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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 10 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la regolamentazione del complesso fenomeno della libera professione intramuraria è stata oggetto di molteplici interventi normativi, stratificatisi nel tempo, con l'obiettivo prioritario di garantire il corretto esercizio della libera professione intramuraria, in conformità alle finalità proprie che la caratterizzano, riconducibili essenzialmente alla necessità di assicurare la scelta fiduciaria del medico e di valorizzare le professionalità;
    l'attività intramoenia può essere definita come l'attività libero-professionale intramuraria che il personale medico intende svolgere, sia individualmente che in équipe, fuori dall'orario di servizio, in regime di diagnostica strumentale di laboratorio, day hospital, day surgery o di ricovero in strutture territoriali-ospedaliere a favore e su richiesta del paziente, con i relativi oneri a suo carico o di assicurazione o di eventuali fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale, ai sensi del decreto legislativo n. 502 del 1992;
    l'articolo 2 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, (il cosiddetto «decreto Balduzzi») ha modificato la legge n. 120 del 2007 in materia di attività professionale intramoenia dei medici. L'articolo 1, comma 1, della legge n. 120 del 2007 ha stabilito che, per garantire l'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano dovevano assumere le più idonee iniziative volte ad assicurare gli interventi di ristrutturazione edilizia, presso le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliere universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) di diritto pubblico, necessari per rendere disponibili i locali destinati a tale attività. Come noto, il regime provvisorio, fissato dalla citata legge, era già stato prorogato al 31 dicembre 2012 dal decreto-legge 28 giugno 2012, n. 89, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 132. Il carattere di urgenza dell'intervento legislativo era stato dettato anche dal fatto che il processo di riduzione della rete di offerta strutturale ospedaliera ha imposto una disciplina innovativa dell'attività libero-professionale, al fine di ampliare l'offerta assistenziale e superare le criticità emerse negli ultimi anni e legate soprattutto alla carenza di spazi idonei;
    la nuova regolamentazione ha quindi previsto, da parte delle aziende sanitarie, una ricognizione degli spazi interni effettivamente disponibili per le attività libero professionali. In mancanza di tale disponibilità, il legislatore ha previsto la possibilità di poter acquistare o prendere in locazione ulteriori spazi presso strutture sanitarie autorizzate non accreditate o stipulare convenzioni con altri soggetti pubblici. Inoltre, si è puntato alla creazione di un sistema in rete tra professionista ed azienda di appartenenza per consentire la comunicazione di dati sanitari ed economici al fine di dare trasparenza e avere tracciabilità di tutti i pagamenti effettuati dai pazienti, rendendo possibile un effettivo controllo del numero delle prestazioni che il professionista svolge sia durante il servizio ordinario, sia in regime di intramoenia. È, inoltre, previsto che parte degli importi riscossi siano destinati, oltre che per i compensi dei medici e del personale di supporto, anche per la copertura dei costi sostenuti dalle aziende;
    la lettera c) dell'articolo 2, comma 1 del citato decreto-legge n. 158 del 2012 ha stabilito la definizione, d'intesa con i dirigenti interessati e previa contrattazione integrativa aziendale, degli importi che consentiranno di coprire, per ciascuna prestazione, i compensi del professionista, dell’équipe, del personale di supporto, nonché tutti i costi relativi alla realizzazione dell'infrastruttura di rete, atteso che gli oneri per la strumentazione e il collegamento devono essere a carico del medico;
    i dati sull'attività libero-professionale intramuraria (Alpi) dei medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale, contenuti nella relazione del Ministero della salute presentata al Parlamento nell'ottobre 2016 e riferiti al 2014 evidenziano, tra l'altro, che il numero di medici che esercitano l'Alpi è passato dalle 59.000 unità del 2012 (pari al 48 per cento del totale dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale), a 53.000 unità del 2014 (pari al 44 per cento circa del totale dei dirigenti medici stessi). In media, nel Servizio sanitario nazionale il 48,7 per cento dei dirigenti medici, operanti a tempo determinato e a tempo indeterminato con rapporto esclusivo, esercita la libera professione intramuraria, con punte che superano quota 58 per cento in Piemonte, Lazio, Liguria, Valle d'Aosta e Marche, e valori minimi in regioni come la Sardegna (29 per cento), il Molise (30 per cento) e Bolzano (18 per cento). In generale, al di sotto della media nazionale si colloca gran parte del Sud e delle isole. Sempre in media, nel 2014, il 76 per cento dei dirigenti medici esercita l'Alpi esclusivamente all'interno degli spazi aziendali, il 15 per cento circa esercita al di fuori della struttura ed il 9 per cento svolge attività libero-professionale sia all'interno, che all'esterno delle mura aziendali;
    dalla relazione emerge che solo 4 tra ragioni e province autonome hanno definito, in tutte le aziende sanitarie, i volumi libero-professionali di attività complessivamente erogabili e che non possono superare quelli istituzionali, né prevedere un impegno orario superiore a quello contrattualmente dovuto;
    nonostante nelle diverse aziende si registrino miglioramenti e buoni risultati su una serie di indicatori importanti – dalla determinazione degli importi delle prestazioni con i dirigenti, all'adozione di misure volte a prevenire l'insorgenza del conflitto d'interessi, fino all'impiego di mezzi che garantiscano la tracciabilità del pagamento delle prestazioni – nessuna regione e pubblica amministrazione risulta adempiente su tutti i 12 indicatori considerati (3 regionali e 9 aziendali);
    delle 16 regioni/province autonome che hanno presentato il programma di investimento, previsto dal decreto legislativo n. 254 del 2000, solo 5 dichiarano di aver completato, entro la data del 31 dicembre 2014, tutti gli interventi di ristrutturazione ammessi al finanziamento. Per le restanti regioni si registra una criticità, importante in considerazione della scadenza del termine stabilito dalla norma per la conclusione delle procedure;
    solo in 5 regioni sono garantiti in tutte le aziende gli spazi interni all'azienda per l'esercizio dell’intramoenia: in tutti gli altri si ricorre ancora a spazi esterni (11 regioni) o agli stessi studi privati collegati in rete (in 12 regioni);
    il costo totale dell’intramoenia è stato in leggero calo: gli incassi complessivi sono stati pari a 1,141 miliardi di euro contro 1,151 del 2013. La quota dei medici è stata di 926 milioni (933 l'anno prima), mentre al Servizio sanitario nazionale sono rimasti 216,8 milioni (contro 218,4). A fare da traino e l'area specialistica, che ha realizzato il 67,4 per cento (+2 per cento) dei ricavi totali dell’intramoenia, seguita dagli interventi in ospedale al 20,4 per cento (–1,2 per cento);
    per le aziende sanitarie il settore Alpi rappresenta un valore aggiunto, dal quale traggono una apprezzabile fonte di finanziamento. Sulla quota rimanente, di 926 milioni di euro, versata dalle aziende ai professionisti, lo Stato incassa per la tassazione Irpef circa 400 milioni di euro. Complessivamente, un flusso di entrate che alimenta le casse aziendali con denaro fresco, contribuisce all'ammortamento degli investimenti effettuati attraverso un maggiore utilizzo delle strutture e delle tecnologie, anche con orari prolungati serali, determina possibili utili aziendali e rappresenta una attività a imposizione fiscale certa;
    i ricoveri in regime di libera professione sono stati nel 2014 circa 28.000 a fronte di 8,630 milioni in regime ordinario o di day hospital, lo 0,32 per cento di tutti i ricoveri in strutture pubbliche nel 2014. Sul versante delle attività ambulatoriali, il rapporto tra regime libero-professionale e istituzionale è dell'8 per cento con circa 60 milioni di prestazioni in regime istituzionale, a fronte di 4,8 milioni in libera professione per le 34 tipologie oggetto di monitoraggio;
   tali numeri, per la loro esiguità, sfatano le accuse, che da più parti si levano, che vogliono la Alpi responsabile delle importanti attese presenti nel nostro sistema sanitario, per esempio in tutta la chirurgia di bassa complessità o per l'impianto di protesi in campo ortopedico. Una maggiore influenza è da attribuire, invece, al taglio dei posti letto (–71.000 negli ultimi 15 anni) e al taglio del personale (–25.000 addetti tra medici ed infermieri dal 2009 al 2014), cui si è assistito in questi ultimi decenni;
    i dati della relazione dimostrano come l'attività istituzionale sia ampiamente prevalente su quella libero-professionale, con rapporti molto lontani dai limiti massimi indicati dalle leggi e dai contratti. La Alpi piuttosto, contribuisce a contenere il fenomeno delle liste d'attesa, permettendo l'accesso a un canale sostenuto dal lavoro aggiuntivo dei professionisti e rappresenta per le aziende sanitarie una delle possibilità per acquisire, con il proprio personale, prestazioni aggiuntive a quelle istituzionali, intercettando e introitando denaro che altrimenti andrebbe ad alimentare il settore privato;
   dal rapporto di Censis-Rbm Salute del giugno 2016 emerge che undici milioni di italiani – erano 9 milioni nel 2012 – rinviano le cure o vi rinunciano del tutto per cause economiche e, contestualmente, che la spesa privata per la salute pagata di tasca propria dagli assistiti ha raggiunto i 34,5 miliardi di euro, il 3,2 per cento (circa 80 euro a testa);
    lo stesso rapporto evidenzia le criticità del Servizio sanitario nazionale, a partire dalle liste d'attesa, una delle cause principali che provocano la fuga dal Servizio sanitario nazionale verso strutture e ambulatori privati, più rapidi nei servizi e non di rado più convenienti per via dei ticket per la salute: il 72,6 per cento degli intervistati si è rivolto al privato o all’intramoenia per evitare lunghe attese; in aumento anche i pazienti che dicono che, rivolgendosi al pubblico, avrebbero speso per il ticket più o meno quanto spendono nel privato e il numero di chi, non potendoselo permettere, rinuncia o rimanda le cure;
    a fronte della crescita della spesa privata, la quota intermediata dalle assicurazioni rimane esigua, la quota di spesa per la sanità mediante i sistemi assicurativi è passata dal 14 al 13 per cento del totale; pur essendoci un crescente interesse dei cittadini per la sanità integrativa, l'assenza di una regolamentazione chiara, e di un panorama confuso e frammentato, nonché i costi elevati scoraggiano i cittadini;
    dei Fondi sanitari integrativi si è parlato per la prima volta nella legge di riforma sanitaria, legge n. 833 del 1978. Con il decreto legislativo n. 229 del 1999 sono state delineate meglio le caratteristiche dei fondi, che hanno come fine quello di preservare le caratteristiche di solidarietà e universalismo della sanità pubblica ma, al contempo, incoraggiare la copertura di quei servizi che non rientrano nei livelli essenziali di assistenza in tutto o in parte;
    proprio come venne fatto per la previdenza complementare nel 2005, e ormai irrimandabile, un aggiornamento della normativa sulla sanità integrativa che definisca l'obbligo o meno di adesione, le modalità istitutive e le tipologie delle forme di assistenza complementare, la vigilanza ed altro. La mancanza di un quadro normativo organico di riferimento ha prodotto une serie di incongruenze, che vanno superate, facendo chiarezza all'interno della «galassia» dei fondi;
    l'invecchiamento della popolazione, il problema dell'autosufficienza e i progressi nell'ambito dell'innovazione tecnica e farmaceutica suggeriscono la necessità di un profondo ammodernamento del Servizio sanitario nazionale, anche attraverso una crescente integrazione tra il pubblico e la sanità complementare. Il servizio sanitario universalistico è un imprescindibile ammortizzatore sociale, ma ha dei limiti che vanno corretti e, in questo, il secondo pilastro su cui si basa il Servizio sanitario nazionale, quello della sanità collettiva integrativo-sostitutiva, può avere un ruolo fondamentale,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di porre in essere, per quanto di competenza, tutte le iniziative volte a eliminare le ancora eccessive disparità di applicazione a livello regionale delle disposizioni relative all'Alpi, con particolare riferimento alla disponibilità di spazi interni alle aziende per l'esercizio dell’intramoenia;
2)  a valutare l'opportunità di garantire che le aziende sanitarie pubbliche assolvano ai propri compiti istituzionali, assicurando puntualmente tutti i Lea, di cui il Servizio sanitario nazionale si fa garante, garantendo ai cittadini un'effettiva libertà di cura;
3) a valutare l'opportunità di presentare quanto prima alle Camere il nuovo Piano nazionale di governo delle liste di attesa;
4) a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative volte ad agevolare la Alpi, anche attraverso processi di sburocratizzazione e di riduzione dei costi generali;
5) a valutare l'opportunità di implementare le attività dell’«osservatorio nazionale sullo stato di attuazione dei programmi di adeguamento degli ospedali e sul funzionamento dei meccanismi di controllo a livello regionale e aziendale», cui sono state trasferite le funzioni precedentemente esercitate dall'Osservatorio nazionale per l'attività libero-professionale, anche al fine di poter disporre di dati aggregati parziali con cadenze più frequenti rispetto a quella della pubblicazione del previsto rapporto del suddetto osservatorio;
6) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per una revisione organica della normativa sulla sanità integrativa, volta a creare un coerente quadro di riferimento che superi le incongruenze esistenti e dia chiarezza all'intero pilastro della sanità collettiva integrativo-sostitutiva.
(1-01584) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione garantisce il diritto alla salute di tutti i cittadini e la legge 23 dicembre 1978, n. 833, istituendo il Servizio sanitario nazionale, e stabilisce criteri «equi ed universali» di garanzia delle prestazioni sanitarie;
    prendendo atto che, finalmente, il 18 marzo di quest'anno è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 che fissa i Livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, vincolando il Ministro della salute a verificarne l'effettiva omogeneità di applicazione;
    va tenuto conto che, in Italia, il sistema sanitario pubblico è finanziato attraverso la fiscalità generale e l'importo complessivo della spesa sanitaria pubblica, nel 2016, è stato intorno ai 114 miliardi di euro, attestandosi in questo modo intorno al 7 per cento del Pil;
    ricordando che la dirigenza sanitaria pubblica, in deroga al generale divieto posto per i pubblici dipendenti, ha la possibilità di esercitare l'attività libero-professionale medica in due diverse forme: in rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale, la cosiddetta attività intramoenia o intramuraria, oppure in rapporto non esclusivo con il Servizio sanitario nazionale, la cosiddetta attività extramoenia o extramuraria;
    va precisato che la libera professione intramuraria, chiamata anche «intramoenia», si riferisce alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, che utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell'ospedale a fronte del pagamento, da parte del paziente, di una tariffa, per cui il medico è tenuto al rilascio di regolare fattura. La spesa, come tutte le spese sanitarie, è detraibile dalle imposte;
   va sottolineato che le prestazioni sono generalmente le medesime che il medico deve erogare, sulla base del suo contratto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale, attraverso la normale operatività come medico ospedaliero, e appare utile precisare che le prestazioni erogate in regime di intramoenia garantiscono al cittadino la possibilità di scegliere il medico a cui rivolgersi per una prestazione, con l'obbligo di partecipare ai costi in modo aggiuntivo e personale;
    va ricordato che, in Italia, la spesa sanitaria privata delle famiglie ha carattere prevalentemente integrativo rispetto ai livelli essenziali di assistenza garantiti dal sistema sanitario pubblico e che, nel 2016, ha raggiunto la ragguardevole cifra di 36 miliardi di euro; costo che le famiglie sostengono di tasca loro, essendo ancora poche, percentualmente, le famiglie che hanno sottoscritto una polizza assicurativa che consenta loro di integrare le spese sanitarie che eccedono quanto previsto dal Ssn attraverso il sistema assicurativo;
    d'altra parte, la legge 8 novembre 2012, n. 189, «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, recante disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute», per la libera attività intramuraria prevedeva la proroga al 31 dicembre 2014 della realizzazione di strutture per l'attività libero-professionale intramuraria (Alpi). Le regioni avrebbero dovuto provvedere ad una ricognizione degli spazi disponibili e ad una valutazione dei volumi delle prestazioni effettuate negli ultimi due anni entro il 31 dicembre 2012. Le regioni, dove non erano disponibili spazi ad hoc, avrebbero potuto adottare un programma sperimentale per svolgere l'Alpi presso studi professionali privati collegati in rete, previa sottoscrizione di una convenzione annuale rinnovabile tra il professionista interessato e l'azienda sanitaria di appartenenza, sulla base di uno schema tipo approvato con accordo sancito dalla Conferenza Stato-regioni;
    la legge n. 189 del 2012 precedeva inoltre l'attivazione, entro il 31 marzo 2013, di un'infrastruttura telematica per il collegamento delle strutture che avrebbero erogato le prestazioni in Alpi, con l'obiettivo di gestire prenotazioni, impegno orario del medico, pazienti visitati, prescrizioni ed estremi dei pagamenti, anche in raccordo con il fascicolo sanitario elettronico. Le modalità tecniche per la realizzazione di tale infrastruttura avrebbero dovuto essere determinate entro il 30 novembre 2012 con decreto del Ministro della salute, previa intesa in Conferenza Stato-regioni; la consapevolezza che molto probabilmente tale rete non sarebbe stata disponibile alla data prevista, induceva il legislatore ad estendere il termine per la temporanea prosecuzione dello svolgimento di attività libero-professionali presso studi professionali già autorizzati fino e comunque non oltre il 30 aprile 2013; come è noto tale termine è stato ulteriormente prorogato e ancora oggi è in vigore il clima di prorogatio;
    la norma allora prevedeva anche che il pagamento delle prestazioni avvenisse direttamente alla competente struttura, tramite mezzi di pagamento che assicurassero la tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo. Nel caso di singoli studi professionali in rete, la necessaria strumentazione avrebbe dovuto essere acquisita dal titolare dello studio a suo carico entro il 30 aprile 2013;
    la suddetta legge, tuttora inapplicata, prevedeva anche la determinazione delle tariffe sulla base di importi idonei a remunerare il professionista, l’équipe, il personale di supporto, i costi pro-quota per l'ammortamento e la manutenzione delle apparecchiature, nonché ad assicurare la copertura di tutti i costi diretti ed indiretti sostenuti dalle aziende;
    la legge specificava chiaramente il divieto di svolgere attività libero-professionale presso studi professionali collegati in rete, dove operavano anche professionisti non dipendenti o non convenzionati del Ssn, ovvero dipendenti non in regime di esclusività, a meno che non ci fosse una deroga dell'azienda del Ssn e a condizione che fosse garantita la completa tracciabilità delle singole prestazioni. Per i direttori generali che non si fossero prodigati per organizzare l'attività libero-professionale intramoenia era, ed è, prevista la decurtazione dalla retribuzione di risultato pari ad almeno il 20 per cento o, nel caso di grave inadempienza, la destituzione dell'incarico;
    in sintesi: l'Attività libero professionale intramuraria (Alpi), riferita alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, che utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell'ospedale stesso, dovrebbe garantire al cittadino:
     la possibilità di scegliere il nominativo del medico a cui rivolgersi;
     la possibilità di prenotare la prestazione senza la richiesta del medico curante;
     la possibilità di effettuare la prestazione in orari più consoni alle proprie esigenze a fronte del pagamento di un compenso da effettuare con regolare fattura, detraibile dalle imposte;
    evidentemente il legislatore, istituendo l'Alpi, intendeva garantire in modo equilibrato i diritti del paziente a ricorrere più velocemente alle prestazioni di cui aveva bisogno, accorciando di molto le liste di attesa; scegliendo inoltre, personalmente, il medico da cui farsi curare; pagando in modo adeguato la prestazione ricevuta, in cui oltre all'intervento del professionista sono inclusi, almeno in parte, i costi generali relativi alla prestazione stessa. Il medico, da parte sua, avrebbe ottemperato ai doveri che ne discendevano anche sotto il profilo amministrativo, evitando ogni possibile forma di evasione fiscale. Alla direzione generale ed amministrativa il compito di garantire diritti e doveri di tutti;
    esiste inoltre un'altra forma di intramoenia, la cosiddetta intramoenia allargata, che permette ai medici ospedalieri di esercitare la libera attività professionale fuori del normale luogo di lavoro, l'ospedale. Il medico, in questo modo, può esercitare la sua professione anche in altre strutture, purché convenzionate con l'ospedale in cui è strutturato il professionista, nel caso in cui non gli si mettano a disposizione gli spazi per attuare l’intramoenia dentro le mura del nosocomio;
    escludendo la maggioranza dei medici che applicano con rigore le regole, l’intramoenia allargata può creare situazioni scorrette sotto il profilo deontologico, ancor prima che sotto il profilo burocratico-amministrativo, se mancano i dovuti controlli, perché le Asl non sono in condizioni di farli, anche perché bypassare le norme è molto facile; lo scandalo dell’intramoenia allargata ha comunque molti responsabili;
    l’intramoenia in questo caso potrebbe diventare, e di fatto in alcuni casi diventa, fonte di iniquità, se discrimina i pazienti in base alle possibilità economiche. E poiché oggi, in Italia, dieci milioni di persone sono alle soglie della povertà, ciò significa che una parte di queste – non si saprà mai quante – non riesce a curarsi perché le liste di attesa sono lunghissime e perché non ha i mezzi per ricorrere all’intramoenia. Così chi non può si rassegna ad aspettare, con gravi conseguenze per la propria salute; conseguenze che possono rendere la vita molto più difficile;
    le Asl hanno comunque imparato a farsi concorrenza tra di loro, ricorrendo all’intramoenia e permettendo ai medici del Servizio sanitario nazionale di eseguire diagnosi e cure in intramoenia a costi più bassi del ticket, con tempi di attesa più brevi. Così, sempre più spesso, i cittadini ricorrono all'assistenza privata tra le mura ospedaliere, rinunciando a quella istituzionale, troppo lenta e spesso soggetta ad un turn over molto rapido dei medici che gestiscono l'ambulatorio. Il paziente apprezza quindi il risparmio di tempo e di soldi;
    qualche esempio può essere utile a capire il meccanismo che si è creato: se il ticket per un'ecografia alla tiroide costa, per esempio, 42.41 euro, con attese fino all'agosto 2017, il costo per la stessa prestazione in intramoenia è di 40 euro: accade, ad esempio, nell'ospedale di Latina e di Bracciano e in altri centri dove per sottoporsi a questo esame occorrono solo quattro giorni in intramoenia e quattro mesi per le vie ordinarie. Una radiografia alla spalla in intramoenia nella Asl di Latina (ospedali di Fondi e Terracina) costa 26,40 euro, con un risparmio di 5,42 euro sul ticket e con solo qualche settimana di attesa. Nella Asl di Viterbo, per una radiografia alla colonna cervicale eseguita in libera professione ospedaliera (a Tarquinia), occorrono 28,40 euro, 3,68 in meno del costo del ticket per quell'esame;
    così i cittadini ricorrono all’intramoenia a prezzi di poco superiori al costo del ticket e, soprattutto, accorciando i tempi che, per alcune patologie, potrebbero rivelarsi davvero fatali. La regione Lazio, dopo ripetute denunce, almeno in teoria, ha deciso di far rispettare le prescrizioni nazionali sui tempi lunghi di attesa. La legge c’è già: il decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, al comma 13, dell'articolo 3 prescrive che se un cittadino è costretto ad aspettare più di un mese per le visite specialistiche e oltre due mesi per gli esami diagnostici, si può sottoporre a queste prestazioni in libera professione con il pagamento del solo ticket. La legge n. 189 del 2012, prevede l'allineamento progressivo dei tempi di esecuzione delle prestazioni nell'attività istituzionale a quelli medi dell’intramoenia. Ma sembra che dopo la promulgazione di suddetta legge le attese si siano invece allungate;
    ci sono esami, soprattutto quelli eseguiti attraverso le immagini, dalla risonanza all'ecografia, alla tac, che sono spariti dalle agende degli ospedali pubblici. Non ci si può neanche prenotare per alcuni accertamenti diagnostici, perché occorrono almeno 180 giorni in alcune Asl romane. E, di questo passo, si possono fare molti altri esempi;
    non c’è dubbio che l’intramoenia abbia vantaggi concreti per il cittadino, primo tra tutti la possibilità di scegliere il medico e garantire la continuità del rapporto nel processo di diagnosi e cura, e subito dopo quello di accorciare le file di attesa, ma è altrettanto evidente che può prestarsi ad una serie di abusi, sotto il profilo della gestione economico-fiscale, soprattutto nel caso della intramoenia allargata,

impegna il Governo:

1)  a garantire l'adozione più rapida possibile del nuovo Piano nazionale di governo delle liste d'attesa, Pngla, indispensabile per consentire un complessivo miglioramento dell'assistenza e una più adeguata «qualità percepita» da parte del cittadino;
2)  ad emanare i decreti del Ministro della salute per la definizione della metodologia di valutazione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, previsti all'articolo 1, commi 526 e 536, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, tenendo conto dell'articolo 1, comma 4, lettera g) della legge 3 agosto 2007, n. 120 «Disposizioni in materia di attività libero professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria», nonché dell'attuazione dalla determina dell'Anac 28 ottobre 2015, n. 12 Piano nazionale anticorruzione – aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015, n. 267);
3)  ad assumere iniziative normative affinché, entro il più breve tempo possibile, venga presentato alle commissioni competenti di Camera e Senato il «nuovo» Piano nazionale per il governo dei tempi di attesa, prevedendo il primo parere obbligatorio delle commissioni competenti di Camera e Senato, affinché il Piano sia adottato definitivamente entro e non oltre il 30 settembre 2017;
4)  ad assumere iniziative affinché il «nuovo» Piano nazionale per il governo dei tempi di attesa contempli, con il supporto dell'Agenzia per l'Italia digitale (Agid) la realizzazione di una piattaforma tecnologica per il monitoraggio e l'implementazione del rispetto dei tempi di attesa delle prestazioni di tutti gli enti del Sistema sanitario nazionale, facendo in modo che l'accesso alla piattaforma tecnologica sia di facile fruizione e sia garantito a tutti i cittadini, e che l'aggiornamento dei dati abbia cadenza mensile;
5)  ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché presso tutti gli enti del Ssn, le visite specialistiche, e le prestazioni diagnostiche ambulatoriali, nonché i ricoveri di elezione siano garantiti secondo le normative in vigore, promuovendo, se necessario, precisi cambiamenti organizzativi, che consentano di razionalizzare i tempi di esecuzione e di ridurre gli spazi morti;
6)  ad assumere iniziative affinché il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza contempli il coinvolgimento delle associazioni dei cittadini e pazienti;
7)  ad assumere iniziative per rendere più efficace l'aggiornamento e la consapevolezza di tutte le figure professionali, che devono concorrere al raggiungimento degli obiettivi del Piano soprarichiamato;
8)  ad incoraggiare la piena collaborazione con le associazioni di tutela dei diritti del malato, la cui collaborazione è indispensabile per la percezione di tali diritti e della domanda di assistenza;
9)  ad attivare la verifica e certificazione di tutti i percorsi di raccolta dati che abbiano l'obiettivo di garantire flussi di informazioni adeguati per l'orientamento delle azioni decisionali e per la loro eventuale revisione in progress;
10) ad individuare le principali criticità del Sistema, in modo da orientare la priorità delle nuove azioni di intervento;
11) ad assumere iniziative per investire adeguate risorse economiche, finalizzate al raggiungimento degli obiettivi del nuovo Piano sopra citato e quantitativamente adeguate rispetto alle sue ambizioni.
(1-01585) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    l'attività libero-professionale, detta intramoenia, è stata introdotta nel sistema sanitario nazionale dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, con il quale, come noto, si delineava il quadro normativo del riordino del Servizio sanitario nazionale in attuazione della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421;
    la libera professione chiamata intramoenia si riferisce alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici ospedalieri, i quali utilizzano le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell'ospedale stesso a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa;
    le prestazioni fornite in intramoenia sono, generalmente, le medesime che il medico deve erogare sulla base del suo contratto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale, attraverso la normale operatività come medico;
    nelle attività di intramoenia, sono comprese anche le attività di diagnostica strumentale e di laboratorio, di day hospital, di day surgery e di ricovero, nonché le prestazioni farmaceutiche a esso collegate, sia nelle strutture ospedaliere, sia territoriali, con oneri a carico dell'assistito, di assicurazioni o dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992;
    il malato ha diritto alle prestazioni mediche entro tempi certi, uno dei principali problemi del sistema sanitario nazionale è l'entità e la gestione delle liste di attesa per visite, prestazioni, esami diagnostici ed interventi chirurgici, anche nelle più virtuose strutture ospedaliere e sanitarie;
    molto spesso, a causa della lungaggine dei tempi di attesa per l'accesso a molte prestazioni diagnostiche e terapeutiche, i cittadini – il cui stato di salute richiederebbe interventi tempestivi – sono costretti a richiedere le prestazioni necessarie a pagamento presso strutture private o presso le stesse strutture pubbliche in regime di intramoenia, poiché attendere mesi se non addirittura anni di attesa, con il normale servizio pubblico, potrebbe aggravare il proprio stato di salute;
    i fattori che causano liste e tempi di attesa sono diversi: errata o insufficiente distribuzione delle risorse, prescrizioni improprie, modalità organizzative che tengono conto più delle esigenze degli operatori che di quelle degli utenti;
    più lunghi sono i tempi di attesa, maggiore è la propensione degli utenti – rassegnati all'idea che il diritto alla salute non viene per nulla tutelato da una sanità pubblica – a pagare le prestazioni di cui hanno bisogno, favorendo in tal modo l'attività intramoenia dei medici pubblici;
    esistono molti casi di utenti con ricetta medica per vista urgente che non si trovano ad aver erogata la prestazione nei tempi prescritti;
    non va dimenticato che l'affollarsi dei pronto soccorso, molto spesso è dovuto proprio alla mancata certezza di poter accedere a esami o visite entro i tempi stabiliti per codice, causando quindi un disservizio per gli utenti del pronto soccorso, carico di lavoro per il personale medico e paramedico, inappropriatezza e aggravio anche di costi inutili;
    solo una rete regionale complessiva delle prestazioni ambulatoriali potrebbe garantire l'offerta in tempi certi, anche per le urgenze ambulatoriali differibili. Tale rete dovrebbe includere tutti i Servizi sanitari accreditati pubblici o privati presenti sul territorio, poiché le lunghe liste d'attesa aumentano il rischio clinico, tanto più se si tratta di livelli essenziali di assistenza (Lea) sia in senso assoluto, per il possibile peggioramento clinico del paziente, sia per possibile insorgenza di eventuali contenziosi futuri (in caso di danni per prestazioni tardive o non garantite) e se un accertamento o una prestazione è ritenuto un Lea, inevitabilmente può essere considerato tale solo se è erogato anche in tempo utile;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 ha precisato aspetti già precedentemente normati e ha introdotto alcuni cambiamenti con l'intento di delineare il passaggio a regime dell'Alpi (Attività libero professionale intramuraria): la ricognizione, da parte delle regioni, entro il 31 dicembre 2012, degli spazi per lo svolgimento dell'Alpi e l'adozione, entro il 30 aprile 2013, di un programma sperimentale che prevedeva lo svolgimento dell'attività libero-professionale intramuraria presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete. Dal 28 febbraio 2015 l'intramoenia è allargata e posta a regime, previa verifica della sua funzionalità tramite strumenti di controllo, in parte già previsti dalla legge n. 120 del 2007. Eppure, ad oggi, pare non sia adeguatamente applicata, considerati i tempi di attesa per l'utente;
    se l'erogazione della prestazione nei tempi utili in relazione alla patologia, non è possibile nell'ordinario orario di lavoro dei medici significa, per la singola azienda, ma anche per il sistema regionale, che il personale dedicato a tale attività è del tutto sottostimato, come oramai sempre più spesso accade. S'imporrebbe, quindi, una revisione della dotazione di personale con eventuali nuove assunzioni;
    la riduzione a limiti accettabili per patologia delle liste d'attesa dovrebbe essere vissuto come un problema regionale dei vari servizi sanitari regionali, quindi, di sistema e non della singola azienda, che, comunque una volta che ha raggiunto il massimo della propria capacità erogativa di prestazioni non può andare oltre;
    occorrerebbe una sorta di portale unico al quale i cittadini possano rivolgersi a livello regionale per cercare in tempo reale dove prenotare la prestazione per quella particolare patologia, a seconda della gravità della patologia stessa, diagnosticata o presunta, stabilendo le massime tempistiche accettabili per l'erogazione delle prestazioni correlate;
    la garanzia dell'abbattimento delle liste può solo essere nella sinergia fra i vari erogatori, quindi deve ricadere in un sistema che accorpi, in una rete regionale, tutti i servizi sanitari, con un coordinamento degli stessi, sia che siano pubblici, sia che siano privati accreditati, in modo da garantire tempi definiti per le prestazioni coerenti con il livello di urgenza definito dal prescrittore;
    va ricordato, infine, che le liste d'attesa eccessive configurano anche una grave violazione del principio costituzionale del diritto alla salute e in termini di sistema, il paziente che non accede alle cure o le ritarda a causa delle liste d'attesa eccessive, non produce affatto un risparmio per la società, bensì diventa poi, al manifestarsi conclamato dell'evento patologico, un importante costo, sia in termini di inevitabile cura ormai tardiva e più onerosa in tutti i sensi, sia in termini sociali, con inabilità lavorativa e costi sociali e familiari correlati al livello assistenziale necessario,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative di competenza, in raccordo con le regioni, propedeutiche all'istituzione di un osservatorio delle liste d'attesa, ove, ogni ente accreditato debba aggiornare in tempo reale le proprie liste, al fine di monitorare e controllare, le liste d'attesa stesse, al fine di consentire, all'interno della rete del servizio sanitario regionale, la distribuzione dei pazienti verso gli ambulatori con liste d'attesa minori, congrue alla urgenza o meno della patologia di cui si tratta;
2) a relazionare presso le Commissioni competenti di Camera e Senato, sulla grave situazione relativa alle liste d'attesa e all'istituto dell'intramoenia delle regioni italiane;
3) ad assumere iniziative affinché siano stabiliti per ogni patologia o sospetto diagnostico un tempo massimo di erogazione della prestazione, e quindi della lista d'attesa ammissibile;
4) ad assumere iniziative volte a garantire, adeguati finanziamenti ai nuovi Lea, finalizzati alla riduzione delle liste d'attesa eccessive che altrimenti non possono essere assicurati;
5) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché i servizi sanitari regionali garantiscano la copertura dei servizi erogati entro certi limiti temporali determinati in relazione alla malattia di cui si tratta;
6) a dare concreta attuazione alla determina dell'Anac 28 ottobre 2015, n. 12, prevedendo che, in caso di mancato rispetto di tutte le disposizioni e condizioni che consentono l'esercizio dell'attività libero-professionale intramoenia, la stessa non sia in alcun modo autorizzata, assumendo iniziative volte a prospettare reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili.
(1-01586) «Brignone, Marcon, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Costantino, Gregori, Pellegrino, Paglia, Pannarale».


   La Camera,
   premesso che:
    a trentanove anni dalla sua istituzione, il servizio sanitario pubblico, nazionale ed universale, continua a rappresentare un pilastro fondamentale del nostro sistema di welfare;
    negli ultimi anni, a fronte di un sostanziale sottofinanziamento, si sono diffuse criticità e difficoltà del sistema nell'assicurare sull'intero territorio nazionale ed in modo equo i livelli essenziali di assistenza previsti dalla legge;
    per garantire universalità ed equità, la sanità pubblica ha dunque bisogno di maggiori risorse finanziarie e di un coraggioso rinnovamento, che rilanci il ruolo e la funzione degli operatori e delle strutture del sistema sanitario nazionale e che contrasti il ricorso improprio, spesso incentivato con risorse pubbliche, al mercato privato delle cure;
    in questi anni, invece, le risorse assegnate al Servizio sanitario nazionale hanno visto gradualmente ridurre la loro incidenza rispetto a Pil. L'ultima Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza 2016 ha purtroppo confermato questa tendenza alla riduzione. La spesa sanitaria che viene stimata al 6,8 per cento in rapporto al Pil per il 2017, vede ridursi al 6,7 per cento nel 2018, e quindi al 6,6 per cento nel 2019. Per gli anni successivi, continua a fare fede quanto già riportato nel Documento di economia e finanza 2016, dove si evince che per ritornare ai livelli spesa sanitaria-Pil del 2010, che era del 7 per cento, si dovrà aspettare il 2030-2035. Ossia bisognerà attendere 15-20 anni;
    è ancora più grave che questo costante definanziamento del Servizio sanitario nazionale, avvenga nonostante che nel rapporto spesa sanitaria-Pil siamo da tempo al sotto la media dei rispettivi valori dell'Unione europea a 15. Dopo l'Italia ci sono solo Spagna, Grecia e Portogallo. Una forbice che si allarga anno dopo anno;
    si corre il rischio di portare il nostro Paese verso un sistema sanitario definanziato e sempre più a due binari: uno pubblico, inefficiente e inadeguato, destinato sempre più alle fasce sociali medie e basse, e uno misto, pubblico-privato di sanità integrativa, finanziato con assicurazioni sanitarie private o di categoria, con prestazioni spesso migliori destinate ai cittadini con redditi più elevati;
    i sistemi sanitari regionali non riescono a garantire la stessa equità di accesso e uniformità dei livelli di assistenza sul territorio nazionale, e l'allungamento delle liste d'attesa produce inevitabilmente il dirottamento sempre maggiore dei malati verso il privato o l'attività professionale intramoenia;
    sempre di più i cittadini considerano il privato e l’intramoenia come prima scelta. Per tempi e costo dei ticket, spesso si fa prima ad andare in intramoenia o nel privato. L'assurdo è che, come ricorda «Cittadinanzattiva», frequentemente si tratta di prestazioni previste nei Livelli essenziali di assistenza, quindi un diritto esigibile;
    a tutto questo contribuiscono in maniera decisiva i tagli e il blocco del turn over nella sanità pubblica, che hanno prodotto una grave carenza di personale. Questo conseguentemente si traduce in una riduzione insostenibile nella quantità e nella qualità dei servizi sanitari garantiti ai cittadini. Si parla di un comparto della pubblica amministrazione che necessiterebbe perlomeno di un piano per i prossimi tre anni di assunzione/stabilizzazione di 18 mila medici e di oltre 47 mila infermieri;
    l'indagine promossa dall'Anaao nel 2016 «SSN cercasi: il progressivo impoverimento dell'offerta sanitaria e le conseguenze sulla salute della popolazione», ha evidenziato come, dal 2009 al 2014, per far quadrare i bilanci, le aziende sanitarie hanno tagliato 25 mila posti letto; bloccato il turn-over del personale (-24.000 addetti dal 2009 al 2014, considerando sia medici che infermieri); ridotto l'investimento in ammodernamento delle strutture e delle tecnologie. Si è contratta, di conseguenza, l'offerta di prestazioni diagnostiche, di interventi chirurgici e di ricoveri. Le liste d'attesa sono aumentate diventando una vera e propria barriera fisica per il diritto di accesso alle cure da parte dei cittadini. Chi ha disponibilità economiche si rivolge al privato. La spesa out of pocket è arrivata a 33 miliardi di euro nel 2014;
    il 50o Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2016, ha ricordato come gli effetti socialmente regressivi delle manovre di contenimento si traducono in un crescente numero di italiani (11 milioni circa) che, nel 2016, hanno dichiarato di aver dovuto rinunciare o rinviare alcune prestazioni sanitarie, specialmente odontoiatriche, specialistiche e diagnostiche;
    tutto questo fa sì che 10 milioni di italiani ricorrono di più al privato e 7 milioni all’intramoenia, perché non possono permettersi di aspettare;
    il confronto fra pubblico e privato su tempi e costi delle prestazioni dice, per esempio, che per una risonanza magnetica le strutture private richiedono in media 142 euro, per un'attesa di 5 giorni, mentre, nel pubblico, si pagano 63 euro di ticket, ma l'attesa sale a 74 giorni. Tradotto: 79 euro di spesa in più e 69 giorni in meno nel confronto fra pubblico e privato;
    il livello e l'aumento della partecipazione alla spesa per l'assistenza ambulatoriale e diagnostica, l'allungamento, a volte di mesi, delle liste di attesa, la mancata programmazione dell'offerta a livello territoriale, sono quindi i principali fattori della fuga di massa quasi obbligata dal ricorso alle cure del Servizio sanitario nazionale pubblico verso le cure a pagamento offerte dalle strutture private e dalle attività in libera professione (intramoenia) nei servizi pubblici;
    anche il Censis ricorda come la lunghezza delle liste d'attesa nel pubblico «raziona l'accesso ai servizi sanitari pubblici e genera un flusso intenso verso il privato e verso l'intramoenia. Pagare per acquistare prestazioni sanitarie diventa un gesto quotidiano, ordinario»;
    tra l'altro, i lunghi tempi delle liste di attesa comportano un conseguente allungamento anche dei tempi di erogazione di quelle prestazioni sanitarie più importanti e a più elevato indice di priorità, con inevitabili gravi ripercussioni sullo stato di salute per quei pazienti che avrebbe invece bisogno di interventi medici e diagnostici urgenti;
    nel 2014, il settore dell’intramoenia ha comportato un giro d'affari di oltre 1,1 miliardi di euro, mentre la quota a favore delle aziende sanitarie è stata di circa 217 milioni di euro;
    riguardo all'attività libero-professionale intramoenia, si rammenta che il decreto legislativo n. 254 del 2000 ha demandato alle regioni/province autonome il compito di definire uno specifico programma per la realizzazione di strutture sanitarie dedicate all'attività libero-professionale intramuraria, finanziato con fondi specifici della legge n. 20 del 1988. A distanza di molti anni, sono 16 le regioni e province autonome che hanno presentato il programma di investimento. Di queste, solamente 5 hanno completato, entro il 2014, il collaudo di tutti gli interventi di ristrutturazione ammessi al finanziamento. Solamente in 5 regioni tutte le aziende sanitarie garantiscono ai dirigenti medici spazi idonei e sufficienti per esercitare la libera professione;
    si ricorda che il decreto-legge n. 158 del 2012, ha previsto la possibilità di svolgere l’intramoenia negli studi privati (in forma residuale e sperimentale in attesa dell'allestimento di spazi intraospedalieri), con modalità precise di controllo e di prenotazioni telematiche. Detto decreto-legge, ha, infatti, modificato le modalità di esercizio della libera professione, prevedendo la possibilità per le regioni di autorizzare le aziende sanitarie, attraverso una ricognizione degli spazi aziendali disponibili e dei volumi di attività erogati, ad adottare un programma sperimentale per lo svolgimento dell'attività libero-professionale presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete. Ebbene, dalla relazione al Governo sull'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria presentata al Parlamento nel 2016 e relativa all'anno 2014, risulta che ben la metà delle regioni ha autorizzato l'adozione del programma sperimentale per lo svolgimento dell'attività libero-professionale, presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete;
    dalla medesima relazione al Governo, emerge che solo 13 regioni hanno dichiarato di aver provveduto a emanare o ad aggiornare le previste linee guida sulle modalità di gestione dell'attività libero-professionale intramuraria. Si ricorda che l'adozione di indirizzi chiari e definiti è elemento indispensabile per garantire un efficace coordinamento delle strategie, degli interventi e delle misure necessarie per la corretta gestione del fenomeno;
    nel 2014, la relazione evidenzia una ulteriore criticità per quel che concerne l'esercizio della libera professione al di fuori delle mura aziendali: in 10 regioni su 21 erano ancora presenti studi privati non collegati in rete o convenzioni con strutture private non accreditate, modalità di esercizio non più contemplate dalla normativa;
    nella maggior parte delle regioni, meno della metà delle aziende sanitarie sono in grado di garantire gli spazi idonei per l'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria;
   con riferimento al 2014, il 76 per cento dei dirigenti medici esercita l'Alpi esclusivamente all'interno degli spazi aziendali, il 15 per cento circa esercita al di fuori della struttura ed il 9 per cento svolge attività libero-professionale sia all'interno, che all'esterno delle mura azienda;
    nell'ambito del fenomeno degli illeciti e della corruzione in sanità – che si ricorda drena ogni anno 6 miliardi di euro di risorse – le liste di attesa e l'attività libero-professionale intramoenia (Alpi), rientrano in quegli ambiti sanitari potenzialmente esposti a rischi corruttivi;
    questo aspetto è ben presente nella stessa determinazione n. 12 del 28 ottobre 2015 dell'Autorità nazionale Anticorruzione (Anac), nella quale l'attività libero-professionale e le liste d'attesa vengono ricomprese espressamente tra le «aree di rischio specifiche». Nel provvedimento citato, si segnala tra l'altro come «l'attività libero-professionale, specie con riferimento alle connessioni con il sistema di gestione delle liste di attesa e alla trasparenza delle procedure di gestione delle prenotazioni e di identificazione dei livelli di priorità delle prestazioni, può rappresentare un'area di rischio di comportamenti opportunistici che possono favorire posizioni di privilegio e/o di profitti indebiti, a svantaggio dei cittadini»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per interrompere e invertire la progressiva riduzione della spesa sanitaria rispetto al Pil in atto già da troppi anni, quale condizione imprescindibile e necessaria per dotare di adeguate risorse il Servizio sanitario nazionale, ridurre le inefficienze e i disservizi, e garantire l'universalità, il diritto alla salute, l'accesso alle prestazioni sanitarie per tutti i cittadini;
2) ad assumere iniziative per stanziare, per le medesime suddette finalità, adeguate risorse finanziarie per lo sblocco del turn-over nel Servizio sanitario nazionale, anche attraverso eventuali deroghe alla normativa vigente in materia, in particolare per il personale medico, infermieristico, tecnico e socio-sanitario di supporto, e per la stabilizzazione dei precari, al fine di consentire realmente la riorganizzazione e la riqualificazione dei servizi sanitari e ridurre il forte divario tra la domanda sempre crescente di prestazioni sanitarie, e l'offerta sempre meno adeguata;
3) ad avviare tutte le iniziative di competenza efficaci per ridurre sensibilmente le liste d'attesa, garantendo una gestione trasparente, informatizzata e centralizzata delle liste di attesa di tutte le strutture pubbliche e convenzionate per prestazioni, esami, visite specialistiche e ricoveri, e prevedendo il rispetto di tempi massimi di attesa tra i criteri di valutazione dei direttori generali;
4) ad adottare le opportune iniziative normative volte a prevedere un incremento della vigente quota del compenso del professionista che svolge attività libero-professionale intramuraria e trattenuta dal competente ente o azienda del Servizio sanitario nazionale e che viene vincolata per interventi volti alla riduzione delle liste d'attesa;
5) ad assumere iniziative per prevedere adeguate risorse finanziarie per la definitiva realizzazione, da parte delle regioni, di spazi e strutture sanitarie dedicate all'attività libero-professionale intramuraria, come previsto dalla normativa vigente;
6) a prevedere conseguentemente, il definitivo superamento dell'attività libero-professionale presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete, attualmente vigente, ma che era prevista come sperimentale dal decreto-legge n. 158 del 2012, e ciò al fine di ricondurre tutta l'attività libero professionale nell'ambito delle strutture e spazi delle Aziende sanitarie e garantire l'effettiva attività intramoenia;
7) a procedere al rinnovo del contratto della dirigenza medica, fermo da otto anni e in quella sede intraprendere tutte le iniziative utili, di concerto con i soggetti e le categorie interessate, volte alla revisione dell'istituto dell’intramoenia nel quadro di un rafforzamento e qualificazione del rapporto di esclusività dei dirigenti medici con il sistema sanitario nazionale;
8) a presentare entro il 30 settembre 2017 il Piano nazionale di governo delle liste d'attesa, la cui ultima redazione risale al 2012, tenendo conto delle migliori pratiche prodotte dalle regioni.
(1-01587) «Fossati, Murer, Fontanelli, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Epifani, Fava, Ferrara, Folino, Formisano, Carlo Galli, Kronbichler, Laforgia, Leva, Martelli, Matarrelli, Melilla, Mognato, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zaratti, Zoggia».


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese, il diritto alla salute è garantito attraverso l'enunciato dell'articolo 32 della Carta costituzionale e attraverso la legge n. 833 del 1978 di istituzione del Servizio sanitario nazionale e successive modifiche, che stabilisce i criteri «equi ed universali» di garanzia delle prestazioni sanitarie e pone in capo allo Stato la tutela di omogenei Livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale, secondo quanto disposto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001, pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell'8 febbraio 2002 e ulteriormente precisato dall'articolo 1, comma 172, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 che pone in capo al Ministro della salute la verifica sulla effettiva omogeneità dell'erogazione dei Lea;
    in Italia, il sistema sanitario pubblico, finanziato attraverso la fiscalità generale, eroga dunque prestazioni di assistenza a tutti i cittadini italiani, attraverso la ripartizione annuale dei finanziamenti del Fondo sanitario nazionale, che possono essere integrati con risorse proprie regionali, che garantiscano attività eccedenti rispetto ai Lea;
    in Italia, la spesa sanitaria privata delle famiglie ha dunque carattere prevalentemente integrativo rispetto ai Lea garantiti dal sistema sanitario pubblico e rappresenta la quota cosiddetta « out of pocket» che, nel 2016, si è attestata intorno ai 36 miliardi di euro;
    la spesa out of pocket italiana si differenzia da quella della maggior parte degli altri Paesi europei in quanto è quasi completamente «disintermediata» (appena il 10,1 per cento di tale spesa è canalizzato attraverso sistemi di trasferimento del rischio), a causa della scarsa penetrazione dell'azione del sistema dei fondi integrativi e delle assicurazioni sanitarie nel nostro Paese;
    l'importo complessivo della spesa sanitaria pubblica italiana nel 2016 è stato intorno ai 114 miliardi di euro, attestandosi in questo modo vicino al 7 per cento del Pil;
    secondo i dati del Crea di Roma Tor Vergata, la spesa sanitaria pubblica italiana, nell'ultimo decennio, ha avuto un incremento annuo pari all'1 per cento, contro il 3,8 per cento medio degli altri Paesi dell'Europa occidentale, consolidando il dato che vede la spesa sanitaria pubblica italiana inferiore di circa il 36 per cento rispetto a quella media pro capite degli altri Paesi di raffronto;
    sempre secondo i rapporti del Crea, in Italia, appare notevolissimo il divario di spesa pubblica pro capite tra le regioni settentrionali e quelle meridionali a basso reddito, raggiungendo differenziali intorno al 40 per cento tra le regioni a più alta spesa sanitaria (pubblica amministrazione di Bolzano) e quelle a spesa più bassa (Calabria);
    anche il Cergas della Università Bocconi, nel contesto del rapporto OASI 2016, ha sottolineato il rischio che l'universalità e l'equità del nostro sistema sanitario pubblico possano saltare per effetto della contrazione dei finanziamenti complessivi e per la crescita delle differenze tra gli erogatori regionali;
    appare del tutto evidente come, in questo contesto frastagliato e denso di gap infrastrutturali, diventi davvero difficile garantire qualità ed equità delle prestazioni su tutto il territorio nazionale anche perché l'attuale testo costituzionale riserva alla competenza statale la sola attività di programmazione e di verifica, attribuendo alle regioni tutte le competenze gestionali;
    tale autonomia gestionale regionale, che avrebbe dovuto garantire l'adeguamento della erogazione delle prestazioni alle variabili di contesto locali, rischia, invece, sempre più spesso di essere un ulteriore fattore di sperequazione sia per la differente capacità regionale di garantire risorse aggiuntive, che per la diversità dei modelli organizzativi e delle modalità di erogazione delle prestazioni che non consente di valorizzare adeguatamente le best practices regionali;
    tale differente capacità nell'erogazione dei servizi e delle prestazioni rischia di essere pagata dai cittadini delle regioni più deboli che si vedono negare una parte crescente dei loro diritti e alimentano fenomeni di mobilità passiva interregionale che sono spesso la spia del malfunzionamento complessivo del sistema;
    uno dei sensori di qualità delle prestazioni erogate, che viene maggiormente avvertito da parte del cittadino/paziente, è senz'altro rappresentato dalla lunghezza delle liste d'attesa per la fruizione delle prestazioni sanitarie che, quando esce da ogni fisiologia, finisce con il negare l'accesso alla prestazione, alimentando un doppio mercato che mortifica la stessa funzione del sistema di assistenza pubblico;
    in passato, sono stati più volte segnalati casi di rallentamento delle prestazioni sanitarie erogate dal sistema pubblico che, più o meno surrettiziamente, finivano con l'alimentare il mercato sanitario privato, venendo spesso soddisfatte dagli stessi attori che avrebbero avuto il dovere di erogarle all'interno del sistema sanitario regionale;
    il rischio di una deriva verso l'illegalità, associato alla dilatazione delle liste d'attesa nel settore pubblico, è stato parzialmente risolto attraverso la normativa che regola l'autorizzazione all'erogazione della prestazione in regime di intramoenia, che consente di creare un doppio binario di erogazione del servizio richiesto che avviene comunque all'interno e sotto il controllo del sistema sanitario pubblico da cui dipende l'operatore che, attraverso la propria libera scelta, decide di aggiungere un secondo canale aggiuntivo e integrativo di offerta della propria prestazione professionale, nel rispetto del disposto della legge n. 120 del 3 agosto 2007;
    appare del tutto ovvio come il canale della libera professione intramuraria debba essere (come è) soggetto a verifiche e controlli attraverso parametri ed indicatori oggettivi che consentano di mantenere nelle piena fisiologia il sistema, evitando di alimentare sospetti di distorto funzionamento o, addirittura, vere e proprie pratiche illegittime e/o illegali;
    l'obiettivo del sistema resta, dunque, quello di offrire liste d'attesa per la fruizione delle prestazioni sanitarie che siano le più brevi possibili, garantendo la piena accessibilità in emergenza ed urgenza e mantenendo la «doppia opportunità» per le attività di routine che beneficiano complessivamente del «doppio canale», garantito dalla libera professione intramoenia che, riducendo la complessiva lunghezza dell'attesa, favorisce anche coloro che scelgono – o sono costretti a scegliere – di rivolgersi esclusivamente al percorso pubblico;
    la esclusione di aree crescenti di popolazione italiana dalla opportunità di ricorrere a prestazioni sanitarie in regime di pronta solvibilità è certificata anche dai più recenti rapporti Istat e Censis che registrano tutti un numero crescente di famiglie che è costretta a rinunciare ad una parte delle prestazioni sanitarie utili o indispensabili (ad esempio quelle nel settore odontoiatrico) perché non possiede le risorse economiche indispensabili per la loro fruizione;
    appare chiaro come, in questa situazione di grave difficoltà generale, sia indispensabile ricorrere ad interventi regolatori centrali che abbiano funzione di indirizzo e di verifica, come del resto stabilito attraverso la norma dell'articolo 1, comma 280, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che prevede la realizzazione da parte delle regioni degli interventi previsti dal Piano nazionale di contenimento dei tempi di attesa;
    coerentemente a tale previsione legislativa è stato definito il ruolo del Piano nazionale per il contenimento dei tempi di attesa 2006-2008, successivamente superato dal nuovo Piano nazionale di Governo delle liste di attesa (Pngla) 2010-2012, approvato dalla Conferenza Stato regioni ed operativo dal 28 ottobre 2010;
    la verifica della realizzazione su tutto il territorio nazionale degli obiettivi enunciati dal Pngla 2010-2012 è stata affidata ad Agenas, a cui è stato chiesto in particolare di selezionare le batterie di indicatori indispensabili a dare oggettività alla rilevazione del buon funzionamento del sistema, sia per quanto riguarda la efficacia complementare delle attività di libera professione intramoenia e intramoenia allargata, che per quanto attiene alla erogazione di prestazioni ambulatoriali dirette e all'attuazione dei Pdta da parte del Servizio sanitario nazionale;
    dal 2012, Agenas collabora dunque attivamente con le regioni per monitorare i tempi di attesa nell'attività cosiddetta Alpi e in quella istituzionale;
    l'esperienza sul campo acquisita da Agenas ne ha fatto un componente fondamentale del tavolo di lavoro interistituzionale che opera per la stesura del nuovo Pngla 2016-2018;
    modernamente, le azioni di contenimento delle liste di attesa passano attraverso la individuazione delle priorità cliniche che, secondo il modello di riferimento dei Rao (raggruppamenti di attesa omogenei), consenta di omogeneizzare i tempi di attesa sulla base di criteriologie coerenti, stabilite nazionalmente, con possibili variazioni contestuali regionali, attraverso la collaborazione dell'esperienza dei Mmg, dei Pls e dei medici specialisti ambulatoriali ed ospedalieri;
    lo scostamento aziendale rispetto ai parametri nazionali e alle eventuali specificità decise su base regionale, può consentire la verifica di eventuali anomalie di funzionamento del sistema, permettendo l'eliminazione delle discrasie;
    il complessivo obiettivo del Pngla non può ovviamente essere quello di aumentare l'offerta, ma deve necessariamente essere quello di garantire l'appropriatezza, agendo sul versante del governo della domanda, intervenendo sulle criticità e organizzando l'offerta secondo il criterio della priorità clinica e del rispetto delle linee guida nella gestione dei Pdta;
    la prima delle azioni condivise riguarda dunque l'aggiornamento e la crescita di consapevolezza del personale sanitario che, sia sul versante prescrittivo, che su quello operativo deve avere chiari gli obiettivi di sistema e i percorsi metodologici coerenti, in modo da poter adeguare la propria opera professionale alle necessità dei nuovi modelli assistenziali proposti;
    analoga attenzione andrà posta sulle nuove opportunità informatiche, sia per quanto attiene alla informatizzazione delle attività di prenotazione secondo la criteriologia della priorità clinica, anche con la collaborazione delle nuove funzioni della farmacia clinica e attraverso l'attività sempre più raffinata dei Cup, che per quanto attiene alle azioni di consegna del referto e di pagamento on line di eventuali ticket sulla prestazione;
    il supporto informatico appare indispensabile anche per garantire la trasparenza delle azioni e della attuazione degli indirizzi, che possa permettere al cittadino di rilevare personalmente e direttamente sul sito web aziendale la effettiva rispondenza agli obiettivi declinati delle azioni messe in campo;
    il precedente Pngla individuava le prestazioni sanitarie ambulatoriali e i Pdta, indicando i range dei corrispondenti tempi di attesa a garanzia dei diritti del paziente, selezionando altresì la batteria degli strumenti di rilevazione e degli indicatori da utilizzare per valutare la capacità delle singole regioni ad ottemperare alle prescrizioni del piano stesso;
    il precedente Pngla andava anche ad indicare risorse economiche specifiche per la realizzazione degli obiettivi del piano (ex articolo 1, comma 34, della legge n. 662 del 23 dicembre 1996) e stabiliva la criteriologia per l'acquisizione di prestazioni sanitarie esterne in regime di accreditamento, eventualmente necessarie alla equilibrata gestione del complessivo governo della domanda;
    il precedente Pngla aveva altresì selezionato due «aree sensibili» (oncologia e cardiovascolare), su cui concentrare massimante lo sforzo per il governo della rapidità e della appropriatezza delle prestazioni;
    le esperienze dei più avanzati sistemi sanitari regionali italiani (vedasi in tal senso l'azione della regione Emilia Romagna che, nel 2015, ha potuto affermare di aver centrato il 98 per cento dei propri obiettivi) confermano che la miglior gestione delle liste di attesa si realizza attraverso il governo della domanda, secondo classi di priorità cliniche, che consentano di canalizzare in modo diverso l'urgenza, la cronicità e la routine, portando in fisiologia i relativi flussi e monitorandone costantemente l'evoluzione, che deve essere trasmessa con puntualità ai centri aziendali e regionali di raccolta e organizzazione della lettura del dato;
    in particolare, la classificazione proposta nel precedente Pngla per le prestazioni, urgenti, brevi, differibili e programmate, ha sicuramente consentito di garantire a ciascuna esigenza sanitaria il canale più appropriato di soddisfazione;
    lo sviluppo e l'implementazione delle attività di medicina di iniziativa, che consentono di migliorare la sicurezza delle cure e la gestione del paziente nel territorio rappresentano un ulteriore meccanismo di azione virtuoso sulle liste di attesa;
    anche lo sviluppo delle attività della Medicina 2.0 e, in particolare, il monitoraggio del paziente cronico da remoto, rappresentano un'ulteriore opportunità del rafforzamento della medicina nel territorio, che consente la migliore programmazione dell'accesso ad eventuali prestazioni sanitarie specialistiche;
    per tutti questi motivi, la definitiva stesura del nuovo Pngla è molto attesa, sia per le aspettative generate nella fase preparatoria del piano stesso, sia per l'effettiva necessità di un aggiornamento del piano precedente, che tenga conto delle best practices regionali, della esperienza maturata negli anni e delle informazioni raccolte nel tempo, conseguentemente andando ad individuare i campi prioritari di azione per le nuove strategie e le indispensabili, nuove risorse disponibili per la realizzazione degli obiettivi di sistema,

impegna il Governo:

1) a garantire l'adozione più rapida possibile del nuovo Piano nazionale di governo delle liste d'attesa, indispensabile per consentire un complessivo miglioramento dell'assistenza e una più adeguata «qualità percepita» da parte del cittadino, curando in particolar modo:
   a) l'aggiornamento specifico e la crescita di consapevolezza di tutte le figure professionali, in particolare dei prescrittori, che devono concorrere al raggiungimento degli obiettivi del piano;
   b) l'attivazione di percorsi condivisi con le rappresentanze dei medici che garantiscono la Alpi e dei soggetti erogatori esterni, la cui collaborazione è indispensabile sul versante dell'organizzazione dell'offerta;
   c) la piena collaborazione con le associazioni di tutela dei diritti del malato, la cui collaborazione è indispensabile per la percezione dei diritti della domanda;
   d) la verifica e certificazione, per quanto di competenza, di tutti i percorsi di raccolta dati che abbiano l'obiettivo di garantire flussi di informazioni adeguati per l'orientamento delle azioni decisionali e per la loro eventuale revisione in progress;
   e) l'individuazione delle principali criticità del sistema, in modo da orientare la priorità delle nuove azioni di intervento;
   f) la previsione di adeguati investimenti per l'innovazione tecnologica, che appare indispensabile sia per la corretta attivazione della cascata prescrizione/prenotazione/refertazione, che per il potenziamento delle azioni di gestione territoriale del paziente, in particolare nel monitoraggio di parametri sanitari da remoto e nella tutela della programmazione dei controlli per la cronicità;
   g) la individuazione di complessive risorse economiche, specificamente finalizzate al raggiungimento degli obiettivi del nuovo piano e quantitativamente adeguate rispetto alle sue ambizioni.
(1-01588) «Vargiu, Monchiero, Matarrese, Librandi, Dambruoso, Galgano, Menorello, Oliaro, Quintarelli».


   La Camera,
   premesso che:
    per la prima volta dalla firma del Trattato di Roma nel 1957, le spinte verso la disintegrazione prevalgono sulla costruzione di «una Unione sempre più stretta fra i popoli europei». L'Unione europea è ben lungi dalla stabilità, dalla legittimità, dallo sviluppo concertato che avevano garantito le sue classi dirigenti. Alla vigilia dei negoziati della Brexit, che rappresenta un campanello d'allarme sull'impopolarità del «progetto europeo», sembra al contrario che, questo, sia entrato in una crisi irreversibile e la sua stessa esistenza sia messa in questione;
    si sono accumulati ostacoli e contraddizioni la cui coincidenza non dipende dal caso; questi sono:
     persistente effetto divaricante e deflattivo dell'euro e conseguente innalzamento dei debiti pubblici in rapporto al Pil senza che si intraveda una soluzione;
     tragedia dei rifugiati che l'accordo con la Turchia non ha fatto che spostare temporaneamente da una frontiera all'altra;
     continuità delle politiche mercantiliste legate all'austerità e alla svalutazione del lavoro che accelerano la deindustrializzazione dei territori e mettono in concorrenza al ribasso i lavoratori di diverse nazionalità e liquidano le risorse del welfare;
     crisi delle istituzioni parlamentari nazionali;
     guerra lungo tutti i confini d'Europa, dall'Ucraina alla Siria alla Libia;
    l'obiettivo di un'unione sempre più stretta ha ceduto il passo a un sistema di integrazione a «varie velocità». Le celebrazioni ufficiali per il 60esimo della firma dei Trattati di Roma hanno segnato, di fatto, la decisione di disintegrare l'Europa che, lungo la rotta dei Trattati europei e del Fiscal compact, porta a disintegrare l'Unione europea, con la solita prassi di dichiarare che si tratta di un grande passo in avanti nella direzione del suo rafforzamento;
    l'unione monetaria così come è stata realizzata, all'insegna del mercantilismo tedesco e senza politiche comuni in ambito economico, fiscale e sociale, si è dimostrata insostenibile: si è realizzata attraverso una svalutazione del lavoro, la riduzione della spesa pubblica e degli investimenti pubblici, la privatizzazione del patrimonio collettivo ed ha alimentato gli squilibri geografici, ha depresso l'economia e la crescita, ha fatto crescere le diseguaglianze; l'organizzazione dell'eurogruppo presieduto da Dijsselbloom si è dimostrata per i presentatori del presente atto di indirizzo una struttura opaca, non democratica e senza regole condivise;
    l'euro-riformismo di facciata che chiede «più Europa», la riforma dei trattati, maggiore flessibilità e meno rigore, ma che in realtà si accontenta del piccolo cabotaggio e degli «zero-virgola», rispettoso di regole ingiuste e controproducenti non è una soluzione; è la continuazione di politiche neoliberiste che fanno crescere povertà e diseguaglianze;
    infatti, se le pratiche attuali dell'eurogruppo proseguiranno, si avrà presto una grave crisi politico-finanziaria italiana, che avrà ricadute anche in Germania. Si riaffaccia, inoltre, il progetto della «Kernel Europa», un'Unione europea a più velocità ed a cerchi concentrici subordinati ad un nucleo centrale. Questo piano è destinato al fallimento nel medio termine. In ogni caso, l'Italia ne verrebbe probabilmente esclusa di fatto;
    altre forze politiche nazionaliste e xenofobe premono per una disintegrazione dell'Unione europea, la fine della democrazia liberale e una ricostruzione di muri e frontiere;
    ma oltre la falsa opposizione fra Europa e Stato nazionale, la questione chiave sarà come ricostruire potere popolare per cambiare e democratizzare entrambi;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria» o «Patto di Bilancio Europeo» (cosiddetto «Fiscal compact») è un trattato intergovernativo europeo, sottoscritto dai Paesi dell'eurozona, il quale prevede, in particolare:
     il vincolo dello 0,5 per cento di deficit «strutturale» rispetto al Pil;
     l'obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di almeno 1/20esimo all'anno per i Paesi con un rapporto superiore al 60 per cento, come previsto dal Trattato di Maastricht;
     l'obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil, come previsto dal Trattato di Maastricht;
    per l'Italia – vista la situazione del suo bilancio strutturale e con un rapporto debito/Pil attualmente pari a circa il 133 per cento – si tratterebbe di impostare manovre finanziarie annuali da decine di miliardi di euro, onde rispettare l'accordo;
    il Fiscal compact prevede, inoltre, l'introduzione dell'equilibrio di bilancio per ciascuno Stato in «disposizioni vincolanti di natura permanente – preferibilmente costituzionale»;
    l'Italia ha proceduto non solo al recepimento del Trattato – senza, peraltro, alcuna consultazione popolare, ma solo con un passaggio parlamentare – nel luglio 2012, ed è tra i pochi Paesi dell'eurozona che ha introdotto tale obbligo in Costituzione nel 2012 (legge costituzionale n. 1 del 2012);
    ma lo stesso Fiscal compact ha obbligato sì a introdurre principi di equilibrio dei conti «tramite disposizioni vincolanti e di natura permanente», ma con una semplice indicazione di «preferenza» per il livello costituzionale (articolo 3, comma 2). La scelta dunque di «costituzionalizzare» il princìpio dell'equilibrio di bilancio ricade pienamente nella responsabilità politica del Parlamento italiano. Ciò comporta il gravissimo effetto di rendere immodificabili le politiche del rigore anche nell'ipotesi – auspicabile e da perseguire politicamente – di un ravvedimento a livello europeo;
    l'articolo 16 del Trattato prevede che, entro cinque anni dall'entrata in vigore (1o gennaio 2013) del Fiscal compact, esso venga inserito nell'ordinamento comunitario; di conseguenza che avvenga la sua trasformazione – entro il 31 dicembre 2017 – da accordo intergovernativo in parte integrante dei trattati fondativi dell'Unione europea;
    tale trasformazione imporrà ai Paesi sottoscrittori il pieno dispiegamento dei suoi obblighi, il suo farsi parte costitutiva e fondante dell'Unione europea, e assai più difficoltoso, complesso e arduo procedere alla sua cancellazione o anche solo ad una sua revisione;
    per l'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei è necessaria l'unanimità dei consensi;
    il Fiscal compact è solo uno di quelli che appaiono ai presentatori del presente atto i soffocanti paletti imposti dall'inizio della crisi. Infatti, l'Europa ha adottato una serie di regole che – sommate alle storture congenite dell'unione monetaria europea – obbediscono alla stessa logica, quella di evitare la condivisione dei rischi:
     a) nel 2010-2012, il programma straordinario di acquisti di titoli di Stato (Securities Market Programme – SMP), mentre aiutava i Paesi periferici a risollevarsi, ha trasferito 10 miliardi di euro alla Banca centrale europea (Bce) (di cui oltre 2 sono andati alla Bundesbank) sotto forma di interessi pagati sui titoli coinvolti nel programma;
     b) i 2 mega-prestiti a lungo termine (LTRO) da 1.000 miliardi di euro erogati dalla Bce tra dicembre 2011 e febbraio 2012 alle banche della periferia che, con questa liquidità, hanno saldato i debiti con le banche tedesche e comprato titoli emessi dai loro rispettivi governi. Così le banche tedesche hanno ridotto la loro esposizione verso la periferia per oltre 750 miliardi di euro;
     c) a marzo 2012, il Fiscal Compact ha aggravato gli interventi di contenimento della spesa pubblica, compresa quella destinata agli investimenti infrastrutturali, il cui crollo è la causa della perdita di quasi 1/4 della nostra produzione industriale;
     d) nell'autunno 2012, l'accordo sul Meccanismo europeo di stabilità ha imposto clausole di azione collettiva (CAC) sulle nuove emissioni di titoli di Stato a partire dal gennaio 2013, con le quali una minoranza degli obbligazionisti (appena il 25 per cento+1) può bloccare la ridenominazione del debito nella nuova valuta nazionale nel caso un Paese esca dalla moneta unica;
     e) per coprirsi dal rischio del debito privato, a gennaio 2016, è entrato in vigore il bail-in che riversa sui risparmiatori domestici le perdite delle banche dovute a una prolungata congiuntura avversa;
     f) il Quantitative Easing (QE) risponde alla stessa logica di segregazione dei rischi. Le banche centrali nazionali si fanno carico della maggioranza degli acquisti di titoli emessi dai rispettivi Governi e, per farlo, si indebitano con la Bce; perciò, se un Governo non paga, a farne le spese è la sua banca centrale, mentre – proprio come in un derivato di credito – la Bce non subirà perdite. Il saldo negativo più o meno elevato dei Paesi periferici dell'eurozona all'interno del sistema Target2, in larga misura, è dovuto proprio al QE. La liquidità ricevuta dai Paesi periferici nell'ambito del QE non è andata a supportare la loro economia reale, bensì è finita all'estero, pompando il loro disavanzo Target2 e, in parallelo, l'avanzo tedesco. La somma dei saldi negativi di Italia e Spagna corrisponde quasi al surplus Target2 della Germania, cieca 720 miliardi di euro. Per l'Italia, il conto sarebbe di 363 miliardi di euro, oltre il 20 per cento del Pil;
    nel 2016, la Bce ha continuato e addirittura rafforzato la sua politica di creazione di abbondante liquidità. Ma tale politica sembra aver raggiunto i suoi limiti. Nel corso della crisi, la Bce ha acquisito nuovi ampi poteri e responsabilità, che fanno ancora di più della sua indipendenza da tutti gli organi politici dell'Unione europea una forzatura dei principi democratici;
    tali politiche, che hanno imposto l'austerità dei conti pubblici all'insieme dell'eurozona, come ha dovuto ammettere ormai anche la maggior parte degli economisti mainstream, hanno avuto effetti negativi sulla crescita economica;
    nell'ambito di un quadro di recessione globale, la zona euro mostra, infatti, particolari difficoltà e il peggioramento dell'economia si è accompagnato a una crisi sociale senza precedenti, mentre si sono sviluppati movimenti xenofobi e antieuropei; l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari, imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010, sono stati così varati programmi di riequilibrio delle bilance commerciali dei Paesi in deficit, attraverso drastici interventi sui conti pubblici, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici, il riequilibrio della bilancia commerciale è avvenuto al prezzo di pesanti ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), che hanno determinato un aumento del debito pubblico in rapporto al Pil dovuto alla recessione indotta dalle politiche di austerità;
    la gestione neoliberista della crisi economica ha aumentato le asimmetrie e le disuguaglianze esistenti all'interno dei Paesi europei e tra di loro, attuando una competizione sulla base di svalutazioni interne concorrenziali che si sono tradotte in un attacco sistematico al lavoro ed al welfare;
    nel 2008 la Germania e la Grecia avevano quasi lo stesso livello di disoccupazione, nel 2015 la Germania l'aveva ridotto dal 7,4 per cento al 4,6 per cento, mentre in Grecia è aumentato dal 7,8 per cento al 25 per cento. La gestione della crisi economica in Europa ha portato benefici al Nord contro il Sud Europa;
    in Italia, la disoccupazione è aumentata ad oltre il 12 per cento (quella giovanile oltre il 43 per cento), la capacità produttiva del sistema industriale è scesa del 25 per cento (rispetto all'inizio della crisi) e lo stesso debito pubblico è continuato a salire arrivando nel 2016 al 133 per cento sul Pil che, in 9 anni di crisi, è sceso di oltre 7 punti;
    è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione, l'aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (Pil) è stato, nei Paesi periferici, solo leggermente superiore alla media della zona euro. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
    i risultati di queste politiche economiche sono stati largamente fallimentari ed hanno portato alla stagnazione e alla depressione economica. La disoccupazione è cresciuta del 40 per cento, gran parte dei Paesi della zona euro è stata colpita dalla recessione e – nonostante le politiche dei tagli – il debito pubblico è cresciuto mediamente dal 66 per cento (in rapporto al Pil) del 2008 al 93 per cento del 2015;
    pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (Grecia), il moltiplicatore fiscale, in una fase di recessione, è positivo e l'austerità porterà, quindi, a un calo del Pil maggiore del calo del debito, rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto tra debito e Pil;
    si è attuata una transizione dei poteri dagli Stati nazionali all'oligarchia dell'Unione europea, una vera espropriazione della democrazia a favore di una tecnocrazia che risponde, di fatto, solo ai poteri finanziari e a ristretti gruppi sociali che, secondo i presentatori del presente atto, di tali politiche di austerità si stanno avvantaggiando in maniera scandalosa; tra il 1976 e il 2006, la quota dei salari (incluso il reddito dei lavoratori autonomi) sul Pil è diminuita in media di 10 punti, scendendo dal 67 al 57 per cento circa. In Italia, è andata peggio: il calo ha toccato i 15 punti, dal 68 al 53 per cento (dati dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), un trasferimento di ricchezza, a favore soprattutto del capitale finanziario, pari – in moneta attuale – a 240 miliardi di euro;
    le misure economiche varate in questi ultimi 15 anni stanno dunque minando alle radici, insieme alla dimensione sostanziale e sociale del costituzionalismo europeo, lo stesso processo di integrazione dell'Unione europea;
    l'unità politica di un popolo è data dall'uguaglianza nei diritti, stabiliti nelle Costituzioni, di quanti in esso si riconoscono, appunto come uguali. È quanto afferma lo stesso preambolo alla Carta europea dei diritti fondamentali: «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà». Prima ancora, del resto, il Consiglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999 aveva dichiarato: «la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell'Unione europea» e «il presupposto indispensabile della sua legittimità»;
    l'Unione europea, ben più che un mercato comune, è quindi un insieme di popoli che si vogliono unificati da comuni valori di civiltà, oggi, però, posposti ai valori dei bilanci dalle inadeguate tecnocrazie comunitarie; le quali, mentre minacciano l'espulsione della Grecia, culla dell'Europa, nulla dicono delle derive autoritarie dell'Ungheria e del riemergere in tanti Paesi di rigurgiti neonazisti, antisemiti e razzisti. Ben più della libera concorrenza, l'unificazione politica dell'Europa richiederebbe, insomma, come presupposto, l'uguaglianza dei cittadini europei e l'indivisibilità dei loro diritti fondamentali;
    l'economia, che dai padri costituenti dell'Europa fu concepita e progettata come un fattore di unificazione – dapprima il mercato comune e poi la moneta unica – è oggi diventata, in assenza di politiche in grado di governarla, un fattore di conflitto e divisione;
    la ricetta giusta per uscire dalla crisi è sopperire alla carenza di domanda privata con la politica di bilancio. In un periodo durante il quale consumi ed investimenti privati faticano a crescere, è lo Stato che deve intervenire con politiche espansive, in particolare aumentando la spesa pubblica per investimenti per stimolare direttamente la domanda. Date le attuali condizioni di sottoutilizzo della capacità produttiva, è altamente probabile che lo stimolo fiscale incrementi a sua volta anche consumi ed investimenti privati, perché l'impatto positivo dell'aumento del reddito sarebbe superiore all'impatto negativo dell'aumento dei tassi di interesse. Grazie all'effetto moltiplicatore, la politica espansiva genera un aumento più che proporzionale dell’output, innescando un circolo virtuoso: maggiore produzione, maggiori investimenti e maggior capacità produttiva;
    lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, Matteo Renzi, ebbe a dichiarare nel novembre 2016 che: «Nel 2017 il “fiscal compact”, le regole del pareggio di bilancio dovrebbero entrare nei trattati. Io sono nettamente contrario a questa ipotesi. Monti, Bersani e Brunetta ci hanno regalato il fiscal compact. Nel 2017 l'Italia dirà no al suo inserimento nei trattati», ed ha aggiunto: «Al netto delle elezioni francesi, tedesche e olandesi, sarà l'anno in cui, in un senso o nell'altro, si metterà la parola fine alle discussioni sulle politiche europee. La politica dell’austerity è fallita». C’è da chiedersi se il Governo attualmente in carica, sostenuto dalla stessa maggioranza parlamentare del Governo pro tempore, darà un seguito concreto a tali affermazioni;
    il pareggio di bilancio strutturale dei nostri conti pubblici, calcolato al netto del ciclo e delle una tantum, era previsto in origine nel 2014, ma è slittato di anno in anno. Lo stesso calcolo dell’output gap (la differenza tra crescita effettiva e crescita potenziale) è una costruzione artificiosa, tant’è che esistono diverse metodologie di calcolo che danno risultati molto diversi: con i criteri della Commissione europea, si è in deficit, ma per i criteri Ocse si è in surplus, mentre per i criteri del Fondo monetario internazionale si è in pareggio;
    l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei avrebbe effetti moltiplicativi di queste politiche fallimentari, oltre ad alimentare un clima di distacco e sfiducia delle popolazioni europee verso l'Unione europea. Tale clima potrebbe contribuire a determinare una vera e propria disintegrazione dell'Unione europea e portare all'acuirsi del consenso a soggettività politiche che individuano in politiche nazionalistiche e di colpevolizzazione dei migranti le responsabilità della situazione venutasi a creare;
    il dogma dell'obbedienza cieca ai parametri del Fiscal compact è stato contraddetto anche dalla sentenza della Corte costituzionale italiana n. 275 dell'ottobre 2016, dove si indica – in estrema sintesi – che servizi primari incomprimibili per i cittadini non possono venir negati da vincoli di bilancio e che il corpus normativo costituzionale nazionale ha primazia sul rispetto dei trattati medesimi (anche se inserito in un singolo articolo della Carta costituzionale). Aspetto, quest'ultimo, già sentenziato dagli organi preposti dello Stato tedesco;
    l'8 marzo 2016 la Commissione europea ha presentato una prima stesura del «Pilastro europeo dei diritti sociali». Il 31 dicembre 2016 si è conclusa la consultazione europea che ha visto la partecipazione di istituzioni, parlamenti, sindacati e associazioni; ora si tratta di procedere alla stesura definitiva che dovrà avvenire entro il 2017;
    il «Pilastro europeo dei diritti sociali» rappresenta un obiettivo condivisibile se il risultato finale è quello di fissare principi essenziali da garantire in tutti i Paesi aderenti all'Unione europea. Nel «Pilastro europeo dei diritti sociali», si afferma tra gli altri, il diritto ad un reddito minimo; ma non viene posto in essere un vincolo giuridico per stabilire a livello europeo un reddito minimo, né tantomeno per gli altri diritti sociali in esso contenuti. Se la volontà è di andare in questa direzione, allora occorre definire questo diritto e renderlo effettivo per tutti gli Stati aderenti come misura fondamentale di lotta all'esclusione sociale;
    la politica macroeconomica dell'Unione europea richiede un approccio alternativo che, nel breve periodo, generi una dinamica di sviluppo capace di auto sostenersi, che assicuri la piena occupazione e, in una prospettiva di lungo periodo, una crescita equa e capace di correggere gli evidenti squilibri macroeconomici;
    è necessario ottenere innovazioni radicali dei trattati che regolano le relazioni intraeuropee, a partire dal Fiscal compact, in almeno sei distinte aree:
     a) il requisito di bilancio in pareggio deve essere sostituito da un requisito di bilanciamento dell'economia, che includa fra gli obiettivi livelli di occupazione alti e sostenibili. Merita ricordare che, nelle versioni consolidate del Trattato dell'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ricorrono pochissime volte espressioni che impegnino l'Unione a promuovere «un elevato livello di occupazione». Tale obiettivo non risulta attualmente un impegno dell'Unione, bensì appare come l'esito dell'economia sociale di mercato fortemente competitiva, di stampo neo-liberale, che purtroppo l'Unione e le sue istituzioni (Banca centrale europea in testa) hanno promosso. La modifica dei trattati dell'Unione europea nel senso indicato può segnare il ritorno allo spirito della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, che «pone la persona al centro della sua azione», ridisegnando la sua «costituzione economica», contro quella «costituzione finanziaria» che, acriticamente assunta, ha sottratto linfa allo spirito e alla lettera della Carta dei diritti fondamentali e alla costruzione del «popolo europeo»;
     b) in una prospettiva di lungo termine, le dimensioni del budget comunitario devono aumentare sostanzialmente, così da poter finanziare investimenti europei, insieme a beni e servizi pubblici e poter mettere in atto una politica fiscale anticiclica europea, a supporto delle politiche fiscali nazionali;
     c) piuttosto che concentrare l'attenzione solamente sulla crescita complessiva, dare priorità anche al superamento delle disuguaglianze regionali e intersettoriali;
     d) è necessaria una strategia europea per gli investimenti a lungo termine, finalizzata allo sviluppo europeo, nazionale e locale;
     e) politiche per la (re)industrializzazione dei Paesi periferici, che richiedono l'introduzione di specifiche misure protezionistiche. Le politiche anti-cicliche di breve periodo dovrebbero includere misure per la promozione di una ristrutturazione del tessuto produttivo esistente. Tutto ciò richiede, ovviamente, specifici interventi di messa in discussione dell'attuale regolamentazione europea e dell’acquis comunitario;
     f) l'odierna strategia deflazionistica di svalutazione competitiva deve essere rimpiazzata da una strategia di crescita dei salari che assicuri un'inflazione stabile e la partecipazione dei lavoratori alla crescita del reddito nazionale;
     g) vanno poste in atto misure incisive per combattere la concorrenza fiscale,

impegna il Governo:

1) a intervenire con forza, in tutte le sedi europee, assumendo iniziative per una radicale riscrittura dei Trattati europei per ridurne le contraddizioni con i princìpi delle Costituzioni dei Paesi dell'Unione europea, nate dopo la II Guerra mondiale. In assenza di tale riscrittura, a rifiutare di inserire il Fiscal compact nei Trattati europei, opponendo il veto in sede europea;
2) a promuovere la rimozione delle disposizioni pro-cicliche (come quelle contenute nel Fiscal compact) e lo scorporo della spesa per investimenti dal calcolo del saldo strutturale dal momento che, senza investimenti pubblici, è impensabile che il Pil possa riprendere a crescere oltre lo zero virgola, e quindi permettere al Paese di creare da sé le risorse necessarie per finanziare il fabbisogno del settore pubblico e ridurne il debito;
3) a proporre la mutualizzazione dei rischi del Quantitative Easing e l'introduzione, a livello europeo, di politiche di bilancio di compensazione dei disallineamenti dei cicli economici dei vari Stati membri, esattamente come accadrebbe in una unione monetaria completata dall'unione politica (si veda l'esempio degli Stati Uniti d'America);
4) a proporre una conferenza europea sui debiti sovrani per affrontare le situazioni nazionali più critiche;
5) a proporre, in sede europea, che i titoli di Stato comprati dalle banche centrali nazionali nell'ambito del Quantitative Easing siano trasferiti nell'attivo di bilancio della Banca centrale europea e successivamente congelati a tempo indefinito, senza alcuna sterilizzazione;
6) ad assumere iniziative per reperire, in sede europea, le necessarie risorse finanziarie e, per garantire, specialmente nei Paesi più poveri, che i trasferimenti sociali ai rifugiati non siano a loro spese, e per realizzare diversi interventi di sostegno sia verso i richiedenti asilo, che verso le aree più sotto pressione dai flussi migratori considerato che entrambi gli obiettivi potrebbero essere perseguiti se l'Unione europea potesse incanalare in tale direzione almeno una parte della moneta creata attraverso il Quantitative Easing della Banca centrale europea;
7) a mettere in discussione l'aumento delle spese militari dell'Unione europea, respingendo le proposte di rafforzamento della capacità militare dell'Unione in risposta alla crisi, dato che il ricorso alla coercizione nazionale e internazionale non potrà risolvere i problemi socio-economici più di quanto non abbia fatto in passato;
8) a proporre l'utilizzazione, a livello europeo, di una quota del gettito della tassa sulle transazioni finanziarie, unitamente all'emissione di eurobond e project bond, per finanziare e promuovere l'occupazione, in particolare quella giovanile, e la riconversione ecologica del sistema produttivo;
9) a proporre la ridefinizione del ruolo della Banca centrale europea come prestatrice di ultima istanza;
10) a proporre un programma europeo, una sorta di « social compact», per lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale, la lotta alle disuguaglianze ed alla povertà, da concordare con gli altri partner continentali, nel quale inserire, in particolare, un'indennità di disoccupazione europea;
11) a promuovere una modifica dei Trattati e del diritto dell'Unione europea nel senso di includere la lotta alla disoccupazione e la promozione di un'elevata occupazione tra gli obiettivi principali delle politiche dell'Unione, nonché ad assumere iniziative per integrare e a modificare lo Statuto del sistema europeo di Banche centrali (Sebc) e della Banca centrale europea (Bce), al fine di includere tra i princìpi generali per le operazioni di credito a banche dell'eurozona la condizione per cui un credito viene concesso soltanto se appare promuovere sicuramente l'occupazione netta nel Paese dell'ente richiedente;
12) ad assumere iniziative per fare sì che, in sede di Unione europea, la stesura finale del «Pilastro europeo dei diritti sociali»:
     sia approvata definitivamente entro giugno del 2017;
     si riferisca espressamente all'articolo 151, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea ovvero alla armonizzazione verso l'alto, e che non si limiti alla sola necessità di una maggiore convergenza degli Stati, affermando che i principi sociali di riferimento siano da garantire in tutti Paesi aderenti all'Unione europea;
13) a sostenere, a livello nazionale, attraverso risorse adeguate, azioni, programmi ed iniziative di carattere normativo, il diritto ad un reddito minimo e tutti i diritti recati dal «Pilastro europeo dei diritti sociali»;
14) ad assumere le opportune iniziative normative al fine di cancellare le modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, apportate dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, al fine di eliminare il principio dell’«equilibrio di bilancio» e di garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali;
15) ad assumere le opportune iniziative anche al fine di modificare i meccanismi di cui alla cosiddetta «legge rinforzata», la legge 24 dicembre 2012, n. 243, con particolare riguardo alla definizione del saldo strutturale, alla cosiddetta «regola del debito» per quanto concerne i fattori rilevanti, alla cosiddetta «regola della spesa», alle modalità del monitoraggio da parte del Ministro dell'economia e delle finanze del livello della spesa, alla definizione di eventi eccezionali, alle norme concernenti gli enti territoriali, al ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio che dovrà essere di supporto del ruolo democratico e sovrano del Parlamento.
(1-01589) «Marcon, Fratoianni, Civati, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Pellegrino, Placido».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della difesa, per sapere – premesso che:
   il 10 aprile 2005 alle ore 18,25 è esplosa una riservetta dello stabilimento militare di Baiano di Spoleto;
   l'11 maggio 2005 la procura di Spoleto ha notificato al primo maresciallo luogotenente Antonio Saputo l'avviso di garanzia, procedimento n. 431/05 R.G.N.R. SCF in qualità di responsabile della gestione materiali esplosivi ed inerti dello stabilimento;
   15 novembre 2007 il procuratore della Repubblica concludeva le indagini preliminari con la richiesta di rinvio a giudizio del predetto militare;
   il 17 maggio 2012 fu svolta la prima udienza davanti al giudice monocratico. Seguirono altre 23 udienze nel corso delle quali furono ascoltati circa 150 testimoni, di cui 110 su richiesta del pubblico ministero;
   il 27 febbraio 2014 il tribunale di Spoleto ha pronunciato la sentenza n. 57/2014 con la formula: visto l'articolo 530 comma 2 c.p.p. assolve dai reati loro ascritti perché il fatto non sussiste;
   in data 26 novembre 2005, contemporaneamente allo svolgimento del procedimento da parte del Procuratore della Repubblica di Spoleto, la Procura militare della Repubblica avvia il procedimento penale n. 365/A/2005 BAR e conclude le indagini preliminari il 5 luglio 2007. Il procedimento avviato dall'organo della giustizia militare è successivamente confluito nel processo penale presso il tribunale di Spoleto;
   il Ministero della difesa in data 11 aprile 2005 designa il Brigadier Generale Angelo Ambrosino a svolgere l'inchiesta sommaria sulla base del decreto Ministeriale 18 dicembre 1981. Tale inchiesta si conclude il 5 maggio 2005;
   il 25 gennaio 2006, il Segretario Generale Dna nomina la commissione di inchiesta formale che il 26 ottobre 2006 presenta un supplemento all'inchiesta formale;
   la direzione generale armamenti terrestri VI reparto 14a divisione, con la lettera n. 14/2/CN3789/1996 del 10 giugno 2009 trasmette al Primo Maresciallo Antonio Saputo la costituzione di mora e di interruzione dei termini prescritti ai sensi degli articoli 1219 e 2943 c.c., chiedendo al militare di versare all'erario, nel termine di 30 giorni, la somma di euro 1.534.362,19;
   il 12 maggio 2011 con lettera prot. n. 0358/2005/CHI, la procura regionale della Corte dei conti invita il predetto sottufficiale a produrre deduzioni. Il 28 gennaio 2015 si è svolto il processo innanzi alla Corte dei conti presso la procura regionale dell'Umbria, con la richiesta del pubblico ministero di assoluzione. La Corte dei conti il 25 febbraio 2015 pronuncia la sentenza di assoluzione n. 21/2015;
   in data 30 luglio 2014 il maresciallo Saputo ha chiesto il rimborso della parcella emessa a suo carico dall'avvocato difensore per un importo complessivo di euro 88.000, trasmessa all'Avvocatura dall'Agenzia industrie difesa;
   l'Avvocatura di Stato di Perugia ha comunicato la congruità in data 18 luglio 2015 del solo importo di euro 14.117,40 (oltre Iva e Cpa) di cui euro 10.000 già concessi in anticipo e versati al professionista che ha curato la difesa nei giudizi;
   in data 22 dicembre 2015 il difensore di Saputo richiedeva al predetto militare la somma euro 60.361,74 a saldo della parcella per l'attività professionale svolta in sede penale e, successivamente, in data 29 novembre 2016, gli notificava, tramite il tribunale civile di Spoleto, il ricorso per decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo per euro 60.361,74 più spese e tasse;
   in data 12 dicembre 2016 l'ufficiale giudiziario ha notificato al direttore dell'ente da cui dipende il sottufficiale l'atto di pignoramento presso terzi per euro 65.016,43, disponendo il pignoramento di tutte le somme dovute al militare dal Ministero della difesa – CUSE – Centro unico stipendiale esercito e agenzia industrie difesa, a titolo di retribuzione, indennità a qualsiasi titolo dovute, incluse quelle relative al trattamento di fine rapporto nei limiti di legge, fino all'estinzione del credito attivato con atto di precetto, inclusi interessi a maturare, spese, competenze ed onorari della fase esecutiva, oltre Cap e Iva come per legge;
   il Ministero della difesa, direttore generale per il personale militare, 1o Reparto, 3a divisione, 1a sezione, in data 9 gennaio 2015, prot. n. M_D GMIL 0010953, ha definito la posizione disciplinare del maresciallo Antonio Saputo senza alcuna sanzione di stato;
   ad avviso dell'interrogante la complessa vicenda giudiziaria che ha coinvolto il maresciallo Antonio Saputo e che si è conclusa sia in sede penale, che con riferimento al danno erariale con la piena assoluzione del militare, impone allo Stato, quindi al Ministero della difesa, l'obbligo di rifusione delle spese sostenute per lo svolgimento dell'attività difensiva dal predetto militare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative intenda porre in essere, con la necessaria urgenza, affinché il maresciallo Antonio Saputo non debba in alcun modo farsi carico di oneri che non possono gravare sulla sua persona in relazione ai fatti esposti in premessa.
(2-01756) «Pili».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON, PALAZZOTTO, FRATOIANNI e COSTANTINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Francesca Peirotti, cittadina italiana, è stata rinviata a giudizio a Nizza per aver «favorito l'ingresso irregolare di otto migranti su territorio francese», con la richiesta – formulata dall'accusa – di condannarla ad otto mesi di reclusione con la condizionale e due anni di interdizione dal territorio francese;
   l'accusa sarebbe quella di aver commesso un delitto di solidarietà perché martedì 8 novembre 2016 percorreva l'autostrada francese verso Mentone, guidando un furgoncino da nove posti, nel quale viaggiavano una coppia eritrea e il loro bimbo di 6 mesi, tre ragazze e due ragazzi di Eritrea, Etiopia e Ciad;
   Francesca, in tribunale, ha rifiutato di riconoscere come «reato» il suo gesto di solidarietà ed ha dichiarato che «Quella tra Ventimiglia e Mentone non è una frontiera – ha aggiunto – è un filtro di selezione dove i controlli vengono effettuati esclusivamente in base al colore della pelle»;
   con simili accuse a Nizza sono finiti a processo, e sono stati assolti, anche cittadini francesi, tra i quali sono noti i casi del ricercatore e professore universitario Pierre-Alain Mannoni e dell'agricoltore Cédric Herrou;
   in entrambi i casi, i giudici hanno stabilito che le loro azioni sono «legittime e mosse da spirito umanitario». Nell'atto di trasportare i migranti, hanno agito per assicurare la loro «dignità» e garantirne l'integrità fisica, impedendo che questi percorressero a piedi l'autostrada;
   fuori dal tribunale, durante le udienze, molte persone, migranti e cittadini solidali, si sono radunati in presidi per la «libera circolazione», raccontando le condizioni in cui arrivano i migranti, la drammaticità dei Paesi di origine, del viaggio e della permanenza a Ventimiglia;
   Francesca Peirotti è laureata, master in economia, un'esperienza di un anno in ambito umanitario in Etiopia, la conoscenza dell'arabo che gli permette di svolgere quotidianamente il suo lavoro di mediatrice a Nizza con l'associazione «Habitat et Citoyenneté», l'estate ai Balzi Rossi con i migranti del campo autogestito di Ventimiglia, mesi passati nella Jungle di Calais. La sentenza nel suo caso è prevista per venerdì 19 maggio;
   Francesca, Pierre-Alain e Cédric sono per gli interroganti esempi di persone che fanno quello che possono per alleviare il viaggio dei migranti; fanno quello che ritengono più giusto, soccorrendo persone in pericolo di cui difendono la dignità di esseri umani;
   i Governi, quello francese e quello italiano in primis, dovrebbe secondo gli interroganti risolvere il problema invece di criminalizzare la solidarietà;
   gli interroganti fanno proprie le parole dell'associazione Medici Senza Frontiere, che ha dichiarato: «Riteniamo che l'aiuto debba essere imparziale verso coloro che ne hanno bisogno, al di là dello status giuridico di ognuno. Crediamo che condannare chi fornisce assistenza sia un modo cinico per giustificare il fallimento delle politiche di accoglienza e dei meccanismi di protezione dell'UE. Ancora una volta, si mette l'accento sulla deterrenza e la criminalizzazione della solidarietà invece che sui doveri di accoglienza e protezione» –:
    quali iniziative il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, nei confronti della Francia e in ambito comunitario per bloccare i tentativi di criminalizzazione della solidarietà e tutelare, nello specifico, Francesca Peirotti e i cittadini italiani impegnati alla frontiera tra Italia e Francia e come intenda risolvere la questione della disumanità di tale frontiera che, negli ultimi mesi, ha visto morire dieci persone. (4-16232)


   DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, SCAGLIUSI, SPADONI, GRANDE e SIBILIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, all'articolo 15, ha modificato il comma 2 dell'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 prevedendo che «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, è indicato il numero massimo, non superiore a cinque, per le auto di servizio a uso esclusivo, nonché per quelle a uso non esclusivo, di cui può disporre ciascuna amministrazione centrale dello Stato»;
   in attuazione di tale disposizione di legge è stato quindi adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 settembre 2014 («Determinazione del numero massimo e delle modalità di utilizzo delle autovetture di servizio con autista adibite al trasporto di persone») il quale ha previsto la riduzione delle autovetture di servizio con autista adibite al trasporto di persone da parte dell'amministrazione centrale dello Stato, ciascuna della quali è tenuta a ridurre il numero delle autovetture utilizzabili, fino a un massimo di cinque autovetture;
   l'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, al riguardo, in sede di conferenza stampa del 18 aprile 2014, affermava esplicitamente: «Massimo cinque vetture per ogni Ministero ... Ogni Ministero potrà avere al massimo cinque auto blu. Cosa vuol dire, la dico male, i sottosegretari vanno a piedi, non c’è bisogno per i sottosegretari dell'auto blu»;
   contrariamente a quanto stabilito dalla normativa menzionata, da un recente servizio della trasmissione Le Iene del 5 aprile 2017 è emerso che il Sottosegretario di Stato alla difesa, Domenico Rossi, nominato con decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 2016, non solo ha più volte utilizzato un'auto blu per recarsi nei propri uffici al Ministero, ma addirittura avrebbe utilizzato una vettura di servizio per recarsi allo Stadio Olimpico di Roma, al fine di vedere la partita di calcio Roma-Lazio, semifinale di Coppa Italia del 4 aprile 2017;
   se ne deduce, quindi, che egli abbia ripetutamente violato la normativa sopra richiamata, oltre ad aver arrecato un rilevante danno di immagine alle amministrazioni ministeriali tenuto conto dell'utilizzo, di certo non a fini istituzionali, di «auto blu» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se non ritengano che vi siano state violazioni delle disposizioni normative richiamate in premessa;
   se l'utilizzo delle auto di servizio sia stato autorizzato ed eventualmente per quali ragioni istituzionali ciò sia avvenuto;
   se non si ritenga opportuno chiedere e sollecitare le dimissioni del sottosegretario di Stato Domenico Rossi. (4-16240)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, FEDI, TACCONI, TIDEI, ZAMPA, GARAVINI, CHAOUKI, LA MARCA e LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   lo sviluppo del continente africano è nell'interesse di tutto il pianeta, primariamente dell'Europa e in particolare dell'Italia che, da ponte geografico tra i due continenti, può sfruttare virtuosamente i buoni rapporti esistenti con numerosi partner africani per lanciare una «nuova via con l'Africa» con l'obiettivo di assicurare che non sia più territorio di sfruttamento, di insicurezza e di migrazioni di massa;
   proprio quando si fa sempre più preoccupante il fenomeno delle migrazioni irregolari e suonano le sirene del radicalismo etnico e religioso, il forte incremento demografico che caratterizza alcune aree del continente africano non deve tradursi in un ulteriore aumento della marginalità sociale e della disoccupazione;
   l'Italia ha elaborato un contributo di policies presentato alle istituzioni europee, denominato Migration Compact che, parallelamente al contrasto dei flussi irregolari di migranti e del traffico di esseri umani, disegna una strategia volta a migliorare l'efficacia delle politiche migratorie esterne dell'Unione europea, agganciandole a misure per aiutare lo sviluppo dei Paesi partner, in particolare dell'Africa;
   il gruppo parlamentare del Partito democratico alla Camera dei deputati ha presentato un contributo di idee e di politiche da realizzare al livello nazionale, denominato «Africa Act», volto a rafforzare le relazioni dell'Italia con l'Africa, in una logica di co-sviluppo e a lanciare un piano d'azione che risponda all'impegno di incrementare le risorse destinate alla cooperazione con i Paesi del continente africano;
   l'articolo 1, comma 621, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017) ha istituito un Fondo straordinario per l'Africa con una dotazione di 200 milioni di euro volta a finanziare, in via prioritaria, interventi di cooperazione allo sviluppo e di controllo e prevenzione dei flussi di migranti irregolari;
   il 31 marzo 2017 è stato siglato a Roma un accordo con il presidente del Niger, Mahamadou Issoufou, per lo stanziamento di 50 milioni di euro a valere sul summenzionato Fondo per l'Africa, con cui il Niger potrà istituire unità speciali di controllo delle frontiere, costruire e ristrutturare posti di frontiera e costruire un nuovo centro di accoglienza per i migranti;
   le azioni di controllo delle frontiere africane e di contrasto al traffico di essere umani sono certamente imprescindibili per una corretta gestione dei flussi migratori e per bloccare i migranti sulla rotta transahariana prima che intraprendano pericolosi attraversamenti del deserto libico e del Mediterraneo; tuttavia, esse rischiano di risultare insufficienti e inefficaci se non sono accompagnate da un pacchetto di misure specifiche per la cooperazione in ambito culturale e scienti- fico, nonché economico e politico volte a favorire lo sviluppo del continente africano e a prevenire le partenze –:
   quale sia l'entità e la proporzione delle risorse a valere sul Fondo per l'Africa destinate al finanziamento d'interventi di cooperazione allo sviluppo, secondo la programmazione e le modalità previste dalla legge 11 agosto 2014, n. 125, per favorire il progresso economico e sociale e, più in generale, il miglioramento delle condizioni di vita nel continente africano, concorrendo così alla valutazione comparata della performance dell'Italia come Paese donatore, conformemente ai criteri individuati dal Comitato di aiuto allo sviluppo (DAC) dell'Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Ocse);
   come intenda vigilare, per quanto di competenza, sugli interventi di controllo delle frontiere finanziati dall'Italia e operati dai partner africani per verificare che questi siano conformi alle norme europee e internazionali in materia di diritti fondamentali, tra le quali le previsioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. (5-11094)

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il consueto e consistente rientro estivo di persone di cittadinanza e di origine italiana è legato agli adempimenti amministrativi necessari per perfezionare la documentazione di viaggio, soggetta per motivi di sicurezza a controlli sempre più complessi ed esigenti;
   le pratiche amministrative sono solitamente avviate presso i consolati italiani nei primi mesi dell'anno in vista dei viaggi estivi, in considerazione dell'allungamento dei tempi per il disbrigo delle stesse pratiche e delle difficoltà esistenti nei contatti diretti con gli uffici consolari, soprattutto nelle zone più distanti dalle sedi dei consolati;
   negli USA, ad esempio, nell'area coperta dal Vice Consolato di Rochester (Rochester, Buffalo, Syracuse e Ithaca), al 13 marzo 2017 erano 91 le persone in attesa di poter rinnovare il proprio passaporto;
   molte di queste persone hanno difficoltà, per ragioni di età, a recarsi di persona negli uffici consolari di New York e diverse altre incontrano impedimenti non minori per ragioni di permesso di lavoro o di natura economica, poiché per il ritiro del passaporto è necessario il pernottamento in città;
   i disagi indicati sono in genere alleviati dalla visita di un impiegato del consolato, delegato a compiere le operazioni richieste per il rilascio del passaporto, ma la carenza di personale ha diluito fortemente la periodicità di tali visite, che non sempre risultano compatibili con i tempi di utilizzazione dello stesso passaporto;
   il Consolato generale di New York ha risposto infatti alle sollecitazioni del vice console di Rochester, annunciando la visita del funzionario itinerante per la seconda metà di giugno, un periodo per molti incompatibile con le prenotazioni di viaggio già effettuate;
   il Consolato onorario del New Jersey, ove risiedono 1.587.000 persone di origine italiana, pari al 18 per cento degli italodiscendenti degli Usa, e 18.000 cittadini registrati all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, oltre a molti altri non iscritti, che incontrano serie difficoltà di collegamento con il Consolato generale di New York dovute al traffico e all'attraversamento oneroso di alcuni ponti, riceve ogni giorno circa cento chiamate telefoniche e venti, e-mail per richiesta di informazioni e trattamento di pratiche relative al rilascio di passaporti;
   in un altro importante consolato del Nord America, come quello di Toronto, l'intera attività amministrativa sarebbe rimasta nelle mani di una sola impiegata di ruolo a causa della carenza di personale, con un conseguente appesantimento dei tempi di evasione delle pratiche;
   sono evidenti, da un lato, i disagi che devono affrontare i nostri concittadini residenti in Nord America, dall'altro, il danno che per la lentezza della macchina amministrativa si arreca all'economia nazionale in conseguenza della limitazione che ne deriva per il potenziale flusso turistico proveniente dal Nord America;
   da recenti dichiarazioni di esponenti di Governo, si è appreso che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale si appresterebbe a realizzare un programma di captazione e trasmissione, tramite canale telematico «securizzato», dei dati biometrici necessari per il rilascio dei passaporti anche da parte dei Consoli onorari, nonché ad ampliare il numero dei Consoli onorari –:
   se il Ministro interrogato non intenda considerare la possibilità, finché le misure annunciate non diventino pienamente operative, di ripristinare il diretto intervento della rete dei vice consolati nelle operazioni di trattamento delle pratiche, di richiesta di passaporto o, in alternativa, di favorire la presenza nei consolati di personale adeguato quantomeno ad assicurare un'accettabile periodicità nelle visite itineranti di funzionari consolari;
   se possa annunciare quali siano i tempi necessari all'entrata a regime del programma innovativo relativo all'acquisizione e trasmissione dei dati biometrici, in particolare nei Paesi di più ampia estensione e di più accertata necessità. (4-16236)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la città di Cagliari vive una profonda crisi economica e sociale, con un progressivo spopolamento ed invecchiamento della popolazione residente, legato anche alla difficoltà di trovare una forte caratterizzazione identitaria che possa generare le indispensabili, nuove opportunità economiche;
   la «messa a reddito» degli asset cittadini diventa dunque condizione necessaria per arrestare il declino di Cagliari, per mettere le sue risorse al servizio dell'intera Sardegna e per restituire prospettive di lavoro e di esistenza ai tanti giovani che oggi abbandonano la città e l'isola;
   tra i compendi ambientali cittadini che maggiormente possono rappresentare una risorsa in prospettiva di sviluppo, va sicuramente annoverato quello rappresentato unitariamente dalle cubature del vecchio Ospedale Marino, dell'ex Grand Hotel Golfo degli Angeli (ora nuovo ospedale Marino) e dall'ippodromo;
   tale contesto unitario, nel tempo è stato sempre trattato dalle amministrazioni e percepito dai cagliaritani come diviso in tre differenti comparti, con tre diverse vocazioni:
    1) l'ex ospedale marino, abbandonato dal 1983, ad oggi ancora all'anno zero per quanto attiene alle prospettive di riutilizzo;
    2) l'ex Grand Hotel Golfo degli Angeli, riadattato grossolanamente ad ospedale nei primi anni ’80, oggi destinato alla chiusura nel Piano della nuova rete ospedaliera, senza che sia ipotizzata in nessun modo la sua nuova destinazione;
    3) i ventidue ettari dell'ippodromo, oggi regno dell'incuria e dell'abbandono, la cui gestione è affidata alla Società ippica s.r.l., partecipata comunale assolutamente inadeguata a garantirne il futuro;
   su tali aree ed edifici, che vanno indispensabilmente trattate come un unicuum per individuarne la vocazione coerente con gli interessi di sviluppo della città, gravano numerosi vincoli da parte del demanio, da parte della Sovraintendenza, delle normative urbanistiche e paesaggistiche regionali e nazionale, ma anche obblighi legati alla contiguità con le aree umide tutelate dalla convenzione di Ramsar;
   tale intricato regime di tutela comporta la difficoltà – emersa in tutta la sua evidenza all'atto della aggiudicazione alla SA&GO del bando per l'ex ospedale Marino, ma anche nelle procedure di dismissione della Società Ippica srl da parte del comune di Cagliari – del coinvolgimento di imprenditoria privata, sia per quanto riguarda la progettazione, che l'eventuale gestione dei singoli beni del compendio;
   la contemporanea presenza di attori pubblici con finalità molto differenti tra loro nel novero delle istituzioni interessate alla proprietà e alla gestione dei beni (demanio statale, regione autonoma della Sardegna, comune di Cagliari, società Ippica s.r.l. camera di commercio, azienda regionale per la tutela della salute, ente parco di Molentargius) rende assai difficile la condivisione degli obiettivi e la azione coordinata per la loro valorizzazione e, conseguentemente, ogni collaborazione con i privati, il cui coinvolgimento appare invece indispensabile –:
   quali vincoli paesaggistici, discendenti da normative statali o da attività di istituzioni ministeriali, siano attualmente presenti sulle aree dell'ippodromo di Cagliari e sugli stabili dell'ex ospedale marino e dell'ex Grand Hotel Golfo degli Angeli;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per farsi promotori di un'azione di coordinamento nei confronti di tutti gli enti e le istituzioni interessate per una progettazione complessiva del futuro sviluppo del compendio ippodromo-ex ospedale, Marino-ex Grand Hotel Golfo degli Angeli, in modo tale che l'area possa finalmente andare a rappresentare una straordinaria opportunità per la crescita della nuova identità della città di Cagliari e per il suo sviluppo economico. (4-16239)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Gazzetta Ufficiale 4a serie speciale n. 99 del 14 dicembre 2001 ha indetto il concorso, per titoli ed esami, per la nomina di 12 guardiamarina in spe del ruolo speciale nel corpo di commissariato militare marittimo;
   Il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, ha previsto il «Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi e dell'articolo 2, comma 5, dispone che il requisito della condotta e delle qualità morali stabilito per l'ammissione ai concorsi nella magistratura viene richiesto per le assunzioni, comprese quelle obbligatorie delle categorie protette, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e le amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato, di polizia e di giustizia, in conformità all'articolo 41 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29». Lo stesso principio viene ribadito dall'articolo 35, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, recante «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche»;
   il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), con la sentenza n. 7 del 3 gennaio 2017 ha definitivamente accolto il ricorso proposto dalla parte appellante, e per l'effetto ha disposto l'annullamento degli atti relativi alla nomina (alla data del 4 settembre 2002) a guardiamarina (ruolo/ufficiali) delle parti appellate;
   allo stato attuale non risulta all'interrogante che la direzione generale per il personale militare abbia dato esecuzione a quanto disposto dalla citata sentenza del Consiglio di Stato n. 7 del 3 gennaio 2017;
   appare evidente per l'interrogante la totale carenza della commissione di ricorso, gravemente mancante nel suo compito di verifica preventiva dei requisiti disposti dal bando –:
   quali iniziative, nell'immediato, abbia intrapreso o intenda intraprendere il Ministro interrogato, ovvero la direzione generale per il personale militare, per dare puntuale esecuzione alla sentenza del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), n. 7 del 3 gennaio 2017 e se abbia interessato le autorità giudiziarie competenti per una adeguata valutazione riguardo ad un eventuale danno erariale e riguardo ad eventuali responsabilità ad esso connesse. (4-16237)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) è situato in un territorio molto particolare della Sicilia caratterizzato da un elevato tasso di criminalità (anche di altissimo livello) ma anche abitato da cittadini in gran parte onesti e rispettosi della legalità;
   è già stato oggetto di una interrogazione da parte del sottoscritto, la n. 4-13211, e di una risposta da parte del Ministro competente. Purtroppo la risposta corrisponde solo parzialmente alla verità effettuale delle cose concretamente percepibili da quei cittadini in gran parte onesti di cui sopra;
   i freddi numeri statistici osservati «centralmente», da molto lontano, sembrerebbero descrivere, sulla carta, una situazione in perfetta media nazionale con alcuni indici addirittura migliori della media nazionale. La brutale concretezza della realtà osservata da molto vicino, sul luogo dei fatti, descrive una situazione decisamente diversa, infatti è «vero» che il personale di magistratura si compone di 15 unità di cui 2 scoperte, ma è purtroppo ancora «più vero» che i magistrati fisicamente presenti ed operanti sono ancora meno, molti in meno, troppi in meno;
   i motivi sono diversi e sono in parte anche conseguenza delle caratteristiche del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, ovvero un «Tribunale di transito» per neo-vincitori di concorso e/o sede disagiata alla quale «destinare» alcuni magistrati, quindi un posto dove restare il meno tempo possibile e chiedere trasferimento appena maturatone il diritto ad ottenerlo. Questa situazione particolare diventa ancora più penalizzante nel momento in cui i «nuovi» ingressi nella magistratura decidono di usufruire di un loro sacrosanto diritto (maternità), con il concreto rischio però che questo diritto si trasformi in un pesante disservizio per la collettività in quanto, ad oggi, non esiste una procedura che possa garantire il diritto alla maternità del singolo soggetto e, contemporaneamente, il diritto alla legalità da garantire al resto del mondo;
   oltre ciò si presenta anche la bizzarra situazione di presenze in organico non effettivamente e concretamente coperte da persone presenti, in quanto alcuni posti non sono concretamente coperti a causa di trasferimenti avvenuti verso altre sedi o di trasferimenti da altre sedi che si concretizzeranno tra molti mesi. Per tutti questi motivi e per il rifiuto, da parte del Ministero della giustizia, del posticipato possesso in relazione al trasferimento di due magistrati presso altra sede, in data 31 marzo 2017 i magistrati realmente operanti sono 11 su 15 previsti dall'attuale pianta organica;
   un importante discorso da aprire al più presto possibile riguarda un'opera di sensibilizzazione verso coloro che ricoprono, per scelta, il difficile e delicato compito che il ruolo di magistrato giudicante gli conferisce. Indubbiamente, a parere degli interroganti, un tribunale non può e non deve essere considerato un luogo dove andare a lavorare e percepire uno stipendio, per questa eventualità esistono altre professioni che si possono liberamente scegliere nel progettare la propria vita. Un magistrato, soprattutto giudicante, ricopre un ruolo talmente importante per la società attuale e futura da richiedere una sensibilità e responsabilità notevolmente superiori;
   da evidenziare il fatto sicuramente non secondario che coloro che ricoprono, a tempo, il ruolo di magistrato giudicante a Barcellona Pozzo di Gotto si trovano a dover affrontare eventi criminali molto importanti, e, anche a causa del trasferimento da un magistrato all'altro anche più volte reiterato nel tempo, non è raro che procedimenti giudiziari importanti evaporino nel nulla a seguito di prescrizione sopravvenuta, inevitabile e forse, si teme e ci si domanda, non evitata in quanto, almeno in parte, a parere degli interroganti non contrastata –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, nei limiti delle proprie competenze, intenda attivarsi per l'immediata copertura dei posti previsti dall'attuale e sotto-dimensionata pianta organica;
   se intenda al più presto rimodulare, ampliandola, la pianta organica del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto molto sottodimensionata rispetto, ad esempio, al vicino tribunale di Patti dove sono previsti, ragionevolmente, 18 magistrati pur avendo un bacino di utenza sostanzialmente uguale e con un numero di sopravvenienze penali minore rispetto a quello di Barcellona. (5-11096)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 marzo e 3 aprile 2017, la F.r.i.m.a. Marche (Federazione regionale delle imprese di meccanizzazione e agricole), con sede in Ancona, inviava una lettera nell'interesse delle imprese agricole e agro meccaniche della regione, sottoponendo ai destinatari una drammatica situazione venutasi a creare a danno degli agricoltori;
   la regione Marche, a fine 2016, concordava con Anas la gestione totale o parziale di alcune arterie stradali in precedenza in capo alle province;
   l'accordo sottoscritto tra regione Marche e Anas prevede che parte delle strade provinciali passino di proprietà della stessa Anas, mentre altre, pur rimanendo nella proprietà della regione Marche, siano soltanto oggetto di cura e manutenzione da parte di Anas;
   tale intesa, volta a migliorare la gestione della rete viaria, ha di fatto creato un vuoto di competenze sulla gestione dei permessi per il transito dei veicoli eccezionali, con gravi ripercussioni sugli utenti finali poiché non sono stati affrontati alcuni aspetti operativi connessi, quale il rilascio delle autorizzazioni al transito dei mezzi eccezionali;
   a seguito della riforma, le province si ritengono esautorate a consentire il transito di suddetti veicoli tanto da indicare tale esclusione sui permessi rilasciati dall'inizio del nuovo anno, dall'altro l'Anas, non avendo ancora assunto piena autonomia e conoscenza delle strade oggetto di accordo, si dice non in grado di autorizzare la circolazione su parte di rete viaria;
   conseguentemente gli utenti, loro malgrado, sono costretti a circolare sulle strade da esigenze aziendali, sprovvisti di autorizzazioni, con tutte le conseguenze che tale situazione comporta, sia sul piano delle responsabilità dirette, sia sulla mancata copertura assicurativa in caso d'incidente;
   il previsto nulla osta, da rilasciarsi una tantum in questa fase d'avvio da parte dell'Anas per sanare la situazione, non è mai stato prodotto, né sembra, sarà emesso a breve;
   le imprese agricole marchigiane versano in una situazione di grave difficoltà legata all'intollerabile ritardo nella concessione dei provvedimenti di autorizzazione alla circolazione delle macchine agricole eccezionali, proprio nella fase della ripresa vegetativa, che impone di eseguire le lavorazioni secondo calendari indifferibili;
   le autorizzazioni alle macchine agricole eccezionali, così come definite dall'articolo 104, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Codice della strada) sono rilasciate dall'ente proprietario della strada e nel caso della rete stradale d'interesse nazionale (decreto legislativo n. 461 del 1999) sono rilasciate dall'ANAS, mentre per la rimanente rete viaria sono di competenza regionale;
   l'autorizzazione alla circolazione viene rilasciata a seguito d'istruttoria, ai sensi dell'articolo 268 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (Regolamento di attuazione del Codice della strada);
   il comma 2 dell'articolo 268 della legge n. 495 del 1992 stabilisce che l'amministrazione competente – nello specifico la regione – è tenuta a rilasciare l'autorizzazione nel termine di dieci giorni dalla presentazione della domanda di autorizzazione;
   l'apposizione di un termine preciso è stato stabilito dal legislatore a motivo dell'imprevedibilità delle lavorazioni agricole, legate ai cicli biologici delle colture e all'andamento stagionale, nell'ambito della specificità dei mezzi agricoli rispetto agli altri veicoli, contenuta anche nella legge di delega da cui è scaturita l'emanazione dell'attuale Codice della strada –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   al fine di tutelare tutti gli operatori e garantire una corretta gestione della circolazione dei veicoli eccezionali, se non ritenga di dover assumere iniziative per quanto di competenza, per il miglioramento delle procedure autorizzative e di gestione di detti veicoli che, per massa e/o dimensioni, sono sottoposti a vincoli già di per sé molto onerosi e non possono essere obbligati a fermarsi per incomprensioni tra soggetti istituzionali e mancata pianificazione dell'operatività necessaria;
   se non ritenga di dover adottare iniziative presso la regione Marche, – ente preposto al rilascio delle autorizzazioni alla circolazione dei veicoli eccezionali – per acquisire elementi in ordine ai motivi del mancato rilascio delle autorizzazioni richieste dalle aziende interessate;
   quali siano le eventuali azioni che intende mettere in campo, per quanto di competenza, in particolare riguardo alle competenze di Anas, relative alla gestione e manutenzione reti stradali, oggetto dell'accordo regione Marche-Anas. (4-16233)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in Italia le disposizioni in materia di accesso all'esame di teoria informatizzato, per il conseguimento della patente di guida della sottocategoria AM e delle categorie A e B, presentano forti criticità per i soggetti affetti da disturbo specifico dell'apprendimento;
   secondo l’International Dyslexia Association «la dislessia è una disabilità dell'apprendimento di origine neurobiologica; è caratterizzata dalla difficoltà ad effettuare una lettura accurata e/o fluente e da scarse abilità nella scrittura. Queste difficoltà derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio. Conseguenze secondarie possono includere problemi di comprensione nella lettura del testo scritto e una ridotta crescita del vocabolario e della conoscenza generale, conseguente ad una ridotta pratica nella lettura»;
   dal 6 luglio 2006, a seguito dell'introduzione dell'esame in modalità informatica, non è più possibile conseguire la valutazione per la patente di guida in forma orale. Il 25 ottobre 2007, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato la circolare prot. 98013 permettendo ai candidati con dislessia (previa consegna di regolare diagnosi medica attestante il disturbo), qualora ne necessitassero, di fruire dei file audio durante la prova teorica dell'esame. Tuttavia, come evidenziato dall'Aid, «tale strumento non risulta essere adeguato e sufficiente a garantire idonee condizioni di espletamento della prova». Piuttosto, secondo l'Aid risulterebbe efficace predisporre tempi più lunghi per lo svolgimento delle valutazioni;
   la legge n. 170 del 2010, normativa di riferimento in materia di dislessia, ha riconosciuto la necessità di applicare valide strategie relative allo svolgimento di esami di Stato per ogni ordine e grado di istruzione, di test di ammissione alle università e successivi esami e anche per concorsi statali;
   all'articolo 2, comma 1, lettera h), indica espressamente, tra le finalità, di «favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialità» e di «adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessità formative degli studenti» con l'obiettivo di «assicurare eguali opportunità di sviluppo delle capacità in ambito sociale e professionale»;
   questi propositi non sembrano essere garantiti dalle attuali modalità di svolgimento degli esami citati in premessa;
   secondo un articolo di roma.corriere.it, «la legge non prevede disposizioni specifiche in materia di prove per l'acquisizione della patente di guida, ma come rilevato da Elena Dioli dell'Aid, «il termine «scolastico» può essere esteso in maniera conforme anche alla scuola guida e al relativo esame. Inoltre, lo sviluppo delle capacità sociali e professionali non può escludere un ambito come quello della patente. L'auto permette, infatti, ai ragazzi di lavorare e sviluppare la propria personalità sociale»;
   nel 2011, a seguito della legge n. 170 del 2010, l'Aid ha inviato una lettera al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per chiedere di concedere dei tempi maggiorati per lo svolgimento delle prove teoriche della patente ai concorrenti affetti da Dsa;
   nel decreto ministeriale n. 5669 del 12 luglio 2011, articolo 6, comma 3, è stata chiaramente espressa l'esigenza di riservare in sede di esami di Stato, ai candidati con disturbo specifico di apprendimento, «tempi più lunghi di quelli ordinari per l'espletamento delle prove da sostenere, oltre che l'utilizzazione di idonei strumenti compensativi»;
   in data 10 marzo 2015 l'Aid ha inoltrato nuovamente una missiva al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con la quale, ha lamentato che gli attuali strumenti utilizzati durante lo svolgimento degli esami per esaminandi affetti da DSA, «non risultano essere adeguati e sufficienti a garantire idonee condizioni di espletamento della prova»;
   l'associazione, inoltre, facendo riferimento alle vigenti normative previste dal decreto ministeriale menzionato per gli esami di ogni ordine e grado di studio, ha richiesto al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'adeguamento di tali previsioni anche per la prova teorica per il conseguimento della patente;
   nello specifico, ha chiesto di introdurre nuovi strumenti compensativi come i testi scritti con caratteri tipografici ad alta leggibilità e l'utilizzo di file audio con sintesi vocale a più alta intelligibilità. Inoltre, l'Aid ha invitato il Ministro interrogato a semplificare i testi evitando la presenza delle doppie negazioni, e a prevedere, qualora venga richiesto dai candidati, l'esame orale –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, ritenga opportuno accogliere le istanze pervenute dall'Aid;
   quali iniziative intenda assumere, in relazione alle modalità di svolgimento degli esami per il conseguimento della patente di guida da parte dei candidati Dsa e secondo quali modalità intenda dare piena attuazione a tutti gli obiettivi previsti dall'articolo 2 della legge n. 170 del 2010, tali da assicurare, a tutti gli esaminandi, uguali opportunità di sviluppo delle proprie capacità in ambito sociale e professionale. (4-16242)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VILLAROSA, DIENI e PESCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Mazzarrà S. Andrea è stato sciolto per infiltrazioni mafiose della cosiddetta cosca dei «mazzaroti» e nel comune si è insediata una commissione straordinaria nell'ottobre 2015;
   la TirrenoAmbiente spa gestiva la discarica in fase operativa e adesso gestisce le operazioni del post mortem della suddetta discarica e della discarica di Tripi in provincia di Messina;
   la società, al centro di diverse inchieste giudiziarie in particolare le operazioni «Riciclo», «Vivaio» e «Gotha», è stata messa in liquidazione come si evince da un articolo della Gazzetta del Sud del 27 febbraio 2017;
   la società è in una crisi finanziaria che, a detta di quest'ultima, non permette una corretta gestione post mortem della discarica, con particolare rilievo allo smaltimento del percolato che potrebbe creare di fatto un'emergenza igienico sanitaria in caso di fuoriuscita dalle vasche;
   con numerose e diverse note, la commissione straordinaria del comune di Mazzarrà ha più volte segnalato alla regione ed al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la situazione di pericolo dovuto a:
    impossibilità di intervento della società per crisi finanziaria;
    impossibilità di intervento risolutivo del comune che si avvicina ad un dissesto;
    impossibilità di intervento da parte della regione siciliana che non ha accordato alcuna disponibilità di risorse economiche;
   con ordinanza n. 6 del 17 marzo 2017 la commissione straordinaria del comune di Mazzarrà ha stanziato la somma di 10.000 euro per un intervento «tampone» che eviterà, solo però per una settimana circa, un'emergenza igienico sanitaria causata dalla fuoriuscita del percolato dalle vasche;
   come si apprende dall'articolo della Gazzetta del Sud del 6 aprile 2017 «Pompe spente, percolato nel torrente: è disastro». La società non ha più soldi per smaltire il percolato, il comune ha già emanato più di due ordinanze per tamponare l'emergenza e non si hanno notizie di un interessamento diretto e risolutivo della regione;
   ad oggi vi è, in atto, una situazione emergenziale che vede del percolato finire nel torrente Mazzarrà e di conseguenza nel mar Tirreno, con possibilità di inquinamento della falda acquifera, sottostante –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, per risolvere questa situazione di pericolo per la pubblica incolumità nel comune di Mazzarrà S. Andrea e nei comuni limitrofi e se intenda, per quanto di competenza, attivarsi per acquisire elementi in merito ai motivi per cui solo il 4 aprile 2017 nonostante tutti gli enti preposti fossero a conoscenza già da un anno della criticità legata al percolato, la regione abbia deciso l'escussione di una sola polizza, con un massimale di circa 189.000 euro, depositata dalla Tirreno Ambiente Spa e prevista dall'articolo 14 del decreto legislativo n. 36 del 2003, grazie alla quale sarebbe dovuta essere garantita sia la gestione operativa che quella post-operativa, che in base al comma 3 «devono essere trattenute per tutto il tempo necessario alle operazioni di gestione successive alla chiusura della discarica». (5-11095)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in due distinti episodi occorsi a Binago, il 5 aprile 2017, e a Montano Lucino, il giorno seguente, sono rimasti coinvolti cinque migranti irregolari nigeriani, richiedenti asilo in attesa che l'esito della loro domanda sia definito;
   nel primo dei due episodi, un giovane nigeriano ha scippato una signora di 73 anni, sottraendole nella via Roma di Binago una borsetta in cui si trovavano due carte di credito, trecento euro in contanti ed un cellulare, peraltro successivamente recuperati grazie all'intervento di alcuni muratori che si trovavano nei pressi;
   il responsabile dello scippo è stato denunciato a piede libero;
   il giorno successivo, invece, quattro donne nigeriane nella medesima posizione di migranti irregolari richiedenti asilo hanno inscenato una violenta rissa nell'appartamento di una di loro a Montano Lucino;
   la rissa si è conclusa con il ferimento di due delle donne, rispettivamente raggiunte da una coltellata ed una bottigliata sulla testa, e in un'altra denuncia a piede libero, a loro carico;
   gli abitanti delle zone interessate dai due episodi appaiono sensibilmente preoccupati dal degrado delle condizioni dell'ordine pubblico –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per garantire l'ordine pubblico a Binago e Montano Lucino;
   se il Governo non intenda espellere dal nostro Paese, rimpatriandoli, i cinque migranti irregolari nigeriani, richiedenti asilo e ciò malgrado coinvolti nei due episodi illustrati in premessa, che sono sfociati nella loro denuncia a piede libero. (4-16234)


   FRACCARO, LOREFICE, COLONNESE e BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 403 del codice civile dispone che quando il minore si trova in una condizione di grave pericolo per la propria integrità fisica e psichica la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione;
   la legge n. 184 del 1983 disciplina gli interventi di Stato, regioni e enti locali nel caso in cui la famiglia non è in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore;
   l'articolo 6, della legge n. 328 del 2000 assegna ai comuni la funzione di programmazione, erogazione di servizi e prestazioni economiche;
   l'articolo 2, comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 85 del 2003 definisce il quadro giuridico per l'individuazione dei minori non accompagnati;
   l'articolo 19 del decreto legislativo n. 142 del 2015 disciplina le procedure per l'accoglienza dei minori non accompagnati e istituisce le strutture governative di prima accoglienza con rimando al decreto del Ministero dell'interno 1o settembre 2016;
   ai sensi della direttiva 2013/33/UE e del regolamento 604 del 2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, gli Stati devono adottare misure atte ad assicurare che un rappresentante rappresenti e assista il minore non accompagnato per consentirgli di godere dei loro diritti. Nonostante ciò, si registrano rinvii di minori non accompagnati da Germania e Austria verso l'Italia;
   i bambini non accompagnati sono la categoria più a rischio e rappresentano una percentuale della popolazione migratoria non trascurabile. Come ricordato a più riprese dall'Unicef, in ragione di tale situazione, gli Stati hanno il dovere di prendersi cura e proteggere tutti i bambini e di offrire loro una possibilità equa e piena di essere ascoltati al momento di prendere decisioni sul loro futuro;
   il dipartimento politiche sociali della provincia di Bolzano, con comunicazione del 27 settembre 2016 al Nucleo di accoglienza e alla associazioni Caritas e Volontarius, al punto 1), definisce le nuove direttive per l'accoglienza temporanea di persone appartenenti a categorie «vulnerabili» con le seguenti modalità: sono escluse dall'accoglienza temporanea quali soggetti «vulnerabili» le persone che risultano essere state presenti in altri Stati europei, o in altri Stati esteri anche non europei nei quali era presente la possibilità di chiedervi asilo, nonché le persone per le quali sia riscontrabile una presenza anche temporanea (non il mero transito) in altre regioni italiane. Questo perché tali persone in ragione della normativa vigente avrebbero potuto/dovuto esercitare il diritto alla richiesta di protezione internazionale in tali stati/regioni, mentre il fatto di esercitarlo solamente ora configura una ipotesi di scelta mirata della destinazione, non contemplata dall'attuale normativa. L'ipotesi principale di accoglienza temporanea per soggetti «vulnerabili» resta quindi primariamente quella di un transito all'interno del territorio nazionale, accompagnato da una impossibilità di proseguire a seguito di misura di polizia oggettivamente riscontrabili e verificabili;
   sia il citato rinvio di minori da Austria e Germania verso l'Italia, che il contenuto della suddetta comunicazione appaiono agli interroganti essere in contrasto con le disposizioni di legge sulla tutela dei soggetti vulnerabili nonché con il diritto dei minori di transitare, recarsi, chiedere asilo in qualsiasi Stato europeo e di spostarsi per varie ragioni in un altro luogo –:
   se, in provincia di Bolzano, siano state eseguite verifiche sui rinvii di soggetti vulnerabili da Germania e Austria verso l'Italia e sulle modalità di attivazione dell'accoglienza dei minori non accompagnati previste dalla legislazione in materia tutela dei minori citata nelle premesse e quale sia stato l'esito. (4-16238)


   MARZANA, D'UVA, VACCA, BRESCIA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, CHIMIENTI e CANCELLERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con delibera Cipe n. 112/2012, il Ministero dell'interno è stato individuato quale amministrazione responsabile del Programma nazionale servizi di cura con una dotazione finanziaria di 730 milioni di euro;
   la strategia del Piano d'azione per i servizi di cura intende dare un contributo per rafforzare nelle regioni del Mezzogiorno i servizi per la prima infanzia (i bambini al di sotto dei 3 anni) che presentano divari significativi rispetto al resto del Paese;
   dall'ultima rilevazione Istat del novembre 2016 relativa agli anni 2013/2014 le differenze territoriali nella quota di bambini presi in carico dai servizi pubblici sono ancora forti: oltre il 17 per cento dei bambini del Centro-Nord è accolto in servizi comunali o finanziati dai comuni, mentre nel Mezzogiorno non si raggiunge neppure il 5 per cento;
   appare evidente come siamo lontanissimi dagli obiettivi fissati nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona secondo il quale: «(...) gli Stati membri devono fornire, entro il 2010, un'assistenza all'infanzia per almeno il 33 per cento dei bambini di età inferiore ai 3 anni»;
   anche la Corte costituzionale nella sentenza 467/2002 ha ricordato che «il servizio fornito dall'asilo nido non si riduce ad una funzione di sostegno alla famiglia nella cura dei figli, ma comprende anche finalità formative, essendo rivolto a favorire l'espressione delle potenzialità cognitive, affettive e relazionali del bambino»;
   sempre in ambito europeo, è intervenuta anche la comunicazione 66 del 17 febbraio 2011 della Commissione europea e la raccomandazione 2013/112/UE che ha rilevato: «l'importanza (...) dei servizi di educazione e accoglienza per la prima infanzia in materia di inclusione sociale e di sviluppo, facendone un investimento sociale volto a limitare le disuguaglianze e le difficoltà di cui soffrono i minori svantaggiati»;
   per quanto riguarda i servizi per l'infanzia, il Piano, con 400 milioni di euro, è finalizzato all'espansione dell'offerta in asili nido e servizi integrativi e innovativi, per un totale di circa 18.000 nuovi posti, coprendo una parte consistente del fabbisogno necessario per raggiungere l'obiettivo del 12 per cento dei bambini al di sotto dei 3 anni e accelera la presa in carico di 40 mila nuovi bambini;
   i 201 ambiti/distretti territoriali, che raggruppano 1.608 comuni, hanno presentato più di 200 piani di intervento per il settore Infanzia;
   il primo riparto si è concluso con l'approvazione di ben 197 piani di intervento per un importo di circa 115,95 milioni di euro riguardanti l'Infanzia;
   con decreto n. 214/PAC del 7 ottobre 2014, l'Autorità di gestione ha adottato il secondo atto di riparto del programma, con il quale sono stati assegnati 238 milioni di euro per i servizi di cura all'infanzia;
   in relazione al disposto dell'articolo 1, commi 122 e 123, della legge di stabilità per il 2015, in data 3 aprile 2015 l'Agenzia per la coesione territoriale ha comunicato la rideterminazione della dotazione finanziaria del programma, passata dagli originari 730 milioni di euro a 627 milioni di euro;
   con il decreto 104/PAC dell'8 luglio 2014 è stato adottato il manuale per il sistema di controllo grazie al quale l'Autorità di gestione ha avviato il monitoraggio delle risorse finanziarie, dei servizi e delle procedure di rendicontazione proposti per la diffusione del programma –:
   per il primo riparto, quali siano i risultati raggiunti dal Piano di azione e coesione per i servizi d'infanzia;
   quali iniziative intenda adottare per rifinanziare la dotazione del Programma, ridotta dalla legge di stabilità per il 2015;
   quali iniziative intenda promuovere per superare il forte squilibrio tra Nord e Sud del Paese riguardo ai servizi per la prima infanzia e come intenda garantire l'avvicinamento agli standard europei fissati al 33 per cento per i bambini di età inferiore ai 3 anni. (4-16241)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BOCCUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da quasi un mese i lavoratori della Coca-Cola di Nogara sono in sciopero per le conseguenze del cambio d'appalto del servizio di logistica dello stabilimento, che ha comportato il licenziamento di 14 lavoratori e la modifica del contratto a tempo indeterminato;
   testimoni riportano che guardie private abbiano utilizzato pistole elettriche, cosiddetti taser, per allontanare alcuni lavoratori;
   quello di Nogara è lo stabilimento Coca Cola più grande d'Europa;
   accanto ai 14 licenziamenti si sono affiancati di recente altri 30 licenziamenti;
   dal 28 marzo 2017, è ricominciato un presidio dei lavoratori e, assieme alle loro famiglie, i lavoratori in lotta hanno occupato il piazzale interno dello stabilimento, mentre altri sono saliti sul tetto;
   nel frattempo, sarebbe arrivata la preoccupante rottura tra l'azienda e i sindacati;
   prosegue la protesta iniziata giorni fa, con cinque operai ancora presenti sul tetto dell'edificio, mentre la polizia ha rafforzato la guardia sul posto, in attesa che venga trovato un punto d'incontro tra le varie parti, che sembra sempre più complicato;
   da lunedì la questura di Verona ha dato il via ad un servizio «di guardia» attivo 24 ore su 24, con il proprio personale in tenuta antisommossa. Con i poliziotti stabili nel piazzale antistante l'edificio, il presidio è stato spostato all'ingresso principale che da sulla strada statale 12, con le cinque persone rimaste sul tetto (una ha abbandonato la sua postazione per questioni familiari) ora un po’ più isolate, ma comunque determinate a non arrendersi;
   già nei giorni precedenti, Coca Cola aveva minacciato la chiusura degli stabilimenti, temendo l'occupazione dei locali di produzione e possibili scontri –:
   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda adottare al fine di facilitare una ripresa delle normali relazioni tra le rappresentanze dei lavoratori e l'impresa, volta a scongiurare la riduzione dei livelli occupazionali dello stabilimento di Nogara e la compressione dei diritti dei lavoratori impiegati. (5-11093)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Savio, azienda che progetta, prototipa, produce e commercializza componenti per serramenti (maniglie, cerniere, maniglioni antipanico e altro) con sede e stabilimento a chiusa san Michele (Torino), ha confermato la volontà di procedere al licenziamento di 82 dipendenti sugli attuali 304, avviando le procedure di riduzione del personale;
   l'azienda, però, ha ancora la possibilità di ricorrere per altri due anni ai contratti di solidarietà, che eviterebbero di gettare sul lastrico 82 famiglie e garantirebbe ai lavoratori un'occupazione, in attesa di verificare le risposte del mercato alle nuove produzioni, come richiesto anche dai sindacati;
   dietro tale scelta si cela l'ennesima delocalizzazione che ha come risvolto la desertificazione dei nostri territori, da un lato, e la perdita del know-how italiano, in fuga verso mercati esteri come la Cina dove la mancanza di norme minime di sicurezza sul lavoro e con prestazioni al limite della schiavitù, creano una concorrenza sleale e impossibile da fronteggiare;
   per il territorio della Valsusa è oltremodo intollerabile perdere un'azienda significativa come la Savio, che, negli anni, ha saputo innovare ed investire per affrontare le sfide del mercato globale –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare per salvaguardare i livelli occupazionali e sostenere un territorio come la Valle Susa già colpito negli ultimi anni da una forte perdita della capacità produttiva;
   se non convenga sull'opportunità di avviare urgentemente un tavolo istituzionale, con tutte le parti coinvolte, per addivenire ad una soluzione rapida e non traumatica della gestione della crisi;
   se non ritenga improcrastinabile promuovere l'adozione di politiche doganali di protezione del sistema economico-produttivo italiano assumendo iniziative per vincolare l'accesso ai fondi strutturali europei al mantenimento della produzione e del lavoro sul territorio. (4-16231)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è il principale produttore europeo di grano duro destinato alla pasta con quasi 5 milioni di tonnellate su una superficie coltivata pari a circa 2,5 milioni di ettari, di cui 140 mila ettari in Basilicata con diecimila aziende;
   da alcuni anni il settore agricolo si trova a combattere una battaglia contro il crollo dei prezzi del grano italiano che ha causato agli agricoltori perdite per circa 700 milioni di euro. Le quotazioni del grano duro destinato alla produzione di pasta hanno perso il 43 per cento del valore, mentre si registra un calo del 19 per cento del prezzo del grano tenero destinato alla panificazione;
   il made in Italy agroalimentare è il più copiato e contraffatto al mondo e, nonostante il settore agricolo confermi le sue enormi potenzialità, esso deve affrontare e contrastare la pressione delle distorsioni di filiera e il flusso delle importazioni selvagge dall'estero che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale;
   nei porti italiani continuano a giungere navi importatrici di grano da tutto il mondo con pochissimi controlli sanitari che, oltre a contribuire alla diminuzione del prezzo, creano anche problemi di tracciabilità e salubrità del prodotto importato;
   una situazione drammatica è stata determinata dal crollo dei prezzi pagati agli agricoltori che nella campagna 2016 sono praticamente dimezzati per effetto delle speculazioni e della concorrenza sleale del grano importato dall'estero e poi utilizzato per fare pasta venduta come italiana. Oggi il grano duro per la pasta viene pagato 18 centesimi al chilo, mentre quello tenero per il pane è sceso addirittura a 16 centesimi al chilo;
   vi è una importazione sempre più massiccia di grano straniero, che crea danni devastanti alla produzione nazionale con il 30-40 per cento di grano duro proveniente dai Paesi come l'Ucraina, la Turchia e il Canada. Ad esempio: si registra un +315 per cento dell'importazione dall'Ucraina di grano tenero (per il pane), mentre il Canada resta in testa per le spedizioni di grano duro (per la pasta);
   non è accettabile il fatto che il primo fornitore di grano duro dell'Italia quale è il Canada possa esportare a dazio zero, mentre applica una aliquota fino all'11 per cento all'ingresso della pasta in arrivo dall'Italia sul proprio territorio;
   l'eccellenza dell'industria molitoria italiana è riconducibile alla capacità di selezionare e trasformare le migliori varietà di frumento, quali che siano le loro origini, per la produzione di semole di frumento duro di altissima qualità. Semole che costituiscono uno degli ingredienti essenziali per il successo e la preziosità della pasta italiana nel mondo;
   a giudizio dell'interrogante è necessario mettere in atto misure che tutelino sia i produttori che i consumatori per poter restituire un futuro al grano italiano con: l'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima utilizzata nella pasta e nei derivati/trasformati; l'indicazione della data di raccolta; l'esigenza di fermare le importazioni selvagge a dazio zero; infine estendere i controlli al 100 per cento degli arrivi da Paesi extracomunitari dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per intensificare i controlli fitosanitari sulle importazioni dall'estero, dove sono utilizzati prodotti e fitosanitari vietati da anni in Italia ed in Europa, per una maggiore tutela della salute dei consumatori;
   se intenda adottare iniziative volte ad accelerare l'introduzione dell'obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima anche per la filiera grano-pasta, al fine di dare maggiore trasparenza alle informazioni per il consumatore, di tutelare i produttori e di rafforzare i rapporti di una filiera strategica per il made in Italy agroalimentare. (3-02941)

SALUTE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza ha comportato anche l'aggiornamento dell'assistenza protesica e del relativo nomenclatore tariffario;
   le tipologie di ausili erogabili sono suddivise in due elenchi: l'elenco 1, che contiene i dispositivi su misura, erogati con sistema tariffario attraverso percorsi individuali di prescrizione e fornitura; l'elenco 2, che contiene gli ausili di serie, a sua volta suddiviso in 2.A-ausili che richiedono il tecnico abilitato e 2.B-ausili che non necessitano del tecnico abilitato. Per tutti gli ausili dell'elenco 2, le modalità di erogazione e fornitura devono essere gestite attraverso gare d'appalto;
   con la revisione degli elenchi delle tipologie erogabili, oltre all'inserimento di nuove categorie di ausili che rispondono a bisogni e funzioni alle quali prima non veniva data risposta, sono state inserite diverse varianti delle tipologie già presenti nel nomenclatore del decreto ministeriale 332 del 1999, quali ad esempio i sollevatori fissi o i carrelli servoscala che consentono una più ampia possibilità di scelta senza necessariamente provocare incremento della spesa e nuove tipologie di ausili che però rappresentano ausili oggi già forniti con codici impropri, quali ad esempio le carrozzine basculanti (oggi fornite col codice del seggiolone polifunzionale), e questo permette di attribuire un corretto valore al dispositivo erogabile che, quasi sempre, porta ad una diminuzione dei costi. In virtù di queste valutazioni, l'aumento di spesa per questi «nuovi» inserimenti, indicato nella relazione tecnica in 220 milioni, può essere ridotto di circa 90 milioni di euro;
   è stato anche operato il trasferimento di un significativo numero di tipologie dall'elenco dei dispositivi su misura, agli elenchi dei dispositivi di serie 2.A e 2.B. Il trasferimento di queste tipologie viene effettuato per ottenere un «evidente risparmio nella relativa spesa» in virtù delle modalità di acquisto a mezzo gara pubblica previsto per tutti i dispositivi di serie. Il valore degli «ausili per movimentare le persone» trasferiti al sistema d'acquisto a mezzo gare è indicato dalla relazione tecnica del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, in circa 198 milioni di euro ed il risparmio stimato è del 25 per cento per una minore spesa di circa 48 milioni di euro;
   una buona parte di questi dispositivi trasferiti dal sistema tariffario al sistema delle gare si rivolge a bisogni assistenziali standard, e può essere erogata con atti di servizio standardizzabili mentre alcuni, destinati a bisogni particolarmente complessi o allo sviluppo di capacità e potenzialità per le quali è necessaria l'individuazione di soluzioni tecniche specifiche, non possono appropriatamente essere forniti attraverso normali procedure pubbliche nate per acquisti di tipo standard;
   per questi dispositivi da parte delle associazioni delle persone con disabilità, dei professionisti del settore e, soprattutto, della Simfer, la società scientifica che rappresenta i medici prescrittori, è stata avanzata la richiesta di mantenimento del regime tariffario; Simfer, ha stilato l'elenco delle tipologie che hanno bisogno di percorsi individualizzati di prescrizione e fornitura, elenco che è stato ripreso e fatto proprio da molte associazioni degli assistiti e dei professionisti;
   nel parere approvato dalla XII Commissione della Camera il 14 dicembre 2016 allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui Lea vi era la condizione che per le tipologie di ausili venisse mantenuto il «sistema tariffario in luogo delle pubbliche procedure previste dallo schema di decreto in esame...» in quanto, «per le loro caratteristiche e per le specifiche necessità funzionali dell'utenza cui sono destinati necessitano di un percorso prescrittivo individualizzato e di un appropriato percorso valutativo condotto da un’équipe multidisciplinare nonché di un adeguato training all'uso, al fine di garantire la massima personalizzazione e aderenza alle esigenze degli utenti, obiettivi difficilmente raggiungibili mediante procedure di gara»;
   da parte della programmazione sanitaria non viene negata la necessità di percorsi individualizzati per la prescrizione e fornitura di determinate tipologie di ausili da scegliere in una adeguata gamma di modelli, ma si sostiene che per rispondere a questa necessità si possono utilizzare modelli speciali di procedure pubbliche;
   il risparmio complessivo stimato impiegando queste procedure (che devono tener conto di diversi spesso intangibili fattori) è però indicato in circa il 25 per cento per un valore di 48 milioni di euro mentre, separando i soli ausili indicati nel citato parere della XII commissione della Camera ed indicendo gare tradizionali per i restanti «standard» il risparmio complessivo è del 37 per cento per un valore di oltre 75 milioni di euro. Non sussistono pertanto motivazioni di carattere economico/finanziario e di copertura di spesa;
   l'Associazione Luca Coscioni, ha peraltro già evidenziato al Ministro della salute e ai sui uffici e alle commissioni parlamentari competenti quanto sopra riportato e dagli esperti confermato –:
   quali iniziative abbia assunto o intenda assumere il Governo al fine di garantire il mantenimento del regime tariffario per le tipologie di ausili di cui in premessa.
(2-01757) «Nicchi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLI, NICCHI, FOSSATI, PIRAS, SCOTTO, QUARANTA, RICCIATTI, ZARATTI, ZAPPULLA, ALBINI, CARLO GALLI, LAFORGIA, CAPODICASA, DURANTI, FRANCO BORDO, FONTANELLI, ROBERTA AGOSTINI, MELILLA, MURER e KRONBICHLER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sull'applicazione della legge n. 194 del 1978 l'Italia torna alla clandestinità. Da Nord a Sud l'80 per cento dei ginecologi, e oltre il 50 per cento di anestesisti e infermieri, non applica più la legge n. 194 del 1978;
   la conseguenza è che le donne respinte dalle istituzioni sono costrette a rivolgersi a chi pratica illegalmente l'aborto. Con grossi rischi per la salute e per la vita stessa delle donne;
   il Ministero della salute stima 20.000 aborti clandestini nel 2008, 40.000/50.000 probabilmente quelli reali; 75.000 sono gli aborti spontanei nel 2011 dichiarati dall'Istat, ma un terzo di questi frutto probabilmente di interventi «casalinghi» finiti male;
   il Comitato per i diritti umani dell'Onu ha espresso preoccupazione sulla situazione italiana, per le difficoltà di accesso agli aborti legali, a causa del numero di medici che si rifiutano di praticare l'interruzione di gravidanza per motivi di coscienza;
   lo stesso Comitato dell'ONU ha sottolineato il fenomeno del ricorso all'aborto clandestino, oltre a sottolineare quale dovrebbe essere il ruolo dello Stato che dovrebbe adottare misure necessarie per garantire il libero e tempestivo accesso ai servizi di aborto legale, con un sistema di riferimento valido –:
   quali iniziative intenda porre in essere la Ministra interrogata per garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978, così come sottolineato dal Comitato dei diritti umani dell'ONU;
   quali iniziative, per quanto di competenza, la Ministra interrogata intenda porre in essere per contrastare la pratica illegale degli aborti contribuendo anche a combattere il fenomeno delle organizzazioni criminali che sul territorio italiano gestiscono le strutture clandestine responsabili che mettono a grave rischio la salute e la vita delle donne. (5-11092)

Interrogazione a risposta scritta:


   VARGIU. — Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la commissione medica locale è istituita presso ciascuna Asl ai sensi dell'articolo 119, comma 4, del codice della strada;
   essa ha competenza sul giudizio di idoneità alla guida in tutti i casi ritenuti dubbi dai medici accertatori di cui al suddetto articolo 119, comma 2;
   la stessa si pronuncia sull'idoneità alla guida di pazienti portatori di minorazioni fisiche e patologie croniche, e in tutti i casi di violazione degli articoli 186 e 187 del codice della strada, come guida in stato d'ebbrezza o sotto l'effetto di sostanze di qualsivoglia natura che alterino le normali capacità di guida;
   anche in Sardegna, per ogni territorio delle ex ASL, sono state istituite tali commissioni;
   la commissione medica locale della ex Asl di Olbia è stata però liquidata pochi mesi dopo la sua apertura, a causa delle dimissioni dei due medici militari che ne facevano parte;
   la sostituzione di tali sanitari è regolata dal citato comma 2 dell'articolo 119 ed è ristretta a «medici appartenenti ad Amministrazioni pubbliche, diverse tra loro»;
   il completamento della commissione medica locale delle varie ex ASL è dunque condizionato dalla effettiva disponibilità dei medici militari e della polizia di Stato ad accettare tale incarico, tenuto conto che le amministrazioni d'appartenenza devono comunque esprimere il proprio nulla osta;
   non sempre i soggetti indicati dai presidenti delle varie commissioni accettano l'incarico, anche e soprattutto per la gravosità degli spostamenti dal proprio luogo di lavoro;
   la chiusura della commissione dell'Asl di Olbia, combinata al fatto che presso la Asl di Nuovo vengano accettati soltanto gli utenti che risiedono nella provincia, ha, di fatto, provocato una smisurata lista d'attesa presso la commissione medica locale di Sassari che pure, ad oggi, lavora con ben quattro sedute settimanali, che non possono essere comunque aumentate per i concomitanti, multipli impegni di lavoro dei componenti;
   conseguentemente, a marzo 2017, la lista d'attesa si sarebbe dilatata sino ad un anno, con grave disagio per gli utenti, che spesso sono persone già soggette a patologie croniche o individui in stato d'età avanzato;
   tale situazione si presenta con criticità analoghe in altri distretti sanitari della penisola –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della ormai assai problematica situazione che si sta verificando presso la commissione medica locale di Sassari e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere nel merito;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative per modificare il regolamento di attuazione del codice della strada, prevedendo la possibilità per il presidente della Commissione medica locale di nominare quale membro della stessa, sia titolare che supplente, un medico accertatore in quiescenza in possesso dei requisiti di cui all'articolo 119, comma 2, del codice della strada, la cui attività potrebbe essere paragonata a quella dei giudici onorari. (4-16235)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa, con nota del 16 febbraio 2017, il Ministero dello sviluppo economico avrebbe segnalato di aver rilevato, presso le amministrazioni comunali investite della questione relativa ai sistemi di videosorveglianza, ripetute problematiche conseguenti alla carenza dei necessari dati informativi relativi agli obblighi di legge previsti per l'installazione e l'esercizio di reti e di servizi di comunicazione elettronica ad uso privato, ai sensi degli articoli 99 e 104 del decreto legislativo n. 259 del 2003;
   in particolare, secondo la nota del Ministero dello sviluppo economico, veicolata tramite circolare prefettizia ed inviata a numerosi sindaci, si sarebbe rammentato che l'attività di installazione richiederebbe l'obbligo di una Scia, per i soggetti che hanno intenzione di installare o esercitare attività di videosorveglianza;
   secondo quindi la nota del Ministero dello sviluppo economico, i sindaci sarebbero equiparati ai privati nell'esercizio delle proprie attività istituzionali e lavorative, facendo rientrare nella fattispecie di videosorveglianza ad uso privato anche quelle realizzate dai comuni e quindi, in definitiva, ventilando il pagamento di un canone allo Stato se nel territorio da loro amministrato è presente un sistema di controllo con telecamere;
   è noto a tutti come nel tempo le telecamere di videosorveglianza, puntate su zone strategiche della città o di particolare pregio storico-artistico, o per coadiuvare l'attività di monitoraggio sulla sicurezza stradale, hanno trovato un uso sempre più necessario a deterrenza della microcriminalità e a tutela del territorio, e non certo per un uso privato dei sindaci;
   l'interpretazione della normativa fornita dalla nota del Ministero dello sviluppo economico, parrebbe contravvenire ai princìpi di funzione pubblica di sorveglianza degli impianti di sicurezza cittadini, equiparando i comuni ai privati e istituendo di fatto un balzello per l'uso di detti sistemi di videosorveglianza;
   questa interpretazione, contravverrebbe peraltro a quanto previsto dal decreto-legge n. 14 del 2017, poiché nel corso dell'esame presso la Camera dei deputati della relativa legge di conversione è stato approvato un emendamento con il quale si dà ai comuni la possibilità di installare i sistemi di videosorveglianza collocandone le spese sostenute fuori dal patto di stabilità interno –:
   se il Governo non ritenga opportuno chiarire i fatti descritti in premessa, fornendo in particolare un chiarimento della recente nota del Ministero dello sviluppo economico divulgata il 16 febbraio del 2017 e con la quale ci si discosterebbe, secondo l'interrogante, dalla corretta interpretazione che è stata data fino ad ora alle norme di cui al decreto legislativo n. 259 del 2003, che distinguono l'uso privato dei sistemi di videosorveglianza dall'uso pubblico degli impianti di sicurezza presenti presso i comuni italiani. (4-16229)


   MARTELLI, RICCIATTI, MELILLA, NICCHI, CARLO GALLI, DURANTI, ZACCAGNINI e MURER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Marvell Thecnology Group Ltd, è un'azienda leader nel mercato dei semiconduttori che lavora nel settore storage (dispositivi per la memorizzazione dei dati), wireless e telecomunicazioni, con sede nelle isole Bermuda, nata nel 1995 come start up a conduzione familiare e cresciuta fino a contare 7000 dipendenti in tutto il mondo con un fatturato di 14 miliardi di dollari;
   la Marvell S.r.l. Italia ha inaugurato una sede a Pavia il 19 giugno 2008 per la possibilità di collaborazione con l'università, in particolare con la facoltà di ingegneria, assumendo 100 lavoratori altamente qualificati, 40 hanno un dottorato in microelettronica (ogni anno Marvell stessa finanzia borse di studio), gli altri sono laureati o in possesso di un master;
   la suddetta azienda risulta essere un'eccellenza nel campo della microelettronica non nella produzione ma nella ricerca e nello sviluppo, la seconda più grande d'Italia per numero di dipendenti altamente qualificati;
   la Marvell Thecnology Group Ltd, nel 2015, decide di disinvestire nel settore ricerca e sviluppo del mobile e, mentre il valore dell'azienda continua ad aumentare dal punto di vista finanziario, decide di licenziare il 17 per cento del personale, una ristrutturazione che, secondo le stime, permetterebbe di risparmiare tra i 170 e 220 milioni di dollari;
   nella sede di Pavia, si aprono procedure di mobilità secondo i criteri di legge e da 100 lavoratori passa ai 78 odierni;
   a marzo 2017, i 78 lavoratori della Marvell S.r.l. Italia ricevono una lettera di licenziamento collettivo e, anche se l'azienda assicura vi siano trattative in corso con altre realtà dell'elettronica che potrebbero assorbire parte della forza lavoro altamente specializzata, le procedure di licenziamento, il cui limite è fissato al 25 maggio, non saranno congelate e Marvell S.r.l. Italia, dovrebbe terminare la propria presenza in Italia –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per cercare di salvaguardare una realtà, come quella della ricerca e dello sviluppo nella microelettronica, che rappresenta un'eccellenza per tutto il Paese e quali iniziative intenda mettere in campo per aiutare l'azienda ad attrarre nuovi investitori, al fine di salvaguardare i lavoratori altamente specializzati impiegati. (4-16230)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Fedi e altri n. 4-16219, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Garavini, La Marca e Gianni Farina.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Locatelli n. 4-15720 del 24 febbraio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Lorefice n. 4-15786 del 3 marzo 2017;
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-16076 del 29 marzo 2017.