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Documento

Doc. XVII-bis , n. 2

DOCUMENTO APPROVATO DALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'INFANZIA E L'ADOLESCENZA

DOCUMENTO CONCLUSIVO DELL'INDAGINE CONOSCITIVA
Relatore, on. Sandra Zampa
(Approvato dalla Commissione nella seduta del 16 dicembre 2014)

SULLA POVERTÀ E IL DISAGIO MINORILE

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Indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile

DOCUMENTO CONCLUSIVO

I N D I C E

Premessa   Pag.          5
I. POVERTÀ ECONOMICA E DEPRIVAZIONE MATERIALE: DINAMICHE SOCIALI E IMPATTO SUL MONDO DEI MINORI » 7
  1) Inquadramento del fenomeno » 7
  2) La deprivazione materiale: dinamiche sociali e impatto sulla vita dei minori » 14
  3) La povertà come carenza di opportunità » 20
  4) Scuola ed abbandono scolastico » 24
   4.1) Il fenomeno dei soggetti NEET – Not in education, employement or training » 26
   4.2) Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati » 27
II. LA POVERTÀ EDUCATIVA » 29
Premessa » 29
  1) Indice di povertà educativa » 29
  2) L'incidenza dei fattori geografici ed economici nel contesto italiano » 30
   2.1) Il fenomeno del cyberbullismo » 32
Conclusioni e proposte » 33
Pag. 4Pag. 5

Indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

Premessa

  La Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, costituitasi per la XVII legislatura il 22 ottobre 2013, ha deliberato il 4 dicembre 2013 lo svolgimento di due indagini conoscitive:
   – la prima – tuttora in corso – sul fenomeno della prostituzione minorile;
   – la seconda – in relazione alla quale le audizioni previste si sono concluse il 25 settembre – diretta ad approfondire il tema della povertà quale fattore che condiziona fortemente la vita del minore, incidendo in maniera significativa su tutte le sue fasi.

  La perdurante crisi economica che ha investito di recente l'Europa, ha prodotto gravi effetti sociali su tutte le popolazioni coinvolte. Anche nel nostro Paese si è registrato un preoccupante aumento della povertà, con pesanti conseguenze per la grande maggioranza delle famiglie e ripercussioni che hanno colpito in modo particolare proprio i minori, penalizzandone qualità della vita, abitudini e diritti.
  L'indagine conoscitiva è stata quindi finalizzata ad approfondire l'impatto e le conseguenze sui minori di questa allarmante situazione sociale, dato che il peggioramento complessivo delle condizioni di vita materiale, determina inevitabilmente conseguenze negative sulla crescita umana e culturale dei giovani, limitando gravemente le loro prospettive e quelle dell'intero Paese per il futuro.
  L'indagine ha contestualmente inteso individuare strumenti normativi e amministrativi idonei a contrastare il fenomeno, allo scopo di fornire risposte concrete alle difficoltà dei bambini e dei ragazzi, pur nella consapevolezza che solo una diversa strategia economica complessiva, a livello nazionale ed europeo, potrà invertire la tendenza in atto e riportare il nostro Paese agli standard di benessere che hanno caratterizzato gli anni precedenti l'inizio della crisi.
  Nel corso delle prime sedute è emersa l'esigenza di affrontare anche il tema del disagio minorile, in parte collegato a quello della povertà.
  Nella seduta del 18 marzo 2014 è stata quindi deliberata un'integrazione al programma dell'indagine, che ha acquisito il titolo «Sulla povertà e il disagio minorile». Pag. 6
  Dal 10 dicembre 2013 al 25 settembre 2014, la Commissione ha svolto 22 audizioni formali, nonché 3 incontri informali, ascoltando rappresentanti del Governo e del mondo delle associazioni, nonché altri soggetti pubblici e privati, esperti delle tematiche del settore.
  In particolare, sono state svolte le audizioni formali dei seguenti soggetti: Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra; rappresentanti dell'ANCI; Ministro dell'istruzione, università e ricerca, Maria Chiara Carrozza; rappresentanti del Gruppo CRC; Presidente dell'UNICEF Italia, Giacomo Guerriera; rappresentanti del CENSIS; Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora; responsabile del coordinamento nazionale delle Comunità impegnate nell'accoglienza minori stranieri non accompagnati, Antonio Di Pinto; componente del Consiglio direttivo dell'Associazione italiana salute mentale infantile (AISMI) con delega ai rapporti enti e media, Marilisa Martelli; rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali; rappresentanti dell'associazione «Agevolando»; rappresentanti di Facebook Italia; rappresentanti di «SOS Villaggi dei Bambini Onlus»; rappresentanti del Forum «Sostegno a distanza»; rappresentanti di «Save the Children» Onlus; rappresentanti del Progetto «Non più soli» – Associazione DarVoce; Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali, onorevole Franca Biondelli; Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Toscana, Grazia Sestini; direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato; Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Emilia Romagna, Luigi Fadiga; Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lazio, Francesco Alvaro; Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Calabria, Marilina Intrieri.
  Sono inoltre stati ascoltati, in sede informale, i seguenti soggetti: Daniela Bacchetta, già Presidente della Commissione Adozioni Internazionali (CAI), Marco Griffini, Presidente dell'Associazione Amici dei bambini (Ai.Bi.), nonché rappresentanti del Centro Internazionale Famiglie pro adozione (CIFA Onlus); direttore della rivista «Minori e Giustizia», Piercarlo Pazé. La Commissione, infine, ha incontrato informalmente una delegazione della Commissione Speciale della Camera dei Rappresentanti del Giappone su infanzia e questioni giovanili.
  I lavori si sono articolati in due filoni di approfondimento: uno relativo alla raccolta di dati e informazioni sulla situazione sociale ed economica delle famiglie e dei minori, anche con riferimento alla tendenza recessiva costantemente rilevata negli ultimi anni; l'altro orientato al recepimento e alla elaborazione di ipotesi e proposte, anche di natura normativa, volte a modificare il quadro esistente, con lo specifico obiettivo di sostenere le famiglie e i minori maggiormente esposti agli effetti negativi della congiuntura economica.
  Il presente documento, approvato dalla Commissione il 16 dicembre 2014, propone nella prima e nella seconda parte, un'ampia sintesi delle informazioni e delle analisi acquisite dai numerosi soggetti auditi, mentre, nella parte conclusiva, individua una serie di proposte, frutto del confronto e del dibattito svoltosi all'interno della Commissione nel corso dello svolgimento dell'indagine.

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I – POVERTÀ ECONOMICA E DEPRIVAZIONE MATERIALE: DINAMICHE SOCIALI E IMPATTO SUL MONDO DEI MINORI

1) Inquadramento del fenomeno

  Secondo quanto emerso dalle rilevazioni ISTAT riferite agli anni 2011/2012, in Italia il 12,7 per cento delle famiglie è relativamente povero (per un totale di 3 milioni 232 mila) e il 6,8 per cento lo è in termini assoluti (1 milione 725 mila)(1). Le persone in povertà relativa sono il 15,8 per cento della popolazione (9 milioni 563 mila), quelle in povertà assoluta l'8 per cento (4 milioni 814 mila) (2).
  Tra il 2011 e il 2012 è aumentata sia l'incidenza di povertà relativa (dall'11,1 per cento al 12,7 per cento) sia quella di povertà assoluta (dal 5,2 per cento al 6,8 per cento), in tutte e tre le ripartizioni territoriali. La soglia di povertà relativa, per una famiglia di due componenti, è risultata pari a 990,88 euro, circa 20 euro in meno di quella del 2011 (-2 per cento). L'incidenza di povertà assoluta è aumentata tra le famiglie con tre (dal 4,7 per cento al 6,6 per cento), quattro (dal 5,2 per cento all'8,3 per cento) e cinque o più componenti (dal 12,3 per cento al 17,2 per cento); tra le famiglie composte da coppie con tre o più figli, quelle in povertà assoluta sono passate dal 10,4 per cento al 16,2 per cento; se si tratta di tre figli minori, dal 10,9 per cento si è raggiunto il 17,1 per cento.
  Aumenti della povertà assoluta sono stati registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8 per cento al 9,1 per cento) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4 per cento al 13,3 per cento). Infine, oltre che tra le famiglie di operai (dal 7,5 per cento al 9,4 per cento) e di lavoratori in proprio (dal 4,2 per cento al 6 per cento), la povertà assoluta è aumentata tra gli impiegati e i dirigenti (dall'1,3% al 2,6%) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro sono associati a redditi da pensione (dal 3,6% al 5,3%).
  Tuttavia, i dati in oggetto, se pure indicativi dell'entità del fenomeno, sembrano offrire un quadro che coglie solo parzialmente le reali dimensioni dello stesso, stante il fatto che ai soggetti rientranti in tale classifica, andrebbero aggiunti anche i molti altri che vivono in una zona border line, cioè che si pone al limite, secondo condizioni ad alto rischio. Pag. 8
  Questa situazione, secondo le informazioni acquisite nel corso delle numerose audizioni svolte dalla Commissione, colpirebbe fasce di età sempre più basse, interessando, oltre al Sud, anche vaste aree del Nord, con effetti che si spingerebbero oltre le mere privazioni materiali, costituendo sempre più spesso un sinonimo di deficit sociale per migliaia di ragazzi, i quali risulterebbero altresì esclusi dallo sport, dalla cultura, dalla possibilità di intrattenere relazioni sociali con i propri coetanei(3).
  L'aumento della povertà infantile è il risultato della compresenza di due fattori: la crescita della povertà assoluta al Sud e il peggioramento della situazione delle famiglie operaie e straniere al Nord, in particolare quelle con più figli Si fa riferimento, nel secondo caso, per lo più ai nuclei familiari monoreddito, dove di solito lavora solo l'uomo, in regioni dove si è fatta sentire di più la crisi delle fabbriche.
  La mancanza di lavoro e la precarietà economica sono fattori che colpiscono gli adulti, ma che hanno effetti diretti sui bambini, con conseguenze negative di assoluta rilevanza.
  In questo quadro, secondo le indicazioni fornite dall'ISTAT, non appare esaustiva la classificazione basata sulla distinzione tra soggetti minori in stato di povertà relativa o assoluta, vale a dire privi dei beni e servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza (mangiare carne o pesce tutti i giorni, possedere libri o giochi adatti all'età, praticare sport, avere uno spazio adeguato per fare i compiti). Accanto a questi, infatti, vanno considerati, quei minori che vivono, seppure non in modo vistoso, in condizioni di svantaggio rispetto ai loro coetanei, nella ricerca continua di un equilibrio stabile, pena il rischio di oltrepassare la sottile linea rossa della povertà definitiva, e la cui percentuale è in costante aumento. A titolo di esempio, le rilevazioni ISTAT riferite agli ultimi anni rivelano che se nel 2007 non potevano permettersi una settimana di vacanza all'anno lontano da casa il 40 per cento dei minori, questo dato è salito al 51,3 per cento nel 2013. Parallelamente, se nel 2007 i bambini che non potevano permettersi un pasto proteico una volta ogni due giorni erano il 6,2 per cento, nel 2013 tale numero risultava già più che raddoppiato, raggiungendo la percentuale del 14,4 per cento(4).
  Inoltre, i dati acquisiti dalla Commissione evidenziano un aumento della povertà minorile decisamente più significativo di quello riferito alla popolazione adulta. Se per la popolazione adulta si è passati da 9,6 milioni di poveri nel 2012 a poco più di 10 milioni nel 2013, per i minori si passa da 4,8 milioni a 6 milioni.
  In particolare, il numero di minori in povertà assoluta risulta aumentato nei seguenti termini: nel 2011 erano 723.000, per passare a 1.580.000 nel 2012, mentre nel 2013 sono arrivati a 1.434.000. Sono quindi raddoppiati i bambini poveri, mentre questo non è successo alla generalità della popolazione, a conferma del fatto che vi sarebbe una sorta di effetto moltiplicatore, che sta incrementando questa Pag. 9massa di soggetti in sofferenza, e, nel confronto europeo, colloca l'Italia agli ultimi posti della classifica. Ciò si deve al fatto che nel nostro Paese non solo si investono meno risorse rispetto ad altri Paesi, ma la capacità di ridurre la povertà con le risorse destinate risulta assolutamente deficitaria(5).
  I dati sul numero dei minori (da zero a diciassette anni) a rischio di povertà, prima e dopo i trasferimenti sociali, mostrano, in Europa, un quadro nel quale l'Italia è fortemente deficitaria: sulla base delle rilevazioni effettuate, questi ultimi erano, nell'ordine: in Francia il 35,8 per cento prima e il 18,8 per cento dopo; in Germania il 33 per cento prima e il 15,6 per cento dopo; in Italia il 33 per cento prima e il 26,4 per cento dopo; stessi livelli in Spagna; nel Regno Unito erano il 42 per cento prima e il 18 per cento dopo(6).
  Tra le chiavi di lettura del fenomeno offerte alla Commissione, è stata sottolineata la circostanza che i trasferimenti monetari non accompagnati da servizi adeguati, sono scarsamente efficaci. I trasferimenti, se associati a servizi e, quindi, a opportunità educative, di crescita, di alimentazione e di sviluppo, concorrono certamente ad abbattere i tassi di povertà. Tuttavia, in Italia si dedicano a questo scopo i due terzi della spesa assistenziale per trasferimenti, se calcolata con i parametri ISTAT, e quattro quinti se calcolata con i parametri della Commissione Onofri, così come illustrati al termine dei suoi lavori nel 1997(7).
  Con riferimento all'anno 2011, la Francia ha ridotto del 17 per cento la povertà dei minori, la Germania del 17,4 per cento, il Regno Unito del 24,4 per cento, la Svezia del 17,5 per cento, mentre Italia e Spagna, rispettivamente, del 6,7 e 7,6 per cento. Questi dati evidenziano la necessità, per il nostro Paese, di trasformare una parte considerevole dei trasferimenti monetari in servizi per i bambini e per le famiglie. A conferma di questa linea di indirizzo, uno studio comparato a livello europeo del 2007 ha dimostrato che in Italia, laddove ci sono i servizi, l'abbattimento della povertà sarebbe del 74 per cento (nella media europea tale risultato si attesta al 54 per cento), mentre, dove tali servizi non sono presenti sul territorio, la capacità di ridurre la povertà dei bambini non risulterebbe altrettanto incisiva (in particolare, tra coloro che ricevono i servizi, i poveri risultano dimezzati, mentre, per la popolazione in generale, tale impatto risulta solo di un quarto)(8).
  Le tabelle che seguono offrono un'illustrazione grafica delle principali risultanze ottenute utilizzando alcuni indicatori scelti per Pag. 10individuare i fattori di difficoltà delle famiglie economicamente deprivate. Secondo gli indicatori europei, si definiscono severamente deprivate da un punto vista economico le famiglie che si trovano in almeno quattro delle situazioni rappresentate(9). In particolare, con riferimento alla condizione di grave deprivazione materiale, si evidenzia come la percentuale di famiglie nel Sud risulti sistematicamente più elevata, con famiglie che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro. Più in generale, sulla base delle evidenze presentate alla Commissione, il 50 per cento delle famiglie italiane sembra non potersi permettere una settimana di ferie all'anno lontano da casa, ma vi sono percentuali significative anche con riferimento a coloro i quali non riescono a fare un pasto adeguato, ovvero a scaldare adeguatamente l'abitazione e che si trovano ad avere arretrati per il pagamento del mutuo, dell'affitto, delle bollette o di altri debiti.

  Nel caso in cui siano presenti figli minorenni, poi, queste percentuali sono tendenzialmente più elevate, con un ulteriore sistematico peggioramento laddove questi ultimi sono più numerosi. Si tratta, comunque, di un fenomeno articolato, molto condizionato da fattori strutturali, culturali ed economici dei territori di appartenenza.

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  Sul versante della spesa, come rilevato dalla gran parte dei soggetti auditi, si assiste ad un aumento dell'impoverimento a fronte di una diminuzione delle risorse disponibili, essendo venuti meno una serie di aiuti che fino a qualche anno fa comuni e regioni riuscivano a garantire. In particolare, nell'ambito della spesa per le politiche sociali, gli stanziamenti statali per combattere l'impoverimento in età adolescenziale risultano sensibilmente ridotti negli ultimi anni, secondo un trend che appare inversamente proporzionale al crescere del fenomeno e delle problematiche ad esso connesse(10).
  Nei due prospetti che seguono viene illustrato il riparto dei fondi dedicati ad infanzia e politiche sociali, secondo l'elaborazione contenuta nel 7o Rapporto di aggiornamento CRC 2013-2014:

Fonte: 7o Rapporto di aggiornamento CRC, 2013-2014

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Fonte: 7o Rapporto di aggiornamento CRC, 2013-2014

  Se nel 2008 i fondi nazionali per il contrasto della povertà ammontavano complessivamente a 2 miliardi e mezzo di euro, nel 2013 gli stanziamenti erano scesi a 766 milioni di euro, scontando nel complesso un taglio di un miliardo e 536 milioni di euro dall'inizio della crisi.
  Secondo dati Eurostat, in Italia questo divario si è accentuato in misura analoga a quanto è avvenuto per i Paesi dell'Europa orientale, essendo la situazione peggiorata negli ultimi tempi anche per la rottura di reti familiari e di sostegno. In particolare, emerge che nel 2012, tra i bambini fino a 6 anni, quasi uno su tre (31,9 per cento) era a rischio di povertà o esclusione sociale in Italia, contro poco meno del 26 per cento a livello medio europeo. Ancora, secondo le stime fornite da Eurostat, le risorse a favore di famiglie con bambini e minori nel 2010 rappresentavano il 4,6 per cento della spesa complessiva di protezione sociale in Italia, contro l'8 per cento della media europea.
  Come già evidenziato in precedenza, tale spesa da un lato, appare insufficiente rispetto alle dimensioni del fenomeno, dall'altro viene finalizzata essenzialmente ad operare trasferimenti monetari ed economici in favore delle famiglie, nonostante sia stata dimostrata la scarsa efficacia di queste politiche. In Italia, infatti, il rischio di povertà per i minori, malgrado i trasferimenti sociali operati nel 2011, risulta ancora sensibilmente superiore alla media Ue (26,3 per cento).
  Anche dal confronto con gli altri Paesi europei emerge come sia la disponibilità di servizi per la prima infanzia il fattore che, più di altri, contribuisce a ridurre la povertà dei bambini(11).
  Tra i soggetti auditi dalla Commissione, gli assistenti sociali hanno fortemente criticato i tagli ai servizi sociali praticati negli ultimi anni, evidenziando come i sostegni economici per tale voce siano stati continuamente ridotti. Infatti dal 2003 ad oggi, risultano diminuiti sia gli stanziamenti destinati al fondo per l'infanzia e l'adolescenza (dell'80 per cento circa), sia i fondi della legge n.328 del 2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e quelli per i nidi(12). Secondo i dati acquisiti dalla Commissione, in Italia sono troppo pochi i bambini che hanno accesso ai servizi comunali: solo il 13,5 per cento dei minori da 0-2 anni nel 2011/2012 aveva accesso a servizi socio educativi comunali, mentre tale percentuale si riduceva all'11,8 per cento considerando i soli asili nido. Pag. 13
  Inoltre, l'offerta pubblica di servizi socio-educativi per la prima infanzia si caratterizza per amplissime differenze territoriali, sia in termini di spesa che di utenti. Si conferma la carenza di strutture nelle regioni del Mezzogiorno (in particolare al Sud) e non sono visibili segnali di convergenza. Aumenta, al contrario, la distanza fra le Regioni in cui il sistema di servizi per la prima infanzia è più consolidato e le Regioni in cui l'offerta pubblica è tradizionalmente più carente. Nella distribuzione regionale dell'indicatore di presa in carico degli utenti per l'anno 2012/2013, ai due estremi vi sono la Calabria, con il 2,1% (in calo dal 2,5% dell'anno precedente) e l'Emilia-Romagna, con il 27,3% (in lieve aumento dal 27,2% dell'anno precedente).
  Va inoltre considerato che, le povertà economiche e sociali, hanno alla base, di frequente, una povertà relazionale, sia all'interno delle famiglie che all'esterno di queste: in tal senso molte famiglie in difficoltà arrivano a percepire i servizi sociali più come una minaccia che come un aiuto, evitando in molti casi di rivolgersi agli stessi nel timore di perdere i propri figli. La rappresentante del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali, dottoressa Silvana Mordeglia, nel corso dell'audizione svoltasi il 15 aprile 2014, ha osservato che sebbene gli assistenti sociali in Italia sono circa 40 mila – non tutti, ovviamente, occupati con minorenni –, numerose famiglie esitano a rivolgersi ad essi temendo di essere stigmatizzate. Secondo i dati acquisiti dalla Commissione e relativi al 2011, quasi 30 mila minorenni vivrebbero fuori dalla famiglia, essendo circa la metà di essi in affidamento familiare, a parenti o ad affidatari esterni. In particolare, in tale contesto, i minorenni stranieri verrebbero collocati più frequentemente in strutture piuttosto che in affido familiare. In molti casi la condizione di povertà dei minori è successivamente sconfinata in episodi di criminalità. Ci si trova di fronte a situazioni in cui ragazzi che, in condizioni di vita normali, non avrebbero mai commesso reati, si sono trovati in difficoltà perché, hanno smesso di studiare, e frequentando la strada, sono divenuti soggetti problematici o a rischio criminalità.
  La carenza di risorse e di personale porta ad una concentrazione delle attività degli assistenti sociali sui casi più urgenti, trascurando l'attività di prevenzione, e questo è grave, perché il modo migliore per supportare le persone è fare in modo che queste non arrivino mai ad avere bisogno del servizio sociale. In questo modo, chiaramente, viene meno parte dell'efficacia degli interventi, che il più delle volte risultano molto frammentati(13). Appare inoltre evidente la necessità di perfezionare l'integrazione tra gli interventi di tipo sanitario e gli interventi di tipo sociale. Infine, il sistema delle strutture e dei servizi residenziali appare disomogeneo tra le diverse regioni, anche riguardo ai criteri richiesti per le strutture. È stata quindi segnalata alla Commissione la necessità di intervenire anche a livello normativo per superare tale problema(14). Pag. 14
  Ad integrazione di quanto sopra esposto va ricordato che secondo i dati emersi nel corso dell'audizione di rappresentanti dell'UNICEF, tra i bambini che vivono in famiglie con un solo genitore, il tasso di deprivazione materiale è del 17,6 per cento, mentre tra i bambini che vivono in famiglie con genitori con un basso livello di istruzione il tasso è del 27,9, crescendo al 34,3 per cento per i bambini che vivono in famiglie senza lavoro, mentre per chi è figlio di migranti il tasso è del 23,7 per cento(15).
  In tale difficile quadro, ad aggravare la situazione di povertà materiale concorre oggi anche una povertà di relazioni sociali, che riguarda sia le famiglie italiane, sia quelle immigrate, le quali, rispetto al passato, possono contare su meno supporti e su una rete di servizi non omogenea sul territorio nazionale.
  Tale condizione derivante dallo stato di progressivo impoverimento delle famiglie nel nostro Paese colpisce i minori con effetti di lungo termine, comportando, come è stato correttamente osservato, un maggiore rischio di povertà ed esclusione sociale per gli adulti di domani. Già a 3 anni è rilevabile uno svantaggio nello sviluppo cognitivo, sociale ed emotivo dei bambini provenienti da famiglie più disagiate e in assenza di interventi adeguati entro i 5 anni, il divario aumenta ulteriormente(16).

2) La deprivazione materiale: dinamiche sociali e impatto sulla vita dei minori
  Nell'ambito dell'audizione svolta con il viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra, sono stati forniti alla Commissione importanti indicazioni sulla diffusione della povertà minorile nel nostro Paese, sulla base dei dati pubblicati nel rapporto EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions) (17). Tali dati sono stati costruiti sulla base di metodologie comuni a tutti i Paesi dell'Europa ed ottenuti mediante l'elaborazione di un indicatore di tipo composito riguardante la popolazione a rischio di povertà o di esclusione sociale. L'indicatore tiene conto di tre fattori (la povertà relativa, la grave deprivazione materiale e il fatto di vivere in una famiglia con un'intensità di lavoro molto bassa), dalla cui somma si ottiene l'indicatore dell'esposizione al rischio di povertà ed esclusione sociale(18). Pag. 15
  Secondo i dati forniti alla Commissione, l'indicatore, per l'Italia risulterebbe in crescita rispetto agli anni precedenti, di 4-5 punti rispetto alla media europea, evidenziando l'entità non trascurabile del problema riguardante la povertà minorile nel nostro Paese. Nel complesso, infatti, secondo l'ultima rilevazione del 2012, il dato di esposizione per l'Italia alla povertà ed esclusione sociale è di quasi il 34 per cento.
  Più specificamente, dei tre fattori sopra menzionati, il più incisivo risulta essere quello della povertà relativa, mentre per quanto riguarda l'appartenenza a una famiglia con un'intensità di lavoro molto bassa, la condizione dell'Italia rispetto agli altri Paesi appare meno grave. Tuttavia, il terzo fattore, riguardante la deprivazione materiale, è la dimostrazione più evidente dell'accelerazione subita dal fenomeno della povertà minorile nel nostro Paese.
  Già nel 2010, infatti, l'8 per cento dei minori risultava vivere in una famiglia con grave deprivazione materiale, ma secondo i dati aggiornati al 2013, in due anni, questo dato è più che raddoppiato, così come riportato nel grafico seguente, dove il dato sull'incidenza della popolazione in condizione di grave deprivazione materiale subisce, in generale, un'impennata molto significativa con riferimento all'Italia.

  Ulteriori indicatori forniscono informazioni sull'incidenza della povertà relativa e della povertà assoluta divise per tipologia di famiglie e, per quanto riguarda la povertà relativa, suddivisa anche per circoscrizione territoriale. In particolare, secondo le informazioni acquisite, le famiglie in condizioni di povertà relativa risulterebbero 3.232.000, il 12.7 per cento del totale, concentrate soprattutto in zone Pag. 16di scarso sviluppo socio-economico, in prevalenza nelle regioni meridionali (in alcune delle quali le famiglie in condizioni di povertà relativa supererebbero il 25 per cento del totale). Tale dato numerico, peraltro, apparirebbe in crescita(19).
  È stato inoltre segnalato alla Commissione il fatto che l'incidenza della povertà nelle famiglie con minori risulta molto forte in tutte le tipologie, non essendo imputabile, quindi, solo ad un problema di numerosità. Infatti, tale dato risulta comunque significativo e in crescita anche nelle famiglie con uno o due figli, le quali subiscono, dunque, un aumento significativo dell'incidenza della povertà assoluta e della povertà relativa, secondo la stessa dinamica e incidenza.
  Da ultimo, si conferma ancora una volta il dato secondo cui l'incidenza della povertà relativa per numero di figli minori e ripartizione territoriale risulta maggiore al Sud rispetto al Nord e al Centro. In particolare, al Sud l'incidenza della povertà relativa interessa più di un quarto della popolazione. L'analisi dei dati suggerisce inoltre che nelle famiglie numerose, con tre o più figli, l'incidenza è comunque sempre molto forte (16-17 per cento nel 2012), secondo un trend di crescita straordinario rispetto all'anno precedente, con quasi 6 punti percentuali in più. Questa situazione risulta ben rappresentata con l'ausilio dei due grafici seguenti, che mettono in evidenza l'incidenza della povertà relativa familiare, con particolare riguardo alle famiglie dove sono presenti minori. Alla luce di ciò, tra le raccomandazioni che alcuni dei soggetti auditi hanno portato all'attenzione della Commissione, è stata evidenziata la necessità di destinare un'attenzione peculiare verso questa tipologia familiare(20).

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  La povertà minorile, dunque, così come confermano i dati illustrati alla Commissione nel corso delle numerose audizioni svolte, rappresenta, oggi, «un'emergenza nell'emergenza» (21). Aumentano, infatti, sempre di più i bambini che oggi vivono in condizioni di povertà non soltanto in quei Paesi dove, tradizionalmente, la situazione economica risulta particolarmente drammatica, ma anche in Paesi a reddito medio-alto, e ciò determina conseguenze di rilievo sul piano sociale in vaste aree finora mai interessate da questo fenomeno, inclusa l'Unione europea.
  Tale aspetto, evidenziato alla Commissione nel corso dell'audizione del presidente dell'UNICEF Italia, svolta il 13 febbraio 2014, dimostra che la crisi economica ha un impatto pesantissimo sulle famiglie, presentandosi come uno spettro che incombe ormai sulle generazioni future. Povertà, esclusione e vulnerabilità non sono più fenomeni confinati ai Paesi in via di sviluppo, bensì elementi presenti in modo crescente, sia pure in forme diverse e con implicazioni diverse, anche nei Paesi economicamente avanzati. Di tale crisi abbiamo modo di misurare le conseguenze sui nostri bambini(22).

Pag. 18

  Secondo uno studio condotto dall'Istituto degli Innocenti di Firenze per conto dell'UNICEF(23), il concetto di povertà va definito non soltanto sulla base di indicatori economici, ma anche considerando altre dimensioni della vita infantile e minorile.
  In realtà, già negli anni novanta il dibattito sul rapporto tra crescita economica e sviluppo umano è stato affrontato in maniera molto precisa dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP). Nei suoi rapporti annuali l'UNDP ha promosso un approccio basato sulla dimensione umana dello sviluppo: quest'ultima, infatti, è stata spesso trascurata a beneficio di parametri incentrati sulla crescita economica(24).
  Oggi, seguendo un approccio che l'UNICEF ha da sempre sostenuto e che si fonda, tra l'altro, sull'attenzione posta ai processi di sviluppo riguardanti le persone nella società, appare opportuno porre l'accento su un aspetto multidimensionale del benessere, anche allo Pag. 19scopo di migliorare l'individuazione, il monitoraggio e l'efficacia di politiche nazionali adeguate, non calibrate soltanto sugli indicatori economici. Secondo i dati contenute nei Reports sopracitati, per esempio, si troverebbero in povertà relativa le famiglie il cui reddito, adeguato alle dimensioni e alla composizione del nucleo familiare, risulti inferiore al 50 per cento del reddito mediano del Paese in cui vivono.
  In particolare, nell'ultimo Report Card del 2013, dal titolo «Il benessere dei bambini nei Paesi ricchi, un quadro comparativo», viene presentata una comparazione tra 29 Paesi ad economia avanzata che prende in considerazione non soltanto l'aspetto economico, ma anche cinque dimensioni della vita infantile: benessere materiale, salute e sicurezza, istruzione, comportamenti a rischio e condizioni abitative e ambientali.
  Nella classifica generale l'Italia occupa il ventiduesimo posto, alle spalle di Spagna, Ungheria e Polonia, e prima di Estonia, Slovacchia e Grecia. Nella classifica per le singole dimensioni, in termini di benessere materiale, il nostro Paese occupa invece il ventitreesimo posto, mentre per salute e sicurezza si pone al diciassettesimo posto (ma sempre e comunque nella parte medio-bassa della classifica); per l'istruzione si colloca al venticinquesimo posto, mentre per i comportamenti a rischio al decimo; infine, per le condizioni abitative e ambientali, occupa il ventunesimo posto.
  Pertanto, insieme ad altri Paesi dell'Europa meridionale (Portogallo, Grecia e Spagna), l'Italia si trova nella terza fascia più bassa di questa classifica sulla povertà infantile, con il 17 per cento di bambini sotto la soglia di povertà. Dalle analisi presentate emerge l'importanza di monitorare la povertà e la deprivazione materiale, nonché una serie di altre dimensioni del benessere dei bambini e degli adolescenti nei Paesi cosiddetti ricchi, al fine di avviare politiche efficaci. Così come segnalato alla Commissione, tali indagini, unite a un costante monitoraggio, favorirebbero una maggiore responsabilità sociale, al pari di un utilizzo più mirato delle risorse, orientando al meglio gli interventi statali nel tempo e garantendone, quindi, l'efficacia. In tal senso, l'efficacia appare strettamente correlata anche alla rapidità con cui si realizzano tali interventi a favore dell'infanzia, posto che i bambini rimasti indietro nelle prime fasi della loro esistenza, ereditano poi conseguenze che si porteranno dietro per tutta la vita. In tal senso, è stato giustamente osservato che recuperare quanto non si è fatto nei primi anni di vita, può risultare molto più difficile e costoso rispetto ad azioni di prevenzione e supporto adottate nel momento opportuno; occorre quindi intervenire con misure adeguate fin dall'età scolare, per consentire lo sviluppo adeguato ed equilibrato del minore. Inoltre i costi della mancata salvaguardia del benessere dei bambini gravano sicuramente su ognuno di essi, ma anche, in misura significativa, sull'intera società, in termini di maggiore impegno nei servizi sanitari e ospedalieri, nel welfare, nei programmi di protezione sociale, e di difesa e garanzia da parte delle forze di polizia e della magistratura.
  La povertà infantile non va quindi considerata come un fenomeno inevitabile ma risulta sensibile alle scelte politiche della nazione. Alcuni Paesi stanno facendo molto di più e meglio di altri per proteggere i soggetti più vulnerabili, cioè i bambini. I dati dimostrano Pag. 20che nei Paesi dove i Governi intervengono agendo su imposte e sussidi, i relativi tassi di povertà infantile si riducono in maniera sensibile(25).
  In Italia, con riferimento alle politiche di contrasto finora adottate, i dati esposti alla Commissione non risultano confortanti: a fronte di un intervento statale, infatti, il tasso di miglioramento delle condizioni di vita rilevate tende ad aumentare soltanto di qualche decimo di punto.

3) La povertà come carenza di opportunità
  Anche i rappresentanti del CENSIS, ascoltati in audizione il 18 febbraio 2014, hanno affrontato il tema della povertà con un approccio multidimensionale, caratterizzato ed originato da aspetti molteplici, che devono essere presi in considerazione tutti insieme.
  Da un lato, è stato sottolineato il rapporto esistente fra le condizioni di povertà individuali, dei familiari di minori e delle loro famiglie, e le condizioni di svantaggio dei contesti sociali, economici e di vita che caratterizzano i luoghi in cui questi minori vivono, vale a dire il rapporto biunivoco tra condizioni individuali di povertà e condizioni di disagio, degrado sociale ed economico dei territori di residenza.
  Dall'altro è stato posto l'accento su una definizione di povertà intesa come carenza di opportunità, talvolta addirittura come assenza di opportunità, allorquando tale situazione impatta direttamente su dimensioni della vita quotidiana riguardanti, per esempio, l'aspettativa di vita, o la possibilità di superare le malattie, sembrando tuttora vigente la vecchia regola secondo cui la salute è fortemente determinata dalle condizioni sociali ed economiche.
  I dati illustrati alla Commissione sono ben rappresentati nella tabella che segue, da cui è possibile estrarre il quadro d'insieme rispetto all'incidenza delle famiglie in povertà relativa nel nostro Paese.

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  Il grafico analizza le regioni italiane sulla base del loro livello di sviluppo socio-economico. Si nota la quasi sovrapponibilità tra le due cartine proposte, a testimonianza del fatto che i 3.232.000 di famiglie individuate, che vivono in condizioni di povertà relativa, sono concentrate in territori in cui lo sviluppo socio-economico, le opportunità di vita e di lavoro sono tendenzialmente meno elevate(26).
  Il tratto più scuro delle regioni meridionali corrisponde alla percentuale (circa il 26 per cento) delle famiglie in condizioni di povertà relativa (praticamente, più di una famiglia su quattro), secondo un andamento in crescita. Questo trend crescente appare sempre più marcato, con un impatto della crisi economica che diventa più forte proprio nelle zone più deboli.
  Come già ampiamente illustrato in precedenza, nelle famiglie numerose l'incidenza della povertà diventa significativamente maggiore rispetto alla media delle famiglie italiane. Tra le famiglie cosiddette «numerose», le famiglie povere sono il 28,5 per cento, mentre al Sud il 40 per cento delle famiglie «numerose» vive una situazione di povertà relativa. Stabili i dati nelle situazioni di povertà assoluta.
  In tal senso, anche alcune zone del territorio nazionale, che sembravano esenti da queste condizioni di contesto sociale e lavorativo più deprivato, cominciano ad essere a rischio. La tabella successiva mostra due graduatorie a confronto, con un indicatore sintetico del disagio nella crisi in riferimento ad alcune province italiane secondo una scala da zero a cento. Colpisce la presenza in graduatoria anche di alcune province caratterizzate dalla presenza di un tessuto produttivo significativo, come ad esempio, Pesaro-Urbino, Livorno, Rieti, Varese, ma anche province del Nord produttivo del Paese.

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  In realtà, nonostante nella graduatoria generale del disagio le province indicate non siano in una posizione elevata, l'impatto della crisi è stato particolarmente significativo proprio in queste ultime. La corrispondenza tra disagio sociale e povertà individuale, quindi, può essere un rischio anche in zone del territorio nazionale tradizionalmente esenti da questa problematica.
  È stata altresì segnalata alla Commissione l'importanza di un ulteriore fattore, costituito dall'incidenza della povertà relativa per titolo di studio della persona, e per territorio di residenza della stessa. Quando, infatti, un capofamiglia possiede un titolo di studio basso o medio-basso, la probabilità che al Sud abbia una condizione di povertà arriva al 34 per cento, contro il 10 per cento circa del Nord e del Centro.

  Nelle regioni del Sud, tra coloro che hanno un titolo di studio elevato (laurea o diploma), la possibilità di essere poveri raggiunge il 15 per cento, contro il 3-3,5 per cento del Nord. Questo dato evidenzia quindi il peso del contesto nel quale si vive, in quanto avere un diploma o una laurea al Sud non è sufficiente a evitare il rischio della povertà.
  Come già sopra ricordato il concetto di povertà come assenza o carenza di opportunità, comporta, tra l'altro, che il divario sociale si traduca in un divario di salute che, nonostante i progressi della medicina e i livelli di offerta sanitaria nel nostro Paese, non risulta ancora colmato(27).
  In particolare, secondo quanto riferito alla Commissione, una delle patologie più fortemente condizionate dai fattori sociali risulta il diabete. Nel grafico seguente è possibile osservare la diffusione del diabete nelle regioni italiane, con l'evidente differenza rilevata tra Nord e Sud: a fronte di una media del 5 per cento, infatti, le regioni del Sud hanno tassi di prevalenza del diabete più elevati.

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  Nella stessa direzione, un'ulteriore rilevazione registra la diffusione di due fattori di rischio molto significativi per la salute dei minori, l'obesità e il sovrappeso: ancora una volta, la graduatoria evidenzia che le regioni del Sud hanno una quota decisamente più alta di cittadini obesi o in sovrappeso, quindi a rischio di ammalarsi di diabete.
  Questo studio è stato condotto del Ministero della salute e ha riguardato i bambini di età tra 8-9 anni che frequentano la terza elementare. Alcune regioni, quelle in rosso, evidenziano in questa fascia d'età un 40 per cento di soggetti in condizioni di eccesso ponderale, cioè di bambini non necessariamente obesi; ma se la stima, in queste regioni, è di circa 1.100.000 bambini in eccesso ponderale, di questi, 400.000 obesi si trovano proprio nelle regioni del Sud.
   

  Nelle regioni del Sud, quindi, tende ad affermarsi un modello nutrizionale sempre più simile a quello esistente nei Paesi del Sud del mondo, in cui si abbandona la tradizione alimentare nazionale a favore di Pag. 24un consumo eccessivo del cosiddetto junk food, il cibo ipercalorico a scarso valore nutrizionale, che però vanta un costo basso(28).
  Sempre sul tema della salute, con riferimento ai dati ISTAT desunti dalle dichiarazioni degli italiani sul fatto di essere in buona salute o di avere delle malattie, se non vi è una grossa differenza tra le varie zone del Paese rispetto alla quota di italiani che si dichiarano in salute o dichiarano di avere una malattia, la differenza risiede nella capacità di compensare la propria situazione di malattia: si va dal 46 per cento del Nord-Ovest, al 47 per cento del Nord-Est, al 45 del Centro, al 36 per cento del Sud e al 39 per cento delle isole. Pertanto, secondo quanto riferito alla Commissione, l'intervento pubblico, nell'ottica di rispondere ai problemi di povertà dei minori, dovrebbe avere l'obiettivo di colmare questo divario quanto più possibile, posto che il contesto delineato, congiunto con la condizione economica individuale delle famiglie con minori, ha un impatto decisivo nel determinare le opportunità concrete di vita di questi ultimi(29).

4) Scuola ed abbandono scolastico
  In linea generale, la scuola dovrebbe rappresentare un elemento in grado di impattare sulle opportunità di vita del minore; tuttavia spesso, nel nostro Paese, costituisce un'occasione mancata, poiché non riesce ad incidere in modo significativo sul divario sociale che si trova ad affrontare. La difficoltà da parte della scuola a sopperire a condizioni di crescente disagio sociale, emerge indirettamente dalla tabella seguente, dove sono riportati alcuni indicatori, che individuano gli alunni con ritardo distinti per cittadinanza e per livello scolastico.
  In generale risulta che gli alunni più in ritardo siano anche quelli con i maggiori problemi nell'ambito della popolazione scolastica, cioè i bambini e i ragazzi non italiani.

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  Anche per i ragazzi italiani iscritti alla scuola secondaria di secondo grado il grafico denota la presenza di una percentuale significativa di alunni in ritardo, che costituisce un dato preoccupante, così come gli alunni a rischio di abbandono nella scuola dell'obbligo. Si trovano in questa situazione gli alunni che non frequentano più da tempo l'istituto di appartenenza e che non hanno dato comunicazione formale della relativa motivazione. Il grafico che segue, mostra un territorio nazionale in cui, seppure con intensità differenti, è evidente un problema di uscita precoce dei minori dal circuito scolastico sia pure con differenze tra le varie regioni.
  Sono stati presentati alla Commissione anche i dati relativi ai ragazzi che escono precocemente dalla scuola superiore , cioè che si sono iscritti ma sono rimasti dentro il circuito scolastico soltanto il primo anno, senza poi iscriversi al secondo. L'articolazione territoriale di questo fenomeno risente anche della dimensione del tessuto produttivo, in quanto risulta più facile trovare lavoro in certe zone del territorio nazionale senza un titolo di studio elevato.

  Infine, il dato sulla popolazione tout court rivela che in Italia il 17,6 per cento dei ragazzi dai 18 ai 24 anni possiede, al più, la licenza media e non frequenta altri corsi scolastici o altre attività formative.

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  Anche in questo caso il gradiente Nord/Sud è abbastanza presente. L'abbandono scolastico, oltre a rappresentare un fenomeno preoccupante e in crescita nel nostro Paese e nell'Unione europea, risulta anche essere uno degli indicatori considerati tra gli obiettivi di Europa 2020, quindi, uno dei criteri su cui si valuterà la nostra capacità di sviluppare risorse umane e di migliorare la condizione generale del Paese(30). Tuttavia, attualmente, nel confronto con gli altri Paesi membri dell'Unione, l'Italia risulta occupare la parte bassa della graduatoria, anche se prima di Portogallo, Malta e Spagna, dove i giovani che hanno abbandonato prematuramente gli studi sono in quota percentuale maggiore.

4.1) Il fenomeno dei soggetti NEET – Not in education, employement or training

  Con l'utilizzo del termine NEET, di origine recente, si fa riferimento quei ragazzi – in una fascia d'età compresa tra i 15 e i 29 anni – non impegnati in alcuna attività, ovvero che non stanno studiando, non stanno lavorando, né stanno svolgendo attività di formazione, essendo per lo più a casa o in giro per il mondo.

  Si tratta di un fenomeno in crescita: le stime parlano di un dato medio nella popolazione tra i 15 e i 29 anni del 23,9 per cento. Ciò significa, quindi, che oltre 2 milioni di ragazzi si trovano in questa condizione. L'Italia registra il tasso più alto, con l'11 per cento dei Pag. 27giovani, per la maggior parte al Sud, dove il contesto più difficile ha un impatto di sistema(31).

  I dati sui Neet evidenziano altresì una differenza di genere.
  Mentre i dati sull'abbandono scolastico non fanno registrare una prevalenza netta delle bambine o delle ragazze sui ragazzi, quando si tratta di persone escluse da qualsiasi circuito, sia formativo che lavorativo, si constata come le donne, anche nel Nord del Paese, si trovano maggiormente in questa condizione indistinta. Spesso, infatti, pur avendo studiato, le donne si ritrovano a prestare la propria opera in ambito domestico.
  Risulta quindi evidente che la scuola, non accompagnata da altre azioni, non è in grado di compensare i gap iniziali dei ragazzi che la frequentano. In tal senso, un percorso multidimensionale, in grado di affrontare il tema del disagio e della povertà minorile sotto tutti gli aspetti che caratterizzano questo fenomeno, potrebbe meglio rispondere alle sfide poste dal contesto attuale.

4.2) Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati

  I rappresentanti dell'ANCI, ascoltati dalla Commissione nella seduta del 18 dicembre 2013, hanno riferito sul tema particolare dei minori stranieri non accompagnati, sottolineando la necessità di inquadrarlo nel più vasto tema della povertà minorile ed evidenziando le difficoltà connesse alla riduzione dei fondi disponibili per le politiche sociali, una realtà che ha dirette ricadute anche negli interventi a favore dei minori. Infatti i comuni, ai quali compete l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, si trovano in Pag. 28grande difficoltà nello svolgimento di tale funzione a causa della riduzione dei fondi sopra citati. Inoltre, gli oneri economici connessi all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, comportano, in alcuni comuni, una riduzione dell'erogazione di servizi per i minori a rischio di esclusione sociale, risultando tale situazione ancora più grave per i comuni di piccole dimensioni(32).
  Secondo i dati forniti alla Commissione il numero dei minori stranieri non accompagnati presenti in Italia è aumentato del 98,4 per cento negli ultimi due anni, arrivando ad un totale di oltre 9 mila (8.655 secondo la rilevazione al 30 novembre 2013). Attualmente, si risponde all'emergenza con procedure disomogenee, con afflussi massicci in alcuni comuni piuttosto che in altri e, negli ultimi anni, a fronte del numero elevato di soggetti arrivati nel nostro Paese, è emersa la necessità di affrontare il problema con interventi ordinari, abbandonando un'impostazione emergenziale e adottando disposizioni omogenee per il percorso di tali soggetti, dall'arrivo fino alla successiva integrazione. In tal senso, è stata segnalata alla Commissione la necessità di ripartire i costi con criteri che assicurino un'omogeneità di trattamento, individuando sistemi di finanziamento strutturali per quei comuni che si trovano a gestire la responsabilità di minori stranieri non accompagnati.
  In particolare, poiché i minori stranieri non accompagnati arrivano in gran parte nell'ambito di flussi migratori e la gestione di tale fenomeno rientra tra le competenze dello Stato, quest'ultimo dovrebbe quantomeno fornire ai comuni risorse adeguate per fronteggiare le situazioni di emergenza. In tal senso, è stata segnalata alla Commissione l'opportunità di dotare il Fondo nazionale per i minori non accompagnati, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di risorse tali da assicurare la piena copertura delle spese sostenute dai comuni per l'accoglienza di tali soggetti.
  Inoltre, appare indispensabile procedere ad un regolare monitoraggio quantitativo delle presenze, ad uno scambio tempestivo di informazioni tra i diversi livelli di governo del territorio, e all'adozione di forme di collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte. Sarebbe infine auspicabile l'istituzione di un sistema nazionale di accoglienza e protezione dei minori stranieri non accompagnati coordinato da una «cabina di regia», della quale facciano parte i Ministeri maggiormente coinvolti, la Conferenza delle Regioni, l'UPI e l'ANCI. Ciò potrebbe consentire, da un lato, l'armonizzazione delle prassi e l'uniformazione degli standard di accoglienza, dall'altro, l'esatta definizione dei compiti dei diversi soggetti istituzionali coinvolti(33).

Pag. 29

II – LA POVERTÀ EDUCATIVA

Premessa

  Il concetto di povertà educativa descrive un ambito più ampio di quello meramente scolastico, essendo stata definita come tale la privazione, per un bambino o un adolescente, della possibilità di apprendere, di sperimentare le proprie capacità, di sviluppare e far fiorire il proprio talento(34). Il riferimento è a tutto ciò che riguarda la sfera cognitiva, ovvero alle competenze necessarie a vivere in un mondo caratterizzato dall'economia della conoscenza, dall'innovazione, ma anche dalla limitazione dell'opportunità di crescere dal punto di vista emotivo, nelle relazioni con gli altri e con se stessi. Il termine «educativo» è quindi utilizzato in senso lato, arrivando a comprendere la scoperta del mondo e lo sviluppo fisico.
  Nel corso dell'audizione di rappresentanti di «Save the children», il 12 giugno scorso, è stato posto l'accento sul fatto che questa forma di povertà non va sottovalutata, in quanto proietta i suoi effetti oltre l'età adolescenziale, tendendo a compromettere non solo il presente del bambino, ma anche il suo futuro. Un bambino educativamente povero oggi, sarà con tutta probabilità un adulto povero domani. In tal senso esiste una sostanziale differenza tra la povertà economica e la povertà educativa, poiché la prima si traduce, innanzitutto, in una sorta di condizione di svantaggio di partenza nel quadro dello sviluppo futuro dei bambini (perlomeno, sulla base degli strumenti finora utilizzati per misurarla)(35). Durante il percorso di formazione educativa di ciascun individuo, risulta tuttavia possibile recuperare in qualche modo questo svantaggio iniziale attraverso altri fattori (si parla di resilienza). Sono innumerevoli i casi di ragazzi nati in famiglie svantaggiate ma che con impegno e determinazione riescono in tale operazione di recupero. La povertà economica delle famiglie, quindi, non ha riflessi automatici sui bambini, i quali, entrando nel mondo educativo (a scuola, in famiglia, tra gli amici o in società), possono anche prendere altre direzioni e trovare un percorso di successo.
  In senso opposto è possibile riscontrare una povertà educativa in minori che non sono in situazioni di povertà economica. Occorre quindi prestare una specifica attenzione a questa forma di povertà che viene definita «educativa», perché deve essere considerata come specifica dei minori.

1) Indice di povertà educativa

  Nel corso dell'audizione citata, è stata illustrata alla Commissione la possibilità di mettere a punto uno strumento, diretto a misurare
Pag. 30questa forma di povertà, vale a dire l'indice di povertà educativa. Un comitato scientifico composto da accademici italiani, in collaborazione con l'Università di Oxford, ha avviato una consultazione a cui hanno partecipato 200 ragazzi, tra i dodici e i diciotto anni di età. Sulla base di una serie di dati di dati forniti dal Ministero dell'istruzione e dall'ISTAT, sono stati selezionati quattordici indicatori ritenuti significativi per costruire un primo e sperimentale indice di povertà educativa, focalizzato sull'offerta educativa a livello regionale.
  Partendo dall'assunto per cui la povertà materiale, propria dei genitori, una volta trasmessa ai ragazzi, crea, a sua volta, una povertà educativa e, quindi, uno svantaggio futuro, si è cercato di capire se le regioni avessero fornito risposte per contrastare questo fenomeno, offrendo servizi particolari in modo da interrompere il ciclo negativo dello svantaggio iniziale.
  Con riferimento agli indicatori, si è cominciato dall'infanzia, ovvero dalla copertura dei nidi e dei servizi integrativi. Per quanto riguarda la scuola, sono state prese in considerazione le classi a tempo pieno nella primaria e nella secondaria di primo grado, le istituzioni scolastiche con servizio mensa, le scuole con certificato di agibilità – senza trascurare quindi il tema della sicurezza –, le aule connesse a internet e la dispersione scolastica. Si è poi guardato anche all'educazione fuori dal contesto scolastico, considerando i bambini che sono andati a teatro, che hanno visitato musei e monumenti archeologici, che sono andati a concerti, che hanno avuto accesso a internet, che hanno praticato sport in modo continuativo, ovvero che hanno letto dei libri, puntando l'attenzione su un'idea di educazione vasta, che riguardi in particolare l'acquisizione di conoscenze dal punto di vista del minore.

2) L'incidenza dei fattori geografici ed economici nel contesto italiano

  In sintesi, secondo i risultati acquisiti all'esito dell'indagine condotta, si evidenzia che la regione più povera da un punto di vista educativo, cioè dove si riscontra la minore presenza di servizi educativi, è la Campania, seguita ex aequo da Puglia e Calabria e poi dalla Sicilia(36).
  In queste regioni, secondo i parametri esaminati, l'offerta di servizi educativi è risultata inadeguata, e ciò pone un ulteriore problema, perché si tratta di regioni già caratterizzate da una maggiore presenza di povertà materiale. Vi è, quindi, una povertà materiale e, al tempo stesso, la mancanza di opportunità per uscire dal circolo vizioso. In particolare, con riferimento alla copertura dei nidi, il 2,8 per cento dei bambini nella fascia d'età tra zero e due anni è preso in carico da asili pubblici campani; in Calabria tale percentuale scende al 2,5, in Puglia è del 4,5 per cento, in Basilicata del 7,3 per cento e in Abruzzo del 9,3 per cento. Pag. 31
  Il tempo pieno a scuola è garantito soltanto dal 6,5 delle scuole primarie della Campania e dal 15,3 per cento di quelle secondarie di primo grado, con una situazione molto critica, quindi, anche in Puglia e in Sicilia(37).
  Inoltre, in queste regioni, il dato sulla dispersione scolastica raggiunge valori elevati, con punte del 22 per cento in Campania e del 25,8 per cento in Sicilia. Tuttavia tale dato è presente in misura significativa anche in alcune regioni del Nord: in Val d'Aosta, ad esempio, raggiunge il 19,1 per cento, mentre nella provincia autonoma di Bolzano tocca il 16,7 per cento. Questi dati, già di per sé preoccupanti, lo divengono ancor di più se posti in relazione con l'obiettivo europeo di ridurre tale percentuale ad un valore inferiore al 10 per cento entro il 2020.
  Come evidenziato in precedenza, la deprivazione educativa non si limita soltanto al contesto scolastico, poiché si basa su indicatori posti anche al di fuori della scuola. In tal senso, la situazione peggiore si registra al Sud: in Campania soltanto un quarto dei bambini fa sport in modo continuativo, il 31 per cento in Puglia, il 32 per cento in Calabria e in Sicilia. Al contrario, ci sono regioni del Nord dove la pratica dello sport è molto più sviluppata, riguardando, per esempio, il 69 per cento dei minori in Val d'Aosta.
  Vi sono poi regioni che sono state definite «ricche» dal punto di vista dell'offerta educativa rispetto al contesto italiano: in testa il Friuli-Venezia Giulia, quindi la Lombardia e l'Emilia-Romagna, che offrono più servizi rispetto ad altre. Per esempio, risulta che in Friuli-Venezia Giulia il 75 per cento dei minori ha letto almeno un libro, che il 56 per cento fa sport in modo continuativo, con un tasso di dispersione scolastica che è molto basso, l'11 per cento, (quindi, praticamente in linea con il target proposto dall'Europa).
  Tuttavia se si opera una comparazione di queste regioni con il contesto europeo, si osserva che le regioni definite «ricche» di offerta educativa in Italia, vengono qualificate come «povere» nel confronto con altri Paesi europei. Volendo operare un esempio concreto, per la copertura dei nidi, il target europeo è il 33 per cento, mentre in Italia, al di là dell'Emilia Romagna, che risulta la prima regione, con il 28 per cento, la media nazionale si attesta intorno al 17 per cento. Pertanto, anche le regioni che presentano una ricca offerta educativa, si rivelano in una situazione di svantaggio rispetto ad altri Paesi europei.
  Nel corso dell'indagine, è stato tuttavia sottolineato che tale indice di povertà educativa, anche per le modalità con cui è stato costruito, sconta alcune difficoltà di fondo, ad esempio la scarsa disponibilità di dati nonché la insufficiente circolazione degli stessi. Per esempio, sulla differenza tra bambini e bambine, tale difficoltà appare evidente, posto che se per alcuni indicatori abbiamo la disaggregazione maschi/ Pag. 32femmine e non sono state trovate differenze, ciò non significa che tali differenze non ci siano in assoluto, proprio perché per altri indicatori non esistono questi dati.
  In tal senso l'anagrafe della scuola risulta ancora in ritardo, mentre sarebbe di fondamentale importanza completarla, aggiungendovi i dati relativi al percorso educativo e familiare dei minori.
  Si tratta di una misura che, pur dovendo essere accompagnata dalle necessarie cautele dirette ad assicurare la protezione dei dati personali coinvolti, dovrebbe essere implementata al più presto, in quanto è necessaria anche allo scopo di monitorare concretamente le politiche messe in campo, valutarle ed investire di conseguenza le risorse in modo più efficiente.
  Sono stati presentati alla Commissione anche i dati relativi all'attività fisica e sportiva praticata dai ragazzi a scuola: questi ultimi escono dal loro percorso scolastico con circa 500 ore di educazione fisica, mentre in Europa la media è pari al doppio delle ore. In effetti, in alcune regioni sono pochissimi i ragazzi che praticano attività fisica, e tale situazione ha effetto non solo sulle condizioni di salute dei nostri giovani, bensì anche in termini di socialità tra gli stessi. Lo sport, infatti, crea legami e risulta un elemento fondamentale ai fini di un sano ed equilibrato sviluppo educativo.
  In modo analogo anche la valorizzazione dell'espressione musicale e artistica costituisce una componente fondamentale nell'ambito dello sviluppo educativo; tuttavia, pur essendo l'Italia il Paese con il più grande patrimonio artistico e culturale a livello mondiale, pochissimi minori ne usufruiscono. Assume un rilievo particolare anche la promozione della lettura tra i giovani. In tal senso, appaiono meritevoli quelle esperienze, messe in campo da alcune scuole, che aprono nel pomeriggio per rendere accessibile alla collettività la loro biblioteca(38).

2.1) Il fenomeno del cyberbullismo

  Il tema della povertà relazionale e affettiva, si pone in stretta correlazione con quello del cyber bullismo, un tema che, nel periodo storico attuale, andrebbe affrontato come una priorità. Occorre fare in modo che i ragazzi siano in grado di utilizzare correttamente i new media, senza distorsioni, e in tal senso potrebbe essere di aiuto il percorso scolastico. A tal fine, è stato segnalato alla Commissione l'utilità di spiegare, in ambito scolastico, come questi strumenti funzionino e come debbano essere utilizzati al di fuori della scuola. Sotto questo aspetto, è stata sottolineata l'importanza della scuola non soltanto per la sua imprescindibile funzione di trasmissione dei saperi, ma anche in termini di viatico per la socializzazione dei ragazzi.
  In particolare, nel corso dell'audizione svolta con il rappresentante del CENSIS, sono stati illustrati alla Commissione i risultati di uno studio sul bullismo condotto in alcune regioni meridionali, nel quadro di un progetto europeo. È emerso in modo netto che le vittime Pag. 33del fenomeno non sono solo coloro che subiscono l'atto di bullismo ma, nella maggior parte dei casi, anche i soggetti attivi, i quali, vista la giovane età, a loro volta si rivelano persone fragili, che hanno paura e che cercano di affermare se stessi attraverso la forza del gruppo. Questi soggetti, il più delle volte, provengono da esperienze di violenza pregressa, in quanto è stato appurato che determinati comportamenti nascondono una complessità psicologica che andrebbe affrontata. Tuttavia, secondo l'opinione di alcuni dei soggetti auditi dalla Commissione, il nostro Paese non sembra avere intrapreso iniziative decisive in questa direzione, sottovalutando, quindi, una dimensione della vita quotidiana dei ragazzi, poveri e non, che invece può influire in modo significativo sullo sviluppo cognitivo e relazionale delle future generazioni.

Conclusioni e proposte

Premessa

  Il progressivo aumento della povertà nel nostro Paese, da un lato, quale effetto diretto della crisi economica in atto, che ha inciso pesantemente sulle condizioni di vita dei cittadini, dall'altro, quale conseguenza di scelte politiche che hanno visto negli anni ridursi gli stanziamenti a favore del welfare e dei servizi destinati alle famiglie, ha penalizzato in modo particolare soprattutto i minori, con un impatto significativo sia sotto l'aspetto materiale, sia con riguardo al loro profilo educativo.
  Sulla base di tale premessa, l'indagine avviata dalla Commissione è stata quindi finalizzata sia ad acquisire elementi conoscitivi ed informazioni utili, al fine di delineare un quadro esaustivo di un fenomeno molto complesso, sia ad approfondire dinamiche e conseguenze dello stesso, con particolare riguardo agli effetti sulla vita dei minori, i quali sono i soggetti che, in prospettiva, sconteranno le conseguenze più negative di tale situazione.
  Infatti, nel corso dell'indagine svolta, è emerso con chiarezza come l'allarmante situazione sociale determini inevitabilmente effetti deleteri sullo sviluppo formativo e culturale dei giovani, limitando pesantemente le loro opportunità di crescita.
  In tal senso, la Commissione ritiene che la mancanza di investimenti appropriati, così come l'assenza di strumenti idonei a proteggere i bambini e gli adolescenti dalla povertà, a garanzia della loro sicurezza materiale e del loro diritto di accedere ai servizi essenziali, possa tradursi in oneri futuri particolarmente gravosi per l'intera società, compromettendo l'efficacia di concomitanti strategie mirate allo sviluppo del Paese.
  Pertanto, considerando la complessità del quadro relativo alla povertà minorile nel nostro Paese, che peraltro risulta caratterizzato anche da una marcata differenza territoriale a seconda delle regioni di riferimento, la Commissione, sulla base delle informazioni emerse Pag. 34nel corso delle numerose audizioni svolte, ritiene di potere enucleare alcune indicazioni e proposte la cui adozione consentirebbe, da un lato un più efficace contrasto al fenomeno, dall'altro la promozione di un equilibrato sviluppo a beneficio delle generazioni future.

Le politiche per l'infanzia in Italia: rilievi dell'ONU e dell'Unione europea

  Secondo le osservazioni conclusive rivolte all'Italia dal Comitato ONU per i diritti dell'infanzia, sono emerse forti preoccupazioni per l'alto numero di minorenni che nel nostro Paese vivono in condizioni di povertà, nonché per la sproporzionata concentrazione della povertà minorile soprattutto al Sud.
  Il Comitato ha altresì espresso preoccupazione con riguardo ai programmi di contrasto alla povertà più di recente adottati dall'Italia, i quali appaiono in gran parte concentrati più su misure di natura economica, che sulla promozione e valorizzazione di fattori determinanti per la riduzione della povertà, come quelli sociali, culturali, geografici e strutturali.
  Anche l'Unione europea, nell'ambito della «Strategia Europa 2020», ha trattato e sviluppato questo tema, ponendo un'attenzione particolare alle tematiche della povertà e dell'esclusione sociale. In tal senso, il 20 febbraio 2013, la Commissione europea ha adottato una specifica raccomandazione in materia (2013/112/UE),con l'obiettivo di sollecitare maggiori investimenti per l'infanzia, al fine di «spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale». In effetti, secondo la Commissione europea le strategie che risultano più efficaci per combattere la povertà infantile sono quelle alla base delle politiche volte a migliorare il benessere di tutti i minori, dedicando una particolare attenzione a quelli che si trovano in situazioni di grande vulnerabilità.
  In particolare, la raccomandazione indica gli strumenti utili per contrastare la povertà minorile e promuovere il benessere dell'infanzia, fornendo un quadro di riferimento comune a livello europeo, basato sul riconoscimento delle persone di minore età come portatrici di diritti. Tale raccomandazione indica un approccio alle politiche dell'infanzia da declinare in base a tre pilastri fondamentali: l'accesso a risorse adeguate, l'accesso a servizi di qualità a prezzi accessibili, il diritto di bambini e ragazzi a partecipare alla vita sociale(39).

Piano per l'infanzia e l'adolescenza

  Il 2014 è il terzo anno consecutivo senza l'approvazione del Piano nazionale per l'infanzia. Dopo il primo Piano d'Azione, del 1997-98, Pag. 35si sono avuti solo tre Piani nazionali infanzia, mentre secondo la legge istitutiva (l. n. 451 del 1997), tale Piano avrebbe dovuto essere uno strumento biennale. In tal senso, invece, sono stati adottati solo un Piano d'Azione e tre Piani nazionali infanzia. Inoltre, la natura stessa del Piano, è stata rispettata solo nella edizione del 2001, perché successivamente – con l'entrata in vigore della Legge n. 328/2000 e della Riforma del Titolo V della Costituzione – le competenze afferenti al Piano stesso sono cambiate, diventando per lo più esclusive delle Regioni e solo in parte concorrenti, ovvero di competenza esclusiva dello Stato. Se tale situazione avrebbe richiesto un adeguamento strutturale alla mutata situazione istituzionale della forma stessa del Piano, solo in parte il II e III Piano hanno raccolto questa sfida, più spesso continuando invece a individuare elenchi di azioni e interventi, a loro volta afferenti a molteplici livelli di attuazione, monitoraggio e controllo (in realtà, l'ultimo Piano presentato, nel gennaio 2011, scontava anche la mancanza di un adeguato supporto finanziario).
  Alla luce di tali considerazioni, la Commissione ritiene non più procrastinabile la presentazione di un Piano per l'infanzia e l'adolescenza che recepisca i suggerimenti derivanti dalla indagine svolta e che, in particolare, preveda una concreta strategia di contrasto alla povertà materiale ed educativa, da assumersi quale priorità dell'azione governativa.

Criteri di misurazione della povertà e monitoraggio dei dati sui minori

  La Commissione ritiene altresì necessario, nel medio termine, definire e adottare, sulla base di dati aggiornati ed attendibili, un efficace sistema di monitoraggio dei dati e dei risultati, al fine di elaborare un autonomo indirizzo relativo alla politica per l'infanzia e l'adolescenza, che sia specificamente inserito nella politica sociale nazionale. A tale scopo, appare necessario che il Governo si doti di un sistema organico di raccolta e gestione dei dati riferiti alla condizione dei minori e degli adolescenti.
  Dovrebbe, altresì, essere posta allo studio l'introduzione di obiettivi misurabili per la riduzione della povertà infantile, monitorando i progressi nella loro realizzazione. Tali obiettivi, secondo le indicazioni fornite alla Commissione, dovrebbero essere separati da quelli attinenti alla popolazione in generale, perché i bambini tendono ad essere esposti a un maggiore rischio di povertà rispetto agli adulti. Su questo fronte, infatti, si rileva come quasi tutti i tentativi di monitoraggio del benessere dei bambini, sia a livello internazionale, sia all'interno dei singoli Paesi, siano stati caratterizzati da una debolezza congenita, costituita dalla mancanza di dati. Ciò sembra avvenire anche in Italia, laddove non si rinvengono dati attendibili ed aggiornati sul benessere e sullo sviluppo dei bambini, già a partire dai primi mesi e anni di vita.
  Peraltro, così come suggerito nel corso delle audizioni svolte, la misurazione della povertà nei Paesi ricchi dovrebbe considerare, con Pag. 36riguardo ai bambini, specifici indici di deprivazione materiale, come per esempio la possibilità di fare almeno un pasto proteico al giorno, la mancanza di indumenti nuovi o libri da leggere, la possibilità di fare sport o altre attività ricreative.

Strategie contro le diseguaglianze

  Secondo quanto illustrato alla Commissione e suggerito anche dal Comitato italiano dell'UNICEF, sono stati elaborati alcuni punti cardine ai quali dovrebbe ispirarsi l'azione del Governo e del Parlamento. In particolare, sul tema della povertà si chiede di affrontare le diseguaglianze materiali, adottando politiche per il sostegno al reddito delle famiglie con figli (politiche da estendere anche alle famiglie di origine straniera), promuovendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché modalità di lavoro flessibili per entrambi i genitori e ampliando la disponibilità di servizi di qualità per la prima infanzia.

Modalità di destinazione delle risorse per l'infanzia

  Un ulteriore aspetto importante nella lotta alla povertà consisterebbe nel monitorare i tagli apportati alle risorse destinate all'infanzia, ritenendosi opportuno effettuare uno screening trasversale su tutti i documenti di programmazione previsti nell'attività del Governo, a livello centrale ma anche regionale, al fine di valutare l'impatto dei suddetti tagli sui diritti dell'infanzia.
  In tal senso, appare indispensabile un controllo sulla destinazione della spesa sanitaria, verificando quali quote di risorse vengono effettivamente destinate oggi in Italia all'infanzia e all'adolescenza, sia complessivamente, sia per settore, al fine di porre in essere scelte che possano essere più aderenti ai reali bisogni dei nostri bambini.
  La Commissione, pertanto, condivide l'opinione di tutti coloro i quali, nell'ambito dell'indagine svolta, hanno segnalato la necessità di destinare risorse ad hoc al fine di dare una risposta ai problemi della condizione minorile in Italia, comprendendo il valore di tali investimenti, i quali che possono costituire uno strumento di fondamentale importanza per uscire dalla crisi e per non compromettere la crescita futura dei soggetti minori. Investire oggi su tali soggetti può tradursi in un numero inferiore di famiglie povere da sostenere nel futuro, in minori sussidi per i disoccupati, minori spese per il disagio sociale, più lavoratori e quindi più contributi per il welfare di domani.
  In tal senso, nel corso dell'audizione del direttore della Fondazione Zancan, svoltasi il 29 luglio 2014, sono state illustrate alla Commissione alcune proposte di carattere concreto nel segno di una migliore utilizzazione delle risorse già dedicate all'infanzia, a cominciare dalla proposta di trasformare una parte degli assegni familiari in servizi per la prima infanzia, investendone, ad esempio, una quota in asili nido. In tal modo, infatti, il numero di bambini presi in carico potrebbe aumentare significativamente, con relativo incremento del numero di addetti. Il risultato, così come è stato sottolineato, non si Pag. 37tradurrebbe soltanto in termini occupazionali, ma anche in termini di riduzione della povertà e della disuguaglianza.
  Sembra infatti opportuno iniziare a riflettere su politiche di welfare in termini di investimento, misurandone la redditività, in considerazione del fatto che gli aiuti dovrebbero concorrere ad un risultato non solo personale, ma anche sociale. Tra i vantaggi delle proposte evidenziate alla Commissione, si indica, innanzitutto, la possibilità di effettuare interventi in tal senso a risorse invariate, quindi, al di là di condizionamenti derivanti dalla congiuntura economica sfavorevole.
  La Commissione concorda con questa impostazione, e, in particolare, ritiene che il supporto all'infanzia possa dare migliori e più duraturi risultati ove si traduca nella erogazione di servizi orientati al benessere materiale e alla crescita educativa, anche in relazione alla possibilità di un più mirato ed efficiente utilizzo delle risorse finanziarie disponibili.
  Strettamente collegata a questo tema vi è un'altra considerazione posta all'attenzione della Commissione, laddove è stato rilevato come da molti anni la tutela dell'infanzia, in particolare dell'infanzia deprivata, si sia tradotta in un approccio di carattere prevalentemente giuridico al problema. Sarebbe opportuno, invece, procedere a forme di misurazione reale e sostanziale dei benefici, ovvero del rendimento di questi diritti e del loro impatto sociale, a vantaggio dei bambini, dei genitori e della comunità più allargata.
  Questa innovazione potrebbe aiutare i soggetti competenti a livello locale, e soprattutto i gestori di servizi, a ragionare non solo su chi deve fare cosa, ma anche su come congegnare l'incontro tra diritti e doveri, per dare maggiori opportunità all'infanzia, al fine di aumentare il rendimento delle risorse a disposizione. Servirebbe, nell'opinione di alcuni dei soggetti auditi, un cambio di passo, in vista di una nuova strategia culturale e politica, nella necessità di ridefinire il concetto stesso di esigibilità di determinati diritti. Tuttavia, a tale scopo, si ravvisa la necessità di finalizzare gli investimenti in modo alternativo a quello attuale, passando dall'idea di un'esigibilità prestazionale dei diritti, a un'idea di verifica del loro rendimento, nonché del beneficio sostanziale apportato ai soggetti in età evolutiva.
  Anche a questo proposito, emerge il problema dei dati, i quali si rivelano necessari per valutare quali programmi predisporre a favore dei minori e come allocare le relative risorse. In tal senso, secondo quanto riferito alla Commissione, lo stesso sistema INVALSI (Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) andrebbe migliorato, aprendo ad una maggiore partecipazione da parte dei docenti e anche da parte delle famiglie dei ragazzi. In particolare, è stata fatta richiesta alla Commissione affinché nel Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza venga prevista una specifica sezione dedicata alle povertà educative, elaborando linee guida strategiche su questo profilo, attraverso una serie di azioni.

Interventi sui servizi scolastici

  Un'ulteriore criticità emersa nel corso dell'indagine condotta ha riguardato le mense scolastiche, che spesso risultano scarsamente Pag. 38accessibili ai minori che vivono in nuclei familiari con difficoltà economiche. In tal senso, come è stato suggerito, la Commissione condivide l'indicazione circa l'opportunità di offrire un servizio gratuito alle famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata, anche ipotizzando attività pedagogiche legate al servizio mensa.
  Questo tema si inserisce nella complessa questione delle risorse destinate alla scuola, in relazione a cui la Commissione auspica che possa essere dato effettivo impulso a investimenti adeguati, da destinarsi alle strutture scolastiche, necessari per garantire condizioni di sicurezza e di vivibilità agli studenti, nonché servizi scolastici che siano in linea con gli standard dei principali Paesi europei.

Scorporo delle spese per l'infanzia dal Patto di stabilità

  Da ultimo, due punti riguardano l'Europa. Gli interventi hanno chiaramente un costo e le risorse sono limitate, ma il rispetto del fiscal compact espone i beneficiari delle politiche sociali ad una rigidità delle stesse che non permette di investire nella scuola, nell'educazione e via dicendo. Secondo quanto indicato da Save the Children, una soluzione potrebbe consistere nel proporre a livello europeo la regola dello scorporo degli investimenti sull'istruzione e sull'educazione in senso largo dal Patto di stabilità europeo.
  La Commissione condivide lo spirito e le finalità di questa proposta, e auspica che il Governo possa farsene interprete, almeno con riferimento alle spese che hanno maggiore rilievo per i minori e per le loro famiglie (come quelle relative ai servizi di trasporto e di mensa).
  Su questa linea, appare altresì necessario rivedere i parametri sociali europei, perché essi oggi non considerano l'infanzia, bensì gli adulti. Sarebbe pertanto necessario un approfondimento su questo aspetto, considerando che, con parametri sociali europei diversi, l'Europa stessa inizierà a guardare al tema dell'infanzia in modo più attento e a valutare i Paesi anche rispetto a quanto progrediscono nei confronti dei loro bambini e adolescenti. Ciò aprirebbe nuove possibilità rispetto agli investimenti da fare, rivolgendo lo sguardo anche verso altri tipi di politiche che oggi non possono essere programmate a causa dei vincoli di bilancio.
  In particolare, per quanto concerne il patto di stabilità, è stato segnalato un apparente paradosso a livello europeo. In effetti, tutte le strategie fatte a livello europeo negli ultimi dieci, quindici o venti anni, sono denominate social investment package, e contengono riferimenti all'infanzia e all'educazione, tuttavia, al tempo stesso, i parametri con i quali si misurano i progressi dei Paesi non considerano tali fattori. L'Europa ammonisce circa l'importanza di investire in questi ambiti ma, al tempo stesso, adotta parametri che restringono la portata degli interventi.

Individuazione delle aree svantaggiate secondo criteri idonei

  Secondo le informazioni acquisite dalla Commissione nel corso dell'indagine, a destare allarme è soprattutto il dato relativo al rischio Pag. 39di povertà ed esclusione sociale per i bambini e gli adolescenti che vivono in famiglie con tre o più minorenni, che secondo i dati del Garante, risulterebbe pari al 70 per cento al Sud, a fronte del 46,5 per cento a livello nazionale, con il rischio che 70 su 100 minorenni che nascono in una famiglia numerosa del Mezzogiorno siano costretti a vivere in condizioni di povertà.
  In tal senso, in altri Paesi è prevista l'istituzione di aree ad alta densità educativa, per la cui eventuale introduzione in Italia sarebbe necessario individuare criteri molto stringenti (uno dei quali potrebbe essere quello di individuare le aree dove l'ISEE delle famiglie è a un certo livello, oppure dove gli INVALSI o i PISA sono più bassi). Si tratterebbe, comunque, di scegliere aree dove ci sono più famiglie in povertà, più disagio da un punto di vista genitoriale e dove minori sono le competenze (misurate in termini di INVALSI, PISA o simili) e di concentrare le risorse in quella sede, con progetti innovativi dal punto di vista della pedagogia, della didattica, dello sport, delle mense e dell'alimentazione, aprendo la scuola il pomeriggio e mettendo in network le istituzioni che sono sul territorio, creando una sorta di hub educativo e destinando risorse alle aree in cui maggiormente si avverte il bisogno (appare chiaro, tuttavia, che una strategia di questo genere non potrebbe indirizzare tutte le risorse in un'unica nicchia, dimenticando il resto, perché il sistema può funzionare laddove si garantisce comunque, universalmente, un servizio di media qualità).

Strutture e servizi residenziali per l'infanzia: alcune criticità

  Con riferimento, infine, al sistema delle strutture e dei servizi residenziali per l'accoglienza dei minori, quest'ultimo risulta disomogeneo tra le diverse regioni, anche riguardo ai criteri richiesti per le strutture. Se da un lato occorre intervenire a livello normativo per superare tale problema, è stata anche sottolineata l'importanza di investire sui minorenni attraverso le famiglie, poiché è bene che, per quanto possibile, i bambini restino collocati in tale ambito. In effetti, come più volte accennato nel corso del documento, gli interventi meramente economici non si rivelano necessariamente i più importanti, rischiando di essere utilizzati con modalità non efficaci in ambienti familiari deprivati. In alcune situazioni l'intervento economico riesce a dare sollievo, ma se non è accompagnato da un sostegno complessivo, i risultati nel tempo finiscono per essere scarsi. Non vi è una soluzione migliore su tutte, ma occorre poter disporre di vari strumenti per le varie situazioni: contributi economici, interventi di sostegno relazionale, apporti professionali, strutture, servizi semiresidenziali, servizi educativi territoriali. Se gli enti locali hanno serie difficoltà a sostenere il costo di alcuni servizi, particolarmente quelli legati al collocamento dei minorenni in strutture, risulta importante aumentare proprio l'accesso ai «servizi chiave», in primo luogo quelli collegati all'istruzione (nidi, scuola primaria a tempo pieno/prolungato), che offrono anche la possibilità di fornire ai bambini un pasto e una merenda equilibrati, e di essere monitorati sotto il profilo della loro salute.

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Valutazione di impatto della normativa

  La Commissione condivide l'opportunità, più volte segnalata nel corso dell'indagine, che il Governo, già a partire dalla fase di elaborazione di nuovi provvedimenti o misure normative, ne valuti il possibile impatto sulle famiglie, e, in particolare, sui minori e sugli adolescenti, esprimendo indicazioni di merito circa le ricadute derivanti dall'eventuale adozione di tali provvedimenti. Una simile innovazione dovrebbe ispirarsi all'esperienza dell'AIR (Analisi Impatto della Regolamentazione) introdotto nell'ordinamento interno con la legge n. 50 del 1999, e della VIR (Verifica di Impatto della Regolamentazione), disciplinato dalla legge n. 246 del 2005. Tali strumenti sono rispettivamente finalizzati ad analizzare le ricadute degli atti normativi sull'organizzazione delle amministrazioni pubbliche e sull'attività dei cittadini e delle imprese (AIR), e alla valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini, delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni (VIR).

Minori stranieri non accompagnati

  Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati nel nostro Paese, oltre a destare preoccupazione per l'entità esponenziale con cui è cresciuto negli ultimi anni, costituisce un punto di criticità nell'ambito del sistema di accoglienza così come previsto sia per la insufficienza delle risorse attualmente destinate, sia per la mancanza di standard omogenei su tutto il territorio in termini di strutture adibite e personale individuato, spesso non adeguatamente a formato in tal senso.
  In considerazione della gravità delle dimensioni assunte dal fenomeno il Legislatore ha avviato l'iter di approvazione di una proposta di legge specifica sulla materia. È infatti attualmente in corso di discussione presso la I Commissione della Camera la proposta di legge Zampa ed altri (A.C. 1658) «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e altre disposizioni concernenti misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati».
  Nell'attuale legislatura sono inoltre stati presentati numerosi atti di sindacato ispettivo e di indirizzo al Governo in tema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati, volti ad introdurre un effettivo monitoraggio del fenomeno, nonché a promuovere forme di integrazione familiare per tali soggetti.
  La Commissione, pertanto, ritiene di fondamentale importanza, da un lato, attirare l'attenzione del Governo sulla necessità di promuovere iniziative volte ad assicurare l'effettiva integrazione sul territorio di tali soggetti, i quali sempre più spesso si trovano in Italia a scontare difficoltà dovute alla lingua, alla mancanza di punti di riferimento con la loro tradizione culturale, alla presenza di strutture non idonee a garantire loro tutele e diritti alla stregua dei minori italiani; dall'altro, Pag. 41la Commissione auspica la sollecita approvazione della proposta di legge sopra citata, anche al fine di individuare nell'ambito di un testo normativo specifico ed organico le misure principali a disciplina di tale fenomeno.

La povertà quale fattore di esclusione sociale

  È emerso nel corso dell'indagine il legame tra le difficoltà che le famiglie affrontano per gestire la crisi economica in atto e la loro incapacità a dare ai propri figli la possibilità di partecipare ad attività culturali, formative e ricreative con i loro coetanei, con una conseguente perdita di stimoli culturali. In tal senso, è stato opportunamente segnalato alla Commissione che il livello di istruzione delle famiglie gioca un ruolo determinante sulle condizioni di povertà dei minori, la percentuale dei minori a rischio povertà ed esclusione riguarda i figli di genitori con bassa istruzione. La disuguaglianza, quindi, è causa e conseguenza della povertà.
  La Commissione, pertanto, ritiene che una redistribuzione efficace degli investimenti per il sostegno alle famiglie dovrebbe includere anche ambiti quali l'edilizia popolare, l'accesso all'impiego, all'indennità di disoccupazione, alle deduzioni fiscali, nonché all'accesso universale ai servizi e all'educazione per l'infanzia, con un sostegno per i più vulnerabili.

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INDAGINE CONOSCITIVA SULLA POVERTÀ E SUL DISAGIO MINORILE

ELENCO DEI SOGGETTI AUDITI

10/12/13 – Audizione del Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra

18/12/13 – Audizione di rappresentanti dell'ANCI

15/01/14 – Audizione del Ministro dell'istruzione, università e ricerca, Maria Chiara Carrozza

23/01/14 – Audizione di rappresentanti del Gruppo CRC

30/01/14 – Audizione informale di Daniela Bacchetta, già Presidente della Commissione Adozioni Internazionali (CAI), di Marco Griffini, Presidente dell'Associazione Amici dei bambini (Ai.Bi.), di rappresentanti del Centro Internazionale Famiglie pro adozione (CIFA Onlus).

13/02/14 – Audizione del presidente dell'UNICEF Italia, Giacomo Guerrera

18/02/14 – Audizione di rappresentanti del CENSIS.

27/02/14 – Audizione informale del direttore della rivista «Minori e Giustizia», Piercarlo Pazé.

18/03/14 – Audizione del Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora.

20/03/14 – Audizione del Responsabile del coordinamento nazionale delle Comunità impegnate nell'accoglienza minori stranieri non accompagnati, Antonio Di Pinto.

03/04/14 – Audizione del componente del Consiglio direttivo dell'Associazione italiana salute mentale infantile (AISMI) con delega ai rapporti enti e media, Marilisa Martelli.

15/04/14 – Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali.

06/05/14 – Audizione di rappresentanti dell'associazione Agevolando.

08/05/14 – Audizione del Garante nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, Vincenzo Spadafora.

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29/05/14 – Audizione di rappresentanti di Facebook Italia; Audizione di rappresentanti SOS Villaggi dei Bambini Onlus.

05/06/14 – Audizione di rappresentanti del Forum Sostegno a distanza.

12/06/14 – Audizione di rappresentanti di Save the Children.

19/06/14 – Audizione di rappresentanti del Progetto «Non più soli» – Associazione DarVoce.

24/06/14 – Audizione del Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali, onorevole Franca Biondelli.

02/07/14 – Incontro informale con una delegazione della Commissione Speciale della Camera dei Rappresentanti del Giappone su infanzia e questioni giovanili.

22/07/14 – Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della regione Toscana, Grazia Sestini.

29/07/14 – Audizione del Direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato.

11/09/14 – Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Emilia Romagna, Luigi Fadiga.

18/09/14 – Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Lazio, Francesco Alvaro.

25/09/14 – Audizione del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Calabria, Marilina Intrieri.

  (1) Fonte: www.istat.it.

  (2) La stima dell'incidenza della povertà relativa (la percentuale di famiglie e persone povere) viene calcolata sulla base di una soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene definita povera in termini relativi. La soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti è pari alla spesa media mensile per persona nel Paese, che nel 2013 è risultata di 972,52 euro (-1,9% rispetto al valore della soglia nel 2012, che era di 990,88 euro).
  L'incidenza della povertà assoluta viene calcolata sulla base di una soglia di povertà corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi che, nel contesto italiano e per una determinata famiglia, è considerato essenziale a uno standard di vita minimamente accettabile. Vengono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si differenzia per dimensione e composizione per età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza). La stima puntuale dell'incidenza, che per il 2013 è risultata pari al 7,9%, oscilla, con una probabilità del 95%, tra il 7,3 e l'8,5%.

  (3) In particolare, al Nord questa situazione costituisce una novità ma sarebbe anche conseguenza dell'incremento della povertà assoluta delle famiglie straniere.

  (4) Audizione di rappresentanti del CENSIS – Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 febbraio 2014.

  (5) Audizione del direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato – Resoconto stenografico della seduta di martedì 29 luglio 2014.

  (6) Audizione del direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato – Resoconto stenografico della seduta di martedì 29 luglio 2014.

  (7) I lavori della Commissione per l'analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale, più nota come Commissione Onofri, si conclusero nel 1997 con una proposta di riforma organica dello stato sociale italiano, con la previsione di ammortizzatori sociali in grado di proteggere i lavoratori in caso di sospensione temporanea del lavoro e perdita del posto. La proposta includeva altresì l'istituzione di un reddito minimo vitale.

  (8) Audizione del direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato – Resoconto stenografico della seduta di martedì 29 luglio 2014.

  (9) La grave deprivazione materiale è una misura associata agli indicatori di povertà monetaria, ma non ad essi totalmente sovrapponibile. Secondo la metodologia Eurostat si presenta quando si manifestano quattro o più sintomi di disagio economico su un elenco di nove. I nove sintomi di disagio sono: non poter sostenere spese impreviste; non potersi permettere una settimana di ferie all'anno lontano da casa; avere arretrati per il mutuo, l'affitto, le bollette, o per altri debiti, come per esempio gli acquisti a rate; non potersi permettere un pasto adeguato ogni due giorni, cioè con proteine della carne o del pesce (o equivalente vegetariano); non poter riscaldare adeguatamente l'abitazione; non potersi permettere, una lavatrice, un televisore a colori, un telefono, un'automobile. (fonte ISTAT).

  (10) In alcuni casi, la diminuzione dei servizi sociali e di assistenza per i tagli statali a comuni ed enti locali, ha comportato, per esempio, che i bambini fossero respinti dalle mense scolastiche perché i genitori non potevano pagare regolarmente tale servizio.

  (11) Audizione del Direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato – Resoconto stenografico della seduta di martedì 29 luglio 2014.

  (12) Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali – Resoconto stenografico della seduta di martedì 15 aprile 2014.

  (13) La dotazione del Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza è passata dai 44 milioni di euro del 2009 ai 40 milioni nel 2010-2011, scendendo poi a 39 milioni nel 2013-2015, anche se per il 2014 sono stati previsti 2 milioni di riduzione del taglio (Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali – Resoconto stenografico della seduta di martedì 15 aprile 2014).

  (14) Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali – Resoconto stenografico della seduta di martedì 15 aprile 2014.

  (15) Audizione del presidente dell'UNICEF Italia, Giacomo Guerrera – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 13 febbraio 2014.

  (16) Audizione del Direttore della Fondazione Zancan, Tiziano Vecchiato – Resoconto stenografico della seduta di martedì 29 luglio 2014.

  (17) Audizione del Viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra – Resoconto stenografico della seduta di martedì 10 dicembre 2013.

  (18) La povertà relativa è un indicatore costruito con riferimento al valore mediano del reddito della popolazione, quindi viene considerata in povertà relativa una famiglia che è al di sotto del 60 per cento di questo valore mediano. La grave deprivazione materiale, invece, è un indicatore composito che considera l'impossibilità della famiglia di permettersi un pasto decente (carne o pesce, o a base di analogo contenuto proteico) a giorni alterni, di poter comprare una lavatrice, un'automobile o un telefonino, di poter andare in vacanza una settimana in un anno, di potere riscaldare adeguatamente la casa o pagare le bollette. Il terzo indicatore (allocazione presso una famiglia con una intensità di lavoro molto bassa) rivela che gli adulti della famiglia lavorano complessivamente meno del 20 per cento del loro potenziale. In particolare, per quanto riguarda quest'ultimo indicatore nella sua aggregazione, un dato sistematico per l'Europa a ventisette è dato dal fatto che esso sia più alto di 4 punti percentuali per i minori di 18 anni rispetto al totale della popolazione (Fonte: Audizione del viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra - Resoconto stenografico della seduta di martedì 10 dicembre 2013).

  (19) Audizione di rappresentanti del CENSIS – Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 febbraio 2014.

  (20) Audizione di rappresentanti del CENSIS – Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 febbraio 2014.

  (21) Audizione del viceministro del lavoro e delle politiche sociali, Maria Cecilia Guerra – Resoconto stenografico della seduta di martedì 10 dicembre 2013.

  (22) Audizione del presidente dell'UNICEF Italia – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 13 febbraio 2013.

  (23) Le principali risultanze di tali studi e ricerche da parte dell'UNICEF sono contenute nei Report Card, curati dall'Istituto degli Innocenti di Firenze – (Cfr. Audizione del presidente dell'UNICEF Italia – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 13 febbraio 2013).

  (24) Più specificamente, in questi rapporti l'UNDP sottolineava che per misurare il reale sviluppo di un Paese era necessario affiancare alle valutazioni economiche, cioè al PIL, altre statistiche più direttamente correlate alla vita delle persone, in termini di istruzione, salute, tasso di mortalità infantile, democrazia, equità sociale e simili. Sulla base di queste riflessioni, è stato quindi concepito un indicatore in grado di misurare i risultati registrati da ciascun Paese attraverso tre parametri fondamentali: il primo indicatore è la speranza di vita; il secondo indicatore consiste nel livello di istruzione, con ciò non intendendosi solo la mera determinazione di quanti bambini frequentano o meno la scuola, bensì offrendo una visione della società e cercando di definire quale sia il livello di crescita della stessa, non soltanto dal punto di vista culturale ma anche in termini economici; il terzo indicatore è il prodotto interno lordo pro capite, cioè il PIL – (fonte: Audizione del presidente dell'UNICEF Italia – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 13 febbraio 2013).

  (25) Tale situazione non ha riscontro in Italia, a differenza di Canada e Stati Uniti, con un'incidenza maggiore nel primo Paese rispetto al secondo – (Cfr. Audizione del presidente dell'UNICEF Italia – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 13 febbraio 2013).

  (26) Audizione di rappresentanti del CENSIS – Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 febbraio 2014.

  (27) Audizione di rappresentanti del CENSIS – Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 febbraio 2014.

  (28) Nella scuola primaria si fanno due ore di educazione fisica alla settimana (fatta dalle maestre), tranne il caso di un recente progetto attivato dal MIUR per introdurre nella scuola primaria i docenti di educazione motoria. Bambini piccoli, quindi, proprio per la deprivazione economica, sono totalmente sottratti alla possibilità di fare sport e questo è uno dei fattori di rischio che impattano su tutta la dimensione della salute, così come sulla prevalenza di malattie non trasmissibili, che sono sistematicamente più elevate in certe condizioni sociali ed economiche. (Cfr. Audizione di rappresentanti del CENSIS – Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 febbraio 2014).

  (29) Audizione di rappresentanti del CENSIS – Resoconto stenografico della seduta di martedì 18 febbraio 2014.

  (30) L'obiettivo indicato dalla Commissione è quello di ridurre entro la fine del decennio a meno del 10% il tasso di abbandono scolastico, che oggi è del 14.4%.

  (31) Audizione del presidente dell'UNICEF Italia – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 13 febbraio 2014.

  (32) Su tale materia è in corso di discussione presso la I Commissione della Camera la proposta di legge C 1658, Zampa ed altri, «Modifiche al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e altre disposizioni concernenti misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati». Nell'attuale legislatura sono inoltre stati presentati numerosi atti di sindacato ispettivo e di indirizzo al Governo in tema di accoglienza per i minori stranieri non accompagnati, volti a introdurre un effettivo monitoraggio del fenomeno nonché a promuovere forme di accoglienza familiare per tali soggetti.

  (33) A tale proposito è stato evidenziato alla Commissione come negli anni passati fosse stato attivato in maniera sperimentale, per quattro anni, un sistema di protezione per i minori stranieri non accompagnati simile a quello che è attivo per i richiedenti asilo (SPRAR); il progetto, però, non è stato successivamente rifinanziato (Audizione di rappresentanti dell'ANCI – Resoconto stenografico della seduta del 18 dicembre 2013).

  (34) Audizione di rappresentanti di Save the Children - Resoconto stenografico della seduta di giovedì 12 giugno 2014.

  (35) Il filosofo John Rawls parlava di una disuguaglianza alla partenza attraverso un'argomentazione molto originale, cioè la lotteria della natura, secondo cui ciascuno di noi nasce, bambino o bambina, in una famiglia che non ha scelto, la quale appartiene a una certa nazionalità e può essere ricca o povera. La povertà economica è questa condizione di partenza, che chiaramente può determinare uno svantaggio.

  (36) I risultati del lavoro svolto, con la presentazione ufficiale dell'indice costruito avvenuta il 12 maggio 2014 a Roma, si sono tradotti in una classifica su base regionale rispetto alla povertà o ricchezza dell'offerta educativa nell'ambito della campagna lanciata da Save the Children «Illuminiamo il futuro».

  (37) Si registrerebbero, tuttavia, anche alcuni dati in controtendenza: per esempio, in Basilicata, dove garantiscono il tempo pieno il 43,5 delle scuole primarie e il 40 per cento delle secondarie di primo grado, e in Sardegna, dove lo garantiscono il 31 per cento delle scuole primarie e il 36 per cento delle secondarie di primo grado (Audizione di rappresentanti di Save the Children – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 12 giugno 2014).

  (38) Si ricorda che sul tema della fruizione del patrimonio culturale da parte dei minori, la Commissione ha avviato una apposita indagine conoscitiva.

  (39) In particolare, il pilastro della partecipazione si basa sul diritto di tutti i bambini e degli adolescenti, sancito all'articolo 12 della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, ad essere ascoltati e ad essere presi in seria considerazione. Tale principio è uno dei quattro principi fondamentali contenuti in tale Convenzione (Audizione del presidente dell'UNICEF Italia – Resoconto stenografico della seduta di giovedì 13 febbraio 2014).