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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 24 novembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    sono state impresse recenti trasformazioni agli equilibri internazionali dal sorgere del sedicente Stato Islamico a cavallo tra Siria ed Iraq ed è stata avviata una campagna terroristica di maggiori proporzioni, che ha comportato nel breve volgere di tre settimane l'abbattimento di un jet di linea russo che volava sul Sinai, l'esplosione di due bombe a Beirut e, da ultimo, dai gravi attentati che hanno sconvolto Parigi, con un totale complessivo di quasi 400 vittime accertate;
    al novero dei Paesi che combattono attivamente il sedicente Stato Islamico, che ha rivendicato la paternità di due degli attentati sopra menzionati, si è aggiunta da fine settembre 2015 la Russia, le cui navi ed i cui aerei collaborano adesso fattivamente con quelli francesi, impegnati nell'effettuazione di una rappresaglia contro la capitale del sedicente Califfato;
    si registra un nuovo clima di distensione tra Mosca e Washington, rilevato dopo gli attentati parigini da tutti gli osservatori presenti al Summit del G20 svoltosi ad Antalya, dove ha avuto luogo anche un bilaterale russo-americano tra il Presidente Vladimir Putin ed il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama;
    esistono ormai delle cooperazioni di fatto, in qualche caso regolate anche da veri e propri Memoranda of Understanding, fra i quali si segnala proprio quello siglato da americani e russi per evitare sovrapposizioni ed incidenti nei cieli siriani;
    va rimarcato il carattere paradossale di una situazione che vede ormai le forze occidentali cooperare attivamente contro un comune nemico con un Paese, la Federazione Russa, che è da tempo bersaglio delle sanzioni decretate dall'Unione europea;
    si evidenzia la circostanza che tra le personalità oggetto di sanzioni individuali figuri anche il generale che comanda le forze russe operanti nello scacchiere siriano, Andreï Kartopolov;
    va apprezzata la circostanza che si raccomanda una più stretta collaborazione tra Europa, Stati Uniti e Russia nella lotta al terrorismo da parte dello stesso Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker;
    agli inizi del 2016 l'Unione europea sarà chiamata a rivalutare la situazione in Ucraina e a decidere dell'eventuale proroga, rimodulazione o cancellazione delle sanzioni in vigore contro la Federazione russa,

impegna il Governo:

   a rilanciare la collaborazione politico-strategica con la Russia sulla base dell'esposizione ad una comune minaccia, che è quella del terrorismo a matrice jihadista, sfruttando a questo scopo tanto l'ambito atlantico, cioè coinvolgendo anche gli Stati Uniti nel rilancio degli accordi di Pratica di Mare, quanto quello europeo e bilaterale;
   a promuovere la rimozione o, in subordine, la rimodulazione del regime sanzionatorio imposto contro la Russia a causa dell'annessione della Crimea.
(1-01067) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    Ferrovie dello Stato italiane spa è la più importante società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, 70.000 dipendenti e un totale di 16.700 chilometri di rete Ferroviaria;
    Ferrovie dello Stato italiane spa ha chiuso i primi sei mesi del 2015 con un fatturato di oltre 2 punti percentuali rispetto all'anno 2014, anno in cui ha segnato un Ebitda di 2,1 miliardi di euro, per un totale di 4,3 miliardi di euro di investimenti (in crescita fino a 6,5 miliardi di euro nel 2016);
    il Gruppo conta circa 70.000 dipendenti, di cui circa 5.000 in Germania (Netinera). La linea ferroviaria e lunga 16.726 chilometri, di cui circa 1.000 ad alta velocità. Il sistema alta velocità-alta capacità parte da Torino e arriva fino a Salerno (Torino-Milano-Bologna-Roma-Napoli-Salerno). Ulteriori tratti sono tra Milano e Treviglio e tra Padova e Mestre. Attualmente, si sta completando il tratto Milano-Verona-Venezia per disegnare la cosiddetta «T». La frequenza è di 8.000 treni al giorno di cui circa 7.000 regionali e 1.000 tra alta velocità, media e lunga percorrenza e treni merci;
    le Ferrovie dello Stato nacquero nel 1905 dopo la statalizzazione di numerose ferrovie italiane. Già dal 1945 azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, sotto il controllo del Ministero dei trasporti, nel 1986 si trasforma in ente pubblico economico. Nel 1992 l'ente fu trasformato in società per azioni con partecipazione statale totale attraverso il Ministero dell'economia e delle finanze. Nel 1999 ha inizio la divisionalizzazione della società con la nascita di Trenitalia nel 2000 e di Rfi nel 2001. Il 24 maggio del 2011 le Ferrovie dello Stato divengono Ferrovie dello Stato Italiane spa, in breve FS Italiane;
    Trenitalia è l'impresa di trasporto passeggeri e merci mentre Rete Ferroviaria Italiana (Rfi) è la società che si occupa della gestione dell'infrastruttura: entrambe sono partecipate al 100 per cento di Ferrovie dello Stato italiane;
    secondo i dati Mediobanca del 2015 il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane è la seconda azienda italiana per investimenti, quinta per dipendenti, decima per redditività e tredicesima per fatturato. Infine, Ferrovie dello Stato italiane quest'anno ha conquistato il primo posto nella classifica delle aziende dove i giovani neolaureati desiderano lavorare ed è risultata prima nel ranking «Best Employer of Choice 2015»;
    nel documento di economia e finanza (DEF) 2014, approvato in via definitiva dalle Camere il 17 aprile 2014, il Governo aveva già manifestato l'intenzione di attuare un piano di privatizzazioni mediante la dismissione di partecipazioni in società controllate anche indirettamente dallo Stato e l'attivazione di strumenti per consentire le dismissioni anche da parte degli enti territoriali; come riportato nel programma nazionale di riforma contenuto nello stesso documento, le società coinvolte nell'operazione includono società a partecipazione diretta quali ENI, STMicroelectronics, ENAV, nonché società in cui lo Stato detiene partecipazioni indirettamente tramite Cassa depositi e prestiti, quali SACE, FINCANTIERI, CDP Reti, TAG (Trans Austria Gastleitung Gmbh) e, tramite Ferrovie dello Stato, in Grandi Stazioni – Cento Stazioni;
    il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, ha annunciato recentissimamente che sarà avviata la procedura di privatizzazione di Ferrovie dello Stato, specificando che, comunque, non potrà andare oltre il 40 per cento. In particolare, il Ministro Delrio ha dichiarato che si tratta di un percorso che tiene presenti alcune questioni per cui l'infrastruttura ferroviaria dovrà rimanere pubblica e dovrà essere garantito l'accesso a tutti in maniera uguale. Il 40 per cento potenzialmente alienabile andrà a un azionariato diffuso e investitori istituzionali;
    considerato che le privatizzazioni in Italia sono state sempre caratterizzate da un percorso particolarmente complesso, pieno di fallimenti e di incognite in cui spesso si sono intrecciate operazioni finanziarie poco trasparenti, per cui lo Stato quasi mai ne ha tratto vantaggio né dal punto di vista economico, né tanto meno sotto il profilo della competitività;
    con riferimento alla privatizzazione di Ferrovie dello Stato italiane, si è sempre parlato in questi mesi della possibile attuazione di due strategie. La prima, battezzata del «carciofo da sfogliare», è caratterizzata da una vendita di pezzi del Gruppo ferrovie dello Stato italiane, in prospettiva lasciando in mano pubblica solo la rete ferroviaria – d'importanza strategica per il Paese e bisognosa di forti investimenti – per collocare subito sul mercato alta velocità e trasporto merci, servizi già redditizi o potenzialmente tali. La seconda consiste nella la vendita secca di una quota di minoranza della holding che controlla il Gruppo, riportando direttamente allo Stato la rete ferroviaria o comunque regolandone la gestione da parte di Rete ferroviaria italiana in modo da garantire l'accesso paritario agli operatori;
    sotto tale profilo si evidenzia che qualunque strategia avesse voluto intraprendere il Governo, il Parlamento, innanzitutto, avrebbe dovuto esercitare una, funzione di controllo e indirizzo politico importante al riguardo in quanto Ferrovie dello Stato italiane non è solo società controllata dallo Stato, ma una grande impresa partecipata pubblica la cui privatizzazione potrebbe determinare l'indebolimento di rilevanti potenzialità industriali nazionali in termini di riconversione ecologica, civile e tecnologica del sistema economico italiano, senza peraltro un sostanziale effetto di diminuzione del debito pubblico, ma con una riduzione delle entrate fornite al bilancio dello Stato dai dividendi della stessa società;
    qualsiasi disegno di privatizzazione che coinvolga il gruppo ferrovie dello Stato italiane appare infatti delicato e destinato a suscitare preoccupazioni, oltre che interessi, anche e soprattutto per il valore patrimoniale dei ricchi asset di cui dispone che per la redditività economica della gestione industriale. Si tratta, infatti, di una società dal voluminoso valore patrimoniale che viene da una storia ultra secolare e resta fondamentale per la mobilità integrata del sistema Paese;
    le ferrovie rappresentano un bene strategico per il Paese ed una risorsa per tutti gli italiani, ma l'attuale Governo, nel farsi promotore e forte sostenitore della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato italiane, sembra dimenticare i temi ancora caldi da sciogliere a partire dal rapporto con Rete ferroviaria italiana (la controllata che gestisce la rete) e Trenitalia con i vari contratti (dalla lunga percorrenza sino a tutta la partita del trasporto locale). Soprattutto, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il timore è che il Gruppo Ferrovie dello Stato verrebbe, in sostanza, svuotata di valore e di contenuti e il tutto per raccogliere pochi miliardi di euro (tra i 5 e i 10 miliardi a quanto risulta) che non sono assolutamente nulla rispetto ai 2000 miliardi di debito pubblico accumulati dal nostro Paese;
    in buona sostanza, appare inspiegabile il motivo per cui si intenda in controtendenza a quanto accade in altri Paesi europei come la Francia e la Germania, privatizzare una società solida e in crescita come Ferrovie dello Stato, capace di operare sul mercato italiano e di aprirsi ad una competitività nel trasporto ferroviario e alla logistica anche a livello continentale per garantirsi nell'immediato quella che sembrerebbe una modesta entrata economica, mettendo a repentaglio profitti, livelli occupazionali e qualità professionali;
    l'imminente alienazione di quote di Ferrovie dello Stato italiane non sembra, infatti, considerare i rischi derivanti da una affrettata privatizzazione soprattutto sotto il profilo della salvaguardia del mantenimento dei diritti e delle tutele per le lavoratrici ed i lavoratori operanti nel comparto ferroviario che rappresenta il prerequisito per la sicurezza e il buon funzionamento del sistema ferroviario e per servizi di alta qualità nei confronti delle persone. Senza contare che, con l'estensione della concorrenza nel trasporto ferroviario di passeggeri nazionale, il processo di privatizzazione e la possibile pressione finalizzata al taglio dei costi, l'attuale situazione di crisi economica in cui versa il Paese potrebbe ulteriormente aggravarsi con inevitabili conseguenze sul piano della riduzione del numero dei dipendenti, il maggior ricorso all’outsourcing e al subappalto dei servizi, l'aumento dei contratti atipici, l'incremento dell'utilizzo dei lavoratori in somministrazione, l'intensificazione dei carichi e della pressione sul lavoro, l'aumento degli orari di lavoro flessibili, del frazionamento dei turni di lavoro e del ricorso al lavoro straordinario;
    le recenti affermazioni del Ministro Delrio, infine, appaiono ai firmatari del presente atto d'indirizzo non tenere minimamente conto dei rischi da un'ulteriore e affrettata liberalizzazione e frammentazione del servizio ferroviario italiano, soprattutto rispetto alla necessità di garantire ai milioni di utenti attraverso prezzi sostenibili e la certezza di non vedersi tagliare o ridurre ulteriormente le corse su linee che potrebbero venire considerate non redditizie, ma fondamentali per garantire un trasporto pubblico che, come tale, deve garantire i collegamenti con tutte le aree del Paese, includendo anche le cosiddette zone periferiche,

impegna il Governo:

   ad astenersi nell'immediato dal procedere alla messa sul mercato di quote pubbliche afferenti al gruppo Ferrovie dello Stato italiane spa, quantomeno fino a quando il Governo non avrà illustrato alle Camere in modo puntuale tutti gli aspetti e i risvolti economici, industriali, occupazionali e sociali conseguenti all'annunciato piano di privatizzazione del gruppo;
   a presentare al Parlamento, prima di procedere a qualsiasi iniziativa di alienazione di quote di società direttamente o indirettamente di proprietà dello Stato, una relazione contenente i dati finanziari e industriali degli effetti della alienazione sul bilancio dello Stato e i minori dividendi versati al bilancio dello Stato in conseguenza dell'alienazione.
(1-01068) «Franco Bordo, Scotto, Fassina, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaratti».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    secondo quanto riferito da un dispaccio dell'agenzia di stampa Reuters del 4 novembre 2015 la «Defense Security Cooperation Agency» statunitense avrebbe chiesto al Congresso di Washington l'autorizzazione a vendere all'Italia equipaggiamenti e armi per armare due dei sei velivoli a pilotaggio remoto Reaper MQ-9 in servizio nell'Aeronautica militare italiana;
    la decisione fa seguito ad una specifica, anche se mai ufficialmente annunciata, richiesta italiana di fornire armamenti per i velivoli a pilotaggio remoto in servizio presso il 32o Stormo di Amendola, richiesta che risalirebbe al 2012, ma alla quale l'amministrazione statunitense non aveva finora dato seguito;
   stando alle informazioni della Reuters, non smentite né dall'Italia né dagli Stati Uniti, la fornitura del valore 129,6 milioni di dollari comprenderebbe anche 156 missili AGM-114R2 Hellfire II, 20 bombe a guida laser GBU-12, bombe 30 GBU-38 Joint Direct Attack Munitions;
    il Congresso statunitense entro 15 giorni dalla richiesta ha la possibilità di bloccare la vendita, ma l'eventualità appare remota stando anche alle dichiarazioni di un funzionario del Governo USA, riportate dalla stessa agenzia di stampa, secondo il quale «la vendita è stata approvata perché l'Italia è un alleato chiave degli Stati Uniti». «Non è una decisione che prendiamo alla leggera ed è simbolica della nostra fiducia nell'Italia. L'Italia è un membro responsabile della comunità internazionale che è stata con noi in ogni recente operazione NATO o a guida statunitense»;
    con l'acquisizione della capacità di condurre operazioni armate da parte di velivoli a pilotaggio remoto, l'Aeronautica militare italiana diventerebbe la seconda forza armata europea, dopo la Gran Bretagna, a disporre di questa capacità, e una delle pochissime al mondo;
    l'utilizzo indiscriminato di tali velivoli ha provocato numerose vittime civili e cosiddetti «danni collaterali», un eufemismo che copre errori di valutazione e di tiro; secondo le informazioni del Bureau of investigative journalism, che da molti anni compila statistiche sulle operazioni militari dei velivoli a pilotaggio remoto americani, tra il 2004 e il 2015 le sole operazioni della CIA in Pakistan avrebbero provocato tra i 2489 e i 3989 morti, di cui i civili sarebbero tra i 423 e i 965, compresi molti bambini. Lo stesso presidente statunitense ha ammesso questi errori, tra cui quello avvenuto all'inizio del 2015 in Pakistan dove un drone armato ha ucciso due ostaggi dei talebani, lo statunitense Warren Weinstein e il cooperante italiano Giovanni Lo Porto;
    la tardiva decisione di fornire sistemi d'arma per i velivoli Reaper italiani sembra ai firmatari del presente atto piuttosto un «premio» per la decisione del Governo italiano di associarsi, a giudizio dei firmatari del presente atto acriticamente, alla scelta statunitense di prolungare la permanenza delle proprie truppe in Afghanistan per tutto il 2016, scelta non seguita invece da altri alleati della NATO, come la Spagna, che si sono invece già ritirati dal teatro afghano;
    inoltre, nel progetto di sviluppo dei nuovi velivoli a pilotaggio remoto è potenzialmente previsto l'addestramento di una nuova classe di piloti, da impiegare esclusivamente per il pilotaggio remoto e, quindi, senza la pregressa esperienza di volo aereo posseduta dai loro colleghi che attualmente controllano i medesimi velivoli;
    il predetto progetto formativo suscita dubbi ed incertezze riguardo all'effettiva capacità di addestramento del personale militare che dovrà essere impiegato per tali attività, posto che l'assenza di basi di esperienza di volo aereo potrebbe generare nei giovani piloti la sindrome dei «videogiochi», cioè di apparecchi telecomandati da utilizzare alla stregua dei più moderni videogames;
    è di tutta evidenza, infatti, che la gestione di un complesso velivolo militare, dalla tecnologia avanzata e da impiegare in teatri operativi di guerra, ancorché a pilotaggio remoto, soprattutto nel caso di utilizzo di armi e munizioni necessiti dell'imprescindibile impiego di piloti in possesso di una robusta esperienza operativa;
    è quindi necessario che la nuova classe di piloti che la Difesa dovrà impiegare alla guida dei nuovi velivoli riceva analoga preparazione ed addestramento, ovvero percorra un periodo di affiancamento con piloti con reale esperienze operativa, anche attraverso sessioni di volo su velivoli di attacco al suolo;
    la decisione italiana di armare velivoli Reaper è avvenuta di fatto al di fuori di qualsiasi confronto parlamentare, nonostante rappresenti un decisivo aumento delle capacità militari nazionali, come d'altronde è ben sottolineato dal lungo e laborioso processo di approvazione da parte statunitense a conferma di una purtroppo consolidata pratica da parte dei governi nazionali di prendere decisioni di politica militare in maniera, ad avviso dei firmatari del presente atto, opaca e con procedure essenzialmente extraparlamentari;
    l'eventuale decisione del Congresso statunitense di autorizzare la fornitura di armamenti per i Reaper italiani non costituirebbe un vincolo per il nostro Paese a procedere necessariamente alla loro acquisizione, che comunque richiederebbe un voto parlamentare preventivo, ai sensi dell'articolo 536 del codice dell'ordinamento militare;
    tale decisione appare, in ogni caso, del tutto confliggente rispetto alla mission istituzionale delle operazioni di peace keeping in cui l'Italia è tuttora impegnata, che imporrebbe un utilizzo estremamente residuale delle armi e degli strumenti di aggressione e, viceversa, uno sviluppo di nuovi strumenti tecnologici con funzioni ricognitive come i droni a pilotaggio remoto,

impegna il Governo:

   a non procedere ulteriormente nelle procedure di acquisizione di sistemi d'arma per i velivoli Reaper MQ-9, anche nel caso in cui il Congresso degli Stati Uniti ne autorizzasse l'esportazione;
   ad organizzare la nuova scuola di piloti dell'aeronautica militare di Amendola prevedendo un iter addestrativo completo con una robusta e consistente formazione operativa, per favorire la preparazione di una qualificata ed avanzata classe di piloti destinata alla guida dei velivoli a pilotaggio remoto.
(7-00854) «Basilio, Corda, Rizzo, Frusone, Tofalo».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la disciplina generale in materia di anatocismo è prevista dall'articolo 1283 del codice civile il quale prevede che, fatta eccezione di espliciti divieti di carattere normativo, gli interessi possano produrre interessi solo in seguito a domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza e per interessi relativi ad almeno 3 mesi;
    il decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 342, modificando l'articolo 120 del Testo unico bancario (TUB) di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, ha attribuito al CICR (Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio) il compito di regolare le modalità e i criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria. In attuazione della richiamata disposizione il CICR ha provveduto a disciplinare la materia con la deliberazione del 9 febbraio 2000 con la quale ha disposto, seppur entro certi limiti, delle deroghe alla disciplina generale in materia di anatocismo indicata dal richiamato articolo 1283 c.c.;
    la legge di stabilità per il 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147), ha novellato il dispositivo dell'articolo 120 del TUB disponendo che il CICR debba stabilire le modalità ed i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria assicurando nelle operazioni in conto corrente che sia garantita nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori ed escludendo che gli interessi periodicamente capitalizzati possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, siano calcolati esclusivamente sulla sorte capitale;
    con l'intervento normativo di cui alla legge di stabilità per il 2014 si è voluto stabilire l'illegittimità della prassi bancaria in forza della quale vengono applicati gli «interessi composti», prassi quest'ultima che entra in conflitto con i principi fissati dal richiamato articolo 1283 c.c., nonostante le numerose pronunce dei giudici di merito, che condannano la prassi bancaria sulla base della normativa vigente in materia di anatocismo, gli istituti di credito hanno continuato a calcolare gli interessi composti non solo su base trimestrale ma anche su base annuale;
    la Banca d'Italia ha formulato al CICR una proposta di delibera per dare attuazione alla nuova formulazione dell'articolo 120 del TUB. Da un'attenta disamina della medesima proposta, così come rilevato da fonti stampa e da numerose associazioni di consumatori, si evincerebbe un ripristino dell'ammissibilità dell'applicazione degli «interessi composti», seppur entro certi limiti. Infatti, per i rapporti regolati in conto corrente, conto di pagamento e per i finanziamenti a valere su carte di credito viene stabilito che gli interessi sono contabilizzati su base almeno annuale e che gli interessi maturati sono contabilizzati separatamente rispetto alla sorte capitale ed il saldo periodico della sorte capitale produce interessi a condizione siano decorsi 60 giorni dal ricevimento da parte del cliente dell'estratto conto. Altresì, decorso tale termine il cliente può autorizzare l'addebito degli interessi sul conto o sulla carta, ed in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale;
    l'obiettivo della novella legislativa dell'articolo 120 del TUB di cui alla legge di stabilità 2014, così come ribadito dalla stessa Banca d'Italia nel documento per la consultazione allegato alla proposta di delibera al CICR, era stabilire «l'improduttività degli interessi composti» e «mettere la parola fine a un comportamento riconosciuto illegittimo dalla giurisprudenza, ma costantemente tollerato dal legislatore»;
    le disposizioni della proposta di delibera al CICR piuttosto che esprimere una compiuta disciplina sul divieto di anatocismo — così come previsto espressamente dall'articolo 1283 c.c. e dall'articolo 120 del TUB — sembrano ai firmatari del presente atto «legittimare» la prassi posta in essere dagli istituti di credito;
    le deroghe all'articolo 120 del TUB introdotte nella proposta di delibera al CICR non paiono ai firmatari del presente atto legittime sul piano della gerarchia delle fonti dell'ordinamento giuridico della Repubblica Italiana. Per tal motivo sarebbe opportuno che il CICR, in sede di attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 120 del TUB, deliberasse un provvedimento preposto ad impedire l'applicazione di ogni forma di anatocismo a prescindere da quale siano le concrete modalità di determinazione,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni genere di iniziativa, anche di carattere normativo, al fine di:
    a) evitare che il divieto di applicazione di interessi ulteriori rispetto agli interessi periodicamente capitalizzati di cui all'articolo 120 del TUB possa essere eluso o violato da una eventuale delibera del CICR;
    b) impedire l'applicazione di interessi ulteriori rispetto agli interessi periodicamente capitalizzati nei rapporti regolati in conto corrente e conto di pagamento e per i finanziamenti a valere su carte di credito;
    c) impedire l'applicazione di ogni forma di anatocismo a prescindere da ogni possibile modalità di determinazione.
(7-00853) «Ruocco, Pesco, Villarosa, Alberti, Pisano, Fico».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    come noto, il cambiamento climatico costituisce una delle priorità più significative nell'agenda delle istituzioni nazionali ed internazionali: il riscaldamento globale, senza interventi urgenti che ne impediscano il continuo aumento, avrà un impatto devastante sugli habitat naturali e sulla produzione agricola mondiale, oltre che sulla disponibilità di acqua potabile e della vivibilità delle aree costiere;
    la regione sud europea e quella mediterranea, in particolare, risultano, secondo recenti studi, le più esposte agli effetti dei mutamenti climatici, con conseguenze allarmanti sul sistema di approvvigionamento alimentare, in considerazione dell'impatto negativo che tali fenomeni hanno sull'agricoltura e sulla conduzione dei suoli;
    secondo il comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici – Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) –, nei prossimi 30 anni, l'agricoltura subirà un calo di resa del 50 per cento nelle coltivazioni di riso, grano e mais, i rendimenti sono destinati a ridursi del 10 per cento per ogni grado di aumento sopra i 30 gradi; l'incremento della frequenza di ondate di calore avrà inoltre effetti molto gravi soprattutto sulla produzione di latte bovino, determinerà un aumento dei consumi irrigui delle colture e un aumento degli attacchi parassitari; la penetrazione del cuneo salino, causata dall'innalzamento del livello marino, è in grado di provocare una desertificazione destinata a compromettere, oltre all'agricoltura, anche la stessa vegetazione spontanea di larga parte delle coste italiane;
    con riferimento alla risorsa acqua, gli effetti più evidenti del surriscaldamento globale consistono in una progressiva riduzione delle precipitazioni, accompagnata da una marcata accentuazione degli eventi estremi di breve durata con conseguente alternanza di piogge alluvionali e prolungate siccità e con tutto ciò che questo comporta per il dissesto idrogeologico e la carenza di acqua rispetto al fabbisogno;
    secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista accademica Nature nel 2009, da parte dei 29 maggiori scienziati della scienza del sistema terra, nel nostro pianeta esistono delle soglie o limiti che non dovrebbero assolutamente essere oltrepassati, pena il rischio di cambiamenti imprevisti e assolutamente irreversibili che metterebbero a rischio il buon funzionamento del sistema. Le interferenze umane nel ciclo dell'azoto e del fosforo, ad esempio, hanno causato improvvisi e pericolosi mutamenti della biochimica dei laghi e degli ecosistemi marini. Il processo di eutrofizzazione è infatti causato dalle emissioni di azoto e fosforo provocate dalle attività umane. Perciò, la salvaguardia e la tutela della risorsa suolo, anche attraverso la lotta contro il consumo e la desertificazione, contribuisce senz'altro a ripristinare l'equilibrio dell'ecosistema terrestre, ma richiede una strategia di intervento concordata a livello globale, posto che le riserve mondiali di minerali fosfatici, risorse non rinnovabili, indispensabili alla fertilità dei suoli, sono concentrate in pochi Paesi quali Cina, Stati Uniti e Marocco, oltre che nell'area del Sahara occidentale, e la loro continua domanda potrebbe innescare ulteriori tensioni geopolitiche;
    l'agricoltura industriale è altro fattore che incide negativamente sul cambiamento climatico, facendo uso di sistemi meccanizzati ad alta intensità energetica e a combustibili fossili e, a sua volta, ne è influenzata, visto che le monocolture geneticamente omogenee, su cui si basa, non sono resilienti; diversamente, i sistemi di gestione agroecologici – varietà di tecniche agricole, come agricoltura biologica, sinergica, sostenibile o permacultura –, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresentano un modello alternativo sostenibile, socialmente equo, resiliente ai cambiamenti climatici e, dunque, in grado di sostenere la sfida del cambiamento climatico;
    anche la crescita della popolazione, stimata dalla Fao a 9 miliardi entro il 2050, unita alla transizione verso modelli alimentari a più alto impatto ambientale tipici dei Paesi ricchi industriali, ha effetto sul cambiamento climatico in quanto implica il raddoppio della produzione alimentare, con notevole aumento delle emissioni globali generate: l'allevamento contribuisce per il 14,5 per cento alle emissioni causate dalle attività umane, più dell'intero settore dei trasporti; la crescente richiesta di olio di palma da parte dell'industria alimentare, inoltre, solo per citare un caso di attualità, causa degradazione e incendi delle foreste torbiere indonesiane, con conseguente aumento delle emissioni di gas serra; secondo alcune autorevoli fonti, la sostituzione delle foreste con i palmeti causerebbe il 4 per cento delle emissioni globali di gas serra, ponendo Indonesia e Malesia, dopo Usa e Cina, nell'elenco delle nazioni responsabili dell'inquinamento globale;
    in occasione del «Climate Summit» tenutosi il 23 settembre 2014 a New York, è stata firmata la «Dichiarazione di New York sulle Foreste», sottoscritta da 150 attori tra cui Governi, aziende, comunità indigene e organizzazioni non governative, che prevede di ridurre il tasso di perdita delle foreste entro il 2020, portandolo a zero entro il 2030. La dichiarazione impegna inoltre a ripristinare 150 milioni di ettari di territori degradati e terreni boschivi entro il 2020, ai quali se ne aggiungeranno altri 200 entro il 2030;
    a causa dei frequenti quanto repentini cambiamenti delle condizioni climatiche si assiste a un progressivo intensificarsi dei fenomeni di dissesto e instabilità dei versanti (su 712.000 frane censite in Europa nel 2012, 486.000 ricadono nel territorio italiano, di cui oltre l'80 per cento è localizzato nei territori montani), con gravi problemi di sicurezza, incolumità pubblica e di tutela e mantenimento degli equilibri ecologici;
    il patrimonio forestale italiano rappresenta un bene economico-sociale di elevato interesse pubblico ed è parte costituente delle risorse ambientali e naturali del Paese, ma anche del suo patrimonio storico-culturale, identitario ed economico; esso rappresenta una economia non localizzabile e i settori economici collegati presentano importanti potenzialità di sviluppo; la materia forestale è un tema d'interesse strategico per l'Italia e trasversale a diverse politiche (economica, ambientale, sociale, culturale), in considerazione anche degli impegni internazionali sottoscritti dal Governo italiano e degli obblighi e delle indicazioni comunitarie in materia ambientale e di sviluppo sostenibile che hanno influenzato e che influenzeranno le scelte politiche: appena il 15,7 per cento dei boschi italiani è regolamentato da strumenti di pianificazione della gestione e si registra un abbandono colturale per oltre il 60 per cento dei boschi nazionali;
    è di tutta evidenza, secondo i presentatori del presente atto di indirizzo, che il settore forestale e quello del legno italiano non esprimono pienamente le rispettive potenzialità, con gravi conseguenze anche per la salvaguardia dell'ambiente e il presidio del territorio;
    gli oceani e i sistemi di acqua dolce sono fondamentali per la sicurezza alimentare globale e sono la chiave per regolare il clima mondiale. Con circa un terzo delle emissioni di CO2 che finiscono negli oceani, questi costituiscono il più grande assorbitore di anidride carbonica nel mondo,

impegna il Governo:

   anche in considerazione della prossima riunione della XXI Conferenza delle Parti (Cop 21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, a valutare iniziative per attivare strumenti assicurativi mirati alla mitigazione dei danni dovuti agli inevitabili effetti climatici, oltre a quelli già previsti per agricoltori dai regolamenti comunitari e a promuovere un uso razionale dell'acqua durante la realizzazione del piano irriguo nazionale;
   a promuovere e sostenere a livello unionale iniziative volte alla corretta gestione del ciclo del fosforo e dell'azoto, con l'obiettivo dell'utilizzo sostenibile di tali risorse nella concimazione del suolo agrario;
   a promuovere, coinvolgendo tutte le istituzioni pubbliche competenti in materia, un'indagine ministeriale sullo stato dell'arte dell'approvvigionamento attuale e futuro dei concimi fosforici e azotati da parte del nostro Paese, nonché ad avviare campagne informative sulla tematica, al fine di informare correttamente i comuni e gli agricoltori sulle prassi e procedure consigliate per il recupero e l'impiego sostenibile del fosforo e dell'azoto;
   a promuovere un nuovo modello di agricoltura, per prevenire l'aggravare dell'inquinamento idrico, sia per la produzione alimentare, che per il ruolo fondamentale nella mitigazione dei cambiamenti climatici e dei danni naturali, favorendo, a livello normativo e finanziario, lo sviluppo di politiche agricole più sostenibili e incoraggiando le comunità locali a gestire la produzione e il consumo delle proprie risorse, nell'ottica degli obiettivi ambientali; a promuovere inoltre, la transizione verso l'agroecologia, pratiche sostenibili, resilienti e, allo stesso tempo, efficienti e socialmente eque, in grado di sostenere le sfide ambientali e alimentari future;
   a promuovere e sostenere progetti volti a diffondere un'educazione alimentare che privilegi un ridotto impatto sulle risorse ambientali e sulla salute dell'individuo rispetto alle diete alimentari caratterizzate dal consumo di prodotti di origine animale;
   ad attivare misure di contrasto allo spreco alimentare, in ossequio agli obiettivi enunciati nella Carta di Milano, tra cui quello della riduzione del 50 per cento dello spreco alimentare al 2020, definendo delle azioni precise e improrogabili, per agire a più livelli dalla produzione agricola per evitare le eccedenze, al riutilizzo nella catena alimentare destinata al consumo umano, fino al riciclo e al recupero, nonché a dare tempestivo seguito agli impegni contenuti nella mozione 1-00482 che è stata approvata dalla Camera il 3 giugno 2014;
   ad aderire alle linee guida del CFS (Committee on World Food Security) – FAO, per una gestione responsabile delle terre, delle foreste e dei bacini idrici;
   ad impegnarsi fattivamente per l'attuazione del «New York declaration on Forests», l'accordo siglato in occasione del vertice ONU «Climate summit 2014», con l'obiettivo di fermare la deforestazione delle foreste naturali entro il 2030, rafforzando gli incentivi per l'investimento a lungo termine e la tutela forestale ed aumentando i finanziamenti internazionali, progressivamente legati ai risultati;
   ad attivare, presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, un ufficio permanente di coordinamento delle politiche forestali, oggi mancante, che rappresenti l'unico punto di riferimento e di indirizzo per le politiche forestali nazionali nel rispetto delle competenze e dei ruoli che la Costituzione definisce circa i rapporti fra Stato e regioni, e che svolga, in modo continuativo, le funzioni di coordinamento istituzionale e inter-istituzionale per le amministrazioni nazionali e regionali competenti in materia di politica e programmazione forestale, nonché di raccordo per tutte le iniziative internazionali e comunitarie in materia forestale, anche al fine di assicurare la presenza costante e qualificata dell'Italia in tali sedi, facendo sì che tale ufficio, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, possa avvalersi delle competenze e del personale presente nelle strutture interne del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali in quelle esterne (come l'Osservatorio foreste dell'Istituto nazionale di economia agraria, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria e il Corpo forestale dello stato);
   a promuovere iniziative per implementare tecnologie per migliorare l'indice di conversione alimentare in acquacoltura, per ridurre le emissioni di gas serra e per migliorare l'efficienza nell'uso delle risorse in generale, nonché ad identificare e ridurre le vulnerabilità dei sistemi di pesca e acquacoltura, migliorando la resilienza e l'adattabilità dei settori per contrastare i cambiamenti climatici, l'acidificazione degli oceani e i disastri naturali.
(7-00855) «Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Busto, Gallinella».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il nuovo Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, recante «Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), entrato definitivamente in vigore il 1o gennaio 2015, ha introdotto importanti novità anche per le prestazioni di degenza in RSA per le persone ultra sessantacinquenni non autosufficienti: si prevede infatti che siano conteggiati come reddito anche i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche», quindi anche pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento;
   in particolare, l'articolo 6, comma 3, lettera b) del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 prevede che debbano essere inclusi nel computo dei redditi anche quelli dei figli che non fanno parte del nucleo familiare. Ma non solo: il decreto include esplicitamente fra i redditi da inserire nell'Isee (l'indicatore della situazione economica equivalente) anche indennità di accompagnamento, pensioni di invalidità, assegni riservati agli invalidi e altro;
   per via di tale modifica normativa, circostanza peraltro segnalata più volte nei giorni scorsi all'interpellante da diversi cittadini, molti assistiti si sono trovati costretti a pagare la quota intera – o comunque rincarata – della retta alberghiera;
   tuttavia, a poco più di un mese di distanza dalla sua entrata in vigore, il tribunale amministrativo regionale del Lazio ha bocciato parte dell'impianto del nuovo Isee. In particolare, in data 11 febbraio 2015, sono state depositate tre sentenze del tribunale amministrativo regionale del Lazio (sentenze n. 2454/15, n. 2458/15 e n. 2459/15) che dichiarano illegittime alcune disposizioni contenute nella nuova normativa;
   in particolare, le tre sentenze:
    escludono dal computo dei redditi ai fini Isee i «trattamenti assistenziali, previdenziali e indennitari, incluse carte di debito, a qualunque titolo percepiti da amministrazioni pubbliche», visto che si tratta di emolumenti riconosciuti a titolo meramente compensativo e/o risarcitorio a favore delle situazioni di disabilità;
    annullano la norma del decreto Isee (articolo 4, comma 4, lettera d), nella parte in cui si prevede un incremento delle franchigie per i soli minorenni. Di conseguenza, l'Isee per i maggiorenni si deve calcolare con riferimento alla porzione di reddito che eccede i 9.500,00 euro l'anno, e solo su quella;
   contro tali sentenze, che dovrebbero essere immediatamente esecutive, il Governo ha presentato ricorso al Consiglio di Stato per chiederne il congelamento degli effetti; il Consiglio di Stato si è pronunciato recentemente, non concedendo la sospensiva e sancendo l'illegittimità del Governo per non aver dato applicazione a quanto stabilito dal Tar. Pertanto, le sentenze sono esecutive. La prossima udienza è stata fissata al 3 dicembre 2015 e pertanto sarà necessario attendere tale data per le considerazioni finali;
   le tre sentenze sono immediatamente esecutive e favoriscono gran parte dell'utenza, poiché hanno come effetto di diminuire il valore finale dell'Isee per l'accesso alle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria, e conseguentemente aumentare in misura di molto maggiore rispetto al passato la contribuzione economica comunale ai servizi resi;
   se si considera infatti che gran parte delle persone ultrassesantacinquenni non autosufficienti percepisce esclusivamente la pensione minima sociale e l'indennità di accompagnamento, emolumenti che per l'effetto delle sentenze Tar non possono essere computati e che, in ogni caso, va applicata una franchigia di 9.500,00 euro sui redditi prodotti, ne consegue che l'Isee che ne deriverà sarà spesso, a giudizio degli interpellanti, pari o prossimo allo zero, con conseguente coinvolgimento economico del comune di residenza per larga parte della quota sociale;
   i comuni, pertanto, in applicazione della normativa oggi vigente (decreto Isee, come modificato dal Tar Lazio), dovrebbero contribuire economicamente in misura di molto maggiore rispetto al passato;
   tuttavia le sentenze del Tar, nonostante l'immediata esecutività, rimangono al momento inapplicate anche a causa di un mancato adeguamento tempestivo dei sistemi informatici dell'Inps. I cittadini che richiedono ed ottengono l'Isee per prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria si trovano quindi in mano una dichiarazione illegittima ed errata;
   con la mancata esecuzione delle sentenze, in attesa di una pronuncia del Consiglio di Stato, i problemi legati al calcolo del nuovo Isee – che per i comuni rischia di essere una questione di non poco conto – vengono però nel frattempo riversati sulle spalle, e nelle tasche, degli utenti;
   quanto alla compartecipazione al pagamento della retta alberghiera da parte dei familiari, il decreto n. 159 del 2013, che non è stato modificato dalle sentenze del Tar di cui sopra, modifica i criteri di determinazione dell'Isee per le prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria, creando una disciplina sicuramente peggiorativa rispetto alle precedenti disposizioni, risultando molto gravosa per anziani e disabili;
   il decreto, infatti, per tali prestazioni prende in considerazione il reddito prodotto dall'intero nucleo familiare del degente, composto – oltre che dall'assistito – dal coniuge, dai figli minori di anni 18, nonché dai figli maggiorenni. Prevede poi – e questa è una delle novità che appaiono gli interpellanti tra quelle peggiorative di maggior rilievo – che, in caso di ingresso in RSA, si deroghi ulteriormente alla composizione del nucleo familiare del richiedente la prestazione e debbano essere considerati nel computo dei redditi di quest'ultimo anche i redditi dei figli non inclusi nel nucleo familiare;
   il reddito dei figli non conviventi e non inseriti nel nucleo familiare del richiedente viene dunque calcolato ai fini Isee per il calcolo della retta da pagare, a meno che non si tratti di figlio disabile o quando risulti accertata in sede giurisdizionale o dai servizi sociali la estraneità dello stesso dai rapporti affettivi ed economici;
   sulla base dei risultati analizzati di un campione di 49 mila dichiarazioni Isee (il 2 per cento della popolazione Isee complessiva) richieste nei primi sei mesi dell'anno e pubblicati, tra gli altri, nel quaderno «Il nuovo Isee. Monitoraggio del primo semestre», il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sostiene però che la gran parte della popolazione con disabilità ha potuto giovare di regole più vantaggiose del nuovo Isee, rispetto a quello di un anno fa;
   i dati del Ministero dicono che, in questo primo semestre, nei nuclei con una persona con disabilità sono aumentati quasi di due volte e mezzo gli Isee nulli, passando infatti dal meno del 9 per cento a più del 20 per cento; il 38 per cento dei nuclei con una persona con disabilità sono sotto i 3 mila euro di Isee (con le vecchie regole sarebbero stati il 28 per cento). Vistoso risulta l'impatto anche nella fascia «alta»: le famiglie con Isee sopra i 30 mila euro erano il 2,9 per cento, ora sono il 5,5 per cento: impatta la diversa rilevanza data oggi al patrimonio immobiliare e mobiliare e impatta il fatto che il sistema di franchigie previsto penalizza le persone con disabilità più gravi, che prendono più di una indennità. Conclude la nota ministeriale: «Il nuovo Isee è più favorevole per oltre il 58 per cento dei nuclei di persone con disabilità ed è meno favorevole per meno di un terzo, un rapporto che è quasi di 2 a 1. Resta stabile circa il 10 per cento dei nuclei»;
   su questi dati il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti, ha espresso la sua soddisfazione, affermando: «Si tratta di dati molto incoraggianti: la riforma dell'Isee aveva come unico obiettivo quello di rendere il sistema più equo, a partire dalla veridicità delle dichiarazioni, ed è quello che sembra si stia verificando. Per gran parte della popolazione si osserva una riduzione o una sostanziale stabilità dell'indicatore, mentre l'Isee aumenta solo laddove vi sono patrimoni consistenti». «(...) Osservo inoltre con piacere – ha aggiunto – che tra i gruppi più favoriti del nuovo Isee vi sono le persone con disabilità»;
   in relazione ai dati emersi dal monitoraggio, è espresso un parere molto diverso da Anffas Onlus che, in merito alle dichiarazioni ottimistiche rispetto all'Isee, per voce del suo presidente, Roberto Speziale, richiama ad un maggior equilibrio, visto che molti sarebbero ancora i punti oscuri: «Pur ammesso che dal confronto tra il vecchio ed il nuovo Isee si assiste ad un aumento, in percentuale, di Isee nulli (pari a 0,00) e di Isee più bassi per le fasce di popolazione con Isee sotto i 3.000,00 euro, occorre considerare che ancora ci sono situazioni assolutamente critiche che colpiscono fortemente le persone con disabilità ed i loro nuclei familiari». Il riferimento è ai casi di pluridisabilità «che hanno fatto schizzare verso l'alto l'Isee delle persone che ne sono affette, arrivando anche a vedere situazioni in cui da ISEE ristretto pari a 0,00 si è passati, pur considerando le franchigie, ad un ISEE in cui, calcolandosi tutte le provvidenze conciate all'invalidità (a causa della mancata esecuzione delle sentenze del Tar Lazio del febbraio scorso), si arriva anche a 13.000,00 euro con le conseguenze negative per accedere alle prestazioni sociali agevolate». (...) «Occorre inoltre precisare», prosegue Speziale, «che di per sé il dato della apparente positività del nuovo Isee nei confronti delle persone con disabilità non consente di rimanere tranquilli. Oltre a ciò che l'ISEE rileva, sono poi le scelte regionali e dei Comuni che determinano le condizioni di accesso alle prestazioni. Da questo punto di vista i dati rilevati dal Ministero fotografano una situazione in cui sono pochissimi i Comuni che hanno adeguato i propri regolamenti. Con preoccupazione, inoltre, Anffas rileva che da queste prime scelte si sta profilando un orientamento pericoloso: soglie di esenzione ridotte o addirittura pari a zero, percentuali di compartecipazione al costo elevate rispetto a livelli Isee molto bassi, prestazioni non considerate come sociosanitarie e ascrivibili quindi non all'Isee ristretto ma all'Isee ordinario». Analoga preoccupazione permane, da parte dell'associazione, per le famiglie con minori con disabilità, per cui non è applicabile l'Isee ristretto, «così come per il mancato rispetto della normativa vigente in materia di prestazioni sociosanitarie, con la conseguenza che prestazioni chiaramente sociosanitarie, ma non codificate come tali dalle scelte regionali errate – come nel caso della Regione Lombardia – siano condizionate all'Isee ordinario (familiare)»;
   dal report emerge inoltre che nel primo semestre del 2015 sono state presentate meno Dichiarazioni sostitutive uniche (Dsu) che nello stesso periodo del 2014: il 76 per cento;
   tale differenza – si legge – è dovuta soprattutto a un calo di domande presentate al Sud. Se infatti al Nord sono state presentate il 90 per cento di DSU del 2014, al Sud si scende al 60 per cento. Al netto del numero di DSU, significa che la popolazione coperta da dichiarazioni Isee nei primi sei mesi del 2015 a livello nazionale si è attestata al 10,1 per cento della popolazione, mentre nel 2014, era al 13,9 per cento: il Sud si è avvicinato al Nord, giacché quest'anno hanno una DSU il 9 per cento dei residenti al Centro Nord contro il 13 per cento dei residenti nel Mezzogiorno, mentre un anno fa eravamo a quote analoghe per il Nord e al 22 per cento per il Sud, con un calo del 40 per cento;
   l'impressione ministeriale – si legge ancora – «(...) è che con il Nuovo Isee in alcune regioni del Mezzogiorno stia riducendo l'anomalia di un elevatissimo numero di DSU presentate in presenza di una spesa sociale molto bassa; sembra cioè che la DSU venga presentata solo quando «serve» – cioè a fronte della effettiva richiesta di prestazioni sociali agevolate»;
   le perentorie dichiarazioni del Ministro Poletti, lasciano intendere che per tale via il Governo stia conseguendo lo scopo – per cui il nuovo Isee era stato appositamente varato – di ridurre gli abusi e le frodi legati alle false dichiarazioni dei redditi, pur non comprendendosi chiaramente, a giudizio degli interpellanti, su quali precise basi tecniche ed evidenze tale correlazione sia stata ravvisata;
   nulla dice però stranamente il Ministro sulle ulteriori motivazioni, da ritenersi parimenti rilevanti, che starebbero altresì alla base degli squilibri evidenziati tra Nord e Sud Italia; basti considerare in particolare il fatto che, nel Mezzogiorno, si registra mediamente una maggiore richiesta di indennità assistenziali – costituenti reddito in base al nuovo Isee – a causa dell'atavica carenza di servizi pubblici resi;
   a dirlo è la FISH (Federazione italiana per il superamento dell'handicap) che ha pubblicato in «Condicio.it» uno studio in cui si evidenza, ad esempio, come i picchi di pensioni di invalidità siano proprio nelle Regioni in cui si spende meno, se non quasi nulla, in servizi per la non autosufficienza;
   inoltre, il citato rapporto si ritiene non esaustivo allorché vi si omette di indicare altre cause, parimenti rilevanti, che starebbero disincentivando la presentazione delle Dsu da parte di molti nuclei familiari;
   il riferimento, in particolare, è al dato preoccupante segnalato da diversi centri di assistenza fiscale territoriali i quali starebbero riscontrando spesso una forte contrarietà alla presentazione delle DSU da parte di moltissime famiglie italiane – soprattutto le meno abbienti residenti principalmente nel Mezzogiorno – in quanto scoraggiate per via del rischio di poter risultare artificiosamente più «ricche» in base al nuovo Isee;
   si ritiene inoltre che l'impianto del nuovo Isee comporti una disparità di trattamento a danno delle persone con disabilità che vivono in condizioni particolarmente indigenti, come nel caso della popolazione incapiente, dato anche questo non considerato nel report ministeriale;
   in quest'ultimo caso, infatti, poiché le persone interessate non sono tenute a presentare la dichiarazione (a causa di bassi redditi o perché incapienti o perché prive di reddito imponibile), non possono godere dell'agevolazione fiscale delle spese sostenute, anche se documentate, in quanto il Ministero, sulla scorta dell'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 – che prevede la deduzione dal reddito [...] c) fino ad un massimo di 5.000 euro, delle spese sanitarie per disabili, le spese per l'acquisto di cani guida e le spese sostenute per servizi di interpretariato dai soggetti riconosciuti sordi, indicate in dichiarazione dei redditi tra le spese per le quali spetta la detrazione d'imposta, nonché le spese mediche e di assistenza specifica per i disabili, indicate in dichiarazione dei redditi tra le spese e gli oneri per i quali spetta la deduzione dal reddito complessivo – ha confermato la prassi consolidata, che la deduzione possa essere rilevata nel solo caso in cui le suddette spese siano indicate in dichiarazioni dei redditi;
   in generale, è opinione degli interpellanti che, con la riforma intervenuta, l'erogazione delle prestazioni welfaristiche viene ristrutturata nel verso dell'espulsione dalla sfera di idoneità a beneficiare delle prestazioni, ricalcolando a rialzo la condizione economica;
   difatti, secondo una stima del Sole 24 Ore, i patrimoni del 2015, a parità di condizioni reddituali oggettive con il 2014, risulteranno più cospicui dall'8 per cento fino al 30 per cento in base a parametri come il valore della propria casa calcolato sull'Imu, l'eventuale mutuo ad esso connessa, lo stipendio, il numero di figli e di anziani a carico. Secondo il coordinatore della consulta dei centri di assistenza fiscale, Valeriano Canepari, su proiezioni effettuate sulla base dei primi riscontri, la platea di coloro che usufruiscono di servizi e prestazioni legati alla situazione economica potrebbe ridursi del 20 per cento;
   nei giorni scorsi si sono registrate altresì numerose proteste da parte degli studenti universitari contro l'impianto del nuovo Isee. Secondo questi, infatti, l'uso di nuovi parametri per il calcolo della situazione economica, ha fatto sì che circa il 25 per cento degli studenti italiani si trovi con un Isee ed un indicatore di situazione patrimoniale equivalente, indicatori della situazione economica familiare, maggiori rispetto a quelli dell'anno precedente, anche se, di fatto, le condizioni economiche sono rimaste le stesse rispetto al passato. Inevitabilmente per gli studenti ciò rende molto più difficile l'accesso alle prestazioni sociali agevolate, come borse di studio, posti alloggio, contributi tasse e contributi per fitto casa –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa;
   se il Governo non ritenga che l'applicazione della specifica norma di cui all'articolo 6, comma 3, lettera b), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 possa rivelarsi penalizzante per i nuclei familiari rientranti tra le fasce più deboli della popolazione e quali urgenti iniziative correttive intenda eventualmente porre in essere in merito;
   come si concili la determinazione dell'Isee, effettuata da parte dell'INPS, secondo il precedente sistema e le precedenti regole, con le pronunce del Tar del Lazio;
   se non ritengano opportuno che l'INPS, ai fini della determinazione della quota sociale dell'Isee debba effettuare il calcolo avendo riguardo alla vigente disciplina normativa, ovverosia secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 3 dicembre 2013 come modificato dalle sentenze del Tar Lazio n. 2454/15, n. 2458/15 e n. 2459/15;
   quali iniziative intenda eventualmente intraprendere il Governo, per quanto di competenza, e con quali tempistiche, nell'eventualità in cui il Consiglio di Stato dovesse confermare le citate sentenze del Tar del Lazio; se non ritenga, inoltre, che in tal caso possa instaurarsi un ingente contenzioso su impulso di quei cittadini a cui è stato recato medio tempore un danno derivante dalla negazione di servizi o agevolazioni in base al nuovo metodo di calcolo, e quali iniziative, anche di carattere finanziario, riterrebbe nel caso potenzialmente azionabili dal Governo per farvi fronte;
   quali siano con precisione le cause che starebbero disincentivando la presentazione delle dichiarazioni sostitutive uniche, considerando, in particolare, il dato preoccupante fornito dai centri di assistenza fiscale i quali starebbero riscontrando tale tendenza in moltissime famiglie italiane motivate dal fatto di non voler risultare artificiosamente più «ricche» in base al nuovo Isee; se, inoltre, il Governo non ritenga che tale tendenza negativa possa aver contribuito in maniera consistente al calo generale, soprattutto nel Mezzogiorno, delle presentazioni delle dichiarazioni sostitutive uniche, ingenerando così, seppur in parte, quella che appare agli interpellanti l'erronea convinzione che il nuovo Isee garantisca maggiore veridicità delle dichiarazioni che in passato;
   se il Governo possa indicare chiaramente, operando una netta distinzione dei dati di cui sia in possesso, se e in che misura attraverso il nuovo Isee si stiano effettivamente contrastando le frodi e, d'altro canto, se e in quale misura si stiano, invece colpendo, a giudizio degli interpellanti, ingiustificatamente, cittadini in difficoltà, considerato che i picchi di beneficiari di provvidenze assistenziali risultano essere proprio nel Mezzogiorno, in cui la spesa pubblica e i servizi resi sono più carenti;
   se il Governo possa indicare il dato statistico relativo al numero di dichiarazioni sostitutive uniche che, nel periodo di monitoraggio in questione, risultano essere diminuite a causa dell'aumento degli incapienti; se possa indicare, inoltre, a quanto ammontino questi ultimi rispetto allo scorso anno e se e quali iniziative intenda eventualmente intraprendere affinché venga garantita la possibilità per la popolazione incapiente, non soggetta a presentazione di dichiarazioni sostitutive uniche, di beneficiare comunque della deduzione delle spese sanitarie, anche se solo documentate;
   se non ritengano che l'applicazione del nuovo Isee rischi di limitare il diritto allo studio e di ostacolare il proseguimento della carriera universitaria di troppi studenti, selezionati sulla base delle condizioni economiche e delle condizioni materiali di provenienza, e, in caso affermativo, quali azioni in merito ritenga di dover intraprendere;
   quali iniziative, nello specifico, si intendano intraprendere relativamente alle citate criticità che variamente, a livello locale, starebbero colpendo fortemente le persone con disabilità ed i loro nuclei familiari, con particolare riferimento ai casi di pluridisabilità ed alle famiglie con minori con disabilità, soprattutto in relazione alle patite conseguenze negative per l'accesso alle prestazioni sociali agevolate.
(2-01180) «Di Vita, Lorefice, Silvia Giordano, Mantero, Grillo, Baroni, Colonnese, Alberti, Vacca, Di Benedetto».

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRISTIAN IANNUZZI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la città di Latina e in genere il Sud Pontino rappresentano sempre più spesso le piazze in cui vengono sequestrati beni riconducibili ad organizzazioni criminali e mostrano chiaramente i segni della potenza delle mafie in questo territorio;
   centinaia di milioni di euro sono stati confiscati in pochi anni ai clan più pericolosi di camorra, come i Mallardo, gruppo che puntava al Sud Pontino per riciclare e investire. Solo qualche giorno fa la squadra mobile del capoluogo pontino e lo Sco (servizio centrale operativo della polizia) hanno sequestrato 12 milioni di euro riconducibili al gruppo dei Di Silvio;
   un mese fa la Dda (direzione distrettuale antimafia) di Reggio Calabria, in coordinamento con la direzione nazionale antimafia, ha colpito il clan Comisso Macrì di Siderno, che gestiva una rete internazionale di narcotrafficanti. Il cuore operativo, secondo i magistrati, era in un magazzino di fiori nella periferia di Latina di proprietà della famiglia calabrese Crupi. Più a sud, a Fondi, opera da decine di anni il principale mercato ortofrutticolo del centro Italia, il Mof, per due volte finito nel centro di un'inchiesta della direzione investigativa antimafia di Roma: il monopolio dei trasporti della frutta e verdura destinata al mercato europeo era, secondo l'Antimafia, in mano ad un cartello gestito dalla Camorra e da Cosa Nostra, con un ruolo importante giocato dai corleonesi. E sempre a Fondi era diretto un carico di tritolo, intercettato in Puglia dalla guardia di finanza pochi mesi fa, pronto ad essere utilizzato per un attentato ad un imprenditore del mercato della frutta;
   le inchieste «Sistema Formia», «Don't touch» e «Sistema Lollo» sono tra le maggiori inchieste giudiziarie che stanno scuotendo nelle fondamenta l'intero assetto giudiziario e politico della provincia di Latina, tra la città capoluogo e il sud dell'area pontina;
   il 12 novembre 2015 gli investigatori della direzione investigativa antimafia del centro operativo di Roma, hanno sequestrato nelle province di Latina, Frosinone, Napoli, Caserta e Isernia, su disposizione del tribunale di Latina, oltre 200 camion, 2 cave di marmo, società, terreni e immobili di proprietà di Vincenzo Zangrillo, cui fanno capo società operanti nel trasporto merci su strada, smaltimento rifiuti e commercio di autovetture per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro;
   le verifiche degli investigatori hanno evidenziato come il suo patrimonio sia cresciuto parallelamente alle attività criminali sino a raggiungere le rilevanti dimensioni attuali; ciò a fronte di redditi dichiarati al fisco nettamente inferiori alle capacità economiche dimostrate. Il provvedimento di sequestro è motivato dunque dalla pericolosità sociale e dalla conseguente origine illecita del suo patrimonio. Infatti, Zangrillo, oltre a frequentare ed avere rapporti d'affari con imprese controllate dal clan dei Casalesi, godendo anche del supporto di clan quali Bidognetti, Schiavone e Mendico, ha numerosi precedenti penali per associazione a delinquere, riciclaggio e traffico internazionale di autoveicoli. È stato anche denunciato per traffico di rifiuti illeciti ed insolvenza fraudolenta avendo accumulato nel corso degli anni, con i suoi camion, mancati pagamenti dei pedaggi autostradali;
   in particolare, Zangrillo «il 7 luglio del 2011 viene segnalato dai carabinieri di Pontecorvo alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli per un traffico di rifiuti con il coinvolgimento di esponenti legati al clan Belforte di Marcianise (Caserta) per aver alterato, in concorso con i relativi impiegati, le analisi del laboratorio “Eurolab srl”, predeterminando il valore del cumulo di rifiuti, in modo da consentire il loro conferimento presso la discarica di Penitro di proprietà del Comune di Formia»: nello specifico, ufficialmente, l'imprenditore formiano non sarebbe stato attivo presso la discarica nel 2011 e potrebbe aver scaricato senza lasciare traccia, attraverso una delle tante società che compongono il suo universo imprenditoriale con la complicità di dipendenti comunali accomodanti e che in altri casi, documentati, avrebbero chiuso un occhio per altri «clienti» della discarica, come ad esempio la Dieffe & Co., anche essa ufficialmente non attiva presso il sito di Penitro nel 2011;
   nel febbraio 2012, nell'ambito della verifica circa l'eventualità di condizionamenti mafiosi relativi ai lavori di appalto in occasione dell'America's Cup di Vela a Napoli, risulta un coinvolgimento di Vincenzo Zangrillo;
   nell'inchiesta Spartacus condotta dalla direzione distrettuale antimafia contro il clan dei Casalesi, gli fu contestato il reato di associazione camorristica, ma fu poi prosciolto. In seguito la sua impresa è poi finita sotto la luce dei riflettori della prefettura alla fine degli anni novanta, nell'ambito dei controlli di legalità nei cantieri della Tav.;
   Pietro e Raffaele Zangrillo sono i fratelli carabinieri dell'imprenditore Vincenzo e non risultano indagati per le vicende di mafia: il primo, Pietro, oggi risulta in pensione ma ha prestato servizio soprattutto in Campania, nell'area di Carinola e poi a Mondragone dove fu trasferito, e dov’è tutt'oggi domiciliato. Il secondo invece, Raffaele, è ancora in servizio ed in organico, con compiti di polizia giudiziaria, presso la tenenza di Gaeta;
   nel disegno di legge di stabilità 2016 si prevedono 491 milioni di euro in meno, rispetto al passato, per le spese del Ministero dell'interno. Mancheranno fondi per la gestione di caserme, per i reparti di prevenzione del crimine, per l'Arma dei carabinieri, e anche per la direzione investigativa antimafia. La sicurezza locale dovrà sopportare i tagli e i sacrifici maggiori;
   il decreto del Presidente della Repubblica che contiene il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell'interno prevede la riduzione di 23 prefetture, 23 questure, 23 comandi provinciali dei vigili del fuoco, che verranno accorpati con gli uffici di province limitrofe. In 23 ambiti territoriali spariscono presidi fondamentali per la sicurezza dei cittadini, mentre permangono le province, sia pure trasformate in enti di area vasta. In questo modo si rischia l'arretramento dei presidi fondamentali della sicurezza anche in zone (Lazio, Campania, Calabria, Sicilia) particolarmente delicate;
   la legge n. 124 del 7 agosto 2015, avente ad oggetto «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 agosto 2015, all'articolo 8 – Riorganizzazione dell'amministrazione dello Stato – comma 1, lettera e), con riferimento al processo di riorganizzazione degli uffici territoriali del Governo, specifica che la razionalizzazione della rete organizzativa delle prefetture e delle funzioni attraverso la riduzione del numero deve tenere conto di criteri quali, tra gli altri, le caratteristiche del territorio, la presenza di criminalità, le dinamiche socio-economiche e il fenomeno delle immigrazioni sui territori fronte rivieraschi –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non ritengano opportuno intervenire con iniziative urgenti per arrestare i traffici criminali legati anche allo smaltimento dei rifiuti che dal Sud Pontino si irradiano su tutto il territorio nazionale e oltre;
   se, alla luce di tutte le considerazioni esposte e della particolare gravità della situazione in una provincia letteralmente occupata dalle mafie entrate ormai negli interstizi più reconditi non solo dell'economia ma anche di parte della politica e delle istituzioni, come dimostrano vecchie inchieste giudiziarie come la «Formia Connection» e la «Damasco», il Governo non intenda ristrutturare e qualificare i presidi locali delle forze dell'ordine, tenuto conto del fatto che finora la loro azione contro le mafie non è apparsa adeguata tanto da vedersi costretto ad invocare quasi sempre l'intervento dei Corpi specializzati, come la direzione investigativa antimafia e altri;
   se i Ministri interrogati intendano chiarire il ruolo che avranno i presidi locali, sopravvissuti alla razionalizzazione del Ministero dell'interno, nella lotta alle mafie e in assenza di questi, quali strutture saranno preposte ad assicurare i servizi fondamentali legati al rilascio dei documenti e soprattutto alla sicurezza dei cittadini;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare il Governo per contrastare le infiltrazioni mafiose negli apparati amministrativi e giudiziari e limitare le sinergie criminali a livello nazionale;
   se in questa particolare congiuntura storica il Governo ritenga opportuno destinare maggiori risorse economiche provenienti dalle confische dei capitali mafiosi per tutelare la sicurezza dei cittadini e far ripartire le attività nei territori colpiti dalle organizzazioni criminali e ridotti in una condizione di arretramento sociale ed economico. (4-11249)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, NESCI, LUIGI GALLO, FICO, MANTERO, GRILLO, MICILLO, CECCONI, BARONI, LOREFICE, DI VITA, TOFALO e PISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 13 marzo 2007 la regione Campania ha siglato il piano di rientro dal disavanzo;
   il Ministero della salute descrive i piani di rientro come parte integrante del singolo accordo fra lo Stato e la regione, configurandoli come un vero e proprio programma di ristrutturazione industriale capace di incidere sui fattori di spesa sfuggiti al controllo delle regioni. Un piano di rientro della spesa sanitaria, siglato da una regione in disavanzo, è finalizzato a ristabilire l'equilibrio economico-finanziario della regione interessata;
   l'articolo 120 della Costituzione prevede che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, nel caso di mancato rispetto di norme o di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali;
   la sentenza della Corte costituzionale n. 155 del 2011, infatti, ha stabilito che «quando una Regione viola gravemente e sistematicamente gli obblighi derivanti dai principi della finanza pubblica, come nel caso che conduce alla nomina del commissario ad acta, essa patisce una contrazione della propria sfera di autonomia, a favore di misure introdotte per sanzionare tali inadempimenti da parte dello Stato. Queste misure, benché mirate e specifiche, appartengono all'ambito dei principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica»;
   in Campania i commissari ad acta per il piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario sono stati i presidenti della regione Antonio Bassolino e Stefano Caldoro, ma attualmente sia l'articolo 12 del patto per la salute 2014-2016 sia la legge di stabilità 2015 (legge 190 del 2014) prevedono che la nomina a commissario ad acta sia incompatibile con l'affidamento o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento; il commissario ad acta ove nominato, deva possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienze di gestione sanitaria;
   spettano al commissario ad acta per il piano di rientro l'adozione di tutte le misure indicate nel Piano nonché gli ulteriori atti e provvedimenti normativi, amministrativi organizzativi e gestionali da esso implicati in quanto presupposti o comunque correlati e necessari alla completa attuazione del piano. Peraltro, la nomina del commissario comporta l'automatica adozione di misure restrittive e sanzionatorie verso la regione (sospensione dei trasferimenti erariali a carattere non obbligatorio, decadenza dei direttori generali, amministrativi e sanitari, incremento delle aliquote erariali); a quanto risulta agli interroganti, dopo le elezioni regionali campane del 31 maggio 2015 non è stato nominato il nuovo commissario, nonostante la situazione di oggettiva gravità che vive la situazione sanitaria in Campania come emerge anche dai documenti prodotti dal Ministero della salute;
   nel documento «Adempimento mantenimento nell'erogazione dei LEA» a cura dell'ufficio VI della direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute si illustrano i risultati ottenuti dalle regioni attraverso una classificazione a tre livelli (adempienza, adempienza con impegno, critica). Nella valutazione sintetica circa l'adempienza sul mantenimento dei LEA la regione Campania è stata classificata nel livello critico dal 2009 al 2012 e, nel 2013, adempiente con impegno su alcuni indicatori tra cui screening, assistenza residenza agli anziani e ai disabili, assistenza ospedaliera;
   il regolamento del Ministero della salute sugli standard quantitativi e qualitativi dell'assistenza ospedaliera fissa al 25 per cento la quota massima di cesarei primari per le maternità con più di 1000 parti e al 15 per cento per le maternità con meno di 1000 parti. Dal programma nazionale esiti 2015 elaborato dall'AGENAS il valore medio dei parti cesarei in Campania è al 50 per cento con punte del 95,05 per cento, per la Casa di cura Villa Cinzia di Napoli, l'87,62 per cento dalla Casa di cura Sanatrix di Napoli con l'87,58 per cento per la Casa di cura Villa Bianca sempre di Napoli;
   la proporzione di parti effettuati con taglio cesareo è uno degli indicatori di qualità più frequentemente usato a livello internazionale per verificare la qualità di un sistema sanitario. Questo perché il ricorso inferiore al cesareo risulta sempre associato a una pratica clinica più appropriata, mentre diversi studi suggeriscono che una parte dei tagli cesarei è eseguita per «ragioni non mediche»;
   il budget, dalla regione Campania per l'anno 2015, destinato alle prestazioni ambulatoriali erogate da strutture accreditate è stato esaurito già a settembre 2015, come riportato in un articolo del quotidiano il Mattino del 31 agosto 2015: «Esauriti i budget di spesa per numerose prestazioni nei centri che operano in convenzione, a pagarne il prezzo sono gli anziani, i pazienti oncologici, gli ammalati cronici, i disoccupati e i più poveri. Tutti costretti ad attese più lunghe in ospedale e alla Asl, a ricorrere al privato per velocizzare, oppure a rinunciare agli accertamenti clinici perché troppo costosi. Malati di cancro, diabetici, cardiopatici sballottolati da una struttura sanitaria pubblica all'altra alla ricerca di un posto libero per un esame del sangue, una tac, una risonanza, una pet, una visita cardiologica. L'esaurimento dei tetti di spesa è un anatema. Per tutti. Per i malati, per i medici di famiglia, per gli ospedali, per le strutture convenzionate. E così partono da Napoli appelli al Ministro della salute. Si invoca un tavolo col Governo per una deroga. Si chiede di non lasciare soli i pazienti indigenti. Quelli che non possono pagarsi il diritto alla salute. Quelli costretti a rinunciare ad esami fondamentali per la propria sopravvivenza in attesa di gennaio, quando si potrà di nuovo contare sulla sanità accreditata. Ma quando, forse, sarà troppo tardi per fermare un cancro» –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritengano indispensabile e urgente procedere alla nomina del commissario ad acta per la prosecuzione del piano di rientro del disavanzo sanitario campano;
   se il Governo abbia avviato la procedura per la nomina del commissario ad acta per il rientro dal disavanzo valutando i curricula come previsto dall'articolo 1, comma 549, della legge 190 del 2014 e garantendo il rispetto dei principi di trasparenza e meritocrazia;
   se, alla luce dei fatti esposti in premessa, non ritengano necessario assumere ogni ulteriore iniziativa per assicurare i livelli essenziali di assistenza e la stabilità finanziaria della sanità campana. (4-11250)


   LABRIOLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni circolano sui social numerosi articoli e commenti che trattano sempre più frequentemente il tema riguardante l'affissione del Crocifisso nei luoghi pubblici soprattutto nelle aule scolastiche;
   la presenza del crocifisso nelle scuole italiane è prevista da due norme regolamentari contenute all'articolo 118 del regio decreto n. 965 del 30 aprile 1924 e all'articolo 119 del regio decreto n. 1297 del 26 aprile 1928 sugli arredi scolastici. La validità di tali norme, da molti contestata in forza di un loro presunto contrasto con i principi costituzionali, è stata invece ribadita dal Consiglio di Stato nel febbraio 2006;
   per diverso tempo, a tal proposito, l'opinione pubblica si è pronunciata in maniera contrastante: da un lato, coloro che sostenevano l'avvenuta abrogazione tacita delle disposizioni in questione, poiché contrastanti con il dettato costituzionale che stabilisce l'uguaglianza dei culti di fronte alla legge e come tali non più vigenti; dall'altro, coloro che sostenevano l'immutata vigenza delle disposizioni in assenza di una loro esplicita abrogazione;
   la questione inerente all'affissione del crocifisso è stata affrontata e discussa più volte ed in diverse sedi. Sul sito www.Orizzontescuola.it, è riportata una ricognizione normativa in materia effettuata dall'ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna, a seguito di una mozione, presentata dall'allora consigliere Andrea Leoni alla giunta regionale dell'Emilia Romagna;
   in tale ricognizione si fa riferimento all'obbligo di esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche richiamando preliminarmente la sentenza del 18 marzo 2011 della Grande Camera della Corte europea per i diritti dell'uomo (in appello alla precedente sentenza della Corte europea del 3 novembre 2009, n. 189);
   di fatti, nel ricorso presentato in prima istanza alla Corte europea il ricorrente lamentava che la presenza del crocifisso nelle scuole frequentate dai propri figli comportasse la violazione dell'articolo 9, inerente alla libertà religiosa, e dell'articolo 2, riguardante il diritto all'istruzione, del protocollo n. 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   tuttavia, la Grande Camera con la successiva sentenza del 18 marzo 2011, accogliendo il ricorso dello Stato italiano, ha concluso per la non violazione dell'articolo 2 del protocollo 1 ed ha anche considerato che non si pone nessuna questione in merito all'articolo 9, osservando che: «un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose»;
   in Italia il Consiglio di Stato, con il parere n. 63/1988 della sezione II, ha evidenziato che «il crocifisso, a parte il significato per i cedenti, rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da specifica confessione religiosa», sottolineando che «la Costituzione repubblicana, pur assicurando la pari libertà a tutte le confessioni religiose non prescrive alcun divieto alla esposizione nei pubblici uffici (...) ne pare d'altra parte, che la presenza dell'immagine del crocifisso nelle aule scolastiche possa costituire motivo di costrizione della libertà individuale e manifestare le proprie convinzioni in materia religiosa»;
   inoltre, la direttiva del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 2666 prevede esplicitamente l'obbligo dei dirigenti scolastici di adottare «iniziative idonee ad assicurare la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche»;
   tale orientamento è stato successivamente confermato con il pronunciamento n. 4575 del 15 febbraio 2006 del Consiglio di Stato che sottolinea: «il crocifisso in classe presenta una valenza formativa di nessun peso qualificante ai fini della libertà religiosa e deve essere inteso come uno dei simboli dei principi di libertà, eguaglianza, e tolleranza ed infine della stessa laicità dello Stato, fondanti la nostra convivenza e ormai acquisiti al patrimonio giuridico, sociale e culturale dell'Italia» e pertanto non può essere considerato alla stregua di mero «arredo» scolastico e che «la sua disciplina attiene alle norme generali dell'istruzione, di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione;» demandando così il potere di decisione in materia solo al Ministero –:
   se ritengano, alla luce di quanto espresso in premessa, di assumere iniziative per chiarire ufficialmente l'esatto significato di identità storico-culturale rappresentato dal crocifisso;
   quali iniziative intendano adottare per ribadire l'esistenza del fondamento normativo alla base dell'obbligo di affissione del crocifisso nei luoghi pubblici e nelle aule scolastiche. (4-11253)


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 13 novembre 2015 si è appreso dalla solita conferenza stampa presso Palazzo Chigi che il Consiglio dei ministri aveva approvato un decreto-legge all'interno del quale venivano stanziate risorse per una pluralità di interventi;
   in tale conferenza stampa, il Presidente del Consiglio ha presentato le consuete slide definendo il decreto-legge «happy days» e facendo assumere un tono a giudizio dell'interrogante farsesco alla vicenda, anche perché a ben 11 giorni dalla dichiarata approvazione non è ancora avvenuta la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale;
   sulla stampa, il 17 novembre 2015, il testo, del quale sarebbe impossibile reperire anche solo delle bozza, è stato definito allo stato «gassoso» e non sarebbe stato nemmeno esaminato dal cosiddetto «pre-consiglio», dal momento che – sempre secondo quanto riportato da fonti di stampa – la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell'economia e delle finanze stavano «litigando» sulle coperture finanziarie;
   secondo quanto riportato dalle slide il testo riguarderebbe questioni fondamentali, tra cui il Giubileo, che inizia l'8 dicembre 2015, il destino dell'area Expo, l'area di Bagnoli, la Terra dei fuochi, le emergenze nazionali e altro;
   tuttavia, al di là del fatto che le slide non possono in alcun modo equivalere ad una fonte del diritto la reiterata bad practice governativa per cui vengono approvati dei decreti-legge (in teoria necessari e urgenti) la cui pubblicazione avviene dopo settimane, fatti salvi solenni annunci del Presidente del Consiglio, sta assumendo dei contorni vergognosi;
   tale prassi potrebbe assumere ad avviso dell'interrogante anche dei risvolti penali legati alla non corrispondenza tra quanto approvato dal Consiglio dei ministri e quanto pubblicato in Gazzetta Ufficiale, concretizzandosi una palese violazione della lettera c) del secondo comma dell'articolo 2 della legge 23 agosto 1988, n. 400 secondo cui sono sottoposti alla deliberazione del Consiglio dei ministri i decreti aventi valore o forza di legge e i regolamenti da emanare con decreto del Presidente della Repubblica;
   l'interrogante ha già denunciato questa prassi del tutto incostituzionale con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04101 del 19 marzo 2014 alla quale non è ancora stata data risposta, nonostante quanto previsto dall'articolo 134 della Camera dei deputati, nonché i reiterati solleciti inoltrati il 9 ottobre e l'11 dicembre 2014, nonché il 18 febbraio, l'11 giugno, il 31 luglio e il 30 settembre 2015 –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri non ritenga il comportamento illustrato in premessa poco rispettoso della Costituzione, del Parlamento e dei cittadini italiani;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri possa garantire, nella sua qualità di pubblico ufficiale, che il testo che verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale sarà conforme a quello approvato dal Consiglio dei ministri;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri, per quanto di competenza del Governo, sia a conoscenza della data in cui avverrà tale pubblicazione. (4-11257)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   ZAMPA, QUARTAPELLE PROCOPIO, D'INCECCO, CARRA, GNECCHI, IORI, CARLONI, MOGNATO, RUBINATO, BRUNO BOSSIO, VENITTELLI, MARCHI, VALIANTE, GANDOLFI, GIUSEPPE GUERINI, MATTIELLO, TENTORI e LATTUCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la notte del 3 ottobre 2015, raid aerei americani hanno colpito in modo continuativo il centro tramautologico Kunduz Trauma Centre (KTC), in Afghanistan gestito dall'organizzazione internazionale medico-umanitaria, Medici Senza Frontiere (MSF). Nel raid sono morte 30 persone, di cui 13 membri dello staff di MSF, 10 pazienti e 7 persone che non è stato possibile identificare;
   a quanto si apprende dall'Organizzazione MSF, il Governo americano ha ammesso l'errore ed espresso le proprie scuse con una telefonata del presidente Obama alla presidente dell'Organizzazione dottoressa Joanne Liu;
   MSF lavora a Kunduz dal mese di agosto 2011, quando è stato aperto il centro traumatologico. Il KTC era l'unica struttura del suo genere nel nord-est dell'Afghanistan. Il centro traumatologico forniva assistenza chirurgica gratuita di alto livello alle vittime di traumi generici, come gli incidenti stradali, e ai pazienti che si presentavano con lesioni da conflitto, per esempio esplosioni di bombe o colpi di arma da fuoco. L'ospedale aveva 92 posti letto, che erano aumentati eccezionalmente a 140 alla fine del mese di settembre 2015 per far fronte al numero senza precedenti di ricoveri. Il KTC era dotato di un reparto di emergenza, tre sale operatorie e un'unità di terapia intensiva, nonché di reparti di radiologia, farmacia, fisioterapia e laboratori;
   il centro traumatologico impiegava un totale di 460 dipendenti. Dall'apertura del KTC nel 2011, erano stati effettuati oltre 15.000 interventi chirurgici ed erano stati trattati più di 68.000 pazienti in emergenza;
   il 5 novembre 2015 MSF ha pubblicato un rapporto interno che esamina gli attacchi del 3 ottobre da parte delle forze statunitensi sull'ospedale di MSF nell'Afghanistan settentrionale. L'analisi cronologica dei fatti che si sono susseguiti, durante e immediatamente dopo gli attacchi aerei, attesterebbero che non vi sarebbe stata alcuna ragione per cui l'ospedale dovesse essere colpito. Non c'erano combattenti armati o combattimenti nell'area dell'ospedale;
   l'analisi redatta da MSF mostrerebbe i fatti all'interno dell'ospedale nei giorni precedenti e durante l'attacco. Il rapporto comprende i dettagli della disposizione delle coordinate GPS e il registro delle telefonate da parte di MSF alle autorità militari nel tentativo di fermare gli attacchi aerei;
   sulla base del diritto internazionale umanitario, MSF aveva raggiunto l'accordo di rispettare la neutralità dell'ospedale con tutte le parti in conflitto;
   la dottoressa Joanne Liu, presidente internazionale di MSF ha dichiarato: «Noi abbiamo rispettato gli accordi – il centro traumatologico di MSF a Kunduz era un ospedale pienamente funzionante e al momento degli attacchi aerei erano in corso degli interventi chirurgici. Il divieto di ingresso alle armi nelle strutture di MSF è stato rispettato e il personale ospedaliero aveva il pieno controllo della struttura prima e durante attacchi aerei»;
   il direttore generale di MSF dottor Christopher Stokes ha dichiarato: «Stanno circolando alcuni resoconti pubblici che affermano che l'attacco al nostro ospedale potrebbe essere giustificato dal fatto che stavamo curando dei talebani. Ai sensi del diritto internazionale, i combattenti feriti sono pazienti, non devono subire attacchi e vanno curati senza discriminazioni. Il personale medico non dovrebbe mai essere punito o attaccato perché fornisce cure ai combattenti feriti». La dottoressa Liu ha, altresì, dichiarato: «L'attacco ha annientato la nostra capacità di soccorrere i pazienti nel momento in cui ne hanno più bisogno. Un ospedale funzionale che cura pazienti non può così facilmente perdere il suo status di protezione ed essere attaccato»;
   secondo quanto reso noto da MSF tra i 105 pazienti al momento dei bombardamenti, vi erano, infatti, combattenti feriti di entrambe le parti in conflitto a Kunduz, così come donne e bambini;
   le conclusioni del documento di MSF rilevano che:
    «prima dell'attacco, l'accordo di rispettare la neutralità della struttura medica in base alle sezioni applicabili del diritto umanitario internazionale era pienamente in atto e concordato con tutte le parti in conflitto;
    al momento dei bombardamenti, il KTC era completamente funzionante come ospedale, con 105 pazienti ricoverati e interventi chirurgici in corso;
    al momento dei bombardamenti, le direttive di MSF in ospedale erano attuate e rispettate, compresa la politica del “no alle armi” e MSF era in pieno controllo dell'ospedale;
    al momento dei bombardamenti, non c'erano combattenti armati all'interno del complesso ospedaliero e non c'erano combattimenti in corso provenienti dal KTC o nelle immediate vicinanze;
    le coordinate GPS fornite a tutti i gruppi armati erano corrette e le équipe di MSF a Kabul e New York avevano preso i contatti necessari per avvisare le parti in conflitto degli attacchi aerei.
   Sulla base di queste conclusioni, è urgentemente necessario un riconoscimento ampiamente concordato e inequivocabile delle regole pratiche in base alle quali gli ospedali operano nelle zone di conflitto. Ciò significa:
    un ospedale funzionante che cura pazienti, come quello di Kunduz, non può semplicemente perdere la protezione ed essere attaccato;
    i combattenti feriti devono essere trattati senza discriminazione e non possono essere attaccati, il personale medico non può essere punito o attaccato perché fornisce cure ai combattenti feriti»;
   considerata la sequenza di attacchi alle strutture sanitarie che si stanno verificando con sempre maggiore intensità nei conflitti attuali (dal Sud Sudan allo Yemen, dalla Siria all'Afghanistan), l'Organizzazione MSF ha richiesto al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ulteriori iniziative di natura diplomatica per riaffermare i princìpi del diritto internazionale umanitario e il rispetto delle Convenzioni di Ginevra e, dal giorno dei raid americani, si è mobilitato a livello internazionale e in particolare affinché fosse attivata la Commissione umanitaria internazionale per l'accertamento dei fatti (International Humanitarian Fact-Finding Commission) prevista e mai attivata dal primo protocollo addizionale alle Convenzioni di Ginevra del 1977;
   la Commissione ha dato la propria disponibilità ad un'indagine imparziale e indipendente sui fatti, tuttavia per iniziare la sua attività necessita del consenso dei due Stati parti in causa, nello specifico Stati Uniti e Afghanistan. La richiesta da parte della Commissione è stata resa ufficiale per mezzo di due lettere identiche fatte arrivare ai rispettivi Governi il 7 ottobre 2015;
   è di fondamentale importanza che si faccia luce sull'evento e che la Commissione possa espletare il suo mandato fino ad oggi silente –:
   se il Governo non ritenga opportuno intraprendere iniziative affinché il Governo statunitense autorizzi la International Humanitarian Fact-Finding Commission ad avviare l'indagine sugli avvenimenti del 5 novembre 2015 che hanno coinvolto il centro tramautologico di Kunduz in Afghanistan, onde far luce pienamente sugli eventi e riaffermare i princìpi del diritto internazionale umanitario ed il rispetto delle Convenzioni di Ginevra.
(3-01864)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si ha notizia che Daesh ha occupato numerosi pozzi di petrolio in Iraq e in Siria;
   secondo fonti di stampa, ogni mese Daesh incasserebbe circa 50 milioni di dollari grazie a tali giacimenti di greggio: la stima arriverebbe da fonti come l’intelligence irachena e quella americana. A conferma di ciò un documento del «Diwan al-Rakaaez», il ministero delle finanze del sedicente Califfato, pubblicato dall’Associated Press, afferma che i ricavi delle vendite del solo petrolio siriano ad aprile 2015 sono stati di 46 milioni e 700 mila dollari. Nello stesso documento sono indicati 253 pozzi sotto il controllo di Daesh in Siria, di cui 161 operativi grazie all'impiego di 275 ingegneri e 1.107 operai, salvo variazioni nel frattempo subentrate;
   la vendita del petrolio sarebbe la principale entrata del sedicente Califfato, fondi che servono evidentemente per pagare i miliziani, acquistare armi, riparare le infrastrutture colpite dai raid e altro;
   fuori dai territori attualmente occupati, Daesh utilizzerebbe una folta rete di contrabbandieri, che opererebbero soprattutto in Turchia, ai quali venderebbe il petrolio a prezzi inferiori a quelli di mercato;
   le dimensioni del traffico sarebbero indirettamente confermate dalle dichiarazioni delle autorità turche che dal 2011 avrebbero sequestrato 5,5 milioni di litri di petrolio illegale in arrivo dalla Siria;
   si stima che il sedicente Califfato estragga ogni giorno 30 mila barili dagli impianti siriani e 10-20 mila dall'Iraq, per lo più dai giacimenti vicino Mosul;
   la legge 13 agosto 2010, n. 136, piano straordinario contro le mafie, nonché delega a Governo in materia di normativa antimafia, all'articolo 3 prevede la tracciabilità dei flussi finanziari, per bloccare le operazioni con fondi provenienti dalla mafia, cui è seguita la determinazione n. 4 del 7 luglio 2011 dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture «Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari»;
   dal dicembre 2014 il Regolamento europeo prevede la tracciabilità e l'origine dei prodotti agro-alimentari;
   non esiste allo stato una normativa che riguardi la tracciabilità e l'origine del petrolio acquistato dall'Italia, per bloccare le operazioni di acquisto di prodotti petroliferi provenienti dai territori occupati da Daesh ed interrompere conseguente il flusso finanziario –:
   se non sia necessario e urgente promuovere un'iniziativa normativa – e/o condividere analoga proposta con altri partner europei – per fissare regole e discipline che prevedano la tracciabilità del petrolio introdotto in Italia (e in Europa), al fine di bloccare le operazioni di acquisto di prodotti petroliferi provenienti dai territori occupati da Daesh ed interrompere conseguente il flusso finanziario. (4-11244)


   OTTOBRE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Alberto Menegatti, cittadino italiano, è stato trovato morto a Tenerife il 23 febbraio 2015. Consta all'interrogante che le cause della morte non siano state pienamente accertate dall'autopsia, né le indagini effettuate nelle ore immediatamente successive alla morte abbiano determinato un quadro probatorio certo;
   Alberto Menegatti, a Tenerife per allenamenti di surf, secondo l'autopsia sarebbe morto fra l'una e le due di notte di lunedì 23;
   una iniziale valutazione delle cause della morte, secondo quanto sarebbe stato detto ai genitori della vittima, ha orientato a sostenere che egli sarebbe morto per cause naturali imputabili ad un infarto, ma tale versione successivamente è stata smentita dall'autopsia secondo la quale il cuore di Alberto Menegatti era perfettamente sano;
   successivamente, sarebbe stato detto ai genitori di Alberto Menegatti che fra le possibili cause della morte vi fosse anche l'ipotesi che si possa trattare di una malattia genetica e che in tal caso fossero opportuni accertamenti nei loro confronti e dei loro familiari;
   la superficialità con cui a giudizio dell'interrogante sono state condotte le indagini e l'analisi contraddittoria degli indizi presenti nella stanza in cui Alberto Menegatti è stato trovato morto, in primo luogo una grande macchia di liquido attorno al suo corpo, sul lenzuolo del suo letto, la cui natura non è stata accertata, hanno condizionato l'inchiesta che ha evidenziato, fin dall'inizio, profonde lacune che gli inquirenti non hanno approfondito e chiarito;
   ai genitori, di Alberto Menegatti, giunti a Tenerife non appena informati di quanto accaduto, sarebbero state date spiegazioni che sono apparse incongruenti e insostenibili, in ordine ad un'inchiesta che sarebbe stata definita come conclusa, che avrebbero indotto i genitori a consentire la cremazione del corpo di Alberto Menegatti, il 25 febbraio 2015;
   ciò ha rappresentato, da parte delle autorità inquirenti, quella che l'interrogante giudica una sostanziale violazione delle norme di legge in Spagna, perché ogni decisione in merito al corpo di Alberto Menegatti avrebbe dovuto attendere la conclusione delle indagini in ogni aspetto fondamentale delle cause e delle condizioni, personali ed ambientali, della sua morte;
   i genitori di Alberto Menegatti, dunque, sarebbero stati indotti ad una scelta immediata in merito alla cremazione del corpo, sulla base di notizie infondate relative allo stato delle indagini ed hanno fatto rientro in Italia con le ceneri del loro figlio, mentre all'ospedale di Tenerife sono rimasti cuore, cervello e sangue prelevati dal corpo;
   ai genitori di Alberto Menegatti sarebbe stato negato il recupero degli organi e del sangue prelevati, da loro richiesto al fine di compiere in Italia gli esami ritenuti indispensabili ad un fondato accertamento delle possibili cause della morte, giacché le analisi condotte a Tenerife non potevano escludere con assoluta certezza che le cause della morte di Alberto Menegatti non fossero stati naturali;
   ad oggi i genitori di Alberto Menegatti non possono sapere quali siano state le reali cause della morte del loro figlio e i loro appelli ed iniziative – assistiti dall'avvocato Francesco Zarbo e dall'avvocato spagnolo Ana Isabel Carpentieri – per ulteriori e nuove indagini non sembrano essere stati accolti dalle autorità spagnole che non hanno dato alcuna risposta in particolare in merito ai richiesti referti delle analisi ematochimiche e delle analisi dei liquidi biologici –:
   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati sul caso della morte di Alberto Menegatti e quali iniziative il Governo intenda intraprendere per un reale accertamento dei fatti, della natura della morte e per la restituzione ai familiari degli organi prelevati dal corpo. (4-11256)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   in data 24 ottobre 2015, un evento franoso verificatosi in località Calatabiano (CT), ha determinato la rottura di una tubazione dell'acquedotto Bufardo Torrerossa, condotta utilizzata per il trasporto idrico dal fiume Fiumefreddo alla città di Messina e ad altri comuni siciliani;
   l'acqua scaturente dalle sorgenti Bufardo e Torrerossa, così come riportato dalla società «Acque Bufardo e Torrerossa S.r.l.» nel proprio sito internet, è fornita, «per l'uso irriguo, al comprensorio ricadente nel territorio dei Comuni di Giarre, Mascali, Fiumefreddo di Sicilia, Calatabiano e Piedimonte Etneo»;
   nell'anno 1989, a seguito di una protratta siccità verificatasi nel Comune di Messina, la Società cedette al comune di Messina parte delle proprie gallerie da cui prelevare l'acqua eccedente, quella di cui la Bufardo era concessionaria;
   ancora oggi, l'acqua rinvenuta dalla società «Acque Bufardo e Torrerossa S.r.l.» viene utilizzata anche dal Comune di Messina, per il necessario approvvigionamento idrico;
   per tali motivi, la rottura della tubatura verificatasi in data 24 ottobre 2015 non soltanto ha causato una massiccia e imponente inondazione di fango e detriti nei quartieri della città di Calatabiano (CT) ma, allo stesso tempo, ha determinato l'interruzione totale dell'approvvigionamento idrico nel comune di Messina;
   in data 24 ottobre 2014, il quotidiano consultabile online La Gazzetta del Sud, riportando la notizia del guasto alla rete idrica, annunciava la possibilità di «disservizi in tutte le zone della città», nonché la possibile «riduzione dell'orario di erogazione del servizio idrico, sia nella giornata odierna che nei prossimi giorni», stimando un ritorno alla normalità entro la giornata del 26 ottobre 2015;
   secondo le notizie riportate dal quotidiano veniva confermato che la «grossa frana ha danneggiato, all'altezza di Calatabiano, la condotta del Fiumefreddo la principale fronte di approvvigionamento della città di Messina»;
   dallo stesso articolo venivano riportate, inoltre, le dichiarazioni dei tecnici dell'AMAM, «Azienda Meridionale Acque Messina S.p.A.», società affidataria del servizio di gestione delle risorse idriche per la città, i quali, confermando l'apertura della falla, annunciavano la necessità di riparare la condotta in una situazione assai complessa, data la necessità di intervento in una zona certamente impervia;
   secondo i tecnici, «non è la prima volta che si verificano guasti dovuti a smottamenti e frane del terreno su cui passa la condotta vecchia oltre 40 anni»;
   l'articolo concludeva ricordando come le «Polemiche sono spesso divampate sull'alternativa, costituita dalla condotta dell'Alcantara, ma senza mai trovare una soluzione»;
   la città di Messina, nonostante le continue interruzioni, dovute a fenomeni causati dal dissesto idrogeologico dei terreni in cui sorge l'acquedotto, si serve in via praticamente esclusiva dell'impianto situato in località Fiumefreddo, il quale garantisce sì una tariffa più vantaggiosa rispetto ad altre sorgenti attivabili, ma non assicura una quantità d'acqua sufficiente per una popolazione densa qual è quella messinese, soprattutto in caso di guasti alla rete idrica;
   eppure le condizioni di elevata criticità del sistema di rete utilizzato per l'approvvigionamento della città di Messina hanno da tempo sollevato la necessità di una urgente riorganizzazione dello stesso;
   già in data 17 giugno 2014, infatti, in una intervista rilasciata al quotidiano consultabile online Tempostretto, il direttore generale dell'AMAM rilasciava alcune importanti dichiarazioni circa l'inefficienza dell'attuale sistema idrico messinese;
   interpellato sulla progressiva riduzione della quantità d'acqua erogata tra l'inverno e l'estate dell'anno 2014, il direttore generale Luigi La Rosa evidenziava come vi fosse «qualche problema di approvvigionamento delle distribuzioni idriche», dal momento che nel periodo considerato veniva riscontrato «un calo delle fonti del Fiumefreddo»;
   «Il momentaneo calo delle sorgenti del Fiumefreddo», si rilevava nell'articolo, «fa tornare alla ribalta un tema scottante, quello dell'acqua del fiume Alcantara che ha contribuito a rifornire Messina fino al 2009, anno in cui la gestione passò a Siciliacque, società mista detenuta al 25 per cento dalla Regione, con aumento esponenziale dei costi»;
   il direttore generale dell'AMAM, pur sottolineando la necessità di verificare la tenuta strutturale del sistema di erogazione anche dell'acquedotto relativo al fiume Alcantara, evidenziava come il problema principale rimanessero gli elevati costi del servizio, dal momento che «Non si può acquistare l'acqua a 69 centesimi al metro cubo per poi rivenderla a 40, senza considerare le spese e le perdite di rete che esistono ovunque»;
   il direttore concludeva sostenendo che «fin quando Messina si riforniva anche dall'Alcantara c'era più acqua ma c'erano anche molti più debiti, che stiamo pagando ancora», rimarcando tuttavia un aspetto assolutamente fondamentale del problema, dal momento che «la Regione possiede una quota di Siciliacque», e per tali motivi «la politica dovrebbe intervenire per far scendere il costo sensibilmente»;
   eppure, nonostante tali evidenze, la regione siciliana decideva di non intervenire sia sulla rimodulazione dei costi, sia sulla definizione di un nuovo ed efficiente sistema di approvvigionamento idrico per la città di Messina, nonché per i comuni limitrofi che usufruiscono della medesima rete;
   nonostante la società «Siciliacque S.p.a.», azienda per la gestione dei servizi idrici in Sicilia sia detenuta dal 25 per cento dalla regione, «la quale ha promosso, congiuntamente con lo Stato Italiano e l'Unione europea un'azione volta al superamento di tali carenze, con l'obiettivo di colmare il divario esistente con le altre aree europee più sviluppate», così come riportato dal sito ufficiale della stessa, la città di Messina risultava costretta a rinunciare al servizio di approvvigionamento a causa dell'insostenibilità dei costi richiesti, evidenziando, ad avviso degli interpellanti, l'inadeguatezza delle scelte politiche, ad oggi assunte sul tema e, contestualmente, il non raggiungimento degli obiettivi promossi dalle istituzioni citate;
   ancor più grave, se confermata, la notizia riportata dal quotidiano Meridionews in data 28 ottobre 2015, attraverso il quale Giuseppe Santalco, già direttore dell’«Ato idrico Me 3», avrebbe affermato come «l'acqua proveniente dall'Alcantara, che non è distribuita nei centri ionici della provincia, viene sversata nel torrente Giampilieri, poiché inutilizzata»;
   in data 29 ottobre 2015, dalle pagine del giornale consultabile online Il Giornale di Sicilia, si apprendeva come «Il comitato di Messina dell'Unione nazionale consumatori ha deciso di avviare una class-action nei confronti dell'AMAM per la totale assenza di servizio idrico in gran parte delle zone della città servite dall'acquedotto Fiumefreddo»;
   nonostante la possibilità concreta di un'interruzione del servizio di erogazione dell'acqua alla città, in considerazione delle condizioni di dissesto idrogeologico dei terreni su cui è realizzata la rete, sia l'esistenza di un'unica fonte di approvvigionamento, «l'AMAM non ha garantito una razionalizzazione e distribuzione delle altre fonti di approvvigionamento, determinando la totale assenza del servizio idrico per oltre 5 giorni in gran parte della città, attività che non può ritenersi supplita dalla tardiva istituzione di due soli punti di distribuzione a mezzo autobotti», sottolineando una diretta responsabilità dell'Azienda Meridionale Acque Messina S.p.A. nella gestione dell'emergenza idrica;
   a quattro giorni dalla rottura del sistema idrico, e della relativa interruzione del servizio, in data 28 ottobre 2015) il quotidiano Tempostretto pubblicava la notizia di una «situazione gravissima e peggiore del previsto. Il terreno continua a franare e acqua non ne arriverà almeno per altri 4-5 giorni, tempo necessario ai tecnici per risolvere il problema», riportando altresì la notizia di un imminente vertice presso la prefettura della Repubblica di Messina «perché il problema è gravissimo e richiede interventi da Protezione civile»,
   dalle stesse pagine il direttore generale dell'AMAM, Leonardo Termini, dichiarava come, in fase di intervento «si siano notati dei movimenti della conduttura che sono causati dal trascinamento del mantello della collina verso nord. Un movimento franoso vivo, con uno spostamento verso il basso di 1,5 centimetri. Purtroppo questo movimento franoso non ci permette minimamente di immettere acqua nella conduttura», evidenziando, ancora una volta, come tale emergenza sia stata causata sia da un insufficiente approvvigionamento idrico, sia da una condizione di estremo dissesto idrogeologico che da anni interessa il territorio siciliano, il quale non ha ottenuto, ad avviso degli interpellanti, gli adeguati interventi di competenza governativa per la sua messa in sicurezza;
   appare evidente, per tali motivi, come adeguate misure per la tutela dei territori avrebbero certamente aiutato a scongiurare la possibilità di un mancato approvvigionamento idrico così prolungato, in città densamente popolate e ad elevato rischio sismico ed idrogeologico;
   a tal proposito, si ricorda che con la risoluzione in Commissione n. 7-00798, a prima firma Gianluca Rizzo, depositata in data 7 ottobre 2015, seduta n. 497, è stato richiesto l'impiego del 4o reggimento genio guastatori in attività di prevenzione e controllo delle principali infrastrutture siciliane segnalate per il tramite delle prefetture e degli enti locali, elemento che comporterebbe una più celere risoluzioni di casi analoghi;
   in data 30 ottobre 2015, la deputata Federica Daga, in sede di replica ad una risposta del Governo ad un'interpellanza urgente, la n. 2-01131, presentata dalla stessa, proprio sul tema degli investimenti relativi alla messa in sicurezza di territori a rischio dissesto idrogeologico, affermava come secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui vi erano tracce sulla stampa ma non ancora in Gazzetta ufficiale, veniva finalmente approvata l'erogazione dei 654 milioni di euro dal 2015 al 2020, e si potrebbe dire dal 2016 visto che è novembre 2015 per realizzare soltanto 33 opere, tra l'altro tutte concentrate in 5 regioni del centro nord, confermando i timori di inadeguati interventi governativi nelle regioni del Sud Italia e, in particolare, nella regione siciliana;
   risulta inoltre da che non sia stato elaborato un piano nazionale che stabilisca impegni certi sia per l'assegnazione diretta dei fondi, necessaria per la messa in sicurezza dei territori, sia una datazione certa per l'apertura dei lavori relativi, a oggi annunciati, ma ancora senza concreta attuazione;
   l'Agenzia giornalistica italiana dalle pagine del proprio sito online, comunicava che in data 30 ottobre 2015 la prefettura della Repubblica di Messina decideva di assumere la gestione delle operazioni relative all'emergenza idrica messinese, in considerazione delle «gravi carenze organizzative» dell'autoparco municipale cittadino, «risultando che, a distanza di sei ore dalle decisioni assunte dal tavolo tecnico, sono state impiegate soltanto poche autobotti, e sono stati attivati soltanto tre punti di distribuzione in tutto il territorio comunale»;
   allo stesso tempo, l'agenzia riportava la decisione assunta dell'amministrazione comunale della città di Messina, la quale avrebbe ritenuto, ad avviso del quotidiano «di non richiedere l'intervento della predetta nave cisterna. Per questo motivo il prefetto ha deciso di assumere il coordinamento dell'emergenza, utilizzando, come strumento operativo, l'unità di crisi già attivata nella mattinata di ieri, che è stata ulteriormente integrata con Carmelo Di Vincenzo, dirigente dell'Ispettorato dipartimentale delle Foreste che sovrintenderà alle operazioni afferenti ad un razionale piano di distribuzione delle risorse idriche, e con Leonardo Santoro, dirigente dell'Ufficio del Genio Civile che monitorerà i lavori di ripristino dell'impianto, anche al fine di acquisire tempestive e puntuali notizie»;
   in data 3 novembre 2015, il quotidiano consultabile online Il Corriere del Mezzogiorno riportava la notizia di un nuovo guasto alla struttura dell'Acquedotto in località Calatabiano (CT), il quale ha costretto, dopo pochi giorni di parziale erogazione, una nuova interruzione del servizio idrico;
   così come riportato dall'articolo, infatti, «una nuova frana ha colpito, e nuovamente rotto, la condotta di Fiumefreddo a Calatabiano, nel catanese, in Sicilia. Di nuovo a secco, dunque, la città dello stretto, Messina, servita dall'impianto, e già rimasta senz'acqua per nove giorni dopo un primo guasto causato sempre da uno smottamento»;
   «le forti piogge e il vento di questi giorni, che hanno colpito il catanese, causando ingenti danni, hanno determinato il nuovo smottamento a Calatabiano, e la conseguente rottura della condotta», sottolineando, ancora una volta, come l'assenza di adeguati interventi a tutela del territorio siano la causa di principale di tale emergenza, nonché di possibili future interruzioni;
   si ritengono gravissimi i fatti sin qui esposti, che dimostrano, ad avviso degli interpellanti, un non adeguato interesse governativo nei confronti della regione siciliana e, più in particolare, della città di Messina, la quale già costretta in maniera assolutamente irresponsabile da numerosi giorni senza alcun approvvigionamento idrico, è ancora oggi in attesa di un adeguato sistema di collegamento marittimo e ferroviario, un idoneo sistema di gestione delle proprie risorse portuali e, soprattutto, di adeguati investimenti per la messa in sicurezza del suo territorio, già oggetto di drammatiche calamità naturali e di incommensurabili danni, che hanno costretto, e costringono tutt'ora, i suoi cittadini a profondi disagi e ad un senso di progressivo ma inesorabile allontanamento dello Stato italiano e delle sue istituzioni;
   gli stessi interpellanti ricordano, infine, che in data 12 e 13 giugno 2011, si è tenuto in tutto il territorio dello Stato il referendum popolare, su quattro quesiti, per la richiesta di abrogazione di norme allora vigenti;
   il primo dei quattro quesiti recitava «Volete voi che sia abrogato l'articolo 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria» convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 33, come modificato dall'articolo 30, comma 26 della legge 23 luglio 2009, n. 99 recante «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia» e dall'articolo 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea» convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale così richiedendo ai cittadini se intendessero abrogare norme che consentivano la privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica;
   il secondo quesito recitava: «Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell'articolo 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 «Norme in materia ambientale», limitatamente alla seguente parte: «dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito ?», così richiedendo ai cittadini se intendessero assicurare che gli interessi di eventuali prestiti chiesti a banche o istituzioni pubbliche non venissero più compresi nel guadagno di impresa;
   il referendum popolare vedeva la vittoria dei sì, e quindi dell'abrogazione delle norme vigenti, con una esplicita richiesta dei cittadini affinché il bene comune dell'acqua non sia oggetto di speculazioni e, soprattutto, possa essere garantito quando questo rappresenta un servizio essenziale per tutti i cittadini;
   per tali motivi gli interroganti ritengono inadeguato un modello di distribuzione delle risorse idriche che costringa i comuni a privare i propri cittadini di un bene così fondamentale, anche a causa degli eccessivi oneri per il suo acquisto, un modello, questo, che nel caso di specie ha costretto una città con una densità di popolazione superiore ai duecentomila abitanti a non poter usufruire del servizio idrico per oltre 8 giorni –:
   quali urgenti e tempestive iniziative di competenza, il Ministro interpellato intenda adottare per assicurare, in tempi celeri, l'adeguato approvvigionamento idrico per la città di Messinae per evitare, con l'impiego di adeguati finanziamenti per la messa in sicurezza dei territori ad elevato rischio di dissesto idrogeologico, con particolare riferimento al Comune di Calatabiano (CT) e con l'utilizzo di risorse che garantiscano un rifornimento idoneo per una città densamente popolata e ad elevato rischio sismico, che fatti simili possano verificarsi in futuro;
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere affinché possa concretamente affrontarsi la grave emergenza del dissesto idrogeologico nella regione siciliana e se sia nelle condizioni di indicare l'eventuale stima di possibili stanziamenti che, nel breve periodo, potranno garantire e assicurare un'urgente azione per la messa in sicurezza di tali territori;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per assicurare che i servizi idrici essenziali non siano, nei prossimi anni, oggetto di speculazione economica, garantendoli a tutti i cittadini quali beni comuni fondamentali e sempre accessibili.
(2-01174) «D'Uva, Lorefice, Rizzo, Daga, Cancelleri, Terzoni, Grillo».

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la bonifica da ordigni esplosivi residuati bellici interrati in aeree del Demanio militare trova applicazione nella disciplina recata all'articolo 22 del codice dell'ordinamento militare, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 20 del 2012, in base al quale il Ministero della difesa esegue direttamente o mediante appalto ad apposite ditte le attività di ricerca, individuazione e scoprimento di ordigni sulle aree che ha in uso;
   spetta, inoltre, al Ministero della, difesa esercitare le funzioni di vigilanza sulle attività di ricerca e reperimento di ordigni che, a scopo precauzionale, possono essere eseguiti su iniziativa e a spese dei soggetti interessati, mediante ditte che impiegano personale specializzato;
   per quanto concerne, invece, le attività di bonifica in siti non in uso della Difesa, ai sensi dell'articolo 91 comma 4-bis, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 la valutazione del rischio dovuto alla presenza di ordigni bellici inesplosi rinvenibili durante le attività di scavo nei cantieri è eseguita dal coordinatore per la progettazione. Quando il coordinatore per la progettazione intenda procedere alla bonifica preventiva del sito nel quale è collocato il cantiere, il committente provvede a incaricare un'impresa specializzata, in possesso di specifici requisiti. L'attività di bonifica preventiva e sistematica è svolta sulla base di un parere vincolante dell'autorità militare competente per territorio in merito alle specifiche regole tecniche da osservare in considerazione della collocazione geografica e della tipologia dei terreni interessati, nonché mediante misure di sorveglianza dei competenti organismi del Ministero della difesa, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero della salute;
   a tal riguardo con decreto del Ministero della difesa 11 maggio 2015 n. 82 sono stati definiti i criteri per l'accertamento dell'idoneità delle imprese che intendano iscriversi nell'albo delle imprese specializzate in bonifiche da ordigni esplosivi residuati bellici;
   ai sensi del richiamato regolamento presso il Ministero della difesa – segretariato generale della difesa e direzione nazionale degli armamenti – direzione dei lavori e del demanio – è istituito l'albo delle imprese specializzate nella bonifica da ordigni esplosivi residuati bellici, del quale è data pubblicità sul sito web istituzionale del medesimo Ministero. L'iscrizione all'albo è condizione per l'esercizio dell'attività di bonifica preventiva e sistematica da ordigni bellici inesplosi ed è disposta per categorie e classifiche in relazione alla tipologia di intervento da porre in essere e alle capacità tecnico-economiche dell'impresa;
   le imprese sono iscritte in un unico elenco secondo le categorie di attività e classificate secondo il valore dell'importo delle attività eseguibili;
   l'iscrizione abilita l'impresa a partecipare alle gare e ad eseguire le attività di bonifica per le categorie di iscrizione e per un importo massimo complessivo corrispondente alla classifica riconosciuta, incrementata di un quinto;
   a giudizio dell'interrogante, il decreto del Ministero della difesa 11 maggio 2015 n. 82, non ottempera alla normativa anticorruzione e, in particolare rispetto quanto previsto dall'articolo 53, comma 16-ter, del decreto legislativo 165 del 2001 — pantouflage – nella parte in cui la stessa fa riferimento ai soggetti privati destinatari dell'attività della pubblica amministrazione svolta attraverso poteri autoritativi e negoziali (presso i quali i dipendenti, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, non possono svolgere attività lavorativa o professionale);
   anche rispetto a quanto previsto dall'articolo 1 comma 9, lettera e) della legge 6 novembre 2012, n.190, «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità’ nella pubblica amministrazione», risulta poco evidente all'interrogante che le aziende iscritte all'albo delle imprese specializzate nella bonifica da ordigni bellici inesplosi, posseggano i requisiti di ordine generale previsti all'articolo 8 del citato decreto ministeriale n. 82 del 2015;
   l'ASSOBON, associazione di categoria delle imprese del settore in data 24 settembre ha già presentato ricorso al Tar del Lazio contro il Ministero della difesa e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali chiedendo l'annullamento del decreto 11 maggio 2015 n. 82, ravvisando diverse incongruenze e violazioni di legge;
   in data 23 Ottobre 2015, alcune aziende del settore hanno presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica impugnando il decreto ministeriale n. 82 del 2015, chiedendo altresì di riconoscerei l'illegittimità di alcuni commi dello stesso e chiedendone la sospensione dell'efficacia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga utile e necessario assumere iniziative per sospendere l'efficacia del decreto ministeriale 11 maggio 85, n. 82, favorendo la creazione di un tavolo tecnico tra lo stesso Ministero e l'ASSOBON atto a dipanare qualsivoglia incomprensione o controversa interpretazione delle procedure a garanzia del settore. (4-11239)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto italiano di tecnologia (IIT) è una Fondazione di diritto privato istituita congiuntamente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dal Ministero dell'economia e delle finanze, in base alla legge n. 326 del 2003, articolo 4, con l'obiettivo di promuovere l'eccellenza nella ricerca di base e in quella applicata e di favorire lo sviluppo del sistema economico nazionale;
   l'istituto ha vissuto un periodo iniziale di avviamento di 2 anni, terminato il 2 ottobre 2005, durante il quale si sono definite e analizzate le attività iniziali di IIT, in particolare la struttura direttiva, il piano scientifico e le prime iniziative di formazione;
   dopo questo periodo di start-up alla presidenza dell'IIT è Gabriele Galateri di Genola, mentre alla direzione scientifica è stato, invece, confermato il professor Roberto Cingolani;
   nel dibattito aperto dal blog de «Le Scienze» nel dicembre 2008 sulla mancanza di criteri di trasparenza e valutazione scientifica dell'IIT ai quali sono invece sottoposti in Italia enti di ricerca e università (http://cattaneolescienze.blogautore.espresso.repubblica.it) il professor Cingolani ha dichiarato che l'IIT nel 2007 è stato esaminato da un panel di valutazione indipendente (nominato dall'allora Ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa, nelle persone del professor Mario Rasetti, ordinario di fisica teorica al Politecnico di Torino, e del professor Elio Raviola, neurologo presso l'Harvard Medical School di Boston), e che il relativo rapporto finale conterrebbe una valutazione molto positiva;
   dopo più di dieci anni tale rapporto non è ancora stato, reso pubblico, né dal Governo né dall'IIT; i due autori del rapporto commissionato dall'allora Ministro dell'economia e delle finanze, Tommaso Padoa Schioppa e a lui consegnato, hanno dichiarato, come emerge da un articolo della rivista Science, pubblicato in data 19 giugno 2009 a firma di Laura Margottini, che il rapporto da loro redatto muoveva critiche relative all'attività scientifica dell'IIT, giudicandola inferiore alle aspettative, frammentaria e disorganica rispetto alle principali aree di ricerca previste dal piano di ricerca dell'IIT, non coerente con il piano di ricerca della fondazione;
   nella replica, apparsa sulla rivista Science il 9 ottobre 2009, il professor Cingolani ammise per la prima volta che quel rapporto del 2007 «rifletteva problemi tipici delle nuove istituzioni» (nel 2007 l'IIT esisteva tuttavia da quattro anni); ma malgrado ciò, dice, era stato considerato complessivamente positivo, e a riprova cita la prosecuzione dei finanziamenti governativi;
   in quella stessa replica a Science il professor Cingolani menzionò due successivi rapporti di valutazione dell'IIT (dicembre 2008 e maggio 2009), che sarebbero stati, invece, molto lusinghieri: ma hanno avuto il notevole difetto, sottolineato dalla controreplica di Science, di essere redatti dal comitato tecnico-scientifico dell'IIT, che istituzionalmente collabora con il residente, il direttore scientifico e il comitato esecutivo dell'IIT nella definizione dei finanziamenti e delle priorità di ricerca; non, quindi, un panel di valutazione indipendente come quello nominato da Padoa Schioppa nel 2007, visto che, all'epoca la figura del presidente coincideva con quella dell'allora direttore generale del tesoro, il Vittorio Grilli;
   come già segnalato in una interrogazione presentata durante la scorsa legislatura dagli onorevoli Bachelet, Tocci e Ghizzoni, dopo le critiche internazionali allo stentato avvio dell'IIT, nell'assenza, di qualsiasi elemento di valutazione indipendente sull'IIT a disposizione del Parlamento e dei contribuenti italiani, e in assenza anche, almeno a quanto è dato di sapere, di una modifica delle sue finalità da parte del Governo, l'IIT ha da tempo avviato un'ampia campagna di finanziamento di ricerche in tutti gli enti e le università italiane, in tal modo configurandosi come una funding agency con finalità paragonabili al Consiglio nazionale delle ricerche;
   come emerge anche in una recente determinazione e relazione della sezione di controllo della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria dell'IIT, la situazione patrimoniale dell'Istituto espone un aumento delle attività, da ricondursi in particolare alla crescita del circolante. Il patrimonio netto, pari a 493.622.112 euro, presenta un incremento per effetto della crescita delle riserve, a fronte di una riduzione del risultato di esercizio. La stessa Corte dei Conti, segnala poi che, con riferimento al Technology Transfer, che rappresenta la missione dell'IIT legislativamente sancita pur nella indubbia difficoltà di giungere ad una valutazione economica del portafoglio brevetti, appare opportuna una attenta analisi delle potenzialità economiche dei prodotti della ricerca scientifica nel momento del loro impiego pratico –:
   quando e con quale modalità si intenda rendere pubblico il rapporto indipendente commissionato nel 2007 dal Ministro dell'economia e delle finanze pro tempore Tommaso Padoa Schioppa, affinché Parlamento e contribuenti possano autonomamente valutare se la prosecuzione e anzi l'aumento straordinario dei finanziamenti pubblici sia o meno congruo con il contenuto di quel rapporto;
   quando e con quale modalità si intenda promuovere un nuovo round di valutazione dell'IIT di standard europeo, da parte cioè di esperti di riconosciuta reputazione internazionale, non legati all'IIT da vincoli istituzionali, finanziari o di collaborazione scientifica;
   se il Governo abbia approvato, formalmente o informalmente, la trasformazione dell'IIT in funding agency, e, in caso affermativo, se e come intenda rendere trasparenti e conformi agli standard europei i criteri che regolano il flusso finanziario dell'IIT verso altre istituzioni scientifiche. (5-07079)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   l'articolo 111 della Costituzione, così come modificato con legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, sancendo i principi del «giusto processo», stabilisce che ogni processo debba svolgersi di fronte ad un giudice indipendente, terzo e imparziale;
   l'articolo 24 della Costituzione, garantendo la possibilità per tutti di agire in giudizio e sancendo quindi l'inviolabilità del diritto di difesa, pone le basi essenziali della tutela giudiziaria e di conseguenza del diritto ad un giudizio imparziale;
   l'articolo 6 della Carta europea dei diritti dell'uomo, sancisce il diritto di ogni persona a che la sua causa sia esaminata equamente e da un tribunale terzo e imparziale;
   i requisiti di imparzialità e terzietà del giudice sono definiti in modo pressoché unanime da giurisprudenza e autorevole dottrina come caratteristica di neutralità del giudice, che deve agire libero da ogni tipo di interesse, pregiudizio e preconcetto;
   rilevato, inoltre, che la Corte di Cassazione, con sentenza n. 32619/2014, ha stabilito che il giudice d'appello deve rinnovare l'istruttoria se vuole dare una diversa valutazione della prova testimoniale, sia nel caso egli voglia riformare in peius la sentenza di assoluzione di primo grado, che nel caso in cui vi sia già stata condanna;
   la Corte europea dei diritti dell'uomo, interpretando l'articolo 6 della Carta, con sentenza del 5 luglio 2011 (Dan c. Moldavia), ha sancito l'obbligo del giudice d'appello di riesaminare il testimone, qualora intenda utilizzare in modo difforme dal giudice di primo grado la sua dichiarazione, per «ascoltarlo personalmente e così valutarne l'attendibilità intrinseca»;
   alla luce del differente giudizio della corte d'appello, in contrasto con quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 32619/2014, il Ministro della giustizia dovrebbe chiarire come possa essere assicurato il rispetto dei principi affermati dalla Corte di Cassazione medesima, e dovrebbe provocare una maggiore e più approfondita riflessione sul tema del ribaltamento delle sentenze e in particolare sul ribaltamento dell'assoluzione, soprattutto laddove questo venga fatto dipendere da una diversa valutazione dei fatti;
   il 27 ottobre 2014, la terza Corte d'Appello di Roma ha condannato a 2 anni e 6 mesi per peculato (dopo che i pubblici ministeri avevano chiesto 2 anni di reclusione) il senatore in carica Augusto Minzolini, parlamentare di Forza Italia, dopo che era stato assolto in primo grado, nel febbraio 2013. Il giudice ha fissato anche per lo stesso periodo l'interdizione dai pubblici uffici;
   il 12 novembre 2015, la VI sezione penale della Corte di Cassazione ha poi confermato la condanna a due anni e mezzo e l'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena, come stabilito dalla Corte d'Appello di Roma il 27 ottobre 2014;
   giova, inoltre, evidenziare la grave circostanza che ha visto la presenza, all'interno del collegio giudicante in appello, del magistrato Giannicola Sinisi, ex parlamentare dell'Ulivo, nonché sottosegretario per l'interno durante il primo Governo Prodi, e nel primo governo D'Alema;
   risulta inoltre all'interpellante che, a tre giorni dalla data fissata per l'udienza presso la Corte di Cassazione, sia stata modificata la composizione del collegio giudicante, sostituendone il Presidente –:
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche di tipo normativo, al fine di chiarire e comunque escludere che un esponente politico, seduto in Parlamento dal 1996 al 2008, sottosegretario per l'interno durante il primo governo Prodi e D'Alema, quando a capo del ministero dell'interno vi erano prima Giorgio Napolitano e poi Rosa Russo Iervolino, possa far parte di un collegio di Corte d'Appello che giudica un esponente politico eletto in un partito avversario, un collegio che infliggendo una pena superiore a quella richiesta dal pubblico ministero, nei fatti decreta la decadenza dell'avversario politico/imputato dalla carica di parlamentare;
   se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche di tipo normativo, al fine di chiarire e comunque escludere che lo stesso collegio di Corte d'appello, composto fra gli altri dal giudice avente le caratteristiche sopra citate, nel giudicare lo stesso imputato, capovolga la sentenza di assoluzione emessa dal giudice di primo grado, emettendo una condanna senza prima procedere alla riapertura dell'istruttoria, riascoltando i testimoni o assumendo nuove prove, come invece previsto dall'articolo 6 della Cedu;
   se il Ministro della giustizia titolare dell'azione disciplinare, non intenda aprire un procedimento nei confronti di questo magistrato che, ad avviso dell'interpellante, ricorrendone le condizioni, non si è astenuto dal partecipare al collegio di Corte di Appello.
(2-01179) «Brunetta».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, BONAFEDE, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, SARTI e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Ufficio unico notificazioni esecuzioni e protesti (UNEP) della corte di appello di Venezia, in data 9 settembre 2013, emetteva una disposizione di servizio (prot. 1243) interessante il personale dei funzionari UNEP e degli ufficiali giudiziari, firmata dal funzionario dirigente e dal presidente della corte di appello di Venezia, in cui si disponeva che: «(...) ciascun Ufficiale Giudiziario e ciascun funzionario Unep, presti, in ciascuna zona, almeno 60 giorni di servizio effettivo. Pertanto, in assenza a qualsiasi titolo che comporti una prestazione lavorativa inferiore a quella sopra richiesta, i giorni non effettuati dovranno essere recuperati mediante sostituzioni nella stessa zona fino al raggiungimento del monte giorni prescritto, indipendentemente dalla zona assegnata successivamente»;
   ciò comporta che un lavoratore che si assenti dal servizio, legittimamente in forza di disposizione di legge, come ad esempio per congedi parentali o per maternità e paternità, subisca l'obbligo di dover recuperare l'assenza dal lavoro con sostituzioni, anche in zone che magari si trovano in altra parte del mandamento di competenza dell'ufficio;
   la normativa in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, così come definita al decreto legislativo n. 151 del 2001, attribuisce a ciascun genitore il diritto facoltativo di astenersi dal lavoro, per la cura del bambino nei suoi primi otto anni di vita, così come nell'ipotesi di congedi richiesti per motivi correlati alla malattia del figlio; l'astensione dal lavoro non prevede un successivo recupero del periodo di astensione, ne può dar luogo ad alcuna forma di discriminazione nell'organizzazione della successiva prestazione al proprio rientro in servizio;
   a specifico quesito in merito alla fruizione del congedo parentale risponde il CSM con propria deliberazione, del 17 aprile 2013 (fasc. num. 11/QU/2013), che recita: «L'astensione dal lavoro per congedo parentale, ove tempestivamente comunicata, non può dare luogo a previsioni organizzative interne comportanti un recupero dell'attività non svolta nei giorni di congedo; stessa regola vale nell'ipotesi in cui il congedo venga richiesto per motivi correlati alla malattia del figlio, dovendosi quindi escludere che anche in tale caso il magistrato possa essere chiamato a recuperare il lavoro non svolto attraverso un più intenso impegno, in termini di numero di udienze o di assegnazione di procedimenti, al momento della regolare ripresa dell'attività»;
   risulta pertanto evidente che se questo esercizio del diritto, privo di obblighi di recupero successivi e conseguenti, è a valere per i magistrati, non può che esercitarsi anche per tutti gli altri dipendenti dell'amministrazione della giustizia che di detti congedi usufruiscono –:
   come si concili la disposizione di servizio di cui in premessa dell'ufficio unico notificazioni esecuzioni e protesti della corte di appello di Venezia, del 9 settembre 2013, con le norme stabilite dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001;
   se non ritengano di dover valutare l'opportunità di operare una ricognizione di eventuali similari disposizioni presso gli uffici NEP nonché, ove necessario, di assumere apposite iniziative, per quanto di competenza, volte a precisare la portata, in senso generale e non discriminante, dell'istituto del congedo parentale all'interno degli uffici giudiziari. (5-07080)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 9 ottobre 2015 il quotidiano «Corriere Adriatico» ha pubblicato la notizia che il Vice Ministro Senatore Nencini, ha partecipato alla cerimonia d'inaugurazione del molo di protezione della banchina n. 26 del porto di Ancona, già operativa da qualche mese;
   successivamente, lo stesso quotidiano e gli altri giornali locali, in data 18 novembre 2015, hanno riportato la notizia che l'autorità portuale di Ancona ha esaminato le risultanze dello studio sulla situazione strutturale delle banchine 23 e 24. L'analisi ha evidenziato la «necessità di adeguamenti che consentano la piena operatività anche alle semoventi di nuova generazione» e, per tale motivo, l'autorità portuale ha emesso una «nuova ordinanza che stabilisce limiti operativi»;
   sempre secondo quanto riportato dagli organi di stampa succitati «... servono ulteriori lavori, oltre a quelli previsti sulla banchina n. 22, chiusa per inagibilità»;
   la situazione sopra descritta evidenzia che la banchina n. 22 è inagibile, le banchine 23 e 24 presentano limiti operativi, mentre è entrata in operatività la banchina 26, adeguatamente protetta dal nuovo molo di protezione inaugurato di recente –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda assumere affinché le banchine nr. 22, 23 e 24 possano tornare agibili e funzionanti al fine di garantire l'efficienza del porto;
   quali iniziative ulteriori di competenza intenda adottare al fine di accertare se la nuova banchina n. 26 sia stata collaudata e se sia in possesso ed, eventualmente, da quale data, della certificazione di sicurezza relativa alla normativa antincendio, rilasciata dagli organi competenti. (5-07070)


   RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante, già con precedenti atti di sindacato ispettivo ha richiesto provvedimenti affinché non fosse consentito a Poste Italiane spa di procedere, unilateralmente, alla chiusura e riorganizzazione dei servizi postali in Friuli Venezia Giulia come previsti nel nuovo piano aziendale. Si intendeva scongiurare un danno ai cittadini privandoli di un adeguato servizio pubblico essenziale, in particolare, nelle zone territoriali considerate svantaggiate come quelle di montagna. Tuttavia, Poste Italiane spa ha comunque proceduto ad adottare provvedimenti che recano ingiusto disagio agli utenti, la cui adozione non è stata preceduta da un'idonea con concertazione con gli enti locali interessati;
   difatti, si apprende dalla stampa il 23 novembre 2015 che a Tolmezzo (Ud), il sindacato denuncia le falle del nuovo sistema di recapito della posta avviato il 2 novembre 2015, che ha comportato una situazione di grande tensione poiché i cittadini ricevono la posta con considerevole ritardo, nonostante il massimo impegno assunto dai postini, spesso costretti a fare straordinari che non vengono neanche retribuiti;
   il segretario di Slc Cgil Udine denuncia un arretrato di quintali di posta da consegnare, incluse lettere contenenti i modelli per il pagamento della tasi, che in alcuni casi di giungere al destinatario oltre la scadenza fissata per il pagamento dell'imposta;
   con il taglio del 30 per cento del personale, ricollocato all'interno della società, i portalettere rimasti in forze sono ormai sovraccarichi di lavoro e non possono oggettivamente garantire un servizio idoneo e di qualità. Quindi, oltre al disservizio, preoccupa anche lo stato di responsabilità dei portalettere, che ingiustamente sono costretti a lavorare oltre il dovuto, pur di limitare i danni derivanti dalle criticità del nuovo sistema disposto da Poste Italia spa;
   come ha già a tempo debito denunciato l'interrogante, la società nel riorganizzare il servizio avrebbe dovuto considerare le diversità delle aree del territorio, prendendo atto del fatto che nei luoghi svantaggiati come la montagna, per le sue peculiarità, non sarebbe stato possibile garantire il servizio con il nuovo modello elaborato. È evidente che tale opportuna analisi non è stata avviata da Poste, pertanto, a causa dei disservizi predetti, è ora necessario adottare immediate iniziative a tutela degli utenti e a salvaguardia del lavoro dei postini, dove questi ultimi non possono sobbarcarsi le responsabilità del modello organizzativo disposto dai vertici della società –:
   se e quali iniziative di competenza, in concertazione con le istituzioni locali e Poste Italia spa, intenda adottare affinché il nuovo modello organizzativo del servizio postale sia modificato in modo da garantire un idoneo servizio, considerando che quello postale rientra tra i servizi pubblici essenziali volti a garantire il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. (5-07073)


   ANZALDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi i circa otto milioni e duecentomila clienti che usufruiscono del servizio Telepass hanno ricevuto, da parte dell'azienda, la proposta unilaterale di modifica del canone;
   l'opzione Premium di Telepass dal 1o gennaio 2016, in base alla proposta di modifica passerà dagli attuali 78 centesimi di euro a 1.50 euro al mese per chi ha un contratto Family, Twin o Telepass con Viacard;
   i clienti, dalla ricezione della lettera, hanno 60 giorni di tempo per recedere dal contratto, in assenza di tale decisione le modifiche saranno considerate approvate con l'applicazione delle nuove tariffe;
   in relazione a questo aumento tariffario Telepass offre in cambio l'estensione del servizio di soccorso su tutta la rete stradale, non più solo su quella autostradale;
   in base alla strategia aziendale viene fatta confluire l'opzione Premium in quella Extra e per premiare la fedeltà dei clienti, per un anno gli stessi pagheranno la stessa cifra, questo per evitare disdette da parte dei vecchi abbonati;
   tuttavia, già nel corso del tempo erano maturate alcune decisioni di strategia aziendale che, in qualche modo, hanno penalizzato l'utenza, basti pensare alla riduzione del numero di targhe attribuite ad ogni apparato telepass;
   alcune associazioni dei consumatori hanno annunciato ricorsi all'Antitrust, contestando il regime di monopolio;
   il gruppo Atlantia, va ricordato, gestisce 3.005 chilometri di rete, pari al 44 per cento della rete autostradale nazionale, esercitando un monopolio di fatto della gestione del servizio Telepass;
   fino ad ora, l'Antitrust su Telepass non si è mai pronunciata, in quanto il telepass non è un nuovo strumento di pagamento, quanto piuttosto un servizio aggiuntivo che l'azienda offre a pagamento per evitare le code;
   il dibattito sembra all'interrogante abbastanza surreale perché Atlantia, la holding del gruppo di cui fa parte Autostrade per l'Italia, ha recentemente vinto una gara internazionale, da due miliardi di euro, in Francia, avente per oggetto proprio il telepedaggio per i veicoli pesanti superiori a 3,5 tonnellate e la stessa Atlantia si era aggiudicata una gara simile in Austria;
   si tratta di un sistema free flow, che permette di rilevare il passaggio di un veicolo senza necessità di un casello fisico ma satellitare;
   mentre in Europa si va quindi verso sistemi di telepedaggio, in Italia continuano ad aumentare caselli e porte Telepass e, conseguentemente, gli introiti delle concessionarie, anche a fronte di un evidente calo del traffico veicolare lungo la rete autostradale a partire dal 2009 –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere nei confronti dell'azienda concessionaria al fine di valutare l'opportunità di un simile aumento tariffario in assenza di confronto e adeguate informazioni a tutela dei consumatori e se non ritenga ormai giunto il tempo anche in Italia per procedere al superamento dei caselli e per adottare, anche nel nostro Paese, sistemi satellitari di telepedaggio. (5-07081)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, DELL'ORCO, CARINELLI, LIUZZI, DE LORENZIS e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 19 novembre 2015 Trenitalia ha emesso un comunicato consultabile sul sito web «Fsnews» laddove Trenitalia stessa dichiara che «le nuove regole per gli abbonati AV di Trenitalia saranno definitive dal 1o gennaio 2016» e che «il numero degli abbonamenti disponibili mensilmente sarà determinato in base ai dati storici secondo le varie tratte, con l'obiettivo di soddisfare l'esigenza della base di clientela Trenitalia già esistente»;
   agli interroganti è stata inoltrata una lettera del «Comitato pendolari veloci Torino-Milano» (di seguito, «Comitato»), con la quale si richiede che tale decisione sia rivista totalmente in quanto «è inammissibile ed inaccettabile che venga posto un numero chiuso agli abbonamenti venduti limitando di fatto la libertà dei clienti che hanno la necessità di acquistare un abbonamento (...). Dallo scorso giugno ad oggi sono trascorsi ormai 6 mesi nei quali, il Comitato e gli abbonati stessi, hanno inviato a Trenitalia e NTV molte comunicazioni e richieste di confronto, con lo scopo di cercare un dialogo ed una soluzione condivisibile con il fine di minimizzare i problemi che la prenotazione obbligatoria avrebbe introdotto e che la limitazione del numero di abbonamenti introdurrà dal prossimo gennaio 2016, problemi che non sono limitati soltanto agli abbonati/pendolari della tratta Torino-Milano ma che riguardano tutti gli abbonati alta velocità italiana. In questi 6 mesi entrambe le società che forniscono il servizio alta velocità (Trenitalia e NTV) hanno introdotto delle novità che hanno portato ad una discriminazione dei viaggiatori favorendo i viaggiatori occasionali rispetto agli abbonati che viaggiano per necessità lavorative e non per svago favorendo indiscriminatamente i primi con una serie di «privilegi» negati agli abbonati»;
   in tale lettera si segnala inoltre che «il viaggiatore occasionale ha la possibilità di acquistare un biglietto anche con 6 mesi di anticipo rispetto alla data del viaggio, mentre un abbonato ha la possibilità di prenotare il proprio posto con un anticipo che spesso è inferiore ai 30 giorni; il prezzo degli abbonamenti è aumentato del 15 per cento per Trenitalia (ad esempio per la tratta Torino-Milano il prezzo è passato da 295 euro a 340 euro) e del 27 per cento per NTV (ad esempio per la tratta Torino-Milano il prezzo è passato da 299 euro a 380 euro) mentre il prezzo dei biglietti è rimasto invariato;
   i due operatori commercializzano biglietti in super offerta ad esempio per la tratta Torino-Milano possono arrivare ad un prezzo che oscilla dai 5 euro ai 9 euro, prezzo inferiore a quello pagato da un abbonato; l'aumento del prezzo per gli abbonati è stato affiancato ad una drastica riduzione del servizio in quanto fino a pochi mesi fa era possibile effettuare un numero illimitato di viaggi mensili, mentre adesso i viaggi sono limitati ad un numero di 60 (2 viaggi a giorno); NTV ha ridotto le corse nelle fasce orarie più sfruttate dagli abbonati (ad esempio sulla tratta Torino-Milano il primo treno al mattino in direzione Milano parte alle ore 7.25 ed il successivo alle 9.25 mentre la sera è presente un buco dalle 15.25 alle 20.25); Trenitalia ha introdotto la prenotazione obbligatoria per gli abbonati e avrebbe intenzione di introdurre un limite sul numero di abbonamenti venduti, impedendo di fatto l'acquisto a una parte dei clienti»;
   occorre, inoltre, considerare che le due società, nonostante siano private, svolgono un servizio di pubblica utilità offerto su infrastrutture pubbliche pagate dai contribuenti stessi. Nonostante ciò in questi mesi Trenitalia e NTV hanno intrapreso, nei confronti degli abbonati, iniziative atte a limitare pesantemente la libertà di spostamento e la flessibilità degli spostamenti stessi in favore dei viaggiatori occasionali;
   per tutte queste ragioni, il predetto Comitato richiede «un intervento urgente di Trenitalia, NTV, dell'Autorità di Regolazione dei Trasporti, delle istituzioni e delle associazioni dei consumatori con l'obiettivo di ristabilire un adeguato standard di servizio proporzionato all'utenza che è in costante e continua crescita e che verrebbe penalizzata dall'introduzione di un limite sugli abbonamenti venduti a detrimento e con grave pregiudizio della mobilità nazionale mettendo concretamente a rischio di licenziamento migliaia di lavoratori pendolari che non riusciranno a raggiungere il luogo di lavoro come oggi. Si precisa che ad oggi le stime parlano di oltre 9.000 abbonati Alta Velocità sulle tratte Torino-Milano, Milano-Bologna, Bologna-Firenze, Firenze-Roma, Roma-Napoli e Napoli-Salerno»;
   a parere degli interroganti, le considerazioni svolte meritano una adeguata considerazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga doveroso intervenire, per quanto di competenza, affinché non si colpisca ulteriormente una categoria disagiata come quella dei «pendolari veloci». (4-11254)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il porto di Palermo, sia per flusso di merci che di passeggeri, è uno tra i principali porti italiani e dell'intero mar Mediterraneo: infatti, nel 2014, sono transitate merci per oltre 6,2 milioni di tonnellate, mentre il numero dei passeggeri è arrivato a circa 1,8 milioni;
   la posizione di Palermo all'interno del bacino mediterraneo rende questo porto di particolare rilevanza nei collegamenti tra Europa e Africa, offrendo frequenti collegamenti settimanali con porti nordafricani;
   in virtù di ciò e dell'innalzamento del livello delle esigenze di sicurezza dovuto alla recente attività del terrorismo internazionale, in particolare di matrice islamica, secondo gli interpellanti, il porto di Palermo dovrebbe essere oggetto di un rinnovato impegno sui fronte della sicurezza e dei controlli, sia dei passeggeri sia delle merci;
   dopo gli attacchi terroristici del 13 novembre 2015 a Parigi, nonché dopo le ripetute minacce da parte dell'Isis rivolte ai nostro Paese, il rischio di infiltrazione terroristiche è aumentato esponenzialmente, tant’è che è stato innalzato lo stato di allerta al livello 2, ed è avvenuta la fissazione del livello di prevenzione al massimo grado;
   tuttavia, secondo quanto emerge da recenti denunce pubbliche, fatte da svariate sigle sindacali operanti all'interno del porto medesimo, non vengono garantiti nemmeno i livelli minimi di sicurezza, in riferimento al servizio traghetti che collega stabilmente il porto di Palermo con la Tunisia, in special modo a causa del numero ridotto del personale preposto ai controlli, che dunque vengono effettuati sommariamente o a campione, e dell'assenza di strumentazione idonea, quale metal detector, scanner e di aree dedicate ai controlli;
   più nello specifico, come documentato da articoli di giornale e vari servizi televisivi, nonché come testato in due verifiche di parlamentari e deputati dell'assemblea regionale in data 20 settembre e 22 novembre 2015, i controlli sul traffico di persone sono quasi assenti, inclusi quindi anche quelli sui relativi bagagli, così come i controlli nei confronti delle autovetture risultano essere inadeguati e a campione;
   secondo gli interpellanti, dunque, nulla impedirebbe a potenziali terroristi di accedere tranquillamente nel territorio italiano tramite l'utilizzo di un regolare servizio traghetti che collega Tunisi con il porto di Palermo, ovvero ad esponenti della criminalità organizzata di tipo mafioso di condurre liberamente i propri interessi economici illegittimi;
   l'inadeguatezza delle misure di sicurezza è ancor più evidente se si considera che il decreto del Ministero dell'interno n. 154 del 2009, a parere degli interpellanti inattuato riguardo al porto di Palermo, ha espresso la necessità di equiparare le misure di sicurezza da adottare nei porti a quelle già in essere negli aeroporti, come ad esempio la presenza di un'area sterile adibita al controllo per le navi provenienti da «No Schengen countries»;
   nonostante queste vistose mancanze in merito alla sicurezza del porto di Palermo, l'autorità portuale ha dichiarato che «il porto di Palermo è dotato dei piani di security degli impianti portuali e delle aree comuni, debitamente approvati dalla Prefettura» e che «il porto di Palermo è in regola con gli standard internazionali di security e le strutture in atto esistenti sono in corso di potenziamento»;
   alcuni anni fa i funzionari dell'ufficio doganale per l'intera provincia di Palermo risultavano essere circa 150, una cifra che secondo i sindacati di categoria era in linea con gli standard di altri uffici di analoga portata e dimensione nel resto del Paese: a causa del blocco delle assunzioni e di svariati pensionamenti, tale numero è sceso vertiginosamente a meno di 70 unità, raggiungendo il record negativo in assoluto di un funzionario doganale ogni 18.222 abitanti, proporzione che continua a peggiorare per il susseguirsi dei pensionamenti;
   tuttavia, l'attuale dotazione organica, elaborata alcuni mesi fa, semplicemente limitandosi a fotografare lo stato dell'arte del personale di allora, aveva fissato le unità in organico a 80; dunque, anche se il numero di funzionari necessario per garantire un servizio efficiente potrebbe essere sensibilmente maggiore rispetto alle 80 unità dichiarate, ad oggi la dotazione reali del personale appare addirittura sensibilmente inferiore;
   la criticità della situazione è ancor più grave se si pensa che attualmente pochi funzionari doganali rimasti in servizio in provincia di Palermo, oltre a controllare il già affollatissimo porto di Palermo, devono suddividersi anche tra il porto di Termini Imerese, l'aeroporto internazionale Falcone Borsellino, gli uffici centrali, nonché vari attracchi marittimi minori, per un totale di oltre 6,5 tonnellate di flusso merci e circa 6,2 milioni di flusso passeggeri;
   in altre realtà italiane ove si registrano flussi passeggeri e merci nettamente inferiori a quelli registrati in provincia di Palermo, invece, la dotazione organica risulta essere uguale o persino maggiore: nel complesso ben 38 uffici delle dogane hanno più personale dell'ufficio delle dogane di Palermo, oltre agli uffici centrali di Roma, i quali, nonostante il già abbondante numero di funzionari presenti, hanno usufruito di una procedura di interpello per ricerca di ulteriore personale interno all'amministrazione;
   inoltre, quantunque vi sia un numero sufficiente di addetti, l'assenza di strumentazione adeguata, come nel caso del porto di Palermo, renderebbe particolarmente difficoltosa l'attività di controllo;
   già attualmente, come più volte denunciato, i funzionari dell'ufficio doganale di Palermo hanno non poche difficoltà nello svolgere le proprie funzioni essenziali ed ulteriori imminenti pensionamenti rischierebbero di bloccare letteralmente le dogane palermitane;
   infine, nel territorio palermitano è storicamente ben radicata la principale organizzazione criminale mafiosa italiana, «Cosa Nostra», la quale sarebbe ben infiltrata all'interno del porto, come dimostrerebbero recenti sequestri; la progressiva paralisi incontro alla quale sta andando questo ufficio doganale non farebbe altro che facilitare ulteriormente, a giudizio degli interpellanti, l'attività criminale all'interno del porto;
   secondo gli interpellanti, un aumento del personale, ancorché costituisca per le finanze pubbliche un maggior costo, garantirebbe innanzitutto livelli minimi di sicurezza e legalità e, inoltre, potrebbe assicurare ulteriori entrate derivanti da un rafforzato controllo sul flusso delle marci e dalla contestazione delle relative irregolarità –:
   se il Governo non intenda, per le parti di competenza, intraprendere iniziative volte a risolvere l'attuale situazione di crisi in cui versa l'ufficio doganale di Palermo, aumentando il personale del suddetto ufficio, almeno sino al raggiungimento delle unità stabilite nella dotazione organica anche tramite lo strumento della procedura per interpello riservata ai dipendenti della stessa Agenzia delle dogane;
   se il Governo non intenda attivarsi, per le parti di competenza, al fine di finanziare l'acquisto della strumentazione necessaria per garantire un'adeguata attività di controllo del flusso dei passeggeri;
   quali ulteriori iniziative intendano intraprendere, per le parti di competenza, per ridurre i rischi connessi ad eventuali sbarchi all'interno del porto di Palermo di soggetti appartenenti a organizzazioni terroristiche internazionali, nonché al fine di prevenire e contrastare infiltrazioni mafiose.
(2-01176) «Nuti, Di Benedetto, Di Vita, Liuzzi, Lupo, Mannino, Cozzolino, Dadone, D'Ambrosio, Cecconi, Toninelli, D'Incà».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il fenomeno della radicalizzazione delle comunità islamiche ha assunto dimensioni decisamente preoccupanti: il recente aumento di correnti radicali all'interno dell'Islam, il sostegno teoretico e logistico della Jihad globale e le ripetute minacce di attacchi terroristici sul suolo italiano sollevano questioni di sicurezza nazionale;
   sono oltre ottocento i luoghi di culto sparsi in tutta Italia, da Nord a Sud, isole comprese, definiti impropriamente moschee: una diffusione capillare che si estende per tutto il territorio nazionale, ma che quasi sempre utilizza strutture (comunque «tollerate» perché sono definite «associazioni culturali») in cui mancano i requisiti minimi essenziali per essere riconoscibili come posti in cui si prega;
   a parte la Grande Moschea di Roma, e poche altre, come quella di Segrate, Catania e Colle Val d'Elsa (che sono individuabili anche architettonicamente), il resto è costituito da garage, scantinati e cantine che raccolgono fedeli all'occorrenza: una galassia che rimane sempre nella penombra e che espone alla mercé di imam, tabligh itineranti e predicatori dell'odio, la parte moderata dell'Islam, tentando di inculcare la dottrina fondamentalista;
   oltre alle moschee riconosciute come «moderate», di cui fanno parte i mussulmani devoti alla preghiera, al digiuno e all'elemosina, è da segnalare al presenza anche di quelle più inquietanti dei reclutatori e delle «cellule in sonno» (oltre 5.500 attivabili autonomamente in qualsiasi momento), più volte oggetto di indagini dei servizi di intelligence e delle forze di polizia;
   un monitoraggio dell'Antiterrorismo ha identificato, in tutta Italia, 184 moschee. Solo a Roma quelle censite sono poco più di 30, ma in realtà sfiorano quota 100 i garage in cui si riuniscono mussulmani per pregare; in alcuni di questi centri, infatti, la preghiera è solo una copertura per poter indottrinare alla guerra santa, con il grave rischio di infiltrazioni terroristiche;
   dal 2001 al 2011 sono state 146 le condanne di terroristi «italiani». È appena il caso di segnalare come stiano tornando a circolare personaggi che frequentarono l'ex imam di Cremona, Mourad Trabelsi, condannato con sentenza definitiva con l'accusa di terrorismo internazionale di matrice islamica. O come Hamed Gouran, predicatore in Calabria, finito in manette perché incitava i fedeli alla cacciata dei miscredenti in nome di Allah. A Vicenza, poi, la digos ha monitorato ingenti somme di denaro inviate all'estero che potrebbero essere state utilizzate per finanziare campagne terroristiche in Medioriente. Roma, poi, ha visto la presenza di numerosi soggetti vicini al terrorismo islamico, come il finanziatore Aweys Dahir Ubeidullah, cittadino somalo già residente a Roma, a Casalbertone, anch'egli incluso nella black list degli Stati Uniti, stilata successivamente ai fatti dell'11 settembre 2001;
   si rivela, dunque, una rete fitta e a volte impenetrabile quella degli estremisti islamici, che negli ultimi venti anni è cambiata e si è arricchita anche grazie al progresso tecnologico che facilita le comunicazioni tra le varie reti di jihadisti;
   il «Dossier sulla comunità islamica italiana: indice di radicalizzazione» pubblicato dal Cemiss, il Centro militare di studi strategici del Ministero della difesa, fa il punto sulla penetrazione dell'estremismo nella comunità islamica italiana, composta da 1,6 milioni di persone (circa un terzo degli stranieri presenti, cui si aggiungono 60 – 70 mila italiani convertiti);
   l'analisi tiene conto del fatto che l'Italia non ha subito gravi attacchi dal terrorismo islamista, ma non può considerarsi al sicuro, soprattutto se si considera che da tempo molti imam predicano odio, che dozzine di centri islamici sono impegnati nel proselitismo e nel finanziamento a gruppi terroristici e che dall'Italia partono volontari per i teatri bellici del jihad; per anni, secondo lo studio, l'Italia ha esportato kamikaze dei teatri di guerra quali Afghanistan, Cecenia, Balcani e Iraq;
   il panorama dell'Islam italiano, dunque, fatto di realtà sommerse, conta al suo interno centinaia di potenziali estremisti che orbitano nelle moschee non autorizzate, divenute il centro di accoglienza e smistamento e di immigrati arrivati sul territorio senza documenti e quindi senza identità;
   per quel che concerne la sicurezza nazionale, non vi è alcun dubbio sul fatto che la radicalizzazione della comunità islamica rappresenti una potenziale seria minaccia, poiché visioni estremiste hanno penetrato varie moschee ed organizzazioni sociali (è opportuno sottolineare che dal 2001 in Italia vi sono stati 13 tentativi e piani per compiere attentati, 6 sono stati effettuati, ma non sono riusciti);
   in certi casi, il radicalismo si limita alla retorica ma in altri, sostiene attivamente o passivamente il terrorismo: un cero numero di leader sociali e religiosi predica versioni wahabite e salafite dell'Islam, odio razziale, intolleranza religiosa e promozione della jihad attraverso il reclutamento di martiri, fondi ed armi;
   con decreto ministeriale del 23 aprile 2007, l'allora Ministro dell'interno ha adottato la carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione – condivisa da numerose comunità religiose, tra cui alcune rappresentate anche nel Comitato per l'Islam italiano – al fine di «dare un concetto unitario di cittadinanza e di convivenza tra le diverse comunità nazionali, etniche, e religiose, che si sono radicate negli ultimi anni sul territorio italiano», ponendo le basi per «un patto tra cittadini e immigrati, in vista di una integrazione che vuole conciliare il rispetto delle differenze di cultura e di comportamento legittime e positive con il rispetto dei valori comuni»;
   al fine di evitare futuri scontri sul piano culturale, sociale e religioso, al collaborazione tra ufficiali e forse politiche assume un ruolo di estrema importanza nel fronteggiare la radicalizzazione delle società islamiche –:
   se non intenda adottare in tempi rapidissimi incisive ed efficaci iniziative per contrastare l'estremismo islamico e la sua infiltrazione nella società, procedere, anche con la collaborazione della comunità islamica, ad una mappatura quanto più precisa possibile delle moschee non autorizzate, al fine di identificare quelle estremiste, chiuderle e consentire la trasformazione delle altre in luoghi di culto e di preghiera autorizzati.
(2-01177) «Galgano, Monchiero».

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante è stata segnalata la situazione di allarme sociale venutasi a creare nella cittadina adriatica di Termoli in provincia di Campobasso, (35.000 residenti circa che nel periodo estivo si innalzano sensibilmente per la presenza dei numerosi vacanzieri);
   in quel contesto, la recrudescenza di particolari fenomeni criminali, associata all'oggettiva carenza di personale delle forze dell'ordine ed in particolare di quella del locale commissariato di pubblica sicurezza presso il quale risultano attualmente in forza soltanto 35 unità (sotto organico), ha determinato diffusa insicurezza tra i cittadini che, ragionevolmente preoccupati di quanto accade, ritengono inadeguate le misure finora adottate dalle istituzioni competenti;
   la commissione di reati destanti maggiore preoccupazione risulterebbe, secondo quanto segnalato dalla Confederazione sindacale autonoma di polizia (CONSAP), riconducibile verosimilmente a bande giovanili locali, recentemente sorte, ma anche a malviventi in genere, provenienti anche dalle località limitrofi abruzzesi e pugliesi, che purtroppo evidenziano una spiccata capacità a delinquere segnata da comportamenti particolarmente violenti;
   basti pensare che negli ultimi mesi, sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, si sarebbero verificati attentati dinamitardi, rapine ai danni di commercianti e cittadini in genere con un modus operandi di spiccata efferatezza ed altre condotte criminali non più tollerabili dalla cittadinanza molisana della costa adriatica;
   l'esiguo personale della polizia di Stato in forza presso il suddetto commissariato di Termoli (CB), non riesce pertanto a garantire i servizi necessari alla prevenzione e repressione dei reati in genere che necessiterebbero di un adeguato reintegro di nuovi agenti oltre che di un dirigente titolare, atteso che allo stato non risulta esservi assegnato, emergendo pertanto anche probabili carenze di carattere gestionale ed organizzativo da parte del vertice della competente questura di Campobasso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga doveroso intervenire per restituire alla cittadinanza interessata la serenità e la certezza della presenza dello Stato. (4-11236)


   RUSSO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il corpo nazionale vigili del fuoco è una delle istituzioni più significative e importanti per il nostro Paese;
   nonostante le passate assunzioni di cui al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, articolo 8, e al decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, articolo 3, comma 3-octies, il corpo risulta ancora carente di circa 4000 unita;
   a penalizzare ancora di più il già carente Corpo sono le limitazioni del turn-over;
   affinché si possano garantire interventi rapidi ed ancor più efficienti è necessario garantire al Corpo nazionale dei vigili del fuoco un sostanzioso aumento di organico, attingendo dallo scorrimento della graduatoria del concorso pubblico per titoli ed esami ad 814 posti nella qualifica di vigili del fuoco che presenta ancora oggi 4300 idonei, e portando a termine la procedura di stabilizzazione del personale precario del Corpo ai sensi della legge n. 296 del 2006; la validità delle citate graduatorie è stata prorogata solo fino al 31 dicembre 2016;
   considerata la breve durata della proroga e le limitazioni del turn-over, si rende necessario adottare ogni tipo di provvedimento utile a garantire l'esaurimento della graduatoria del concorso pubblico per 814 vigili del fuoco, per titoli ed esami, così come è avvenuto per la procedura di stabilizzazione del personale precario portata quasi al totale esaurimento;
   oltretutto è impensabile e ingiusto, visto il numero cospicuo di idonei della graduatoria del concorso per 814 vigili del fuoco, indire a breve eventuali nuove procedure concorsuali, le quali potrebbero solo aggravare l'amministrazione del Corpo nazionale vigili del fuoco con un inutile esborso di danaro pubblico;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere idonee iniziative per stanziare ulteriori risorse economiche per l'assunzione di nuove unità di personale operativo al fine di garantire al Corpo nazionale vigili del fuoco di svolgere la propria attività nel miglior modo possibile nei confronti dei cittadini in pericolo. (4-11238)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcune organizzazioni sindacali della polizia di Stato lamentano una grave discriminazione di cui sarebbero vittime i poliziotti italiani;
   ai poliziotti del nostro Paese verrebbero infatti negati i riposi giornalieri cui hanno diritto i padri lavoratori con moglie casalinga, riconosciuti invece dall'amministrazione della Difesa al personale militare, come confermato dalla risposta resa dal Sottosegretario di Stato Gioacchino Alfano in risposta all'interrogazione n. 3-01954;
   in particolare, risulta all'interrogante che la direzione generale per il personale militare avrebbe impartito il 22 luglio 2015 direttive per rendere effettivo il godimento del diritto spettante anche al genitore il cui coniuge non svolga alcuna attività lavorativa, in applicazione del principio stabilito dall'articolo 40, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 151 del 2001;
   viene sottolineato da più parti come la situazione sia incompatibile con il consolidato orientamento politico ed amministrativo volto a favorire il ruolo che i padri, e comunque i genitori di coniugi non lavoratori, debbono svolgere nella cura della loro prole –:
   per quali ragioni l'Amministrazione dell'interno continui a non affrontare in maniera risolutiva l'argomento e per quali ragioni il Governo non assuma iniziative per riconoscere anche ai poliziotti quel diritto ai riposi giornalieri che il Ministero della difesa ha già provveduto ad onorare in relazione al personale militare.
(4-11243)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 23 maggio 2015 a Rimini risultava in stato di occupazione a scopo abitativo il cosiddetto Villino Ricci, sito in via Ceccarelli e di proprietà del comune;
   nel corso dei mesi la struttura era stata ripulita e parzialmente ristrutturata per dare ricovero a oltre dieci persone, impossibilitate a trovare casa a Rimini a condizioni di mercato;
   la stessa aveva anche ospitato a più riprese iniziative politico-culturali, partecipate fra l'altro da parlamentari della Repubblica, e attivato processi di mutualità, fra cui il guardaroba solidale, esperienza di condivisione di capi di abbigliamento a vantaggio dei più poveri;
   al momento dell'occupazione lo stabile risultava abbandonato e privo di qualsiasi ipotesi di uso o valorizzazione, al punto da configurarsi a tutti gli effetti come un caso di cattiva gestione della cosa pubblica, né risulta che ad oggi sia previsto alcun serio progetto di relativo utilizzo;
   la stessa magistratura, che oggi ha disposto lo sgombero e il sequestro dell'edificio, si era precedentemente esposta in segno contrario;
   le operazioni di sgombero, cominciate alle 6,30 del 23 novembre 2015, hanno coinvolto 14 persone, 3 donne e 11 uomini, che sono state accompagnate in questura;
   qui sono state trattenute per oltre 5 ore, previo sequestro dei telefoni cellulari, ai fini dell'identificazione –:
   se tale prassi di intervento sia conforme alla normativa vigente e in linea con i diritti umani alla difesa e alla dignità e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare che tali situazioni si ripetano. (4-11255)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   in Italia si è assistito nel corso dei decenni ad una cospicua produzione normativa e non in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro dovuta, in particolare, sia alla necessità di adeguare, attraverso provvedimenti organici e non legati ad eventi emergenziali, l'ordinamento interno alle sollecitazioni legislative provenienti dall'Unione europea, sia alla molteplicità degli aspetti interessati e alla specificità delle attività oggetto di applicazione degli atti prodotti;
   in quest'ottica, con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, recante attuazione delle direttive comunitarie riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, si inizia ad affermare un nuovo quadro di riferimento sociale e civile, si comincia a parlare di salute e sicurezza intesi come benessere e non semplicemente come danno fisico, si delinea uno scenario normativo basato sulla negoziazione, sulla contestualizzazione e sulle responsabilità di ogni singolo ambiente di lavoro, superando anche l'abitudine a legiferare solo per adeguamenti tecnici e a seguito di fatti di cronaca;
   con riferimento ai singoli settori di attività, sono stati numerosi i provvedimenti emanati in attuazione del citato decreto legislativo n. 626 del 1994, i quali hanno dato luogo ad una sovrapposizione e ad una stratificazione della normativa;
   tutto questo si è verificato anche in relazione all'attuazione della normativa in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro con riferimento alle istituzioni scolastiche ed educative, in considerazione delle particolari esigenze connesse al servizio dalle stesse espletato: tali disposizioni sono molteplici e spaziano dall'organizzazione dell'organigramma alle misure tecniche costruttive, dalla gestione delle emergenze alle condizioni di sicurezza antincendio, dalle norme di primo soccorso alla formazione del personale;
   maggiore organicità alla materia è stata data con l'emanazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n.81, il quale ha proceduto al riassetto e alla riforma della normativa vigente in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro attraverso il riordino e il coordinamento della medesima in un unico testo normativo;
   con particolare riguardo al settore scolastico, già il citato decreto legislativo n. 626 del 1994, evidenziava, all'articolo 14, comma 2, però l'anomalia degli edifici utilizzati dalla pubblica amministrazione in cui il datore di lavoro non coincide con il proprietario dei locali (tipico delle scuole);
   nel caso dell'amministrazione scolastica, infatti, il datore di lavoro è individuato, ai sensi del decreto del Ministro della pubblica istruzione 29 settembre 1998, n. 382, nella persona del dirigente scolastico;
   tale anomalia è stata confermata anche dal citato decreto legislativo n. 81 del 2008, il quale nell'enunciare, ai sensi dell'articolo 18, gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, specifica al comma 3 dello stesso articolo che: «gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare (...) la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tale caso gli obblighi previsti dal presente decreto legislativo, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico.»;
   diretta conseguenza della vigente normativa e dell'anomalia sopra descritta è, secondo la dottrina prevalente, il configurarsi in capo al dirigente scolastico della commissione di illecito penale;
   è il caso di quanto avvenuto al dottor Livio Bearzi, il quale, sta scontando i quattro anni di reclusione che gli sono stati confermati recentemente dalla Corte di Cassazione per la morte di tre studenti durante il terremoto del 2006 a L'Aquila, nel crollo della Casa dello studente da lui all'epoca gestita;
   la vicenda drammatica e paradossale del dottor Bearzi impone una seria riflessione sulla necessità di distinguere in materia di sicurezza degli edifici scolastici le responsabilità della proprietà dell'immobile da quelle di chi lo gestisce, delineando con maggior precisione e buon senso gli obblighi in capo ai soggetti coinvolti;
   non può ritenersi accettabile una normativa che riversa sulla figura dei dirigenti scolastici la responsabilità per la sicurezza degli edifici adibiti a scuole che si trovano spesso in pessime condizioni di manutenzione, stante l'impossibilità per i dirigenti stessi di provvedere direttamente a eventuali opere di mantenimento e di messa in sicurezza non potendo disporre delle risorse adeguate –:
   quali tempestive iniziative intendano intraprendere, al fine di procedere ad una revisione della vigente normativa in materia di sicurezza degli edifici scolastici, con particolare riferimento alle responsabilità dei dirigenti scolastici.
(2-01171) «Gigli».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2011 un'insegnante, residente a San Giovanni in Fiore, presentava ricorso avverso la graduatoria di istituto per incarico di supplente su ore disponibili per la classe di strumenti a percussione attiva presso l'istituto «G. V. Gravina» di Crotone, presso cui è attivo un liceo musicale;
   la suddetta insegnante risulta in possesso del diploma specifico, del cosiddetto «vecchio ordinamento», conseguito presso il conservatorio di musica statale per insegnamento di strumenti a percussione di cui alla nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca protocollo n. A00DPIT 272 del 14 marzo 2011 allegato E;
   nella riferita graduatoria d'istituto, l'insegnante succitata è stata più volte collocata al secondo posto, sempre superata da altri che, secondo la stessa, sarebbe stato in possesso di diploma triennale in musica, scienza, spettacolo e tecnologia del suono, rilasciato dal politecnico di Vibo Valentia;
   per le scuole inferiori e superiori a indirizzo musicale, i titoli che consentono l'accesso alla specifica classe di concorso A077 sono, in base alla normativa ministeriale, il diploma di conservatorio secondo il vecchio ordinamento nello specifico strumento e il diploma di conservatorio di II livello nello specifico strumento;
   richiamando la normativa in vigore, l'insegnante scrisse nel succitato ricorso che i diplomi di I e II livello rilasciati dal consorzio del politecnico di Vibo Valentia non costituiscono titolo di accesso per l'insegnamento di strumento musicale nelle classi delle scuole medie e dei licei, aggiungendo che il diploma di II livello rilasciato dal politecnico di Vibo Valentia consente l'insegnamento, nei soli licei musicali, delle materie a indirizzo tecnologico;
   nel ricorso in parola l'insegnante chiedeva la revisione della graduatoria di merito al dirigente scolastico dell'istituto «G. V. Gravina» di Crotone, invitando all'intervento il direttore del conservatorio di musica di Cosenza, firmatario di apposita convenzione per cui il conservatorio avrebbe partecipato all'individuazione dei docenti del liceo musicale attivo presso il succitato istituto;
   ancora, partecipando il ricorso di cui si tratta, l'insegnante sollecitava un intervento del direttore dell'ufficio scolastico della Calabria e informava il dirigente pro tempore dell'ufficio ministeriale per il personale scolastico;
   l'interrogante ha più volte investito l'Afam e la direzione generale per il personale dell'istruzione, rappresentando la necessità di risposte – per una definizione della vicenda secondo le norme di legge – alle questioni poste dall'insegnante tramite il proprio legale, avvocato Vincenzo Tiano, centrate sull'equipollenza tra il titolo di studio posseduto dalla medesima e quello del collega assegnatario di supplenza per la classe di strumenti a percussione attiva presso l'istituto «G. V. Gravina» di Crotone;
   la dirigente dell'ufficio II della direzione generale dell'Afam chiariva all'interrogante, alla ricerca del quadro normativo, che «il corso di secondo livello in “Musica, Scienza e Tecnologia del Suono” è un corso sperimentale biennale, autorizzato con decreti ministeriale 4 settembre 2003, n. 462/AFAM, attivato dall'anno accademico 2003/2004 in collaborazione tra il conservatorio di musica di Vibo Valentia e il consorzio “scientia et ars”. La sua validità legale è indicata all'articolo 1 del predetto decreto, analogamente a tutti gli altri corsi sperimentali per il conseguimento del diploma accademico di secondo livello»;
   la suddetta dirigente aggiungeva che «il titolo finale di secondo livello è rilasciato congiuntamente dalle due istituzioni e rientra tra le tipologie di nuovi titoli di studio previsti dalla legge n. 508 del 1999 con l'obiettivo di fornire una formazione di livello specialistico in ambito professionale», precisando che «con il decreto ministeriale n. 77 del 30 luglio 2004 il suddetto Consorzio “scientia et ars” e il conservatorio di musica di Vibo Valentia sono stati autorizzati ad attivare, a decorrere dall'anno accademico 2004/05, il triennio sperimentale per il conseguimento del titolo accademico di primo livello in “musica, scienza e tecnologia del suono”»;
   la stessa dirigente evidenziava poi, che «il titolo finale di diploma accademico di primo livello, avente valore legale, è rilasciato congiuntamente dalle due istituzioni, i suddetti decreti ministeriali – n. 77 del 30 luglio 2004 e n. 462 del 4 settembre 2003, relativi rispettivamente all'attivazione del triennio sperimentale di primo livello e del biennio sperimentale di secondo livello in “Musica, Scienza e tecnologia del suono” – sono stati revocati con effetto immediato con decreto ministeriale n. 162 del 29 ottobre 2007, il cui articolo 2 precisa che “gli studenti già iscritti nell'a.a. 2006-2007 ai predetti corsi potranno concludere il percorso formativo già iniziato”»;
   per ultimo, la medesima dirigente notiziava l'interrogante che «avverso il predetto decreto ministeriale n. 162 del 29 ottobre 2007 è stato poi presentato ricorso al Tar, che ne ha disposto la sospensione, con conseguente ripristino dei corsi fino alla definizione del giudizio nel merito»;
   in ogni caso né la direzione generale dell'Afam né quella del personale dell'istruzione fornivano nel tempo chiarimenti univoci in ordine all'equipollenza o meno tra il diploma nello specifico strumento rilasciato dal conservatorio di musica statale e il diploma triennale in musica, scienza, spettacolo e tecnologia del suono rilasciato dal politecnico di Vibo Valentia, ai fini del rammentato incarico d'insegnamento nell'istituto «G. V. Gravina» di Crotone –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto;
   se non ritenga di disporre un chiarimento definitivo da parte degli uffici ministeriali di competenza in relazione al valore, per lo specifico insegnamento di strumento a percussione nel suddetto liceo musicale di Crotone, dei due diversi titoli di studio, uno pubblico, l'altro privato, menzionati in premessa. (5-07071)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa la madre di Alessio, bambino disabile che frequenta la scuola primaria Pirgotele di Casal Palocco, ha pubblicato sul social network la foto del figlio rinchiuso in uno stanzino adibito ad aula di sostegno. «Arrivo a scuola di mio figlio senza preavviso e trovo davanti ai miei occhi questo lager... Aula di sostegno scuola elementare Pirgotele Casal Palocco. Aiutatemi, amici di Fb... aiutatemi ad urlare il nome di Alessio affinché anche lui abbia una stanza decorosa, pulita ed accogliente e a far in modo che non perda la sua dignità di bambino», scriveva la madre;
   la fotografia pubblicata e l'appello disperato della madre di Alessio non lasciano interpretazioni circa le condizioni dello sgabuzzino in cui la scuola tiene il piccolo studente disabile: fogli di carta sparsi ovunque, effetti personali dei docenti sulla scrivania, un paio di materassini appoggiati al muro e una piccola stufetta, dunque nulla che somigli ad una aula di sostegno;
   la madre ha potuto rilevare le condizioni in cui suo figlio era tenuto durante l'orario scolastico poiché si presentava presso la scuola all'improvviso trovandosi davanti a suddetta scena umiliante;
   non è assolutamente accettabile che un bambino disabile a scuola – luogo di socializzazione oltre che di studio – sia costretto a passare molte ore in una stanza non idonea in completa solitudine oltretutto senza nessun tipo di assistenza. La scuola ha il dovere di affiancare ai ragazzi disabili l'insegnante di sostegno in base alla gravità dell'handicap dello studente e indubbiamente ciò deve essere garantito nel pieno della sicurezza e idoneità –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto accaduto allo studente frequentante la scuola Pirgotele Casal Palocco, ritrovato dalla madre in una stanza non idonea e abbandonato a se stesso;
   se intenda assumere urgenti iniziative affinché sia data allo studente disabile pari dignità agli altri studenti normodotati;
   alla luce di quanto accaduto nella scuola primaria Pirgotele di Casal Palocco e anche al fine di evitare che tali trattamenti vengano usati in altri istituti scolastici, quali iniziative intenda mettere in atto affinché non sia screditato ulteriormente il sistema scolastico italiano.
(4-11235)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da notizie di stampa, nella scuola elementare Pirgotele di Casalpalocco (RM), è accaduto un fatto ingiustificabile: Alessio, un ragazzino diversamente abile, trascorre il suo tempo scolastico in una stanza diversa dalla sua aula scolastica, in condizione di disagio;
   a denunciare il fatto è stata la mamma che si è presentata a scuola senza preavviso e ha scattato delle foto poi diffuse dai mezzi di informazione;
   secondo quanto dichiarato dai genitori del giovane Alessio, la dirigenza scolastica si è dichiarata impossibilitata all'accoglienza e alla formazione del ragazzo, per carenza di strumenti adeguati –:
   se il Ministro sia a conoscenza del fatto esposto in premessa e se non ritenga urgente intervenire per accertare i fatti;
   quali soluzioni urgenti intenda adottare per garantire al giovane Alessio assistenza scolastica adeguata e favorirne così il processo di formazione e integrazione. (4-11241)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri inviava in data 30 gennaio 2013 una circolare ai dirigenti scolastici di ogni ordine e grado stimolandoli a mettere in atto le azioni previste dal protocollo d'intesa, tra il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e il dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, con le quali le parti «s'impegnavano a promuovere un piano pluriennale di attività comuni, nel rispetto della propria autonomia e nell'ambito delle rispettive competenze, di sensibilizzazione e formazione, volte a promuovere nei giovani, sulla base delle norme e dei valori della Costituzione italiana, la cultura del rispetto e dell'inclusione, e per la prevenzione e il contrasto di ogni tipo di violenza e discriminazione» sottolineando «l'alto valore civile ed educativo dell'iniziativa, pregando i dirigenti scolastici di assicurarne la massima diffusione presso le istituzioni scolastiche, assicurando nello stesso tempo la più ampia collaborazione con le stesse nell'organizzazione delle iniziative e delle proposte progettuali»;
   in particolare, come si legge nella circolare, tutti gli istituti scolastici erano invitati a «attivare opportuni e significativi percorsi di sensibilizzazione, informazione, prevenzione e contrasto a tutte le forme di violenza e di razzismo»;
   il documento ricordava inoltre che è compito delle istituzioni scolastiche diffondere la massima conoscenza dei diritti della persona e del rispetto verso gli altri, della prevenzione e il contrasto a fenomeni di violenza e discriminazione sulla base del genere, della religione, della razza o dell'origine etnica, della disabilità, dell'età, dell'orientamento sessuale e dell'identità di genere, richiedono azioni mirate da parte dei soggetti istituzionali delegati e delle associazioni;
   in data 6 luglio 2015 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca trasmetteva – in base alla legge sulla riforma scolastica – «La Buona Scuola», una nota a tutte le scuole con le indicazioni dei corretti adempimenti riguardanti il piano dell'offerta formativa;
   il documento sopra citato conteneva tra le indicazioni lo «sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e di convivenza civile e democratica attraverso la valorizzazione dell'educazione interculturale, il rispetto e la valorizzazione delle differenze per stimolare il dialogo fra le culture e sviluppo di comportamenti responsabili ispirati alla conoscenza e al rispetto della legalità» oltre alla «prevenzione e contrasto della dispersione scolastica, delle discriminazioni e del bullismo, anche informatico...»;
   in base alle numerose richieste di chiarimenti, sia da parte di dirigenti scolastici e docenti che di genitori, riguardo a una presunta possibilità d'inserimento all'interno dei piani dell'offerta formativa delle scuole della cosiddetta «Teoria del Gender», che troverebbe attuazione in pratiche e insegnamenti non riconducibili ai programmi previsti dagli attuali ordinamenti scolastici e nonostante la nota inviata il 6 luglio 2015, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 15 settembre 2015 ha provveduto con Prot. AOODPIT n. 1972 a inviare ulteriore nota a tutti i direttori generali degli uffici scolastici regionali e al Forum degli studenti e dei genitori aventi per oggetto: «Chiarimenti e riferimenti normativi a supporto dell'articolo 1 comma 16 legge 107/2015»;
   i maggiori dubbi dei genitori scaturiscono da una non corretta interpretazione del comma 16 della legge n. 107 del 2015 di Riforma su «La Buona Scuola» che recita testualmente: «Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità, promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119»;
   la strategia del Trattato di Lisbona evidenzia che «per il raggiungimento delle competenze chiave di Cittadinanza, nazionale, europea e internazionale, entro le quali rientrano la promozione dell'autodeterminazione consapevole e del rispetto della persona, gli alunni devono acquisire fondamentali aspetti di educazione alla lotta a ogni tipo di diversità nel rispetto della persona e delle differenze senza alcuna discriminazione»;
   in occasione del Festival delle Letterature dell'Adriatico svoltosi pochi giorni fa a Pescara, gli istituti comprensivi 1-2-4-6-7 della città, nell'ambito della programmazione curriculare disciplinare prevista dalla legge in vigore e con il patrocinio dell'amministrazione comunale hanno trattato alcuni temi contenuti nella legge n. 119 del 2015 «La Buona Scuola» nell'ambito dello sviluppo dei piani di offerta formativa con particolare riferimento al rispetto e la valorizzazione delle differenze;
   i dirigenti degli istituti sopra richiamati, partecipavano nell'ambito dell'iniziativa letteraria promossa dall'amministrazione comunale con personale specializzato facente parte dell'Associazione Fantasma, associazione che da anni con diverse tematiche lavora sul territorio, fra cui il rispetto delle differenze di genere con il solo scopo di sostenere un progetto di animazione alla lettura sul tema specifico del contrasto alla violenza e il rispetto delle differenze;
   di fatto, le scuole aderenti non hanno fatto altro che accogliere l'invito dell'amministrazione comunale a partecipare all'iniziativa letteraria;
   gli esperti di una Associazione incontravano gli insegnanti delle scuole aderenti per concordare gli argomenti e i testi da trattare. Il tema stabilito è stato contro gli stereotipi di genere;
   ciò ha causato un vero e proprio allarmismo nei tanti genitori degli studenti frequentanti gli istituti scolastici a tal punto da denunciare agli organi preposti che personale estraneo alla scuola trattava, senza previa autorizzazione dei genitori, tematiche diverse tra cui le differenze di genere;
   in seguito alle proteste, i dirigenti scolastici decidevano di sospendere ogni attività progettuale programmata e successivamente a seguito dell'intervento dell'assessore comunale alla pubblica istruzione del comune di Pescara, le attività in ambito scolastico venivano riprese regolarmente –:
   se sia informato di quanto successo negli istituti comprensivi 1-2-4-6-7 di Pescara, con particolare riferimento alle iniziative di programmazione curriculare concernenti il rispetto delle differenze e contro gli stereotipi di genere;
   come intenda adoperarsi per evitare la diffusa paura a trattare temi di fondamentale importanza sul piano sociale come il rispetto delle differenze e la libertà di orientamento sessuale poiché quanto accaduto negli Istituti scolastici di Pescara non è un problema isolato poiché le note del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca evidenziano in modo chiaro;
   se non ritenga opportuno, mediante nota da inviare agli istituti comprensivi sopra indicati, fornire un chiarimento ai tanti preoccupati genitori degli studenti frequentanti le classi degli Istituti, richiamando quanto contenuto nella legge 119 del 2015 ed evidenziando anche un grave e inutile allarmismo basato esclusivamente sulla non conoscenza di quanto contenuto nella «Buona Scuola». (4-11242)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa pubblicate dal quotidiano «Il Piccolo» si è appreso della presenza del rettore dell'università di Trieste alla manifestazione di avvio, il 13 novembre 2015, della campagna elettorale del sindaco di centrosinistra uscente, Roberto Cosolini;
   a parere dell'interrogante risulta quanto meno sconveniente e inopportuno che il rettore di un'università, che per il suo ruolo deve essere al di sopra delle parti, garantendo una gestione equilibrata ed imparziale all'istituto universitario stesso, partecipi ad un evento squisitamente politico;
   l'episodio è ancora più grave, perché si tratta di un incontro che segna l'inizio di una campagna elettorale e non rappresenta perciò un semplice evento politico –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a evitare la partecipazione, come avvenuto nel caso sopra richiamato, di dirigenti, funzionari e vertici amministrativi di enti e istituzioni pubbliche, incluse le università, a incontri politici, specialmente in campagna elettorale, in totale difformità rispetto al ruolo ricoperto. (4-11248)


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i commi 332 e 333 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015), ripresi dalla recente circolare del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, prevedono che i dirigenti dal 1o settembre 2015 non possono nominare il supplente nel primo giorno di assenza del docente o conferire supplenze ai collaboratori scolastici nei primi sette giorni di assenza;
   infatti, secondo quanto previsto dalla legge n. 107 del 2015 all'articolo 1, comma 85, il dirigente può effettuare le sostituzioni per le assenze fino a 10 giorni con il personale dell'organico dell'autonomia. Tuttavia, l'organico non è ancora coperto da nomine. Tale obbligo non può essere risolutivo del problema, poiché le assenze in molti periodi dell'anno sono molto numerose;
   la normativa in vigore parrebbe solo utile e necessaria a determinare un risparmio per le casse dello Stato arrecando tuttavia pesanti disservizi e pregiudizi per il diritto allo studio;
   il dirigente scolastico si vede quindi costretto a ri-organizzare giornalmente l'attività didattica in ciascuna delle sedi dove sono assenti una o più unità di personale docente utilizzando personale interno non impegnato nelle lezioni frontali o distribuendo gli studenti tra le altre classi;
   la dotazione organica del personale collaboratore scolastico è spesso solo sufficiente a coprire le ordinarie esigenze di servizio e in molte scuole, come in piccoli plessi o le mono-sezioni di scuola dell'infanzia, è presente un solo collaboratore scolastico;
   tutto ciò premesso si ripercuote sulla gestione ordinaria delle scuole, in quanto le risorse di organico a disposizione non consentono per la loro esiguità rispetto alle reali necessità, di garantire il regolare svolgimento delle lezioni creando gravi ripercussioni in ambito pubblico scolastico;
   il 18 novembre 2015, nell'ambito dell'assemblea sindacale d'istituto del personale facente parte dell'istituto comprensivo Senigallia Centro-Fagnani, sono emerse irregolarità e cattiva gestione dell'istituto stesso: oggetto di preoccupazione di tutto il personale docente e Ata della scuola in questione è la problematica relativa alla sostituzione del personale in caso di assenza per malattia o altri motivi;
   la legge di stabilità prevede che i collaboratori scolastici non vengano sostituiti per i primi sette giorni di assenza; gli insegnanti non possono essere sostituiti per il primo giorno di assenza e il personale di segreteria non può essere mai sostituito anche in caso di lunghe assenze;
   ciò produce una complessiva inefficienza nella vigilanza degli alunni e mancanza d'idonea pulizia della struttura scolastica. Inoltre, la mancata possibilità di sostituzione di docenti nel primo giorno di assenza porta a una discontinuità della didattica e sovraccarico di lavoro per i docenti in servizio;
   alla luce di quanto emerso durante l'assemblea sindacale dell'istituto comprensivo Senigallia Centro-Fagnani, un rappresentante sindacale (R.S.U.), ha inviato un esposto alla procura della Repubblica e agli organi competenti informando di quanto ciò si rifletta in modo negativo sulla didattica e sull'educazione dei minori e segnalando le seguenti disfunzioni:
    l'istituto, anche alla presenza di studenti con gravi patologie/disabilità, deve disporre l'abbandono dei propri insegnanti di sostegno per assecondare le sostituzioni e copertura di ore di classe in mancanza dei docenti assenti;
    le insegnanti della scuola materna si vedono costrette redigere una «graduatoria» di gravità dei bambini disabili, in modo da poter gestire le sostituzioni che colleghe che hanno in incarico casi meno «gravi» di altri;
    presso la scuola secondaria di primo grado dell'istituto, gli insegnanti che si rendono disponibili a svolgere l'attività alternativa all'insegnamento della religione cattolica devono dichiarare la propria disponibilità a fare sostituzioni, trascinandosi, in tal caso, nelle classi con gli studenti con cui dovrebbero fare attività alternativa;
    spesso a un'insegnante già in servizio viene chiesto di sostituire un collega assente in altro plesso dello stesso istituto comprensivo. Stessa modalità avviene anche con il personale ATA, comportando il rischio di non garantire la regolare apertura delle sedi scolastiche e la tutela dell'incolumità degli alunni; 
    a causa d'insegnanti assenti non sostituiti, intere classi vengano divise con studenti ripartiti in altre classi in ordine sparso con conseguente annullamento dell'attività didattica e con la possibilità, già verificatasi, di tenere gruppi di 28/29 alunni in spazi insufficientemente ampi per accogliere tutti e quindi non potendo rispettare le motivazioni legate alla sicurezza ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008;
    tale gestione mal concilia con quanto riportato nella legge n. 107 del 2015 «L'organico dovrà essere “funzionale alle esigenze didattiche, organizzative e progettuali delle Istituzioni scolastiche”»;
    ai docenti spesso viene chiesto di rinunciare al proprio giorno libero per sostituire colleghi assenti e, se pur non obbligati, molti insegnanti danno la propria disponibilità per responsabilità verso gli studenti;
   quanto emerso in assemblea sindacale dell'Istituto Comprensivo Centro – Fagnani di Senigallia se corrispondente al vero risulta essere particolarmente preoccupante soprattutto nell'ottica di una «buona scuola» –:
   se non ritenga, nell'ambito di competenza e responsabilità, di assumere iniziative per apportare con urgenza un correttivo agli stringenti vincoli posti dalla normativa in essere;
   se non ritenga che la mancanza di sostituzione di personale ATA vada a inficiare la corretta gestione del sistema di sicurezza e vigilanza scolastica e l'efficiente svolgimento dell'attività di segreteria, soprattutto in caso di assenza del solo collaboratore in servizio a scuola;
   se ritenga che quanto accade nell'Istituto comprensivo Centro-Fagnani di Senigallia in materia di sostituzione del personale in caso di assenza per malattia o altri motivi, sia conforme alla normativa vigente in materia scolastica, anche rispetto ai vincoli imposti dalle norme di sicurezza in termini di affollamento massimo delle aule e rispettoso del diritto allo studio di tutti gli alunni in particolare quelli più svantaggiati;
   se non si rilevino quindi alcune forti criticità derivanti dall'applicazione delle norme contenute nella legge di stabilità 2015 e dal conseguente impatto sulla gestione ordinaria delle istituzioni scolastiche pubbliche nonché dalla legge di riforma della scuola;
   se non ritenga opportuno individuare diverse modalità di applicazione delle norme che, per loro natura, confliggono con l'esercizio del diritto allo studio che ha necessariamente dei costi. (4-11251)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la legge 24 giugno 2010, n. 107, ha provveduto, sulla base degli indirizzi contenuti nella dichiarazione scritta del Parlamento europeo del 12 aprile 2004, a riconoscere i diritti delle persone sordocieche, prevedendo la possibilità di definire misure specifiche di integrazione sociale e di assistenza individuale. In particolare, secondo quanto disposto dall'articolo 2 della legge, le persone sordocieche percepiscono in forma unificata le indennità previste dalla legislazione vigente in materia di sordità, e cecità civile, oltre ad eventuali ulteriori prestazioni erogate dall'Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS);
   malgrado l'articolo 1o della legge riconosca la sordocecità come «disabilità specifica unica», l'articolo 2 definisce come sordocieche le persone «cui siano distintamente riconosciute entrambe le minorazioni, sulla base della legislazione vigente, in materia di sordità civile e cecità civile», marcando un'evidente discrasia con le finalità della legge. Il riconoscimento della sordocecità come la sommatoria di due distinte minorazioni ha inoltre escluso dal regime di tutela stabilito dalla legge una parte della platea di persone che ne sono affette. Infatti, la legge 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni, considera sorde esclusivamente le persone con una minorazione congenita o acquisita durante l'età evolutiva tale da aver compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato. Alla luce di questa definizione, non sono considerate sordocieche le persone che, pur essendo non vedenti, siano diventate sorde dopo il dodicesimo anno d'età;
   l'accertamento della sordocecità è demandato alla commissione medica dell'azienda sanitaria locale competente territorialmente, che nel corso di un'unica visita verifica la compresenza dei requisiti necessari al riconoscimento di entrambe le minorazioni. Sebbene con messaggio n. 21724 del 25 agosto 2010 l'INPS abbia reso noto che erano in corso le necessarie modifiche alla procedura telematica, al fine di consentire alle persone sordocieche la presentazione on-line delle domande di accertamento dello stato invalidante, allo stato gli interpellanti riscontrano la mancata predisposizione della modulistica necessaria, con chiare implicazioni per le persone sordocieche e le rispettive famiglie;
   negli ultimi anni alcuni enti specializzati hanno istituito centri di eccellenza nei trattamenti sanitari, residenziali e sociosanitari in favore delle persone sordocieche. Gli utenti e le famiglie che intendono usufruirne sperimentano, tuttavia, difficoltà crescenti qualora si renda necessario accedere ai servizi erogati da un altro servizio sanitario regionale. Da una parte, si riscontrano, anche nel caso di pazienti di minore età, resistenze da parte delle aziende sanitarie locali nel rilascio delle impegnative di ricovero in centri situati in regioni diverse da quella di residenza. Dall'altra, le regioni fanno spesso leva sulla propria normativa per corrispondere le rette previste per prestazioni non sempre assimilabili ai trattamenti specifici erogati in centri di eccellenza in regime di mobilità; è necessario garantire, in ottemperanza all'articolo 32 della Costituzione e della giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, l'accesso da parte delle persone sordocieche a trattamenti sanitari che assicurino standard qualitativi appropriati –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire, anche attraverso le opportune iniziative normative, il riconoscimento dello status di sordocieco a tutte le persone che presentino contemporaneamente entrambe le minorazioni, estendendo quindi il regime di tutela a quanti sono stati finora esclusi dalla definizione di sordocecità;
   se i Ministri interpellati ritengano necessario avviare un'interlocuzione con l'INPS, al fine di garantire la predisposizione della modulistica per la presentazione della domanda di accertamento dello stato invalidante da parte delle persone sordocieche;
   come il Governo intenda garantire il diritto delle persone sordocieche a ricevere trattamenti appropriati, anche se erogati in regime di mobilità sanitaria interregionale;
   quali strumenti il Governo intenda predisporre, anche di concerto con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, affinché le persone sordocieche possano accedere a misure di sostegno e di integrazione sociale adattate ai loro bisogni.
(2-01173) «Carrescia, D'Incecco, Morani, Bazoli, Borghi, Manzi, Benamati, Casati, Preziosi, Iori, Patriarca, Vezzali, Oliverio, Berretta, Carloni, De Menech, Realacci, Zan, Fedi, Capone, Narduolo, Zardini, Senaldi, Carella, Donati, Giovanna Sanna, Capozzolo, Martella, Cinzia Maria Fontana».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   distanza di ormai 4 anni dalla soppressione dell'ente Enpals, i problemi aperti e non risolti sono ancora tanti e sono soprattutto di natura organizzativa e sono sempre più frequenti le segnalazioni che pervengono agli interroganti da parte di lavoratori interessati;
   agli iscritti all'ex Enpals non viene aggiornata la posizione assicurativa per l'anno 2015 e tale mancato accredito contributivo determina la non completa, liquidazione delle prestazioni (ed in qualche caso anche la reiezione della domanda). Se si considera, peraltro», decadenza, non è da sottovalutare la possibilità di perdere per sempre il diritto. La situazione potrebbe continuare anche nel 2016 con conseguenze ancora più gravi;
   sono lunghissimi i tempi di liquidazione delle pratiche con una media di 7/9 mesi anche di più e i provvedimenti di liquidazione delle pensioni spesso non vengono inviati e quando vengono inviati sono carenti di elementi minimi necessari per verificarne la correttezza;
   i tempi di liquidazione sono lunghissimi anche per domande di competenza dell'Inps, anche quando il lavoratore ha più anni di contributi versati all'Inps rispetto a quelli versati all'Enpals (l'Ente che deve liquidare la prestazione è quello dove risultano più contributi);
   l'Istituto accetta le domande di pensione esclusivamente per via telematica, ma le procedure per la liquidazione non sarebbero strutturate per gestire le posizioni ex-Enpals e non risulterebbero aggiornate con le normative in vigore. Si riscontrano difficoltà da parte dell'Istituto a liquidare prestazioni in totalizzazione, ex decreto legislativo 42 del 2006, pensioni di anzianità in regime sperimentale opzione donna, pensioni in regime di cumulo, ex lege 228 del 2012 e nei provvedimenti di liquidazione non viene mai riportata la quota C-contributivo dal 1o gennaio 2012;
   nell'ultimo periodo inoltre, l'Istituto non fornirebbe, nelle risposte alle domande di esplorativa le indispensabili informazioni necessarie all'interessato per valutare la consistenza della propria posizione assicurativa. La soluzione del problema non può essere assolutamente quella del rilascio di un estratto conto (anche certificativo), poiché per le particolarità della valutazione della contribuzione Enpals che varia a seconda della qualifica prevalente della lavoratrice/lavoratore, essa non è sufficiente a far conoscere all'iscritto l'entità della contribuzione maturata –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di assumere iniziative affinché l'Inps rimuova le criticità organizzative segnalate, che stanno procurando non pochi disagi ai lavoratori interessati e che, a distanza di 4 anni dalla soppressione dell'ex Enpals, non si ritiene siano più accettabili. (5-07076)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il marchio Brioni, da qualche anno di proprietà della holding francese Kering, è leader mondiale nella produzione di abbigliamento maschile di lusso. In Abruzzo è presente con stabilimenti produttivi in Penne, Montebello di Bertona e Civitella Casanova. La Roman Style spa conta oltre 1000 dipendenti ed in questi giorni ha dichiarato un esubero per la mancanza di commesse;
   l'11 novembre 2015 è stata firmata l'apertura della mobilità volontaria che resterà aperta fino al 31 dicembre 2015 per 50 lavoratori;
   il 31 maggio 2016 scadrà il contratto di solidarietà stipulato tra l'azienda e le rappresentanze sindacali, aventi ad oggetto la diminuzione dell'orario di lavoro al fine di evitare la riduzione del personale (contratti di solidarietà difensivi, di cui all'articolo 1 della legge n. 863 del 1984). L'azienda prospetta una riorganizzazione aziendale con riduzione del personale perché non si intravede una ripresa economica prima del 2018;
   hanno aggravato la situazione aziendale il dissesto idrogeologico della zona vestina del marzo 2015 e il cedimento strutturale della fabbrica dovuto anche all'alterazione del substrato causata dalla presenza di acqua nel sottosuolo. La zona centrale dello stabilimento di Penne è stata già abbattuta e interi reparti sono stati trasferiti a Civitella Casanova. La giunta della regione Abruzzo il 12 giugno 2015 ha approvato una delibera di indirizzo per la compartecipazione alla ristrutturazione, ma sinora nessun contributo è arrivato –:
   se non si intenda intervenire convocando un tavolo di confronto nazionale con i vertici aziendali, i sindacati e la regione Abruzzo per scongiurare il rischio di una grave emergenza occupazionale. (4-11237)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIACOBBE, BASSO, CAROCCI, MARIANI, OLIARO, PASTORINO, TULLO, VAZIO e FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   esattamente un anno fa eventi calamitosi hanno pesantemente colpito il comprensorio Albenganese ed una parte significativa della provincia di Genova, causando danni ingenti alle colture e alle scorte delle imprese agricole;
   dopo un confronto realizzato con le associazioni di categoria, e sulla base di un impegno del Ministro assunto subito dopo quegli eventi, è stato possibile veder riconosciuti ed ammessi a contributo anche i danni subiti dalle colture, in virtù di una impossibilità pratica ad accedere a forme di coperture assicurative per le colture praticate in tali areali;
   il decreto ministeriale del 12 agosto 2015 ha accolto tale condizione, possibile per effetto della conversione del decreto-legge del 5 maggio 2015 nella legge n. 91 del 2015;
   le aziende e la regione Liguria hanno completato l’iter burocratico amministrativo con la presentazione della documentazione necessaria ad accertare e, successivamente, liquidare il danno;
   i danni sono stati ingenti, oltre 5 milioni di euro solo sulle coltivazioni, e sono stati scrupolosamente documentati;
   ad oggi nessun intervento a sostegno della ripresa produttiva delle imprese agricole è stato erogato;
   molte imprese si sono indebitate per fare sopravvivere la propria attività, e per fare fronte ad una perdita di prodotto e quindi di reddito davvero ingente, che ha compromesso l'intera annata;
   oltre al mancato riparto delle risorse risulterebbe che le disponibilità finanziarie sarebbero contenute e che il riparto ipotizzato sarebbe particolarmente penalizzante per la regione Liguria;
   le associazioni di categoria regionali si sono rivolte al Ministro con una propria nota per rappresentare tali difficoltà e preoccupazioni –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere affinché alle aziende agricole liguri colpite dagli eventi alluvionali del 2014 sia assicurato un contributo adeguato a sostenere la ripresa produttiva e a garantire la sopravvivenza stessa di molte attività, prevedendo nel complesso la destinazione di una dotazione sufficiente di risorse ed un criterio di riparto non penalizzante per la Liguria. (5-07075)

SALUTE

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il commissariamento della regione Calabria per il rientro dal disavanzo sanitario è stato disposto ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 159 del 2007, con deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010;
   la succitata norma di legge è richiamata nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, con la quale l'ingegnere Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani sono stati nominati, rispettivamente, commissario ad acta e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro;
   la succitata norma prevede che ove «si prefiguri il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani (di rientro) (...) il Presidente del Consiglio dei ministri, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, (...) diffida la regione ad adottare entro quindici giorni tutti gli atti normativi, amministrativi, organizzativi e gestionali idonei a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti nel Piano»;
   la stessa norma stabilisce che soltanto «ove la regione non adempia alla diffida di cui al comma 1, ovvero gli atti e le azioni posti in essere, valutati dai predetti Tavolo e Comitato, risultino inidonei o insufficienti al raggiungimento degli obiettivi programmati, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sentito il Ministro per gli affari regionali e le autonomie locali, nomina un commissario ad acta per l'intero periodo di vigenza del singolo piano di rientro»;
   è opportuno evidenziare che, ai sensi dell'articolo 4 della legge n. 159 del 2007, la nomina del commissario ad acta è prevista «per l'intero periodo di vigenza del singolo piano», ossia, stando alla prima deliberazione del Consiglio dei ministri, del 30 luglio 2010, per tutta la vigenza del piano di rientro 2010-2012;
   va rimarcato che la legge non contempla alcuna proroga al riguardo, con la conseguenza, che già al 1o gennaio 2013, essendo terminato primo piano di rientro, i cosiddetti «Piani operativi in prosecuzione del Piano di rientro per il periodo 2013-2015» dovevano rientrare nella gestione ordinaria della regione Calabria, alla quale avrebbe potuto fare seguito un altro commissariamento, stando al citato articolo 4 della legge n. 159 del 2007, soltanto a condizione che «nel procedimento di verifica e monitoraggio dei singoli Piani di rientro, effettuato dal Tavolo di verifica degli adempimenti e dal Comitato permanente per la verifica dei livelli essenziali di assistenza» si fosse prefigurato «il mancato rispetto da parte della regione degli adempimenti previsti dai medesimi Piani», e comunque solo previa nuova diffida e successivo inadempimento regionale;
   l'articolo 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009 n. 191, sancisce che a «seguito dell'approvazione del nuovo piano cessano i commissariamenti, secondo i tempi e le procedure definiti nel medesimo piano per il passaggio dalla gestione straordinaria commissariale alla gestione ordinaria regionale», con il che è legalmente comprovata la decadenza del commissariamento al termine di ogni singolo piano di rientro (o piano operativo);
   il predetto articolo afferma, ancora, che «si applicano le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 174, della legge 30 dicembre 2004, n. 311» nella sua formulazione vigente;
   anche quest'ultima norma, lungi dal prevedere una «ultravigenza» del commissariamento disposto in relazione ad ogni piano operativo, afferma esattamente il contrario, poiché stabilisce: «La regione, ove si prospetti sulla base del monitoraggio trimestrale una situazione di squilibrio, adotta i provvedimenti necessari. Qualora dai dati del monitoraggio del quarto trimestre si evidenzi un disavanzo di gestione a fronte del quale non sono stati adottati i predetti provvedimenti, ovvero essi non siano sufficienti, con la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131, il Presidente del Consiglio dei ministri diffida la regione a provvedervi entro il 30 aprile dell'anno successivo a quello di riferimento. Qualora la regione non adempia, entro i successivi trenta giorni il Presidente della regione, in qualità di commissario ad acta, approva il bilancio di esercizio consolidato del Servizio sanitario regionale»;
   la prefata ipotesi, relativa alla gestione ordinaria regionale, è indicativa poiché prevede sempre che l'intervento sostitutivo debba essere di regola affidato con provvedimento espresso e all'organo regionale nella persona del suo presidente, nel rispetto dell'autonomia fissata in costituzione e senza sovrapposizione dell'autorità governativa dello Stato;
   a parere degli interpellanti, dunque, l'originario commissariamento doveva intendersi cessato per legge il 31 dicembre 2012, cioè col termine del primo Piano di rientro;
   a parere degli interpellanti, non essendo per legge previste delle proroghe, tutte le competenze in materia sanitaria dovevano essere restituite alla regione Calabria e, prima ancora di dare nuova applicazione al richiamo articolo 4 della legge n. 159 del 2007, era indispensabile una preventiva ricognizione su eventuali inadempienze della regione tali da mettere a rischio i LEA o gli equilibri finanziari;
   a seguito della riferita ricognizione, in caso affermativo si doveva diffidare la regione a porre rimedio e solo all'esito, in seguito, all'accertata inadempienza si poteva nominare un commissario ad acta per il successivo piano di rientro (rectius: piano operativo in prosecuzione del piano di rientro) 2013-2015;
   per quanto finora riassunto, a parere degli interpellanti già la prosecuzione del commissariamento con i poteri commissariali conferiti al presidente della regione pro tempore, all'epoca Giuseppe Scopelliti, doveva ritenersi illegittima, data la mancanza del preventivo accertamento di possibili inadempienze ai tavoli di verifica, della diffida governativa alla regione volta ad evitare le inadempienze e dell'effettivo inadempimento della regione;
   a parere degli interpellanti è dunque illegittima anche la nomina di commissario operata a suo tempo nella persona del gen. Luciano Pezzi, come la nomina dell'ingegnere Scura, poiché entrambe effettuate sull'errato presupposto di sostituire un commissario ad acta legittimamente operante;
   a parere degli interpellanti le ricordate nomine sono illegittime in quanto travalicano i limiti dell'articolo 2, comma 88, della legge n. 191 del 2009, poiché non si è dato atto della decadenza del commissario ad acta e non è stata restituita alla regione la gestione ordinaria della sanità;
   la ricordata illegittimità è, a parere dell'interrogante, cagionata dall'omissione delle procedure e dallo sconfinamento dei limiti stabiliti dall'articolo 4 della legge n. 159 del 2007;
   a parere dell'interrogante è illegittimo lo stesso provvedimento dal quale l'attuale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit della sanità calabrese trae la sua legittimazione e i suoi poteri;
   in quanto trascorsi i sessanta giorni per un'impugnativa del provvedimento da parte della regione innanzi al Tar del Lazio ed essendo decorsi i 120 giorni per impugnare il medesimo provvedimento con ricorso straordinario al Capo dello Stato, ad oggi il provvedimento di nomina, benché illegittimo, è valido ed efficace;
   l'attuale commissariamento, in quanto per legge disposto «per l'intero periodo di vigenza del singolo piano» deve cessare, a parere degli interpellanti, con la chiusura del piano operativo in prosecuzione del Piano di rientro 2013-2015, cioè alla data del 31 dicembre 2015, con la conseguenza che con il 1o gennaio 2016 tanto il commissario ad acta quanto il sub-commissario decadono di diritto dalla carica e le funzioni di specie tornano ex lege alla gestione ordinaria della regione Calabria;
   al commissario ad acta competono strettamente le funzioni e i compiti espressamente indicati nella deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015;
   tali poteri e funzioni devono essere interpretati ed attuati in senso restrittivo, cosicché, ad esempio, gli interventi di «razionalizzazione e contenimento della spesa per il personale» e di «razionalizzazione e contenimento della spesa per l'acquisto di beni e servizi», di cui ai punti 5 e 6 del mandato commissariale, devono intendersi come competenza all'emanazione di atti di indirizzo, regolamentazione o programmazione generale in materia e/o autorizzazioni alla spesa, ma non possono comprendere il conferimento di incarichi o l'indizione e/o l'espletamento di bandi di gara per l'affidamento di contatti pubblici o di bandi di concorso, in quanto attività non espressamente menzionate nella declaratoria delle funzioni demandate al commissario ad acta:
   se così è, particolare rilevanza assume, dunque, l'esercizio dei poteri commissariali in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture sanitarie e socio-sanitarie che, nella sostanza, non pare conforme a quanto prevede il punto n. 10 della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015;
   la citata deliberazione del Consiglio dei ministri, infatti, stabilisce espressamente che al commissario ad acta è affidato il compito di dare «attuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali, mediante adeguamento della vigente normativa regionale», con una chiara e testuale limitazione delle competenze del commissario ad acta alla modifica dell'assetto normativo e senza cenno alcuno a poteri gestionali diretti in materia di autorizzazione e accreditamento;
   a parere degli interpellanti non vi è ragionevole motivazione o argomentazione giuridica che giustifichi l'emanazione da parte del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro di provvedimenti che attengano non già all'assetto normativo delle autorizzazioni e dell'accreditamento, bensì alla normale gestione ordinaria concernente l'adozione di provvedimenti di rilascio, modifica e revoca dell'autorizzazione sanitaria e/o dell'accreditamento della strutture sanitarie e/o socio-sanitarie della regione Calabria;
   dell'anzidetta competenza, si ricorda, non vi è cenno nella delibera di nomina del commissario che, dunque, di fatto sta esercitando con modalità di dubbia legittimità poteri che rientrano nella competenza regionale, come dalla prima firmataria del presente atto segnalato in modo esplicito nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-10161, del 5 agosto 2015;
   tali segnalati comportamenti del commissario ad acta costituiscono, a parere degli interpellanti, un'illegittima, indebita e forzosa modifica dell'assetto dei poteri, delle competenze e delle responsabilità fissate dalla legge in materia, posto che in materia di emanazione dei provvedimenti di concessione, modifica e revoca di autorizzazione sanitaria all'esercizio e di accreditamento delle strutture sanitarie e/o socio-sanitarie, in forza dell'articolo 11, comma 6, della legge regionale della Calabria n. 24 del 2008, ricadono espressamente nella competenza del dirigente generale del dipartimento «tutela della salute e politiche sanitarie», e dunque, in ultima analisi, della regione Calabria, essendo tutti atti e provvedimenti che non costituiscono «attuazione della normativa statale in materia di autorizzazioni e accreditamenti istituzionali, mediante adeguamento della vigente normativa regionale» di cui al punto n. 10 della deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, bensì ordinarie attività gestionali che non sono in alcun modo riconducibili a tale funzione commissariale;
   a riprova di quanto detto rileva il fatto che se attualmente le suddette competenze fossero state già in capo al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal deficit, in forza del proprio mandato commissariale, per costui non vi sarebbe stato motivo di prevedere una norma che li attribuisse espressamente ex novo con una legge regionale, come invece si evince dall'articolo 24, comma 3, del disegno di legge commissariale sulla nuova disciplina in materia di autorizzazioni sanitarie e accreditamento, di cui al decreto del commissario ad acta n. 83 del 21 luglio 2015, il eguale prevede che per «tutta la prosecuzione del piano di rientro dai disavanzi sanitari della regione Calabria in conformità ai Programmi Operativi, i procedimenti che, ai sensi della presente legge, rientrano iella competenza della Giunta regionale, del dirigente generale del dipartimento «tutela della salute e politiche sanitarie», ovvero di altro dirigente del medesimo Dipartimento, sono adottati con Decreto del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della regione Calabria, salva diversa indicazione della struttura commissariale» –:
   se intenda promuovere l'immediata revoca della deliberazione del Consiglio dei ministri del 30 luglio 2010 relativa alla nomina del commissario e del sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria e la conseguente restituzione di tutte le competenze in materia sanitaria alla medesima, regione e, ove non ritenesse illegittima e contra legem la predetta deliberazione, se non si intenda verificare, per revocarli, tutti quei decreti commissariali che, come il n. 83 del 2015, dispongono, a giudizio degli interpellanti, al di fuori dei poteri e delle competenze assegnate al commissario ad acta con la citata deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015.
(2-01172) «Nesci, Dieni, Parentela, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Lombardi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nuti, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vignaroli, Villarosa».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'infezione da virus della epatite C (HCV) è la più comune causa di malattia cronica epatica; l'evoluzione della malattia è generalmente lenta, dell'ordine di decenni (10-20 anni). Gli esiti a lungo termine sono molto variabili, e vanno da alterazioni istologiche minime, fino alla cirrosi epatica e all'epatocarcinoma;
   negli ultimi 3 anni si è assistito a un radicale cambiamento delle prospettive terapeutiche per i malati di epatite C con l'introduzione degli anti virali diretti (direct-acting antiviral, DAA); se pure con percentuali diverse di successo in base al genotipo virale e all'entità del danno epatico, il loro utilizzo sembrerebbe determinare in una elevata percentuale di casi l'eradicazione del virus dopo 3-6 mesi di trattamento;
   la determinazione Aifa n. 1353/2014 del 12 novembre 2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 283 del 5 dicembre 2014, attiene alla specialità medicinale «Sovaldi», mentre la determinazione Aifa n. 544/2015 dell'8 maggio 2015, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 109 del 13 maggio 2015, attiene alla specialità medicinale «Harvoni»;
   sono stati stipulati in data 29 gennaio 2015 gli accordi negoziali tra AIFA e la società titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio per le specialità medicinali «Sovaldi» e «Harvoni», in cui si prevede l'applicazione di un meccanismo prezzo/volume alle condizioni ivi specificate;
   l'Agenzia italiana del farmaco è stata chiamata a riferire in Commissione igiene e sanità del Senato sulla sostenibilità delle nuove costose cure che permettono l'eradicazione del virus HCV; il dottor Pani, il 29 luglio 2015, ha affermato che solo un terzo dei malati di epatite C ha avuto accesso ai nuovi farmaci salvavita, ovvero 14.000 su circa 50.000 considerati più gravi. Un numero che continua a salire, ma è ancora basso e, soprattutto, risente di drammatiche disparità regionali. Ad avere maggiormente accesso alle cure sono infatti i malati che risiedono al Nord, dove l'incidenza dei contagiati è inferiore. Il dottor Pani ha descritto le difformità di comportamento delle diverse regioni nella gestione dei farmaci innovativi per la cura dell'epatite C, segnalando le anomalie registrate in tale ambito: a fronte di un payback pari a 41 milioni di euro, le regioni con prevalenza percentuale massima che avrebbero dovuto trattare più pazienti, e quindi arrivare prima agli scaglioni progressivi di sconto e ottenere un rimborso maggiore, sono viceversa quelle che hanno trattato meno pazienti, con le intuibili conseguenze mediche, etiche ed economico-sociali; quanto all'accordo sul prezzo d'acquisto, il dr. Pani ritiene improprio qualificarlo in termini di segretezza: si tratta piuttosto di un accordo di carattere confidenziale, i cui contenuti non sono stati rivelati pubblicamente per non incorrere in una inadempienza contrattuale che avrebbe impedito di raggiungere importanti obiettivi di risparmio. In ogni caso, il direttore generale di Aifa ha rimarcato che tutte le regioni hanno ricevuto comunque una documentazione esaustiva sui termini di tale accordo, avendo AIFA trasmesso il 3 dicembre 2014 a tutti gli assessorati regionali, in via confidenziale, un documento denominato «Linee di indirizzo AIFA relative all'accesso ed erogazione a carico del SSN del medicinale Sovaldi», finalizzato ad indirizzare ad una corretta programmazione dell'accesso e dell'erogazione del medicinale in questione. Inoltre — ha precisato — alle suddette linee di indirizzo era allegata una tabella in cui era elencato, per ogni regione, il numero di pazienti per ogni scaglione di sconto. Invita poi a considerare che, in sostanza, i termini dell'accordo sono stati rivelati dalla stampa specializzata, che rese noto che «L'accordo è stato trovato con una sorta di gradualità al ribasso con prezzi che vanno da 37 mila euro a terapia fino ai circa 4 mila euro delle ultime dosi»; le regioni hanno evidenziato all'Agenzia italiana del farmaco nel loro parere al programma di attività 2014 e 2015 presentato il 31 luglio in Conferenza Stato regioni che l'Aifa non ha fatto chiarezza sui prezzi dei farmaci per l'epatite, tanto più grave quando i farmaci in commercio sono più di uno. Non conoscendo il prezzo al netto degli sconti e dei pay back dei farmaci in commercio e a fronte di più farmaci, considerati da numerosi clinici esperti del tutto sovrapponibili, non è possibile indirizzare le scelte verso il farmaco meno costoso, scelta che consentirebbe di trattare il numero più ampio di pazienti;
   le regioni, inoltre, chiedono con forza ad Aifa di esprimersi sulla sovrapponibilità ed equivalenza dei farmaci in commercio per consentire di attivare gare in regime di concorrenza;
   con la determinazione dell'Aifa n. 982/2015 del 17 luglio 2015 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 169 del 23 luglio 2015, avente ad oggetto «Attività di rimborso alle regioni in attuazione del meccanismo prezzo/volume», l'Aifa comunica che in applicazione dei termini dell'accordo confidenziale sottoscritto ad esito della negoziazione del prezzo e della rimborsabilità dei medicinali Sovaldi e Harvoni con la ditta Gilead, è stato raggiunto il primo scaglione di sconto al SSN, previsto dall'accordo prezzo/volume. La Ditta Gilead ha comunicato che provvederà a restituire sottoforma di pay-back alle regioni l'importo di 41.161.785 euro, con le modalità e la tempistica previste nella determinazione;
   con la determinazione dell'Aifa n. 142/2015 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 264 del 12 novembre 2015 avente ad oggetto «Attività di rimborso alle regioni in attuazione del meccanismo prezzo/volume», l'Aifa comunica che in applicazione dei termini dell'accordo confidenziale sottoscritto ad esito della negoziazione del prezzo e della rimborsabilità dei medicinali Sovaldi e Harvoni con la ditta Gilead, è stato raggiunto il secondo scaglione di sconto al SSN, previsto dall'accordo prezzo/volume;
   è stata adottata nella seduta del 30 settembre-1o ottobre 2015 la decisione del Comitato prezzi e rimborso dell'AIFA, di accettare le restituzioni previste sulla base dell'accordo prezzo/volume di «Sovaldi» e «Harvoni» tramite emissione di note di credito, anziché tramite payback, già consentito ed attuato con determinazione AIFA n. 982/2015;
   la ditta Gilead, in accordo con AIFA, a fronte di decisione del Comitato prezzi e rimborso, provvederà a restituire attraverso emissione di note di credito alle regioni, anziché tramite payback come previsto da precedente determinazione, l'importo di 193.780.597 euro, con le modalità e la tempistica indicate dalla determinazione dell'Aifa n. 1.42/2015 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 264 del 12 novembre 2015 avente ad oggetto «Attività di rimborso alle regioni in attuazione del meccanismo prezzo/volume»;
   si registra la presenza sul mercato, grazie all'autorizzazione di immissione in commercio da parte dell'Aifa, di farmaci per l'eradicazione del virus dell'epatite C nonché la possibilità di nuovi farmaci in arrivo come testimoniato dall'articolo «Epatite C. Due molecole in una pillola, in dirittura di arrivo la nuova chance terapeutica per combattere la malattia» pubblicato in data 17 novembre dal quotidiano on line quotidianosanità.it –:
   se il Ministro interpellato abbia autorizzato la variazione dei termini dell'accordo con la società Gilead in merito alla restituzione dello sconto, tenendo conto della determinazione AIFA di cui in premessa, e abbia valutato la possibilità di chiedere, anche un parere preventivo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato e all'Autorità nazionale anticorruzione in merito alla variazione dei termini dell'accordo stesso;
   se il Ministro abbia valutato, per quanto di competenza, i possibili squilibri di cassa che i bilanci regionali potranno subire a causa della mancata liquidità prevista dal payback pari a 193.780.597 euro;
   se e come intenda intervenire al fine di scongiurare disparità di accesso alla terapia su base territoriale e garantire il diritto alla salute in modo uniforme su tutto il territorio nazionale;
   se abbia avviato una razionale e mirata ripartizione del fondo per i farmaci innovativi, tenendo anche conto della prevalenza di malati di epatite C a livello regionale, e se possa indicare le cifre eventualmente stanziate alle singole regioni;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché l'Aifa si esprima sulla sovrapponibilità ed equivalenza dei farmaci in commercio, al fine di indirizzare le scelte dei medici prescrittori verso il farmaco meno costoso con il conseguente ampliamento del numero dei possibili beneficiari delle cure.
(2-01178) «Mantero, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Lorefice, D'Incà».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BENI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52, convertito dalla legge n. 81 del 2014, aveva fissato al 31 marzo 2015 la data per la chiusura e il graduale superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (opg), al fine di attivare misure alternative all'internamento e percorsi terapeutico-riabilitativi individuali per le persone ricoverate;
   lo stesso decreto aveva disposto l'individuazione e l'attivazione da parte dalle regioni di strutture transitorie di cura con requisiti di sicurezza (Rems), destinate ad ospitare le persone per le quali si rendesse necessario proseguire l'internamento;
   il medesimo decreto prevede il ricovero nelle Rems come extrema ratio e comunque come soluzione transitoria nei percorsi di cura delle persone, affidati di norma a misure alternative alla detenzione sulla base di progetti individuali da svolgersi nella comunità locale, predisposti dai dipartimenti di salute mentale del territorio;
   da informazioni di stampa risulterebbe che il processo di superamento degli opg abbia riscontrato, in questi mesi, diverse criticità soprattutto per quanto riguarda il ritardo di alcune regioni nella chiusura delle vecchie strutture, nella individuazione e nell'attivazione delle Rems;
   il sottosegretario De Filippo, in risposta ad un precedente atto ispettivo presentato dall'interrogante, ha precisato di aver segnalato alle regioni l'esigenza del rispetto dei termini previsti dalla legge, al fine di scongiurare il commissariamento previsto per le amministrazioni inadempienti –:
   quali opg siano ancora in funzione e quante siano le persone tuttora internate ad oltre sette mesi dalla data fissata per la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, e se il Governo abbia avviato le procedure per il commissariamento delle regioni inadempienti;
   quante siano le rems realizzate dalle regioni come previsto dalla legge n. 81 del 2014, quante persone vi siano trattenute e quante invece siano destinatarie di una misura di sicurezza diversa dall'internamento in Rems;
   se il Governo abbia attivato il previsto monitoraggio dei progetti terapeutico riabilitativo individuali, così come previsto dalla legge n. 81 del 2014. (5-07072)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le attività di valutazione specialistiche previste dalle norme europee in materia di prodotti fitosanitari fino al 2014 erano di competenza della commissione consultiva dei prodotti fitosanitari (CCPF), organo interministeriale istituito nell'ambito della DGISAN (direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione) ai sensi dell'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, composta da rappresentanti del Ministero della salute, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dello sviluppo economico nonché da esperti scientifici dagli stessi designati;
   la commissione consultiva dei prodotti fitosanitari attualmente opera in «prorogatio» unicamente come organismo consultivo che fornisce pareri al Ministero della salute;
   con decreto direttoriale del 20 ottobre 2014 la direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione ha istituito un elenco – soggetto ad aggiornamento annuale – di laboratori ufficiali, istituti scientifici, università o centri di ricerca, non solo pubblici ma anche privati – contrariamente a quanto indicato dal decreto del Presidente della Repubblica 290 del 2001 in cui si parla esclusivamente di enti di diritto pubblico – a cui affidare lo studio di valutazione di impatto ambientale, di impatto sulla salute e di efficacia dei prodotti fitosanitari, precedentemente competenza della suddetta commissione, mediante convenzioni o contratti –:
   a quanto ammonti l'onere economico aggiuntivo che tale procedura comporta rispetto alla precedente e quali siano le motivazioni che hanno indotto le amministrazioni citate in premessa ad esternalizzare tutti gli studi di valutazione dei prodotti fitosanitari. (4-11246)


   NICCHI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'alienazione parentale (AP), nuova definizione del termine più conosciuto di PAS (sindrome di alienazione parentale, acronimo di Parental Alienation Syndrome), viene individuata come una sorta di disturbo che riguarderebbe i figli minori coinvolti in contesti di separazione e di divorzio, laddove un genitore separato mette in atto comportamenti che denigrano l'altro genitore agli occhi del figlio tanto da indurlo al rifiuto della frequentazione;
   insomma, una sindrome che interesserebbe quei bambini indotti a rifiutare un genitore per effetto della denigrazione compiuta dall'altro genitore (il genitore alienante sarebbe nella maggior parte dei casi la madre che, oltre ad aver subito una violenza domestica per effetto delle sentenze che riconoscono una sindrome Pas, viene spesso privata dei minori), e che continua ad essere presente nei tribunali tra gli psicologi che compilano le consulenze tecniche d'ufficio richieste ormai come prassi dal giudice quando si tratta di separazioni con minori. Una serie di giudizi redatti da periti, psicologi e assistenti sociali, talvolta specificatamente impreparati in materia di violenza domestica, che ricorrono in maniera indistinta alla mediazione familiare, peraltro vietata dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, laddove si vieta la mediazione familiare in caso di violenza;
   la AP, o PAS, non trova però molto consenso tra la comunità scientifica, in ambito psichiatrico e nella psicologia clinica, dove ne è ampiamente contestata la validità scientifica, ed in particolare che possa iscriversi nell'ambito delle patologie, per la mancanza di dati obiettivi di riscontro. Nonostante ciò viene, come già detto, «utilizzata» nei procedimenti minorili, e ai fini delle conseguenti decisioni giudiziarie che vedono assegnare un figlio all'uno o all'altro genitore;
   lo stesso Istituto superiore di sanità non ritiene che tale sindrome abbia né sufficiente sostegno empirico da dati di ricerca, né rilevanza clinica tali da poter essere considerata una patologia e, dunque, essere inclusa tra i disturbi mentali nei manuali diagnostici;
   la AP non è inserita nell'ambito delle classificazioni in uso, in particolare nell'autorevolissimo DSM-IV (Diagnostic and statistical manual of mental disorders, 1994, rielaborato nel 2000), né nell'edizione del DSM-V (Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali 2013), né è considerata dall'APA (American Psychological Association); è dichiarata pericolosa sia dal National District Attorneys Association (Istituto di ricerca dei procuratori americani) che dall'Associazione spagnola di neuropsichiatri, e infine è rifiutata in Italia dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici, la Società italiana di pediatria, l'Ordine degli psicologi della regione Lazio;
   nel 2011 l'Italia è stata richiamata al riguardo anche dall'Onu, quando il Comitato CEDAW ha raccomandato di monitorare «nell'ambito dei procedimenti relativi all'affido condiviso, in caso di presunti episodi di abuso sui minori», in cui «possano essere prodotte consulenze basate sulla dubbia teoria della Sindrome da Alienazione Parentale»;
   recentemente Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno, pur avendo dato vita a un'Associazione che dovrebbe assistere le donne che subiscono violenza, «Doppia difesa», hanno presentato una proposta di legge di iniziativa popolare prevederebbe addirittura la reclusione per chi si macchia dell’«inesistente» sindrome sull’«Alienazione parentale», eludendo i racconti delle donne che hanno avuto, e hanno tuttora, a che fare con la AP-Pas: storie che andrebbero ascoltate attentamente da chi si prefigge di aiutarle;
   la proposta di legge è stata criticata aspramente, soprattutto da parte delle avvocate dei centri antiviolenza che hanno scritto una Lettera aperta dal titolo esplicativo «La Pas non esiste» nella quale affermano che «Nel nostro ordinamento vi sono già strumenti in sede civile e in sede penale idonei a garantire l'esercizio della responsabilità genitoriale ad entrambi i genitori nonché norme civili e penali adeguate a sanzionare comportamenti pregiudizievoli dell'interesse dei figli», e che «Fattispecie penali come quella oggetto della proposta di legge avanzata da Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker sono funzionali solo a veicolare nelle aule giudiziarie strategie punitive nei confronti delle donne che tentano di proteggere sé stesse e i figli dalla violenza maschile»;
   le signore Buongiorno; e Hunziker hanno quindi presentato uno spot sulla «pseudo AP» al recente Festival di Venezia che da pochi giorni va in onda nelle case italiane, in cui chiedono anche Fondi. Questo spot, realizzato dalla suddetta associazione Onlus «Doppia Difesa», è andato in onda anche sui canali televisivi privati nazionali, con il quale si che chiede di donare due euro con un sms per combattere l'AP;
   lo spot è stato anche presentato alla scuola di perfezionamento delle forze di polizia, come si vede chiaramente sul sito del Ministero dell'interno –:
   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per scongiurare nei tribunali ogni riferimento diretto o diretto a tale sindrome, in quanto non supportata da alcun riconoscimento scientifico;
   se non si ritenga necessario assumere iniziative per garantire l'effettivo ascolto del minore per renderlo protagonista nei procedimenti giudiziari in cui è coinvolto, con tutte le precauzioni professionali ed umane necessarie, nell’«interesse superiore del minore» come da Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989;
   come si giustifichi la presenza dello spot sull'alienazione parentale (AP alias PAS) sul sito del Ministero dell'interno.
(4-11247)


   MOSCATT. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le scuole di specializzazione per biologi ed in genere per l'area non medica sono bloccate da due anni;
   con la sentenza n. 6073/13 della IV sez. del Consiglio di Stato e la successiva dell'11 marzo 2015 è stata statuita la garanzia all'accesso alle scuole di specializzazione nel settore medico e sanitario ai laureati magistrali biologi, chimici e, in genere, per l'area non medica, con l'attribuzione dei contratti di formazione già previsti per laureati in medicina e chirurgia;
   è stato emanato il decreto interministeriale del 4 febbraio 2015 n. 68, recante «riordino scuole di specializzazione di area sanitaria», la cui bozza aveva avuto parere positivo del Consiglio superiore di sanità;
   a quanto consta all'interrogante, il segretario generale presso la Presidenza del Consiglio, con nota del 17 novembre 2015 diretta all'ufficio di gabinetto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a seguito di intervento formale da parte del presidente dell'Ordine nazionale biologi, ha chiesto di conoscere le determinazioni che il Dicastero riterrà opportuno intraprendere in ordine all'irrisolto problema della mancata attivazione delle disposizioni contenute nel suddetto decreto;
   la mancata, emanazione dei decreti ministeriali in attuazione del suddetto decreto, ha creato in seno alle strutture sanitarie, una palese e grave situazione discriminazione che si manifesta anche con il malcontento degli operatori sanitari che giornalmente operano in stretto contatto e in sinergia con i medici, in considerazione del fatto che da un lato i laureati in medicina e chirurgia fruiscono di regolare contratto di specializzazione retribuito, dall'altro tutto il resto degli operatori «area medica» sono esclusi da siffatte borse di studio pur prestando attività lavorativa «full-time»;
   ulteriore discriminante scaturisce dal fatto che i laureati in medicina e chirurgia completano il percorso di specializzazione in quattro anni, mentre, per biologi e tutto il resto dei laureati dell'area medica, il percorso resta ancora in cinque anni con grave aggravio al bilancio delle famiglie in quanto, come detto, questi operatori non ricevono alcuna indennità;
   non può non disconoscersi che i lavoratori dell'area sanitaria, costituiscono una risorsa necessaria ed essenziale per il buon funzionamento del servizio sanitario nazionale, al pari degli specializzandi medici –:
   quali siano i tempi di attuazione delle misure introdotte dal decreto interministeriale di cui in premessa affinché si ponga fine ad una palese, ingiustificata ed iniqua discriminante tra qualificati professionisti che operano in un unico delicato contesto diretto alla salvaguardia dalla salute dei cittadini. (4-11252)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BARUFFI, GNECCHI, GIACOBBE, PATRIZIA MAESTRI e INCERTI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da molti anni operano presso l'Inps (e precedentemente presso l'ex Inpdap) molti lavoratori e lavoratrici in distacco da altri enti, segnatamente presso le sedi territoriali dell'Istituto;
   tali distacchi sono stati nel tempo prorogati, anche in deroga rispetto alle disposizioni generali vigenti in materia, per far fronte alle carenze degli organici e non disperdere le professionalità acquisite sul campo nel lungo tempo di comando;
   le modifiche normative e procedurali introdotte nel recente passato e tuttora in corso nel regime previdenziale e assistenziale, nella disciplina degli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro o per disoccupazione involontaria, ecc. hanno fortemente impegnato tutte le strutture dell'Inps e rendono assolutamente necessario preservare le competenze acquisite e le professionalità sviluppate da questi lavoratori ormai in molti anni di attività presso l'Istituto –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per affrontare questo problema;
   se non ritenga necessario, per le ragioni evidenziate in premessa, assumere iniziative per prevedere la stabilizzazione presso l'Istituto di questo personale, come peraltro già previsto per i lavoratori provenienti dalle province;
   se non ritenga opportuno, in subordine, assumere iniziative per prevedere un'ulteriore proroga dei distacchi per l'anno 2016. (5-07074)


   LENZI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Inps ha pubblicato in data 16 novembre 2015 un «Avviso di selezione pubblica, mediante richiesta di disponibilità, per il reperimento di un contingente di 900 medici, prioritariamente specialisti in medicina legale e/o in altre branche di interesse istituzionale, cui conferire incarichi professionali a tempo determinato finalizzati ad assicurare l'espletamento degli adempimenti medico legali delle UOC/UOS centrali e territoriali» al fine di rinnovare gli incarichi ai medici convenzionati esterni;
   è dal 2009 che l'Inps procede a questi bandi per l'individuazione di medici a cui affidare incarichi liberi professionali con le stesse mansioni di medici interni; a questi bandi hanno sempre potuto partecipare anche i medici in lista Inps, cosiddetti medici fiscali, a maggior ragione dopo la drastica riduzione delle risorse e delle visite fiscali;
   nel bando sono previste una lunga serie di incompatibilità che sarebbero comprensibili, forse, a fronte di una assunzione stabile piuttosto che un incarico precario annuale e in particolare: «Saranno escluse le domande di coloro che, già appartenenti ai ruoli di Amministrazioni Pubbliche e collocati in quiescenza, abbiano svolto, nel corso dell'ultimo anno di servizio, funzioni e attività medico legali in ambito previdenziale e/o assistenziale con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato»;
   inoltre: «Sono tuttavia incompatibili con l'assunzione dell'incarico, i medici che si trovino, al momento della sottoscrizione del contratto, in una delle seguenti situazioni: esercitino l'attività di medico di medicina generale o di medico pediatra convenzionato con il SSN presso il territorio ove si dovrebbe svolgere l'incarico; esercitino un incarico analogo a quello oggetto della selezione presso Commissioni mediche in ambito previdenziale e/o assistenziale anche se in qualità di Rappresentante di Associazione di Categoria, indipendentemente dall'ambito territoriale; effettuino consulenze tecniche di parte, sia con riferimento ad incarichi in corso di espletamento all'atto della sottoscrizione del contratto che con riferimento ad incarichi da conferirsi, per conto e nell'interesse di privati, attinenti all'attività dell'INPS ovvero consulenze tecniche d'ufficio nei procedimenti giudiziari nei quali l'INPS figura quale legittimato passivo; svolgano o presentino la propria candidatura per incarichi politici o amministrativi, presso organi o enti territoriali e/o nazionali, cariche pubbliche elettive, incarichi governativi, mandato parlamentare; svolgano e abbiano svolto qualsiasi forma di collaborazione con CAF e Patronati negli ultimi tre anni»;
   l'articolo 17 della legge 124 del 2015, comma 1, lettera l), recita: «l) riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di garantire l'effettività del controllo, con attribuzione all'Istituto nazionale della previdenza sociale della relativa competenza e delle risorse attualmente impiegate dalle amministrazioni pubbliche per l'effettuazione degli accertamenti, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per la quantificazione delle predette risorse finanziarie e per la definizione delle modalità d'impiego del personale medico attualmente adibito alle predette funzioni, senza maggiori oneri per la finanza pubblica e con la previsione del prioritario ricorso alle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e successive modificazioni»;
   il documento approvato all'unanimità in data 27 maggio 2014 dalla Commissione XII «Affari Sociali» della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sull'organizzazione dell'attività dei medici che svolgono gli accertamenti sanitari per verificare lo stato di salute del dipendente assente per malattia» recita: «Appare infine utile il percorso di fidelizzazione del personale sanitario anche attraverso il ricorso alla professionalità del medesimo, verificando ad esempio la possibilità che siano chiamati a partecipare alle commissioni per certificazioni di invalidità e, da ultimo, l'esclusione dalle suddette liste di chi è già in quiescenza»;
   l'avviso pubblico citato mira a creare un altro bacino di medici legali precari composto da 900 unità che si va aggiungere ai 1200-1300 medici legali con funzione di medicina fiscale; questo non può che far scadere la qualità del lavoro svolto;
   alcuni sindacati medici hanno preannunciato ricorsi e lo stesso ordine dei medici Fnmonceo, a quanto consta all'interrogante, ha scritto al presidente dell'Inps chiedendo il ritiro del bando –:
   se le incompatibilità indicate nell'avviso pubblico siano conformi con quanto previsto dalla recente normativa in tema di assunzioni e in tema di incompatibilità;
   se ritenga opportuna la creazione di una così vasta area di medici precari e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo. (5-07077)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha emesso un concorso per mobilità, come dispone espressamente l'articolo 1, comma 425, della legge n. 190 del 2014, è prioritaria la ricollocazione dei dipendenti provinciali in sovrannumero, fatto poi confermato anche con la deliberazione della Corte dei Conti, sezione autonomie, 16 giugno 2015, n. 19;
   il bando in questione sembra all'interrogante non rispettare la priorità e la precedenza stabilita anche per il personale al quale si applica l'articolo 7, comma 2-bis del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 convertito con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2015 n. 11 che prevede «le disposizioni dei commi 425, 426, 427, 428 e 429 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, si applicano anche nei confronti del personale di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 28 settembre 2012 n. 178»;
   nel bando non si rileva la possibilità per i dipendenti della Croce Rossa Italiana di partecipare alle assunzioni previste. In particolare sul link: https://www.mbactonline.beniculturali.it/web/bando-mobilita/home/, cliccando in registrazione al portale ed entrando, esiste a quanto risulta all'interrogante solamente questa dicitura: «Dichiaro di essere dipendente a tempo indeterminato presso le province o essere personale di ruolo del comparto scuola, comandato presso questa Amministrazione» e null'altro;
   ricordato che la collocazione dei dipendenti della Croce rossa italiana in sovrannumero è funzionale alla loro possibile messa in disponibilità, apparirebbe evidente che sottraendo posti disponibili si contribuirebbe a spingere lavoratori in sovrannumero, virtualmente già in indisponibilità, verso una situazione di disponibilità non più solo di fatto, ma anche di diritto –:
   se il bando in questione sia conforme alla normativa citata, considerato che si sottraggono al processo di ricollocazione i dipendenti della Croce rossa italiana;
   poiché ad avviso dell'interrogante per effetto della situazione evidenziata, il bando e le conseguenti azioni sono da considerare di dubbia legittimità, se non nulli, se non sia il caso di ampliare la possibilità anche ai dipendenti Croce rossa italiana. (4-11240)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha pubblicato, l'11 novembre 2015, la cosiddetta «Nota interpretativa sull'indicazione di origine delle merci provenienti dai territori occupati da Israele dal Giugno, 1967»;
   la nota era stata sollecitata con lettera del 13 aprile 2015 indirizzata all'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini da 16 ministri degli esteri di Stati membri dell'Unione;
   a firmare la missiva erano stati i rappresentanti dei Governi di Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Svezia, Malta, Austria, Irlanda, Portogallo, Slovenia, Ungheria, Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Lussemburgo;
   nella lettera si richiamava una precedente missiva sullo stesso argomento inviata esattamente due anni prima all'ex Alto rappresentante Catherine Ashton e si affermava che «la continua espansione degli insediamenti illegali israeliani nei territori palestinesi occupati, e negli altri territori occupati da Israele fin dal 1967, minaccia la prospettiva di un accordo di pace giusto e definitivo» ed ancora che «la corretta e coerente attuazione della tutela dei consumatori dell'Ue e della legislazione inerente l'etichettatura è necessaria per garantire che i consumatori non siano tratti in inganno da false informazioni»;
   Catherine Ashton non aveva dato seguito alla missiva inviatale nell'aprile 2013 su richiesta del Segretario di Stato statunitense John Kerry che stava cercando di far ripartire il dialogo di pace tra israeliani e palestinesi;
   l'etichettatura con l'indicazione d'origine è obbligatoria, secondo le regole generali del commercio nell'Unione europea, per i prodotti alimentari ed in alcuni casi anche per le altri merci;
   in base all'accordo di associazione tra Israele e Unione europea, i beni prodotti nei territori occupati dal 1967 in Cisgiordania e nel Golan sono esclusi dai benefici doganali;
   Gran Bretagna, Belgio e Danimarca avevano già anticipato l'obbligo di etichettatura;
   il volume del commercio tra Ue ed Israele è nell'ordine di circa 30 miliardi di euro l'anno (17 miliardi di export europeo verso Israele, 13 miliardi di import nella direzione opposta);
   l'obbligo di etichettatura ricade sull'intera filiera: dal produttore all'importatore fino al dettagliante;
   è lasciata ai singoli Paesi la scelta della dizione da adottare, ma dovrà essere indicato chiaramente che il prodotto in questione viene da un «insediamento israeliano»;
   un provvedimento del genere potrebbe portare ad atteggiamenti di boicottaggio contro le merci etichettate secondo le nuove disposizioni;
   tale boicottaggio colpirebbe le aziende con sede negli insediamenti israeliani, aziende che spesso sono invece esempio di coesistenza e collaborazione tra israeliani e palestinesi;
   una di queste aziende, la Lipski (produttrice di plastica) è stata fatta visitare ai giornalisti europei dal Ministro degli esteri israeliano Tzipi Hotovely e, in tale azienda, il 60 per cento dei dipendenti è palestinese ed il 40 per cento israeliano;
   non risulta che la Commissione europea abbia preso provvedimenti simili verso altri territori contesi;
   il pesce pescato nelle acque territoriali del Sahara occidentale, occupato dal Marocco in sfregio ai diritti del popolo Saharawi non viene etichettato in maniera particolare;
   i prodotti provenienti dal Tibet, occupato fin dalla fine degli anni ‘40 dalla Cina, non ricevono un trattamento analogo a quello che sarà riservato ai prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani –:
   se il Governo condivida la scelta della Commissione europea contenuta nella nota interpretativa dell'11 novembre 2015;
   con quale dicitura saranno etichettati in Italia i prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani sulle Alture del Golan ed in Cisgiordania;
   se il Governo intenda proporre alla Commissione l'adozione di provvedimenti simili in relazione a merci provenienti da territori occupati da altri Stati come ad esempio il Tibet ed il Sahara occidentale.
(2-01175) «Parisi, Abrignani, Borghese, Bueno, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Merlo, Mottola, Francesco Saverio Romano, Pisicchio».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come previsto dalla delibera dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (AEEGSI) 84/2012/R/EEL, e dalle successive modifiche apportate dalla deliberazione 243/2013/R/EEL, il gestore dei servizi energetici (GSE) sta procedendo alla sospensione dell'erogazione degli incentivi, nonché dell'efficacia delle convenzioni di ritiro dedicato e scambio sul posto nei confronti degli impianti di produzione di energia elettrica con potenza superiore a 6 chilowatt già connessi alla rete di bassa tensione ed entrati in esercizio alla data del 31 marzo 2012 e per gli impianti di potenza fino a 50 chilowatt già connessi alla rete di media tensione ed entrati in esercizio alla medesima data, per i quali è stato segnalato, dalle imprese distributrici competenti, il mancato adeguamento alle prescrizioni dell'Allegato A.70 del codice di rete;
   come riporta l'articolo pubblicato dal sito «qualenergia.it» in data 8 ottobre 2015 dal titolo «Mancato adeguamento inverter FV, scatta sospensione degli incentivi», si tratterebbe «[...] di modifiche alla taratura dell'inverter e/o installazione di un dispositivo di interfaccia esterno. Per gli impianti più grandi i termini sono scaduti a giugno 2014, la scadenza per quelli tra i 6 e i 20 chilowatt installati era il 30 aprile 2015, mentre quelli sotto i 6 chilowatt sono esonerati dall'obbligo»;
   i proprietari degli impianti sopracitati vedono sospesi gli incentivi, in quanto risulterebbe un mancato allineamento tra i dati riportati sui portali dei distributori di rete, inseriti precedentemente dagli stessi proprietari, con quelli in possesso del GSE;
   al fine di ovviare alla sospensione, secondo la procedura si dovrebbe provvedere alla registrazione sul portale «produttori» del produttore e dell'impianto in questione, adeguare correttamente l'impianto alla normativa vigente e aggiornare la documentazione (in particolare, il regolamento di esercizio);
   si riporta, però, che secondo alcune segnalazioni pervenute all'interrogante, anche quando le operazioni prima descritte siano state portate a termine correttamente (come da conferma dello stato sul portale), bisognerebbe comunque attendere il sopralluogo del proprio distributore di rete per poter vedere ripristinati gli incentivi;
   tra le segnalazioni pervenute, inoltre, si evidenziano alcune riguardanti l'impossibilità da parte dei proprietari degli impianti in questione di avere informazioni in merito chiare e conclusive sia da parte del GSE che dal proprio distributore di rete di riferimento;
   dalle poche informazioni che i proprietari sopracitati sono riusciti a trarre da distributori e GSE, sembrerebbero quantomeno numerosi i soggetti ad aver denunciato tale problema –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica in premessa;
   se possano verificare e confermare, per quanto di competenza, che il contenuto delle segnalazioni giunte al firmatario corrisponda oggi al vero;
   se gli operatori del call center di Enel, società a partecipazione statale, siano preparati e organizzati al fine di effettuare i sopralluoghi necessari di cui in premessa, in tempi ragionevoli e se disponga di informazioni circa la tempistica in merito alla realizzazione dei suddetti sopralluoghi;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Ministro interrogato per evitare in futuro ulteriori scadenze massive di provvedimenti che, solitamente, si traducono in una perdita di denaro per gli operatori privati e per i cittadini che hanno investito in impianti alimentati a fonti rinnovabili. (5-07078)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'atto della privatizzazione di Alitalia, circa tremila dipendenti della società sono stati posti in cassa integrazione, in deroga a quanto disposto dall'articolo 2112 del codice civile che prevede che «in caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano»;
   sin dalla nascita della Compagnia aerea italiana nel 2009 i predetti lavoratori sono stati fortemente penalizzati, posto che gli accordi sottoscritti tra Governo e parti sociali sono stati disattesi, e la riqualificazione professionale prevista – e più volte richiesta dagli ex dipendenti – non è mai stata attivata, determinando il loro allontanamento dal mondo del lavoro;
   anche la possibilità di una ricollocazione per chi non avesse ancora raggiunto i requisiti pensionistici, prevista dagli accordi iniziali e che si sarebbe dovuta realizzare attraverso «un apposito programma volto al reimpiego dei lavoratori» che doveva tenere conto delle loro specifiche professionalità, non ha mai avuto seguito;
   ad oggi duemilasettecento persone sono ancora in regime di mobilità, dopo che sono trascorsi dapprima quattro anni di cassa integrazione che sarebbero dovuti servire alla riqualificazione professionale, e poi sono, appunto, stati posti in mobilità, di fatto dando luogo ad un licenziamento annunciato nel 2008 differito al 2015;
   nel luglio 2014 la Compagnia aerea italiana ha licenziato ulteriori duemila dipendenti, per la cui ricollocazione il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha stanziato otto milioni di euro, mentre i licenziati del 2008 continuano a essere dimenticati;
   con la recente acquisizione di Etihad, parte degli esuberi della Compagnia aerea italiana ha trovato una nuova collocazione ma nulla è stato previsto in favore dei soggetti ancora in mobilità a causa della privatizzazione di Alitalia nel 2008, mentre nel frattempo la cd. legge Fornero ha innovato i requisiti per accedere alla pensione, richiedendo un numero sempre maggiore di anni di contributi;
   alcuni «top manager» di Alitalia hanno subito delle condanne, la Consob è stata chiamata in causa per non aver esercitato adeguatamente i controlli di competenza, l'Italia è stata sottoposta a procedure di infrazione in sede europea per la questione Alitalia, ma la privatizzazione della società, fatta in assenza di scelte strategiche precise e dell'elaborazione di una nuova filosofia del trasporto aereo si è di fatto tradotta, allo stato attuale, non in una occasione di sviluppo e di crescita, ma in una ulteriore perdita di competitività, il cui prezzo è stato pagato esclusivamente dai lavoratori –:
   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda assumere con riferimento ai lavoratori di cui in premessa. (4-11245)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Grillo e altri n. 2-01160, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Zolezzi.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Mazzoli n. 4-10311 del 10 settembre 2015;
   interpellanza Carrescia n. 2-01066 dell'8 settembre 2015.

Ritiro di una firma da una interpellanza.

  Interpellanza urgente Grillo e altri n. 2-01160, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2015 è stata ritirata la firma del deputato D'Incà.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-04471 dell'11 aprile 2014 in interrogazione a risposta in commissione n. 5-07071.