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Temi dell'attività parlamentare

Politica economica e finanza pubblica
Commissione: V Bilancio
Finanza regionale e locale
Il previgente patto di stabilità interno delle regioni e degli enti locali

Il patto di stabilità interno ha rappresentato lo strumento attraverso il quale le regioni e gli enti locali, a partire dal 1999, sono stati chiamati a concorrere al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea, con l'adesione al patto di stabilità e crescita. L'introduzione nella Carta costituzionale del principio del pareggio di bilancio ha comportato il superamento del patto di stabilità interno.

 
Dal patto di stabilità interno al pareggio di bilancio
  • 1 risorsa web
13/02/2017

Lo strumento prioritario cui il legislatore ha affidato, a partire dal 1999, il compito di stabilire obiettivi e vincoli della gestione finanziaria di regioni ed enti locali, ai fini della determinazione della misura del concorso dei medesimi al rispetto degli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione europea in termini di indebitamento netto e di rapporto debito/PIL, è stato, fino all'anno 2015, il patto di stabilità interno.

L'obiettivo primario delle regole fiscali interne dettate dal patto di stabilità interno è stato, dunque, il controllo dei disavanzi degli enti territoriali ai fini del contenimento del disavanzo complessivo, perseguito attraverso l'individuazione di obiettivi programmatici finanziari per gli enti territoriali, declinati ogni anno in modo diverso.

Richiamandosi ai lineamenti del patto di stabilità e crescita, le regole del patto di stabilità interno - formulate annualmente in sede di manovra di finanza pubblica ed inquadrate quali princìpi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica nell'ambito del quadro del titolo V della Costituzione – hanno fissato obiettivi quantitativi relativi alla gestione finanziaria degli enti territoriali, in particolare, attraverso l'imposizione di tetti alla crescita del disavanzo e/o delle spese a carico delle amministrazioni locali, funzionali al raggiungimento dell'obiettivo di saldo complessivo del Paese, nonché a definire procedure di monitoraggio e di controllo degli andamenti finanziari, prevedendo inoltre sanzioni nei confronti degli enti per l'eventuale inadempimento.

In linea di massima, nonostante le continue riscritture della disciplina applicativa, l'impostazione del patto di stabilità interno è stata incentrata per le regioni sul principio del contenimento delle spese finali e per gli enti locali sul principio del controllo dei saldi finanziari (fatta eccezione per gli anni 2005 e 2006, in cui anche per gli enti locali si è preferita una impostazione basata sul controllo della dinamica della spesa). Il vincolo al miglioramento dei saldi imposto agli enti locali è risultato, infatti, più funzionale all'impegno di riconoscere al contempo a tali enti una maggiore autonomia tributaria, pur responsabilizzandoli nella gestione finanziaria in relazione ai vincoli finanziari derivanti all'Italia dalla sua partecipazione all'Unione europea.

Nel corso degli anni, la disciplina del patto di stabilità interno ha conosciuto numerosi adattamenti rispetto all'impianto originario, per quanto riguarda la tipologia delle amministrazioni interessate, la definizione degli obiettivi da raggiungere e la struttura delle misure premiali e delle sanzioni. La definizione delle regole è stata, di fatto, rivista ogni anno, in un processo di graduale affinamento, nel tentativo di contemperare la crescente autonomia finanziaria degli enti territoriali con il rispetto dei vincoli di bilancio concordati in sede europea e superare le criticità connesse ai meccanismi stessi di definizione degli obiettivi finanziari del patto e alla diversa distruzione del peso complessivo dei vincoli fra gli enti territoriali, anche sulla base del concetto di virtuosità.

L'obbligo di partecipazione delle regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica ha assunto valenza costituzionale con la riformulazione dell'articolo 119 della Costituzione - operata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale - il quale, oltre a specificare che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni), è assicurata nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, prevede al contempo che tali enti sono tenuti a concorrere ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.

Nel dare attuazione all'articolo 119, primo e sesto comma, della Costituzione, la legge 24 dicembre 2012, n. 243 reca al capo IV le disposizioni per assicurare l'equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali (art. 9) e il concorso dei medesimi enti anche alla sostenibilità del debito pubblico (art. 10).

L'introduzione nella Carta costituzionale del principio del pareggio di bilancio ha comportato il superamento del patto di stabilità interno – le cui modalità applicative avevano, peraltro, nel corso del tempo, evidenziato limiti e criticità, prima fra tutti la forte compressione delle spese in conto capitale che ne era derivata -, sostituito dal nuovo vincolo del conseguimento del pareggio di bilancio.

Per le Regioni a statuto ordinario la regola del pareggio di bilancio, sebbene con norme transitorie, è stata introdotta già a partire dall'esercizio finanziario 2015 dalla legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), mentre per gli enti locali la nuova regola s è applicata a partire dall'anno 2016, con la legge n. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016).

Con la legge di bilancio per il 2017 (legge n. 232/2016) è stata definita una disciplina a regime del pareggio di bilancio sia per le regioni che per gli enti locali, ai sensi dell'articolo 1, commi 463-484, in attuazione dell'articolo 9 della legge n. 243/2012.

Documenti e risorse WEB
 
Le regole del patto per le regioni
13/02/2017

La disciplina del patto di stabilità interno per le regioni, è stata per lo più incentrata sul controllo della spesa finale, introdotto a partire dal 2002.

Fino all'esercizio 2010, a ciascuna regione è stato richiesto, per ciascun esercizio finanziario, di ridurre di una determinata percentuale il complesso delle spese finali (articolo 77-ter del D.L.112/2008 per gli esercizi 2009 e 2010). A partire dal 2011, (prima con la L. 220/2010, articolo 1, commi da 125 a 150, e poi con la L. 138/2011, art. 32) il risparmio richiesto alle regioni, pur calcolato sempre sul complesso delle spese finali (da questo esercizio distinte in termini di competenza e di cassa), è stato annualmente determinato in misura tale da coprire il taglio di risorse effettuato nell'ambito delle manovre finanziarie di risanamento dei conti pubblici.

La legge di stabilità per il 2013 (L. n. 228/2012, art. 1, commi 448-472) ha poi inserito una nuova modalità di calcolo delle spese finali sottoposte al vincolo del patto, definita competenza euro compatibile, volta a rendere le modalità di computo della spesa finale più coerenti rispetto alle elaborazioni sull'indebitamento netto delle regioni calcolate secondo il sistema europeo dei conti, e per meglio garantire, pertanto, l'efficacia del patto di stabilità in termini di indebitamento netto.

Il complesso delle spese considerate in termini di competenza eurocompatibile è stato costituito da:

  • gli impegni di parte corrente al netto dei trasferimenti, delle spese per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente;
  • i pagamenti per trasferimenti correnti, per imposte e tasse e per gli oneri straordinari della gestione corrente;
  • i pagamenti in conto capitale escluse le spese per concessione di crediti, per l'acquisto di titoli, di partecipazioni azionarie e per conferimenti.

Dal complesso delle spese, calcolato come sopra descritto, sono state escluse determinate tipologie elencate dalla legge (L. 183/2011, art. 32, comma 4). In particolare, sono sempre state escluse dal patto le spese per il finanziamento del servizio sanitario nazionale; tali spese, tuttavia, sono state sottoposte ad una specifica disciplina di contenimento concernente il controllo della spesa sanitaria. In altri casi si è trattato di spese destinate a finanziare funzioni che la legge ha attribuito alle regioni come, ad esempio, nel caso delle spese finanziate dal fondo per il trasporto pubblico locale e ferroviario o delle spese inerenti il finanziamento delle scuole non statali attraverso il contributo concesso dallo Stato. Altre esclusioni di spese sono invece state autorizzate al fine di favorire specifici territori, come il caso delle attività di ricostruzione nelle zone colpite da sismi o la prosecuzione degli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico.

Sono state escluse, infine, anche le spese per la concessione di crediti e le spese per interventi cofinanziati dall'Unione europea, per la sola parte di finanziamento europeo. Per gli anni 2012, 2013 e 2014 è stata inoltre prevista l'esclusione dal computo delle spese rilevanti per la verifica degli obiettivi del patto, delle spese per cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali comunitari, sebbene entro un limite di spesa predefinito (1 miliardo per ciascun anno, aumentato a 1,8 miliardi per il 2013 dal decreto legge 35/2013 nell'ambito delle misure volte ad accelerare la liquidazione dei debiti di conto capitale accumulati dagli enti territoriali nei confronti delle imprese).

Per le regioni a statuto speciale e le due province autonome di Trento e di Bolzano la disciplina del patto di stabilità si è discostata dalla disciplina 'ordinaria' per la necessità della definizione di una intesa tra ciascun ente e il Ministero dell'economia e delle finanze per determinare la misura e le modalità del concorso di ciascuna regione agli obiettivi del patto di stabilità. Al pari degli altri enti territoriali, infatti, esse sono assoggettate agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dalla legge che determina, altresì, la misura complessiva del risparmio da realizzare. Tuttavia, in ragione della particolare autonomia di cui esse godono, sancita da norme di rango costituzionale, la legge prevede che l'obiettivo specifico di ciascun ente venga concordato ogni anno con il Ministero. Le regioni a statuto speciale che esercitano in via esclusiva le funzioni in materia di finanza locale, vale a dire quelle che provvedono alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio (Friuli-Venezia Giulia, Valle d'Aosta, Province autonome di Trento e di Bolzano) sono altresì competenti per la definizione della disciplina del patto di stabilità per gli enti locali dei rispettivi territori; qualora la regione non provveda, si applicano le regole generali.

Il concorso agli obiettivi di finanza pubblica è senz'altro un obbligo anche per questi enti, ma le modalità di realizzarlo sono disciplinate da norme specifiche emanate in attuazione di accordi in materia finanziaria sottoscritti tra ciascuna autonomia e il Governo. Per tale ragione, le regole del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, anche per quanto concerne la riduzione del debito pubblico, è differenziata e disciplinata da una pluralità di fonti normative.

La disciplina generale del patto di stabilità per le regioni a statuto speciale è stata dettata, da ultimo, dai commi 454-459 dell'unico articolo della legge di stabilità 2013 (legge n. 208/2012), con le modifiche apportate poi dalla legge di stabilità 2014 e dal D.L. 66/2014. In particolare, il comma 454 definisce gli obiettivi di risparmio, in termini di competenza eurocompatibile, calcolati sul complesso delle spese finali per le regioni Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna. Le norme confermano la necessità, per ciascun ente, di concordare con il Ministero dell'economia e delle finanze per ciascuno degli anni dal 2013 al 2017, l'obiettivo specifico. Questo dovrà essere calcolato sottraendo alle spese finali 2011, le voci di spesa elencate al comma stesso che rappresentano i diversi contributi richiesti alle autonomie speciali a partire dalla legge di stabilità 2012:

Per le regioni Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta, la disciplina del patto di stabilità è stata basata – e lo è tuttora - sul contenimento della spesa complessiva, espressa in competenza eurocompatibile. La disciplina generale è contenuta nella legge di stabilità 2013 (legge 228/2012, art. 1, comma 455) e gli obiettivi specifici riferiti a ciascuna autonomia e a ciascun anno sono determinati o con l'accordo annuale previsto dalla normativa o da specifiche norme adottate comunque in attuazione di accordi tra il Ministero dell'economia e della finanze e ciascuna regione:

Per la regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano, la disciplina generale del patto di stabilità, a decorrere dal 2010, è contenuta nell'articolo 79 del D.P.R. 670/1972 (statuto della regione), da ultimo modificato dalla legge di stabilità 2015 (comma 407, lettera e)) della legge n. 191/2014). La disciplina 'statutaria' stabilisce che gli obiettivi di risparmio sono calcolati in riferimento al saldo programmatico calcolato in termini di competenza mista, anziché sul complesso delle spese in termini di competenza eurocompatibile. Il pareggio di bilancio, quale nuovo obiettivo che sostituisce la disciplina del patto di stabilità, si applica per la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome Bolzano e Trento, in via provvisoria a decorrere dal 2016 e in via definitiva a decorrere dal 2018. Nei primi due anni il pareggio si applicherà nel senso che gli enti accantonano in termini di cassa e in termini di competenza un importo definito d'intesa con il MEF e tale da garantire la neutralità finanziaria per i saldi di finanza pubblica. A decorrere dall'anno 2018, invece, viene superato definitivamente l'obiettivo del saldo programmatico previsto dalla normativa vigente.

Con riferimento alla Regione Sardegna, il Patto di stabilità interno si è applicato fino all'anno 2014, disciplinato ai sensi del comma 9 dell'art. 42 del decreto-legge n. 133/2014, che determinava l'obiettivo del patto della Regione in termini di competenza eurocompatibile, calcolato sulle spese complessive; dal patto venivano escluse le spese previste per le autonomie speciali dalla normativa vigente e le spese per i servizi ferroviari di interesse regionale e locale erogati da Trenitalia S.p.A.. A decorrere dal 2015, il pareggio di bilancio è divenuto il nuovo obiettivo che sostituisce la disciplina del patto di stabilità per la Regione Sardegna, secondo quanto stabilito prima dal decreto legge 133/2014 (art. 42, commi 9-13) poi dal comma 478-bis della legge di stabilità 2015.

Per quanto riguarda la Regione siciliana, con il comma 5 dall'articolo 42 del decreto legge 133/2014 è stato, da ultimo, definito l'obiettivo del patto di stabilità della Regione, in termini di contenimento della spesa complessiva, per gli anni 2014-2017.

A seguito dell'accordo in materia finanziaria sottoscritto con lo Stato il 20 giugno 2016 e recepito dall'articolo 11 del decreto-legge 113/2016, alla Regione siciliana a decorrere dal 2016, si applica la normativa sul pareggio di bilancio contenuta nella legge di stabilità 2016. Per gli esercizi 2016 e 2017, tuttavia, per bilanciare le maggiori entrate attribuite alla regione con l'accordo, il saldo obiettivo è stabilito in misura fissa (pari a 227,88 milioni di euro per il 2016). A decorrere dal 2018, invece, la regione dovrà garantire il pareggio di bilancio inteso come saldo non negativo, in termini di competenza, tra entrate finali e spese finali. Alla Regione non si applicano più, perciò, le regole del patto di stabilità interno basato sul contenimento della spesa complessiva, previste dalla normativa vigente.

Per quanto riguarda il concorso agli obiettivi di finanza pubblica degli gli enti locali delle autonomie speciali, si ricorda che le regioni Valle d'Aosta e Friuli-Venezia Giulia e le Province autonome di Bolzano e di Trento, provvedono alla finanza degli enti locali del proprio territorio con risorse del proprio bilancio e, per tale ragione, disciplinano – ciascuna - il concorso degli enti locali del proprio territorio alla riduzione del debito pubblico. Nella pratica, anche il patto di stabilità degli enti locali degli enti suddetti è definito nell'ambito degli accordi tra il Ministero dell'economia e delle finanze e ciascuna autonomia. Nelle regioni Sardegna e Sicilia, invece, la finanza degli enti locali è tutt'ora a carico dello Stato, per tale regione, in questi territori si applicano le regole comuni agli enti locali del restante territorio nazionale.

 
Le regole del patto per gli enti locali
13/02/2017

Per gli enti locali, il Patto di stabilità interno è stato basato sul controllo della dinamica dei saldi, fatta eccezione per alcuni anni (2005-2006) in cui si è scelto di concentrare le regole del Patto, come per le regioni, esclusivamente sul lato della spesa.

La formulazione delle regole del Patto in termini di riduzione della spesa anziché del disavanzo, era in sostanza riconducibile alla volontà di mantenere sotto controllo la pressione fiscale, evitando che il miglioramento del disavanzo da parte delle autonomie si realizzasse attraverso un incremento delle imposte regionali e locali. A tal fine, l'autonomia decisionale degli enti territoriali ha subito, in quegli anni, limitazioni anche dal lato delle entrate, con l'introduzione di misure dirette a precludere il ricorso alla leva fiscale per l'acquisizione di maggiori entrate (sospensione della possibilità per regioni e comuni di aumentare le aliquote delle addizionali all'IRPEF o, per le regioni, di maggiorare l'aliquota IRAP). Va precisato, peraltro, che nonostante dal 2007 si sia tornati a concentrare i vincoli del Patto sul saldo di bilancio, il divieto di utilizzo della leva fiscale è stato mantenuto fino al 2012, facendo sì – di fatto - che il Patto continuasse a gravare, sostanzialmente, sul lato della spesa.

Per quanto concerne l'ambito soggettivo di applicazione, fino al 2012 (articolo 31 della legge n. 183/2011), sono stati assoggettati alle regole del patto gli enti locali di maggiori dimensioni, vale a dire le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti.

A partire dal 2013 i vincoli del patto sono stati estesi ad una platea più ampia di enti, quali:

  • i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti, ai sensi dell'articolo 31, comma 1, della legge n. 183/2011;
  • gli enti locali commissariati per fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso, ai sensi dell'articolo 1, comma 436, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, fino ad allora sostanzialmente esclusi dalla disciplina, in quanto per essi l'applicazione del patto era rinviata a partire dall'anno successivo a quello della rielezione degli organi istituzionali.

Dal 2014, sono assoggettate alle regole del patto anche le unioni di comuni formate dagli enti con popolazione inferiore a 1.000 abitanti (in applicazione dell'articolo 16, comma 1, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138), secondo le regole previste per i comuni aventi corrispondente popolazione.

Secondo la disciplina impostata a partire dal 2007 (art. 1, commi 676-693, legge n. 296/2006), il contributo della finanza locale al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica è stato espresso in termini aggregati come riduzione del saldo finanziario tendenziale del comparto. La determinazione della misura del concorso di ciascun ente al raggiungimento dell'obiettivo generale era definita sulla base di una specifica procedura, in considerazione di alcune caratteristiche finanziarie dell'ente medesimo, quali, in particolare, l'entità della spesa corrente e il livello di deficit.

L'obiettivo del patto di stabilità per gli enti locali consiste nel raggiungimento di uno specifico obiettivo di saldo finanziario - calcolato quale differenza tra entrate finali e spese finali, comprese dunque le spese in conto capitale, con l'eccezione di alcune voci - espresso in termini di competenza mista, criterio contabile (adottato nel 2008 allo scopo di rendere l'obiettivo del patto di stabilità interno più coerente con quello del Patto europeo di stabilità e crescita), in base al quale le entrate e le uscite di parte corrente vengono contabilizzate in termini di competenza e quelle in conto capitale, invece, in termini di cassa.

Per quanto concerne i meccanismi di calcolo degli obiettivi di saldo imposti ai singoli enti, fino al 2010 il saldo obiettivo di ciascun ente è stato rapportato al saldo finanziario raggiunto dall'ente medesimo nell'esercizio precedente; a partire dal 2011, con la legge n. 220/2010 (articolo 1, comma 88) gli obiettivi del patto sono stati ancorati alla capacità di spesa di ciascun ente locale, corrispondente al livello di spesa corrente mediamente sostenuta in un determinato triennio, criterio che ha reso ancor più stringenti ed impegnativi gli obiettivi da raggiungere.

Secondo la disciplina dettata dall'articolo 31 della legge 12 novembre 2011, n. 183, come successivamente modificato ed integrato, da ultimo, dall'articolo 1, commi 489-498, della legge n. 190/2014 (legge di stabilità per il 2015), per il 2015 – che è stato l'ultimo anno di applicazione delle regole del Patto di stabilità interno per gli enti locali - il saldo obiettivo è determinato, per ciascun ente, applicando alla spesa corrente media da esso sostenuta nel triennio 2010-2012 - come desunta dai certificati di conto consuntivo - determinati coefficienti, fissati ogni anno in maniera differenziata per le province e i comuni. Ai fini del concorso alla finanza pubblica, gli enti sono tenuti a conseguire un saldo finanziario di competenza mista non inferiore al valore individuato in base al suddetto meccanismo.

Dal computo del saldo finanziario sono state escluse alcune specifiche voci di entrata e di spesa, espressamente elencate dalla legge (L. n. 183/2011, art. 31, commi 7-16).

Determinate voci sono state escluse in via generale per evitare che i vincoli del patto potessero rallentare gli impegni e i pagamenti connessi ad interventi considerati prioritari e strategici (come nel caso delle risorse provenienti dallo Stato e delle relative spese per calamità naturali o delle spese sostenute dagli enti locali con le risorse provenienti direttamente o indirettamente dall'Unione europea o delle spese per gli interventi realizzati direttamente dagli enti locali per lo svolgimento di grandi eventi); altre esclusioni sono state considerate per correggere eventuali effetti anomali che potevano determinarsi sui saldi a causa del non allineamento temporale tra entrata e spesa.

Tra le esclusioni di carattere generale, funzionali a politiche di investimento considerate strategiche e prioritarie per gli enti locali, va ricordata quella relativa alle spese sostenute per interventi di edilizia scolastica. Le esclusioni hanno riguardato, per gli anni 2014 e 2015, le spese sostenute dai comuni in tali anni nel limite massimo di 122 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015 (articolo 48, comma 1, del D.L. n. 66/2014), nonché per gli anni 2015 e 2016, le spese sostenute dalle province e dalle città metropolitane in tali anni, nel limite massimo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 (articolo 1, comma 467, della legge n. 190/2014).

Sul fronte delle infrastrutture deroghe sono state concesse con l'articolo 1, comma 145, della legge n. 190/2014, come modificato dall'articolo 1, comma 8, del D.L. n. 78/2015, che ha previsto l'esclusione dai saldi dei comuni sede di Città metropolitane delle spese per opere prioritarie del programma infrastrutture strategiche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nonché delle spese per le opere e gli interventi cofinanziati dai Fondi strutturali europei ricompresi nella Programmazione 2007-2013 e 2014-2020, sostenute a valere sulla sola quota di cofinanziamento a carico dei predetti enti locali.

Estrema rilevanza ha inoltre assunto, negli scorsi anni, nell'ambito dell'operazione intrapresa con il D.L. n. 35/2013 per accelerare la liquidazione dello stock di debiti commerciali di conto capitale accumulati dagli enti territoriali nei confronti delle imprese, l'esclusione dal patto di stabilità interno di tutte le spese sostenute dagli enti locali per il pagamento dei debiti di conto capitale esigibili alla data del 31 dicembre 2012, per un importo complessivo di 5 miliardi di euro per il 2013. La deroga è stata consentita anche per l'anno successivo, per un importo complessivo di 500 milioni di euro nel 2014 (articolo 1, comma 546, della legge n. 147/2013) . Con il successivo D.L. n. 133/2014 (all'articolo 4, commi 5 e 6) l'esclusione dai vincoli del Patto ha riguardato anche i pagamenti relativi ai debiti in conto capitale esigibili alla data del 31 dicembre 2013, nell'importo di 200 milioni di euro relativamente all'anno 2014 e di 40 milioni relativamente all'anno 2015.

Deroghe ai vincoli del patto sono state altresì disposte a favore di un numero molto più ristretto di soggetti, se non addirittura singoli enti, per esigenze specifiche. Ad esempio, si segnala quella concessa in favore del comune di Campione d'Italia, per gli anni 2014, 2015 e 2016, per le spese sostenute dal comune riferite alle peculiarità territoriali dell'exclave, nel limite di 10 milioni di euro annui (comma 14-bis dell'articolo 31 della legge n. 183/2011, introdotto dal comma 537, della legge n. 147/2013); quella riconosciuta in favore degli enti locali interessati all'opera relativa al collegamento internazionale Torino- Lione, per i pagamenti relativi agli interventi di riqualificazione del territorio finanziati con risorse comunali, regionali e statali, nel limite di 10 milioni di euro annui per il triennio 2013-2015 (articolo 7-quater del D.L. n. 43/2013); quella concessa a Casale Monferrato per interventi di bonifica dall'amianto nell'anno 2015 (D.L. 133/2014, art. 33-bis); quella autorizzata in favore dei comuni veneti di Dolo, Pianiga e Mira, colpiti dalla tromba d'aria dell'8 luglio 2015, nell'importo di complessivi 7,5 milioni nell'anno 2015 (articolo 1, comma 10-bis, D.L. n. 78/2015).

Specifiche deroghe sono state concesse per favorire la ricostruzione nelle zone colpite dal sisma. Tra queste, da ultimo, si ricorda la riduzione degli obiettivi del patto di stabilità per i comuni e le province di Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto colpite dal sisma del maggio 2012, nell'importo complessivo di 25,5 milioni di euro nel 2014 (articolo 1, comma 354, legge n. 147/2013), e di ulteriori 20 milioni per il 2015 per i comuni e le province della regione Emilia-Romagna (articolo 13, comma 3, del D.L. n. 78/2015). Precedenti deroghe erano state previste per tali territori dal D.L. n. 74/2014, con l'esclusione dal patto per gli anni 2012-2014 delle spese sostenute dai comuni per la ricostruzione e la messa in sicurezza finanziate con le risorse del Fondo per la ricostruzione (articolo 2, comma 6, D.L. n. 74/2012) ovvero, per gli anni 2013-2014, delle spese sostenute dai comuni con risorse proprie provenienti da erogazioni liberali e donazioni da parte di imprese e privati (articolo 7, comma 1-ter, D.L. n. 74/2012).

Deroghe analoghe erano state previste per l'anno 2013, per agevolare la ripresa delle attività e la completa attuazione dei piani di ricostruzione nelle zone colpite dal sisma del Molise, dell'Emilia e dell'Abruzzo (complessivamente, 105 milioni di euro nel 2013, ai sensi del D.L. n. 43/2013).

Nell'ultimo anno di applicazione del Patto di stabilità è stata prevista la possibilità di una ulteriore ridefinizione degli obiettivi di ciascun ente, da effettuarsi con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali, su proposta dell'ANCI e dell'UPI, al fine di tenere in debito conto una serie di condizioni particolari che possano riguardare i singoli enti, quali: le maggiori funzioni assegnate alle città metropolitane, gli eventi calamitosi, gli interventi di messa in sicurezza degli edifici scolastici e del territorio, gli oneri connessi all'esercizio della funzione di ente capofila nonché gli oneri relativi a sentenze passate in giudicato a seguito di procedure di esproprio o di contenziosi connessi a cedimenti strutturali. Tale diversa distribuzione tra i singoli enti del comparto del contributo richiesto dal patto di stabilità interno va effettuata fermo restando l'obiettivo complessivo del comparto, nel rispetto dell'equilibrio dei saldi di finanza pubblica (articolo 1, comma 489, della legge n. 190/2014, di stabilità per il 2015).

In relazione a ciò, l'articolo 1, comma 2, del D.L. n. 78/2015 ha recato un allentamento dei vincoli del patto di stabilità in favore dei comuni, consentendo ad essi maggiori spazi finanziari per l'effettuazione di determinate tipologie di spese nel limite complessivo di 100 milioni di euro annui per il 2015, così suddivisi:

a) 10 milioni per eventi calamitosi e messa in sicurezza del territorio;

b) 40 milioni per la messa in sicurezza degli edifici scolastici nonché del territorio, connessi alla bonifica dei siti contaminati dall'amianto;

c) 30 milioni per l'esercizio della funzione di ente capofila nel caso di gestione associata di alcune funzioni;

d) 20 milioni per le spese relative a sentenze passate in giudicato a seguito di contenziosi connessi a cedimenti strutturali e di procedure di esproprio.

Va, infine, ricordato, che il valore definitivo del saldo-obiettivo di ciascun ente locale può essere rideterminato nel corso dell'anno attraverso gli strumenti di flessibilità del patto di stabilità interno, costituiti dai c.d. Patti di solidarietà fra enti territoriali, che consentono di attivare meccanismi di compensazione degli obiettivi finanziari imposti agli enti locali, a livello regionale e nazionale, al fine di rendere, da un lato, più sostenibili gli obiettivi individuali degli enti soggetti ai vincoli al patto di stabilità e, al contempo, allentare la compressione sulle spese di investimento degli enti locali, che si è venuta a determinare, principalmente, a causa dei meccanismi di calcolo dei saldi obiettivi in termini di competenza mista e del blocco della leva fiscale imposto alle amministrazioni territoriali fino al 2012, che ha, di fatto, annullato la possibilità di intervento sulle entrate ai fini del raggiungimento dei saldi-obiettivo.

Il potere delle regioni e degli enti locali di variare le aliquote e le tariffe dei tributi locali e regionali, si ricorda, è stato ripristinato, dall'articolo 4, comma 4, del D.L. n. 16/2012, a decorrere dall'anno di imposta 2012.

Si ricorda, infine, il sistema di premialità, disciplinato dal comma 122 dell'articolo 1 della legge n. 220/2010, riformulato da ultimo dall'articolo 1, comma 500, della legge n. 190/2014, che ha consentito agli enti locali virtuosi, vale a dire rispettosi del patto, il beneficio di una riduzione degli obiettivi finanziari, commisurata agli effetti finanziari determinati dall'applicazione della sanzione operata nei confronti degli enti inadempienti, a valere sui fondi ad essi destinati (fondo di riequilibrio provinciale e fondo di solidarietà comunale).

Sulla disciplina è intervenuto l'articolo 4, comma 3, del D.L. n. 66/2014, il quale ha riservato l'applicazione del sistema di premialità, sulla base dei criteri individuati ai sensi del comma 122, esclusivamente agli enti locali che risultino altresì rispettosi dei tempi di pagamento previsti dal decreto legislativo 9 ottobre 2002, n. 231.

 
Misure di flessibilità del patto di stabilità interno
  • 1 focus
13/02/2017

Al fine di rendere più sostenibili gli obiettivi finanziari degli enti territoriali fissati con il patto di stabilità interno, sono state introdotte nell'ordinamento, a partire dal 2009, una serie di meccanismi di flessibilità nell'applicazione delle regole del patto di stabilità interno (i c.d. patti di solidarietà fra enti territoriali) che sono andati ad affiancare e ad integrare la disciplina nazionale del patto.

I patti di solidarietà– mantenuti anche nell'ambito della disciplina del pareggio di bilancio che ha sostituito il patto di stabilità interno nel 2015 per le regioni e nel 2016 per gli enti locali – hanno consentito di attivare meccanismi di compensazione degli obiettivi finanziari imposti agli enti locali - sia a livello regionale, con la cosiddetta regionalizzazione orizzontale e verticale del patto di stabilità, che a livello nazionale, con il patto orizzontale nazionale - finalizzati, in particolare, ad incentivare le spese di investimento degli enti locali, le quali, in applicazione del criterio di computo dei saldi obiettivo, sono risultate fortemente compresse negli anni, rappresentando uno dei maggiori punti di criticità nell'applicazione dei vincoli del patto di stabilità interno.

In particolare, l'adozione della competenza mista, a partire dal 2008, quale criterio di calcolo dei saldi obiettivo per gli enti locali (che considera la spesa per investimenti secondo il criterio della cassa), ha di fatto comportato che molti enti si sono trovati nell'impossibilità di effettuare pagamenti riferiti ad impegni regolarmente assunti negli anni precedenti - per il finanziamento di opere già progettate o per il proseguimento di lavori già iniziati - nonostante avessero le disponibilità di cassa, rese inutilizzabili dai vincoli del patto.

Attraverso le compensazioni orizzontali e verticali a livello regionale (da ultimo disciplinate, per l'anno 2016, dall'art. 1, commi 728-730, legge n. 208/2015), si è consentito alle regioni di intervenire a favore degli enti locali del proprio territorio, attraverso una rimodulazione degli obiettivi finanziari assegnati ai singoli enti o alla regione medesima – fermo restando il rispetto degli obiettivi complessivi posti dal legislatore ai singoli comparti - per favorire in via esclusiva un aumento degli impegni di spesa in conto capitale degli enti locali. Per il 2016, la disciplina si è applicata anche alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano.

Ai fini della rideterminazione degli obiettivi alle regioni è stato attribuito il compito di definire criteri di virtuosità e modalità operative, nell'ambito di una procedura che a partire dalla data del 15 aprile di comunicazione da parte degli enti locali degli spazi finanziari di cui necessitano (ovvero degli spazi finanziari che sono disposti a cedere) si conclude entro il 30 settembre con la rideterminazione dei saldi obiettivo per ciascun ente locale e per la regione di riferimento. A titolo di premialità, nei confronti degli enti locali che cedono spazi finanziari è previsto il riconoscimento, nel biennio successivo, di una modifica migliorativa del saldo di equilibrio commisurata al valore degli spazi finanziari ceduti, fermo restando l'obiettivo complessivo a livello regionale. Di converso, agli enti locali che acquisiscono spazi finanziari sono attribuiti nel biennio successivo saldi obiettivo peggiorati per un importo pari agli spazi finanziari acquisiti.

Con il sistema di compensazioni orizzontali a livello nazionale (introdotto a decorrere dal 2012 per i soli comuni dall'articolo 4-ter del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, e da ultimo disciplinato dall'articolo 1, comma 732, della legge n. 208/2015), si è autorizzato il Ministero dell'economia e delle finanze a rimodulare gli obiettivi finanziari tra gli enti locali del territorio nazionale - fermo restando l'obiettivo finanziario determinato per il complessivo comparto delle autonomie locali – consentendo agli enti di poter disporre di maggiori spazi finanziari, messi a disposizione dagli altri enti locali, per sostenere impegni di spesa in conto capitale.

Il meccanismo si basa, come per il patto regionale, sulla cessione di spazi finanziari da parte degli enti locali che prevedono di conseguire, nell'anno di riferimento, un differenziale positivo rispetto all'obiettivo di saldo indicato dalla normativa nazionale - la cui entità va comunicata al Ministero dell'economia entro il termine perentorio del 15 giugno - a vantaggio di quelli che, invece, prevedono di conseguire, nel medesimo anno di riferimento, un differenziale negativo rispetto all'obiettivo prefissato. Entro il 10 luglio la Ragioneria generale dello Stato aggiorna i nuovi obiettivi degli enti interessati per l'anno in corso e per il biennio successivo. Come per la flessibilità a livello regionale, infatti, gli enti locali che cedono o acquisiscono spazi finanziari ottengono nel biennio successivo, rispettivamente, un alleggerimento o un peggioramento del proprio saldo, commisurato alla metà del valore dello spazio acquisito (nel caso di richiesta) o ceduto (nel caso di cessione).

Con la messa a regime della disciplina del pareggio di bilancio per gli enti territoriali, di cui all'articolo 1, commi 463-508, della legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017), emanata in attuazione degli articoli 9 e 10 della legge n. 243/2012, le disposizioni che hanno regolato fino al 2016 i principi di flessibilizzazione del Patto, sia in ambito regionale che nazionale, hanno cessato di avere efficacia, sostituiti da nuovi strumenti di flessibilità.

Focus
 
Monitoraggio e misure sanzionatorie
13/02/2017

La disciplina del patto di stabilità comprende termini e modalità di monitoraggio dei risultati conseguiti dagli enti, ai fini della certificazione dei risultati. Tutti gli enti sono tenuti a trasmettere al Ministero dell'economia e delle finanze - con cadenza trimestrale per le regioni, semestrale per gli enti locali - le informazioni relative agli andamenti della gestione. Ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi, gli enti hanno l'obbligo di inviare al Ministero dell'economia la certificazione del risultato finanziario raggiunto entro il termine perentorio del 31 marzo dell'anno successivo a quello di riferimento. La mancata trasmissione della certificazione costituisce inadempimento del patto ed è sanzionata al pari del mancato rispetto dell'obiettivo di risparmio.

Il mancato raggiungimento degli obiettivi posti dal patto di stabilità interno, ovvero dal pareggio di bilancio per le regioni, comporta l'applicazione di una serie di misure sanzionatorie, disciplinate, da ultimo, dal comma 462 dell'articolo 1 della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), per le regioni e Province autonome, e dal comma 439 dell'articolo 1 della medesima legge n. 228/2012 (che ha sostituito il comma 26 dell'articolo 31 della legge n. 183/2011) per gli enti locali.

In particolare, il mancato raggiungimento degli obiettivi del patto di stabilità comporta, per gli enti inadempienti:

  • il taglio delle risorse dei fondi di riequilibrio o dei fondi perequativi degli enti locali, in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato (per i comuni, a seguito della soppressione del Fondo sperimentale di riequilibrio comunale, ai sensi dell'articolo 1, comma 380, della legge n. 228/2012, la riduzione delle risorse deve intendersi riferita al Fondo di solidarietà comunale); ovvero, per le regioni, il versamento all'entrata del bilancio dello Stato dell'importo corrispondente allo scostamento tra il risultato e l'obiettivo prefissato;
  • il divieto di impegnare spese di parte corrente in misura superiore all'importo annuale medio degli impegni effettuati nell'ultimo triennio;
  • il divieto di ricorrere all'indebitamento per finanziare gli investimenti;
  • il divieto di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo;
  • la riduzione del 30% delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori.

Al meccanismo sanzionatorio si sono affiancate misure dirette a scoraggiare l'adozione di mezzi elusivi per addivenire ad un rispetto solo formale del patto. In funzione 'antielusiva', si è prevista:

  • la nullità dei contratti di servizio e degli altri atti posti in essere da regioni e enti locali che si configurano elusivi delle regole del patto di stabilità interno;
  • sanzioni pecuniarie per i responsabili di atti elusivi delle regole del patto, la cui erogazione compete alle Sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti, qualora accertino che il rispetto del patto di stabilità interno sia stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive.