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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 23 settembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


    La III Commissione,
   premesso che:
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sull'accesso ai documenti ufficiali è un trattato del 18 giugno 2009 ancora non in vigore e aperto alla firma degli Stati membri, all'adesione degli Stati non membri e di qualsiasi organizzazione internazionale;
    per l'entrata in vigore del suddetto trattato sono necessarie 10 ratifiche mentre allo stato attuale (dato aggiornato in tempo reale sul sito ufficiale del Consiglio d'Europa) risultano 9 i Paesi che hanno sia firmato che ratificato e 5 che hanno solo firmato; il nostro Paese, invece, non ha ancora provveduto nemmeno alla firma;
    questa Convenzione è il primo strumento giuridico internazionale vincolante a riconoscere il diritto generale di accesso ai documenti pubblici detenuti dalle autorità;
    la trasparenza delle autorità è uno degli elementi essenziali della buona governance e un indicatore che consente di verificare se una società è realmente democratica e pluralista; inoltre, il diritto di accesso ai documenti ufficiali è altresì essenziale perché i cittadini possano esercitare la propria autonomia e i propri diritti umani fondamentali;
    la citata Convenzione può rafforzare la legittimità delle autorità agli occhi della popolazione e la fiducia dei cittadini nei loro confronti e stabilisce un diritto di accesso ai documenti ufficiali; i limiti di questo diritto sono consentiti unicamente se sono destinati a proteggere certi interessi, quali la sicurezza e la difesa nazionale, o la vita privata delle persone;
    essa, inoltre, enuncia le norme minime da applicare nel trattamento delle domande di accesso ai documenti ufficiali (le forme di accesso e le spese di accesso ai documenti pubblici), il diritto a una procedura di ricorso e le misure complementari e offre la flessibilità necessaria per consentire alle legislazioni nazionali di ispirarsi a tale base comune e prevedere eventualmente un accesso anche più esteso ai documenti ufficiali;
    come previsto dalla stessa, un gruppo di specialisti sull'accesso ai documenti ufficiali sarà incaricato di controllare il rispetto dell'applicazione di questa Convenzione da parte degli Stati Parti contraenti,

impegna il Governo

a procedere celermente alla firma della citata Convenzione affinché possa essere, conseguentemente, ratificata nel più breve tempo possibile.
(7-01103) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Del Grosso».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    nel 2015 sono stati immatricolati 171.127 motocicli, trend in crescita rispetto sia al 2013 che al 2014;
    nel periodo gennaio-agosto 2016 si registra una variazione del +12,15 per cento delle immatricolazioni di motocicli, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno;
    il decreto interministeriale 19 dicembre 1990, n. 2691, estende sull'intera rete autostradale nazionale, a partire dal 1o gennaio 1991, l'adozione del sistema di classificazione dei veicoli – già in atto, all'epoca, sulle autostrade Milano-Venezia, Brescia-Piacenza e Brennero-Modena – basato sul numero degli assi, con la suddivisione, per i veicoli a due assi, a seconda che l'altezza da terra sia maggiore o inferiore a cm. 130, in corrispondenza dell'asse anteriore (sistema Assi-Sagoma);
    prima dell'entrata in vigore del decreto sopracitato, i motocicli rappresentavano una classe a parte, distinta da tutti gli altri autoveicoli;
    nei parametri per il calcolo del pedaggio autostradale, i motocicli ammessi alla circolazione in autostrada ai sensi dell'articolo 175, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, a legislazione vigente, sono equiparati agli autoveicoli a quattro ruote;
    le autostrade sono di gran lunga le strade più sicure per i motociclisti;
    l'Italia è uno dei pochissimi Paesi in Europa dove il pedaggio per i motocicli (peraltro con tariffazione molto alta) è equiparato a quello delle auto, con il risultato che qualunque moto paga, ad esempio, la stessa cifra di un SUV ben più grande in dimensioni e potenza;
    in Europa le concessionarie della gestione autostradale applicano un pedaggio per le moto inferiore a quello delle auto, se non addirittura gratuito;
    in Francia la tratta Parigi-Lione (453 chilometri) costa 33 euro per le auto e 20 per le moto;
    in Italia, su uno spostamento equivalente come la Firenze-Napoli (468 chilometri), una moto di piccola cilindrata paga quanto una vettura di grossa cilindrata: 33 euro;
    in Slovenia e in Austria, tutti i veicoli con peso complessivo non superiore a 3,5 tonnellate devono obbligatoriamente essere provvisti di un contrassegno prepagato, ma per i motoveicoli la tariffa è esattamente la metà rispetto a tutte le altre autovetture;
    la creazione di una tariffa dedicata alle due ruote, favorirebbe la circolazione dei motocicli sulle autostrade, con vantaggi che si rifletterebbero tanto sull'industria motociclistica nazionale, che rimane la più importante d'Europa, quanto sugli stessi concessionari autostradali, che vedrebbero compensata automaticamente la rimodulazione dei pedaggi,

impegna il Governo

ad assumere iniziative normative per ridefinire l'attuale sistema di classificazione dei veicoli al fine di rimodulare il parametro di classificazione (β) per il calcolo del pedaggio autostradale, ristabilendo il pedaggio dedicato ai soli motocicli.
(7-01101) «Garofalo, Gianluca Pini, Bosco, Barbanti, Catanoso, Vignali, Causin, Minardo, Falcone, Alli».


   La Commissione XII,
   premesso che:
    sono circa tre milioni le persone nel nostro Paese in condizioni di non autosufficienza, ed è a queste persone e a quelle direttamente e indirettamente coinvolte nell'assistenza e nella loro cura, che lo Stato deve dare risposte concrete e garantire tutte le indispensabili prestazioni assistenziali e sanitarie;
    oltre ai lavoratori e alle lavoratrici che si occupano del settore delle Long Term Care (cure a lungo termine), ci sono i familiari, e in questo ambito soprattutto le donne, su cui ricade la gran parte del lavoro di cura e assistenza quotidiana ai disabili e alle persone anziane con limitata o nulla autonomia, e troppo spesso lasciati soli o non sostenuti adeguatamente;
    a ciò si aggiunga il fatto che i parenti degli anziani malati cronici e delle persone con disabilità non autosufficienti, che in ogni caso non hanno competenze di cura nei confronti dei loro congiunti, spesso non si possono permettere – principalmente per ragioni economiche, ma non solo – di fare fronte alle necessarie prestazioni socio-sanitarie di cui i propri familiari necessitano. È quindi indispensabile garantire le cure e l'assistenza territoriale previste dalle leggi vigenti, senza condannare troppi nuclei familiari all'impoverimento e favorire il mantenimento al domicilio dei malati non autosufficienti;
    i dati Censis 2016 ricordano come «il 50,2 per cento delle famiglie con una persona non autosufficiente ha a disposizione risorse familiare scarse o insufficienti. Per fronteggiare il costo privato dell'assistenza ai non autosufficienti 910 mila famiglie italiane hanno dovuto “tassarsi” – cioè intaccare le loro riserve economiche – e 561 mila famiglie hanno utilizzato tutti i propri risparmi e/o dovuto vendere la casa e/o dovuto indebitarsi»;
    la costante riduzione di questi anni, delle risorse finanziarie disponibili nell'ambito dei Fondi relativi al finanziamento delle politiche sociali e sanitarie, non fa che acuire le suddette criticità;
    garantire il diritto esigibile delle persone disabili e dei pazienti anziani – con particolare riferimento a quelli colpiti da patologie inguaribili e/o affetta dal morbo di Alzheimer o da altra forma di demenza senile – a ricevere l'assistenza domiciliare e le cure mediche per malattie acute e croniche deve essere la priorità del nostro sistema sanitario e di welfare;
    si evidenzia, peraltro, come l'effettivo sviluppo delle prestazioni socio-sanitarie domiciliari consentirebbe un sensibile risparmio per il servizio sanitario pubblico, garantendo al contempo una presa in carico nei confronti delle persone malate nonché non autosufficienti le cui esigenze sanitarie sono indifferibili, senza alcuna eccezione;
    è in via di approvazione lo schema di decreto del Consiglio dei ministri sui nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA), che andrà a sostituire l'ancora vigente decreto del 2001. Detta revisione dei Lea, contrariamente a quanto emerge dal testo del suddetto schema di decreto, dovrebbe garantire risorse adeguate al fabbisogno sia per quanto riguarda il Fondo sanitario nazionale, sia per quanto riguarda il fondo per le non autosufficienze;
    in realtà lo stanziamento insufficiente di 800 milioni di euro per i nuovi livelli essenziali di assistenza, è secondo i firmatari del presentato un compromesso «al ribasso» chiesto dal Ministero dell'economia e delle finanze, che rischia – tra l'altro – di non consentire l'esigibilità e uniformità del diritto all'assistenza sociosanitaria nel suo inscindibile complesso;
    proprio per chiedere alcune indispensabili modifiche al decreto di revisione dei Lea in corso di approvazione, nonché il riconoscimento del diritto prioritario alle prestazioni sociosanitarie domiciliari delle persone non autosufficienti, quale diritto esigibile, una petizione popolare nazionale è stata depositata la primavera scorsa al Senato (petizione n. 1547) e alla Camera (petizione n. 1085), e quindi assegnata alle Commissioni competenti per materia;
    è quindi necessario che la suddetta petizione, sottoscritta da oltre 20 mila cittadini e con l'adesione di molte associazioni e organizzazioni pubbliche e private, prima tra le quali la Fondazione promozione sociale Onlus di Torino, venga quanto prima posta all'esame delle commissioni parlamentari competenti,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, per quanto di competenza, affinché, nell'individuare le priorità a cui destinare le risorse finanziarie, siano considerate le esigenze indifferibili degli anziani malati cronici/persone con disabilità non autosufficienti e, quindi, rispettato l'obbligo di garantire i diritti esigibili alle prestazioni socio-sanitarie che sono previsti dai lea sanitari e socio-sanitari, incrementando anche a tal fine le risorse del fondo sanitario nazionale e del fondo per le non autosufficienze, così da implementare sensibilmente la quota da destinare all'attuazione dei nuovi livelli essenziali di assistenza;
    ad assumere le iniziative necessarie affinché le attività domiciliari riguardanti le prestazioni «di assistenza tutelare alla persona» nei confronti di anziani malati cronici non autosufficienti e/o persone colpite da disabilità e/o autismo e limitata o nulla autonomia, svolte da personale informale (badanti, assistenti familiari, familiari) siano considerate parte integrante anche dei nuovi lea socio-sanitari, ed i relativi costi siano posti a carico del servizio sanitario nazionale (nella misura del 50 per cento) e per la parte restante dell'utente/comune;
    ad assumere iniziative per prevedere, a tal fine, l'erogazione di un contributo mensile per gli anziani malati cronici/persone con disabilità non autosufficienti che fruiscono di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie domiciliari quale rimborso forfettario dei maggiori oneri sostenuti in modo che, ferma restando l'indennità di accompagnamento, sia possibile assicurare prioritariamente il diritto alle cure a casa propria, laddove vi sono familiari volontariamente disponibili a svolgere il ruolo di accuditore, nell'ambito di un progetto di cura di assistenza domiciliare integrata;
    a promuovere una maggiore e più adeguata integrazione fra l'intervento sociale e quello sanitario, in una prospettiva di miglioramento della qualità della vita di anziani e disabili;
    ad assumere iniziative per modificare, anche sulla base di quanto suesposto, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi lea;
    a specificare, con riferimento al suddetto schema di decreto del Presidente del consiglio dei ministri in corso di approvazione, e agli articoli riguardanti le strutture semi-residenziali e residenziali per le persone con disabilità, che per strutture residenziali si debbano intendere le comunità alloggio di tipo familiare con al massimo 8 posti letto e 2 per il sollievo, realizzate nei normali contesti abitativi, non accorpate tra loro e con la previsione di attività esterne.
(7-01102) «Nicchi, Gregori, Airaudo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, PETRAROLI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, PESCO, ALBERTI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE ROSA, BUSTO e CASTELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   PeaceLink è un'associazione di volontariato dell'informazione che dal 1992 offre un'alternativa ai messaggi proposti dai grandi gruppi editoriali e televisivi. PeaceLink collabora con associazioni di volontariato, insegnanti, educatori ed operatori sociali che si occupano di pace, nonviolenza, diritti umani, liberazione dei popoli oppressi, rispetto dell'ambiente e libertà di espressione. Tutti i volontari dell'associazione svolgono il loro lavoro a titolo puramente gratuito;
   in data 14 settembre 2016 è stato presentato in conferenza stampa il dossier divulgativo redatto da Peacelink «Non toccate quelle polveri», riguardante le polveri industriali che ricadono sulla città di Taranto. Il dossier illustra l'impatto che hanno le polveri inquinati derivanti dall'Ilva sull'ambiente e sulla popolazione locale;
   l'introduzione del dossier di Peacelink illustra la differenza tra le polveri rosse e quelle nere che si depositano in grandi quantità sulla città tarantina, facilmente rinvenibili su balconi e finestre delle abitazioni. Le polveri rosse si trovano nelle zone a ridosso dell'Ilva e sono in prevalenza provenienti dal parco minerali dell'azienda che hanno un'estensione di circa cento campi di calcio. Le polveri nere ricadono in grande quantità sul quartiere Tamburi, anch'esso a ridosso dell'azienda, arrivando sino ai quartieri più distanti della città;
   a differenza delle polveri rosse, quelle nere risultano essere attratte dai magneti. Ciò è dovuto al fatto che nel processo produttivo il minerale di ferro modifica le sue caratteristiche fisico-chimiche e, proprio per tale motivo, viene attirato dai magneti a differenza delle polveri rosse. Una parte del minerale di ferro si trasforma in magnetite. Tale magnetismo mostra che le polveri nere sono frazioni attribuibili al processo produttivo e di combustione dell'acciaieria. Ciò comporta una tossicità molto più elevata rispetto a quella attribuibile alle polveri rosse. Nel dossier, la polvere nera viene classificata come «polvere mortale che contiene una vasta schiera di sostanze tossiche, dalle diossine ai metalli pesanti, passando per gli IPA»;
   entrambi i generi di polveri sopraindicate, classificate come «grossolane», non vengono rilevate dalle centraline di misurazione dell'inquinamento la cui gestione è affidata all'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente). Questo perché le centraline misurano solo le polveri sospese con diametro di 10 millesimi di millimetro, più comunemente conosciute con la sigla di PM10. Ciò comporta che dalle misure superiori al PM10, non vengano più intercettate;
   le polveri in sospensione nella città di Taranto che si possono in maniera evidente inalare, ingerire o percepire facilmente ad occhio nudo, arrivano sino al PM76;
   vi sono poi le polveri classificate come sottilissime, più conosciute con il termine di nanoparticelle o nanopolveri, non visibili all'occhio umano e ben più dannose rispetto a quelle grossolane. Le nanopolveri hanno dimensione nanometrica il cui diametro medio è ritenuto compreso indicativamente fra 0,2 e 100 nm. Il dossier specifica che Taranto è satura anche di queste polveri, prodotte dall'Ilva nel corso di decenni a causa dei processi di combustione ad altissime temperature, che sfuggono alle misurazioni esattamente come succede per quelle più grandi;
   esistono numerose ricerche condotte intorno ad inceneritori di rifiuti, grandi produttori di nanopolveri, riguardanti le malattie cardiovascolari e dell'apparato respiratori e da questi originate;
   i numerosi studi sulle nanopatologie confermano l'elevata pericolosità delle nanoparticelle sulla salute umana. Nel dettaglio, il particolato di dimensioni inferiori al PM1 si introduce nel corpo umano per inalazione oppure per ingestione. Per inalazione, viste le dimensioni estremamente piccole, le nanopolveri inorganiche giungono con estrema facilità agli alveoli polmonari e da qui si trasferiscono, in breve, nel sistema circolatorio. Sempre a causa delle ridotte dimensioni, le nanopolveri hanno la capacità di introdursi all'interno delle cellule del sangue. Veicolate da queste ultime, le nanopolveri sono libere di circolare ovunque vi sia passaggio di sangue all'interno del corpo umano, tessuto cerebrale ed organi compresi. In molti casi, le nanoparticelle vanno a depositarsi. Riconosciute dal sistema immunitario come corpi da eliminare, nell'impossibilità di poterlo fare a causa della loro composizione insolubile, non biocompatibile e non biodegradabile, impossibili da espellere dall'organismo tramite feci, urina o, comunque, organi emuntori, vengono «isolate» con tessuto che promuove condizioni di infiammazione a bassa intensità. Ciò può comportare la formazione di evidenze epidemiologiche che associano l'esposizione di particolato fine e ultrafine con l'aumento del rischio di malattie tumorali, cardiovascolari, respiratorie, pneumoconiosi in genere (asbestosi, silicosi, talcosi, e altro), mesoteliomi nelle sue forme pleuriche e peritoneali;
   nelle perizie consegnate alla magistratura di Taranto nel 2012, viene indicato un «aumentato rischio di morte per cause cardiovascolari e respiratorie e per cancro polmonare parallelo all'esposizione nel corso della vita alla componente particolata dell'inquinamento atmosferico». Ad essere colpiti sono soprattutto i bambini, più esposti all’«insorgenza di asma e allergie»;
   gli effetti sulla salute della popolazione di Taranto sono stati confermati dagli studi presentati al congresso internazionale di epidemiologia ISEE, tenutosi a Roma a settembre 2016. In detti studi si specifica che «l'esposizione a PM10 primario di origine industriale (in grande prevalenza proveniente dalle sorgenti convogliate del complesso siderurgico) è associata in modo coerente con un aumento della mortalità complessivo e con la mortalità e morbosità per cause cardiovascolari (in particolare la malattia ischemica), respiratorie, neurologiche e renali»;
   nel dossier, PeaceLink accusa il Centro salute e ambiente di Taranto, ente della regione Puglia, di non aver effettuato la cosiddetta «speciazione» delle polveri, ossia lo studio di tutte le problematiche legate al particolato inquinante sopraindicato. L'associazione, a tal proposito, denuncia che «a Taranto c’è un'emergenza sanitaria costituita da migliaia di tonnellate di polveri di cui non è stata studiata la tossicità e che sono rimaste “invisibili”». E aggiunge che quelle polveri «vengono spazzate, lavate, raccolte, toccate senza che siano fornite indicazioni sanitarie e precauzionali esplicite sulla loro manipolazione e sulle modalità del loro smaltimento»;
   il dossier si chiude con la richiesta dei redattori, rivolta ad ARPA e ASST, di ottenere una perizia completa sulle polveri che ricadono sulla città di Taranto, in maniera tale che ogni cittadino possa utilizzarla, rivalendosi nelle sedi competenti, per applicare a ragion veduta il principio del «chi inquina paga» senza dover affrontare a proprie spese il compito di un accertamento tecnico sull'origine e sulla composizione fisico-chimica delle polveri considerate;
   gli interroganti tengono a precisare che il decreto legislativo n. 155 del 2010 considera, come particolato inquinante più piccolo, il PM2,5 e non, come sarebbe più opportuno fare per quanto spiegato sopra, quello più piccolo di tale diametro, perché più dannoso alla salute umana. Va da sé che le particelle più dannose risultano essere, appunto, quelle inferiori ai 2,5 μm, ma stabilendo per legge come limite minimo rilevato il PM2,5 vengono autorizzate industrie o inceneritori che producono grandi quantità di particolato ultra fine, ad inquinare «a norma di legge» in modo molto dannoso per la salute umana, in maniera del tutto indisturbata e del tutto incontrollata –:
   per tutto quanto indicato in premessa, se il Governo abbia allo studio iniziative volte a modificare le normative vigenti sopraindicate, al fine di valutare l'abbassamento delle dimensioni di grandezza minima delle polveri inquinanti, ad oggi stabilito in 2,5 μm, alle misure inferiori a 1 μm;
   se e quali iniziative abbia previsto affinché venga rilevato, dalle stazioni di misurazione esistenti, il particolato inferiore ad 1 μm, che, come ampiamente spiegato in premessa, risulta essere il più dannoso per la salute umana;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per migliorare nello specifico la situazione ambientale e di salute dei cittadini della città di Taranto e delle zone immediatamente limitrofe colpite dalla problematica dell'inquinamento provocato dalle aziende chimiche del polo industriale site nel capoluogo di provincia pugliese, tenendo in considerazione anche i fattori di elevato rischio legati alla sopraindicata problematica delle nanopolveri. (5-09560)


   GAGNARLI, BONAFEDE, L'ABBATE, BENEDETTI, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, LUPO e TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale ha bocciato la riforma della regione Toscana in termini di ampliamento degli ambiti territoriali di caccia (Atc) che scendevano a nove, corrispondenti ai territori delle ex province (con accorpamento di Firenze e Prato), dichiarandola «illegittima»;
   la riforma toscana degli ambiti di caccia prevedeva altresì che, con il piano faunistico venatorio, potessero essere istituti dei sottoambiti, privi di organi, per garantire una zonizzazione più omogenea;
   la Corte costituzionale, con sentenza n. 124 del 2016, ha dichiarato incostituzionale l'articolo 11, commi 2 e 3 della legge regionale n. 3 del 1994, come modificato dalla legge n. 32 del 2015 in quanto contrasta con la finalità del legislatore statale di volere, attraverso la ridotta dimensione degli ambiti stessi, pervenire ad una più equilibrata distribuzione dei cacciatori nel territorio e conferire specifico rilievo alla dimensione della comunità locale, più ristretta e più legata sotto il profilo storico e ambientale alle particolarità del territorio. Il carattere provinciale dell'ambito voluto dal legislatore toscano, quindi, al quale si lega l'istituzione di sottoambiti privi di funzioni amministrative, tradiva secondo la consulta questa finalità;
   la Consulta indica poi uno standard minimo di tutela della fauna, cui le regioni non possono derogare al fine di valorizzare il ruolo delle comunità ivi insediate e di costituire aree dai confini naturali, anziché soltanto amministrativi;
   successivamente, la regione Toscana si è adeguata alla pronuncia della Corte costituzionale con la legge regionale n. 39 del 29 giugno 2016, recante nuove disposizioni in materia di ambiti territoriali di caccia, che modifica la precedente legge regionale n. 3 del 1994, disponendo quale regime transitorio che ai comitati di gestione degli Atc già esistenti venga affidata la gestione commissariale dei singoli sottoambiti ricadenti nei territori di riferimento, evitando così i profili di incostituzionalità segnalati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con nota del 21 luglio 2016;
   tuttavia non disponendo nulla in via transitoria sulla ripartizione del patrimonio e dei rapporti giuridici attivi e passivi dai vecchi Atc ai rispettivi sottoambiti di riferimento, di fatto, continuano a rimanere operativi i vecchi Atc oggetto della pronuncia di illegittimità costituzionale. Pertanto, invece di correggere il suo operato, attualmente la regione Toscana lascia tutto invariato quantomeno fino al 31 dicembre, cioè praticamente quasi l'intera stagione, consentendo quindi, di fatto, che si cacci in condizioni di contrasto con la legge quadro (legge 11 febbraio 1992 n. 157) e con una recente sentenza della Corte costituzionale –:
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intenda intraprendere il Governo, per quanto di competenza, con riferimento agli ambiti territoriali di caccia, alla luce di quanto esposto in premessa e in relazione alla citata sentenza della Corte costituzionale. (5-09579)


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», all'articolo 1, comma 341, autorizza l'Automobile Club Italia (ACI) ad utilizzare le proprie risorse e quelle provenienti dalla gestione del pubblico registro automobilistico (PRA), quindi dalla gestione di un servizio pubblico, per finanziare il Gran Premio di Monza di Formula 1;
   il 19 marzo 2016, un articolo de II Fatto Quotidiano ha analizzato la trattativa tra il presidente dell'ACI, Angelo Sticchi Damiani, e il patron della Formula One Management, Bernie Ecclestone; in particolare, viene evidenziato come ACI avrebbe individuato nelle risorse del PRA la fonte di finanziamento per il «salvataggio» del Gran Premio d'Italia di Monza utilizzando gli emolumenti pagati da privati cittadini per ogni trascrizione di proprietà dei veicoli. L'articolo, infatti, osserva che «il PRA è considerato da tempo un inutile doppione della Motorizzazione civile e Carlo Cottarelli (Direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale) nel suo rapporto sulla spending review lo aveva indicato come uno spreco da tagliare per risparmiare una sessantina di milioni di euro. In extremis Sticchi Damiani era però riuscito per l'ennesima volta a evitarne la chiusura presentandolo come lo strumento indispensabile per pagare Monza. Pigliando così i due classici piccioni con una fava: salvava il Gran Premio lombardo e nello stesso tempo salvava il suo ACI»;
   Formula Imola, la società che gestisce l'autodromo romagnolo, attraverso una nota stampa del 20 luglio 2016 ha dichiarato di aver impugnato davanti al Tar del Lazio il provvedimento con il quale «ACI ha negato a Formula Imola l'utilizzo della titolazione Gran Premio d'Italia nonché, l'accesso ai fondi che, con la Legge di Stabilità ha destinato all'organizzazione del Gran Premio d'Italia di Formula 1 e affinché gli stessi possano essere utilizzati anche per organizzare il Gran Premio d'Italia di Formula 1 di Imola (...)»;
   il quotidiano La Gazzetta dello Sport, nell'articolo «Monza, ecco la firma ! Il Gp d'Italia F1 confermato fino al 2019» del 2 settembre 2016, riporta che «il presidente Sticchi Damiani e il patron della F1 Ecclestone hanno ufficializzato l'atteso contratto (...) (che ha validità dal 2017 al 2019) (...) la firma sarà materialmente apposta a Londra, per motivi burocratici, nelle prossime ore»;
   in data 3 settembre 2016, il sito online del Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (Codacons) ha pubblicato il comunicato stampa «Gp di Monza: no a fondi pubblici per tenere in vita l'evento» con il quale ha informato della presentazione di un esposto alla Corte dei Conti sulla questione in oggetto; Il Presidente del Codacons Carlo Rienzi ha dichiarato come «(...) per salvare il Gran Premio si è ricorso ai fondi del PRA, ossia il Pubblico registro automobilistico, (...) finanziato da tutti gli automobilisti italiani. Non solo. La Regione Lombardia ha versato altri 20 milioni di euro: di fatto, quindi, si salva il Gp di Monza con i soldi pubblici, nonostante l'evento possa contare su miliardi di euro di pubblicità da parte degli sponsor privati legali alla F1. Riteniamo gravissima la decisione di salvare il Gp di Monza con i soldi dei cittadini, e presentiamo un esposto urgente alla Corte dei Conti della Lombardia e a quella del Lazio, affinché sequestrino la documentazione relativa al rinnovo della gara per i prossimi 3 anni verificando se siano ravvisabili danni per la collettività o usi distorti dei fondi pubblici»;
   il sito online www.radiopopolare.it, in data 4 settembre 2016, nella nota stampa dal titolo «Per tenere il GP a Monza pagheremo tutti noi» riporta che «(...) in ogni caso Ecclestone non sembra disposto a firmare il contratto fino a quando non sarà risolto il contenzioso con “Formula Imola”, che si era proposta come alternativa a Monza, che ha contestato il fatto che quei finanziamenti pubblici si configurano come aiuto di Stato non consentito dalle leggi europee. La discussione del contenzioso è prevista per metà settembre (...)»;
   l'articolo «Formula Uno a Monza per 3 anni. Il mistero della firma che non c’è» pubblicato l'11 settembre 2016 sul sito internet www.ilgiomo.it segnala come «(...) la firma in calce al contratto che garantisce altri tre anni di Formula Uno a Monza ancora non c’è. (...) E soltanto per “questioni giurisdizionali” poste dagli avvocati la firma è stata posticipata e dirottata su Londra. (...) Nella prima bozza provvisoria del calendario 2017, l'appuntamento a Monza con il Gran premio d'Italia è stato inserito per il 3 settembre. La malizia, però, porterebbe a pensare che si tiri in lungo nell'attesa che vengano definiti il ricorso al Tar del Lazio (udienza il 26 ottobre) di Formula Imola (la società che gestisce il circuito emiliano) contro la decisione di Aci di sostenere solo Monza con «aiuti di Stato» e l'esposto urgente del Codacons sempre sull'utilizzo di soldi pubblici» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali elementi di valutazione intenda fornire il Governo in relazione alle argomentazioni addotte dal Codacons in merito all'utilizzo, da parte di Aci, delle risorse derivanti dalla gestione del PRA;
   se il Governo, alla luce dei ricorsi di Formula Imola e del Codacons, intenda assumere iniziative per rivedere l'assegnazione del Gran Premio a Monza valutando in maniera approfondita anche la proposta di organizzazione avanzata da Formula Imola;
   come si giustifichi il ritardo in merito alla firma del contratto tra Aci e Formula One Management prevista per la prima settimana di settembre e se intenda chiarirne i termini. (5-09585)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   come si evince dalle notizie recentemente riportate dagli organi di informazione locali, i sindaci dei comuni irpini che hanno sottoscritto l'accordo di programma del progetto pilota «Alta Irpinia» si sono visti costretti a chiedere formalmente, con una nota indirizzata al presidente, i verbali delle riunioni, e addirittura i fogli di presenza con l'elenco dei sindaci che vi hanno preso parte;
   dalla nota scritta da detti amministratori, è emerso che molti di loro erano di fatto all'oscuro di come viene gestito il progetto e si sono visti costretti a sollecitare la definizione di un modello di governance per gestire l'attuazione della strategia;
   da detta nota emerge un deficit di trasparenza, di organizzazione e di condivisione che impone una riflessione sulla utilità di un progetto che rischia di essere un nuovo «carrozzone clientelare»;
   l'auspicio è che regione Campania e Governo centrale intervengano per rimediare subito a tali deficit, specie quello di trasparenza;
   occorre dare una risposta ai rilievi mossi dai sindaci che rappresentano un terzo dell'intera popolazione del progetto;
   ci sono aspetti che vanno attentamente valutati per verificare se ci siano o meno le condizioni per il finanziamento del progetto pilota e per far sì che sia realmente uno strumento che opera nell'interesse del territorio –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare al riguardo. (4-14276)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il signor Andrea Ugolini, militare italiano combattente sul fronte iugoslavo, è stato internato nel campo di sterminio di Buchenwald dal settembre 1943 al giugno 1945, liberato dagli Alleati quando era ad un passo dalla morte, completamente sfibrato sul piano fisico e psicologico;
   la vicenda del deportato Andrea Ugolini è stata raccontati anche nel libro di Gregorio Pialli «Una voce da Buchenwald: Memoriale di un sopravvissuto al più feroce campo nazista d'Europa», opera cui è stata assegnata la medaglia d'oro dell'Associazione nazionale famiglie dispersi in guerra;
   nel febbraio 1981 gli viene riconosciuto il diritto all'assegno vitalizio n. 7210191 dalla direzione generale delle pensioni di guerra del Ministero del tesoro;
   nell'agosto 2002, a titolo di indennizzo quale lavoratore in condizione di schiavitù, deportato in un campo di concentramento, gli viene concessa, su richiesta della International Organization for Migration (Iom), dalla Fondazione tedesca «Memoria, Responsabilità e Futuro» la somma di 15.000 marchi tedeschi (pari a euro 7.669), di cui riscuote il 50 per cento. Si rifiuta di accettare la seconda rata a seguito dell'esito negativo del ricorso in appello presentato a Iom Appeal Body di Ginevra, nel quale si lamentava l'esiguità dell'indennizzo;
   nel marzo 2012 riceve l'assegnazione postuma della «Medaglia d'Onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l'economia di guerra», richiesta nel suo interesse dal figlio Giuseppe Ugolini;
   Giuseppe Ugolini chiede, jure proprio e jure haereditario, la condanna della Rft (Repubblica federale di Germania) al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subìti in conseguenza dell'internamento, ad opera di forze militari del Terzo Reich, del proprio padre Andrea nel campo di sterminio di Buchenwald;
   la sentenza n. 238/2014 della Corte costituzionale consente al giudice italiano di decidere su tale domanda, in precedenza non proponibile per effetto dell'articolo 3 della legge n. 5 del 2013 promulgata dopo la sentenza della Corte internazionale di giustizia del 3 febbraio 2012;
   Il 18 maggio 2016, dinanzi la II sezione del Tribunale civile di Roma, si è svolta la prima udienza del processo intentato da Giuseppe Ugolini contro la Repubblica federale di Germania, rimasta contumace;
   con nota Cont. 33/2016 del 17 maggio 2016 l'Avvocatura dello Stato si è costituita a sostegno delle ragioni della Repubblica federale di Germania e, ad avviso dell'interrogante, in aperto contrasto con le indicazioni della sentenza n. 238 del 2014 della Corte costituzionale;
   in un altro processo avente il medesimo oggetto, l'Avvocatura dello Stato si è costituita con le medesime motivazioni e la Repubblica federale di Germania è stata condannata con sentenza del tribunale di Ascoli Piceno dell'8 marzo 2016 al risarcimento del danno subito da una vittima deportata in un lager nazista;
   tra le motivazioni di tale posizione vi è anche il riferimento ad un invito da parte della Repubblica federale di Germania affinché «in vista del mantenimento delle buone relazioni diplomatiche tra i due Stati, il Governo italiano garantisca, come detto, che la posizione giuridica assunta dalla RFG trovi considerazione nei procedimenti ripresi o avviati dinanzi ai giudici italiani contro la medesima»;
   nella nota Cont. 33/2016 di cui in premessa si può leggere che «Sussiste quindi l'interesse del Governo italiano ad intervenire nel presente giudizio per la tutela di superiori esigenze di ordine sovranazionale attinenti al mantenimento delle relazioni internazionali» –:
   quale genere di comunicazione e con quali modalità sia stata inoltrata dalla Repubblica federale di Germania al Governo in merito alla vicenda di cui in premessa;
   di quali elementi disponga il Governo, per quanto di competenza, circa le motivazioni addotte dalla Repubblica federale di Germania per giustificare la propria decisione di non costituirsi dinanzi all'autorità giudiziaria italiana;
   in quali termini il Governo intenda garantire il diritto dei cittadini italiani riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza sopra richiamata e se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, allo scopo di trovare soluzioni che garantiscano in particolare il diritto delle vittime dei crimini nazisti. (4-14281)


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 28 febbraio 2016, il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo secondo il quale l'aereo affittato per i viaggi di Stato del Presidente del Consiglio dei ministri costerebbe 15 milioni di euro all'anno, equivalenti a 40 mila euro al giorno;
   la cifra sarebbe stata originariamente secretata, ma il noto quotidiano avrebbe desunto l'importo dall'anomalo incremento fatto registrare dalla voce «trasporto aereo di Stato» nella nota aggiuntiva al bilancio della Difesa presentata all'inizio dell'anno in corso, pari al 622 per cento rispetto al 2015;
   l'importo della spesa è giudicato da alcuni eccessivo e fuori mercato, considerando che l'aereo di cui si servirebbe la Presidenza del Consiglio è un Airbus 340-500 preso in leasing da Etihad;
   la scelta fatta dal Governo, per quanto argomentabile facendo riferimento ad astratte esigenze di prestigio, appare agli interroganti scarsamente comprensibile se confrontata a quelle fatte dal Regno Unito, il cui Premier si serve normalmente di voli di linea;
   in qualche caso documentato, risalente al 2013 ed ancora al 2015, l'allora Premier britannico David Cameron risulta inoltre non aver disdegnato occasionalmente il ricorso ai servizi di compagnie di volo low cost, offrendo un encomiabile esempio di parsimonia;
   fermi restando il costo annuale e quello giornaliero del leasing, è comunque ignoto il costo sostenuto dal contribuente italiano per viaggi come quello appena compiuto dal Presidente del Consiglio in carica, Matteo Renzi, per partecipare ai lavori dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite;
   ad aggravare i costi della trasferta del Presidente del Consiglio a New York ha certamente concorso l'ampiezza del seguito, di cui all'interrogante sono sconosciute le esatte dimensioni, specialmente qualora avesse comportato il pernotto di dipendenti dello Stato in alberghi della grande metropoli americana –:
   se i dati concernenti il costo annuale e giornaliero del leasing da Etihad dell'Airbus 340-500 contratto dal Ministero della difesa per soddisfare le esigenze della Presidenza del Consiglio dei ministri, stimati e pubblicati da Il Fatto Quotidiano il 28 febbraio 2016, siano corretti;
   quanto sia costato al contribuente italiano il volo con il quale il Presidente del Consiglio si è recato a New York il 20 settembre 2016;
   da quante persone e con quali qualifiche fosse composto il seguito del Presidente del Consiglio durante la sua trasferta a New York;
   quali costi aggiuntivi il bilancio dello Stato abbia dovuto sopportare per coprire le spese di viaggio e soggiorno delle persone che hanno viaggiato con il Presidente del Consiglio. (4-14282)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione per l'individuazione e il potenziamento delle azioni e degli interventi di monitoraggio per la tutela dei terreni, delle acque di falda e dei pozzi della regione Campania, è stata istituita con decreto del presidente del Consiglio dei ministri dicembre 2015 ai sensi dell'articolo 2, comma 2, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6;
   da fonti stampa si apprende che la dottoressa Tiziana Spinosa è stata nominata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in rappresentanza della regione Campania nella «Commissione per il potenziamento delle azioni e degli interventi di monitoraggio e tutela di terreni, acque di falda e di pozzi in Campania». Pubblicamente è stato dichiarata l'intenzione di voltare pagina nell'acquisizione dei dati e di proseguire quindi nel lavoro già avviato per ottenere una valutazione oggettiva e definitiva sui livelli di inquinamento, sulla base di indagini affidate esclusivamente alle istituzioni scientifiche. Il lavoro sarà intrecciato con il riavviato registro tumori e con il coinvolgimento dell'istituto Pascale per uno screening sull'incidenza delle patologie tumorali in particolare sulle popolazioni più giovani –:
   quando e come saranno stanziati i finanziamenti statali e, nello specifico, a quanto ammontino tali finanziamenti per singolo anno e per specifico progetto;
   quali siano le tempistiche specifiche di attuazione e del programma di monitoraggio;
   se tutte le informazioni di monitoraggio per la tutela dei terreni, delle acque di falda e dei pozzi della regione verranno rese pubbliche, in che modalità e con quali tempistiche;
   se, nello specifico, lo screening oncologico determinerà la creazione di un vero e proprio registro tumori a livello regionale e se tale registro verrà reso pubblico, in che modalità e con quali tempistiche. (4-14283)


   NESCI e DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in una nota del 18 luglio 2016 a firma del dottor Gianluigi Scaffidi, dirigente sindacale di Anaao-Assomed, si evidenzia, all'attenzione della struttura commissariale per il rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, del Ministro della salute, del tavolo interministeriale di verifica degli adempimenti, del governatore regionale ed altri che «ha cessato di esistere il punto nascita della casa di cura «Villa Aurora» di Reggio Calabria» e che la «decisione è stata assunta dal duo Scura-Urbani ed è contenuta nel DCA n. 64/2016 avverso il quale tanti protestano, in primis l'altro duo Oliverio-Pacenza, ma nessuno agisce»;
   la suddetta casa di cura garantiva assistenza nella specialità ostetricia e ginecologia con 33 posti letto
   «per decisione dei commissari (ad acta, nda) – ha scritto il dottor Scaffidi – sono stati cassati questi posti letto e sono stati assegnati n. 43 posti letto di «Chirurgia generale» e n. 30 posti letto di «Recupero e riabilitazione» al posto dei 30 preesistenti posti di Lungodegenza»;
   «con questa singolare decisione – ha aggiunto il dottor Scaffidi –, tutta l'utenza del Reggino sarà caricata sull'unico punto nascita dell'Azienda ospedaliera di Reggio Calabria», salvo i punti periferici di Locri e Polistena, dunque altrettanto oberati;
   quanto sopra affermato trova conferma nel fatto che con lo stesso decreto del commissario ad acta n. 64/2016 sono stati distribuiti alla casa di cura privata «Villa Elisa» – ubicata a Polistena (Reggio Calabria) e per anni funzionale a integrare l'assistenza per ginecologia-ostetricia nella popolata, Piana di Gioia Tauro – 15 posti letto di «Lungodegenza» e 33 di «Recupero e Riabilitazione», azzerando quelli del «Punto nascita»;
   la procura di Reggio Calabria ha ricostruito fatti gravissimi sul «Punto nascita» dell'Azienda ospedaliera di Reggio Calabria come riassunto nell'interpellanza urgente n. 2/01365 del 10 maggio 2016, modificata il 13 maggio, a firma dell'interrogante;
   nel verbale di verifica dei requisiti di legge del punto nascita dell'azienda ospedaliera di Reggio Calabria, prot. n. 43/ Comm. Az. del 23 marzo 2016, si legge che «il Punto Nascita del A.O. Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria necessita di essere adeguato a quanto previsto dall'Accordo Stato-Regioni del 15 dicembre 2010, da un punto di vista strutturale, impiantistico, organizzativo e tecnologico»;
   la legge n. 161 del 2014 ha introdotto per le professioni sanitarie il rispetto della direttiva europea sui turni e i riposi obbligatori –:
   alla luce della grave e insostenibile situazione evidenziata, quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere per garantire la massima sicurezza dei parti nella provincia di Reggio Calabria. (4-14284)


   DI BATTISTA, RIZZO, DE LORENZIS, CRIPPA, PETRAROLI, MASSIMILIANO BERNINI, DAGA, SCAGLIUSI, SIBILIA, ZOLEZZI, BUSTO, GAGNARLI, TERZONI, COLONNESE, LOREFICE, L'ABBATE e MANLIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la formalizzazione della candidatura di Roma Capitale all'organizzazione dei Giochi della XXXIII Olimpiade e XVII Paralimpiade del 2024 è stata approvata con mozione n. 39 del 25 giugno 2015 dall'Assemblea Capitolina e con deliberazione n. 1536 del 2 luglio 2015 del consiglio nazionale del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), su proposta della giunta nazionale;
   il CONI – «Comitato olimpico nazionale italiano», come riportato dal sito www.roma2024.org, non ha ritenuto opportuno, al fine di contenere i costi, di costituire un autonomo comitato promotore, così demandando a Coni Servizi s.p.a. il compito di svolgere tutta l'attività operativa necessaria per la presentazione della candidatura;
   il Comitato Roma 2024 è quindi un'unità operativa interna a Coni Servizi s.p.a.;
   Coni Servizi s.p.a. è una società, partecipata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, ed è la società operativa delle attività del Comitato olimpico nazionale italiano che svolge questa funzione in forza di un contratto di servizio stipulato con il CONI;
   ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 242 del 1999 il CONI – «Comitato olimpico nazionale italiano» – è un ente che ha personalità giuridica di diritto pubblico che è «posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali»;
   ai sensi dell'articolo 12, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o ottobre 2012, il dipartimento per gli affari regionali, le autonomie e Io sport, struttura di supporto della Presidenza del Consiglio dei ministri, esercita compiti di vigilanza sul Comitato olimpico nazionale (CONI) e, unitamente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in relazione alle rispettive competenze, di vigilanza e di indirizzo sull'Istituto per il credito sportivo;
   il contributo ordinario assegnato dallo Stato al CONI si aggira intorno ai 400 milioni di euro annui;
   da alcuni articoli riportati da organi di stampa (http://limbeccata.it) gli interroganti hanno appreso che dal bilancio della società Coni servizi, al cui interno è stato costituito il comitato di Roma 2024, emergerebbe che il Coni avrebbe assegnato al comitato organizzatore per la promozione della candidatura di Roma olimpica 2 milioni e 197 mila euro;
   alla luce delle rilevanti somme poste a carico del bilancio dello Stato, messe a disposizione del CONI e del CONI Servizi s.p.a., attraverso la partecipazione totalitaria del Ministero dell'economia e delle finanze, gli interroganti ritengono indispensabile che il Governo dia delle risposte chiare in merito a come siano stati utilizzati fondi pubblici relativamente alla candidatura di Roma Capitale all'organizzazione dei Giochi della XXXIII Olimpiade e XVII Paralimpiade del 2024 e, soprattutto, quali procedure ad evidenza pubblica siano state adottate –:
   se il Governo intenda rendere nota ogni somma che il Comitato Roma 2024, e dunque Coni Servizi s.p.a., nonché il CONI stesso e tutte le Federazioni sportive nazionali, hanno ad oggi sostenuto in relazione alla candidatura di Roma Capitale all'organizzazione dei Giochi della XXXIII Olimpiade e XVII Paralimpiade del 2024;
    se il Governo intenda rendere di pubblico dominio quali procedure ad evidenza pubblica siano siate adottate in ordine alle somme ad oggi spese, dal CONI e da Coni Servizi s.p.a. e da tutte le Federazioni sportive nazionali, per sostenere la candidatura di Roma Capitale all'organizzazione dei Giochi della XXXIII Olimpiade e XVII Paralimpiade del 2024.
(4-14294)


   BORGHESE e MERLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da indagini effettuate dall'OCSE dal 2006 al 2016 la disoccupazione giovanile in Italia è aumentata di 18 punti percentuali, passando dal 20,4 (ultimo trimestre 2006) al 40;
   la categoria dei giovani non occupati (Neet), in Italia, che non frequentano né scuole né corsi di formazione, è cresciuta di 7,4 punti percentuali (passando dal 19,5 al 26,9);
   da una ricerca del centro studi di Impresa Lavoro, realizzata su elaborazione di dati medi, si rivela che nel periodo di tempo considerato, la crescita percentuale degli italiani di età compresa tra i 15 e i 24 anni che sono senza lavoro (ma che sarebbero disponibili a lavorare e che hanno effettuato almeno una ricerca attiva di lavoro nelle ultime quattro settimane) risulta superiore a quella di quasi tutti gli altri Paesi europei;
   solo in Spagna si vive in condizioni peggiori (+27,4 punti percentuali, passata dal 19 al 46,4) e in Grecia (+26,5 punti, passata dal 22 al 48,5);
   in particolare, si rileva l'Irlanda con (+11,1 punti percentuali, passata dal 9,3 al 20,4), il Portogallo (+8,5 punti, passato dal 23 al 31,5), la Francia (+6,0 punti, passata dal 18,5 al 24,5), la Gran Bretagna (-0,3 punti, passata dal 13,7 al 13,4) e la Germania (-4,3 punti, passata dall'11,3 al 7);
   preoccupano, in particolar modo, i dati relativi alla categoria dei Neet; osservando i dati Ocse si scopre, infatti, che nella classifica l'Italia è il Paese dell'Unione europea con il più alto tasso di inattività giovanile per quanto riguarda l'anno 2015. Tra il 2007 e il 2015 la percentuale di Neet è cresciuta in Italia di 7,4 punti (passando dal 19,5 al 26,9), con un incremento inferiore soltanto a quello registrato in Grecia (+8,3 punti, passata dal 16,4 al 24,7) –:
   quali politiche il Governo abbia previsto per la ripresa della qualità del lavoro nel nostro Paese;
   se abbiano considerato di dover assumere iniziative differenti e più efficaci rispetto a quelle sin ora adottate dal Governo, in quanto si sta rivelando insufficiente la legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs acts) soprattutto per gli aspetti riguardanti la qualità dei posti di lavoro dei giovani in Italia. (4-14296)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PRINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   già nell'estate 2012 l'ecosistema fluviale del Fiume Ticino rischiava di essere fortemente compromesso da una grave siccità causata dalla scarsità di piogge. Le criticità rientrarono grazie alla proficua collaborazione tra parco Lombardo della Valle del Ticino e Consorzio del Ticino (l'ente che gestisce il deflusso dell'acqua nel lago Maggiore), quest'ultimo, infatti (grazie ad un accurata gestione in fase di deflusso dell'accumulo d'acqua garantito dal fatto che era stato assunto come livello di riferimento 1,50 m sullo zero idrometrico a Sesto Calende), liberava nel fiume la quantità d'acqua che era conservata nel Lago Maggiore, permettendo così al Ticino di sopperire al grave momento e garantendo anche la quantità d'acqua necessaria all'attività agricola di ben due regioni e cinque province nonché al corretto funzionamento delle centrali idroelettriche interessate;
    con lettera del 7 marzo 2014 il direttore dell'Ufficio federale dell'ambiente UFAM della Confederazione svizzera, chiedeva chiarimenti al direttore generale per lo sviluppo sostenibile, il clima e l'energia del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in merito alle anomalie riscontrare sulla regolazione del lago Maggiore e di adoperarsi per il rispetto del disciplinare di regolazione (disciplinare in vigore ma risalente al gennaio 1940). Tale richiesta nasceva dal timore della Confederazione svizzera di possibili inondazioni derivanti dai forti cumuli, sia di neve che di acqua, nei bacini di monte nella regione sud-alpina. Quanto appena descritto creava i presupposti per la decisione del Ministero che, con nota inviata nel giugno 2014, invitava il Consorzio del Ticino ad adoperare la regolazione dei livelli del Lago secondo quanto stabilito nella vigente regolamentazione, mantenendo la regolazione estiva entro il limite +1.0 m rispetto alla zero idrometrico di Sesto Calende;
   con nota congiunta, inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, i presidenti del parco lombardo della Valle del Ticino e del Parco Ticino Piemonte e lago Maggiore esponevano la contrarietà dei rispettivi enti alla imposizione della quota di 1 m di accumulo del Lago anche perché influiva negativamente sul programma di sperimentazione DMV fiume Ticino/gestione livelli lago Maggiore. Gli stessi, inoltre, facevano notare come il modello di gestione (applicato cinque anni prima) abbia garantito la quantità d'acqua necessaria agli agricoltori e alle altre attività produttive sempre nel rispetto dell'ambiente fluviale che si ricorda ha avuto sino dal 2002 il riconoscimento MAB/UNESCO di Riserva della biosfera. Dalla relazione tecnica del parco Lombardo della Valle del Ticino in merito il sopracitato programma di sperimentazione del DMV e del modello di gestione dei deflussi dal lago, si evince come al 31 maggio 2014 la situazione di accumulo nevoso e dei bacini di monte fosse molto inferiore rispetto agli anni 2012 e 2013, periodo in cui la sperimentazione a quota +1,50 m era in piena applicazione, e ciò non comportò alcun problema idrico né a valle né a monte. La relazione inoltre (prendendo in considerazione il fatto che le modalità di regolazione dei flussi del Lago fossero di competenza solo italiana, con il solo obbligo di comunicazione agli svizzeri) faceva osservare come il Ministero decise di dare seguito alla richiesta di chiarimenti della Confederazione svizzera senza acquisire alcuna informazione dai soggetti territoriali interessati;
   il parco del Ticino nella relazione presentata alla Conferenza di servizi del 29 aprile 2015 evidenziava come per quell'anno fosse reale il pericolo di siccità estiva in quanto i grafici di afflusso idrico erano simili a quelli degli anni precedenti che si erano dimostrati particolarmente critici (2003, 2006 e 2012) e, nonostante ciò, non si riteneva necessario riportare il livello a +1,50 m sullo zero idrometrico di Sesto Calende in modo di avere più risorse idriche a disposizione;
   con deliberazione n. 1/2015 del 12 maggio 2015 l'autorità di bacino del fiume Po, in risposta alle istanze del Consorzio Ticino che chiedeva di portare la quota di regolazione estiva del Lago a +1,50 m sullo zero idrometrico di Sesto Calende, approvava l'avvio della sperimentazione della regolazione estiva dei livelli del lago Maggiore, imponendo però la quota di livello massimo a +1,25 m e modalità di svaso preventivo più rigide rispetto a quelle vigenti fino a quel momento. Questa decisione portava il parco lombardo della Valle del Ticino ad inviare, il 14 luglio 2015, una diffida all'autorità di bacino del fiume Po sollecitando l'incremento del livello massimo di regolazione del lago Maggiore nel periodo estivo a +1,50 m sullo zero idrometrico di Sesto Calende;
   la relazione commissionata dal Consorzio del Ticino presentata al tavolo tecnico istituito dalla autorità di bacino del fiume Po dalla Società Blu Progetti nell'aprile 2015 dimostrava, sulla base della analisi storica dei dati di anni di afflussi e deflussi nel Lago, come il mantenere il livello a 1,50 m non aumentava il rischio di alluvioni/allagamenti delle aree adiacenti alle sponde lacuali anche in caso di eventi meteo eccezionali;
   nella risposta all'interrogazione n. 3-01659 (discussa nella seduta della Camera dei deputati n. 476 del 5 agosto 2015) il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si esprimeva, per una valutazione dell'innalzamento a +1,30 m dal marzo 2018, «a fine 2017» e solo «in seguito, sulla base dell'andamento della sperimentazione» l'innalzamento a quota +1,50 (tempistica che, considerato il perdurare di anno in anno delle sopra descritte criticità, desta molta preoccupazione ai soggetti interessati in primis gli agricoltori);
   anche tra la primavera e l'estate del 2016 il Fiume Ticino e il Lago Maggiore stanno subendo un altro grave periodo di siccità con gravi danni sia per l'ambiente naturale che per tutte le attività produttive legate al Fiume e al Lago; si fa riferimento alla nota stampa del 6 aprile del 2016 dove, ancora una volta, il parco Lombardo della Valle del Ticino evidenziava come riportare il livello del Lago a quello della sperimentazione (+1,50 sullo zero idrometrico) per tutto l'anno, fosse la condizione necessaria per garantire al Ticino il giusto deflusso d'acqua tale da non compromettere il suo ecosistema riconosciuto dall'UNESCO come riserva della biosfera e l'attività di circa 7.000 aziende della principale zona agricola italiana –:
   quali siano le motivazioni per cui, nonostante le ripetute sollecitazioni degli enti istituzionali interessati e fatte salve le ragioni di natura internazionale nei rapporti con la Confederazione svizzera, non si autorizzi l'innalzamento del livello del lago Maggiore da +1,25 m a +1,50 m sullo zero idrometrico per tutto l'arco dell'anno, comprovata condizione, sia per l'equilibrio idrico-naturalistico del lago Maggiore, sia per un ottimale deflusso d'acqua vitale al fiume Ticino e dei fabbisogni dell'attività agricola. (5-09556)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 sono state raccolti ed avviati al recupero oltre 10 milioni di chilogrammi di pile e accumulatori portatili, un risultato che ha allineato il nostro Paese alle medie europee con oltre il 41 per cento, delle pile esauste raccolte rispetto a quelle nuove immesse sul mercato, traguardo prossimo al target europeo del 45 per cento previsto a settembre;
   nonostante l'incremento registrato rispetto all'anno precedente (+ 5 per cento) persistono però notevoli criticità legate alle difficoltà che gli operatori riscontrano nell'incrementare la raccolta nel settore della distribuzione commerciale a causa dei dubbi interpretativi sull'applicazione della normativa in materia ed i conseguenti rischi di sanzioni per i negozi e centri commerciali;
   in particolare, non è chiaro:
    a) se il «punto vendita» dalla cui attività per altro non discende la destinazione al recupero delle pile si debba configurare o meno quale «produttore» (con annessi oneri amministrativi e di gestione del rifiuto) ovvero solo come «detentore»;
    b) con quali codici di identificazione (CER) i rifiuti devono essere conferiti ai sistemi di raccolta pubblici;
    c) se sussista o meno l'obbligo della tenuta del registro di carico e scarico dei rifiuti;
    d) se trovi o meno applicazione il SISTRI –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità del settore della raccolta di pile e accumulatori portatili e quali iniziative intenda adottare per fare chiarezza sulla normativa esistente e per agevolare la raccolta di tali rifiuti presso la distribuzione commerciale. (5-09567)


   ZARATTI, MELILLA e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tratto costiero della provincia di Chieti è sicuramente quello di maggior pregio dei circa 125 km di fascia costiera abruzzese;
   tra Ortona e Vasto, in poco più di 50 chilometri si trovano 7 riserve naturali regionali (Ripari di Giobbe, Acquabella, Grotta delle Farfalle, San Giovanni in Venere, Lecceta di Torino di Sangro, Punta Aderci, Marina di Vasto, 1 sito di importanza regionale (il Corridoio Verde, ai sensi della legge regionale n. 5 del 2007) e 6 siti di importanza comunitaria (IT7140106 Fosso delle Farfalle, IT7140107, Lecceta litoranea di Torino di Sangro e Foce Fiume Sangro, IT7140111, Boschi riparali sul Fiume Osento, IT7140108 Punta Aderci, IT7140109, Marina di Vasto, IT7140127 Fiume Trigno), oltre a numerose stazioni dove sono segnalate specie vegetali in via d'estinzione e in lista rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature) come documentato dall'Università dell'Aquila dal gruppo del Professor Pirone;
   complessivamente risultano protetti 11,41 chilometri quadrati, pari al 37 per cento del territorio costiero, considerando solo le aree protette. Superficie che aumenta fino a 19,3 chilometri quadrati, pari al 6,3 per cento se consideriamo anche la parte ricadente nei siti d'importanza comunitaria della Rete Natura 2000. Con la legge n. 344 del 1997 (articolo 4, comma 3) la «Costa Teatina» viene inserita (su proposta del senatore Staniscia) tra le «prioritarie aree di reperimento» previste dalla legge n. 394 del 1991 (lettera l-bis, comma 6, articolo 34) e sulle quali si dovevano realizzare parchi nazionali. Successivamente, la legge n. 93 del 2001, all'articolo 8, comma 3, avvia l'iter di istituzione, ricordando le procedure e le intese, richiamando la legge 394 del 1991 e fissa in 1.000 milioni di lire dal 2001 i limiti massimi di spesa per l'istituzione e il funzionamento. La giunta Pace, allora alla guida della regione, ricorre alla Corte Costituzionale contro la legge 93 del 2001 per farne dichiarare l'incostituzionalità e, comunque, per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 422 del 2002, depositata il 18 ottobre 2002, dichiara «non fondata» la richiesta della regione Abruzzo e ribadisce la legittimità dell'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n. 93. Nel 2005 cambia il governo regionale e, con la dismissione della tratta Adriatica, tra Ortona e Vasto, di RFI, si torna a parlare di Costa Teatina;
   viene fatta una prima proposta dall'assessore regionale Franco Caramanico;
   il 6 settembre 2006 una delegazione abruzzese guidata da Caramanico si incontra con il direttore del servizio di conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e si riavvia l'iter di perimetrazione del parco nazionale della Costa Teatina;
   dopo diversi mesi di confronto con i comuni solo tre comuni deliberarono a favore del parco (Vasto, San Salvo e Francavilla);
   si approda quindi dopo un confronto di un anno e mezzo con associazioni ed università, al «Sistema delle Aree Protette della Costa Teatina», con la legge regionale n. 05 del 2007 che viene costituito, nelle more della definizione del Parco nazionale della Costa Teatina. L'iter del parco rallenta di nuovo e, vista la renitenza dei comuni, la direzione regionale competente formula una proposta di perimetrazione e la invia ai comuni e al Ministero dell'ambiente (2008). A luglio 2008 viene arrestato l'allora presidente della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco;
   si va verso le elezioni a dicembre 2008 e l'iter si ferma di nuovo. A fine aprile 2010, nell'anno internazionale della biodiversità, con il direttore Aldo Cosentino in procinto di andare in pensione, il Ministero dell'ambiente riprende gli iter per l'istituzione di alcuni parchi, rimasto in sospeso (ne mancano ancora 5 da istituire: Costa Teatina, isola di Pantelleria, Egadi e litorale trapanese, Eolie, Iblei). Il 10 maggio 2010, regione Abruzzo, provincia di Chieti e comuni costieri (Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro, Casalbordino, Vagito e San Salvo) sono convocati a Roma presso il Ministero dell'ambiente e si riavvia l'iter di istituzione del parco nazionale della Costa Teatina; alla regione Abruzzo viene affidato il compito di riconvocare i comuni e la provincia per definire una nuova perimetrazione condivisa entro la fine del 2010. Il 9 luglio 2010 la regione Abruzzo convoca i comuni e la provincia di Chieti e preso atto della contrarietà alla proposta di perimetrazione elaborata dalla direzione regionale Aree protette e parchi del 2008, si concorda di lavorare su una ipotesi che preveda 4 zone, anticipando la zonazione nel decreto istitutivo e graduando meglio i vincoli in considerazione delle valenze naturalistiche e dell'antropizzazione del territorio. Ogni Comune si prende l'onere di deliberare in merito, decidendo se essere favorevole o contrario, definendo anche una perimetrazione per il territorio di competenza da rimandare in regione Abruzzo per una successiva integrazione e raccordo complessivo delle proposte. Si ipotizza di terminare questa fase per settembre/ottobre. Dopo diversi incontri di coordinamento, la questione resta sospesa, tra agosto e ottobre solo alcuni comuni si muovono e iniziano la discussione e avviano dei percorsi di confronto ed ascolto anche con i cittadini, tra questi Fossacesia, Torino di Sangro e Vasto. Nello specifico: Torino di Sangro delibera in consiglio sulla volontà di dare origine al parco e di definire una perimetrazione su 4 zone, come concordato in regione, il comune di Fossacesia ne discute nel suo forum ambiente e approva in commissione urbanistica la proposta di perimetrazione su 4 zone; il comune di Vasto approva un ordine del giorno e rimanda la discussione della perimetrazione. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in data 4 agosto 2014, l'architetto Giuseppe De Dominicis, presidente emerito della provincia di Pescara, è stato nominato quale «Commissario ad acta» per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina. Nell'ambito della procedura per l'istituzione del parco Nazionale della Costa Teatina, disciplinato dalla legge n. 394 del 1991 e successive modificazioni e integrazioni, il menzionato «Commissario ad acta» dell'istituendo parco, ne ha definito – nel mese di maggio 2015 – la perimetrazione provvisoria, permettendo con tale fondamentale atto propedeutico, un'auspicabile e pronta emanazione da parte del Governo del relativo ed indispensabile decreto istitutivo dell'area protetta in argomento; nonostante i tempi e le procedure cui è vincolato il Commissario per la perimetrazione provvisoria, numerosi sono stati gli incontri con associazioni e amministratori locali e diversi i suggerimenti e le proposte avanzati e accolti e riportati in cartografia o nelle normative in materia –:
   ad oggi, per istituire il Parco della Costa Teatina, continua a mancare solo il decreto istitutivo che deve emanare il Presidente del Consiglio dei ministri. Ci si interroga su quali siano i motivi che impedirebbero l'istituzione del parco, a distanza ormai di un anno dalla fine degli adempimenti degli altri enti competenti;
   essendo concluso l'iter per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina ed essendo stati rispettati tutti i passaggi necessari a tal fine, quali siano le ragioni che impediscono di formalizzare e istituire il suddetto. (5-09568)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di cronaca nazionale annunciano la prossima presentazione di uno studio dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sulla sostenibilità ambientale e la contaminazione da pesticidi; la presentazione dello studio avverrà nell'ottobre 2016 a Roma, in occasione della settima edizione del convegno internazionale per le statistiche in agricoltura (Icas);
   i risultati, che sono già stati resi pubblici, delineano uno scenario allarmante per quanto riguarda l'inquinamento da pesticidi: utilizzati da decenni nelle coltivazioni di frutta e verdura, i quali, filtrando nel terreno, hanno inquinato i pozzi e le falde acquifere, avvelenando di fatto l'acqua che beviamo;
   nei bacini del Po, il fiume più grande d'Italia, che scorre per tutta la pianura padana ed anche in Veneto, sono state usate negli anni ’60 ingenti quantità di atrazina, un diserbante che venne poi vietato nel 1992; questo diserbante, tuttavia, è stato sostituito con un altro della stessa famiglia e con caratteristiche simili, la terbutilazina, ancora oggi molto utilizzato dagli agricoltori;
   anche questa sostanza era stata bandita dall'Efsa (Autorità europea per l'alimentazione e la salute) nel 2010, ma poi era stata di nuovo autorizzata l'anno successivo, sebbene sia ancora considerata molto dannosa per la salute: gli scienziati spiegano che questi pesticidi, assunti dall'uomo, provocano l'alterazione del funzionamento del sistema endocrino con possibile insorgenza di gravi patologie per chi ha assunto la sostanza ovvero per i loro nascituri;
   il responsabile del settore sostanze pericolose di Ispra, Pietro Paris, dichiara: «Abbiamo analizzato sulla base di 17 anni di dati, la persistenza di un contaminante in acqua, studiando un'area sufficientemente grande, come il bacino del Po, e soggetta a elevate pressioni antropiche, sia agricole, sia industriali, con una fragilità idrologica abbastanza importante»;
   per garantire la salute dell'uomo e la protezione dell'ambiente, la normativa per la tutela delle acque dall'inquinamento è basata sul rispetto di limiti di concentrazioni considerati accettabili; tuttavia, non sempre i limiti sono cautelativi; alcune sostanze infatti sono «senza soglia» di sicurezza, nel senso che non v’è una concentrazione minima che sia considerata innocua, anche bassissime concentrazioni sono ugualmente pericolose per la salute dell'uomo;
   l'indagine quindi è stata rivolta all'analisi dei dati per capire sino a quanto tempo una sostanza può persistere nell'ambiente e se possa essere dannosa l'esposizione prolungata anche alle basse concentrazioni e qual è la capacità che l'ambiente ha, una volta contaminato, di ritornare a condizioni imperturbate o almeno sostenibili dal punto di vista degli ecosistemi;
   i dati segnalano che, sebbene nelle acque superficiali del Po non si rivelino grosse concentrazioni di pesticidi, poiché scorrono via velocemente, nelle falde profonde, che scorrono molto lentamente i pesticidi sono resistenti per anni ed entrambi gli inquinanti, terbutilazina e l'atrazina, quest'ultima abbandonata anni fa, sono presenti in alte concentrazioni nelle falde acquifere;
   «Nelle acque superficiali» spiega Pietro Paris «la concentrazione dell'atrazina si è dimezzata circa quattro volte rispetto a quando era in uso, perché il Po rinnova la sua acqua rapidamente. Poi siamo andati a vedere cosa succedeva nell'intera rete di pozzi del bacino padano: le concentrazioni sono circa quattro volte più alte di quelle delle acque superficiali. In 12 anni non c’è una tendenza a diminuire. Questo perché le acque sotterranee, specialmente nei bacini acquiferi profondi, hanno velocità bassissime, si spostano di pochi metri all'anno.»
   la natura ha messo a punto sistemi di degradazione di tali contaminanti organici: alcuni batteri, che vivono nello strato più superficiale, nei primi 10-20 centimetri del terreno, riescono a degradare i pesticidi anche in modo piuttosto veloce, tuttavia, se il contaminante penetra nel terreno, per effetto dell'infiltrazione piovana, e raggiunge le falde, tali meccanismi di degradazione non sono più operativi, dichiara Pietro Paris «la concentrazione evolve con le dinamiche di ricambio delle acque sotterranee, che, a seconda della dimensione e velocità della falda, possono essere anche di centinaia di anni !»;
   secondo i dati di questo rapporto nelle acque superficiali (fiumi, laghi, torrenti) sono rilevati pesticidi in crescita, nel 63,9 per cento dei 1.284 punti di monitoraggio (nel 2012 erano 56,9 per cento) in 274 punti di monitoraggio (21,3 per cento, del totale) si trovano concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali;
   nelle acque sotterranee il 31,7 per cento dei 2.463 punti (31 per cento nel 2012); in 170 punti (6,9 per cento del totale) sono state rilevate concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientale;
   la contaminazione è più ampia nella pianura padano-veneta, dove non si evidenzia una diminuzione della contaminazione, ed anzi si assiste all'aumento di punti contaminati anche in vaste aree del centro-sud; solo con ritardo, emerge una contaminazione prima non rilevata;
   i controlli hanno permesso di evidenziare 224 sostanze diverse, numero sensibilmente più elevato degli anni precedenti (erano 175 nel 2012);
   gli erbicidi sono ancora le sostanze più presenti, mentre è aumentata notevolmente la presenza di fungicidi e insetticidi;
   i pozzi dell'acqua ci poi attingono i cittadini delle regioni del Nord e Nord-Est, quindi, sono ancora molto inquinati e questi erbicidi si ritrovano nell'acqua che si beve;
   nelle cinque regioni dell'area padana, infatti, si concentra circa il 60 per cento dei punti di monitoraggio dell'intera rete nazionale; in queste regioni la contaminazione è molto più diffusa del dato nazionale, arrivando a oltre il 70 per cento dei punti delle acque superficiali in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, con punte del 90 per cento in Toscana e del 95 per cento in Umbria;
   per quanto attiene alle acque sotterranee la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia: 50 per cento dei punti, in Friuli Venezia Giulia 68,6 per cento, in Sicilia 76 per cento;
   rispetto alle rilevazioni degli anni scorsi, avverte l'Ispra, sono state trovate miscele di sostanze nelle acque, fino a 48 differenti in un singolo campione, potendo creare quindi una tossicità più elevata rispetto a quella dei singoli componenti;
   «da anni» conclude Pietro Paris «segnaliamo ai Ministeri della Sanità e dell'Ambiente una contaminazione da terbutilazina, che è il contaminante delle acque più diffuso a livello nazionale. Nel 2014 è presente in 397 punti delle acque superficiali (il 39,1 per cento del totale) e in 122 punti delle acque sotterranee (il 5,9 per cento del totale). Ma i provvedimenti presi sono marginali e inefficaci !»;
   a parere degli interroganti, in un quadro siffatto, s'impone la necessità di provvedere tempestivamente per impedire l'aggravarsi della situazione, attuando politiche di contenimento dell'inquinamento per queste sostanze ed associando interventi di messa in sicurezza e bonifica ambientale delle aree interessate dalla contaminazione –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intendono assumere, per quanto di competenza, per procedere al contenimento di tale gravissimo fenomeno di inquinamento diffuso, idoneo allo sviluppo di serie patologie nelle popolazioni esposte al rischio di contaminazione da parte di tali pericolosissime sostanze chimiche;
   se e quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per mettere in sicurezza i pozzi a servizio degli acquedotti destinati al consumo umano di acqua, in relazione alle regioni ed alle zone inquinate da atrazina e terbutilazina;
   se e con quali modalità si intendano effettuare i controlli di sicurezza alimentare sulla commercializzazione di beni alimentari al fine di verificare le concentrazioni di atrazina e terbutilazina ed eventualmente ritirare dal mercato gli alimenti contaminati;
   se sia stata considerata l'opportunità di attuare programmi di sensibilizzazione ed informazione dell'opinione pubblica volti alla tutela dell'ambiente e della salute, in particolare per sensibilizzare i cittadini sui rischi per l'uomo derivanti dall'assunzione di sostanze inquinanti di questo tipo;
   se e quali iniziative urgenti di contenimento del danno ambientale si intendano attuare per ridurre il rischio di contaminazione dell'ambiente ed il conseguente sviluppo di patologie gravi nella popolazione residente nelle zone inquinate. (5-09569)


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-09249 del 22 luglio 2016, ancora senza risposta, si è chiesto al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare quale esito avesse avuto la selezione delle manifestazioni di interesse per la nomina della nuova commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS e in quali tempi intendeva procedere alle nomine concludendo il regime di prorogatio della commissione attualmente in carica;
   è stata di recente pubblicata sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la deliberazione n. SCCLEG/09/2016/PREV della sezione centrale del controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato con, la quale, con ampia motivazione e per i numerosi vizi rilevati, è stato ricusato il visto e la conseguente registrazione degli atti recanti le lettere di incarico come componenti della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – VIA e VAS dei 40 nominativi indicati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   ai sensi dell'articolo 25 del Testo unico n. 1214 del 1934, l'amministrazione interessata, in caso di rifiuto di registrazione, può chiedere un'apposita deliberazione da parte del Consiglio dei ministri, il quale, a propria volta, può ritenere che l'atto risponda ad interessi pubblici superiori e debba avere comunque corso –:
   se il Ministro interrogato intenda chiedere che la questione sia sottoposta a deliberazione da parte del Consiglio dei ministri ovvero avviare con urgenza un nuovo procedimento per la nomina della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS e se intenda assumere iniziative per inserire nella nuova selezione la previsione dell'incandidabilità di tutti i componenti che da più di dieci anni ricoprono l'incarico. (5-09572)


   SGAMBATO, MANFREDI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Eco Transider srl nasce nel 1986 come un'azienda di piccole dimensioni specializzata nell'esecuzione di trasporti; ubicata nel comune di Gricignano di Aversa si estende per un'area complessiva di circa 16.800 metri quadrati;
   negli anni la società ha investito nella creazione di una piattaforma ecologica per il recupero di materiali post-consumer (pneumatici, carta, legno, gomma, plastica ed ingombranti, e altro), con lo scopo di far fronte al crescente bisogno di recupero e smaltimento proveniente dai poli industriali e civili;
   è ormai da anni però che va avanti una protesta contro i cattivi, e probabilmente nocivi, odori che si sprigionano dall'azienda per via della lavorazione dei rifiuti umidi;
   tra l'altro, per i 104 comuni della provincia di Caserta, risultano tassi di incidenza di tumori e mortalità significativamente superiori rispetto alla media del Sud (registro dei tumori della ASL di Caserta – dati 2008/2010);
   da un recente sopralluogo dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania pare ci siano (come si evince da organi di stampa) criticità e irregolarità per quanto riguarda i registri di carico e scarico rifiuti, stato di giacenza dei rifiuti, saturazione dell'impianto, aree di stoccaggio utilizzate difformemente da quanto previsto e funzionamento dei filtri;
   il tema è stato già oggetto di atto di sindacato ispettivo al Senato (atto n. 3-03124 del 14 settembre 2016) –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano intraprendere, anche promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di salvaguardare l'ambiente ma soprattutto il benessere e la salute dei cittadini.
(5-09580)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, CARINELLI, COZZOLINO e DA VILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le caratteristiche del sistema di monitoraggio del rumore aeroportuale sono definite dal decreto del Ministero dell'ambiente del 20 maggio 1999, recante «Criteri per la progettazione dei sistemi di monitoraggio per il controllo dei livelli di inquinamento acustico in prossimità degli aeroporti nonché criteri per la classificazione degli aeroporti in relazione al livello di inquinamento acustico»;
   nel caso dell'aeroporto di Venezia «Marco Polo» il sistema di monitoraggio è di tipo non assistito e attualmente si compone di cinque centraline di rilevamento, tre fisse e due mobili collocate in località Cà Noghera e ad Altino/Portegrandi frazioni del Comune di Quarto d'Affino;
   stando al rapporto di servizio n. 5/RU/15 del 19 febbraio 2016, redatto dall'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto – Arpav e relativo alle verifiche eseguite, nel periodo settembre-novembre 2015, presso l'Aeroporto «Marco Polo», in relazione all'efficienza del sistema di monitoraggio del rumore aeroportuale, sono emerse una serie di rilevazioni critiche nei confronti del gestore aeroportuale dello scalo Save Spa, tra cui la rilevata assenza di implementazione della funzionalità di elaborazione dei dati della rete ai fini dell'accertamento delle violazioni alle procedure anti-rumore;
   in particolare, nell'ambito di tale documento di verifica periodica sottoscritto da Arpav, viene sottolineato come, per quanto attiene la trasparenza e la divulgazione al pubblico dei dati, il gestore abbia elaborato tali informazioni riferendosi esclusivamente all'indice sintetico di rumore aeroportuale LVA, (indistinto fra g/n) come media logaritmica dei valori giornalieri, e non al LAEQ, parametro utilizzato dal comune;
   per quanto riguarda più propriamente l'esito del controllo strumentale, dalla relazione Arpav emerge inoltre che, nel caso delle centraline di Tessera, la presenza di rumori interferenti di alta frequenza, di probabile origine naturale, impedisce una corretta valutazione della componente aeroportuale e che per garantire la rappresentatività dei dati, dovrebbe essere piuttosto predisposta un'apposita procedura di elaborazione e validazione dati, specifica per tale stazione di monitoraggio;
   in particolare, l'auspicata e specifica procedura di elaborazione dati dovrebbe prevedere la soppressione sistematica delle componenti a frequenza superiore a 10.000 Hz e l'attribuzione dell'intera rumorosità ambientale rilevata alla sorgente aeroportuale;
   dalle conclusioni della relazione e dalla lettura delle tabelle, viene inoltre evidenziato come, sulla base degli esiti delle verifiche strumentali effettuate, la soglia sonora impostata per il riconoscimento automatico degli eventi risulti inadeguata e comporti una sostanziale sottostima del livello sonoro di origine aeroportuale, nei casi in cui la maggior parte o la totalità degli eventi sia caratterizzata da basso contenuto energetico;
   in particolare, tale sottostima della componente aeroportuale può avvenire nella fascia oraria notturna, con conseguente possibile difficoltà nel levare correttamente eventuali superamenti del limite di zona di tabella C, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 novembre 1997, pari a 50 dB (A), applicabile in quanto il punto di misura si trova al di fuori dell'intorno aeroportuale;
   per quanto riguarda l'aeroporto di Venezia «Marco Polo», da anni l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto – Arpav, riscontra a Tessera il superamento costante del limite acustico comunale, specie notturno, dovuto al traffico aereo –:
   a fronte delle informazioni di cui in premessa, se i Ministri interrogati non ritengano di promuovere le iniziative ritenute più opportune affinché il gestore aeroportuale Save spa adotti una efficace procedura di elaborazione e validazione dati del sistema di monitoraggio del rumore aeroportuale, tale da arginare la possibile sottostima della componente aeroportuale, in particolare nei periodi di minore attività quale il periodo notturno;
   se i Ministri interrogati possano riferire maggiori informazioni circa l'effettiva esistenza di una commissione interministeriale di esperti impegnati nella ricerca di un unico indice sintetico di rumore aeroportuale, per ovviare alla discrasia fra i dati di cui in premessa, derivante dall'assenza di un descrittore unico. (5-09586)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARIANI e GHIZZONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   sono più di trecento i beni culturali gravemente danneggiati a seguito del drammatico evento sismico che ha interessato il 24 agosto 2016 quattro regioni del territorio appenninico del Centro Italia (Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio);
   una parte consistente dei beni riguarda quelli ecclesiastici che, oltre ad essere luoghi di particolare rilevanza territoriale e simbolica, rappresentano – considerata l'estensione monumentale – un pericolo per le strutture adiacenti, molte delle quali sono abitazioni private;
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sin dalle prime ore successive al sisma ha attivato l'unità di crisi del Ministero, prevedendo specifiche ricognizioni per verificare i danni a strutture architettoniche, chiese e musei, anche con l'intervento, nelle aree di maggiore emergenza, dei cosiddetti «Caschi blu della cultura»;
   attraverso l'impegno diretto del Ministero, oggi risulta in corso il recupero dalle macerie delle opere d'arte e si sta verificando lo stato dei beni culturali danneggiati dal sisma; è stato destinato, inoltre, alla messa in sicurezza e al restauro di tali beni, l'intero incasso dei musei della prima giornata di «domenica» successiva al sisma;
   il Governo ha annunciato la definizione di un piano a medio termine denominato «Casa Italia», articolato in quattro azioni fondamentali: la messa a regime delle informazioni del Paese sui rischi sismici nel territorio; linee guida di intervento preventivo; la predisposizione di finanziamenti per realizzare il piano e attività di formazione con il coinvolgimento della Scuola nazionale di amministrazione; è stata inoltre annunciata l'approvazione, già nei prossimi giorni, di un provvedimento contenente misure urgenti volte a risarcire i danni causati dal terremoto;
   l'avvio delle ricostruzione – come già accaduto in seguito ai precedenti eventi sismici che hanno colpito il Paese — richiede l'individuazione di determinate priorità di intervento, in collaborazione con le sue strutture periferiche e le regioni coinvolte, anche recuperando le positive esperienze maturate in termini di recupero del patrimonio culturale in occasione degli eventi sismici verificatisi in Abruzzo e in Emilia Romagna;
   rispetto ad analoghe situazioni, la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), al comma 340, prevede la ricostruzione e la riparazione di chiese ed edifici di culto danneggiati dal sisma in Abruzzo del 6 aprile 2009, prevedendo che le funzioni di stazione appaltante siano assunte dagli uffici territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per gli interventi riferiti a edifici di culto che sono qualificati come beni culturali; sono stati, altresì destinati fondi per la messa a norma antisismica dei capannoni, compresi quelli delle aziende agricole; una proroga annuale e la diluizione dei pagamenti delle rate dei mutui dei comuni; l'esonero dai meccanismi previsti per il riparto del Fondo di solidarietà; la possibilità tecnica per i comuni di utilizzare i fondi derivanti dagli indennizzi assicurativi, dalle donazioni e dalle erogazioni liberali e un'autorizzazione di spesa di 160 milioni di euro per la ricostruzione pubblica;
   il Cipe ha, altresì, destinato un miliardo di euro alla realizzazione di 33 interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di potenziamento del turismo e 70 milioni di euro al recupero dei beni culturali ecclesiastici e pubblici danneggiati dal sisma del 2012 nelle province di Modena, Ferrara e Reggio Emilia –:
   se il Ministro interrogato ritenga di voler assumere iniziative per modificare la normativa tecnica vigente relativa alla messa in sicurezza dei beni vincolati;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative al fine di agevolare le regioni colpite da eventi sismici nella stipula di appositi mutui per affrontare, con oneri di ammortamento a totale carico dello Stato, la spesa di messa in sicurezza, restauro e conservazione dei beni culturali. (5-09577)


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il comunicato stampa «Franceschini: “Piano Strategico del Turismo governa la crescita del turismo internazionale” del 29 luglio 2016 pubblicato sul sito internet del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha riportato la notizia dell'approvazione, da parte del Comitato permanente per la promozione del turismo, dell'impianto e della struttura del nuovo piano strategico 2017-2022 elaborato secondo le indicazioni del decreto 8 agosto 2014 del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo recante “Istituzione e compiti del Comitato Permanente di promozione del turismo in Italia, ai sensi dell'articolo 58 del Decreto legislativo 23 maggio 2011, n. 79 e successive modificazioni”, come integrato dal decreto dello stesso Ministro del 21 luglio 2015;
   la struttura del piano strategico del turismo (PST) si suddivide nei seguenti obiettivi e interventi: “ A) Innovare, specializzare e integrare l'offerta nazionale; B) Accrescere la competitività del sistema turistico; C) Sviluppare un marketing efficace e innovativo; D) Realizzare una governance efficiente e partecipata nel processo di elaborazione e definizione del Piano e delle politiche turistiche”»;
   il documento illustra che tali «Obiettivi generali sono, a loro volta, articolati in Obiettivi specifici e Linee di intervento strategico, nell'ambito delle quali, ogni anno, nei Programmi attuativi annuali saranno inserite le Azioni, intese come insiemi di progetti omogenei o interventi di particolare valenza di sistema. Tali azioni, coerenti con le linee strategiche individuate, garantiranno il perseguimento degli obiettivi specifici e generali del PST all'interno dei Programmi attuativi annuali (...). Data la loro particolare rilevanza per lo sviluppo del settore e in maniera coerente con la visione del PST condivisa dagli operatori e stakeholder, il Piano individua come princìpi trasversali: sostenibilità, innovazione e accessibilità/permeabilità dei territori. Altri aspetti rilevanti per la pianificazione strategica del PST sono: integrazione, cooperazione istituzionale e partecipazione»;
   il comunicato stampa «Il Piano Startegico per il Turismo (PST) è un brodo sempre più lungo» pubblicato sul sito internet dell'Istituto italiano per lo sviluppo rurale e l'agriturismo (ISVRA) il 16 settembre 2016, ha riportato l'analisi effettuata dall'Istituto sul PST e le dichiarazioni del presidente Mario Pusceddu. In particolare «ISVRA denuncia un generale equivoco concettuale e terminologico: le 97 pagine del documento trattano di “obiettivi generali” (quattro), “obiettivi specifici” (quattordici), “linee di intervento” (ben quarantanove), ma nulla dicono della cosa più importante: interventi concreti, tempistica, preventivo di spesa e competenze professionali e istituzionali da mettere in campo. Per come è scritto, il Piano non spiega come, da qui in poi, potrà realizzarsi il cambio di passo che ormai da decenni è mancato al turismo italiano»;
   la nota stampa di ISVRA si è soffermata, inoltre, «sul metodo “di condivisione” adottato nella costruzione del Piano: due faraonici incontri di Stati generali del Turismo tenuti al Museo Ferroviario di Pietrarsa e una consultazione pubblica tramite internet. È stata una scelta molto enfatizzata dal Ministro Franceschini, solo apparentemente buona. In realtà il Ministero non si è presa la responsabilità politica di sottoporre alle parti interessate una bozza del Piano per poi accogliere osservazioni e correzioni; ha invece riempito un calderone delle idee più disparate nel quale si è inevitabilmente smarrito. Difficile immaginare che le annunciate rifiniture finali prima di sottoporre il testo definitivo alle Commissioni parlamentari competenti e poi al Consiglio dei Ministri, possano restituire al documento sintesi e concretezza. Sorprende poi che, una volta approvato il Piano, proprio quando la condivisione sarebbe stata necessaria, del documento non ci sia ancora traccia ufficiale sul sito internet del Ministero. E non risolve certo le tante perplessità l'annuncio del Ministro che il Piano sarà adottato attraverso “Programmi di attuazione annuali” che saranno pure occasione per renderlo dinamico e in costante aggiornamento»;
   l'analisi di ISVRA verte, infine, sullo sviluppo del settore rurale «di cui il turismo, insieme all'agricoltura, all'enogastronomia, al patrimonio culturale e naturalistico, è componente essenziale e momento di sintesi economica. Nel Piano non sono mai citati l'agriturismo e il turismo rurale (..) Ci sono alcune scontate considerazioni sulla valorizzazione di nuove mete turistiche, sull'interconnessione del turismo con l'agricoltura, l'enogastronomia, il paesaggio rurale, sul recupero di strade rurali, su natura e aree protette (...) Nulla si dice su cosa esattamente fare per tradurre queste considerazioni in azioni concrete siano esse indirizzate a migliorare la comunicazione con la domanda, la fruizione dei luoghi, la qualità dei servizi di accoglienza (...)»;
   il Ministro interrogato il 30 giugno 2016 durante il question time al Senato, in risposta a una richiesta di chiarimenti sul piano, ha dichiarato che «il 27 luglio si terrà una seduta del Comitato Permanente per il Turismo. Vedremo se sarà quella in cui verrà approvato il Piano strategico per i prossimi cinque anni o se sarà a settembre; dopodiché andrà in Consiglio dei ministri perché questo prevede la legge» –:
   se alla luce dei fatti esposti in premessa, si intendano chiarire le azioni concrete, la priorità dei progetti e i tempi di attuazione dei singoli interventi presenti nel piano strategico del turismo destinati a migliorare e sviluppare il settore del turismo in Italia;
   se si intendano chiarire le tempistiche previste per l'approvazione del piano, strategico del turismo;
   come si intenda istituzionalizzare la collaborazione tra il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e le regioni e quali impegni si intendano assumere per il rilancio e la valorizzazione del turismo rurale. (5-09583)


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 maggio 2015, registrato alla Corte dei Conti il 29 maggio 2015 ed adottato con delibera commissariale n. 6 del 2015, ha adottato il nuovo statuto di Enit (Agenzia nazionale del turismo);
   lo statuto, all'articolo 11 (vigilanza e rapporti con il Ministero), comma 2, stabilisce che, «con apposita convenzione triennale sono stabiliti: i) gli obiettivi specificamente attribuiti a Enit; ii) i risultati attesi in un arco temporale determinato; iii) le modalità degli eventuali finanziamenti statali e regionali da accordare a Enit stessa; iv) le strategie per il miglioramento dei servizi; v) la di verifica dei risultati di gestione; vi) le modalità necessarie ad assicurare al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) la conoscenza dei fattori gestionali interni a Enit, tra cui l'organizzazione, i processi e l'uso delle risorse; vii) le procedure e gli strumenti idonei a monitorare la reputazione dell'Italia con particolare attenzione alla rete web, nell'ambito degli interventi volti a migliorare l'offerta turistica nazionale»;
   il 14 luglio 2016 è stato presentato a Roma il «piano triennale 2016-2018 per il rilancio del Turismo – Enit, nuova governance, progetti e prospettive», alla presenza del Sottosegretario di Stato con delega al turismo Dorina Bianchi che ha dichiarato come «il piano prevede fondi per 84 milioni di euro da investire nelle attività di promozione all'estero, nell'Osservatorio Nazionale del Turismo e nel raccordo con le attività delle Regioni»;
   la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha redatto il 15 settembre 2016 un proprio parere sullo schema di convenzione tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e l'Enit (punto 6) dell'ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni). In particolare, al punto 7 del documento, è stato evidenziato come «ai sensi della Legge n. 106 del 2014 nella Convenzione in esame dovrebbero essere definiti, fra gli altri, gli obiettivi, i risultati attesi, le strategie per il miglioramento dei servizi. (...) Tuttavia, gli obiettivi elencati [...] parrebbero piuttosto generici e manca del tutto la definizione dei risultati attesi, come del resto anche delle strategie di miglioramento dei servizi»;
   Alberto Crepaldi, nell'articolo «Turismo: le Regioni bocciano il piano da 84 milioni di Enit» pubblicato su Wired il 21 settembre 2016, afferma che «gli obiettivi, giudicati dalle Regioni sommari, sono quelli che Enit ha indicato nel suo piano di azioni, consegnato nelle settimane scorse al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. E che, dopo due anni di impasse dovuti alla trasformazione in ente pubblico economico, avrebbero dovuto indicare in modo chiaro una pianificazione strategica imperniata su percorsi da intraprendere per consolidare i mercati di riferimento e entrare in nuovi, aggredire specifici segmenti ed attivare leve industriali e finanziarie ad hoc. Ingredienti, questi, che nel piano (...) presentato da Enit ai media nel luglio scorso, purtroppo mancano». Crepaldi, infine, ricorda come l'ente guidato da Evelina Christillin, nello stesso piano triennale, abbia definito necessaria la collaborazione con le Regioni per attuare iniziative promozionali volte alla promozione «della nostra Destinazione presso il pubblico domestico» –:
   quali siano i suoi orientamenti in relazione al parere formulato dalle regioni in merito allo schema di convenzione tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e l'Enit;
   se intenda chiarire gli obiettivi, le strategie e i risultati attesi del piano triennale di Enit e quali saranno, infine, le iniziative concrete programmate di concerto con le regioni. (5-09584)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, CARLO GALLI, AIRAUDO, MELILLA, PANNARALE e NICCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   durante i lavori di ricostruzione voluti dall'amministrazione di Vibo Valentia su viale Paolo Orsi, la via che conduce al cimitero cittadino, sono emersi sotto gli occhi della Soprintendenza che vigila sulla messa in opera, reperti archeologici che sembrano essere di grande valore;
   la Soprintendenza è stata infatti coinvolta perché il suddetto viale ricade nell'area del parco archeologico urbano dove sono stati già rinvenuti i resti del tempio ionico Hipponion in località Cofino, per il cui restauro sono stati finanziati 3 milioni di euro e per cui si attende la fine dei lavori;
   dalla risposta all'interrogazione n. 4-13018, presentata il 28 aprile 2016, si è appreso che si è deciso di continuare la posa di un tubo da 70 centimetri e il ripristino della strada, seppur al di sotto dell'asfalto si sia riscontrata la presenza di circa 370 metri di cinta fortificata di età greca;
   la procedura di archeologia preventiva, con il blocco dei lavori di scavo della trincea per la posa dei tubi, ha autorizzato l'esecuzione di tre distinti saggi di scavo non tanto per documentare la consistenza archeologica dei resti emersi, quanto per trovare un percorso alternativo a quei tre tratti di circa 42 metri di lunghezza ciascuno (entrambi con cinta muraria), al fine di ricongiungerli a quanto già posato con il rischio, però, che potrebbero essere stati già posti sopra il conseguente sviluppo lineare della cinta muraria, nel periodo in cui non era ancora stata rilevata da assistenti o archeologi. Infatti, il blocco dei lavori per verificare la presenza archeologica è avvenuto solo dopo segnalazione di cittadinanza e giornalisti;
   nelle prescrizioni date all'ente appaltante per l'esecuzione dei tre saggi di archeologia preventiva non compare alcun avviso d'avvio del «procedimento di dichiarazione di interesse culturale» (ex vincolo archeologico) per come lo prevede il codice dei beni culturali ed il codice per gli appalti, ad avviso degli interroganti, sottostimando i dati del sopralluogo che li indicavano già come travi appartenenti alla stessa cinta muraria (Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50 – Art. 25). Nella risposta del Sottosegretario all'interrogazione sopra citata non compare, infatti, alcun cenno a tale comunicazione, a garanzia della ditta, dell'ente appaltante ed ancor più della stessa Soprintendenza, a cui spetta il compito di indicare il valore del bene monumentale prioritario rispetto a quelli, seppur importanti, dell'interesse delle parti, ovvero la riqualificazione manutentiva dell'area;
   il tratto delle mura dal Trappeto Vecchio, inserite nel parco archeologico urbano, in perfetta continuità prosegue nella direzione della via Paolo Orsi come è evidentissimo dai muri in blocchi di arenaria visibili ai passanti che «scompaiono» subito sotto la strada e come è stato ovviamente dimostrato dal saggio effettuato dalla Soprintendenza, tra luglio e agosto 2016, per mettere in opera la condotta;
   lungo la sezione ovest di via Paolo Orsi tre tratti di mura della fase in blocchi d'arenaria sono a vista da sempre e ricadono nell'area vincolata cosiddetta del Cofino;
   un lavoro pubblicato nel 2014 ha consentito di ipotizzare la presenza al di sotto della carreggiata della torre IX, schizzata agli inizi del novecento da Rosario Carta disegnatore dell'Orsi, dato confermato nel corso dei recenti lavori di «riqualificazione» della strada;
   lungo la stessa strada a partire dal punto in cui i tratti di mura sono a vista lungo la sezione e fino a giungere quasi alla fine della stessa strada verso valle indagini di tipo geofisico agli atti della Soprintendenza archeologica della Calabria dal 1993 hanno evidenziato al di sotto della carreggiata la presenza di almeno due fasi costruttive delle mura greche, dato questo confermato dai recenti lavori;
   i rischi a cui è sottoposta la struttura monumentale d'epoca greca rinvenuta dovrebbero essere sottratti alla discrezionalità della tutela con l'immediato «avvio della procedura di dichiarazione di interesse culturale». Appare evidente come la costante e continua sottovalutazione del valore della scoperta archeologica si riassuma nell'assenza di tale atto, che per norma è contestuale all'autorizzazione di saggi di archeologia preventiva conseguente ad una «sorpresa archeologica», subordinandone così ulteriormente il destino alla prosecuzione dei lavori di posa della condotta e conseguente ripristino della viabilità;
   la Soprintendenza, nell'ambito dei lavori di allestimento del parco archeologico urbano nella località Trappeto Vecchio, proprio nell'aggancio con le nuove sorprese archeologiche, sta procedendo alla messa in opera di una alta rampa lunga 30 metri e larga 2,50 in cemento che, oltre a coprire in parte l'ingombro della torre numero VIII, delle mura greche che intende rendere fruibile, crea un fortissimo impatto ambientale ed un pericoloso sbarramento al deflusso dell'acqua piovana, tale da mettere a rischio quella parte di struttura (oltre che compromettere la valorizzazione di quanto emerge nel primo saggio di archeologia preventiva realizzato in via Paolo Orsi) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, vista l'entità del rinvenimento (350 metri lineari di fortificazione greca), quali iniziative intenda assumere per il reperimento delle risorse economiche necessarie alla ricerca archeologica sul tratto e alla valorizzazione e fruizione dell'intero raddoppiato tratto delle mura greche d'Hipponion. 
(4-14290)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCARO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comando provinciale di Siena dell'Arma dei carabinieri è ubicato in largo Salvo D'Acquisto in Siena in un moderno immobile di proprietà privata in locazione. Con l'avvento dell'euro il canone, a quanto risulta all'interrogante, ha raggiunto i 600.000 euro annuali. In 15 anni (dal 2000 al 2015) lo Stato ha sborsato 9 milioni di euro per canone di affitto, a cui vanno aggiunti gli importi corrisposti in lire dal 1992 al 2000. In più per la stazione Siena Centro in Piazza San Francesco, 11, sempre a quanto consta all'interrogante, viene pagato un canone mensile di 20.000 euro;
   si fanno ricorrenti le voci di un futuro trasferimento del Comando provinciale di Siena dell'Arma dei carabinieri presso i locali della Banca d'Italia di via della Stufa Secca che dovrebbero essere liberati a seguito di una riorganizzazione che priverebbe la città di Siena della sede provinciale della Banca d'Italia che, tra l'altro, appare poco idonea per posizione e difficoltà di accesso soprattutto ai mezzi. Anche in questo caso ci sarebbero dei canoni di locazione da pagare;
   a Siena esiste, invece, un'antica, storica ed artistica caserma denominata «Santa Chiara» di proprietà demaniale, pressoché inutilizzata. Fin dall'anno 2013 l'Arma dei carabinieri ha inoltrato domanda al Ministro della difesa per ottenere il trasferimento al Santa Chiara nell'ottica della spending review. Il Ministro non ha accolto l'appello e, anzi, sembra all'interrogante averlo osteggiato imponendo il trasferimento nell'attuale sede senese della sede provinciale Banca d'Italia che, a seguito di una riorganizzazione, la città di Siena dovrebbe perdere entro pochi mesi. Questa sede, oltre ad apparire poco idonea per la posizione e l'accesso ai mezzi, comporterà il pagamento di un canone mensile alla Banca d'Italia presumibilmente molto elevato;
   la giunta in carica nel comune di Siena e soprattutto il sindaco con delega diretta all'urbanistica, sembrano interessati ad evitare il trasferimento del comando provinciale alla ex caserma Santa Chiara che, secondo voci, sarebbe oggetto di interessi immobiliari che ne vorrebbero un centro residenziale;
   è importante evidenziare che l'ex distretto militare Santa Chiara è un Convento dell'Ordine Vallombrosano fondato nel 1218 e denominato «Abbadia Nuova» che nel 1556 passò alle suore clarisse di Santa Chiara per venire in seguito soppresso dalle leggi napoleoniche. Dopo l'Unità d'Italia divenne sede del XII distretto Militare fino a quando i distretti non hanno subito il trasferimento presso i capoluoghi di regione. Delimitato da una poderosa cerchia muraria del trecento, mantiene pressoché intatti il grande chiostro ed il monumentale fortino fatto erigere da Baldassare Peruzzi nel 1527 (rara struttura difensiva della metà del 1500). Al suo interno un piccolo parco ed i resti della chiesa romanica andata purtroppo distrutta nell'ultimo conflitto mondiale. È dotato di monumentali sotterranei, di un sito archeologico e di una vasta aiuola mantenuta a prato verde e delimitata da cipressi secolari in luogo dell'antico cimitero monastico. Grazie alla sensibilità degli ultimi tre comandanti (i generali Pasquale Caporaso, Sandro Celi e Pierluigi Venturi) succedutisi alla guida del distretto, l'intero complesso è stato sapientemente gestito nel pieno rispetto del suo valor architettonico –:
   se il Governo intenda considerare l'opportunità di trasferire il comando provinciale di Siena dell'Arma dei carabinieri nell'ex distretto militare «Santa Chiara» (bene demaniale) evitando, in tal modo, ad avviso dell'interrogante sia un inefficiente impiego di denaro pubblico con il pagamento di ingenti canoni di locazione, sia una probabile destinazione impropria del complesso. (5-09564)

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, MARZANA, FRUSONE, BASILIO, CORDA e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Punta Izzo, rappresenta insieme a Punta Carcarella la natura definizione del Porto Xifonio della baia di Augusta (Siracusa);
   ad oggi, questo splendido scorcio di macchia mediterranea, che si estende per diversi chilometri quadrati, è nelle disponibilità della Marina militare come soggiorno marino, con annesso stabilimento elioterapico per ufficiali e sottufficiali, nonché come circolo ricreativo per i dipendenti della difesa alle dirette dipendenze del Comando Marittimo Sicilia (Marisicilia);
   nel mese di giugno 2016, la cronaca locale ha riportato la notizia (diffusa da I Siciliani giovani e MeridioNews) della possibile riapertura del poligono di tiro chiuso ad inizio degli anni 90 e che occupa una fetta non indifferente del promontorio costiero;
   risulta evidente, dalla presenza di bossoli di vario tipo e calibro abbandonati tra gli scogli di Punta Izzo, che l'area non sia mai stata oggetto di bonifica e che di fatto sia abbandonata da oltre 25 anni;
   diverse associazioni ambientaliste, allarmate da queste notizie, hanno diramato un comunicato stampa contro «lo svolgimento di qualsiasi esercitazione militare nell'area in questione» in virtù del «pesante impatto ambientale» e dei «rischi per la sicurezza» creati da questo genere di attività, oltre che per le ricadute negative «sul piano socio-culturale». Il comunicato annunciava l'avvio di «una campagna per la smilitarizzazione, la bonifica e l'istituzione di una riserva naturale e culturale a Punta Izzo»;
   nonostante la smentita del Comando di Marisicilia che «non esiste al momento nessun progetto per la riattivazione di un poligono di tiro», l'anomala attenzione pubblica e mediatica, a quanto risulta agli interroganti inaspriva la sorveglianza su Punta Izzo con l'istituzione della ronda di un automezzo con a bordo due militari in mimetica. Da allora i bagnanti che accedono all'area sono spesso allontanati dalla Capitaneria di Porto –:
   quali programmi vi siano in atto per l'utilizzo del sito della Marina militare di Punta Izzo relativamente alle zone non utilizzate;
   se l'area di cui in premessa sia stata oggetto di bonifica nel recente passato o se possa fornire elementi su progetti di futura bonifica del territorio in questione;
   se si intenda valorizzare dal punto di vista naturalistico e turistico tale istmo attraverso l'avvio di un tavolo di confronto con le associazioni ambientalistiche e il comune di Augusta competente per territorio;
   se il Governo non intenda valutare se sussistano i presupposti per non utilizzare tale area come zona militare, anche temporaneamente per il periodo estivo, al fine d'incentivare il turismo.   (4-14295)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è dovere della classe politica effettuare scelte trasparenti e nel rispetto dell'etica;
   presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, provveditorato regionale per la Sicilia, il dottor Gianfranco De Gesu, dirigente generale esercita le funzioni di provveditore regionale per l'amministrazione penitenziaria per la regione Sicilia;
   la dottoressa Anna Internicola, dirigente penitenziario e moglie del dottor Gianfranco De Gesu, a quanto risulta all'interrogante è provveditore vicario e direttore dell'ufficio dell'organizzazione e delle relazioni dello stesso provveditorato regionale per la Sicilia;
   nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – provveditorato regionale per la Sicilia, il provveditore regionale, massima autorità di quell'ufficio, governa, ad avviso dell'interrogante, in conflitto di interessi, essendo il marito del dirigente provveditore vicario di quello stesso ufficio;
   il conflitto di interessi si trova disciplinato nella normativa sull'anticorruzione del decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 62, che all'articolo 7 stabilisce: «Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il responsabile dell'ufficio di appartenenza» –:
   quali siano le motivazioni che hanno portato al trasferimento del dottor Gianfranco De Gesu da provveditore regionale delle case circondariali della Sardegna a provveditore regionale per la Sicilia, situazione che, ad avviso dell'interrogante, si profila un conflitto d'interessi. (5-09581)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Ente nazionale per l'aviazione civile è l'unica autorità di regolazione tecnica, certificazione, vigilanza e controllo nel settore dell'aviazione civile in Italia ed è stato istituito il 25 luglio 1997 con decreto legislativo n. 250 del 1997;
   l'Enac si occupa dei molteplici aspetti della regolazione dell'aviazione civile, del controllo e vigilanza sull'applicazione delle norme adottate, della disciplina degli aspetti amministrativo-economici del sistema del trasporto aereo;
   sono organi dell'Enac il presidente, il consiglio di amministrazione, il collegio dei revisori dei conti ed il direttore generale scelti tra soggetti aventi particolare capacità ed esperienza riferite al trasporto aereo ed all'aviazione;
   l’iter di nomina del presidente prevede la designazione da parte del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e quindi il parere delle Commissioni trasporti di Camera e Senato ed infine il decreto di nomina del Presidente della Repubblica;
   per la nomina del direttore generale e del consiglio di amministrazione si procede, invece, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il direttore generale è coadiuvato da un vice direttore generale nominato dal consiglio di amministrazione su proposta del presidente;
   il collegio dei revisori dei conti, costituito da un presidente e due membri, è nominato con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   da circa otto mesi l'Ente è privo degli organi previsti per il suo funzionamento;
   lo stesso definisce i limiti dell'esercizio delle proprie funzioni in relazione alle attribuzioni esercitate tramite un contratto di programma triennale con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   tra le sue competenze, da oltre quarant'anni, gestisce anche il cerimoniale di Stato presso l'aeroporto di Fiumicino tramite propri funzionari che, negli anni, hanno ricevuto innumerevoli attestati di stima da parte di ambasciate, ministeri e organismi internazionali;
   il cerimoniale di Stato è l'ufficio governativo presso il quale vengono accolte le più alte cariche dello Stato, i rappresentanti governativi dei Paesi esteri e delle principali organizzazioni internazionali con sede in Italia ed i loro delegati in arrivo, partenza o transito;
   dal sito di codesto Ente si apprende che il 5 agosto 2016 è stato emesso un bando di gara europeo della durata di tre anni per un costo totale di euro 678.150,00 + IVA ai sensi del decreto legislativo n. 50 del 2016 per l'affidamento della gestione delle attività poste in essere presso l'ufficio cerimoniale di Stato presso l'aeroporto di Fiumicino;
   il bando prevede anche l'assunzione di dieci unità e ne delinea le caratteristiche selettive a quanto risulta all'interrogante, senza prevedere, stante anche la delicatezza delle attività che i lavoratori andranno a svolgere, la richiesta del certificato relativo ai carichi pendenti o equipollente per i cittadini degli Stati esteri;
   il personale assunto, poi, dovrà essere formato dall'Enac, non avendo nessuna esperienza in merito, con un ulteriore costo all'ente in parola –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dell'emissione del bando di gara europeo in questione pubblicato il 5 di agosto 2016, decisione assunta in assenza del consiglio di amministrazione, vacante ormai da 8 mesi, e se ritenga quindi opportuno assumere iniziative per sospendere tale bando in attesa della nomina del nuovo consiglio di amministrazione, in modo che lo stesso possa valutarne l'opportunità, l'urgenza e l'impegno economico. (5-09561)


   FAMIGLIETTI e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   lungo l'autostrada A16 Napoli-Bari è in vigore il sistema di tutor per il controllo della velocità;
   nel tratto compreso tra i caselli di Tufino e Avellino ovest il limite imposto è di 80 chilometri orari;
   suddetto limite riguarda il tratto dove si è verificato il gravissimo incidente che coinvolse un autobus e costò la vita a 40 persone;
   da maggio 2016, in relazione alla presenza di questo limite, molti automobilisti si sono visti recapitare multe e decurtazioni di punti di patente;
   associazioni dei consumatori e avvocati denunciano un limite eccessivamente basso e anche un'assenza di tolleranza persino dei 5 chilometri che normalmente vengono concessi, facendo sì che quel tratto diventi una sorta di «multificio»;
   non si intende minimizzare o derubricare la questione della sicurezza stradale ma, trattandosi di un tratto autostradale, in condizioni di normalità, non si comprende il perché di un limite di 50 chilometri inferiore al limite massimo consentito su tutti i tratti autostradali in assenza di pioggia;
   ove vi fossero delle carenze infrastrutturali sarebbe il caso di adeguare l'infrastruttura, cosa che risulta essere stata fatta proprio a seguito del tragico incidente citato in premessa, e non certamente limitarsi ad un abbassamento del limite di velocità –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intendano assumere al fine di chiedere chiarimenti al concessionario e di attivare un incontro istituzionale finalizzato, anche in riferimento alle contravvenzioni irrogate, ad una revisione delle attuali disposizioni in materia di limiti di velocità, innalzandoli, e assicurando nel contempo la piena sicurezza in merito alla percorribilità dell'infrastruttura. (5-09562)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, COZZOLINO e DA VILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 9 maggio 2005 n. 96, come modificato ed integrato dal successivo decreto legislativo 15 marzo 2006, n. 151 ha rivisto la disciplina della parte aeronautica del codice della navigazione ed ha introdotto – al capo III «Vincoli della proprietà privata» – una nuova normativa che regola l'utilizzo e la gestione delle aree limitrofe agli aeroporti, imponendo servitù e limitazioni sui territori limitrofi agli aeroporti, con vincoli che tengano maggiormente conto della tipologia e delle caratteristiche delle operazioni di volo che hanno luogo sull'aeroporto considerato;
   nello specifico, è stato introdotto l'articolo 715 (valutazione di rischio delle attività aeronautiche), le cui disposizioni prevedono che, al fine di ridurre il rischio derivante dalle attività aeronautiche alle comunità presenti sul territorio limitrofo agli aeroporti, l'Enac individui gli aeroporti per i quali effettuare la valutazione di impatto del rischio (Piano di risk assessment), e che, di tali valutazioni, i comuni debbano tener conto nell'esercizio delle proprie funzioni di pianificazione e gestione del territorio;
   il consiglio di amministrazione dell'Enac, in attuazione di queste nuove prescrizioni del codice della navigazione, con propria deliberazione n. 2/2010 in data 19 gennaio 2010, ha approvato il documento che definisce la policy di attuazione delle misure di tutela del territorio interessato dalla valutazione di rischio effettuata dall'Enac in linea con le previsioni normative contenute nell'articolo 715 del codice;
   le misure di tutela generate dalle analisi svolte dall'Enac, sulla base della policy di attuazione dell'articolo 715, si concretizzano nell'individuazione dell'uso del territorio (carico antropico) e delle attività compatibili con il livello di rischio associato all'attività di volo che si svolge sull'aeroporto considerato, a cui fa seguito una fase di concertazione con i comuni territorialmente competenti, nella quale devono essere approfondite le previsioni normative e relazionati i risultati della valutazione condotta dall'Enac;
   in particolare, l'articolo 715 del codice della navigazione e la relativa policy di attuazione prevedono che l'Enac individui gli aeroporti per i quali effettuare la valutazione del rischio conto terzi, fissando a tal fine come soglia di selezione il valore di 50 mila movimenti/anno;
   in seguito alla concertazione, i comuni interessati sono tenuti a recepire i risultati del risk assessment adattando i propri strumenti di gestione e pianificazione del territorio, sulla base delle planimetrie redatte da Enac e trasmesse agli stessi, raffiguranti le curve di output da applicare per le misure di tutela;
   risulta agli interroganti che, nonostante le richiamate previsioni di legge, il piano di rischio conto terzi di cui in premessa, sebbene obbligatorio, non sia stato predisposto per l'aeroporto «Marco Polo» di Tessera, nonostante lo scalo veneziano superi ampiamente la soglia dei 50 mila movimenti annui, facendo registrare, secondo gli ultimi dati del volume di traffico aereo, circa 90 mila movimenti all'anno –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire, per quanto di competenza, quanti e quali aeroporti presenti sul territorio nazionale, rientrino tra quelli soggetti, per legge, a redazione del piano di risk assessment e quanti di questi abbiano proceduto all'effettivo adeguamento delle misure di tutela di cui alle elaborazioni dell'Enac per la valutazione del rischio verso terzi, tenuto conto dei volumi di traffico derivanti dallo stato attuale e dallo stato futuro previsto dai singoli Master Plan aeroportuali. (5-09570)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, COZZOLINO e DA VILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la relazione tecnica n. PG 2016/0298475 d& 22 giugno 2016 e inerente il monitoraggio dell'impatto acustico, generato dalle attività aeroportuali, presso l'aeroporto «Marco Polo» di Venezia, l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto (Arpav), a seguito di richiesta formulata dalla procura di Venezia, ha riportato i risultati delle rilevazioni fonometriche eseguite nel periodo agosto-settembre 2015, allo scopo di valutare i livelli di immissione sonora determinati dall'attività della suddetta infrastruttura aeroportuale;
   in particolare, nelle conclusioni della relazione, l'Arpav ha certificato, a partire dai risultati delle misure effettuate, come, durante il periodo notturno, sia stato rilevato un superamento del limite acustico, pari a 50 dB (A) LaeqTr, durante 18 notti su 31, proprio a causa del rumore aeroportuale;
   dall'analisi della tabella 1 del rapporto di prova, allegato alla relazione dell'Arpav, è altresì emerso come su 201 ore notturne registrate, il 38 per cento di esse risulta aver sforato i limiti di legge, il che significa che coloro che risiedono nei pressi del sedime aeroportuale sono stati disturbati durante il riposo notturno per 76 ore su complessive 200;
   a norma dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 17 gennaio 2005, n. 13, recante «Attuazione della direttiva 2002/30/CE relativa all'introduzione di restrizioni operative ai fini del contenimento del rumore negli aeroporti comunitari», la commissione aeroportuale, verificato il superamento dei limiti acustici di cui all'articolo 2, deve darne tempestiva comunicazione al comitato tecnico-consultivo di cui al comma 1, nonché all'E.n.a.c., formulando eventuali proposte e fornendo la documentazione necessaria –:
   quali urgenti iniziative il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, nei confronti dell'Enac e del gestore aeroportuale Save, a tutela e salvaguardia del riposo dei cittadini residenti nell'intorno aeroportuale di Tessera (VE);
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa riferire ulteriori e aggiornate informazioni in merito all'effettiva istituzione ed al funzionamento del comitato tecnico-consultivo, istituito presso il suo Dicastero, di cui all'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 13 del 2005, che dovrebbe ricevere le segnalazioni dalle commissioni aeroportuali competenti – nonché le osservazioni dei soggetti interessati – e individuare e proporre all'E.n.a.c. le ipotesi di eventuali restrizioni operative ritenute idonee, alla luce delle valutazioni di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto legislativo sopra richiamato, in modo tale da evitare il ripetersi del superamento dei limiti acustici di cui all'articolo 2. (5-09571)


   DE LORENZIS e VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso dagli organi di stampa del fermo di ben 25 Atr 220, in dotazione a Ferrovie del Sud Est (FSE) acquistati in Polonia e finiti sotto inchiesta per una presunta truffa da 12 milioni contestata dalla procura di Bari – con conseguente soppressione dei collegamenti lungo la gran parte delle tratte locali nella giornata del 9 settembre 2016 a seguito di un'ispezione effettuata a fine agosto dai competenti tecnici dell'ufficio speciale trasporti a impianti fissi, incaricati della verifica sulla sicurezza dei convogli, che hanno rilevato un'usura eccessiva delle ruote e un problema ai carrelli (si veda, il Quotidiano di Puglia, «Fse, 25 treni non sicuri. Carrozze in officina e caos sui binari pugliesi», a firma di V. Damiani);
   ne è derivata una grave situazione di disagio per i pendolari, nemmeno avvisati per tempo del disservizio che ha coinvolto il 70 per cento del parco treni di FSE. Situazione che potrebbe peggiorare ulteriormente con la riapertura delle scuole;
   in ordine all'acquisto di detti treni, l'interrogante aveva già presentato due specifiche interrogazioni, tese a verificare la regolarità delle procedure di fornitura dei medesimi ed in particolare accertare la sussistenza delle condizioni di sicurezza, attesa la diretta competenza del Ministero interrogato: l'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-03909, presentata il 29 ottobre 2014, seduta n. 320, e l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04623, presentata il 5 febbraio 2015, seduta n. 372;
   in particolare, nella risposta fornita all'interrogazione n. 5-04623 dal Governo (risposta pubblicata il 19 marzo 2015 nell'allegato al bollettino delle Commissioni), si affermava che il progetto dei convogli, dichiarati fin da allora privi dell'apparato S.C.M.T. (sistema controllo marcia treno), fosse stato approvato dalla regione Puglia, dallo stesso Ustif, dalla commissione interministeriale e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e che i convogli fossero dotati «dell'autorizzazione (alla circolazione dei treni sulle reti locali) ministeriale, regolarmente acquisita» e si dichiarava testualmente che «dopo circa sei anni di servizio, i riscontri sulla flotta FSE per quanto concerne l'affidabilità e il gradimento della clientela risultano soddisfacenti»;
   l'ispezione effettuata dall'Ustif sui treni in dotazione a FSE e, più in generale, i tragici recenti incidenti ferroviari, tuttavia, fanno emergere la necessità di implementare la sicurezza ferroviaria e, quindi, la relativa destinazione di risorse economiche. Al riguardo, il Ministro interrogato, durante l'informativa urgente alla Camera resa dopo il disastro ferroviario del 12 luglio in Puglia, aveva promesso lo stanziamento di ulteriori 1,8 miliardi di euro di investimenti per le reti regionali non di competenza nazionale;
   l'articolo 1, comma 866, legge di stabilità 2016 ha istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un fondo finalizzato all'acquisto diretto o per il tramite di società specializzate, alla riqualificazione elettrica, al noleggio di mezzi di trasporto pubblico, tuttavia, gli effetti della disposizione sono stati differiti al 1o gennaio 2017 dall'articolo 7, comma 11-quater, del decreto-legge n. 210 del 2015, proroga termini convertito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative intenda porre in essere, per quanto di competenza, per risolvere la situazione rappresentata e per accertare la regolarità nelle procedure di verifica tecnica della sicurezza effettuata dagli uffici ministeriali competenti;
   se il Ministro interrogato possa fornire chiarimenti in merito allo stanziamento di ulteriori 1,8 miliardi di euro di investimenti per le reti regionali non di competenza nazionale, specificando i tempi e gli importi dell'effettivo stanziamento;
   se il Ministro possa fornire chiarimenti in merito a fondo di cui alla legge di stabilità 2016 i cui effetti sono stati differiti e specificamente in merito alle procedure per accedere alle prenotazioni, all'indicazione di quali enti locali abbiano già manifestato interesse ed ai tempi per poter avere la disponibilità dei mezzi richiesti;
   se il Governo intenda assumere iniziative per aumentare la dotazione del richiamato fondo al fine di consentire la completa ed efficace sostituzione dei mezzi più inquinanti del trasporto pubblico;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare per procedere all'elettrificazione delle tratte ferroviarie e consentire la sostituzione anche delle locomotrici diesel. (5-09573)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 15 settembre 2016, un comunicato stampa pubblicato sul sito internet dell'Automobile Club Italia (Aci) riporta che «il Consiglio di Stato ha sospeso gli effetti della sentenza del Tar del Lazio, che in parte aveva accolto alcune richieste delle associazioni di autoscuole e studi di consulenza automobilistica (Unasca) e delle agenzie di pratiche auto (Sermetra), riguardo alle modalità con le quali, lo scorso ottobre, l'Automobile Club d'Italia ha introdotto il Certificato di Proprietà Digitale (CDPD). In sede giurisdizionale, il Consiglio di Stato ha ritenuto di accogliere l'istanza cautelare presentata dall'ACI, sospendendo, così, la sentenza impugnata, avendo rilevato – secondo quanto si legge nell'ordinanza – «l'opportunità di mantenere la regolamentazione assunta dall'ACI fino alla decisione sul merito della causa. La pronuncia di merito è attesa per il 9 febbraio 2017 (...)»;
   Unasca, nella medesima giornata, ha risposto attraverso una nota stampa alle dichiarazioni dell'ACI, chiarendo come «il Consiglio di Stato, con l'ordinanza dell'8 settembre 2016, ha semplicemente sospeso (...) gli effetti della sentenza del TAR del Lazio e che quindi i motivi di illegittimità indicati dal TAR sono a tutt'oggi validi: il CDPD realizzato da ACI è incongruente con il quadro normativo, segnatamente con l'articolo 10 del decreto ministeriale n. 514 del 1992 e con gli articoli 93 e 94 del Codice della Strada, che tutti prevedono il rilascio del Certificato di proprietà al momento della prima iscrizione o di ogni altra successiva formalità riguardante il veicolo. Nessuna pronuncia sulla legittimità del CDPD, che quindi resta illegittimo»;
   la legge 7 agosto 2015, n. 124, contenente «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» (nota come riforma Madia) stabilisce, all'articolo 8, comma 1, lettera d), tra i principi e i criteri direttivi per l'esercizio della delega legislativa «con riferimento alle amministrazioni competenti in materia di autoveicoli: la riorganizzazione, ai fini della riduzione dei costi connessi alla gestione dei dati relativi alla proprietà e alla circolazione dei veicoli e della realizzazione di significativi risparmi per l'utenza, anche mediante trasferimento, previa valutazione della sostenibilità organizzativa ed economica, delle funzioni svolte dagli uffici del Pubblico Registro Automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con conseguente introduzione di un'unica modalità di archiviazione finalizzata al rilascio di un documento unico contenente i dati di proprietà e di circolazione di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi, da perseguire anche attraverso l'eventuale istituzione di un'agenzia o altra struttura sottoposta alla vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica; svolgimento delle relative funzioni con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente»;
   con tale provvedimento, il Governo è stato delegato ad adottare, entro diciotto mesi, uno o più decreti legislativi al fine di operare il passaggio definitivo delle funzioni svolte dal pubblico registro automobilistico al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   Unasca, nel comunicato stampa riportato in premessa, ha ricordato in ultimo come «il CDPD non realizzi alcun risparmio per gli utenti, i quali continuano a pagare all'ACI/PRA gli stessi emolumenti di prima – 27 euro – comprensivi del costo dello stampato (...). Senza dimenticare che il CDPD viene superato dalla legge Madia con l'introduzione del documento unico del veicolo, cioè la carta di circolazione di cui alla Direttiva UE 1999/37/CE» –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario prendere atto della situazione, anche a seguito dell'ordinanza del Consiglio di Stato riportata in premessa, e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo;
   se i Ministri interrogati, in merito alla legge n. 124 del 2015, intendano chiarire le tempistiche e le modalità di trasferimento del pubblico registro automobilistico al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. (4-14279)


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sta creando allarme e preoccupazione nel mondo logistico italiano la vicenda dell'insolvenza della società di armamento coreana Hajin, settima compagnia al mondo del trasporto contenitori, che conta 98 navi (molte delle quali oggi sono ferme) 11 terminal e società in tutto il mondo, tra le quali Hanjin Italy con un centinaio di dipendenti;
   a fine agosto 2016 le banche creditrici del gruppo hanno bocciato il piano del management coreano per ripianare un buco da 4,5 miliardi di dollari accumulati nel solo 2015 da Hanjin e la società si è trovata a non poter onorare crediti e consegne;
   secondo il presidente di Fedespedi, preoccupato come tutti gli spedizioneri italiani per il crack della compagnia asiatica, è stimabile che ci siano dai 20 ai 25 mila container di Hanjin destinati all'Italia per un valore di circa 500 milioni di euro di merce (di questi circa 5 mila, per 175 milioni di merce, sono già presenti sul nostro territorio);
   si stima che il valore della merce trasportata attualmente a bordo delle navi di Hanjin sia vicina alla cifra di 14 miliardi di dollari a livello mondiale;
   la Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica sottolinea che, a fronte del blocco per inadempienza contrattuale di migliaia di container posizionati sulle banchine dei porti italiani, il danno per tutti gli operatori della catena logistica fino agli importatori ed esportatori sta assumendo dimensioni significative, nonostante la formale collaborazione della Hanjin Italia;
   il rischio che si teme è che la caduta del colosso apra la strada ad altri possibili default e si temono rischi di tenuta dell'intero settore del trasporto marittimo;
   il settore dei container da anni soffre per noli bassi ed un alto numero di ordini di nuove navi, di dimensioni sempre più grandi, portato avanti soprattutto dai primi tre grandi gruppi al mondo: la danese Maersk, la italoginevrina Msc e la francese Cma-Cgm (che recentemente si è fusa con Apl);
   è ipotizzabile che le politiche di espansione, dal punto di vista dimensionale oltre che numerico, della flotta portate avanti dai grandi operatori nel settore dei container possano portare, a lungo termine, i competitor più piccoli a non reggere le condizioni di mercato;
   i danni delle mancate consegne o del fermo in porti diversi da quelli a cui erano destinati può generare un ammontare pari al deficit della compagnia –:
   se non ritengano importante, alla luce dell'insolvenza della società di armamento coreana Hajin, fornire un quadro aggiornato attendibile sul reale stato finanziario ed operativo della società;
   se non reputino indispensabile farsi promotori di un tavolo di concertazione fra le parti interessate, coinvolgendo anche la Hanjin Italy, al fine di addivenire ad una soluzione condivisa, che minimizzi i danni per il nostro Paese, e di sviluppare nuovi sistemi di controllo tesi a scongiurare che situazioni simili possano verificarsi in futuro. (4-14291)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   MILANATO, BRUNETTA, SECCO e ALBERTO GIORGETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è nota la notizia secondo cui un numero indeterminato di soggetti richiedenti asilo, probabilmente «alcune centinaia», saranno dislocati a partire da metà ottobre 2016 nella ex base Nato del «I Roc» a Giarre, piccola frazione del comune di Abano Terme, ente locale commissariato nel mese di giugno 2016, a seguito dell'arresto del sindaco Luca Claudio avvenuto a pochi giorni dalle elezioni;
   è evidente come tale scelta rischia di colpire al cuore l'economia di Abano, che vive quasi interamente di turismo; sarebbero infatti inevitabili le ricadute negative per il comparto turistico legato al centro termale della città, che dà sostentamento a circa cinquemila famiglie;
   vale la pena rilevare che si tratta di un tipo di turismo che ha una stagionalità che si estende per l'intera durata dell'anno solare, e il cui settore, che gode di una immagine consolidata anche all'estero, si trova attualmente – dopo anni di crisi – in una fase in cui finalmente i dati testimoniano una ripresa di gradimento, soprattutto da parte degli stranieri, con 731 mila arrivi e 3 milioni di presenze complessive nel bacino nel solo 2015;
   va anche ricordato che si tratta di un turismo composto in buona parte da persone che anagraficamente rientrano nella cosiddetta terza età e che – in considerazione della propria fragilità – valutano elemento determinante per la scelta della loro meta turistica la percezione di ordine e di sicurezza che una località è in grado di offrire;
   il dubbio, a parere degli interroganti, è che se oggi Abano avesse un sindaco in carica, e, quindi, un consiglio comunale e un interlocutore politico in grado di reagire ad «un'imposizione» dall'alto, forse le scelte sarebbero state altre;
   non c’è stata alcuna valida illustrazione da parte del prefetto dei motivi posti alla base della scelta operata che, senza alcun dubbio, avrà pesantissime ripercussioni non solo sull'economia del territorio termale veneto ma addirittura su quella dell'intera regione (basti pensare a quante persone arrivano nelle città d'arte venete tra quelle soggiornanti presso le terme di Abano e Montegrotto);
   il dubbio che la scelta del prefetto possa essere stata frettolosa, non ben ponderata ed in qualche modo effettuata approfittando delle contingenze venutesi a creare, è ad avviso degli interroganti ulteriormente avvalorato dalla circostanza che il commissario prefettizio, Pasquale Aversa (gerarchicamente dipendente dal medesimo prefetto di cui si parla), ha infatti revocato, poche settimane or sono, invocando motivi di convenienza economica, un protocollo di intesa firmato l'anno scorso per la cessione al comune della ex base per farne un uso pubblico e socialmente utile e, a distanza di solo qualche giorno, ha ufficializzato l'arrivo dei profughi, non senza chiarire con l'occasione la sua posizione: «Al Prefetto io avevo detto no ai profughi ad Abano. Avevo portato anche uno stampato dei dati sulle presenze turistiche. Sono un lavoratore dipendente, non comando io e probabilmente nemmeno il prefetto Patrizia Impresa»;
   ebbene, tali dichiarazioni, unitamente al dichiarato ruolo di «dipendente» del commissario, confermano, secondo gli interroganti, in tutta evidenza che la scelta sia stata orientata su Abano proprio approfittando dell'assenza del sindaco –:
   se e quali iniziative intenda intraprendere il Governo a tutela dell'economia del territorio e dell'occupazione di migliaia di famiglie;
   quali siano le ragioni della scelta di Abano Terme, posto che tale comune pare essere stato individuato solo per l'assenza di una figura politica in grado di interloquire sul tema e di opporsi a tale decisione. (3-02502)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAMPA, MARCO DI MAIO, LAFORGIA, ARLOTTI, GIUDITTA PINI, CARLONI, ZARDINI, ALBANELLA, GIUSEPPE GUERINI, MARCHI, ROMANINI, MIOTTO, LENZI, ALBINI, GIACOBBE, FRAGOMELI, COVA, PAOLO ROSSI, CARROZZA, PAOLA BRAGANTINI, D'INCECCO, CAPODICASA, MALISANI, RUBINATO, MOGNATO, LA MARCA, CIMBRO, PORTA, CASELLATO, SCUVERA, POLLASTRINI, PATRIZIA MAESTRI, GNECCHI e FABBRI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 14 settembre 2016 un operaio egiziano – Abd Elsalam Ahmed Eldanf, di 53 anni e padre di 5 figli – è stato travolto e ucciso dall'autista di un camion dell'azienda GLS di Piacenza;
   l'operaio, dipendente dell'impresa dal 2003, stava partecipando all'esterno della stessa ad un presidio sindacale dell'USB dai lavoratori della SEAM, cooperativa appaltatrice dei servizi di logistica preso la GLS, per discutere del mancato rispetto degli accordi sottoscritti relativi alle assunzioni di lavoratori precari;
   a quanto si apprende dalla stampa, l'autista del TIR, che ha investito e ucciso l'operaio, sarebbe sfuggito al linciaggio degli altri operai, prima di essere fermato dalla polizia, poiché – secondo le testimonianze degli altri lavoratori presenti – il conducente del camion sarebbe stato incitato a forzare il picchetto;
   la vicenda sarebbe avvenuta alla presenza delle forze dell'ordine, in servizio sul luogo dello sciopero per motivi di ordine pubblico;
   la testimonianza di alcuni lavoratori presenti al momento del grave evento non coinciderebbe con la versione fornita dagli inquirenti –:
   se i Ministri interrogati non intendano assumere ogni iniziativa di competenza per contribuire a chiarire la reale dinamica, degli eventi;
   quali iniziative si intendano assumere, per quanto di competenza, a sostegno della famiglia dell'operaio ucciso nell'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito quale quello di manifestare pacificamente. (4-14277)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la data del XX Settembre 1870 rappresenta il più evidente simbolo del principio di nazionalità per l'Italia. Definisce la fine del processo di unificazione e la nascita della nazione italiana;
   interrompe anche la lunghissima fase storica durante la quale il Pontefice romano ha regnato su uno Stato come un qualsiasi sovrano temporale, e dà così inizio a una nuova epoca nella quale la Chiesa cattolica eserciterà più liberamente la sua missione spirituale nel mondo e l'Italia comincerà il suo percorso verso la laicità delle istituzioni;
   l'anniversario del XX settembre è stato festività nazionale fino alla sua abolizione nel 1930, dopo la firma dei Patti Lateranensi nel ‘29, quando la ricorrenza fu cancellata da Mussolini per compiacere il Papa Pio XI che lo definì «Uomo della Provvidenza». Il duce cedette deliberatamente alle richieste delle gerarchie ecclesiastiche soprattutto per rinforzare il suo consenso nel Paese;
   un consenso che ha portato il ventennio del fascismo e il suo epilogo ad essere le esperienze politiche e civili tra le più mortificanti e drammatiche che l'Italia abbia mai vissuto;
   ripristinare quindi la festività nazionale del XX Settembre avrebbe quindi un doppio significato: confermerebbe il valore unico e indispensabile della laicità dello Stato italiano e delle sue leggi e, annullando una decisione assunta da Mussolini al solo fine opportunistico di aumentare il suo consenso nel popolo italiano e portarlo alla rovina, darebbe nuovo vigore a un principio fondativo della Costituzione italiana, quello dell'antifascismo –:
   se il Governo intenda attivarsi affinché sia ripristinata la festività nazionale del XX Settembre, nel rispetto dei valori e dei princìpi della Costituzione italiana. (4-14278)


   GIUDITTA PINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il corpo nazionale dei vigili del fuoco, anche sulle ultime vicende che hanno scosso il nostro Paese, compreso il sisma di agosto 2016, ha ancora una volta dato dimostrazione di tutta la sua professionalità;
   dimostrazioni di gratitudine sono giunte dalla popolazione colpita oltre che dai mezzi di comunicazione, dalle stesse istituzioni;
   le funzioni che il corpo nazionale dei vigili del fuoco è chiamato a svolgere richiedono necessariamente la presenza di un organico che dal punto di vista numerico sia sempre in grado di rispondere prontamente alle esigenze;
   tali esigenze relative agli organici del corpo nazionale dei vigili del fuoco risultano in una situazione di preoccupante problematica in quanto le assunzioni risultano bloccate a causa dei tagli lineari perpetrati con la legge n. 113 del 2008, articolo 66, commi 6 e 9;
   solo nell'ultimo triennio, grazie ad una rimodulazione di fondi interni alla stessa amministrazione, si è potuto assumere dalle graduatorie in corso di vigenza. Tale intervento, quindi, è stato un vero e proprio stanziamento extra di risorse, come invece si vuol far credere;
   allo stato attuale è ancora vigente la graduatoria del concorso pubblico 814, che conta ancora al proprio interno 4.000 idonei; con la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge stabilità 2013), ai commi 89-90 dell'articolo 1, è stata introdotta la facoltà di utilizzare, con finalità di assunzione a tempo indeterminato, i risparmi derivanti dalla riprogrammazione delle dotazioni dei programmi di spesa, con particolar riferimento alle spese di cui all'articolo 21, comma 5, lettera b), della legge 31 dicembre 2009, n. 196;
   si può procedere ad un ulteriore scorrimento di tale graduatoria, che si ricorda essere ad oggi l'unico bacino di personale da assumere, e che andrebbe a risolvere, in parte, la massiccia ondata di pensionamenti previsti per il prossimo triennio –:
   se il Ministro interrogato intenda procedere all'utilizzo dei risparmi derivanti dalla riprogrammazione delle dotazioni di cui all'articolo 1, commi 89-90, della legge n. 228 del 2012, preferendo utilizzare tali fondi a copertura di un progetto di riordino delle carriere, con la previsione, tra le altre cose, di ulteriori benefici economici per il personale dirigente del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e il transito automatico nel ruolo «direttivi speciali» di personale sostituto direttore antincendio;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per attuare la riforma sull'utilizzo dei volontari nel corpo dei vigili del fuoco, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004, considerato che tale riforma, approvata dalla stessa amministrazione già nel 2015 ma ancora rimasta inattuata, per l'interrogante senza una spiegazione, consentirebbe la valorizzazione del vero volontariato nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   se il Ministro intenda approvare quei decreti attuativi che consentirebbero al personale dei vigili del fuoco di ricevere il riconoscimento di tutte quelle malattie alle quali la categoria può essere soggetta in base all'articolo 19 della legge n. 183 del 2010;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere per dare attuazione alle riforme previste dai decreti legislativi n. 139 del 2006 e n. 217 del 2005;
   se il Ministro intenda assumere iniziative volte a promuovere la riqualificazione del trattamento economico del personale del corpo dei vigili del fuoco attraverso il riconoscimento di uno specifico trattamento pensionistico per tutto il personale considerando che tale riconoscimento è fermo ormai da troppi anni. (4-14285)


   COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, CARLO GALLI, AIRAUDO, MELILLA, PANNARALE, NICCHI e PLACIDO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   mercoledì 14 settembre 2016 a Nicotera, paese in provincia di Vibo Valentia, un elicottero con a bordo due sposi, è decollato dallo stadio della cittadina, e poi riatterrato nella centralissima Piazza Castello, in pieno centro abitato, bloccando il traffico per tre ore, in seguito al transennamento delle vie attigue;
   nella piazza, ad attendere i novelli sposi, dopo il loro servizio fotografico di nozze, era presenti parenti e amici con macchine di grossa cilindrata;
   i Carabinieri della compagnia di Tropea hanno dato il via alle prime indagini, segnalando il caso alla Procura di Vibo Valentia, dove il procuratore facente funzioni Michele Sirgiovanni ha aperto un fascicolo formale dove non figurano ancora i nomi di eventuali indagati;
   il sindaco e la polizia municipale negano di aver dato l'autorizzazione all'atterraggio, ma il sindaco risulterebbe uno degli invitati al matrimonio;
   a dirigere le operazioni da terra era presente l'elicotterista che, nell'agosto 2015, aveva condotto il velivolo che aveva sorvolato Roma per spargere fiori al passaggio del feretro del boss Casamonica. L'interessato aveva per questo motivo ricevuto una sospensione di 33 mesi dalle attività di volo dall'Enac;
   in seguito alla segnalazione della procura di Vibo Valentia, la direzione distrettuale antimafia (Dda) ha aperto un fascicolo per «atti relativi»; le indagini saranno svolte dalla Dda, in cooperazione con la procura di Vibo Valentia, soprattutto per appurare l'eventuale presenza di rappresentanti istituzionali al momento dell'atterraggio. Oltre a questo, la procura dovrà chiarire in modo definitivo se sussistono eventuali parentele dello sposo con la famiglia della ’ndrangheta Mancuso, potente clan della zona;
   il comune di Nicotera è stato sciolto per mafia due volte, nel 2005 e nel 2010 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intendano verificare, per quanto di competenza, se vi siano state delle falle nel dispositivo di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica relativamente al sorvolo dello spazio aereo e all'atterraggio in pieno centro cittadino. (4-14289)


   FASSINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva comunitaria 2003/9 reca norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. Il decreto legislativo di attuazione della direttiva stabilisce le norme sull'accoglienza degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato nel territorio nazionale, in linea con gli standard europei e con il diritto internazionale dei rifugiati (in particolare, con la Convenzione di Ginevra del 1951);
   in seguito allo sgombero del maggio 2015 del campo abusivo di Ponte Mammolo, un gruppo di migranti è stato accolto nel centro Baobab di via Cupa a Roma;
   a causa di una sentenza del tribunale amministrativo del Lazio che ha stabilito che la struttura doveva essere restituita al proprietario dello stabile di via Cupa, la società immobiliare Tamarri, nel mese di novembre 2015 i rappresentanti del dipartimento per le politiche sociali del comune di Roma hanno comunicato ai volontari la necessità di sgomberare il centro e di trovare nuova collocazione per le persone presenti. È stata trovata una soluzione per quasi tutti gli ospiti, ad eccezione di 30 migranti;
   i volontari hanno deciso, tuttavia, di proseguire ad assistere coloro che non hanno trovato rifugio, manifestando alle autorità preoccupazione per la totale assenza a Roma di un centro di accoglienza per i migranti in transito;
   nei pressi del centro Baobab di via Cupa, proprio a causa dell'assenza di strutture in grado di offrire supporto ai transitanti, si è creato un vero e proprio punto di ricovero all'aperto con strutture impiantate dai volontari che accoglie centinaia di profughi;
   durante il periodo di commissariamento del comune di Roma, il commissario straordinario del Governo, prefetto Tronca, ha invitato le organizzazioni di volontari ad aiutarlo nell'individuazione di un'area nei pressi delle stazioni destinata ad accogliere i migranti. Tra le ipotesi prese in esame c'era quella degli spazi esterni del centro Ittiogenico di via Tiburtina (attualmente in stato di abbandono) di proprietà della Regione Lazio. Dopo un'iniziale disponibilità da parte di quest'ultima a valutare la fattibilità di utilizzo della struttura, non si è più avuto un riscontro concreto da parte della amministrazione regionale;
   nel corso di un anno, da maggio 2015 fino ad oggi, volontari e volontarie, organizzazioni non governative e privati cittadini hanno offerto assistenza a oltre 55.000 migranti in transito e attualmente sono circa 400 le persone che stazionano in strada presso via Cupa;
   le organizzazioni non governative sono in grado di allestire un campo attrezzato grazie alla donazione di una tenda 6x8 ricevuta da un'associazione cattolica, di circa 20 tende UNHCR da 12 posti in arrivo da Idomeni, di cucine da campo e bagni chimici. È stata, inoltre, raccolta la disponibilità delle maggiori associazioni (CRI, MEDU e altre) ad intervenire per la realizzazione di tale campo. L'importanza e la necessità della realizzazione di una struttura di accoglienza per transitanti sono evidenziate anche dall'impegno concreto dimostrato da Papa Francesco I che, con le donazioni periodicamente consegnate da monsignor Konrad Krajewski, l'elemosiniere del Papa, interviene a sostegno delle persone e ospitate in via Cupa –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di definire una soluzione per i profughi bisognosi di accoglienza, con particolare riferimento alla possibilità di istituire, in via prioritaria, una struttura attrezzata nei pressi del centro Baobab di Roma. (4-14292)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno ha approvato il bando di un nuovo concorso per 250 posti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   risulterebbero iscritti a bilancio i fondi necessari all'assunzione di 850 nuovi vigili del fuoco;
   nel frattempo, tuttavia, sarebbe rimasta indeterminata la sorte degli oltre 4 mila idonei della graduatoria del concorso bandito nel 2008 per il reclutamento di 814 vigili del fuoco, mentre si approssima la data di scadenza che la concerne, fissata per il 31 dicembre 2016;
   stando ad alcune dichiarazioni rese da noti esponenti politici, delle assunzioni continuerebbero comunque ad esser fatte attingendo alla graduatoria del concorso promosso nel 2008 per 814 posti anche oltre il prossimo 31 dicembre, fino alla pubblicazione della graduatoria dei vincenti del nuovo concorso per 250 posti appena indetto;
   malgrado quanto affermato, all'approvazione del bando per il nuovo concorso non sarebbe stata associata alcuna ufficializzazione della proroga del termine del 31 dicembre 2016 per la graduatoria del concorso cosiddetto degli 814;
   gli idonei del concorso degli 814 non ancora chiamati sono circa 4.100;
   di questi 4.100, 600 risultano essere vigili del fuoco discontinui e 3.500 idonei civili;
   risulterebbe inoltre riaperta un'altra graduatoria, quella relativa alla cosiddetta «stabilizzazione» del personale discontinuo, che da quattro anni detiene il privilegio di dividere al 50 per cento le chiamate con la graduatoria del concorso per 814 posti;
   dalla riapertura della graduatoria dei discontinui da stabilizzare, tra l'altro composta da persone di età media elevata, sarebbero già 2.500 coloro che ne hanno beneficiato;
   si prevede altresì che la graduatoria degli stabilizzandi venga esaurita con le assunzioni perfezionate durante il 2016 –:
   quali concrete iniziative il Governo intenda assumere per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso indetto nel 2008 per 814 vigili del fuoco. (4-14293)


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   scadrà il 31 dicembre 2016 il termine che consente di attingere ancora alla graduatoria dei circa 4.100 idonei del concorso bandito nel 2008 per l'assunzione di 814 persone nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   è prevedibile, data l'ampiezza del bacino di coloro che a quel concorso sono risultati idonei e non sono ancora stati assunti, che allo scadere del termine del 31 dicembre saranno ancora molto numerosi coloro che non sono stati chiamati;
   il problema è particolarmente acuto per i cosiddetti «idonei civili», che sarebbero 3.500;
   nel frattempo, il Ministero dell'interno avrebbe approvato il bando di un nuovo concorso per 250 posti nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   la scelta di procedere allo svolgimento di un nuovo concorso quando è ancora possibile attingere a persone che hanno già superato le prove attitudinali di selezione non sembra all'interrogante né economica né moralmente accettabile;
   è stata peraltro ventilata la possibilità che si continui ad assumere gli idonei del concorso del 2008 fino a quando non sarà disponibile la graduatoria del nuovo concorso la cui indizione sarebbe stata recentemente approvata dal Ministero dell'interno;
   neppure in questo caso, peraltro, pare realistico ipotizzare un piano di assunzioni ad esaurimento concernente gli idonei del concorso del 2008 –:
   se il Governo ritenga possibile prorogare ulteriormente la validità della graduatoria degli idonei del concorso bandito nel 2008, cosiddetto degli 814, e fino a quando;
   quali siano le previsioni del Governo in merito al numero massimo probabile dei risultati idonei al concorso del 2008 che potranno essere chiamati, sia in caso di scadenza effettiva al 31 dicembre 2016 della graduatoria che in caso di proroga della validità della medesima;
   se il Governo intenda o meno assumere iniziative per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso indetto nel 2008 per 814 vigili del fuoco. (4-14297)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAROCCI, D'OTTAVIO, SGAMBATO, ROCCHI, COCCIA, MANZI, BLAZINA, MALISANI, NARDUOLO, MALPEZZI, ASCANI e IORI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'11 settembre 2016 il tribunale di Torino ha rigettato il reclamo presentato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca contro l'ordinanza del giugno 2016 della corte d'appello che riconosceva il diritto agli studenti di portarsi il pranzo da casa e consumarlo nel refettorio con i compagni;
   questa situazione nasce da una vicenda legale di cui sono protagoniste 58 famiglie che non vogliono che i propri figli consumino i pasti preparati dalle società di ristorazione temendo rischi di contaminazione e denunciando un eccessivo costo del servizio;
   nel 2013, dunque, un gruppo di famiglie crea il comitato «Caro Mensa»: fanno ricorso al Tar per l'aumento delle tariffe e, avviano una battaglia legale contro il Comune di Torino e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per vedersi riconosciuto il diritto a portare il cibo da casa;
   nel giugno 2016 la corte d'appello riconosce tale diritto e ad agosto 2016 viene emessa un'ordinanza d'urgenza che sancisce la libertà di scelta in materia di consumo del pasto a scuola da assumere nell'orario, destinato alla refezione;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nel suo reclamo afferma che «i genitori che non vogliono avvalersi del servizio di mensa possono scegliere una formula diversa dal “tempo pieno” o prelevare il figlio da scuola all'ora di pranzo, fargli consumare il pasto altrove e riaccompagnarlo per la ripresa pomeridiana delle lezioni»;
   un'interpretazione che secondo il tribunale «non ha un solido fondamento normativo ed entra in  conflitto con gli articoli 3 e 34 della Costituzione. La refezione deve restare un'agevolazione alle famiglie, facoltativa a domanda individuale, senza potersi larvatamente imporre come condicio sine qua non per la scelta del tempo pieno. L'unica alternativa, ragionevolmente praticabile, rispettosa dell'articolo 34 della Costituzione, consiste nel consentire agli alunni del tempo pieno che non aderiscono al servizio di reiezione di consumare a scuola un pasto domestico»;
   inoltre, il tribunale stabilisce che: «l'utilizzo dello stesso refettorio, se questa è la scelta organizzativa dell'istituto scolastico, può rendere opportuno stabilire regole di coesistenza: regole che hanno anche e, soprattutto, la funzione di mantenere chiarezza sull'ambito entro cui la ditta appaltatrice può essere chiamata a rispondere per il cibo somministrato in mensa. Che ciò porti alla divisione in due ali del refettorio o all'avvicendamento di gruppi di utenti, si tratta comunque di coesistenza e non di reciproca esclusione»;
   la mensa è un tempo educativo a tutti gli effetti ed è importante che i bambini possano vivere questo tempo in modo consapevole all'insegna della cultura alimentare e di corretti stili di vita;
   inoltre, vi è il rischio di discriminazione: in tal senso, se la mensa è un momento educativo e formativo si potrebbero verificare delle disuguaglianze tra i bambini che, proprio per la funzione anche educativa della mensa, dovrebbero vedersi somministrare cibi simili;
   menu diversi potrebbero anche creare dei problemi di gestione del personale insegnante e creare un aumento di costi a carico della scuola;
   si teme il rischio che le sentenze della magistratura possano mettere in discussione l'universalità del servizio mensa e la funzione pedagogica, sociale e di educazione alimentare di cui è portatrice;
   appare evidente che il diritto soggettivo è insindacabile, tuttavia l'obiettivo dovrebbe essere quello di un miglioramento del servizio attraverso la rivisitazione dell'intero sistema;
   di recente il comune di Torino ha stabilito che il refettorio delle scuole sia utilizzato esclusivamente dal servizio mensa e non per consumare il panino da casa in attesa di verificare la praticabilità dell'uso dei locali per entrambi i pasti;
   è evidente che tale sentenza non coinvolga solo il comune di Torino: sono, infatti, molte le amministrazioni che si trovano in difficoltà rispetto ad una sentenza che stabilisce un nuovo principio circa il consumo dei pasti a scuola –:
   quali iniziative di competenza intenda avviare per consentire ai dirigenti scolastici di intervenire affinché siano garantiti i diritti di tutti ma anche l'equità, la salute dei bambini e il principio di solidarietà, mettendo in moto un meccanismo che potrebbe intaccare anche altri servizi di carattere generale e finendo con il far prevalere gli interessi di alcuni rispetto ad altri;
   se non ritenga necessario predisporre un'iniziativa legislativa a livello nazionale che colmi il vuoto normativo messo in evidenza dalle decisioni della magistratura. (5-09557)


   ROMANINI, ROCCHI, ZANIN, CAROCCI, PAOLO ROSSI, AMATO, ALBANELLA, PRINA, CASELLATO, TERROSI, GIOVANNA SANNA e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1, comma 114, della legge 13 luglio 2015, n. 107, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con D.D.G. n. 106 del 23 febbraio 2016, ha indetto un concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per i posti comuni dell'organico dell'autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado;
   il concorso in parola, riservato ai soli candidati in possesso di abilitazione conseguita tramite uno dei percorsi previsti Percorsi abilitativi speciali (PAS), Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario (SISS) e Tirocini formativi attivi (TFA), ammetteva agli stessi, ai sensi del D.D.G. n. 106 del 2016, di partecipare a più procedure concorsuali per la scuola secondaria, purché nella medesima regione (articolo 4, comma 1), oppure per posti della secondaria e della scuola dell'infanzia, primaria o sostegno, anche in regioni diverse (articolo 4, comma 3);
   diversi candidati in effetti sono in possesso di abilitazione per più di una classe di concorso anche perché alcune di queste danno diritto «a cascata» ad altre: ad esempio, gli abilitati in «matematica e fisica» ricevono a cascata sia l'abilitazione in »matematica» sia quella in «fisica»;
   dal momento quindi che il bando non escludeva la possibilità di partecipare a più procedure concorsuali, taluni candidati hanno esercitato questa opzione e sono poi risultati vincitori in più di una graduatoria di merito;
   lo stesso bando tuttavia limitava i posti delle graduatorie di merito con l'articolo 9, comma 1, disponendo che «la commissione giudicatrice, valutate le prove e i titoli ai sensi dell'articolo 6, comma 6, procede alla compilazione della graduatoria di merito, inserendo i predetti candidati nel limite massimo dei posti messi a bando per ciascuna procedura concorsuale maggiorati del 10 per cento ai sensi dell'articolo 400, comma 15, del Testo unico così come modificato dall'articolo 1, comma 113, lettera g), della legge n. 107 del 2015»;
   per conseguenza, i candidati che sono risultati vincitori in più di una graduatoria di merito sono stati chiamati ad esercitare un'opzione determinando in tal modo un vuoto nella graduatoria della classe di concorso non opzionata;
   risulta agli interroganti che gli uffici scolastici regionali, in applicazione dell'articolo 9, comma 1, non abbiano nemmeno pubblicano il nome di coloro che sono stati promossi, ma che non rientrano nel numero di posti messi a bando maggiorati del 10 per cento, alla stregua dei bocciati;
   in sostanza, essendo previsto che un candidato potesse partecipare anche a più procedure concorsuali e perciò ritrovarsi anche in più di una graduatoria di merito, i posti messi a bando in molti casi non sono stati coperti per intero causa il depennamento dalle graduatorie delle classi di concorso di coloro che hanno optato per altre graduatorie e lo scorrimento limitato ai posti messi a bando maggiorati del 10 per cento;
   in numerosi casi il 10 per cento di maggiorazione non è stato sufficiente a coprire le tante rinunce dei vincitori, ovvero il numero dei posti messi a bando, sicché si hanno posti disponibili non coperti, pur in presenza di idonei al concorso;
   questa circostanza sta riducendo significativamente il numero dei docenti collocati utilmente in graduatoria causando, in alcuni casi, l'esauristi della stessa già a seguito dell'immissione in ruolo in occasione del primo dei tre anni di vigenza della graduatoria, come nel caso, ad esempio, delle classi di concorso A020 fisica, A026 matematica e A027 matematica e fisica dell'ambito orizzontale AD07 Emilia-Romagna per le quali le graduatorie sono già pressoché completamente svuotate –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della circostanza sopradescritta e se non ritenga di farsi promotore di una nota interpretativa o di una modifica della normativa tale da consentire l'immissione in graduatoria di quei candidati che, alla luce delle «opzioni» esercitate da numerosi docenti che hanno superato più di una prova concorsuale, risulterebbero necessari al fine di integrare le medesime graduatorie in funzione dello stimato fabbisogno triennale. (5-09558)


   CRIVELLARI e NARDUOLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'avvio del nuovo anno scolastico ha presentato, anche in provincia di Rovigo, parecchie problematiche legate specialmente all'organico;
   in provincia di Rovigo l'apertura del nuovo anno scolastico vedeva ancora 50 cattedre non assegnate;
   in particolare, le parti sindacali hanno segnalato la grave carenza di personale specializzato che sarebbe chiamato a coprire i posti di docente di sostegno e pare dunque molto probabile che le cattedre vacanti siano destinate ad essere ricoperte da docenti provenienti da altre classi di insegnamento;
   nonostante il lavoro frenetico degli uffici competenti, la difficoltà di questo avvio delle lezioni non sembra destinata a risolversi in tempi brevi;
   ci vorranno giorni o settimane perché le scuole riescano a entrare a regime, con tutte le cattedre coperte, gli orari definitivi e la maggior parte dei problemi risolti –:
   se il Ministro sia a conoscenza di tali difficoltà verificatesi nella provincia di Rovigo e come eventualmente intenda intervenire per porre rimedio ad una situazione così precaria. (5-09565)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGNARLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto di green report (http://www.greenreport.it/news/comunicazione/crolli-scuola-geologi-la-meta-degli-edifici-scolastici-non-ha-il-certificato-di-agibilita/) in Italia si ha un patrimonio edilizio di più di 42.000 scuole, di cui oltre il 60 per cento costruite prima del 1974, in situazione di permanente emergenza legata alla necessità sia di messa a norma, sia di manutenzione ordinaria e straordinaria. Ben 27.920 edifici scolastici sono in aree ad elevato rischio sismico, tra cui 2.864 in Toscana;
   la legge n. 23 del 1996 prevede l'anagrafe dell'edilizia scolastica, un database aggiornato a cura del Ministero della pubblica istruzione, con dati riguardanti, tra le altre cose, anche la funzionalità del patrimonio edilizio, certificati di agibilità, di collaudo statico e l'indice di vulnerabilità sismica degli edifici;
   il Ministro interrogato ha presentato i dati aggregati dell'anagrafe nei primi giorni di agosto 2015, annunciando che erano terminati i rilievi da parte delle regioni su 42.292 edifici scolastici e che si era in attesa solo dell'8 per cento dei dati da parte dei comuni. La pubblicazione completa dei dati, come ribadito anche dalla sentenza del Tar del Lazio n. 3014 del 19 marzo 2014, deve essere resa pubblica ai sensi dell'articolo 52, comma 1, del decreto legislativo n. 82 del 2005, nel testo riformulato dall'articolo 9, del decreto- legge n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012 che dispone che: «Le pubbliche amministrazioni pubblicano nel proprio sito web, all'interno della sezione Trasparenza, valutazione e merito, il catalogo dei dati, dei metadati e delle relative banche dati in loro possesso ed i regolamenti che ne disciplinano l'esercizio della facoltà di accesso telematico e il riutilizzo, fatti salvi i dati presenti in Anagrafe tributaria»;
   attualmente, l'unico database ministeriale fruibile online dai cittadini, che riporti dati sui singoli edifici, risulta essere «Scuola in chiaro» (http://cercalatuascuola.istruzione.it/cercalatuascuola); si tratta di uno strumento nato nel 2011 che è stato ampliato con una sezione sull'edilizia scolastica. Secondo quanto riportato sul sito, la base informativa che alimenta l'applicazione è costituita da dati già presenti nel sistema informativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (continuamente aggiornati) e dalle informazioni inserite da ciascuna istituzione scolastica attraverso le funzioni presenti sul portale SIDI;
   per quanto riguarda l'edilizia però il suddetto sito riporta in realtà dati aggiornati all'anno scolastico 2014/2015 e risulta in generale estremamente lacunoso; inoltre, non sono presenti voci specifiche sul possesso di certificati di agibilità, collaudo statico, certificazioni igienico-sanitaria, prevenzione incendi;
   per il comune di Cortona, ad esempio, comune di residenza dell'interrogante, per la maggioranza dei casi a quanto risulta all'interrogante i dati della scheda edilizia sono assenti: su 45 plessi catalogati (tra scuole statali e paritarie), il 58 per cento non hanno comunicato i dati sull'edificio, o quantomeno gli stessi non sono disponibili sul portale; il 40 per cento risulta progettato o successivamente adeguato con la normativa antisismica. Per il comune di Arezzo, invece, i dati mancanti su 108 plessi registrati sono circa il 29 per cento, mentre gli edifici che risultano non adeguati con la normativa antisismica sarebbero quasi il 64 per cento –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per incrementare gli interventi di adeguamento sismico degli edifici scolastici, nonché il monitoraggio e le indagini diagnostiche, in modo da garantire un più soddisfacente livello di sicurezza di tali edifici;
   quali siano i motivi del ritardo nell'aggiornamento dei dati del sito «Scuola in chiaro» e della mancanza di informazioni determinanti come le certificazioni di collaudo statico, di agibilità, igienico-sanitarie, di prevenzione incendi degli edifici scolastici. (4-14286)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Cittadinanzattiva – organizzazione fondata nel 1978, che promuove l'attivismo dei cittadini per la tutela dei diritti, la cura dei beni comuni, il sostegno alle persone in condizioni di debolezza – ha presentato il XIV rapporto sulla sicurezza, qualità e accessibilità a scuola;
   nel rapporto si legge che le scuole italiane sono pericolanti, inaccessibili ai disabili e a rischio in caso di evento sismico, così come confermato dal terribile terremoto del centro Italia del 24 agosto 2016, dove la scuola di Amatrice (Rieti) è crollata quasi del tutto;
   fortunatamente, il periodo dell'anno e il fatto che la scossa sia avvenuta di notte hanno fatto sì che non ci siano stati feriti e morti dentro l'edificio, ma il crollo di una scuola ha portato a nuove discussioni sulla situazione degli edifici pubblici in Italia;
   Cittadinanzattiva denuncia che il 15 per cento degli edifici hanno lesioni strutturali; che solo l'8 per cento è stato progettato secondo le norme antisismiche, che due terzi non ha l'agibilità statica, che il 50 per cento è privo di palestra e il 23 per cento non dispone della mensa. Cosa ancor più grave nel rapporto si evidenzia che il 16 per cento delle aule non sono accessibili agli studenti disabili;
   sono state prese a campione circa 150 scuole nelle seguenti regioni: Piemonte, Lombardia, Lazio, Marche, Abruzzo, Molise, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna, dove si è riscontrato che negli ultimi tre anni, si sono verificati 112 crolli negli edifici scolastici, per un totale di 18 persone ferite;
   emerge quindi un quadro allarmante, se ricordiamo che al 29 per cento delle scuole che negli ultimi due anni hanno chiesto agli enti locali di intervenire, è stata data risposta negativa e un ente locale su tre non effettua interventi strutturali;
   un istituto scolastico su tre si trova in aree particolarmente rischiose a causa dell'elevata sismicità, ma solo l'8 per cento è stato progettato secondo la normativa antisismica;
   sempre il rapporto evidenzia che il 35 per cento delle scuole del campione monitorato possiede il certificato di agibilità statica, il 32 per cento quello di agibilità igienico-sanitaria, mentre il certificato di prevenzione incendi è presente appena nel 10 per cento delle scuole monitorate;
   oltre ai problemi legati all'agibilità e alla sicurezza nelle scuole pubbliche del Paese, va considerato che nella maggior parte dei casi gli studenti sono costretti a portarsi da casa la carta igienica e il sapone per le mani, nonostante sia prassi effettuare un «contributo economico volontario» che, di fatto, è obbligatorio;
   nel 50 per cento delle strutture scolastiche, dove non è presente la palestra – nonostante la legge n. 107 del 2015 e i buoni propositi del Governo in merito alle politiche sportive rivolte ai giovani –, gli studenti sono costretti a svolgere le attività di educazione motoria in cortili spesso non a norma, in palestre esterne, se disponibili, in spazi inadeguati sotto il profilo della sicurezza e dello sviluppo psicomotorio. Molto spesso i docenti si vedono costretti a rinunciare alle proprie ore d'insegnamento, svuotando così un importante momento del piano di offerta formativa;
   inoltre, per quanto riguarda le mense scolastiche, nel 23 per cento dei plessi privi di locale adeguato e idoneo, gli studenti sono costretti a pranzare nella classe utilizzate per le lezioni. Ciò a discapito delle buone pratiche che invece il momento dei vitto dovrebbe insegnare in materia di educazione alimentare;
   nei dati nazionali relativi all'anagrafe edilizia scolastica 2015 effettuati e resi noti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca emerge che la certificazione di agibilità per esempio è assente in oltre il 94 per cento delle scuole della regione Calabria e in circa la metà degli istituti di Lazio, Sicilia, Sardegna e Campania;
   nelle zone ad alto rischio sismico, soprattutto dove il recente terremoto ha colpito le province di Rieti, Ascoli Piceno, Fermo, l'Aquila, Teramo e Perugia, risulta che la certificazione di agibilità è presente solo nell'8 per cento delle scuole di Rieti e provincia, nel 23 per cento circa di quelle di L'Aquila e Teramo;
   altro dato allarmante emerge dai dati rilasciati dall'Inail riferiti al 2015: sono stati circa 79.505 gli studenti e 14.485 gli insegnanti coinvolti in incidenti a scuola e una scuola su tre è priva della cassetta di pronto soccorso;
   per quanto attiene ai distributori di bevande e cibo all'interno delle scuole, si evince che in nessuna scuola è stata rilevata la presenza di prodotti naturali e nella maggior parte, nessun prodotto destinato alle persone affette da celiachia nonostante la legge n. 123 del 2005 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e se quanto descritto nel rapporto di Cittadinanza corrisponde al vero;
   se non si ritenga urgente e necessario rendere noti i tempi e i costi dell'aggiornamento dell'Anagrafe dell'edilizia scolastica che sarebbe dovuto essere aggiornata a gennaio 2016;
   se non si ritenga di dover inserire nell'Anagrafe dell'edilizia scolastica i dati relativi alle certificazioni mai pubblicati;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per disporre ulteriori e capillari indagini nelle scuole pubbliche italiane al fine di rispondere, per quanto di competenza, alla domanda di interventi strutturali che si rendano improrogabili negli edifici scolastici anche in considerazione della riduzione dei trasferimenti statali;
   se non ritenga — anche in considerazione del recente crollo della scuola di Amatrice –, di dover assumere iniziative urgenti sulla messa in sicurezza degli edifici scolastici nelle zone a rischio terremoti;
   considerato che nelle zone a rischio sismico molte scuole sono prive delle certificazioni, se non ritenga improrogabile effettuare un'indagine per verificare la situazione attuale e prendere i dovuti accorgimenti per garantire scuole più sicure;
   quali siano i motivi che hanno portato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a prorogare al prossimo 31 dicembre 2016, il rilascio della certificazione della prevenzione incendi per gli edifici scolastici;
   come intenda intervenire il Governo per garantire l'applicazione della legge n. 107 del 2015 in relazione alla realizzazione o ristrutturazione di palestre scolastiche e di locali mensa, così come prescritto dalla stessa legge;
   se non ritenga doveroso in virtù dei principi di partecipazione e trasparenza, pubblicare i dati concernenti, i finanziamenti disposti ed erogati dal Governo sino a oggi alle scuole che ne abbiano fatto richiesta e le eventuali motivazioni che hanno portato a non concedere tali finanziamenti. (4-14288)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONETTI e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il «giallo» sull'ipotesi di taglio alle pensioni di reversibilità sembrava risolto dopo la modifica apportata al testo del disegno di legge delega sul contrasto alla povertà durante l'esame in prima lettura e dopo l'approvazione del documento di economia e finanza la scorsa primavera;
   con ben due tentativi, infatti, il Governo ha provato a far diventare le pensioni di reversibilità da «prestazioni a carattere previdenziale» a «prestazioni assistenziali», salvo poi fare marcia indietro dinanzi alle proteste corali;
   è rimasta comunque, ad avviso degli interroganti, l'ombra di uno scontro all'interno della maggioranza di Governo tra chi vuole un giro di vite sulle pensioni di reversibilità e chi invece no;
   il taglio alle pensioni di reversibilità, però, è riapparso in maniera subdola e infida, rendendo obbligatoria la dichiarazione della rilevanza C1 del modello RED, ovvero quella relativa a: interessi bancari, postali, dei Bot, dei Cct e dei titoli di Stato, proventi di quote di investimento, nonché del TFR e di tutte le altre voci prima escluse;
   stando alla normativa vigente (articolo 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995) ed alle relative circolari interpretative ed applicative (si veda ad esempio la circolare INPS n. 234 del 25 agosto 1995 e n. 38 del 20 febbraio 1996 e – da ultimo su questa linea – la n. 185 del 18 novembre 2015), infatti, i redditi da sempre presi in considerazione, ai fini del calcolo dell'integrazione al minimo ovvero della cumulabilità della pensione ai superstiti, sono stati assoggettabili ad Irpef, con esclusione, pertanto, agli effetti dell'applicazione delle riduzioni dei trattamenti di fine rapporto e di ogni altro reddito soggetto a ritenuta d'acconto alla fonte a titolo di imposta o di imposta sostitutiva, quindi dividendi e cedole di obbligazioni che sono tassati alla fonte o soggette ad imposta sostitutiva;
   invece, con la circolare n. 195 del 30 novembre 2015, relativa all'acquisizione dei redditi incidenti sulle prestazioni in godimento (campagna ordinaria RED ITA 2015), viene rappresentato un cambio di rotta, poiché, nel dettare le modalità di dichiarazione per il cittadino, si precisa che «Fra i redditi che, in base alle rilevanze, devono essere comunicati all'Istituto (...) Redditi da interessi bancari, postali, dei BOT, dei CCT e altri titoli di Stato, proventi di quote di investimento, soggetti a ritenuta d'acconto alla fonte a titolo d'imposta o sostitutiva dell'IRPEF. Tale tipologia di redditi da capitale, assolvendo una ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, non è presente nelle informazioni contenute nei modelli 730 o UNICO (...) Trattamenti di fine rapporto comunque denominati e relative anticipazioni (...);
   il RED, si ricorda, è un modello che i titolari di trattamenti pensionistici legati al reddito sono tenuti a presentare annualmente all'Inps a verifica e conferma del diritto ad usufruire della prestazione e dell'importo della medesima;
   la considerazione di rilevanze precedentemente non computate – e quindi non dichiarate – finirebbe inevitabilmente con l'incidere negativamente sugli scaglioni di reddito ai fini del calcolo della percentuale di riduzione dei trattamenti ai superstiti di cui alla tabella F della legge n. 335 del 1995, con un effetto retroattivo di taglio della pensione con un minimo del 25 per cento;
   l'aggiunta delle rilevanze richiamate in premessa nel modello RED ai sensi della richiamata circolare dell'Inps n. 195/2015 ad avviso degli interroganti va considerato come una maniera surrettizia di procedere al taglio delle prestazioni legate al reddito, quali appunto le reversibilità –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire affinché sia modificata la circolare 195/2015 dell'Inps ritornando alle casistiche precedenti così come da legge n. 355 del 1995. (5-09576)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, TRIPIEDI, BUSINAROLO, CANCELLERI, CARIELLO, CARINELLI, CASO, CASTELLI, COLONNESE, CORDA, COZZOLINO, CRIPPA, DA VILLA, DADONE, D'AMBROSIO, DE LORENZIS, DELLA VALLE, DELL'ORCO, DI BENEDETTO, LUIGI DI MAIO, MANLIO DI STEFANO, DI VITA, DIENI, D'INCÀ, D'UVA, FANTINATI, FICO, FRACCARO e VILLAROSA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   non vi è ancora un'univoca interpretazione sulla obbligatorietà dell'iscrizione dei professionisti o lavoratori esercenti attività autonome alla gestione separata INPS, istituita nel 1996;
   già a partire dall'anno 2009, l'Inps ha avviato la cosiddetta operazione Poseidone andando a verificare i redditi conseguiti da tali lavoratori autonomi nel 2004 e la corrispondente iscrizione ad una gestione previdenziale professionale;
   nello svolgimento dell'attività di accertamento dell'Istituto, in particolare nella verifica incrociata con le dichiarazioni reddituali (cosiddetta operazione Poseidone), nel corso della quale sono stati iscritti d'ufficio anche professionisti appartenenti ad albi professionali dotati di una propria Cassa previdenziale, sono emerse problematiche di applicazione tra quanto disciplinato dai regolamenti delle Casse previdenziali stesse, di cui ai decreti legislativi n. 509 del 1994 e n. 103 del 1996, e quanto previsto dalla normativa generale contenuta nella legge n. 335 del 1995 e nel relativo decreto attuativo decreto ministeriale n. 281 del 1996;
   l'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, prevede che «sono tenuti all'iscrizione presso una apposita Gestione separata, presso l'Inps e finalizzata all'estensione dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell'articolo 49 del testo unico delle imposte sui redditi»;
   per risolvere i dubbi interpretativi relativi alla individuazione dei soggetti tenuti all'iscrizione alla gestione separata il legislatore è già intervenuto con l'articolo 18 comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011, prevedendo che «L'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335 si interpreta nel senso che i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all'iscrizione presso l'apposita gestione separata Inps sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato all'iscrizione ad appositi albi professionali, ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11, in base ai rispettivi statuti e ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11»;
   in particolare per gli iscritti agli albi degli architetti ed ingegneri, la normativa che disciplina l'iscrizione ad Inarcassa è contenuta nell'articolo 21 della legge n. 6 del 1981 e negli articoli 7 e 23 dello statuto della Cassa;
   in virtù dei princìpi contenuti nella legge n. 335 del 1995, anche il professionista – ingegnere o architetto – non dipendente, che esercita in modo non esclusivo e continuativo la libera professione è soggetto esclusivamente ad una contribuzione previdenziale presso la relativa cassa previdenziale: Inarcassa. Se il professionista esercita in modo non esclusivo la libera professione ed è anche dipendente, ad esempio docente, il proprio datore di lavoro corrisponde all'ex Inpdap i relativi contributi previdenziali (l'Inpdap dal 1o gennaio 2012 è confluita nella «super Inps»);
   tuttavia, accade che l'Inps iscrive d'ufficio nella gestione separata Inps i professionisti ingegneri e architetti liberi professionisti che svolgono anche un'attività di lavoro dipendente ed invia provvedimenti di riscossione con la richiesta di pagamento di contributi omessi, applicando pesantissime sanzioni, in quanto essendo percettori di reddito professionale non avevano versato alcun contributo previdenziale su tale entrata;
   molti sono i professionisti ingegneri e architetti nonché dipendenti che hanno impugnato tali avvisi: la magistratura del lavoro adita con numerose pronunce di merito ha annullato gli avvisi di addebito emessi a titolo di omissione di contributi dovuti alla gestione separata dichiarando insussistente l'obbligo di iscrizione alla gestione separata e di versamento dei contributi a carico degli ingegneri ed architetti liberi professionisti nonché dipendenti, poiché l'iscrizione alla gestione separata ha carattere residuale essendo obbligatoria «esclusivamente» per i lavoratori autonomi che esercitano una professione per la quale non sia obbligatoria l'iscrizione ad appositi albi (come invece lo sono gli ingegneri ed architetti che sono iscritti al rispettivo albo) ovvero per coloro che, pur iscritti, svolgano un'attività non soggetta a versamento contributivo, quale che ne sia la tipologia e natura, agli enti di previdenza per i liberi professionisti (come invece accade per gli ingegneri e architetti che sono tenuti a versare contributi a Inarcasse sul reddito prodotto): secondo le pronunce della magistratura, i presupposti necessari per l'iscrizione alla gestione separata non ricorrono, dunque, per gli architetti e ingegneri che sono anche dipendenti, poiché sono iscritti ad un apposito albo professionale ed in relazione all'attività che svolgono sono tenuti già al versamento contributivo in favore di un ente di diritto privato (Inarcassa) compreso tra quelli di cui al comma 11 dell'articolo 18 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011 (tribunale di Avellino, sentenza n. 1108/2015; tribunale di Genova, sentenza n. 1327/2014; corte di appello di Genova, sentenza n. 322/2015; tribunale di Rieti, sentenza n. 339/2013; corte di appello di Torino, sentenza del 27 novembre 2014; tribunale di Venezia, sentenza n. 498/2015; tribunale di Palmi, sentenza n. 783/2015; tribunale di Napoli, sentenza del 7 novembre 2013; tribunale di Milano, sentenza del 19 febbraio 2014; tribunale di Milano, sentenza n. 1417/2015); in questo periodo di grande crisi dell'edilizia che coinvolge anche i professionisti ingegneri e architetti già sofferenti per una congiuntura economica assai critica, questo contributo alle casse dell'Inps risulta insostenibile anche per il costo delle spese legali da sostenere, oltre che non dovuto come confermato dalle pronunce della magistratura di merito;
   è evidente, a parere degli interroganti, che le pretese creditorie portate dall'Inps sono frutto di una non conforme interpretazione delle norme da parte dell'Inps che numerose pronunce di merito hanno censurato –:
   se sia corretto che l'Inps iscriva alla gestione separata tutti i professionisti, ingegneri ed architetti, che esercitano la libera professione e che risultano già provvisti di una altra posizione di previdenza o di un rapporto di lavoro;
   quali urgenti iniziative, alla luce del problema descritto, il Governo intenda assumere per sospendere e annullare i provvedimenti di riscossione emessi dall'Inps e quali iniziative intenda adottare al fine di garantire una corretta interpretazione dell'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 e dell'articolo 18, comma 12, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 11 del 2011 e di risolvere in tempi brevi il contenzioso crescente tra l'Inps e i professionisti interessati, sui quali non possono gravare gli effetti di una non conforme interpretazione della normativa e di differenti valutazioni da parte delle istituzioni interessate. (4-14274)


   CARFAGNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fondo per le non autosufficienze, istituito dall'articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) è uno dei principali strumenti con cui, a livello statale, vengono finanziati annualmente gli interventi dedicati alla sfera del sociale, in particolare per offrire copertura ai costi di rilevanza sociale dell'assistenza socio-sanitaria, attraverso il sostegno a persone con gravissima disabilità e ad anziani non autosufficienti, e favorirne la permanenza presso il proprio domicilio evitando il rischio di istituzionalizzazione;
   le risorse sono quindi destinate alla realizzazione di prestazioni, interventi e servizi assistenziali nell'ambito dell'offerta integrata di servizi socio-sanitari in grado di garantire i livelli essenziali delle prestazioni assistenziali a favore delle persone non autosufficienti;
   le risorse sono aggiuntive rispetto a quelle destinate alle prestazioni e ai servizi in favore delle persone non autosufficienti da parte delle regioni e delle autonomie locali;
   le risorse annualmente attribuite al fondo devono essere ripartite – con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti i Ministri interessati (il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie con delega in materia di politiche per la famiglia) e d'intesa con la Conferenza unificata – tra le regioni, i comuni e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   nel 2015 le risorse sono state ripartite con decreto interministeriale (Ministero dell'economia e delle finanze e Ministero del lavoro e delle politiche sociali) del 5 maggio 2015 per una quota pari a 278,2 milioni alle regioni e alle province autonome e per una quota pari a 34,8 milioni al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   ad oggi, lo stanziamento a regime del fondo per le non autosufficienze, a decorrere dal 2016, risulta pari a 400 milioni di euro;
   è noto come il 3 agosto 2016 la Conferenza unificata ha sancito l'intesa sullo schema di decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali recante il riparto delle risorse del fondo per le non autosufficienze per l'anno 2016;
   ad oggi però il medesimo decreto non risulta ancora approvato in via definitiva, determinando pertanto un notevole ritardo nella distribuzione di fondi vitali per una serie di interventi dedicati a persone assolutamente bisognose, che risentono tra l'altro dei numerosi tagli che molti comuni hanno applicato alla propria spesa destinata al sociale –:
   in quali tempi il Governo intenda adottare il decreto di riparto delle risorse del fondo per le non autosufficienze per l'anno 2016, dato il grave ritardo nell'assegnazione di risorse necessarie in particolare all'assistenza di persone con disabilità, il cui sostegno risente in maniera grave dei tagli applicati alla spesa sociale dagli enti locali. (4-14280)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'enfiteusi è un diritto reale ormai quasi completamente in disuso; fu usato soprattutto nell'800 per permettere agli agricoltori di avere pieni poteri sui fondi che coltivavano, con la possibilità per l'enfiteuta di affrancare il fondo divenendone proprietario. La costituzione dell'enfiteusi avviene per contratto, testamento o usucapione sia del diritto del concedente, che di quello dell'enfiteuta. L'enfiteuta ha molte delle facoltà che avrebbe il proprietario sul fondo (articolo 959 c.c.) ma non può alienarlo; può disporre del suo diritto sia per atto tra vivi che per testamento (articoli 965 e 967 c.c.), la forma scritta è richiesta a pena di nullità (articoli 1350, 2, c.c.) può affiancare il fondo in qualsiasi momento pagando al proprietario una somma pari a 15 volte il canone annuo (articolo 1, comma 4 della legge n. 607 del 1966) (articolo 971 c.c.), l'atto di affrancazione costituisce un diritto potestativo contro il quale il proprietario non può opporsi. Non è, inoltre, ammessa la subenfiteusi (articolo 968 c.c.) e l'enfiteuta ha l'obbligo di migliorare il fondo e ha l'obbligo di pagare un canone periodico che può consistere anche in una quantità fissa di prodotti naturali (articolo 960 c.c.). Il proprietario può chiedere la devoluzione (cioè la liberazione) del fondo enfiteutico se l'enfiteuta deteriora il fondo o non adempie all'obbligo di migliorarlo o, infine, è in mora nel pagamento di due annualità di canone (articolo 972 c.c.); quando cessa l'enfiteusi deve rimborsare l'enfiteuta dei miglioramenti e delle addizioni effettuate (articolo 975 c.c.); deve subire l'affrancazione del fondo. L'enfiteusi non può avere durata inferiore a venti anni, salvo il diritto di affrancazione e si può costituire in maniera perpetua; si prescrive per non uso ventennale. L'estinzione dell'enfiteusi può avvenire per decorso del termine eventualmente stabilito, per prescrizione ventennale, per affrancazione, per devoluzione, per perimento totale del fondo (articolo 963 c.c.);
   l'Agenzia del territorio, con circolare protocollo 29104 dell'11 maggio 2011, conferma l'esatta determinazione dei canoni enfiteutici periodici e del corrispondente capitale di affrancazione per fondi gravati, da enfiteusi. Nello specifico, vengono trattati i terreni di proprietà del Fondo edifici di culto concessi in enfiteusi e quindi tutti i terreni gravati da enfiteusi di cui al codice civile, da livello (equiparato ad un diritto di enfiteusi dalla giurisprudenza di legittimità – Cass. Civ. sez. III n. 64 del 1997 e, meno recentemente, Cass. n. 1366/1961 e Cass. 1682/1963 – E1) e da canoni (demaniali) di natura enfiteutica che fanno espresso riferimento all'utilizzo del reddito dominicale (legge n. 607 del 1966, legge n. 1138 del 1970, articolo 9 della legge regionale della Basilicata 57 del 2000 e successive modificazioni e integrazioni e altre norme). Viene dedotto che il capita di affrancazione è pari a 15 volte il canone, come stabilito dalla legge n. 607 del 1966 e dalla legge n. 1138 del 1970. Viene menzionata la precedente nota dipartimentale DC STE protocollo n. E2/1517 del 26 ottobre 2000, che ha statuito che il canone debba essere equiparato al reddito dominicale opportunamente attualizzato tramite idonei criteri di aggiornamento;
   in ossequio alla pronuncia della Corte Costituzionale, sentenza n. 143 del 1997, è stato precisato che, per le enfiteusi successive al 28 ottobre 1941 un'utile criterio di aggiornamento è quello individuato dalla legge n. 1138 del 1970 che fa riferimento all'indennità di esproprio dei fondi rustici per il calcolo del canone enfiteutico; se consegue che ogni qualvolta il reddito dominicale rivalutato risulti inferiore a tale soglia, il canone andrà di fatto rapportato a tale diversa misura pari alla quindicesima parte dell'indennità di esproprio, con conseguente aggiornamento anche del capitale di affrancazione che sarà pari per l'appunto all'indennità di esproprio. Per le enfiteusi antecedenti al 1941, avendo al Corte Costituzionale statuito, con la citata sentenza 143 del 1997, che «la diversità di trattamento non trova ragionevole giustificazione», è stato suggerito di utilizzare idonei coefficienti di aggiornamento del canone quali, ad esempio, quelli usati per calcolare le imposte sui redditi. Sulla scia di tale orientamento, la nota dipartimentale su citata del 2000 determinava il canone periodico moltiplicando il reddito dominicale per il coefficiente 1,80, posto che l'articolo 3, comma 50, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 prevede una rivalutazione del reddito dominicale dei terreni pari all'80 per cento;
   l'ultimo coefficiente di rivalutazione dei redditi dominicali (non soggetto a revisione dal lontano 1979) pare essere ancora quello dell'80 per cento, l'Agenzia del territorio ha rilevato che, operando in tal senso, si perviene comunque alla determinazione di somme non adeguatamente corrispondenti alla realtà economica. Per questo, l'Agenzia del territorio ha ritenuto più opportuno utilizzare, anche con riferimento alle enfiteusi antecedenti al 1941, il criterio dell'indennità di esproprio dei fondi rustici, sostanzialmente in linea con quanto statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 406 del 1988) in merito alla necessità di rapportare i canoni ed il capitale di affrancazione «alla effettiva realtà economica» (si veda anche, in proposito, il parere dell'Avvocatura distrettuale de L'Aquila CS 260 del 1999, recepito nella circolare del Ministero dell'interno n. 118 del 9 settembre 1999). Per tutte le enfiteusi su fondo agricola, il capitale di affrancazione ed i canoni andranno determinati facendo ricorso al criterio dell'indennità di esproprio e non piuttosto a quello del reddito dominicale rivalutato non più rispondente all'effettiva realtà economica;
   per quel che concerne, invece, le enfiteusi urbane l'Agenzia del territorio ha dichiarato di continuare a seguire il criterio di calcolo già esposto nella nata dipartimentale del 2000, determinando il canone con l'applicazione al valore dell'area edificabile e un equo saggio di rendimento, in quanto se si considerasse il valore venale del bene si determinerebbe un capitale di affrancazione eccessivamente oneroso per l'enfiteuta;
   in merito alla problematica dell'estinzione ex lege delle enfiteusi di cui all'articolo 60 della legge n. 222 del 1985 (che riguarda esclusivamente i terreni concessi dal Fondo edifici di culto) secondo cui si estinguono di diritto i rapporti enfiteutici per i quali il Fec abbia riscosso canoni inferiori alle lire 60.000 annue, il corrispondente canone per l'Agenzia del territorio andrà calcolato in relazione al valore del fondo accertato all'anno 1987;
   da qualche tempo, ad alcuni piccoli proprietari (per lo più braccianti o contadini) della provincia di Brindisi viene richiesto il pagamento di un canone enfiteutico, preteso da alcuni eredi di un vecchio concedente. Il canone vien chiesto in base a contratti di cui spesso neppure si trova traccia e che comunque risalgono ad almeno 70 anni. Gli eredi si rivolgono ad un giudice e ottengono una ingiunzione di pagamento del canone degli ultimi cinque anni (poiché le annualità precedenti sono prescritte), calcolato anche sulle migliorie apportate dal contadino-enfiteuta, mentre l'enfiteusi prevede che il canone sia calcolato sulla rendita iniziale, escluse le migliorie stesse. Questa situazione ha portato alla creazione del «Comitato No-Enfiteusi» che è riuscito a far approvare da diversi comuni del territorio brindisino una mozione dal testo seguente: «I Cittadini chiedono che il Consiglio Comunale si faccia parte attiva – insieme con i Consigli Comunali dei Paesi limitrofi interessati – presso i competenti organi democratico-rappresentativi e in particolare presso il Parlamento e il Presidente della Repubblica, per una soluzione legislativa al problema, poiché appare sommamente ingiusto che sia possibile ancora oggi chiedere i Canoni sui miglioramenti, a distanza di così tanto tempo, da considerare l'enfiteusi stesso un diritto non più effettivo»;
   con la delibera di giunta comunale n. 242 del 21 dicembre 2010, avente per oggetto la «Statuizione della somma minima e delle modalità di rogito e rappresentanza per gli atti di affrancazione dal diritto di enfiteusi», il comune di Ceglie Messapica (Brindisi) ha stabilito in 600 euro per ettaro e proporzionalmente, per maggiori estensioni (da introitare preventivamente sul Cap. 4020/0 «Proventi derivanti da alienazioni di immobili») la somma minima da versare per l'affrancazione dei fondi gravati da enfiteusi per il quale il comune brindisino è concedente –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se e con quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere ai fini delle modifica di una norma che, caso dopo caso, dimostra, a parere dell'interrogante, tutta la sua vetustà ed il suo anacronismo di applicazione, sia per quanto concerne i soggetti dei rapporto enfiteutico sia per la tipologia di terreno e che ha determinato, ad oggi, la situazione espressa in premessa. (5-09575)


   GALLINELLA, L'ABBATE e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'invito alla presentazione dei progetti campagna 2016/2017 relativo alla misura «promozione sui mercati dei Paesi terzi» dell'Organizzazione comune di mercato del vino, prevede che i soggetti proponenti, al fine di verificare l'applicabilità del criterio di priorità di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 11, del decreto ministeriale n. 32072 del 18 aprile 2016, dichiarino di essere «nuovi beneficiari»;
   la suddetta norma per «nuovo beneficiario» intende uno dei soggetti beneficiari in virtù di quanto disposto dall'articolo 3, che non hanno goduto dell'aiuto sulla misura promozione nel corso dell'attuale periodo di programmazione 2014-2018; nel caso di raggruppamenti, il requisito deve essere posseduto da tutti i partecipanti al raggruppamento medesimo;
   dall'elenco dei proponenti ammessi a graduatoria pubblicato il 26 luglio 2016, risulta tuttavia che tra i soggetti costituenti raggruppamenti o altre forme di natura consortile molti sono «vecchi beneficiari» e pertanto il relativo raggruppamento risulterebbe escluso dalla premialità legata al requisito di «nuovo»;
   a seguito di formali richieste di chiarimenti in merito a quanto sopra detto, risulta agli interroganti che il Ministero abbia disposto che i soggetti vecchi beneficiari, se messi insieme in un raggruppamento, diventano automaticamente nuovi beneficiari con diritto alla relativa premialità;
   a seguito di tale evidente confusione, derivante da una non corretta interpretazione della norma o da eventuali disattenzioni del comitato di valutazione, molti proponenti hanno presentato ricorso presso le competenti autorità e di fatto ad oggi il procedimento per l'assegnazione dei contributi risulta fermo anche per quei proponenti in regola con la premialità riguardo al vincolo «nuovi beneficiari» –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Ministro in relazione a quanto espresso in premessa e come intenda procedere al fine di sbloccare il procedimento per l'assegnazione dei contributi a valere sulla misura «promozione» prima della scadenza del termine del 15 ottobre 2016, entro il quale devono essere comunicati alla Commissione europea i nominativi dei soggetti in graduatoria. (5-09578)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LENZI, AMATO, BENI, PAOLA BOLDRINI, PAOLA BRAGANTINI, BURTONE, CAPONE, CARNEVALI, CASATI, D'INCECCO, FOSSATI, GRASSI, MIOTTO, MURER, PATRIARCA, PIAZZONI e SBROLLINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dall'entrata in vigore della legge 15 marzo 2010, n. 38, «Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore», è sempre maggiore il numero di pazienti che viene preso in carico dalle reti assistenziali preposte;
   come evidenziato già nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-08012 a prima firma Lenzi del 4 marzo 2016 a cui ancora non è stata data risposta da parte del Ministro competente, nell'ultima relazione sullo stato di attuazione della legge n. 38 del 2010 presentata in data 13 maggio 2015 al Parlamento è stato analizzato per ogni singola regione italiana lo stato di sviluppo delle reti delle cure palliative sul territorio nazionale, evidenziando i risultati ottenuti e le criticità ancora irrisolte;
   se tra i risultati ottenuti è da annoverare il trend decrescente del numero di pazienti deceduti in un reparto ospedaliero per acuti con una diagnosi neoplastica dall'altro si evidenzia come a tutt'oggi il diritto ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore sia ancora ben lontano dall'essere garantito per tutti coloro che ne abbiamo necessità. Da un lato, infatti, tale legge, primo esempio in Europa di legge quadro sulle cure palliative, ha aperto la strada ad un percorso di sempre maggiore definizione e appropriatezza, dall'altro lato emergono ancora numerose zone d'ombra relative agli standard strutturali e di processo significativi per garantire condizioni assistenziali di efficienza e di elevato livello qualitativo in tutto il territorio nazionale;
   secondo la mappa elaborata dalla Federazione italiana cure palliative gli hospice, in Italia, sono 230 per 2.524 posti letto dislocati a macchie di leopardo sul territorio. La regione con più strutture è la Lombardia (65 hospice, 744 posti letto pari a 0,7 posti per 10 mila abitanti), seguita dal Lazio (26 strutture, 348 posti letto pari a 0,6 posti per 10 mila abitanti) e dall'Emilia-Romagna mentre vi sono regioni come la Campania con suoi 68 posti letto che si ferma allo 0,1 o come la Calabria, che ha solo 20 posti letto;
   la maggior parte degli hospice è stata creata con i finanzi enti stanziati dalla «legge Bindi» nel 1999 e, ad oggi, alcune regioni non hanno ancora utilizzato tutti i fondi messi a disposizione in questo arco di tempo –:
   quale sia ad oggi, nelle singole regioni, la realizzazione operativa della rete delle cure palliative comprensiva degli hospice e se questa corrisponda ai fabbisogni odierni e, in particolare, quale siano le regioni che ancora risultino non aver speso i finanziamenti stanziati, nonché quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto di quelle regionali in materia, intenda assumere affinché si possa realizzare una rete eccellente in tutte le regioni italiane, garantendo così a tutti i cittadini il diritto alla salute, così come previsto nella Costituzione. (5-09563)


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, COLONNESE, NESCI, SILVIA GIORDANO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27-bis del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha previsto per i soggetti danneggiati da trasfusione con sangue infetto, o emoderivati infetti, o da vaccinazioni obbligatorie (o ai loro eredi, in caso decesso), il riconoscimento di una somma di denaro a titolo di equa riparazione per il danno subito;
   tale riconoscimento è destinato ai soggetti che abbiano presentato domanda di adesione alla procedura transattiva entro il 19 gennaio 2010, nonché ai loro aventi diritto;
   sul sito internet del Ministero della salute si legge che «(.....) Il Ministero invierà ai destinatari del beneficio, come individuati dalla normativa, una lettera raccomandata al fine di ottenere, nel termine indicato dalla stessa, la formale accettazione dell'equa riparazione e la formale rinuncia all'azione risarcitoria intrapresa, ivi compresa la procedura transattiva, e a ogni ulteriore pretesa di carattere risarcitoria nei confronti dello Stato anche in sede sovranazionale (....)», allegando altresì un fac-simile al quale il Ministero si è attenuto fino a non poco tempo fa;
   sta accadendo però che, contrariamente a quanto previsto dall'articolo 27-bis che statuisce che «La corresponsione è effettuata al netto di quanto già percepito a titolo di risarcimento del danno a seguito di sentenza esecutiva», in alcune lettere pervenute recentemente si faccia riferimento anche al fatto «di non aver percepito da alcuna pubblica amministrazione importi in denaro a titolo di risarcimento del danno (...) e somme in applicazione dell'atto transattivo»;
   è evidente come questa nuova espressione appaia in contrasto con quanto sancito dall'articolo di legge e non si capisce la finalità del suo inserimento in seno alle lettere inviate agli aventi diritto –:
   quale sia la motivazione per la quale il Ministero abbia richiesto ulteriori informazioni, in ogni caso non attinenti al tenore della legge 24 giugno 2014, n.90, agli aventi diritto all'equa riparazione;
   se non ritenga opportuno evitare di richiedere informazioni ulteriori di cui alle ultime lettere di cui in premessa, relative ad eventuali somme percepite dalla pubblica amministrazione a seguito di transazioni effettuate, modificando la formulazione delle lettere stesse. (5-09582)

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il piano sanitario regionale della regione Sicilia, predisposto dall'assessore regionale, presenta, a giudizio dell'interrogante, notevoli carenze e gravi criticità;
   infatti, la regione, nel predisporre il suddetto piano, ha dimostrato ancora una volta di trascurare le esigenze dei cittadini e degli operatori sanitari. In particolare, è necessario sottolineare una grave diminuzione dei posti letto nell'ospedale di Ragusa e nell'ospedale di Modica (dove addirittura i posti letto cancellati sono 32);
   tra l'altro, viene fortemente penalizzato il pronto soccorso del presidio ospedaliero di Modica che già aveva numerosi problemi da risolvere. Infatti, mentre aumentano le richieste da parte dei cittadini di poter usufruire del pronto soccorso, si limitano le capacità di tale servizio con tagli ingiustificati e dannosi per i cittadini;
   un piano sanitario che, pertanto, non tiene conto delle esigenze della popolazione e che penalizza territori, come la cittadina di Modica, già interessati da una grave crisi economica e sociale. I «tagli» suddetti determineranno gravi problemi per tutta la sanità dell'isola e non produrranno, a parere dell'interrogante, risparmi evidenti di spesa. Al contrario, si ridurranno le prestazioni nei confronti dei cittadini;
   la legge 5 maggio 2009, n. 42, «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», prevede il superamento del criterio della spesa storica a favore del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni attinenti ai diritti sociali;
   il piano della salute, pertanto, interviene per armonizzare e rendere coerente la programmazione regionale alle indicazioni contenute nel quadro normativo sia regionale che statale. A parere dell'interrogante, lo stesso piano non presenta standard di efficienza ed appropriatezza, ma, al contrario, limita i livelli essenziali di assistenza dei cittadini siciliani –:
   quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze e alla luce del piano sanitario regionale della Sicilia, affinché siano assicurati i livelli essenziali di assistenza dei cittadini che non devono essere in alcun modo compressi e limitati. (4-14275)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società servizi per l'igiene del territorio – SER.I.T. Srl – è una società a totale partecipazione pubblica posseduta dal comune di Verona per il doppio tramite di AGSM s.p.a. (100 per cento comune di Verona) e AMIA s.p.a. (100 per cento comune di Verona) nonché da altri comuni della provincia veronese;
   la società Servizi Igiene Territoriali – SER.I.T. srl, a quanto consta all'interrogante, ha affidato direttamente ad un soggetto la realizzazione di una infrastruttura relativa alla propria attività nonché l'esecuzione dei lavori di urbanizzazione dell'area interessata;
   sul sito della società si legge che «si tratta di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento di AMIA S.p.A»;
   AMIA s.p.a. è una società di pubblico servizio;
   la gestione dei rifiuti è un servizio pubblico e SER.I.T. srl è stata costituita per soddisfare bisogni di carattere generale come, peraltro, emerge nel suo oggetto sociale ovvero «gestione di servizi di pubblico interesse»;
   l'articolo 3, comma 26, del decreto-legge n. 163 del 2006 definisce organismo di diritto pubblico qualsiasi organismo, anche in forma societaria:
    a) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
    b) dotato di personalità giuridica;
    c) cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico;
   stando all'articolato precedente, SER.I.T. srl soddisfa esigenze di carattere generale, è dotata di personalità giuridica, la sua gestione è soggetta ad attività di direzione e coordinamento di AMIA s.p.a. quest'ultima società concessionaria di pubblico servizio e l'organo di amministrazione di SER.I.T. srl è designato da enti pubblici territoriali e da organismi di diritto pubblico;
   SER.I.T. srl non opera in regime di libera concorrenza, bensì di monopolio dato che l'attività di raccolta dei rifiuti è stata ad essa affidata «in house» dai comuni nei quali la stessa opera e senza che altri soggetti possano svolgere attività analoga;
   se SER.I.T. srl, diversamente da come ha operato, avrebbe dovuto attivare una procedura concorsuale per la scelta del realizzatore di un'opera di urbanizzazione, per la scelta della società di leasing e per la scelta della banca che ha concesso il mutuo chirografario così come prevede il decreto-legge n. 163 del 2006 che impone le gare pubbliche in tutta una serie di ipotesi di affidamento di lavori, servizi, forniture, affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici, dai concessionari di lavori pubblici, e dalle società con capitale pubblico e quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere, anche sul piano normativo, per evitare il ripetersi di casi analoghi. (4-14287)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CANI e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 settembre 2016 il management della Vesuvius, società operante nel campo della produzione di materiale refrattario destinato al comparto siderurgico nazionale ed estero con impianti in Abruzzo e Sardegna ha comunicato ai rappresentanti istituzionali delle due regioni e alle organizzazioni sindacali nazionali regionali e di categoria la volontà entro il 31 dicembre 2016 di chiudere i suddetti stabilimenti e il conseguente licenziamento delle maestranze;
   presso gli stabilimenti di Avezzano e Macchiareddu (polo industriale di Assemini) lavorano oltre 400 persone tra diretti e indotto e che hanno un importantissimo know how;
   l'annuncio ha destato forte preoccupazione tra i lavoratori e i comprensori territoriali interessati anche per le indiscutibili ripercussioni negative su tessuti economici e sociali fragili e già duramente colpiti dalla crisi degli ultimi anni;
   le conseguenze di tale decisione rischiano inoltre di riverberarsi su tutto il settore siderurgico italiano che già sta attraversando una fase delicatissima –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, con la massima rapidità, al fine di scongiurare la chiusura degli impianti e la conseguente perdita di 400 posti di lavoro, verificando la possibilità di individuare soluzioni che ne consentano la prosecuzione dell'attività in un settore strategico per l'industria italiana. (5-09559)


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Tivoli il 1o agosto 2016 ha dichiarato fallita la Icot Tec spa una delle tre aziende del gruppo Icot (le altre due sono Icot Spa ed Icot Engineering);
   il gruppo era suddiviso nei cantieri di Forlì, Pesaro e Roma e occupava a gennaio 260 dipendenti (Forlì 140, Pesaro 50 e Roma 70). In questi 7 mesi senza stipendio molti di loro si sono dimessi, perché non potevano più andare avanti in quelle condizioni e sono andati in disoccupazione, mentre i più fortunati sono riusciti a ricollocarsi in aziende del settore;
   attualmente il gruppo Icot occupa meno di 100 dipendenti in cassa integrazione straordinaria dai primi giorni di luglio 2016, quando hanno smesso di arrivare ordini da Telecom poiché Icot non era più nelle condizioni di svolgerli vista la mancanza del minimo indispensabile come il combustibile per i mezzi o il materiale per eseguire il lavoro;
   l'azienda ha sempre lamentato il fatto di non avere ricevuto finanziamenti dalle banche, nonostante accordi che li prevedevano, e le banche a loro volta sottolineavano una situazione debitoria dell'azienda insostenibile e quindi non più finanziabile;
   fin dal 2012 i sindacati territoriali di Forlì, Pesaro e Roma hanno chiesto dei cambiamenti nell'organizzazione del lavoro e un piano industriale per rilanciare l'azienda;
   sono molti gli interrogativi sulle due società del gruppo rimaste visto che i contratti con Telecom erano in capo a Icot Tec;
   le ditte Telco e Tecnoweb sono realtà nate nel 2001 e nel 2007. Hanno in totale 60 dipendenti, tra i quali operai altamente specializzati, escavatoristi, assistenti tecnici e assistenti amministrativi;
   le attività svolte sono relative all’assurance delivery (impianti d'abbonato e bonifica impulsiva), tecnologi (opere stradali e realizzazione opere interrate), Ngan, giunzione terminazione e collaudo cavi in rame e fibre ottiche;
   il fatturato annuale delle due aziende è di circa 3.500.000 di euro;
   sono aziende, che a quanto consta all'interrogante vantano un credito di 1.500.000 di euro verso Icot Tec spa, ma con grandi potenzialità essendo nella regione Marche tra le aziende più numerose dal punto di vista del personale che esegue questa tipologia di lavoro, tanto da essere state premiate nel mese di febbraio 2016 tra le eccellenze delle Marche per innovazione e tecnologia –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra e se intenda promuovere un tavolo di confronto, con la presenza di Telecom, per tutelare i posti di lavoro rimasti e chiarire, anche interpellando Telecom, come essa intenda riassegnare i territori che aveva dato in appalto a Icot; quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione alle ditte Telco e Tecnoweb. (5-09566)


   ALBANELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un territorio già segnato da una profonda crisi economica ed occupazionale quale quello della provincia di Catania, sulla città di Paternò si è abbattuta la notizia del possibile licenziamento di ben 585 posti di lavoro della società di call center Qè, che gestisce commesse statali inbound come Enel ed INPS, quest'ultima attraverso subappalto con Transcom Worl Wide Spa competitor nazionale, e commesse come Wind e Sky outbound;
   si tratta del drammatico epilogo di una fallimentare gestione che, a seguito delle forti pressioni sindacali, è stata certificata nel giugno 2016 con l'approvazione del bilancio consuntivo dal quale emerge un debito di circa 6,5 milioni di euro dei quali, secondo le stesse dichiarazioni dell'amministratore unico, la maggior parte deriverebbe dal mancato pagamento dell'IVA, con conseguente attestazione di evasione fiscale;
   nell'aprile 2015 è iniziata la cassa integrazione e un anno dopo il licenziamento per duecento lavoratori a progetto. Nello scorso mese di maggio i contratti di solidarietà che hanno evitato i 90 esuberi richiesti dall'azienda, ma dal medesimo mese vengono pagati gli stipendi e non si ricevono nemmeno i contributi Inps;
   nel corso dell'incontro recentemente tenutosi presso la prefettura di Catania per il salvataggio dell'impresa di Paternò, le società Gpi e Transcom, che avevano manifestato l'interesse ad acquistare il call center, hanno fatto un passo indietro e sembra allontanarsi anche l'ipotesi di affitto di parte dell'azienda, l'unica prospettiva di continuità lavorativa sembrerebbe riguardare solo i 90 lavoratori impegnati nelle commesse Wind ed Enel, per i quali potrebbe profilarsi un subentro;
   appare di tutta evidenza la necessità di una gestione di tale crisi aziendale che vada oltre la dimensione locale e che metta in campo ogni iniziativa utile per scongiurare un esito occupazionale tanto pesante in una regione che già sconta tassi di disoccupazione drammatici –:
   quali iniziative intendano assumere al fine di convocare un tavolo di concertazione, con la partecipazione di tutti i soggetti sociali ed istituzionali interessati, affinché vengano salvaguardati i livelli occupazionali esistenti nel settore dei call center nella città di Paternò. (5-09574)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi le vicende della Tirreno Power di Civitavecchia stanno prendendo una piega sempre peggiore: il rischio serio è la chiusura dell'azienda con conseguente perdita di posti di lavoro;
   il 19 luglio 2016 il sindaco di Civitavecchia Antonio Cozzolino, dopo una serie di confronti con l'azienda e le organizzazioni sindacali in cui l'azienda non ha mostrato la volontà di presentare un piano concreto di risanamento, ha scritto al Ministero dello sviluppo economico, alla regione Lazio, ai consiglieri regionali del territorio di Civitavecchia e a Tirreno Power chiedendo di aprire un tavolo di confronto sul futuro dell'azienda. Tale richiesta è rimasta senza risposta;
   nonostante questo, il 7 settembre 2016 Tirreno Power, come temuto, ha confermato una pesantissima situazione debitoria dando via ai licenziamenti di 186 dipendenti di cui 46 impiegati presso la centrale di Civitavecchia. In questo modo, la cittadina laziale, oltre a subire i danni derivanti dalle servitù energetiche, viene pesantemente penalizzata anche da un punto di vista occupazionale;
   l'assessorato al lavoro della regione Lazio, ha tentato a giudizio dell'interrogante in modo evidentemente e tragicamente fallimentare di gestire la vicenda, peraltro estromettendo l'ente locale interessato, nonostante la solidarietà e il fattivo e propositivo interesse dimostrato dall'amministrazione comunale di Civitavecchia ad un ruolo attivo nella risoluzione della vicenda –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover aprire un tavolo di confronto a livello centrale, coinvolgendo anche il comune di Civitavecchia, vista l'incapacità, ad avviso dell'interrogante, dimostrata dalla regione Lazio nella risoluzione di una crisi aziendale che sta creando un serio danno ai livelli occupazionali della cittadina laziale e che lascia lavoratori di Tirreno Power senza alcuna certezza circa il proprio futuro. (4-14298)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  La interrogazione a risposta in Commissione Vico n. 5-06958, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Benamati.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Rosato n. 1-01292, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 632 del 26 maggio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    dopo la costituzione dello Stato islamico, la popolazione yazida residente al confine tra l'Iraq e la Siria è divenuta oggetto di persecuzioni, abusi e violenze da parte dei guerriglieri dell'Is;
    migliaia di persone sono state costrette a fuggire dalle zone di origine, nei pressi della città di Mosul, per sottrarsi ai massacri e alle torture perpetrate ai loro danni;
    l'applicazione della legge islamica nei territori conquistati dall'Is ha determinato la costituzione di tribunali che irrogano pene disumane, come la lapidazione e l'amputazione;
    è giunta persino notizia che alcuni adolescenti sarebbero stati condannati a morte, solo per aver guardato una partita di calcio;
    testimonianze riportano che i militanti dell'Is seminano terrore e agiscono con ferocia inaudita contro le minoranze, con pubbliche esecuzioni, stuprando e schiavizzando donne e bambini;
    secondo le informazioni riportate, sarebbero diverse migliaia le vittime delle violenze e oltre 3.500 le donne yazide tuttora prigioniere dell'Is;
    la ventunenne yazida irachena Nadia Murad Basee Taha è stata sottratta alla sua vita quotidiana e violentata ripetutamente dai miliziani di Is; fuggita dopo 3 mesi ha potuto raccontare gli scenari di brutali violenze e la sua testimonianza ha dato conto delle innumerevoli donne violate e costrette con la forza a contrarre matrimonio con i soldati del califfato; ridotte in schiavitù e vendute come merce di scambio, molte di loro non hanno saputo resistere agli abusi ed hanno scelto l'alternativa del suicidio;
    la giovane donna, nel corso di diversi incontri presso il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il Parlamento europeo, l'House of Commons e, più recentemente, presso le due Camere del Parlamento italiano, ha chiesto che la comunità internazionale si adoperi affinché il massacro del popolo yazida, che si sta consumando al confine tra l'Iraq e la Siria, venga riconosciuto come genocidio delle leggi internazionali;
    nel mese di gennaio 2015, il Santo Padre lanciò un appello, affinché si ponesse fine alle persecuzioni e alle sofferenze del popolo yazida e di altre minoranze nel nord dell'Iraq e si ripristinassero giustizia e condizioni per una vita libera e pacifica;
    il Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, nel rapporto consegnato nel marzo 2015, ha denunciato la gravità delle azioni commesse dallo Stato islamico nei confronti degli yazidi dell'Iraq, classificabili come crimini contro l'umanità, ed ha affermato che le autorità islamiche dovranno rispondere di genocidio davanti alla Corte penale internazionale;
    il Segretario di Stato degli Stati Uniti d'America, John Kerry, nel mese di marzo 2016, ha definito come genocidio i crimini commessi dallo Stato islamico;
    il 31 marzo 2016 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che, in modo analogo, classifica come genocidio le esecuzioni sistematiche e le violenze dei guerriglieri dell'Is ai danni delle minoranze religiose in Iraq e in Siria;
    il genocidio è definito, in conformità alla risoluzione n. 260 del 1948, con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio», come ciascuno degli atti commessi con «l'intenzione di distruggere in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»;
    le violenze efferate compiute dall'Is nei confronti della minoranza yazida si configurano come atti riconducibili a tale definizione;
    la violenza sessuale nei conflitti è una violazione dei diritti umani, è contraria al diritto internazionale e compromette la sicurezza e la pace internazionale, accentua le discriminazioni di genere e ostacola il raggiungimento di una pace sostenibile nelle società post conflitto,

impegna il Governo:

   a promuovere, anche in coordinamento con i partner dell'Unione europea, ogni iniziativa volta al riconoscimento nelle competenti sedi internazionali del genocidio yazida e all'avvio di un procedimento contro i responsabili presso la Corte penale internazionale;
   ad adoperarsi, d'intesa con gli altri Paesi dell'Unione europea, nel quadro degli strumenti a disposizione della comunità internazionale, in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite, per far cessare ogni violenza nei confronti della popolazione yazida;
   ad assumere iniziative per realizzare corridoi umanitari al fine di favorire l'arrivo di aiuti internazionali a sostegno della popolazione civile colpita dalle violenze;
   a soccorrere, attraverso specifiche iniziative di assistenza umanitaria e sanitaria, le vittime della violenza.
(1-01292)
(Nuova formulazione) «Rosato, Quartapelle Procopio, Tidei, Gribaudo, Malisani, Carrozza, Cassano, Censore, Chaouki, Cimbro, Gianni Farina, Fedi, Garavini, La Marca, Manciulli, Monaco, Nicoletti, Pinna, Porta, Rigoni, Andrea Romano, Sereni, Speranza, Tacconi, Zampa, Vico».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Arlotti n. 7-00773, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 483 d 116 settembre 2015.

   Le Commissioni IX e X,
   premesso che:
    l'Italia si conferma primo produttore europeo di biciclette in Europa con 2.728.600 esemplari prodotti nel 2014, in crescita del 2,1 per cento sull'anno precedente;
    sono presenti in Italia circa 25 milioni di biciclette con 12 milioni di ciclisti che usano frequentemente le due ruote: dal rapporto Isfort Audimob (2014) sulla mobilità degli italiani si rileva che la domanda di mobilità abbia preferito più spostamenti a piedi (15,9 per cento), in bici (3,8 per cento) e anche con il mezzo pubblico (10,8 per cento), mentre il mezzo privato perde il 3,6 per cento rispetto al 2013. La bicicletta aumenta le sue quote modali in tutte le ripartizioni territoriali: Nord-ovest +0,4 per cento, Nord-est +0,9 per cento, Centro +0,9 per cento e Mezzogiorno +1 per cento. Gli amanti della bicicletta raddoppiano le percorrenze rispetto ai pedoni, si muovono su itinerari intorno ai 4 chilometri con una velocità media di circa 16 km/h;
    l'utilizzo della bicicletta, ossia il cicloturismo può rappresentare un'importante leva economica per il turismo nazionale: secondo dati Enit infatti, il ritorno economico del cicloturismo ha una potenzialità di 3,2 miliardi di euro di fatturato all'anno;
    nel 2013-2014 circa 450 mila cicloturisti hanno visitato l'Italia e il settore ha prodotto un giro di affari da 44 miliardi di euro e circa 20 milioni di pernottamenti nelle strutture ricettive;
    le destinazioni cicloturistiche italiane più richieste sono Toscana, Veneto, Trentino e Dolomiti, Emilia-Romagna, lago di Garda, visitate non solo nei mesi estivi, ma anche in quelli immediatamente precedenti e successivi (ovvero marzo e aprile, settembre e ottobre);
    i cicloturisti in Italia sono per il 61 per cento stranieri (soprattutto tedeschi, inglesi, scandinavi, olandesi, svizzeri, ma anche americani, australiani e canadesi) e 39 per cento italiani; il profilo del cicloturista verso l'Italia è quello di un turista di livello economico e culturale medio-alto, per il 48 per cento si tratta di coppie, per il 28 per cento famiglie e il 14 per cento gruppi e l'età media è 40-45 anni;
    le strutture scelte dai cicloturisti sono generalmente dotate di standard e livelli di comfort medio-alti, da 3 stelle in su: la preferenza va a quelle alberghiere (20,5 per cento), agriturismo 19,5 per cento, Bed and breakfast 18,5 per cento), appartamento 14 per cento, campeggio 8,5 per cento, camper (11 per cento);
    particolare rilievo nell'offerta turistica dedicata a questo segmento hanno i bike hotels e gli alberghi bike friendly, generalmente uniti in consorzi, che dedicano servizi specifici ai cicloturisti;
    le numerose manifestazioni di cicloturismo e amatoriali italiane (Nove Colli in Romagna, Maratona des Dolomites, Granfondo delle 5 Terre, solo per citarne alcune) vedono la partecipazione di migliaia di ciclisti e in molti casi rappresentano un veicolo promozionale straordinario producendo un forte indotto turistico grazie alle specificità e alle caratteristiche del prodotto che viene promozionato;
    la promozione e lo sviluppo dell'uso della bicicletta sia per gli spostamenti quotidiani (casa, scuola, lavoro e servizi), sia per le attività turistico-ricreative (cicloturismo) sono temi particolarmente presenti nel dibattito politico sia a livello nazionale che locale: ad esempio, la proposta di legge C. 2305 «Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica», abbinata ad altre 5 proposte di legge in materia, prevede disposizioni sulla mobilità ciclistica, specie per quanto riguarda le competenze degli enti locali, l'intermodalità bici e trasporto pubblico locale e la classificazione delle ciclovie;
    se il costo previsto per una pista ciclabile può arrivare fino a 400 euro al metro, studi internazionali dimostrano che ogni euro investito in questo settore ne restituisce 4 o 5 alla collettività in meno di tre anni;
    a livello europeo esiste il progetto EuroVelo, la rete ciclabile europea, teso a sviluppare una rete di 12 itinerari-ciclabili di lunga percorrenza attraverso tutto il continente europeo che prevede oltre 70.000 chilometri di rete ciclabile di cui più di 40.000 chilometri già in essere;
    dentro EuroVelo, l'Italia attraverso l'Enit partecipa a EuroVelo8, la pista ciclabile del Mediterraneo che vede cooperare un network transnazionale di 13 partner, ed è interessata per una lunghezza di 965 chilometri;
    la delibera del CIPE n. 1/2001 del 1o febbraio 2001, individua la Rete nazionale di percorribilità ciclistica (RNPC)-Bicitalia quale rete infrastrutturale di livello nazionale integrata nel sistema della rete ciclabile transeuropea EuroVelo e la dichiara di interesse strategico nazionale;
    il decreto-legge n. 83 del 2014 (cosiddetto Art-bonus) ha previsto l'adozione di un piano straordinario della mobilità turistica e la convocazione da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) di apposite conferenze di servizi per semplificare e velocizzare il rilascio di atti autorizzativi di varia natura relativi alla realizzazione di circuiti nazionali di eccellenza;
    il cicloturismo, che muove ogni anno in Europa oltre 10 milioni di persone, può essere incrementato e valorizzato in Italia attraverso l'utilizzo di un sistema di reti ciclabili a diversi livelli che, partendo dall'implementazione e dalla manutenzione delle reti esistenti di percorribilità ciclistica, consentano di offrire percorsi e luoghi che siano meta per i cicloturisti;
    una rete nazionale dei percorsi naturalistici e culturali per le due ruote insieme al potenziamento e alla valorizzazione dei bike hotel potenzierebbe l'offerta turistica per i cicloamatori attraverso la creazione di pacchetti turistici completi con percorsi costituiti da luoghi di ristoro e di accoglienza, punti di assistenza tecnica, proposte culturali e percorsi enogastronomici;
    la realizzazione di ciclovie di media e lunga percorrenza a fini prevalentemente ricreativi e turistici sta diventando una esigenza sempre più sentita dalle amministrazioni a vari livelli, presso le quali va crescendo di giorno in giorno la consapevolezza della necessità di valorizzare i propri territori all'insegna della sostenibilità: a livello nazionale esiste la proposta di rete ciclabile nazionale Bicitalia, un network nazionale che considera esclusivamente gli ambiti di collegamento di grande respiro, ovvero itinerari, ad uso della bicicletta di dimensione sovraregionale o di collegamento con i Paesi confinanti;
    in alcune regioni vi è una forte attività sul tema della mobilità ciclistica, ma sembrerebbe emergere il bisogno di coordinamento attraverso una cabina di regia che provveda a gestire più aree di azione, tra le quali i finanziamenti, l'omogeneità realizzativa, la valorizzazione dei territori più vocati; nuovi club di prodotto dedicati, segnaletica cicloturistica, pubblicazioni, cartografie e intermodalità con il treno,

impegnano il Governo:

   a favorire, sostenere e sviluppare le potenzialità del cicloturismo con attività di promo-commercializzazione che coinvolgano la filiera costituita da Enit, APT regionali, Unioni di prodotto e consorzi, valorizzando l'offerta turistica di prodotti e pacchetti specifici, promuovendo le manifestazioni e gli eventi già esistenti e favorendo la costruzione di offerte tematiche differenti integrate lungo uno stesso percorso o differenziate per percorsi e legate al paesaggio, all'archeologia, ai beni culturali, ai pellegrinaggi, all'enogastronomia;
   a costruire sinergie a livello nazionale con il coordinamento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il coinvolgimento degli operatori del settore del turismo, stanziando risorse specifiche e favorendo strategie di promozione del settore del cicloturismo nazionale e dei percorsi sovraregionali che tengano conto della percezione del nostro Paese da parte degli stranieri;
   a favorire i processi di digitalizzazione delle informazioni e delle caratteristiche dei percorsi e dei luoghi interessati al cicloturismo;
   ad effettuare il monitoraggio periodico sullo stato di avanzamento dei lavori dei percorsi ciclabili e dei progetti Bicitalia ed EuroVelo, verificando in particolare la messa in sicurezza e lo stato manutentivo di strade e ciclovie.
(7-00773)
«Arlotti, Gandolfi, Benamati, Braga, Borghi, Senaldi, Amato, Narduolo, Capone, Petrini, Terrosi, Giacobbe, Camani, Moretto, Stella Bianchi, Lodolini, Antezza, Romanini, Patriarca, Sbrollini, Carloni, Marco Di Maio, Scuvera, Patrizia Maestri, Cominelli, Paola Boldrini, Galperti, Gadda, Mura, Cani, Giovanna Sanna, Zardini, Folino, Castricone, Fossati, Montroni, Cenni, Iori, Lattuca, Donati, Brandolin, Ascani, Cova».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione L'Abbate n. 7-01045, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 648 del 6 luglio 2016.

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la crisi che ormai da tempo interessa il settore cerealicolo nazionale rappresenta una vera e propria emergenza e l'individuazione di misure atte a contenere la pesante situazione di mercato, unitamente ad una ristrutturazione complessiva della filiera, sono interventi che non possono essere più rimandati;
    tra le criticità più significative, oltre al fatto che il comparto opera in un contesto internazionale estremamente instabile e condizionato da una serie di dinamiche non strettamente correlate con la legge della domanda e dell'offerta, si segnalano sicuramente: l'elevata frammentazione della superficie colturale, con costi del terreno e di impresa nettamente superiori ad altre realtà e conseguente perdita di competitività da parte delle imprese nazionali; elevati costi di produzione e diminuzione costante dei prezzi che costringe la fase agricola a lavorare spesso sottocosto; spontaneismo ed eterogeneità delle produzioni raramente collegate agli andamenti reali dei consumi; diversità degli ambienti pedoclimatici e alta differenziazione quantitativa e qualitativa delle produzioni; scarsa concentrazione dell'offerta; difficoltà nella gestione commerciale causata dalla prevalenza del conto deposito rispetto al conto conferimento e attività di ricerca varietale non sempre rispondente alle reali esigenze di mercato;
    ad alimentare le debolezze del settore contribuiscono poi le mutate strategie dell'industria di trasformazione: l'organizzazione e la concentrazione degli operatori comporta nuove esigenze di fornitura che la filiera non sembra saper soddisfare;
    la questione organizzativa della produzione appare pertanto uno dei nodi strutturali più rilevanti: l'organizzazione di filiera è indispensabile non solo per affrontare le sfide del mercato globale ma anche per aumentare la capacità di negoziazione della parte agricola e qualificare e valorizzare il prodotto;
    al fine di consentire ai produttori di poter collocare il proprio prodotto ad un prezzo congruo e di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione di prezzi è indispensabile la costituzione di una Commissione Unica nazionale del settore cerealicolo di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91;
    la cerealicoltura italiana è stata finora fortemente condizionata dalle politiche attuate, per le quali gli interventi applicati non sempre hanno prodotto innovazione, spesso determinando invece un incremento delle superfici coltivate a discapito della qualità dei prodotti e dell'impatto ambientale;
    la strutturazione della filiera nazionale cerealicola non può prescindere dalla adozione di sistemi di coltivazione sostenibili e più efficienti basati su tecniche produttive conservative (ad esempio lavorazioni ridotte, semina su sodo, rotazioni) e di precisione;
    il settore si sta confrontando con nuove normative in tema di sicurezza alimentare, aspetto che determina una maggiore attenzione alle caratteristiche igienico-sanitarie della granella e che evidenzia caratteristiche di salubrità e minor rischio dei prodotti cerealicoli nazionali rappresentando un vantaggio competitivo per l'offerta sul mercato interno;
    predisposizione di un piano proteico nazionale integrato con quello cerealicolo, anche alla luce delle rinnovate resistenze verso le coltivazioni geneticamente modificate, darebbe un valido contributo alla necessità di qualificare la produzione agricola nazionale anche nel settore mangimistico, oltre ad impattare positivamente su tutte le filiere zootecniche di qualità;
    è condiviso il convincimento secondo cui per lo sviluppo delle filiera è necessario sostenere la ricerca, affinché sia più efficiente ed efficace in un settore strategico come quello dei cereali, favorendo una maggiore interazione tra chi produce innovazione e chi la utilizza,

impegna il Governo:

   a predisporre urgentemente un piano nazionale del settore cerealicolo ed in particolare a:
    a) promuovere ed incentivare, anche alla luce della recente normativa comunitaria in materia di organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, l'organizzazione di filiera delle produzioni cerealicole, attraverso il sostegno alla costituzione di organizzazioni di produttori e organizzazioni interprofessionali, anche al fine di garantire una più equilibrata distribuzione del valore nel sistema produttivo nazionale;
    b) assumere iniziative al fine di assicurare all'industria di trasformazione determinati volumi e al produttore la collocazione del proprio prodotto a prezzo congruo e slegato dalle contrattazioni delle borse merci, volte ad incrementare le risorse da destinare al sostegno degli accordi di filiera e ad attivare una Commissione unica nazionale per il mercato dei cereali;
    c) predisporre un piano proteico nazionale, nell'ottica di una visione integrata di sistemi colturali sostenibili che consentano di qualificare anche le produzioni cerealicole incluse quelle del settore mangimistico a sostegno delle filiere zootecniche di qualità;
    d) assumere iniziative per indirizzare la ricerca verso l'ammodernamento della filiera a partire dal settore sementiero, agricolo ed industriale di trasformazione mediante l'attribuzione di risorse dedicate ed il sostegno alla costituzione di gruppi operativi di cui all'articolo 56 del regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale;
    e) promuovere la valorizzazione delle produzioni di qualità e salubri e la loro innovazione tramite il trasferimento delle conoscenze della ricerca tecnologica e scientifica;

   a destinare specifiche risorse finalizzate alla realizzazione e/o al miglioramento di impianti di stoccaggio, con priorità a quelli gestiti dalle organizzazioni di produttori e da forme di aggregazione degli agricoltori;
   a predisporre adeguate iniziative volte a garantire lo stoccaggio differenziato di grano duro, in particolare attraverso la certificazione delle analisi per i principali parametri qualitativi;
   al fine di differenziare e valorizzare il prodotto italiano all'origine, a predisporre una griglia di valutazione volta a definire classi di qualità, quale strumento in grado di differenziare le caratteristiche della granella, non solo sulla base dei parametri merceologici come il peso ettolitrico, l'umidità e il contenuto proteico, e reologici, quali le peculiarità del glutine, ma anche sulla base delle caratteristiche chimiche e microbiologicamente intese come contenuto di micotossine, residui di erbicidi quali il glifosato, pesticidi (molto utilizzati nella conservazione post-raccolta), metalli pesanti e radioattività;
   a realizzare un adeguato monitoraggio fito-sanitario anche attraverso il campionamento organizzato nelle aree cerealicole.
(7-01045)
«L'Abbate, Gallinella, Gagnarli, Parentela, Lupo, Benedetti, Massimiliano Bernini».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Ciprini n. 2-01471 del 20 settembre 2016;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.
(ex articolo 134, comma 2 del Regolamento)

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore:
   interrogazione a risposta scritta L'Abbate e Scagliusi n. 4-11937 del 3 febbraio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-09575.

ERRATA CORRIGE

  Risoluzione in Commissione Marzano e altri n. 7-01100 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 677 del 21 settembre 2016. Alla pagina 41181, seconda colonna, dalla riga trentaduesima alla riga quarantesima, deve leggersi: (7-01100) «Marzano, Catalano, Dambruoso, Nesi, Marcolin, Bruno, Quintarelli, Prodani, Pili, Murgia, Zaccagnini, Pastorelli, Locatelli, Molea, Galgano, Bombassei, Oliaro, Monchiero, Matarrese, Vargiu, Coppola, Palmieri»., e non come stampato.

  L'interrogazione a risposta scritta Scotto n. 4-14238 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 676 del 20 settembre 2016. Alla pagina 41148, seconda colonna, dalla riga quarta alla riga decima, deve leggersi: «se non si ritenga doveroso ed urgente intervenire, per quanto di competenza per garantire la messa in sicurezza e a norma dell'edificio scolastico in questione.», e non come stampato.