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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 16 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il pendolare, lavoratore o studente che quotidianamente si sposta dal suo comune di residenza per motivi di lavoro o di studio, è una figura sempre più diffusa nei Paesi ad economia sviluppata. L'aumento della domanda di trasporto pendolare è un dato comune a larga parte delle città europee: in Italia la mobilità pendolare è aumentata di oltre il 60 per cento in 15 anni e i pendolari sono quasi un quarto della popolazione;
    sono numerosi i motivi alla base di questo fenomeno. Nel nostro Paese, quello principale è la fortissima crescita dei prezzi delle abitazioni delle grandi città, che ha provocato una sorta di emigrazione, con centinaia di migliaia di persone che si sono trasferite nel comuni vicini; sull'aumento del pendolarismo hanno pesato anche i cambiamenti nell'organizzazione e nella distribuzione nel territorio di attività amministrative, sociali ed economiche. Le periferie delle principali città italiane hanno inglobato i comuni adiacenti. Alcuni centri dell’hinterland sono diventati luoghi di residenza di migliaia di persone che continuano a lavorare nel capoluogo. Si tratta di trasformazioni che hanno cambiato profondamente la struttura sociale e culturale delle città italiane, con conseguenze significative sulla mobilità;
    la maggior parte dei pendolari – soprattutto per mancanza di infrastrutture e servizi in grado di offrire alternative reali – si muove in automobile, con forti effetti negativi sulla bilancia energetica, sulla congestione delle strade e sull'inquinamento dell'aria delle città. Mentre il trasporto ferroviario, la risposta più efficace per contenere questi fenomeni, presenta ancora notevoli criticità nella qualità del servizio offerto, tanto da aver causato negli ultimi anni la proliferazione di innumerevoli comitati locali in difesa dei diritti dei pendolari;
    si prenda l'esempio di Firenze, nel 2011 per ogni pendolare in uscita da Firenze ce ne sono stati tre in entrata. Il pendolarismo quotidiano totale verso l'interno è stato pari a 75.722 viaggiatori, quello verso l'esterno è stato pari a 21.871 pendolari mentre i movimenti quotidiani all'interno della provincia di Firenze ha riguardato ben 335.616 pendolari, che rappresentano oltre il 77 per cento del totale dei movimenti;
    da fonti Istat relative al 15o Censimento generale della popolazione e delle abitazioni relativi agli spostamenti pendolari per motivi di studio o di lavoro si desume che sono quasi 29 milioni, pari al 48,6 per cento della popolazione residente, il numero delle persone che ogni giorno effettuano spostamenti per recarsi sul posto di lavoro o di studio;
    per recarsi al lavoro o nel luogo di studio più di otto persone su dieci, pari all'84,2 per cento del totale, utilizzano un mezzo di trasporto;
    l'automobile è il mezzo di trasporto maggiormente utilizzato: il 44,9 per cento dei residenti la utilizza come conducente viaggiando solo, mentre solo nel 15,9 per cento dei casi è prevista la presenza di almeno un passeggero;
    solo il 13,4 per cento sceglie mezzi di trasporto collettivo, sia esso pubblico o privato, come treno, tram, metropolitana, corriera;
    solo il 3,5 per cento ricorre ai mezzi a motore a due ruote (motocicletta, ciclomotore e scooter) e il restante 3,3 per cento utilizza la bicicletta;
    il fenomeno del pendolarisimo riguarda essenzialmente le corte e le medie distanze, tendenzialmente coincidenti con tragitti interprovinciali;
    il nostro è però un Paese che viaggia «a due velocità», passando da situazioni di vero e proprio dissesto a punte d'eccellenza. Le dinamiche e le realtà presenti sono molto differenti. Da una parte bisogna registrare il successo di treni sempre più moderni e veloci che si muovono tra Salerno, Torino e Venezia con un'offerta sempre più ampia e articolata;
    dall'altra parte si sono avuti esempi di servizi che sembrano peggiorare di giorno in giorno caratterizzato dall'assenza della sicurezza del servizio, ripetuti guasti e problemi tecnici, ritardi e corse mancate, convogli vecchi e sovraffollati, spesso privi di aria condizionata, stazioni non presidiate. Un esempio tra tutti la linea Reggio Calabria-Taranto, tratta fondamentale di collegamento tra le regioni del Sud, che malgrado il ruolo determinante che potrebbe avere nel collegare gli oltre 40 centri urbani e turistici, è caratterizzata da un pessimo servizio: da Reggio c’è un solo treno diretto al giorno, che impiega più di 7 ore a una velocità di 66 chilometri/ora su una linea sostanzialmente vuota;
    nel complesso si è assistito alla progressiva e generalizzata riduzione dei treni Intercity, regionali, interregionali, provinciali e dei collegamenti a lunga percorrenza (ben -22,7 per cento dal 2010 al 2014) su tutte le altre direttrici nazionali dove, come tempi di percorrenza, si è rimasti fermi agli anni Ottanta;
    a fronte dello sviluppo dell'alta velocità solo in ben determinate zone del Paese, si è assistito alla progressiva e generalizzata riduzione dei treni Intercity e dei collegamenti a lunga percorrenza (-22,7 per cento dal 2010 al 2014) su tutte le altre direttrici nazionali dove, come tempi di percorrenza, si è rimasti fermi agli anni Ottanta;
    ad esempio, la tratta Roma-Milano, prevede partenze di treni che si succedono ad una distanza la di circa 20-15 minuti, mentre le tratte interne con percorrenza media al di sotto dei 100 chilometri a distanza tra un treno ed un altro aumenta a 35-50 minuti;
    a causa di servizi poco efficienti i lavoratori pendolari italiani impiegano in media 72 minuti per gli spostamenti giornalieri di andata e ritorno, pari a ben 33 giornate lavorative annue;
    se si riducessero i tempi di percorrenza da 72 minuti a 40 minuti, si risparmierebbero ogni anno ben 15 giornate attualmente sprecate nella congestione del traffico e nelle attese dei treni. Naturalmente la qualità del lavoro aumenterebbe e gli incrementi di produttività sarebbero vistosi;
    tutti conoscono le condizioni estremamente disagevoli affrontate dai pendolari nei loro tragitti, soprattutto nelle tratte regionali, con un servizio pubblico reso che è in costante peggioramento a causa di ripetuti guasti e problemi tecnici;
    particolarmente urgente pappare l'instaurazione di un coordinamento a livello nazionale che possa razionalizzare e migliore uniformemente la situazione del trasporto collettivo su tutto il territorio. Ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, esso non può essere efficacemente svolto dalle sole regioni, chiuse in competenze territoriali troppo anguste e le cui decisioni parcellizzate e diverse tra esse non consentono l'efficientamento e il miglioramento del servizio pubblico da rendere ai cittadini nell'intero Paese;
    si dovrebbe attivare con urgenza una sorta di cabina di regia nazionale la quale, attraverso gli strumenti della programmazione e della concertazione tra le diverse componenti pubbliche e private, locali e nazionali, indirizzi in modo efficiente, efficace ed economico le scelte e le politiche in tema di mobilità e trasporti, monitorando gli interventi effettuati ai diversi livelli di governo del territorio;
    purtroppo, le risorse stanziate a livello centrale e reperite nel bilancio dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma, sono diminuite del 25 per cento, con la conseguenza che le regioni, che si ricorda qui incidentalmente hanno visto attribuirsi nel 2001 le competenze sui treni locali, hanno effettuato in larga parte dei casi tagli al servizio pubblico, oltretutto aumentando le tariffe delle tratte;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo il trasporto pendolare potrebbe rappresentare una priorità delle politiche di Governo, sia perché risponde a una esigenza reale e diffusa dei cittadini, sia perché, se fosse efficiente, spingerebbe sempre più persone ad abbandonare l'uso dell'auto con vantaggi ambientali, climatici e di vivibilità delle nostre città;
    nonostante la migrazione al di fuori delle città più grandi da parte dei ceti meno abbienti causata dalla ricerca di abitazioni più consone al loro ridotto tenore di vita come sopra detto, o dei ceti più abbienti alla ricerca di abitazioni lussuose e confortevoli al di fuori dell'affollamento e della confusione cittadina, rimangono moltissimi gli abitanti delle città più grandi. Ciò deve indurre ad una approfondita riflessione su nuovi bisogni degli spazi urbani;
    milioni di cittadini sono chiamati ogni giorno a confrontarsi con esigenze di mobilità per motivi di lavoro, studio o svago. L'incredibile mole di spostamenti urbani soddisfa un fabbisogno vitale degli individui e della collettività, ma produce al tempo stesso una serie di criticità: più del 7 per cento degli incidenti stradali avviene in città, e sempre in ambito urbano si verificano i principali fenomeni di congestione, che sono alla base di un maggiore consumo di carburante e di più alte emissioni nell'atmosfera;
    ad avviso dei firmatari del presente atti di indirizzo si deve dare una migliore definizione e promozione di misure finalizzate a garantire un diritto alla mobilità urbana sostenibile. Se la congestione, infatti, si manifesta nell'eccesso di veicoli sulle strade, va considerato che molti utenti sono costretti ad utilizzare la propria automobile per mancanza di valide alternative;
    le città italiane sono fortemente penalizzate nel contesto europeo a causa di sistemi di trasporto pubblico poco integrati, economicamente squilibrati e soprattutto con standard qualitativi fortemente scadenti. Il differenziale che il trasporto pubblico italiano sconta con l'estero riguarda l'offerta, le infrastrutture, la mancanza di pianificazione e si traduce in un costo individuale annuale di 1.500 euro;
    stando così le cose, diviene un compito prioritario della politica garantire a tutti i cittadini forme di mobilità sostenibili e sicure, soprattutto nelle grandi aree urbane. Lo richiede il buon senso, oltre che la legge, dall'articolo 16 della Costituzione italiana alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo;
    a riprova dell'importanza del tema la Commissione europea ha approntato l'Action Plan on urban mobility, redatto sin dal 2009, ove sono individuati gli elementi fondamentali da considerare per riorganizzare il sistema della mobilità alla scala urbana. In particolare, nell’Action Plan si vuole puntare all'applicazione di strategie integrate di azione che pongano attenóriè principalmente alle necessità delle diverse categorie di cittadini e che assicurino l'accessibilità e la sicurezza dei trasporti;
    come è noto, la mobilità incide molto sulla capacità delle città di attrarre persone e investimenti. In un mondo tendente alla globalizzazione dove la competizione è sempre più fra i contesti urbani e meno fra Paesi e aree geografiche, l'Italia rischia il paradosso delle città. La nostra penisola, sede dei centri storici più belli del mondo, quelli dove le generazioni passate hanno più generosamente lasciato i loro segni, sta perdendo la sfida della qualità urbana e della competitività;
    il crescente volume di spostamenti urbani, solo parzialmente fermato dalla crisi economica, oltre ai bisogni che quotidianamente soddisfa determina una serie di effetti negativi che incidono su molteplici aspetti della vita cittadina: consumi energetici, reddito delle famiglie, lavoro, salute, turismo, tutela delle persone anziane, salvaguardia del patrimonio artistico, sicurezza, non solo stradale;
    i rilevanti fenomeni di congestione, oltre a produrre effetti negativi sui livelli di emissione e sui consumi di carburante, comportano anche la perdita di ore spese ogni giorno nel traffico. In alcune città, come ad esempio Roma, il costo della congestione supera i 2 miliardi di euro ogni anno, in media 1.005,91 euro per ogni automobilista e 722,75 euro per ogni utente del trasporto pubblico. Considerando le sole cinque città più trafficate, il valore del tempo sprecato nel traffico è di oltre 5 miliardi di euro, una cifra che sarebbe sufficiente a realizzare tutti gli investimenti di cui il Paese necessita per colmare i ritardi e le carenze del nostro sistema del trasporti urbani;
    per evitare il paradosso descritto è necessario adottare una serie di interventi coordinati, funzionali a migliorare la vivibilità delle città prendendo spunto anche dagli esempi che hanno funzionato, dalle best practices italiane ed europee;
    tutto ciò, anche alla luce del fatto che la normativa contenuta nei decreti attuativi della cosiddetta riforma Madia della pubblica amministrazione, secondo le prime bozze che anticipano il testo di norme che dovrebbero vedere la luce nei prossimi giorni, avrebbe previsto finanziamenti per il trasporto pubblico urbano dotando bus, metro e tram di sistemi elettronici per i passeggeri, consentendo il ricorso al con atto di leasing per modernizzare il parco circolante di bus e treni, la stipula di contratti di servizio con obbligo di rinnovo del parco mezzi e l'impegno da parte dei comuni di utilizza i fondi dell'Unione europea per l'innovazione nei trasporti e garantendo il rinnovo del parco rotabili sia di bus che di treni o metropolitane,

impegna il Governo:

   ad avviare immediatamente una Strategia nazionale sulla mobilità dolce, in piena collaborazione con le regioni, le province e gli enti locali, che abbia come obbiettivo prioritario la creazione di un integrato sistema di trasporto pubblico intermodale, efficiente e sostenibile, in grado di mettere le esigenze dell'utente-cittadino al centro del proprio sistema, migliorando radicalmente la qualità di vita della collettività ed ottenendo effetti positivi in termini di riduzione delle emissioni dei gas inquinanti, soprattutto nelle aree urbane più grandi e maggiormente colpite dal fenomeno dell'inquinamento;
   a far si che la Strategia nazionale garantisca i seguenti obiettivi: il ripristino del mobility management all'interno di imprese ed enti pubblici e privati; il miglioramento del servizio ferroviario per le medie e corte tratte ferroviarie, sia in termini di servizio offerto, sicurezza, velocità di percorrenza; incentivi economici e fiscali da destinarsi a servizi di car sharing e car pooling; incrementi significativo delle agevolazioni fiscali concesse in caso di ricorso alla mobilità alternativa quale quella ciclabile e pedonale; introduzione del biki-sharing in prossimità delle stazioni ferroviarie e in genere in tutte le aree nodali urbane; investimenti per l'efficientamento, il miglioramento dei servizi e la riduzione dei costi del trasporto pubblico locale (TPL); predisposizione di misure in grado di attuare efficaci politiche di disincentivazioni della mobilità privata su gomma; predisposizione della messa in sicurezza della rete viaria esistente;
   ad assumere iniziative per procedere con urgenza al rinnovo del parco rotabile e del parco veicolare pubblico in genere;
   ad assumere iniziative per ripristinare l'utilizzabilità di linee ferroviarie ritenute «secondarie» che sono state chiuse, dismesse o sostituite da servizio su gomma;
   ad attuare politiche finalizzate ad allontanare il transito di automezzi ad alta emissività, specialmente nei centri storici e nei pressi di monumenti di particolare pregio;
   a effettuare un'adeguata campagna di educazione stradale e a predisporre campagne mediatiche di informazione al fine di sensibilizzare la popolazione e indurla verso forme cooperative di utilizzo razionale, quindi limitato, degli automezzi privati;
   ad avviare, in collaborazione con le regioni, attraverso un programma strutturato di cofinanziamento, tutte le procedure ed azioni necessarie urgenti per garantire su tutto il territorio nazionale l'elettrificazione di tutte le tratte ferroviarie, realizzando quindi la trasformazione in doppio binario di tutte le tratte a binario unico, al fine di elevare la qualità del servizio agli standard europei;
   a promuovere l'impiego di materiali riciclati o recuperati per la realizzazione delle infrastrutture ferroviarie e stradali;
   ad assumere iniziative per ripristinare, a vantaggio del trasporto urbano e extraurbano, il «Fondo per la mobilità sostenibile» istituito nel 2006 con l'articolo 1121 della legge n. 296, la cosiddetta legge finanziaria 2007, dotandolo di uno stanziamento minimo di 100 milioni di euro per ogni programmazione triennale, i cui fondi devono essere destinati agli interventi e al potenziamento del trasporto pubblico;
   ad assumere iniziative per garantire la possibilità di detrarre le spese sostenute per l'acquisto di abbonamenti annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale in base alle norme contenute nella legge n. 244 del 2007;
   ad avviare un sistema di monitoraggio del servizio di trasporto pubblico, sia su rotaie che su gomma, che preveda da parte degli utenti la possibilità di usufruire in maniera adeguata di rimborsi per servizi carenti e in generale per tutti i disservizi (causati da guasti e inadempienze di varia natura), sanzionando opportunamente l'ente gestore del servizio;
   ad assumere iniziative per introdurre la possibilità, per i comuni e in generale per gli enti locali, di istituire zone riservate al transito ed al parcheggio di automezzi a beneficio di coloro i quali condividono con più persone uno stesso mezzo privato;
   ad adottate iniziative per un fondo per la realizzazione di percorsi ciclopedonali in testa agli argini fluviali e la manutenzione straordinaria degli stessi;
   a confermare, con apposita iniziativa normativa, la pubblicazione dei dati relativi ai risultati delle indagini di customer satisfaction condotte sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini in tema di trasporti pubblici, attraverso diversi canali, facendone rilevare il relativo andamento.
(1-01165) «Segoni, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    al fine di gestire in maniera uniforme nei Paesi membri le crisi bancarie, senza ricorrere all'intervento degli Stati, l'Unione europea ha approvato la BRRD Bank Recovery and Resolution Directive, direttiva 2014/59/UE prevedendo che se una banca è in situazione di dissesto, si può: vendere parte delle sue attività ad un acquirente privato; trasferire i NPL (non performing loans) ad un veicolo (bad bank) che provveda alla loro liquidazione; attribuire attività e passività ad un veicolo (bridge bank) che ne assicuri la gestione (tale veicolo deve essere messo in vendita in tempi ragionevoli); da ultimo, attuare il bail-in (salvataggio interno alla banca), tramite svalutazione/azzeramento di azioni e crediti per assorbire le perdite, senza costi per i contribuenti;
    l'intervento pubblico è previsto in situazioni assolutamente eccezionali, nel caso di rischi sistemici e le attività passibili di svalutazione o azzeramento sono, in ordine e priorità: azioni e strumenti di capitale; obbligazioni subordinate (junior debt); obbligazioni non subordinate (senior dubt); depositi oltre i 100.000 euro;
    l’iter di recepimento della direttiva 2014/59/Ue nell'ordinamento giuridico italiano si è concluso con l'approvazione dei decreti legislativi 180 del 2015 e 181 del 2015 e, successivamente al fallimento di quattro banche (Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio della provincia di Chieti) è stata disposta la piena operatività del bail-in, dall'inizio del 2016, cosa che avrebbe comportato conseguenze nefaste per la loro sopravvivenza, per la stragrande maggioranza dei loro clienti e per i territori di appartenenza;
    con estrema urgenza, quindi, il 22 novembre 2015 è stato emanato il decreto legge 183 del 2015, da subito denominato «salva banche» che ha comportato la svalutazione di oltre l'80 per cento dei NPL che sono stati trasferiti ad una bad bank e l'assegnazione delle posizioni di rischio non critiche ed altre attività a quattro bridge banks, da rivendere al miglior offerente in tempi non lunghi e l'azzeramento delle obbligazioni subordinate in mano a 12.459 clienti, per un valore complessivo di euro 431 milioni di euro, unitamente alla totale perdita di valore delle azioni;
    i clienti delle banche suddette, nella stragrande maggioranza piccoli risparmiatori, convinti di aver investito il loro denaro in maniera sicura, hanno perso i risparmi di una vita;
    in Italia le proteste, anche di piazza, sono state numerose e il Governo, con la legge di stabilità per il 2016 (commi dall'855 all'861), ha dato vita ad un fondo massimo di 100 milioni di euro (alimentato principalmente dal ceto bancario) ed ha preannunciato la costituzione di un organismo arbitrale, che analizzi le situazioni una per una e, lì dove riscontri non osservanza della normativa, deliberi un ristoro totale o parziale delle perdite;
    considerato il forte divario tra le somme perse e quelle disponibili, è altamente probabile che l'intervento dell'arbitro non sarà risolutivo e che le cancellerie dei tribunali verranno intasate, ancor di più rispetto all'esistente e, non è improbabile, che le bridge banks perdano clienti e depositi, con una riduzione degli effetti positivi dell'azione di risanamento;
    le parti in questa controversia sono gli obbligazionisti subordinati, che vogliono rivedere i loro denari; le bridge banks, che (al fine di mantenere appetibilità nei confronti di potenziali acquirenti) hanno interesse a mantenere i depositi e recuperare reputazione; la «buona fama» perduta che non si riacquista solo con la pulizia dei bilanci ed il cambio dell'alta direzione, perché, come ammoniva Einaudi, «I risparmiatori hanno gambe da lepre e memoria da elefante»; la bad bank ha interesse a liquidare in maniera redditizia i propri asset, peraltro in carico a valori di «ultra-saldo»; gli scheletri delle vecchie banche, gusci ormai vuoti;
    controversa, da un punto di vista giuridico, è la responsabilità civile delle bridge banks e della bad bank e l'arbitrato può giungere ad un'unica soluzione: ragione o torto (e non ci saranno denari sufficienti per tutti coloro che risulteranno aver ragione) non prendendo in considerazione scelte alternative, che tengano conto di eventuali altre necessità dei soggetti contrapposti; in una controversia dove una delle parti è un fornitore di più prodotti o più servizi, quale appunto è una banca, le possibilità di trovare una soluzione aumentano in maniera esponenziale e, scandagliando le varie necessità dei soggetti, si può giungere ad un accordo, se non ottimale, quanto meno soddisfacente per tutti;
    alla fine di gennaio 2016 il Codacons ha presentato un ricorso al TAR proponendo la possibilità di agire in giudizio per ottenere il risarcimento totale, comprovata dal fatto che la legge di stabilità 2016, articolo 1, comma 860, dopo avere istituito un fondo di solidarietà (a cui si potrà attingere per un indennizzo parziale degli obbligazionisti subordinati) e prevista la possibilità del ricorso agli arbitrati (affidati all'Autorità anti-corruzione di Raffaele Cantone), fa salvo il diritto al risarcimento del danno dell'investitore, ove quest'ultimo decida di andare in giudizio e chiedere il rimborso totale alle nuove banche, istituite al posto di quelle fallite;
    è sorta quindi la questione della «legittimazione passiva», che rappresenta anche il nodo decisivo, vale a dire se le nuove banche siano tenute o meno a rispettare gli impegni di quelle fallite, compresi gli oneri relativi alle obbligazioni subordinate;
    le banche che hanno preso il posto delle vecchie Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara, hanno dichiarato che non è compito loro rimborsare i risparmiatori-obbligazionisti subordinati seguendo la disciplina del «bail in» europeo su cui sono basati i provvedimenti del Governo e della Banca d'Italia;
    ad opinione degli avvocati del Codacons ciò è vero solo in parte, poiché resta in piedi la «legittimazione passiva», compreso l'obbligo dei rimborsi, delle nuove banche che deriva dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione sull'articolo 58, comma 5, del Testo unico bancario (Tub), non modificato, né dichiarato inapplicabile, dalla normativa introdotta dal Governo;
    nel decreto «salva-banche» è previsto infatti che le banche nuove succedono in blocco nei rapporti attivi e passivi delle vecchie banche, con esclusione solo di azioni e obbligazioni subordinate: quindi, non si esclude che possano essere chiamate a rispondere per responsabilità contrattuale verso quei correntisti, con un rapporto ancora in essere al momento del passaggio alla nuova banca, i quali hanno acquistato azioni e obbligazioni in violazione della normativa di settore;
    sostiene infatti il Codacons: «Secondo alcune sentenze della Cassazione, in base all'articolo 58 del Testo unico bancario, che regola la successione dei rapporti, anche in blocco, tra le banche, la nuova banca succede alla vecchia in tutti i rapporti attivi e passivi, e quindi deve rispondere anche di responsabilità contrattuale per azioni ed omissioni della vecchia banca. Eventuali accordi tra le due banche per evitare il trasferimento alla nuova delle passività, o comunque delle responsabilità verso i correntisti, lasciando tutto in capo alla vecchia, sono nulli, perché si andrebbe a violare il principio di tutela del risparmio, che è costituzionale. Di conseguenza, nel nostro caso non si dà voce a una pretesa generica e indiscriminata di rimborso, ma a una domanda di responsabilità contrattuale. In sintesi: è vero che il decreto salva-banche non consente di agire direttamente per il rimborso delle azioni-obbligazioni subordinate in default, ma non esclude la possibilità di agire per il risarcimento del danno da risparmio tradito»;
    la Costituzione tutela il risparmio dell'articolo 47, principio, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo chiaramente violato dalla normativa «salva-banche» e dalla Banca d'Italia: «Con la risoluzione, la legge consente di sottrarre in via amministrativa ai creditori i loro diritti soggettivi, sostanzialmente espropriandoli a vantaggio di un altro soggetto privato (la banca, o l'ente che acquisisce l'azienda bancarie). Il che contraddice ogni fondamentale principio costituzionale, sia nazionale sia comunitario, in materia di tutela del diritto di proprietà, di riparto dei poteri dello Stato, di giusto processo, oltre a contrastare con molteplici norme della Convenzione dei diritti dell'uomo»;
    la procedura di risoluzione delle sopracitate banche, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, avrebbe dovuto essere attivata successivamente al 1o gennaio 2016, dal momento che era previsto, dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 180 del 2015, che entrassero in vigore successivamente a quella data; dunque, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo sono state adottate in carenza di previsione normativa;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché, qualora dall'andamento della gestione della società veicolo istituita, con provvedimento delle banca d'Italia del 21 novembre 2015 ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, con riferimento alle banche di cui in premessa, emergesse un risulto annuo attivo, tale attivo sia destinato agli investitori al dettaglio titolari delle azioni e delle obbligazioni emesse dalle predette banche;
   ad assumere iniziative per rinviare l'applicazione del bail-in al 2020 al fine di scongiurare una probabile instabilità economico-finanziaria del sistema bancario e finanziario italiano, riesaminando, per quanto di competenza, le condizioni in base alle quali è stata avviata la procedura di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a., di Banca delle Marche s.p.a., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società Cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti s.p.a., prevedendo un eventuale risarcimento del danno qualora venisse appurata l'insussistenza dei presupposti normativi per l'avvio della suddetta procedura;
   ad assumere iniziative per prevedere che una quota di almeno 300.000.000 di euro degli utili netti della Banca d'Italia di cui al comma 3 dell'articolo 4 del decreto legge 30 novembre 2013, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 gennaio 2014, n. 5, o una somma di pari importo, individuate da parte del Governo stesso, si venga ad aggiungere ai 100.000.000 di euro del Fondo assistito dalla garanzia dello Stato, previsto dalla legge di stabilità del 2016, e volto a garantire l'erogazione di prestiti concessi da parte delle banche autorizzate all'esercizio del credito ai sensi del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, recante Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, in favore dei sottoscrittori di strumenti finanziari subordinati per l'erogazione di sovvenzioni o altre liberalità emessi dalla Banca delle Marche s.p.a., dalla Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio – società cooperativa, dalla cassa di Risparmio di Ferrara s.p.a., dalla Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti s.p.a.
(1-01166) «Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Civati, Andrea Maestri, Matarrelli».


   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, è stata data attuazione alla direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, e che modifica numerose altre direttive in materia approvate a partire dagli anni ottanta;
    la direttiva Bank Recovery and Resolution Directive ha origine nel giugno 2013, nei giorni della crisi di Cipro e delle sue banche, ed è finalizzata ad introdurre regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche in tutti i Paesi europei, approntando strumenti nuovi che le autorità possono i impiegare per gestire in maniera ordinata eventuali situazioni di dissesto;
    secondo uno studio della Bce sono stati spesi, tra il 2008 e il 2014, 800 miliardi di euro (pari all'8 per cento del Pil di eurolandia) di risorse pubbliche per salvare le banche durante la crisi finanziaria. La sola Germania ha concesso aiuti di Stato alle banche per oltre 238 miliardi;
    l'Italia, pur non intervenendo formalmente a sostegno delle proprie banche, ha concesso dal 2011 a oggi, agevolazioni cospicue al sistema bancario, tramite il cosiddetto decreto Bankitalia, sconti fiscali, fondi di garanzia e iniziative varie, si tratta di risorse pubbliche utilizzate per agevolare il sistema finanziario e distolte da altre finalità;
    la BRRD si propone di limitare al massimo l'erogazione di risorse pubbliche a favore delle banche in crisi, e a tal fine attribuisce alle autorità il potere di allocare gli oneri della risoluzione, in primo luogo, in capo agli azionisti e ai creditori, secondo la gerarchia concorsuale stabilità dalla direttiva e, in seconde luogo, su un fondo di risoluzione alimentato dal sistema bancario;
    la direttiva introduce altresì il concetto di bail-in, una sorta di «salvataggio interno» tramite il quale si svalutano azioni e crediti gli si converte in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà o una nuova entità che ne continui le funzioni essenziali;
    con l'introduzione del bail-in si passa da un sistema in cui la risoluzione delle crisi era imperniata cui ricorso ad apporti esterni, vale a dire su denaro pubblico, come accaduto con il Monte dei Paschi di Siena, ad un sistema che reperisce le risorse necessarie all'interno degli stessi istituti bancari, tramite coinvolgimento di azionisti e creditori;
    l'idea di coinvolgere gli investitori privati (azionisti, obbligazionisti e grandi correntisti) per non far ricadere sui conti pubblici la cattiva gestione di banche private, è concettualmente giusto, ma necessità di una radicale riforma dell'intero sistema bancario italiano ed europeo per poter essere applicato correttamente e non penalizzare solo i cittadini comuni;
    in particolare, il concetto di bail-in presuppone una partecipazione di risparmiatori correntisti all'attività bancaria, ai suoi guadagni e conseguentemente alle perdite;
    in primis, questa rivoluzione concettuale del rapporto tra correntista e sistema bancario necessiterebbe, per essere applicato correttamente, della preventiva netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari, cosicché i cittadini possano avere la possibilità di scegliere di mettere i propri soldi in banche che non fanno speculazione;
    con l'introduzione delle nuove regole dell'Unione europea sul bail-in deve essere istituita una ulteriore categoria di banche: le «Banche di deposito» che hanno la sola funzione di conservare i risparmi, che non hanno la facoltà di erogare prestiti, non concedono interessi ma sono esenti da qualsiasi rischio di fallimento;
    attualmente il bail-in si applica seguendo una gerarchia in cui chi ha investito negli strumenti finanziari più rischiosi debba sostenere prima degli altri le eventuali perdite prevede che possano essere aggrediti anche i semplici depositi bancari;
    contrariamente a quanto si possa cadere, la normativa del bail-in non protegge in maniera certa i piccoli correntisti, infatti anche se questa prevede l'intervento del Fondo interbancario a tutela del depositi sotto i 100.000 mila euro, io stesso Fondo interbancario non sarebbe in grado di risarcire i correntisti in caso di fallimento di una Banca di grande o medie dimensioni;
    in Italia la nuova normativa è entrata in vigore lo scorso primo gennaio ma le nuove disposizioni sulla svalutazione o la conversione delle azioni e dei crediti subordinati erano previste già a partire dal 2015 e hanno, infatti, trovato una prima applicazione nella risoluzione di Banco Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti avviate il 22 novembre;
    rispetto alle predette procedure di risoluzione, che pure hanno travolto migliaia di risparmiatori tratti in inganno in merito al reale indice di rischio delle obbligazioni che sottoscrivevano, è stato comunque osservato che il fatto che nel caso di specie non si fosse ricorsi al bail-in abbia permesso di salvare dodici miliardi di euro di massa «non protetta» delle quattro banche, tra i quali quasi due miliardi e mezzo di obbligazioni non subordinate;
    l'applicazione del bail-in, quindi, nel caso di specie avrebbe determinato una crisi e un danno ai risparmiatori infinitamente maggiore di quello già gravissimo che si verificato;
    nel corso sua audizione in Commissione Finanze lo scorso mese di dicembre il Capo del Dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia ha affermato che «Come segnalato dalla letteratura economica e dall'esperienza passata, anche questa scelta non è priva di rischi e incertezze (..) il bail-in può acuire – anziché mitigare – i rischi di instabilità sistemica provocati dalla crisi di singole banche. Esso può minare la fiducia, che costituisce l'essenza dell'attività bancaria; comportare un mero trasferimento dei costi della crisi dalla più vasta platea dei contribuenti a una categoria di soggetti non meno meritevoli di tutela – piccoli risparmiatori, pensionati – che in via diretta o indiretta hanno investito in passività delle banche»;
    nella stessa audizione il dirigente di Bankitalia ha anche ricordato nell'ambito dei negoziati sulla direttiva BRRD la Banca d'Italia avesse «avanzato con insistenza due richieste, entrambe non accolte nella versione finale dalla Direttiva:
   i) un approccio alternativo al bail-in, in base al quale si sarebbero potute imporre perdite ai creditori solo in presenza di apposite clausole contrattuali di subordinazione. Questa soluzione avrebbe consentito di coinvolgere esclusivamente le passività emesse dopo l'entrata in vigore della nuova legislazione e contrattualmente qualificate come assoggettabili a riduzione; essa avrebbe favorito una maggiore consapevolezza degli investitori circa le caratteristiche e i rischi del prodotti finanziari sottoscritti e limitato le ricadute in termini di instabilità;
   ii) rinviare l'applicazione le del bail-in al 2018, così da consentire la sostituzione delle obbligazioni ordinarie in circolazione con altre emesse dopo l'entrata in vigore del nuovo quadro di gestione delle crisi e, dunque, collocate e sottoscritte avendo presenti i nuovi scenari di rischio»;
    nei 2014 gli stress test della Banca centrale europea sugli istituti bancari italiani hanno sancito la bocciatura di nove istituti su venticinque, a fine 2015, dopo il default di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, erano ancora dodici le banche messe sotto commissariamento dalla Banca d'Italia e quindi in una situazione non certo positiva;
    stando alle affermazioni del citato dirigente della Banca d'Italia, negli ultimi anni, «la eccezionale gravità della recessione ha inciso significativamente sulla qualità degli attivi delle banche italiane, divenuta il principale fattore di vulnerabilità del sistema. A fine giugno i prestiti deteriorati ammontavano a 360 miliardi di euro, pari al 18 per cento del totale; all'interno di questo aggregato, le «sofferenze» ammontavano a 210 miliardi (10,3 per cento degli impieghi). Nel 2008, prima della doppia recessione, l'incidenza dei crediti deteriorati era del per cento, quella delle sofferenze del 3,8»;
    l'introduzione del bail-in cade in un momento congiunturale particolare, caratterizzato dal rallentamento dell'economia cinese ed americana, deflaziona e scarsa crescita, tassi di interesse bassi e a volte perfino negativi;
    il presidente della Bce, Mario Draghi ha dichiarato che le regole del bail-in «prevedono eccezioni, che certi creditori possano essere esentati se sono situazioni di instabilità e rischio finanziario sistemico ed è responsabilità della Commissione europea e dell'autorità unica di risoluzione valutarlo»;
    sia con riferimento al tracollo della Banca Monte Paschi di Siena, sia con riferimento alla crisi di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, si sono dimostrate, da un lato, irregolarità da parte degli amministratori dei singoli istituti, e dall'altro, palesi inefficienze sotto il profilo della vigilanza,
impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per garantire la tempestiva e completa restituzione delle somme perse dai risparmiatori in possesso delle cosiddetta «obbligazioni subordinate» coinvolti nel dissesto di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, avvalendosi delle risorse del Fondo interbancario di tutela dei depositi;
   ad assumere iniziative per sospendere applicazione del bail-in al fine di impedire il verificarsi di una crisi sistemica;
   ad assumere iniziative per introdurre una netta separazione tra banche commerciali, banche d'affari e banche di deposito, prima dell'applicazione del sistema del bail-in in modo da consentire ai risparmiatori di scegliere la tipologia di banca in base al rischio che intendono correre;
   a promuovere normative più rigide a tutela dei risparmiatori, prevedendo in capo a banche e istituti di credito l'obbligo di informare sempre ed in maniera comprensibile il cliente circa i fattori di rischio dell'operazione che sta realizzando;
   ad assumere iniziative per escludere in modo esplicito i depositi bancari sotto i 100.000 mila euro dal coinvolgimento nel sistema del bail-in;
   ad assumere iniziative per introdurre una normativa che stabilisca che i membri del consiglio di amministrazione e di governo delle banche siano responsabili in solido e illimitatamente nel caso di fallimento delle proprie aziende.
(1-01167) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    le reti di trasporto sono il cardine della catena di approvvigionamento e le basi dell'economia dei Paesi, permettono di distribuire le merci e di viaggiare, rendono accessibili le località, ci ravvicinano e ci consentono una buona qualità della vita;
    i trasporti sono stati uno dei primi settori di politica comune dell'Unione europea, perché erano considerati essenziali per realizzare tre delle quattro libertà del mercato unico, definito nel trattato di Roma del 1957: la libera circolazione di persone, servizi e beni. Senza collegamenti e reti di trasporto efficienti, la libera circolazione non è garantita;
    i principali problemi connessi alla mobilità sono legati alla dipendenza dal petrolio, alle emissioni di gas serra, allo sviluppo eterogeneo delle infrastrutture ed alla mancanza di concorrenza. E l'effetto più grave di un arretramento culturale nella politica dei trasporti in Europa, ancora portata a favorire il trasporto privato rispetto a quello pubblico è la congestione del traffico sulle strade urbane ed extraurbane, che incide per l'1 per cento circa sul prodotto interno lordo dell'Unione europea e causa molteplici danni ambientali dovuti alla produzione di ingenti quantità di emissioni di carbonio e di altre sostanze inquinanti;
    la crisi energetica ed economica, gli oneri di manutenzione dei mezzi pubblici, il crescente inquinamento acustico e ambientale necessitano di soluzioni perseguibili attraverso una maggiore offerta del trasporto pubblico, il sostegno a pratiche di retrofit e revamping e l'utilizzo di veicoli a basse emissioni complessive;
    la Commissione europea, negli anni, ha promosso politiche di trasporto efficienti, sicure e sostenibili che favoriscano la mobilità e creino le condizioni necessarie per un'industria competitiva che generi posti di lavoro e prosperità negli Stati membri;
    in particolare, nel 2010 la Commissione europea ha presentato una «Strategia europea per incoraggiare lo sviluppo e la diffusione di veicoli puliti ed efficienti sul piano energetico» corredata da un piano d'azione che prevede, tra l'altro, di assicurare che i veicoli a propulsione elettrica siano sicuri come quelli a trazione endotermica, di promuovere norme comuni che consentano a tutti i veicoli elettrici di essere ricaricati ovunque sul territorio nazionale, di aggiornare le regole e promuovere la ricerca sul riciclo e la capacità delle batterie;
    a questa strategia sono seguite diverse iniziative tra cui:
     la creazione di un Osservatorio sulla mobilità elettrica che ha il compito anche di sviluppare raccomandazioni politiche e la piattaforma europea per l'elettrificazione dei trasporti di terra che comprende reti e imprese europee e ha l'obiettivo di promuovere investimenti nelle infrastrutture elettriche (veicoli a due ruote, autobus, metropolitana, ferrovie); il libro bianco della Commissione europea «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile», COM(2011) 144 del 28 marzo 2011, che presenta le idee della Commissione sul futuro del sistema dei trasporti dell'Unione europea (UE) e definisce un'agenda politica per il prossimo decennio. Il programma in questione rientra nella strategia Europa 2020 e nella relativa iniziativa faro per un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse. La strategia mostrata con il libro bianco definisce dieci obiettivi molto impegnativi per orientare gli interventi e valutare i progressi. Essi annoverano, tra gli altri, la graduale eliminazione delle automobili alimentate a carburanti tradizionali dalle città entro il 2050 e il passaggio del 50 per cento del flusso passeggeri su media distanza e del flusso merci su lunga distanza dal trasporto su gomma ad altre modalità. L'obiettivo è quello di giungere ad una riduzione del 60 per cento delle emissioni di CO2 e ad una riduzione equivalente della dipendenza dal petrolio. Tali obiettivi sono sostenuti da 40 iniziative concrete che verranno sviluppate nel corso di questo decennio. Allo stesso tempo, il libro bianco definisce anche una strategia cui tutte le parti interessate del settore dei trasporti dovrebbero contribuire. Non sarà possibile alcuna riforma del sistema dei trasporti senza una concertazione che coinvolga autorità nazionali, regionali e locali, operatori e utenti dei trasporti;
     la direttiva 2008/50/CE in materia di qualità dell'aria allo scopo di ridurre l'inquinamento a livelli tali che limitino al minimo gli effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente è stata attuata, in Italia, dal decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155;
     la direttiva 2010/40/UE, meglio nota come «direttiva ITS», recepita con decreto 1o febbraio 2013, Diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti (ITS) in Italia, reca la definizione, per la prima volta, di un quadro comune di regole e riferimenti, a livello comunitario, per la diffusione dei sistemi intelligenti di trasporto, allo scopo di favorirne il più possibile l'impiego da parte delle amministrazioni pubbliche e degli enti gestori di infrastrutture, incentivando al tempo stesso lo sviluppo del mercato;
    la Costituzione della Repubblica italiana, all'articolo 16, garantisce il diritto alla mobilità di ogni cittadino;
    l'articolo 3, secondo comma, della Costituzione demanda al legislatore il compito di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che possono ostacolare l'attuarsi in concreto del principio di eguaglianza;
    l'articolo 17-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, «Misure urgenti per la crescita del Paese», convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, individua, tra le finalità del capo IV-bis del medesimo decreto, lo sviluppo della mobilità sostenibile, attraverso la sperimentazione e diffusione di flotte pubbliche e private di veicoli a basse emissioni complessive, con particolare riguardo al contesto urbano, nonché l'acquisto di veicoli a trazione elettrica o ibrida;
    inoltre, l'articolo 17-septies al medesimo decreto-legge evidenzia come al fine di garantire in tutto il territorio nazionale i livelli minimi uniformi di accessibilità del servizio di ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica debba essere redatto un piano nazionale infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica che ha ad oggetto la realizzazione di reti infrastrutturali per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica nonché interventi di recupero del patrimonio edilizio finalizzati allo sviluppo delle medesime reti;
    realizzare «trasporti intelligenti, verdi e integrati» è una delle grandi sfide da superare con il programma di finanziamento di progetti di ricerca «Orizzonte 2020» per il periodo 2014-2020, per garantire che l'Europa resti all'avanguardia dei progressi tecnologici nei settore. Il progresso tecnologico è alla base del futuro dei trasporti europei, non ultimo per mantenere il primato dell'industria europea del settore di fronte alla concorrenza mondiale; la questione del trasporto pubblico locale e del pendolarismo costituisce uno dei più gravi problemi per la mobilità urbana ed extraurbana nazionale e attribuisce all'Italia un triste primato europeo in termini di mobilità sostenibile, sicurezza, abbattimento delle emissioni da traffico veicolare e diritti dei passeggeri;
   il settore del trasporto pubblico locale e regionale riveste fondamentale importanza per la vita economica, sociale e produttiva del Paese. La riduzione delle congestioni urbane provocate dal traffico automobilistico, la garanzia del diritto alla mobilità dei cittadini, la riduzione dei sinistri automobilistici ed i conseguenti effetti positivi per l'economia, l'ambiente, e, generalmente lo sviluppo del Paese, non possono prescindere da un buon livello di mobilità in ambito locale che può essere garantito soltanto potenziando e rendendo efficiente il servizio di trasporto pubblico;
   in Italia, il comparto del TPL conta circa 715 tra imprese, consorzi ed associazioni temporanee di imprese titolari di almeno un contratto di servizio (il numero aumenta a più di 1000 considerando i subaffidatari ed i componenti dei consorzi e delle ATI) e la media annuale dei passeggeri trasportati è stimata in circa 5,3 miliardi. Complessivamente la produzione nazionale annuale di bus/chilometro è pari a circa 1,7 miliardi, mentre quella di treni/chilometro è di circa 270 milioni;
   una famiglia spende in media il 13,5 per cento del bilancio per beni e servizi riguardanti i trasporti (abbonamenti del treno, viaggi in aereo per turismo o affari), che quindi occupano il secondo posto del bilancio familiare dopo le spese per la casa;
   la crisi economica ha avuto un aumento esponenziale che ha spinto i cittadini a vagliare soluzioni alternative al proprio mezzo di trasporto, appoggiandosi sempre di più ai trasporti pubblici;
   i pendolari quotidianamente vivono il disagio causato dai ritardi nonché a volte dalla improvvisa cancellazione di corse ferroviarie che impediscono agli stessi di raggiungere regolarmente il posto di lavoro o di studio;
   la situazione del trasporto ferroviario italiano è sempre più divisa in due, tra un'alta velocità con servizi più veloci e moderni ma anche più costosi e dunque non alla portata di tutti e un servizio locale con diffusa situazione di degrado che spinge purtroppo i cittadini all'uso dell'auto privata, con aggravio dei costi, del traffico veicolare, dell'inquinamento. Eppure, sono circa 3 milioni le persone che ogni giorno utilizzano i treni per raggiungere i luoghi di lavoro o studio;
   negli ultimi anni si è assistito al progressivo degrado delle condizioni di viaggio su rotaie, con riferimento in particolare ai treni regionali: tempi di percorrenza sempre più lunghi, numero dei treni sempre più ridotto, aumento delle tariffe, deterioramento della qualità, dell'igiene e della sicurezza dei treni;

impegna il Governo:

   ad assumere tutte le iniziative, anche normative, per migliorare la mobilità urbana, extraurbana e ferroviaria al fine di favorire la crescita e la competitività del sistema Italia, garantendo certezza nella definizione e nell'attribuzione delle competenze e nei tempi di attuazione;
   a definire con chiarezza le priorità in materia di politica dei trasporti secondo un approccio integrato e coerente in armonia con le altre politiche quali le politiche sociali, la politica ambientale e di gestione del territorio, la politica industriale e il turismo;
   a favorire la pubblicità e l'utilizzo dei fondi europei per la realizzazione di infrastrutture, per il sostegno all'intermodalità (estensione del trasporto bici su treni, metropolita, autobus, aumento parcheggi bici nelle stazioni di trasporto pubblico, in prossimità delle scuole, degli uffici e altro) e per la creazione di una banca dati accessibile e digitale al fine di migliorare la sicurezza degli utenti più vulnerabili della strada;
   ad assumere iniziative per incentivare, con opportuni finanziamenti, l'uso di mezzi di trasporto alternativi alle auto private – quali velocipedi, biciclette elettriche, scooter, motocicli e taxi – attraverso nuove forme di mobilità – car-sharing, car-pooling e bike-sharing – nonché la disponibilità di trasporto pubblico a prezzi contenuti e che rispondano alle esigenze delle famiglie e dei disabili;
   a favorire, con opportuni investimenti, la diffusione su larga scala dei veicoli a basse emissioni ed a emissioni zero – a metano, ibridi, a biocarburanti, elettrici – e conseguentemente una rete capillare di punti di ricarica e assistenza su tutto il territorio nazionale, secondo uno standard unico per le prese elettriche;
   a consentire alle aree urbane di maggiori dimensioni di fungere da punti di interconnessione efficienti e offrire un efficiente sistema di trasporto «ultimo miglio» sia per i passeggeri che per le merci;
   ad incertivare lo sviluppo di sistemi di infomobilità e di apparati che facilitino comportamenti di guida ecocompatibili (consumi energetici, rispetto sicurezza stradale, ricerca parcheggi liberi) al fine di consentire un razionale utilizzo delle infrastrutture esistenti, la riduzione dei tempi di spostamento e dei ritardi dovuti alla congestione, la riduzione degli incidenti e delle emissioni inquinanti;
   ad assumere tutte le iniziative, anche normative, al fine di garantire a tutti i cittadini una concorrenza nell'offerta del servizio che assicuri servizi efficienti, sia diurni che notturni, sia nei giorni feriali che in quelli festivi.
(1-01168) «Cristian Iannuzzi, Barbanti, Catalano, Labriola, Furnari, Rizzetto, Lo Monte, Artini, Segoni, Bechis».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro della difesa – per sapere – premesso che:
   nel 1992 fu siglato un protocollo di intesa tra il Ministro per gli interventi delle arre urbane, il Ministro della difesa, il Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, il presidente della regione Puglia, il presidente della provincia di Taranto e il sindaco di Taranto per la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul Mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili dismessi;
   i soggetti firmatari, con tale protocollo, convennero che «Costituiscono obiettivi primari per l'area di Taranto la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili e degli spazi così dismessi, al fine di consentire un uso da parte della collettività aderente a nuovi modelli di sviluppo della Città stessa, riferiti alla sistemazione viaria, alla promozione di nuove imprenditorialità a vocazione turistica, ad una accresciuta rete di servizi e di verde pubblico»;
   inoltre, fu rilevato che le finalità di pubblico interesse, elencate nel protocollo, fossero «coerenti con i progetti strategici di cui alla delibera CIPE 12 maggio 1988, recante l'aggiornamento del programma triennale di sviluppo del Mezzogiorno per il triennio 1988-1990 e con gli obiettivi primari dell'intervento straordinario di cui alla legge 1o marzo 1988 n. 64»;
   per il perseguimento di tali obiettivi fu prevista la costituzione di un apposito comitato per l'area di Taranto;
   con la mozione sul Mezzogiorno la n.  1-00766,  accolta nella seduta del 14 aprile, si impegnava, in particolare, l'Esecutivo «a valutare l'opportunità di favorire intese, anche fra le diverse amministrazioni pubbliche, per mettere al servizio del territorio le strutture presenti e attualmente adibite a compiti istituzionali, sviluppandone le potenzialità al fine di promuovere il recupero e la riqualificazione sociale dei centri urbani, in particolare quelli soggetti ad un pesante degrado, con particolare riferimento all'uso per tale scopo dell'Arsenale Marittimo di Taranto»;
   il Tavolo per Taranto, istituito dal decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto», convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, si è riunito lo scorso autunno nella prefettura del capoluogo ionico sotto il coordinamento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Claudio De Vincenti per delineare la strategia di riqualificazione e di sviluppo del territorio;
   l'incontro tenuto si è soffermato sull'esame dello schema di contratto istituzionale di sviluppo e sulla verifica del cronoprogramma che dovrà portare a breve all'approvazione da parte del Cipe dei progetti che riguarderebbero, in particolare, il recupero della città vecchia, il porto, la bonifica dell'area esterna all'Ilva e il rilancio dell'Arsenale della Marina militare. Il Contratto di sviluppo fa parte integrante del cosiddetto masterplan per il Sud;
   il contratto, da quanto pubblicato dalla stampa, avrebbe un valore di circa 800 milioni, di cui in particolare 390 milioni per il sistema portuale, 207 milioni per il completamento dell'ospedale, 91 milioni per le bonifiche, 89 milioni per l'edilizia abitativa e la riqualificazione del quartiere Tamburi e del centro storico, 30 milioni per altre infrastrutture. Si sarebbe anche concordato, per quanto riguarda l'Arsenale, di prevedere, a fianco dell'utilizzo di una parte dell'area per sviluppo turistico e culturale, la valorizzazione della produttività del sito per la manutenzione e lo sviluppo della cantieristica;
   secondo lo schema definitivo relativo alla riforma portuale, varato dal Governo il 21 gennaio 2016, le autorità portuali nazionali sono state ridotte da 24 a 15, prevedendo per la Puglia le sedi di Bari e Taranto. Poiché in un primo momento si era parlato di solo 14 autorità portuali si è fortemente temuto la scelta della sede di Bari a scapito di Taranto, destando forti preoccupazioni per le sorti del porto;
   infatti, per rilancio del porto di Taranto si sta lavorando da molto tempo; in particolare, come si legge nella relazione annuale 2014 l'autorità portuale di Taranto ha svolto nel 2013 le attività connesse all'accordo (Memorandum of Understanding – MoU) siglato il 19 aprile 2012, con la PORInt, Port of Rotterdam International;
   il rapporto riporta che «Nel mese di maggio 2014, AP ha partecipato ad un incontro con i vertici del Porto di Rotterdam per discutere di eventuali collaborazioni tra i due porti e per valutare le possibilità di estendere il MoU già siglato con lo scalo olandese. In aggiunta, grazie al supporto fornito dai PORInt nelle precedenti annualità, l'AP di Taranto ha ulteriormente rafforzato i rapporti con l'operatore olandese The Greenery B.V. Nel corso del 2014, infatti, l'Ente ha messo in atto una serie di azioni finalizzate all'organizzazione di una missione istituzionale a Rotterdam durante la quale individuare nuove possibilità di collaborazione e collegamenti anche nell'ambito di iniziative comunitarie a titolarità dell'AP di Taranto. A tal fine, l'AP si è resa promotrice di una nuova visita presso gli stabilimenti della The Greenery B.V., da realizzare nel mese di gennaio 2015, quale azione di interesse per l'implementazione delle attività previste dai progetto TEN-T di cui è titolare»;
   tale apertura a Rotterdam rappresenta sicuramente una grande opportunità per il futuro del porto di Taranto e per l'intera comunità, soprattutto nell'ottica di una espansione nel Mediterraneo ed oltre;
   lo scorso agosto, nell'ambito del riordino del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con l'attuazione della riforma museale, è stata nominata, dal Ministro, la nuova direttrice del Museo archeologico nazionale di Taranto (MArTa), Eva Degl'Innocenti, 39 anni, che, laureata in conservazione dei beni  culturali a Pisa, scuola di specializzazione di archeologia e dottorato di ricerca europeo presso l'università di Siena in Storia, archeologia e archivi del Medioevo, per più di un decennio si è occupata di scavi archeologici tra Italia e Tunisia, è stata, inoltre, ricercatrice e project manager del Museo Nazionale del Medio Evo di Parigi e dal 2013 è stata direttrice del servizio dei beni culturali e del museo/centro d'interpretazione «Coriosolis» della Comunità dei Comuni Plancoet Plélan in Bretagna;
   tale nomina aveva fatto ben sperare per un rilancio del MArTA, istituito nel 1887 e con sede dell'ex Convento di San Pasquale di Baylon, edificato nel XVIII secolo, che ospita numerose collezioni greche-romane ed apule tra cui gli antichi Ori che hanno reso famoso il Museo in tutto il mondo;
   con la successiva riforma delle soprintendenze, messa a punto dallo stesso Ministero, in Puglia la sede per la soprintendenza unica è stata assegnata a Lecce e non a Taranto, «scippando» la città di un ente culturale di grande rilievo in ambito archeologico –:
   quali iniziative, alla luce di quanto espresso in premessa, intenda assumere il Governo per sostenere tutti i progetti in itinere già programmati o in via di definizione a favore della città e dell'area di Taranto, per il rilancio ambientale, sociale, economico, infrastrutturale e, in particolare, culturale, soprattutto a seguito dell'istituzione della soprintendenza archeologica unica pugliese.
(2-01273) «Labriola, Pisicchio».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la giunta comunale del comune di Afragola, ha approvato la deliberazione n. 125 del 18 dicembre 2015 con la quale ha, modificando la dotazione organica del comune e la macrostruttura, incrementato da 7 a 9 le posizioni dirigenziali del comune stesso. Tale atto è stato approvato nonostante il parere tecnico non favorevole e il parere contabile non favorevole resi dal dirigente competente ai sensi dell'articolo 49 del TUEL;
   la giunta, discostandosi dal parere negativo espresso ha chiesto, per le vie brevi, un parere al segretario generale, riportandolo integralmente all'interno della deliberazione che però, lungi dallo sconfessare quanto argomentato dal dirigente competente, con una prolissa dissertazione, in larga parte inconferente, ad avviso degli interpellanti evita di entrare nel merito dei gravi rilievi espressi nei pareri;
   il TUEL non prevede la possibilità che altre figure, e tra queste il segretario generale dell'ente, possano sostituirsi ai dirigenti responsabili per esprimere i richiesti pareri sugli atti amministrativi;
   la deliberazione citata, riporta i seguenti pareri: «Parere tecnico non favorevole con la seguente motivazione: Una proposta di incremento della dotazione organica dei dirigenti non può prescindere da una analisi dei fabbisogni che tenga conto di quanto esiste e quali sono i punti di forza e di debolezza del sistema vigente come previsto, tra l'altro, dall'articolo 6 del decreto legislativo 165/2001. L'atto pertanto è carente di motivazioni. Il presente atto è predisposto in violazione dell'articolo 1, comma 557, lettera b) della legge 296/06 e smi. Anche a voler interpretare tale previsione come “norma di principio” (e non lo è stante la previsione di apposita sanzione al comma 557-ter ed a quanto interpretato in merito alla Corte dei Conti in differenti pronunce, per tutte, Basilicata 174/2012/PAR) lo spirito del citato decreto 165 e di tutte le manovre che hanno comportato effetti o modifiche su tale norma è di ridurre la percentuale della spesa per la dirigenza. Questo atto è in controtendenza, con lo spirito della norma... L'incremento della consistenza numerica dei dirigenti in dotazione organica è il titolo giuridico per l'incremento della contrattazione decentrata in violazione dell'articolo 1, comma 557, lettera c) della legge 296/06 e smi... L'indirizzo di assunzione di personale ex articolo 110, previsto nella Deliberazione è difatti inapplicabile in quanto non vi sono i termini per la conclusione di eventuali procedure che dunque andrebbero riprogrammate a valere sull'esercizio finanziario 2016. Parere contabile non favorevole con la seguente motivazione: La spesa è priva di copertura finanziaria in quanto le cessazioni vanno integralmente destinate ai fini di cui all'articolo 1, comma 424 e 425 della legge n. 190/2014 e dunque non vi sono le necessarie coperture per il tabellare dei nuovi assunti, l'assunzione di ulteriori 2 dirigenti ex articolo 110 viola l'articolo 1, comma 424 e 425 della legge 190/2014 e l'articolo 1, comma 557, lettera b) della legge 296/06 e smi»;
   a seguito di tale atto di esplicite minacce di ritorsioni disciplinari, il dirigente competente ha dovuto rendere esecutiva la determinazione di indizione del concorso a tempo determinato per n. 2 dirigenti, nonostante tale concorso non avesse alcuna possibilità di concludersi nel corso dell'anno 2015 e dunque dovesse essere riprogrammato nel 2016;
   lo stesso dirigente responsabile, in conseguenza delle pressioni ricevute si è visto costretto, in data 25 dicembre 2015, con un dettagliato esposto depositato presso la locale stazione dei carabinieri ad esporre tutta la questione, chiedendo di perseguire eventuali reati commessi;
   successivamente a tale deliberato è stata approvata la legge di stabilità che, al comma 219, così recita: «Nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n: 124, e dell'attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni, sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, (...) vacanti alla data del 15 ottobre 2015, (...) Gli incarichi conferiti a copertura dei posti dirigenziali di cui al primo periodo dopo la data ivi indicata e fino alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto alla medesima data di entrata in vigore, con risoluzione dei relativi contratti»;
   nonostante questa chiarissima disposizione normativa che vieta l'attività posta in essere dal comune, qualora non sufficientemente tacciata di manifesta illegittimità, l'amministrazione comunale prosegue nel reclutamento di dubbia legittimità dei 2 dirigenti, avendo richiesto la pubblicazione del relativo «avviso» sulla Gazzetta Ufficiale e propagandando tale procedura come atto di rilevanza primaria per gli obiettivi dell'amministrazione;
   dall'insediamento, l'attuale amministrazione comunale di Afragola, ha modificato in continuazione la macrostruttura e la dotazione organica dei dirigenti e lo stesso regolamento degli uffici e dei servizi, finendo di fatto per confermare la macchina comunale ad evidenti obiettivi gestionali e politici;
   sembra evidente, a parere degli interpellanti, e per notizie diffuse nell'ambito del confronto delle forze politiche e dei gruppi consiliari, che questa pretesa avanzata e sostenuta con forza dal sindaco in carica, porterebbe di fatto a sviluppare una catena di gestione nell'apparato comunale ed in particolare nella gestione del nuovo PUC, che starebbe al centro di discussi ed imponenti interessi legati, in particolare, a tutta l'area di contorno della costruenda stazione dell'alta velocità;
   appare agli interpellanti necessario che la locale prefettura si attivi per monitorare le attività poste in essere dall'amministrazione comunale di Afragola in diversi ambiti, dagli appalti pubblici, come quello per i rifiuti solidi urbani, molto discusso ed oggetto di altro atto di sindacato ispettivo, alle attività edilizie e urbanistiche, anch'esse contestate e denunciate da altri atti ispettivi parlamentari –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto sopra riportato e se non ritenga che sussistano i presupposti, alla luce dei fatti richiamati in premessa, per assumere le iniziative di competenza, ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali;
   se il Governo non ritenga altresì di valutare se sussistano i presupposti per avviare una verifica congiunta dei servizi ispettivi di finanza pubblica e dell'ispettorato per la funzione pubblica in relazione alla vicenda relativa al reclutamento dei due dirigenti di cui in premessa.
(2-01275) «Castiello, Brunetta».

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   l'adozione è uno strumento fondamentale a favore dell'infanzia, in quanto garantisce ai bambini il diritto ad avere una famiglia e, pertanto, deve essere messo al centro dell'attenzione delle istituzioni e concretizzarsi in un sistema organico di politiche per l'infanzia ancora non pienamente realizzato;
   in particolare, nel sistema delle adozioni internazionali riveste un ruolo essenziale il corretto funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali (CAI), l'autorità centrale del nostro Paese in materia, istituita presso la Presidenza del Consiglio con la funzione di garantire che le adozioni di bambini stranieri avvengano nel rispetto dei principi stabiliti dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 sulla tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale;
   da più parti vengono denunciate gravi anomalie nella gestione della Commissione adozioni internazionali che compromettono il delicato ruolo politico di coordinamento, supervisione e monitoraggio delle procedure di adozione internazionale affidato all'organismo e che si concretizza principalmente nel rilascio delle autorizzazioni agli enti attraverso quali si realizza l’iter adottivo, nelle competenze riguardanti l'ingresso dei minori provenienti dagli stati stranieri, nella gestione dei rapporti con i Paesi esteri e con le altre autorità nazionali;
   attualmente la Presidenza della Commissione per le adozioni internazionali è in capo al Presidente del Consiglio dei ministri, dottor Matteo Renzi, e per delega di funzioni da parte dello stesso, alla consigliera Silvia Della Monica;
   la consigliera Silvia della Monica è, quindi, allo stesso tempo presidente e vicepresidente della Commissione, benché il decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2007, n. 108, tenga distinte le due figure;
   risulta, poi, che l'organismo si sia riunito una sola volta nel giugno 2014 per costituirsi e prendere atto della nomina. Nel 2015 non consta che la Commissione sia stata convocata, mentre la prassi normale, in passato, era che si riunisse sei o sette volte l'anno, senza contare gli incontri con gli enti autorizzati sulla situazione nei singoli Paesi;
   la Commissione adozioni internazionali, quindi, non pare abbia adottato alcuna delibera in forma collegiale, neppure per ratificare provvedimenti della presidente-vicepresidente;
   famiglie ed enti, inoltre, lamentano l'accentramento in capo alla consigliera Della Monica di tutti gli atti e le decisioni formali della Commissione e conseguentemente il venir meno della «cooperazione tra i soggetti che operano nel campo della protezione dei minori» che la Commissione, ai sensi dell'articolo 39 della legge n. 184 del 1993 dovrebbe invece promuovere. Ve ne sono numerosi esempi, da ultimo la lettera in data 10 dicembre 2015 nella quale la presidente-vicepresidente non solo intima agli enti di non intrattenere rapporti con autorità straniere, ma censura anche non meglio precisate «iniziative assunte da alcuni enti autonomamente nei rapporti con autorità e istituzioni italiane»;
   un altro adempimento rispetto al quale si registra una grave inefficienza della Commissione è quello relativo alla pubblicazione dei dati gestiti: l'ultimo report statistico elaborato – «Dati e prospettive nelle adozioni internazionali: rapporto sui fascicoli dal primo gennaio al 31 dicembre 2013, in collaborazione con l'Istituto degli Innocenti» – è stato pubblicato nel 2014;
   mancano, dunque, per gli anni 2014 e 2015 dati ufficiali relativi alle adozioni internazionali e infatti diverse fonti riportano che l'Italia è stata oggetto di richiamo da parte del Permanent Bureau della Conferenza di diritto internazionale privato de L'Aja per il mancato rispetto delle linee guida sull'operatività della Convenzione sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a il 29 maggio 1993, e per la mancata trasmissione dei dati relativi alle adozioni internazionali;
   pur in assenza di dati statistici ufficiali aggiornati sull'andamento delle adozioni internazionali, si stima che nel 2014 le adozioni internazionali siano state meno di 2 mila, contro le 4130 del 2010 e viene segnalato da più parti che tale significativo decremento derivi dalla persistenza di problematiche rilevanti che incidono non solo sul dato quantitativo, ma anche su quello qualitativo del percorso adottivo;
   le principali criticità, sono legate proprio ad una burocrazia interna farraginosa ed inefficiente e alla mancanza di trasparenza, aspetti che si riflettono direttamente sui tempi per l'ottenimento dell'idoneità all'adozione, sui tempi per la conclusione del procedimento adottivo all'estero, sui rallentamenti e blocchi subiti dalle famiglie adottive in attesa di completare il percorso adottivo di bambini provenienti dalla Colombia, dal Mali, dall'Etiopia, dal Kirghzistan dalla Repubblica Democratica del Congo, sui costi delle adozioni insostenibili per molte famiglie;
   con riferimento al profilo della trasparenza delle informazioni, nel dossier adozioni presentato dal CARE – Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in rete –, viene segnalata la necessità e l'urgenza della «strutturazione di un sito della Commissione Adozioni Internazionali in open data su diverse sezioni quali ad esempio gli ingressi dei minori su base trimestrale suddivise per Paesi ed enti»; si sottolinea, poi, come risulti «cruciale ristabilire la Linea CAI che ha avuto un ottimo feedback dalle famiglie che ne hanno potuto usufruire negli anni passati sino a che è stata mantenuta attiva»;
   ancora, sulla trasparenza dei dati relativi ai costi per le pratiche in Italia e all'estero proposti dagli enti autorizzati il citato dossier evidenzia la necessità che la Commissione adozioni internazionali provveda, come negli anni passati, a stabilire tetti di spesa per ciascun Paese e che i relativi aggiornamenti vengano prontamente pubblicati sui siti della CAI e di ogni ente autorizzato;
   alla luce di quanto evidenziato, non è, dunque, accettabile una condizione di ridotta operatività, se non di vera e propria paralisi, della Commissione per le adozioni internazionali tanto più che l'articolo 1, comma 411, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016) – ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un autonomo fondo per le adozioni internazionali, dotato di 15 milioni di euro annui, a decorrere dal 2016 proprio al fine di sostenere le politiche in materia di adozioni internazionali e di assicurare il funzionamento della Commissione per le adozioni internazionali –:
   quali siano le motivazioni per le quali la Presidenza del Consiglio dei ministri non si attiva fattivamente per far sì che la Commissione si riunisca regolarmente per adempiere i compiti che le sono propri;
   come intenda agire per sanare in via di grave urgenza le palesi illegittimità che, a giudizio degli interpellanti, viziano l'operato della Commissione per le adozioni internazionali;
   quali iniziative intenda assumere per salvaguardare i minori oggetto di adozione internazionale e i genitori disponibili ad offrire loro una famiglia;
   quali iniziative intenda adottare per garantire l'operatività della Commissione per le adozioni internazionali al fine di consentire all'organo di esercitare un ruolo più incisivo soprattutto nella vigilanza e nel controllo delle procedure di adozione, in particolare nell'operatività degli enti autorizzati all'estero;
   quale percentuale delle risorse del fondo per le adozioni internazionali il Governo intenda destinare al funzionamento della commissione e quali alle misure di sostegno delle adozioni internazionali, come il rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione e la defiscalizzazione di tali spese e delle spese sostenute dalle famiglie adottive di minori con bisogni speciali (special needs).
(2-01272) «Brambilla, Brunetta, Prestigiacomo, Carfagna».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il cosiddetto rimpasto di Governo effettuato la settimana scorsa ha confermato la mancanza di un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con la delega per le sostanze stupefacenti;
   tale decisione, purtroppo, non tiene conto di numerosi appuntamenti istituzionali che hanno a che fare con le sostanze proibite e che devono esser gestiti con scelte politiche chiare, tempestive e, in discontinuità con quanto detto e fatto in passato;
   a metà marzo 2016 si terrà l'ultimo appuntamento della Commissione droghe dell'ONU che dovrà preparare la sessione speciale dell'Assemblea generale (UNGASS) sugli stupefacenti prevista dal 19 al 21 aprile di quest'anno;
   la sesta conferenza nazionale sulle droghe, che non viene convocata dal 2009, deve fare il punto sulle leggi e politiche in materia di sostanze e dipendenze nel nostro Paese;
   nel novembre 2015 si è avviato l'iter parlamentare, per una proposta di legalizzazione della cannabis e suoi derivati;
   più analiticamente si segnala il fatto che da circa due anni è iniziato il processo negoziale dell'UNGASS che porterà al Palazzo di Vetro ad aprile 2016, malgrado più volte si sia cercato di sollecitare l'attenzione dell'Esecutivo, a oggi non è chiaro chi rappresenterà il Governo all'ONU, quale sarà la sua posizione e quali saranno le priorità circa temi da proporre o sostenere in quella occasione;
   nel novembre 2015, nel rispondere ad alcune interrogazioni parlamentari, il Governo confermava d'aver accantonato i fondi per la convocazione della conferenza nazionale senza però aver individuato un luogo, una data e un formato per la tenuta dell'appuntamento previsto dalla legge;
   pur esprimendo un plauso per l'iniziativa, si segnala che quando si arriverà a votare emendamenti e articoli sarà necessario che il Governo esprima il proprio parere in merito alle soluzioni di regolamentazione legale proposte;
   dopo l'immane lavoro necessario per la relazione al Parlamento dell'anno scorso, per il 2016 sarebbe auspicabile non solo la composizione di un documento più coerente e di più agevole lettura, ma anche cogliere l'occasione della pubblicazione del testo per suscitare un dibattito istituzionale e pubblico e non relegare sugli scaffali il prezioso lavoro di Ministeri, istituzioni ed esperti –:
   se sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, nell'eventualità positiva, ferma restando la posizione dell'Unione europea, quale iniziative e proposte intenda assumere il Governo relativamente al processo negoziale in atto sulla preparazione dei documenti finali della Sessione Speciale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (UNGASS) sulle droghe, che si svolgerà dal 19 al 21 aprile 2016, con particolare riferimento alla necessità di garantire un «dibattito inclusivo e aperto» – come più volte affermato dagli Stati membri dell'Unione europea;
   se non si ritenga utile adoperarsi affinché l'Assemblea generale dell'ONU di New York possa completare ad aprile 2016, e quindi adottare, le bozze di documenti preparati dalla Commissione droghe delle Nazioni unite di Vienna, temi più volte evocati, anche dal nostro Paese, nel processo preparatorio, ma al momento non inclusi in modo soddisfacente nel documento, noto anche come «Zero Draft» che sarà discusso a Vienna, per arricchire il testo con chiari riferimenti alle ripercussioni dell'attuale sistema del controllo delle droghe su: diritti umani, ivi compresa la pena di morte; salute ovvero riduzione dei rischi e dei danni; sovraffollamento carcerario; accesso alle medicine essenziali.
(2-01278) «Bechis, Schirò, Brignone, Artini, Pastorino, Civati, Matarrelli, Segoni, Baldassarre, Andrea Maestri, Cristian Iannuzzi, Furnari, Fava, Nicchi, Kronbichler, Scotto, Turco, Labriola, Currò, Rostellato, Locatelli, Di Lello, Pastorelli, Martelli, Sbrollini, Malpezzi, Prodani, Barbanti, Prataviera, Caon, Rizzetto, Marcon, Pannarale, Argentin, Zaccagnini, Marzano, Gregori».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso che l'archivio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale avrebbe celato per oltre settant'anni un documento che confermerebbe la presenza di una foiba a Corno di Rosazzo, in provincia di Udine; nella cavità carsica naturale situata nel cuore dei Colli Orientali, tra le province di Udine e Gorizia, sarebbero state gettate nel 1945 tra le duecento e le ottocento persone. Le informazioni riportate dal documento in questione, datato 30 ottobre 1945, sono state divulgate dal presidente della Lega nazionale di Gorizia, Luca Urizio, in occasione del Giorno del ricordo dell'esodo e delle foibe; viene riferito di cadaveri facilmente individuabili perché interrati a poca profondità e si riportano anche i nomi dei presunti responsabili: il comandante Sasso, nome di battaglia di Mario Fantini, della Divisione Garibaldi-Natisone, coadiuvato dal commissario politico Vanni, nome di battaglia, di Giovanni Padoan; si tratterebbe dunque dei partigiani coinvolti anche nell'eccidio di Porzus. Si cita poi come testimone un certo Dante Donato ex comandante Osovano da Premariacco;
   a quanto è dato sapere, attualmente sono in corso indagini che vedono collaborare i carabinieri del comando provinciale di Gorizia e quelli della compagnia di Palmanova; la foiba sarebbe già stata individuata, ma sul luogo preciso viene mantenuto per il momento il più stretto riserbo;
   sembra siano numerose le testimonianze di persone a conoscenza dei fatti, inoltre, viene riferito che già negli anni ’90 venne aperta un'indagine poi bloccata per motivi sconosciuti;
   ebbene, per rispetto alle presunte vittime e alla verità storica, è evidente quanto sia doveroso accertare definitivamente tali fatti, che necessitano urgentemente di riscontri. È assurdo che, ad oggi, a quanto è dato sapere, non siano state verificate le informazioni emerse, che sembra già in passato siano state oggetto di un'indagine mai giunta a conclusione –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti di cui in premessa e, in particolare, come sia possibile che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale non abbia proceduto, in oltre sett'anni, ad assumere iniziative per accertare definitivamente i fatti riportati in un documento presente nel proprio archivio;
   se sia vero che sia stata individuata la foiba e quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza per contribuire a fare luce sui fatti, anche considerando, che, al di là delle esigenze di riservatezza inerenti alle indagini, non è più possibile tenere all'oscuro i cittadini italiani della veridicità o meno di fatti storici così rilevanti. (5-07789)


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 1o febbraio 2016 è atterrato all'aeroporto di Fiumicino l'Airbus 340-500, velivolo acquisito in leasing dallo Stato italiano, appositamente allestito per essere assegnato alla Presidenza del Consiglio dei ministri;
   secondo diverse notizie di stampa, i dettagli dell'operazione non sarebbero chiari, in particolare, non sarebbero noti sia la procedura seguita dal Governo per individuare e definire il contratto sia i costi per l'acquisizione e la manutenzione del velivolo;
   questa situazione d'incertezza sarebbe stata alimentata anche dal susseguirsi delle dichiarazioni di alcuni organismi istituzionali e soggetti privati, intervenuti per chiarimenti, a seguito delle indiscrezioni di stampa, quali la Presidenza del Consiglio dei ministri, l'Aeronautica militare che, per il tramite del 31o stormo, effettua i voli per gli esponenti del Governo, e la compagnia aerea Alitalia;
   nel dettaglio, sembrerebbe che l'Airbus 340-500 sia stato acquisito dalla compagnia Etihad che avrebbe concesso il leasing ad Alitalia che, a sua volta, si sarebbe impegnata a curare la manutenzione del velivolo, mentre l'operatore esercente, tramite il Ministero della difesa, dovrebbe essere l'Aeronautica militare;
   Alitalia avrebbe precisato che «l'aeromobile, nella disponibilità di Alitalia in base ad un accordo con il proprio partner industriale, sarà destinato al servizio dei voli di Stato in conseguenza di un contratto di leasing – stipulato alle usuali condizioni di mercato – tra Alitalia e il Ministero della difesa. Alitalia si è impegnata a garantire la manutenzione ordinaria nell'ambito dei contratto di leasing. L'intera operazione non comporta alcun costo per Alitalia»;
   a tutt'oggi non sarebbero stati ancora resi noti i dettagli dell'accordo, la qualità economica dello stesso nonché quali siano le condizioni di mercato a cui fa riferimento la nota di Alitalia;
   conoscere le citate condizioni di mercato e, in particolare, l'ammontare del canone di leasing risulterebbe di grande rilevanza per il rispetto dei principi di trasparenza in un procedimento pubblico, nonché per verificare la congruità dell'accordo commerciale e l'assenza di elementi di discrezionalità nella scelta, anche per fugare i sospetti sollevati da alcuni organi di stampa, in base ai quali, se il canone risultasse molto elevato, potrebbe apparire come una sorta di agevolazione nei confronti di Etihad, viceversa si prospetterebbe un'agevolazione di Etihad nei confronti del Governo;
   è il caso di sottolineare che l'8 agosto 2014 è stato definito l'accordo tra Alitalia e Etihad in base al quale la compagnia degli Emirati Arabi, con un investimento pari a 560 milioni di euro, ha acquisito il 49 per cento della nuova Alitalia Sai (Società Area Italia), operativa dal 1o gennaio 2015;
   il mancato ricorso a una procedura ad evidenza pubblica per individuare il fornitore dell'Airbus 340-500, secondo alcuni osservatori, alimenterebbe e rafforzerebbe le perplessità sorte attorno alla procedura adottata per l'acquisto, tra l'altro, di un velivolo costruito sembrerebbe nel 2006 e con diverse criticità in caso di ricollocazione nel mercato;
   nel complesso, la vicenda apparirebbe gestita con poca trasparenza e in controtendenza con le politiche di riordino della spesa pubblica, in una fase in cui lo Stato chiederebbe, viceversa, gravi sacrifici a cittadini e imprese –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   se non ritenga opportuno rendere pubblici i dati di acquisizione dell'Airbus 340-500 assegnato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dettagliando procedure seguite e costi dell'aeromobile;
   quali siano le valutazioni operative, tecniche ed economiche alla base della decisione di acquisire un nuovo velivolo da assegnare ai voli di Stato;
   se vi siano collegamenti tra l'acquisizione del velivolo Airbus 340-500 fornito dalla compagnia aerea Etihad e la definizione dell'accordo per l'ingresso di quest'ultima nel capitale sociale di Alitalia Sai. (5-07790)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il motopeschereccio Cecilia, con il comandante Piero Langiu, della marineria di Golfo Aranci ha pubblicamente denunciato che le autorità francesi gli hanno intimato di non oltrepassare un asserito nuovo confine marittimo che, a detta della guardia costiera francese, sarebbe stato deciso da un accordo internazionale tra Italia e Francia il 21 marzo del 2015;
   tale divieto è apparso da subito una violazione non solo del diritto internazionale ma anche di quello marittimo, considerato che tale divieto veniva imposto in acque notoriamente e pacificamente riconosciute internazionali;
   alla luce di questo fatto gravissimo, senza che le autorità italiane abbiano niente comunicato alle imbarcazioni operanti storicamente, nell'area, è stato fatto riferimento all'accordo sottoscritto dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Gentiloni con il suo omologo francese Fabius il 21 marzo 2015 nella regione della Normandia a Caen;
   tale accordo ratificato dal parlamento francese risulta non solo grave per il metodo seguito nella sua adozione ma ancor più grave sul piano sostanziale ledendo gravemente le norme internazionali e costituzionali;
   con l'accordo vengono di fatto modificati i confini delle acque internazionali sino a registrare a nord della Sardegna un'estensione delle acque territoriali francesi da 12 miglia ad oltre 38 miglia;
   si tratta di un fatto di una gravità inaudita perché compiuto di fatto segretamente, senza coinvolgere in alcun modo, né le regioni interessate, a partire dalla Sardegna e la Liguria, né tantomeno le categorie produttive direttamente coinvolte nell'attività di pesca tradizionale in quegli specchi acquei;
   per questo motivo all'alba del 15 febbraio 2016 è scattata la mobilitazione dei pescherecci del nord Sardegna;
   i rappresentanti delle marinerie di Porto Torres, Alghero, Palau, Santa Teresa di Gallura, Golfo Aranci, Olbia e Siniscola riunitisi nel porto di Golfo Aranci hanno deciso di entrare in quello specchio acqueo vietato dai francesi per verificare e documentare eventuali nuovi abusi;
   le marinerie hanno anche deciso che qualora dovesse intervenire un nuovo fermo di imbarcazioni sarde sarebbe stato occupato lo specchio acqueo vietato dai francesi;
   l'accordo sottoscritto con modalità dubbie dai due Ministri va immediatamente revocato;
   si tratta di un vero e proprio atto lesivo dei diritti degli operatori della pesca sarda;
   appare scandaloso il silenzio della regione Sardegna e ancora più grave quello del Governo nazionale;
   le autorità francesi stanno bloccando i pescatori sardi e nessuno di questi soggetti istituzionali ha mosso un dito per impedire quelli che l'interrogante ritiene degli abusi;
   l'accordo deve essere urgentemente revocato e, nel contempo, non deve essere ratificato a livello parlamentare;
   la ratifica di quell'accordo provocherebbe un danno economico al mondo della pesca sarda senza precedenti;
   far diventare francesi i mari a nord della Sardegna senza tener conto della Sardegna e dei sardi è semplicemente inaccettabile;
   è inaccettabile che una partita così delicata sia stata gestita con quello che appare all'interrogante un «blitz» senza precedenti con il quale il Governo Renzi ha ceduto alla Francia le acque più pescose del nord della Sardegna;
   un'operazione di divieto fatta scattare dai francesi nei giorni scorsi quando diversi pescherecci sardi partiti da Alghero e Golfo Aranci hanno raggiunto le tradizionali aeree di pesca al nord dell'Isola;
   i pescherecci si sono sentiti intimare dalle autorità francesi la retromarcia con un perentorio: «fermatevi state entrando in acque nazionali francesi» in base all'accordo internazionale sottoscritto dal Governo italiano e da quello francese;
   le autorità francesi, nonostante l'accordo non sia stato ancora ratificato dal Parlamento italiano, non ci hanno pensato due volte a fermare le imbarcazioni sarde;
   è gravissimo che tale modifica di confini sia avvenuta nel più totale silenzio, con un accordo internazionale siglato dal Ministro degli esteri francese Fabius e quello italiano Gentiloni che ha ceduto porzioni infinite di mare alla Francia, in particolare quelle aree notoriamente più pescose e battute dalle imbarcazioni della flotta sarda;
   le autorità francesi hanno compiuto secondo l'interrogante un abuso senza precedenti e il Governo italiano e la regione Sardegna tacciono vergognosamente;
   quel divieto secondo l'interrogante illegittimo da parte delle autorità francesi deve essere immediatamente revocato;
   i pescatori vittime di questo divieto secondo l'interrogante illegittimo, coordinati dall'Associazione Armatori moto pescherecci sardi rappresentata dal direttore generale Renato Murgia, hanno per questo motivo dichiarato l'intenzione di avviare le azioni di mobilitazione insieme a tutte le organizzazioni dei pescatori;
   si tratta di un fatto di una gravità inaudita compiuta in dispregio non solo degli operatori economici sardi ma anche delle istituzioni e delle norme costituzionali;
   il Governo italiano ha finito ancora una volta per trattare la Sardegna come una sorta di «colonia» che si può cedere senza alcun tentennamento addirittura ad un'altra nazione;
   l'accordo siglato a Caen il 21 marzo del 2015 è stato fatto scattare nei giorni scorsi in modo unilaterale dalla Francia, considerato che lo ha già fatto ratificare al proprio parlamento;
   non altrettanto ha fatto il Governo italiano che ha agito in modo silente e non lo ha mai sottoposto al Parlamento;
   un accordo che stravolge tutti gli accordi precedenti e soprattutto cede alla Francia una parte rilevante di specchio acqueo a nord est della Sardegna, comprendendo nella cessione gran parte delle acque internazionali da sempre utilizzate dai pescatori sardi;
   le marinerie sarde da Alghero a Golfo Aranci hanno sempre utilizzato quelle aree a mare senza alcun limite;
   ora su quel versante il limite della Corsica passa dalle 12 miglia ad oltre le 40 miglia;
   un'operazione gravissima sia sul piano economico che giuridico;
   l’«alt» della guardia costiera francese alle imbarcazioni sarde è un atto grave e senza precedenti che deve immediatamente dar luogo alla revoca di quell'accordo bilaterale Italia e Francia del 21 marzo 2015 nel quale sono stati rivisti i confini marittimi delle due nazioni;
   è un accordo che non ha nessun valore proprio perché non è stato ancora ratificato dal Parlamento italiano;
   è fin troppo evidente che il Governo Renzi nel corso del negoziato ha accettato la cessione di alcune importantissime zone di mare a nord ovest e a nord est della Sardegna;
   un danno incomprensibile e inaccettabile per le marinerie sarde per il quale occorre reagire con determinazione e fermezza;
   il limite territoriale delle 12 miglia marine è adottato dalla maggior parte degli Stati mondiali e si applica, nella stessa misura, anche per lo spazio aereo sovrastante, per il fondo e il sottofondo marino, a meno di un limite inferiore imposto per problemi geografici di delimitazione riferito alle brevi distanze tra Stati, come nel caso delle Bocche di Bonifacio;
   il diritto internazionale di geopolitica degli spazi marittimi, sancito nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Montego Bay — 10 dicembre 1982), definisce i limiti territoriali degli Stati nella misura delle 12 miglia marine, a partire dalla linea batimetrica di 1,50 metri dalla costa;
   l'Italia ha esteso a 12 miglia il proprio mare territoriale con la legge 14 agosto 1974 n. 359, ampliando il precedente limite di 6 miglia previsto dall'articolo 2 del codice della navigazione del 1942. Il nostro Paese ha stipulato accordi di delimitazione con la Francia, per la fissazione delle frontiere marittime nell'area delle Bocche di Bonifacio, e con la Jugoslavia (cui sono succedute Croazia e Slovenia), per la delimitazione del golfo di Trieste;
   il decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1977, n. 816, ha stabilito un «sistema di linee di base» articolato in 38 segmenti complessivi, che ha portato ad una notevole semplificazione del margine esterno del mare territoriale, passato ad uno sviluppo lineare inferiore a 5000 chilometri, rispetto ad uno sviluppo costiero effettivo di 7418 chilometri;
   la delimitazione delle acque territoriali tra l'Italia ed i Paesi confinanti, inoltre, è stata attuata con la Convenzione di Parigi del 28 novembre 1986, tra Italia e Francia, relativa alla delimitazione delle frontiere marittime nell'area delle Bocche di Bonifacio — (l'accordo definisce i limiti delle acque territoriali posti tra la Sardegna e la Corsica mediante una linea composta di 6 segmenti);
   l'accordo di dubbia legittimità siglato dall'Italia riconosce di fatto a totale vantaggio della Francia il cosiddetto diritto alla zona economica esclusiva, (esercitabile esclusivamente al di fuori delle acque territoriali del Paese che ne fa richiesta);
   la zona economica esclusiva è un'area esterna al mare territoriale, immediatamente dopo la zona contigua, che non può invadere i limiti territoriali di un altro Stato e che si estende fino a 200 miglia marine — (e cioè: a partire sempre dalla linea di base dalla quale è misurata l'ampiezza delle acque territoriali di 12 mgl, con una estensione massima di 188 miglia marine);
   all'interno delle zone economiche esclusive lo Stato costiero esercita giurisdizione funzionale in specifiche materie. Secondo l'articolo 58, paragrafo 1, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, tutti gli altri Stati, sia costieri che privi di litorale, godono della libertà di navigazione (marittima), di sorvolo, di posa in opera di condotte e cavi sottomarini e di altri usi del mare leciti in ambito internazionale;
   i maggiori poteri spettano in questo caso allo stato costiero titolare della zona economica esclusiva che ha la titolarità dei diritti sovrani sulla massa d'acqua sovrastante, il fondo marino ai fini dell'esplorazione e dello sfruttamento, la conservazione e la gestione delle risorse naturali, viventi e non viventi (e dunque soprattutto la pesca), compresa la produzione di energia delle acque e delle correnti, la giurisdizione in materia di installazione e uso di isole artificiali o strutture fisse, ricerca scientifica in mare e protezione, come è la conservazione dell'ambiente marino;
   l'Italia non ha mai proposto e attuato una propria zona economica esclusiva, favorendo di fatto l'operazione francese –:
   se non intenda il Governo assumere iniziative per rivedere tale accordo che costituirebbe un danno economico rilevante per il mondo della pesca a partire da quello sardo;
   se non intenda assumere con somma urgenza iniziative affinché le autorità francesi rispettino le norme vigenti, ribadendo con la necessaria chiarezza che l'accordo di Caen del 21 marzo 2015 non è in vigore e non ha nessuna efficacia né giuridica né operativa;
   se non intenda segnalare formalmente i fermi, ad avviso dell'interrogante illegittimi, perpetrati dalle autorità francesi a danno delle imbarcazioni sarde e non solo in tratti di mare di competenza internazionale;
   se non intendano assumere iniziative per attivare la zona economica esclusiva a favore del mondo della pesca a partire da quella sarda. (5-07797)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DAGA, TERZONI, DE ROSA, MICILLO, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi Legambiente alla presenza del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Galletti ha presentato il rapporto Italia Sicura in cui si afferma che in Italia l'81,2 per cento dei comuni si trova in aree a rischio dissesto idrogeologico. Sono circa sei milioni i cittadini del Belpaese che vivono in zone a rischio. Il fenomeno del dissesto negli ultimi anni è andato via, via accentuandosi a causa di fenomeni meteorologici estremi;
   alla Camera dei deputati sono state depositate e all'esame delle competenti commissioni numerose proposte di legge sul consumo di suolo e sul dissesto idrogeologico; per citarne alcuni:
    A.C. 1909 DE ROSA ed altri: «Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo agricolo e per la tutela del paesaggio» (1909) del 6 marzo 2014 – In corso di esame in sede referente alle commissioni riunite VIII Ambiente e XIII Agricoltura;
    A.C. 2039 «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato» (2039) del 6 marzo 2014 – In corso di esame in sede referente alle commissioni riunite VIII ambiente e XIII agricoltura;
    A.C. 902 FRANCO BORDO e PALAZZOTTO: «Norme in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo» (902) del 24 luglio 2013 – In corso di esame in sede referente alle commissioni riunite VIII ambiente e XIII agricoltura;
    A.C. 948 CATANIA ed altri: «Legge quadro in materia di valorizzazione delle aree agricole e di contenimento del consumo del suolo» (948) del 19 giugno 2013 – in corso di esame in sede referente alle commissioni riunite VIII ambiente e XIII agricoltura;
    A.C. 1176 FAENZI ed altri: «Modifica all'articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, in materia di deroga al patto di stabilità interno in favore degli enti locali per la realizzazione di piani per la messa in sicurezza del territorio contro i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico, nonché disposizioni per la valorizzazione delle aree agricole e il contenimento del consumo di suolo» (1176) del 6 marzo 2014 – In corso di esame in sede referente alle commissioni riunite VIII ambiente e XIII agricoltura;
    A.C. 2209 sull'ingegneria naturalistica;
    A.C. 3342 sulla prevenzione e alla riduzione del rischio idrogeologico e sismico;
   eppure il 7 settembre 2015 con decreto del Presidente del Consiglio è stata istituita presso la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche una commissione di studio per la revisione e per il riordino della vigente normativa in materia di difesa e consumo del suolo e contro il dissesto idrogeologico;
   a novembre 2015 i rappresentanti di 7 regioni e delle aree metropolitane hanno firmato con il Governo, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare degli accordi di programma per interventi di messa in sicurezza del territorio facevano seguito al piano stralcio delle aree metropolitane, e prevedevano un finanziamento di 800 milioni di euro, di cui 653 di finanziamento statale e circa 150 di cofinanziamento regionale, così ripartiti: Abruzzo (interventi per 54,8 milioni) Emilia Romagna (43,4 milioni), Liguria (315 milioni), Lombardia (145,6 milioni), Sardegna (25,3 milioni), Toscana (106,6 milioni), Veneto (109,7 milioni) –:
   se il Governo intenda fornire ulteriori informazioni sullo stato di avanzamento dei lavori della commissione di studio istituita presso la sopracitata struttura di missione anche al fine di favorire il massimo coordinamento interistituzionale;
   se siano stati erogati i finanziamenti relativi agli accordi di programma siglati a novembre con 7 regioni su progetti urgenti per la messa in sicurezza del territorio facenti parte del piano stralcio delle aree metropolitane e quali siano i tempi previsti per la loro pubblicazione. (4-12105)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la legge provinciale n. 15 del 2008, la provincia autonoma di Trento ha istituito il distretto agricolo del Garda Trentino avente le finalità di salvaguardia, qualificazione e potenziamento delle attività agro-silvopastorali; promozione della fruizione culturale, turistica e ricreativa dell'ambiente; valorizzazione e recupero paesistico e ambientale; promozione dell'equilibrio ambientale dell'area del distretto e delle zone circostanti;
   per l'istituzione del distretto agricolo e per coordinare le azioni e le attività di competenza degli enti interessati, la predetta legge provinciale ha previsto il raggiungimento di una intesa, promossa dalla provincia, con la comunità di valle Alto Garda e Ledro (42.955 abitanti) e i comuni di Arco (17.371 abitanti), Drena (550 abitanti), Dro (4.884 abitanti), Nago-Torbole (2.857 abitanti), Riva del Garda (16.859 abitanti) e Tenno (2.038 abitanti);
   la medesima legge provinciale n. 15 del 2008 ha stabilito che alla gestione del distretto e allo svolgimento delle funzioni la comunità di valle avrebbe dovuto provvedere mediante l'istituzione di un'apposita agenzia che avrebbe dovuto adottare il programma di attività del distretto definendone strategie obiettivi e priorità degli interventi e rendere, altresì, il parere in sede di formazione degli strumenti di pianificazione territoriale dei comuni interessati;
   l'articolo 7 della legge n. 15 del 2008 prevede che, ove la comunità di valle non provveda ad istituire il distretto entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima, la provincia, previa diffida, eserciti i poteri sostitutivi previsti dal vigente ordinamento sentiti i comuni interessati;
   nel luglio 2011 si è proceduto all'attivazione di un tavolo di confronto tra i soggetti interessati, i cui lavori sono terminati nel febbraio 2013 con la redazione di una bozza di intesa istituzionale e di una bozza di regolamento dell'agenzia. Ciò nonostante, la provincia non ha mai provveduto alla sottoscrizione della predetta intesa istituzionale;
   la provincia autonoma, nonostante sia titolare del potere sostitutivo, previsto dal citato articolo 7 della legge n. 15 del 2008 nei confronti dei comuni, sinora ha omesso di attivarsi al fine di rendere operativo il distretto, impedendo così l'attuazione della legge con conseguente menomazione della tutela dell'ambiente e del paesaggio rientrante tra le finalità precipue della legge medesima;
   come risulta da notizie di stampa, dall'entrata in vigore della legge n. 15 del 2008, il territorio del Garda trentino è stato stravolto dalla lottizzazione selvaggia e dalla cementificazione che ne hanno minato la bellezza naturale;
   la tutela dell'ambiente e del paesaggio, rientrante tra le materie di legislazione esclusiva statale, ex articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, nel nostro ordinamento giuridico costituisce un valore la cui protezione è fissata dai precetti costituzionali di cui agli articoli 9 e 32 della Costituzione e assume il valore di diritto fondamentale, come più volte affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 8 del 2004);
   lo statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, all'articolo 54, comma 1, n. 5, prevede che spetta alla giunta provinciale la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali e sugli altri enti o istituti locali, compresa l'eventuale nomina di commissari ad acta, riservando allo Stato tali provvedimenti straordinari allorché siano dovuti a motivi di ordine pubblico e quando si riferiscano a comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti, con ciò configurando uno straordinario intervento a tutela di interessi unitari. Un intervento straordinario di carattere centrale è previsto altresì dall'articolo 120 della costituzione, che la Corte costituzionale (sentenza n. 236 del 2014) ha ritenuto applicabile anche alle province autonome;
   sino ad oggi la mancata attuazione della legge n. 15 del 2008 e il mancato esercizio da parte della giunta provinciale del potere sostitutivo affidatole, hanno pregiudicato il diritto delle popolazioni interessate alla tutela dell'ambiente e del paesaggio. Tale mancata tutela impone un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme dello statuto di autonomia e comunque richiede un intervento di carattere centrale, intervento dal quale non può prescindersi tutte le volte in cui venga in considerazione un bene fondamentale di rango costituzionale, qual è l'ambiente, che altrimenti rimarrebbe sguarnito di qualsiasi salvaguardia, nonché tutte le volte in cui il soggetto cui sono affidate le relative funzioni di tutela ometta di esercitare le attribuzioni conferitegli dalla legge –:
   se il Governo ritenga di dover valutare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dei poteri di competenza, in particolare sulla base del richiamato articolo 54 dello statuto speciale della regione, per garantire la tutela dei diritti della popolazione della comunità di valle alla salvaguardia e qualificazione dei territori rispettivamente interessati. (4-12113)


   BARBANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 19 luglio 2012, C-56/10 e del 10 aprile 2013, C-85/13 57 è stata sanzionata l'Italia per inadempimento della direttiva 91/271/CEE relativo al trattamento delle acque reflue urbane in violazione degli articoli 3, 4 e 10 che disciplinano: rete fognaria, trattamento secondario o equivalente, impianti di trattamento, campioni rappresentativi. La condanna è stata comminata a causa dell'inadempienza di 57 comuni siciliani;
   si consideri che l'inadempienza della direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane per ben 27 comuni è stata rilevata perché completamente sprovvisti di reti fognarie;
   le delibere Cipe avevano consentito l'assegnazione di 1,6 miliardi di euro da reperire nei fondi strutturali europei per la realizzazione di fogne e depuratori, per la costruzione delle reti idriche e altre opere: i fondi strutturali europei per la realizzazione di fogne e depuratori non sono stati erogati e, su 93 opere previste, solo in 14 di questi casi esisteva un progetto cantierabile. In conseguenza di ciò, la procedura di infrazione comporterà un esborso pari a 180 milioni di euro da reperire nei bilanci dei comuni siciliani sanzionati;
   il 6 febbraio 2015 il premier Matteo Renzi annunciava il commissariamento degli enti inadempienti per coordinare la realizzazione delle opere e tentare di evitare che le sanzioni europee connesse ai ritardi della regione siciliana, potessero comportare una sanzione tale da superare la quota 160 milioni di euro, e che i comuni rimanessero ancora senza impianto fognario;
   «ieri ho fatto una riunione sugli impianti di depurazione per la Sicilia: c’è più di un miliardo di euro tecnicamente fermo ed è ingiusto e inaccettabile. Il commissariamento è l'unica strada e ho chiesto di procedere rapidamente senza guardare in faccia nessuno» dichiarava il Presidente del Consiglio Matteo Renzi nella sua e-news, con tutte le ragioni del caso, a parere dell'interrogante;
   sabato 13 febbraio 2016, su una testata on line, è stata pubblicata un'inchiesta condotta sulle gravi condizioni in cui versa l'anfiteatro romano di Catania che rischia il crollo, coinvolgendo l'incolumità dei cittadini a causa delle percolazioni fognarie e di acque bianche che vi riversano, opere abusive che si inseriscono nel monumento e si è fatto riferimento alla nomina della dirigenza del museo regionale di Catania che, a parere dell'interrogante, desta non poche perplessità;
   l'anfiteatro romano può essere datato approssimativamente intorno al II sec. d.C. È il più grande anfiteatro di Sicilia, uno dei maggiori della penisola italiana dato che, in termini di grandezza, è considerato il più grande anfiteatro dell'Impero romano dopo il Colosseo: l'anfiteatro catanese poteva contenere infatti circa 15.000 spettatori seduti, numero raddoppiabile aggiungendo impalcature lignee per posti in piedi, come avveniva di frequente. Interamente ricoperto dall'eruzione lavica del 1669, i suoi possenti ruderi, ben visibili dalla centrale piazza Stesicoro, sin dagli inizi del XX secolo, si estendono, in senso nord-sud, dalla zona meridionale di via Penninello all'incrocio della stessa piazza con via Sant'Euplio, e, in senso est-ovest, dal vico Neve all'area sottostante la chiesa di San Biagio, dove è a vista una parte di quel corridoio che separava l'anfiteatro dalla collina retrostante. I suoi resti rappresentano meno di un quarto dell'intero anfiteatro e sono visitabili dall'ingresso di piazza Stesicoro e dal vico Anfiteatro dove se ne vede l'altezza fino a parte del terzo piano;
   fino al 2007 era possibile apprezzare una porzione del secondo piano da Via del Colosseo, oggi interamente coperto dal nuovo terrazzo di Villa Cerami. In quest'ultimo edificio, sede del dipartimento di giurisprudenza dell'università degli studi di Catania, è ancora visibile parte del sistema d'archi che collegava l'anfiteatro alla collina Montevergine, probabilmente l'antica acropoli della città. La restante parte dell'anfiteatro è ancora interrata sotto le zone di via Neve, via Manzoni e via Penninello;
   a seguito dei lavori di scavo, diretti nei primi anni del Novecento dall'architetto Fichera, è stata riportata alla luce, e lasciata a vista, una porzione del settore nord della cavea separata dall'arena da un alto podio, originariamente rivestito in marmo. Si liberò del tutto il corridoio interno dell'ordine inferiore, percorribile interamente. Ristrutturato nel 1997, è stato aperto solo durante la stagione estiva e poi richiuso per infiltrazioni di reflui delle fognature delle case limitrofe all'interno dell'anfiteatro. Parzialmente risanato, nel luglio 1999 è stato riaperto al pubblico. Nel corso degli ultimi anni ha subito ancora chiusure e riaperture; tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008 sono stati effettuati rilievi tecnici per appurare lo stato di conservazione delle strutture dei pilastri esterni e veniva sollecitato il monitoraggio per pianificare i dovuti interventi;
   dall'inchiesta sopra citata emerge che, a seguito di un sopralluogo effettuato in data 19 marzo 2014, è stato convocato il 24 aprile dello stesso anno dalla soprintendenza un tavolo tecnico al quale hanno partecipato le parti chiamate in causa. Sebbene sia stata emessa un'ordinanza che obbliga i residenti a provvedere all'allaccio alla rete fognaria, non è dato sapere se tutti abbiano adempiuto a tale obbligo e inoltre, sia la società che gestisce il servizio idrico integrato nell'ambito dell'area metropolitana di Catania, che l'assessore ai lavori pubblici, Luigi Bosco, hanno elencato i lavori effettuati e quelli da eseguire attraverso i finanziamenti Cipe, riportando anche i possibili rischi di danneggiamento del monumento romano durante gli scavi;
   tra le opere abusive riportate nel dossier, si evidenziano un punto luce chiuso da mattoni rossi e una passerella pericolante che si inserisce nella struttura, sospesa nell'altezza dell'anfiteatro, in corrispondenza della Chiesa di San Biagio; delle grondaie in pvc, dalle quali refluisce l'acqua di innaffio del giardino di Villa Cerami (sede del dipartimento di giurisprudenza dell'università di Catania), inserite nella facciata esterna del monumento che presenta numerose lesioni, distaccamenti della cornice dell'arco rispetto al muro portante e insabbiamento della superficie calpestabile, accompagnati da eventi di crollo;
   nel verbale del tavolo tecnico del 24 aprile 2014 si registra sollecitazioni della sovrintendente Fulfia Caffo rivolte a padre Calambrogio, rettore della chiesa di San Biagio, a rimuovere la passerella: pericolante, ignorando, secondo l'interrogante, le altre criticità (ovvero il punto luce chiuso) e all'università di Catania per quanto riguarda invece le grondaie;
   con D.d.g. n. 5 dell'11 gennaio 2016 veniva conferito l'incarico di dirigente responsabile della struttura intermedia «S.33 – Museo Regionale di Catania» a Orazio Micali, ex sovrintendente di Siracusa, rimosso dall'incarico per presunte irregolarità nell'esercizio delle sue funzioni, dal ritardo dell’iter di istituzione del parco archeologico di Siracusa, al rilascio di concessioni a contrasto palese del piano paesistico e, in particolare, un parere favorevole per l'installazione di una antenna telefonica di 30 metri sul colle San Nicolò, nel territorio di Buscemi; sollevato da tali accuse, è stato reintegrato alla soprintendenza di Siracusa e rimosso il giorno seguente per reati di abuso d'ufficio e falso ideologico, commessi mentre ricopriva un precedente incarico di dirigente presso la soprintendenza di Messina, per effetto dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 39 del 2013, in cui viene stabilito che a tutti coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, non possono essere attribuiti incarichi dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni;
   nell'inchiesta giornalistica si fa riferimento a un progetto di riqualificazione presentato dal museo regionale di Catania, ridimensionato notevolmente per rientrare nei progetti strategici regionali e beneficiare dei finanziamenti europei PO-FESR 2014/2020 –:
   se i fatti narrati in premessa siano a conoscenza del Governo e quali iniziative urgenti intenda assumere per favorire una positiva soluzione, per quanto di competenza, alla gravissima situazione in cui versa l'anfiteatro romano di Catania;
   se i finanziamenti del Cipe in relazione ai quali è stata prospettata l'ipotesi del commissariamento di qui in premessa abbiano interessato il progetto relativo alla rete fognaria ubicata nei pressi dell'Anfiteatro Romano di Catania;
   quali ulteriori iniziative il Governo per quanto di competenza intenda assumere affinché si possa intervenire per garantire la messa in sicurezza del monumento romano considerato l'evidente stato di negligente abbandono. (4-12115)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PORTA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il cittadino italo-venezuelano F.S., residente a Maracay in Venezuela e componente del consiglio di amministrazione della Casa d'Italia di Maracay, abbia subito il saccheggio e la devastazione del capannone e dei locali dell'azienda di cui è titolare, fondata nel 2001 e specializzata nella produzione di materie prime per accumulatori elettrici nella zona di San Vicente;
   già il 24 dicembre 2015 l'azienda di F.S. era stata presa di mira da bande organizzate di delinquenti che ne avevano occupato i locali arrecando gravi danni alla produzione;
   la Guardia nazionale venezuelana sarebbe rimasta inerte rispetto a questi episodi di occupazione violenta ed illegittima delle proprietà immobiliari dell'azienda, secondo un registro ormai notorio e che è sintomo si una società venezuelana non controllata da parte delle autorità sul piano della sicurezza e preda di sanguinarie organizzazioni criminali;
   risulta anche che, dopo le violenze e le violazioni ai beni aziendali, i connazionali titolari dell'azienda abbiano anche subìto pesanti ricatti a scopo estorsivo e versino adesso in condizioni assai difficili, avendo perso tutto ciò che era fonte di reddito per sé e per le proprie famiglie;
   gli episodi sopra descritti si inquadrano in una situazione generale del Paese caratterizzata da elevatissima insicurezza ed instabilità, connessa allo stato di emergenza economica ed alla crisi istituzionale in atto nel Venezuela governato dal presidente Maduro con il sostegno delle Forze armate;
   alla crisi economica, aggravata dal calo del prezzo internazionale del petrolio, principale risorsa economica del Paese, si aggiunge inoltre una profonda tensione interistituzionale tra Esecutivo e Parlamento, quest'ultimo controllato dall'opposizione al Governo Maduro, con preoccupanti ripercussioni per la tenuta sociale e per la stessa sicurezza dei singoli cittadini –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire condizioni di sicurezza ai connazionali residenti in Venezuela e tutelare la loro incolumità. (5-07786)


   GIANLUCA PINI, MOLTENI, FEDRIGA, ATTAGUILE, CAPARINI, GUIDESI, SIMONETTI e SALTAMARTINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Italia e Francia hanno firmato il 21 marzo 2015 un accordo bilaterale che modifica i confini marittimi tra i due Paesi, sostituendo una precedente convenzione, risalente al 1892;
   nelle more del processo di autorizzazione alla ratifica da parte italiana, la parte francese sembra aver dato unilateralmente attuazione alle disposizioni dell'accordo, con l'effetto di ridurre immediatamente e senza preavviso le zone di pesca agibili dai pescherecci italiani attivi nelle acque prospicienti alla Liguria ed alla Sardegna, determinando alcuni incidenti;
   un peschereccio ligure, il Mina, è stato sequestrato il 13 gennaio 2016 dalle autorità francesi in una zona che secondo il nuovo accordo bilaterale sarebbe destinata all'esclusivo sfruttamento da parte dei pescatori transalpini;
   soltanto il 18 gennaio 2016, per deliberazione del tribunale di Nizza, il peschereccio Mina è stato restituito ai suoi legittimi proprietari, dietro versamento di una cospicua cauzione, di importo superiore agli ottomila euro;
   una situazione analoga si è verificata più recentemente in Sardegna, a nord della quale, ad un peschereccio che entrava nelle «nuove» acque territoriali francesi è stato intimato di allontanarsi;
   il 12 febbraio 2016, intervenendo alla Camera per rispondere all'interpellanza urgente n. 2-01268, il sottosegretario agli affari esteri, Benedetto Della Vedova, ha confermato che l'Italia non ha ratificato l'accordo e pertanto lo stesso non può considerarsi in vigore;
   è prevedibile che in difficoltà possano presto trovarsi anche i pescherecci provenienti da Toscana, Sicilia e Calabria, che spesso risalgono il Tirreno verso nord per profittare della maggior pescosità di alcune zone di mare cedute alla Francia;
   il rischio che i nostri pescherecci possano essere fermati, perché in zona pertinente alla Francia, è accresciuto dalla circostanza che il testo dell'accordo sia conosciuto in Francia ma non in Italia –:
   per quali motivi il Governo abbia sottoscritto un accordo bilaterale con la Francia tanto svantaggioso per l'Italia;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per proteggere gli interessi dei pescatori italiani, che vengono danneggiati dalle forze di polizia marittima della Francia, in applicazione di un accordo che non può ancora considerarsi in vigore, a causa della mancata ratifica da parte della Repubblica italiana;
   se il Governo, alla luce di quanto sta accadendo, non ritenga opportuno soprassedere alle iniziative di competenza per la ratifica dell'accordo e negoziarne un altro, meno sfavorevole agli interessi nazionali. (5-07791)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   organizzazioni umanitarie della regione di Aleppo e Idlib, dove prosegue l'offensiva lealista a nord di Aleppo protetta dall'aviazione russa, riferiscono che due ospedali sono stati colpiti da raid aerei russi e governativi siriani nel nord della Siria, con il risultato che sette persone sono state uccise e almeno altre otto mancino ancora all'appello e si presume siano morte;
   le fonti non governative puntualizzano che in un raid aereo sono stati colpiti la clinica ginecologica e il reparto di pediatria dell'ospedale di Azaz, tra Aleppo e il confine turco; in un altro raid russo è stato invece abbattuto un ospedale a Marrat Numan, nella regione di Idlib. Questo secondo ospedale è stato sempre gestito da Médecins Sans Frontières;
   un uomo all'organizzazione non governativa ha dichiarato: «Mi stavo recando in ospedale per aiutare con l'ammissione dei pazienti colpiti dai raid aerei, ma appena sono arrivato, sono rimasto io stesso ferito. È successo tutto molto in fretta. Ho visto una sorta di esplosione e un flash di luce, poi sono svenuto per circa cinque minuti. I miei colleghi mi hanno visto steso a terra, coperto di sangue e mi hanno portato dentro in fretta. Sono rimasto ferito sia a un braccio che a una gamba dai frammenti del proiettile»;
   più di 20 mila residenti delle cittadine in queste zone limitrofe all'ospedale di medici senza frontiere hanno lasciato le proprie case e si sono rifugiati nelle campagne circostanti per sfuggire ai raid aerei;
   non è la prima volta che bombardamenti colpiscono gli ospedali in queste zone, danneggiando parzialmente gli edifici e mettendo fuori gioco tutti i servizi di assistenza sanitaria come quello molto prezioso del servizio di ambulanza;
   si tratta solo dell'ultima struttura medica, in ordine di tempo, colpita dai raid aerei nel sud della Siria in un’escalation di attacchi verificatasi negli ultimi due mesi;
   (Medici senza Frontiere) sottolinea che questo ennesimo incidente contribuisce a impoverire un sistema sanitario già allo stremo e impedisce a molte persone di accedere alle cure mediche di cui hanno un disperato bisogno;
   l'organizzazione medica internazionale – presente in oltre 70 Paesi in tutto il mondo e attiva in molti scenari di guerra – denuncia che, mentre il conflitto siriano entra nel sesto anno, i bombardamenti nel sud del Paese sono in aumento, così come il numero delle vittime;
   l'uso di bombardamenti indiscriminati ha un impatto devastante sia sui civili che sulle strutture mediche –:
   se i Ministri interrogati intendano mettere in atto iniziative affinché i raid aerei vengano fermati, in quanto questa situazione sembra essere diventa la norma e, dall'inizio del 2016, 13 strutture mediche sono state colpite, confermando che ospedali e cliniche non sono più posti dove i pazienti feriti possono guarire in tutta sicurezza. (4-12101)


   SPADONI, FRUSONE, MANLIO DI STEFANO, BASILIO, SCAGLIUSI, RIZZO, DI BATTISTA, CORDA, SIBILIA, PAOLO BERNINI, DEL GROSSO, TOFALO e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal rapporto 2015 di Amnesty International «Generazione carcere: la gioventù egiziana dalle proteste alla prigione» si evince la schiacciante repressione nei confronti dei giovani attivisti del Cairo;
   secondo gli organismi locali per i diritti umani, sotto il Governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi il giro di vite iniziato nel luglio 2013 con l'arresto di Morsi e dei suoi sostenitori si è allargato via via a tutto il panorama politico egiziano, con oltre 41.000 persone arrestate, accusate di reati penali e processate in modo irregolare;
   la nuova legge sulle manifestazioni, promulgata il 24 novembre 2013 dal presidente egiziano della Suprema Corte costituzionale Adly Mansour, rappresenta un grave passo indietro che costituisce una forte minaccia alla libertà di riunione e dà alle forze di sicurezza briglia sciolta per l'uso eccessivo della forza inclusa quella letale, contro i manifestanti; con essa, infatti, si autorizzano le autorità ad arrestare e processare dimostranti pacifici senza limitazioni criminalizzando anche la mera azione di scendere in strada senza previa autorizzazione;
   tra i casi documentati dal rapporto di Amnesty International emergono quelli di: Ahmed Maher e Mohamed Adel, leaders del «Movimento giovanile 6 aprile»; il noto blogger Ahmed Douma; Alaa Abd El Fattah, voce critica del regime che è stato in prigione sotto il deposto Hosni Mubarak e il Consiglio supremo delle Forze armate; i difensori dei diritti umani Yara Sallam e Mahienour El-Massry;
   inoltre, si trovano in carcere persone che hanno protestato contro la deposizione di Morsi, come il cittadino irlandese Ibrahim Halawa, le studentesse universitarie Abrar Al-Anany e Menatalla Moustafa e l'insegnante Yousra Elkhateeb;
   le autorità egiziane cercano di giustificare le politiche restrittive ricorrendo al tema del mantenimento della stabilità e della sicurezza; molti arrestati sono stati portati di fronte ai giudici a seguito di accuse false o motivate politicamente e sono stati condannati, al termine di processi di massa con centinaia di imputati, sulla base di prove insufficienti o inesistenti o solo grazie a testimonianze da parte delle forze di sicurezza o a indagini della sicurezza nazionale;
   il Consiglio dell'Unione europea, nell'agosto del 2013, condannando con la massima fermezza tutti gli atti di violenza, decise di sospendere le licenze di esportazione verso l'Egitto per qualsiasi attrezzatura che potrebbe essere usata a fini di repressione interna; tuttavia, malgrado fosse stata adottata questa disposizione in ambito europeo, l'Italia ha continuato a inviare armi in Egitto, nonostante le pesanti violazioni dei diritti umani operati dalle autorità egiziane;
   secondo Giorgio Beretta, analista dell'Osservatorio sulle armi leggere (OPAL) di Brescia, infatti, l'Italia non solo nel 2014 ha fornito le forze di polizia egiziane di 30 mila pistole, ma nel 2015 ha inviato in Egitto altri 1.236 fucili a canna liscia;
   di fatto, dunque, il nostro Paese è l'unico dell'Unione europea che, dalla presa del potere del generale al-Sisi, ha inviato armi utilizzabili per la repressione interna all'Egitto;
   è opportuno ricordare che nel settembre 2013 l'Italia ha ratificato il Trattato sul commercio delle armi (Arms Trade Treaty, A.T.T.) con la legge n. 118 del 2013, entrato in vigore a dicembre 2014; in particolare, l'articolo 6, paragrafo 3, dello stesso prevede il divieto di autorizzare il trasferimento di armi convenzionali nel caso in cui, in fase di valutazione della richiesta, vi sia conoscenza che i materiali potrebbero essere utilizzati per commettere crimini contro l'umanità, violazioni delle convenzioni di Ginevra del 1949, attacchi diretti a obiettivi o soggetti civili;
   la legge n. 185 del 1990 prevede il divieto di esportazione di armamenti verso Paesi in stato di conflitto armato, o Paesi la cui politica contrasta con l'articolo 11 della Costituzione italiana;
   l'Egitto ha firmato e ratificato nel gennaio 1982 il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali nelle cui premesse viene riconosciuto che «in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, l'ideale dell'essere umano libero, che goda della libertà dal timore e dalla miseria può essere conseguito soltanto se vengono create condizioni le quali permettano ad ognuno di godere dei propri diritti economici, sociali e culturali, nonché dei propri diritti civili e politici; (...) che lo Statuto delle Nazioni Unite impone agli Stati l'obbligo di promuovere il rispetto e l'osservanza universale dei diritti e delle libertà dell'uomo; (..) infine che l'individuo, in quanto ha dei doveri verso gli altri e verso la collettività alla quale appartiene, è tenuto a sforzarsi di promuovere e di rispettare i diritti riconosciuti nel presente Patto» –:
   quali siano la tipologia, la quantità e il valore delle armi inviate in Egitto nel 2014 e i destinatari e/o utenti finali di tali esportazioni;
   quale sia stata la valutazione alla base dell'autorizzazione all'esportazione in considerazione delle decisione del Consiglio dell'Unione europea dell'agosto 2013 e dell'esportazione avvenuta nel giugno del 2015 di oltre 1.236 fucili spediti dalla provincia di Urbino;
   in merito ai materiali militari, quali siano nel dettaglio, sempre alla luce della decisione del Consiglio dell'Unione europea, la quantità, il valore e la tipologia dell'autorizzazione rilasciata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale nel 2014, in relazione materiali e sistemi militari;
   in merito ai sistemi di controllo e di intercettazione, se questi rientrino tra i «materiali militari» e quindi sottoposti alle autorizzazioni della legge 185 del 1990. (4-12112)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   FASSINA e GREGORI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante «Norme in materia ambientale», in applicazione dei principi comunitari di cui alla direttiva 2008/98/CE, stabilisce che la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia: a) prevenzione; b) preparazione per il riutilizzo; c) riciclaggio; d) recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia; e) smaltimento;
   la gerarchia stabilisce, in generale, un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale. Nel rispetto della gerarchia di cui al comma 1, dell'articolo 179 del decreto legislativo sopra citato devono essere adottate le misure volte a incoraggiare le opzioni che garantiscono, nel rispetto degli articoli 177, commi 1 e 4, e 178, il miglior risultato complessivo, tenendo conto degli impatti sanitari, sociali ed economici, ivi compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica;
   con riferimento a singoli flussi di rifiuti è consentito discostarsi, in via eccezionale, dall'ordine di priorità di cui al comma 1, qualora ciò sia giustificato, nel rispetto del principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse;
   sempre il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, stabilisce che lo smaltimento dei rifiuti è effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti, previa verifica, da parte della competente autorità, della impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero di cui all'articolo 181. A tal fine, la predetta verifica concerne la disponibilità di tecniche sviluppate su una scala che ne consenta l'applicazione in condizioni economicamente e tecnicamente valide nell'ambito del pertinente comparto industriale, prendendo in considerazione i costi e i vantaggi, indipendentemente dal fatto che siano o meno applicate o prodotte in ambito nazionale, purché vi si possa accedere a condizioni ragionevoli;
   il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 recante «Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», all'articolo 6, comma 1, lettera p) recitava: «[Non sono ammessi in discarica i seguenti rifiuti]: i rifiuti con PCI (Potere calorifico inferiore) > 13.000 kJ/kg a partire dal 31 dicembre 2010, ad eccezione dei rifiuti provenienti dalla frantumazione degli autoveicoli a fine vita e dei rottami ferrosi per i quali sono autorizzate discariche monodedicate che possono continuare ad operare nei limiti delle capacità autorizzate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225»;
   tale previsione è finalizzata al successivo recupero energetico di dette tipologie di rifiuto in ossequio alla gerarchia delle operazioni di gestione dei rifiuti di indicazione comunitaria;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 221 recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», con l'articolo 46, dispone l'abrogazione dell'articolo 6, comma 1, lettera p), del decreto legislativo n. 36 del 2003 –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, anche normative, affinché siano chiarite le opzioni di utilizzo delle discariche autorizzate fino ad oggi al deposito dei rifiuti da rottamazione e, in particolare, se i gestori potranno smaltire anche altre tipologie di rifiuto, vanificando così l'obiettivo di destinare in via esclusiva la discarica allo smaltimento di rifiuti con elevato potere calorifico e per i quali sono ormai disponibili e ampiamente collaudate efficienti tecnologie di recupero energetico;
   se una eventuale autorizzazione che consenta di colmare le discariche ad oggi utilizzate in via esclusiva per i rifiuti da rottamazione anche con altre tipologie di rifiuto possa essere oggetto dell'avvio di una infrazione dell'Unione europea, visto il palese contrasto, ad avviso degli interroganti, con la «gerarchia di gestione» che relega lo smaltimento ad una fase esclusivamente residuale. (4-12109)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la riserva naturale del litorale romano è una riserva statale istituita dal Ministero dell'ambiente con decreto 29 marzo 1996 ai sensi della legge n. 394 del 1991, mediante il quale sono state disposte le relative misure di salvaguardia e riguarda ambienti naturali, aree di interesse storico archeologico e aree agricole della zona di Roma e Fiumicino, per complessivi 16.327 ettari di territorio;
   in data 17 ottobre 2002 l'Ente gestore della Riserva presso il X dipartimento del comune di Roma, trasmetteva alla commissione di riserva presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini del rilascio del preventivo parere vincolante di cui all'articolo 9 del decreto ministeriale 29 marzo 1996, il progetto preliminare di riqualificazione del Camping «Capitol», sito in via di Castel Fusano n. 45 e ricadente all'interno della Riserva;
   dal confronto con la cartografia della riserva del litorale romano, la commissione di riserva riscontrava che il sito oggetto dell'intervento era inserito all'interno di un'area di tipo 1, caratterizzata da ambienti di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e culturale con limitato o inesistente grado di antropizzazione, con conseguente incompatibilità tra il progetto in questione e il luogo scelto;
   di tale riscontro si dava comunicazione all'Ente gestore mediante nota del presidente della commissione di riserva, in data 27 gennaio 2003, il quale con distinta e successiva nota del 4 ottobre 2004 invitava lo stesso Ente gestore «a sospendere momentaneamente l'autorizzazione già espressa»;
   inoltre, a seguito della presentazione da parte della Proprietà del Camping «Capitol» di nuova richiesta di nulla osta per il taglio di circa seicento pini all'interno dell'area interessata dal progetto di cui sopra, la Commissione di Riserva, nella seduta del 21 luglio 2006, esprimeva motivato parere contrario e con nota del presidente, datata 3 ottobre 2006, invitava «nuovamente codesto Ente gestore a sottoporre l'intero progetto alla procedura di V.I.A. presso la competente area regionale»; il progetto complessivo prevedeva la realizzazione di ingenti strutture anche commerciali, la cui cubatura era in parte calcolata utilizzando le strutture abusive presenti nel campeggio per le quali era in corso richiesta di sanatoria;
   il Camping Capitol nel 2008 è stato oggetto di sequestro e indagine da parte delle autorità competenti per presunte attività non autorizzate e non compatibili con le finalità istitutive della riserva e delle relative norme di salvaguardia, poi successivamente soggette a dissequestro nel 2014;
   nell'area sono state rinvenute dagli scavi archeologici numerose strutture di età romana, tra le quali un impianto termale, tracce di viabilità e sepolture;
   negli ultimi mesi, nell'area del Camping Capitol sarebbero state avviate ingenti opere edilizie con sbancamenti, riporti di terra e realizzazione di diverse strutture in cemento. Tali opere sono state oggetto peraltro anche di richiesta d'informazioni dei cittadini residenti nella zona;
   non risulta, ad un primo riscontro, che la Commissione di riserva abbia espresso un nuovo parere diverso da quello contrario sopra citato;
   non si conoscono eventuali assoggettamenti delle opere a valutazione d'impatto ambientale; non è chiaro se le opere in corso abbiano ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie (regionali, comunali e municipali) oltre quelle sopra citate –:
   se al Governo risulti che all'interno delle aree di pertinenza del Camping Capitol, in area protetta interna alla riserva naturale «litorale romano» siano in corso ingenti opere edilizie, che potrebbero pregiudicare l'integrità e la conservazione del patrimonio naturalistico, paesaggistico ed ambientale oggetto di specifiche misure di tutela e salvaguardia;
   quale parte della cubatura di progetto sarebbe calcolata utilizzando le strutture abusive presenti nel campeggio per le quali era in corso, almeno fino al 2008, richiesta di sanatoria, la quale come è noto è sottoposta a rigorose condizioni essendo in area protetta, e comunque necessita dell'autorizzazione vincolante della Commissione di riserva e dell'Ente parco;
   se il progetto abbia ricevuto le autorizzazioni necessarie. (4-12104)


   SANTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dalla data di presentazione dell'interrogazione (no4/11138) al Ministero dei beni delle attività culturali e del turismo avvenuta in data 16 novembre 2015, ad oggi, la chiesa di S. Domenico in Badolato, a quanto consta all'interrogante ha subito ulteriori ed ingenti danni causati, oltre dal crollo del tetto, dalla mancata esecuzione dei lavori e dalle copiose piogge;
   successivamente al crollo del tetto, per quantificare gli ulteriori danni dovuti al ritardo della consegna ed esecuzione dei lavori, è stata redatta una perizia con annesse foto allegate, dove si evince che la chiesa di San Domenico ha subito un danno pari a euro 1,5 milioni e, nello specifico, necessita di interventi urgenti quali: consolidamento e messa in sicurezza della volta (assolutamente prioritario e urgente); rifacimento dell'intero tetto di copertura; consolidamento della muratura; restauro conservativo delle opere che si richiamano ad artisti come S. Colloca, discepoli di Francesco Cozza, Scappellini Serrese, Guglielmo Borrenaus;
   il finanziamento concesso dalla regione Calabria, con decreto della giunta regionale del 16 novembre 2011, pari a euro 350.000,00, risulta insufficiente per sopravvenire agli interventi necessari di consolidamento e messa in sicurezza, nonché di restauro conservativo della chiesa di S. Domenico;
   il totale abbandono della chiesa di S. Domenico, non consente a migliaia di turisti e fedeli, che arrivano da tutto il mondo, di visitare il monastero, specie in occasione delle festività pasquali, dove da secoli si tramanda la tradizionale « cumprunta», ovvero l'incontro tra Maria e suo figlio Gesù – una delle manifestazioni religiose più importanti della Calabria, provocando un notevole danno al turismo e all'economia dell'intera regione –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per nominare una commissione tecnica atta a verificare i danni di cui in premessa e a quantificarli, e al fine di reperire le risorse necessarie per eseguire gli interventi resi indispensabili dopo il crollo del tetto. (4-12110)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata:


   BOMBASSEI e GALGANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli elevati ritardi di pagamento delle pubbliche amministrazioni rappresentano una disfunzione grave, su cui sarebbe stato opportuno intervenire ben prima della crisi globale; in numerosi casi la mancata o ritardata riscossione dei crediti ha determinato, infatti, la definitiva chiusure delle aziende coinvolte;
   il nostro Paese è già stato messo in mora dalle istituzioni europee in ragione dei tempi eccessivamente dilatati nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni. Da ciò si rende necessaria l'adozione di interventi di natura duratura e strutturale;
   il ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali trova la propria disciplina nel decreto legislativo n. 231 del 2002, adottato in attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Il sintagma «transazioni commerciali», utilizzato in sede comunitaria, va inteso in senso atecnico e si riferisce ai contratti che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo;
   la normativa europea si prefigge l'obiettivo di tutelare il creditore nel caso in cui questi non riceva il corrispettivo nei tempi dovuti; si mira ad evitare il ripetersi di abusi da parte del debitore. Le modalità adottate dal legislatore per raggiungere tale risultato si sostanziano nell'aumento dei tassi di mora, nel risarcimento del danno subito dal creditore e nello snellimento del processo esecutivo;
   il problema del ritardo nei pagamenti riguarda segnatamente la contrattazione con la pubblica amministrazione i cui ritardi, spesso, sono stati una concausa del dissesto di molte imprese. La normativa prevede l'applicazione di un tasso di interessi elevato e l'automatica decorrenza degli stessi senza necessità della previa messa in mora;
   l'articolo 7 del decreto legislativo n. 231 del 2002, infatti, prevede una forma di nullità volta a colpire gli accordi tra le parti aventi ad oggetto la data del pagamento e del conseguente ritardo. Al di fuori di questi due aspetti, le parti possono derogare convenzionalmente alla disciplina normativa e la libertà contrattuale dei contraenti rimane inalterata. Il «rafforzamento» consiste, dunque, nella comminatoria della nullità. In particolare, il citato articolo 7 colpisce le clausole contrattuali considerate gravemente inique a danno del creditore ed oltre alla nullità dispone l'integrazione legale delle clausole nel contratto ai sensi dell'articolo 1339 del codice civile;
   in materia, stante la recrudescenza del fenomeno del ritardo nei pagamenti, è intervenuta la direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio 2011, la quale ha differenziato la disciplina applicabile a seconda che i contratti riguardino solo le imprese o le imprese e le pubbliche amministrazioni. Il decreto legislativo n. 231 del 2002, così come modificato dal decreto legislativo n. 192 del 2012, include nella definizione di pubblica amministrazione anche l'amministrazione aggiudicatrice: tale espressa menzione dirime i dubbi esegetici sorti nel tempo circa l'applicabilità della normativa anche agli appalti pubblici;
   circa i termini di pagamento, l'articolo 4 del decreto legislativo n. 231 del 2002, come modificato dal decreto legislativo n. 192 del 2012 e dalla legge n. 161 del 2014, dispone che le imprese private devono ricevere il corrispettivo entro trenta giorni dalla consegna del bene o dalla prestazione del servizio. Il dies a quo decorre rispettivamente dalla data di ricevimento della fattura o dalla richiesta di pagamento del creditore, dalla consegna della merce o dalla prestazione del servizio, dalla data di accettazione della merce o del servizio. La suddetta disciplina è dispositiva ma rafforzata. Le parti, infatti, possono derogarvi con dei limiti. Il termine di adempimento può essere portato sino a 60 giorni (ma non oltre) ed è richiesta la forma scritta ad probationem. Naturalmente questa clausola, come le altre, rimane soggetta al limite della grave iniquità di cui all'articolo 7 del citato decreto legislativo n. 231 del 2002;
   il decreto legislativo n. 192 del 2012 ha aumentato la misura del tasso di mora con un palese intento sanzionatorio: in tal senso deve vedersi anche l'ulteriore aggravio di 40,00 euro disposto per ogni giorno di ritardo a titolo di risarcimento delle spese di recupero (articolo 6 del decreto legislativo n. 231 del 2002). Inoltre, l'articolo 7-bis, introdotto dalla legge 30 ottobre 2014, n. 161 (recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea»), prevede altresì il risarcimento del danno che va ad aggiungersi alla comminatoria di nullità per le predette clausole. In particolare, la norma prevede un diritto del creditore alla pretesa risarcitoria allorché le clausole relative al tasso di interesse o al risarcimento per i costi di recupero risultino gravemente inique;
   i dati Eurostat evidenziano che, anche dopo gli interventi varati a partire dalla primavera del 2013, nel 2014 l'Italia rimane il Paese europeo con il più alto debito commerciale verso le imprese per beni e servizi – per la sola parte di spesa corrente – e pari al 3,0 per cento del prodotto interno lordo, la più alta dell'Unione europea;
   anche una recente analisi della Banca d'Italia indica che «il fenomeno dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche non è ancora stato ricondotto entro limiti fisiologici»; nel 2014 nel nostro Paese i debiti commerciali della Pubblica amministrazione ammontavano a 71,6 miliardi di euro;
   il fenomeno dei ritardi di pagamento della pubblica amministrazione assume dimensioni che non hanno pari rispetto agli altri Stati europei. Alcune ricerche confermano che per pagare i suoi fornitori lo Stato italiano impiega 41 giorni in più della Spagna, 50 giorni in più del Portogallo, 82 giorni in più della Francia, 115 giorni in più della Germania e 120 giorni in più del Regno Unito;
   la criticità dei tempi di pagamento appare confermata dall'analisi dei dati Istat e del Ministero dello sviluppo economico a novembre 2015 (elaborata dall'Ufficio studi di Confartigianato) sui pagamenti delle pubbliche amministrazioni relative agli ambiti delle amministrazioni periferiche dello Stato, enti del servizio sanitario nazionale, enti locali e regioni e province autonome, da cui emerge che il tempo medio di pagamento in media nazionale è di 99 giorni, ancora lontano dai termini legali. Infatti, considerando un limite di 60 giorni per acquisti del servizio sanitario nazionale e di 30 giorni per gli altri settori della pubblica amministrazione, il limite massimo dei pagamenti della pubblica amministrazione dovrebbe essere in media di 43 giorni, ben 56 giorni in meno dei 99 giorni rilevati;
   in base a tali dati, l'analisi dei tempi di pagamento per territorio evidenzia ampie differenze nelle varie regioni, con punte più elevate nel Mezzogiorno con 114 giorni e nel Centro Italia con 108 giorni, mentre nel Nord Ovest con 89 giorni e nel Nord Est con 86 giorni i tempi risultano sotto la media. L'effetto negativo del maggiore ritardo nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni nel Mezzogiorno viene amplificato dal maggiore costo del denaro che, secondo i dati diffusi da Confartigianato, a giugno 2015 registra uno spread di 208 punti base rispetto al Centro Nord. Si tratta di 12,9 milioni di fatture complessive, per un importo medio di circa 5.500 euro e un totale di oltre 71 miliardi di euro. Nel dettaglio regionale si osservano i tempi di pagamenti più lunghi in Calabria con 149 giorni medi, seguiti da Campania con 128 giorni, Lazio con 119 giorni, Sicilia con 117 giorni, Puglia, Abruzzo e Piemonte, tutte e tre con 110 giorni. Tempi più contenuti e inferiori ai 90 giorni si registrano in Lombardia con 89 giorni, Veneto con 81 giorni, Umbria con 71 giorni e Trentino-Alto Adige con 62 giorni;
   nonostante l'Italia abbia recepito ormai da tre anni la direttiva comunitaria che fissa a trenta giorni i termini di pagamento e nonostante l'obbligatorietà di strumenti come la fatturazione elettronica, i tempi di pagamento sono piuttosto lunghi;
   secondo i dati del Ministero dell'economia e delle finanze, gli enti virtuosi «veri», cioè quelli che effettivamente pagano entro i limiti di legge (in media in 20 giorni), rappresentano solo il 13,4 per cento della spesa complessiva. Al contrario, dopo 34 mesi dall'entrata in vigore della normativa, per l'86,6 per cento della spesa totale rimangono ancora disattese le prescrizioni della direttiva europea;
   un ulteriore indicatore significativo è che per gli enti virtuosi «veri» l'importo medio della fattura è di 11.196 euro, mentre quello degli altri enti (che in media pagano dopo 141 giorni) la fattura media scende a 5.111 euro, a dimostrazione che a soffrire di queste tempistiche di pagamento sono proprio le realtà produttive di micro dimensione, che più spesso rimangono invischiate tra le maglie dei ritardi della pubblica amministrazione;
   a fronte del trend negativo sopra descritto riguardante le transazioni commerciali tra imprese e pubblica amministrazione, gli ultimi dati pubblicati dall'osservatorio di Cerved Group, aggiornati al terzo trimestre del 2015, che analizzano le abitudini di pagamento su un panel di circa tre milioni di aziende italiane, evidenziano un netto miglioramento nella tempistica di liquidazione delle fatture tra imprese con standard pari a quelli registrati nel 2012; il saldo arriva, infatti, in media a 76 giorni, quasi due giorni in meno del 2014 con un calo del ritardo che è di poco superiore alle due settimane, al minimo da tre anni. In flessione risulta essere anche la casistica dei gravi ritardi (di oltre due mesi) che nel terzo trimestre del 2015 sono stati pari al 6,6 per cento;
   i dati pubblicati evidenziano, altresì, una diminuzione sensibile del numero di società protestate pari a 13.200 nel terzo trimestre del 2015, un quinto in meno rispetto all'anno precedente e al di sotto della quota 15.000 che rappresentava la media nel 2007. I settori maggiormente coinvolti risultano essere il manifatturiero e dei servizi, meno virtuosi il sistema moda (-2,5 per cento), i prodotti intermedi (-4,5 per cento), il largo consumo (-8 per cento). Per quanto attiene, invece, le condizioni concordate tra le aziende, la formula più utilizzata è quella dei 60 giorni. Dall'analisi per classe dimensionale – secondo i dati «payline» di Cerved Group – emerge anche un incremento della puntualità delle microimprese e le piccole e medie imprese, tradizionale anello debole della filiera della fornitura. I tempi medi si riducono nell'industria e nel terziario mentre c’è una battuta d'arresto al miglioramento nelle costruzioni. Le imprese della distribuzione hanno limato di 2,6 giorni i ritardi, quelle della logistica di 1,5 giorni e i servizi non finanziari di un giorno. Stabili le costruzioni e in controtendenza i media e l'intrattenimento (+0,6 giorni), i servizi finanziari (+1,5) e l'immobiliare (+5,2 giorni). Nel manifatturiero il saldo arriva dopo 80,3 giorni grazie a un calo dei ritardi che nella meccanica è molto consistente (-6 giorni) e nel largo consumo (-4,8). In alcuni casi l'allungamento dei tempi concordati, come si è visto nel Nord Est, viene letto come il segno di una maggiore flessibilità dei fornitori che concedono scadenze un po’ più lunghe;
   nonostante gli ultimi dati diffusi e nonostante le evoluzioni normative, l'obbligo europeo ed il continuo richiamo a normalizzare nel nostro Paese sul tema dei tempi di pagamento, la situazione in Italia resta ancora grave con migliaia di aziende che rischiano il fallimento a causa di crediti non pagati;
   l'incertezza sulla tempistica di pagamento non solo rende problematici i rapporti commerciali, ma rischia anche di allontanare le imprese più rappresentative del nostro Paese e di favorire comportamenti non corretti, pesando per di più sui costi dei servizi per le Amministrazioni, in quanto le aziende incorporano nei prezzi l'onere atteso dei ritardi;
   la mancata corresponsione di quanto dovuto alle imprese dalla pubblica amministrazione genera, altresì, una spirale che si ripercuote sui fornitori ed i dipendenti, con gravi conseguenze sul nostro tessuto produttivo già profondamente vessato dalla profonda crisi economica che ha colpito il nostro Paese –:
   a quanto ammontino allo stato attuale e quali siano i tempi medi di pagamento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni, quale sia l'ammontare dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della pubblica amministrazione maturati al 31 dicembre 2015 e ad oggi non riscossi, anche se certificati, nonché quali misure il Governo ritenga opportuno adottare al fine di potenziare e rendere più efficaci gli strumenti normativi finora adottati di riduzione dei tempi medi di pagamento delle pubbliche amministrazioni e di recupero dei crediti vantati dalle imprese, al fine di consentire alle stesse di competere alla pari con i principali partner europei ed internazionali, in questa fase delicata di rilancio del tessuto produttivo italiano, dell'occupazione e, in generale, dell'economia nazionale. (3-02018)


   PAGLIA, FASSINA, SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MELILLA, NICCHI, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   al fine di tutelare e ristorare coloro che avevano investito in modo inconsapevole i propri risparmi in strumenti finanziari subordinati emessi dalle quattro banche poste in risoluzione alla fine di novembre 2015 (Banca delle Marche, Banca popolare dell'Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti), i commi da 855 a 861 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016), istituiscono un Fondo di solidarietà alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi, con una dotazione di 100 milioni di euro che opererà, in conformità con la normativa europea in tema di aiuti di Stato, soltanto nel limite di spesa della stessa. Le stesse disposizioni, poi, rimandano a provvedimenti di rango secondario (decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e decreti ministeriali) la definizione delle modalità di gestione del Fondo e delle condizioni di accesso al rimborso, tenendo conto della vulnerabilità socioeconomica dei danneggiati, dei rendimenti ottenuti nel tempo e del tasso dei prodotti sottoscritti;
   la dotazione del Fondo, pur essendo di per sé considerevole, è comunque pari a meno di un terzo del totale delle perdite subite dai sottoscrittori dei bond subordinati; infatti secondo stime presentate in Parlamento il valore azzerato nel settore retail sfiora i 350 milioni di euro così distribuiti: 150 milioni di euro in capo ai 4.700 obbligazionisti di Banca Etruria, per un importo medio pro capite di 31.900 euro; 49 milioni di euro in capo ai 4.150 obbligazionisti di Carife, per un importo medio pro capite di 11.800 euro; 26 milioni di euro in capo ai 718 obbligazionisti di Carichieti, per un importo pro capite di 36.200, infine 105 milioni di euro in capo a 930 obbligazionisti di Banca Marche, per un importo medio pro capite pari a 112.900 euro;
   il 21 gennaio 2016 il Sottosegretario all'economia e alle finanze, Enrico Zanetti, rispondendo ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione finanze della Camera dei deputati, ha dichiarato che: «qualora dovesse emergere che la stima delle perdite sia stata effettuata in termini eccessivamente prudenziali ed emergessero plusvalenze finali ulteriori rispetto all'impegno finanziario sostenuto dal Fondo di risoluzione, il Governo si impegna, nel rispetto della vigente normativa nazionale e comunitaria, a intraprendere ogni utile iniziativa affinché le eventuali plusvalenze possano essere destinate a coprire in parte le obbligazioni subordinate, ed in caso di ulteriore surplus, a soddisfare anche gli azionisti». Nella medesima occasione il Sottosegretario, interrogato sul motivo per il quale il Governo si fosse rifiutato di inserire in una norma di rango primario, cioè in sede di esame della legge di stabilità per il 2016, una disposizione che avesse stabilito con chiarezza quanto si era appena impegnato a fare attraverso un atto normativo di rango secondario, ha ritenuto sufficiente richiamare il principio generale stabilito dal decreto legislativo n. 180 del 2015, il quale afferma che, nel caso di applicazione di una procedura di risoluzione di banche, agli azionisti e agli obbligazionisti non si può applicare un trattamento peggiorativo rispetto a quello che sarebbe spettato loro nel caso di liquidazione coatta amministrativa della banca interessata;
   non è possibile con norme di rango secondario, quali sono i decreti ministeriali o i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, aumentare i livelli di rimborso già stabiliti da una norma di rango primario, nella fattispecie dalle disposizioni di cui ai citati commi da 855 a 861 dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016). Secondo il principio di legalità, infatti, essi devono essere pienamente conformi alla legge dalla quale discendono;
   il Governo aveva manifestato pubblicamente l'intenzione di inserire la definizione più puntuale delle modalità di rimborso e della composizione del collegio arbitrale nel decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, recante la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio, salvo poi escluderlo in ultima istanza e rimandare tutto ai decreti ministeriali già previsti –:
   se tale scelta sia da intendersi come evidenza della volontà del Governo di limitare il quantum dei rimborsi ai soli 100 milioni di euro previsti dalla legge di stabilità per il 2016, quale dotazione del Fondo di solidarietà alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi o, diversamente, con quale provvedimento abbia intenzione di stabilire che lo stesso sia alimentato da eventuali plusvalenze derivanti dalla cessione degli asset e dei crediti delle quattro banche sottoposte a procedura di risoluzione. (3-02019)


   GUIDESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, INVERNIZZI, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere — premesso che:
   il «giallo» di via XX settembre sulla possibilità – ovvero necessità – di una manovra correttiva, alla luce dei dati Istat sul prodotto interno lordo peggiori rispetto alle stime del Governo, ha riempito le notizie stampa degli ultimi giorni;
   durante il programma «L'Intervista», il Vice Ministro Zanetti ha detto che è «prematuro» parlare di una manovra correttiva, ma «non è escluso che possano essere necessari piccoli aggiustamenti»; immediata la smentita dell'altro Vice Ministro, Morando, per il quale quello degli «aggiustamenti è un problema che non esiste. Non vedo proprio perché in una fase come questa, in cui in Europa dobbiamo chiudere sulle clausole di flessibilità, dobbiamo parlare di aggiustamenti»;
   è chiaro dunque che al momento il Ministero dell'economia e delle finanze è in attesa del giudizio della Commissione europea, ma è anche un dato di fatto che lo 0,6 per cento di incremento del prodotto interno lordo certificato per il 2015 è inferiore alle attese del Governo e quindi rende credibile l'indiscrezione di una «manovra light» sui conti pubblici da 2-4 miliardi di euro;
   una manovra correttiva che agirà interamente sulle spese preoccupa non poco gli interroganti, specie in ragione dell'altro mistero di questi giorni circa la volontà del Governo di tagliare le pensioni di reversibilità, qualificandole come prestazione assistenziale, invece che previdenziale, ed agganciando il trattamento all'Isee della famiglia –:
   quale sia la posizione ufficiale ed univoca del Governo in merito all'ipotesi di una manovra correttiva, come intenda procedere qualora fossero necessari interventi per bilanciare lo scostamento rispetto alle previsioni formulate nel documento di economia e finanza e se l'ipotesi di una revisione in senso penalizzante dell'istituto della reversibilità trovi conferma. (3-02020)


   L'ABBATE, PESCO, RUOCCO, ALBERTI, VILLAROSA e PISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 4 dicembre 2013 la Commissione europea ha comminato sanzioni per un totale di 1,7 miliardi di euro a carico di alcuni istituti finanziari (tra cui Deutsche Bank, Société Générale, Royal Bank of Scotland, JP Morgan e Citigroup), ritenuti colpevoli – al termine di un'indagine condotta dalla stessa Commissione – di aver costituito cartelli illegali allo scopo di manipolare due tassi interbancari, l'Euribor e il Libor, utilizzati nel mercato dei mutui immobiliari e dei derivati. In particolar modo, le azioni irregolari contestate sono due: a) la prima posta in essere dal 2005 al 2008 consistente nella manipolazione del tasso Euribor relativamente ai derivati denominati in euro; b) la seconda posta in essere mediante un cartello attivo tra il 2007 e il 2010 e consistente nella manipolazione del tasso Libor relativamente ai derivati denominati in yen;
   l'Euribor ed il Libor sono due dei tre principali tassi di riferimento per il mercato dei derivati e dei mutui che vale il 53 per cento del prodotto interno lordo europeo, condizionano i prezzi di strumenti finanziari e influenzano diversi miliardi di trattative. Un'intesa tra le banche per orientare il loro valore produce profitti immensi con l'effetto di generare anche pesanti perdite per consumatori e investitori, distorsioni nell'economia reale ed una crescente sfiducia verso le istituzioni, nazionali ed europee, preposte alla vigilanza in materia;
   la manipolazione dei suddetti tassi interbancari costituisce una condotta anticoncorrenziale in violazione dell'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Il Commissario europeo per la concorrenza Joaquìn Almunia – investito della questione – ha dichiarato: «Quel che è scioccante non è solo la manipolazione degli indici, ma anche la collusione tra banche che si suppone siano concorrenti»;
   da quanto si apprende da fonti stampa e dalle indagini effettuate dalle competenti istituzioni europee gli accordi che conducevano alla definizione di un determinato tasso per una certa quantità di derivati in vendita in una certa data erano stilati direttamente tra i trader degli istituti bancari, mascherati con «nomi d'arte» e pronti a sfruttare anche chatroom delle piattaforme finanziarie (a partire da piattaforma di Bloomberg);
   la condotta degli istituti bancari ha determinato una rilevante distorsione del sistema economico e finanziario e le sanzioni comminate dalla Commissione europea non implicano nessuna forma di risarcimento per lo Stato italiano, gli enti locali ed i cittadini che utilizzano quotidianamente strumenti finanziari parametrati ai tassi Euribor e Libor;
   da fonti stampa si apprende che la sentenza di condanna nei confronti delle banche risulti ancora non pubblica, o meglio segreta. La pubblicazione della sentenza potrebbe determinare una crescita esponenziale dei ricorsi ed il conseguente risarcimento del danno da parte di enti pubblici ed ignari cittadini e ciò determinerebbe un'esposizione per diversi miliardi di euro degli istituti di credito colpevoli. Da una stima la sola manipolazione dell'Euribor riguarderebbe prodotti finanziari per un valore superiore a 400 mila miliardi di euro pari ad oltre 200 volte il debito pubblico italiano. Un eventuale risarcimento – da parte delle banche interessate – del solo 1 per cento del valore stimato sarebbe pari a 4 mila miliardi di euro. Nel caso dello Stato italiano dal 2005 al 2008 il valore complessivo dei mutui a tasso variabile contratti dai cittadini italiani è pari a circa 230 miliardi di euro e la relativa quota interessi parametrata al tasso Euribor è pari a 30 miliardi di euro. Secondo le stime effettuate da diverse associazioni di categoria almeno 16 dei 30 miliardi di euro dovrebbero essere restituiti ai cittadini. In particolar modo l'Adusbef sostiene che le violazioni commesse potrebbero implicare la nullità dei contratti e qualora questa ipotesi dovesse verificarsi le banche dovrebbero restituire il valore complessivo della quota interessi (30 miliardi di euro);
   alla presentazione della richiesta di accesso agli atti – al fine di prendere visione della suddetta sentenza – il direttore generale della direzione concorrenza, il tedesco Johannes Laitenberger, ha dichiarato che la pubblicazione del documento potrebbe arrecare pregiudizio alle indagini ancora in corso e che la normativa europea tutela la riservatezza delle banche condannate. La stessa direzione aggiunge che tale riservatezza potrebbe venir meno solo in relazione ad una manifestazione di interesse pubblico che non sembrerebbe dimostrata nelle istanze presentate. Quindi si evince che, nonostante la truffa e la violazione della concorrenza riguardi cittadini, istituzioni pubbliche e tutto il sistema economico e finanziario europeo, le competenti istituzioni europee non reputano tali circostante rilevanti per la dichiarazione di pubblico interesse;
   in sede di risposta all'interrogazione n. 5/01728 a prima firma del deputato Daniele Pesco, il Ministero dell'economia e delle finanze ha dichiarato che: «(...) la Commissione vigila perché siano applicati i principi fissati dagli articoli 101 e 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Istruisce, a richiesta di uno Stato membro o d'ufficio e in collegamento con le autorità competenti degli Stati membri che le prestano assistenza, i casi di presunta infrazione ai principi suddetti. Qualora accertasse l'esistenza di violazioni, propone i mezzi per porvi termine. Inoltre, anche l'articolo 105, comma 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede che la Commissione europea vigili affinché siano applicati i principi fissati dallo stesso Trattato con riguardo alla tutela della concorrenza. Spetta quindi alla Commissione europea di constatare l'esistenza di infrazioni. Il ruolo degli Stati membri nella fattispecie viene circoscritto dallo stesso Trattato al solo richiedere che la Commissione agisca, ove essa non ne avesse già preso atto d'ufficio, o al prestare assistenza alla stessa nello svolgimento di tale compito» –:
   se il Governo abbia richiesto ovvero intenda richiedere la pubblicazione della decisione di condanna della Commissione europea relativa alla manipolazione del tasso Euribor al fine di tutelare gli interessi pubblici e di agevolare i cittadini italiani e gli enti locali nel proporre le istanze di risarcimento del danno nelle competenti sedi giudiziarie, quali siano i mezzi proposti dallo Stato italiano e quali mezzi intenda proporre alle competenti istituzioni europee per porre rimedio alle violazione dei principi fissati dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea da parte degli istituti di credito e se intenda proporre, nelle opportuni sedi, un intervento dello Stato italiano al fine di prestare assistenza alla Commissione nello svolgimento dei preposti compiti in materia. (3-02021)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dagli organi di stampa che Poste italiane spa, nella funzione di istituto di credito a partecipazione pubblica, ha assunto la decisione di disattivare i prelievi dalle proprie postazioni Postamat fuori dall'orario lavorativo e durante il fine settimana;
   Poste italiane di Puglia e della provincia di Matera, nello specifico, hanno provveduto a bloccare il servizio Postamat già dal 6 febbraio 2016, svuotando altresì i distributori automatici di banconote negli orari di chiusura;
   la direzione, secondo le notizie di stampa, ha spiegato il provvedimento assunto facendo riferimento ai numerosi atti criminali di furto, anche con scasso, che hanno provocato danni alle diverse strutture colpite;
   di tale decisione non vi è stata alcuna preventiva comunicazione agli utenti che hanno subito numerosi disagi, come rilevato anche dalle associazioni dei consumatori, in quanto posti in condizioni di difficoltà per il reperimento del contante, dato che molti commercianti non consentono il pagamento con carta di credito per importi bassi, oppure sono stati costretti al prelievo presso altri istituti di credito con addebito della relativa commissione per l'operazione, a fronte di un servizio di postamat 24 ore, già pagato, di cui sono stati privati;
   i titolari di un conto corrente postale sono stati altresì privati di tutti gli altri servizi erogati dalle postazioni Postamat;
   ciò ha inevitabilmente comportato anche disagi negli orari di apertura delle sedi postali in cui le file si sono ingrossate;
   in questo modo si è creata anche una difformità fra i titolari di un conto presso un istituto bancario e quelli titolari di un conto presso un ufficio postale;
   rispetto a queste situazioni, invece, Poste italiane fruisce di una copertura con relativa polizza assicurativa –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano valutare l'assunzione di iniziative, per quanto di competenza, volte alla revoca del provvedimento di chiusura assunto da Poste italiane o se intendano porre in essere altre iniziative a tutela degli utenti;
   se il Ministro dell'interno possa fornire elementi sullo stato di sicurezza nei luoghi colpiti dagli atti criminosi citati e se intenda disporre specifiche misure di vigilanza presso gli obiettivi sensibili, magari con pattugliamenti notturni. (5-07787)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 13 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201 ha introdotto l'Imu in «anticipazione sperimentale»; Il decreto legislativo n. 23 del 14 marzo 2011 ha stabilito, a partire dal 2014, l'applicazione dell'Imu ai soli immobili diversi dall'abitazione principale; presupposto dell'imposta è il possesso di beni immobili: fabbricati e terreni agricoli. L'Imu è quindi dovuta dai contribuenti per anni solari, proporzionalmente alla quota di possesso dell'immobile e in relazione ai mesi dell'anno per i quali il bene è stato posseduto; la legge di stabilità 2014, n. 147 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2013) ha introdotto una nuova imposta unica comunale (Iuc) che si articola in tre componenti: l'Imu (disciplinata dall'articolo 13 del decreto-legge n. 201 del 2011), la Tari e la Tasi; la legge di stabilità 2016 ha confermato l'imposta;
   in risposta ad un ricorso di un cittadino che aveva visto respingere dal comune le proprie istanze per il rimborso dell'Imu pagata per gli anni 2012 e 2013, la Corte tributaria provinciale di Massa Carrara, con ordinanza n. 219 del 19 marzo 2015, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge istitutiva dell'imposta unica sugli immobili (IMU), in relazione agli articoli 53 e 42 della Costituzione, ritenendo «non manifestamente infondata» l'eccezione di incostituzionalità sollevata, con conseguente remissione degli atti alla Corte Costituzionale;
   l'ordinanza di remissione ha messo in evidenza, innanzitutto, il contrasto con il principio di capacità contributiva sancito dall'articolo 53 della Costituzione, essendo l'Imu dovuta «indipendentemente dalla percezione di un reddito da parte del proprietario del bene. Il soggetto passivo è, cioè, tenuto al pagamento dell'imposta anche se privo di reddito, o se percettore di un reddito non sufficiente alla copertura dell'imposta: evenienze non improbabili, specie in tempi di recessione economica e di contrazione delle offerte di lavoro»;
   da questo punto di vista si profila, pertanto, anche un possibile contrasto con l'articolo 42 della Costituzione, in quanto la necessità di pagare l'Imu potrebbe condurre alla perdita del diritto di proprietà sulla abitazione principale;
   l'Imu costituisce una delle principali voci di entrata nella gran parte dei bilanci comunali, sicché l'eventuale dichiarazione di illegittimità di tale tributo potrebbe avere per l'interrogante effetti dirompenti sulle casse comunali, non solo per l'avvenire ma, forse, anche con effetti retroattivi;
   anche in dottrina, diversi giuristi ritengono necessario un radicale ripensamento dell'impianto normativo dell'Imu, in modo da dare piena attuazione al principio costituzionale della capacità contributiva, attribuendo all'imposta carattere progressivo; a tal fine, de iure condendo, sarebbe necessario per l'interrogante sommare tutti i valori patrimoniali per ciascun soggetto passivo ed applicare una rettifica, in diminuzione, della base imponibile, in funzione del reddito complessivo dichiarato nell'annualità di imposta precedente;
   questo meccanismo servirebbe ad introdurre, nel calcolo dell'imposta, la componente della «personalità», così abbandonando un criterio di imposizione esclusivamente di tipo «reale», premiando la fedeltà fiscale e penalizzando l'evasione pregressa; sarebbe così possibile tenere conto di altri parametri di natura personale o familiare, quali, ad esempio, la destinazione urbanistica dell'immobile o la condizione economica generale del contribuente e della sua famiglia. Infatti, una normativa sulla imposizione immobiliare che sia equa e costituzionalmente compatibile non può non considerare la condizione della famiglia del contribuente e delle sue esigenze primarie, allo scopo di adattare la tassazione con modalità ad assetto variabile, alla sua reale capacità contributiva –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra esposta e del contenzioso pendente presso la Corte Costituzionale relativo alla imposta municipale unica;
   se sia stato stimato quali possano essere le ripercussioni sulle casse comunali e sulla finanza pubblica di un'eventuale sentenza della Consulta che confermi le criticità sollevate dalla corte tributaria Provinciale di Massa Carrara;
   quali iniziative di competenza abbia assunto o intenda mettere in campo, anche de iure condendo e in via precauzionale, per evitare eventuali gravi conseguenze per le casse comunali e la finanza pubblica generale. (5-07795)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Giuseppe Bruno, nato il primo giugno 1939, dirigente a riposo del Ministero delle finanze e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dopo le prime esperienze lavorative maturate dal 1964 presso l'Ispettorato compartimentale tasse del Piemonte dove è stato apprezzato per le sue «qualità morali» e per la sua «vastissima cultura giuridico-fiscale che affina costantemente» (nota 29 maggio 1974 Ispettorato compartimentale tasse Torino), dal 26 aprile 1975 al 1° maggio 2005 ha svolto le seguenti funzioni dirigenziali: Conservatore dei RR. II. di Pinerolo, Torino, Siragusa, Bergamo e Catanzaro; direttore dell'ufficio registro atti civili e dell'ufficio Iva di Catania; dal febbraio 1992 ad aprile 1994 di amministratore straordinario delle USL siciliane n. 21 di Piazza Armerina e n. 29 di Caltagirone, nonché di commissario ad acta presso la Usl n. 30 di Palagonia; dal 2 maggio 2001 e fino al 1o maggio 2005 ha svolto le funzioni di direttore delle direzioni provinciali del lavoro di Como, Catanzaro, Mantova e Brescia;
   per quanto oggetto della presente interrogazione, la direzione dell'ufficio IVA di Catania è stata tenuta dall'11 marzo 1996 al 21 gennaio 2000;
   tale percorso professionale è stato connotato da indiscussa alta capacità professionale e correttezza e da risultati gestionali di straordinaria efficacia e positività (il migliore risultato negli anni 1998-1999 in ambito regionale IVA), oggetto di molteplici note di apprezzamento di organi istituzionali e di rappresentanti delle categorie imprenditoriali e professionali, ulteriormente impreziositi da un notevole impegno culturale espressosi attraverso numerosi scritti su temi di interesse professionale, pubblicati sin dal 1975 sulla rivista di legislazione fiscale, sulla rivista di diritto ipotecario e legislazione immobiliare (di cui è stato anche componente del comitato di redazione), sul Settimanale Sicilia imprenditoriale, su Il Lavoro Finanziario e sul quotidiano La Sicilia;
   trovavano, altresì, autorevole riscontro nei decreti del Presidente della Repubblica in data 2 giugno 1983, 2 giugno 1990 e 2 giugno 2004 con i quali la Presidenza della Repubblica conferiva al dottor Bruno le onorificenze di cavaliere, ufficiale e commendatore al merito della Repubblica;
   nonostante l'alta positività quali-quantitativa di tale impegno, il percorso professionale esplicato dal dottor Bruno in Sicilia nel periodo 2 gennaio 1991 – 25 gennaio 2000 diveniva oggetto di una Martellante azione di contrasto, connotata da oggettivi elementi di aperta ostilità ed illegittimità (cfr. anche relazione 72/98 SeCIT), da parte dell'ispettore compartimentale di Palermo, dottor G. Ignizio, nominato poi direttore regionale del dipartimento delle rate della Sicilia, come significativamente comprovato dalle ordinanze cautelari n. 15020 dell'11 novembre 1998, n. 1/99 del 15 dicembre 1998, 11 luglio 2000, 13 ottobre 2000 con le quali i magistrati del lavoro di Catania hanno cautelarmente sospeso gli iniqui provvedimenti adottati in danno del dottor Bruno, e dal rapporto in data 24 ottobre 2000 con il quale, su ordine del magistrato del lavoro, l'ufficiale giudiziario incaricato della esecuzione dell'ordinanza in data 13 ottobre 2000 denunziava ex articolo 388 c.p. il direttore generale ed il direttore regionale dell'Agenzia delle entrate, nonché il direttore dell'ufficio IVA di Catania, per essersi costoro rifiutati di dare esecuzione a detta ordinanza con la quale si ordinava la reintegra del dottor Bruno nella funzione di direttore dell'ufficio IVA, dalla quale, era stato illegittimamente rimosso in data 26 gennaio 2000, senza alcuna preventiva informazione e contestazione;
   si premette, altresì, che in perfetta corrispondenza temporale con tali ultimi eventi veniva avviata in data 25 luglio 2000, subito dopo la citata ordinanza 11 luglio 2000, dal servizio ispettivo regionale una verifica sul servizio rimborsi dell'ufficio IVA di Catania, che si concludeva con rapporto 17/2000 del 20 novembre 2000;
   si può, pertanto, non escludere che le valutazioni conclusive di tale verifica fossero influenzate, a giudizio dell'interrogante, da un clima di evidente ribellione dei vertici ministeriali e regionali nei confronti dell'operato dei giudici del lavoro di Catania e di dura ostilità nei confronti della persona e dell'operato del dottor Bruno, come peraltro autorizzano a concludere le false rappresentazioni dei fatti e le evidenti grossolane parzialità rilevabili in detto rapporto e l'assurda giustificazione data con nota 6 febbraio 2001 prot. 64/Ris dal direttore regionale al provvedimento in data 29 dicembre 1999 con il quale Bruno veniva collocato a «disposizione» della Presidenza del Consiglio dei ministri Ufficio RUD – in conseguenza dei «procedimenti instaurati dalla SV presso il Tribunale di Catania – sezione lavoro – e dalla notifica a questa direzione dei provvedimenti d'urgenza dallo stesso emessi»;
   è pertanto ipotizzabile che il dottor Bruno, sia stato espulso dai ruoli dirigenziali del Ministero dell'economia e delle finanze e costretto a transitare nei ruoli dirigenziali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali non perché si fosse reso responsabile di carenze gestionali, ma perché aveva osato sottoporre al giudizio del tribunale del lavoro gli iniqui provvedimenti adottati nei di lui confronti;
   solo al dottor Bruno (e al capo reparto pro tempore), e non anche ai funzionari istruttori, ai capi reparto e al precedente direttore dell'ufficio IVA che in precedenza, dal 1989 al 10 marzo 1996, avevano gestito ed amministrato il servizio rimborsi dell'ufficio IVA di Catania e l'iter amministrativo dei rimborsi oggetto di verifica, vengono, infatti, imputate le responsabilità della supposta mancata vigilanza sulla esistenza operativa delle società;
   solo nei confronti del dottor Bruno, sulla base, quindi, di una semplice ipotesi di responsabilità amministrativa, vengono proposti (nota Dir. Regionale 28 novembre 2000 n. 1602) provvedimenti di estrema gravità quali il licenziamento e la sospensione per giorni trenta da un rapporto lavoro già estinto da quasi un anno con l'atto di messa a disposizione del 29 dicembre 1999;
   in precedenza, con atto del 27 luglio 1994 prot. 94/198/I.S., lo stesso rettore regionale aveva addirittura richiesto, segretamente e senza alcuna preventiva informazione o contestazione, al Ministero l'assegnazione del dottor Bruno ad ufficio posto fuori della regione e, con successiva nota del 3 marzo 1998 prot. 61/ris, ad istanza del dottor Bruno, il medesimo direttore precisava che tale richiesta era stata determinata dai «segnali in ordine al ripetersi di episodi di intolleranza e conflittualità» tra il dottor Bruno e due dipendenti, già oggetto – e da epoca anteriore all'insediamento del dottor Bruno – di numerosi provvedimenti disciplinari, di cui uno sottoposto a procedimento giudiziario presso il tribunale di Caltagirone per l'ipotesi delittuosa di peculato;
   ed ancora, ad ulteriore prova di uno stile connotato secondo l'interrogante da elementi di pura devianza, con nota del 22 gennaio 1999, a pochi giorni dal deposito dell'ordinanza 1/99 del tribunale del lavoro di Catania, lo stesso direttore formulava proposta di recesso nei confronti del dottor Bruno, sempre senza alcuna preventiva informazione o contestazione;
   lo stesso annullamento in autotutela di tale atto di recesso disposto dal direttore generale con provvedimento in data 14 agosto 2002 n. 147961, così come la pur tardiva archiviazione dell'istruttoria n. 003708 da parte della procura regionale della Corte dei conti, avente per oggetto la supporta illegittimità di 12 su 13 rimborsi oggetto del rapporto 17/2000, offrono secondo l'interrogante una inequivocabile conferma della strumentalità di detta verifica e degli atti conseguenti, chiaramente finalizzati secondo l'interrogante all'avvertita necessità di acquisire elementi di giustificazione e legittimazione per gli atti oggetto degli interventi cautelari dei giudici del lavoro e per i comportamenti oggetto del menzionato rapporto ex articolo 388 c.p. dell'ufficiale giudiziario;
   fatti che consentono, altresì, di riconoscere attendibilità alla ipotesi di appartenenza politica, del direttore regionale al gruppo di potere consolidatosi attorno alla persona di Ciancimino e altri, formulata sullo scritto apparso in data 8 settembre 1992 sull'organo di stampa «Sole 24 Ore» sotto il titolo «Finanze, le nomine al giudizio di Amato», e di ricondurre, conseguentemente, l'insorgenza del clima di aperta ostilità nei confronti del dottor Bruno al contrasto tra culture contrapposte: quella del direttore regionale, a quanto risulterebbe all'interrogazione affine alla personalità politica di quel personaggio, e quella del dottor Bruno, sempre orientata al fermo rigoroso rispetto dei precetti della legalità funzionale e della trasparenza;
   per quanto oggetto specifico della presente interrogazione, si deve rilevare che con il rapporto 17 del 2000 si contestava al dottor Bruno un supposto danno erariale che sarebbe stato cagionato da supposti indebiti rimborsi erogati a 13 soggetti Iva per complessive lire 4.480.900.000, considerati illegittimi per la ritenuta inesistenza operativa di detti soggetti;
   in data 2 gennaio 2001 veniva notificato al dottor Bruno il relativo provvedimento di costituzione in mora del 14 dicembre 2000 prot. 79964, contenente contestuale intimazione a versare l'ingente somma, oltre interessi e rivalutazione monetaria;
   in data 7 gennaio 2001 il dottor Bruno veniva ricoverato d'urgenza al pronto soccorso di Paternò per crisi circolatoria; successivamente il dottor Bruno subiva due interventi all'apparato cardiovascolare, nonché l'insorgenza di altre gravi patologie ancora in corso di migliori accertamenti;
   per il rimborso erogato in complessive lire 889.441.000 in favore del 13o soggetto, la società «Ortofrutticola Normanna SRL», veniva immediatamente avviato procedimento di responsabilità amministrativa, tuttora pendente dinanzi alla suprema Corte di Cassazione ex articolo 395 cpc per errore di fatto, dolo e violazione articolo 111 della Costituzione;
   per i rimborsi erogati in complessive lire 3.591.459.000 ai restanti dodici soggetti veniva avviata istruttoria da parte della procura regionale della Corte dei Conti;
   nonostante le varie istanze di riesame e verifica (8 maggio 2006, 16 ottobre 2010, 3 luglio 2012), inoltrate dal dottor Bruno anche alla procura regionale, soltanto in data 2 aprile 2013 prot. 22844/FM la direzione regionale dell'Agenzia delle entrate comunicava che con provvedimento del 15 marzo 2012 detta procura aveva archiviato la predetta istruttoria per assenza di elementi di colpa grave;
   per ben dodici anni, quindi, il dottor Bruno è stato, ad avviso dell'interrogante indebitamente, sottoposto alle immani sofferenze generate da una istruttoria protrattasi al di là di ogni ragionevole durata ed è vissuto, unitamente alla sua famiglia, nello sconvolgimento psichico e nell'angoscia prodotti dall'atto di costituzione in mora del 14 dicembre 2000 e dai relativi periodici rinnovi;
   anche con riferimento al procedimento avviato per la supposta illegittimità del rimborso erogato al 13° soggetto, la menzionata società Ortofrutticola Normanna, in atto, come detto, pendente dinnanzi gialla suprema Corte di Cassazione (giudizio n. 25642/14), il dottor Bruno produceva, sin dal 12 settembre 2001, numerose (n. 19) documentate istanze di riesame, alle quali sia l'Agenzia, sia gli organi della magistratura contabile di Palermo, hanno di fatto opposto un sistematico silenzio-rifiuto, a giudizio dell'interrogante propiziando in tal modo, se non addirittura provocando, per la natura esclusivamente tecnica delle problematiche oggetto di giudizio, le avverse sentenze dei giudici contabili;
   a seguito dell'ennesimo silenzio-rifiuto opposto dall'Agenzia dell'entrate all'istanza in data 8 ottobre 2008, con atto del 7 agosto 2009, il dottor Bruno, «con profonda amarezza per tale ennesima manifestazione di indifferenza verso elementari principi di giustizia», restituiva al Presidente della Repubblica gli atti di conferimento della anzidette onorificenze non potendo «riconoscere a questo Stato il diritto di premiarmi e di insignirmi con una mano e di offendere irreparabilmente il mio onore civile e la mia dignità professionale con l'altra, calpestando i diritti morali e professionali del mio ultraquarantennale impegno esplicato nella costante e rigorosa osservanza dei precetti giuridici e dei principi etici che stanno alla base del nostro Ordinamento»...«uno Stato che nella granitica difesa del proprio operato si è rifiutato e si rifiuta di riconoscere gli errori commessi in Sicilia da propri Organi indegni ed infedeli e di rendermi giustizia»...«che mi perseguita con sordo accanimento perché nell'onesto e coerente svolgimento delle mie funzioni ho tentato, anche qui in Sicilia, con l'abituale coerenza e rigore legalitario, di rispettare e far rispettare la sua legge, rimuovendo e recuperando quelle anomalie...»;
   nessun provvedimento, nessuna iniziativa: solo silenzio anche da parte della Presidenza della Repubblica che si limitava a disporre la pubblicazione della revoca, per rinunzia, delle predette onorificenze;
   nella sorda persistenza del silenzio-rifiuto dell'Agenzia delle entrate, il dottor Bruno produceva, altresì, in data 20 giugno 2012, esposto denunzia alla procura della Repubblica di Catania per l'accertamento di possibili responsabilità penali a
carico del direttore generale, del direttore regionale e del responsabile del servizio audit sicurezza della direzione regionale della Sicilia dell'Agenzia delle entrate;
   seguivano gli appelli in data 3 luglio 2013 e 7 ottobre 2013 al Ministro dell'economia e delle finanze e in data 11 luglio 2013 al Ministro della giustizia perché ordinassero l'avvio di attività istruttoria per la verifica della fondatezza del presupposto del procedimento;
   anche tali appelli sono caduti nel vuoto istituzionale espresso dal 2001 dagli organi di vertice del Ministero interrogato e dell'Agenzia delle entrate, così come le successive istanze in data 12 aprile 2014, 12 luglio 2014, 5 gennaio 2015, 9 luglio 2015;
   stessa sorte era toccata all'interrogazione presentata al Senato n. 4-01739, prodotta dal senatore Franco Cardiello in data 24 febbraio 2014, con la quale si chiedeva al Ministro «di far conoscere quali urgenti iniziative intenda adottare perché, in conformità dei su richiamati principi, venga rimossa l'ultradecennale inerzia omissiva opposta dagli organi centrali e regionali dell'Agenzia delle Entrate nei confronti delle menzionate molteplici istanze del dottor Bruno», alla quale ad oggi il Ministro non ha ritenuto di dare il dovuto riscontro;
   per la migliore comprensione della materiale inesistenza di qualsivoglia elemento giustificativo del procedimento, si ritiene di dovere ulteriormente precisare: che la supposta inesistenza operativa della società fruitrice della rimborso oggetto del procedimento è stata desunta dall'unico documento costituito dal verbale dell'accesso in data 30 novembre 1995 per l'accertamento dell'esistenza operativa della società, eseguito ad istanza dell'ufficio IVA di Catania dai funzionari dell'ufficio IVA di Agrigento (nota 2 dicembre 1995 protocollo 156/D ufficio IVA di Agrigento), sulla base delle erronee indicazioni fornite da un cittadino, peraltro non identificato, in una sede diversa (Licata via Palma 305) da quella nella quale la società risultava aver regolarmente operato (Licata via Palma 317), per come comprovato dalle circa 70 prove documentali prodotte dal titolare della società ad istanza dell'ufficio, oltre che dai circa 50 documenti depositati nel fascicolo processuale dalla Guardia di finanza;
   in tale documento, infatti, non si dà affatto atto dell'inesistenza operativa della società, bensì del fatto che «allo stato degli atti e dalle informazioni assunte non si è in grado di potere accertare la effettiva esistenza della società e l'oggetto dell'attività eventualmente esercitata»;
   la regolare esistenza della società risulta comprovata dai seguenti documenti, prodotti dal titolare della società, a richiesta dell'ufficio, nel corso del 1995 e successivamente: contratto di locazione registrato a Licata il 15 agosto 1989 n. 428; fatture relative ai consumi di energia elettrica e traffico telefonico per vari milioni di lire nella sede di via Palma 317; autorizzazioni all'avviamento al lavoro di diecine di dipendenti rilasciate da alcuni uffici di collocamento della provincia di Agrigento; varie diecine di fatture (numero tre per ogni tipologia di aliquota IVA); contratto di assicurazione con la Reale Mutua; denunzia contro ignoti per l'incendio doloso che nella notte del 1o-2 aprile 1989 aveva distrutto il magazzino di via Palma 400 (Licata), originaria sede operativa della società e la relativa sentenza di archiviazione del procedimento contro ignoti da parte del tribunale penale di Agrigento; libro matricola regolarmente vidimato; varie diecine di certificazioni di Uffici pubblici; costanti rapporti epistolari e personali tra l'ufficio ed il titolare della società dal 1989 al 1999;
   nei confronti di dette prove documentali nessuna verifica venne effettuata o proposta ex articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 dall'organo ispettivo per rimuovere qualsivoglia ombra di dubbio sulla loro fondatezza;
   tale esistenza risulta, altresì, comprovata dalla sentenza 516/09 con la quale il tribunale penale di Catania, nel prosciogliere il titolare della società dall'ipotesi truffa ai danni dello Stato, ha dato esplicitamente atto della regolare esistenza della società perché non facente parte del «paniere delle cartiere» e perché aveva operato in «posizione diversa» da quella degli altri soggetti imputati e condannati;
   essa risulta ancora comprovata dalle libere e spontanee dichiarazioni rese da cinque ex dipendenti della società all'Agenzia Investigativa autorizzata «Wolfe Servizi S.r.L.» di Agrigento in data 18 gennaio 2013, incaricata dal dottor Bruno di procedere, nella persistente inerzia omissiva dell'Agenzia delle entrate, alla ricerca di testimonianze sulla regolare esistenza della società;
   con rapporto interno in data 14 agosto 1996 protocollo 146 il funzionario istruttore relazionava in ordine alle comprovata esistenza della società sulla base di detta documentazione in perfetta conformità con le disposizioni della Circ. 19/93 – punto 1.5 –;
   anche la responsabile del reparto Atti giudiziari e giuridici, cui la pratica risulta assegnata nel marzo 1997 per l'esame di legittimità, non sollevava alcun rilievo in ordine alla regolarità del richiesto rimborso;
   a conferma del pacifico convincimento in ordine alla regolare esistenza della società per come abbondantemente comprovata dalla documentazione esistente agli atti, nessuna segnalazione, a quanto risulta all'interrogante, venne fatta in occasione delle operazioni di consegna per il passaggio di gestione dell'ufficio da parte del direttore cessante alla data dell'11 marzo 1996;
   sia l'Agenzia delle entrate, sia i giudici contabili, sia lo stesso Ministro interrogato nel contesto dei suoi poteri-funzioni di vigilanza sull'operato dell'Agenzia, nonostante le diciannove documentate istanze del dottor Bruno ed anche in considerazione dei dubbi espressi dall'ispettrice nel rapporto 17/2000 in ordine alla attendibilità di quelle prove, mai hanno compiuto o disposto la opportuna attività istruttoria per la verifica della fondatezza sia delle prove documentali esistenti agli atti, sia delle valutazioni conclusive espresse in tale rapporto, impedendo in tal modo l'acquisizione dei necessari elementi di certezza e verità sull'oggetto del giudizio contabile e determinando conseguentemente l'esito negativo di tale giudizio;
   il giudice contabile d'appello, infatti, ha condannato il dottor Bruno a rifondere allo Stato l'ingente somma di oltre 370.000 euro, compresi interessi e rivalutazione monetaria, non perché quelle prove fossero risultate false od, infondate o perché quella sentenza definitiva del giudice penale fosse risultata erronea od infondata, ma perché quella sentenza si riferiva a soggetti diversi quelli coinvolti nel giudizio contabile e perché quelle prove erano state prodotte in «fotocopia» o perché «corrette» o perché considerate «poche rispetto al giro di affari», mostrando il giudice di non accorgersi che soltanto un solo documento su 70 risultava corretto con correzione leggibile e di ignorare che, nella perfetta osservanza della menzionata circolare 19/93, l'ufficio aveva richiesto alla società di produrre, ai fini del rimborso, soltanto tre fatture per ogni tipologia di aliquota IVA. Mostrando soprattutto, sia l'Agenzia, sia i giudici contabili di Palermo, di non essere assolutamente, interessati all'osservanza dell'elementare obbligo istituzionale di offrire ed assumere a fondamento del loro operato elementi di assoluta certezza e all'accertamento della verità;
   è necessario, ad avviso dell'interrogante, assumere immediate iniziative per assicurare al dirigente dello Stato dottor Giuseppe Bruno, dal 2005 in quiescenza, il rispetto dell'elementare diritto ad essere giudicato sulla base dell'imprescindibile elemento di certezza e verità e per fornire in extremis al giudice elementi assolutamente certi sulla più volte documentata inesistenza del presupposto assunto a fondamento del procedimento –:
   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare, nell'obbligato rispetto dei precetti dell'imparzialità, correttezza, buona fede e buon andamento, e nell'osservanza vincolata dei vigenti precetti in materia di giusto processo e del conseguente obbligo di fornire al giudice elementi di assoluta certezza e verità su quanto oggetto del suo giudizio, per contribuire a una sia pur tardiva chiarezza sulla reale e regolare esistenza della predetta società per come comprovato dalle prove documentali più avanti elencate e, quindi, sull'inesistenza del presupposto del procedimento. (4-12114)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, AGOSTINELLI, BUSINAROLO, COLLETTI e BONAFEDE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 41, comma 6, lettera b), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, stabilisce che il tirocinio professionale del praticante avvocato può essere svolto presso gli uffici giudiziari, rimandandone la disciplina (articolo 44) all'emanazione di un decreto ministeriale;
   l'articolo 73 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, modificato dagli articoli 50 e 50-bis del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, prevede che i laureati in giurisprudenza più meritevoli possano accedere, a domanda e per una sola volta, a stage di formazione teorico-pratica della durata di diciotto mesi presso gli uffici giudiziari, per assistere e coadiuvare i magistrati delle corti di appello, dei tribunali ordinari, degli uffici requirenti di primo e secondo grado, degli uffici e dei tribunali di sorveglianza, dei tribunali per i minorenni nonché i giudici amministrativi dei TAR e del Consiglio di Stato;
   a fronte di un carico di lavoro particolarmente gravoso, fatta esclusione per l'eventuale corresponsione di una borsa di studio per un massimo di soli 400 euro mensili, agli stagisti che hanno concluso con esito positivo il tirocinio formativo di diciotto mesi sono riconosciuti alcuni vantaggi di tipo curricolare, fra i quali l'effetto sostitutivo pari ad un anno di pratica forense;
   relativamente alle disposizioni richiamate, in data 11 aprile 2015, il Ministro della giustizia ha trasmesso alle competenti commissioni delle Camere uno schema di decreto ministeriale, non ancora adottato concernente il «regolamento recante disciplina dell'attività di praticantato del praticante avvocato presso gli uffici giudiziari», inclusivo dei termini di collaborazione tra gli ordini circondariali forensi e gli uffici giudiziari coinvolti;
   nelle more dell'adozione del suddetto regolamento, a quanto risulta agli interroganti, tra i numerosi stagisti praticanti avvocati che hanno compiuto con esito positivo il proprio tirocinio di un anno e sei mesi presso gli uffici giudiziari, alcuni di essi non hanno visto riconosciuto dai propri ordini circondariali – ad esempio, presso l'ordine di Cagliari – il vantaggio, ai sensi di legge, dell'effetto sostitutivo dell'esito positivo dello stage per il periodo di un anno di pratica forense;
   lo stesso regolamento in via di adozione non determina in maniera esaustiva la disciplina transitoria eventualmente applicabile ai casi di cui in premessa –:
   se non intenda assumere iniziative normative per chiarire che il valore sostitutivo del tirocinio ai fini del praticantato debba essere riconosciuto in maniera uniforme da qualsiasi ordine forense e per tutti coloro che lo hanno svolto ai sensi dell'articolo 73 di cui in premessa.
(5-07801)

Interrogazione a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel carcere di Rossano (Cosenza) sorge quella che tutti chiamano la «Guantanamo italiana». Qui sono rinchiusi 21 detenuti accusati di terrorismo internazionale, quasi tutti integralisti islamici affiliati ad Al Qaeda, ma c’è anche qualcuno accusato di essere affiliato all'Isis. Dopo aver saputo degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi, gli agenti della polizia penitenziaria hanno sentito quattro di loro esultare e al grido «Viva la Francia libera»;
   la struttura, costruita nel 2000, ad oggi, ospita 231 detenuti (a fronte di una capienza di 215) e in passato è finita al centro delle denunce dei reclusi per le condizioni delle celle, le presunte torture e di maltrattamenti;
   dal 2009 il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria di Roma ha cominciato a concentrare a Rossano i terroristi impegnati nella guerra santa islamica arrestati su tutto il territorio nazionale. Fra loro c’è anche l'ex imam di Zingoia (Bergamo), il pakistano Hafiz Muhammad Zulkifal, arrestato il 24 aprile 2015 con l'accusa di essere il capo spirituale di una presunta cellula di Al Qaeda, con base operativa in Sardegna. Secondo le indagini della direzione distrettuale antimafia di Cagliari, Zulkifal sarebbe anche coinvolto negli attentati di Stoccolma del 2010. Ed era lui il destinatario di una telefonata in cui si parlava della necessità di «pensare al loro Papa». Da qui è passato anche Khalil Jarraya, il 46enne tunisino detto «il colonnello», ex combattente nelle milizie bosniache, ora espulso dopo la condanna per associazione terroristica internazionale. E anche un altro tunisino, Dridi Sabri, condannato per terrorismo internazionale e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ora anche lui espulso;
   dopo i fatti di Parigi, il carcere ha innalzato i livelli di sicurezza, soprattutto sui visitatori, attivando un pattugliamento armato 24 ore su 24, ma secondo Donato Capece, segretario del sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), in visita nella sezione speciale del carcere calabrese, «il livello di sicurezza è pari a zero». L'istituto, dice Capece, «è carente e inadeguato. Dunque noi o siamo eroi o siamo ingenui. Il personale che ci lavora è specializzato, ma carente. Ogni giorno in quella sezione speciale dovrebbero esserci quattro agenti di polizia penitenziaria, ma purtroppo ne abbiamo solo uno e i turni sono estenuanti». «Non capisco», ha aggiunto Capece, «perché i terroristi islamici debbano essere ristretti nel carcere di Rossano, vicino al centro abitato e non in posti isolati»;
   i detenuti che all'ingresso nelle carceri italiane si professano musulmani sono oltre 5.700. E negli ultimi dieci anni, in base ai dati del Dap; su 202 istituti censiti, i 52 hanno riservato uno spazio adibito a moschea per la preghiera di gruppo. In nove istituti, invece, è permesso l'ingresso di un imam accreditato dal Ministero dell'interno. Da tempo i sindacati di polizia penitenziaria denunciano la scarsa attenzione al proselitismo delle organizzazioni terroristiche negli istituti di pena. La lingua araba, che i detenuti spesso usano per parlare tra loro, di certo non aiuta e gli agenti chiedono una formazione mirata;
   il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria ha affermato: «Al momento non emergono collegamenti tra ’ndrangheta e terroristi, ma ritengo che questo sia un campo investigativo da approfondire perché il terrorismo internazionale troverebbe nella ’ndrangheta un alleato particolarmente utile, sia per le coperture dal punto di vista territoriale sia per il tornaconto che la stessa ’ndrangheta potrebbe avere per le forniture di droga e armi» –:
   se non ritenga opportuno che i 21 detenuti accusati di terrorismo internazionale vengano trasferiti dal carcere di Rossano Calabro ad altri istituti penitenziari;
   se non intenda assumere iniziative volte a dotare l'istituto penitenziario di Rossano di almeno altri 3 agenti di polizia che conoscano la lingua araba così da innalzare il livello di sicurezza e, al contempo, contrastare l'opera di proselitismo delle organizzazioni criminali all'interno degli istituti di pena. (4-12111)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   tra le numerose opere pubbliche incompiute presenti nel nostro territorio figura anche la diga di Bisenti sul fiume Fino (Teramo); si tratta di progetto risalente agli anni Sessanta, nei pressi del comune di Bisenti, lungo il fondovalle del fiume Fino, che prevede la costruzione di una diga che dovrebbe dar luogo a un bacino acquifero, il lago di Bisenti, ma, nonostante la costituzione di una apposita società, il progetto non è mai partito;
   il progetto «Diga Bisenti sul fiume Fino» – riguardante i comuni di Arsita, Bisenti, Castiglione Messer Raimondo, Montefino, Castilenti, Elice, Città Sant'Angelo, Montesilvano – è stato, a suo tempo, regolarmente approvato da tutti gli enti e da tutte le autorità preposti e finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno per un importo complessivo di circa 57 miliardi di lire;
   l'opera è stata appaltata, nel 1984, dalla Cassa per il Mezzogiorno all'impresa appaltatrice per un importo di oltre 36 miliardi di lire;
   nel 1987, con decreto ministeriale n. 1404, è stata assegnata agli enti e ai comuni interessati la concessione di derivazione dell'acqua; di conseguenza sono state acquisite le aree demaniali da invasare;
   successivamente, è stato necessario redigere una perizia di variante e suppletiva per far fronte alle nuove norme contenute nel regolamento per la costruzione delle dighe, il decreto ministeriale n. 2403 del 1982, per ottemperare alle prescrizioni dell'Anas in merito alla deviazione prevista della strada statale n. 365, in ottemperanza alle successive norme e nell'ambito dei divieti contenuti nella cosiddetta «legge Galasso»;
   il nuovo progetto è stato approvato da tutti gli enti interessati e dal consiglio superiore dei LLPP, con votazione n. 378, in data 27 luglio 1990;
   lo scioglimento della Casmez ha impedito il finanziamento e il Ministero ha provveduto alla risoluzione del contratto con la ditta appaltatrice;
   in seguito agli espropri dei terreni, per un ammontare complessivo di sette miliardi di lire, si è provveduto a realizzare la forestazione perilacuale di 90 ettari di terreno ed è stato realizzato un ponte sul fiume Fino;
   il Cipe, con deliberazione n. 121 del 21 dicembre 2001, ha varato la «Legge obiettivo: primo programma delle infrastrutture strategiche» ed ha inserito la realizzazione della «Diga sul fiume Fino a Bisenti» nel «Programma sistemi idrici — Interventi per emergenza idrica nel Mezzogiorno» (Allegato n. 3);
   la realizzazione dell'opera, che permetterebbe l'erogazione di 3,5 milioni di metri cubi di acqua potabile (111 litri/secondo), di 3,5 milioni di metri cubi ad uso industriale (111 litri/secondo) e la produzione di circa 1.500.000 kwh di energia elettrica, risolverebbe in maniera drastica e definitiva i danni arrecati alle valli del Fino e del Saline dalle inondazioni ricorrenti, trattandosi di gravi danni per il territorio e di un notevole rischio per l'incolumità degli abitanti della zona;
   la rilevanza dell'opera a livello regionale è, a parere dell'interrogante, evidente e la sua ricaduta economica e occupazionale sarebbe immediata in ordine agli aspetti turistico-ecologici della grande vallata dei fiumi Tavo-Fino-Saline, alla disponibilità di acqua per uso multiplo (irriguo-potabile-industriale-artigianale e per l'itticoltura), alla produzione di energia elettrica da fonti non inquinanti e alla eliminazione dei danni ricorrenti dovuti alle esondazioni dei sunnominati fiumi;
   il progetto iniziale aveva a suo tempo previsto riflessi occupazionali rilevanti, quantificati nella fase di cantiere in 400 persone per 5 anni (conclusione delle opere), 20 persone per i 4 anni successivi; nella fase media, a regime, era prevista una occupazione media annua di 20 unità per l'esercizio delle reti, di 380 unità per l'agricoltura, l'agroindustria e l'itticoltura e 120 unità impiegate nell'indotto;
   inoltre, l'avvio dei lavori porrebbe fine alla assurda spesa infruttifera fin qui realizzata –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che la realizzazione della diga di Bisenti rappresenti una priorità fra le infrastrutture della regione Abruzzo, tanto più che l'opera è immediatamente appaltabile, previo rapido aggiornamento dovuto al tempo trascorso dalla sua approvazione, e inoltre consentirebbe di mobilitare in tempi molto rapidi risorse rilevanti per un territorio soggetto ad una crisi economica ed occupazionale gravissima. (3-02012)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FERRARESI, DEL GROSSO, COLLETTI e VACCA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in Molise, nel territorio ricompreso nella provincia di Campobasso, risulta incompiuta «l'infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale e di prioritario interesse regionale», compresa fra gli interventi di cui alla legge obiettivo n. 443 del 2001 denominata Acquedotto Molisano Centrale, necessaria per l'adduzione idropotabile delle sorgenti del Biferno ai comuni del Basso Molise;
   ad oggi quindi migliaia di utenze risultano essere servite da acqua proveniente dal potabilizzatore della diga del Liscione che con frequenza fa riscontrare alterazioni dei parametri normativi, atti ad assicurare acqua di buona qualità in uscita dal trattamento di potabilizzazione;
   con delibera del CIPE n. 110 del 29 marzo 2006 veniva approvato il progetto definitivo per la costruzione dell'Acquedotto Molisano centrale (CUP G59J04000020001) per l'importo di euro 92.960.000 (IVA inclusa) presentato da regione Molise;
   attraverso una convenzione stipulata in data 9 ottobre 2006 la regione Molise affidava all'azienda speciale Molise Acque (già ERIM), per la durata di mesi 48 tutte le funzioni e le attività per la realizzazione dei lavori di cui trattasi;
   successivamente Molise Acque esperiva procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, mediante appalto integrato (progettazione esecutiva e costruzione) ex articolo 53, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 163 del 2006, ovvero con criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa;
   esperita la procedura di gara con D.D. n. 033 del 22 luglio 2007, Molise Acque aggiudicava l'appalto con ribasso del 15,17 per cento all'ATI consorzio cooperative costruzioni (capogruppo) Falcione-Favellato-Giuzio-Zurlo; con delibera di consiglio di amministrazione n. 14/07 del 27 giugno 2007, Molise Acque ha approvato il progetto esecutivo redatto dall'impresa aggiudicataria;
   nella fase di esecuzione dell'opera, secondo quanto riportato dalla direzione generale della giunta area IV, si sono rilevate delle criticità che hanno comportato il blocco dei lavori e l'instaurazione di contenzioso fra stazione appaltante e impresa, sfociato nella rescissione contrattuale;
   il presidente della giunta regionale del Molise con decreto n. 198 del 30 giugno 2009 ha nominato il dottor Donato Carlea commissario straordinario per la realizzazione dell'Acquedotto Molisano centrale, ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185 convertito dalla legge n. 2 del 28 gennaio 2008;
   successivamente il comune di Montenero di Bisaccia, con nota prot. n. 2011/00001539 del 15 febbraio 2011, ha richiesto al commissario straordinario di spostare l'ubicazione del serbatoio per la zona marina e di attuare i necessari provvedimenti al fine di garantire nel periodo estivo che l'eventuale integrazione idrica avvenga esclusivamente con acqua proveniente dall'Acquedotto Molisano Centrale e non con quella derivante dal potabilizzatore della diga del Liscione;
   inoltre, il comune di Petacciato, con nota prot. n. 2286 del 10 marzo 2011, ha chiesto al commissario straordinario di modificare il tracciato della condotta ed individuare un nuovo sito di ubicazione del serbatoio di accumulo, al fine di garantire un maggiore apporto idrico alla zona marina in fase di espansione;
   con nota prot. n. 7764/11 il presidente della regione Molise invitava il commissario straordinario a redigere un nuovo studio di fattibilità per la definizione degli ulteriori lavori integrativi della zona costiera che dimostrasse – anche rispetto all'attuale portata dell'acquedotto – la fattibilità delle opere correlate alla richiesta dei comuni di Montenero di Bisaccia e Petacciato e del soggetto gestore (azienda speciale Molise Acque) ai fini del recepimento delle relative risorse finanziarie;
   con ordinanza prot. n. 254/AMC del 15 aprile 2011 è stato approvato lo studio di fattibilità redatto dalla struttura commissariale;
   con nota del presidente della regione Molise n. 0010338/11 del 18 aprile 2011, il commissario straordinario per la realizzazione dell'Acquedotto Molisano centrale e interconnessione con lo schema basso Molise è stato autorizzato ad attuare le procedure di competenza per la redazione della variante progettuale relativa alle ulteriori opere in Montenero di Bisaccia, Petacciato e Termoli;
   con delibera della giunta regionale del Molise n. 457 del 9 luglio 2012, su precisa indicazione del presidente della giunta regionale è stata prevista la destinazione di euro 5.412.000,00 delle risorse regionali al commissario straordinario per la variante progettuale;
   la perizia di cui trattasi, secondo una nota del responsabile unico del procedimento, geometra Domenico Montagano, «costituisce un momento di sintesi della attività svolte in forte collaborazione fra il commissario straordinario, il soggetto gestore (Molise Acque) e i comuni costieri, nell'ottica del superamento di circostanze impreviste ed imprevedibili sopravvenute»;
   l'importo complessivo ammonta a euro 88.894.161,24 di cui: euro 83.269.373,31 – finanziati dal CIPE con delibera n. 110 del 29 marzo 2006, euro 302.787,93 finanziati per compensazione ai sensi dell'articolo 133, comma 4, del decreto legislativo n. 163 del 2006, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 30 settembre 2010, euro 5.412.000,00 destinati con delibera 457 del 9 luglio 2012 della giunta regionale del Molise;
   la perizia di cui trattasi approvata in linea tecnica dal commissario straordinario, è stata inviata alla struttura tecnica di missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'istruttoria di rito, la convocazione della conferenza di servizi e la definitiva approvazione da parte del CIPE –:
   se il Governo, alla luce di quanto sopra esposto, non ritenga opportuno predisporre iniziative per:
    a) accertare, per quanto di competenza, eventuali responsabilità nei ritardi nell'esecuzione dell'opera e l'incremento dei costi legati al suddetto ritardo;
    b) ultimare l'istruttoria di rito presso la struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e procedere alla relativa approvazione definitiva da parte del CIPE a seguito dell'ultima variante progettuale, in modo da dare riscontro in tempi celeri e certi ai cittadini del basso Molise in merito alla definitiva ultimazione dell'infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale e di prioritario interesse regionale, necessaria per l'adduzione idropotabile delle sorgenti del Biferno ai comuni del Basso Molise. (5-07785)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   IACONO, ZAMPA, LAFORGIA, ALBINI, PREZIOSI, FOSSATI, IORI, SCUVERA, MONGIELLO, LA MARCA, GRASSI, AMODDIO, CULOTTA, MANZI, TULLO, OLIVERIO, CARRESCIA, GIULIANI, GRIBAUDO e ROSTELLATO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il nostro ordinamento prevede che l'accoglienza dei minori in stato di bisogno venga gestita dai comuni senza una precisa distinzione tra i minori nati in italiani quelli immigrati dai Paesi esteri;
   l'articolo 1, comma 181, della legge 190 del 2014 dispone che le risorse relative al fondo nazionale per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnanti sono state trasferite a decorrere dalla data del 1o gennaio 2015 da Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Ministero dell'interno;
   attraverso il fondo nazionale per l'accoglienza si dispone l'erogazione, ai comuni che ne fanno richiesta, di un contributo giornaliero massimo di euro 45 per ogni minore, secondo quanto stabilito in sede di tavolo tecnico interministeriale riunitosi per definire le linee applicative dell'Intesa sancita nella seduta della Conferenza unificata del 10 luglio 2014;
   si rileva, altresì, che il costo di un minore affidato ad un istituto preposto alla sua tutela si attesta, a seconda dei casi, tra i 70 e i 100 euro giornalieri;
   pertanto si riscontra la difficoltà, in assenza di contributi integrativi provenienti da altri enti, la difficoltà a coprire l'intera retta con il solo contributo proveniente dal fondo nazionale;
   ciò espone i comuni che ospitano i minori ad una spesa non di lieve entità che spesso non sono in grado di sostenere; tra l'altro, alcuni comuni siciliani hanno fatto sapere, attraverso comunicazione scritta indirizzata alle comunità che ospitano minori stranieri che intendono pagare le rette solo nella misura dei 45 euro giornalieri di cui si ha certa disponibilità, in quanto né i bilanci degli enti locali né le regioni sono disponibili ad integrare tali risorse;
   tali decisioni metterebbero seriamente a rischio la funzionalità di diverse comunità alloggio le quali con il pagamento della retta a 45 euro non sarebbero nelle condizioni di proseguire le proprie attività non potendo onorare gli impegni intrapresi sia nei confronti degli enti previdenziali che nei confronti degli stessi operatori;
   inoltre, l'ospitalità in strutture pubbliche di un minore può protrarsi per molto tempo, anche diversi anni nel caso lo stesso minore rimanga nella comunità in cui è giunto, mettendo in tal modo a rischio i bilanci dei comuni ospitanti, soprattutto di quelli più piccoli che non dispongono delle risorse necessarie per fare fronte al pagamento totale delle rette;
   secondo le stime della organizzazione non governativa Save the Children, sono giunti in Italia circa 10.000 minori non accompagnati che necessitano di cure, istruzione e avviamento al lavoro;
   i bilanci già sotto pressione per gli effetti del patto di stabilità interno e dei tagli ai trasferimenti dallo Stato centrale non consentono un tale esborso di risorse;
   la scelta operata dal Governo regionale della Sicilia di abbassare gli standard professionali e organizzativi per i minori stranieri non accompagnati nella fascia di età tra i 14-18 anni, rispetto ai minori nativi della stessa fascia, opera nei fatti una discriminazione di minori di categoria A e B –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative per incrementare il fondo di cui all'articolo 23, comma 11, quinto periodo, de decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, alleviando in tal modo la pressione economica sui bilanci comunali e sollevando i sindaci dal questo peso finanziario;
   se non ritenga necessario convocare al più presto l'ANCI, in rappresentanza dei comuni, per definire collegialmente una strategia di ospitalità per i minori stranieri non accompagnati;
   se non si ritenga di convocare la Conferenza Stato-regioni per studiare con le stesse regioni forme di integrazione della retta tali da non appesantire i già precari bilanci comunali. (3-02010)


   IACONO, ZAMPA, LAFORGIA, ALBINI, PREZIOSI, FOSSATI, IORI, SCUVERA, MONGIELLO, LA MARCA, GRASSI, AMODDIO, CULOTTA, MANZI, TULLO, OLIVERIO, CARRESCIA, ROSTELLATO, GRIBAUDO e GIULIANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono 3.707 su 14.243 i minorenni non accompagnati che arrivati in Italia nel 2015 hanno fatto perdere le proprie tracce;
   si tratta, da quanto emerso da alcuni dati emersi da fonti giornalistiche, di giovani, per lo più, di nazionalità eritrea o afghana che per raggiungere al più presto i propri familiari in altre regioni d'Europa e temendo di essere bloccati fanno perdere le proprie tracce rischiando in tal modo di finire nella rete dei trafficanti;
   da uno studio elaborato da save the children il 26 per cento dei minori che sbarcano nel nostro Paese scompaiono;
   su quattro minori stranieri non accompagnati, che arrivano sul nostro territorio, uno fa perdere le proprie tracce e finisce a rischio sfruttamento;
   gli stessi dati forniti dal Ministero dell'interno, in occasione della seduta della Commissione parlamentare antimafia della Sicilia, sono più che allarmanti;
   tali dati infatti parlano di circa 3.707 minori stranieri non accompagnati scomparsi nell'anno 2014 dai centri di prima o seconda accoglienza, su un totale di 14.243 giunti in Italia, ovvero, per l'appunto il 26 per cento. Il record negativo delle scomparse, il 40 per cento, avviene in Sicilia: 1.882 dispersi su 4.628 registrati;
   secondo il «Rapporto Italia», condotto da Eurispes e presentato qualche giorno fa, il numero di minori stranieri non accompagnati presenti in Italia che richiedono protezione internazionale (MSNA) è in crescita. I dati di Eurispes sono aggiornati al 31 agosto 2015 e dicono che la quota di MSNA è cresciuta rispetto all'anno precedente dell'8,6 per cento;
   è soprattutto il Sud ad accogliere i minori stranieri non accompagnati con, al primo posto, la Sicilia seguita da Calabria e Lazio. Quasi la metà delle persone minorenni registrate in Sicilia (1.734 su 3.878) risultano però irreperibili dopo la registrazione;
   da quanto emerso da uno studio realizzato da diverse organizzazioni non governative italiane la principale causa della fuga dei minori risiede nell'inadeguatezza e nella carenza strutturale di numerose strutture di prima accoglienza;
   molti giovani migranti rimangono spesso «parcheggiati» a lungo senza un supporto psicologico e di mediazione culturale adeguata, e molti scappano per paura di non potere poi lasciare l'Italia (in base al regolamento «Dublino III») o perché capiscono di non potere essere utili economicamente alla famiglia di origine, che ha pagato loro il viaggio;
   dopo la fuga spesso s'accompagna il pericolo concreto di cadere nelle mani degli sfruttatori;
   le leggi in vigore permettono a un minore di segnalare la presenza di parenti all'estero per l'eventuale ricongiungimento, ma i tempi sono spesso troppo lunghi per le necessità dei minori e delle proprie famiglie rimaste nella terra d'origine;
   almeno 10 mila minori non accompagnati che sono arrivati in Europa tra il 2014 e il 2015 durante la cosiddetta «crisi dei migranti» sono scomparsi dopo essere stati registrati dalle varie autorità statali;
   a proposito di legislazione, l'accordo del mese di luglio 2015 tra Ministero dell'interno ed enti locali ha portato a un bando pubblico per strutture più adeguate rispetto a buona parte di quelle utilizzate nei picchi dell'emergenza, ovvero palestre, hotel o edifici di fortuna;
   attualmente, infatti, l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati non richiedenti asilo è gestita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso i comuni. Questi ultimi troppe volte non hanno risorse e strumenti per far fronte al loro pronto trasferimento, per cui si produce uno stallo del sistema le cui conseguenze sono pagate ancora una volta dai minori migranti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per riformare il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati anche attraverso l'individuazione di nuovi standard strutturali al fine di dotare le strutture di servizi più accoglienti al di là della gestione delle emergenze;
   se si intendano proporre politiche di controllo atte a garantire la sicurezza degli stessi minori al fine di prevenire la fuga dei minori prevedendo in tal senso il rischio che questi vengano risucchiati nelle perverse reti del traffico di droga o della malavita organizzata;
   se si intenda predisporre una banca dati che dia certezza sul fenomeno della scomparsa di minori stranieri non accompagnati e sulla sorte degli stessi.  (3-02011)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICHELE BORDO e MONGIELLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 1999 è stato avviato l’iter burocratico per l'individuazione nel territorio di Foggia di un suolo idoneo alla costruzione della nuova sede del Comando provinciale dei vigili del fuoco;
   tale richiesta nasceva dalla valutazione dell'inidoneità dell'attuale sede del Comando provinciale dei vigili del fuoco a garantire il regolare svolgimento del servizio a causa della vetustà di strutture e impianti, della limitata superficie, dell'inadeguatezza logistica ed igienica;
   i lavori di costruzione del nuovo comando provinciale sono fermi dal mese di luglio del 2014 per non meglio precisati «motivi tecnici»;
   nel mese di gennaio 2015 il Ministero dell'Interno comunicava agli interroganti l'imminenza dello stanziamento di circa un milione di euro per il completamento dell'opera;
   in questo arco di tempo la struttura che ospita il comando provinciale dei vigili del fuoco di Foggia è stata oggetto di interventi urgenti a causa del distacco di pezzi della facciata e la mensa aziendale è stata chiusa a causa dell'inidoneità dei locali in cui era ubicati –:
   se e come il Governo intenda agire per favorire la rapida conclusione dei lavori di costruzione del comando provinciale dei vigili del fuoco di Foggia in modo da garantire alla popolazione un servizio efficace ed ai lavoratori una sede e delle strutture idonee all'attività finora svolta con tanta abnegazione e spirito di servizio (5-07794)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa il sindaco della città di Tagliacozzo (provincia L'Aquila) ha subito un grave attentato con l'incendio della sua macchina e di quelle in uso alla famiglia;
   il comune della città di Tagliacozzo, in un clima avvelenato, è interessato da mesi da un'indagine della procura di Avezzano, scaturita da esposti rimasti ancora anonimi;
   si tratta di un attentato, gravissimo e inquietante, e che, nel suo carattere intimidatorio e violento, ha scosso e destato preoccupazione e allarme tra la popolazione;
   il consiglio comunale di Tagliacozzo in seduta straordinaria ha espresso già la propria piena solidarietà al sindaco e alla famiglia, stringendosi a difesa delle istituzioni democratiche del comune;
   la città di Tagliacozzo si colloca in un territorio al confine tra Lazio e Abruzzo, che, almeno secondo i principali rapporti annuali sul crimine, risulta potenzialmente a rischio radicamento della criminalità organizzata;
   il comune di Tagliacozzo nella prossima primavera dovrà affrontare la tornata elettorale per l'elezione del sindaco e del rinnovo del consiglio comunale;
   sono ancora in corso le indagini giudiziarie per accertare la natura e le responsabilità di questo attentato incendiario –:
   se non ritenga necessario fornire ogni utile elemento al riguardo e assumere ogni utile iniziativa per contribuire, per quanto di competenza, a fare luce su questo attentato alla democrazia e per garantire la tutela e la sicurezza del sindaco, nonché la piena agibilità politica a Tagliacozzo, contro ogni forma di violenza e intimidazione nei confronti delle istituzioni.
(4-12103)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   D'UVA, DIENI e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'ordinanza ministeriale 24 febbraio 2015, n. 144, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto per l'anno 2015, a norma dell'articolo 1, la prima e la seconda sessione degli esami di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo;
   il decreto ministeriale 19 ottobre 2001, n. 445, «Regolamento degli esami di Stato all'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo», ne disciplina, in particolare, modalità di svolgimento e condizioni di accesso, in accordo con il decreto ministeriale 9 settembre 1957, e successive modificazioni, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 271, del 2 novembre 1957, e recante l'approvazione del regolamento sugli esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni;
   secondo tali disposizioni, agli esami di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico chirurgo sono ammessi i possessori della laurea in medicina e chirurgia conseguita ai sensi dell'ordinamento previgente alla riforma di cui all'articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modificazioni e i possessori della laurea specialistica afferente alla classe n. 46/S in medicina e chirurgia;
   l'esame di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico chirurgo, a norma dell'articolo 5 dell'ordinanza ministeriale 24 febbraio 2015, n. 144, consiste in un tirocinio pratico e una prova scritta, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto ministeriale 19 ottobre 2001, n. 445;
   i candidati in possesso del titolo accademico richiesto dall'articolo 3 dell'ordinanza, nonché delle ulteriori condizioni d'accesso indicate dalla norma, hanno presentato l'istanza di ammissione agli esami di Stato in una delle sedi elencate dal decreto;
   la prova scritta, a norma dell'articolo 7, si è svolta a nei giorni 9 luglio 2015 per la prima sessione, 4 febbraio 2016 per la seconda, presso le università interessate, e secondo le modalità previste dagli articoli 3 e 4 del decreto ministeriale n. 445 del 2001;
   così come previsto dalla normativa il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e si è avvalso del Consorzio interuniversitario CINECA per la stampa e la riproduzione dei quesiti e la predisposizione dei plichi individuali contenenti il materiale relativo alle prove di esame, in numero corrispondente alla stima dei partecipanti comunicata dagli atenei;
   per ogni candidato sono stati predisposti due plichi, ciascuno relativo ad una delle due parti della prova di esame;
   essenziale, ai fini del corretto svolgimento dell'esame di Stato, risulta la disposizione prevista dall'articolo 4 comma 6, del decreto-legge 19 ottobre 2001, n. 445, secondo la quale ciascuna prova scritta si dovrà svolgere contemporaneamente nelle diverse sedi individuate ai sensi dell'articolo 3 dello stesso decreto, con contenuto identico in tutto il territorio nazionale;
   in data 5 febbraio 2016, un articolo pubblicato sulle pagine del quotidiano consultabile online Il Fatto Quotidiano, titolava «Abilitazione medici, esami ovunque tranne che a Messina. Colpa del Miur e del solito CINECA»;
   il CINECA è un consorzio interuniversitario senza scopo di lucro operante sotto il diretto controllo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il quale ha il compito di fornire sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e il Ministero medesimo;
   il CINECA nasce nel 1977, per fornire a cinque università elaboratori e sistemi informatici, al quale aderiscono 80 università, e la cui attività si estende a settori d'intervento diversi e su tutto il territorio nazionale, fin quando nel 2008 assume la definizione di persona giuridica privata sottoposta alla disciplina tributaria degli enti commerciali;
   il Consorzio in questi anni è stato, per dirette responsabilità, al centro di errori e malfunzionamenti che, ad avviso degli interroganti, hanno seriamente pregiudicato il buon andamento della pubblica amministrazione e la regolarità delle attività oggetto delle inefficienze;
   tra tutte si ricordi la grave vicenda che ha interessato lo svolgimento delle prove per l'accesso alle scuole di specializzazione, tenutesi tra il 28 e il 31 ottobre 2014, nella cui circostanza il CINECA, invertendo le domande da inviare ai responsabili d'aula nelle varie sedi d'esame, inficiò la regolarità della prova;
   nonostante tale evidenza il Ministero, pur ammettendo pubblicamente l'irregolarità, dispose prima l'annullamento e la conseguente ripetizione delle prove oggetto dell'errore determinato dal CINECA e, successivamente, la convalida della prova sostenuta dai candidati attraverso la neutralizzazione delle domande oggetto dell'inversione;
   con tale decisione, ad avviso degli interroganti, oltre ad aver minato il prestigio e il buon nome delle istituzioni direttamente coinvolte, nonché aver dimostrato la non completa affidabilità del Consorzio, si è consentita l'instaurazione di numerosi ricorsi in sede amministrativa al fine di dimostrare l'assoluta irregolarità delle prove;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha affidato in questi anni al Consorzio interuniversitario, senza scopo di lucro, ed operante sotto il controllo dello stesso ministero, l'affidamento di sistemi gestionali per le amministrazioni universitarie e per lo stesso Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, senza effettuare alcun bando di gara, benché in nessun modo fosse possibile inquadrare il CINECA come società in house del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, così come confermato da una recente sentenza del Consiglio di Stato;
   con la sentenza n. 2660 del 2015, infatti, si è stabilito come il Ministero dell'università e della ricerca, avesse provveduto, negli anni, ad affidare senza alcuna gara i servizi offerti dal CINECA, essendo il Consorzio interuniversitario non configurabile come una società di diritto pubblico e, quindi, soggetta alla procedura dell'evidenza pubblica, nonché al relativo bando;
   nonostante le citate inefficienze e le irregolarità di gestione, il Ministero ha inteso inserire il CINECA tra le proprie società operanti in house, continuando così ad affidare al consorzio la diretta gestione dei servizi sopra richiamati;
   così come riportato dall'articolo, tuttavia, i fatti accaduti in sede di esame di Stato relativi all'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo presso l'università degli studi di Messina, rappresentano, ad avviso degli interroganti, l'ennesima situazione di grave irregolarità causata dal Consorzio;
   «in tutta Italia si sono svolti gli esami per ottenere l'abilitazione all'esercizio della professione, meno che a Messina: da Roma non sono arrivati il numero di plichi sufficienti», riporta la fonte, rilevando come «a fronte di 145 candidati presenti, la Commissione avrebbe trovato appena 120 plichi: un intoppo organizzativo registrato alle 08:30 di ieri mattina che ha immediatamente fatto scattare l'allarme presso il Dipartimento interessato»;
   «Un disguido tecnico» sostiene l'autore dell'articolo che, «oltre a provocare “imbarazzo” alle istituzioni coinvolte, potrebbe arrecare serio danno ai candidati; il Miur potrebbe far ripetere la prova ai soli 145 candidati messinesi, oppure potrebbe anche decidere di annullare la prova negli altri atenei e farla ripetere a tutti gli 8.000 candidati medici»;
   «il responsabile della Direzione Amministrativa Servizi Didattici, Ricerca e Alta Formazione, dottor Carmelo Trommino», conclude l'articolo, «ha immediatamente allertato il Miur che, verificato l'errore del Cineca, e predisposti i necessari atti, ha rinviato le prove a data da destinarsi, affinché i candidati dell'Università degli Studi di Messina non vengano ulteriormente penalizzati rispetto ai loro colleghi»;
   tempestivo risulta invece l'intervento del rettore dell'università di Messina, il professore Pietro Navarra, il quale «ritiene innanzitutto doveroso scusarsi con i candidati per quanto accaduto. Il mancato invio di alcune buste contenenti i compiti e la relativa documentazione d'esame, tuttavia, è da attribuire esclusivamente a un errore del CINECA e per questo l'Università si riserva di avviare un'azione risarcitoria. Tra l'altro, i funzionari del CINECA hanno già riconosciuto l'errore, imputandolo a un difetto di trascrizione del numero dei candidati comunicato dall'Università di Messina, nei mesi scorsi»;
   ad avviso degli interroganti, inoltre, risulta grave che tale episodio si sia verificato presso un ateneo meridionale, qual è quello messinese, già soggetto a continue riduzioni di spesa ad opera dell'attuale sistema di finanziamento universitario e, quindi, particolarmente bisognoso di maggior attenzione da parte dello Stato;
   gravi potranno essere, sempre ad avviso degli interroganti, le conseguenze di tale irregolarità, dal momento che o l'attuale rinvio condurrà alla violazione della normativa ad hoc, la quale dispone espressamente che gli esami di Stato vengano effettuati contemporaneamente nelle diverse sedi individuate ai sensi dell'articolo 3, con contenuto identico in tutto il territorio nazionale, oppure verrà disposto l'annullamento delle prove nazionali, con un inevitabile aumento dei costi;
   dopo l'ennesimo errore materiale è lecito domandarsi quali siano le possibili iniziative che il Ministero intenda adottare affinché le irregolarità nella gestione di test e abilitazioni causate dal CINECA non si protraggano nel tempo, posto che l'operato del CINECA ha comportato un notevole aumento dei ricorsi, ovvero un considerevole aggravio delle spesa da sostenere;
   a seguito di tali avvenimenti il Ministero ha inteso rinviare gli esami di Stato relativi all'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo per l'università degli studi di Messina in data 24 febbraio 2016 –:
   quali urgenti soluzioni ritenga di adottare, anche attraverso la verifica di possibili responsabilità configurabili secondo quanto stabilito dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, affinché si scongiurino nuove gravi anomalie che possano compromettere il buon funzionamento della pubblica amministrazione, ovvero il regolare svolgimento di prove concorsuali e attività analoghe evitando, allo stesso tempo, ulteriori e ingiustificati aumenti di spesa pubblica;
   quale sia, a seguito dell'ennesimo errore materiale in un così breve intervallo temporale, la posizione del Ministro in riferimento al Consorzio interuniversitario CINECA, le cui adeguate capacità operative e gestionali risultano, ad avviso degli interroganti, non più verificate. (5-07782)


   ROCCHI e CAROCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il trattamento economico dei dirigenti scolastici è formato da tre componenti: lo stipendio tabellare, la retribuzione di posizione e quella di risultato presente nelle retribuzioni di tutti i dirigenti pubblici;
   nonostante le funzioni già definite dall'articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001 ed i connessi i carichi di lavoro e livello delle responsabilità, è proprio la retribuzione di posizione e di risultato ad essere fortemente sperequata rispetto a quella riconosciuta ad altri comparti della dirigenza pubblica. Ad oggi risultano differenze di circa 30.000 euro annui, senza valutare gli effetti delle decurtazioni retributive che si stanno conducendo proprio a danno della retribuzione di risultato;
   ad oggi l'indennità di posizione e di risultato vengono erogati a carico del fondo unico nazionale (FUN) alimentato dalla RIA (retribuzione individuale di anzianità dei dirigenti cessati dal servizio per collocamento in pensione) ed è oggetto di contrattazione regionale integrativa;
   nell'incontro di aggiornamento sul FUN 2015/2016, la direzione generale del personale e delle risorse umane del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha reso noto alle organizzazioni sindacali un rilievo del Ministero dell'economia e delle finanze che ha contestato le modalità di calcolo del FUN e non ha proceduto alla certificazione indispensabile per l'avvio delle contrattazioni regionali;
   l'ufficio centrale di bilancio ha aggiunto al rilievo un'ulteriore contestazione, simile a quella fatta nel 2013 sulla quantificazione del FUN 2012/2013, che metterebbe in discussione addirittura l'ammontare del FUN relativo all'a.s. 2011/2012, regolarmente certificato e utilizzato in tutte le regioni, e comporterebbe la riduzione del FUN 2015/2016 della somma spesa in eccedenza per la retribuzione dei dirigenti nel 2011/12;
   di fronte a tale ennesima interpretazione restrittiva del Ministero dell'economia e delle finanze e alle sue conseguenze sulla retribuzione dei dirigenti appare necessario avviare immediati chiarimenti;
   appare evidente che vadano rispettati gli impegni assunti destinando interamente le risorse stanziate dal comma 86 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 al ripristino delle retribuzioni dei dirigenti scolastici ridotte dal decreto-legge n. 78 del 2010;
   appare grave che l'amministrazione invece di comunicare l'atteso ripristino delle retribuzioni dei dirigenti scolastici attraverso le risorse del Fondo unico nazionale 2015/2016, contesti la costituzione del FUN 2011/2012 chiedendone la rideterminazione, con conseguente recupero di parte degli importi già pagati ai dirigenti scolastici;
   questa scelta, oltre ad apparire inspiegabile, risulta essere anche inaccettabile, infatti il Ministero dell'economia e delle finanze aveva regolarmente certificato l'ammontare delle risorse 2011/2012 destinate ai fondi regionali;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca deve ai dirigenti scolastici oltre 60 milioni di euro per gli anni scolastici precedenti al 2015/16 e dovrebbe rispettare l'impegno assunto dal Governo di riportare le retribuzioni al livello del 2010/11;
   più di duemila dirigenti scolastici assunti negli ultimi anni aspettano ancora il pagamento di quanto dovuto, a tutta la categoria è stato sospeso da tre anni il pagamento della retribuzione di risultato e di migliaia di reggenze, in due regioni (Lazio e Abruzzo) sono stati tagliati gli stipendi, si intende ridurre la retribuzione pensionabile e la liquidazione, viene annunciata una modifica della struttura della retribuzione;
   tali valutazioni restrittive si accompagnano all'avvio di un iter rigoroso di valutazione della dirigenza scolastica, valutazione che rappresenta un asse portante della legge n. 107 del 2015;
   pertanto, intervenire sulla retribuzione di risultato presto e coerentemente a quanto previsto è essenziale per non minare la credibilità e coerenza dell'impianto normativo della legge stessa –:
   quali iniziative urgenti intendano, di concerto o autonomamente, attivare i Ministri interrogati per dirimere la situazione derivante dai rilievi dell'ufficio centrale di bilancio e relativa alla determinazione del Fondo unico nazionale che tenga conto delle quote di RIA non attribuite al fondo dal 2010. (5-07783)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 767 del 17 luglio 2015 aveva fornito le indicazioni per la presentazione della domanda di partecipazione alle fasi B e C del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge n. 107 del 2015 (riforma della scuola) e, in Basilicata, le domande inoltrate per il piano straordinario di assunzioni sono state 1207 e quasi 300 docenti hanno ricevuto la proposta di assunzione su posto di sostegno fuori regione e non sulle materie che insegnano da anni;
   le novità rispetto agli scorsi anni, inserite nella legge n. 107 del 2015, che hanno causato molte polemiche da parte dei docenti e critiche da parte delle organizzazioni sindacali, anche in merito alla disparità di trattamento prevista per le diverse categorie di docenti (entro 2014/15 — fase 0 – fase A — fase B — fase C) riguardano il comma 73 dell'articolo 1 della legge, relativo alla mobilità negli ambiti territoriali e il comma 108 relativo al piano di mobilità straordinaria, senza dimenticare i commi 79-80-81-82 concernente la chiamata diretta da parte del dirigente scolastico;
   con la legge relativa alla cosiddetta «buona scuola» emerge, a giudizio dell'interrogante, il paradosso che il merito viene stravolto per cui, nonostante un punteggio elevatissimo, alcuni docenti si ritrovano assunti in una regione distante centinaia di chilometri dalla Basilicata, dove hanno espletato il concorso, sulla base di un algoritmo che impediva di conoscere la sede di  destinazione, il grado di scuola e il tipo di posto (comune o di sostegno) e che non ha permesso loro di rifiutare la proposta, pena la cancellazione da tutte le graduatorie;
   con la seconda tranche di assunzioni del novembre 2015, i docenti con punteggi inferiori hanno avuto accesso all'organico di potenziamento appositamente creato nelle province di appartenenza e appunto, paradossalmente, sono stati assunti vicino a casa, mentre i colleghi con punteggio maggiore sono stati destinati in città lontanissime;
   il piano della riforma contenuto dalla legge 13 luglio 2015, n. 107, non ha risolto secondo l'interrogante il problema del precariato storico, lasciando insoluto il dramma dei docenti della seconda fascia, dove sono collocati docenti abilitati, attraverso percorsi Tfa e Pas, con tanti anni di servizio, anche per l'insegnamento di materie come matematica per la scuola media inferiore o per il sostegno, e che risultano assenti nelle graduatorie ad esaurimento;
   i docenti assunti da concorso in fase B si definiscono, a quanto risulta all'interrogante, «vittime di una ingiustizia» e denunciano le disparità di trattamento create con la legge n. 107 del 2015 e con la distinzione tra «fase b» e «fase c»;
   nella fase B sono stati attribuiti i posti residui delle fasi precedenti che hanno avuto carattere nazionale e quelli che non hanno trovato posto nella fase B verranno assegnati all'organico aggiuntivo delle varie province a livello nazionale (sempre in base alla stessa domanda) ed assunti nella fase C;
   la fase C riguarda l'assunzione di docenti in organico di potenziamento, e presso le scuole primarie, in particolare, potranno essere assunti docenti provenienti da qualsiasi ordine e grado e, dunque, non necessariamente in possesso dell'abilitazione per l'insegnamento di materie come inglese, musica e educazione motoria;
   il concorso pubblico rimane il sistema di reclutamento più trasparente e democratico, mentre la chiamata diretta da parte del dirigente scolastico lede, a giudizio dell'interrogante, il principio costituzionale della libertà di insegnamento e non è garanzia della sua qualità –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative volte a trovare una soluzione definitiva per tutti coloro che sono abilitati e insegnano da anni nella scuola statale e quali iniziative intenda intraprendere a tutela delle diverse categorie di docenti;
   quali siano i numeri esatti dei docenti delle graduatorie ad esaurimento ancora in attesa di immissione in ruolo e i tempi e le modalità in cui si procederà alla loro assunzione. (5-07784)


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5 della legge 24 dicembre 1993, n. 121, istituisce il fondo di finanziamento ordinario che rappresenta a tutti gli effetti una delle principali entrate delle università italiane;
   il fondo è composto da una quota base, attribuita agli atenei con una procedura automatica, e da una quota di riequilibrio da ripartirsi sulla base di criteri determinati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica;
   la normativa e i procedimenti in materia sarebbero stati più volte innovati, sia per quanto attiene il peso attribuito alle due componenti della spesa sia per quanto riguarda i criteri di valutazione e assegnazione di eventuali premialità;
   secondo diversi esponenti dell'università, i criteri introdotti non sarebbero pienamente rispondenti a valutazioni su fattori direttamente riconducibili alle performance o al merito dei singoli Atenei, ma a condizioni esterne quali la situazione socio-economica e le caratteristiche dei territori e delle regioni in cui operano gli istituti universitari;
   in particolare, vengono sollevate diverse perplessità sul metodo di calcolo del costo standard per studente in corso, introdotto dalla legge n. 240 del 2010, per la ripartizione del 20 per cento della quota base del Fondo per il finanziamento ordinario, metodo che risulterebbe fortemente penalizzante soprattutto per gli atenei delle regioni periferiche o isolate o scarsamente popolate;
   nel complesso, il metodo di calcolo per la ripartizione del fondo di Finanziamento ordinario avrebbe determinato una forte riduzione dei trasferimenti dello Stato per diverse istituzioni universitarie, le quali lamentano una situazione finanziaria insostenibile in relazione alla necessità di garantire adeguati servizi e standard didattici di qualità;
   in particolare, nei giorni scorsi, proprio per rappresentare la forte sofferenza dell'istituzione, è stata convocata una seduta pubblica del senato accademico e del consiglio di amministrazione dell'università degli Studi di Cagliari;
   nel corso dell'incontro, i vertici dell'ateneo avrebbero lamentato una forte riduzione dei trasferimenti da parte dello Stato. Dal 2008, le risorse sarebbero diminuite del 28 per cento, mentre negli ultimi sei mesi, dopo la pubblicazione del decreto ministeriale 8 giugno 2015 n. 335, sulla ripartizione del fondo di finanziamento ordinario per il 2015, si sarebbero persi circa 7 milioni di euro;
   tra le altre cose, verrebbe contestato un parametro di valutazione come l'attrattività degli atenei, parametro che, non solo risulterebbe a giudizio dell'interrogante iniquo, ma anche inapplicabile in alcune aree dell'Italia, come le regioni periferiche o addirittura quelle insulari, come Sardegna e Sicilia, per le quali l'attrattività è resa nulla dalla discontinuità territoriale;
   questo stato di cose, nel caso dovesse aggravarsi, oltre a incidere sulla funzionalità di numerosi atenei italiani, rischierebbe secondo l'interrogante di comprometterne l'esistenza stessa, acuendo situazioni di criticità;
   è il caso di rilevare che vi è un rapporto stretto tra condizioni socioeconomiche dei territori e funzionalità e produttività delle istituzioni che vi operano e che, sulle università italiane, riverberano gli effetti positivi o negativi delle condizioni territoriali in cui risiedono;
   con il decreto ministeriale 9 dicembre 2014, n. 893, predisposto dal ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, è stato introdotto il costo standard di formazione per studente in corso nel calcolo di ripartizione del 20 per cento del fondo di finanziamento ordinario;
   secondo quanto affermato dal Ministero, questo criterio dovrebbe essere più incisivo nei prossimi anni, mentre il nuovo meccanismo dovrebbe entrare a regime a partire dal 2018/2020;
   rispondendo all'atto di sindacato ispettivo 5-04197, il Ministro interrogato avrebbe affermato che «La metodologia, con la quale è stato definito il suddetto costo standard, consente di passare da una distribuzione del FFO basata sul criterio della spesa storica ad una ripartizione che tiene conto delle differenze fra atenei in termini di offerta formativa, numero di studenti in corso, costo medio dei professori e dei diversi contesti infrastrutturali e territoriali in cui operano le università, compresa la diversa capacità di reddito delle famiglie. Con i nuovi parametri di calcolo, si vuoi, così, rendere il sistema di distribuzione del finanziamento di base tra le università statali significativamente più equo»;
   da quanto sopra esposto e da quanto dichiarato da autorevoli esponenti degli atenei italiani, non sembrerebbe che il nuovo metodo di calcolo del costo standard abbia sino ad oggi tenuto conto dei diversi contesti infrastrutturali e territoriali in cui operano le università, tanto meno appare raggiunto l'obiettivo di rendere il sistema di distribuzione del finanziamento di base tra le università statali significativamente più equo –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per fare in modo che il sistema di distribuzione del finanziamento di base tra le università sia effettivamente equo;
   se non ritenga opportuno, in vista dell'entrata a regime del meccanismo di cui in premessa nel 2018/2020, rimodulare le metodologie di calcolo del costo standard per la ripartizione tra le università del 20 per cento del fondo di finanziamento ordinario, in modo da tenere conto dei diversi contesti territoriali, demografici, sociali ed economici in cui le diverse istituzioni operano. (5-07793)


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 16 giugno 2015, l'Azienda ospedaliera universitaria di Cagliari ha pubblicato un bando di gara mediante procedura aperta per la progettazione esecutiva e la realizzazione dei lavori del Blocco «R» del Policlinico di Monserrato, per un importo di circa 40 milioni di euro;
   nel mese di novembre, a seguito delle risultanze dei lavori della commissione giudicatrice, si sarebbe aggiudicata provvisoriamente l'appalto l'Associazione temporanea d'imprese, costituita da Bacchi srl e Gruppo Psc, che si sarebbe collocata al primo posto con un punteggio pari a 97,141 su 100, grazie a un ribasso del 18 per cento e alla garanzia di una riduzione di un terzo dei tempi di esecuzione rispetto a quelli previsti dal bando;
   alla medesima gara avrebbe partecipato anche la Grandi Lavori Finconsit che si sarebbe collocata al quarto posto;
   secondo quanto riportato da autorevoli fonti giornalistiche, risulterebbe che a capo sia del Gruppo Psc sia della società Grandi Lavori Finconsit, come detto, entrambe concorrenti nella gara, ci sarebbe il manager Vito Alfonso Gamberale;
   in particolare, il manager sarebbe presidente e azionista per il 14,15 per cento del Gruppo Psc, nonché consigliere d'amministrazione di una controllata del Gruppo, la Psc Ferroviaria, contestualmente sarebbe anche presidente della società Grandi Lavori Finconsit;
   questa circostanza risulterebbe di grande rilevanza in considerazione del fatto che dimostrerebbe esserci un collegamento tra due aziende concorrenti nella medesima gara d'appalto, circostanza che potrebbe alimentare dei dubbi sui profili di correttezza del procedimento, visto il venire meno dei presupposti di riservatezza su proposte tecniche e offerte economiche;
   l'ipotesi di un collegamento tra i due soggetti verrebbe rafforzata dalla circostanza che in un analogo procedimento, questa volta dell'azienda ospedaliera n. 6 di Sanluri, per l'affidamento dei lavori di realizzazione del nuovo ospedale di San Gavino Monreale, il Gruppo Psc si sarebbe presentato, come mandante di Grandi Lavori Finconsit;
   in pratica il Gruppo Psc e la Grandi Lavori Finconsit opererebbero, di volta in volta, a seconda delle circostanze, come soggetti alleati o concorrenti;
   l'Autorità nazionale anticorruzione sarebbe più volte intervenuta sulla questione dei collegamenti tra imprese concorrenti in gare d'appalto, esprimendo un parere negativo, in particolare avrebbe sostenuto che «Va affermata la rilevanza, come causa di esclusione (...) anche delle ipotesi non codificate di collegamento sostanziale che testimonino della riconducibilità dei soggetti partecipanti alla procedura a un unico centro decisionale, con conseguente vanificazione dei principi generali in tema di par condicio, segretezza delle offerte e trasparenza della competizione»;
   è il caso di rilevare che il venire meno dei presupposti di trasparenza della competizione nonché di correttezza del procedimento ad evidenza pubblica potrebbe ripercuotersi negativamente sulla collettività, per quanto concerne l'ottimizzazione delle risorse impegnate, la gestione e l'operatività della sanità e della formazione universitaria, il mantenimento degli standard qualitativi dei servizi e della didattica, nonché il contenimento dei costi della sanità, tra l'altro oggetto di misure e azioni di revisione –:
   di quali elementi disponga il Governo e se quanto esposto in premessa trovi conferma;
   quali iniziative di competenza, anche normative, intenda adottare per garantire la massima trasparenza e correttezza nelle gare d'appalto ed evitare che ai procedimenti ad evidenza pubblica partecipi o in qualità di concorrenti soggetti in qualche modo collegati tra loro. (5-07798)

Interrogazione a risposta scritta:


   CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il direttore dei servizi generali e amministrativi (Dsga) sovrintende nella scuola pubblica italiana ai servizi amministrativo-contabili e ne cura l'organizzazione, ha autonomia operativa e responsabilità diretta nella definizione ed esecuzione degli atti amministrativo-contabili, di ragioneria e di economato, anche con rilevanza esterna;
   ai sensi e per gli effetti dell'articolo 25-bis del decreto legislativo n. 29 del 1993 e successive modificazioni ed integrazioni, il direttore coadiuva il dirigente scolastico nelle proprie funzioni organizzative e amministrative che spaziano dall'attività finanziaria e patrimoniale a quella negoziale;
   il direttore dei servizi generali e amministrativi organizza inoltre autonomamente l'attività del personale A.t.a, nell'ambito delle direttive del dirigente scolastico, attribuisce al personale A.t.a. incarichi di natura organizzativa e le prestazioni di lavoro eccedenti l'orario d'obbligo, quando necessario;
   per l'immissione in ruolo per tale figura professionale è necessario superare un concorso che ha come requisito principale il possesso della laurea in giurisprudenza, in scienze politiche, sociali o amministrative, in economia e commercio o titoli equipollenti o diplomi di laurea specialistica e laurea magistrale;
   il concorso ordinario per il profilo di direttore dei servizi generali e amministrativi (Dsga) è atteso ormai da anni, visto che per queste figure non è mai stato bandito dopo l'approvazione del loro profilo professionale nel 2000;
   il blocco è dovuto all'atteso passaggio del personale ex amministrativo delle province, nonché all'obbligo imposto dal cosiddetto «decreto Brunetta», il decreto n. 150 del 2009, che lega i passaggi interni alle amministrazioni a procedure concorsuali pubbliche;
   il concorso per Dsga dal 2000 è stato annunciato più volte, ma a tutt'oggi attende ancora di essere bandito. Nel 2011 risultava pronto per 411 posti, mentre, per l'anno 2012, i posti messi a concorso sarebbero dovuti essere circa 450;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 aprile 2011 si esplicita l'autorizzazione al Ministero competente per un concorso di 450 posti per la figura di Dsga, ma ai tanti assistenti amministrativi che svolgono funzioni superiori, sostituendo da decenni i Dsga, senza avere alcuna possibilità di valorizzazione stipendiale, né di progressione di carriera, quest'opportunità viene ancora negata;
   la mancanza di questa figura professionale compromette la continuità della gestione organizzativa, amministrativa e finanziaria delle scuole pubbliche, oltre a danneggiare le attività didattiche a discapito degli studenti e delle famiglie –:
   quando il Ministro interrogato intenda bandire il concorso riservato ai direttori dei servizi generali e amministrativi, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 aprile 2011, già richiesto in premessa. (4-12108)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   da ormai diverso tempo è salita all'attenzione delle cronache la vicenda del distretto modenese della lavorazione delle carni: da un lato esso rappresenta un'eccellenza assoluta sul piano internazionale, per qualità dei prodotti e riconoscibilità dei marchi, che ha assicurato anche negli anni della crisi una tenuta della produzione, dell'occupazione e della ricchezza prodotta come in pochi altri comparti; dall'altro, si registra una conflittualità sociale crescente per le caratteristiche che ha progressivamente assunto il mercato del lavoro, segnatamente per il ricorso sistematico all'istituto dell'appalto, la presenza di cosiddette cooperative spurie, l'applicazione di diversi CCNL ai diversi segmenti di una filiera produttiva che, non di rado, si svolge nello stesso stabilimento;
   lavoratori e sindacati lamentano da tempo una non corretta applicazione degli istituti contrattuali: mancato rispetto degli orari di lavoro e delle pause previste, con turni insostenibili sul piano psicofisico e i conseguenti rischi per la sicurezza sul lavoro; incertezza sui versamenti dei contributi a causa del sistematico ricorso ed abuso di istituti remunerativi impropri; una sostanziale intermediazione della manodopera, con mansioni improprie, senza peraltro reali garanzie per i lavoratori (clausole sociali nel regime degli appalti), esposti in questo modo al ricatto dei datori di lavoro, o dei capireparto, fino a limiti inaccettabili che possono prefigurare veri e propri rapporti di caporalato;
   nel tempo e in più circostanze le diverse autorità competenti (direzione territoriale del lavoro, USL, guardia di finanza e altri) hanno confermato questo stato di deterioramento delle condizioni di lavoro e di mancato rispetto delle norme e dei contratti; non da ultimo diverse testate di informazione hanno acceso i riflettori su queste condizioni di lavoro, suscitando stupore e indignazione nell'opinione pubblica;
   il danno di immagine derivante da condotte scorrette, quando non apertamente illegali, di taluni rischia di gettare un'ombra su tutte le imprese del distretto, anche ben oltre le singole responsabilità, arrecando un danno fortissimo ad un settore che ha fatto della qualità dei prodotti e dei marchi la propria chiave di successo a livello globale;
   in questo contesto si iscrive la vertenza specifica di Castelfrigo spa e delle cooperative che per questa operano in regime di monocommittenza (Ilia e Work Service) presso il comune modenese di Castelnuovo Rangone, cuore del distretto economico della lavorazione delle carni;
   da oltre una settimana è in corso lo sciopero dei 150 lavoratori delle due cooperative che, nella giornata del 15 febbraio 2016, hanno avviato un vero e proprio blocco, impedendo ai lavoratori diretti di Castelfrigo di accedere allo stabilimento;
   la vertenza muove principalmente sul mancato rispetto del CCNL e riprende diverse delle questioni evidenziate in premessa: turni di lavoro insostenibili, soggezione totale alle figure dei capi reparto al di fuori di ogni corretta relazione in ambito di lavoro, sostanziale elusione contributiva e altro;
   il fortissimo livello di tensione sociale, cresciuto negli ultimi giorni a seguito del blocco, ha reso necessaria la presenza costante delle forze dell'ordine, che nella mattinata del 15 febbraio 2016, hanno ritenuto necessario forzare il blocco dei lavoratori delle cooperative per consentire ad alcuni lavoratori diretti di Castelfrigo di accedere allo stabilimento; in questi giorni è poi stata rilevata la presenza, quantomeno anomala, di guardie private preposte, a quanto risulta agli interpellanti più che al controllo dello stabilimento, a quello dei manifestanti;
   si rende necessaria e improcrastinabile una positiva risoluzione della vertenza che assicuri il pieno rispetto delle norme e del CCNL da un lato, la piena ripresa della produzione dall'altro –:
   se il Governo sia a conoscenza della vertenza in corso presso la Castelfrigo spa e le cooperative per essa operanti;
   quali iniziative intenda assumere il Governo per favorire una positiva risoluzione di questa controversia;
   quali iniziative, più in generale, intenda assumere il Governo per favorire una positiva ricomposizione delle relazioni sindacali in un distretto strategico per il territorio e per l'economia del nostro Paese.
(2-01274) «Baruffi, Cinzia Maria Fontana, Patrizia Maestri».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il provvedimento cardine che regolamenta i trattamenti in materia di ammortizzatori in deroga è il decreto ministeriale n. 83473 del 1o agosto 2014;
   suddetto provvedimento ha separato le platee dei beneficiari tra chi alla data di entrata in vigore del citato decreto ministeriale aveva beneficiato per meno di tre anni delle previste tutele e chi invece aveva superato quella soglia;
   la soglia massima prevista era comunque quella di 3 anni e 4 mesi complessivi al termine del quale termina la possibilità di beneficiare delle suddette tutele;
   i pagamenti come purtroppo è noto sono avvenuti con notevoli ritardi e ancora oggi in diverse regioni, Sicilia, Calabria, Sardegna si registrano difficoltà;
   ad aggravare il quadro per quanto riguarda l'ultimo riparto vi sarebbe anche una interpretazione dell'Inps abbastanza restrittiva in quanto secondo l'istituto il trattamento di mobilità in deroga noti potrebbe essere concesso ai lavoratori che abbiano beneficiato di prestazioni di mobilità in deroga per almeno tre anni anche non continuativi;
   in base a questa determinazione molti lavoratori che ancora non hanno raggiunto il limite dei tre anni e quattro mesi rischiano di essere esclusi dal beneficio degli ultimi riparti;
   questo tipo di interpretazione rischia di creare ulteriori tensioni sui territori in considerazione delle difficoltà che vivono gli appartenenti a questa categoria;
   tra l'altro si parla di una misura comunque a termine considerato che dal 1o gennaio 2017 il trattamento di mobilità in deroga e la stessa cassa integrazione guadagni in deroga non sarà più presente nel nostro ordinamento;
   la fuoriuscita di questi lavoratori dalle platee dei beneficiari della mobilità in deroga comporta conseguenze nefaste dal punto di vista sociale;
   sono del tutto assenti misure di politiche attive e integrazioni al reddito che possano consentire a queste persone e a queste famiglie di guardare al domani con un minimo di garanzia di sopravvivenza;
   molte regioni si sono attivate con misure quali reddito minimo che però faticano a coprire queste platee anche perché se basate esclusivamente sull'Isee basta il decesso di un genitore e un piccolo lascito ad alterare la propria situazione economica senza però che realmente cambi la condizione di inoccupazione dell'ex lavoratore, così come molti ex titolari di mobilità in deroga, costretti a tornare a vivere in famiglia e cumulando il reddito di un pensionato, si vedono esclusi in partenza dal poter partecipare a bandi di accesso per queste misure di sostegno;
   non va inoltre trascurato il fatto che una parte rilevante dei titolari di mobilità in deroga è prossimo alla pensione e magari avrebbe avuto anche accesso al diritto se non fosse intervenuta la «riforma Fornero»;
   si tratta di criticità sociali enormi che si concentrano in particolare nei territori segnati da processi di reindustrializzazione che faticano a decollare;
   se e quali iniziative intenda adottare il Governo per chiarire definitivamente che comunque il tetto di beneficio della indennità di mobilità in deroga è 3 anni e 4 mesi fino al 31 dicembre 2016;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per introdurre misure di flessibilità che consentano a queste persone di poter accedere mediante la combinazione tra età anagrafica e contributi ad un anticipo del trattamento previdenziale come per mesi se ne è parlato sui giornali;
   quali iniziative intenda attivare con la massima urgenza per rafforzare le politiche attive al fine di aiutare queste platee a reinserirsi nel mondo del lavoro;
   ad assumere iniziative per rivedere le norme di natura fiscale che penalizzano fortemente questi lavoratori e queste famiglie anche per l'accesso a misure di sostegno al reddito.
(2-01276) «Burtone, Casati, Preziosi, Bolognesi, Chaouki, Marazziti, Cardinale, Formisano, Lauricella, Cova, Marco Di Stefano, Marco Meloni, Marco Di Maio, Di Salvo, Fanucci, Dallai, Raciti, De Menech, Attaguile, Cuomo, Fragomeli, Anzaldi, Lacquaniti, Vecchio, Amoddio, Scuvera, Donati, Ascani, Schirò, Galperti, Paola Boldrini, Vargiu, Marrocu, Bruno, Nicoletti, Aiello, Ferro, Galgano, Borghi, Murer, Arlotti, Carrozza».

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da sette giorni è in corso lo sciopero dei 150 lavoratori delle cooperative Ilia e Work Service, operanti in monocommittenza all'interno della Castelfrigo s.p.a. di Castelnuovo Rangone (MO);
   dal 15 febbraio 2016 il presidio ai cancelli si è trasformato in blocco, a causa dell'assenza di risposte da parte di Castelfrigo, che deve di fatto intendersi come effettiva responsabile delle condizioni di lavoro nel suo stabilimento;
   i dipendenti delle cooperative denunciano turni di lavoro di 12/13 ore, umiliazioni da parte di capi reparto, provvedimenti vessatori, incertezza sul versamento dell'intera spettanza contributiva;
   la CGIL, in rappresentanza dei lavoratori aderenti alla vertenza, ha chiesto nei giorni scorsi anche l'intervento dell'Ispettorato del lavoro, dopo che si era diffusa la notizia che Castelfrigo avesse sostituito temporaneamente gli scioperanti;
   lo stabilimento della Castelfrigo risulta all'interrogante inoltre presidiato da guardie private, che avrebbero un atteggiamento fortemente provocatorio e aggressivo nei confronti dei lavoratori esterni, che è arrivato vicino all'intimidazione fisica;
   è evidente quanto sia forte la tensione intorno alla fabbrica, che è stata certamente rilevata anche dalle forze dell'ordine presenti, cui è stato chiesto anche un intervento per forzare il blocco, così da permettere l'ingresso di alcuni lavoratori interni;
   questo dovrebbe indurre a pretendere la rapida soluzione della vertenza, che non può tuttavia che partire dalla garanzia del pieno rispetto della legalità e del CCNL all'interno della Castelfrigo;
   importante appare anche l'introduzione di una clausola sociale negli appalti, che tuteli i lavoratori in caso di subentro di soggetto diverso da quello che li impieghi attualmente;
   il regime dei cambi d'appalto favorisce, infatti, il «ricatto» permanente sui lavoratori e si configura peraltro spesso come mera intermediazione di manodopera, dato lo stretto controllo del committente su ogni fase della manodopera;
   si sono tenuti diversi incontri e altri sono in programma nelle prossime ore presso la prefettura di Modena –:
   se non ritenga opportuno e necessario che si monitori questa vertenza che di fatto è rappresentativa di una situazione più generale già presente anche in altre aziende del settore;
   se intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia raggiunto un accordo soddisfacente per i lavoratori, sulla base della normativa e del CCNL vigenti;
   come si spieghi e se sia conforme alla normativa vigente la presenza sul luogo di lavoro di guardie con funzioni che appaiono diverse dalla mera tutela della proprietà contro furti o danneggiamenti;
   come intenda procedere per garantire, per quanto di competenza, fino in fondo il diritto di sciopero, tutelato dalla Costituzione italiana, e che in nessun modo può essere negato con pratiche come la sostituzione temporanea dei lavoratori. (4-12106)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   GALLINELLA, L'ABBATE, GAGNARLI e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 119 del 2003 e successive modificazioni affida ad Agea l'esecuzione del calcolo delle quantità e degli importi per l'applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari;
   il comma 1 dell'articolo 8-quater della legge 9 aprile 2009, n. 33, nota come legge Zaia, relativa a «misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi», stabilisce che «Al fine di consolidare la vitalità economica a lungo termine delle imprese, accelerare le procedure di recupero obbligatorio degli importi del prelievo latte dovuti dai produttori e deflazionare il relativo contenzioso, il produttore agricolo, che vi abbia interesse, può richiedere la rateizzazione dei debiti iscritti nel Registro nazionale derivanti dai mancati pagamenti del prelievo latte»;
   la stessa legge all'articolo 8-ter ha previsto l'istituzione da parte di Agea del registro nazionale dei debiti, recepito con l'atto prot. ACIU.2009.859 del 29 maggio 2009, al fine di gestire gli importi accertati come dovuti dai produttori e di consentire agli organismi pagatori l'attivazione della procedura di recupero anche attraverso la compensazione con gli aiuti dovuti;
   la Legge n. 91 del 2015 (norma attuativa per la rateizzazione del prelievo 2014/2015) ha stabilito il recupero in tre annualità senza interessi per i soli aderenti alla rateizzazione stessa gli altri produttori invece dovranno versare il prelievo dovuto per intero;
   agli interroganti risulta che la restituzione agli aventi diritto da parte di Agea delle somme versate in eccesso rispetto alle attività previste alla legge n. 119 del 2003, articolo 9, è stata avviata con ritardo dopo la metà di dicembre 2015;
   risulta altresì che il ritardo rispetto alla scadenza del 15 dicembre deriva dalla necessità di rispettare le ordinanze del TAR di Brescia, che hanno imposto una dilazione di ulteriori sessanta giorni, decorrenti dalla data di ciascuna ordinanza, per consentire ulteriori adesioni alla rateizzazione –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se non intenda intervenire urgentemente al fine di migliorare ed efficientare il sistema dei pagamenti per evitare che, in un momento di crisi del settore lattiero-caseario a seguito della liberalizzazione della produzione, eventuali ritardi pregiudichino la vita delle aziende. (4-12102)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   il commissario per l'attuazione del piano di rientro, Massimo Scura, ha convocato, per martedì 9 febbraio 2016 alle ore 9, il direttore generale del dipartimento Politiche della Salute della Regione, Riccardo Fatarella, il direttore generale dell'Asp di Catanzaro Giuseppe Perri e il presidente della commissione dell'Asp di Crotone per l'accreditamento, Luigi d'Orazio;
   la convocazione di tale incontro consegue alla redazione del verbale relativo alla verifica del possesso dei requisiti strutturali, tecnologiche organizzativi presso la l'unità organizzativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera universitaria (AOU) «Mater Domini» di Catanzaro, ossia il policlinico dell'ateneo del luogo;
   il verbale in parola, redatto in data 20 gennaio 2016 dalla competente commissione per l'autorizzazione e l'accreditamento, è stato trasmesso all'Asp di Catanzaro il 21 gennaio 2016;
   la legge regionale 12 giugno 2009, n. 19, al comma terzo dell'articolo 65 prescrive: «L'accreditamento definitivo di singoli reparti e servizi di strutture delle aziende sanitarie o di singoli reparti o servizi delle aziende ospedaliere già attivi, riconvertiti o ristrutturati nonché delle sperimentazioni gestionali di cui all'articolo 9-bis del decreto legislativo n. 502 del 1992, è differito alla ultimazione degli adeguamenti complessivi delle strutture dove gli stessi sono collocati. Pertanto dalla loro attivazione le stesse strutture devono essere considerate provvisoriamente accreditate. I nuovi servizi realizzati, nell'ambito di processi parziali di riconversione in atto e in coerenza con le indicazioni del P.S.R. e degli atti aziendali, devono parimenti essere considerati provvisoriamente accreditati nelle more dell'accreditamento complessivo delle strutture all'interno delle quali sono collocati»;
   il decreto del commissario ad acta n. 28 del 2010 stabilisce, modificando con l'articolo 4 l'apposito regolamento n. 13 del 2009, che «gli atti di autorizzazione sanitaria all'esercizio e di accreditamento istituzionale sono rilasciati dalla Regione alle strutture sanitarie, socio-sanitarie, nonché ai singoli professionisti che ne facciano richiesta, subordinatamente al possesso dei requisiti individuati dal regolamento 1o settembre 2009, n. 13, sulla base delle verifiche svolte in ambito aziendale dalle Commissioni Aziendali e dal conseguente parere del legale rappresentante dell'Azienda sanitaria, fermo restando a definizione del fabbisogno e del volume delle attività individuate dalla programmazione regionale»;
   lo stesso DCA n. 28 del 2010, modificando, con l'articolo 4, l'apposito regolamento n. 13 del 2009, stabilisce che: «La Commissione aziendale, ad esito della verifica effettuata presso gli studi dei singoli professionisti e presso le strutture sanitarie e socio-sanitarie, pubbliche e private, elabora la propria relazione di verifica e la inoltra al legale rappresentante dell'Azienda sanitaria che, a sua volta, la trasmette alla Regione, all'interna dell'Atto Deliberativo attestante il previsto parere. La Regione, ad esito del procedimento e sulla base della preventiva verifica sulla conformità delle prestazioni rispetto al fabbisogno di assistenza definito dagli atti di programmazione regionale, può rilasciare: il parere sulla compatibilità del progetto, in caso di autorizzazione alla realizzazione; l'autorizzazione sanitaria all'esercizio; l'accreditamento istituzionale»;
   in merito all'applicabilità delle predette norme, lo stesso, DCA n. 28 del 2010, modificando con l'articolo 5, l'apposito regolamento n. 13 del 2009, stabilisce che «il presente regolamento disciplina le procedure espressamente attivate dal Dipartimento Regionale Tutela della Salute e Politiche sanitarie e trasmesse alla Commissione dal Direttore Generale ovvero dal Rappresentante legale delle Aziende Sanitarie»;
   con nota del 5 agosto 2015, prot. n. 241005, il direttore generale del dipartimento regionale della Calabria – per la tutela della salute; professor Riccardo Fatarella, ha comunicato ai deputati Dalila Nesci e Paolo Parentela – i quali avevano rappresentato gli esiti della loro visita del 13 luglio 2015 presso l'unità operativa di Cardiochirurgia di cui più sopra – l'attivazione della «procedura di verifica del possesso dei requisiti di legge presso l'U.O. di Cardiochirurgia dell'Aou Mater Domini di Catanzaro», all'uopo allegando la nota – prot. n. 240607 del 5 agosto 2015 del dirigente per l'accreditamento, dottor Salvatore Lopresti, trasmessa al commissario straordinario dell'Asp di Crotone, al commissario straordinario dell'Asp di Catanzaro e al dirigente generale del dipartimento regionale per la tutela della salute, nonché al commissario straordinario dell'Aou «Mater Domina» Catanzaro (policlinico universitario);
   alla luce della normativa sopra richiamata non vi è dubbio che la commissione di controllo dei requisiti dell'unità operativa di Cardiochirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro sia stata inviata nel rispetto delle norme vigenti, dal dirigente regionale di competenza e in ossequio alla disciplina sull'accreditamento di cui alla citata Legge regionale 12 giugno 2009, n. 19, e al DCA n. 28 del 2010, che, per come sopra citato, compendia l'articolo 12 della legge n. 24 del 2008 in materia di regolamento circa «le modalità operative ed i criteri per la composizione delle Commissioni aziendali per l'autorizzazione sanitaria e l'accreditamento»;
   a fortiori, l'articolo 12 del regolamento per l'accreditamento, innovato e recepito dal citato DCA n. 28 del 2010 – adottato, come figura in premessa, sulla base del verbale della riunione interministeriale del 27 ottobre 2010 in cui «Tavolo e Comitato ritengono inopportuno e fonte di possibili conflitti di competenza affidare la verifica dei requisiti a commissioni costituite da dipendenti dell'azienda le cui strutture necessitano di verifica» –, contiene lo schema delle verifiche di competenza, da cui emerge con chiarezza che la commissione dell'Asp Crotone effettua le verifiche per l'Asp di Catanzaro, la quale, stando all'articolo 12 della legge 24 del 2008, come le altre Asp attiva, «avvalendosi delle proprie strutture ordinarie, nonché delle Commissioni di cui all'articolo 12 sistemi di controllo di verifica sia sulla permanenza dei requisiti strutturali, organizzativi e professionali che, relativamente alle strutture pubbliche e private accreditate, sull'appropriatezza delle prestazioni sanitarie e socio-sanitarie erogate, disponendo le occorrenti attività ispettive almeno ogni due mesi a campione»;
   dell'attivazione della riferita procedura di controllo era al corrente il dg dell'Asp di Catanzaro, avendo ricevuto apposita comunicazione del 5 agosto 2015 a seguito della quale non avrebbe eccepito alcunché;
   a seguito della riferita procedura di controllo è emersa, a giudizio degli interpellanti, una situazione molto grave in relazione al reparto di cui si tratta, già in parte segnalata dall'ex primario, professor Attilio Renzulli, che da direttore dell'unità operativa il 5 febbraio 2013 inviò al direttore sanitario e al direttore generale dello stesso policlinico – come al rettore dell'Università di Catanzaro, al dipartimento regionali per la tutela della salute e al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, della Calabria – una richiesta di provvedimenti a fronte di «n. 6 casi di sepsi grave su n. 60 pazienti operati, con una incidenza dal 10 per cento ed un mortalità del 5 per cento»;
   contestualmente, il Renzulli rilevò che «l'assenza (...) di una sala operatoria
separata e distinta, sotto il profilo strutturale/architettonico, dalle altre esistenti nell'unico blocco operatorio, implica il passaggio di personale e pazienti, non afferenti l'unità di cardiochirurgia, con nette conseguenze sotto il profilo infettivo/contaminatorio»;
   contestualmente, il Renzulli aggiunse «che l'unità operativa di cardiochirurgia del campus di Germaneto, rappresenta l'unica unità operativa di cardiochirurgia in Italia non dotata, in via esclusiva, della unità di terapia intensiva», Precisò, quindi, che dette «carenze architettonico/strutturali sono gravissime ed espongono il paziente che ha subito un intervento cardiochirurgico (...) a rischi gravissimi e non tollerabili, che possono portare anche a conseguenze nefaste»;
   in data 4 marzo 2013, il Renzulli fu ricoverato per malattia presso il policlinico universitario di Catanzaro;
   in data 6 marzo 2013, il Renzulli fu sospeso cautelativamente dall'incarico direttoriale, con delibera dell'Aou «Mater Domini» n. 128 (/2013);
   in data 7 marzo 2013, per il professor Pasquale Mastroroberto la scuola di medicina e chirurgia dell'università di Catanzaro propose la nomina a direttore dell'unità di cardiochirurgia in argomento, giusto lo stesso giorno formalizzata dal rettore con proprio decreto, n. 157 del 2013, e con delibera, in pari data, n. 130 del 2013 dell'Aou «Mater Domini»;
   in data 15 marzo 2013, con lettera ai vertici dell'azienda ospedaliera e al medico di competenza, il Renzulli chiese di essere sottoposto ad accorgimenti finalizzati a verificare l'idoneità psico-fisica;
   in data 19 marzo 2013, il Renzulli fu convocato per la predetta visita di accertamento, prevista il 26 marzo dello stesso anno;
   in data 27 marzo 2013, in ordine alla suddetta comunicazione del 5 febbraio 2013, il Renzulli fu audito da una commissione aziendale interna, che non ritenne di poter evidenziare «colpe a carico dei responsabili e del personale medico ed assistenziale, che gli episodi di sepsi possono essere di ricondotti a picchi che si presentano nelle strutture assistenziali ad elevata intensità di cura»;
   in un'intervista pubblicata il 21 maggio 2013 sulla testata on line «Lamezia in strada», registrazione n. 2/2011 presso il Tribunale di Lamezia Terme, si rende conto della vicenda di «tre decessi di pazienti con infezioni acute: degenti in terapia intensiva» nell'unità operativa cardiochirurgica del policlinico universitario di Catanzaro, a seguito della quale l'intervistato, prof. Attilio Renzulli, che all'epoca era direttore di tale unità operativa, inviò – come si legge nella medesima fonte giornalistica – «una lettera esposto indirizzata ai dirigenti dell'azienda e alla Procura della Repubblica» di Catanzaro, chiedendo in proposito «interventi urgenti»;
   in data 25 settembre 2013, il Renzulli fu reintegrato con delibera dell'Aou «Mater Domini», n. 625 del 25 settembre 2013, per l'esito degli accertamenti compiuti circa la di lui idoneità psico-fisica e da direttore fu poi sostituito, in definitiva, dal Mastroroberto, anche per via del contenuto del verbale della scuola di medicina e chirurgia del 18 dicembre 2014, il cui consiglio preferì il Mastroroberto poiché aveva vinto l'abilitazione quale docente universitario di I fascia e per il medesimo organismo risultava quindi più idoneo all'incarico di specie, a direzione universitaria;
   in data 21 novembre 2014, il giudice per le indagini preliminari dottoressa Abigail Mellace, archiviò, su proposta del pubblico ministero titolare, dottoressa Fabiana Rapino, il procedimento penale avviato dalla procura di Catanzaro a seguito del riferito esposto del Renzulli, datato 24 maggio 2013;
   benché nell'esposto in questione fosse stato richiesto di verificare l'effettivo svolgimento del succitato consiglio, il pubblico ministero e il giudice per le indagini preliminari concludevano nel senso precisato, del tutto indipendentemente dall'allarme formalizzato dal Renzulli sui decessi in seguito a sepsi e sulle carenze del reparto;
   tali carenze oggi risulterebbero per gli interpellanti confermate nel verbale della commissione regionale di controllo;
   dal rammentato verbale della commissione di controllo emerge che il legale rappresentante del policlinico universitario, il dottor Antonio Belcastro, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del 14 ottobre 2015, sotto la propria responsabilità ha dichiarato che «l'U.O. di Cardiochirurgia possiede i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi previsti dalla normativa vigente», ma la commissione di controllo ha accertato l'esatto contrario;
   la riferita dichiarazione, che a regola dovrebbe ricalcare quella da rendere obbligatoriamente, secondo l'articolo 14 della legge regionale n. 24 del 2008, risulterebbe quindi in estremo contrasto con quanto accertato e certificato nelle conclusioni dalla commissione aziendale per l'autorizzazione e l'accreditamento, rinvenibile alle pagine 9 e 10 del prefato verbale, le cui conclusioni sono state ulteriormente esplicitate dal presidente, dottor Luigi D'Orazio, nella comunicazione del 3 febbraio 2016, prot. n. 11648, indirizzata al direttore generale dell'Asp di Catanzaro e attestante che l'unità operativa di Cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro «non possiede, al momento dei sopralluoghi e della stesura della relazione finale, i requisiti strutturali e tecnologici previsti dalla legge regionale n. 24 del 2008 e dal Regolamento n. 13/2009»;
   dal verbale della commissione di controllo di cui si tratta, alla luce della visita dei deputati Dalila Nesci e Paolo Parentela del 13 luglio 2015,  presso la predetta unità operativa di cardiochirurgia, emerge, a giudizio degli interpellanti, il tentativo di sanare, attraverso una mera separazione di spazi, peraltro ancora non compiuta, la riscontrata mancanza della terapia intensiva dedicata, invece in Calabria obbligatoria e presente, per esempio, presso la cardiochirugia del policlinico Gemelli di Roma, dell'ospedale Niguarda di Milano, dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dell'Humanitas Gavazzeni di Milano, degli Ospedali Riuniti di Ancona e dell'ospedale San Camillo-Forlanini di Roma;
   dal riferito verbale emergerebbe la mancanza di una sala operatoria a fronte delle due previste dalla norma e la dotazione di soli n. 10 posti letto a fronte dei 14 previsti dalla normativa di riferimento;
   dal verbale in questione emergerebbe, inoltre, la mancata definizione e identificazione, sia nel numero che nella dislocazione, dei posti letto, nonché un numero di infermieri di gran lunga inferiore al numero previsto dalla normativa;
   dal verbale in parola emergerebbe, quindi, la mancanza della figura del cardiologo e del terapista della riabilitazione, nonché la mancanza della figura di un tecnico manutentore di struttura;
   nello stesso verbale si legge di un numero di interventi in circolazione extracorporea pari a 216, ben inferiore rispetto ai 300 previsti dalla normativa;
   nel medesimo verbale si legge della mancanza delle autocertificazioni dei singoli dirigenti medici, che non hanno indicato la propria casistica degli interventi negli ultimi cinque anni, come prevede la specifica norma;
   nel verbale è scritto, ancora, della mancata verifica periodica, obbligatoria, delle attrezzature elettromedicali nel rispetto delle scadenze previste dalla specifica norma;
   soprattutto, il verbale attesta la mancanza nell'unità operativa in parola del programma delle analisi batteriologiche, dei relativi risultati e del registro di prevenzione e controllo legionellosi, nonché la mancanza degli interventi per la prevenzione e il controllo della legionellosi;
   il verbale attesta, inoltre, la carenza di documentazione relativa alla nomina di RLS, alla nomina del medico competente, alla sorveglianza sanitaria per le lavoratrici madri, alla formazione ed informazione del personale;
   nel verbale si legge, infine, della mancanza del DVR completo di data e firma del datore di lavoro, del medico competente del RSPP e del RLS, nonché della mancanza dei giudizi di idoneità di tutto il personale afferente all'UO di cardiochirurgia e degli operatori afferenti alle Uu.Oo. funzionali ad essa;
   con il DCA n. 21 del 2016 del 10 febbraio 2016, il commissario Massimo Scura e il sub-commissario per il rientro dal disavanzo sanitario regionale, Andrea Urbani, hanno annullato – rectius, revocato – la succitata procedura di verifica, ritenendola illegittima;
   allo stato dei fatti, a quanto consta agli interpellanti, l'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» è l'unica struttura «pubblica», pur in possesso di «accreditamento provvisorio – ope legis – per la quale è stato avviato, in epoca antecedente alla legge regionale n. 19 del 2009, un procedimento di verifica del possesso di autorizzazione e di accreditamento;
   il dipartimento regionale di competenza ha, dunque, come più sopra narrato, richiesto la verifica del possesso dei requisiti;
   nel caso della cardiochirurgia dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini», il procedimento è stato dunque avviato per la verifica del possesso dei requisiti per l'accreditamento definitivo dalla commissione incrociata di Crotone in ottemperanza alla legge regionale n. 19 del 2009 e successive modifiche ed integrazioni e non, come erroneamente contenuto nel DCA n. 21 del 2016, per la verifica del mantenimento dei requisiti di una struttura già accreditata, proprio perché la verifica del possesso dei requisiti era in itinere e non si era mai conclusa;
   la commissione dell'Asp di Crotone ha sempre informato della procedura in questione la struttura commissariale per il rientro, che non si è mai pronunciata in merito, se non alla conclusione del procedimento di verifica esitato nella delibera n. 72 del 2016 del dirigente generale dell'Asp di Catanzaro, che ha proposto la sospensione delle attività della riferita unità operativa di Cardiochirurgia, al fine di risolvere le criticità evidenziate dalla commissione di controllo;
   in ordine alla legittimità dell'adozione del DCA n. 21 del 10 febbraio 2016, il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale avrebbe dovuto, a giudizio degli interpellanti, rispettare le norme sul procedimento amministrativo stabilite dalla legge n. 241 del 1990, e cioè dare la comunicazione di cui all'articolo 7 della citata legge e consentire la partecipazione a procedimento di cui agli articoli 9 e 10;
   inoltre, il commissario ad acta non ha, nel caso di specie, provveduto ad annullare un «provvedimento» definitivo e completamente formato, bensì ha proceduto ad annullare, a parere degli interpellanti, impropriamente, un intero iter procedimentale in itinere e i relativi atti endoprocedimentali;
   il riferito DCA n. 21 del 2016 è stato adottato sulla base di una presunta violazione di norme sul procedimento e senza dare atto, a quanto consta agli interpellanti, di quali fossero concretamente le ragioni di interesse pubblico che a tale annullamento d'ufficio hanno condotto il commissario ad acta e il sub-commissario;
   nel caso di specie, pertanto, a giudizio degli interpellanti, è stato violato l'obbligo di adeguata motivazione dei provvedimenti amministrativi di cui all'articolo 3 della legge n. 241 del 1990, posto che, essendo stata impedita la partecipazione procedimentale, la motivazione del provvedimento è conseguentemente inficiata da un grave difetto d'istruttoria;
   emerge dunque, per gli interpellanti, per tabulas, che il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria e il sub-commissario hanno ampiamente travalicato la facoltà di procedere alla «rimozione, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, dei provvedimenti, anche legislativi, adottati dagli organi regionali e i provvedimenti aziendali che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano di rientro e dei successivi Programmi operativi, nonché in contrasto con la normativa vigente e con i pareri e le valutazioni espressi dai Tavoli tecnici di verifica e dai Ministeri affiancanti», agli stessi concessa in base al punto n. 13 della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 12 marzo 2015, posto che gli stessi non hanno proceduto alla rimozione di «provvedimenti», bensì di atti che non costituiscono affatto un «provvedimento» in senso tecnico-giuridico –:
   quali iniziative di competenza, innanzitutto a garanzia del diritto alla salute dei pazienti dell'unità operativa in argomento, intenda assumere il Ministro interpellato rispetto all'adozione del succitato DCA n. 21 del 2016 e se non ritenga, alla luce della gravità assoluta dei fatti esposti, di promuovere l'immediata rimozione dall'incarico degli attuali commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria.
(2-01277) «Nesci, Dieni, Parentela, Grillo, Silvia Giordano, Baroni, Colonnese, Di Vita, Lorefice, Mantero, D'Incà».

Interrogazione a risposta immediata:


   FAUTTILLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   ben 6500 medici competenti sarebbero stati cancellati nell'aprile del 2015 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per non aver soddisfatto il fabbisogno formativo previsto dal testo unico per la sicurezza sul lavoro decreto-legge n. 81 del 2008 (crediti Ecm adeguati, pari a 105 in medicina del lavoro) entro il 2013, nonostante la confederazione dei medici della dipendenza avesse chiesto al Ministero di posticipare tale decisione a gennaio 2016;
   il giudizio del medico competente è un documento che ha valore legale ed è utilizzato in contenziosi. La validità dei giudizi emessi dai colleghi cancellati potrebbe essere inficiata con aggravamento del contenzioso su malattie occupazionali, infortuni lavorativi ed altro;
   risulterebbe che in alcuni casi i provider non abbiano fatto a tempo a trasmettere i crediti regolarmente conseguiti, o non fossero accreditati a livello nazionale, o l'autocertificazione del medico non fosse pervenuta per un cattivo funzionamento del sistema di posta elettronica. Infine c’è chi non sarebbe arrivato per un soffio in un contesto in cui non ovunque l'offerta formativa è sufficiente;
   molti medici competenti sono anche dipendenti Asl e l'ospedale è il luogo deputato a una pronta diagnostica e terapia nelle procedure dei medici competenti;
   se 6500 medici non ottengono i crediti, vuol dire che le aziende non hanno fatto la loro formazione mentre sarebbe opportuno più tempo sia per i medici da formare, sia per le aziende. Si tratta di professionisti specializzati, di competenze che non possono essere cancellate per il mancato rispetto di una percentuale;
   l'obbligo di totalizzare il 70 per cento dei crediti in medicina del lavoro andava soddisfatto da fine 2013 ma era stato concesso un anno di proroga, mentre ad aprile 2015, è intervenuto il depennamento, e la revoca dell'incarico ai medici da parte di molti datori di lavoro;
   la Fnomceo ha messo in campo due corsi per aiutare un rapido recupero crediti e ha mediato con il Ministero della salute che sarebbe propenso a regolarizzare entro l'anno chi rientra in linea con i crediti, in pratica senza «sospenderlo» per il periodo in cui è stato depennato –:
   se non ritenga opportuno, al fine di non disperdere un patrimonio di professionalità riconosciute in nome di un fabbisogno di crediti solo sfiorato o di un sistema informatico da aggiornare, di adottare in tempi brevi iniziative volte a consentire per chi fa sorveglianza sanitaria di mettersi in linea con i crediti del triennio 2011-2013, aggiungendoli progressivamente a quelli del 2014-2016 in corso.
(3-02013)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LENZI, CANI, MARROCU, MARCO MELONI, MURA, PES, PINNA, GIOVANNA SANNA, FRANCESCO SANNA, CARNEVALI e ARGENTIN. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le cronache riportano sempre più spesso casi di maltrattamenti a danno di minori, anziani e disabili, tutti soggetti con evidenti situazioni di disagio, che si consumano all'interno di strutture, pubbliche e private (come asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali), di cui sono ospiti;
   dopo pochi giorni dalla denuncia dei fatti accaduti presso il centro l’«Eugenio Litta» di Grottaferrata in provincia di Roma, le cronache riportano un altro episodio avvenuto in Sardegna presso il centro Aias di Decimomannu;
   secondo le indagini condotte dal comando provinciale dei carabinieri e del Nas di Cagliari che hanno notificato le misure cautelari a 14 operatori e responsabili del centro Aias di Decimomannu, questi avrebbero maltrattato, picchiato e umiliato in modo «continuo e sistematico» gli ospiti della struttura psichiatrica convenzionata in cui lavoravano;
   le accuse vanno a vario titolo dall'omissione di atti d'ufficio, ai maltrattamenti, alle percosse, alle lesioni personali e all'omissione di referto –:
   quali ulteriori iniziative urgenti i Ministri interrogati ritengano necessario assumere, per quanto di competenza e d'intesa con le regioni, per incrementare le attività di controllo e vigilanza nei confronti delle strutture socio-educative, sanitarie e di ricovero adibite all'assistenza e alla cura di pazienti ivi ricoverati, oltre alla task force già istituita dal Ministro della salute nel 2013. (5-07796)


   CARNEVALI, LENZI, PATRIARCA, ARGENTIN, FOSSATI, AMATO, GIUDITTA PINI, D'INCECCO, MURER, GRASSI, PIAZZONI, CASATI, BENI, MIOTTO e CAPONE. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le cronache riportano sempre più spesso casi di maltrattamenti perpetrati a danno di minori, anziani e disabili, tutti soggetti con evidenti situazioni di disagio, che si consumano all'interno di strutture, pubbliche e private (come asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali), di cui sono ospiti;
   l'ultimo caso venuto alla luce in questi giorni, grazie alle indagini condotte dai carabinieri dei Nas di Roma in collaborazione con i militari del gruppo carabinieri di Frascati, è quello accaduto nel centro di riabilitazione per disabili di Grottaferrata, l’«Eugenio Litta», in convenzione con il servizio sanitario regionale del Lazio dove sono state eseguite 10 ordinanze di custodia cautelare (1 in carcere e 9 agli arresti domiciliari), emesse dalla procura della Repubblica di Velletri a carico di altrettante persone accusate di maltrattamento aggravato e sequestro di persona di giovani pazienti affetti da patologie neuropsichiatriche, ospiti del centro di riabilitazione;
   le indagini hanno avuto inizio grazie alle denunce presentate nei primi mesi del 2015 dai vertici della società gestore della struttura relative a sospetti episodi di coercizione e lesioni accaduti all'interno di un reparto, dove erano ospitati 16 ragazzi ambosessi, di età compresa tra gli 8 e 20 anni (di cui 5 minori di anni 14), ricoverati stabilmente sulla base di un quadro clinico contrassegnato da ritardo mentale, epilessia e sindromi genetiche;
   le attività investigative, protrattesi per circa tre mesi e supportate anche da intercettazioni audio/video, hanno consentito di cristallizzare significativi e reiterati episodi di rilevanza penale;
   in particolare, riferiscono i Nas, «dalle riprese si evince il frequente ricorso, da parte degli operatori, a strattonamenti, percosse ed insulti, utilizzati come illecito strumento di disciplina e vigilanza sui giovani pazienti che, peraltro, venivano costretti ad alimentarsi celermente con rischio di soffocamento, determinando la vanificazione dell'attività riabilitativa»;
   la preoccupante recrudescenza di episodi di tale gravità apre interrogativi sulla capacità del sistema sanitario e sociosanitario nazionale di prevenire comportamenti e condizioni inaccettabili per il rispetto della dignità dei pazienti nonché sulla formazione della figura dell'educatore professionale e la sua situazione di profonda incertezza identitaria e professionale che vive in questi ultimi anni, sia per quanto riguarda le facoltà universitarie che questi può frequentare, sia per quanto riguarda il suo inserimento nel mondo del lavoro –:
   quali iniziative urgenti i Ministri interrogati ritengano necessario assumere, per quanto di competenza, anche d'intesa con le regioni, per incrementare le attività di controllo e vigilanza nei confronti delle strutture socio-educative, sanitarie e il ricovero adibite all'assistenza e alla cura di pazienti con le patologie sopra richiamate. (5-07799)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di novembre 2015 è stata trasmessa al Parlamento la relazione sull'attuazione della legge n. 194 del 1978, che stabilisce norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG), nella quale sono presentati i dati definitivi relativi all'anno 2013 e quelli preliminari per l'anno 2014;
   la relazione non riporta i dati assoluti sull'obiezione di coscienza, fenomeno che raggiunge la media del 70 per cento dei medici, con punte di oltre il 90 per cento al Sud e il 40 per cento degli ospedali che non garantiscono in nessun modo il servizio;
   il Consiglio d'Europa ha condannato l'Italia per la mancata applicazione della legge n. 194 del 1978;
   poche settimane fa, un noto giornale statunitense, il «New York Times», ha pubblicato un articolo sulla reale situazione della attuazione della legge n. 194 del 1978. L'articolo parlava della città di Ascoli Piceno, dove l'obiezione del personale sanitario e dei medici è giunta al 100 per cento. Anche la trasmissione «Presa Diretta», mandata in onda su Rai 3, durante il servizio dedicato alla controversia applicazione della legge n. 194 del 1978, ha mostrato come molte donne siano costrette a fare la coda all'alba nel sottoscala del San Camillo di Roma per la pratica dell'interruzione volontaria di gravidanza;
   la relazione annuale del Ministero della salute indica che il tasso di abortività delle italiane è tra i più bassi d'Europa: 9 interruzioni volontarie di gravidanza ogni 1000 donne. In altri Paesi è il doppio o il triplo: 15.9 in Gran Bretagna, 18.1 in Francia, 20.13 in Svezia, 31.3 nella Federazione Russa;
   i dati sopra indicati potrebbero far pensare che sia aumentato il ricorso alla contraccezione. Tuttavia i dati dimostrano il contrario: l'Italia è agli ultimi posti, collocandosi prima di pochissimi Paesi dell'area UE per uso di contraccettivi, collocandosi davanti a soli quattro stati: Cipro, Romania, Lituania e Repubblica Ceca;
   un ulteriore altro dato sconcertante si registra in virtù del fatto che il nostro Paese è agli ultimi posti anche per il tasso di natalità;
   si deduce, quindi, che la percentuale di abortività italiana, è bassa perché tantissime donne, non potendo interrompere volontariamente la gravidanza in strutture ospedaliere pubbliche, si vedono costrette a ricorrere alle pratiche dell'interruzione volontaria di gravidanza clandestinamente e con metodi «fai da te»;
   l'articolo 5, comma 3 e 4, della legge n. 194 del 1978 recita: «Quando il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l'esistenza di condizioni tali da rendere urgente l'intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l'urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi a una delle sedi autorizzate a praticare l'interruzione della gravidanza»;
   di fatto la certificazione molto spesso non viene rilasciata con l'urgenza dettata dalla legge, pertanto le donne si trovano a dover interrompere la gravidanza anche dopo il termine delle dodici settimane di gestazione, come invece prescrive la legge;
   inoltre, l'articolo 5, comma 5 recita: «Se non è riscontrato il caso di urgenza, al termine dell'incontro il medico del consultorio o della struttura socio-sanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all'articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l'avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere l'interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzatale procedura applicata qualora non vi sia urgenza d'interruzione di gravidanza, le procedure presso gli enti ospedalieri che praticano l'IVG»;
   tale procedura, applicata in casi di non urgenza, di fatto secondo gli interroganti annulla la vigenza effettiva della legge e mette in discussione la possibilità di decisione e l'autodeterminazione della donna, già provata per la scelta che si trova a dover affrontare. Inoltre, si chiede alla donna di ripensare alla scelta fatta dandole sette giorni di riflessione, potendo così configurarsi una ipotesi per gli interroganti di «violenza psicologica istituzionale»;
   i dati pubblicati nella relazione annuale relativa all'applicazione della legge n. 194 del 1978 non tracciano secondo gli interroganti, una fedele fotografia della realtà –:
   se i fatti riportati in premessa corrispondano a vero e se il Ministro interrogato ne sia a conoscenza;
   se non ritenga utile assumere iniziative per abrogare il comma 5 dell'articolo 5 della legge n. 194 del 1978 per evitare pressioni psicologiche alle donne che hanno già deciso di interrompere la gravidanza;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire, in tutte le strutture sanitarie, la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza, ricorrendo anche alla mobilità del personale medico e paramedico per garantire il rispetto delle prescrizioni legislative stesse. (5-07800)

Interrogazione a risposta scritta:


   SANTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 agosto 2015, il commissario ad acta per la alla Sanità Calabrese, Ingegner Massimo Scura, emanava un decreto (DCAN87) con cursi prevedeva di sopperire alla carenza in organico di operatori sanitari nelle strutture ospedaliere presenti sul territorio calabrese offrendo la possibilità di un programma operativo per il reclutamento di personale;
   nello stesso decreto è prevista la possibilità da parte delle aziende sanitarie provinciali (ASP) e delle aziende ospedaliere calabresi, di procedere all'assunzione di varie figure professionali e nello specifico 18 primari, 256 medici, 2 fisici, 12 farmacisti, 160 infermieri, 125 operatori socio sanitari, 1 fisioterapista, 15 tecnici di radiologia, 7 dirigenti amministrativi, 6 dirigenti professionali, 1 avvocato, 4 collaboratori tecnici;
   la figura professionale del biologo, pur essendo carente nelle piante organiche di molti laboratori ospedalieri di analisi cliniche e nelle analoghe strutture pubbliche territoriali, è stata completamente ignorata, con grave discriminazione per la categoria stessa e con notevole nocumento per l'eccessiva mole di lavoro cui si vedono costretti ad effettuare i pochi strutturati rimasti, con possibile, a volte inevitabile, disservizio;
   inoltre, in alcuni casi inerenti ad altre figure professionali previste nel decreto, si è proceduto ad effettuare dei bandi per la copertura dei posti vacanti, ma poi, così come è avvenuto nella azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria per ginecologi e ostetriche, non si è provveduto alle assunzioni perché le relative graduatorie, pur redatte dall'apposita commissione, non sono state pubblicate e rese valide e a giudizio dell'interrogante non si capisce per quale recondito motivo;
   tale ultima fattispecie riguarda in particolare, come accennato, le strutture di ginecologia e ostetricia esistenti nei vari nosocomi della provincia di Reggio Calabria, ove sono notevoli i disagi dovuti alla carenza di personale, considerando altresì che quello in servizio, avendo oramai un'età media molto elevata, non è in grado in molti casi di svolgere completamente le attività di reparto e i turni di lavoro, perché varie unità sono esentate da lavori gravosi e dai turni notturni, per motivi di salute o per le agevolazioni previste dalla legge n. 104 del 1992;
   per tali motivi, l'azienda sanitaria provinciale 005 di Reggio Calabria aveva proceduto ad approvare la delibera n. 458 del 1o luglio 2015 avente ad oggetto «Avviso pubblico sostituzione personale assente. Con all'interno specificato: 1) Dirigenti medici: Ostetricia e Ginecologia, Psichiatria e Medicina del Lavoro; 2) Operatore Professionale: Ostetrica; provvedendo poi a far redigere 2 graduatorie, che nel caso delle ostetriche e dei medici ginecologi, non sono state poi ufficializzate e dunque non si è proceduto all'assunzione delle figure professionali mancanti –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare:
    a) affinché il commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria Ingegner Massimo Scura rimedi con celerità a quella che appare all'interrogante un'evidente omissione contenuta nel DCA n. 87 dell'11 agosto 2015, inserendo, con atto integrativo, la figura del biologo, tra le categorie per le quali è possibile procedere con urgenza alle carenze esistenti nelle piante organiche delle strutture sanitarie pubbliche calabresi;
    b) per chiarire le motivazioni per cui si è proceduto alla pubblicazione delle graduatorie per l'assunzione temporanea di ostetriche e di medici ginecologi, per come illustrato in premessa, e per far sì che, se non esistono motivi ostativi, si provveda alla immediata pubblicazione con la relativa urgente assunzione del personale previsto. (4-12107)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata:


   BALDELLI, POLVERINI, OCCHIUTO e POLIDORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 6 ottobre 2015 la Camera ha approvato all'unanimità la mozione, a prima firma del proponente del presente atto di sindacato ispettivo, recante iniziative per la tutela dei diritti dei consumatori nei confronti degli operatori del mercato dell'energia elettrica e del gas, protagonisti di comportamenti presumibilmente scorretti e attualmente oggetto di indagini, come l'emissione di maxibollette frutto di conguagli pluriennali, fatturazioni incongrue, basate su conteggi di consumi stimati, ma non effettivi, errori di valutazione, e mancate considerazioni delle autoletture;
   il testo del dispositivo approvato con un voto unanime dell'Assemblea e con il parere favorevole del Governo, impegnava il Governo stesso ad «intervenire nell'ambito delle proprie competenze, affinché fosse assicurata dagli operatori del settore una moratoria sulle recenti maxibollette derivanti da conguagli superiori a due anni, finché le autorità non abbiano completato gli accertamenti circa eventuali violazioni del codice del consumo»;
   per analoghe irregolarità, in data 25 gennaio 2016, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha condannato diverse società del settore idrico al pagamento di oltre due milioni di euro;
   nel frattempo, gli utenti interessati da tali «maxibollette e mega-conguagli» continuano a pagare, i più fortunati a rate, questi importi che pesano spesso come macigni sulle economie domestiche dei soggetti interessati;
   già una volta, successivamente all'approvazione della mozione di cui sopra, la mancata applicazione della moratoria è stata fatta oggetto di un'interrogazione a risposta immediata in X Commissione della Camera dei deputati e il Governo, in quella circostanza, rassicurò gli interroganti circa la volontà di mantenere l'impegno in tempi relativamente brevi;
   la senatrice Simona Vicari, Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico a cui era stata assegnata la delega sulle materie di competenza della «Direzione generale per mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica», che aveva seguito questo dossier e che il 7 gennaio 2016 aveva auspicato «entro gennaio obblighi stringenti a favore dei consumatori vittime dei maxi-conguagli», è passata ad un altro dicastero, nell'ambito del recente «mini-rimpasto» e, attualmente, la delega risulta essere tornata in capo al Ministro interrogato –:
   quanto tempo ancora gli utenti destinatari di «maxibollette e mega-conguaglio» dovranno aspettare, pagando nel frattempo gli importi richiesti, prima che il Governo intervenga in modo finalmente risolutivo per mantenere l'impegno e far sì che gli operatori stessi «assicurino» al più presto la suddetta moratoria. (3-02014)


   PICCONE, BOSCO e MINARDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di collegamento veloce alla rete internet attraverso un'infrastruttura di rete a banda ultralarga è ormai diventato elemento indispensabile di competizione economica, oltre che di modernizzazione della società;
   per chiunque utilizzi strumenti informatici e telematici la possibilità di accedere alla rete con collegamenti veloci e affidabili è di fondamentale importanza (mercato consumer, accesso ai servizi pubblici, formazione, cultura e ricerca), ma una robusta ed efficiente infrastruttura telematica sarà sempre di più – nel prossimo futuro – un fattore competitivo di primaria importanza per lo sviluppo del sistema produttivo italiano e per la collocazione vincente nelle nostre imprese all'interno delle catene di valore;
   il ritardo del nostro Paese nella realizzazione di una rete digitale a banda larga ultraveloce non può quindi essere sottovalutato: esso rappresenta (oggi in modo ancora non evidente) uno dei maggiori fattori frenanti di una concreta prospettiva di crescita economica del Paese nel futuro prossimo e nel medio termine;
   purtroppo questo ritardo perdura e gli esiti dell'ultimo monitoraggio della Commissione europea sullo stato di avanzamento dell'Agenda digitale lo evidenziano in maniera assai eloquente (venticinquesima posizione nella classifica dei 28 Stati membri dell'Unione europea);
   quasi un anno fa il Governo ha lanciato «Piano per la banda ultralarga», insieme alla «Strategia per la crescita digitale 2014-2020». Il Governo ha dimostrato in tal modo una sensibilità ai temi della crescita digitale e una volontà di rimediare al gap infrastrutturale con un'azione pubblica decisa, nella consapevolezza che gli operatori privati delle telecomunicazioni non hanno – da soli – una capacità (e una volontà) di investimento adeguata all'esigenza del sistema-Paese di recuperare in tempi rapidi il ritardo accumulato;
   questa scelta decisa è del tutto condivisibile e lungimirante ma dal marzo 2015 non si è registrata una analoga capacità decisionale nella definizione dei successivi passaggi attuativi del Piano: incertezza sui fondi pubblici disponibili, mancata definizione delle modalità di erogazione dei contributi pubblici, lunghe schermaglie con e fra gli operatori privati coinvolti;
   una volta definite le risorse pubbliche a disposizione – fondi europei FESR e FEASR e Fondo di sviluppo e coesione, per complessivi 6 miliardi di euro, a cui si dovrebbero sommarsi i fondi collegati del piano Juncker – sono rimasti in sospeso gli altri aspetti, il cui chiarimento è stato più volte preannunciato;
   intorno a Natale si sono verificate alcune novità in merito alla partecipazione di Enel all'operazione, oggetto fino ad allora solo di ipotesi di studio: il cambio di oltre trenta milioni di contatori nelle case degli italiani potrebbe diventare un'occasione per portare la fibra fino a dentro le case (FTTH) a costi contenuti;
   parallelamente il Comitato per la banda ultralarga di palazzo Chigi (Cobul) cambiava indirizzo in merito ai finanziamenti pubblici a fondo perduto (originariamente ipotizzati) delineando una modalità di realizzare la rete fissa – nelle aree a fallimento di mercato – con proprietà pubblica. Il Sottosegretario Giacomelli dichiarava in proposito che si realizzerebbe in tal modo un vero e proprio ritorno dello Stato nell'industria delle telecomunicazioni con 4 miliardi di investimenti stanziati per portare la fibra in 7.300 comuni;
   nel frattempo Enel costituiva la newco Enel open fiber, che dovrebbe avere come proprio core business proprio la stesura della fibra «spenta» e la cura della sua manutenzione, mentre Infratel, società in house del Ministero dello sviluppo economico, resterebbe proprietaria della rete –:
   quali saranno le modalità di erogazione dei finanziamenti pubblici verso le quali il Governo è orientato (considerate le dinamiche attualmente in atto nel mercato delle telecomunicazioni, nonché il nuovo ruolo assunto da Enel con la creazione di Enel open fiber) e se non intenda impegnarsi anche, per le aree a fallimento di mercato, a ricorrere ad una gara unica nazionale (cioè per tutte le zone a fallimento di mercato, o regione per regione o per più regioni). (3-02015)


   MARTELLA, TARANTO, BENAMATI, ARLOTTI, BARGERO, BASSO, BECATTINI, BINI, CAMANI, CANI, DONATI, GALPERTI, GINEFRA, IMPEGNO, MONTRONI, PELUFFO, SCUVERA, SENALDI, TENTORI, VICO, BURTONE, BRATTI, AMODDIO, CARRA, MARIANO, MOGNATO, GIOVANNA SANNA, ZAPPULLA e CINZIA MARIA FONTANA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico si è riunito il tavolo alla presenza di organizzazioni sindacali ed Eni circa il futuro di Versalis e della intera filiera chimica presente in Italia;
   in data 14 gennaio 2016 sempre in relazione a suddetta vertenza si è svolto un ulteriore incontro presso il Ministero dello sviluppo economico con la presenza dei Governatori delle regioni interessate;
   gli esiti degli incontri sono stati interlocutori e, comunque, Eni ha confermato la volontà di trovare un partner per Versalis;
   in data 20 gennaio 2016 si è svolto uno sciopero generale di tutti i lavoratori Eni del comparto chimico con una grandissima partecipazione, che in alcune realtà, come ad esempio Gela, hanno coinvolto un'intera comunità;
   il Ministro interrogato nel corso dell'incontro, pur nel rispetto dell'autonomia gestionale dell'Eni, ha affermato che non intende assistere ad alcun ridimensionamento del suddetto settore industriale e continua ad auspicare che si realizzi un progetto valido in grado di assicurare prospettive di crescita e di tutela dei livelli occupazionali;
   ad essere interessati sono ben 8 siti industriali, tra cui Marghera, e 6000 lavoratori diretti;
   da Eni non è venuta che una generica assicurazione di voler rispettare il prosieguo degli investimenti in corso, nonché gli accordi di programma che riguardano prevalentemente il settore della chimica verde, fattore ritenuto insufficiente da parte di sindacati e governi locali;
   le regioni hanno richiesto un ulteriore nuovo incontro per avere certezza sul piano industriale e sugli investimenti nel ramo chimico dell'ente nazionale e avere conferme sugli impegni assunti da Eni-Versalis;
   il 16 dicembre 2015 la Commissione attività produttive della Camera dei deputati ha approvato una risoluzione che impegna il Governo a vigilare sugli sviluppi aziendali e societari di Versalis in considerazione della assoluta strategicità del comparto della chimica per il Paese ed in particolare per siti come Marghera;
   i media riportano da tempo la notizia di un possibile interessamento del fondo statunitense Sk Capital e, in data 10 febbraio 2016, si è svolto un incontro, presso il Ministero dello sviluppo economico, tra il Ministro interrogato, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Claudio De Vincenti, ed i rappresentanti di Sk Capital, che, nella circostanza, avrebbero confermato – secondo quanto riportato da organi di stampa – l'interesse all'acquisizione di una partecipazione del 70 per cento di Versalis per un valore di 1,2 miliardi di euro con l'obiettivo di assicurare lo sviluppo di una grande compagnia chimica indipendente;
   SK Capital – sempre secondo quanto riportato da organi di stampa – è una società finanziaria che opera secondo il modello del private equity, gestendo risorse di terzi per 1,5 miliardi di dollari e partecipazioni in una decina di società del settore chimico, con un giro d'affari di 8 miliardi di dollari e con circa 9 mila occupati;
   la prospettata cessione del 70 per cento di Versalis a SK Capital registra la determinata risposta delle organizzazioni sindacali con un serrato programma di mobilitazione, che muove dalla denuncia di una strategia Eni volta al ridimensionamento del perimetro delle attività domestiche e in particolare, in riferimento all'ipotesi SK Capital, dalla considerazione che «la chimica – così si osserva in un documento unitario di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil – ha una redditività di medio e lungo periodo e ha bisogno di investimenti e ammodernamenti: un fondo di quelle dimensioni e caratteristiche non può garantire la prosecuzione della chimica italiana»;
   di fronte a tale ipotesi le organizzazioni sindacali hanno indetto ulteriori 8 ore di sciopero per il 19 febbraio 2016, richiedendo, con nota del 10 febbraio 2016, un incontro urgente al Presidente del Consiglio dei ministri ed al Ministro interrogato e rinnovando la «proposta di intervento del Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti, prima che sia troppo tardi»;
   negli anni ’90 si è già assistito ad un progressivo indebolimento di un asset industriale molto importante per l'economia del Paese e l'Italia non può assolutamente permettersi di vedere ulteriormente ridimensionato un comparto come quello della chimica;
   questa incertezza rischia di pregiudicare molti progetti industriali tra cui appunto quelli di Porto Marghera, di Porto Torres, di Gela nell'ambito di una prospettiva di rilancio nel segmento della chimica verde con significativi investimenti –:
   quali nuove ulteriori iniziative il Governo intenda intraprendere nell'ambito di tale vertenza, anche alla luce dell'incontro con i rappresentanti di SK Capital e delle mobilitazioni che si sono registrate e si continuano a registrare nei vari territori interessati, affinché il settore industriale della chimica rimanga strategico e perché Eni rispetti gli accordi di rilancio industriale già sottoscritti per i vari siti a salvaguardia delle prospettive industriali e dei livelli occupazionali. (3-02016)


   BALDASSARRE, ARTINI, SEGONI, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2001, il Ministero delle attività produttive ha richiesto all'Autorità per l'energia elettrica e il gas di riservare una quota della capacità disponibile sulle linee di interconnessione dell'Italia con l'estero, nella misura massima di 50 megawatt, per lo Stato della Città del Vaticano, ai sensi di quanto previsto dal «decreto Bersani» n. 79 del 1999 e dai successivi accordi assunti dallo Stato italiano;
   nel 2000 richiesta analoga era avvenuta per la Repubblica di San Marino, per la quale è stato disposto che, per il periodo 2002-2010, venisse riservata una quota di capacità di trasporto sull'interconnessione pari a 54 megawatt;
   dagli inizi degli anni 2000, gli Stati sopra citati indicano di anno in anno la società di fornitura di energia elettrica. Per la Repubblica di San Marino la società scelta è Enel, mentre per lo Stato del Vaticano è Acea;
   Acea acquista energia elettrica dalla Francia ad un costo inferiore rispetto a quella prodotta in Italia, grazie alla capacità di trasporto internazionale messa a disposizione dall'impianto normativo, e vende poi allo Stato del Vaticano secondo il prezzo di mercato italiano, usufruendo del rimborso per tale capacità di importazione, ossia si tratta del rimborso dei costi di trasporto, stornati da Terna, che vengono – solo in questi due casi – rimborsati e scaricati poi sulle bollette degli italiani;
   dunque, Acea guadagna dalla differenza tra i prezzi di vendita allo Stato del Vaticano, ovvero i prezzi di vendita di un normale cliente italiano e i prezzi di acquisto dal mercato francese (molto più bassi), visto che la componente relativa alla capacità di trasporto viene totalmente stornata da Terna, che poi la spalma sulle bollette elettriche dei cittadini italiani;
   tutto questo potrebbe essere spiegato da un'impalcatura normativa che garantisce a questi soggetti margini elevatissimi a fronte di un rischio di impresa praticamente nullo;
   tuttavia, oltre ai sostanziosi margini guadagnati vendendo allo Stato del Vaticano, la società capitolina ha scelto di crearsi un extra-margine non rispettando i decreti ministeriali che specificano che il rimborso della capacità di importo deve essere effettuato solo per la quota parte di energia consumata dallo Stato del Vaticano. Questo significa che se il Vaticano consumasse solo il 40 per cento della capacità assegnatagli, come effettivamente risulta, il rimborso dovrebbe riguardare solo quel 40 per cento di capacità di trasporto. Invece Acea, con l'aiuto del suo distributore Acea Distribuzione, detentore dei dati di consumo effettivi del Vaticano, non mette a disposizione di Terna i dati di consumo che annualmente servono a rinnovare la fornitura del Vaticano;
   Terna, quindi, non è in grado di effettuare le verifiche dei reali consumi, così come sarebbe imposto dai decreti ministeriali, e in tal modo Acea Distribuzione può falsare i dati di consumo, facendo risultare l'intero slot di capacità come rimborsabile dal sistema italiano, compreso quindi il 60 per cento di energia importata e non consumata. Questo avviene a danno dei consumatori italiani che si ritrovano a dover pagare nelle loro bollette questo extra-profitto «abusivo», pari, ad esempio, a 5.488.000 euro per il solo 2013;
   l'energia non fornita al Vaticano – e rimborsata attraverso le bollette dei cittadini – rimane nella disponibilità di Acea, che la rivende ai clienti finali;
   il Governo Renzi nel 2015 ha ridotto del 10 per cento la capacità assegnata al Vaticano e rimborsabile per Acea, ma non ha voluto indagare ulteriormente e più in dettaglio sulla questione, a discapito dei costi inseriti nelle bollette dei cittadini;
   San Marino ha invece circa 32 mila abitanti con un consumo annuo del 60 per cento dell'elettricità (270 mila megawatt su circa 470 mila), alla quale avrebbe diritto grazie alla riserva garantita dallo Stato italiano. Tutto questo vanta un diritto decennale, ribadito da un accordo con l'Italia del 2011, e che in teoria potrebbero andare avanti fino al 2020 –:
   se il Ministro interrogato non reputi urgente assumere iniziative volte a permettere a Terna di effettuare le verifiche dei reali consumi, per l'anno 2015 e per gli anni avvenire, dello Stato del Vaticano e dello Stato di San Marino, come imposto dai decreti ministeriali, affinché non solo possa renderli pubblici, ma anche in modo che sia rimborsata la sola capacità di energia consumata dai due Stati, in modo da non addebitare in bolletta ai consumatori italiani l'extra-profitto non lecito dei distributori di energia Acea ed Enel.
(3-02017)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, CARINELLI, DE LORENZIS, LIUZZI e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con interrogazione a risposta scritta n. 4/09397, a prima firma Spessotto, del giugno 2015, la scrivente interrogava il Ministro dello sviluppo economico per sapere se fosse a conoscenza dello scandalo dei controlli di qualità truccati all'interno di Poste italiane, vicenda al centro di un'indagine penale per truffa da parte della procura di Roma, oltre che di un'inchiesta interna alle stesse Poste;
   in particolare, con il suddetto atto di sindacato ispettivo, l'interrogante chiedeva al Ministro dello sviluppo economico se fosse a conoscenza della procedura interna a Poste Italiane ribattezzata «noti invii», dedita a intercettare le «lettere civetta» che avrebbero dovuto testare la qualità del servizio offerto da Poste e quali misure urgenti intendesse adottare per far luce sulla presunta truffa relativa agli standard di qualità;
   un recente articolo de Il fatto Quotidiano, pubblicato in data 11 febbraio 2016, ha rivelato come il Ministero dello sviluppo economico fosse a conoscenza, già a partire dall'aprile del 2014, delle intercettazioni da parte di Poste delle «lettere civetta» che avrebbero dovuto testare la qualità del servizio nella consegna della corrispondenza;
   in particolare, nel suddetto articolo si riporta la notizia secondo cui a esserne informato della truffa del sistema di controllo sarebbe stato Gian fiero Castano, influente funzionario del Ministero dello sviluppo economico, che sarebbe venuto a conoscenza dei fatti suesposti dalla denuncia di alcuni lavoratori che si occupavano della manutenzione dei centri di meccanizzazione (cmp);
   durante un incontro gli operai avrebbero infatti denunciato all'alto funzionario del Mise di aver visto con i loro occhi come i controlli sulla qualità di Poste fossero stati falsati negli anni, ma l'alto funzionario Castano, invece di denunciare quanto appreso alla procura e di far aprire un'indagine ministeriale sulla vicenda, avrebbe preferito far finta di non essere mai stato a conoscenza dei controlli truccati;
   come noto, il servizio postale universale è stato affidato alla gestione di Poste italiane, sotto la vigilanza del Mise e dell'Agcm, tramite un contratto pubblico che impegna Poste a consegnare la corrispondenza entro precisi parametri d'efficienza, garantendo a Poste italiane per questo servizio un contributo pubblico di oltre 250 milioni annui, oltre ad un finanziamento europeo per altre centinaia di milioni di euro;
   nel caso in cui il suddetto coefficiente di qualità non venisse rispettato, sarebbe a rischio lo stesso affidamento del servizio postale universale – per cui lo Stato italiano paga in media almeno 300 milioni di euro l'anno – e Poste italiane rischierebbe pesanti sanzioni fino a 500 mila euro annui;
   nonostante sia trascorso quasi un anno dalla presentazione della interrogazione citata in premessa, e il regolamento della Camera dei deputati preveda un termine molto più breve per le risposte del Governo alle interrogazioni a risposta scritta, nessuna risposta è pervenuta all'interrogante sulla vicenda, da parte del Ministro dello sviluppo economico –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative procedere con l'immediata rimozione dal suo incarico del dottor Gianpiero Castano, responsabile della unità gestione vertenze del Mise, il quale sarebbe venuto a conoscenza dei fatti di cui in premessa dalla denuncia diretta di alcuni lavoratori nel corso di un incontro;
   se il Ministro non intenda procedere con un'indagine interna volta a capire chi altro, all'interno del suo Ministero dello sviluppo economico, eventualmente sapesse ed abbia taciuto su una vicenda tanto grave;
   se il Ministro possa chiarire i motivi per cui, nell'ambito dei compiti di vigilanza sull'attività di Poste Italiane s.p.a affidati al Ministero, non abbia assunto, una volta a conoscenza dei fatti esposti in premessa, tutte le iniziative necessarie volte a contrastare lo scandalo dei controlli di qualità truccati all'interno di Poste;
   se il Ministro non intenda  procedere con un'attività di verifica sull'effettivo mantenimento da parte di Poste italiane s.p.a della capacità di far fronte al servizio di posta universale, per cui lo Stato italiano paga centinaia di milioni di euro l'anno, nonché di rispettare i parametri degli standard di qualità del servizio, a norma del decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58. (5-07788)


   CURRÒ. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa è una società che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato. In particolare, Poste Italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali e l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   il 1o luglio 2015 Poste Italiane spa comunica al sindaco della città di Messina la chiusura a partire dal 7 settembre 2015 dell'ufficio postale del villaggio Pezzolo, ubicato a circa 22 km dal capoluogo ad una altitudine di 340 metri dal livello del mare ed isolato da tutti i centri abitati della zona. Nello specifico l'ufficio postale più vicino è quello di San Placido Calonerò nella frazione di Briga Marina che dista circa 7,6 chilometri da Pezzolo. La strada di collegamento tra i due villaggi, che aveva subito un'interruzione a seguito dell'alluvione dell'ottobre 2009, è stata in seguito ripristinata ed è ad oggi perfettamente transitabile;
   l'avvenuta soppressione dell'ufficio postale si è tradotta in un grave disservizio soprattutto per i residenti anziani che con difficoltà, in particolare legate allo spostamento, possono usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione. Considerato quanto appena detto, i residenti del Villaggio Pezzolo hanno recentemente depositato una petizione con 200 firme presso gli uffici della prefettura di Messina;
   risultano agli atti diverse interrogazioni aventi come oggetto la chiusura degli uffici postali periferici depositate da parte di colleghi. Tra queste è inclusa l'interrogazione a risposta scritta del 27 febbraio 2015 (n. 4-08195), di cui l'interrogante è cofirmatario, ancora in corso nonostante i tre solleciti;
   la soppressione degli uffici postali a bassa frequenza di utenti e la rimodulazione degli orari deve comunque ottemperare sia alle disposizioni contenute nel decreto ministeriale 7 ottobre 2008 sia alla delibera N. 342/14/CONS dell'Agcom (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) che all'articolo 1, comma 5, riporta: «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale, e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione» e si riconosce che «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale ai fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica», inoltre, al comma 6 è specificato che vi deve essere «un punto di accesso entro la distanza massima di 6 km dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione»;
   in conclusione, sulla base dei requisiti sopra citati, nulla osta alla riapertura dell'ufficio postale del villaggio di Pezzolo –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, ritengano opportuno avviare tutte le procedure necessarie a garantire il rispetto di quanto stabilito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in ordine al divieto di chiusura degli uffici postali nelle aree svantaggiate;
   se i Ministri interrogati intendano, per quanto di competenza, favorire una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e l'amministrazione locale della città di Messina per permettere la riapertura dell'ufficio e garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto del sopracitato contratto di programma siglato fra le Poste Italiane spa e lo Stato. (5-07792)

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA, PETRAROLI e TOFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda El Ital di proprietà del Gruppo Pugliese, con sede in Pianodardine-zona industriale di Avellino, è presente sul mercato dal 1974, all'inizio come Italdata spa, società condivisa tra Siemens tedesca e Stet italiana, e poi come Flextronic spa;
   nel 2005 è avvenuto il passaggio di ramo d'azienda a El Ital spa, con ben 230 unità lavorative e con l'impegno da parte del Gruppo Pugliese di mantenere i livelli occupazionali;
   dopo pochi anni, purtroppo, l'azienda ha, iniziato ad andare in sofferenza e già nel settembre del 2008, ha siglato con il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la regione Campania, l'ente provincia di Avellino, Confindustria Avellino, le organizzazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL) e le rappresentanze sindacali unitarie aziendali, un accordo per la cassa integrazione guadagni straordinaria con l'impegno della proprietà ad effettuare tutti gli investimenti previsti da piano di riconversione industriale;
   con il trascorrere degli anni la produzione si è sempre più impoverita anche a livello tecnologico nonostante sia cambiato il settore di produzione da personal computer a pannelli fotovoltaici;
   a seguito dei numerosi interventi governativi di riduzione e/o eliminazione di incentivi economici allo sviluppo delle energie rinnovabili degli ultimi anni, l'azienda El Ital di proprietà del Gruppo Pugliese ha subito una drastica riduzione dei volumi produttivi, che ha provocato gravi ripercussioni sull'organico aziendale;
   tutto ciò ha comportato un profondo riassetto organizzativo, con richieste continue di mobilità e trattenute dalle retribuzioni degli importi da destinare al fondo pensione Cometa, contravvenendo in tal modo alla normativa vigente;
   le continue promesse di partnership con realtà industriali estere si sono rivelate inconsistenti e si è andato avanti con il ricorso alle casse integrazioni in attesa di nuovi sviluppi positivi, che tuttora sono assenti; come riportato da molti organi di informazione locale, è dal mese di luglio 2015 che i lavoratori non percepiscono lo stipendio, mentre è da luglio 2014 che il Gruppo pugliese non versa nel fondo Cometa la trattenuta fatta in busta paga;
   il 20 ottobre 2015 il primo firmatario del presente atto ha inviato al Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, una lettera chiedendo l'apertura di un tavolo di concertazione tra sindacati, proprietà, rappresentanti del MISE presso il dicastero;
   la vertenza finalmente è approdata al Mise significativo è il verbale di chiusura di un incontro datato 11 dicembre 2015 in cui il Ministero, nella persona del dottor Castano, chiedeva alla proprietà di onorare al più presto le spettanze dovute ai 64 lavoratori ed esprimeva perplessità sulla proposta, avanzata dal Gruppo Pugliese, di passaggio di ramo d'azienda da El Ital spa alla costituita El Ital srl, detenuta interamente dalla prima, di tutte attività produttive e quelle ad essa collegate «in quanto l'ingente ammontare del debito maturato non rende credibile il progetto»;
   la situazione che stanno vivendo i lavoratori dell'El Ital è simile a quella che riguarda la Solland Silicon di Merano, azienda specializzata nella produzione di policristallino per il settore solare, anch'essa di proprietà del Gruppo Pugliese, i cui dipendenti non percepiscono gli stipendi da mesi –:
   quali iniziative il Governo intenda porre in essere, per quanto di competenza, per addivenire in tempi rapidi ad una conclusione della vertenza che consenta ai lavoratori di ottenere le spettanze arretrate e di tornare ad avere un'occupazione stabile. (4-12116)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Ricciatti e altri n. 1-01151, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zoggia, Galperti, Rotta, Capelli.

  La mozione Tullo e altri n. 1-01153, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 15 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Oliaro, Monchiero, Pastorelli.

  La mozione Pelillo e altri n. 1-01160, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 15 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carrescia.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Zan n. 3-01739, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Nardi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Dadone n. 5-06674, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 15 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paolo Nicolò Romano.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta in Commissione D'Uva n. 5-07780, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 569 del 15 febbraio 2016.

   D'UVA, VACCA e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale 3 luglio 2015, n. 463, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca disciplinava le modalità di svolgimento dei test per i corsi di laurea a ciclo unico ad accesso programmato per l'anno accademico 2015/2016;
   la legge 2 agosto 1999, n. 264, recante «Norme in materia di accessi ai corsi universitari», con particolare riferimento agli articoli 1, comma 1, lettera a), e 4, commi 1 e 1-bis, prevede, infatti, l'annuale programmazione del numero di studenti da immatricolare;
   attraverso tale disposizione il legislatore ha inteso, di fatto, limitare il libero accesso ai gradi più alti degli studi, consentendo l'immatricolazione ai corsi a numero programmato esclusivamente previo superamento dei relativi test di ammissione;
   l'articolo 10 del decreto ministeriale 3 luglio 2015, n. 463, dispone che nell'ambito dei posti disponibili per le immatricolazioni, vengano ammessi ai corsi di laurea e di laurea magistrale di cui agli articoli 2, 4, 5 e 6 i candidati comunitari e non comunitari di cui all'articolo 26 della legge n. 189 del 2002 nonché, nell'ambito della relativa riserva di posti, i candidati non comunitari residenti all'estero, secondo l'ordine decrescente del punteggio conseguito, i quali abbiano ottenuto nel test un punteggio minimo pari a venti punti;
   il comma 4 dello stesso articolo stabilisce che per i corsi di cui agli articoli 2, 4, 5 e 6 del decreto ministeriale, il CINECA, sulla base del punteggio, calcolato ai sensi del comma 3, venga redatta una graduatoria unica nazionale per i candidati comunitari e stranieri residenti in Italia, di cui all'articolo 26 della legge n. 189 del 2002, secondo le procedure di cui all'allegato 2 dello stesso decreto;
   il comma 8, infine, prevede che la chiusura della stessa graduatoria, utile all'accesso ai corsi di cui agli articoli 2, 4, 5 e 6, con apposito provvedimento ministeriale;
   il decreto, tuttavia, non cita alcuna possibilità di riduzione dei posti disponibili così come determinati dall'allegato 4 dello stesso provvedimento, prevedendo la non assegnazione dei posti altrimenti resi disponibili dalle mancate immatricolazioni esclusivamente in merito ai posti eventualmente non utilizzati «nella graduatoria dei cittadini extracomunitari residenti all'estero, i quali non potranno essere utilizzati a beneficio dei cittadini comunitari e non comunitari di cui all'articolo 26 della legge n. 189/2002»;
   secondo quanto stabilito dall'articolo 14 del decreto ministeriale 3 luglio 2015, n. 463, la programmazione in via definitiva dovrà essere determinata successivamente con apposito decreto, «fatto salvo quanto previsto in premessa e fermo restando il contingente minimo dei posti disponibili cui al comma 1»;
   così come disposto dalla normativa, con il decreto ministeriale 8 febbraio 2016 n. 50 il Ministero comunicava la chiusura della graduatoria dei corsi di laurea e di laurea magistrale ad accesso programmato nazionale di cui ai decreti ministeriali nn. 463/2015 e 464/2015;
   tale decisione veniva assunta, tuttavia, nonostante alla data della chiusura lo scorrimento della graduatoria non fosse, ad avviso degli interroganti, del tutto idoneo a garantire l'adeguata possibilità di immatricolazione degli studenti aventi diritto;
   non soltanto, infatti, la determinazione ministeriale prevedeva «la chiusura della graduatoria dei corsi di laurea di cui ai decreti citati in epigrafe alla data del 10 febbraio 2016», ma disponeva, altresì la perdita di tutti i posti eventualmente non coperti;
   l'articolo 1, comma 1, prevedeva come «i candidati in posizione utile che alla data del 10 febbraio 2016 hanno confermato l'interesse all'immatricolazione nei termini di cui al punto 10 lettera d) dell'Allegato 2 del decreto ministeriale n. 463/2015 e al punto 7 lettera d) dell'Allegato 2 del decreto ministeriale n. 464/2015 diventano assegnati e sono tenuti a immatricolarsi entro il termine perentorio del 15 febbraio 2016 nella sede di assegnazione»;
   tuttavia, il successivo articolo 2 stabiliva, in maniera inequivocabile, che «i candidati che alla data del 15 febbraio 2016 non risultano immatricolati ad alcuno dei corsi di laurea cui si riferiscono le graduatorie nazionali decadono e non conservano alcun diritto negli anni successivi, mentre per gli eventuali posti che alla data del 15 febbraio 2016 dovessero risultare non coperti anche a seguito di rinunce successive all'immatricolazione non verranno riassegnati»;
   con l'assunzione di tale provvedimento il Ministero intende, di fatto, ridurre ulteriormente la possibilità di immatricolazione per gli studenti italiani all'interno dei corsi di laurea a numero programmato, allontanandosi ulteriormente, ad avviso degli interroganti, dal precetto costituzionale che indurrebbe, piuttosto, all'assunzione di strumenti idonei a garantire ai cittadini capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, la possibilità di raggiungere i gradi più alti degli studi;
   gli studenti inseriti nella graduatoria, secondo le modalità previste dai citati decreti, risultano senza alcun dubbio essere idonei all'immatricolazione, avendo superato la soglia minima necessaria ad ottenere, almeno potenzialmente, la possibilità di iscrizione ai corsi;
   la decisione del Ministero di interrompere lo scorrimento della graduatoria relativa alle immatricolazioni ai corsi di medicina e chirurgia, arriva, inoltre, a pochi giorni dalle fondamentali sentenze con le quali il tribunale amministrativo regionale ha disposto la riammissione di quasi 9.000 studenti che negli anni precedenti avevano partecipato al medesimo test;
   ad avviso degli interroganti, l'improvvisa chiusura della graduatoria, e la contestuale decisione di non rassegnazione dei posti eventualmente non coperti, rischiano di apparire agli studenti italiani come una prima forma di contenimento delle iscrizioni utile a garantire l'ammissione degli studenti vincitori dei ricorsi amministrativi;
   qualora tali considerazioni dovessero trovare conferma, gli interroganti ritengono utile riflettere sulla possibilità di una rimodulazione dell'attuale sistema normativo in materia di accesso ai corsi a numero programmato piuttosto che sottrarre ad altri studenti il diritto di raggiungere i propri obiettivi umani e professionali se intenda assumere urgenti iniziative che impediscano, almeno per il successivo bimestre, la chiusura della graduatoria di cui ai decreti ministeriali nn. 463 del 2015 e 464 del 2015, consentendo, inoltre, il naturale scorrimento della stessa;
   se non ritenga di assumere iniziative per provvedere, altresì, alla chiusura della citata graduatoria, l'assegnazione dei posti che dovessero risultare non coperti, anche a seguito di rinunce successive all'immatricolazione;
   se al termine delle assegnazioni di cui in premessa intenda rendere noti i dati relativi ai posti che, anche a seguito di rinunce successive all'immatricolazione, dovessero risultare non coperti ovvero non utilmente assegnati. (5-07780)

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Palazzotto n. 4-12088, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 568 del 12 febbraio 2016.

   PALAZZOTTO e COSTANTINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in Sicilia, nel periodo di programmazione 2007-2014 sono stati erogati fondi, tramite la politica agricola comune, per complessivi 5,185 miliardi di euro;
   l'erogazione di tali fondi, sia per quanto concerne la parte di competenza regionale sia per quanto concerne la parte direttamente di competenza ministeriale, appare agli interroganti poco trasparente e di difficile lettura;
   negli ultimi anni, tanto le inchieste degli organi inquirenti quanto i numerosi servizi giornalistici, hanno evidenziato l'interesse della mafia nel campo delle speculazioni e delle truffe relative alla contribuzione comunitaria nel settore dell'agricoltura;
   tali vicende sono ben descritte nel documentario «fondi rubati all'agricoltura» realizzato da Alessandro Di Nunzio e Diego Gandolfo, i quali hanno mostrato come una rilevante quota dei finanziamenti comunitari per l'agricoltura sia stata indirizzata a beneficio di terreni agricoli di proprietà di noti esponenti mafiosi o di soggetti ad essi direttamente o indirettamente riconducibili;
   tale lavoro, ripreso dall'edizione del Fatto Quotidiano in data 12 gennaio 2016 e dalla trasmissione Rai «Presa Diretta» del giorno 17 gennaio 2016 ha ben messo in luce il meccanismo contorto che ha consentito di dirottare ingenti finanziamenti comunitari verso le casse delle organizzazioni mafiose;
   i controlli antimafia e la conseguente certificazione al fine di vedersi riconosciuto il contributo comunitario, sono obbligatori per cifre superiori ai 150 mila euro, in sostanza tutto ciò che è sotto tale soglia sfugge al controllo di legalità e, nel corso degli anni, questa norma ha favorito gli interessi mafiosi nel settore agricolo;
   in data 15 gennaio 2016 l'edizione palermitana de La Repubblica dava conto dell'attività della prefettura di Messina, di concerto con l'Ente Parco dei Nebrodi, finalizzata all'individuazione di eventuali interessi mafiosi su terreni dati in concessione. Questo lavoro sinergico tra istituzioni ha portato alla scoperta di numerosissime posizioni prive del prescritto certificato antimafia;
   alla base del lavoro di verifica e controllo vi è il protocollo pilota per i controlli nelle assegnazioni dei terreni pubblici anche di valore inferiore ai 150 mila euro sottoscritto dall'Ente Parco dei Nebrodi, dalla prefettura di Messina e dalla prefettura di Enna. Il protocollo pilota è stato esteso a tutti gli enti regionali;
   al parco dei Nebrodi e al comune di Troina sono state revocate assegnazioni di terreni di proprietà di enti pubblici un totale di 4.200 ettari a cui sono state assegnate risorse, a valere sui fondi Agea e fondi dell'Unione europea per un importo di 2,5 milioni di euro;
   dato non trascurabile è che su 25 certificazioni richieste ben 23 sono state rigettate dalle prefetture di Messina ed Enna per reati come l'associazione mafiosa e per legami con i clan dei Bontempo Scavo, dei Conti Taguali, dei Santapaola e dei clan «tortoriciani» e dei Cesarò;
   per la propria attività di verifica il presidente dell'Ente Parco dei Nebrodi, dottor Giuseppe Antoci, ha ricevuto minacce e intimidazioni tanto da essere sottoposto a regime di protezione da parte delle forze dell'ordine;
   gli interessi mafiosi sulla concessione dei fondi europei emergono anche dall'indagine della procura di Caltagirone che ha portato al sequestro di beni pari a tre milioni di euro per concessioni di contributi comunitari su terreni nella disponibilità delle associazioni mafiose e all'arresto di 9 soggetti tra imprenditori e titolari di centri di assistenza agricola, i quali presentavano domande di aiuti con fondi dell'Unione europea su terreni che in realtà non erano di loro proprietà e certificavano con prestanome finte attività. In verità la quota sequestrata rappresenta a mala pena un quarto dei finanziamenti sottratti illecitamente in tale zona;
   fatto singolare è che i centri di assistenza agricola non sono tenuti a verificare la regolarità dei contratti d'affitto di chi richiede le sovvenzioni, limitandosi a controlli superficiali a cui si aggiunge la compiacenza di alcuni funzionari e un complesso sistema di prestanome che ha consentito, ad esempio, a una associazione criminale di Caltagirone di ricevere contributi dichiarando la proprietà di terreni della diocesi di Agrigento e dell'aeroporto di Trapani;
   la mancanza di misure di controllo avrebbe consentito a Salvatore Seminara, reggente della famiglia mafiosa di Enna fino al suo arresto nel 2009, in 12 anni, di poter sottrarre finanziamenti pubblici, ottenuti in modo fraudolento, per un importo di 700 mila euro;
   secondo la Corte dei conti nel 2013 le truffe acclarate in Sicilia e in Campania ammontavano a 200 milioni di euro, di cui il 70 per cento irrecuperabili. La Corte afferma che in Sicilia negli ultimi dieci anni sono stati accertati oltre 300 casi per un valore intorno ai 100 milioni di euro che rappresenta una minima parte della quantità di denaro erogato che si aggira sui 7 miliardi di euro, quindi l'accertato fraudato corrisponde «fisiologicamente» al 10 per cento, ossia quasi un miliardo di euro a danno della comunità e degli agricoltori onesti;
   l'Ufficio europeo per la lotta antifrode, OLAF, mette la Sicilia tra le regioni che rappresenta il più alto tasso di truffe comunitarie con oltre il 40 per cento di tutte le frodi agricole denunciate in Italia, affermando inoltre che se la truffa viene scoperta l'attività di recupero delle risorse è di un misero 6 per cento, ossia poco più di 6 milioni di euro sui 100 milioni certamente frodati che sono stati oggetto di recupero –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere al fine di aumentare la vigilanza nelle erogazioni dei fondi comunitari relativi all'agricoltura;
   se il protocollo pilota, relativo alla verifica delle posizioni anche per contributi inferiori ai 150 mila euro, non possa essere esteso al territorio nazionale;
   quali strumenti di controllo incrociato e di contrasto si intendano adottare per potenziare l'attività di verifica e controllo nell'erogazione dei fondi da parte di AGEA che avviene per il tramite dei centri di assistenza agricola che, come illustrato in premessa, si sono resi complici nel favorire tramite documentazioni false, le associazioni mafiose della zona di Caltagirone. (4-12088)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Fauttilli n. 3-01656 del 4 agosto 2015;
   interrogazione a risposta scritta Baldassarre n. 4-11769 del 22 gennaio 2016;
   interpellanza Castiello n. 2-01250 del 2 febbraio 2016;
   interpellanza urgente Brambilla n. 2-01257 del 2 febbraio 2016;
   interpellanza urgente Bechis n. 2-01271 del 12 febbraio 2016;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta D'Uva e altri n. 4-12090 del 12 febbraio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07782.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Agostinelli n. 4-11808 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 556 del 27 gennaio 2016. Alla pagina n. 33188, seconda colonna, dalla riga trentaquattresima alla riga trentacinquesima, deve leggersi: «pubblica sicurezza e distaccamento di polizia stradale di Jesi;» e non come stampato.

  Interrogazione a risposta scritta Paolo Nicolò Romano e Tofalo n. 4-11995 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 563 del 5 febbraio 2016. Alla pagina 33761, prima colonna, alla riga quarantaseiesima deve leggersi: «nell'area tra Cesena e Forlì), del Friuli Venezia Giulia» e non come stampato.