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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 845 di lunedì 31 luglio 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

La seduta comincia alle 12.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FERDINANDO ADORNATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 28 luglio 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Causin, Chaouki, Cirielli, Coppola, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Franceschini, Garofani, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Scanu, Sereni, Tabacci, Simone Valente, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 28 luglio 2017, il deputato Gianfranco Librandi, già iscritto al gruppo parlamentare Misto, componente Civici e Innovatori, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Partito Democratico.

La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Discussione del disegno di legge: S. 2860 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno (Approvato dal Senato) (A.C. 4601) (ore 12,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 4601: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4601)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la V Commissione (Bilancio) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Giampaolo Galli.

GIAMPAOLO GALLI, Relatore. Grazie, Presidente. Colleghi, il provvedimento in esame reca importanti disposizioni volte a dare ulteriore impulso alla crescita del Mezzogiorno. Esso prevede semplificazioni e procedure più efficienti, istituisce zone economiche speciali, interviene in favore dei giovani imprenditori del territorio, destina risorse per far fronte a situazioni di crisi con politiche di formazione e riqualificazione dei lavoratori. Alcune norme sono rivolte al contrasto della dispersione scolastica e della marginalità sociale. Nel corso dell'esame al Senato è stato fatto un lavoro assai ampio: sono stati esaminati circa 800 emendamenti, un centinaio di emendamenti sia della maggioranza sia anche delle opposizioni sono stati accolti. Mi soffermo di seguito sulle misure più importanti.

L'articolo 1 è denominato “resto al Sud”. Si tratta di un incentivo a fare impresa per i giovani sotto i 35 anni, che è molto forte, molto più forte del vecchio prestito d'onore, che pure aveva dato buoni risultati. La misura del prestito è doppia rispetto al prestito d'onore, fino a 50.000 euro, di questi il 35 per cento a fondo perduto e il resto a tasso zero, con restituzione in otto anni. Di qui al 2020 si prevede di spendere, per questa misura, ben un miliardo e 250 milioni. Si tratta, quindi, di una scommessa molto forte sui giovani del Sud, sulla loro voglia e capacità di mettersi in gioco, anche se non hanno risorse familiari alle spalle.

Con l'articolo 2, sostanzialmente, si estende la misura “resto al Sud” alle imprese agricole.

Con l'articolo 3 si aiutano i giovani a creare imprese agricole, dando loro in concessione o in affitto terreni o aree in stato di abbandono, con l'obiettivo di una loro valorizzazione.

L'articolo 3-bis disciplina i cluster tecnologici nazionali, ossia organizzazioni formate da imprese e centri di ricerca sul modello dei poli di innovazione previsti da un regolamento UE del 2014, e dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno. Lo scopo principale dei cluster è il trasferimento e la diffusione di tecnologia; nei piani di ciascun cluster, formato a livello nazionale, ci sarà una sezione dedicata al trasferimento e alla diffusione di tecnologie nel Mezzogiorno. I cluster sono una misura importante per favorire collaborazioni sovraterritoriali strutturali, non episodiche, fra le imprese e con i sistemi di ricerca pubblica e privata. La creazione di un sistema di cluster tecnologici pone l'Italia all'avanguardia fra i Paesi dell'Unione europea.

Gli articoli 4 e 5 sono forse il perno o comunque uno dei punti centrali del provvedimento: le zone economiche speciali. All'articolo 4 viene definita una zona economica speciale e vengono disciplinate le procedure e le condizioni per l'istituzione. L'idea di cui si è discusso al Senato è che le regioni maggiori ne possano fare due, le altre, anche mettendosi insieme, ne facciano una. Le zone economiche speciali devono essere ancorate ad un sistema portuale e collegate alla rete transeuropea dei trasporti, rete TEN-T, come definito nell'apposito regolamento UE del 2014. Qui la scommessa è di far svolgere al Mezzogiorno il ruolo di piattaforma logistica e industriale del Mediterraneo anche in relazione all'aumento dei traffici reso possibile dal raddoppio del Canale di Suez.

Per le imprese vi sono vari vantaggi in termini di semplificazione e soprattutto vi è una versione rafforzata del credito d'imposta Sud: il limite massimo del credito passa da 15 milioni per le grandi imprese a 50 milioni e l'agevolazione è estesa fino al 2020.

L'articolo 6 semplifica ed accelera le procedure adottate per la realizzazione degli interventi previsti nell'ambito dei Patti per lo sviluppo, che sono gli strumenti di attuazione del Masterplan. Ad oggi, sono stati stipulati patti con ognuna delle otto regioni del Mezzogiorno e con ognuna delle sette aree metropolitane, più Taranto; sono state assegnate risorse per 13,4 miliardi di euro, sono stati avviati 700 cantieri. Ricordo che il totale delle risorse mobilitate è maggiore dei 13,4 miliardi che sono stati fin qui stanziati.

Con l'articolo 7 si dettano disposizioni volte a valorizzare i contratti istituzionali di sviluppo con la finalità di promuovere la realizzazione di interventi di particolare complessità, finanziati a valere sulle risorse nazionali ed europee. Attualmente i CIS sono quattro: Napoli-Bari-Lecce-Taranto, Messina-Catania-Palermo, Salerno-Reggio Calabria, Sassari-Olbia.

L'articolo 8 reca norme di semplificazione in materia di amministrazione straordinaria e gli articoli 9 e 9-bis adeguano le nostre norme a specifiche direttive europee in materia di rifiuti e di riduzione dell'utilizzo delle borse in plastica, che sono un fattore inquinante dei nostri mari e in generale dei bacini idrici.

L'articolo 9-ter reca disposizioni per favorire l'utilizzo delle risorse in materia di protezione civile trasferite alle regioni.

L'articolo 9-sexies interviene sulla questione degli incendi delle aree boschive, tema drammatico in questi giorni, specie in alcune aree del Sud. Si introducono norme volte a prevenire e sanzionare con maggiore incisività chi provoca dolosamente gli incendi. Si prevede, in particolare, che i contratti di compravendita o affitto di aree e immobili situati nelle zone incendiate, stipulati nei due anni successivi al fatto, siano trasmessi al prefetto e al procuratore della Repubblica. Si tratta di una misura dissuasiva rispetto alla pratica diffusa dell'incendio doloso finalizzato a indurre il proprietario alla stipula di contratti sul bene. Peraltro, qualora si accerti che il proprietario del terreno sia stato la vittima del reato di estorsione compiuta con la violenza o la minaccia di incendio, gli si consente di dare una diversa destinazione d'uso ai terreni incendiati, in deroga alla norma generale.

Avviandomi verso le conclusioni, vorrei sottolineare l'importanza di alcune ulteriori previsioni: l'articolo 10, che reca uno stanziamento di 40 milioni per politiche attive dell'ANPAL, volte alla riqualificazione e ricollocazione di lavoratori coinvolti in situazioni di crisi aziendale o settoriale nelle regioni del Mezzogiorno.

L'articolo 11 si propone di contrastare la povertà educativa minorile e la dispersione scolastica e consente di attivare, in aree di esclusione sociale, interventi educativi in favore dei minori rivolti a reti di scuole, in convenzione con enti locali, soggetti del terzo settore, CONI ed altri enti sportivi operanti nel territorio interessato.

L'articolo 11-ter recupera risorse per la messa in sicurezza degli edifici scolastici. L'articolo 11-quater autorizza una spesa di complessivi 330 milioni di euro per interventi in materia di edilizia giudiziaria nelle strutture ubicate nelle regioni Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. L'articolo 12 ridefinisce a livello legislativo la disciplina per il calcolo del costo standard per studente universitario sulla cui base è annualmente ripartita una percentuale del Fondo di finanziamento ordinario delle università statali. L'intervento fa seguito ad una recente sentenza della Corte costituzionale. Al Senato è stato trovato un punto di equilibrio fra l'obiettivo fondamentale della promozione del merito e la tutela delle aree svantaggiate.

In particolare, il comma 3 specifica che al costo standard per studente si deve aggiungere un importo perequativo che tenga conto dei contesti economici e territoriali, nonché della capacità contributiva degli studenti fra atenei collocati in contesti territoriali diversi. L'articolo 13 riguarda l'Ilva e l'obiettivo principale è dare certezza circa la destinazione delle risorse confiscate agli ex proprietari o amministratori, tenendo conto che queste somme, ingenti, sono effettivamente rientrate in Italia solo a seguito del patteggiamento recepito con sentenza depositata il 26 maggio scorso. Si tratta di un miliardo di euro destinato alla bonifica del sito di Taranto; altri 90 milioni dovrebbero essere disponibili per le bonifiche degli altri stabilimenti, sempre dell'Ilva.

Lo strumento giuridico utilizzato è quello di un prestito obbligazionario all'Ilva che lo Stato sottoscrive con le risorse confiscate e che si estingue con la realizzazione delle opere di bonifica. L'articolo 14 proroga di tre mesi, dal 30 giugno al 30 settembre 2018, il termine temporale per la consegna dei beni di investimento ammessi al beneficio dell'iper-ammortamento, un provvedimento molto atteso dal mondo delle imprese. L'articolo 15 conferisce agli enti locali delle regioni del Sud, in via sperimentale, la facoltà di ottenere supporto tecnico e amministrativo da parte delle prefetture. L'articolo 15-quinquies autorizza un contributo alle province e alle città metropolitane per il finanziamento delle funzioni fondamentali, un contributo di complessivi 100 milioni per il 2018. Si tratta di una misura che era stata richiesta a gran voce da tutti e che interessa, in particolare, le province del Mezzogiorno.

L'articolo 16 reca previsioni volte al contrasto della marginalità sociale e volte a favorire l'integrazione in alcune aree del Mezzogiorno connotate da un'elevata concentrazione di migranti. L'articolo 16-ter ha la finalità di prevenire attentati terroristici del tipo di quello che si verificò a Nizza nel luglio scorso, senza, al tempo stesso, impedire o ostacolare il movimento di persone o turisti. Si crea, quindi, un sistema automatico per la detenzione dei flussi di merci in entrata nei centri storici delle città metropolitane attraverso la realizzazione in un ulteriore modulo della piattaforma logistica nazionale digitale.

Si ha in mente, in particolare, il centro storico della città di Palermo, capitale della cultura italiana 2018, e la città di Matera, capitale della cultura europea 2019. L'articolo 16-quinquies abroga la norma che impediva l'operatività di operatori come FlixBus, il che consente di connettere città come Bari, Napoli e tante altre a Roma o Milano o fra di loro per pochi euro. La norma rinvia a un provvedimento di riordino complessivo della materia. L'articolo 16-sexies introduce numerose norme a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici dell'anno scorso nel centro Italia.

In particolare, è stato posticipato dal 31 luglio 2017 al 31 dicembre 2017 il termine per la presentazione della documentazione relativa agli interventi di immediata riparazione. Secondo, è stata prorogata, fino al 28 febbraio 2018, la durata dello stato di emergenza. Terzo, sono stati assegnati agli enti locali interessati dagli eventi sismici spazi finanziari nell'ambito dei patti di solidarietà nazionale in misura pari alle spese sostenute per gli investimenti relativi alla ricostruzione. Quarto, sono stati stanziati 100 milioni di euro per assicurare la continuità dei lavori di smaltimento dei materiali derivanti dal crollo degli edifici. In ultimo, è stata disposta - può sembrare paradossale, ma è stata necessaria una norma - l'esenzione dalle imposte di successione sugli immobili distrutti.

Concludo, Presidente, con due considerazioni: la prima, le misure a favore del Mezzogiorno sono davvero rilevanti. Oltre a quelle di questo provvedimento, ricordo, in particolare, il credito di imposta per gli investimenti, il fatto che il super e l'iper-ammortamento sono misure nazionali, ma si sommano al credito d'imposta, la decontribuzione per le nuove assunzioni. La Commissione europea ha riconosciuto che siamo uno dei Paesi più virtuosi nell'utilizzo dei fondi europei: siamo al 24 per cento di impegni sulla programmazione 2014-2020. Da molti decenni non si vedeva una tale concentrazione di misure a favore del nostro Mezzogiorno. Secondo, qualcuno dice che ci sono tante iniziative, ma manca una visione paragonabile, secondo alcuni, a quella che ispirò uomini come Gabriele Pescatore, Pasquale Saraceno, Donato Menichella e tanti altri nei primi decenni del dopoguerra, ma il punto è che oggi i tempi sono diversi.

Esiste un tessuto produttivo, una società civile, una rete di autonomie locali dai quali non si può prescindere. Una programmazione dall'alto non può non tenere conto delle esigenze e delle potenzialità che esprimono i diversi territori; una programmazione interamente centralizzata non sarebbe più possibile, sarebbe velleitaria. La visione, oggi, la si costruisce passo passo, scandagliando i tanti e diversi territori del nostro Mezzogiorno, come ha fatto, in particolare, il Ministro De Vincenti nella costruzione dei patti territoriali in attuazione del masterplan. Dobbiamo creare le condizioni perché i giovani possano fare impresa al Sud e il Sud sappia attrarre investimenti dall'esterno. Una visione centralizzata o centralistica finirebbe per svilire le risorse umane e materiali che esistono nel nostro Mezzogiorno; su di esse dobbiamo costruire, avendo fiducia nelle loro potenzialità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Avrebbe facoltà di intervenire il Governo, ma credo che si riservi di intervenire in replica. È iscritto a parlare l'onorevole Misiani. Ne ha facoltà.

ANTONIO MISIANI. Grazie, Presidente. Il decreto-legge in discussione si occupa, come è noto, di disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno. Durante la discussione in Senato è stato molto arricchito di una serie variegata e articolata di misure; io mi concentrerò, per evidenti ragioni di tempo, su due punti che ritengo particolarmente rilevanti. Il primo sono, ovviamente, le misure rivolte al Mezzogiorno e il secondo sono gli stanziamenti per le province e le città metropolitane. Sul primo punto credo che vadano ricordati i dati che la Svimez pochi giorni fa ha reso noto, anticipando il rapporto economico sul Mezzogiorno. Nel 2016 le regioni del Sud hanno consolidato, come veniva ricordato, i segnali positivi di ripresa, crescendo per il secondo anno consecutivo di più rispetto alle regioni del centronord.

Questa ripresa sta continuando, sta proseguendo nel 2017, ed è sostenuta dalla domanda interna, con una importante e interessante ripresa degli investimenti privati e delle esportazioni. Il settore manifatturiero è tornato a crescere, anche in questo caso con ritmi superiori a quelli delle regioni del centronord, e anche la dinamica delle imprese attive e, all'interno di questo complesso, delle società di capitale mostra una vivacità superiore a quella delle altre regioni del Paese. Anche i dati occupazionali segnalano un recupero reale: nel 2016 nel Sud sono stati creati 100 mila nuovi posti di lavoro, 1,7 per cento in più. Anche in questo caso, una dinamica migliore di quella delle regioni del centronord.

Questi segnali sono tutti molto positivi, sono in discontinuità con molti anni che hanno segnato il declino prima e la dura recessione poi dell'economia e della società nelle regioni meridionali; sono segnali che però non sono ancora sufficienti a ridurre in misura significativa, direi visibile, i livelli di disoccupazione, di povertà e di esclusione sociale che tuttora caratterizzano le regioni del Mezzogiorno.

Nel primo trimestre di quest'anno il tasso di disoccupazione nel Sud si è attestato al 21 per cento; quasi il 35 per cento dei giovani tra 15 e 29 anni del Sud non studia, non lavora e non cerca nemmeno occupazione. Nel 2016 nel Mezzogiorno il 10 per cento della popolazione viveva in condizioni di povertà assoluta, e secondo i dati della Svimez tra il 2002 e il 2015 hanno lasciato il Sud oltre mezzo milione di giovani e 200 mila laureati. È questo il quadro con cui abbiamo a che fare: è un quadro fatto di ombre storiche, ma anche di luci nuove; ed è in questo quadro che si inserisce il decreto-legge che oggi discutiamo.

In più occasioni negli ultimi dieci anni è stata denunciata da più parti la scomparsa della questione meridionale dal dibattito pubblico, dentro e fuori le Aule parlamentari. Ecco, io credo che vada a merito dei Governi Renzi e Gentiloni avere rimesso lo sviluppo del Mezzogiorno al centro non solo dei dibattiti, ma soprattutto delle politiche economiche e sociali decise e attuate dal Governo e dal Parlamento. Questo decreto-legge è l'ultimo tassello di una serie di misure che sono state via via decise e implementate per favorire la crescita e la creazione di lavoro nelle regioni del Mezzogiorno: dal Masterplan per il Sud, ai Patti, dal credito di imposta per gli investimenti al prolungamento dalla decontribuzione per le nuove assunzioni, fino ai grandi investimenti infrastrutturali, di risanamento ambientale e di valorizzazione dei beni culturali nelle regioni del Mezzogiorno.

Il decreto-legge si inserisce in questo quadro: nel quadro di una nuova politica meridionalista inaugurata dai Governi Renzi e Gentiloni, introducendo alcune misure innovative che sono state ricordate dal relatore. Il primo blocco di misure è una scommessa che guarda proprio a quel 35 per cento dei ragazzi meridionali che sono fuori dal mercato del lavoro, e sono gli strumenti per incentivare i giovani imprenditori e sostenere la nascita e la crescita di nuove imprese nel Mezzogiorno. E allora le misure come “Resto al Sud”, di cui agli articoli 1 e 2, che incentivano appunto con prestiti, in parte a fondo perduto e in parte no, la creazione di imprese dei giovani tra 18 e 35 anni di età; e poi, all'articolo 3, la procedura sperimentale per l'individuazione e la valorizzazione delle terre incolte o abbandonate, in un settore, come quello dell'agricoltura e dell'agroalimentare, che è una grande scommessa per il futuro dell'economia del Sud. Questo insieme di misure è in discontinuità con un'impostazione assistenzialistica del passato, perché sono tutte misure che puntano sulla capacità imprenditoriale dei ragazzi del Sud, sulla capacità di rimboccarsi le maniche, di mettersi in discussione, di non andare più all'estero o nelle regioni del Nord, ma di rimanere in quei territori, valorizzando le straordinarie potenzialità delle regioni del Mezzogiorno.

Il secondo blocco di interventi è l'introduzione dell'individuazione delle zone economiche speciali dove attirare investimenti nella logistica e nella manifattura. Questa è sicuramente una delle misure più importanti di questo decreto-legge: le ZES, come è stato ricordato, si concentreranno nelle zone portuali e nelle aree collegate economicamente alle zone portuali, con la previsione di agevolazioni fiscali aggiuntive e con l'idea e l'obiettivo di sperimentare nuove forme di governance di questi territori, con un rapporto strettissimo tra le istituzioni nazionali e territoriali.

Guardate, questa misura si inserisce in una grande scommessa che noi dobbiamo fare nelle regioni del Mezzogiorno: l'apertura del secondo ramo del Canale di Suez; ma soprattutto la gigantesca iniziativa strategica lanciata dalla Repubblica Popolare Cinese, One Belt One Road, la nuova Via della seta, con investimenti di 1.800 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Questo gigantesco flusso di investimenti nella logistica e nelle infrastrutture noi dobbiamo essere in condizioni di attirarlo nelle nostre regioni del Mezzogiorno, che sono una naturale piattaforma nel Mediterraneo, e le zone economiche speciali sono finalizzate esattamente a questo.

Terzo punto: la semplificazione e la velocizzazione dei procedimenti amministrativi (articoli 6 e 7), con particolare riferimento agli investimenti pubblici, agli investimenti privati, al Fondo per lo sviluppo e la coesione e quant'altro. Il Governo ha ottenuto risultati molto importanti nel precedente quadro di programmazione: per la prima volta, credo da sempre, siamo riusciti ad impiegare tutte le risorse disponibili.

Non era un dato scontato, viste le difficoltà di natura amministrativa e burocratica che in passato abbiamo sofferto da questo punto di vista. Qui facciamo un ulteriore passo in avanti, lavorando per accelerare, per semplificare e per sburocratizzare l'impiego di risorse molto importanti. Il Ministro De Vincenti in Senato ha ricordato che, all'interno dei Patti per il Sud, vi sono oggi cantieri aperti per 6 miliardi di euro e bandi varati e progettazioni in fase esecutiva per 15 miliardi di euro: queste risorse dobbiamo spenderle, immetterle nel tessuto economico e sociale del Mezzogiorno.

Quarto punto: il sostegno alla formazione e all'occupazione, con l'obiettivo di ridurre l'area del disagio sociale, di ricollocare i lavoratori espulsi dai processi produttivi del Mezzogiorno, di contrastare la povertà educativa minorile e la dispersione scolastica. Questa è la “gamba sociale” di questo provvedimento, e affronta alcuni dei nodi che ricordavo in precedenza: la grande emergenza sociale ereditata dal ritardo che il Mezzogiorno ha accumulato nei decenni, e da una recessione, da una crisi economica che, nelle regioni del Sud, si è manifestata con particolare durezza e virulenza.

Ultimi due punti, credo significativi: l'articolo 12 sul Fondo di finanziamento ordinario dell'università, dove si consolida il processo di adozione dei costi standard (molto bene, si premino i migliori), ma si introducono dei giusti correttivi per territori che hanno una minore capacità contributiva e dei problemi di accessibilità. Questi elementi correttivi sono rivolti anche alle regioni del Mezzogiorno ma non solo, e credo sia una scelta saggia in un quadro che giustamente punta a premiare il merito e l'efficienza degli atenei. Ultimo punto: interventi sull'Ilva e il comprensorio di Bagnoli.

Questo è il quadro, Presidente, dei principali interventi rivolti al Mezzogiorno. Il secondo tema che vorrei più rapidamente discutere è il contributo per le province e per le città metropolitane, che ritengo molto significativo.

Il Governo, con la legge di bilancio 2017 e la manovrina, il decreto-legge n. 50 del 2017, aveva fatto già uno sforzo notevole per venire incontro alla necessità di risorse degli enti di area vasta. La legge di bilancio aveva annullato gli ulteriori tagli per quest'anno, il decreto-legge n. 50 aveva stanziato ulteriori 180 milioni di parte corrente, 170 milioni ex ANAS e altri 79 milioni per l'edilizia scolastica. Con il decreto-legge n. 91, con questo decreto-legge, chiudiamo il cerchio per quanto riguarda la dotazione di risorse per il 2017, stanziando ulteriori 72 milioni per le province e 28 milioni per le città metropolitane. Guardate, questa sono risorse decisive per permettere agli enti di area vasta di chiudere positivamente i bilanci di previsione per il 2017, perché noi ad inizio anno avevamo un quadro che, se fosse rimasto invariato, avrebbe condannato la grande maggioranza di questi enti al dissesto. La questione finanziaria (non ce lo possiamo nascondere, ce lo siamo detti più volte in quest'Aula) ha inciso molto negativamente sul processo di attuazione della riforma Delrio, perché i tagli sproporzionati decisi con la legge di stabilità 2015 hanno prodotto un sotto-finanziamento delle funzioni fondamentali che sono rimaste in capo alle province e alle città metropolitane. Molti di noi lo avevano detto, c'è stata una battaglia dentro e fuori le Aule parlamentari; oggi non possiamo che prendere atto con soddisfazione che il Governo ha risposto concretamente, stanziando risorse che serviranno agli enti per superare il 2017.

Perché il punto, Presidente, oggi è permettere agli enti di scavallare il biennio 2017-2018. Con queste risorse superiamo il 2017; per il 2018 bisognerà fare un lavoro nell'ambito della legge di bilancio, perché serviranno ulteriori stanziamenti rispetto a quelli previsti a legislazione vigente. Dal 2019 fortunatamente cessano i tagli disposti dal decreto-legge n. 66 e si recuperano in automatico 586 milioni di euro, che dovrebbero chiudere definitivamente la forbice tra le risorse a disposizione degli enti e quanto a loro serve per gestire in condizioni dignitose le funzioni fondamentali dell'edilizia scolastica, la manutenzione delle strade e quant'altro, che dopo la legge cosiddetta Delrio sono rimaste in capo a province e a città metropolitane. Rimane aperto naturalmente il tema del tagliando di quella riforma, ma questo credo sia un punto che inevitabilmente dovremo affidare alla prossima legislatura.

Ho finito, signor Presidente.

Questo decreto-legge è stato accusato (ho letto gli atti del dibattito in Senato in particolare) di essere diventato un insieme scoordinato di interventi eterogenei. Io ho una idea diversa: io credo, invece, che questo decreto contenga misure molto utili, e le conteneva nella versione iniziale varata dal Governo, ed è stato utilmente arricchito nel corso del dibattito in Senato. È un decreto-legge che fa seguito al decreto-legge n. 243 del 2016, si inserisce all'interno di quella nuova strategia meridionalista a cui facevo riferimento in precedenza, che abbiamo inaugurato con i masterplan, con i Patti per il Sud. Ecco, credo che le misure di programmazione e gli interventi concreti che abbiamo via via approvato in Parlamento definiscano un approccio innovativo al rilancio economico e sociale del Mezzogiorno; non più una programmazione dall'alto, che ha funzionato negli anni gloriosi della Cassa del Mezzogiorno, gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta che hanno visto la chiusura progressiva della forbice tra Nord e Sud, molto meno nei decenni successivi, ma una programmazione di confronto, che nasce da un'assunzione di responsabilità condivisa tra lo Stato centrale e le istituzioni territoriali, che si siedono attorno ad un tavolo, fanno emergere le priorità, territorio per territorio, decidono assieme le cose da fare e stabiliscono il quadro finanziario, finalizzando e focalizzando gli interventi non più su una miriade di progetti inutili, ma sulle cose che realmente servono per fare ripartire l'economia del Sud.

È chiaro che misureremo via via, strada facendo, i risultati prodotti da questa nuova politica per il Mezzogiorno, perché tutti i riformisti sanno che si va avanti per tentativi, per errori, si misura via via quanto viene prodotto dalle misure che si approvano e si correggono eventuali cose che non funzionano, però credo che noi oggi facciamo un passo in avanti importante: aggiungiamo misure utili per aggredire alcuni nodi storici che ostacolano il rilancio della crescita del Mezzogiorno in una fase in cui, finalmente, l'economia del Paese nel suo insieme sta riprendendo.

Spetterà alla legge di bilancio per il 2018 proseguire lungo questa strada, mettendo in campo un programma anche più ampio di interventi a favore di questa parte del Paese. Ciò che è chiaro è che da questo decreto e dalla politica del Governo emerge la consapevolezza, che dobbiamo avere tutti, che il rilancio delle regioni del Mezzogiorno è assolutamente cruciale per la ripartenza del Paese. Non è un caso che la ripresa intensifica la sua dinamica in Italia nel momento in cui le regioni del Sud iniziano a crescere di più del resto del Paese. Ce lo dicono i numeri, ce lo dicono le scelte politiche, credo sia utile continuare lungo questa strada (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pastorino. Ne ha facoltà.

LUCA PASTORINO. Grazie, signor Presidente. Ho ascoltato con attenzione le parole sia del relatore che del collega Misiani che mi ha preceduto. In primo luogo, vorrei fare un inciso su una questione di metodo, perché siamo qui, alla terza fiducia che verrà posta ad un provvedimento nel giro di poche settimane. Quindi, è un altro passaggio che, di fatto, preclude a quest'Aula, all'Aula della Camera, un minimo intervento, una discussione un po' più approfondita su tematiche così importanti, quali quella delle banche - le ricordo -, quella dei vaccini, con una fiducia votata a mezzanotte di giovedì scorso e, adesso, ci appresteremo a votare un'altra fiducia a ridosso della chiusura dei lavori parlamentari per la pausa estiva. Questo è indice, al di là dell'utilizzo sproporzionato della decretazione di urgenza, anche dell'uso della fiducia e, quindi, di vedere comunque, in ogni caso, bloccare qualsiasi tipo di discussione, qualsiasi tipo di proposta a danno delle prerogative legislative del Parlamento, di questo ramo del Parlamento. È una cosa che, secondo me, va detta, va sottolineata, perché è un modo di lavorare che di fatto blocca l'alternanza, blocca la discussione su temi così importanti, come quello che stiamo affrontando.

Ho seguito anche le parole dell'onorevole Misiani con riferimento al rapporto Svimez: è vero, sono dati di crescita che non dobbiamo assolutamente non valutare positivamente, però, come ha detto anche l'onorevole Misiani, la situazione del Mezzogiorno va aggredita in maniera puntuale e non con provvedimenti, a nostro modo di vedere, molto spesso tampone.

Perché è vero che c'è la presenza di un calo demografico importante, di redditi bassi, una situazione di disagio, descritta anche dalla maggioranza, che necessita di un approfondimento molto serio e di una discussione molto più approfondita, anche all'interno di quest'Aula, come ho detto, che non c'è e non ci sarà.

I dati, poi, lo ripeto, vanno presi e considerati nella loro positività, ma sono dati di aumento della produzione, di aumento degli investimenti che, però, si riferiscono molto spesso al miglioramento dei dati sull'agricoltura o sul turismo: non c'è quell'approccio di sistema che, francamente, deve essere quello in grado di far uscire il Mezzogiorno dalla situazione in difficoltà che è testimoniata anche dai numeri molto, molto negativi in termini di reddito, di disoccupazione giovanile e non.

Quindi, si interviene, per la seconda volta in questa legislatura, per decreto-legge sulle politiche che dovrebbero stimolare lo sviluppo del Mezzogiorno - la prima volta, come ricordato, nel dicembre 2016 -, si impedisce un largo confronto con il Parlamento e le forze sociali; lo si fa alla rinfusa e con una certa frammentazione delle misure adottate, senza alcun intervento strutturale programmatico. Quindi, si prosegue sostanzialmente sulla stessa linea politica, economica del Governo precedente, cioè attraverso l'adozione di misure orientate a favorire l'offerta e a sostenere l'impresa, ricorrendo soprattutto ad agevolazioni di natura fiscale.

Pertanto, in una dimensione nazionale, si riscontra un'assenza di strategia complessiva, affidando ai soli fondi strutturali il compito di ridurre il divario territoriale Nord-Sud esistente, laddove localmente emergono efficienze, ritardi, a volte incapacità di mettere in campo vere politiche di sviluppo e di supporto allo sviluppo, in un contesto in cui i diritti essenziali dei cittadini vengono garantiti in misura inferiore rispetto al resto del Paese e le infrastrutture rimangono totalmente inadeguate.

Si è assistito negli ultimi decenni alla fine delle politiche straordinarie per il Mezzogiorno senza che fosse delineato un quadro programmatico alternativo. Le risorse europee, infatti, vengono impegnate e spese, come è stato detto, ma non con un ruolo addizionale rispetto alle politiche ordinarie. È stata anche soppressa la “regola Ciampi”, che destinava alle otto regioni del Sud il 45 per cento delle spese in conto capitale.

Per quanto riguarda l'utilizzo dei fondi strutturali, si deve rilevare che i singoli progetti mancano anche di una logica di integrazione nazionale e regionale per estemporaneità e la non coerenza-congruenza con obiettivi generali. I tempi di realizzazione degli investimenti infrastrutturali, poi, hanno determinato ritardi nella spesa delle risorse dei fondi. Nella distribuzione è stata privilegiata la politica degli incentivi: si è registrato un significativo sottodimensionamento nel Mezzogiorno degli investimenti pubblici nel settore dei trasporti e delle infrastrutture sociali, un netto sovradimensionamento dei trasferimenti alle imprese.

Di fronte agli alti tassi di disoccupazione del Sud, in particolare, di quella giovanile, di fronte ad una massiccia emigrazione dei nostri giovani verso altri Paesi europei manca del tutto un efficace programma per il lavoro. Tra il 2008 ed oggi il Sud ha perso più di 600 mila posti di lavoro, pari al 70 per cento del calo complessivo dell'occupazione a livello nazionale; alta la percentuale di dispersione scolastica, che coinvolge più del 21 per cento dei minori; i giovani senza partecipazione all'istruzione né all'occupazione sono più di un terzo dei giovani del Sud contro una media nazionale del 26 per cento. In seguito all'emigrazione, il Mezzogiorno, dal 2001, ha perso almeno 800 mila unità, di cui il 70 per cento tra i 15 e i 34 anni: uno su quattro è laureato.

Quindi, serve un piano per il lavoro, come quello che abbiamo proposto negli ultimi anni, che coniughi sviluppo e tutela dei diritti di cittadinanza e nel lavoro e che veda al suo centro, ad esempio, un grande piano di intervento sul dissesto idrogeologico, sulle infrastrutture idriche, sottraendo la gestione dell'acqua alle leggi di mercato, capace di creare 200 mila posti di lavoro pulito e socialmente utile. Occorrono forti investimenti pubblici per generare nuova occupazione, per attivare il moltiplicatore di investimenti, reddito, occupazione, nel settore privato e nel settore pubblico; un piano che valorizzi le risorse del territorio: ambiente, turismo, cultura, agroalimentare, finanza, recupero scolastico, ricerca, università del Mezzogiorno e le sue infrastrutture, dalla linea ferroviaria alla banda larga per le comunicazioni. Invece, di contro, si procede con interventi un po' frammentari come i seguenti.

Con riferimento agli articoli 1 e 2, dedicati alle cosiddette agevolazioni “Resto al sud”, sui quali avevamo proposto emendamenti che, evidentemente, non verranno presi in considerazione, segnaliamo due nostri dubbi: innanzitutto, dubbi sull'efficacia di questa misura. Leggiamo, infatti, che la relazione alle Camere, riferita al 2015, sull'attuazione delle misure incentivanti in favore dell'imprenditorialità e dell'autoimpiego rende noto che, al 31 dicembre 2015, le “imprese out” sono pari a 352 e presentano i seguenti risultati: investimenti realizzati per euro 389.841.000 euro, agevolazioni ricevute per 424.081.000 euro, addetti pari a 4.282 unità; praticamente, 99 mila euro di agevolazione per ogni posto di lavoro.

Inoltre, la rimodulazione del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2014-2020, prevista per il finanziamento di questo intervento, sarà operata su precedenti assegnazioni senza ulteriori specificazioni. Non vorremmo che il richiamo alla norma della legge di stabilità per il 2016, che prevedeva il completo finanziamento dei progetti del “Piano periferie”, potesse fare venir meno quanto previsto dalla delibera del CIPE n. 2 del 2017, per il completamento di tale piano. Come rilevato anche dal Servizio studi del Senato, andrebbe chiarito se il richiamo ivi fatto al comma 141 della legge n. 232 del 2016 sia volto, come sembrerebbe presumibile, ad escludere che le assegnazioni disposte dal CIPE con la delibera n. 2 del 2017 in favore del programma per le periferie possano essere incise dalla rimodulazione prevista ai fini della destinazione di 1.250 milioni di euro al finanziamento della misura “Resto al Sud”, prevista dall'artico 1 in esame.

Poi c'è l'articolo 3, dove si definisce una procedura di assegnazione di terreni incolti o abbandonati, che di per sé è una buona cosa. Noi avevamo proposto, attraverso degli emendamenti, l'opportunità di allargare l'utilizzo di questo strumento ai beni confiscati alle mafie, e poi avevamo anche sottolineato anche quella che è forse l'inopportunità, invece, di prevedere anche dei cambi di destinazione d'uso di questi terreni, così come previsto all'interno di questo stesso articolo.

All'articolo 10 si prevede che l'ANPAL, l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, attivi programmi per la riqualificazione e la ricollocazione dei lavoratori coinvolti in situazioni di crisi aziendale o settoriale nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Per il finanziamento dell'operazione è previsto uno stanziamento di spesa a favore dell'ANPAL pari a 15 milioni di euro per l'anno 2017 e 25 milioni di euro per l'anno 2018. Occorre precisare che ai programmi di formazione e ricollocazione partecipano anche i lavoratori che sono senza ammortizzatori sociali, pertanto bisogna aumentare le risorse per questi programmi. È poi è assurdo che tra i dipendenti ANPAL che devono gestire i programmi di ricollocazione dei disoccupati ci siano centinaia di precari. Pertanto, con un nostro emendamento avremmo voluto proporre la stabilizzazione di circa 800 precari dell'ANPAL Servizi, ex Italia Lavoro. I precari ANPAL svolgono infatti un ruolo fondamentale, perché aiutano i cittadini a trovare lavoro, sostengono l'attuazione delle politiche del lavoro nel proprio territorio, potenziano il raccordo tra le imprese e la rete dei servizi per il lavoro, supportano la diffusione di misure ed incentivi per l'inserimento lavorativo e la crescita professionale dei giovani e dei meno giovani, che rischiano, dopo anni e anni di precarietà, di perdere il lavoro o, nella migliore delle ipotesi, di rimanere precari.

Poi c'è l'articolo 13, che prevede disposizioni in materia di risanamento ambientale da parte dell'amministrazione straordinaria Ilva, per l'utilizzo di risorse ai fini dell'attuazione e della realizzazione di interventi di risanamento e bonifica ambientale. La vertenza Ilva rischia però di concludersi con migliaia di esuberi tra i dipendenti Ilva, senza considerare l'indotto, anche se la cordata Am-Investco ha ultimamente abbassato il numero degli esuberi da circa 5.500 a 4.200, mantenendo quindi gli addetti dei siti produttivi costanti a quota 10.000. Ma tutti i lavoratori devono essere ricollocati! Non si possono accettare licenziamenti, tenendo in considerazione anche l'indotto; e questo si può ottenere se non c'è una riduzione della capacità produttiva e accelerando i tempi degli investimenti. C'è bisogno, rispetto all'accordo che si sta prospettando con la cordata, di chiarire meglio la portata degli investimenti previsti e di impegnare la nuova proprietà a non ridurre la capacità produttiva né di Taranto, né degli altri stabilimenti, quale quello di Genova. Esiste un problema dell'assetto proprietario stante il ruolo strategico della siderurgia, che richiede di valutare una presenza non solo privata per dare maggiori garanzie, coinvolgendo nella proprietà anche la Cassa depositi e prestiti.

Occorre modificare la “legge Marzano”, in modo da poter riaffidare la proprietà all'amministrazione straordinaria nel caso che l'acquirente si mostri inadempiente sugli investimenti. Servono, infatti, garanzie e verifiche in termini occupazionali, di salvaguardia della salute pubblica e dei lavoratori, nonché di ambiente. Occorre anticipare al massimo gli investimenti concernenti l'ambiente, in particolare anticipare i tempi di copertura dei parchi minerali. Il Governo deve intervenire e vigilare, al fine di ottenere le necessarie garanzie occupazionali, di salute e di risanamento ambientale.

Queste sono osservazioni che sono molto ovvie, ma viviamo in un contesto in cui l'occupazione in generale è aggredita in tutti i modi, anche attraverso novità nei licenziamenti. Faccio il caso - che è stato oggetto anche di un'interrogazione - dell'Ericsson di Genova, dove il venerdì sera 44 persone sono state licenziate via mail. Siamo in un momento storico in cui il lavoro va tutelato tutto, vanno messe in campo tutte le forze che un Governo, che il Parlamento può mettere in atto. E soprattutto bisogna andare a riconsiderare gli incentivi che lo Stato dà a queste aziende, per garantire la bontà dello sviluppo di un'azienda e la garanzia dei posti di lavoro in questo momento, della salvaguardia dei posti di lavoro. Ho citato il caso Ericsson, che è una cosa che ha toccato molto da vicino il nostro territorio, ma rende complementare il discorso con Ilva, dove sono in ballo tanti, tanti posti di lavoro, sia diretti che nell'indotto. All'articolo 16, poi, che concerne misure per aiutare i comuni nella gestione dei migranti, dobbiamo prevedere risorse aggiuntive, altrimenti non facciamo un gran bel lavoro. Dobbiamo prevedere un incremento di risorse ai comuni anche per l'accoglienza in generale dei migranti, e non solo per i richiedenti asilo, ed occorre estendere la possibilità per i comuni di sottoscrivere contratti di lavoro flessibile per la gestione dei migranti, del 10 per cento oltre il limite di spesa previsto dalla normativa vigente, anche a quei comuni che accolgono migranti che non siano rifugiati.

Ho citato alcuni articoli, ce ne sono altri di indubbia utilità e opportunità, che riguardano appunto i comuni e le zone terremotate, e faccio un ultimo cenno appunto alla questione delle province, che è stata toccata dal collega Misiani. Voglio augurarmi che queste risorse aggiuntive siano sufficienti per chiudere - come detto - il 2017 con onore, dopo che, è vero, è stata fatta una battaglia dalla maggioranza. Ma la battaglia l'ha fatta un po' tutto il Parlamento; soprattutto, l'hanno fatta persone che hanno la presunzione di parlare di cose che sanno, di aver vissuto sul territorio, di aver fatto gli amministratore locali, di capire che quando si fanno questi tagli sconsiderati, a fronte di una riforma che poi non è passata, chi viene danneggiato sono i cittadini, i servizi del territorio, la viabilità, e si mette in ginocchio un intero sistema di cose che sono fondamentali per la qualità della vita dei cittadini e dei territori in generale. Quindi, mi auguro che queste risorse aggiuntive abbiano chiuso il capitolo 2017 e mettano in condizione le province di aprire le scuole a settembre, di mettere in sicurezza le strade e tutte le belle cose che ci siamo detti in quest'Aula. Certo, ci sarà ancora la battaglia da fare per il 2018, che sarà una battaglia assolutamente dura, perché anche lì serviranno tanti denari, che, come si dice, non li troveremo di certo sugli alberi, ma sono fondamentali per lo sviluppo e la tutela dei servizi essenziali alla persona.

Quindi, quello sul complesso di questo provvedimento è un giudizio che comunque rimane negativo, non soltanto perché non c'è la possibilità di discutere all'interno di quest'Aula, di approfondire e migliorare il testo con degli emendamenti, ma anche perché, come ho detto prima, sembra un provvedimento fatto di tante misure tampone che mal si conciliano con una politica di sviluppo del Mezzogiorno, che necessita veramente di un approccio di sistema, un approccio che eviti le misure spot, mentre qua ce ne sono veramente tante. Mi auguro che questo passaggio possa servire, poi lo misureremo. Misureremo gli effetti di questo provvedimento, ma è chiaro che la questione del Mezzogiorno vada affrontata con investimenti pubblici a 360 gradi, che rendano veramente il Mezzogiorno in grado di uscire dai numeri negativi che abbiamo detto - e che ha detto anche il rapporto Svimez - in termini di reddito, in termini di occupazione, in termini di emigrazione da quei territori verso altri posti. Lo si deve al Mezzogiorno, lo si deve perché questo è un tema che viene rincorso sempre negli anni, con risultati che oggi sono un pochino migliorati - sempre dal rapporto che abbiamo visto -, ma che non delineano il quadro di una crescita vera, fatta di fondamentali forti e di futuro sicuramente migliore di adesso.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bossa. Ne ha facoltà.

LUISA BOSSA. Signor Presidente, signor Ministro, c'è una notizia buona e una notizia cattiva. Non le chiedo da quale vogliamo cominciare, come si fa in certi film, lo decido io: cominciamo da quella buona. Il Sud cresce, i dati Svimez 2017, a cui hanno fatto riferimento anche gli onorevoli Misiani e Pastorino, prevedono, per la fine di quest'anno, una crescita del PIL del Mezzogiorno dell'1,1 per cento. È una notizia ottima, anche perché arriva dopo la crescita dell'1 per cento dello scorso anno. C'è quindi una tendenza consolidata alla crescita, che si rafforza di anno in anno. In questa buona previsione, c'è il dato della Campania, che è la regione che cresce di più in Italia: il 2,4 per cento, al termine di un triennio tutto col segno positivo. Crescono anche gli investimenti privati, i consumi. Insomma, il traino è quello di agricoltura e turismo, ma qualcosa di molto significativo si muove anche nel manifatturiero, nell'industria, nella produzione. Sono tutti indicatori fondamentali, che ci fanno ben sperare per il futuro.

C'è però, come dicevo, anche la notizia negativa: sempre, secondo Svimez, pur mantenendo questo ritmo a lungo e con costanza, il Sud arriverà ai livelli di prima della crisi solo nel 2028 sempre che si riesca a crescere. Ci vorranno cioè oltre dieci anni ancora solo per recuperare quello che si è dissipato in nove anni di crisi. Il centronord, invece, con questo passo avrà annullato la crisi nel 2019, quasi un decennio prima. Rimane quindi per il Mezzogiorno un tratto di ritardo, di difficoltà, peraltro storico e strutturale, che chiede interventi differenziati, seri, precisi, interventi che tengano conto del profilo storico ed economico del Mezzogiorno, non solo la diseguaglianza con il Nord ma regioni diseguali, per esempio, anche dentro lo stesso Mezzogiorno con caratteristiche diverse e tratti di differenza molto marcati. Numeri diseguali, quindi, e realtà differenti che chiedono chiavi di lettura diverse. In tutto il Sud, nel 2016, sono cresciuti i posti di lavoro di 100.000 unità in più rispetto al 2015: ottima notizia, qualcosa si muove in verità anche grazie agli sgravi contributivi che, quando tuttavia saranno finiti, ovviamente smetteranno il traino. Rispetto al 2008, ultimo anno pre-crisi, mancano all'appello ancora circa 400.000 posti di lavoro: come recuperarli? Questo è il tema. Non lavorano poi i giovani: cresce l'occupazione per gli ultracinquantenni ma non per i ragazzi; arrivano posti di lavoro precari, sottopagati ma non lavoro di qualità. I redditi sono bassi, spesso insufficienti ad uscire dalle condizioni di indigenza. Il film Generazione 1000 euro descrive in maniera delicata ma ferma e decisa l'attuale panorama italiano avvolto dall'incertezza del futuro professionale e sentimentale dei nostri giovani. Un tempo la condizione economica era divisa tra chi lavorava e chi no: i primi costruivano la loro posizione, i secondi soffrivano. Oggi si soffre economicamente anche lavorando ma, se non riesco ad uscire dalla povertà lavorando, cos'altro posso fare? Dieci abitanti su cento al Sud sono in condizione di povertà assoluta; nel centronord sono sei su cento. Dal Sud negli ultimi cinque anni Svimez conta un'emigrazione di 1,7 milioni di persone: spesso queste vanno all'estero; quasi l'80 per cento ha meno di 34 anni; una buona parte sono laureati e hanno svolto anche dei master. In sostanza il Sud alleva i suoi giovani, li fa studiare, li forma e poi li regala ad altri: è come una squadra di calcio che plasma campioni e che quando essi sono pronti per scendere in campo li dona ad altre squadre. Ma non è una follia? Siamo di fronte, come evidente, pur con degli indicatori positivi ad un quadro drammatico. Come risponde il Governo? Con questo decreto-legge che si è voluto chiamare: disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno. La domanda a questo punto è se le norme contenute nella proposta del Governo siano o no in grado di dare risposte al quadro che sopra ho delineato, risposte serie, risposte capaci di incidere, risposte urgenti, quindi rapide. La sensazione - lo dico subito - è di delusione: non sono le singole norme, che qui e lì possono essere lette positivamente o negativamente, ma è l'assenza di una vera strategia, manca nel provvedimento, a leggerlo bene, ogni visione e del resto la visione è mancata a tutti i Governi degli ultimi anni.

Molte conferenze stampa, molti tweet, molti annunci roboanti, molta retorica, molta propaganda ma piccoli interventi a spot, a volte condivisibili, a volte no, tutti scollegati come binari di una ferrovia che non porta da nessuna parte. Sono pezzi, tronchi di un corpo che non si ricompone mai e che quindi avanza claudicante, confuso, con il passo lento e inconcludente delle marce che girano a vuoto. Non sono riuscita a vedere nel decreto-legge visione e progetto. Non mancano certo alcuni spunti positivi tra l'altro nati anche da un lavoro di miglioramento del testo fatto dal gruppo MDP al Senato: le zone economiche speciali, per esempio, possono costruire reticoli di benefici fiscali, di altri sgravi e ciò può sicuramente attrarre investimenti privati in un momento nel quale i capitali si spostano molto nel mondo alla ricerca delle condizioni ottimali per essere impegnati. La misura “Resto al Sud” porta un buon finanziamento ad iniziative d'impresa, un sostegno che abbiamo chiesto e ottenuto e che, a mio avviso, può essere utile come lo è stato negli anni Novanta, sebbene con non poche criticità, il celebre prestito d'onore che in qualche caso ha consentito almeno di superare uno dei problemi iniziali di chi vuole intraprendere un'azione di impresa: una base economica minima di partenza. Forse sarebbe stato necessario, ad esempio, aumentare l'età anagrafica di chi può candidarsi a ottenere questo beneficio, considerato che ormai la disoccupazione e i salari bassissimi al Sud sono una realtà che riguarda non solo i giovani e i giovanissimi ma anche chi ha superato i 35 anni. Peraltro per i giovani imprenditori esistono già forme di sostegno e di contribuzione regionale che a volte sono anche più convenienti di quella prospettata dal decreto-legge. Ma resta - lo sottolineiamo - un buon segnale. Vanno bene anche gli sguardi alle terre abbandonate, ai beni dismessi ma, scusate, ha senso non accompagnare questo passaggio con un lavoro intenso di bonifica, di riqualificazione: come tiriamo le terre dall'abbandono, senza un piano vero di recupero? Il nostro è il Paese delle emergenze: piove e contiamo i morti per il dissesto idrogeologico; c'è la siccità e contiamo le perdite sulle reti idriche e sospendiamo l'erogazione dell'acqua; ci sono incendi e contiamo le devastazioni; non abbiamo manutenzione né del patrimonio boschivo né delle reti idriche, tanto meno abbiamo un territorio messo in sicurezza. Ogni evento climatico è un'emergenza continua: la parola prevenzione è per lo più sconosciuta ma la prevenzione salva la vita e salva anche i conti. Dunque un grande piano di investimenti pubblici per la sicurezza del Paese non c'è. Personalmente ho presentato un emendamento per inserire dei giovani in un piano di controllo del territorio sul Vesuvio per esempio, affinché siano vere e proprie sentinelle ambientali. Credo sia questa la strada per tenere insieme sviluppo, lavoro, tutela ambientale e sguardo sul futuro. Ma non ci sono investimenti sull'ammodernamento della pubblica amministrazione, sul finanziamento dei servizi pubblici. Ma come lo sostieni lo sviluppo di un territorio senza infrastrutture di servizio? Se in una regione abbiamo servizi pubblici ridotti all'osso basteranno quattro sgravi per attrarre gli investitori? Chi ci vuole venire a investire e quindi a costruire idee e futuro su un territorio dove non funziona il trasporto locale, non ci sono servizi per l'infanzia, non c'è riqualificazione dei centri storici, non c'è un euro su edilizia scolastica e sanitaria? Lo dicono tutte le statistiche: gli investimenti pubblici per il Sud, soprattutto per i beni culturali, sono diminuiti nel tempo, ogni anno un po' meno. Ma possiamo definire questo un provvedimento dannoso, negativo per il Paese e per il Sud? No, certo. Possiamo considerarlo determinante e decisivo per la questione meridionale? Nemmeno. Sembra l'ennesima leggina omnibus, per tutti, ma sì, ce n'è per tutti: si inseriscono un po' di norme di necessità, qualche misura di spinta all'economia ma manca uno scatto risolutivo.

Ecco, direi che il vero problema di questo decreto non è quello che c'è scritto, ma quello che manca, tutto quello che ci sarebbe dovuto essere e non c'è. Su tutto poi – e ho finito -, pochissimi impegni economici: c'è una spesa ordinaria, non c'è quell'impegno straordinario che sarebbe stato necessario, che avrebbe giustificato la decretazione e l'urgenza dell'azione.

In conclusione, a me sembra, questa, davvero una bell'occasione perduta, l'ennesima direi, visto che non sappiamo più contare quante volte sono stati varati decreti e piani e masterplan e accordi per il Sud senza che questo, però, uscisse dal suo angolo. É difficile, complicato, lo sappiamo, ma non ci arrendiamo, aspettiamo che l'attenzione salga. Chiudo, chiudo dedicando al nostro Ministro una strofa di una poesia di un grande poeta e narratore, sindaco a 23 anni, Rocco Scotellaro, nato a Matera, che è stata qui citata come capitale - ed è vero - della cultura europea. La strofa dice: “Quanti ne fissi negli occhi superbi della strada, erranti/ giovani come te./ Non hanno in ogni tasca/ che mozziconi neri/ di sigarette raccattate”. È cambiato qualcosa dagli anni Cinquanta? Io spero di sì e davvero, però, non vorremmo più aspettare (Applausi dei deputati del gruppo Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Labriola. Ne ha facoltà.

VINCENZA LABRIOLA. Grazie, Presidente, onorevoli colleghi. Il provvedimento al nostro esame rappresenta l'ennesimo tentativo, sicuramente mal riuscito, dei governi di questa legislatura di offrire una risposta a quella che ancora oggi si presenta come la questione meridionale. Ebbene, se questa è la politica per il Mezzogiorno, con questo provvedimento abbiamo capito, ancora una volta, che non c'è un progetto, non c'è un percorso chiaro, non c'è una direzione verso la quale si vuole andare. Nessuno chiede assistenzialismo, ma è evidente che non c'è una strategia, non esiste una valorizzazione delle grandi potenzialità del Mezzogiorno nel panorama complessivo europeo e mediterraneo, non si intravede minimamente né si prospetta quel ruolo che il Mezzogiorno potrebbe svolgere, non solamente nel nostro Paese, ma nell'intera area mediterranea.

È vero che l'economia del Mezzogiorno sta crescendo - lo dicono le ultime statistiche pubblicate, lo dice l'ultimo rapporto Svimez -, ma è sempre la stessa Svimez a rivelare, proprio nei giorni scorsi, che, se il Mezzogiorno proseguirà con gli attuali ritmi di crescita, recupererà i livelli pre-crisi nel 2028, ovvero dieci anni dopo il Centro-Nord. Si configurerebbe così un ventennio di crescita zero, che farebbe seguito alla stagnazione dei primi anni Duemila, con conseguenze nefaste sul piano economico, sociale e demografico.

I numeri del Mezzogiorno non reggono, infatti, il confronto con la parte più industrializzata del Paese, perché parliamo di 3,5 milioni di imprese nel Sud, su oltre 15 milioni in Italia, di un fatturato pari a un settimo del Paese, di investimenti lordi pari a meno di 15 miliardi rispetto agli 85 su base nazionale. I dati evidenziano, inoltre, un'occupazione al 47 per cento, rispetto al 61,6 per cento della media nazionale, con il 19 per cento di giovani che abbandonano gli studi, rispetto al 13,8 per cento della media nazionale; un tasso di disoccupazione al 21 per cento, rispetto al 7,6 per cento del Nord; un tasso di disoccupazione giovanile meridionale del 56,3 per cento, cioè più del doppio del dato del Settentrione.

Riteniamo che il supporto allo sviluppo economico e occupazionale è indispensabile sia per contenere il fenomeno della disoccupazione sia per contenere il fenomeno migratorio dei nostri concittadini e soprattutto dei nostri giovani. Davanti a questo scenario, poi, ci ritroviamo a discutere di pochi, piccoli interventi. Si tratta per lo più di misure già viste e sperimentate, che difficilmente riusciranno a fare emergere iniziative imprenditoriali nuove e, se occorre affermare che alcune misure contenute nel testo sono sicuramente apprezzabili, a partire da quelle delle zone economiche speciali, che Forza Italia invoca da moltissimo tempo, è altrettanto giusto affermare che, nel complesso, il provvedimento non è affatto di ampio respiro.

La misura che apre e guida il decreto-legge sembra essere quella denominata “Resto al Sud”, la quale si ripropone di trattenere nel Mezzogiorno i giovani under 35 che non abbiano un contratto di lavoro subordinato, che non siano titolari di imprese e che non abbiano usufruito già di incentivi pubblici rivolti all'autoimprenditorialità nel triennio antecedente la domanda di finanziamento, assegnando loro un finanziamento di 50.000 euro, in parte a fondo perduto e in parte sotto forma di prestito a interessi zero. Si tratta, peraltro, di una misura che dispone, nel complesso, di 1,25 miliardi del Fondo per lo sviluppo e la coesione, programmato per gli anni 2014-2020.

Questa disposizione probabilmente riuscirà a trasformare in spesa corrente una cifra importante di finanziamenti, che avrebbero dovuto diventare investimenti per lo sviluppo. Viene però da chiedersi se ancora oggi sia opportuno stanziare soldi in questo modo; il dubbio è che, in gran parte dei casi, questi prestiti di 50.000 euro si trasformeranno semplicemente in una sorta di reddito di cittadinanza a tempo determinato. Forse sarebbe stato opportuno che il contributo pubblico fosse accompagnato, ad esempio, da un ulteriore esame da parte del sistema creditizio per una più accurata valutazione in merito alla bontà del progetto e sulla sua finanziabilità oppure si potevano ipotizzare soluzioni miste, magari vincolando il contributo pubblico a un finanziamento privato, quasi a certificare la possibilità, per il soggetto, di poter competere o comunque di avere una possibilità concreta di stare sul mercato.

Difficilmente misure di questo tipo possono dare una spinta al PIL che prosegua oltre il periodo temporale per il quale sono state programmate. Inoltre, il finanziamento è finalizzato a generiche attività imprenditoriali, senza uno specifico bacino culturale su cui si sceglie di attingere. Si decide, però, di fatto di tagliare fuori dalle misure previste un'ampia fetta di coloro che hanno un'esperienza lavorativa da trasformare in iniziativa imprenditoriale, con un'attenzione sicuramente comprensibile, ma forse eccessiva, verso i giovani disoccupati e verso coloro che non cercano un impegno o non frequentano una scuola né un corso di formazione o un aggiornamento professionale; si sceglie, tra l'altro, di escludere le attività libero-professionali dagli interventi a cui si può dare seguito grazie al contributo.

In ogni caso, a rendere immediatamente vana ogni velleità delle misure in esame, il fatto che tutto il decreto-legge è praticamente a costo zero. Ci troviamo di fronte a un provvedimento ritenuto urgente, che però non stanzia neanche un centesimo aggiuntivo rispetto a quanto già previsto per quest'anno, ma neanche per il triennio 2018-2020. Pertanto, il decreto-legge si traduce e rimodula, in qualche caso anche in maniera creativa, la spesa per il Mezzogiorno rispetto ai fondi pluriennali già programmati dall'Europa.

Nel merito va poi rilevato che l'articolo 13 del testo reca l'ennesimo intervento per Ilva, le cui problematiche si aggiungono ormai da anni, rispetto alla quale sarebbe stato, forse, più ragionevole riflettere e valutare con l'approfondimento necessario tutte le dinamiche connesse all'azienda e rimaste evidentemente irrisolte dai precedenti decreti in materia. Va riaffermato che una disposizione che ripete per la dodicesima volta in cinque anni un intervento per la maggiore industria siderurgica italiana in amministrazione straordinaria, rinnovando deleghe per consentire la cessione degli asset dell'Ilva, rappresenta certamente un modo di operare ancora una volta ai limiti della costituzionalità.

Ci troviamo di fronte ancora troppi e tanti dubbi legati alla vendita dell'acciaieria più grande e più inquinata d'Europa. Pensiamo alla questione lavorativa: su 14.000 lavoratori, la cordata che acquisterà l'azienda si impegna a mantenere in attivo 10.000 lavoratori, con un esubero di 4.000 lavoratori, che i commissari straordinari prenderanno in carico per adoperare nelle bonifiche. Ma io pongo due questioni. Quando iniziamo a valutare chi deve essere assunto dall'azienda e chi deve essere messo in questo portafoglio - diciamo quasi - clienti da parte dei commissari e quando si inizierà la loro trasformazione lavorativa, visto che dovrebbero fare un lavoro diverso da quello che attualmente sono abituati a fare.

Pensiamo alle tecnologie pensate per produrre in maniera eco-compatibile, è la prerogativa che si è posta il Governo. Bene, sfogliando il dossier, ci si ritrova a scoprire che l'unica tecnologia pensata e al vaglio degli attori di questa vendita è la tecnologia DRI. Diciamo al vaglio, perché questa tecnologia farebbe aumentare in maniera esponenziale il costo dell'acciaio finito, motivo per cui è da valutare se confacente alla misura della vendita del prezzo dell'acciaio.

Quindi, l'unica tecnologia - ci viene di pensare - al vaglio del Governo, degli acquirenti, dei commissari e di chi valuterà tutta la procedura, è questa tecnologia, che scopriamo essere molto costosa per chi dovrà produrre in quell'azienda. E inquinamento: voglio qui farmi carico di una richiesta avanzata dall'associazione “Campagna Welcome Taranto”, che denuncia che sui tendoni dove c'è l'hotspot, dove ci sono gli immigrati, dedicati all'ospitalità e al disbrigo delle pratiche burocratiche, su questi tendoni c'è del polverino. Quindi, questa associazione si domanda se il posto dove sono stati messi questi migranti corrisponde ai criteri di tutela della salute. Io dico che questo è tutto compreso nel pacchetto Taranto; quel che è certo è che quei criteri sono da tempo violati per i tarantini. C'è chi si accorge solo ora, guardando le tende dell'hotspot, di quanto la nostra città sia gravemente malata.

C'è chi a Roma, al Ministero della salute come a Palazzo Chigi, preferisce non guardare la drammatica e degradata realtà tarantina; un atteggiamento sciagurato quello delle istituzioni, che mortifica e uccide sempre di più. Ho preso in considerazione non i dati che spesso cito per evidenziare la drammaticità della situazione di Taranto; ho preso quelli degli immigrati perché, forse, in quest'Aula, vale più la vita di un immigrato rispetto a quella di un cittadino. Approfittando dello strumento omnibus del decreto, Governo e maggioranza hanno caricato il provvedimento di interventi disomogenei e vari. Il testo è passato dagli iniziali 16 articoli agli attuali 49, arricchendosi di misure che ben poco hanno a che fare con il Mezzogiorno, ad esempio l'introduzione della disciplina volta alla riduzione dell'utilizzo di borse di plastica in materiale leggero, cosa nobile, vedendo quanto i nostri mari sono occupati, ma questa norma è stata inserita solo nell'ottica di non andare in infrazione con l'Europa, visto che si tratta del recepimento di una direttiva europea.

Inoltre, un piccolo accenno, vorrei tornare sulla questione Ilva. Il relatore Galli diceva bene che queste somme destinate per le bonifiche sono e derivano dal patteggiamento con i Riva; un patteggiamento, forse, che vede ancora una volta i Riva vincitori rispetto a un territorio. E, poi, vorrei fare un'altra domanda al Ministro De Vincenti: le somme per le bonifiche sono 1,3 miliardi o 700 milioni di euro, perché da quel miliardo e tre dovremmo togliere i soldi che lo Stato ha prestato all'azienda e che, per non andare nuovamente in infrazione con l'Europa, dobbiamo ridare allo Stato. Giusto, ma vorremmo sapere quante somme abbiamo in possesso per mettere fine, come dice il Governo, alle questioni problematiche ambientali.

Inoltre, c'è il riconoscimento dei cluster tecnologici nazionali e misure relative agli enti locali: sono ulteriori modifiche alla manovrina approvata solo un mese fa. Si continua, quindi, a procedere con una legislazione sconnessa e continuamente stratificata, che non offre alcun tipo di stabilità. Se questi sono gli interventi, allora veramente noi ci chiediamo quale sia l'interesse del Governo, della maggioranza e dello stesso Parlamento per la cosiddetta questione meridionale, che è una questione nazionale. Anche sul delicatissimo tema degli incendi boschivi, invece di stanziare risorse per la prevenzione, risorse adeguate per mettere in sicurezza le zone preziose nel nostro Paese, Governo e maggioranza pensano di inasprire le pene.

Si risponde con la repressione, senza domandarsi, ad esempio, se sia solamente causale o accidentale il fatto che l'esplosione degli incendi in questo ultimo anno sia consequenziale all'abolizione del Corpo forestale dello Stato, fatta passare come una questione di semplificazione nell'ambito di una necessaria diminuzione di costi. In realtà, non solo non c'è stato alcun segnale di riduzione dei costi: i costi sono rimasti tali e quali dal punto di vista burocratico e sono cresciute enormemente le conseguenze e le disfunzioni che si sono create a seguito dell'abolizione del Corpo forestale dello Stato. Ciò è certificato nei verbali degli interventi di emergenza per gli incendi, da cui emerge chiaramente il ritardo della filiera dell'emergenza, dovuto proprio a una confusione dei ruoli, all'incertezza su chi debba fare cosa e in che modo. Si poteva sfruttare, inoltre, l'occasione di questo decreto per prevedere un potenziale extra per i vigili del fuoco, dato che c'è una gravissima carenza di organico proprio al Sud. Le lacune di organico, Ministro, non si colmano con gli straordinari. Così come sarebbe stato opportuno prevedere un'immediata risposta sotto il profilo della siccità, varando misure per la revisione delle tubature - nel Sud si stima ci siano perdite intorno al 60 per cento - o iniziare ad attivare fondi, per esempio, per la costruzione degli invasi. Nulla di tutto questo. Anche in questo caso, il Governo Gentiloni, dopo il decreto Mezzogiorno di fine 2016, non lascia intravedere alcuna lungimiranza nel valutare l'efficacia dell'utilizzo delle risorse e della loro programmazione. È evidente come sia necessario anche rimuovere gli ostacoli di natura culturale, ambientale e sociale che ancora tengono lontani i capitali privati, al fine di promuovere una vera economia di mercato che confermi quei pallidi segnali positivi di crescita che, però, ci sono e abbiamo evidenziato, ma non possiamo continuare ad avallare provvedimenti tampone.

Il Paese, e il Mezzogiorno più che mai, chiede davvero riforme strutturali che coinvolgano tutte le categorie, disoccupati, lavoratori, imprenditori e professionisti. Alla luce di ciò, il provvedimento al nostro esame non basta e rischia di trasformarsi nell'ennesima occasione persa per un territorio che ha bisogno di promuovere una vera economia di mercato, che confermi quei pallidi segnali positivi di crescita, e trovare la giusta valorizzazione, che manca oramai da troppo tempo. Volevo rispondere, volevo fare un piccolo accenno a quello che diceva prima il relatore, il collega del PD, che dice che non dovremmo perdere la grande occasione della via della seta di questi investimenti.

La notizia - vorrei darla al collega del PD - è che i giochi sembrano fatti e sembra che da questi giochi sia proprio stato escluso il Sud. Inoltre, non si può pensare di fare una misura per il Mezzogiorno senza considerare quelle che sono le dinamiche attuali, strutturali della popolazione di quei territori. Vogliamo evidenziare che, per fortuna, è stato abbandonato lo stereotipo della donna meridionale, casalinga e prolifera, ma siamo passati all'amara realtà delle giovani generazioni meridionali che non fanno più figli, perché non sono occupati, perché sono privi di un sistema di welfare. Solo il 5 per cento dei bambini è accolto dagli asili nido al Sud. E questo si scarica sulle giovani generazioni, sulle donne cittadine del Sud. Queste sono state penalizzate dal godimento di alcuni diritti e nell'offerta di servizi in istruzione, salute, sicurezza, trasporti e servizi sociali.

Le ricadute non solo riguardano le condizioni di vita dei cittadini, ma si riflettono sullo svolgimento delle attività economiche. Ecco, senza partire dalle attuali condizioni del Mezzogiorno, dei concittadini, dalle occasioni perse, di un futuro da ricostruire e di nuovi patti sociali da creare con una parte del Paese, che è sempre più lontana dall'altra, occorre ripensarlo in una struttura comprensiva dell'Italia, non a sé stante e lontano dalla stessa, e programmare il Meridione, il Mezzogiorno con il settentrione, con il Nord-Italia, anche nell'ottica di vincere la sfida contro l'Europa e con l'Europa. Iniziamo a pensare ad un Sud che possa essere non assistito, ma ad un Sud che deve comunque continuare a credere nei propri giovani, ma dovrebbe far tornare quelli che se ne sono andati, perché, è vero, diamo incentivi e diamo speranza a chi resta nel Sud, ma dovremmo anche far ritornare quei ragazzi che per la crisi se ne sono andati, che hanno acquisito nuovo know-how, reinserirli nei nostri territori e fare in modo che, sinergicamente e senza contrapporre categorie o generazioni, si possa costruire un Mezzogiorno e un'Italia diversa (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Il Popolo della Libertà-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Ministro, Presidente, colleghi, siamo davanti all'ennesimo decreto, all'ennesima fiducia e, direi, da questo punto di vista, a un'ennesima operazione che mette troppa carne al fuoco, per cui non so quanto delle belle promesse contenute nel decreto di fatto si tradurranno in azioni concrete. Questa è forse la cosa che ci dispiace di più, perché il Meridione avrebbe meritato un'attenzione controllata e selettiva su pochi punti; ma su quei punti non bastava fare un decreto, occorreva predisporre le azioni tali da garantire il raggiungimento degli obiettivi entro, per lo meno, i margini di questa legislatura, nel senso di processi che si attivano perché poi diano i frutti che possono dare.

Viceversa questo è l'ennesimo decreto-legge omnibus, in cui c'è di tutto e di più, per cui è francamente difficile immaginare cosa di tutto ciò si potrà tradurre in interventi concreti.

Per quello che mi riguarda io mi soffermerò soprattutto sui primi due articoli, che sono gli articoli che riguardano i giovani, perché ritengo questa la vera emergenza-Paese. Lo farò partendo dal quadro di riferimento che è stato in qualche modo disegnato con il nuovo rapporto Svimez, nel quale si afferma: Il Mezzogiorno è ormai la più grande area sottosviluppata di tutta l'Europa occidentale: con i suoi 20 milioni di abitanti, è due volte la Grecia, il doppio del Portogallo. Fino a non molto tempo fa vi erano ampie regioni della Spagna e del Regno Unito, della Germania in condizioni paragonabili al nostro Sud: ora non più. Due anni or sono un rapporto Svimez fece scalpore, rivelando a tutti questa cruda realtà. Molto più recentemente Giuseppe Provenzano, che è il vicedirettore dello Svimez, ha affermato un'altra cruda realtà: dal 2002 al 2015 sono emigrati dal Mezzogiorno 1.751.000 persone, di cui 312.000 laureati. Al netto dei ritorni, il Sud ha perso 716.000 persone, di cui 519.000 giovani tra i 15 e i 34 anni, con un'emorragia netta di 147.000 laureati. Questa per me è una vera e propria emorragia di talenti, emorragia di capacità, emorragia di energie giovani con le quali ricostruire il Paese e dare l'avvio a quella ripresa dello sviluppo che tutti sogniamo per lo meno in modo intensivo da una decina d'anni, da quando è scoppiata la crisi che ancora in realtà non vede il suo punto di arresto.

Nel 2016 si è avuta un'ulteriore conferma. Infatti, per esempio, proprio a proposito della crisi demografica nelle regioni meridionali cui pure si sono riferiti i miei colleghi intervenuti prima, insorta nei primi anni 2000 e aggravatasi nel corso della pesante recessione economica: il Sud non è già più un'area giovane, né tanto meno il serbatoio di nascite del resto del Paese, e va assumendo tutte le caratteristiche demografiche negative di un'area sottosviluppata, senza mai essere stata realmente ricca, o perlomeno capace di dare ragione della sua autosufficienza. In base alle tendenze in atto, mentre la dinamica demografica negativa del centronord è compensata dalle immigrazioni dall'estero, da quelle dal Sud e da una ripresa della natalità, il Mezzogiorno resterà terra di emigrazione selettiva, specialmente di qualità, con scarse capacità di attrarre immigrati dall'estero, e sarà interessato da un progressivo ulteriore crollo delle nascite. Ovviamente in questo momento non consideriamo gli sbarchi in una sorta di immigrazione selettiva: consideriamo quell'immigrazione che resta nel Sud, e investe anch'essa con capacità e competenza. “Culle vuote e talenti in fuga”: così l'ha definito Dario Di Vico recentemente sul Corriere della Sera.

Nel 2015 il tasso di disoccupazione dei giovani da 15 a 24 anni è stato del 40,3 per cento, ma il record di disoccupati è nel Mezzogiorno con il 54,1 per cento, che in alcune regioni è diventato addirittura il 65,1 per cento: poco meno di 6 disoccupati sui 10, come è stato ripetutamente fatto notare, che cercano lavoro da oltre un anno. Il calo della disoccupazione di lunga durata interessa oltre la metà delle regioni e ha coinvolto soprattutto le donne.

Accanto all'esercito dei disoccupati c'è l'esercito dei giovani che non frequentano scuole di nessun tipo e non svolgono nessun tipo di lavoro: potremmo dire proprio la gioventù depressa, quella che avrebbe dovuto essere la meglio gioventù del Paese, e che invece è una gioventù che si trova in area di parcheggio da troppo tempo, per cui anche le competenze precedentemente acquisite sono competenze che stanno diventando velocemente obsolete. Una cifra pari al 24,7 per cento, ossia più di un quarto del totale: è questo il quadro che emerge dal rapporto Noi Italia reso noto dall'ISTAT. Nella categoria spiccano soprattutto le donne, e in particolare l'incidenza tra di loro è del 27,1 per cento. Ma è la Calabria la regione del Vecchio continente che nel 2016 ha fatto registrare il maggior tasso di disoccupazione giovanile, il 58,7 per cento: è quanto risulta sempre dai dati diffusi da Eurostat pochi giorni fa. Peggio della Calabria solo Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole che sono in terra d'Africa: quindi chi ci batte è solo quell'Africa alla quale la stessa Spagna non riesce ad arrivare per mobilitare interesse, capacità di sviluppo, perché chiusa in una depressione che forse è l'unica che ci supera.

Per contrasto (perché non si pensi che questi sono i dati nazionali, ma sono veramente i dati del Meridione, e proprio per questo hanno la maggiore gravità) la provincia autonoma di Bolzano, con un tasso di disoccupazione del 3,7 per cento, è l'unico territorio italiano ad essere rientrato nel gruppo delle 60 regioni europee che hanno fatto registrare una percentuale inferiore alla media.

E veniamo alla legge, veniamo al decreto-legge. Il suo articolo 1 comincia con incentivi per i giovani del Mezzogiorno, promuove la costituzione di nuove imprese nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia; e la misura denominata “Resto al Sud”, un titolo devo dire obiettivamente accattivante, interessante, è rivolta ai giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, residenti oppure disposti a trasferirsi entro sessanta giorni dall'inizio dei finanziamenti, e comunque impegnati a restare nel Mezzogiorno per tutta la durata del finanziamento. Perché, signori, anche questo si è dovuto scrivere nel decreto-legge: che non ci fossero i finanziamenti “mordi e fuggi”, prendo il finanziamento, incasso quello che devo incassare, dopo di che do vita ad una sorta di impresa fantasma e fuggo. Questa è anche stata la tragedia che sotto certi aspetti ha caratterizzato molti investimenti praticamente teorici, virtuali che sono stati fatti nel Sud, in parte spesi nelle prime azioni e in parte poi andati dispersi in altri rivoli.

Il comma 1 dice sostanzialmente questo: fronteggiare il problema dell'abbandono dei territori di origine e rilanciare l'economia, ponendo le basi per il radicamento di condizioni favorevoli allo sviluppo di una nuova cultura d'impresa. Non si tratta quindi di inserire imprese, ma anche di creare una mentalità diffusa, una nuova cultura di impresa: perché noi sappiamo come tra i principali ostacoli all'azione dei giovani in questi territori è quello che chiamiamo l'ostruzionismo burocratico, la difficoltà di fatto di venire a capo della complessa rete di norme fortemente contraddittorie tra di loro, che rendono molte volte difficile anche voler fare impresa nel Sud.

Il comma 2 fa un riferimento particolare ad un settore dell'imprenditoria, che è l'imprenditoria che ha come orizzonte quello dell'agricoltura. Sappiamo quanto la ricchezza, la diversità e anche l'eccellenza di prodotti dell'agricoltura del Meridione hanno dato vita invece ad abbandoni del territorio, per la scarsa remunerazione che c'è tra il prodotto sulla pianta e il prodotto invece nel negozio, spesso nel supermercato: alla disparità di guadagno che c'è tra l'uno e l'altro fa fronte la tentazione di abbandonare il territorio, proprio per la sproporzione assoluta che c'è tra la fatica di chi coltiva e la fatica di chi raccoglie, e poi dopo il vantaggio economico che in realtà risiede soltanto nell'ultimo distributore.

La creatività dei giovani, e perfino la genialità dei giovani del Sud, confermata dal successo che ottengono paradossalmente quando si spostano al Nord, o addirittura vanno all'estero, è uno degli elementi che deve farci riflettere: l'Italia è piena di giovani del Sud che, spostati nelle università, nelle industrie e nelle imprese, danno vita veramente anche a start up di altissimo profilo, e comunque ad un lavoro coerente, rigoroso, competente, onesto, altamente qualificato e innovativo. Peccato che quando restano giù questo è come se fosse un tesoro bloccato, che non si riesce proprio ad attivare e a mettere in movimento.

Il Sud per esempio è anche terra di turismo e di agricoltura: quest'ultima però richiede una cultura imprenditoriale nuova, nuove competenze, nuove tecnologie. Abbiamo parlato tanto quest'anno di industria 4.0: l'industria 4.0 dovrebbe stabilire la prima forte joint commission proprio con il mondo dell'agricoltura, per dare vita a prodotti che diventino redditizi anche sul mercato; altrimenti succede che finiremo col comprare prodotti che vengono da chissà dove, prodotti peraltro insapori, ma prodotti che non danno ragione di quella che è la qualità del prodotto che potrebbe far bene alla nostra salute, a vantaggio invece di prodotti che sono quanto meno insipidi, quando non meno funzionali ai nostri bisogni di salute.

L'ampliamento degli strumenti a disposizione dovrebbe potenziare la funzione dei consorzi, facilitando la costruzione di reti su cui scambiare conoscenze e servizi, senza snaturare però la finalità dei consorzi e la loro struttura mutualistica.

Ma questa volta l'obiettivo di “Resto al Sud” significa rivedere radicalmente la burocrazia amministrativa del Sud: è per questo che le reti di consorzio dovrebbero riuscire a contrastare quella sorta di molestia burocratica che rende impossibile anche alle maggiori e migliori intelligenze poter decollare con la freschezza e l'innovatività di cui sono portatrici.

Noi sappiamo perfettamente come la complessità burocratica diventi l'antisala di quella piaga fatta di clientelismo, di microcorruzione diffusa, di risposte che non arrivano, di permessi che si richiedono e che, a loro volta, richiedono progressive raccomandazioni per sdoganare una pratica, per venirne a capo. Quando il primo articolo di questo decreto-legge parla di cultura di impresa dovrebbe non solo fare riferimento all'imprenditore che crea impresa, ma dovrebbe fare riferimento a quel contesto in cui quell'impresa si va ad inserire, quel contesto che ancora oggi, insisto, fa di tutto per essere respingente.

Mi domando come si sia potuto creare tutto questo in un Meridione così ricco di storia, ricco di cultura, ricco di tradizione, e non mi riferisco al Meridione della Magna Grecia e nemmeno mi riferisco a quel rivalutato Meridione borbonico che, comunque, ha prodotto la Reggia di Caserta oppure a quelle altre imprese culturali che stanno diventando veramente fonti di reddito per un turismo culturalmente qualificato. Che cosa abbia potuto produrre questo impoverimento è un mistero che si tramanda di generazione in generazione, che, a volte, qualcuno fa addirittura coincidere con l'inizio del Regno d'Italia.

La verità è che bisogna dire “basta”: basta ad un Meridione che, in qualche modo, viene colonizzato da idee importate dal Nord che ben poco hanno a che vedere con le capacità e con le risorse che il Meridione sarebbe in grado di esprimere autonomamente. Chi lo ha detto che il Meridione d'Italia è sempre e comunque più arretrato rispetto al Nord? I dati dell'Osservatorio “Sos tariffe” evidenziano come ci siano tutte le condizioni perché le regioni del sud d'Italia diventino volano di sviluppo economico e tecnologico. Internet viaggia con una media di 5,3 rispetto al 4,9 delle regioni centrosettentrionali: l'analisi si basa su oltre 500 mila speed test effettuati nel portale degli ultimi tre anni. A guidare la graduatoria è vero che sono due regioni del centronord, la Toscana e la Liguria, ma subito dopo non solo c'è la Puglia, ma ci sono anche altre regioni, che hanno risultati migliori della Lombardia e del Veneto, per citarne soltanto due.

Il Sud non può essere condannato alla deindustrializzazione: deve poter diventare polo in grado di attrarre investimenti innovativi, come già accade per alcuni settori, come, per esempio, l'aerospazio. Per questo, dopo aver dato il via a progetti di ricerca e sviluppo di grande dimensione attraverso due decreti ministeriali - quello dell'Agenda digitale e dell'industria sostenibile, con cui sono stati messi a disposizione 400 milioni di euro su tutto il territorio nazionale - occorre rafforzare, e questo decreto lo fa, gli investimenti al Sud, partendo dal Mezzogiorno.

Il Sud dovrebbe affermarsi come una innovation factory in grado di attrarre e promuovere start up e investimenti innovativi connotati da un orizzonte competitivo globale, dai cui risultati beneficerebbe il sistema industriale di tutto il Paese, ma tutto questo - e concludo, Presidente -, è in mano alla nuova imprenditorialità giovanile, alla sua creatività. Io credo che questo decreto dovrebbe tradursi in queste parole: “lasciamoli fare”.

PRESIDENTE. Concluda.

PAOLA BINETTI. I giovani del Sud sono capaci di fare: lasciamoli fare, non imponiamo loro le nostre regole, i nostri criteri, le nostre esperienze, non imponiamo loro la vitalità del Nord.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Binetti.

PAOLA BINETTI. Lasciamo che loro siano capaci di dimostrare ciò che sono e sanno fare. Grazie, e mi scuso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cariello. Ne ha facoltà.

FRANCESCO CARIELLO. Grazie, Presidente, grazie al Ministro e anche ai colleghi relatori e della maggioranza. Questo decreto, a nostro avviso, è una normale amministrazione di risorse già stanziate, nulla di più.

Ho ascoltato con dedizione e con attenzione anche le relazioni del collega relatore Galli, del collega Misiani: naturalmente, è un'analisi articolo per articolo che, ad ascoltarla, non fa una piega.

Ci sono elementi sicuramente positivi, ci sono caratterizzazioni anche particolareggiate delle risorse destinate ad un Mezzogiorno che, ormai, ha assunto una caratterizzazione geografica, ma con riferimento al quale noi vogliamo capire - e sto cercando anche di comunicarvelo con questa mia relazione - qual è l'elemento di volta che in tutto questo, però, non funziona. Perché anni e anni di piani, di patti per il Sud, decenni dedicati a misure per il Sud come caratterizzazione geografica non hanno prodotto risultati: questo è evidente in tutte le statistiche.

La sintesi che abbiamo ascoltato è una sintesi per articoli, è una discussione che andava evidentemente fatta in Commissione. Ci si doveva confrontare su ogni singola norma di questo decreto e non è stato possibile. Non voglio ripetere quanto già è stato rilevato su alcuni aspetti legati alla posizione della fiducia e al fatto che qui, ormai, si lavora solo con un monocameralismo di fatto: un decreto arriva da un ramo del Parlamento e l'altro ramo lo deve ratificare così com'è. Discussione parlamentare e bicameralismo totalmente azzerati. Quindi, è una sintesi che non ci sentiamo di voler discutere e approfondire in questa sede, non è questa la sede in cui ci si deve confrontare sulle singole norme del decreto.

Il vero tema da trattare è il tema dello sviluppo delle aree del Mezzogiorno, anche se non ce n'è solo uno di Mezzogiorno in Italia: ormai aree che sono considerate Mezzogiorno, come mancanti di quella generazione di sviluppo economico nel nostro Paese ce ne sono tante. È una condizione di carenza di sviluppo per cui, appunto, decine e decine di Governi e anche di piani dedicati al Sud non hanno fatto altro che produrre delle acuità, delle differenze. I disagi di milioni di persone distinti per aree sottosviluppate: questo è il vero tema su cui ci dobbiamo confrontare.

Alla tradizionale periferialità di questo Mezzogiorno d'Italia si sono aggiunti altri Mezzogiorno: nelle aree montane del Nord, nelle aree appenniniche del centro Italia, nelle periferie anche delle grandi città, anche quelli sono Mezzogiorno, nelle aree rurali dimenticate, nelle isole. La gran parte dell'Italia soffre una progressiva emarginazione dovuta alla crescita dell'influenza della tecnocrazia, della burocrazia e della grande impresa che ad essa si allea. È questo il vero dilemma e il vero connubio che dobbiamo sradicare per un reale rilancio del Mezzogiorno e di tutti i Mezzogiorno d'Italia. Il male da combattere è proprio questo: la burocrazia.

Le misure “Resto al Sud” e i patti territoriali per il Sud non sono altro che un coacervo di tecnocrazia, sono la burocrazia che ammazza lo sviluppo. Tutte le politiche economiche propulsive non solo non hanno prodotto i risultati che promettevano, ma hanno acuito le differenze tra i tassi di sviluppo e i disagi delle aree meno fortunate. Le risorse destinate al rilancio sono state attratte solo e soltanto dalle grandi imprese e assorbite da quegli enti che creano quei colli di bottiglia inutili ed inefficienti proprio per la gestione di quelle stesse risorse. L'idea di rilanciare lo sviluppo sottraendo tasse e denari ad alcuni italiani per consegnarli ad altri oppure indebitando i nostri figli e arricchendo le imprese degli amici degli amici non poteva e non può produrre l'ulteriore arricchimento e il consolidamento di un reale strato sociale che lamenta la crescita. Il destino e il benessere del singolo cittadino non è che l'ultimo dei risultati che preoccupano questa classe politica e le lobby di affaristi che affollano i nostri Palazzi.

Non è credibile che si formino sufficienti posti di lavoro nelle imprese ad alta tecnologia e quasi completamente robotizzate se non si investe prima nella formazione, così come non si può credere che le migliaia di extracomunitari che attendono di essere integrati nella nostra economia, nella nostra società possano essere assunti da quelle imprese 4.0 su cui si va a concentrare particolarmente gli investimenti.

Il sistema grande industriale richiede competenze, che molti non hanno ancora nel nostro Paese, quindi forma, attorno a poche isole fortunate, un vuoto economico. Intere generazioni escluse dal mondo del lavoro imparano a vivere di espedienti e a odiare le istituzioni, perché questo è realmente quello che sta accadendo. Con questo tipo di decreto, con queste misure, non facciamo altro che allontanare il cittadino dalle istituzioni. Ci vorrebbe uno Stato che suoni alla porta del cittadino e gli spieghi come avviare, come intraprendere, come mettere a frutto tutta la sua volontà di intraprendere. Al contrario, solo l'autoimpiego può dare le risposte necessarie, quando, dove e come il cittadino in cerca di lavoro chiede, perché ce ne sono tanti di giovani con idee e con volontà di intraprendere. Noi dobbiamo restituire ad ogni singolo cittadino la sua dignità e la sua libertà di impresa e di lavoro. La centralità del singolo cittadino non è solo un radioso obiettivo da raggiungere, ma lo strumento più immediatamente spendibile per rilanciare l'economia e l'occupazione.

Ancora peggio è sentire in TV - anche qui dentro se ne è fatta menzione - dati che riportano un Sud in crescita addirittura, che l'economia al Sud sta ripartendo; io direi solo statisticamente, perché alcune imprese sopravvissute, supportate dalla politica a spese dei contribuenti, riescono fortunosamente ad allargare i propri ricavi. Ma dove sono questi dati reali? Queste notizie producono frustrazione in quel giovane che invece vede ancora difficoltoso poter aprire un'impresa: il suo commercialista che lo invita a porre con attenzione in essere la nascita di una nuova impresa, perché la burocrazia e il tempo che lui dovrà dedicare alla gestione dell'impresa lo assorbirà almeno per l'80 per cento; e non riuscirà a realizzare realmente quell'idea che lui vuole portare avanti. Quindi, ciò provoca frustrazioni e sensi di inferiorità che non hanno fondamento, e inducono anche a reazioni violente. Peraltro, senza un tessuto diffuso e capillare di piccole e medie imprese, di maggiore e migliore occupazione, come si può pensare alla crescita delle stesse grandi imprese, se non investiamo in quel piccolo tessuto di microimprese di cui è caratterizzata la nostra economia? Come si può anche pensare che anche la grande impresa cresca? Al più assisteremo, come assistiamo, alla forzata esportazione di prodotti e di interi stabilimenti all'estero, con ulteriore impoverimento reale della nostra Italia, mentre le statistiche continuano a dirci che sono sempre più ricchi. Queste sono offese alle nostre intelligenze e producono discredito verso le istituzioni e le imprese multinazionali.

Quindi, se è vero e comprovato che l'opera redistributiva dello Stato non ha dato risultati - perché questa è la realtà -, si deve smettere di credere che la maggiore spesa pubblica a carico del contribuente o a carico delle future generazioni possa essere la soluzione. Si deve togliere allo Stato tale diritto feudale di ipertassare alcune categorie per dare ad altri. Con questa politica si sono realizzati scempi incredibili, e si sono penalizzati i meritevoli per favorire i collusi.

Al contrario, si deve introdurre una maggiore libertà di impresa, per quelle aziende nascenti, per quei giovani che vogliono intraprendere. Li si deve accompagnare nelle prime fasi e nei primi anni di operatività, al fine di superare quel gap di competenza e di esperienza, che li destina invece al fallimento, rispetto ai grandi agglomerati industriali. Le imprese nascenti non vanno perseguitate, ma vanno consigliate. Lo Stato si deve fare partner di questi cittadini che vogliono intraprendere. Il vigile urbano non può essere un dipendente pubblico con il potere di far chiudere un'impresa, deve essere un consulente in grado di offrire consigli sulla legislazione vigente ed aiutare l'impresa nel rispettare quella legge per raggiungere i suoi obiettivi. Deve essere un informatore, un difensore del giovane che vuole cimentarsi nell'aprire una bottega, una bottega artigiana, un negozio, un'attività agricola. Mai più un suo nemico che viene perseguitato solo per far rispettare delle norme tecnocratiche! Mai più le istituzioni devono essere viste come nemiche da cui guardarsi! Mai più un cittadino deve essere privato del suo diritto a lavorare per ragioni burocratiche o legate semplicemente al rispetto di questa o quest'altra norma!

Il diritto di lavorare è un diritto originario e intoccabile. Questo è il meridionalismo vero, che sia il Sud Italia che tutti i Mezzogiorno d'Italia vogliono che in queste Aule venga rappresentato. Non vogliamo soldi, perché sappiamo che quella è carità voluta solo per incarnarla verso portafogli di quelle imprese attrezzate per intercettare quelle cifre. Non vogliamo che lo Stato continui ad andare con il cappello verso le autorità europee ad elemosinare flessibilità, cioè possibilità di scaricare sui nostri figli le politiche di spesa pubblica sballate.

Ognuna di queste parti d'Italia che oggi sono Mezzogiorno devono poter beneficiare di maggiore libertà di mettersi in proprio, di lavorare e intraprendere. Quindi, per tutti i Mezzogiorno d'Italia vogliamo che si restituisca, ai cittadini che operano nelle zone più svantaggiate, minore burocrazia e più presenza dello Stato, che si fa partner.

L'attenuazione degli effetti nefasti della dittatura della pubblica amministrazione è un percorso obbligato per evitare che la depressione economica crescente, che noi subiamo da decenni, si trasformi in un detonatore sociale. Questa è realmente la chiave di volta per lo sviluppo delle zone del Mezzogiorno d'Italia. Le dittature non sono mai state assolutamente un buon ingrediente dello sviluppo, nemmeno la dittatura della pubblica amministrazione; esse favoriscono sempre alcuni rispetto ad altri, sempre gli amici degli amici, o quelle sacche di potere che gestiscono tecnocraticamente i vari fondi; quello è il vero dilemma e il vero blocco allo sviluppo dell'Italia. Così, l'attuale dittatura della burocrazia assegna ricchezza e sviluppo solo a quegli amici, o ai collusi, in alcune situazioni.

Quindi, viviamo un'economia malata e duale. Questa storia deve finire per il bene dell'Italia, per i nostri giovani, per il bene delle future generazioni e perché si formi un modello per tutti i Mezzogiorno d'Europa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pili. Ne ha facoltà.

MAURO PILI. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, questo Governo ci ha abituato un po' a tutto in questi anni, e sicuramente i decreti d'urgenza, straordinari e omogenei, sono qualcosa di improbabile rispetto al percorso, l'excursus di questi ultimi anni.

In questo decreto il Governo si è superato: si è superato nella ricerca della straordinarietà dell'intervento, che non esiste; nella omogeneità, che è totalmente assente; e nell'urgenza, che è perenne rispetto ai temi di quest'area geografica, che viene sistematicamente utilizzata - e questa volta lo è ancora di più - per cercare di inserire, giustificare prebende, lobby e quant'altro.

All'interno di questo decreto sono ben indirizzate, inserite, a partire dalla questione dei rifiuti, che trovano - guarda un po' - nel decreto del Mezzogiorno l'ennesima norma derogatoria che va a coprire, a trasformare i rifiuti nocivi o tossici in qualcosa che può essere comunque gestito diversamente. Ebbene, questo Governo è riuscito in questo decreto a utilizzare la parola, il territorio, il soggetto Mezzogiorno per compiere quell'azione da Azzeccagarbugli che è notoria in questi anni, da parte di questa maggioranza, di questo Governo, ma che ha nel rappresentante del Governo oggi qui presente in Aula, il Ministro De Vincenti, l'esponente principale.

Una politica da Azzeccagarbugli che ha un excursus, che può essere enunciata passaggio per passaggio in questi anni, di assoluta incapacità di individuare una sola soluzione per i problemi che sono stati affrontati, o pseudo tali, da parte del Governo.

Cercherò con richiami documentali, con l'ausilio della Ragioneria generale dello Stato di rappresentare quello che realmente è il decreto-legge sul Mezzogiorno, pomposamente definito decreto sul Mezzogiorno perché presenta elementi che sono inequivocabili. Innanzitutto la copertura finanziaria: sistematicamente su tutti gli articoli del decreto-legge la Ragioneria dello Stato afferma che non comporta spese aggiuntive, non comporta nuovi oneri per lo Stato, è a costo zero. Quando si pensa di vendere, millantare, un decreto per il Mezzogiorno a costo zero già basterebbe questo per rappresentare ciò che il Governo ha davanti a sé come prospettiva strategica, economica, di visione per quest'area geografica non solo sociale, ma anche culturale del Paese. Aggiungo: intende il Governo ancora una volta mettere insieme il Mezzogiorno senza fare i distinguo, senza introdurre una logica che può essere quella che consente alla visione unitaria del Paese di non fare discriminazioni cioè la misurazione dei divari e i conseguenti riequilibri che sono indispensabili in una corretta pianificazione economica del Paese? No, si tenta ancora di elargire pesce e non canne da pesca, tentare la politica dell'assistenza piuttosto che l'incentivazione degli investimenti capaci di creare, questi sì, sviluppo, economia e conseguentemente occupazione e si tenta di perseguire ancora la logica desueta, ormai anacronistica, di politiche spot che hanno soltanto una parvenza di abbattimento di costo fiscale, poi lo vedremo nel dettaglio ma che, in realtà, invece non danno assolutamente alcuna risposta cogente né alle emergenze tanto meno sul piano della visione dello sviluppo di quest'area geografica del nostro Paese. Aggiungo che la misurazione dei divari era l'elemento cardine sul quale costruire un'azione sinergica di ottimizzazione delle risorse finanziarie del Paese, guardando quale è la distribuzione reale delle risorse anzitutto sotto l'aspetto degli investimenti infrastrutturali; capire se c'è, come ha dimostrato la Commissione infrastrutture di questa Camera, che c'è un divario delle risorse allocate più al centro e al Nord del Paese piuttosto che al Sud e vi è un divario infrastrutturale notorio sul piano dell'incidenza delle infrastrutture viarie, ferroviarie, portuali, degli interventi economico-sociali che sono stati messi in capo in questi anni. E c'è da stupirsi. Mi perdonerà e mi passerà il richiamo il Presidente della Camera: io mi sarei aspettato dal Presidente della Repubblica, che ha l'obiettivo, la missione dell'unità del Paese, unità che significa non discriminazioni e riequilibrio, da un uomo del Sud mi sarei aspettato una non firma del decreto-legge che è confuso, che è la rappresentazione di una visione bislacca del Mezzogiorno da parte del Governo, allo scopo di bloccarlo. Perché bloccarlo? Perché è a copertura zero. Che tipo di urgenza può avere un decreto-legge se non stanzia un euro, se non affronta alcuna questione strutturale del Mezzogiorno e non dà alcuna risposta su questo fronte? È evidente che, da questo punto di vista, il Governo ha buon gioco perché sino a quando il Capo dello Stato avallerà questo tipo di decreti è evidente che si potrà millantare di tutto e di più; il decreto-legge in esame con il Mezzogiorno non ha niente a che vedere perché ha una copertura zero e bisognava, invece, perseguire logiche e visioni che potessero abbattere, queste sì, i divari e le differenze strutturali, infrastrutturali, economico-sociali. Inoltre - vengo subito al dunque di alcune questioni cogenti - si afferma che nel Paese c'è l'emergenza siccità: sì, essa meritava e avrebbe meritato un decreto compiuto del Governo se esso ne avesse avuto la percezione, se avesse avuto la percezione di quanto sta accadendo dal Nord al Sud, passando per la Sardegna, arrivando alla Sicilia sul piano dell'emergenza idrica, della siccità, della situazione dei centri abitati sino ad arrivare alle campagne che non sono un elemento marginale dell'economia e della società.

Quando manca l'acqua nelle campagne manca a famiglie, a nuclei familiari ma manca all'economia e, quindi, vi è un degrado sociale che doveva essere affrontato. Ebbene cosa dice il decreto-legge? I 15 milioni stanziati due anni fa per i terremotati, per le aziende agricole dei terremotati, dovranno essere utilizzati anche per coloro che hanno subito danni sul piano della siccità in questa stagione primaverile ed estiva 2017. Sapete cosa dice la Ragioneria dello Stato? In ogni caso la norma non prevede un aumento del costo a carico dello Stato in quanto, una volta completato il processo di quantificazione dei danni relativi a tutte le calamità previste, si procederà al riparto proporzionale dei 15 milioni disponibili assegnando la percentuale spettante ad ogni singola regione. Di cosa stiamo parlando? Di quale decreto Mezzogiorno, di quale urgenza ed emergenza siccità stiamo parlando? Quindici milioni: lo dice la Ragioneria generale dello Stato, che mette, in maniera molto netta e molto chiara, la copertura zero sul piano della siccità. E quindi agli agricoltori dovete avere l'onestà di dire che devono contrapporsi ai poveri agricoltori terremotati, per i quali avete stanziato due anni fa 15 milioni (che evidentemente non gli avete ancora dato), e che oggi si trovano una concorrenza nel riparto, per giunta, a livello regionale. Quindi, non si misurerà il dato effettivo della siccità e del danno da essa provocato ed è questo un passaggio nevralgico che lascia capire quanto il Ministro Martina sia poco attento alle questioni dell'agricoltura e molto più proteso alle questioni di becera appartenenza politica, di lobby interne al suo partito. Lo vediamo imperversare in lungo e in largo in tutte le manifestazioni del suo partito: è evidente e il risultato è qui. Per gli agricoltori italiani e, aggiungo, per quelli sardi che sono doppiamente colpiti dall'alluvione, dal danno economico di essere una regione insulare sino alla siccità odierna, perché gli agricoltori sardi pagano molto di più di qualsiasi altro agricoltore italiano ed europeo nello svolgere la propria attività economica. È un dato evidente. Qui si parla di un costo proporzionale: a che cosa proporzionale? Ai divari, all'esigenza di riallineare i fattori principali della produzione, di rimettere i fattori elementari della produzione sullo stesso livello? No. Si dice: un riparto dei fondi stanziati due anni fa per i terremotati, gli agricoltori del terremoto, e da lì si riparte in tutta Italia. È questa la rappresentazione più bieca di cosa significa il decreto-legge Mezzogiorno: non ha niente di emergenziale, non ha niente di urgente perché, di fatto, non stanzia un solo euro per quella drammatica emergenza siccità che avrebbe comportato un decreto ad hoc in cui, per esempio, si abbattevano le tempistiche per fare le interconnessioni dei bacini, le interconnessioni dei comprensori irrigui, per consentire, in brevissimo tempo, di abbattere tutte le procedure necessarie per l'erogazione dei fondi, ad esempio quelli attesi da due anni per la politica di sviluppo rurale, e che, invece, sono bloccate e non hanno alcun tipo di azione perché, anche sul piano gestionale, sono accentrate a Roma, anziché sul territorio regionale. Ebbene, se questa è la logica, si spiega come sia stato possibile nell'articolo 3-ter, inserito al Senato, prevedere risorse straordinarie per l'integrazione salariale relative alle imprese operanti in aree di crisi industriale complessa. Quali sono queste aree? E ad esempio in Sardegna ce ne sono? Da quanto tempo la regione sarda ha chiesto l'individuazione di aree ad elevata crisi industriale complessa? Da almeno un anno e ad oggi non è arrivata una sola risposta. Quindi vuol dire che i lavoratori in cassa integrazione che hanno diritto soltanto a un anno non potranno usufruire di questa proroga di 24 mesi perché qui viene individuata una norma dove lo Stato è inadempiente perché non ha accolto tutte le richieste che, invece, potevano essere accolte. Ed è un passaggio eloquente così come lo è quello delle zone economiche speciali a costo zero.

Se uno va a prendersi la tabella della Ragioneria generale dello Stato capisce di cosa stiamo parlando cioè non vi è nessun tipo di risorsa finanziaria, nemmeno per il credito d'imposta, in quanto vengono prelevate da quel bancomat del Mezzogiorno, che era il Fondo di coesione economico-sociale, per cui si prelevano quelle risorse nel 2019 - 150 milioni nel 2019 -, che sono portate via al Mezzogiorno, per essere messe ed allocate, però, in politiche che puntano ancora una volta a favorire la centralità di determinate portualità a scapito di una visione dello sviluppo endogeno dei territori, funzionale, per esempio, all'abbattimento dei costi su quei settori produttivi che hanno magari maggiore specificità e interesse per quei territori.

Mi dico: ma perché in Sardegna dobbiamo focalizzare tutto su un porto canale piuttosto che pensare che, per esempio, sull'agricoltura e sul turismo si possa utilizzare il riparto di questo fondo del credito d'imposta assolutamente insufficiente e comunque sottratto ai fondi del Mezzogiorno? Perché non si può lasciare la libera scelta alla regione, per giunta speciale, autonoma della Sardegna, di decidere quali sono i poli dello sviluppo? Perché, se mi si dice che sono i porti e poi vedo l'attenzione che questo Governo ha messo, per esempio, sui porti, cercando di spostare l'asse soltanto su alcune portualità ed escludendone altre, i porti servono, sono funzionali, se c'è un entroterra economico che rende quei porti funzionali allo sviluppo, che sono, sul piano infrastrutturale, concepiti per dare risposte all'entrata e all'uscita, alla commercializzazione con l'import e con l'export.

Se tu realizzi una zona economica speciale, che è comunque circoscritta, che non si dice in maniera chiara se può essere estesa, perché, per quanto mi riguarda, il porto canale di Cagliari riguarda l'intera Sardegna e quindi l'intera Sardegna è zona economica speciale, deve essere intesa zona franca integralmente, perché vi sono condizioni di abbattimento fiscale necessarie per togliere quella discriminazione che deriva da un costo aggiuntivo del 40 per cento in più del costo di trasporto dell'energia sul piano economico generale. Quindi, non stiamo parlando di vantaggi o di fiscalità di vantaggio, stiamo sempre parlando di fiscalità di riequilibrio, sulla quale la Commissione europea non può aver niente da dire, se tu proponi la misurazione di quello che è il divario e tu dici: “lo voglio abbattere anche attraverso l'incentivo fiscale”. Aggiungo: all'incentivo fiscale servono incentivi reali, mi serve la fibra ottica, la banda larga, mi serve l'energia, che sia ad un costo - e poi lo vedremo nell'altro passaggio del decreto - compatibile con il mercato europeo, perché se in Sardegna l'energia, alla fine dei conti, perché manca il metano, costa il 30-40 per cento in più a tutte le imprese, è evidente che c'è una discriminazione, che va abbattuta anche con azioni che non possono essere limitate e circoscritte in un porto, ma che hanno bisogno di vedere quel porto come strumento dello sviluppo, più integrato col territorio stesso e questo è quello che voi concettualmente avete, invece, totalmente omesso in questo decreto.

Sull'istituzione delle zone speciali, mi permetto di richiamare soltanto un passaggio che è stato messo in chiaro dal Servizio studi: dite quali sono realmente le disposizioni fiscali che vengono concesse a queste zone speciali. Dice il parere del Servizio studi della Camera: tutto questo non è assolutamente chiaro, e anzi si dice, in maniera puntuale, “andrebbe maggiormente chiarita - leggo testualmente - l'effettiva portata normativa del riferimento all'obbligo per le imprese operanti nelle ZES di rispettare le norme nazionali ed europee, posto che non sembrano essere previste deroghe generali rispetto a tali disposizioni”. Lo dice l'Ufficio studi della Camera dei deputati, che vi dice: non avete compreso che su queste zone economiche speciali non c'è nessun ordinamento derogabile, non avete previsto nessuna norma derogabile rispetto anche alle norme comunitarie e nazionali, quindi l'ennesima bufala di questo Governo e del resto nella gestione che abbiamo avuto in questi anni del Ministero dello sviluppo economico nella parte, col Vice Ministro diventato poi Ministro, non poteva che essere diversamente.

Credo che faccia bene il Ministro ad allontanarsi, come è suo solito, dall'Aula durante il mio intervento, ma questo poco conta, perché è evidente che sarei arrivato al punto dei Patti per lo sviluppo, di cui lui ne è diciamo l'ispiratore.

Ha seguito la scaletta e ha capito che bisognava andare via, perché stava arrivando il momento dei Patti per lo sviluppo, ingegnerizzati da De Vincenti, il bluff totale della programmazione sulla programmazione della programmazione, con riferimento ai quali si dice, ed è nella sintesi di questo decreto: la procedura - che dovrebbe semplificare, perché, anche in questo caso, non stanzia nemmeno un euro -, prevede il pagamento del 50 per cento del costo realizzato all'atto del ricevimento della richiesta stessa, corredata da autocertificazione e quant'altro; il pagamento del restante 50 per cento del costo realizzato avviene entro 30 giorni dal ricevimento della richiesta.

Quindi, per uno che ha un minimo di dimestichezza con la procedura della pubblica amministrazione, ciò significa - ipotizzo - che ad esempio la regione Sardegna appalta un'opera, che è prevista in questo fantomatico Patto per lo sviluppo, ma non potrebbe appaltarla, se non avesse le risorse necessarie già allocate, e quindi sostanzialmente la regione appalta senza avere la disponibilità dei fondi e il Governo dovrebbe erogare il 50 per cento di quello che è stato realizzato, cioè l'impresa, che ha speso un milione di euro per realizzare quella porzione di opera, se ne vede pagati il 50 per cento, cioè 500.000 euro, in una prima tranche, e i restanti 500.000 euro, negli altri 30 giorni.

Io, che ho fatto il commissario governativo per molti anni, so che il commissario governativo, in procedure di emergenza e di opere pubbliche, disponeva l'intero ammontare e pagava anticipatamente l'impresa per consentire e per evitare blocchi sui cantieri, che sono proprio funzionali a queste lungaggini burocratiche, che vedono il Governo pagare le imprese che realizzano le opere. Da che mondo e mondo…C'è la direzione lavori che autorizza, che paga, che ha la regìa della procedura amministrativa. Qui si porta in capo al Governo, non lo stanziamento ma l'erogazione percentualizzata dello stesso, quindi, vuol dire, un ulteriore aggravio sul piano delle opere pubbliche e della tempistica della realizzazione di ciò che è necessario. Questa è un'ingegnerizzazione funzionale a mantenere i soldi in cassa, a mandare le imprese che operano nelle opere pubbliche a gambe all'aria, perché questa logica è sintomatica dell'atteggiamento del Ministero dell'economia, da una parte, e dello stesso Ministero, o pseudo tale, del Mezzogiorno, che non dà possibilità, per esempio, ai commissari governativi di avere le risorse sufficienti per gestire questa partita in maniera accelerata.

E poi il prode De Vincenti si inventa un'ulteriore conferenza: conferenza di servizi simultanea. Ma come? Perché ce n'era una dilazionata? Cosa significa “conferenza di servizi simultanea”? C'è o non c'è, in un'opera di questo patto, un responsabile del procedimento amministrativo? Ebbene, quando si vuole tentare di derogare alla logica aurea del sistema, della procedura, procedimentale della pubblica amministrazione, dove c'è un responsabile, e si inventa un'ulteriore conferenza di servizi simultanea, è evidente che siamo di fronte alla inconsistenza totale di quanto è stato pianificato nelle parole. Non esiste un decreto per il Mezzogiorno, non esiste un decreto di accelerazione, è semmai un decreto di rallentamento ulteriore delle risorse.

L'articolo 6-ter: “Misure per il completamento delle infrastrutture” stabilisce che gli eventuali ribassi d'asta rappresentano economie di bilancio e confluiscono nella quota vincolata del risultato di amministrazione; cioè vuol dire: la nostra pianificazione avviene attraverso le briciole o attraverso quegli appalti che sono stati forzosamente pompati per creare quelle sacche economiche e finanziarie all'interno dei capitolati d'appalto per poi gestirli in termini di ampliamento del lavoro da svolgere. In questo caso, il Governo dice: le prendiamo, senza aver verificato se l'opera è completata o meno, fa un'opera di prelievo automatico, di rideterminazione del quadro economico. Pensate voi, il Governo, che fa la rideterminazione del piano economico di queste opere.

E vengo all'ultimo passaggio, Presidente, quello dell'energia. Questo è uno dei passaggi più delicati. Il Ministro De Vincenti è andato via. Alla pari …

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Pili, siccome è la seconda volta che lo ripete, il Ministro De Vincenti è qui, nel senso che ci sono tutte le sue carte, ha avuto una esigenza, come può capitare a qualunque essere umano; è rappresentato il Governo, quindi è una polemica che francamente eviterei. Grazie.

MAURO PILI. Presidente, lei non può sindacare il fatto che io dica che il Governo è andato via. Conosco le ragioni per cui il Governo è andato via e le sto per enunciare.

PRESIDENTE. No, il Governo è andato via, glielo sto spiegando, si è assentato per ragioni tecniche; quindi, siccome lei sta ripetendo una polemica che non esiste, la pregherei di soprassedere.

MAURO PILI. E io ribadisco che il Governo, di fronte a questi temi, è sempre in fuga, e oggi lo è ancora di più; pari alla fuga messa in campo tre anni fa, quando De Vincenti, con l'allora Ministro Passera e qualche altro, vennero nel Sulcis a elargire risorse a piene mani, a promettere energia a basso costo per la ripresa produttiva di Alcoa, di EurAllumina, e furono costretti ad andare via in elicottero. L'elicottero dovette arrivare nella grande miniera di Seruci, caricarli e portarli via, perché, di fronte all'inconsistenza allora, dimostrata oggi, con questo decreto, che si tenta ancora di prendere in giro quei poveri lavoratori dell'Alcoa, della EurAllumina, con promesse che non esistono, con impegni che sono e dimostrano quello che sta avvenendo, e cioè si mette un articolo 8, comma 1-ter, dove si prevede il sistema di remunerazione della disponibilità di capacità produttiva di energia elettrica.

Qualcuno dei sodali del Governo ha detto: questo riguarda l'Alcoa, questo consentirà la ripresa produttiva dell'Alcoa. In realtà, De Vincenti, questo tipo di annunci, se uno prende Google, normale motore di ricerca, e scrive De Vincenti e Alcoa, si accorgerà che ogni luglio di questi ultimi quattro anni De Vincenti ha detto: ne riparliamo a settembre. A settembre ha detto: ne riparliamo sempre a gennaio. A gennaio ha detto: ne parliamo a luglio. A luglio: ne parliamo a settembre, ottobre. Il risultato è che siamo qui con l'ennesimo decreto, ancora una volta, si direbbe, marchiato a favore della ripresa produttiva dell'Alcoa.

Vorrei dire questo: non c'entra niente l'Alcoa, non c'entrano niente le industrie energivore, perché l'Italia ha presentato un piano di adeguamento per sopprimere gradualmente le riduzioni destinate alle imprese non ammissibili. C'è scritto nel piano energetico nazionale ed è la risposta che l'Italia ha dato alla Commissione europea, dove dice in maniera puntuale: l'Italia ha anche presentato un piano di adeguamento per sopprimere gradualmente le riduzioni destinate alle imprese non ammissibili, e quindi a quelle che non sono state ammesse sino ad oggi, e quindi Alcoa, quelle energivore e quelle che hanno utilizzato, per esempio, tutta la parte delle interrompibilità, che era uno strumento che serviva per compensare, per riequilibrare il costo energetico in funzione di un dato emblematico, per esempio, per le regioni insulari, la Sicilia e la Sardegna ne disponevano, poi è stata cancellata la Sardegna per varie ragioni, assolutamente inaccettabili, e oggi siamo di fronte a un quadro energetico nazionale che dice - e prendo sempre dal Piano energetico nazionale appena approvato dal Governo - che in Italia il costo di energia per le industrie energivore, contabilizzando il regime agevolato, oscilla tra gli 85-90 euro a megawattora, oggi.

In Germania, per le stesse industrie energivore, tra 40 e 45, ovvero la metà del costo italiano. Significa che questa ammissione di introduzione di una norma energetica nel piano per il Mezzogiorno ha soltanto una valenza, che è quella di recepire il richiamo sostanziale europeo che dice: dovete cambiare l'impostazione. E voi l'avete accettata pedissequamente, senza porre il tema del riequilibrio del costo energetico sul piano nazionale e sul piano europeo, e avete, ovviamente, detto che state valutando, per esempio, lo dico perché riproponete la partita dell'Ilva ancora una volta, di discutere ancora con la cosiddetta Sider Alloys la gestione di un altro impianto industriale importante sul Mezzogiorno, quello dell'Alcoa, dove la Sider Alloys ha chiesto l'energia a 19-30 euro, quindi un terzo di quello che sta pagando oggi. È evidente che tutto questo è assolutamente inaccettabile.

Concludo, Presidente: credo che questa sia la peggiore rappresentazione di un Governo che, ancora una volta, utilizza la parola Mezzogiorno per coprire azioni come quella dei rifiuti che vengono introdotti, vengono consentiti ai rifiuti non chiaramente identificati di essere definiti sicuri e consente di coprire tante altre azioni che vanno davvero a scapito di quella mancata discriminazione che il Governo dovrebbe perseguire e che, invece, oggi rafforza con questo decreto. Un decreto che non ha niente a che vedere con il Mezzogiorno, che non stanzia un euro, che non consente di dare quelle risposte che le aree del Paese, a partire da quelle regioni insulari dove l'insularità non è un vantaggio, è una discriminazione che andava colmata sul piano infrastrutturale, sul piano economico, sul piano sociale, e il Governo non fa niente su tutto questo, continua fare spot inconsistenti, senza risorse e senza prospettive.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ghizzoni. Ne ha facoltà.

MANUELA GHIZZONI. Grazie, signor Presidente. Le chiedo preliminarmente di poter consegnare il testo scritto del mio intervento.

PRESIDENTE. È autorizzata.

MANUELA GHIZZONI. Grazie. Signor Presidente, Ministro, sottosegretario e colleghi, poco più di un anno fa quest'Aula approvò all'unanimità una mozione a mia prima firma che individuava alcune iniziative atte ad agevolare l'accesso universitario ai giovani. Alcune di quelle misure, di quegli impegni, sono stati adottati qualche mese dopo nella legge di bilancio, vale a dire il potenziamento degli strumenti per il diritto allo studio, l'introduzione della no-tax area per gli studenti universitari a basso reddito e il calmieramento delle contribuzioni universitarie per quelli a medio reddito. Con il decreto in discussione oggi, un'altra delle iniziative citate in quella mozione viene assunta.

Mi riferisco alla revisione del cosiddetto costo standard per studente in corso. È un modello di calcolo, una formula, un algoritmo che è stato applicato nel triennio 2014-2016 per ripartire una quota del finanziamento statale alle università. Si tratta di cifre significative: siamo passati dai 980 milioni del 2014 a 1,2 miliardi del 2016. L'applicazione triennale di questo modello, che è un tema di frontiera per quanto riguarda il nostro Paese, ne ha messi certamente in luce i pregi, e i pregi sono riferibili alla trasparenza e alla oggettività dei criteri utilizzati per il riparto; però se ne sono evidenziati anche alcuni limiti. Innanzitutto, la bassa significatività quantitativa, rispetto ai divari territoriali che caratterizzano il nostro Paese, dell'addendo perequativo, che era stato voluto e inserito in legge proprio per compensare i differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui operano le diverse università.

Altro elemento, altro limite è l'esclusione dal calcolo del costo standard per studente degli studenti fuori corso. Non apro in questa sede, ora, la querelle su come conteggiare gli studenti in generale, però è ben vero che, soprattutto per il primo anno fuori corso e contrariamente a quello che già accade per tutto il sistema del diritto allo studio, anche per il tema delle contribuzioni universitarie a cui ho fatto riferimento prima, si considerano anche gli studenti al primo anno fuori corso che, di fatto, frequentano ancora le lezioni, stanno preparando le tesi, frequentano i servizi, segnatamente laboratori e biblioteche. Infine, ultimo limite è stato individuato nell'utilizzo della numerosità ottimale di studenti regolari per corso.

Una numerosità ottimale che viene utilizzata, è stata utilizzata per definire il costo standard della docenza. È un parametro teorico che non tiene conto, ovviamente, di alcuni elementi, di dati reali, come, per esempio, la consistenza demografica territoriale delle classi giovanili in quegli ambiti, della mobilità degli studenti universitari e delle carenze infrastrutturali delle aree, in particolare delle aree interne e marginali, tanto del Sud continentale e insulare quanto del Nord. In questo modo, però, si finisce per penalizzare proprio gli atenei che vivono e che operano in quelle aree del Paese, indipendentemente dalla qualità della loro didattica erogata, e indipendentemente, quindi, dal merito. Si faccia attenzione a questo aspetto, che appare tecnico, ma è squisitamente politico e di nostra competenza, perché il finanziamento che viene assegnato ad un ateneo statale ovviamente condiziona il raggiungimento dei suoi obiettivi, che siano obiettivi costituzionali, che siano quelli, invece, statutari oppure anche quelli decisi dagli organi di governo dell'ente stesso.

La determinazione dell'ammontare del finanziamento non può essere, quindi, affidata solo all'applicazione, alla mera applicazione di formule matematiche, magari basate su parametri teorici, per quanto oggettivi possano essere o possano apparire, ma devono essere ovviamente vagliati gli effetti rispetto agli esiti attesi dalle politiche universitarie nazionali.

La mozione a cui ho fatto riferimento all'inizio dell'intervento ha avviato una discussione importante, politica, pubblica e tecnica, sul costo standard; però, in realtà, è stato un ricorso, avviato dall'università di Macerata, ed è stato anche citato negli interventi precedenti, anche dal relatore Galli, che ha accelerato i tempi di un intervento di modifica legislativa. E, infatti, la recente sentenza della Corte costituzionale, che è stata depositata l'11 maggio del 2014, è intervenuta e ha dichiarato illegittimi due articoli, in particolare l'articolo 8 e l'articolo 10 al comma 1, del decreto legislativo che aveva il compito di attuare concretamente l'impianto del costo standard, mentre in realtà la parte applicativa, i metodi applicativi sono stati individuati con un decreto interministeriale. Il vulnus individuato dalla Corte - questo ci interessa - sta proprio nella prassi amministrativa utilizzata: non tanto quindi nel merito del costo standard, ma nel fatto che sia stato trasferito l'esercizio della funzione normativa dal Governo al singolo ministro, e si sia declassata la disciplina relativa al costo standard a delle fonti sub-legislative.

Il Governo quindi ha provveduto, ha messo mano, ha risposto ai rilievi della Corte e ha inserito in questo decreto-legge, in legge primaria, i criteri e le voci di costo sulla base dei quali sarà determinato il modello di calcolo sul costo standard. Non appaia incongruo l'inserimento di questa normativa, che riguarda, è vero, tutto il sistema universitario, in un provvedimento dedicato al Mezzogiorno, perché la revisione del costo standard (lo si vedrà nell'applicazione anche per le cose che dirò) andrà sicuramente a vantaggio del riparto degli atenei, a partire da quelli meridionali, perché c'è maggiore aderenza al dato reale e ai costi reali affrontati.

Il testo originario del decreto-legge è intervenuto innanzitutto sul meccanismo perequativo; e, come dicevo, per tenere in maggior conto i differenti contesti economici e territoriali in cui gli atenei si trovano ad operare, è stato stabilito che il peso dell'addendo perequativo potrà arrivare fino al 10 per cento del costo standard medio nazionale, prendendo a riferimento la capacità contributiva degli studenti tramite il reddito medio famigliare del territorio in cui opera l'ateneo stesso. Ed inoltre, è stato inserito (questa è una novità apprezzabile) un ulteriore importo di natura perequativa, sempre fino ad un massimo del 10 per cento, del costo standard medio nazionale, che prenderà a riferimento la diversa accessibilità di ogni università in relazione alla rete dei trasporti e dei collegamenti.

Un'altra importante novità, che era già inserita nel testo originario del decreto-legge, si riferisce al criterio per la determinazione del costo standard del personale docente, che è certamente il perno di tutto il sistema, ed ha riflessi anche su tutti gli altri addendi del costo standard. Si prevede infatti che, ai fini del calcolo del costo standard per studente, la numerosità standard degli studenti stabilita ai fini dell'accreditamento possa essere ridotta fino al 60 per cento del suo valore, abbassando concretamente questa numerosità ottimale degli studenti per classe. Questo significa in realtà che il costo effettivo della docenza può essere integralmente riconosciuto nel costo standard per studente, anche con classi più piccole rispetto a quelle previste a livello ottimale. In questo modo si dà una risposta per quei corsi di laurea o laurea magistrale che hanno una domanda di formazione più contenuta, inferiore rispetto alle classi ottimali, e questo accade segnatamente per gli atenei che operano nelle aree interne o insulari del Paese.

Questa riduzione graduata della numerosità standard degli atenei, di cui naturalmente si darà conto con dei provvedimenti appositi e un decreto ministeriale, tende anche a risolvere un altro problema che sta conoscendo il nostro Paese: poiché le numerosità standard sono diverse per le diverse aree disciplinari, cioè sono maggiori per le aree umanistico-sociali, minori per quelle scientifico-tecnologiche, si ottiene che a parità di docenti (per esempio, nove per le stesse classi) il costo standard della docenza per gli studenti delle materie umanistiche sia più basso di quello per le altre classi, segnatamente per quelle scientifiche; e con effetti evidenti nelle politiche degli atenei, tra cui le recenti introduzioni del numero chiuso ai corsi di laurea, per esempio, di ambito umanistico e la penalizzazione delle discipline umanistico-sociali dovuta a fattori algoritmici e non politici.

Su questo punto è intervenuto anche il Senato, con l'approvazione di una modifica molto importante, che tende a rendere ancora più cogente il principio di tener conto dei costi fissi reali di un corso di studi nella determinazione del costo standard. Quindi, dal 2018 il costo standard della docenza dovrà rimanere invariato, in aderenza alla realtà, tra una numerosità minima e una numerosità massima di studenti da stabilire con un decreto ministeriale.

Infine, il Senato ha introdotto un'altra importante modifica, vale a dire l'inclusione degli studenti iscritti al primo anno fuori corso nel calcolo del costo standard per studente di ateneo.

Mi avvio a concludere. Queste sinteticamente sono le modifiche positive che sono state apportate alla disciplina del costo standard. Io ritengo però che il passo successivo, ormai improcrastinabile, sarebbe un intervento organico di riordino complessivo delle modalità di finanziamento statale delle università, e abbiamo compiuto il primo passo: perché con un corretto metodo di calcolo del costo standard si determinerebbe in modo altrettanto corretto il fabbisogno da riconoscere a ciascun ateneo sulla base dell'offerta didattica e del numero degli studenti. Solo così il Fondo di finanziamento ordinario potrà recuperare quello che era il suo significato reale originario, cioè contribuire al finanziamento delle spese quotidiane; mentre altri fondi separati dovrebbero provvedere agli interventi di natura non ordinaria: ad esempio, quelli premiali, che ovviamente non possono essere consolidati nel tempo proprio perché sono premiali, e devono incentivare i risultati di migliore qualità nella ricerca e nella didattica. Altri fondi, ad esempio, potrebbero invece essere destinati al sostegno dell'innovazione e allo sviluppo degli atenei, che operano in quelle aree interne - lo ripeto per l'ultima volta - o in quei territori svantaggiati del Paese, in cui però costituiscono dei presidi sociali e culturali assolutamente irrinunciabili (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 4601)

PRESIDENTE. A questo punto devo chiedere al relatore se intende replicare. Non credo.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

CLAUDIO DE VINCENTI, Ministro per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno. Presidente, grazie a tutti i parlamentari che sono intervenuti, perché hanno portato elementi di riflessione, anche quando lo hanno fatto con accenti molto critici nei confronti di questo decreto-legge. Su questi elementi di riflessione, e in particolare sugli aspetti critici, mi permetterò di fornire alcune risposte.

Prima di tutto però mi consenta, Presidente, di ringraziare il relatore, l'onorevole Galli, la Commissione V tutta e il suo presidente per il lavoro fatto insieme, che è stato essenzialmente un lavoro di riflessione e condivisione delle indicazioni del decreto-legge, e anche appunto delle critiche che poi oggi abbiamo risentito riportate nell'Aula.

Mi fermo su questi aspetti critici, per dare alcune risposte puntuali. Prima di tutto, all'onorevole Pastorino vorrei dire che il piano periferie è una priorità del Governo, che è già stato varato dal CIPE, e che in ogni caso l'articolo 1 specifica che le risorse che si rendono disponibili per “Resto al Sud” sul Fondo per lo sviluppo e la coesione sono risorse aggiuntive rispetto a quelle già destinate al piano periferie, quindi che nulla tolgono alla sua realizzazione.

All'onorevole Bossa (mi sto soffermando in questo momento sull'articolo 1 in particolare, sempre ”Resto al Sud”) vorrei segnalare che la questione dell'età anagrafica è stata tenuta presente, ma che mentre in agricoltura la normativa europea consente di portare a 40 anni l'età per la tipologia di aiuti che viene data, ciò non è possibile in altri casi: questo è il motivo per cui si è rimasti sull'età anagrafica di 35 anni.

Vorrei, invece, sottolineare all'onorevole Labriola che, se legge bene il testo dell'articolo 1, scoprirà che stiamo parlando di spesa in conto capitale per “Resto al Sud” - finanziamento di investimenti, esclusivamente di investimenti, non vi è altra possibile utilizzazione di queste risorse - e che la logica è esattamente quella opposta al reddito di cittadinanza e, cioè, queste risorse vengono messe a disposizione dei giovani che nel Mezzogiorno vogliono fare impresa. Come diceva molto bene l'onorevole Misiani nel suo intervento, questo è un investimento sui giovani del Mezzogiorno, è un investimento sulle loro capacità, sulla loro voglia di prendere in mano il proprio destino ed è, appunto, il rovescio, l'esatto contrario del reddito di cittadinanza.

Questo lo vorrei dire anche all'onorevole Cariello, perché, quando l'onorevole Cariello nel suo intervento ha sottolineato che dobbiamo fare in modo che i cittadini possano esprimere le proprie capacità, ebbene è esattamente questo l'obiettivo dell'articolo 1, dell'articolo 2 e dell'articolo 3 del decreto-legge che stiamo discutendo. Credo che siano strumenti molto forti proprio di sostegno alla capacità di autodeterminazione dei cittadini e, in particolare, dei giovani del Mezzogiorno.

È stato, poi, osservato un altro tema, che è tornato spesso negli interventi di oggi, che è quello che diceva l'onorevole Pastorino: in fondo staremo solo spendendo fondi strutturali europei. No, onorevole Pastorino, il decreto destina al Mezzogiorno oltre 3,4 miliardi e nessuno di quei 3 miliardi e 400 milioni sono fondi europei, sono tutti fondi nazionali. Qui, a chi avesse notato in modo un po' singolare che il decreto è a costo zero per la finanza pubblica, faccio rilevare che questo è doveroso ai sensi dell'articolo 81 della Costituzione, cioè il decreto è coperto: quei 3 miliardi e 400 milioni sono interamente coperti con le risorse che lo Stato mette a disposizione per questi interventi.

Però prendo spunto dall'osservazione dell'onorevole Pastorino, perché qui c'è un luogo comune che va sfatato e che non riguarda solo il decreto, ma più che altro, complessivamente, le politiche di coesione. Spesso ci sentiamo dire che le politiche di coesione utilizzano solo fondi europei, qualcuno più cautamente dice prevalentemente fondi europei. Io ci tengo a sottolineare che è vero il contrario: complessivamente, ai fondi strutturali europei, di cui quasi la metà sono di cofinanziamento nazionale - parliamo di 73 miliardi nel periodo 2014-2020 -, aggiungiamo il Fondo di sviluppo e coesione, che è interamente nazionale e che, dopo l'aumento del Fondo stabilito con la legge di bilancio per il 2017, assomma a quasi 55 miliardi, 54,8 per la precisione: stiamo parlando di circa 128 miliardi di euro. Se sommiamo il Fondo di sviluppo e coesione al cofinanziamento nazionale sui fondi europei, di questi 128 miliardi, 86 miliardi sono del bilancio dello Stato nazionale italiano. In altri termini, più dei due terzi delle risorse della coesione sono risorse messe dal bilancio dello Stato. Ci tengo a sottolineare questo perché è ora di uscire da questo luogo comune.

Intendiamoci, è giusto che sia così, è bene che sia così, è bene che lo Stato nazionale metta tutte queste risorse per le politiche di coesione, però è bene sapere che è così, come è giusto, è esattamente così: sono risorse che i cittadini italiani, attraverso il bilancio pubblico, mettono a disposizione delle politiche di coesione.

L'onorevole Pastorino ha sottolineato che è stata soppressa la “regola Ciampi”: onorevole Pastorino, la realtà è un po' diversa. La “regola Ciampi”, in una forma forse più efficace, è stata rimessa in vigore in modo molto innovativo nel decreto-legge n. 243 dell'inverno scorso, sempre di interventi per il Mezzogiorno. Ricordo all'onorevole Pastorino che la “regola Ciampi” non ha mai operato, mai purtroppo - stiamo parlando della regola che riguarda le allocazioni delle risorse di bilancio ordinario in conto capitale -, e che fu definitivamente abbandonata nel 2009 dal Governo di allora. La “regola Ciampi” è stata riportata in auge, ripeto, con una formulazione innovativa proprio da questo Governo, dal Governo Gentiloni con il decreto-legge n. 243 dell'inverno scorso.

È chiaro che la regola è importante, stiamo procedendo al varo del DPCM applicativo, poi seguirà la direttiva del Presidente del Consiglio che individuerà le voci in conto capitale ordinarie su cui si fa la equidistribuzione sul territorio. È importante perché se i fondi ordinari sono equidistribuiti, questo significa che i fondi di coesione sono realmente aggiuntivi e svolgono la funzione, appunto, di sostenere il Mezzogiorno nel recuperare il divario che si è andato allargando fino al 2014.

Qui ho sentito da parte di diversi interventi richiamare dati anche molto difficili del Mezzogiorno e sono il primo a sottolinearli, perché il Mezzogiorno vive situazioni di sofferenza sociale ed economica molto forte, che si sono aggravate nei venti-trent'anni che vanno dalla fine degli anni Ottanta al 2014. Il divario si è allargato in quegli anni: quelli sono anni in cui la politica per il Mezzogiorno si appanna vistosamente e lascia il campo a una distribuzione di risorse alle regioni e agli enti locali senza un'azione forte di coordinamento da parte dello Stato centrale. In altri termini, lo Stato centrale rinuncia, dagli anni Novanta fino a tre anni fa, a svolgere una funzione decisiva di interlocutore forte delle istituzioni regionali e locali e che dà il disegno complessivo. Ma su questo tornerò fra poco.

La novità interviene con il Governo Renzi nel 2014 e, non a caso, il recupero dei fondi strutturali europei - lo ricordava l'onorevole Misiani nel suo intervento - avviene nel 2014-2015, quando recuperiamo un ritardo clamoroso accumulatosi in passato e che ci consente di chiudere, al 31 dicembre 2015, con il 101 per cento di fondi europei 2007-2013 utilizzati. E, poi, da lì parte una storia che non sto a ricostruire in questa sede, ma di cui dirò brevissimamente più avanti. E non a caso - solo per chiudere su questo punto - gli indicatori della Svimez, che ci raccontano una storia passata così drammatica e che, naturalmente, pesa ancora nel presente, i drammi ci sono tutti davanti, ci segnalano che dal 2015 il Mezzogiorno ha ripreso a crescere.

Segno “più” davanti a PIL, occupazione, investimenti ed esportazioni; il check-up Confindustria ci dice che, per la prima volta dal 2015, tutti gli indicatori rilevanti sono a segno positivo, e cresce più del Centro Nord, anche se ancora in modo insufficiente. C'è ancora molto da fare, però l'inversione di tendenza c'è stata e, come titola il rapporto Svimez, si è consolidata. Una riflessione che ho sentito fare da diversi onorevoli che sono intervenuti oggi è che il decreto, in realtà, sarebbe un decreto omnibus. Permettetemi di ripercorrerlo in modo rapidissimo - perché il relatore onorevole Galli lo ha già fatto in modo assolutamente egregio -, però vorrei sottolineare che stiamo parlando di un primo blocco del decreto che riguarda i giovani meridionali; l'investimento è su di loro, gli si mette a disposizione capitale, e quindi, anche se non hanno alle spalle una famiglia con mezzi significativi, è lo Stato che mette a disposizione le risorse per chi vuole fare impresa, per chi vuole mettersi in gioco. E poi, non solo capitale, ma pure, ove possibile, necessario, eccetera, anche terreni oggi abbandonati e incolti. Senza nulla togliere, onorevole Bossa, al tema delle bonifiche, che viene affrontato in modo molto forte nei Patti per il Sud, nel programma operativo del Ministero dell'ambiente che utilizza il Fondo sviluppo e coesione, nei programmi operativi nazionali e regionali - perché usano i fondi strutturali - e nel grande Piano contro il dissesto idrogeologico, che lei conosce molto bene, senza nulla togliere a questo, ci sono dei terreni abbandonati: il problema che si pone il decreto è come metterli a disposizione perché qualcuno possa utilizzarli e lavorarci sopra, produrre, valorizzare un bene del nostro Mezzogiorno.

Il secondo blocco di articoli, 3 e 4, riguarda le zone economiche speciali. Se nel primo blocco sosteniamo i giovani che mettono su nuove imprese, nel secondo blocco sosteniamo l'attrazione di grandi capitali, anche medi e piccoli, di attività economiche, ma portiamo l'incentivo economico a un livello che consente anche di attrarre importanti investimenti nei porti principali del Mezzogiorno, perché svolgano, come ricordava l'onorevole Misiani, la funzione che loro spetta all'interno della nuova centralità del Mediterraneo nei flussi commerciali internazionali. E qui abbiamo poi avuto miglioramenti in sede di Senato nella definizione delle zone economiche speciali, su cui adesso non è necessario che io mi lunghi.

Terzo blocco: le semplificazioni. Già sono state ricordate dal relatore le caratteristiche di queste operazioni. In particolare, ci tengo a sottolineare la messa a disposizione di un nuovo strumento di governance, di governance condivisa: il contratto istituzionale di sviluppo sta dando prova di sé eccellente nella situazione di Taranto, e viene appunto messo a disposizione anche di altre situazioni. A Taranto, su 882 milioni messi a disposizione per la piastra logistica, il risanamento ambientale e la riqualificazione urbana dell'area di Taranto sono già lavori in corso, cioè cantieri aperti - e in molti casi anche conclusi - per più della metà di quegli 882 milioni di euro, e questo a un anno e mezzo dall'istituzione del contratto istituzionale di sviluppo per Taranto. Qui vorrei segnalare all'onorevole Binetti , quando dice che non si sa bene cosa mai potrà tradursi in azioni concrete, che le azioni concrete sono già in corso, e lo sono da tre anni. In particolare, nell'ultimo anno e mezzo, il contratto istituzionale di Taranto; nell'ultimo anno, i dati dei Patti per il Sud - lo ricordava prima il relatore -; i lavori avviati, le risorse attivate e così via; il credito d'imposta, varato con il decreto-legge n. 243, anzi rafforzato con tale decreto-legge, i dati ci dicono che, dopo questa operazione che abbiamo fatto quest'inverno, oggi siamo di fronte a istanze, da parte delle imprese private, per utilizzare il credito d'imposta, per 800 milioni, che significano, dato l'effetto leva che ha il credito, nuovi investimenti nel Mezzogiorno per quasi 2 miliardi. Le azioni sono già in corso, e quando noi mettiamo nel decreto qualcosa, poi lo facciamo.

Ulteriori interventi: ricordo solo due cose, anzi tre, a cui tengo molto. La prima sono i programmi dell'Agenzia per le politiche attive del lavoro per la riqualificazione e la ricollocazione dei lavoratori di aziende in crisi, l'articolo 10. Credo che sia un segnale importante di ulteriore rafforzamento dell'Agenzia, che stava già svolgendo un ruolo eccellente. Sempre per ricordare le attività in corso: nei primi quattro mesi del 2017, la decontribuzione che abbiamo varato con la legge di bilancio per il 2017, che l'Agenzia per le politiche attive sta gestendo, ha prodotto, nei primi quattro mesi, 56.000 nuovi posti di lavoro di giovani occupati nel Mezzogiorno. E poi l'articolo 11, sulla povertà educativa: credo che sia un segnale molto forte. Qui noi diciamo alle scuole - coordinate naturalmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca - di mettere in campo progetti per affrontare, in aree segnate da esclusione sociale, il tema dell'abbandono scolastico e della povertà educativa, e finalizziamo una parte del Programma operativo nazionale 2014-2020, il PON scuola 2014-2020, a questo scopo.

Infine, il tema sollevato dall'onorevole Ghizzoni - di cui ho colto con grande apprezzamento l'intervento; condivido le indicazioni, anche di prospettiva, che ci ha fornito - sull'articolo 12, che ridisegna il Fondo di finanziamento ordinario basandolo sul costo standard, e che ha quegli effetti importanti che sono insieme di rigore nel vincolo di bilancio per le università - e uno dei significati del costo standard è proprio questo, cioè spingere le università ad una gestione rigorosa delle risorse - contemporaneamente individuando dei fattori di riequilibrio territoriale importanti per le università del Mezzogiorno, come quelli che ha richiamato l'onorevole Ghizzoni. Vi sono anche altre misure, e fin qui, se si dice che è un decreto omnibus, confesso che non riesco a capire perché si dica una cosa del genere: è un “decreto Mezzogiorno” in modo evidente. Dopodiché, con il consenso di tutti i gruppi parlamentari del Senato, abbiamo introdotto una norma sulle province - l'onorevole Misiani prima la richiamava - che aiuta le province in una fase di transizione, e che è stata quindi considerata comunque di rilievo, quindi meritevole di essere introdotta, e, aggiungo, richiesta in larga misura dalle Città metropolitane e dalle province del nostro Mezzogiorno.

Infine, l'altra norma molto importante, che può sembrare esterna alla tematica del Sud, quella del terremoto: io credo che nessuno si senta di dire che non meritavano di essere inserite. Ancora un'osservazione sull'intervento dell'onorevole Labriola, che diceva che sugli incendi boschivi noi ci limitiamo ad aumentare le pene: no, onorevole Labriola, se lei legge l'emendamento che il Governo ha presentato al Senato, e che trova nel fascicolo del decreto con gli emendamenti del Senato inseriti, vedrà che non stiamo aumentando le pene, ma stiamo facendo un'azione preventiva, che è esattamente il contrario dell'aumento delle pene. Ciò non perché non possa essere anche utile aumentare eventualmente le pene, ma perché in questo caso il punto chiave è tagliare le unghie agli estorsori, agli speculatori, a quelli che ricattano gli agricoltori nel nostro Paese e nel nostro Mezzogiorno.

Queste sono le norme che abbiamo presentato alla Camera. Dispiace che l'onorevole Labriola non sia più presente ma non fa niente: anch'io, come è stato notato, mi sono dovuto allontanare, succede.

Ultimo punto che vorrei toccare: diversi interventi hanno parlato di assenza di visione. Vorrei segnalare che, in passato, in quei venti-trent'anni in cui il divario si è allargato, oltre a distribuire le risorse senza prendersi la responsabilità da parte dello Stato centrale di contribuire a definire come venivano usate, sono state elaborate parecchie visioni in quegli anni. Ci sono stati convegni, ci sono stati disegni ma, quando i disegni e le visioni non diventano interventi concreti, non sono né disegni né visioni. Noi abbiamo scelto con il masterplan per il Mezzogiorno un approccio molto diverso. Abbiamo scelto un approccio in cui individuavamo i problemi da affrontare; mettevamo risorse e il sistema di governance, i patti per il Sud; varavamo, abbiamo varato e stiamo varando misure che affrontano i problemi e, via via che costruiamo queste misure, le inseriamo dentro una visione e un disegno. Dunque, quella visione c'è: è la visione di una nuova politica meridionalista - ne parlava prima l'onorevole Misiani - basata su un rapporto forte tra il Governo centrale e le istituzioni regionali e locali, ed è una visione non più disincarnata ma terribilmente reale: le cose si fanno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Con la replica del Ministro De Vincenti abbiamo concluso la discussione sulle linee generali. Passiamo ora al seguito della discussione del provvedimento.

(Posizione della questione di fiducia - Articolo unico - A.C. 4601)

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire la Ministra per i Rapporti con il Parlamento, senatrice Anna Finocchiaro. Ne ha facoltà.

ANNA FINOCCHIARO, Ministra per i Rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevoli deputati, a nome del Governo, autorizzata dal Consiglio dei ministri, pongo la questione di fiducia sull'approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell'articolo unico del disegno di legge n. 4601, di conversione del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, nel testo della Commissione, identico a quello già approvato dal Senato (Vedi l'allegato A).

PRESIDENTE. A seguito della posizione della questione di fiducia la Conferenza dei presidenti di gruppo è convocata alle 15 presso la Biblioteca del Presidente al fine di stabilire il prosieguo dell'esame del provvedimento. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 14,55, è ripresa alle 15,55.

Sull'ordine dei lavori, calendario dei lavori dell'Assemblea per il periodo 12-15 settembre 2017 e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa.

Comunico che, a seguito della odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è convenuto che le dichiarazioni di voto sulla fiducia sul disegno di legge n. 4601 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno (approvato dal Senato - scadenza: 19 agosto 2017), avranno luogo a partire dalle ore 13 di domani, martedì 1° agosto. Seguirà, a partire dalle ore 15, l'appello nominale.

Si procederà poi, entro la medesima seduta di martedì 1° agosto, alle ulteriori fasi di esame, sino alla votazione finale.

Il termine per la presentazione degli ordini del giorno è fissato alle ore 9,30 di domani, martedì 1° agosto.

Nella seduta di mercoledì 2 agosto, a partire dalle ore 9, avrà luogo l'esame della Relazione predisposta dalle Commissioni III (Affari esteri) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia alla missione internazionale in supporto alla Guardia costiera libica, adottata il 28 luglio 2017 (Doc. CCL, n. 2). Si procederà quindi, nella medesima seduta di mercoledì 2 agosto, e con eventuale seguito nella seduta di giovedì 3 agosto, al seguito dell'esame congiunto del conto consuntivo della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2016 e del progetto di bilancio della Camera dei deputati per l'anno finanziario 2017.

La Conferenza dei presidenti di gruppo ha inoltre stabilito che, dopo la pausa estiva, le Commissioni riprenderanno i lavori a partire dal 5 settembre. E' stato inoltre definito il seguente calendario dei lavori dell'Assemblea per il periodo 12-15 settembre:

Martedì 12, mercoledì 13 e giovedì 14 settembre (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nella giornata di venerdì 15 settembre) (con votazioni)

Seguito dell'esame della proposta di legge n. 3343 - Introduzione dell'articolo 293-bis del codice penale, concernente il reato di propaganda del regime fascista e nazifascista.

Seguito dell'esame della Relazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali e sull'attuazione degli statuti speciali (Doc. XVI-bis, n. 11).

Seguito dell'esame delle mozioni Rampelli ed altri n. 1-01582, Allasia ed altri n. 1-01549, Donati ed altri n. 1-01542, Della Valle ed altri n. 1-01565, Laffranco ed altri n. 1-01610, Palese ed altri n. 1-01640, Ricciatti ed altri n. 1-01641 e Abrignani ed altri n. 1-01672 concernenti iniziative relative all'applicazione della cosiddetta direttiva Bolkestein.

Seguito dell'esame della Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo sul fenomeno della contraffazione sul web (Doc. XXII-bis, n. 9).

Seguito dell'esame delle mozioni Carfagna, Lupi, Abrignani, Castiello, Cirielli ed altri n. 1-01557, Brignone ed altri n. 1-01661, Silvia Giordano ed altri n. 1-01665, Gadda ed altri n. 1-01666, Vargiu ed altri n. 1-01667 e Fossati ed altri n. 1-01669 concernenti iniziative in materia di raccolta e donazione dei farmaci non utilizzati.

Seguito dell'esame della proposta di legge n. 3960 – Modifiche al decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e delle federazioni sportive nazionali, e al decreto legislativo 27 febbraio 2017, n. 43, in materia di limiti al rinnovo delle cariche nel Comitato italiano paralimpico (CIP), nelle federazioni sportive paralimpiche, nelle discipline sportive paralimpiche e negli enti di promozione sportiva paralimpica (approvata dal Senato);

Seguito dell'esame delle mozioni:

Marcon, Duranti ed altri n. 1-01662 e Corda ed altri n. 1-01663 concernenti la situazione di crisi nello Yemen, con particolare riferimento all'emergenza umanitaria e all'esportazione di armi verso i Paesi coinvolti nel conflitto

Basilio ed altri n. 1-01081, Marcon ed altri n. 1-01673 e Gianluca Pini ed altri n. 1-01674 concernenti iniziative in materia di dislocazione, trasporto e acquisizione di armi nucleari in Italia

Seguito dell'esame della proposta di legge n. 4130 e abbinate – Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale, concernenti i delitti di frode patrimoniale in danno di soggetti vulnerabili e di circonvenzione di persona incapace.

Il programma dei lavori per il mese di settembre si intende conseguentemente aggiornato.

Nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicata l'organizzazione dei tempi per l'esame della Relazione delle Commissioni III e IV sulla deliberazione relativa alla partecipazione alla missione in supporto alla Guardia costiera libica, nonché per il seguito dell'esame delle proposte di legge n. 3343 e n. 4130 e abbinate.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Martedì 1° agosto 2017, alle 13:

Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 2860 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, recante disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno (Approvato dal Senato). (C. 4601)

Relatore: GIAMPAOLO GALLI.

La seduta termina alle 16.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: MANUELA GHIZZONI (A.C. 4601)

MANUELA GHIZZONI. (Intervento in discussione sulle linee generali – A.C. 4601). Signor Presidente, poco più di un anno fa, la Camera approvò – sostanzialmente all'unanimità – la mozione a mia prima firma che impegnava il Governo ad assumere specifiche iniziative per superare gli ostacoli che si frappongono tra i giovani e l'accesso al sistema universitario.

Dopo qualche mese, in occasione della discussione della legge di bilancio, furono attuati alcuni impegni di quella mozione. Da un lato, quelli connessi al potenziamento del finanziamento per il diritto allo studio universitario e al completamento e miglioramento dei suoi strumenti operativi. Dall'altro, quelli connessi alla riforma della contribuzione studentesca sulla base di una redistribuzione del carico contributivo, con l'introduzione della “no-tax area” per gli studenti provenienti da famiglie a basso reddito e patrimonio – cioè fino a 13.000 euro di ISEE – e un calmieramento della contribuzione per quelle a medio reddito e patrimonio – vale a dire da 13.000 a 30.000 euro di ISEE.

Un altro degli impegni della mozione viene ora attuato con il decreto sul Mezzogiorno oggi in discussione. Si tratta della revisione del cosiddetto “costo standard per studente in corso”, introdotto in forma di delega dalla legge n. 240 del 2010, attuato con il decreto legislativo n. 49 del 2012 e poi applicato per la ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università statali mediante gli algoritmi definiti dal decreto interministeriale n. 893 del 2014 (sui cui dettagli ritornerò tra breve).

Ricordo infatti che a legislazione vigente, il fondo di finanziamento ordinario, cioè quello trasferito dallo Stato alle università statali per affrontare le spese di funzionamento, una volta detratte le somme necessarie per interventi specifici previsti da disposizioni normative, è suddiviso in due quote: la “quota base” e la “quota premiale”. La quota premiale è assegnata sulla base delle valutazioni della qualità delle attività universitarie, principalmente la ricerca. La quota base è invece assegnata in parte con riferimento al finanziamento degli anni precedenti – la cosiddetta “spesa storica” – e in parte al costo standard per studente in corso. Per dare un'idea delle cifre in gioco, il fondo di finanziamento ordinario del 2016 ammontava a circa 6,9 miliardi di euro, la quota base a circa 4,6 miliardi e la quota premiale a circa 1,6 miliardi.

La parte della quota base assegnata in base al costo standard è, per legge, crescente negli anni. Così è stata del 20% nel 2014 (primo anno di applicazione), del 25% nel 2015, del 28% nel 2016. In cifre assolute il costo standard è stato utilizzato per ripartire circa 980 milioni nel 2014, 1.200 milioni nel 2015, 1.280 milioni nel 2016, cifre comunque decisamente significative del bilancio dello Stato e delle università.

Il primo triennio di applicazione del costo standard ne ha messo in luce i pregi, riferibili soprattutto alla trasparenza e alla oggettività dei criteri di riparto, ma ne ha evidenziato anche alcuni limiti, legati soprattutto alle modalità con cui esso è calcolato ateneo per ateneo.

Si faccia attenzione a questo aspetto, che non è tecnico, ma squisitamente politico. Il finanziamento assegnato ad un ateneo statale condiziona profondamente il raggiungimento dei suoi obiettivi, da quelli costituzionali a quelli statutari o definiti dai suoi organi di governo. La determinazione dell'ammontare del finanziamento non può quindi essere affidata alla mera e ripetitiva applicazione di formule matematiche basate su parametri teorici, per quanto oggettivi essi siano o appaiano, ma ne devono continuamente essere vagliati gli effetti rispetto agli esiti attesi delle politiche universitarie nazionali.

Quali sono, in sintesi, i limiti individuati dal Partito Democratico nello studio approfondito del decreto interministeriale del 2014 sul costo standard e riportati nella mozione del 2016? Tre sono i principali.

In primo luogo, l'efficacia dell'addendo perequativo introdotto nel calcolo per contemperare – secondo il disposto della legge – i «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università». Infatti questo addendo è risultato pesare in modo minimo sul costo standard, senza riuscire a livellare concretamente i ben noti, forti divari territoriali del nostro Paese. Per fare un esempio, rispetto alla Lombardia che è presa come regione di riferimento, l'addendo perequativo pesa meno del 6 per cento per la Sicilia e circa del 3 per cento per la Sardegna. Percentuali evidentemente molto al di sotto dei divari economici e infrastrutturali esistenti.

In secondo luogo, l'algoritmo che definisce il costo standard per studente ha come parametro principale, da cui dipendono quasi tutti gli altri, il costo standard (stipendiale) del personale docente. Il calcolo di questo costo standard dei docenti si basa a sua volta su un parametro teorico, vale a dire la “numerosità ottimale di studenti regolari per corso”: una numerosità definita dall'alto, senza che ne siano noti i criteri, che è eguale in tutti gli atenei italiani. Non tiene quindi conto della consistenza demografica territoriale delle fasce giovanili, della mobilità studentesca, delle carenze infrastrutturali delle aree interne e marginali, tanto del Sud continentale e insulare quanto del Nord, finendo col penalizzare gli atenei di queste aree del Paese indipendentemente dalla qualità della didattica svolta.

L'uso acritico di formule di questo tipo potrebbe alla lunga portare alla chiusura, in specifiche parti del Paese, di molti corsi di laurea a carattere specialistico, perché non raggiungono la numerosità ottimale degli studenti e quindi ricevono dei finanziamenti inferiori ai costi reali, con un effetto finale di concentramento delle attività universitarie in pochi atenei ubicati nelle regioni più ricche e meglio collegate. Non sarebbe, a mio parere, una situazione auspicabile, per nulla. Diventeremmo complici di una desertificazione dei talenti dei giovani e, di conseguenza, di una desertificazione di quei luoghi promotori di cultura e di progresso costituiti dalle università e dai centri di ricerca. Peraltro non sarebbe nemmeno auspicabile un'estrema frammentazione del sistema universitario – anche se, ricordiamolo, l'Italia ha tuttora un numero inferiore di università per popolazione rispetto agli altri grandi paesi – quanto piuttosto sarebbe semmai auspicabile un coordinamento dell'offerta formativa, almeno in ambito regionale, che risponda ai bisogni e alle attese dei giovani, delle loro famiglie, dei sistemi produttivi. Il riparto del finanziamento statale deve essere insomma equo e sostenibile insieme.

In terzo luogo, il costo standard fa riferimento solo agli studenti in corso, a differenza da quanto si prevede, da tempo, per il diritto allo studio e da quanto questo stesso Parlamento ha deciso per le recenti norme sulla contribuzione studentesca che richiamavo poc'anzi. In effetti la decisione di conteggiare solo gli studenti in corso deriva dalla legge 240 del 2010, che ha modificato la normativa precedente, a partire dalla prima in assoluto, cioè l'articolo 5 della legge n. 537 del 1993, che, istituendo il fondo di finanziamento ordinario, indicava tra i parametri di ripartizione gli “standard dei costi di produzione per studente”. Non può sfuggire come tra il 1993 e il 2010 si sia transitati da “studenti” a “studenti in corso”, circoscrivendo di fatto la platea degli universitari ad un suo sottoinsieme e forzando così la realtà. Né può sfuggire il fatto che è negli atenei meridionali che si concentra la maggiore percentuale di studenti fuori corso, con gli ovvi effetti negativi che seguono dal fatto che il calcolo attuale del costo standard non li contempla, sebbene costoro, soprattutto a ridosso della durata normale del corso di studio, siano ancora nella grande maggioranza studenti a tutti gli effetti che utilizzano i servizi universitari, frequentano corsi, biblioteche e laboratori, sostengono esami, preparano la tesi.

E' appunto su questi tre punti che la mozione dello scorso anno ha impegnato il governo ad intervenire.

Questa è la storia, necessaria – come sempre – a comprendere il presente.

La mozione parlamentare ha sollecitato una discussione pubblica e politica sul costo standard per studente, ma è in realtà un ricorso presentato dall'Università di Macerata sul riparto del 2014 che ha accelerato i tempi di un intervento di modifica legislativa. Infatti, partendo proprio da questo ricorso, una recente sentenza della Corte Costituzionale, depositata l'11 maggio 2017 e favorevole all'Università di Macerata, ha dichiarato costituzionalmente illegittimi gli articoli 8 e 10, limitatamente al comma 1, del decreto legislativo n. 49 del 2012, che ho richiamato poco fa. Stessa sorte ha quindi subito la disciplina del costo standard concretamente definita dal decreto interministeriale n. 893 del 2014, anch'esso già citato.

La Consulta ha individuato il vulnus di illegittimità nel trasferimento dell'esercizio della funzione normativa dal Governo, nella sua collegialità, ai singoli Ministri competenti, e nel declassare la relativa disciplina a livello di fonti sub-legislative (cioè il decreto interministeriale). In altre parole, la censura ha riguardato principalmente aspetti procedurali, collegati all'ormai usuale “decretazione a cascata”, con la quale si concentrano nell'atto finale, un semplice decreto ministeriale, scelte generali di natura strategica che dovrebbero essere riservate a normative gerarchicamente sovraordinate e sottoposte al controllo del Parlamento.

Un destino quasi annunciato. Già nel parere della VII Commissione del Senato sullo schema del decreto legislativo 49/2012 vi era un chiaro ed esplicito invito al Governo Monti ad individuare con maggior precisione le spese da includere nel computo del costo standard, i criteri di calcolo e quelli di ponderazione di ciascuna voce, ma l'invito non fu raccolto.

Mi si consenta a questo proposito una breve considerazione di carattere generale, alla luce della esperienza parlamentare fin qui maturata. La funzione di controllo sull'attività del Governo esercitata dal Parlamento è garanzia reciproca dell'equilibrio dei poteri e non interferenza. Sarebbe proficuo – come questa vicenda, determinata da un vizio dell'esercizio del potere legislativo delegato, dimostra chiaramente – se gli esecutivi, che nel nostro ordinamento sono più discontinui delle assemblee rappresentative, se ne facessero convintamente carico, proprio al fine di un maggior successo e consolidamento nel tempo degli obiettivi che essi stessi vogliono legittimamente raggiungere.

La Corte Costituzionale, peraltro, nella sentenza citata ha concluso che “tale declaratoria di illegittimità costituzionale non impedisce ulteriori interventi in merito del Parlamento e del Governo, sui quali comunque incombe la responsabilità di assicurare, con modalità conformi alla Costituzione, la continuità e l'integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali, indispensabili per l'effettività dei principi e dei diritti consacrati negli artt. 33 e 34 della Costituzione”.

Il Governo ha quindi provveduto, nel decreto al nostro esame, a rispondere ai rilievi della Corte riportando in legge primaria i criteri e le voci di costo sulla base dei quali, a decorrere dall'anno corrente, sarà determinato (ed eventualmente aggiornato) il modello di calcolo del costo standard per studente, nonché la quota di finanziamenti statali da distribuire in base a questo modello.

Non appaia incongrua la collocazione delle nuove norme in seno ad un decreto che contiene misure urgenti per la crescita del Mezzogiorno. Come ho già osservato, il sistema universitario è volano di tale crescita e quindi, se il nuovo modello di calcolo del costo standard avrà un impianto più attento ai divari territoriali, si determinerà un riparto delle risorse più coerente con i fabbisogni dei singoli atenei, a partire da quelli meridionali.

Le modifiche apportate al modello di calcolo dall'articolo 12 del decreto-legge sono rilevanti: alcune erano già presenti nel testo originario del decreto, altre sono frutto di emendamenti approvati durante l'esame del Senato, grazie anche ad un'approfondita analisi tecnica e politica approntata dalla Commissione Cultura di quel ramo del Parlamento.

Diamo ora uno sguardo sintetico ma dettagliato alle nuove norme.

Già il testo del decreto originario interveniva significativamente sul meccanismo perequativo ed è rimasto sostanzialmente invariato. Per tenere in maggior conto i differenti contesti economici e territoriali in cui gli atenei si trovano ad operare, è stato stabilito che il peso dell'addendo perequativo potrà arrivare fino al 10% del costo standard medio nazionale, prendendo a riferimento la diversa capacità contributiva degli studenti tramite il reddito medio familiare del territorio di pertinenza dell'ateneo, di norma quello regionale. Inoltre è stato introdotto un ulteriore importo di natura perequativa, sempre fino ad un massimo del 10% del costo standard medio nazionale, che prenderà a riferimento la diversa accessibilità ad ogni università in relazione alla rete dei trasporti e dei collegamenti.

Hanno certamente fondamento i rilievi mossi da chi sostiene che sarebbe stato preferibile correlare gli importi di natura perequativa a parametri interni al sistema universitario e non a condizioni esterne, come il reddito familiare o le infrastrutture. Ma adesso è urgente e necessario, già per la ripartizione del fondo di finanziamento ordinario del 2017, determinare forme di riequilibrio degli svantaggi territoriali. Peraltro nulla impedisce che, in futuro, si possa mettere mano e testa ad una diversa e migliore soluzione di questi problemi.

Un'altra importante novità del testo del decreto originario si riferisce al criterio per la determinazione del costo standard del personale docente, che abbiamo visto essere certamente il più significativo dal punto di vista quantitativo e con riflessi anche su tutti gli altri addendi del costo standard. Si prevede infatti che, ai fini del calcolo del costo standard per studente, la numerosità standard degli studenti stabilita ai fini dell'accreditamento possa essere ridotta fino al 60% del suo valore. Abbassare la numerosità ottimale implica che il costo effettivo della docenza possa essere integralmente riconosciuto nel costo standard per studente già con classi più piccole rispetto a quelle previste per l'accreditamento, tenendo quindi conto di quei corsi di laurea e di laurea magistrale che hanno una domanda di formazione più contenuta rispetto agli standard previsti dall'accreditamento, come quelli inseriti nelle aree interne e insulari del Paese.

La riduzione graduata della numerosità standard degli studenti tende inoltre a risolvere un altro problema di grande attualità. Essendo le numerosità standard differente per le diverse aree disciplinari (maggiori per le aree umanistico-sociali, minori per le aree scientifico-tecnologiche) si ottiene che, a parità di docenti, il costo standard della docenza per studenti delle materie umanistiche è più basso di quello per studenti delle materie scientifiche, con effetti già evidenti sulle politiche degli atenei, che non derivano da autonome scelte culturali ma dall'obiettivo di massimizzare gli effetti finanziari. Riducendo le numerosità standard in modo più flessibile si possono contrastare questi effetti, causa non ultima dell'introduzione del numero chiuso per questi corsi in molti atenei oltre che di un'inaccettabile penalizzazione delle discipline umanistico-sociali dovuta a puri fattori algoritmici.

Su questo punto è significativamente intervenuto anche il Senato con una modifica del testo originario che tende a rendere ancora più cogente il principio di tenere conto dei costi fissi di un corso di studi nella determinazione del costo standard. Con il nuovo comma 2-bis dell'articolo 12 si stabilisce infatti che, a decorrere dal 2018, il costo standard della docenza dovrà rimanere invariata, in aderenza alla realtà, tra una numerosità minima e una numerosità massima di studenti da stabilire con decreto ministeriale, e non ancorata al singolo valore della numerosità ottimale.

Un'altra importante modifica introdotta dal Senato stabilisce infine che il costo standard di ateneo, quello in base al quale si ripartisce la quota prevista del fondo di finanziamento ordinario, si ottiene moltiplicando il costo standard per studente per il numero degli studenti iscritti in corso o al primo anno fuori corso. L'aggiunta degli studenti del primo anno fuori corso è una positiva risposta alla maggiore gradualità nella considerazione dello status di studente che era stata richiesta dalla mozione approvata lo scorso anno.

Molto altro rimarrebbe certamente da fare, soprattutto nell'ormai improcrastinabile necessità di un intervento legislativo organico che riordini il finanziamento statale delle università. Se otterremo gradualmente un algoritmo corretto di determinazione del costo standard, ne verrà di conseguenza determinato in modo corretto il “fabbisogno” che andrebbe riconosciuto a ciascun ateneo sulla base della sua offerta didattica e del numero dei suoi studenti. Su questo aspetto è particolarmente interessante l'analisi della VII Commissione del Senato espressa nel parere al provvedimento al nostro esame, in una sorta di staffetta con la mozione approvata dalla Camera.

Si tratta di una elaborazione genuinamente “politica” del costo standard universitario che porta al concetto di “fabbisogno” standard di ateneo, con significato diverso da quello normalmente utilizzato per la finanza pubblica. Si tratta cioè di dargli il senso di “costo standard di funzionamento di ateneo”, almeno per quanto riguarda la didattica, al quale, pur tenendo in considerazione la contribuzione studentesca, divenuta in Italia veramente molto elevata nei confronti internazionali, lo Stato dovrebbe provvedere in via ordinaria per quanto concerne le università statali. Solo così il fondo di finanziamento ordinario potrà recuperare il suo significato reale originario, persino dal punto di vista lessicale.

Provvedano invece altri e separati fondi statali agli interventi di natura non ordinaria, destinati, ad esempio, alle finalità premiali e quindi non consolidabili automaticamente nel tempo, per incentivare i risultati di migliore qualità ottenuti dalle università nella ricerca e nella didattica, al sostegno di programmi nazionali di innovazione, all'investimento nello sviluppo di atenei che operano in aree interne o a territori svantaggiati del Paese, in cui costituiscono presidi sociali e culturali irrinunciabili.