector portatili, sia all'atto dell'accesso alla Pag. 34piazza, con il passaggio obbligato attraverso nuove postazioni fisse munite di dispositivi di ultima generazione.
  Una particolare attenzione è dedicata al rischio che un attacco terroristico possa essere portato dall'alto, utilizzando anche dispositivi aerei a pilotaggio remoto, meglio conosciuti con il nome di «droni». Vorrei rassicurare che ogni aspetto di una possibile minaccia aerea è stato approfondito a livello interforze e interdisciplinare, coinvolgendo anche l'aeronautica militare, l'ENAC e l'ENAV, riguardo alla estensione dei provvedimenti che andranno a interdire il sorvolo durante l'intero periodo del Giubileo. Del resto, la questione del controllo dello spazio aereo viene attentamente seguita anche dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, presso la quale è stato istituito un tavolo di coordinamento ad hoc, dedicato sia all'analisi delle criticità sia alla individuazione delle soluzioni operative.
  Signora Presidente, onorevoli colleghi, gli eventi francesi di venerdì dimostrano, senza ombra di dubbio, che è aumentato notevolmente il grado di temibilità della minaccia jihadista. Essa, indirizzandosi ora su obiettivi nuovi, mai prima considerati fra quelli sensibili, mostra caratteri di imprevedibilità, che rendono assai più ardua l'attività di contrasto e, soprattutto, quella di prevenzione.
  La vicenda francese di questi giorni sembra offrire una nuova chiave di lettura all'offensiva terroristica ed emerge, ancora più nettamente, dunque, la necessità che la piaga del terrorismo islamico venga affrontata dalla comunità internazionale, unitariamente con iniziative sistemiche e con un fronte largo di alleanze. Questa istanza di coesione l'abbiamo sempre sostenuta e particolarmente caldeggiata a livello internazionale, associandola a un continuo impegno di rafforzamento del nostro sistema di sicurezza.
  I dati sulla operatività raggiunta nel corso del 2015 stanno a dimostrare quanto serio e tenace sia lo sforzo prodotto e non possiamo negare, in quest'Aula, che nella drammatica cronologia del terrore, che dall'avvio di questo secolo e dall'avvio di questo millennio ha distrutto, dal punto di vista del dolore, tantissime comunità nel mondo, l'Italia non è stata coinvolta. I dati sull'operatività raggiunta sono significativi e lo sono nei vari contesti operativi. Sono state controllate, dal 1o gennaio di quest'anno, 56.426 persone e sono state eseguite 540 perquisizioni su soggetti in vario modo legati al terrorismo.
  Sono stati controllati o perquisiti oltre 8 mila veicoli, 160 navi e voglio chiarire che non si è trattato di controlli occasionali, ma di mirate verifiche che hanno riguardato soggetti sui quali, grazie ad un'accurata attività di osservazione, si era appuntata l'attenzione degli organi investigativi.
  Sono stati, dunque, anche consistenti gli esiti che ne sono seguiti: sono state arrestate 147 persone, indagate in stato di libertà più del doppio, cioè 325, ed espulse e rimpatriate altre 55, per motivi di sicurezza dello Stato o di prevenzione del terrorismo, quali soggetti radicalizzatisi, imam, donne e uomini che avevano dato a che pensare ai nostri sistemi di sicurezza e che sono stati espulsi.
  Notevoli risultano anche le recenti operazioni che hanno portato al rintraccio di due cittadini stranieri, con precise evidenze di appartenenza a gruppi estremisti. Si tratta di un pachistano e di un tunisino, e quest'ultimo già espulso dopo una condanna per terrorismo, rientrato in Italia ma immediatamente individuato ed espulso una seconda volta.
  Inoltre, sono stati sistematicamente controllati i luoghi di aggregazione culturale e religiosa collegati all'islamismo, con un'attenta attività di monitoraggio e censimento e – ripeto – sono stati individuati e allontanati gli imam più pericolosi, responsabili dei processi di radicalizzazione e di incitamento alla violenza, perché questa è una grande democrazia e il nostro è un grande Paese. Noi riconosciamo il diritto di culto e il diritto alla preghiera. Noi diciamo, al milione e 600 mila musulmani che sono presenti in Italia, che noi sappiamo ben distinguere chi prega da chi spara. Chi prega continui a pregare e prenda le distanze da chi spara, Pag. 35perché noi cacceremo e inseguiremo coloro i quali sparano e coloro i quali vogliono dare solidarietà a quelli che sparano, ma sapremo ben distinguere che la preghiera è una cosa diversa dal crimine (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia e Per l'Italia-Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto).
  È stata posta in essere, dunque, un'attività incessante e continua di prevenzione, un'attività anche e perciò grigia e faticosa. È l'attività di prevenzione che, per sua stessa costituzione, tende ad evitare che si verifichi un evento negativo e, dunque, il mancato verificarsi di un evento non produce la soddisfazione di un giorno. È il riepilogo di questi dati che ci conforta sulla tenuta degli apparati di sicurezza, ma non può certo illuderci sulla invulnerabilità del nostro Paese. Però, al tempo stesso, ci obbliga, in questa occasione, ad un sentito grazie a tutte le donne e gli uomini in divisa, delle forze dell'ordine e delle nostre Forze armate, ai nostri militari, agli uomini e alle donne della nostra intelligence che, con grande forza e con grande sacrificio, hanno lavorato per proteggere il nostro Paese (Applausi).
  Il confronto tra il Presidente del Consiglio e i capigruppo parlamentari è stato un momento di unità, in cui sono prevalsi sentimenti di coesione nazionale e un forte richiamo alla responsabilità delle forze politiche e spero che il passare dei giorni non spenga questo spirito unitario, perché tra poco il Parlamento licenzierà la legge di stabilità del 2016 e, già nelle dichiarazioni di queste ore, si intravede la consapevolezza che occorra riconsiderare ancora in meglio, dopo alcuni anni con il segno più, le risorse destinate alla sicurezza, per adeguarle a questi sforzi aggiuntivi. Credo che questa potrà essere una prima prova concreta e significativa di una reale coesione nazionale, una coesione nazionale che si rende necessaria – e concludo, signora Presidente e onorevoli colleghi – perché siamo tutti consapevoli che stiamo vivendo la storia di Governi e di popoli in lotta per la libertà, minacciati da chi pretende, con la violenza, di affermare l'esistenza di uno Stato cancellandone altri.
  Questa che stiamo vivendo è la storia della megalomane ambizione di un uomo, che si pretende califfo, e della folle corsa di migliaia di giovani europei, che credono di potere purificare la propria anima uccidendo in nome di Dio, un Dio che non avrebbe mai consentito questa barbarie. Dunque, mai come ora è chiaro a tutti che sicurezza e libertà sono due parti di un unico insieme. È per questo che continueremo a fare tutto ciò che è possibile e umano per garantire la sicurezza, perché vogliamo difendere la nostra libertà. I nostri padri, onorevoli colleghi, i nostri nonni sono morti per donarcela; noi non ce la faremmo rubare (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia-Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto).

(Interventi)

  PRESIDENTE. Adesso passiamo agli interventi dei rappresentanti dei gruppi.
  Ha chiesto di parlare il deputato Ettore Rosato. Ne ha facoltà.

  ETTORE ROSATO. Grazie, signora Presidente. Gentile Ministra e Ministri, colleghe e colleghi, la domanda di Papa Francesco come il cuore dell'uomo possa ideare e realizzare eventi così terribili resta nell'aria senza una ragionevole risposta.
  Di fronte alla strage di Parigi non possiamo che esprimere un senso di profondo dolore e lutto per le vittime e tutta la nostra solidarietà e commozione per un Paese fratello e una città simbolo della convivenza e dei valori europei. Sono sentimenti che, come partito e come gruppi parlamentari di Camera e Senato, abbiamo già espresso sabato all'ambasciatrice Catherine Colonna.
  Un pensiero speciale – mi si consenta – per la famiglia di Valeria Solesin, alla Pag. 36loro sobrietà, al loro incolmabile dolore, a cui ci sentiamo tutti veramente accomunati (Applausi). E grazie, Presidente, anche per il ricordo che lei ha voluto fare in piazza Montecitorio, così sobrio e così solenne insieme.
  Le immagini di vittime scelte a caso, occidentali o arabe, cristiane o musulmane, ci dicono che non è una guerra di civiltà; ci dicono che non è una guerra di religione. Le immagini sono uguali – quelle di Parigi – a quelle di Beirut, a quelle di Garissa o a quelle dei cieli del Sinai. È la violenza cieca di fanatici che strumentalizzano Dio e che usano il Corano per giustificare atrocità e voglia di potere. Non lo diciamo solo noi, ma lo dicono anche le autorità religiose musulmane, autorità religiose a cui noi chiediamo di dire, con voce più forte e sicura, che Corano e Islam nulla hanno a che vedere con stragi e kamikaze (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia Centro Democratico). Lo faccio così come ha sollecitato con forza oggi il nostro collega Chaouki, in queste ore aggredito da offese e minacce non per il suo dire ma per il suo essere, a cui esprimiamo tutta la nostra solidarietà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico, Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Sinistra Italiana - Sinistra Ecologia Libertà, Per l'Italia - Centro Democratico).
  Ad impressionarmi, Presidente, in queste ore non sono solo le immagini crude delle vittime e dei luoghi degli attentati, ma anche quelle tristi dei luoghi deserti di Parigi: musei chiusi, cinema chiusi, ristoranti chiusi. Le immagini della paura. I terroristi di Daesh sanno che la nostra forza sta nella democrazia, nel dialogo, nella libertà e quelle vogliono attaccare. A loro questo spaventa. Sanno immaginare un mondo fatto solo di uomini soldato, di donne schiave e sottomesse, di bambini devoti e senza speranza.
  Ma noi siamo tutt'altro che disarmati e, come ha detto oggi il Presidente Mattarella, reagiremo con fermezza, decisione ed intransigenza. Lo hanno detto bene i nostri Ministri nelle loro analisi. Siamo consapevoli – lo spiegava bene il Ministro Gentiloni – che il livello di scontro con Daesh è diverso da qualsiasi altro paragone possibile con il passato e la nostra risposta deve essere conseguentemente all'altezza. Deve esserlo sul fronte esterno, dove dobbiamo aumentare l'attività diplomatica e la pressione militare. La diplomazia non serve certo a negoziare con Daesh la fine degli attacchi terroristici. È una strategia impraticabile e lo dico riferendomi anche alle cose che scrivevano i colleghi del MoVimento 5 Stelle, chiedendoci di smettere di considerare il terrorista come un soggetto disumano, con il quale nemmeno intavolare una discussione. Lo dico perché, purtroppo, sono disumani e lo dico perché, purtroppo, ci rendiamo tutti conto, oggi più che allora, che questo è impossibile.
  Serve ora costruire una coalizione che sia unita nel contrasto e nelle operazioni militari, ma anche nell'evitare un'altra Libia. Dobbiamo evitare che ai regimi si sostituisca il caos. È una diplomazia che sta dando i suoi risultati, che leggiamo in queste ore dai resoconti del G20. Non solo gli esiti finali del vertice impegnano tutti nella lotta contro il terrorismo, ma anche gli incontri bilaterali, che si sono svolti in queste ore, hanno dato esiti positivi. Sono quelli in cui è stato protagonista il nostro Paese; ma anche quelli tra Obama e il Presidente Putin hanno dato risultati positivi, rompendo un ghiaccio che non è utile alla risoluzione di problemi che sono comuni a tutti noi.
  Oppure il vertice di Vienna, come è stato anche qui ricordato dal Ministro Gentiloni, sulla Siria, che va nella direzione da noi auspicata e, cioè, l'uscita di scena del dittatore Assad, che è una premessa indispensabile per ricreare un tessuto democratico in quel Paese. Ma anche le cose che vediamo in Libia perché vanno colti anche i piccoli particolari positivi. E in questo senso, in un Paese per noi così importante, oggi vedere le milizie di Tripoli e l'esercito di Tobruk che combattono a fianco contro le milizie islamiche è stato un momento positivo, che io penso vada Pag. 37nella direzione che noi auspichiamo. E la diplomazia rende anche possibile vincere militarmente. Vincere militarmente senza stragi di civili innocenti, quelle che abbiamo visto purtroppo tante volte. Vincere militarmente è un obiettivo diverso naturalmente dal voler bombardare subito e anche dal mettere gli scarponi sul terreno siriano. È un obiettivo diverso, non perché le nostre Forze armate non siano in grado da subito di fare la loro parte – lo sono e lo hanno sempre fatto –, ma perché ci vuole la cornice internazionale coordinata, condivisa, che vogliamo costruire e che consenta di togliere anche le popolazioni dai ricatti a cui oggi soggiacciono.
  E vale la pena comunque, come diceva il Ministro e io lo ripeto, ringraziare i nostri militari che sono presenti in tanti scenari; sono presenti in Iraq, in Libano, in Afghanistan, in Kosovo, in tanti altri luoghi. E lo fanno con la massima competenza e consapevolezza del loro ruolo. E bisogna ricordare che anche il loro contributo nella lotta contro Daesh è decisivo. Si diceva prima della battaglia di Sinjar, dove, addestrati ed equipaggiati dagli italiani, hanno fatto un risultato veramente importante per la riconquista di un terreno che è casa loro. E non siamo disarmati neanche nella battaglia interna. Venerdì ci sarà un vertice importante di tutti i Ministri degli interni in sede europea. Quella sede lì è importante per noi per richiamare ancora una volta la necessità di norme comuni sul diritto d'asilo, sui rimpatri assistiti, su una politica, insomma, che veda l'Unione europea condividere le cose da fare. Ma anche più informazioni tra le forze di polizia, più fiducia tra i Paesi. Non bisogna confondere l'immigrazione clandestina, chi scappa da un Paese in guerra e chi svolge attività terroristica. È un errore gravissimo che la politica tutta non può compiere. E io credo che noi siamo chiamati qui a saper fare con grande decisione questa distinzione. E l'abbiamo dimostrato, che siamo preparati, anche per come abbiamo gestito l'Expo: ventidue milioni di visitatori. Una manifestazione internazionale enorme, in cui nessun incidente c’è stato, per l'organizzazione capillare delle nostre forze di polizia, ma anche per quel lavoro difficile, silenzioso, che, come diceva il Ministro Alfano, non fa notizia; lavoro che i nostri servizi segreti, insieme alla magistratura e alle forze di polizia, svolgono ogni giorno, che è quello della prevenzione. E noi vogliamo ricordare questo lavoro e non vogliamo neanche dimenticarci che accanto al ricordo bisogna fare di più. Bisogna fare di più in termini di strumenti e lo faremo anche nei prossimi provvedimenti che saranno all'esame di questo Parlamento; vogliamo fare di più anche con le risorse. È un dibattito su cui io penso non sia giusto trasformare quest'Aula in un luogo della contabilità. Però, ci sono 71 milioni di euro in più in questa stabilità; 2 miliardi di euro in più nel triennio 2014-2016; 5.500 assunzioni straordinarie ci sono state in questi anni. Quindi, noi la nostra parte l'abbiamo fatta e l'abbiamo fatta con convinzione. Altre cose si possono fare e lo dico senza infingimenti. Abbiamo bisogno di farle insieme. Non è importante chi si intesta la battaglia dell'emendamento, ma abbiamo bisogno di farla insieme e lo dico alle altre forze politiche. Infatti, la lotta che abbiamo avanti è lunga e difficile. Sabato il Presidente Renzi ha riunito tutti i capigruppo in un incontro importante, non dal valore simbolico, ma dal valore operativo. Un incontro importante in cui si è dimostrato un senso di unità.
  E chiudo dicendo che più delle idee di ognuno, che possono essere diverse su questi temi, abbiamo dei principi comuni e siamo tutti convinti che bisogna sconfiggere Daesh; siamo tutti convinti che bisogna combattere con forza l'estremismo.
  E, allora, non rischiamo di dividerci su punti marginali, non rischiamo di dividerci per una politica di parte, ma lavoriamo insieme perché dobbiamo garantire che politica e istituzioni diano una risposta ai nostri concittadini, che non si aspettano la differenziazione tra di noi, ma che si aspettano da parte nostra decisioni responsabili e condivise. Sono sicuro che lo faremo (Applausi dei deputati dei gruppi Pag. 38Partito Democratico, Area Popolare (NCD-UDC), Scelta Civica per l'Italia, Per l'Italia - Centro Democratico e di deputati del gruppo Misto).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Sorial. Ne ha facoltà.

  GIRGIS GIORGIO SORIAL. Grazie. Gli attacchi di Parigi sono stati terribili e hanno scosso la coscienza e la percezione di ognuno di noi. Nella capitale francese è stata realizzata una vera e propria azione militare con un commando specificatamente addestrato e pronto a morire. Gli attacchi di Parigi sottolineano ormai quanto siano deboli e facilmente attaccabili i sistemi occidentali incerti e fortemente divisi sulla forma di contrasto al terrorismo. E il nostro Paese, con il Giubileo alle porte, rischia oggi di divenire il primo bersaglio dei fondamentalisti. Se i fatti di Parigi rappresentano l'11 settembre europeo, quel che è certo è che occorre rispondere in modo totalmente differente da come si è risposto dopo l'11 settembre statunitense (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Questo perché da quando si è dichiarata una guerra totale al terrore, il terrore è proliferato. I dati del Global Terrorism Index rivelano che le vittime del terrorismo sono quintuplicate dagli attacchi alle Torri Gemelle. E nonostante i 4.400 miliardi – ripeto: 4.400 miliardi – di dollari spesi nelle guerre in Iraq, in Afghanistan e in altre aree di crisi, sono nate nuove sigle jihadiste. Negli ultimi quarantacinque anni, sempre secondo il Global Terrorism Index, l'80 per cento delle organizzazioni terroristiche è stato neutralizzato grazie al miglioramento della sicurezza e alla creazione di un processo politico finalizzato alla risoluzione dei problemi che erano alla base del sostegno ai gruppi terroristici. Solo il 7 per cento, appena il 7 per cento, è stato, invece, eliminato dall'uso diretto della forza militare.
  Gli attentati di Parigi e i loro esecutori dimostrano ancor di più che il terrorismo 2.0 si affronta internamente, non facendo alzare in volo un F35. L'Italia, ancor prima degli attentati di Parigi, aveva un disperato bisogno di sicurezza. Le forze dell'ordine sono sottorganico e mal equipaggiate. Le risorse, sprecate in cacciabombardieri (parliamo di almeno 13 miliardi di euro buttati via) e in una guerra inutile, oltretutto persa, come quella in Afghanistan, vanno investite in sicurezza interna (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). La sicurezza dei nostri cittadini è un investimento. La sicurezza non è solo una voce di bilancio. Oltre alle forze dell'ordine, è l’intelligence che necessita di sostegni ulteriori, anche attraverso la formazione di corpi d’élite. Sappiamo tutti che oggi non c’è una soluzione immediata al terrorismo, ma sappiamo anche che il terrorismo è una macchina che va a benzina. Per togliere la benzina a questa macchina, occorre da un lato lavorare sul traffico di armi e dei finanziamenti all'ISIS e, contemporaneamente, spegnere uno ad uno i focolai che alimentano il jihad perché questi focolai danno forza di propaganda utile nel reclutamento di nuovi miliziani. L'Italia deve – ripeto: l'Italia deve – ripristinare i fondi che sono stati tagliati da questo Governo alle forze dell'ordine e dare maggiore sostegno all’intelligence (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). L'Italia deve interrompere ogni rapporto, qualsiasi rapporto e sanzionare tutti quei Paesi che, direttamente e indirettamente, sostengono il jihad, in particolare le monarchie del Golfo, come l'Arabia Saudita, che contribuiscono a finanziare in modo illegittimo milizie jihadiste, con la compiacenza dell'Occidente. A Riad è in vigore la sharia, così come a Raqqa, quartier generale dell'ISIS. A Riad le donne non possono guidare. A Riad le donne non hanno alcun diritto. A Riad è in vigore la pena di morte, la fustigazione.
  Ma nel Governo italiano, in questo Governo, sembra che nessuno se ne stupisca, neppure quando all'Arabia Saudita viene concessa la guida del Consiglio dei diritti umani dell'ONU (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non Pag. 39sembra stupirsi nemmeno Matteo Renzi, che solo pochi giorni fa era in visita proprio a Riad.
  L'Italia deve – punto tre – varare subito una moratoria sulla vendita di armi ai Paesi coinvolti in conflitti (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà), anche indirettamente, anche in guerre per procura, come la guerra siriana.
  Guardate, sono stati dati diritti alle merci, tra cui le armi, ma vengono tolti diritti alle persone. Oggi vogliono limitare la libertà delle persone, ma non limitano quella delle armi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Punto quattro, importantissimo: L'Italia deve rafforzare le nostre frontiere. Siamo la porta d'ingresso all'Unione europea e l'Italia, il nostro Paese, è sottoposto a rischi maggiori di altri Paesi. Servono maggiori controlli, controlli efficaci, non come è stato fatto finora.
  Punto cinque: l'Italia deve introdurre misure volte alla prevenzione del terrorismo, misure atte ad avviare processi di contrasto al radicalismo, misure che purtroppo nel «decreto Alfano» sono completamente assenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Non possiamo sempre reagire; non sono sufficienti le reazioni postume, bisogna prevenire e in qualche modo anticipare l'ipotesi di attacchi. Non sarà l'aumento delle pene, non sarà l'aumento delle pene per il carcere a convincere un kamikaze, un suicida a non farsi saltare in aria in una piazza.
  Vanno altresì spenti i focolai che alimentano la propaganda jihadista. La stabilità in Medio Oriente è la condizione necessaria per sconfiggere il terrorismo. Quindi, primo punto immediato: ritiro immediato delle truppe italiane dall'Afghanistan (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ogni militare che si trova in una inutile missione all'estero è un uomo in divisa in meno a difesa del nostro territorio e dei nostri cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Secondo punto immediato: bisogna coinvolgere nel processo diplomatico attori cruciali, ma che finora sono stati messi a margine del dibattito internazionale, come la Lega Araba e l'Unione Africana.
  I Governi europei finora hanno portato avanti iniziative di politica estera non considerando gli interessi e la volontà, ripeto: la volontà, dei propri popoli. Anziché colpire il terrorismo e salvaguardare la sicurezza e le frontiere d'Europa, i Governi europei hanno garantito interessi privati, quelli delle multinazionali e hanno perseguito altri obiettivi.
  La situazione sta precipitando ed è necessario un cambiamento di rotta drastico e immediato. Se la responsabilità degli attacchi in Francia è dell'ISIS e l'obiettivo comune è smantellare l'organizzazione dello Stato islamico nel territorio in cui si è insediato, in Siria e in Iraq, si inizi allora con l'individuare e punire chi compra il loro petrolio (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà), con i proventi del quale loro finanziano la loro struttura e le attività terroristiche in tutto il mondo. Stime indicano che si tratta di almeno 500 milioni di euro ogni anno. Chi finanzia i terroristi va considerato loro pari, è semplice e diretto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  L'Europa deve riconoscere come suo alleato qualsiasi Paese mostri il chiaro interesse di combattere il terrorismo, compresa la Russia. L'Italia e i ventotto devono innanzitutto revocare le sanzioni sancite nei confronti di Mosca per facilitare il percorso di cooperazione e lo svolgimento delle attività diplomatiche.
  Il Governo italiano ha il dovere di agire per garantire la sicurezza interna dei cittadini italiani, ma finora ha dimostrato di non avere alcuna credibilità.
  Vedete, colleghi, quanto detto sinora, questi punti, queste nostre proposte sono la sintesi di atti parlamentari già presentati e depositati dal MoVimento 5 Stelle, alla Camera e al Senato, in tempi non sospetti, che ci auguriamo, nell'immediato, vengano sostenuti ed accolti da questo Pag. 40Governo. Colgo, poi, infine, l'occasione, come gruppo parlamentare, di ribadire la ferma condanna del MoVimento 5 Stelle ad ogni forma di violenza, ad ogni forma di odio e ad ogni tipologia di terrore, nonché la nostra vicinanza al popolo francese e a tutti i nostri connazionali coinvolti. Ci stringiamo attorno al dolore della famiglia di Valeria Solesin, a cui dedichiamo il nostro più profondo rispetto, il nostro pensiero e il nostro saluto (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Renato Brunetta. Ne ha facoltà.

  RENATO BRUNETTA. Signora Presidente, signori Ministri, vi è certamente bisogno di simboli e di gesti per andare avanti dopo tanto dolore, dopo tanti eventi luttuosi, dopo tanto sangue. Per questo, diciamo di sì allo spirito e ai gesti che esprimono l'unità nazionale. L'unità nazionale è un valore decisivo nei momenti gravi della vita di un popolo. Visto che ci hanno dichiarato guerra, è bene allora dirigere le nostre energie democratiche contro il terrorismo, piuttosto che consumarle negli scontri intestini.
  Dunque, unità, signora Presidente, signori Ministri. Ma unità critica nella verità. Unità certamente nel ritrovarci in piazza Montecitorio, un'ora fa, a cantare l'Inno di Mameli, la Marsigliese, l'Inno alla gioia della nostra Europa. In cuor mio, signora Presidente, ho cantato anche l'inno del popolo russo, in ricordo dei 224 morti dell'Airbus, di cui 27 bambini, fatto saltare dai terroristi islamici nei cieli del Sinai (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente). Ho cantato anche l'inno del popolo russo, signora Presidente.
  È stato importante, sabato, ritrovarci a palazzo Chigi, immediatamente dopo l'attacco a Parigi, a Parigi e all'Europa; trovarci al tavolo della coesione nazionale fra le forze politiche presenti in Parlamento e il Governo. Tavolo che, ricordiamolo, è stato Forza Italia a proporre nella risoluzione parlamentare dello scorso 22 aprile. Ma unità critica, signora Presidente, perché la coesione nazionale non significa la pretesa di sottomettere i giudizi politici e culturali dell'opposizione a quelli del Capo del Governo. Questo è un passaggio fondamentale di questa seduta, signora Presidente: unità non vuole dire il silenzio della democrazia. L'unità vuole dire democrazia, dialettica democratica, opinioni diverse; unità vuole dire capacità di sintesi.
  Infatti, altrimenti, signora Presidente, se valesse almeno un'interpretazione banale delle parole del nostro Presidente del Consiglio, chi non ci sta a questo suo concetto schiacciato di unità nazionale è un nemico della patria, da trattare come un sabotatore. No, signora Presidente, questa non è l'unità: la democrazia è ben altro, un'Aula parlamentare è ben altro. Per essere efficace, l'unità nazionale deve diventare unità nel fare; esige il rispetto profondo delle principali forze politiche, anche quando dialetticamente in contrasto tra di loro.
  Noi perciò abbiamo posto e porremo in sede parlamentare delle esigenze precise. Esse nascono innanzitutto da un giudizio: lo Stato islamico è il cancro, il male assoluto, va sradicato ovunque si annidi. Quest'azione richiede, però, leadership, questo cancro richiede leadership per essere combattuto e vinto.
  Ma l'Europa oggi non è protagonista di nulla, signora Presidente. L'Europa lascia fare al terrorismo islamico, lascia fare all'America di Obama, che di volta in volta decide se intervenire o non intervenire. Per troppe volte abbiamo lasciato fare all'America, anche venendo meno ai nostri doveri. L'Europa lascia che l'immigrazione clandestina, voluta e determinata dallo Stato islamico, ci invada. L'unica decisione di politica estera di un qualche significato presa dall'Europa è stata quella di farci del male da soli, colpendo la Federazione russa con le sanzioni. Questo non vuol dire acquiescenza nei confronti di quanto avvenuto in Ucraina e in Crimea, ma non era quella la risposta in questo momento Pag. 41di crisi e in questo stato della pace o della guerra del mondo. L'Europa è stata impotente, inutile e passiva davanti all'ISIS.
  Ma, vede, sentendo l'Inno alla gioia, il nostro inno, non ho pensato all'Europa in negativo. Ho pensato al mio sogno di Europa, al nostro sogno di Europa, al soft power, al fatto che l'Europa deve tornare protagonista, protagonista per favorire il formarsi di una coalizione internazionale efficace. Ma deve essere un'Europa forte, un'Europa che cresce, un'Europa non divisa tra cicale e formiche, tra chi deve fare i compiti a casa e chi dice quali siano i compiti a casa che gli altri devono fare. Dev'essere l'Europa solidale, deve essere un'Europa aperta, l'Europa dell'Inno alla gioia. Bene, certamente, Obama e Putin al G20, in quei venti minuti, in quel tavolino, davanti a tutti. Ma non basta, signora Presidente. L'Occidente è fragile e frammentato. L'Italia, il nostro Paese, il nostro Presidente del Consiglio, hanno il dovere di essere i catalizzatori della buona volontà del fare tra est e ovest, senza sudditanze verso nessuno, con quella capacità di dialogo che da De Gasperi a Craxi, a Cossiga, ad Andreotti e a Berlusconi ha caratterizzato la politica estera dell'Italia repubblicana.
  Chiediamo, signora Presidente, fuori dalla retorica e fuori dalle chiacchiere, un primo grande fatto a valenza politico-strategica e anche simbolica, ovvero che l'Italia promuova la rinuncia unilaterale dell'Europa alle sanzioni contro la Federazione russa. Questo avrebbe un significato straordinario in questo momento. Al di là delle considerazioni fattuali e al di là delle considerazioni mercantilistiche del dare e avere, avrebbe un significato fondante, come quello che unì i popoli nel secondo dopoguerra contro il nazifascismo e come quello di Lepanto, che unì la cristianità contro il turco. Ecco, noi abbiamo bisogno di un fatto fondante come questo per ridare leadership all'Europa, per ridare speranza. A questa condizione, signora Presidente, siamo disponibili ad una partecipazione piena all'iniziativa del Governo contro il terrorismo. Ma basta retorica, basta risposte burocratiche, Ministro Alfano, basta egoismi, basta miopie, in Italia come in Europa ! Ritroviamo tutti insieme lo spirito di lotta per la libertà, per la nostra libertà (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Cicchitto. Ne ha facoltà.

  FABRIZIO CICCHITTO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, ha detto il Presidente del Consiglio che è fondamentale che, da ora in avanti, si stabilisca una strategia comune a livello internazionale per affrontare questo terrorismo di tipo nuovo.
  Allora, a questo punto, bisogna definire con che cosa stiamo facendo i conti. Il Presidente Hollande, l'altro ieri, ha parlato di guerra. Il nostro Ministro degli esteri Gentiloni, nella sua intervista di oggi, ci prega di non parlare di guerra. Però, cos'altro è, se non un'azione di guerra, quella che è stata messa in atto a Parigi ? A definire la realtà, a mio avviso, ci aiuta il Pontefice. Papa Francesco ha usato un'espressione più articolata e complessa di quella di Hollande, ma altrettanto drammatica. Egli ha parlato di una «terza guerra mondiale a pezzettini».
  Questa definizione ci aiuta a cogliere i termini di una realtà che va al di là degli schemi tradizionali e che è quella di una guerra ibrida e asimmetrica. Nella guerra ibrida e asimmetrica che oggi attraversa il mondo si combinano gli elementi più eterogenei, dall'autentica guerra guerreggiata, che si sta sviluppando in Siria e in Iraq, agli attacchi terroristici di varia intensità, che hanno insanguinato sia Paesi islamici, come la Tunisia, l'Egitto e il Libano, sia Paesi europei, come in passato la Danimarca e adesso, nella forma più estrema, la Francia.
  Il secondo nodo da affrontare riguarda la definizione della qualità e dell'estensione del fenomeno terrorista. Nel passato abbiamo polemizzato con definizioni asettiche e diplomatizzate, che parlavano di un terrorismo senza aggettivi e qualificazioni. No, non si tratta di un terrorismo Pag. 42senza aggettivi. Si tratta di un terrorismo espresso dalle correnti più radicali del fondamentalismo islamico, quindi da una minoranza relativamente ristretta, ma molto aggressiva, sia sul piano mediatico sia su quello dell'esercizio della violenza, portata alle conseguenze più aberranti.
  In effetti, la versione Daesh del terrorismo islamico spacca e divide il mondo islamico e mussulmano e, anzi, allo stato, il maggior numero delle sue vittime è proprio costituito da mussulmani. Daesh finora ha ucciso circa 100 mila mussulmani che non si piegavano alla sua dittatura. Dobbiamo anche dirci che gran parte del fenomeno dei rifugiati è prodotto sia da gestioni violente del potere statuale, come è avvenuto in Siria, sia da quel terrorismo che si è fatto esercito e Stato, come è accaduto in una parte della Siria e in Iraq. Diciamo ciò perché non abbiamo per niente condiviso i titoli di alcuni giornali, che stabilivano una sorta di identità tra l'islamismo e il terrorismo. A nostro avviso, il maggior favore che si può fare al nucleo dirigente di Daesh è proprio quello di affermare questa identità, che è contraddetta proprio dalla realtà. Come dice oggi Gilles Kepel sul Corriere della Sera, i terroristi vogliono un'Europa xenofoba. Se 2 miliardi circa di mussulmani diventassero tutti terroristi e si riconoscessero in Daesh, allora la partita diventerebbe tragica.
  A quei vasti settori del mondo mussulmano che si sono espressi in questi giorni in modo contrapposto a Daesh diciamo che abbiamo colto la loro netta distinzione e con essi colloquiamo, ma che è fondamentale, però, che la loro posizione nel futuro sia ancora più netta e chiara e che si rivolga in modo esplicito alle giovani generazioni.
  È evidente che, a questo punto, si impone una svolta da parte della comunità internazionale nel suo complesso, una svolta che sia all'altezza della guerra asimmetrica in atto. Ma questa svolta deve partire dalla correzione di una serie di comportamenti politici sbagliati, che hanno favorito la propagazione e l'insediamento territoriale di Daesh. Per dirlo in estrema sintesi, uno di questi errori, o peggio ancora, ha riguardato il modo barbaro con cui Assad ha gestito il suo Paese. Alcuni degli interventi realizzati dagli USA in Iraq sono stati segnati da una paradossale eterogenesi dei fini, consegnando tutto il potere agli sciiti ed emarginando del tutto i sunniti, una parte dei quali ha reagito prima con il terrorismo parcellizzato e poi con Daesh.
  Il neoimperialismo russo, manifestatosi in Ucraina, ha provocato le sanzioni e ha messo in crisi l'intesa di Pratica di Mare e comunque le due cose, l'Ucraina e il Medio Oriente, oggi non vanno confuse, come fa l'amico Brunetta che sembra avere con Putin lo stesso rapporto di totale solidarietà che aveva a suo tempo il PCI con l'URSS di Stalin (Commenti). Inoltre la demonizzazione spesso portata avanti nei confronti di Israele è un tragico controsenso. Infine l'ambiguità nei confronti di Daesh, messa in evidenza da Stati come il Qatar, la Turchia e da alcune importanti famiglie dell'Arabia Saudita, va assolutamente superata. In sostanza per combattere davvero Daesh occorre quel chiarimento di fondo a cui si riferisce il Presidente Renzi quando parla di definire la strategia. Una volta fatti i chiarimenti politici di fondo, senza i quali nulla di serio e di razionale decollerà, l'unica via realista è quella di investire Daesh sul terreno dello spazio vitale nel suo insediamento territoriale in Siria e in Iraq, attraverso la formazione di una coalizione tra le principali potenze mondiali (gli USA, la Russia, la Cina, gli Stati arabi e l'Unione europea) che ponga in essere una serie di interventi politici e di azioni militari che puntino a disintegrare gradualmente le conquiste territoriali e a smontare specialmente sul piano politico le tre componenti essenziali su cui si fonda Daesh, che è costituita da una massa di fanatici, da quadri dirigenti provenienti dal Baath e dall'esercito di Saddam Hussein e da tribù sunnite spesso estremizzate in seguito agli attacchi efferati provenienti dalla milizie sciite dell'Iran.
  Quella di Daesh è una sfida non solo ai nostri valori di libertà, ma questa volta a Pag. 43Parigi sono stati aggrediti anche alcuni aspetti della nostra vita quotidiana e si è sparato alla cieca colpendo in primo luogo dei giovani, come la giovanissima Valeria Solesin alla cui famiglia va la nostra più profonda solidarietà.
  Abbiamo visto poco fa in televisione come è stato accolto il discorso di Hollande dal Parlamento francese eppure, sia ai tempi di Charlie Hebdo sia adesso, sono emersi parecchi interrogativi su eventuali errori da parte dei servizi e delle forze di polizia, ma Sarkozy e la stessa Le Pen si sono comportati con una grande serietà e compostezza perché si sono resi conto che siamo davanti ad una drammatica svolta storica. Mi auguro che la linea tenuta dalla Le Pen porti l'onorevole Salvini a riflettere per evitare che si possa dire che l'originale è sempre meglio delle imitazioni (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC)). Ciò detto l'augurio che faccio è che riusciamo a combinare insieme un dibattito politico serio ed aperto con una unità di fondo per la difesa del nostra Paese ed i suoi cittadini e con una solidarietà tra tutte le forze politiche e sociali (Applausi dei deputati del gruppo Area Popolare (NCD-UDC).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Scotto. Ne ha facoltà.

  ARTURO SCOTTO. Grazie signora Presidente, signori Ministri, Sinistra Italiana esprime il suo cordoglio profondo verso il popolo di Parigi, verso le famiglie delle vittime, verso tutti coloro che nel corso degli ultimi giorni hanno dovuto contare non semplicemente i morti e i feriti ma hanno dovuto fare i conti con le proprie biografie, con i propri tempi di vita, con i propri valori ed esprime il proprio cordoglio alla famiglia di Valeria Solesin, una nostra connazionale, su cui vorrei fermarmi un attimo perché lei rappresenta quella meglio gioventù che nel corso degli ultimi anni ha scelto di frequentare il mondo con il punto di vista della volontaria di Emergency dentro i luoghi della sofferenza provocati da quelle guerre che hanno prodotto tanta parte dei lutti che oggi si sono determinati.
  E vorrei guardare a questa crisi con gli occhi di tante donne e di tanti uomini di professione musulmana: ha ragione chi lo diceva, ha ragione anche il presidente Cicchitto, che nel corso degli ultimi anni sono stati le principali vittime del Daesh. Quando andiamo a fare la contabilità dei tanti migranti che scappano, dei rifugiati, dovremmo cominciare a ricordare più spesso, prima ancora che interrogarci sui fenomeni, che scappano dalle guerre provocate dall'estremismo islamico del Daesh e da quelle dittature che tutti diciamo a parole di voler combattere.
  Io credo che sia il momento della responsabilità: della responsabilità innanzi tutto nell'uso delle parole, perché abbiamo una funzione parlamentare e siamo un Paese che sta dentro un contesto difficile. Lo diceva prima il Ministro Gentiloni: non siamo fuori da questa crisi, siamo pienamente dentro i rischi di quel terrorismo che – come ha detto Anne Hidalgo – non ci toglierà la gioia di vivere, di continuare a vivere un'esistenza normale, a non procedere a quello scambio tra sicurezza e libertà che vorrebbero imporci coloro che scelgono di fare gli attentati a Parigi, ma anche quell'attentato sull'aereo russo che tornava da Sharm el-Sheikh o, cosa non citata da nessuno, l'attentato di tre giorni fa a Beirut, dove hanno perso la vita tante persone.
  Quindi ci troviamo di fronte alla scelta di costruire un profilo come Paese, e di fare di più. Ha ragione, Gentiloni: dobbiamo fare di più; ma mettiamoci d'accordo su cosa significa fare di più. Io penso che fare di più oggi significa innanzitutto chiudere i rubinetti finanziari che stanno alimentando ancora oggi il Daesh, in queste ore (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) ! Fare di più significa fare una scelta molto precisa: disarmare il Medio Oriente (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà) ! E non come nel corso degli ultimi anni (penso agli ultimi due), continuare a trafficare le armi con le «petromonarchie», 741 milioni nel 2014, 880 milioni nel 2013: anche così si disarma il Medio Pag. 44Oriente, interrompendo quel flusso. Perché come scrivevano in un autorevole editoriale di Famiglia Cristiana due giorni fa, occorre forse cominciare a dire che qualche volta i soldi puzzano; e in questo caso puzzano tantissimo, perché puzzano di morte, alimentano le dittature e talvolta finanziano il terrorismo islamico (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà).
  E occorre forse fare delle scelte un po’ più nette, anche rispetto ad alleati: alleati preziosi, nella NATO e ci auguriamo in futuro anche nell'Unione europea. Bisogna dire qualche parola in più, Ministro Gentiloni, sulla Turchia: perché nel momento in cui oggi si firmava una carta importantissima al G20 qualcuno continuava a bombardare le postazioni curde che sono in prima linea nella lotta contro il Daesh (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà e del deputato Cicchitto) ! E questo a maggior ragione se sono vere, come sono vere, le cose che lei diceva rispetto alla liberazione di Sinjar: che significano una cosa ben precisa, che il Daesh comincia a perdere terreno e quindi sceglie di diversificare la sua strategia. Lì c'erano i peshmerga, ma c'erano anche i combattenti di quelle organizzazioni che ancora oggi sono dentro la lista internazionale delle organizzazioni considerate terroristiche, e che però, come il PKK, stanno combattendo sul terreno l'integralismo islamico.
  Bisogna fare di più, costruire una coalizione larga, favorire il dialogo, come lei ha detto, tra Russia, Unione europea e Stati Uniti, e costruire, come si è cominciato a fare a Vienna, una transizione politica per superare la dittatura di Assad, ma evitare che si determini il vuoto, che si determini la tripartizione di quel Paese e la nascita e la stabilizzazione di uno Stato terrorista.
  Occorre fare di più, a partire da scelte molto chiare sull’intelligence. Io la dico così, passatemi la battuta, siccome il terrorismo tende a portarci tutti in un eterno presente e quindi a cancellare la memoria – mi è venuto in mente leggendo i giornali, come tutti quanti voi, dove si diceva che gli attentatori di Parigi avevano scambiato informazioni attraverso una console della Playstation perché, probabilmente, altri strumenti erano facilmente intercettabili –, vorrei ricordare, proprio perché abbiamo il dovere di coltivare la memoria quando parliamo di guerra, che fece molto di più Alan Turing con il sistema di decrittazione di Enigma contro la Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale che le tremila tonnellate di bombe che furono scaricate inutilmente su Dresda. Forse occorrerebbe allora un investimento maggiore su questo terreno.
  Occorrerebbe mettere al centro una politica che metta definitivamente la parola «fine» – lei lo diceva, Ministro, e lo abbiamo molto apprezzato – rispetto ad errori fatti in passato. Abbiamo dovuto attendere quindici anni per sentire Tony Blair dire che probabilmente è stato fatto un errore invadendo l'Iraq e che probabilmente se oggi ci troviamo il Daesh e il proliferare di integralismi la responsabilità è da rintracciare lì, perché l'illusione coltivata di esportare la democrazia sulle ali dei cacciabombardieri è stata all'origine del disastro con cui oggi dobbiamo tutti quanti confrontarci. Occorre da questo punto di vista fare una seria autocritica se vogliamo guardare avanti e battere il terrorismo insieme, reagendo come grande Paese in un'Europa che continua a coltivare quei valori di libertà, di uguaglianza e di fratellanza a cui non vogliamo rinunciare ! (Applausi dei deputati del gruppo Sinistra Italiana – Sinistra Ecologia Libertà – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Giovanni Monchiero. Ne ha facoltà.

  GIOVANNI MONCHIERO. Grazie, Presidente. Signori ministri, membri del Governo, colleghi, siamo qui oggi a commentare ed esprimere le nostre opinioni di fronte ad un atto di terrorismo di inusitata gravità, che viene dopo molti altri e che è ragionevole pensare sarà seguito da altri. Scopo del terrorismo, come dice la parola, è infondere paura, a cui segue un senso di Pag. 45angoscia e di impotenza e una indistinta volontà di rivalsa. Le prime reazioni che vengono in mente dopo fatti come questi sono quasi sempre reazioni estreme: o nell'eccesso di riconoscere i propri torti, quasi a giustificare il terrorismo, o nella proclamazione di soluzioni clamorose, di discorsi bellicistici da bar. Ecco, io credo che come non ci salverà la retorica buonista, così non ci salverà certamente la retorica guerrafondaia e che in questo momento sia indispensabile pensare alle risposte possibili sul piano della politica interna e sul piano della politica estera.
  Ringrazio il Ministro Alfano per averci elencato con precisione meticolosa le misure di sicurezza già adottate dal nostro Governo, prima e in seguito a questo triste evento.
  Ha anche detto il Ministro Alfano – vorrei sottolineare questo passaggio – che è indispensabile potenziare le risorse assegnate alla difesa e anche quelle assegnate alle forze dell'ordine, mentre in un recentissimo passato si sono persino dimenticati di disporre i fondi per riparare le autovetture guaste o comprare sufficienti dosi di benzina. Noi non possiamo far mancare la benzina alle nostre forze dell'ordine, ma credo che si debba fare qualcosa di più, incoraggiandoli anche sul piano materiale, riaprendo il discorso delle loro retribuzioni e riaprendo il discorso del riconoscimento che la collettività deve al loro impegno, perché noi siamo una comunità oggettivamente esposta, siamo un bersaglio probabile e per questo dobbiamo essere pronti ad affrontare questo pericolo con tutti gli strumenti possibili, con tutti gli strumenti che un Paese ancora sufficientemente ricco deve mettere a disposizione di chi si preoccupa della sua sicurezza. Questo, come ha detto bene il Presidente del Consiglio, deve anche essere il momento dell'unità, dell'unità interna, dell'unità che non considera democrazia ogni critica pretestuosa, ogni urlo detto in quest'Aula. Quest'Aula è il tempio della democrazia, ma troppo spesso vi risuonano parole insane e io credo che chi la considera davvero tale debba anche sentire il dovere di esprimere concetti più misurati e anche più aderenti alla realtà.
  Ma veniamo al problema dell'oggi, che purtroppo riguarda soprattutto la nostra politica estera: noi dobbiamo dare il nostro contributo immediato ad una risposta che non può che essere globale; serve ovviamente una coalizione internazionale, serve una coalizione che sia in grado di fermare e di travolgere, direi di eliminare quella che ormai è diventata un'entità statale a tutti gli effetti, anche se dello Stato non ha un ordinamento giuridico universalmente riconosciuto. Quindi in questo caso credo che saremo prima o poi obbligati a usare la parola «guerra». La parola «guerra» è una parola terribile, ma quando fotografa la realtà noi dobbiamo avere la coerenza di usarla, ma di usarla con la paura e il timore che questa impone e con la serietà degli atti conseguenti. Voglio richiamare qui un pensiero arcinoto di von Clausewitz, che diceva che la guerra altro non è che la continuazione della diplomazia con altri mezzi. Ebbene, sì, ma anche nella medesima direzione nella quale andava la diplomazia prima e nella quale la diplomazia dovrà andare dopo. Nel recente passato abbiamo spesso compiuto, per paura di pronunciare la parola guerra, isolati interventi di cosiddetta polizia internazionale che si sono dimostrati insensati, che non hanno continuato la diplomazia e che non hanno reso possibile il ripristino delle vie diplomatiche dopo la loro conclusione. La ringrazio, signor Ministro, per aver ricordato come errori quelli che sono stati davvero i nostri errori pregressi: l'invasione e l'occupazione dell'Iraq è la causa prima dell'esistenza stessa del califfato. Vedete, l'idea del califfato costituisce nel mondo arabo una suggestione simile a quella che costituiva nel secolo scorso l'idea dell'Impero romano in questo Paese e purtroppo anche in quest'Aula; è una suggestione che non sarebbe mai nata se Baghdad fosse la capitale di uno Stato vero e non purtroppo una città assediata che non controlla più il proprio territorio. L'occidente porta la responsabilità di questo grave errore, non Pag. 46lo dico perché oggi abbia un senso cospargersi il capo di cenere ma lo dico perché oggi ha un senso non ripetere questo errore, non ripetere l'errore fatto in Libia, non ripetere l'errore fatto nella stessa Siria, perché se si doveva eliminare un tiranno, si doveva trovare il modo che tale passaggio fosse rapido, mentre abbiamo favorito anni e anni di sofferenza al popolo siriano che ci hanno provocato soltanto problemi e che hanno anch'essi favorito la nascita del califfato. L'Italia deve dare il suo contributo sul piano militare, se ce lo chiederanno. Io credo che debba dare anche il suo contributo sul piano della ragione e della diplomazia.
  È già stato ricordato in quest'Aula il valore della diplomazia italiana che nella prima Repubblica ha saputo intrattenere con il Vicino-Medio Oriente rapporti profondi e condivisi con tutte le parti in causa, rapporti che hanno contribuito non solo al prestigio del nostro paese ma anche a mantenere condizioni sufficienti di pace in quell'area così sofferta e per noi così strategica.
  E veniamo oggi alle sfide dell'Europa. La prima sfida è la difesa comune europea, questo è un elemento più volte accennato in quest'Aula, lo ripeto oggi e credo che sia persino superfluo, l'hanno detto anche molti membri del Governo, però bisogna passare dalle enunciazioni di principio ai primi passi verso la difesa comune. E poi la sfida dell'Europa è quella di mantenere la propria società aperta, di mantenere la propria società integrata, e mantenere una società in cui tutti siano uguali e tutti ugualmente tenuti a rispettare le nostre leggi e anche le nostre tradizioni dalle quali quelle leggi promanano.
  E veniamo al mondo arabo moderato. Spesso noi in questi giorni ripetiamo che il mondo arabo moderato deve dire no al terrorismo e in molti casi questa frase è stata anche pronunciata, ma noi lo dobbiamo motivare a dire questo «no», noi dobbiamo far sì che gli arabi moderati, gli arabi che hanno scelto di vivere in questo paese si sentano a casa loro, non trattati da pezzenti e spesso soggetti anche di critiche aprioristiche. Se vogliamo una società integrata dobbiamo accogliere il diverso e costringerlo ad accettare i nostri valori.
  E veniamo ai nostri valori, lo lascio per ultimo, perché non è soltanto una frase di rito quella che sto pronunciando, naturalmente unisco anche la solidarietà mia e del mio gruppo alla famiglia Solesin che ha perso una figlia in un modo tremendo. Io vorrei riportare l'attenzione di noi tutti sul comportamento della famiglia Solesin, sulla compostezza inusuale e straordinaria con la quale quei genitori hanno accettato di parlare in televisione, che deve essere una cosa tremenda per dei genitori che hanno perso la figlia in quel modo, e di dire le cose che hanno detto, di dire le parole che hanno detto nel modo in cui le hanno dette (Applausi dei deputati del gruppo Scelta Civica Per l'Italia). Io credo che questa sia stata l'immagine più bella che ha dato l'Italia in questi giorni e in questo spirito io faccio appello affinché anche quest'Aula mostri il suo rispetto alla famiglia Solesin condividendone valori fondanti come il rispetto e la compostezza.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pini. Ne ha facoltà.

  GIANLUCA PINI. Grazie Presidente, anche noi ci associamo al cordoglio, alla condivisione del dolore che le famiglie delle vittime hanno provato, che gli amici delle vittime hanno provato, in particolar modo la nostra connazionale, ma ci associamo anche alla condivisione della rabbia che in tanti in questo paese provano nei confronti di quella comoda cecità da conformismo che impedisce di affrontare questo dibattito in maniera concreta, seria e non in maniera ipocrita, come purtroppo abbiamo sentito finora in quest'Aula. Non risponderemo alle varie provocazioni che sono arrivate dai colleghi dei vari gruppi che sono intervenuti prima di noi come non risponderemo alle provocazioni delle sciagurate parole pronunciate oggi dal Ministro Alfano nei confronti del nostro segretario federale. Sciagurate perché ci fanno preoccupare, quando un Ministro Pag. 47dell'interno pensa che il nemico sia Salvini e non siano i terroristi (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini).
  Noi abbiamo ascoltato veramente, eravamo qui e non è una frase di rito, con attenzione sia le parole del collega Gentiloni che le parole del collega Alfano, tante frasi di rito, tanti assunti generici su quello che è necessario fare, ma in maniera, ripeto, generale e quasi nulla in maniera specifica, se non l'elencazione fatta dal ministro Alfano di come e dove verranno dislocati in maniera urgente, e ci mancherebbe altro, le risorse disponibili, quelle poche risorse disponibili, quelle poche risorse che sono rimaste dopo i tagli pesantissimi che questo Governo ha fatto alle forze dell'ordine.
  Ma non abbiamo assolutamente compreso se il Governo ha, a sua volta, compreso la pericolosità e la situazione in cui ci siamo andati ad infilare, complice anche il lassismo, la debolezza e la mollezza che avete dimostrato verso quel fenomeno devastante che è l'invasione da parte di immigrati clandestini in questo Paese. Si tratta di una modalità di immigrazione clandestina all'interno della quale voi avete sempre negato, in qualche modo, la possibilità che vi fossero infiltrazioni, salvo poi doverle smentire, quando noi, fin dall'inizio, vi dicevamo «dove non ci sono controlli è chiarissimo che passano quelli che non devono farsi in qualche modo identificare». Chi è che non deve farsi identificare ? Non sicuramente quelli che vogliono scappare da uno scenario di guerra, non sicuramente quelli che hanno bisogno di scappare dalla fame o da qualche persecuzione, ma quelli che vengono all'interno di un Paese occidentale che offre delle garanzie per sfruttare quelle garanzie, per abbattere quel sistema occidentale. Di questo voi siete complici e questo soprattutto non avete capito. Ho sentito parlare di questione di guerre di religione, forse lo è, ma attenzione, forse è anche peggio, collega Rosato. A parte che gridare Allah Akbar mentre ci si fa esplodere in aria, o si ammazzano dei giovani all'interno di un concerto, mi dica lei, se non è un concetto legato alla religione ? Questo me lo deve spiegare, come fa a dire che la religione non c'entra nulla. Ma possiamo anche andare oltre e pensare che sia, lo ripeto, peggio, che sia una questione culturale. Questo non avete capito. È uno scontro culturale, perché se è vero che all'interno del mondo islamico ci sono persone disposte a farsi saltare in aria per un credo religioso, è altrettanto vero che non ve ne è neanche una disposta a morire per difendere dei principi di democrazia. Questo voi non l'avete capito. Questo, invece, loro lo hanno capito benissimo e utilizzano le nostre leggi per invaderci e per smontare pezzo per pezzo quella civiltà occidentale che noi con grande fatica abbiamo creato.
  Vedete, c’è una distanza abissale fra queste due culture, è vero ci deve essere il tentativo, portato avanti fino in fondo, di cercare di fare dialogare queste culture, ma ripeto, se non si capisce che c’è una distanza siderale fra questi due mondi difficilmente si potrà trovare un punto di contatto. Invece, voi trattate persone che ancora tengono soggiogate le loro donne, gli impongono il velo, per non dire molto di peggio (come succede, come ricordava qualcuno qui, in Arabia Saudita) come se fossero cittadini occidentali a tutti gli effetti. Non lo sono, lo torno a ripetere, è un problema culturale. L'Islam spesso e volentieri porta di nuovo al medioevo della ragione le proprie popolazioni e noi il medioevo non lo vogliamo rivivere. Se proprio saremo costretti, in qualche modo, ripartiremo da Lepanto, che qualcuno ha citato giustamente, perché noi non ci faremo invadere nonostante la vostra debolezza. Debolezza che si è notata in tutta la sua devastante pochezza quando non avete elencato minimamente quelli che sono gli atti pratici, mentre la Francia ha capito benissimo quello che voi non avete capito, cioè che c’è stata un'evoluzione nel terrorismo, questo è terrorismo di Stato. Qui ci hanno dichiarato guerra, perché se prima c'era Al Qaeda che era un qualcosa di diffuso, di evanescente, che stava nelle grotte, che poteva stare in Pakistan, come in un altro Paese arabo, qui abbiamo uno Pag. 48Stato che ha dichiarato guerra all'Occidente e a uno Stato che dichiara guerra si risponde con atti di guerra. Bisogna iniziare ad armare i nostri aerei che sono in quella zona lì, anche solo come deterrente, poi magari la decisione di rispondere deve essere presa dal Parlamento (come previsto anche dall'articolo 5 del Trattato istitutivo della NATO che difende i nostri alleati), ma intanto iniziamo a ragionare in questi termini. Iniziamo a ragionare come sta ragionando la Francia anche se per fortuna – per fortuna ! – qui ancora non è successo nulla e non grazie a questo Governo, ma grazie alla capacità degli uomini e delle donne dell’intelligence di saper fare il loro lavoro, capacità che però gli state togliendo perché gli state togliendo risorse. Noi proprio sul «decreto missioni» (non aspettiamo la legge di stabilità dove ci sono i vari giochini del do ut des), che viene in Aula a brevissimo, abbiamo previsto un emendamento che dà risorse alla polizia postale per fare il controllo del web, dà risorse (che voi in realtà, prima, invece, avete tolto) per fare intelligence vera, per fare prevenzione.
  Per evitare attacchi di terroristi sul nostro Paese serve assolutamente la prevenzione. Cosa che invece voi non fate, non capite, perché operate sempre in emergenza, mai in un qualcosa che abbia una progettualità mirata a difendere quelli che sono i confini di questo Paese. Quindi servono, come ha giustamente invocato il Presidente Hollande, delle leggi speciali. Sì non abbiamo paura di dirlo, servono in casi di guerra, in stato effettivo di guerra, come lo è questo, e non dobbiamo aver paura di dirlo, delle leggi speciali che ci permettano di chiudere immediatamente non tanto e non solo le moschee, perché qui qualcuno sta facendo il furbo sulla libertà di professare il proprio credo, (noi non vogliamo vietare questo)... noi vogliamo vietare, proprio collegandoci al discorso di prima dell'enorme differenza culturale tra il nostro mondo e quelli islamico, vogliamo vietare che i centri di cultura islamici possano diventare, come lo sono purtroppo in tanti casi, e questo lo dicono le procure, non lo diciamo solo noi, dei centri di reclutamento.
  Vogliamo che vengano sospesi i passaggi naturali fra le frontiere anche all'interno dell'Europa e che vengano rimessi i controlli alle frontiere in maniera seria, in maniera netta, non come oggi dove c’è arrivata notizia che proprio al valico di Ventimiglia, dove era stato segnalato, fra l'altro, un potenziale terrorista in fuga dalla Francia, la gente passava senza nessun tipo di controllo. Questo dovete fare. Dovete iniziare anche a ragionare... Ministro Alfano mi ascolti perché non è...

  ANGELINO ALFANO, Ministro dell'interno. La sto ascoltando...

  GIANLUCA PINI. No, no, lo so che mi sta ascoltando, ma mi ascolti più attentamente. Mi ascolti più attentamente perché questo secondo me è anche un passaggio, lo ripeto, di innalzamento della sicurezza in questo Paese. Trovare i terroristi, scovare chi fiancheggia o scovare chi fa del reclutamento, poi prenderlo ed espellerlo è come prendere una metastasi e spostarla da un corpo ad un altro all'interno di un sistema come quello europeo. Bisogna pensare di metterli in carceri speciali, bisogna pensare di applicare il 41-bis anche per chi compie atti di terrorismo. Bisogna pensare anche di introdurre il concorso esterno in associazione finalizzata al terrorismo. Questi sono strumenti che possono garantire e creare della sicurezza all'interno di questo Paese, tutto il resto sono chiacchiere come mi permetta, Ministro Gentiloni, sono chiacchiere, in questo momento contingente, poter pensare, prima di risolverla militarmente, quindi di partecipare militarmente alla distruzione dello Stato islamico, a una soluzione politica.

  PRESIDENTE. Concluda.

  GIANLUCA PINI. Al dopo Assad ci pensiamo dopo che abbiamo sconfitto il terrorismo, fintanto che non avremo sconfitto l'ultimo terrorista dello Stato islamico, Pag. 49nessuna soluzione politica sarà mai possibile in quel contesto lì, perché si ragiona sempre, questo è l'altro grande handicap e chiudo, in Occidente per esportare la democrazia, ma lì la democrazia, come ho avuto modo di ricordare prima, purtroppo è un concetto che culturalmente ancora, in quei territori, non sono pronti a recepire. Proprio quella è la distanza culturale e abissale di secoli che separa la nostra civiltà dal medioevo dell'Islam (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie-Lega dei Popoli-Noi con Salvini – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Capelli. Ne ha facoltà.

  ROBERTO CAPELLI. Grazie, signora Presidente. Signore e signori del Governo, colleghi e colleghe, non so se sarò capace, ma vorrò tentare di tenermi a distanza dalla retorica e provare a segnalare qualche elemento di discussione su cui credo il Parlamento italiano debba concentrarsi con urgenza. Molto, probabilmente tutto, forse anche troppo, è già stato detto sugli avvenimenti di Parigi di venerdì scorso, quando l'intero sistema dei mass media mondiali dedica ogni sua attenzione ad una spaventosa tragedia come questa. Il rischio già a settantadue ore dagli eventi è quello di ripetere cose già sentite o pensate da altri e di perdere di vista quelli che sono invece, a mio avviso, i nostri doveri istituzionali che sono quelli di comprendere cos’è accaduto e che sta accadendo anche sul territorio italiano e garantire ogni impulso sul piano legislativo, ma anche culturale e sociale, perché questi eventi non si debbano propagare e ripetere. È su questi nostri doveri che vorrei provare a soffermarmi. Il nostro primo dovere è quello di stare vicini alle vittime di questa tragedia, tra queste c’è una famiglia in Veneto che ha perso una figlia in modo assurdo Valeria Solesin, una studentessa italiana ed europea che aveva scelto un altro pezzo di Europa per costruire il suo percorso di cultura, di donna intelligente e capace che mancherà a questo nostro Paese perché era un pezzo prezioso del nostro futuro.
  Dopo il diluvio di immagini, parole, interviste, commenti, che durerà ancora una settimana, forse due, non dimentichiamoci di lei, dei suoi cari e di tutti i ragazzi europei di ogni parte del mondo che sono morti a Parigi. Poi abbiamo, a mio avviso, il dovere di interrogarci e comprendere che quanto sta accadendo non è frutto di una decisione fuggita dal senno ma è il dispiegarsi di una strategia a lungo termine che prende forza dall'11 settembre del 2001 a New York e poi si sviluppa negli attentati di Londra, di Madrid, di Parigi, sui cieli del Sinai, per colpire la Russia, e ancora Parigi. Nel voler citarli tutti si rischia ormai di dimenticarne alcuni. Ci sono persone tra l'Iraq, la Siria, l'Afghanistan e chissà in quanti altri luoghi che in questo momento stanno ragionando su come esportare la loro guerra contro di noi e contro l'intero mondo occidentale; sono persone che hanno capacità finanziarie e armi in quantità. Se vogliamo fermarli, questi mercanti di morte, dobbiamo interrompere i flussi di denaro che li sostengono e dobbiamo mettere fine una volta per tutte al traffico di armi che escono dalle fabbriche europee, russe, americane e tornano nei nostri Paesi per essere puntate contro di noi dopo aver provocato qualche strage nei mercati arabi, nella nostra ottusa indifferenza. Abbiamo bisogno di decisioni coordinate dei Capi di Stato e di Governo e abbiamo bisogno di unire le informazioni di intelligence di cui disponiamo. L'Europa unita è una necessità sul piano economico, della politica estera, come su quello della sicurezza, della difesa, delle politiche di integrazione. La Francia che chiude le frontiere mentre è in corso il massacro dei suoi cittadini, senza sapere che i massacratori sono già entrati dal vicino Belgio, è l'emblema della cecità di quest'Europa ancora non Europa. Chiudersi, come vorrebbero ancora di più gli antieuropeisti e i populisti, che purtroppo non mancano neppure tra noi, sarebbe come provare a fermare il mare con una mano. Quello che serve è il contrario: è aprirsi, unirsi agli altri Paesi sotto attacco come noi, rinunciare a pezzi Pag. 50di sovranità ormai anacronistica per diventare qualcosa di più grande, di più forte, più riconoscibile nel mondo.
  Noi dobbiamo diventare europei davvero. E aprirsi vuol dire anche prendere atto che l'Islam è già dentro le nostre vite con milioni di fedeli di quella religione che vivono e pregano nelle nostre stesse strade, contribuiscono a mandare avanti la nostra economia, il nostro sistema previdenziale, la nostra stessa struttura demografica. Mandarli via non è nemmeno concepibile. Ghettizzarli ancor più di quanto già non avvenga in molte realtà vuol dire fare il gioco dell'ISIS, che punta a reclutare tra i più emarginati, i meno integrati, i suoi combattenti di oggi e di domani.
  Occorre dunque lavorare per una loro più reale integrazione e introdurli ai nostri sistemi educativi e culturali. Laddove c’è cultura le donne e gli uomini di qualunque credo, siano cattolici, ebrei o musulmani, capiscono in un istante quanto siano vere le parole pronunciate ieri da Papa Francesco: usare Dio per giustificare la violenza è una bestemmia ! Diceva il più straordinario rappresentante della cultura non violenta della storia dell'umanità: ci sono molte cause per le quali sono pronto a morire, ma nessuna per la quale sono pronto a uccidere. Facendo leva su quell'insegnamento Gandhi guidò il suo popolo alla vittoria.
  Oggi è nostro dovere rilanciare quella cultura per guidare alla vittoria l'umanità su chi umano non è. Ma sappiamo anche che nemmeno questo basterà, perché accanto alla prevenzione, che richiede tempi lunghi, l'emergenza di oggi è mettere in campo capacità investigativa e di repressione adeguate. Io credo che dobbiamo confidare nella capacità delle nostre forze dell'ordine e dei nostri servizi, ma certo dobbiamo anche metterli in condizione di lavorare fornendo loro mezzi e strutture adeguate e, soprattutto, dobbiamo far sentire loro tutto il nostro appoggio. Ci sono epoche della storia in cui per un popolo, più di ogni altro rimedio, la capacità di stare uniti fa la differenza. Il nostro primo dovere, il dovere di un Parlamento, che è deputato dalla Costituzione a rappresentare tutti i cittadini, è questo: mettere da parte le divisioni, abbandonare i pensieri meschini di cavalcare, per ragioni elettorali, tragedie di questa portata e dare il segnale all'esterno di unità e condivisione d'intenti, di pieno sostegno, dando forza a chi ha oggi la responsabilità di affrontare saggiamente questa difficile fase della storia sulla base degli indirizzi parlamentari.
  Con questo spirito e questa disponibilità il gruppo Per l'Italia, nelle sue articolazioni (Centro Democratico, Democrazia solidale, Comunità di Sant'Egidio), si presenta oggi dinanzi al Paese e insieme a quanti altri condividono i valori, come noi, della solidarietà, della vita, della libertà, dell'uguaglianza, della fraternità e di questi valori ne hanno fatto una stessa ragione di vita. Impegniamoci dunque perché noi ci presentiamo oggi davanti al popolo italiano con la convinzione che ognuno di noi rispetti questo mandato. Impegniamoci a non deluderli, anche se, purtroppo, credo che oggi non ci siamo ancora riusciti (Applausi dei deputati del gruppo Per l'Italia-Centro Democratico – Congratulazioni).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fabio Rampelli. Ne ha facoltà.

  FABIO RAMPELLI. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, Ministro Alfano, Ministro Gentiloni, lo sgomento è scolpito nei nostri cuori e la partecipazione al dolore delle famiglie colpite dalla tragedia di Parigi resta viva e presente in ogni cellula del nostro corpo, ma a pochi giorni da quella raffica di attentati giunge il momento delle riflessioni. Lo stile di vita occidentale, si è detto da più parti, subisce una guerra che è stata dichiarata mille volte dal terrorismo islamico. Si tratta di atti ufficiali, consegnati dai capi delle principali organizzazioni jihadiste alle reti di informazione e rimbalzate su tutti i media del pianeta, da circa vent'anni. Dichiarazioni che non sono mai state prese seriamente, nemmeno di fronte alle stragi più efferate. L'Occidente è diviso, l'Europa resta fragile, Francia e Germania parlano tra loro con il coltello dietro la schiena pur avendo stessi obiettivi di egemonia, Pag. 51la Gran Bretagna parla d'Europa solo quando vuole uscirne, l'Italia viene esclusa dai formati per restare nella morsa delle altre potenze, i Paesi economicamente più deboli sono terra di conquista, come dimostra il protagonismo tedesco sui Balcani e l'Est europeo; la Francia punta su Africa e Nordafrica mentre la Russia resta uno storico nemico invece che un tassello fondamentale per rendere competitivo, nell'era globale, un vecchio continente da dimensioni bonsai; finora è stato impossibile stabilirci perfino un'alleanza contro la jihad. Anche gli Stati Uniti d'America vogliono evitare che l'Europa cresca troppo e si saldi con la Russia, mettendo in pericolo la loro egemonia sul Pianeta. Insomma, è in atto nel Terzo millennio la solita guerra del tutti contro tutti, che ha animato l'Occidente nei due conflitti mondiali. Prima ci si sparava contro ora si spara contro qualcun altro, ma funziona come nel detto «parlo a nuora affinché suocera intenda»: non sparo a te, ma bombardo la Libia, tanto per capirci. A proposito, il Governo italiano deve smetterla di aspettare che tutti si mettano d'accordo per scendere in campo lì, in Libia. In Siria c’è la fila per chi debba fare incursioni aeree e non si sa cosa sia rimasto in piedi di quel Paese pieno di cultura e sapere. Tra un po’ si daranno i numeretti per stabilire i turni delle bombe. Quello siriano è un conflitto geopolitico tutto occidentale, di cui l'ISIS rappresenta solo un pretesto. Autorevoli personalità in questi giorni hanno detto che siamo in guerra ma, casomai sfuggisse, per fare una guerra serve un nemico accertato. Il primo problema è che non tutta la comunità internazionale riconosce nello Stato islamico il suo nemico. Alcuni Paesi vogliono farci patti, e questo è un nodo da sciogliere; altri ci fanno affari, e questo è un altro nodo. Per avere successo in questa guerra occorre stroncare il traffico finanziario, che fu molto florido con Al Qaeda e Osama Bin Laden quanto oggi lo è con l'ISIS. La vendita di armi vede coinvolte fabbriche situate negli Stati Uniti, in Cina, in Russia, in altri Paesi europei, come dimostrano gli assalti di Parigi, ma ci sono altri affari incontrastati: il traffico di uomini e la loro migrazione verso il Nord, il traffico di droga, quello di organi, spesso a discapito di creature innocenti.
  Nessuno si preoccupa di contrastarli. Così come i 20 milioni di dollari introitati dal terrorismo attraverso i rapimenti e i riscatti pagati, Ministro Gentiloni, dai Paesi occidentali, Italia inclusa. Per sostenere un conflitto contro il neocaliffato terrorista servono alleati islamici fedeli affinché non si inneschi la pericolosa dinamica della guerra di religione. Ma questi alleati vanno messi con le spalle al muro: di qua o di là. E finora nessuno lo ha fatto. I principali finanziamenti all'ISIS vengono, infatti, dal Qatar, dall'Arabia Saudita, dal Kuwait, dai Paesi islamici storici, partner commerciali riconosciuti per tutto l'Occidente. Per fare una guerra dichiarata da altri servono motivi che non siano semplicemente il diritto di guardare le partite di calcio allo stadio o di partecipare a un concerto heavy metal. L'Occidente deve recuperare i propri valori profondi e avere voglia di difenderli e propagarli. L'Unione europea non emoziona nessuno; nessuno si batterebbe per essa, come purtroppo affermano i terribili numeri di un sondaggio che vede pochissimi europei disposti a combattere contro il terrorismo islamico. In Italia, il 30 per cento. E questa cifra deprimente dovrebbe indurci forse a riconsiderare la già abolita leva obbligatoria. Per vincere una battaglia, serve la diffusione di questi valori nel territorio dove, stando ad Al Jazeera, l'80 per cento degli arabi condivide l'IS e le sue conquiste. Serve la rete, la contaminazione culturale dei giovani, l'istruzione, il lavoro, lo sviluppo. Non possiamo, al contrario, risucchiare centinaia di migliaia di migranti ogni anno e svuotare quelle nazioni dalle persone da cui ci si aspetta la rivoluzione democratica. La democrazia non si impone con le armi, ma si afferma con il consenso. Come e chi esercita questo ruolo di fabbricatore di consensi per i valori dell'Occidente ? Quali Governi amici, quali movimenti e partiti ? Sono le popolazioni islamiche a doversi conquistare Pag. 52il diritto alla libertà contro i tiranni. Le bombe da sole hanno provocato solo rancore e risentimento. Per vincere, occorre piantarla con l'ipocrisia e sapere che rinnegare la propria identità aiuta i terroristi. Non dobbiamo togliere i crocifissi dalle scuole, così come nessuno tra noi può chiedere di eliminare i simboli della propria cultura dai Paesi islamici. L'integrazione è la somma delle identità, non la loro distruzione.
  Per avere successo, in questo dramma internazionale, serve ammettere che l'attuale gestione del fenomeno migratorio è catastrofica e pericolosa, Ministro Alfano. È vero che non tutti i richiedenti asilo sono jihadisti, ci mancherebbe altro, ma è anche vero che alcuni di loro possono esserlo e per nessuna ragione al mondo può accadere quanto si è verificato a Merano, dove i terroristi arrestati avevano case popolari e 2 mila euro al mese di sussidio da parte del comune. E siamo stufi delle dichiarazioni di principio e degli scioglilingua nei telegiornali da parte dei rappresentanti del Governo. Vogliamo un cambio di rotta, iniziando a non immettere nel circuito dell'accoglienza coloro sui quali non si abbiano notizie rassicuranti in ordine al loro passato, rimpatriando immediatamente, con un miliardo di euro messo sulla legge di stabilità, chi ha avuto risposta negativa alla prima domanda di protezione internazionale. Potranno fare ricorso da casa loro, non restare in Italia fino a tre anni scorrazzando senza controlli di alcun tipo nelle nostre città esasperate in attesa del verdetto dei sovraffollati tribunali. Per vincere occorre mettere in sicurezza l'Italia, il che significa dare a Esercito e forze dell'ordine almeno gli stessi armamenti ed equipaggiamenti dei terroristi. Non ci vuole una scienza per capirlo, ci può arrivare chiunque, anche lei, Ministro Alfano. Per vincere contro il terrorismo, è necessario mettere in rete le informazioni tra le intelligence della comunità internazionale. Non è accettabile avere una divisione dei servizi segreti nazionali di fronte a una minaccia mondiale che utilizza gli strumenti più sofisticati di comunicazione. I terroristi hanno moderni kalashnikov e i nostri agenti hanno pistole a quindici colpi; hanno giubbotti antiproiettile di ultima generazione i primi, mentre i secondi – quei pochi che li indossano – li hanno scaduti; usano caschi stile marines e i nostri uomini in divisa sono costretti a berretto semplice pena sanzioni disciplinari; hanno tecnologie high level e i nostri girano con i ponti radio; viaggiano in aereo mentre alle nostri volanti manca la benzina. Gli stipendi sono da fame, commissariati e caserme cadono a pezzi. Loro possono sparare ed uccidere ragazzi innocenti.
  I nostri poliziotti e carabinieri finiscono davanti a un giudice per uno schiaffo, a causa di una società buonista, cioè apparentemente buona, ma realmente perfida, che si nutre solo di ipocrisia, di immagine e di propaganda fatte sulle spalle dei servitori dello Stato. Se la Francia è in guerra, e concludo, sono in guerra l'Europa e l'Italia, come ammonisce l'articolo 42.7 del Trattato sull'Unione. Questa orribile pagina di sangue e dolore può dare vita a un nuovo inizio, come capita alle storie più belle il cui finale deriva da enormi sciagure.
  Il Governo chiede oggi unità di fronte all'emergenza terrorismo. Si rafforzino giustizia, forze dell'ordine, Forze armate, intelligence, diplomazia e cooperazione, si rimandino indietro i migranti che non hanno ottenuto lo status di profughi e quelli su cui non abbiamo informazioni sufficienti a garanzia della nostra sicurezza, e noi saremo al nostro posto, come sempre in prima linea, a difesa dell'Italia e dell'Europa, per vincere quella terza guerra mondiale a pezzettini, così chiamata da Papa Francesco (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Massimo Artini. Ne ha facoltà.

  MASSIMO ARTINI. Grazie, Presidente, grazie, Ministri. Farò un intervento che va direttamente alle comunicazioni che hanno fatto sia il Ministro degli affari esteri che il Ministro dell'interno, perché, Pag. 53dalle parole che sono uscite, al netto dell'indubbia gravità della situazione, ci sono spunti che nei giorni mi sembrano aggravarsi, anche proprio nel lessico e nelle parole. Fra le domande che pongo, perché avrei avuto piacere di sentire già una risposta direttamente dai Ministri, vi è da chiedersi cosa significhi, come ha detto il Ministro Gentiloni, che faremo di più e che sarà un impegno solenne nei confronti della Francia fare di più.
  La Francia appare in questo periodo avere la volontà e il Presidente Hollande pare abbia chiesto l'applicazione delle disposizioni del paragrafo 7 dell'articolo 42 del Trattato sull'Unione, che né più né meno indica l'obbligo per i Paesi europei di supportare un Paese che è stato attaccato con un'aggressione armata. Questo mi fa domandare come possa esserci, se nell'immediato vi è una richiesta di questo tipo, un processo politico diverso e che vada ad organizzare, insieme ai Paesi nell'area del Medio Oriente, quel passaggio politico che è necessario a evitare le situazioni come l'Afghanistan, come la Libia o come l'Iraq, che si sono venute a creare negli ultimi 15 anni.
  Ragionamento che dovrebbe essere anche, come Italia, portato in quel tavolo rispetto a quello che è un po’ un modo di vedere – penso a quello dell'alleato americano – che è ancorato a delle visioni del passato che non si applicano più: il contrasto forte rispetto alla Russia, che nasce in maniera ancestrale, e, soprattutto, una mancanza di visione rispetto anche alla situazione nel Medio Oriente, cosa che, peraltro, si è vista in questi ultimi tre anni di situazione siriana.
  Mi farebbe piacere, oltre a ringraziare il popolo curdo per il lavoro che ha fatto contro il Daesh, che fosse chiamato – e l'Italia dovrebbe essere uno dei Paesi a farlo – a quel tavolo insieme anche ad altre forze non statuali che già sono presenti a quel tavolo, cioè integrare anche quel buon esempio che è stata l'esperienza dei curdi siriani in questa situazione, per cui, in un contesto pur di guerra, sono riusciti a creare un ambiente democratico nella zona del nord-est della Siria.
  Sul fronte interno, e vado a concludere, perché i minuti sono indubbiamente pochi, Ministro, vorrei che ci fossero almeno tre cose: intanto una valutazione del fatto che l'Europa non può continuare a mantenere agenzie che supportino il controllo delle frontiere in maniera così blanda. Il problema può non essere l'Italia, può essere anche causato da Paesi a noi vicini, che hanno controlli peggiori. In più, come abbiamo fatto un controllo forte al sud d'Italia per l'immigrazione e per i flussi migratori che provenivano dalla Libia, è importante, in questo momento, concentrarsi su quei territori italiani del nord-est che confinano con l'area balcanica da cui le notizie ci informano che è venuta, nel flusso migratorio creatosi nell'estate, anche una serie di gravi situazioni di pericolo. Se non ho capito male, alcuni dei passaggi di esplosivi sono avvenuti anche da quel canale.
  Quindi questo va insieme a un qualcosa che tutti hanno detto, una maggiore integrazione – e finisco Presidente – dell’intelligence a livello europeo. L'informazione è preziosa per ogni singolo Stato, ma è necessario che vi sia un modo. Per questo chiedo l'impegno al Ministro per gli affari esteri, anche nei tavoli europei, di potere condividere queste informazioni (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alternativa Libera).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Abrignani. Ne ha facoltà.

  IGNAZIO ABRIGNANI. Signora Presidente, signori Ministri, esprimo innanzitutto un forte abbraccio di tutto il gruppo ALA ai familiari per la perdita assurda e senza senso della loro giovane figlia, Valeria Solesin. È una solidarietà poi da estendere a tutto il popolo francese e ai suoi morti, un popolo sgomento e oggi, purtroppo, in preda ad un ovvio panico.
  Ma non illudiamoci. Il silenzio che in tutte le case italiane ha cambiato il normale venerdì sera di svago era un silenzio di solidarietà, di sgomento ma anche di paura, paura per le parole con le quali, in televisione, quel delinquente con la scimitarra Pag. 54ci avvertiva che tra i successivi bersagli del califfo al-Baghdadi ci sarebbe stata anche Roma.
  Signor Ministro dell'interno, nella riunione che abbiamo avuto a palazzo Chigi con tutti i presidenti di gruppo di Camera e Senato, le ho chiesto – e lo ripeto – maggiori risorse, certo per le forze di polizia e per i carabinieri, ma soprattutto per la nostra intelligence, che fino adesso mi sembra abbia lavorato bene e abbia ottenuto risultati. Ma la vera sfida forse arriva adesso. Utilizziamo, perciò, tutte le nostre fonti e la tecnologia per non abbattere quel terrorista dopo che è uscito di casa e magari ha già svolto parte del suo macabro compito, ma, attraverso la nostra intelligence, andiamolo a prendere a casa e impediamogli di uscire.
  Cosa fare ? Direi che il compito enorme e anche l'augurio è che da Antalya, dove sono uniti i capi del mondo civilizzato, si capisca che solo uniti si può battere il Daesh. Via le gelosie nazionali, via le azioni non coordinate ! Le intelligence devono cooperare tra di loro, scambiarsi informazioni, cooperare, collaborare, fare tutto il possibile, come forse soltanto una volta nel mondo hanno fatto, contro la furia nazista. Era guerra quella, ma è guerra anche questa. Pertanto, bisogna stare uniti, fianco a fianco, e stanare e colpire chi oggi vigliaccamente colpisce i nostri luoghi di svago, dove i cittadini forse sono ancora più indifesi. E poi bisogna andare tutti uniti in Siria, in Afghanistan e in Iraq non con singole azioni nazionali: non servono dei bombardamenti singoli. Tra l'altro vediamo da una parte i russi che bombardano gli avversari di Assad, gli americani che ogni tanto colpiscono le truppe di Damasco, i francesi l'ISIS e i turchi che attaccano i curdi. Non è questo il modo di battere l'ISIS, ma è soltanto stando insieme, rispettando i curdi, rispettando comunque chi si batte per la libertà contro il dittatore. Sono queste le scelte che ci auguriamo arrivino da Antalya, dove i capi del mondo dovrebbero apprendere come lezione che soltanto l'unione potrà battere chi oggi nell'ombra colpisce selvaggiamente la nostra civiltà.
  C’è stato, infine, un passaggio che ho apprezzato sia del Ministro Gentiloni che del Ministro Alfano, quando si sono espressi su un concetto su cui concordo: una cosa sono i musulmani, sparsi nel mondo, che pregano, che professano la loro religione e hanno tutto il diritto di farlo; un'altra cosa sono questi terroristi, che infangano loro per primi per motivi personali e affaristici forse lo stesso nome di Maometto. Facciamo capire a questi amici musulmani che abbiamo bisogno di loro, del loro aiuto e delle loro notizie per battere anche i loro nemici, perché solo tutti insieme, cristiani e musulmani uniti, si può abbattere questi nemici della civiltà (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero).

  PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pisicchio. Ne ha facoltà.

  PINO PISICCHIO. Presidente, Ministri, onorevoli colleghi, esistono passaggi nella storia in cui anche i Parlamenti devono centellinare le parole e lasciare spazio a gesti, a determinazioni politiche, a scelte condivise da tutto il popolo e non solo dalla sua maggioranza. L'eccidio di Parigi è questo passaggio.
  È un passaggio che non trova mal cimento solo nelle parole, pur necessarie, di pietà – uso questo termine nell'accezione latina di pietas, che è, al tempo stesso, la cifra della nostra identità culturale europea – per le vittime innocenti. È un passaggio che impone nuove consapevolezze – sono state opportunamente evocate –, nuovi strumenti – i Ministri ne hanno fatto riferimento –, nuove coesioni. Siamo con il Governo italiano e lo saremmo anche se fosse di un diverso colore politico, perché il primo fondamentale valore in questo momento è quello dell'unità nazionale e poi europea e di tutte le civiltà che hanno come riferimento la vita degli esseri umani e non la morte.
  Siamo di fronte ad un fenomeno forse peggiore del nazismo: gli assassini nazisti avevano un limite che li rendeva prevedibili. Pag. 55Il limite era la loro stessa vita. Un kamikaze questo limite non ce l'ha. Siamo di fronte ad un cambio di passo del terrorismo islamista. Occorre, dunque, un'intelligenza speciale di quel che abbiamo di fronte, una collaborazione più intensa tra i Governi del mondo, forse un cambiamento del nostro stile di vita. Occorre, infine, non spezzare il filo con l'islam moderato, a cui dobbiamo chiedere una chiara reazione ed una netta presa di distanze dal terrorismo. Infatti, non va mai dimenticato che gli assassini colpiscono l'Occidente, ma ammoniscono anche il mondo islamico (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

  PRESIDENTE. Si è così esaurita l'informativa urgente.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 17 novembre 2015, alle 10:

  1. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   S. 1678 – Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (Approvato dal Senato) (C. 3194-A).
  — Relatori: Mariani e Cera.

  2. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione (C. 3393-A).
  — Relatori: Andrea Romano (per la III Commissione) e Causin (per la IV Commissione), per la maggioranza; Scagliusi (per la III Commissione), Duranti e Frusone (per la IV Commissione), di minoranza.

  3. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   CENNI ed altri: Disposizioni per la tutela e la valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare (Approvata dalla Camera e modificata dal Senato) (C. 348-B).
  — Relatore: Fiorio.

  4. – Seguito della discussione delle mozioni Bergamini ed altri n. 1-00979, Catania ed altri n. 1-01056, Zaccagnini ed altri n. 1-01057, Falcone ed altri n. 1-01058, Parentela ed altri n. 1-01059, Simonetti ed altri n. 1-01060 e Dorina Bianchi ed altri n. 1-01061 concernenti iniziative, anche in sede europea, per la tutela del settore risicolo italiano, con particolare riferimento all'importazione del riso dalla Cambogia.

  La seduta termina alle 20,50.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GIANLUCA PINI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 3393-A

  GIANLUCA PINI. Il provvedimento di proroga missioni contiene misure condivisibili ed altre che lo sono meno. Può essere migliorato, ricalibrando il peso attribuito alle singole missioni ed integrandolo Pag. 56con previsioni emergenziali che ci permettano di affrontare meglio l'aggravarsi dell'emergenza terroristica.
  Le cose che non vanno sono le stesse di sempre: abbiamo troppe missioni. I militari sono dispersi su una moltitudine di teatri dove gli interessi del Paese sono deboli o non sufficienti a giustificare un intervento delle nostre truppe.
  Siamo ancora in Afghanistan ed abbiamo apparentemente deciso di starci un altro anno per permettere ad Obama di evitare l'onta dei Taliban a Kabul. Ma ci siamo messi in una brutta situazione. Siamo ad Herat con capacità addestrative di rilievo, ma forse possibilità di autodifesa modeste. Che si fa se i Taliban si presentano alle porte della nostra base e ci attaccano ? Forse era meglio rimanere agganciati alla tabella di ritiro originaria.
  Siamo ancora pure in Libano, non si sa bene a far cosa. Blocchiamo lì più di 1.100 soldati.
  Abbiamo 4 maggiori missioni navali: Active Endeavour – a proposito, cosa fa questa memoria storica dell'Il settembre ? A che serve ? – Atalanta (Somalia, Aden), l'Eunavfor Med e Mare Sicuro. Quest'ultima conduce davvero un'attività adeguata all'aggressivo mandato ricevuto: ed infatti è stata duramente criticata dai libici di Tobruk, che dovrebbero invece esserci grati del riconoscimento accordatogli. Siamo sicuri che disperdere una flotta di cui si lamenta di continuo l'usura tra 4 missioni sia sensato ? E perché usiamo sottomarini iper-tecnologici per dar la caccia agli scafisti ?
  Abbiamo invece poco o nulla in Niger, Stato cruciale per il controllo dei flussi migratori diretti verso l'Italia tramite la Libia.
  Agli aerei stanziati nella penisola arabica a sostegno della coalizione che combatte lo Stato Islamico neghiamo inoltre le bombe. Noi questo contingente lo vorremmo invece più forte e potente, in grado non solo di addestrare e far fotografie sul terreno, ma di combattere. Magari, anche solo per esser pronti ad un'eventuale rappresaglia, da condurre contro il Daesh come hanno fatto giordani e francesi, qualora ci fosse davvero un attentato che voi tanto temete, come si evince dal comunicato finale della seduta dello scorso 21 ottobre del Consiglio Supremo di Difesa.
  Con aerei già armati sul posto, possiamo almeno stabilire una dissuasione e se va male operare una rappresaglia. Ne ha ordinata una perfino il flemmatico Hollande. Abbiamo presentato emendamenti in proposito.
  Pensiamo poi che quanto è accaduto il 13 novembre scorso a Parigi non debba essere solo il motivo di luttuose commemorazioni, ma sia invece un'occasione per riflettere e procedere ad un'ulteriore messa a punto delle misure di cui disponiamo.
  Non stiamo proponendo stati di eccezione come quelli introdotti in Francia. Ma qualcosa vorremmo vedere: 41-bis per i terroristi jihadisti e chi li aiuta, ad esempio. L'avvio di un monitoraggio serio sulla natura della predicazione nelle moschee e nelle madrasse aperte nel nostro Paese. Più soldi per Polizia Postale e Polizia Ferroviaria. Non sono lussi o capricci. È importante per la nostra sicurezza. Chi sobilla la gente deve chiudere.
  Non vanno bene le coperture. È inutile lesinare le risorse in sessione di bilancio per poi ridursi a questi mezzi alla fine dell'anno. Gli scostamenti stanno diventando sistematici. Se ne prenda atto, riducendo gli impegni o comunque concentrandoli. O altrimenti accrescendo le risorse stanziate sull'apposito fondo.

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