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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 19 giugno 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 19 giugno 2017.

  Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Basilio, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, Costantino, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giuliani, Gozi, La Russa, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Manfredi, Marantelli, Marazziti, Matarrese, Migliore, Orlando, Pagano, Pannarale, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Sarti, Scalfarotto, Tabacci, Terzoni, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

  Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Basilio, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, Costa, Costantino, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giuliani, Gozi, La Russa, Laffranco, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Manfredi, Marantelli, Marazziti, Matarrese, Migliore, Orlando, Pagano, Pannarale, Peluffo, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Sarti, Scalfarotto, Tabacci, Terzoni, Valeria Valente, Vargiu, Velo, Vignali.

Annunzio di disegni di legge.

  In data 17 giugno 2017 è stato presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge:
   dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro dell'economia e delle finanze:
   «Conversione in legge del decreto-legge 16 giugno 2017, n. 89, recante interventi urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale nel settore creditizio» (4554).

  Sarà stampato e distribuito.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge AMATO ed altri: «Istituzione e disciplina del Registro nazionale e dei registri regionali dei tumori» (3490) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Miotto.

Modifica del titolo di proposte di legge.

  La proposta di legge n. 4524, d'iniziativa dei deputati IORI ed altri, ha assunto il seguente titolo: «Disposizioni per la formazione alla genitorialità e per il sostegno alla responsabilità educativa dei genitori».

Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
   I Commissione (Affari costituzionali):
  GITTI: «Modifica all'articolo 1 della legge 7 aprile 2014, n. 56, concernente il riconoscimento dello status di città metropolitana alle province di Bergamo, Brescia e Salerno» (4351) Parere della V Commissione;
  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE MERLO: «Introduzione dell'articolo 21-bis della Costituzione, in materia di diritto di accesso all'informazione e di tutela della riservatezza» (4518) Parere della II Commissione.
   II Commissione (Giustizia):
  DADONE ed altri: «Modifiche all'articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, in materia di valutazione della professionalità dei magistrati titolari di incarichi politici elettivi o di governo» (4383) Parere delle Commissioni I, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   IX Commissione (Trasporti):
  CATALANO ed altri: «Modifica alla legge 15 gennaio 1992, n. 21, in materia di requisiti morali dei conducenti di veicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea» (4374) Parere delle Commissioni I, II, X, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  DE LORENZIS: «Istituzione del Registro nazionale delle biciclette e altre disposizioni per promuovere lo sviluppo della mobilità sostenibile. Modifica all'articolo 625 del codice penale, concernente l'introduzione di una circostanza aggravante relativa al furto di biciclette» (4521) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VIII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   XI Commissione (Lavoro):
  TINAGLI: «Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di semplificazione della disciplina del lavoro intermittente» (4442) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VII, VIII, IX, X, XII e XIII.
   XII Commissione (Affari sociali):
  MELILLA ed altri: «Disposizioni per la cura della malattia di Menière e riconoscimento di essa come malattia cronica invalidante» (4515) Parere delle Commissioni I, V e della Commissione parlamentare per le questioni regionali;
  IORI ed altri: «Disposizioni per la formazione alla genitorialità e per il sostegno alla responsabilità educativa dei genitori» (4524) Parere delle Commissioni I, V, VII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
   Commissioni riunite X (Attività produttive) e XI (Lavoro):
  BASSO ed altri: «Modifiche al decreto legislativo 2 agosto 2002, n. 220, in materia di vigilanza sugli enti cooperativi» (3806) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), XII, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di sentenze della Corte costituzionale.

  La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria la seguente sentenza che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, è inviata alla VI Commissione (Finanze), nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
  sentenza n. 140 del 10 maggio – 14 giugno 2017 (Doc. VII, n. 838),
   con la quale:
    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi 61 e 67, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», promosse, in riferimento agli articoli 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), in relazione all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana;
    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, commi da 65 a 69, in combinato disposto con l'articolo 1, comma 638, della legge n. 208 del 2015, promossa, in riferimento agli articolo 36 e 37 del regio decreto legislativo n. 455 del 1946, in relazione all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1074 del 1965, nonché al principio di leale collaborazione, dalla Regione siciliana.

  La Corte costituzionale, in data 16 giugno 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia della seguente sentenza che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, è inviata alla XIII Commissione (Agricoltura), nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):
  sentenza n. 139 del 23 maggio – 14 giugno 2017 (Doc. VII, n. 837),
   con la quale:
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 88 della legge della Regione Liguria 30 dicembre 2015, n. 29, recante «Prime disposizioni per la semplificazione e la crescita relative allo sviluppo economico, alla formazione e lavoro, al trasporto pubblico locale, alla materia ordinamentale, alla cultura, spettacolo, turismo, sanità, programmi regionali di intervento strategico (P.R.I.S.), edilizia, protezione della fauna omeoterma e prelievo venatorio (Collegato alla legge di stabilità 2016)», che ha aggiunto il comma 8-bis all'articolo 16 della legge della Regione Liguria 1o luglio 1994, n. 29 (Norme regionali per la protezione della fauna omeoterma e per il prelievo venatorio);
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 89, comma 1, della legge della Regione Liguria n. 29 del 2015, che ha inserito il comma 1-bis nell'articolo 18 della legge della Regione Liguria n. 29 del 1994;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 92 della legge della Regione Liguria n. 29 del 2015, nella parte in cui, sostituendo l'articolo 35, comma 9, della legge della Regione Liguria n. 29 del 1994, consente il recupero dei capi feriti con le armi anche fuori degli orari previsti per la caccia e nelle giornate di silenzio venatorio;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 93 della legge della Regione Liguria n. 29 del 2015, nella parte in cui, sostituendo l'articolo 36, comma 2, della legge della Regione Liguria n. 29 del 1994, consente di ricorrere ai piani di abbattimento della fauna selvatica anche quando l'ISPRA non abbia preventivamente verificato l'inefficacia dei metodi ecologici;
    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 93 della legge della Regione Liguria n. 29 del 2015, nella parte in cui, sostituendo l'articolo 36, comma 2, della legge della Regione Liguria n. 29 del 1994, consente l'attuazione dei piani di abbattimento da parte di «cacciatori riuniti in squadre validamente costituite, nonché cacciatori in possesso della qualifica di coadiutore al controllo faunistico o di selecontrollore».

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 15 giugno 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Agenzia spaziale italiana (ASI), per l'esercizio 2015. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 538).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla X Commissione (Attività produttive).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 16 giugno 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'attuazione dell'assistenza macrofinanziaria ai paesi terzi nel 2016 (COM(2017) 321 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Corte dei conti sulla gestione del fondo di garanzia del Fondo europeo per gli investimenti strategici nel 2016 (COM(2017) 326 final), che è assegnata in sede primaria alla V Commissione (Bilancio).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI SIMONETTI ED ALTRI N. 1-01553, BRUNETTA ED ALTRI N. 1-01560 E CIVATI ED ALTRI N. 1-01646 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE IL FUNZIONAMENTO DELLE PROVINCE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione sancisce che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114), che le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118), hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, rappresentanti le risorse con le quali possono finanziare integralmente le funzioni loro attribuite (articolo 119);
    tra le funzioni fondamentali, si ricorda, è competenza delle province, quali enti con funzioni di area vasta: la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e gestione delle strade provinciali e relativa regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; la programmazione provinciale della rete scolastica e la gestione dell'edilizia scolastica; la cura dello sviluppo strategico del territorio e la gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo;
    l'esito referendario negativo del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi, di fatto, riporta «in vita» le istituzioni provinciali, non essendosi manifestata la volontà popolare di eliminarle;
    tale esito stride oggi con la previsione della cosiddetta legge Delrio n. 56 del 2014, che ha smantellato le province, impoverendole di funzioni fondamentali e portando alla deregulation la gestione dell'area vasta a livello territoriale;
    necessita, pertanto, in una prospettiva di lungo periodo, un intervento normativo che adegui la citata legge n. 56 del 2014 ed al contempo delinei un ordinamento locale delle province in coerenza col dettame costituzionale;
    già la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), considerando le province quali «enti in attesa di riforma costituzionale», ha operato un taglio pari a 1 miliardo di euro nel 2015, cui si aggiunge un altro miliardo nel 2016 ed un altro miliardo ancora nel 2017;
    sulla base di una serie di interventi normativi (decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012; decreto-legge n. 66 del 2014 e, appunto, legge n. 190 del 2014) negli ultimi cinque anni c’è stata da parte dello Stato una continua riduzione di risorse alle province pari a: 1.115 milioni di euro nel 2013, 2.059 milioni di euro nel 2014, 3.241 milioni di euro nel 2015, 4.250 milioni di euro nel 2016 e 5.250 milioni di euro nel 2017 (dato che comprende anche le città metropolitane, istituite il 1o gennaio 2015);
    a fronte dei predetti tagli, le province hanno dovuto effettuare una drastica riduzione della propria spesa corrente, quantificata in 2,7 miliardi di euro dal 2013 al 2016 (2013: 7,5 miliardi di euro; 2014: 6,2 miliardi di euro; 2015: 5,2 miliardi di euro; 2016: 4,8 miliardi di euro), pari ad un 40 per cento in meno che, inevitabilmente, si riversa sui servizi essenziali erogati per la sicurezza dei territori e lo sviluppo locale;
    dal totale delle entrate di tutte le province e città metropolitane, pari a 3 miliardi e 668 milioni di euro (di cui 1,3 miliardi derivante dall'imposta provinciale di trascrizione e 2,3 miliardi dalle assicurazioni di responsabilità civili automobili), sottratto il taglio imposto dalla legge di stabilità n. 190 del 2014 (pari a 3 miliardi di euro nel triennio) e quello conseguente alla spending review di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 (pari a 579 milioni di euro), sui territori provinciali resta appena il 3 per cento degli introiti per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali;
    l'ammontare residuo di risorse a disposizione è, pertanto, decisamente ed ovviamente insufficiente, al punto che l'Upi – Unione delle province italiane ha dovuto promuovere una mobilitazione con il deposito, da parte dei presidenti di provincia, di esposti cautelativi alle procure della Repubblica, alle prefetture e alle sezioni regionali della Corte dei conti;
    secondo l'Upi, infatti, le entrate 2017 sono pari a 2 miliardi e 916 milioni di euro a fronte di uscite pari a 3 miliardi e 608 milioni di euro, escludendo l'ulteriore taglio di 650 milioni di euro, quindi con un ammanco nel 2017 per chiudere i bilanci delle sole 75 province di regioni a statuto ordinario pari a quasi 700 milioni di euro (691.954.000), il che pone le province medesime nell'oggettiva impossibilità di approvare i bilanci preventivi entro il 31 marzo 2017 secondo quanto disposto dalla legge di bilancio per il 2017;
    addirittura la stessa Sose, la società del Ministero dell'economia e delle finanze incaricata di calcolare i fabbisogni standard degli enti locali, ha quantificato in 651,5 milioni di euro la distanza tra le entrate garantite e le spese necessarie alle funzioni che ancora restano in capo alle province, nonostante l'alleggerimento della riforma cosiddetta Delrio, prime fra tutte la messa in sicurezza e la manutenzione dei 130 mila chilometri di strade provinciali e la gestione dei 5.100 edifici scolastici,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, volte a:
   a) ripristinare le funzioni attribuite alla province ante legge n. 56 del 2014, consolidando la loro esistenza costituzionale alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016;
   b) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto del dettame costituzionale di cui all'articolo 119 della Costituzione;
   c) semplificare la forma di governo degli enti attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, allo loro durata, al sistema di elezione ripristinandone l'elezione diretta;
   d) destinare alle province una quota del fondo Anas pari ad almeno 300 milioni di euro per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da avviare le opere necessarie per riportare in sicurezza un'importante e strategica rete viaria;
   e) assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire l'espletamento delle funzioni fondamentali necessarie per la sicurezza dei territori ed i servizi essenziali ai cittadini, come evidenziato anche dalla Sose nel corso dell'audizione parlamentare del 16 marzo 2017 in Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale;
   f) riportare nei bilanci delle province i risparmi derivanti dai propri atti e provvedimenti di spending review;
   g) ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti attraverso l'abrogazione della disposizione di cui al comma 420 della legge n. 190 del 2014;
   h) riconoscere alle province, in via straordinaria anche per il 2017, la facoltà di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci.
(1-01553) «Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica è composta dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione);
    le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118 della Costituzione);
    le province hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa; le risorse derivanti da queste fonti consentono di finanziare integralmente le funzioni attribuite (articolo 119 della Costituzione);
    la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio»), recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non ha abolito le province, ma le ha trasformate in enti di secondo livello, governate da sindaci e amministratori comunali;
    infatti, l'articolo 1 della suddetta legge, al comma 85, dispone che le province, quali enti con funzioni di area vasta, mantengono l'esercizio delle seguenti funzioni fondamentali: a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale; c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale; d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; e) gestione dell'edilizia scolastica; f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    la «legge Delrio», del resto, era solo propedeutica all'eliminazione delle province dalla Costituzione, alla loro trasformazione in «enti di area vasta» e all'assegnazione a comuni e regioni, e solo residualmente agli enti di area vasta e alle città metropolitane, secondo il principio di sussidiarietà, anche delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province;
    tale progetto complessivo di riordino delle funzioni statali si è interrotto a seguito dell'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha avuto, fra le altre, la conseguenza di mantenere in capo alle province la loro autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa, in coerenza con il principio autonomistico sancito dall'articolo 5 della Costituzione, e tutte le competenze fondamentali;
    anche il trasferimento alle regioni delle competenze sottratte alle province dalla «legge Delrio» (caccia e pesca, acque, trasporto rifiuti oltre frontiera, autonomie e altro) ha visto risultati del tutto difformi da regione a regione: in quelle virtuose il trasferimento è completato, ma in molte altre il trasferimento è ancora in corso, con la conseguenza che alcune province si devono ancora occupare di funzioni che non dovrebbero essere più di loro competenza, con conseguente aggravio di costi e di personale;
    senza aspettare la conclusione dell’iter della riforma costituzionale, e della conseguente eliminazione delle province, il Governo ha ritenuto, «in attesa della riforma costituzionale», di operare comunque tagli drastici ai bilanci provinciali;
    così, nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha operato, all'articolo 1, comma 418, un taglio di 3 miliardi di euro complessivi a regime del tutto insostenibile per i bilanci, così attuato: un miliardo di euro nel 2015 (decreto-legge n. 78 del 2015, articolo 1, comma 10, e tabella 2), cui si aggiunge un miliardo di euro nel 2016 (decreto-legge n. 113 del 2016, articolo 8, comma 1-bis, e tabella 1) e un miliardo di euro nel 2017 (provvedimento attuativo ancora da definire);
    la manovra finanziaria nei confronti delle province non ha operato solo un taglio, ma un vero e proprio prelievo di risorse dai loro bilanci: a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo si tratta di un prelievo incoerente, perché nega il principio di autonomia finanziaria degli enti sancito dall'articolo 119 della Costituzione, e di una sottrazione di risorse proprie (le entrate dai tributi locali) che avrebbero come destinazione, secondo il dettato costituzionale, la copertura integrale delle funzioni attribuite;
    dal 2013 al 2017 alle province è stato imposto un taglio complessivo alle risorse pari a 5,2 miliardi di euro, che derivano dall'applicazione delle seguenti disposizioni: decreto-legge n. 201 del 2011 (taglio di 415 milioni di euro), decreto-legge n. 95 del 2012 (taglio di 1.250 milioni di euro), decreto-legge n. 66 del 2014 (taglio di 58 milioni di euro), legge n. 190 del 2014 (taglio 3.000 milioni di euro);
    conseguentemente, oggi vi è uno squilibrio nei bilanci delle province di circa 1.350 milioni di euro, che si ridurrà a circa 700 milioni di euro a fronte dell'assegnazione di una quota pari a 650 milioni di euro del «Fondo da ripartire per il finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali», previsto all'articolo 1, comma 438, della legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017), a seguito dell'approvazione in data 23 febbraio 2017 in Conferenza unificata del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ex articolo 1, comma 439, di suddetta legge;
    il Governo ha operato come se le province fossero già svuotate delle loro funzioni fondamentali (trasporti, strade, rete scolastica, tutela ambientale e altro), rimaste in realtà sotto la loro competenza, e i tagli di bilancio conseguenti a questa logica fanno sì che un intero comparto istituzionale costitutivo della Repubblica non sarà in grado né di approvare i bilanci, né di erogare i servizi: un'evenienza che non si è mai verificata nella storia del Paese;
    di conseguenza, si evidenziano, per esempio, profonde criticità ed emergenze sulla manutenzione degli edifici scolastici di competenza (oltre 5.000), a partire dalle più elementari regole di adeguamento alle norme antincendio (le cui scadenze vengono prorogate da oltre 20 anni) o all'acquisizione dei certificati di agibilità statico-sismica;
    anche la manutenzione dei circa 130.000 chilometri di strade provinciali subisce gli effetti della mancanza di fondi, considerando inoltre che, per la viabilità provinciale, è stata introdotta, con la normativa in materia di omicidio stradale, anche la responsabilità colposa a carico dei responsabili della manutenzione e costruzione delle strade, chiaramente indicata nella circolare del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno del 25 marzo 2016. Da ciò consegue il concreto pericolo di responsabilità non soltanto amministrativa, ma anche civile e penale, sia delle amministrazioni e sia, nel caso di responsabilità penali, dei funzionari e dirigenti addetti ai servizi;
    a tale proposito, occorre evidenziare che anche la Corte dei conti nella deliberazione n. 17 del 2015 della sezione delle autonomie, in cui si relaziona al Parlamento sul riordino delle province, nel richiamare l'attenzione sull'impatto delle misure conseguenti alla legge di stabilità n. 190 del 2014, le ritiene «suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari» ed afferma che «ancora più problematico si prefigura il taglio incrementale per il biennio 2016-2017, atteso che una volta riallocate le funzioni e le risorse a queste destinate, le province si troveranno a dover conseguire i risparmi richiesti su aggregati di spesa più ristretti e soprattutto vincolati alle funzioni fondamentali»;
    il direttore centrale della finanza locale del dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, dottor Giancarlo Verde, in un'audizione svoltasi in data 16 febbraio 2017 presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, attesta che la riduzione delle risorse, che ammonta a circa 4,8 miliardi di euro dal 2008 al 2016, «ha condotto ad uno stato generale di disagio finanziario delle province che ha portato ad una difficoltà nell'attendere alle funzioni assegnate che si evidenzia con la flessione qualitativa e, talvolta, perfino l'assenza di importanti servizi. In alcuni casi, è stato inevitabile il ricorso alla procedura di dissesto finanziario, 4 casi da sempre, ma solo 3 nell'ultimo quadriennio. Più significativo il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale previsto dall'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, a cui sono ricorse nel quinquennio trascorso ben 14 province. Pertanto quasi il 20 per cento degli enti è ricorso a misure straordinarie, percentuale che spinge a riflettere sulla grave situazione che vivono tali enti locali»;
    i presidenti delle province, riuniti in assemblea generale alla presenza dei parlamentari della Repubblica nella giornata del 16 febbraio 2017, hanno denunciato a gran voce di trovarsi nella concreta impossibilità di erogare servizi fondamentali per la collettività, legati alle funzioni individuate dalla legge n. 56 del 2014 per province e città metropolitane;
    i presidenti delle province, nella medesima giornata, sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica, a cui hanno chiesto sostegno affinché il Governo agisca con tempestività e senza esitazioni e affronti e risolva le questioni di estrema emergenza che riguardano i territori, mettendo queste istituzioni nelle condizioni di garantire la sicurezza dei 130.000 chilometri di strade provinciali, delle 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2.500.000 ragazzi, di realizzare gli interventi necessari a contrastare il dissesto idrogeologico;
    alcuni presidenti delle province si sono sentiti costretti, per la prima volta nella storia, a rivolgersi alla procura della Repubblica con un esposto cautelativo, affinché si accerti di chi è la vera responsabilità di eventuali disservizi delle province,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative urgenti, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane, enti costitutivi della Repubblica, di far fronte alle proprie funzioni istituzionali, e in particolare volte:
   a) ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione;
   b) ad assegnare alle province almeno 250 milioni di euro aggiuntivi per l'esercizio delle funzioni fondamentali, necessari per garantire la sicurezza e i servizi adeguati ai cittadini;
   c) ad assegnare alle province almeno 300 milioni di euro del fondo Anas per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da aprire le opere necessarie per riportare in sicurezza questa rete viaria strategica;
   d) a lasciare nei bilanci delle province i risparmi dei costi della politica determinati dalla gratuità totale dei presidenti e dei consiglieri provinciali, considerato che nelle province la politica ha costo zero, unico caso tra le istituzioni della Repubblica: questi risparmi devono essere messi a disposizione delle comunità locali;
   e) a ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, con la possibilità di avere in organico quelle professionalità indispensabili per svolgere le funzioni che rimangono loro assegnate;
   f) a cancellare le sanzioni per le province che hanno mancato gli impegni del patto di stabilità 2016, in quanto lo «sforamento» è stato indotto dai tagli ai bilanci e dall'uso degli strumenti straordinari che il Governo ha obbligato ad usare pur di chiudere i bilanci;
   g) a consentire alle province in via straordinaria anche per il 2017 di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci;
   h) in una prospettiva temporale più lunga, a promuovere una revisione della legge n. 56 del 2014 per disegnare un ordinamento locale delle province stabile e coerente con la Costituzione, considerato che a tal fine è necessario:
    1) consolidare le funzioni fondamentali previste dalla legge n. 56 del 2014, ampliare le funzioni amministrative territoriali e valorizzare con le funzioni di assistenza e di supporto ai comuni, le stazioni uniche appaltanti e i servizi pubblici locali previsti dai commi 88 e 90 dell'articolo 1, in modo da fornire indirizzi chiari anche per il riordino della legislazione regionale;
    2) semplificare la forma di governo degli enti, attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, alla loro durata, al sistema di elezione;
    3) conferire una delega per la revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane.
(1-01560) «Brunetta, Gelmini, Occhiuto, Russo, Sisto, Fabrizio Di Stefano».


   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica italiana «è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione; tale articolo, riformulato con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, conferisce evidentemente un particolare rilievo, addirittura letteralmente «costitutivo», a tutti i livelli di governo territoriale, per quanto la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 274 del 2003 abbia precisato che ciò «non comporta affatto una totale equiparazione fra tali enti, con poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che Comuni e Province non hanno potestà legislativa;
    l'appena evidenziata complessità dei livelli di governo e soprattutto il disegno territoriale degli stessi sono, almeno nelle loro linee fondamentali, frutto di scelte ormai risalenti nel tempo, ponendo sostanzialmente di fronte a un'organizzazione amministrativa disegnata secondo i parametri di efficienza dettati nei tempi in cui i trasporti erano misurati dal tragitto quotidiano di un cavallo, risultando così incapaci di rispondere alle attuali esigenze di prestazioni di servizi e di svolgimento delle attività professionali e lavorative in generale;
    è necessario tornare a governare efficacemente il Paese, rifondando le basi di cittadinanza e ridisegnando pertanto, con coraggio e ambizione, il tessuto complesso del governo locale;
    è necessario che ciò avvenga secondo un processo che lo Stato e il Governo in particolare devono legittimare, facilitare e seguire, ma che deve realizzarsi comunque attraverso modalità bottom up, sulla base di dinamiche moderne di cooperazione tra enti su strategie di sviluppo condivise, individuando livelli di efficienza scalare a geometria variabile nell'offerta dei servizi, senza dirigismo, bensì assecondando e favorendo lo sviluppo più generalizzato di quanto in molti luoghi del Paese si sta già muovendo in questa direzione, a legislazione vigente;
    si tratta, in sostanza, di procedere con modalità profondamente diverse rispetto a quelle seguite dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, che hanno operato «dall'alto», con norme astruse e contraddittorie, latrici di soluzioni spesso irrealizzabili, senza mai offrire una lettura empiricamente fondata del Paese;
    se certamente sono mancate scelte di riorganizzazione del livello regionale, rispetto al quale l'unico intervento era stato rimesso a una riforma costituzionale (bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016) con l'unico obiettivo di ricentralizzare (peraltro secondo modalità capaci di ingenerare ulteriore incertezza nei rapporti giuridici e di non riso vere certamente – ma anzi forse di aggravare – la conflittualità tra lo Stato e le regioni rimessa alla giurisdizione costituzionale), trascurando, invece l'attivazione di dinamiche di cooperazione macroregionale per pervenire, in un medio periodo, a una semplificazione del tessuto regionale attraverso processi condivisi di ridisegno secondo l'articolo n. 132 della Costituzione e non superando – ma anzi amplificando – il doppio regionalismo (ordinario e speciale); è soprattutto a livello locale che a parere dei firmatari del presente atto si sono realizzati gli interventi più miopi, inadeguati e inefficaci, privi di qualunque visione della riorganizzazione dell'assetto territoriale e condotti, invece, sempre e soltanto per la necessità di fare cassa;
    in quest'ambito è soprattutto l'ente intermedio, la provincia, ad avere ottenuto il trattamento peggiore. Considerata, con notevole superficialità, alla stregua di un «ente inutile», dal 2011 si è solo pensato ad una sua grossolana soppressione, a tessuto di governo territoriale invariato;
    così la «eliminazione delle Province» e divenuto uno dei primi obiettivi del Governo Monti, insediatosi in presenza di un'emergenza finanziaria, sembrando rispondere in merito al contenuto di una lettera inviata dalla Banca centrale europea precedente al precedente Governo il 5 agosto 2011, che in effetti risulta sul punto piuttosto atipica, per quanto scendeva nel dettaglio, sottolineando «l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)»;
    se la «eliminazione» delle province non era realizzabile in tempi brevi, essendo queste – come abbiamo detto – previste dalla Costituzione, addirittura come «enti costitutivi» della Repubblica (tanto che, a prendere alla lettera la formulazione dell'articolo n. 114 della Costituzione ci si potrebbe chiedere se possa esistere una Repubblica senza province), il Governo Monti è comunque intervenuto addirittura con decreto-legge a svuotare l'ente intermedio di funzioni, sopprimendone gli organi elettivi, per sostituirli con altri di secondo grado (espressi, in sostanza, dai comuni appartenenti alla provincia stessa);
    la eliminazione di organi eletti a suffragio universale diretto ha anzitutto rappresentato un vulnus nella possibilità per i cittadini di influire (direttamente) nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, costringendoli a subire scelte politiche (e non di mera gestione, come talvolta si è provato a sostenere) degli organi di secondo livello (peraltro non del tutto adeguatamente rappresentativi dell'intero territorio provinciale), rischiando di compromettere almeno in parte, considerato il mantenimento della capacità impositiva, il principio cardine del costituzionalismo del no taxation without representation;
    la prima riforma delle province, realizzata dal Governo Monti con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, con il dichiarato esclusivo (e sembrerebbe esclusivo) obiettivo di riduzione dei costi (la rubrica dell'articolo n. 23 reca «Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province»), con una nuova disciplina di organizzazione (che li rende enti di secondo livello dal punto di vista degli organi) e una drastica riduzione delle funzioni attribuite è stata oggetto di ricorso di fronte alla Corte costituzionale che, con sentenza n. 220 del 2013, l'ha giudicata incostituzionale, in quanto «la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicate dell'intero sistema»;
    il radicale vizio d'incostituzionalità riscontrato ha, secondo i presentatori del presente atto, di fatto impedito alla Corte di affrontare i profili più specifici e ha aperto la strada ad un'ulteriore riforma, realizzata con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (cosiddetta «legge Delrio» dal nome del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del Governo Letta al quale si deve l'iniziativa);
    questa legge, pur con alcune modifiche, mantiene due aspetti della precedente riforma: un forte ridimensionamento delle funzioni delle province, e la eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, ancora consegnati a una rappresentanza di secondo livello, con i limiti già evidenziati;
    nel frattempo, il Governo Renzi, insediatosi dopo il Governo Letta, presentava una proposta di legge costituzionale recante un'ampia revisione della Parte seconda della Costituzione, prevedendo, tra l'altro, la soppressione delle province dal testo costituzionale, con ciò potendo porre i presupposti per la totale eliminazione dell'ente intermedio (che, in caso di approvazione della riforma, poi invece respinta dagli elettori con il referendum del 4 dicembre 2016, sarebbe comunque stato privato di riconoscimento costituzionale);
    intanto anche la cosiddetta «legge Delrio» è stata in effetti impugnata di fronte alla Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 50 del 2015, ha rigettato – come noto – tutte le censure formulate, ancorché con particolare riferimento a quelle ordinamentali abbia precisato che «è in corso l'approvazione di un progetto – da realizzarsi nelle forme di legge costituzionale – che ne prevede la futura soppressione, con la loro conseguente eliminazione dal novero degli enti autonomi riportati nell'articolo 114 Cost., come, del resto, chiaramente evincibile dall’incipit contenuto nel comma 51 dell'articolo 1 della legge in esame». Si tratta di una motivazione, a giudizio dei presentatori del presente atto, del tutto singolare nell'ambito della giurisprudenza costituzionale (probabilmente non solo italiana);
    in effetti, quella revisione costituzionale – come già ricordato – è stata sonoramente bocciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016, con la conseguenza che da più parti è stata sottolineata la necessità – anche da un punto di vista del rispetto della Costituzione – di reintrodurre un sistema di elezione diretta degli organi della provincia, non potendosi in proposito che sottolineare come – anche in base a quanto poco sopra ricordato –, anche al di là di un diretto vincolo costituzionale, ciò risulterebbe certamente più coerente con il fondamento democratico della Repubblica e quindi dei suoi enti costitutivi; ciò sarebbe anche più rispondente alla necessità che, a tutti i livelli di governo, sia data diretta espressione alla sovranità popolare, in proposito sembrando anzi da valorizzare una maggiore partecipazione dei cittadini, anche potenziando la presenza degli istituti di democrazia diretta negli statuti degli enti locali; 
    la tendenza alla soppressione (o almeno al fortissimo e inadeguato ridimensionamento) delle province, pur in assenza di un più generale intervento sull'assetto del governo locale del Paese, è stata peraltro accompagnata da pesantissimi tagli di risorse, o meglio – come è stato evidenziato dall'Unione delle province italiane – un vero e proprio prelievo. In proposito basti ricordare che la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha previsto, all'articolo 1, comma 418, che le province e le Città metropolitane «concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa». Tali pesanti tagli si aggiungono a quelli realizzati con decreto-legge n. 201 del 2011, con decreto-legge n. 95 del 2012 e con decreto-legge n. 66 del 2014, giungendo, nel 2017, a sommare una riduzione di risorse pari a 5.250 milioni di euro;
    è stato calcolato che alle province resta appena il 3 per cento degli introiti raccolti sul territorio per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali, destando preoccupazione, in particolare il mantenimento di 130 mila chilometri di strade provinciali, nonché di 5.100 scuole superiori, tanto che era stato evidenziato dalla stessa società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose) società costituita dal Ministero dell'economia, con il compito, tra l'altro, di determinare i fabbisogni standard in attuazione del federalismo fiscale, la necessità di prevedere 650 milioni di euro aggiuntivi per la spesa corrente delle province;
    le preoccupazioni per la suddetta situazione non sono state superate in sede di approvazione della cosiddetta recente «manovrina», cioè la legge di conversione del decreto-legge n. 50 del 2017, tanto che l'Unione provinciale italiana, a mezzo del suo presidente, si era rivolta anche al Presidente della Repubblica, con lettera 1o giugno 2017, evidenziando la suddetta situazione. Tuttavia, la definitiva conversione in legge del decreto-legge sopra menzionato da parte del Senato in data 15 giugno 2017, senza la previsione delle risorse ritenute strettamente necessarie, ha portato il presidente dell'Unione provinciale italiana a concludere che «è mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore. Saranno i mancati servizi che inevitabilmente ne deriveranno, i diritti allo studio, alla mobilità, alla sicurezza, negati in questo modo ai cittadini, a mettere Governo e Parlamento di fronte alle loro responsabilità»;
    tutto questo rende, oggi, le province enti deboli (anche dal punto di vista della legittimazione) e sempre meno capaci di svolgere anche le funzioni loro mantenute, con conseguenze negative sui servizi e quindi sulla vita dei cittadini,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte a:
   a) riorganizzare l'assetto del governo locale attraversò procedimenti condivisi con i territori;
   b) prevedere, nell'ambito di una riforma dell'intero quadro normativo degli enti locali, una razionalizzazione delle funzioni amministrative dei diversi livelli di governo e, in particolare, in relazione all'ente intermedio, il ritorno a un'organizzazione fondata sul suffragio universale diretto nella scelta degli organi rappresentativi, favorendo altresì forme di partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche, anche contemplando l'obbligo per i comuni e le province di prevedere nei loro statuti il referendum;
   c) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard nel rispetto di quanto previsto all'articolo 119 della Costituzione;
   d) prioritariamente, assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire lo svolgimento delle funzioni fondamentali assegnate, a partire dal mantenimento e dalla messa in sicurezza delle strade di competenza e degli istituti scolastici, anche sulla base delle valutazioni formulate dalla società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose).
(1-01646) «Civati, Marcon, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Paglia, Pastorino, Pellegrino, Placido».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)


RELAZIONE DELLA XIV COMMISSIONE SULLA RELAZIONE PROGRAMMATICA SULLA PARTECIPAZIONE DELL'ITALIA ALL'UNIONE EUROPEA RIFERITA ALL'ANNO 2017 E SUL PROGRAMMA DI LAVORO DELLA COMMISSIONE PER IL 2017 (DOC. LXXXVII-BIS, n. 5-A)

Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A – Risoluzioni

   La Camera,
   esaminati congiuntamente il Programma di lavoro della Commissione per il 2017 – Realizzare un'Europa che protegge, dà forza e difende (COM(2016)710 final) e la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5);
   preso atto degli elementi acquisiti nel corso dell'approfondita istruttoria svolta presso al XIV Commissione Politiche dell'Unione europea e dei pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva;
   rilevato che:
    l'esame congiunto dei documenti consente di porre in essere una vera e propria sessione parlamentare europea di fase ascendente e costituisce uno strumento particolarmente utile ai fini della qualificazione del contributo del Parlamento per la definizione di un quadro organico della politica europea del nostro Paese, articolata intorno a grandi obiettivi e linee d'intervento prioritarie;

    si offre, infatti, una occasione unica per discutere un complesso di questioni che altrimenti verrebbero esaminate separatamente, al di fuori di una logica trasversale e coerente, che appare invece indispensabile per le connessioni sempre più strette tra le diverse dimensioni delle grandi tematiche che l'Unione europea è chiamata ad affrontare. Si supera in tal modo la tendenza alla frammentazione che condiziona pesantemente il confronto politico non soltanto nel nostro Paese e spesso pregiudica la possibilità di individuare indirizzi strategici cui dovrebbero ispirarsi le scelte e le posizioni assunte nell'ambito europeo e dall'Unione europea;
    merita inoltre apprezzamento l'impegno profuso dal Governo per affinare, sulla base dell'esperienza progressivamente acquisita, i contenuti della relazione che risulta più ricca di elementi informativi e dati utili ad una valutazione sulle priorità da perseguire. Ulteriori miglioramenti sono comunque possibili e auspicabili, stante l'importanza dei documenti in esame e alla luce della particolare fase che sta vivendo l'Unione europea;
    la discussione, infatti, si colloca quest'anno in un contesto particolarmente delicato per la coincidenza degli appuntamenti elettorali in alcuni dei maggiori Paesi europei e l'avvio dei negoziati per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea a seguito del referendum svolto in quel Paese;
    più in generale, l'Unione europea si trova a vivere una delle fasi più delicate e complesse della sua storia per cui, per effetto della propaganda di forze di ispirazione populista, da più parti viene messa in discussione la legittimazione del progetto europeo e suggerito un anacronistico recupero della dimensione statuale in aperto contrasto con la prospettiva, che appare invece ineludibile, di un ulteriore avanzamento del processo di integrazione europea;
    negli ultimi anni l'Unione europea si è trovata ad affrontare situazioni oggettivamente difficili per la coincidenza di fattori critici che hanno inciso pesantemente sulla vita dei cittadini europei. Si è registrata una massiccia crescita dei flussi migratori, anche in relazione alla condizioni di instabilità in cui versano alcuni Paesi prossimi alla frontiera europea; si registra una recrudescenza della criminalità organizzata e del terrorismo che si è tradotta in una serie di attentati nel territorio europeo che alimenta una forte domanda di sicurezza da parte dei cittadini europei cui si dovrà dare al più presto risposte efficaci;
    per altro verso, non risulta ancora definitivamente superata la più grave crisi economico-finanziaria che ha colpito l'Europa dal secondo dopoguerra e che ha prodotto una contrazione significativa dell'attività nel settore manifatturiero, anche per effetto della sempre più agguerrita concorrenza delle cosiddette economie emergenti; un aumento della disoccupazione e un ampliamento dell'area della precarietà, con particolare riferimento alle più giovani generazioni; un allargamento del divario dei tassi di sviluppo tra i diversi Paesi membri e della iniquità nella distribuzione della ricchezza all'interno dei singoli Paesi;
    le Istituzioni europee sono state, dunque, sottoposte a una fortissima pressione alla quale hanno cercato di reagire avviando alcune iniziative di carattere strategico quali l'Agenda delle migrazioni, il cosiddetto Piano Juncker per promuovere la ripresa degli investimenti che con la crisi hanno registrato una caduta verticale, la Strategia cosiddetta di rinascita industriale, la Youth Guarantee per promuovere la formazione e l'occupazione giovanile, l'Unione bancaria per rafforzare la sostenibilità del sistema creditizio, cui si è accompagnato il programma Quantitative easing della BCE diretto ad aumentare la disponibilità di credito all'economia reale e ad abbassare i costi sostenuti dai soggetti più indebitati;
    purtroppo, tuttavia, non sempre le iniziative messe in campo dalle istituzioni europee sono intervenute con la necessaria tempestività o hanno potuto produrre gli effetti sperati, in primo luogo a causa delle resistenze di alcuni partner. I ritardi e le incertezze che hanno caratterizzato l'azione dell'Unione europea hanno aggravato alcuni dei problemi da affrontare e alimentato la crescente sfiducia e la disaffezione dei cittadini europei nei confronti della capacità dell'UE di prospettare soluzioni adeguate alle sfide che si pongono;
    in qualche caso, l'attuazione delle strategie dell'Unione europea è stata frenata dalla indisponibilità di alcuni Stati membri a dar seguito agli impegni assunti; esemplare è al riguardo la mancata adesione di alcuni Paesi agli obblighi derivanti dai programmi di relocation dei rifugiati, che soltanto recentemente la Commissione europea ha deciso di sanzionare avviando vere e proprie procedure di infrazione. Analogamente, non è stato possibile assicurare piena e integrale attuazione al progetto dell'Unione bancaria per l'indisponibilità di alcuni partner a realizzare un sistema comune di garanzia dei depositi;
    anche a livello internazionale, l'Unione europea ha dovuto fronteggiare scenari caratterizzati da un costante deterioramento e dall'aggravamento delle condizioni generali in alcune aree limitrofe, a partire dalla persistente tensione tra Russia e Ucraina e, più recentemente, dal mutato atteggiamento degli Stati Uniti che manifestano un crescente disinteresse nei confronti dell'Europa e intendono rimettere in discussione strategie precedentemente consolidate in materia di lotta ai cambiamenti climatici e politica commerciale;
    anche alla luce delle evidenti difficoltà manifestate dall'Unione europea di fronte ad alcuni fattori di criticità e al rischio di una diffusione dell'euroscetticismo, si è avviato un approfondito dibattito sulla necessità di verificare l'idoneità dell'attuale assetto delle regole e delle procedure decisionali dell'Unione europea a rispondere ai mutati scenari interni e internazionali e sono state avanzate diverse proposte al fine di aggiornare il quadro delle politiche dell'Unione europea, a partire dalla cosiddetta relazione dei cinque Presidenti «Completare l'Unione economica e monetaria» per proseguire con le relazioni approvate dal Parlamento europeo il 16 febbraio scorso, che prefigurano alcune soluzioni sia a Trattati vigenti sia con eventuali modifiche che potrebbero essere apportate ai medesimi Trattati;
    a questo dibattito anche i Parlamenti nazionali hanno inteso fornire un proficuo contributo; nelle varie sedi di cooperazione interparlamentare si è infatti in più occasioni affrontato il tema e sono state assunte diverse iniziative, a cominciare dalla Dichiarazione sottoscritta a Roma il 14 settembre 2015 dai Presidenti delle Camere di quattro Paesi fondatori cui successivamente si sono aggiunti altri 11 Presidenti di Camere di Paesi membri dell'Unione europea, nella quale si fa esplicito riferimento alla prospettiva di un avanzamento del processo di integrazione anche sul piano politico;
    tutto ciò impone di accelerare il processo di verifica, già avviato, sulle eventuali correzioni da apportare all'assetto e alle politiche dell'UE per evitare che essa diventi un soggetto marginale negli scenari internazionali così come il rischio che l'UE subisca passivamente le conseguenze di tensioni e scelte effettuate altrove. Un rilancio dell'integrazione europea appare ormai ineludibile per salvaguardare il valore unico dell'esperienza europeista che rappresenta tuttora un modello esemplare a livello internazionale per i risultati conseguiti sul terreno del progresso economico, della libertà di circolazione, del mercato unico, della salvaguardia dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali e della tutela della dignità delle persone;

impegna il Governo:

   a) continuare a svolgere un ruolo attivo e propositivo nel dibattito in corso sulle prospettive dell'integrazione europea e sulle possibili correzioni da apportare all'assetto, alle regole e alle procedure decisionali oltre che alle politiche dell'Unione europea, ma anzi ad esercitare pienamente il ruolo centrale che spetta al nostro Paese, insieme agli altri maggiori partner fondatori delle Comunità europee, per rilanciare il processo di integrazione, tenendo conto che l'Italia negli scorsi anni si è fatta promotrice di diverse iniziative per consentire all'Unione europea di migliorare la sua capacità di risposta: esemplari al riguardo appaiono le posizioni adottate dal nostro Paese in materia di politiche migratorie e le ripetute sollecitazioni ad adottare una interpretazione meno rigorosa e più flessibile delle regole in materia di governance economica;
   b) ad intervenire affinché sia data priorità all'obiettivo di rafforzare la capacità competitiva delle economie europee complessivamente considerate, con particolare riguardo al recupero di più consistenti tassi di crescita delle attività manifatturiere; al sostegno delle politiche per l'innovazione tecnologica, anche attraverso la realizzazione integrale del programma sul mercato unico digitale, e per la ricerca e lo sviluppo; alla stabilizzazione degli interventi a sostegno degli investimenti; per la formazione e l'occupazione di qualità, riducendo i divari di sviluppo e recuperando tassi di crescita più consistenti per tutti gli Stati membri e in particolare per quelli che negli scorsi anni hanno più subito l'impatto della globalizzazione e della concorrenza delle cosiddette economie emergenti oltreché le conseguenze delle rigorose politiche di bilancio che in taluni casi hanno innescato dinamiche deflazionistiche con pesantissime ricadute sul piano dell'occupazione, degli investimenti e dell'allargamento dell'area di disagio sociale;
   c) a perseguire tali obiettivi in primo luogo nella prospettiva dell'aggiornamento e dell'eventuale consolidamento nell'ordinamento dell'Unione europea delle regole del Fiscal Compact, nella adozione di criteri flessibili e non rigidi nell'applicazione delle regole del Patto di stabilità e crescita così come dell'aggiornamento della Strategia Europa 2020 e della traduzione concreta del Pilastro sociale, cui dovrà attribuirsi lo stesso valore e la stessa efficacia delle regole in materia di governance economica;
   d) ad adoperarsi affinché siano perseguite e realizzate compiutamente le politiche per la stabilizzazione non soltanto della finanza pubblica, ma anche dei sistemi creditizi, attraverso l'integrale attuazione dell'Unione bancaria, mediante la realizzazione di un sistema comune di garanzia dei depositi e dei mercati finanziari attraverso una vera e propria Unione dei mercati dei capitali;
   e) quanto alle politiche energetiche e alla lotta ai cambiamenti climatici, a seguire attivamente la attuazione del progetto dell'Unione dell'energia facendo valere le esigenze prioritarie del nostro Paese con particolare riferimento alla sicurezza degli approvvigionamenti, al potenziamento delle reti e delle interconnessioni, allo sviluppo delle fonti rinnovabili, all'efficienza e al risparmio energetico e alla revisione del sistema ETS. Occorre inoltre lavorare affinché l'Unione europea rafforzi la sua capacità di collaborare con gli altri maggiori attori internazionali per evitare che la recente decisione degli Stati Uniti di recedere dagli accordi di Parigi non ne pregiudichi la realizzazione sul piano concreto;
   f) a dar seguito alle iniziative già avviate e preannunciate per rendere più efficace la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, attraverso il controllo dei flussi che finanziano le organizzazioni terroristiche e le attività di reclutamento nonché a potenziare lo scambio di informazioni e la capacità di intervento, sia sul piano della prevenzione che sul piano della repressione, degli organismi e delle agenzie specializzati in materia, a partire da Europol;
   g) relativamente alla gestione dei flussi migratori, prendere atto che non si tratta di una mera emergenza ma di un fenomeno che rischia di assumere carattere strutturale in considerazione dell'aggravamento delle condizioni di sicurezza, politiche ed economico-sociali dei paesi di provenienza, spesso ai confini dell'Europa, dilaniati da violenti conflitti interni o soggetti ad efferate dittature. Per questo motivo, occorre proseguire e consolidare l'esperienza dei cosiddetti migration compact e rafforzare le politiche di aiuti ai Paesi di provenienza in modo da prevenire i flussi oltre che garantire la piena attuazione alla riforma della politica comune in materia di asilo. Allo stesso tempo, occorre garantire una effettiva solidarietà tra gli Stati membri, come previsto dai Trattati, a partire dall'integrale attuazione dei piani di ricollocazione e reinsediamento.
(6-00321) «Berlinghieri, Locatelli, Sberna, Tancredi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 13, comma 1, della legge n. 234 del 2012 prevede che il Governo presenti alle Camere, entro il 31 dicembre dell'anno precedente la relazione programmatica dell'Italia all'Unione europea. La norma prescrive che la relazione comprenda: gli orientamenti e le priorità che il Governo intende perseguire in tema di integrazione europea, in relazione ai profili istituzionali e a ciascuna politica dell'Unione europea, con particolare e specifico rilievo per le prospettive e le iniziative relative alla politica estera e di sicurezza comune e alle relazioni esterne dell'Unione europea, gli orientamenti che il Governo ha assunto o intende assumere in merito a specifici progetti di atti normativi o a documenti di consultazione dell'Unione europea ed inoltre le strategie di comunicazione e di formazione del Governo in merito all'attività dell'Unione europea e alla partecipazione italiana all'Unione europea;
    per prassi parlamentare la Relazione programmatica viene esaminata congiuntamente al Programma di lavoro della Commissione europea e al programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea istituendo la «sessione europea di fase ascendente»;
    la sessione europea di fase ascendente deve essere letta nel quadro del rinnovato ruolo che il Trattato di Lisbona (in primis nell'articolo 12 TUE) intende riservare ai parlamenti nazionali. Questi dovrebbero acquisire rilevanza nell'impianto composito e multiplo della forma di governo dell'UE. I trattati definiscono pertanto una struttura decisionale in cui i Parlamenti nazionali non esplicano più il loro ruolo unicamente indirizzando il Governo in sede di Consiglio, ma acquisiscono un ruolo diretto nella formazione delle politiche dell'Unione. Apparrebbe pertanto opportuno che il Governo metta il Parlamento nella condizione di assolvere il proprio diritto/dovere, in primo luogo fornendo le informazioni necessarie in tempi adeguati e congrui;
    la tarda presentazione alle Camere, la lentezza nella calendarizzazione, la discussione dilazionata e poco approfondita e l'estrema generalizzazione e fumosità della descrizione delle politiche contenuta nella relazione programmatica tendono ad annullare la portata innovativa dell'analisi dei documenti in esame, privando nella sostanza il Parlamento di un utile e profondamente necessario strumento di indirizzo;
    il ruolo del Parlamento nella definizione delle politiche da promuoversi in sede di Unione europea è funzionale ad uno sviluppo equilibrato dell'Unione affinché essa sia il luogo ove si sviluppino i diritti sociali e trovi così completa esplicazione l'Europa sociale dei cittadini;
    il 1o marzo la Commissione europea ha presentato il Libro bianco sul futuro dell'Unione europea che delinea cinque scenari possibili per l'Europa. In questo periodo di crisi dell'UE, culminato nella Brexit, appare necessario ripensare obiettivi, strategie e politiche dell'Unione, ridefinendo le priorità e quindi il percorso che questa vuole seguire e intraprendere;
    il 25 marzo, in occasione delle celebrazioni del 60o anniversario dei trattati di Roma i leader dell'UE si sono riuniti per riflettere sull'Unione ribadendo l'intenzione di continuare nel percorso congiunto, ma aprendo al contempo ad importanti possibilità di modifiche istituzionali;

  il 23 giugno 2016 si è tenuto un referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea. La vittoria del leave è espressione del fallimento delle recenti politiche definite e promosse dall'Unione determinate dall'egoismo degli Stati membri, ovvero l'imposizione dell'austerità e la predilezione per politiche a favore delle banche e della finanza come modalità di uscita dalla crisi, la mancanza di attenzione per le politiche di inclusione sociale e di welfare, l'incapacità di essere una comunità palesatasi in occasione della crisi migratoria in atto;
    il Trattato sull'Unione europea stabilisce, all'articolo 50 che ogni Stato membro possa decidere di recedere dall'Unione notificando tale intenzione al Consiglio europeo. Quest'ultimo formula degli orientamenti sulla base dei quali l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso. L'accordo si conclude a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo;
    in questo contesto appare necessario promuovere modifiche riguardanti l'assetto istituzionale e conseguentemente l'impostazione di alcune specifiche politiche;
    in un contesto economico di timida e insufficiente ripresa che chiude un lungo periodo di profondissima crisi, esacerbata proprio dalle politiche imposte dall'Unione, appare necessario un profondo ripensamento delle politiche europee e degli obiettivi che l'UE intende perseguire, discostandosi da stringenti e miopi vincoli di bilancio per ripensare politiche economiche ma soprattutto sociali solidaristiche;
    nonostante le scarse ricadute positive e le dubbie scelte dei progetti del FEIS (fondo europeo degli investimenti strategici) la Commissione europea intende raddoppiare il FEIS sia per durata sia per capacità finanziaria;
    la gestione dei flussi migratori si pone da sempre come questione complessa, in considerazione della pluralità di elementi da tenere in considerazione nella sua gestione e da contemperare nelle scelte ad essi connesse. Il crescere dei flussi dei rifugiati e richiedenti asilo è dovuto in larga parte all'incapacità della comunità internazionale di dare una soluzione a conflitti complessi, quali in primo luogo in Siria e di Libia, associati alla destabilizzazione di altri Stati di notevole rilevanza geopolitica;
    la proposta di riforma della politica e del sistema europeo in materia di asilo mira ad armonizzare le procedure negli Stati membri instaurando disposizioni comuni in tale materia appare del tutto insufficiente, non modificando i principi cardine di tale politica nell'Unione;
    la Commissione europea, con la pubblicazione nel maggio e nel dicembre 2015 di due comunicazioni, ha adottato l'agenda europea sulla migrazione, evidenziando l'esigenza di una migliore gestione della migrazione e sottolineando al contempo come quella migratoria sia una responsabilità condivisa. In questo contesto sono state approvate due successive decisioni del Consiglio Giustizia e Affari Interni e del Consiglio europeo, nel quale si è stabilito di ricollocare 160.000 richiedenti asilo dai Paesi maggiormente sottoposti alla pressione migratoria verso quelli con maggiori disponibilità o meno coinvolti dai flussi. Ad alcuni mesi dalle predette decisioni sulle ricollocazioni, già di per se insufficienti, i numeri dei richiedenti asilo effettivamente ricollocati sono del tutto irrisori. Nonostante successive pressioni e denunce susseguitesi negli ultimi mesi ad oggi continuano ad essere solo 300 i richiedenti asilo ricollocati dall'Italia,

impegna il Governo:

   a favorire il rinnovato e approfondito ruolo del Parlamento nella definizione delle politiche e dell'agenda dell'Unione europea, come espressamente previsto dal Trattato;
   ad attivarsi nelle opportune sedi perché l'attuale discussione sul futuro dell'UE conduca in chiave istituzionale ad un miglioramento in chiave di rappresentatività e democraticità, che implichi una redistribuzione del potere tra le istituzioni, il rafforzamento di tutti gli strumenti di democrazia diretta e partecipata di comprovata utilità e al contempo ad una maggiore trasparenza delle decisioni, in primo luogo per ciò che concerne il Consiglio;
   si garantisca, negli accordi sull'uscita della Gran Bretagna dall'Unione, adeguata protezione degli interessi e piena reciprocità dei diritti dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea che attualmente vi risiedono, lavorano, studiano o svolgono qualsivoglia attività. Al contempo si assicuri il totale rispetto degli obblighi e degli impegni di bilancio assunti dal Regno Unito e la piena partecipazione dello stesso a quanto compete agli Stati membri fino all'uscita definitiva dall'Unione. Infine si proceda all'annullamento della correzione degli squilibri di bilancio accordata alla Gran Bretagna posto che l'entità della spesa agricola è costantemente diminuita nel corso di oltre 30 anni e che la programmazione della PAC per il periodo 2014-2020 prevede una significativa decurtazione dei fondi disponibili per l'Italia;
   opporsi al rifinanziamento e al rinnovo del FEIS – fondo europeo degli investimenti strategici, ovvero il cosiddetto FEIS 2.0, ed al contempo proporre la sospensione del primo piano sino a che non vi sia una ridiscussione profonda degli obiettivi e delle modalità di assegnazione dei fondi, in ogni caso a non contribuire con ulteriori finanziamenti nazionali;
   opporsi all'avvio o alla chiusura e firma di accordi economici e commerciali deleteri per i cittadini sia sotto il punto di vista economico, soprattutto per le piccole e medie imprese, sia per la tutela della salute;
   far in modo che le politiche migratorie, e i costi della corretta ed efficiente gestione, siano condivisi dagli Stati membri trasformando quella migratoria in una politica dell'Unione e a tal fine modificando alcuni dei principi attuali in senso di maggiore condivisione.
(6-00322) «Battelli, Baroni, Luigi Di Maio, Fraccaro, Petraroli, Vignaroli».


   La Camera,
   esaminati congiuntamente il Programma di lavoro della Commissione europea per il 2017 – «Realizzare un'Europa che protegge, dà forza e difende» (COM(2016)710 final), la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5) e preso atto degli elementi acquisiti nel corso dell'istruttoria svolta presso la XIV Commissione Politiche dell'Unione europea e dei pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva, rilevato che:
    il punto di partenza del Programma di lavoro sono le dieci priorità politiche individuate dalla Commissione Europea ovverosia: un nuovo impulso all'occupazione, alla crescita e agli investimenti; un mercato unico del digitale connesso; un'Unione dell'energia resiliente con politiche lungimiranti in materia di cambiamenti climatici; un mercato interno più profondo e più equo con una base industriale più solida; un'Unione economica e monetaria più profonda e più equa; Commercio: un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti realistico ed equilibrato; uno spazio di giustizia e di diritti fondamentali basato sulla reciproca fiducia; verso una nuova politica della migrazione; un ruolo più incisivo a livello mondiale; un'Unione di cambiamento democratico;
    le 10 priorità politiche individuate dalla Commissione per il 2017 ripropongono esattamente il programma presentato dal Presidente della Commissione europea, Juncker, tre anni fa, in occasione del suo insediamento;
    la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 sostanzialmente segue il Programma di lavoro della Commissione europea per il 2017;
    in Europa la lotta alla disoccupazione, in particolare quella giovanile, continua ad essere la prima emergenza. Secondo dati recenti sono circa 20 milioni i disoccupati all'interno dei 28 Paesi membri dell'Unione europea; di questi, 15 milioni si trovano nei 19 Paesi dell'Eurozona;
    nell'ambito della priorità «Un nuovo impulso all'occupazione, alla crescita e agli investimenti» la Commissione europea ha annunciato delle iniziative che seppur apprezzabili, in linea teorica, – come ad esempio l'annuncio di incrementare la dotazione finanziaria per l'Italia del Fondo sociale Europeo e del Fondo Europeo per lo sviluppo regionale o di raddoppiare la capacità finanziaria del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS 2.0) – rischiano, tuttavia, di rivelarsi del tutto insufficienti a centrare l'obiettivo della svolta europea nel senso di una politica tesa alla crescita economica, al rinnovamento e al rilancio del welfare, alla lotta alla povertà e alle disuguaglianze;
    in questo senso è da intendersi la recente proposta di riesame di medio termine sul funzionamento del Quadro Finanziario Pluriennale (QFP) UE 2014-2020, la quale, accompagnata dalla proposta legislativa di revisione del QFP e di modifica delle regole finanziarie applicabili al bilancio UE e della gestione dei suoi programmi operativi, è finalizzata all'ottenimento di maggiori margini di flessibilità. Forti sono le preoccupazioni che tale revisione spingerà i Governi dei singoli Stati alla negoziazione dei margini delle manovre finanziarie a livello nazionale non tanto per promuovere investimenti e innovazione, quanto piuttosto per redistribuire risorse in modo non strutturale, provocando un ulteriore aumento del debito degli Stati membri e senza che la crisi venga aggredita alla radice;
    bisognerebbe assumere la consapevolezza che, al netto degli sforzi profusi dal Governo in sede europea, sino ad oggi, purtroppo, è stato perpetuato un approccio estremamente miope e rigido nella gestione della politica di bilancio e dell'integrazione europea perché si è continuato a governare secondo principi di austerità impraticabili che hanno solo aggravato crisi e recessioni, con l'interdizione di ogni forma di eurobond garantiti pro quota dagli Stati nazionali ed una contraddizione evidente fra politica fiscale restrittiva e politica ultraespansiva della Bce che avrebbe dovuto compensarne gli effetti con la sola leva monetaria;
    a tali considerazioni andrebbero aggiunti i modestissimi risultati raggiunti dal Piano Juncker, l'arretramento degli investimenti pubblici e del loro potenziale traino agli investimenti privati, nonché gli già citati altissimi livelli di disoccupazione – soprattutto giovanile, la dilagante sofferenza sociale e povertà diffusa;
    in questo contesto, urge che il Governo non si limiti ad avallare il mero raddoppio del FEIS 2.0 nell'ambito del Piano Juncker, ma assuma una posizione forte, in netta discontinuità, puntando innanzitutto all'eliminazione di quei paletti rigidi che oggi bloccano la crescita e gli investimenti pubblici in infrastrutture e trasporti, ricerca, innovazione, formazione, politiche per il lavoro e green economy;
    appare quindi non più rinviabile l'avvio di un confronto critico teso alla revisione profonda del Fiscal Compact e delle regole europee del bilancio, poiché solo in questo modo il nostro Paese e l'Europa tutta potranno tornare a crescere e ristabilire un clima di serenità presso tra le loro popolazioni;
    infine occorrerebbe dare il via ad una nuova strategia a livello europeo che punti a indirizzare tutte le risorse disponibili ad un massiccio programma di spese per investimenti (che negli ultimi 10 anni sono state ridotte in Italia di oltre 10 miliardi di euro) e per un green new deal europeo;
    l'Unione europea, nell'ambito della Strategia dell'Unione dell'energia, nel novembre scorso ha presentato il pacchetto legislativo «Energia pulita per tutti gli europei». La UE ha tra i suoi obiettivi quello di una transizione verso un'economia sempre più competitiva e sostenibile a bassa emissione di carbonio, con al centro lo sviluppo e la diffusione delle energie rinnovabili e dell'efficienza energetica. Rimane il fatto che seppure gli investimenti in fossili sono in calo, questi restano predominanti, e comunque sono ancora troppo elevati i sussidi alle medesime fonti fossili, laddove è invece indispensabile prevederne una graduale ma decisa riduzione fino al loro azzeramento;
    a livello UE, ma non solo, non si può non rilevare che gli investimenti nel settore energetico non sono affatto coerenti con la transizione low-carbon prevista dalla COP 21;
    se è vero che il mondo dell'energia sta cambiando, questo sta avvenendo troppo lentamente per poter mantenere fede agli impegni presi con l'Accordo di Parigi del dicembre 2015, e limitare gli effetti del global warming;
    a livello globale, sotto questo aspetto è molto grave la decisione presa dal Presidente degli Stati Uniti (responsabili di circa il 15 per cento delle emissioni globali) di ritirarsi dall'Accordo di Parigi (COP 21) sui cambiamenti climatici, peraltro di fatto ribadita anche in occasione del recente G7 dei ministri dell'Ambiente, svoltosi a Bologna;
    circa un anno fa la Commissione europea ha presentato una serie di proposte per riformare il sistema europeo comune di asilo nelle linee indicate nell'agenda europea per la migrazione e nella comunicazione del 6 aprile 2016. In particolare la Commissione ha presentato il 4 maggio 2016 un primo pacchetto di proposte – riforma del regolamento 604/2013 (Dublino III), riforma del regolamento 603/2013 (Eurodac) e riforma del regolamento 439/2010, che istituisce l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), mentre, il 13 luglio 2016, ha presentato diverse proposte legislative – sostituzione della direttiva sulle procedure di asilo con un regolamento che stabilisca una procedura comune dell'Unione europea per la protezione internazionale, sostituzione della direttiva qualifiche esistente con un nuovi regolamento, infine una riforma sulla direttiva sulle condizioni di accoglienza;
    attraverso le sopraindicate proposte, la Commissione europea ha tentato di rimediare all'evidente fallimento del «sistema Dublino», però mantenendo sostanzialmente invariata la gerarchia dei «criteri Dublino» e introducendo un sistema correttivo per la ripartizione equa delle responsabilità tra Stati, che riproduce esattamente gli elementi fallimentari dei meccanismi temporanei di ricollocazione già in uso e prevedendo a carico dei richiedenti asilo una serie di obblighi (e conseguenti sanzioni in caso di violazione) per limitare gli spostamenti all'interno dell'area degli Stati membri. In pratica la proposta della Commissione mantiene in piedi il «sistema Dublino»: inefficace, costoso e che produce irregolarità;
    nonostante le critiche evidenziate la revisione del Regolamento di Dublino è una delle riforme più attese nel panorama legislativo europeo e da mesi nel Parlamento europeo la Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (Libe) sta lavorando per arrivare ad un testo congiunto, che potrebbe arrivare anche prima dell'estate;
    positivamente rispetto alla proposta di riforma della Commissione nella Commissione Libe sono state riformulate alcune delle norme più problematiche ivi contenute a vantaggio di una necessaria condivisione della responsabilità tra gli Stati membri. Tra le altre cose, si prevede, infatti, il superamento del principio secondo cui sono i Paesi di primo approdo a doversi far carico delle domande di protezione internazionale di chi arriva, che disincentiva gli Stati di frontiera da registrare correttamente i richiedenti asilo, incoraggiandoli così i movimenti secondari e l'irregolarità; si prevede ulteriormente un sistema di relocation automatico e permanente mentre si propone di superare la proposta delle sanzioni ai «Paesi anti-immigrati» con un più congruo taglio ai fondi strutturali per i Paesi che decidessero di non entrare nel sistema delle quote;
    la riforma di Dublino così come emendata dal testo depositato in Commissione Libe dalla relatrice svedese Cecilia Wikström prevede finalmente l'adozione del principio di solidarietà tra gli Stati e quindi verso la direzione di un vero diritto di asilo comune europeo; ad ogni modo sono forti le resistenze degli Stati all'interno del Consiglio europeo, su tutti quelli del blocco del Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia), che supportati dall'Austria fanno muro per far saltare l'accordo sulla riforma;
    occorrerebbe quindi un impegno ancora più determinato del nostro Paese in tutte le sedi europee per supportare la posizione espressa nel Parlamento europeo e per arrivare ad un accordo che preveda il diritto d'asilo comune europeo e che tutti gli Stati membri partecipino equamente all'accoglienza, per una nuova solidarietà tra i Paesi e le popolazioni d'Europa;
    l'Europa tutta è stata negligente e poco è stato fatto nonostante i proclami. La gestione dell'accoglienza continua a presentare numerose criticità nel nostro Paese, e i costi sociali ed economici di tale negligenza e mala gestione si riflettono sia sulle popolazioni accoglienti che sui rifugiati e richiedenti asilo;
    il nostro Paese è chiamato ad un'assunzione di responsabilità ed allo stesso tempo ad uno sforzo di elaborazione e proposta che siano ispirati a criteri fondati sul diritto internazionale e sui diritti umani, slegando il tema della difesa e della sicurezza dei cittadini da quello dell'immigrazione e dell'accoglienza dei rifugiati che scappano da guerre, carestie, persecuzioni;
    per cui è necessaria la creazione di uno spazio di giustizia e di diritti fondamentali basato sulla fiducia reciproca nonché tendere a creare le condizioni per una fattiva e sistematica collaborazione dell'UE con gli Stati membri per garantire un elevato livello di sicurezza ai cittadini europei rafforzando le misure di prevenzione e contrasto alla criminalità transnazionale e al terrorismo, nonché intensificando il coordinamento e la cooperazione tra forze di polizia e tra autorità giudiziarie e altri organismi competenti;
    lotta al terrorismo, al crimine organizzato, e alla criminalità informatica rappresentano le principali minacce con cui l'Europa deve confrontarsi;
    quanto al terrorismo, oltre al potenziamento degli strumenti di monitoraggio e al rafforzamento della cooperazione a più livelli, vi è la necessità di aggiornare il quadro normativo. Il ruolo dell'UE, quale garante della sicurezza, dovrebbe essere potenziato anche alla luce della stretta relazione tra sicurezza esterna e sicurezza interna; come noto, infatti, larga parte delle minacce che incombono sui Paesi europei trae origine o viene alimentata dalle situazioni di instabilità e crisi al di fuori dell'UE;
    il terrorismo, per la frequenza e la gravità degli attentati perpetrati nel territorio dell'UE, suscita un allarme crescente di fronte al quale i singoli Stati membri non dispongono evidentemente di strumenti di intervento e contrasto sufficienti; per rispondere in maniera concreta alla domanda di sicurezza che i cittadini europei rivolgono alle istituzioni, sia nazionali che europee, si richiede quindi il rafforzamento della capacità di monitoraggio, prevenzione e sanzione a livello di UE, da realizzare in primo luogo mediante più intensi scambi di informazioni e più avanzate forme di collaborazione tra i diversi organismi competenti a livello nazionale e le agenzie dell'Unione europea, tanto più per il carattere sempre più marcatamente transnazionale delle attività terroristiche, che si servono della rete in modo sistematico per reclutare i propri affiliati in diversi Paesi;
    la crescita del fenomeno dei cd. «foreign fighters», potenziali agenti per nuovi attacchi terroristici una volta rientrati nei loro paesi di origine è davvero preoccupante: le stime più accreditate fanno riferimento ad un numero di circa 25-30 mila combattenti stranieri, di cui circa 5 mila provenienti dal territorio dell'UE, e in particolare da quattro Stati membri (Francia, Regno Unito, Germania e Belgio);
    mentre crescevano i proclami sulla «lotta al terrore», in realtà poco o nulla veniva fatto per tagliare i canali tra Daesh, la galassia jihadista e i suoi Stati finanziatori. Nulla veniva fatto per svuotare il Medio Oriente di un po’ di armi (anzi apprendiamo del boom di vendita di armi dall'Italia e dall'Europa degli ultimi anni verso gli Stati mediorientali) né per supportare le richieste di democrazia che nascevano dalle primavere arabe e dalle esperienze positive di convivenza tra i popoli che emergevano nel vicino oriente che, al contrario, sono state brutalmente attaccate dalla follia distruttiva della violenza e del terrore. Di contro, si è prestato colpevolmente – per interessi – il fianco a piccoli conflitti che sono cresciuti fino a diventare, nel tempo, incontrollabili;
    la difesa degli interessi nazionali degli Stati membri dell'Unione europea continua ad avere la prevalenza su una strategia unitaria europea di politica estera e anche sulla non rinviabile creazione di una difesa comune europea, mentre si continua a puntare sul rafforzamento del mercato unico della difesa e quindi esclusivamente sul terreno dei mercati e delle imprese;
    lo spazio di sicurezza e di difesa comune deve essere improntato alle necessità dei cittadini e non direzionato dall'interesse delle lobby dell'industria bellica. Occorre prendere atto delle mutazioni avvenute nello scenario globale mondiale che ha visto l'inizio dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea e la vittoria negli Stati Uniti di Donald Trump e delle sue politiche pericolosamente orientate verso il populismo, connotate fortemente da protezionismo e nazionalismo e che mettono in discussione la stessa alleanza NATO;
    quella stessa spinta populistica che viene dalle élites nordamericane oggi al potere potrebbe aggravare la discussione politica nell'UE, già dominata da connotati fortemente nazionalistici e a tratti esplicitamente xenofobi. Se da un lato l'Unione europea e suoi Stati membri chiudono le frontiere, aumentano i controlli, erigono muri o attivano qualsiasi altro dispositivo di chiusura, dall'altro si persegue quasi ovunque in Ue nella dottrina iperliberista scandita dalle politiche di austerity;
    l'Unione europea, oggi sempre più dominata dagli interessi dei singoli Stati e dai propri egoismi, è sempre più vista da larghi strati della popolazione sorda e distante dalle istanze dei suoi popoli e totalmente incapace di prendere una qualsiasi iniziativa riformatrice;
    non è più rinviabile il tanto auspicato cambiamento di rotta dell'Unione europea che vada nella direzione della riaffermazione dell'Europa come continente vocato alla pace e alla fratellanza tra le Nazioni e i suoi popoli, ispirato alla protezione dei diritti umani e alla solidarietà, che promuova il benessere dei suoi cittadini, orientato verso la giustizia sociale e non alla disuguaglianza come oggi accade,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi, costruendo le opportune alleanze, affinché il Fiscal Compact sia modificato nella direzione di una golden rule sugli investimenti anche nazionali da esercitare almeno entro il limite del 3 per cento oppure, in caso contrario, a contrastare l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei;
   ad intraprendere ogni iniziativa di competenza presso le sedi europee volta a modificare le regole sulla misurazione del pareggio strutturale, attraverso un metodo di calcolo condiviso fra la Commissione europea, il Fmi e l'Ocse, e, in particolare, a riconsiderare quelli che per i presentatori del presente atto sono parametri astrusi e particolarmente penalizzanti per l'Italia, quali l’Output Gap e il NAWRU (Non Accelerating Wage Rate Of Unemployment), in base ai quali per il nostro Paese è considerato di «equilibrio», rispetto a possibili tensioni inflazionistiche, un livello di disoccupazione oltre il 10 per cento ancora per i prossimi anni, con la conseguenza di comprimere la possibilità di adottare politiche espansive e anti-cicliche, adoperandosi affinché siano rivisti i criteri in base ai quali la Commissione calcola i disavanzi strutturali: in particolare, proponendo di rivedere il sistema di calcolo insieme a Fmi e Ocse in modo da avere valutazioni condivise a livello internazionale;
   ad adottare le iniziative opportune presso le competenti sedi europee affinché sia garantito il rispetto della regola che fissa al 6 per cento il surplus commerciale massimo consentito ad ogni Paese;
   a promuovere di conseguenza un grande piano di crescita per l'Europa che comporti massicci investimenti pubblici infrastrutture e trasporti, ricerca, innovazione, formazione, politiche per il lavoro e green economy, investimenti anche finanziati in deficit, ovvero l'attivazione di meccanismi anticiclici con l'emissione di debito comune (eurobond) che vadano ben oltre i confini del modestissimo Piano Juncker, adottando ogni iniziativa utile per favorire la definitiva approvazione della proposta di regolamento c.d. FEIS 2.0 (COM 2016/597 final) con cui si intende raddoppiare la durata e la capacità finanziaria del Fondo europeo degli investimenti strategici per attivare un totale di almeno 500 miliardi di euro di investimenti, così da contribuire alla realizzazione dell'obiettivo della Strategia Europa 2020 con cui si prevede l'innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione della popolazione tra i 20 e i 64 anni;
   a garantire presso le competenti sedi UE la massima effettività dei princìpi affermati nell'ambito del Pilastro europeo dei diritti sociali (COM/2017/0250 final) al fine di promuovere un nuovo patto sociale europeo capace di proteggere effettivamente le persone dall'esclusione, dalla povertà e dalle malattie attraverso il meccanismo del reddito minimo garantito e un regime di indennità minima di disoccupazione definito sulla base di un adeguato vincolo giuridico ed esteso a livello europeo in modo equo e omogeneo in modo tale da implementare una misura finalmente strutturale per la lotta all'esclusione sociale e alla povertà e che garantisca al contempo un sensibile innalzamento del livello di protezione delle persone e contrastare gli effetti negativi dell'incremento del tasso di disoccupazione;
   a promuovere un nuovo progetto europeo per i «Saperi», formazione, crescita e innovazione, adottando azioni specifiche tese a restituire centralità alla scuola pubblica nei Paesi dell'Unione, attraverso l'implementazione dei programmi volti all'innalzamento del livello di istruzione, formazione e integrazione degli immigrati; al sostegno della formazione professionale e terziaria; a far confluire nei percorsi di formazione e lavoro i destinatari di provvedimenti penali; a rafforzare le competenze civiche e sociali; a potenziare i servizi telematici offerti dalle istituzioni scolastiche e universitarie;
   a promuovere misure efficaci per attuare una politica fiscale comune e di contrasto all'evasione e l'elusione fiscale a livello europeo, sostenendo al contempo un piano di contrasto alla delocalizzazione fiscale delle imprese nei paesi extra UE, nella considerazione che le rendite finanziarie e i profitti delle grandi società multinazionali, ivi comprese quelle operanti nel marcato digitale, sono toccati solo marginalmente dalla fiscalità ed estrarre parte di questi immensi extraprofitti ai fini di redistribuzione e rafforzamento della domanda aggregata;
   a promuovere una iniziativa congiunta, anche attraverso forme di cooperazione rafforzata, per introdurre una legislazione comunitaria completa sull'esercizio dei poteri speciali da parte delle istituzioni europee a tutela delle tecnologie, delle capacità industriali e occupazionali dell'Unione europea, con particolare riferimento ai mercati internazionali e alla competizione operata dai Paesi caratterizzati da economie non di mercato e conseguentemente ad istituire una cabina di regia a livello europeo sulle industrie strategiche, anche a tutela di inappropriate forme di delocalizzazione del lavoro;
   al fine di assicurare maggiore coerenza, nell'ambito della strategia per il mercato unico digitale a valutare un richiamo espresso alla Direttiva 2002/21/CE – che fa parte del cosiddetto «pacchetto telecomunicazioni» – modificata dalla Direttiva 2009/140/CE – così da garantire le stesse garanzie procedurali e il rispetto del diritto alla privacy, inclusa un'efficace tutela giurisdizionale e un giusto processo;
   a potenziare gli strumenti relativi alla portabilità dei contenuti digitali, garantendo parità di accesso e l'attivazione della portabilità al fornitore dei servizi;
   a investire maggiormente in efficienza energetica e fonti rinnovabili per garantire il rispetto dei target decisi con l'accordo di Parigi 2015 e per gli effetti positivi che detti investimenti comportano sulla maggiore sicurezza energetica e sulla minor dipendenza dall'estero;
   a tradurre quanto prima in legge le proposte della Commissione UE in materia di energie pulite e di efficienza energetica, in quanto decisive per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalla COP 21;
   a definire una efficace politica industriale e nuovi modelli d'investimento a livello europeo che consentano di accelerare la transizione verso consumi drasticamente ridotti di combustibili fossili;
   a rimuovere gli ostacoli che frenano la decarbonizzazione, e ad avviare fin da subito un graduale ma rapido programma di azzeramento dei sussidi diretti e indiretti alle fonti fossili, dirottando le corrispondenti risorse liberatesi verso le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, programmi e progetti a basse emissioni e resilienti ai cambiamenti climatici, nonché per il sostegno alla «green economy»;
   ad attivarsi affinché tutti gli Stati membri adottino opportune forme di fiscalità ambientale che rivedano le imposte sull'energia e sull'uso delle risorse ambientali nella direzione della sostenibilità, anche attraverso la revisione della disciplina delle accise sui prodotti energetici in funzione del contenuto di carbonio, al fine di accelerare la conversione degli attuali sistemi energetici verso modelli a emissioni basse o nulle, con particolare riferimento alle fonti rinnovabili;
   a concludere in tempi rapidi il processo di riforma del sistema di scambio delle quote di emissione dei gas ad effetto serra (sistema ETS);
   a mettere in atto tutte le iniziative volte a coinvolgere gli Stati Uniti nell'attuazione delle diverse strategie internazionali per la sensibile riduzione dei gas climalteranti e per uno sviluppo sostenibile;
   a proporre un «diritto di asilo europeo», capace di superare realmente il «regolamento di Dublino» e a sostenere la proposta di riforma della Commissione europea così come riformulata nella discussione in corso in sede di Parlamento europeo, considerato che un migrante dovrebbe avere il diritto di avere riconosciuto l'asilo in qualsiasi Paese, per poi essere libero di circolare all'interno dell'Europa, a non aderire ad alcun accordo in sede di Consiglio europeo che non preveda questo principio nella riforma del «regolamento di Dublino»;
   a richiedere in sede di Consiglio europeo ulteriori iniziative urgenti e straordinarie per implementare rapidamente il programma di ricollocamento, ad oggi dimostratosi un fallimento, affiancandolo alla creazione di adeguate strutture per l'accoglienza e l'assistenza delle persone in arrivo;
   a richiedere strumenti più efficaci nella lotta al terrorismo a partire dalla tempestiva e puntuale attuazione del monitoraggio, dello scambio di informazioni, dell'aggiornamento e del progressivo avvicinamento delle normative applicabili, ciò sia per finalità preventiva, sia sanzionatoria;
   a promuovere una modifica della direttiva 91/477/CEE relativa al controllo dell'acquisizione e della detenzione di armi, anche in relazione alla tracciabilità e marcatura delle armi da fuoco;
   a proporre una modifica della quarta direttiva antiriciclaggio tesa al contrasto dei nuovi mezzi di finanziamento del terrorismo e all'aumento della trasparenza ai fini della lotta contro il riciclaggio;
   quanto al monitoraggio del fenomeno dei foreign fighters nel rafforzare gli strumenti di controllo dei movimenti in entrate e in uscita delle frontiere estere dell'Ue, ad attuare, nel rispetto dei principi di proporzionalità e necessità, nonché di minimizzazione dei dati e limitazione delle finalità, la direttiva sul PNR e sul trasferimento dei dati connessi al codice di prenotazione, contestualmente all'istituzione dell'Unità di informazione passeggeri nazionale (UIP) per il trattamento dei dati raccolti;
   ferme restando le competenze prioritarie degli Stati membri in materia di ordine pubblico e sicurezza interna, a valutare le potenzialità di Europol per lo scambio di informazioni tra le autorità di polizia dei diversi Paesi e di Eurojust, nonché a valutare l'instaurazione di un rapporto diretto tra il Gruppo antiterrorismo (CTG) e il Centro europeo antiterrorismo istituito presso Europol;
   a promuovere iniziative finalizzate alla verifica dei contenuti immessi in rete, quali strumento di reclutamento utilizzato anche per reperire finanziamenti prima, durante e dopo ogni attacco terroristico, e al contrasto della propaganda terroristica all'incitamento all'odio on line bloccando la diffusione di contenuti che incitano alla violenza;
   come misura di prevenzione, a prevedere programmi di istruzione e sensibilizzazione dei giovani sui valori comuni dell'UE e sulla comprensione interculturale, nonché a valutare il finanziamento di programmi per il reinserimento deradicalizzazione dentro e fuori l'ambiente carcerario;
   a sostenere verifiche periodiche sullo stato dei diritti fondamentali nell'UE e miglioramento della cooperazione reciproca e l'impegno politico per la promozione della tolleranza e del rispetto – in particolare al fine di prevenire e combattere l'odio antisemita e anti-islamico – e la tutela dei diritti fondamentali, con consultazioni con la società civile e le parti interessate, nonché interlocuzioni con leader religiosi ed esponenti di organizzazioni non confessionali;
   a garantire il pieno rispetto e la promozione dei diritti fondamentali nell'adozione di misure di sicurezza, con particolare assistenza alle istituzioni dell'UE e agli Stati membri dell'UE a comprendere e affrontare le sfide poste dalla salvaguardia dei diritti fondamentali di tutti i cittadini dell'UE;
   a chiedere una iniziativa dei Paesi dell'Ue per interrompere immediatamente la vendita di armi ai Paesi responsabili di aver supportato direttamente o indirettamente Daesh, coinvolti direttamente o indirettamente nei conflitti o che sono sospettati di aver armato o finanziato gruppi terroristici;
   a favorire all'avvio di una discussione sul tema della difesa europea, anche in una prospettiva di maggiore integrazione e alla luce del mutato panorama mondiale e delle nuove alleanze;
   ad adoperarsi per una svolta strategica che non si limiti all'enunciazione dei principi di una migliore regolamentazione ed una maggiore responsabilità e trasparenza delle istituzioni europee o all'applicazione dell'accordo inter istituzionale tra Consiglio e Parlamento cosiddetto «Legiferare meglio», ma che promuova iniziative per l'adozione di misure concrete per ampliare il processo decisionale europeo in senso democratico attraverso una istituzione che sia direttamente espressione della volontà dei cittadini.
(6-00323) «Laforgia, Ferrara, Ricciatti, Murer, Leva, Matarrelli, Franco Bordo, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Fossati, Martelli, Melilla, Nicchi, Sannicandro, Stumpo, Zaratti, Zoggia».


   La Camera,
   esaminati congiuntamente la Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea riferita all'anno 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5) e il Programma di lavoro della Commissione europea per il 2017 – Realizzare un'Europa che protegge, dà forza e difende (COM(2016)710 final);
   preso atto della Relazione della XIV Commissione sulla Relazione programmatica relativa alla partecipazione dell'Italia all'Unione europea per l'anno 2017 (Doc. LXXXVII-bis, n. 5-A);
   premesso che:
    il Programma di lavoro della Commissione, il terzo del suo mandato, presentato il 25 ottobre 2016, si pone in una linea di continuità rispetto ai Programmi degli anni precedenti, ribadendo l'impegno a favore delle dieci priorità indicate negli orientamenti politici presentati dal presidente Juncker all'inizio del suo mandato, nel luglio 2014;
    le priorità per il 2017 si inscrivono in un contesto caratterizzato dalla perdurante crisi economica, finanziaria e occupazionale, a cui si è aggiunta una crisi migratoria, determinata dall'esodo di massa proveniente dai Paesi colpiti da gravi conflitti interni, e una crisi di sicurezza interna all'Europa conseguente ai ripetuti attacchi terroristici di matrice islamista;
    le sfide di carattere epocale che ne conseguono sono un banco di prova decisivo per l'Europa. Il futuro dell'Unione europea dipende dalla capacità che essa dimostrerà di dare risposte comuni e, soprattutto, concrete. Si misurerà proprio in questa contingenza anche la possibilità per l'Unione europea di tornare ad essere considerata dai cittadini come una risorsa e un'opportunità e non, come è stato in questi anni, un soggetto burocratico di vincoli e ostacoli;
    per questo è necessario sostenere con forza l'esigenza, espressa anche dalla Commissione Juncker nei suoi Programmi di lavoro, fin dal 2015, di produrre un cambio di passo, di cambiare le priorità e di adottare approcci e strumenti nuovi, in netta discontinuità politica rispetto al passato, che siano maggiormente idonei ad affrontare e risolvere le predette crisi e a mitigarne gli effetti negativi;
    nella fase in corso, è necessaria quindi una riflessione sul futuro del progetto europeo e sull'Unione europea, sul suo assetto istituzionale e sulla sua centralità rispetto al quadro regionale ed internazionale, segnato da crisi e instabilità;
    non va trascurato il vulnus rappresentato da Brexit, strettamente collegato all'impatto sull'opinione pubblica della carente risposta istituzionale da parte europea all'emergenza migratoria connessa ai grandi conflitti mediorientali, nonché ai nodi di carattere economico-finanziario, per promuovere crescita e occupazione;
    sul recesso britannico il nostro Paese dovrà agire in tutte le sedi competenti per ribadire il principio dell'indivisibilità delle libertà, avendo specifica cura e vigilanza sui diritti acquisiti dei nostri connazionali che risiedono, lavorano o studiano nel Regno Unito; i negoziati devono quindi essere condotti con l'obiettivo di garantire stabilità del diritto e ridurre al minimo i disagi nonché fornire una visione chiara del futuro per i cittadini e le persone giuridiche;
    d'altra parte, è necessaria una riflessione ponderata e costruttiva sulle origini e la portata di Brexit, affrontando le ragioni profonde del fenomeno populista e antieuropeo; in particolare, è fondamentale analizzare se vi siano Paesi più esposti di altri ad un eventuale, e temuto, «effetto domino» determinato dal referendum del Regno Unito, e, soprattutto, se vi sia la necessità di condividere ed approvare cambiamenti sostanziali, per non ipotecare definitivamente il futuro dell'Unione, valutando se, e in quali termini, la volontà di allargamento e il processo legislativo dell'UE possano in alcuni specifici settori determinare effetti sociali ed economici negativi che non rispondono ai principi di ragionevolezza, sicurezza, equità, trasparenza, utilità, crescita e benessere diffuso;
    a sessant'anni dal Trattato di Roma, le conquiste del percorso di integrazione europea, l'Unione europea e la moneta comune, appaiono infatti molto più fragili e precarie di quanto solo alcuni anni fa si sarebbe potuto immaginare. La crescita dei movimenti anti-europei in tutta Europa è una realtà, seppur con un peso e con caratteristiche diverse, nei principali paesi dell'eurozona;
    in parallelo con l'adozione di misure di politica economica sbagliate, in Europa si è infatti voluto procedere con sempre più stringenti cessioni di sovranità, presentate come necessarie e indispensabili per far fronte all'emergenza; è quindi necessario un decisivo cambio di passo, e l'Italia ha il compito storico di rilanciare su basi nuove e concrete il sogno europeo dei padri fondatori;
    d'altra parte, accanto a Brexit e al fenomeno antieuropeo, non può essere trascurata la vittoria di Emmanuel Macron, nuovo presidente francese, che, con una campagna pro-Europa, ha posto al centro il rilancio dell'Unione, offrendo nuovo vigore alla speranza di restaurare la fiducia nelle istituzioni europee;
    sul tema dell'immigrazione, è improcrastinabile un intervento incisivo da parte delle istituzioni europee e degli Stati membri dell'UE, in un esercizio di responsabilità e di solidarietà, operando davvero per una riforma del Regolamento di Dublino III, elaborando un pacchetto sulla migrazione legale, e un piano di investimenti rivolti ai Paesi di origine e transito e dando corretta attuazione alle decisioni già assunte in passato in tema di riallocazione dei migranti e dei profughi, secondo quote proporzionate alla popolazione dei singoli Stati membri. Su questo tema è di tutta evidenza che l'Europa ha fallito. È noto infatti come siamo ancora lontanissimi dal raggiungimento degli obiettivi che lo stesso Consiglio europeo ha fissato: lo dice di fatto lo stesso Consiglio europeo, lo ammette lo stesso Governo italiano, lo dicono soprattutto i numeri: in particolare quelli relativi ai rimpatri, alle riallocazioni, all'immigrazione irregolare;
    è necessario poi che l'Italia svolga un ruolo propulsivo, per un proficuo dibattito in merito all'applicazione delle regole europee in materia di flessibilità di bilancio, per favorire la crescita, promuovendo investimenti pubblici e privati e iniziative per l'occupazione giovanile,

impegna il Governo:

   sul fronte del finanziamento delle politiche europee, ad adottare ogni iniziativa volta ad implementare le troppo esigue risorse destinate a politiche assolutamente prioritarie per il presente e il futuro dell'Europa, quali l'immigrazione, la disoccupazione, soprattutto giovanile, gli investimenti pubblici, la mobilità, la sicurezza e la formazione dei giovani;
   a promuovere in seno all'Unione europea un confronto immediato e molto concreto, salvaguardando gli interessi dell'Italia, ed evitando di accettare posizioni non discusse in Parlamento, e a farsi portavoce della necessità di portare avanti un'ampia riflessione sul futuro dell'Unione europea, di analizzare le riserve, le critiche e le perplessità che continuano ad essere espresse sull'Unione Europea, in particolare sulla sua capacità di offrire risposte tangibili, efficaci e risolutrici alle problematiche sociali ed economiche dell'Unione e sullo scarso e indiretto coinvolgimento dei cittadini nelle scelte europee;
   a stimolare la riflessione delle istituzioni europee, al fine di promuovere iniziative volte a cambiare politiche che hanno dimostrato il loro fallimento in termini di crescita economica e, di conseguenza, in termini di benessere sociale, partendo da interventi tesi ad implementare un grande piano di investimenti, un New deal europeo, nonché accordi bilaterali tra i singoli Stati e la Commissione europea (cosiddetti «Contractual agreements») per cui le risorse necessarie per l'avvio di riforme, volte a favorire competitività del «sistema Paese», non rientrano nel calcolo del rapporto deficit/pil ai fini del rispetto del vincolo del 3 per cento, bensì rientrano nell'alveo dei cosiddetti «fattori rilevanti» per quanto riguarda i piani di rientro definiti dalla Commissione europea per gli Stati che superano la soglia del 60 per cento nel rapporto debito/pil;
   ad adottare ogni iniziativa a livello europeo volta a stimolare la Germania alla reflazione, finalizzata a ridurre il suo eccessivo surplus della bilancia commerciale che danneggia tutti gli altri paesi dell'eurozona e provoca squilibri troppo ampi tra i paesi;
   ad adottare ogni iniziativa volta a progredire nell'unione politica dell'area euro di pari passo con le unioni bancaria, economica e di bilancio, onde evitare il progressivo allontanamento dei cittadini nei confronti delle politiche dell'Unione europea e scongiurare una deriva tecnocratica che cancelli, di fatto, lo spirito dell'Europa delle origini, comportando, tra l'altro, la progressiva perdita di sovranità dei singoli Stati nazionali;
   a promuovere, in seno all'UE, la legittimità democratica del processo decisionale europeo, favorendo un rafforzamento del ruolo del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali ed evitando il rischio che il complesso delle norme sulla riforma della better regulation, possa andare a detrimento dei valori profondi dell'assetto democratico e, primariamente, delle funzioni delle istituzioni rappresentative parlamentari;
   tenuto conto del crescente fenomeno dei flussi migratori e del fatto che lo stesso ha pesato sensibilmente sull'esito del referendum del Regno Unito:
    a) ad adottare ogni iniziativa volta a garantire le frontiere esterne dell'Unione europea; a sostenere il rafforzamento dell'Agenzia per le frontiere europee per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (Frontex) e l'istituzione di un sistema di guardia di frontiera e costiera europea, in modo da assicurare una gestione forte e condivisa delle frontiere esterne dell'Unione europea e proteggere lo spazio Schengen dalle minacce esterne, sostenendo le specificità nazionali e apportando possibili soluzioni alle criticità emerse nell'esperienza maturata dalle forze di polizia italiane;
    b) a farsi portavoce del problema legato alla gestione dei flussi, al fine di applicare strategie che dimostrino di contenere un punto di equilibrio tra principio di accoglienza e necessità di garantire la sicurezza interna (ordine e salute pubblica), cioè la nostra e quella dei Paesi che costituiscono l'Unione europea;
    c) a presentare richieste al Consiglio europeo finalizzate alla elaborazione di nuovi programmi tesi alla prosecuzione nel supporto agli Stati che si trovano in prima linea;
    d) ad adoperarsi, nelle sedi competenti, per una concreta ed effettiva attuazione dei doveri di responsabilità, di solidarietà, di leale collaborazione e di fiducia reciproca nella gestione dell'emergenza dei flussi migratori che sta interessando l'Unione europea e per lo sviluppo di una strategia complessiva e organica nella gestione del fenomeno;
    e) a sostenere con determinazione il progetto di riforma del cosiddetto «sistema Dublino» (regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013) allo scopo di ottenere una più equa distribuzione tra gli Stati membri dei richiedenti protezione internazionale, definendo in modo condiviso e sostenibile le procedure di ricollocazione e quelle di rimpatrio, e ribadendo l'esigenza di superare il principio della responsabilità dello Stato membro di primo ingresso sulla trattazione delle domande d'asilo e addivenire a un vero sistema d'asilo comune europeo in attuazione degli articoli 78 e 79 del TFUE;
   ad intervenire in tutte le sedi europee, assumendo ogni opportuna iniziativa volta al ritorno all'impianto originale del trattato di Maastricht e alla sospensione di tutte le modifiche intervenute successivamente, in primis il Fiscal Compact, attraverso strumenti legislativi inadeguati e, per alcuni versi, di dubbia legittimità, che hanno squilibrato il sistema europeo;
   a promuovere in ambito UE, per ciò che attiene alla normativa in materia di etichettatura a tutela dei consumatori, l'obbligo di fornire tutte le informazioni utili a una valutazione degli aspetti qualitativi del prodotto, anche con puntuali indicazioni di tracciabilità, soprattutto nell'ottica della tutela della salute, e al fine della salvaguardia delle produzioni nazionali di eccellenza;
   ad adottare ogni iniziativa volta a modernizzare i mercati occupazionali attraverso una rivisitazione delle competenze, promuovendo gli investimenti nel capitale umano durante tutto l'arco della vita al fine di sostenere lo sviluppo delle qualifiche in modo da aumentare la partecipazione al mercato del lavoro, conciliando meglio l'offerta e la domanda di manodopera, anche tramite la mobilità dei lavoratori e sostenendo in generale le politiche attive del lavoro;
   ad investire nel capitale umano, promuovendo, con il pieno coinvolgimento delle regioni, lo sviluppo di una formazione basata sulla partnership tra scuola e imprese, in grado di contrastare la disoccupazione giovanile e favorire l'inserimento nel mondo del lavoro;
   a promuovere, in considerazione degli effetti degli interventi sinora realizzati per il tramite dell'applicazione dei princìpi di cui alla direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, su un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento (cosiddetta direttiva sul bail-in), un attento monitoraggio dell'impatto a livello nazionale e comunitario delle iniziative legislative e regolamentari assunte in sede europea, anche al fine di sospenderla o comunque proporne i necessari correttivi, e a predisporre strumenti eccezionali di intervento nel caso in cui si ha percezione che il sacrificio di azionisti e creditori derivante dall'applicazione del bail-in metta a repentaglio la stabilità dell'intero sistema;
   a rivedere la disciplina europea sugli aiuti di Stato, superando l'attuale restrittiva interpretazione della Commissione europea del concetto di «aiuti», in particolare distinguendo tra interventi pubblici a favore di banche non in crisi, per le quali l'intervento dello Stato sarebbe ingiustificato e distorsivo del principio di libera concorrenza, e interventi pubblici conseguenti a «fallimenti del mercato» per cui lo Stato interviene solo in casi di reale emergenza, quando la stabilità del sistema viene seriamente minata;
   ad adoperarsi affinché il processo di rafforzamento del mercato unico dei capitali si accompagni alla garanzia di una sempre maggiore trasparenza degli operatori, al fine di assicurare ai risparmiatori una tutela adeguata ed efficace;
   a disporre una garanzia europea comune sui depositi bancari, in quanto è necessaria, in una unione monetaria, quale è l'Eurozona, la condivisione dei rischi e tutto quanto ne consegue, in termini di sacrifici richiesti ai governi e ai cittadini, non può che procedere di pari passo con la condivisione delle garanzie che quei rischi stessi servono a coprire, anche per far fronte a episodi di «panico finanziario»;
   con riferimento alla crescita economica, al lavoro e alle imprese, specialmente quelle di piccola e di media dimensione, dove l'incidenza delle aziende finanziariamente fragili è aumentata anche per le difficili condizioni di accesso al credito, ad adottare misure comuni volte a vigilare affinché i finanziamenti della Banca Centrale Europea alle banche con sede legale e amministrazione centrale nei singoli Stati membri siano prioritariamente destinati al credito per lo sviluppo delle piccole e medie imprese, e a perseguire un più marcato cammino verso l'armonizzazione, la semplificazione e ove necessario la deregolamentazione e delegificazione delle normative europee spesso ridondanti e inutili, e in conseguenza di ciò una conseguente semplificazione delle normative interne degli Stati membri;
   ad intensificare l'azione di coordinamento per la predisposizione di linee guida per l'attuazione uniforme della disciplina sugli aiuti di Stato in alcuni settori, tra i quali quello delle infrastrutture e dei trasporti, al fine di consentire un più agevole e ampio utilizzo dei relativi fondi pubblici, pur nel rispetto delle regole dell'Unione europea, anche valorizzando la possibilità di favorire regioni italiane svantaggiate come quelle del Mezzogiorno, alla stregua di analoghe regioni di altri Stati membri;
   a favorire un migliore coordinamento a livello europeo nella lotta al terrorismo, in particolare promuovendo una più stretta cooperazione e comunicazione tra i servizi di intelligence nazionali, e a potenziare a livello europeo le attività di ricerca e sviluppo nel settore della cyber-sicurezza, con particolare riferimento alle tecnologie di informazione e comunicazione, agli standard di sicurezza e ai regimi di certificazione, favorendo ogni iniziativa volta a sostenerne il finanziamento attraverso le risorse dell'Unione europea;
   con riferimento alla politica estera (PESC) e di difesa (PSDC) comune, ad adoperarsi, nelle competenti sedi, affinché nella nuova strategia globale in materia di politica estera e di sicurezza, sia dato rilevo centrale all'assetto geopolitico dell'area mediterranea, caratterizzata da forte instabilità e fonte di gravi minacce per la sicurezza dell'Unione; analogamente, ad adoperarsi affinché l'Unione europea operi un deciso spostamento del suo asse prioritario di attenzione verso l'area del Mediterraneo, in termini di cooperazione sia politica che economica, con particolare riferimento alla stabilizzazione della Libia, a garantire un ruolo primario all'Unione europea nell'ambito delle iniziative che verranno assunte, in particolare per il sostegno alla ricostruzione delle istituzioni militari e civili e del tessuto sociale e politico del Paese;
   ad assicurare, nel rispetto del diritto internazionale, la tempestiva attivazione delle ulteriori fasi operative della missione EUNAVFOR MED – Operazione SOPHIA;
   ad adoperarsi nelle sedi europee per assicurare la partecipazione attiva e propulsiva dell'Italia al processo di integrazione in materia di difesa, e a sostenere e sviluppare la politica di sicurezza e di difesa comune.
(6-00324) «Occhiuto, Elvira Savino».