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Documento

Doc. XVII-bis , n. 12

DOCUMENTO APPROVATO DALLA COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'INFANZIA E L'ADOLESCENZA

nella seduta del 17 gennaio 2018

A CONCLUSIONE DELL'INDAGINE CONOSCITIVA
deliberata nella seduta del 3 marzo 2015

SUI MINORI “FUORI FAMIGLIA”

(Articolo 144, comma 3, del Regolamento della Camera dei deputati)

Trasmesso alle Presidenze il 18 gennaio 2018

 

Indagine conoscitiva sui minori “fuori famiglia”

DOCUMENTO CONCLUSIVO

INDICE

Obiettivo dell'indagine

 1. Il quadro normativo di riferimento: la normativa internazionale ed europea.

   1.1 La normativa nazionale.

 2. Le dimensioni del fenomeno: il sistema di rilevazione e la mancanza di dati certi.

   2.1. Ulteriori dati sull'accoglienza: i dati ISTAT, dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

 3. Tipologia e numero delle strutture di accoglienza per minori.

 4. Le motivazioni del collocamento al di fuori della famiglia di origine e relativa procedura.

   4.1 Gli allontanamenti ex art. 403 del codice civile e la relativa proposta di riforma.

   4.2 Le criticità segnalate dalle associazioni di tutela dei minori e delle loro famiglie nel procedimento di allontanamento dalla famiglia di origine.

 5. I minori stranieri non accompagnati: la legge n. 47 del 2017.

 6. I minori nel circuito della giustizia penale.

 7. I profili sanitari nelle strutture di accoglienza semiresidenziali e residenziali terapeutiche per minori.

 8. Gli interventi di sostegno alle famiglie con minori.

   8.1 Il IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva.

 9. Il sistema di vigilanza e controllo.

10. I costi variabili delle comunità e dei collocamenti dei minori fuori famiglia.

11. Il punto di vista delle associazioni dei genitori e quello dei gestori delle comunità familiari.

Conclusioni.

 

Obiettivo dell'indagine.

  La Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha deliberato, nella seduta del 3 marzo 2015, lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sui minori “fuori famiglia”, al fine di approfondire tutti gli aspetti relativi al collocamento dei minorenni al di fuori della propria famiglia di origine.

  La Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, prevede all'articolo 20 che ogni fanciullo il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato, in conformità con la propria legislazione nazionale. Tale protezione sostitutiva può concretizzarsi per mezzo dell'affidamento familiare, della Kafalah di diritto islamico, dell'adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l'infanzia.

  Nel nostro Paese la legislazione vigente in materia di minori fuori famiglia (MFF) ha subìto nel corso degli anni una significativa evoluzione: si è passati infatti dall'accoglienza presso gli istituti di assistenza pubblici o privati per minori, cd. orfanotrofi, al collocamento presso comunità di tipo familiare, cd. “case-famiglia”, e all'affido come possibile fase transitoria verso l'adozione vera e propria.

  La legge n. 184 del 1983 che disciplina l'adozione e l'affidamento del minore, come modificata dalla legge n. 149 del 2001, ha sancito definitivamente il “diritto del minore alla propria famiglia”. La normativa richiamata ha portato a compimento il delicato processo di chiusura e trasformazione dei vecchi orfanotrofi, prevedendo l'istituzione delle cd. “comunità familiari”, proprio per garantire al minore la convivenza in un ambiente che sia il più possibile simile a quello della famiglia propriamente detta.

  In tale prospettiva, l'Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha deliberato - nel rispetto delle competenze attribuite alle commissioni parlamentari competenti - di svolgere un'indagine conoscitiva volta ad approfondire le criticità relative alla normativa vigente in materia di minori fuori famiglia, nell'ottica di un suo possibile miglioramento.

  In particolare la Commissione si è posta l'obiettivo di effettuare una sorta di censimento del numero e delle caratteristiche delle strutture di accoglienza presenti nel nostro Paese - anche al fine di verificarne l'adeguatezza - del numero dei minori che vi transitano, del relativo periodo di permanenza, volgendo lo sguardo non solo ai bambini italiani ma anche e soprattutto ai minori stranieri non accompagnati. Molti di questi, infatti, pari a 6114, secondo gli ultimi dati contenuti nella XVI Relazione semestrale del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse al 31 dicembre 2016, diffusi dal Ministro dell'interno, una volta giunti nel nostro Paese, non riescono nemmeno a transitare presso tali strutture di accoglienza, divenendo irreperibili.

  L'intento della Commissione è stato altresì quello di acquisire elementi di conoscenza concernenti il sistema dei controlli, dei finanziamenti, nonché circa le eventuali disfunzioni e carenze di molte comunità familiari, essendo giunte in tal senso alla Commissione numerose segnalazioni, che è apparso doveroso approfondire.

  L'indagine conoscitiva ha coinvolto tutti i soggetti che a vario titolo si occupano della tematica trattata, da quelli istituzionali a quelli rappresentativi del terzo settore: complessivamente sono state svolte - dal maggio 2015 al luglio 2016 – circa 30 audizioni, nel cui ambito sono stati auditi circa 80 soggetti competenti in materia.

  La Commissione, a conclusione dell'indagine, intende offrire con il presente documento un quadro ricognitivo delle evidenze emerse, fornendo nel contempo spunti di riflessione per un eventuale miglioramento della normativa vigente, anche al fine di limitare quanto più possibile l'allontanamento dei minori dalla propria famiglia di origine, attraverso le opportune attività di sostegno alla genitorialità, che vedano coinvolti gli operatori dell'assistenza sociale, gli educatori scolastici e tutte le altre istituzioni competenti.

1. Il quadro normativo di riferimento: la normativa internazionale ed europea.

  Come ricordato in apertura del presente documento, la citata Convenzione di New York del 1989 sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, prevede all'articolo 20, oltre a quanto già richiamato in materia di misure di protezione sostitutiva del minore che, nell'effettuare una selezione tra le stesse - affidamento familiare, adozione o collocamento in istituti - si tenga debitamente conto della necessità di una certa continuità nell'educazione del fanciullo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica.

  L'articolo 9 della stessa Convenzione, invece, stabilisce la protezione dell'unità familiare, statuendo che gli Stati parti “vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nell'interesse preminente del fanciullo. Una decisione in questo senso può essere necessaria in taluni casi particolari, ad esempio quando i genitori maltrattino o trascurino il fanciullo, oppure se vivano separati e una decisione debba essere presa riguardo al luogo di residenza del fanciullo”. In tutti questi casi “tutte le parti interessate devono avere la possibilità di partecipare alle deliberazioni e di far conoscere le loro opinioni”. Si prevede inoltre che “gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del fanciullo (1)”.

  Vi è, inoltre, il quadro normativo europeo di riferimento, costituito in primo luogo dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) (2), il cui articolo 8 sancisce il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza e che non possa esservi ingerenza di una autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che essa sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, sia necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell'ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

  Secondo la dottrina prevalente e la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, tale disposizione imporrebbe allo Stato italiano e a tutti gli Stati membri sia un'obbligazione negativa, quella cioè di non ingerirsi nell'ambito della vita privata di ciascuna famiglia, sia un obbligo positivo di adottare misure atte a garantirne il rispetto effettivo, come misure di sostegno alle famiglie, che possono essere di natura economica ma anche diversa, come ad esempio un supporto nell'ambito delle criticità genitoriali (3).

  Vi è poi la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, il cui articolo 7 sancisce il diritto di ogni individuo al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni. L'articolo 24 della medesima Carta, riconoscendo il diritto dei bambini “alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere”, stabilisce altresì che essi possano esprimere liberamente la propria opinione e che questa venga presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. Si prevede inoltre il principio secondo cui «in tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del bambino deve essere considerato preminente» (4).

1.1 La normativa nazionale.

  Come è noto la Costituzione italiana, Parte Prima “Diritti e doveri dei cittadini”, al Titolo II “Rapporti etico-sociali”, prevede all'articolo 29 che “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia […]”, mentre all'articolo 30 stabilisce il diritto-dovere dei genitori “a mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”, prevedendo nel contempo che, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provveda a che siano assolti i loro compiti […].

  Può dunque affermarsi che tra i diritti costituzionalmente garantiti, da un lato, vi è quello del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia, ma anche lo speculare diritto del genitore a poter crescere i propri figli.

  Si ricorda inoltre che anche il codice civile nel Libro I, Capo I, reca disposizioni in materia di responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio, prevedendo una serie di norme atte a tutelare i minori da comportamenti dei genitori considerati pregiudizievoli nei confronti dei figli (art. 330 e ss. c.c.), idonei a determinare nei casi più gravi la decadenza dalla responsabilità genitoriale e l'allontanamento dalla casa familiare. Tali comportamenti possono sostanziarsi nella violazione, ovvero nella trascuratezza dei doveri inerenti la responsabilità genitoriale o addirittura nell'abuso di detti poteri. In tali casi trovano applicazione una serie di disposizioni atte a garantire il minore contro gli abusi familiari che possono sostanziarsi in veri e propri ordini di protezione impartiti dall'autorità giudiziaria, ai sensi degli articoli 342 e seguenti. Si prevede altresì che nei casi in cui entrambi i genitori siano morti o per altre cause non possano esercitare la responsabilità genitoriale, si apra la procedura di tutela del minore presso il tribunale del circondario dove è la sede principale dei suoi interessi con la nomina di un tutore, che può essere scelto, in determinati casi, anche tra gli ascendenti o tra gli altri parenti prossimi o affini (artt. 343 e ss. c.c.) (5). La tutela del minore, che non abbia nel luogo del proprio domicilio parenti conosciuti o capaci di esercitare l'ufficio del tutore, può essere deferita dal giudice tutelare anche ad un ente di assistenza nel comune dove il minore è domiciliato, la cui amministrazione delega uno dei propri membri ad esercitarne le funzioni, ai sensi dell'articolo 354 c.c. (6)

  Il Libro I, Capo II, Titolo XI, del codice civile, reca inoltre una serie di norme in materia di affiliazione ed affidamento, stabilendo in linea generale, all'articolo 400, il principio che l'assistenza dei minori sia regolata oltre che dalle leggi speciali, anche dalle disposizioni ivi contenute. In particolare si prevede che le disposizioni del Titolo XI si applichino anche ai minori che sono figli di genitori non conosciuti, ovvero di genitori che si trovino nell'impossibilità di provvedere al loro mantenimento, nonché ai minori ricoverati in istituti di pubblica assistenza o assistiti presso gli stessi per il mantenimento, l'educazione o la rieducazione, o che si trovino in stato di abbandono materiale o morale (art. 401 c.c.). Si prevede inoltre che l'istituto di pubblica assistenza eserciti i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito ai sensi degli articoli 343 e seguenti, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore, e in tutti i casi nei quali l'esercizio della responsabilità genitoriale o della tutela sia impedito (7).

Resta salva comunque in tali casi la facoltà del giudice tutelare di deferire la tutela all'ente di assistenza, ovvero di nominare un tutore, a norma dell'articolo 354. Nel caso in cui il genitore riprenda l'esercizio della responsabilità genitoriale si prevede che l'istituto di assistenza possa chiedere al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio (art. 402 c.c.).

Infine, l'articolo 403, che sarà commentato nel dettaglio nel prosieguo di questo documento, dispone l'intervento della pubblica autorità a favore dei minori moralmente o materialmente abbandonati, ovvero cresciuti in locali insalubri o pericolosi o da persone che, per negligenza, immoralità o ignoranza, siano incapaci di provvedere alla loro educazione, disponendone la collocazione “d'urgenza” in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla loro protezione.

Sembra infine opportuno ricordare una serie di norme contenute nel Libro II, Capo IV, del codice penale, recanti delitti contro l'assistenza familiare, che si sostanziano – per quanto di interesse in questa sede - nella violazione degli obblighi di assistenza (art. 570), nell'abuso di mezzi di correzione o di disciplina (art. 571), o in maltrattamenti contro familiari e conviventi, e che danno luogo, oltre all'applicazione delle pene ivi previste, anche dell'eventuale misura di allontanamento del minore dalla casa familiare.

  Per quanto riguarda la legislazione speciale, si ricorda che la legge 4 maggio 1983, n. 184, vera e propria legge-quadro in materia di adozione, delinea un ampio sistema di misure di tutela dell'interesse primario del minore a crescere e ad essere educato nel proprio nucleo familiare. Peraltro, tale normativa è stata significativamente riformata dalla legge n. 149 del 2001, che ha modificato anche il titolo stesso della legge da: “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”, in “Del diritto del minore a una famiglia”. Non a caso tale principio ispiratore della disciplina dell'adozione, è contenuto nella disposizione di apertura della legge (articolo 1, comma 1), che sancisce solennemente tale diritto «naturale», diritto che può «affievolirsi» soltanto in presenza di specifiche condizioni (8).

  La sottrazione del minore alla famiglia, dopo l'attivazione delle misure di tutela temporanee previste dalla legge è, in tal senso, considerata soluzione «limite» che sancisce l'insuperabilità delle difficoltà della famiglia di origine ad assicurare al minore un ambiente familiare idoneo.

  La normativa richiamata, come riformata nel 2001, stabilisce innanzitutto che “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'àmbito della propria famiglia e - innovando rispetto alla precedente disciplina - prevede espressamente (articolo 1, comma 2) che: “le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto”. Proprio al fine di evitare la soluzione limite dell'allontanamento, ma anche per prevenire l'abbandono e consentire al minore di essere educato nell'àmbito della propria famiglia, sono previsti interventi di sostegno verso i nuclei familiari a rischio da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili.

  In tal senso è prevista la promozione di iniziative di formazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, attraverso l'organizzazione di corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali, nonché incontri di formazione e preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori.

  Nel caso limite in cui la famiglia non sia in grado di provvedere alla crescita e all'educazione del minore, si applicano gli istituti dell'affidamento e dell'adozione. Nel presente documento si esamineranno in dettaglio solo i profili relativi al primo degli istituti richiamati.

  In materia di affido si prevede che, il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto disposti ai sensi dell'articolo 1, sia affidato ad una famiglia, preferibilmente con figli minori, o ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l'educazione, l'istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno.

  Ove non sia possibile l'affidamento di tipo familiare, è consentito l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare. In caso di necessità e urgenza, l'affidamento può essere disposto anche senza porre in essere gli interventi di sostegno poc'anzi richiamati.

  La citata normativa ha anche previsto la definitiva cessazione dei ricoveri di minori negli istituti a partire dal 31 dicembre 2006, mediante affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in comunità di tipo familiare, caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia vera e propria. I legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, secondo le norme del libro primo, capo I, titolo X del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l'esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito. Entro trenta giorni dall'accoglienza del minore, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina del tutore. Gli stessi e coloro che prestano anche gratuitamente la propria attività a favore delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati non possono essere chiamati a tale incarico.

  Si stabilisce altresì che, nel caso in cui i genitori riprendano l'esercizio della potestà, le comunità di tipo familiare e gli istituti di assistenza pubblici o privati possano chiedere al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio, come peraltro stabilito dall'articolo 402 del codice civile, prima richiamato.

  La medesima legge prevede inoltre (articolo 1, comma 5) che le regioni, nell'àmbito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definiscano gli standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verifichino periodicamente il rispetto dei medesimi.

  Al riguardo sembra importante sottolineare che la mancata riforma del Titolo V della Costituzione volta a rimettere alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare” (9), ha determinato il persistere della situazione di diversificazione presente nelle regioni italiane rispetto agli standard minimi da rispettare, ai costi per singolo minore ospitato e ad altri aspetti, con la conseguente impossibilità di conoscere l'effettiva situazione rispetto al numero di strutture (comunità familiari) presenti sul territorio nazionale, tanto che nel corso delle audizioni sono stati addirittura segnalati casi di strutture abusive nelle quali venivano perpetrati reati di vario tipo ai danni dei minorenni ospitati (10).

Come sottolineato dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (AGIA), Filomena Albano, nel corso della sua audizione, tutte le fonti nazionali e sovranazionali sottolineano la centralità della relazione affettiva tra i figli e i genitori (11). È per questo che l'allontanamento di un figlio dalla famiglia di origine deve costituire in ogni caso l'extrema ratio, praticabile solo laddove tutte le misure di sostegno al suo nucleo familiare non abbiano dato gli esiti sperati.

  Anche in tali situazioni, la famiglia di origine deve però continuare ad essere supportata, perché l'allontanamento, per sua vocazione, o il collocamento in comunità hanno finalità provvisorie. Per far sì che questi due strumenti si utilizzino soltanto quando strettamente indispensabile, dovrebbe essere potenziato l'istituto dell'affido, a metà strada tra il collocamento in comunità e la permanenza nella famiglia di origine: “l'affido andrebbe potenziato con centri specializzati, adatti alle singole necessità dei bambini”. Infatti, un conto sono le esigenze di affido dei bambini in tenera età, un altro quelle degli adolescenti, un altro ancora quelle dei minori stranieri non accompagnati. Vanno quindi valutate e sperimentate realtà già operative in ambito territoriale, quali le esperienze delle famiglie di appoggio e di vicinanza, al fine di diffondere il più possibile anche dal punto di vista culturale l'idea dell'accoglienza e contenere il più possibile il collocamento in comunità, che deve rappresentare la soluzione limite.

  Da ultimo, si ricorda l'approvazione nel corso dell'attuale legislatura della legge n. 173 del 2015 (12) in materia di continuità affettiva del minore in affidamento, che riconosce alla famiglia affidataria una corsia preferenziale nell'adozione. Infatti, nonostante l'istituto dell'affidamento abbia le caratteristiche peculiari della temporaneità - 2 anni prorogabili da parte del Tribunale dei minorenni laddove la sospensione dell'affido rechi pregiudizio al minore - nella prassi sono moltissimi i casi di affidi protratti ben oltre i 2 anni (13). In tal caso, al fine di preservare la relazione affettiva creatasi tra la famiglia affidataria e il minore e solo nel caso in cui permanga la situazione critica che aveva giustificato l'allontanamento dalla famiglia di origine e il minore sia dichiarato adottabile, il Tribunale per i minorenni, nel decidere sull'adozione, tiene conto di tali legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria. Il giudice, ai fini delle decisioni deve considerare anche le valutazioni documentate dei servizi sociali, ascoltando altresì il minore «che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore se capace di discernimento». Si prevede infine che qualora, a seguito di un periodo di affidamento, il minore faccia ritorno nella famiglia di origine o sia dato in affidamento ad altra famiglia o sia adottato da altra famiglia, sia comunque tutelata, se rispondente all'interesse del minore, la continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatesi durante l'affidamento.

  La Garante, nel sottolineare l'importanza della legge poc'anzi richiamata, ha tuttavia rilevato l'opportunità di un suo attento monitoraggio nelle sue prime prassi applicative, perché può creare delle criticità per quanto riguarda la riduzione degli affidi consensuali, nel senso che la famiglia di origine del bambino può essere meno disponibile a dare il consenso all'affido nel timore che il bambino, proprio in virtù della salvaguardia delle relazioni affettive, possa poi andare in adozione alla famiglia affidataria. In secondo luogo, può crearsi un timore di snaturamento dell'istituto dell'affido, nel senso che manifestano disponibilità all'affido anche coppie che in realtà si erano orientate verso l'adozione.

  Molte di queste probabili, verosimili criticità potrebbero venir meno qualora il nostro ordinamento giuridico riconoscesse l'istituto dell'adozione aperta o mite (14) e fosse superata l'idea dell'adozione come seconda nascita e si strutturasse l'istituto nelle forme più idonee alle esigenze e alle specificità del bambino.

  Infine, in materia di minori stranieri non accompagnati, si ricorda la recente legge approvata nella XVII legislatura (7 aprile 2017, n. 47, Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati), che prevede innanzitutto un divieto di respingimento degli stessi alle frontiere, nonché il collocamento in comunità, solo nel caso in cui dallo svolgimento di specifiche indagini familiari non siano individuati familiari idonei a prendersi cura del minore straniero non accompagnato. Tale normativa sarà meglio esaminata nella specifica sezione dedicata ai minori di cittadinanza straniera.

2. Le dimensioni del fenomeno: il sistema di rilevazione e la mancanza di dati certi.

  Dalle audizioni svolte in Commissione dei soggetti preposti al rilevamento dei dati dei minori collocati al di fuori della famiglia di origine, tra le criticità riscontrate è emersa in particolare quella relativa al sistema di raccolta e di aggiornamento dei dati sulla reale consistenza del fenomeno.

  Gli ultimi dati pubblicati alla data del 31 dicembre 2014 sul sito del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS) erano aggiornati al 31 dicembre 2012, come riferito dal Direttore della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del MLPS, Raffaele Tangorra (15). Da tali dati risulta che i bambini e i ragazzi di età compresa tra 0-17 anni collocati fuori dalla famiglia di origine accolti nelle famiglie affidatarie e/o nelle comunità residenziali sono stimabili in 28.449.

  Storicamente, la prima indagine censuaria su tale fenomeno è stata svolta alla fine degli anni Novanta dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza, istituito ai sensi della legge n. 451 del 1997 (16). Al riguardo si ricorda che la predetta normativa, istitutiva anche dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, prevede che quest'ultimo organo - istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per gli affari sociali - si avvalga del Centro nazionale per lo svolgimento delle sue funzioni, consistenti principalmente nella predisposizione ogni due anni del Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva e della relazione al Parlamento sulla condizione dell'infanzia in Italia e sull'attuazione dei relativi diritti. Dalla citata rilevazione, come riferito nella predetta audizione, risultavano fuori dalla famiglia di origine circa 23.000 bambini (17).

  Per quanto riguarda la lettura dei dati diacronici disponibili sull'accoglienza, è stato precisato in audizione dal dottor Tangorra che gli stessi vanno letti tenendo conto delle modifiche normative intervenute: gli affidamenti residenziali hanno cambiato natura nel corso degli anni; “dal 1998 ad oggi le comunità sono cambiate notevolmente per il tipo di accoglienza; tra i minori fuori dalla famiglia di origine, sono compresi anche i minori stranieri non accompagnati, fenomeno relativamente marginale alla fine degli anni Novanta, ma che è diventato, in alcune realtà, un fenomeno maggioritario delle comunità di oggi (con tutti i problemi legati agli eventi più recenti, a partire dai flussi più consistenti a seguito delle cosiddette primavere del Nord Africa). È evidente, quindi, che è cambiata molto la natura delle comunità”.   

  Tornando ai dati più recenti forniti alla Commissione datati 31.12.2012, si ricorda che gli stessi - messi a confronto con alcuni dati parziali riferiti al 2013 - sono stati ancor più dettagliatamente illustrati nel corso di altra audizione congiunta della Sottosegretaria al lavoro e alle politiche sociali, Franca Biondelli, e del direttore generale della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del MLPS, Raffaele Tangorra (18).

  Preliminarmente è stato ricordato come, a partire dal 2007, il Ministero abbia avviato, d'intesa con le regioni e le province autonome, un monitoraggio del fenomeno dei minorenni che vivono fuori dalla famiglia di origine.   

  Tuttavia, a fronte del valore aggiunto di tale indagine, sono state comunque rilevate la difficoltà di reperimento delle informazioni, soprattutto in alcuni territori, in modo particolare nel Mezzogiorno. Ulteriori criticità sono inoltre determinate dall'ampio intervallo temporale tra l'evento registrato e la disponibilità del dato, e dalle differenze nella rilevazione dei dati, che in alcuni casi rendono le informazioni non comparabili nel tempo. Per tali ragioni, come riferito dalla sottosegretaria al 10.11.2015 il Ministero non era in condizione di fornire un dato nazionale globale relativo al 31 dicembre 2013 comparabile con quello dell'anno precedente.

  Sono stati quindi forniti gli esiti del percorso di rilevazione 2013, con un riepilogo sintetico dei livelli e delle modalità di adesione. La Calabria è risultata essere la sola regione a non aver aderito alla rilevazione proposta; mentre l'Abruzzo non ha fornito il dato relativo agli affidi familiari. Il Lazio, pur partecipando in modo attivo al monitoraggio, ha fornito per i servizi residenziali il dato riferito a circa il 68% dei distretti regionali e, per l'affidamento familiare, il dato riferito al 65% del totale. La Campania, pur partecipando in modo attivo al monitoraggio, ha fornito, al novembre 2015, il dato riferito a 40 ambiti territoriali su 52. La Puglia, pur avendo partecipato puntualmente, ha fornito per i servizi residenziali il dato riferito agli accolti nell'anno 2013 (cioè il dato di flusso e non la presenza al 31 dicembre) presi in carico dai propri comuni, indipendentemente dall'accoglienza in regione. La Sicilia ha fornito per i servizi residenziali il dato riferito agli accolti nell'anno 2013, come la Puglia. La Sardegna, infine, ha fornito il dato riferito a circa il 33% del territorio regionale.

Con riferimento a tali regioni, è stato fornito dalla sottosegretaria il solo dato relativo al 2013, che, per ragioni di incompletezza o di diversa modalità di rilevazione, non è confrontabile con l'anno precedente. Si tratta pertanto di dati del tutto provvisori.

  Si forniscono nella successiva tabella i dati riferiti agli anni 2012-2013 del numero dei minori in affido familiare e di quelli accolti nei servizi residenziali relativi alle regioni sopra citate.

Tabella 1 (Fonte: MLPS) (19)

  Sono stati inoltre forniti dati di confronto 2012-2013 relativi alle altre regioni e province autonome del Centro-Nord, in cui comunque si concentra circa il 53% dei minori accolti, e che, al momento dell'audizione, apparivano consolidati.

Tabella 2 (Fonte: MLPS) (20)

Nota: Il dato della Liguria con riferimento agli accolti nei servizi residenziali nel 2012 non è disponibile. Per la stima è stato imputato il dato del 2013.

  A commento dei soli dati disponibili, è stato osservato come la Lombardia sia la Regione in cui si registra nel 2013 il più elevato numero di bambini e adolescenti in affidamento familiare (2406) e accolti in servizi residenziali (1931): il dato è in crescita rispetto all'anno precedente in entrambi i casi in cui si registravano, rispettivamente, 2203 minori in affido e 1737 accolti in strutture. La Valle d'Aosta è invece la regione in cui si registra il minor numero di bambini e adolescenti fuori famiglia sia nel 2012, sia nel 2013. Tra le regioni rilevate in cui il dato appare piuttosto consistente vi sono dopo la Lombardia, l'Emilia Romagna, il Piemonte, il Veneto e la Toscana.

  C'è poi il totale parziale: nel 2012 i bambini e gli adolescenti in affido familiare erano 8575 e, nel 2013, 8748, mentre i bambini e gli adolescenti accolti nei servizi residenziali erano 6621 nel 2012 e 6784 nel 2013.

  Per le regioni in cui è disponibile il confronto intertemporale (Tabella 2), si osserva una sostanziale stabilità del fenomeno. L'accoglienza in questi territori è infatti in leggera crescita (di circa il 2%), passando da poco più di 15.200 bambini accolti a poco oltre i 15.500, ma con una notevole variabilità regionale. In sei regioni o province autonome su dodici si osserva una crescita e in altrettante una riduzione. In termini assoluti, la crescita si ripartisce in maniera più o meno equa tra affidi familiari e affidamenti in servizi residenziali.

  “È difficile - come riferito - fare proiezioni nazionali sulla base di tali rilevazioni, ma, per quanto la variazione sia di segno positivo, in via generale sembra confermarsi la sostanziale stabilità del fenomeno che è stato registrato negli ultimi anni” (21).

  Nel confronto tra affidi familiari e affidi ai servizi residenziali, relativo a quasi tutto il territorio nazionale, seppur con i limiti dapprima evidenziati, si conferma la sostanziale equa distribuzione dell'accoglienza tra affidamento familiare, pari a poco più di 13 mila accolti (dato relativo a 19 regioni e provincie autonome su 21) e servizi residenziali, poco più di 14 mila accolti, (dato relativo a 20 regioni e provincie autonome su 21).

  In termini relativi, si registra un valore medio di 2,8 bambini e ragazzi da zero a diciassette anni fuori dalla famiglia di origine ogni mille residenti della stessa età.

  Diversamente da quanto verificato per la diffusione del fenomeno, che non manifesta particolari concentrazioni nelle macro-ripartizioni territoriali, la quota di affidi familiari rispetto a quelli in servizi residenziali è molto diversa tra Centro-Nord e Mezzogiorno.

  Si passa infatti da punte massime di 2 e di 1,8 (ogni 1000 residenti) in Toscana e in Piemonte, che indicano una marcata prevalenza dell'affidamento familiare, ai valori minimi di Campania, Basilicata e Sicilia dello 0,6, (ogni 1000 residenti) che indicano contrariamente una marcata prevalenza dell'accoglienza di bambini e ragazzi nei servizi residenziali per minori presenti sul territorio. Praticamente, nel Centro-Nord ci sono più affidi familiari e nel Centro-Sud più affidi residenziali.

  Per quanto riguarda l'età degli accolti, come evidenziato nei citati reports, risulta che nelle fasce estreme, da zero a due anni e da quindici a diciassette anni, si concentrano le più alte incidenze di ricorso al collocamento nei servizi residenziali (rispettivamente il 57% da zero a due anni, e il 63% dai quindici ai diciassette anni).

Nel merito della distribuzione per età degli accolti in affido familiare, si conferma la sostanziale prevalenza delle esperienze in età preadolescenziale e adolescenziale. Quasi due terzi degli affidi familiari si concentrano nell'età da sei a quattordici anni. Assolutamente più contenute sono le incidenze percentuali che riguardano i piccoli da tre a cinque anni e i piccolissimi da zero a due anni, che complessivamente cumulano poco meno del 15% del totale degli accolti in affido familiare.

  Se per i ragazzi più grandi e prossimi alla maggiore età l'accoglienza in comunità è spesso il solo intervento esperibile per rispondere alla problematicità del caso, per i bambini da zero a due anni l'incidenza riscontrata rappresenta un'evidenza, se non proprio una criticità, sulla quale è stata suggerita una riflessione in riferimento a quanto disposto dalla legge n. 149 del 2001. Comunque, è utile annotare che alcune regioni hanno riservato già da tempo un'attenzione mirata al tema, che si è tradotta nella più alta incidenza dell'affidamento familiare per quella fascia di età così fragile.

  In merito al genere degli accolti, si ravvisa un sostanziale equilibrio tra maschi in affidamento familiare (49%) e maschi nei servizi residenziali (51%), mentre una maggiore polarizzazione emerge tra le femmine, per le quali prevale l'accoglienza in affidamento familiare, che è di circa il 57%.

  Da ultimo, passando ad analizzare quanto accade in riferimento alla cittadinanza, emerge con nettezza che i bambini e i ragazzi stranieri sono accolti prevalentemente nei servizi residenziali (il 61%), mentre tra i coetanei italiani le due misure di accoglienza risultano più bilanciate e lievemente a favore dell'affido familiare (55%).

  Ancora più polarizzata è l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), che risultano per il 79% dei casi inseriti nei servizi residenziali. Con riferimento ai MSNA, occorrerà una riflessione specifica, data la dinamica recente del fenomeno e i cambiamenti del sistema di accoglienza. Nella rilevazione fornita dal MLPS, infatti, sono ricompresi solo alcuni dei minori stranieri non accompagnati accolti nel nostro Paese, in particolare quelli presi in carico dai comuni.

  Prosegue pertanto la crescita dell'incidenza dei bambini stranieri sul totale degli affidati, al punto da rappresentare più del 18% del totale, con forti differenze regionali. I valori massimi tra le regioni che hanno fornito i relativi dati si riscontrano in Veneto e in Emilia-Romagna (entrambe con il 31%), mentre quelli minimi si concentrano nelle regioni del Sud e delle isole, con valori compresi tra il 2% della Sardegna e il 6% della Basilicata, dove l'accoglienza in affidamento di minori stranieri, per quanto in crescita, risulta ancora molto contenuta.

  Si conferma inoltre l'incidenza del ricorso all'affidamento giudiziale riscontrato negli anni precedenti, che risulta assolutamente prevalente rispetto a quello consensuale: su quattro bambini in affido, tre trovano collocamento per via giudiziale e uno per via consensuale.

  Certamente tale situazione, da una parte, è il portato della tendenza ad intervenire con lo strumento dell'affidamento familiare rispetto a situazioni molto compromesse, caratterizzate talvolta da conflitti o comunque da una scarsa adesione della famiglia di origine al progetto di sostegno. Dall'altra, è conseguenza delle lunghe permanenze in accoglienza, che risultano essere ancora significative, in considerazione del fatto che l'affidamento consensuale protratto oltre due anni si trasforma poi in giudiziale, essendo soggetto al nullaosta del Tribunale per i minorenni competente.

  Proprio in riferimento alla durata dell'accoglienza, la legge n. 149 del 2001 individua il periodo massimo di affidamento in 24 mesi, prorogabili da parte del Tribunale per i minorenni, qualora ritenuto necessario. I bambini e gli adolescenti in affido familiare da oltre due anni costituiscono comunque la maggioranza degli accolti e risultano pari a poco più del 60% del totale, un dato costante negli ultimi anni considerati.

  Per quanto concerne i minori accolti nei servizi residenziali, l'accoglienza dei bambini e dei ragazzi nelle comunità è assicurata attraverso una variegata offerta di servizi del territorio, che, almeno in linea teorica, dovrebbe garantire un ampio ventaglio di scelte nell'individuazione della più adeguata risposta alle specifiche esigenze del caso di accoglienza cui si intende rispondere.

  Pur nelle differenziazioni regionali derivanti anche dalle diverse normative vigenti tra regioni e province autonome aderenti alla rilevazione, prevalgono in media le comunità socio-educative (il 47%), seguite dalle comunità familiari (il 16%) e dai servizi di accoglienza per bambini e genitori (il 15%). Molto limitata risulta invece la presenza nei territori di alloggi ad alta autonomia (l'8%) e di comunità multiutenza (solo il 7%) e ancor più limitata quella di strutture di pronta accoglienza (appena il 3%) e di comunità educative e psicologiche (soltanto il 2%).

  La distribuzione per età dell'accoglienza indica nella tarda adolescenza il periodo in cui si sperimenta con più frequenza un'accoglienza nei servizi residenziali. La classe largamente prevalente è quella dai quindici ai diciassette anni, che cumula il 47% dei presenti a fine 2013, che erano il 31% nel 1998. Ciò testimonia i grandi cambiamenti avvenuti nelle comunità rispetto ai decenni precedenti.

  Il dato che più caratterizza l'accoglienza residenziale, nonché il mutamento rispetto al passato, è senz'altro l'altissima incidenza dei bambini stranieri. Tra i bambini accolti, uno su tre è di cittadinanza straniera, con un raddoppiamento dell'incidenza tra il 1998 (16%) e il 2013 (33%), con picchi superiori al 40% dell'accoglienza complessiva, per esempio, in Liguria, in Emilia-Romagna e in Toscana (il 47%).

  La consistente presenza di bambini e adolescenti stranieri nei servizi residenziali è conseguenza anche dell'alto numero di minorenni stranieri non accompagnati che trova accoglienza esclusivamente nei servizi residenziali a livello medio, sulla base delle regioni e province autonome, rispondenti al 39% dei minorenni stranieri accolti nei servizi residenziali e non accompagnati.

  Con riferimento al 31 dicembre 2013, è stata effettuata nel corso dell'anno anche una rilevazione sperimentale in tre regioni (Piemonte, Emilia-Romagna e Campania), estesa l'anno successivo a tutto il territorio nazionale e che concerne alcuni particolari aspetti dell'accoglienza e rappresenta anche un primo monitoraggio degli esiti. Il dato significativo è la novità delle informazioni raccolte, seppur in modo territoriale e molto limitato. Di tali dati è stata fornita una piccola sintesi nel corso dell'audizione.

  Con riferimento ai bambini e ai ragazzi con disabilità certificata, l'incidenza degli affidi familiari oscilla tra il 13% sul complesso dei presenti a fine anno in Piemonte e un più contenuto 4% in Emilia-Romagna e in Campania, mentre l'incidenza degli affidi nei servizi residenziali varia dal 16% del Piemonte e della Campania al 4% dell'Emilia-Romagna.

  L'incidenza dei dichiarati adottabili sul complesso dei presenti a fine anno per i minori in affido familiare – informazione non disponibile per il Piemonte – varia dall'1% dell'Emilia-Romagna al 9% della Campania, mentre per gli accolti nei servizi residenziali varia dal 2% del Piemonte e dell'Emilia-Romagna al 24% della Campania.

  

Quanto agli esiti del collocamento al di fuori della famiglia di origine, la sistemazione prevalente post-affido familiare per i bambini e gli adolescenti che hanno concluso l'esperienza nel corso del 2013 è per tutte e tre le regioni il rientro nella propria famiglia d'origine (37% in Piemonte, 35% in Emilia-Romagna, 46% in Campania). Si rileva tuttavia che per il Piemonte si registra un 21% di casi di destinazione ignota, mentre nel 19% dei casi si rileva un ulteriore collocamento in servizio residenziale; in Emilia Romagna, il collocamento in servizio residenziale si attesta a quota 17%, mentre nel 9% dei casi si verifica l'accoglienza in una nuova famiglia affidataria; per la Campania, infine, l'accoglienza in una nuova famiglia affidataria si attesta a quota 28% e, coerentemente con l'alta incidenza di bambini dichiarati adottabili, l'affidamento preadottivo si verifica nel 16% dei casi.

  La sistemazione prevalente alla dimissione dal servizio residenziale per i bambini e gli adolescenti che hanno concluso l'esperienza nel corso del 2013, in cui si ravvisa un'alta incidenza di stranieri e stranieri non accompagnati, è il rientro in famiglia per il Piemonte (40%) e per la Campania (39%), mentre per l'Emilia-Romagna è il collocamento in un nuovo servizio residenziale (34%).

  La seconda e la terza sistemazione in ordine di incidenza si differenziano tra le stesse regioni: per il Piemonte il collocamento in un nuovo servizio residenziale (29%) e la destinazione ignota (14%), per l'Emilia-Romagna il rientro in famiglia (21%) e la destinazione ignota (20%), per la Campania, infine, la destinazione ignota (27%) e l'accoglienza in un nuovo servizio residenziale (9%). Ai fini della lettura complessiva del fenomeno dell'accoglienza, sarà necessario integrare le informazioni fornite dalle regioni con quelle degli specifici sistemi informativi che sono in via di costituzione.

  Nel corso della medesima audizione il dottor Tangorra si è soffermato sull'istituzione, presso la Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali del Ministero, nel corso del 2015, di un tavolo di confronto sulle comunità per minori, volto alla definizione delle linee guida nazionali per l'accoglienza dei minorenni nei servizi residenziali (22). L'obiettivo del tavolo è l'attivazione di una riflessione congiunta sull'idoneità e sulla tipologia delle risposte da offrire a ciascun bisogno. A tal fine, il tavolo si è confrontato periodicamente anche con le associazioni più rappresentative del terzo settore, che erano state già coinvolte dal Garante per l'infanzia e l'adolescenza, che ha prodotto un documento di orientamento generale sulla materia (23), sin dal maggio 2015.

  L'attuale bozza delle suddette linee di indirizzo prevede il seguente indice: un primo capitolo affronta il tema dei diritti dei bambini e dell'accoglienza residenziale, il secondo si concentra sui soggetti e sugli attori istituzionali coinvolti, il terzo tratta dei percorsi dell'accoglienza residenziale, il quarto esamina tipologie e requisiti dei servizi di accoglienza, il quinto affronta il tema degli strumenti gestionali e procedurali, il sesto e ultimo capitolo tratta le questioni particolari (quali, ad esempio, i minori stranieri non accompagnati, minorenni vittime di tratta, area penale ecc.). Ciascun capitolo, strutturato per raccomandazioni da cui discendono differenti azioni/ indicazioni operative, viene redatto dai soggetti partecipanti sotto la responsabilità, il coordinamento e la supervisione di uno dei soggetti istituzionali nominati in seno al Tavolo di confronto (Regioni o MLPS).

  Il termine per il perfezionamento del documento, previsto per la primavera 2016, è slittato in attesa dell'accordo con la Conferenza unificata, che una volta acquisito ne permetterà la pubblicazione (24).

  È stato altresì ricordato dal dottor Tangorra come nel marzo del 2015 sia stato pubblicato il Regolamento sul casellario dell'assistenza (25) che si inserisce nel contesto più ampio del sistema informativo dei servizi sociali, a suo tempo previsto dalla legge n. 328 del 2000, che rappresenta, quindi, anche la prima attuazione del sistema informativo dei servizi sociali. In tale contesto è previsto un modulo specifico sui bambini, il cosiddetto S. In. Ba, il Sistema informativo sui bambini e gli adolescenti, in cui saranno raccolte le valutazioni multidimensionali fatte nei confronti dei minori. Quando lo strumento andrà a regime, sarà possibile disporre di indicatori molto più tempestivi delle prese in carico operate dai servizi territoriali, in particolare anche con riferimento agli eventuali allontanamenti. Se il regolamento funzionerà e la banca dati comincerà a essere alimentata, come la legge prevede, sarà possibile disporre di dati in tempo reale.

Alle domande poste dai componenti la Commissione circa la possibilità di disporre di dati più aggiornati sul collocamento dei minori fuori famiglia (26), rispetto a quelli forniti fermi al 31 dicembre 2012, il Direttore generale Tangorra ha replicato che anche i ritardi accumulati nella pubblicazione del Quaderno n. 31 dipendono, in linea generale, dall'indisponibilità da parte delle regioni di dati aggiornati. In tal senso il MLPS non ha alcun potere impositivo, pertanto, pur cercando la maggiore collaborazione possibile con le regioni al fine di velocizzare i tempi e migliorare le rilevazioni statistiche, occorre tenere conto dei singoli sistemi informativi regionali che raccolgono i dati a livello amministrativo. Infatti, la potestà legislativa in materia di programmazione di tali servizi è rimessa dalla Costituzione alle Regioni e la mancata approvazione della riforma costituzionale, tra cui era prevista anche quella del Titolo V, ha lasciato la situazione invariata.

Per quanto attiene al confronto con gli altri paesi europei, è stato poi ricordato come l'Italia sia, insieme alla Spagna il Paese che allontana meno rispetto agli altri. Nel Regno Unito si allontana circa il 6 per mille dei bambini, in Francia il 9,5, in Germania il 9,6, mentre in Italia il 2,6 per mille. Di seguito si forniscono i dati recentemente pubblicati al riguardo dal MLPS (27).

Tabella 3

Affidamento familiare e accoglienza nei servizi residenziali in Italia e in alcun Paesi dell'Unione europea

  Alla domanda circa la necessità di attivare all'interno della Conferenza Stato-Regioni un tavolo tecnico-politico per garantire una governance unitaria in materia di infanzia (28), la sottosegretaria Biondelli ha replicato manifestando l'auspicio che si lavori in tal senso. Tuttavia, non è semplicissimo pensare ad una struttura unica che possa avere una governance complessiva: “sarebbe difficile infatti immaginare che la scuola, le politiche sociali, le politiche sanitarie e tutti i diversi settori di intervento siano unificati in un'unica responsabilità amministrativa” (29).

  Per quanto riguarda la prevenzione degli allontanamenti, il Direttore generale Tangorra ha riferito che il progetto sperimentale partito in alcune grandi città, cd. riservatarie, ai sensi della legge n. 285/1997, prevede un fondo riservato per il progetto PIPPI, che ha dato esiti assolutamente positivi, tanto che le Regioni stesse hanno chiesto di estenderlo a tutto il territorio nazionale, vincolando una quota pari a circa 3 mln del Fondo politiche sociali per tale progettualità sul territorio. Si tratta in particolare del Programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione dell'allontanamento dei minori (PIPPI) che, con un progetto di presa in carico precoce, riesce a prevenire gli allontanamenti. [La sperimentazione ha avuto un tale successo che le regioni stesse hanno chiesto, nell'ambito più vasto delle politiche sociali, di riservare una quota a livello regionale per estendere tale progettazione a tutto il territorio nazionale].

  Per quanto riguarda gli affidi part-time e le sue dimensioni, da intendersi nel senso di politica di sostegno alla genitorialità, è stato replicato che sarebbe importante conoscerne in dettaglio le dimensioni da parte degli organi territoriali al fine di incentivarli. Infine, in materia di accoglienza dei MFF in servizi posti al di fuori delle regioni di residenza, che dovrebbero essere il più possibile limitati per evitare la distanza emotiva tra il minore e la famiglia di origine, è stato replicato che ci sono alcune regioni, in particolare l'Umbria e il Molise, in cui la quota di residenze fuori dalla regione è un po' più alta, in quanto, trattandosi di regioni piccole, vi è maggiore disponibilità di servizi sul territorio.

  La mancanza di dati certi in materia di MFF è stata stigmatizzata da tutti gli auditi e dai componenti la Commissione nel corso delle audizioni.

  In particolare, l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (30) ha evidenziato come in Italia ci siano diverse fonti in materia di dati relativi ai MFF: da un lato, i dati del Ministero del Lavoro che, come prima riferito al 31 dicembre 2012, sono pari a 28 mila unità; dall'altra, quelli dell'ISTAT al 31 dicembre 2013 (31), dai quali risultano collocati fuori famiglia complessivamente 17 mila minori ed, infine, quelli rilevati da un'ulteriore raccolta, aggiornata al 31 dicembre 2014, curata dalla medesima Autorità (32).

  Quest'ultima rilevazione, la più aggiornata al momento della conclusione delle audizioni – (luglio 2016) - indica un numero ulteriormente diverso di minori collocati fuori famiglia, pari a 19.000. La ragione di tali differenze è nel fatto che le rilevazioni fanno riferimento a periodi temporali diversi e a quesiti diversi. La rilevazione dell'AGIA è stata condotta con l'ausilio delle Procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni. Nei dati raccolti dell'Autorità garante sono compresi, ad esempio, anche quelli relativi alle comunità alloggio madre-bambino. In tali casi, pur trattandosi di minori collocati in comunità residenziali, non ci si riferisce a casi di minori fuori famiglia propriamente detti.

  Tra le criticità riscontrate nell'ambito di tale ultima raccolta dell'AGIA al 31.12.2014 è emerso che le Procure non dispongono di risorse organiche per effettuare le rilevazioni. Le schede molto spesso arrivano incomplete o vi sono comunità residenziali che non le trasmettono, ma forniscono relazioni discorsive, dalle quali è difficile estrapolare i dati. Tuttavia, la difficoltà più rilevante è il mancato raccordo tra enti territoriali, Regioni e Procure della Repubblica. Spesso le Regioni non comunicano alle Procure la revoca degli accreditamenti o l'apertura di nuove comunità residenziali. È, quindi, necessaria - come riferito in audizione da Filomena Albano - una sinergia tra tutti questi soggetti. Se la Regione dispone dei dati relativi alla comunità e la Procura di quelli relativi ai minori collocati nella comunità, regioni e procure dovrebbero dialogare tra di loro. Al riguardo è stato citato l'esempio virtuoso della Procura per i minorenni del Tribunale di Milano, che sta sperimentando un progetto pilota che prevede, appunto, un dialogo costante attraverso un'alimentazione automatica di dati tra Regione e Procura.

  I dati, come rilevato, sono fondamentali in quanto indicano la direzione da seguire: in Italia, ad esempio, non sono disponibili dati sui minori fuori famiglia collocati a seguito di criticità nel percorso adottivo, che potrebbero fornire indicazioni utili in ordine ai futuri percorsi di adozione.

  Occorre, quindi, insistere per migliorare i rapporti interistituzionali al fine di far diventare strutturale, periodica e completa la raccolta dei dati sui minorenni in comunità con un lavoro di rete.

  Tra i rappresentanti delle associazioni che più hanno stigmatizzato la mancanza di dati certi in materia di MFF, si ricorda quanto riferito in audizione da Massimo Rosselli Del Turco, direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI), che, oltre a rilevare la carenza di dati istituzionali aggiornati, ha evidenziato la disomogeneità nella raccolta degli stessi, che non ne permette una reale fruibilità (33). In particolare, è stato rilevato come le rilevazioni siano condotte utilizzando spesso questionari diversi di anno in anno, ovvero carenti di informazioni fondamentali come ad esempio quelle relative al numero di comunità o al numero di allontanamenti disposti in base all'articolo 403 del codice civile; i dati inoltre si riferiscono al 31 dicembre di ogni anno e i movimenti intermedi non sono riferiti.

  Si suggerisce quindi in tema di affidamento l'opportunità di creare un database di rete, con tutte le informazioni sui singoli minori che entrano in comunità. Ogni istituzione competente in materia (ministeri, Istat e così via) dovrebbe poter accedere al database con una propria password ed alimentare o consultare le sole informazioni che le sono riservate.

  Occorre quindi una programmazione integrata: a volte non c'è la comunità adatta o c'è una sproporzione (per eccesso o per difetto) tra quantità di bambini da dare in affido e numero delle case famiglia; a volte due o più fratelli vengono messi in comunità diverse e perdono i contatti tra di loro oltre che con la propria famiglia di origine.

2.1 Ulteriori dati sull'accoglienza: i dati ISTAT, dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  Per quanto attiene al numero complessivo dei minori fuori famiglia collocati presso le strutture di accoglienza, si ritiene opportuno soffermarsi sulle più recenti rilevazioni effettuate rispettivamente dall'ISTAT - al 31.12.2013 e al 31.12.2014 - e dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza al 31.12.2015.

  Dai dati ISTAT al 31.12.2013 si evince che complessivamente sono stati circa 17 mila i minori assistiti, il 42,3% dei quali è stato accolto nelle strutture per problemi legati al nucleo familiare, quali incapacità educativa, problemi economici o psicofisici dei familiari. Di questi il 59% circa sono maschi e il 41% femmine, mentre il 68% è costituito da minori stranieri di sesso maschile (34).

  Tra questi circa 4 mila ragazzi (il 22% dei minori ospiti) hanno dipendenze patologiche o altri tipi di disagio e poco meno di 3 mila minori (il 15% del totale) risultano avere patologie psichiatriche o disabilità di varia natura. Si ha dunque una prevalenza nelle comunità di giovani con disagio in famiglia, tenuto conto che oltre la metà del totale dei MFF (10.825) non presenta problematiche specifiche.

Per la rimanente quota, le motivazioni che determinano l'ingresso in strutture residenziali sono diverse: più di 3 mila minori (20,5% dei minori ospiti) entrano nelle strutture perché accolti insieme al genitore, 2614 ragazzi (14,9%) sono stranieri privi di assistenza o rappresentanza da parte di un adulto; più di mille (7,5% dei minori ospiti) sono vittime di abuso e maltrattamento, mentre circa 2549 (14,5%) vengono accolti per altri motivi.

Tra i ragazzi con meno di 18 anni accolti nelle strutture residenziali soltanto una piccola quota, il 5% (779 minori), risulta in condizione di adottabilità; poco più di 9 mila sono invece dichiarati non adottabili; per la residua quota la condizione risulta essere o in attesa di sentenza da parte del tribunale dei minori oppure non nota o non specificata.

Gli stranieri ospitati sono complessivamente (adulti e minori) 16.682: il 4,5% degli ospiti complessivi. Nel 55% dei casi sono adulti (2,5 ogni 1.000 adulti stranieri residenti), nel 41% minori (6 ogni 1.000 minori stranieri residenti) e soltanto per il 4% anziani (5 ogni 1.000 anziani stranieri residenti).

  In totale, i minori di 18 anni ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari sono 17.586 (pari a 1,7 ogni 1000 abitanti di pari età) dei quali 10.427 maschi (59%, circa 2 per 1000) e 7159 femmine (41%, pari a 1,4 per 1000). I minori stranieri sono 6825, di cui il 68% maschi (corrispondenti a 6,3 ogni 1000 residenti stranieri), pari al 39% del totale dei minori ospiti dei presidi.

Il tasso di minori ospiti dei presidi è abbastanza omogeneo sul territorio, intorno a 2 per 1000 minori residenti in tutte le ripartizioni, ad eccezione del Sud dove si attesta a 1. Il valore più basso è quello della Campania, inferiore a 1 per 1000. Tra la popolazione straniera di età inferiore a 18 anni i valori più elevati si rilevano in Molise (31 ogni 1000) e Sicilia (20 ogni 1000 stranieri residenti), con una notevole prevalenza di maschi. Tassi superiori a 10 per 1000 si registrano anche nella provincia autonoma di Trento (15,7), nel Lazio (10,1), in Basilicata (16,1) Calabria e Puglia (entrambe 11,4).

Dopo i 10 anni di età, il tasso di minori ospiti nelle strutture residenziali cresce progressivamente, infatti è pari a 1,1 per 1000 (corrispondenti a circa 3000 ragazzi) nella fascia compresa tra 6 e 10 anni ed arriva a 4,1 tra i 15 e i 17 anni (poco più di 7000 minori).

Per ricostruire il percorso di reinserimento dei minori collocati nelle strutture residenziali, è utile analizzare la destinazione degli ospiti dimessi nel corso dell'anno 2013, che ammontano complessivamente a 12.860 (si veda al riguardo il prospetto sottostante).

La quota maggiore di dimessi (31,1%), risulta rientrata nella famiglia di origine, mentre una piccola quota (10%) risulta essere stata data in affido o adottata. Complessivamente, i minori reinseriti in una famiglia ammontano a 5316 (41,3% di tutti i minori). A essere resi autonomi sono soltanto l'8,1% dei dimessi, circa mille ragazzi; si tratta per lo più di giovani, divenuti maggiorenni, che hanno trovato una collocazione lavorativa.

Per gli altri minori il percorso di recupero non risulta concluso: oltre 3 mila (24% dei dimessi) risultano trasferiti in altre strutture residenziali e 2212 (17,2%) risultano essersi allontanati spontaneamente dalle strutture residenziali.

Anche i minori, contrariamente a quanto previsto dalla normativa vigente, risultano accolti prevalentemente in “unità di servizio” a carattere comunitario, mentre soltanto il 23% dei ragazzi alloggia in residenze di piccole dimensioni, con organizzazione di tipo familiare. Il livello di assistenza sanitaria erogata nelle strutture per minori è il più delle volte basso o assente: circa il 74% degli ospiti con meno di 18 anni risiede in “unità di servizio” sprovviste di prestazioni medico-sanitarie o in grado soltanto di garantire l'assistenza sanitaria di base. La quota più ampia di ragazzi con meno di 18 anni è accolto in unità di servizio che svolgono una funzione di tipo socio-educativa (il 63%).

Ospiti minori dimessi per tipo di destinazione (31 dicembre 2013 - valori percentuali)

Fonte: Istat, Statistiche report: “I presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari” (17.12.2015).

  Per quanto attiene ai dati Istat al 31 dicembre 2014, si fa presente che il relativo report statistico è in fase di pubblicazione, ma i dati sono consultabili e costituiscono una “fotografia” sui minori ospiti nei presidi residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitari (35).

Tale ultima rilevazione è stata riprogettata, come indicato nella nota metodologica, con la collaborazione degli esperti del Ministero della salute, del MLPS e del Cisis - Gruppo di lavoro politiche sociali. La nuova rilevazione ha esteso il campo di osservazione e aumentato il dettaglio delle informazioni raccolte, permettendo di documentare in maniera più puntuale sia la tipologia di utenti assistiti, sia le risorse impegnate per questa forma di assistenza territoriale.

Le informazioni sono state raccolte per singolo modulo, cioè per singola unità di servizio di un presidio, identificata da una tipologia di assistenza per un determinato target di utenza. Ciò ha consentito di approfondire sia i modelli organizzativi utilizzati dalle strutture per l'erogazione dell'assistenza, sia le risorse assegnate alle diverse tipologie di utenza. In particolare, l'indagine ha permesso di classificare le strutture e gli ospiti assistiti secondo il carattere della residenzialità, la funzione di protezione sociale e il livello di assistenza sanitaria erogata.

Da quest'ultima rilevazione risultano un totale di 19.955 minori fuori famiglia, di cui 12.383 maschi e 7573 femmine, nonché 8129 minori stranieri non accompagnati, di cui 5938 di sesso maschile e 2191 di sesso femminile.

Nella tabella che segue si forniscono i dati ISTAT al 31.12.2014, relativi alla presenza di minori nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari, suddivisi per regione, genere e cittadinanza.

Tavola 2.1/a - Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per genere, cittadinanza e Regione presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

Come è possibile rilevare da tale tabella, le regioni che contano il maggior numero di minori fuori famiglia sono la Sicilia (3470), la Lombardia (2746), il Lazio (2504) e l'Emilia-Romagna (2021); mentre la maggiore concentrazione per aree geografiche è presente nel nord-ovest, seguito dal centro, dalle isole, dal nord-est e dal sud.

Per quanto riguarda la tipologia di utenti suddivisi per genere, cittadinanza e regione, dalla tabella che segue è possibile rilevare in termini percentuali i relativi valori.

Tavola 2.1/b - Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per genere, cittadinanza e Regione presenti al 31 dicembre 2014 (valori percentuali)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

  Per quanto riguarda l'età dei minori fuori famiglia ospitati nelle predette strutture, può osservarsi la prevalenza delle fasce d'età adolescenziali 11-14 anni e 15-17, pari, rispettivamente, a 4265 e 8419, su un totale di 19.955. Nella tabella che segue vi sono i dati concernenti tutte le fasce d'età, nonché la relativa ripartizione per aree geografiche.

Ospiti dei presidi residenziali, socio-assistenziali e socio-sanitari: minori per età -ripartizione.

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

Sono anche disponibili i dati relativi ai minori ospiti nei predetti presidi per carattere della residenzialità delle unità di servizio e la relativa ripartizione per aree geografiche (36).

Tavola 2.19 - Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per carattere della residenzialità delle unità di servizio dei presidi e ripartizione geografica presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

Per quanto riguarda la tipologia di disagio dei minori ospiti nelle suddette strutture, si rileva che la maggior parte di essi non presenta problematiche specifiche; infatti su un totale di 19.955 ospiti, quelli per cui non sono stati riscontrati particolari disagi sono pari a 11.735. Quelli che presentano disabilità e disturbi mentali sono in totale 3.147; mentre quelli con problemi di tossicodipendenza, alcolismo o altri disagi analoghi, sono pari a 4.917.

  A questi si devono aggiungere i minori stranieri (complessivamente pari come già ricordato a 8129, di cui 5938 maschi e 2191 femmine) di cui 249 maschi e 143 femmine presentano disturbi mentali o disabilità di vario genere. 1669 minori stranieri di sesso maschile presentano invece problemi di tossicodipendenza, alcolismo o altri disagi. Tuttavia, la maggior parte – pari a 5441 – non presenta alcuna problematica specifica.

Tavola 2.3/a - Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per genere, cittadinanza e tipologia di disagio presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

  Da quest'ultima rilevazione Istat è possibile verificare anche il motivo di ingresso dei minori italiani e stranieri ospiti nelle strutture di accoglienza: vittime di abusi e maltrattamenti sono complessivamente 1399 minori, di cui 546 maschi e 852 femmine, dei quali 457 sono minori stranieri. Il dato che appare più rilevante è che ben 7632 minori italiani sono stati allontanati dal nucleo familiare per problemi economici, incapacità educativa o problemi psicofisici dei genitori. Altro dato di rilievo è che ben 3579 minori stranieri maschi e 92 femmine, per un totale di 3672, essendo giunti sul territorio nazionale privi di genitori o di altri referenti familiari, sono stati indirizzati presso i presidi residenziali socio-assistenziali o socio-sanitari.

Tavola 2.8/a - Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per genere, cittadinanza e motivo di ingresso presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

  Per quanto attiene alla ripartizione geografica dei minori allontanati dal nucleo familiare per problemi economici, abitativi, per incapacità educativa o negligenza della famiglia, per problemi psicofisici dei genitori, può osservarsi che la distribuzione sul territorio è abbastanza omogenea, pur rilevandosi una maggiore concentrazione nel nord-ovest e nelle isole.

Nella tabella che segue si forniscono i dati relativi alla ripartizione geografica dei minori allontanati dal nucleo familiare in base alla motivazione.

Tavola 2.10/a - Minori allontanati dal nucleo familiare per problemi economici, abitativi, per incapacità educativa/negligenza della famiglia, per problemi psico-fisici dei genitori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per genere, cittadinanza e ripartizione geografica presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

  Ulteriore dato di rilievo, che si evince dai dati ISTAT al 2014, è costituito dall'esiguo numero di minori fuori famiglia per cui è già stato adottato apposito decreto di adottabilità. Di seguito si fornisce un quadro di tali dati, con la relativa ripartizione geografica.

Tavola 2.17/a - Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari con decreto di adottabilità per ripartizione geografica presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

Di grande interesse sono anche i dati relativi ai minori dimessi dai presidi residenziali per tipo di destinazione e ripartizione geografica (v. Tavola 2.18/a). Di questi, su un totale di 14.633, 4258 hanno fatto rientro nella propria famiglia di origine, quasi altrettanti - 4055 - sono stati trasferiti in altre strutture residenziali, 546 sono stati dati in affidamento etero-familiare, 289 in affidamento intra-familiare; solo 1151 sono diventati autonomi, mentre ben 2360 si sono allontanati spontaneamente o sono fuggiti dalle strutture.

Tavola 2.18/a - Minori dimessi dai presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per tipo di destinazione e ripartizione geografica presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

  Infine, si riportano i dati sui minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e sanitari per funzione di protezione sociale svolta, da cui si rileva che, su un totale di circa 20 mila minori, 13 mila circa sono accolti per lo svolgimento di funzioni socio-educative, più di 2 mila sono in prevalente funzione tutelare (37), più di 1700 sono collocati in comunità per accoglienza abitativa. Ulteriori dati sono riportati nella tabella che segue.

Tavola 2.20/a - Minori ospiti nei presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari per funzione di protezione sociale delle unità di servizio dei presidi e ripartizione geografica presenti al 31 dicembre 2014 (valori assoluti)

(Fonte: Istat, http://dati. istat. it/)

  Da ultimo sembra opportuno riportare i dati sull'accoglienza contenuti nella seconda raccolta dati sperimentale elaborata dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (38), con le procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni, nella quale si offrono i numeri dell'accoglienza al 31.12.2015, che sono in aumento del 9,3% rispetto alla precedente rilevazione al 31.12.2014. Si segnala che si tratta dei dati ad oggi più aggiornati, da cui risultano complessivamente collocati nelle citate strutture 21.035 minori, con un trend in aumento rispetto all'anno precedente in cui risultavano 19.245 minori ospitati.

  Nell'ambito della rilevazione sono ricomprese le comunità-familiari, le comunità terapeutiche, nonché le strutture che accolgono genitore e bambino. Come per la precedente raccolta dati curata dall'AGIA, si rileva che anche in tale rilevazione non sono ricompresi la totalità dei casi di affido ed in particolare quelli intra-familiari, dati peraltro che dovrebbero essere nella disponibilità delle singole Procure o quantomeno dei tribunali per i minorenni e dei giudici tutelari.

  Nel corso dell'audizione del Presidente del Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS), Gianmario Gazzi (39), sono stati anche forniti i dati statistici - pubblicati nel 2015 dal Ministero della Giustizia - relativi agli affidamenti familiari negli anni 2000-2013 disposti dall'autorità giudiziaria minorile. Tali dati sono suddivisi in tre macro aree e suddivisi per Regione: affidamenti familiari disposti nel 2000-2013, affidamenti a comunità o istituti disposti nel 2001-2013, affidamenti familiari consensuali, ratificati dal Giudice tutelare (anni 2000-2013).

  Come rilevato dal Presidente Gazzi, si tratta di dati parziali, in quanto registrano il numero dei provvedimenti giudiziari che "annualmente" dispongono l'allontanamento del minorenne dalla propria famiglia e non già il numero totale di bambini e ragazzi che vivono fuori famiglia, criterio riferito, invece, all'entità del fenomeno nel suo complesso, che è indipendente dall'anno in cui il minorenne viene inserito nella struttura.

  Per quanto attiene agli affidamenti familiari disposti dai Tribunali per i minorenni negli anni dal 2000 al 2013, analizzando il dato nazionale emerge che nel 2000 i minori affidati erano 811; il numero degli affidati è ondulatorio, pur rilevandosi un picco massimo nel 2005; dopo tale anno il dato è andato sempre più a scendere, con un leggero aumento nel 2012, con 588 affidamenti, per arrivare nel 2013 a 453, ovvero al 44% in meno rispetto al 2000.

  In materia invece di affidamenti a comunità o ad istituti disposti dai Tribunali per i minorenni, il dato relativo al 2000 - pari a 1526 minori - rappresenta il dato più alto dell'intero intervallo temporale considerato. Un elevato numero di minori affidati a comunità o istituti si ha anche nel 2004, pari a 1169 minori, e nel 2007, pari a 1103; si rileva al riguardo un trend negativo, determinato dall'aumento dei provvedimenti di affidamento familiare.

Negli anni 2005 e 2012, infatti, quando vi è un aumento degli affidamenti familiari, gli affidamenti a comunità e istituti scendono del 13,34% nel 2005, e del 25,2% nel 2012 rispetto all'anno precedente. Gli affidamenti alle strutture residenziali per minori diminuiscono in poco più di 10 anni del 59,18%.

  Ulteriori dati riguardano gli affidamenti familiari consensuali ratificati dal giudice tutelare, che costituiscono forse il dato più interessante, considerato che, a differenza degli altri, si tratta dell'unico dato che registra un aumento progressivo nel tempo, crescendo del 71,41% dal 2000 al 2013. Nel 2000, erano, infatti, 1340 gli affidamenti con consenso, che hanno raggiunto il picco massimo nel 2008 con ben 2477 affidamenti consensuali, mentre nell'ultimo anno di rilevazione, il 2013, sono diminuiti a 2297.

  Come rilevato dal Presidente del CNOAS, in realtà, è molto difficile avere una visione complessiva di quanti siano i minori fuori dal nucleo familiare e quindi valutare nel tempo l'andamento del fenomeno, poiché a livello nazionale non esiste ancora un sistema di raccolta dati organizzato e aggiornato. Tale carenza non permette di avere una lettura puntuale del fenomeno e quindi di poter strutturare strategie preventive e correttive.

  “I dati riportati testimoniano dunque una grave frammentazione delle competenze in materia civile, che spesso, come testimoniano le storie dei bambini e dei ragazzi dei quali ci facciamo carico, riproduce e aggrava la frammentarietà delle relazioni intra-familiari, per le sovrapposizioni di competenze, per i tempi dei procedimenti giudiziari che non sempre corrispondono ai tempi di sviluppo e di maturazione delle persone che ne sono destinatarie”.

  Sembra infine opportuno soffermarsi anche sull'8° Rapporto di aggiornamento 2014-2015 del Gruppo CRC (40) in cu si dà conto delle problematiche ancora irrisolte in materia di rilevazioni. In particolare, si sottolinea come continuino a permanere modalità di rilevazione disomogenee tra le diverse regioni, tra le regioni e il MLPS e tra i diversi enti preposti alle stesse. Si evidenzia inoltre l'incomparabilità dei dati determinata dalla mancata coincidenza temporale delle rilevazioni effettuate dai diversi ministeri. Come detto in precedenza, infatti, i dati del MLPS sono datati al 31.12.2012, mentre quelli del Ministero della Giustizia, prima riportati, sono al 31.12.2013.

  Per tali ragioni, è stata sottolineata l'urgenza di prevedere una Banca dati nazionale, quale strumento di controllo costante della situazione di tutti i minori collocati fuori dalla famiglia d'origine, accolti in affido o ospitati presso comunità residenziali.

  A tale proposito, la Commissione riterrebbe opportuno individuare un responsabile a livello nazionale della gestione di tale rete integrata, che dovrebbe consentire di conoscere in tempo reale i dati sui minori fuori famiglia. Tale sistema potrebbe essere costituito attraverso l'integrazione dei sistemi di rilevazione già esistenti, come quello del Ministero della Giustizia per i minori inseriti nel circuito penale e per quelli oggetto di decreti di affido intra-familiare, consensuale, etero-familiare ovvero a comunità residenziali ed, infine, quello del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.

  Nel citato rapporto del CRC si suggerisce altresì al MLPS di estendere a tutto il territorio nazionale il sistema di rilevazione SINBA (Sistema informativo nazionale sulla cura e protezione dei bambini e delle loro famiglie), anche al fine di garantire l'effettiva applicazione di alcune norme e del relativo regolamento di attuazione del Casellario dell'Assistenza, e al fine di rendere omogenee le fonti e i sistemi di rilevazione in tutto il territorio nazionale.

  In materia di affidamenti familiari, si stigmatizza invece la mancanza di dati relativi agli affidamenti intra-familiari, che raggiungono nelle regioni del sud percentuali piuttosto elevate. Si lamenta inoltre l'elevata durata degli affidamenti familiari, nonché l'indisponibilità di dati sui tempi di permanenza dei minorenni presso le comunità.

  Nel 9° Rapporto di aggiornamento 2015-2016 del Gruppo CRC vengono riproposte le criticità legate alle diverse modalità di raccolta dati da parte delle autorità preposte (MLPS, ISTAT, e da ultimo anche AGIA); all'impossibilità di accedere ad informazioni fondamentali, quali le tipologie di comunità di accoglienza per minorenni, alle motivazioni di ingresso nelle stesse, lamentandosi nel contempo la mancanza di un sistema informativo nazionale, la carenza di nuovi dati in materia di affidamenti familiari, rispetto a quelli già noti e ormai datati, nonché l'elevata durata degli affidamenti familiari e alle comunità (41).

  Si segnala inoltre l'ultimo report del gruppo CRC del novembre 2017 appena pubblicato - il 3° Rapporto Supplementare sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia (42) - in cui il Comitato raccomanda all'Italia, nell'ambito delle proprie competenze, di garantire un'applicazione efficace ed equa della legge 149/2001 in tutte le Regioni, adottando criteri e standard minimi concordati a livello nazionale per i servizi e l'assistenza alternativa per i bambini privati di un ambiente familiare, incluse le “strutture residenziali” come le comunità di tipo familiare; di garantire il monitoraggio indipendente, ad opera di istituzioni pertinenti, definendo procedure di responsabilità per le persone che ricevono sovvenzioni pubbliche per ospitare questi minori; di procedere a un'indagine generale su tutti i MFF, creando al riguardo un registro nazionale.

  Infine si segnala la recente pubblicazione da parte del MLPS dell'ultimo quaderno della ricerca sociale n. 40 in materia di “Affidamenti familiari e collocamenti in comunità. I presenti al 31.12.2014 e i dimessi nel corso del 2014” (43), in cui si riporta la rilevazione coordinata dei dati in possesso delle Regioni e Province autonome su bambini e adolescenti fuori dalla famiglia di origine, in affidamento familiare (a singoli, famiglie e parenti) o accolti nei servizi residenziali per minorenni della propria regione. Il citato report propone gli esiti della sesta edizione del monitoraggio che il Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza ha realizzato con le Regioni e le Province autonome. I dati collazionati si riferiscono alla data del 31/12/2014 per gli accolti e all'intero anno 2014 per i dimessi.

  Per quanto attiene ai dati più rilevanti in esso contenuti, può dirsi che in materia di affidamento familiare si riscontra una certa stabilità sotto il profilo numerico, essendo il dato assetatosi su un valore di 14.020 unità. Per quanto attiene invece ai bambini e adolescenti accolti nei servizi residenziali per minorenni, alla data indicata risultavano essere, al netto dei minori stranieri non accompagnati, pari a 12.400. Anche relativamente a tale dato viene evidenziata una relativa stabilizzazione negli ultimi anni.

  Il dato complessivo risultante dalla citata rilevazione, comprendente tutti i bambini e gli adolescenti temporaneamente allontanati dal proprio nucleo familiare e accolti a fine anno 2014 in affidamento familiare e/o nei servizi residenziali per minorenni, risulta essere pari a 26.420 minori - al netto dei minori stranieri non accompagnati - pari al 2,6 per mille della popolazione minorile residente nel nostro Paese.

3. Tipologia e numero delle strutture di accoglienza per minori.

  Si rileva preliminarmente che non esiste una definizione normativa univoca a livello nazionale relativa alle diverse tipologie di strutture di accoglienza per minori. Infatti, come rilevato nel citato rapporto dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza -“La tutela dei minorenni in comunità” - vi è sul territorio nazionale la presenza di un variegato e non univoco panorama classificatorio di tali strutture che, peraltro, rende difficile sia il confronto dei dati esistenti, sia un attento monitoraggio del complessivo fenomeno dei MFF.

  Al riguardo si ricorda che seppur l'articolo 2 della legge n. 184 del 1983 individui un'unica tipologia di struttura di accoglienza per minori, definita “comunità di tipo familiare”, tuttavia esistono ulteriori definizioni e classificazioni di tali strutture in altri atti normativi nazionali e regionali (44).

  In una prima ricerca condotta dall'AGIA (45) sono state individuate tre macro-tipologie di comunità di accoglienza residenziale per minori:

  1. le comunità familiari/case famiglia, caratterizzate dalla presenza stabile di adulti residenti, tra cui rientrano anche le comunità multiutenza;

  2. le comunità educative/socio-educative, caratterizzate da operatori/educatori che non abitano stabilmente in comunità ma sono presenti con modalità “a rotazione”;

  3. le comunità socio-sanitarie, che possono essere comunità familiari, case famiglia o comunità educative, caratterizzate dalla compresenza di funzioni socio-educative e terapeutiche.

Oltre a tale classificazione, sembra opportuno citare il report dell'ISTAT “I presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari(46), in cui dal titolo si evince una definizione meno stringente e più ampia, delle strutture che accolgono però sia minori, sia adulti.

  Altro tentativo di catalogazione di tali strutture è contenuto nel “Nomenclatore interregionale degli interventi e servizi sociali(47), di cui esistono due versioni - 2009 e 2013 - in cui le strutture per minori sono classificate in: comunità familiari per minori; comunità socio-educative per minori; alloggi ad alta autonomia; servizi di accoglienza per bambino-genitore; strutture di pronta accoglienza per minori; comunità educativo-psicologica.

  Come rilevato da tutti i soggetti auditi dalla Commissione, sarebbe auspicabile l'adozione di una classificazione univoca delle strutture di accoglienza per minorenni, che consenta un maggiore livello di monitoraggio, di vigilanza e controllo.

  Al riguardo, l'imminente approvazione in Conferenza Stato Regioni delle citate “Linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni”, dovrebbe permettere di garantire per il futuro, al di là della denominazione, standard minimi di qualità omogenei a livello nazionale per tutte le comunità.

   Per quanto riguarda invece il numero complessivo di strutture presenti sul territorio nazionale, dai dati Istat al 31.12.2013, è possibile evincere esclusivamente il dato globale riferito a tutti i presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari attivi sull'intero territorio nazionale in cui sono ospitati sia adulti, prevalentemente anziani, sia minori: si tratta di 12.261 presidi con 38.450 posti letto (pari a 6,3 posti ogni 1000 residenti).

L'offerta è costituita prevalentemente da “unità di servizio” che integrano l'assistenza di tipo sociale e quella di natura sanitaria con oltre due terzi dei posti letto complessivi (74,2%).

Forti gli squilibri territoriali: l'offerta raggiunge i livelli più alti nelle regioni del Nord - dove si concentra il 66% dei posti letto complessivi (9,1 ogni 1000 residenti) - e tocca i valori minimi nel Sud con il 10,4% dei posti letto (soltanto 2,8 posti letto ogni 1000 residenti). Le regioni del Nord dispongono anche della quota più alta di posti letto a carattere socio-sanitario, con 7,4 posti letto ogni 1000 residenti, contro un valore di 2 posti letto nelle regioni del Sud.

  Il 36% delle strutture appartiene a enti non profit, il 23,6% a enti pubblici, il 25,1% a enti privati for profit e il 13,7% a enti religiosi. Nell'88% dei casi sono gli stessi titolari a gestire direttamente il presidio.

  Solo dall'analisi svolta da ultimo dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (48) è possibile desumere il numero complessivo di strutture residenziali riservate ai minorenni pari a 3192 al 31.12.2014 e a 3352 al 31.12.2015, nonché il numero medio di ospiti per struttura pari, rispettivamente, a 6,7 e a 6,9 nei predetti anni. Al riguardo si ricorda che i dati rilevati dall'Autorità garante sono stati reperiti con l'ausilio di 29 Procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni e non possono considerarsi purtroppo esaustivi in quanto alcune procure non sono riuscite a fornire tutte le informazioni richieste nella scheda di raccolta dati (49).

  Dai dati contenuti in quest'ultima rilevazione, si rileva un incremento del 5% del numero di strutture per minori attive sul territorio nazionale, dato che deve essere letto in connessione all'aumento del 7,8% della domanda di accoglienza, registratosi in un anno.

  Le regioni che vantano un maggior numero di comunità presenti sul proprio territorio sono la Sicilia, l'Emilia-Romagna, la Campania, il Piemonte e la Valle d'Aosta e il Friuli-Venezia Giulia. Dal confronto dei dati al 31.12.2015 con quelli relativi all'anno precedente, le regioni in cui maggiore è stato l'incremento percentuale del numero di comunità sono state: il Piemonte e la Valle d'Aosta, considerate congiuntamente, in cui si registra un aumento del 36%, l'Umbria in cui l'incremento è stato pari al 29%, in cui si è passati da 24 a 31 comunità; l'Emilia Romagna con un 22% (da 371 a 451 strutture) e la Sicilia, che registra un incremento del 10% (da 449 a 494).

  Al contrario, vi sono regioni in cui si è registrato un decremento del numero di comunità, prima fra tutte la regione Marche, con una diminuzione del 21%, passandosi da 107 a 84 presidi per minori e la Calabria, che registra un -12% delle strutture ricettive dedicate all'accoglienza dei più piccoli.

Peraltro, esiste a livello regionale una grande differenziazione nell'offerta di strutture ricettive per minori: vi sono infatti regioni piccole, che pur avendo una popolazione residente numericamente esigua, contano sul proprio territorio un numero elevato di comunità familiari. Ciò determina la collocazione di minori provenienti da altre regioni in quelle in cui è maggiore l'offerta di posti. Se da un lato la lontananza dalla famiglia di origine può essere giustificata nei casi più gravi di maltrattamenti, abusi e grave pericolo per il minore, dall'altro, nella maggior parte dei casi in cui tali pericoli non sussistono e l'allontanamento avviene per “altre cause”, ciò determina un'ulteriore criticità nel percorso evolutivo sia per il minore, sia per i genitori.

  Di seguito si forniscono i dati analitici regione per regione estratti dall'appendice del citato rapporto dell'AGIA.

Fonte: “La tutela dei minorenni in comunità” - Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (ottobre 2015).

4. Le motivazioni del collocamento al di fuori della famiglia di origine e relativa procedura.

La legge n. 184 del 1983, “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”, ha statuito il diritto del minore ad essere educato nell'ambito della propria famiglia, prevedendo però che l'ipotesi di inidoneità anche temporanea dell'ambiente familiare fosse causa di affidamento ad altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l'educazione e l'istruzione.

La legge 149 del 2001, innovando tale normativa, ha previsto espressamente che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possano essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, disponendo in tali casi interventi di sostegno e di aiuto a favore delle famiglie che si trovino ad affrontare problemi di tipo economico. Pertanto, le temporanee difficoltà economiche della famiglia d'origine non possono costituire causa di allontanamento “definitivo” del minore. Alla luce di tale riforma, dunque, l'inidoneità della famiglia di origine non può più essere intesa e valutata in termini prettamente economici.

Le cause di allontanamento di un minore attualmente previste dalla legge n. 184 del 1983, come novellata nel 2001, sono costituite dall'inidoneità della famiglia d'origine a provvedere alla sua crescita ed educazione (articolo 1, comma 4) e dalla carenza anche temporanea di un ambiente familiare “idoneo”, nonostante gli interventi di sostegno e aiuto previsti dalla legge in favore della famiglia di origine (articolo 2, comma 1).

Da tali norme si desume innanzitutto che il carattere della temporaneità è uno degli elementi che differenzia l'istituto dell'affido dall'altro strumento previsto dalla legge di sostituzione definitiva del nucleo familiare di origine, che si sostanzia fondamentalmente nell'adozione, previa dichiarazione dello stato di adottabilità del minore (articolo 8). In tali ipotesi infatti sussiste una difficoltà della famiglia di tipo permanente e irreversibile, nel senso che è accertata la situazione di abbandono del minore, in quanto “privo di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi”. Peraltro, la norma specifica al riguardo che la mancanza di assistenza non deve essere dovuta a causa di forza maggiore avente carattere transitorio (articolo 8).

Solo quando è definitivamente impossibile per il bambino vivere nella sua famiglia d'origine, lo strumento a disposizione è quello dell'adozione legittimante, che spezza il legame affettivo e giuridico con la famiglia biologica e lo sostituisce con un nuovo legame con la cd. famiglia sociale: la famiglia adottiva (50).

L'istituto dell'affido ad una famiglia, ad una comunità di tipo familiare (casa-famiglia) o prima della loro soppressione ad un istituto di assistenza pubblico o privato, è dunque previsto dall'ordinamento quando è temporaneamente impossibile per il bambino vivere nella sua famiglia d'origine (articoli 2-5). Lo strumento dell'affidamento familiare, nelle sue due forme poc'anzi ricordate (famiglia o comunità di tipo familiare), è dunque concepito quale breve parentesi di vita al di fuori del contesto familiare di provenienza, che consente al minore un percorso di crescita sereno, senza spezzare il legame con la famiglia d'origine.

Lo spirito della legge, oltre a voler garantire principalmente la permanenza del bambino nella sua famiglia di origine, mira a fare in modo che l'esperienza dell'affidamento sia protesa al recupero di quel legame ed al reinserimento del bambino nella propria famiglia nel più breve tempo possibile, una volta risolti i problemi di inidoneità temporanea.

La legge predilige l'affidamento ad una famiglia possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, prevedendo che ove non sia possibile darvi luogo sia consentito “l'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare”, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui risiede stabilmente il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore ai sei anni, l'inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare (articolo 2, comma 2).

La famiglia affidataria ovvero la comunità di tipo familiare deve essere in grado di assicurare al minore non solo il mantenimento, l'educazione e l'istruzione, ma anche – come previsto dalla legge n. 149 del 2001 – “le relazioni affettive di cui ha bisogno” (articolo 2, comma 5).

L'affidamento del minore è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni 12 e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. In tali casi il giudice tutelare del luogo dove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto (articolo 4, comma 1). Nell'ipotesi in cui manchi l'assenso dei genitori o di chi esercita la potestà sul minore, provvede il tribunale per i minorenni, trovando applicazione gli articoli 330 e seguenti del codice civile (articolo 4, comma 2). Gli affidamenti possono essere quindi consensuali o meno a seconda che sia la stessa famiglia di origine a chiedere aiuto nella gestione del minore ovvero, pur non avendolo fatto direttamente, acconsenta a tale misura, che deve essere comunque intesa nella sua funzione esclusivamente assistenziale, di intervento integrativo temporaneo del rapporto familiare, con la finalità di permettere il rientro del minore in famiglia il prima possibile.

Generalmente, la procedura di allontanamento consegue ad una segnalazione - che la legge prevede possa provenire da “chiunque” (articolo 9 della l. n.184/1983) - da parte dei servizi sociali locali, che presentano apposita relazione in tal senso al pubblico ministero presso la Procura della Repubblica, che poi trasmette la segnalazione al Tribunale per i minorenni. Quest'ultima reca la richiesta del provvedimento di tutela ovvero, a seconda della gravità, la sospensione della responsabilità genitoriale oppure, quale extrema ratio, l'allontanamento dalla famiglia di origine.

In casi di necessità ed urgenza, l'affidamento può essere disposto, anche senza porre in essere gli interventi di sostegno e di aiuto in favore della famiglia d'origine, disposti sia dallo Stato, sia dalle Regioni e dagli Enti locali, in favore dei nuclei familiari a rischio (articolo 1, comma 3).

L'articolo 3 della legge n. 149 del 2001 dispone poi che, nei casi di affido a comunità di tipo familiare, i loro legali rappresentanti esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, secondo le norme del capo I, titolo X, del libro primo del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l'esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito.

In tali ipotesi, entro trenta giorni dall'accoglienza del minore, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina del tutore. Gli stessi e coloro che prestano anche gratuitamente la propria attività a favore delle comunità di tipo familiare non possono essere chiamati a tale incarico, onde evitare situazioni di conflitto di interessi in danno del minore accolto.

Nei provvedimenti di affidamento familiare devono essere indicate specificatamente le motivazioni di esso, i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, nonché le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere rapporti con il minore (articolo 4, comma 3) .

Deve altresì essere specificato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza e la vigilanza durante l'affidamento, con l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, a seconda che si tratti di provvedimento emesso con o senza il consenso dei genitori e/o del tutore. Il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, a seconda che si tratti di provvedimento emesso con il consenso o meno dei genitori e/o del tutore, ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

Di fondamentale importanza è la norma che dispone che il provvedimento di affidamento indichi il periodo della sua presumibile durata, che deve essere rapportabile al complesso degli interventi volti al recupero della famiglia d'origine. In ogni caso, si dispone che tale periodo non possa, di norma, superare i 24 mesi e sia prorogabile dal Tribunale per i minorenni solo qualora la sua sospensione rechi pregiudizio al minore.

L'affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l'interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d'origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore.

In tali casi, il giudice tutelare, trascorso il periodo di durata previsto, ovvero intervenute le circostanze poc'anzi descritte, sentiti il servizio sociale locale interessato ed il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l'adozione di ulteriori provvedimenti nell'interesse del minore. Tali norme si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso di minori inseriti presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato fino al loro definitivo superamento (51).

La legge prevede degli obblighi anche in capo all'affidatario, che deve accogliere presso di sé il minore e provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile (52), o del tutore, ed osservando le prescrizioni eventualmente stabilite dall'autorità affidante. All'affidatario si applicano le norme in materia di responsabilità genitoriale, di cui agli articoli 316 e seguenti del codice civile, in quanto compatibili.

In ogni caso l'affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con le istituzioni scolastiche e con le autorità sanitarie. Deve inoltre essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adottabilità relativi al minore affidato.

La normativa prevede poi che il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolga opera di sostegno educativo e psicologico, agevoli i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore, secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari. Tali norme si applicano in quanto compatibili, anche nel caso di minori ospitati presso una comunità di tipo familiare o presso istituti (fino alla loro soppressione).

Si stabiliscono inoltre misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria da parte dello Stato, delle regioni e degli enti locali, nell'àmbito delle rispettive competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci,

Infine si prevede che, nel caso in cui i genitori riprendano l'esercizio della potestà, le comunità di tipo familiare e gli istituti di assistenza pubblici o privati possano chiedere al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio (articolo 3, comma 3).

Sotto il profilo procedurale, l'articolo 336 del codice civile disciplina il procedimento da seguire per l'adozione da parte del giudice dei provvedimenti a tutela dei minori. Il procedimento prevede un ricorso (dei genitori, dei parenti o del PM) sul quale il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il PM oltre che il minore stesso che abbia compiuto 12 anni o sia comunque capace di discernimento. La disposizione consente al tribunale, in caso di urgente necessità, di adottare, anche d'ufficio, provvedimenti temporanei nell'interesse del figlio.

Si ricorda che in materia di affidamento familiare sono state elaborate apposite linee guida sia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (53), sia dal Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali (CNOAS) (54).

In particolare la prime rappresentano, come evidenziato nella relativa premessa, la sintesi di un lavoro pluriennale avviato con il progetto nazionale: “Un percorso nell'affido”, attivato nel 2008 dall'allora Ministero della solidarietà sociale, e che ha visto il coinvolgimento dei molti attori protagonisti dell'affido: i responsabili delle politiche ai diversi livelli di governo, gli operatori dei servizi, il privato sociale. Si è trattato di un percorso articolato e complesso partito dai territori, che ha permesso la realizzazione di una mappatura nazionale delle realtà operanti nell'affidamento, in fase di continua implementazione, e di eventi di formazione e di scambi di esperienza che hanno registrato un'ampia partecipazione di operatori dei servizi e associazioni, finalizzate a favorire la conoscenza e la costruzione di reti di comunicazione e collaborazione stabili e durature.

  Al di là della valenza specifica per una pratica dei servizi così delicata quale quella dell'affido, tali linee di indirizzo concretizzano un accordo di portata storica per il sistema dei servizi sociali. È stato infatti sottolineato come, con la riforma del Titolo V della Costituzione e la previsione della competenza esclusiva delle Regioni in materia, il sistema sia rimasto privo di strumenti di indirizzo e coordinamento a livello nazionale.

  Peraltro, lo strumento immaginato dal legislatore costituzionale per garantire uniformità di trattamento sul territorio – la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, rimasta l'unica competenza dello Stato – non è ancora riuscito a trovare negli anni la giusta applicazione, sostanzialmente per la difficoltà di reperimento di risorse adeguate atte a garantire diritti esigibili o livelli di copertura territorialmente adeguati dei servizi.

  Da tale punto di vista, per quanto con una portata più limitata e meno cogente dei livelli essenziali, le linee di indirizzo possono comunque considerarsi un potente strumento di orientamento nazionale delle pratiche dei territori, cui non solo gli amministratori possono far riferimento, ma anche i cittadini.

  Pertanto, pur non sostituendosi alle legislazioni regionali che hanno regolamentato l'applicazione dell'affidamento familiare sui territori, offrono comunque un valido quadro di riferimento complessivo rispetto a princìpi, contenuti e metodologie di attuazione organizzato nella forma delle “raccomandazioni”.

  Tra quelle più significative si ricorda innanzitutto quella inerente la necessità di considerare l'affidamento familiare, nelle sue diverse forme, uno strumento privilegiato per prevenire l'allontanamento di un bambino dalla propria famiglia. Si raccomanda inoltre di assumere come politiche prioritarie per gli interventi di accoglienza quelle della promozione e sostegno delle diverse forme di affidamento familiare, in particolare per la fascia di età 0-5 anni. A tale ultimo riguardo si suggerisce la necessità di diminuire gradualmente e, ove possibile, far scomparire del tutto gli inserimenti in struttura di bambini molto piccoli.

  Considerata poi la complessità dell'affidamento familiare, si raccomanda di garantire la massima integrazione e collaborazione tra i servizi e le diverse figure professionali (servizi pubblici, privato sociale e volontariato) nell'àmbito di quanto previsto dalla legge n. 184 del 1983.

  Occorre inoltre riconoscere il dolore e la fatica dei genitori e del nucleo familiare del bambino dato in affidamento per la separazione dal proprio figlio e per aver dovuto rivolgersi ed appoggiarsi a terzi (volontariamente o giudizialmente), ma nel contempo riconoscere il valore sociale, civile e politico dell'impegno di solidarietà delle famiglie affidatarie e le specifiche competenze educativo-relazionali, migliorabili, ma non surrogabili professionalmente, da sostenere e valorizzare.

  Sembra inoltre opportuno citare, in sostanziale continuità con le “Linee di indirizzo per l'affidamento familiare”, il documento:“Parole nuove per l'affidamento familiare - Sussidiario per operatori e famiglie(55) redatto dal MLPS nel marzo 2014, che costituisce uno degli strumenti attuativi più validi delle citate Linee guida.

  Si ricordano inoltre le linee guida “Percorsi integrati: linee guida per la regolazione dei processi di sostegno e allontanamento del minore(56), elaborate dal Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali (CNOAS) nel 2010 che, in tema di allontanamento, raccomandano agli operatori dei servizi sociali di perseguire sempre un intervento che tenga in considerazione il rispetto delle persone, l'informazione dei soggetti coinvolti, la ricerca delle modalità più opportune per l'esecuzione del provvedimento e la necessaria tempestività, in relazione sia alla sua efficacia sia all'esigenza di ridurre quanto più possibile il trauma che il minore ed i suoi familiari ne possano riportare. In esse si ricorda altresì l'importanza del lavoro di prevenzione e di sostegno alle situazioni di fragilità delle famiglie e delle coppie con l'attivazione di servizi competenti all'ascolto dei bisogni e alla prevenzione dei conflitti, di tutoraggio sociale, di educativa e di mediazione familiare, prevedendo inoltre specifiche forme di accompagnamento per le famiglie e i minori di diversa cultura.

  Nel novembre del 2015, il CNOAS, a cinque anni dall'elaborazione delle citate linee guida, ha ritenuto utile riavviare l'approfondimento sulla tematica, che ha portato alla stesura di linee guida aggiornate con la predisposizione del documento “Processi di sostegno e tutela dei minorenni e delle loro famiglie” (57).

  Si tratta di un documento che, tenendo conto dei più recenti mutamenti del contesto sociale ed in particolare della perdurante crisi economica, delinea l'utilizzo di nuovi approcci che permettono di supportare i nuclei familiari anche tenendo conto delle sempre più significative esperienze associative di cittadini/operatori che intervengono sul tema con un chiaro mandato di advocacy da parte delle famiglie che vivono tali situazioni, nonché del diritto di ciascuno di essere informato e di giudicare la correttezza dell'operato di tutti i soggetti coinvolti.

  Da ultimo si ricordano le “Linee guida nazionali per l'accoglienza dei minorenni nei servizi residenziali” del MLPS (su cui si veda il paragrafo n. 2 (58)) attualmente all'esame della Conferenza unificata per l'acquisizione del prescritto accordo.

4.1. Gli allontanamenti ex articolo 403 del codice civile e la relativa proposta di riforma.

Vi sono casi in cui l'allontanamento del minore dalla propria famiglia di origine è considerato particolarmente urgente ed in tali ipotesi trova applicazione l'articolo 403 del codice civile, norma ormai datata, di cui è stata esaminata nel corso della XVII legislatura dalla Commissione Giustizia della Camera la relativa proposta di modifica (cfr. A. C. 4299).

La disposizione prevede l'intervento della pubblica autorità a favore dei minori, nel senso che: “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”.

La norma, come affermato nella relazione del Ministro guardasigilli Dino Grandi al codice civile del 4 aprile 1942, riproduce, nella sua sostanza, la disposizione dell'articolo 21 del Testo Unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia, approvato con Regio decreto 24 dicembre 1934-XIII, n. 2316, che stabilisce l'intervento della pubblica autorità a favore dei minori abbandonati. Si tratta di una norma volta a garantire un principio direttivo della legislazione fascista nell'interesse della sanità fisica e morale della stirpe, che prevedeva l'intervento dell'autorità a favore dell'infanzia abbandonata o allevata in modo non conveniente.

L'articolo 403 del codice civile dovrebbe avere nel nostro ordinamento una applicazione residuale, nel senso che dovrebbe ricorrersi ad esso quando - a fronte di una grave difficoltà per il minore, che ne richiede l'allontanamento da un pericolo imminente – non sia già intervenuta l'autorità giudiziaria in applicazione degli articoli 330 (Decadenza dalla responsabilità genitoriale) o 333 (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli) del codice civile (59).

Se dunque l'autorità giudiziaria non è ancora intervenuta e della situazione di pericolo in cui versa il minore venga a conoscenza “chiunque altro” (art. 9 l. 184/83), qualsiasi pubblica autorità può immediatamente intervenire per allontanare il minore dal pericolo. In altri termini, la norma assicura la protezione dei minori anche quando un tempestivo provvedimento del giudice non sia possibile, trovando applicazione solo nelle ipotesi di urgente necessità. In tal modo si conciliano l'esigenza di non lasciare privi di protezione i minori che ne abbiano bisogno, con il principio secondo cui il compito di provvedervi spetti, di regola, ad un organo giudiziario.

La norma trova applicazione in tre possibili situazioni relative al minore: quando sia moralmente o materialmente abbandonato, quando sia allevato in locali insalubri o pericolosi, quando sia allevato da persone incapaci - per negligenza, immoralità, ignoranza o altri motivi - di provvedere alla sua educazione.

Altro presupposto, seppur implicito, è l'urgente necessità di provvedere: il collocamento costituisce un provvedimento provvisorio, destinato ad avere effetto soltanto finché la competente autorità emetta quello definitivo.

L'intervento di un'autorità diversa dal giudice, quindi, è consentita solo quando vi sia il pericolo che il giudice non possa provvedere tempestivamente: l'urgenza giustifica la concorrente competenza di più organi, accrescendo la probabilità che almeno uno di essi provveda in modo tempestivo.

Si osserva al riguardo che la pubblica autorità alla quale fa riferimento l'articolo 403 nella sua attuale formulazione finisce sostanzialmente per coincidere con i servizi sociali locali, ma non è escluso che possano provvedere anche altri, come ad esempio le autorità di pubblica sicurezza.

Nella prassi, in genere sono i servizi sociali che allertano l'autorità di pubblica sicurezza per eseguire l'allontanamento coattivo.

Qualunque sia l'autorità che provvede, dovrà evidentemente poi rivolgersi comunque ai servizi sociali (un tempo agli organi di protezione dell'infanzia, cui fa ancora riferimento il testo della disposizione) per ottenere l'indicazione di persone o istituti idonei ad accogliere il minore e, di regola, incaricarli dell'esecuzione del provvedimento: su tali provvedimenti, e sulle condizioni del minore collocato, autorità e servizi sociali hanno l'obbligo di riferire al più presto al Tribunale per i minorenni.

Si ricorda che l'articolo 9, comma 1, della legge sul diritto del minore ad una famiglia (legge n. 184 del 1983 sulle adozioni e affido, come modificata dalla l. n. 149/2001) prevede infatti che «Chiunque ha facoltà di segnalare all'autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti un servizio di pubblica necessità debbono riferire al più presto al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio».

Dopo essere venuto a conoscenza del provvedimento provvisorio, il Tribunale per i minorenni provvede in modo definitivo, pronunciandosi ai sensi degli articoli 330, 333 e 336 del codice civile, ovvero degli articoli 4 (procedimento di affidamento familiare) e 10 (procedimento per dichiarare lo stato di abbandono del minore), della citata legge, sempre che - cessata la situazione di pericolo - il minore non debba essere semplicemente ricondotto dai propri genitori.

  Rispetto al testo vigente dell'articolo 403 c.c. poc'anzi commentato, la proposta di modifica (60) esaminata dalla Camera sostituisce integralmente la norma con la seguente: «ART. 403. – (Intervento della pubblica autorità a tutela dei minori). – Quando il minore si trova in uno stato di evidente abbandono o comunque esposto a grave pericolo per il suo benessere fisico o psichico, la pubblica autorità, anche avvalendosi dei competenti servizi sociali, ove consentito dalle circostanze sentito il minore stesso che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, ne dispone, in via urgente e provvisoria, il collocamento in un ambiente adeguato alle sue esigenze sino a quando si possa provvedere in modo stabile alla tutela della sua persona, valutando prioritariamente la possibilità di collocarlo presso parenti entro il quarto grado.

  L'autorità procedente deve, entro ventiquattro ore, dare notizia del provvedimento adottato in applicazione del primo comma al procuratore della Repubblica presso il competente tribunale per i minorenni che, verificata la fondatezza delle ragioni dell'intervento della pubblica autorità, senza indugio, promuove gli opportuni provvedimenti, ai sensi degli articoli 330 e seguenti del presente codice, nonché, ove ne ricorrano le condizioni, degli articoli 4, 9 e 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184».

  Le novità introdotte dalla proposta di modifica sono innanzitutto di ricondurre le ipotesi di intervento della pubblica autorità a due soli presupposti: lo stato di evidente abbandono del minore; e/o l'esposizione a grave pericolo per il suo benessere fisico e psichico.

  La proposta prevede altresì il necessario ascolto del minore («ove consentito dalle circostanze»). In particolare, come già previsto dall'ordinamento, deve essere sentito il minore che abbia compiuto gli anni 12, così come il minore infra dodicenne se ritenuto capace di discernimento. Si dispone inoltre che il minore debba essere collocato in un ambiente adeguato alle sue esigenze, non essendo più ritenuto sufficiente collocarlo «in luogo sicuro».

  Tra le novità di maggior interesse vi è la previsione del principio della prioritaria valutazione, in caso di allontanamento del minore, del suo possibile collocamento presso parenti entro il quarto grado, piuttosto che presso estranei o istituti.

  Ai parenti entro il quarto grado, peraltro, la legge sulle adozioni riconosce un ruolo nell'ambito del procedimento che conduce alla dichiarazione di adottabilità, dovendo essere avvertiti dell'apertura del procedimento (articolo 10) e potendo, con la loro presenza, escludere che il minore sia dichiarato definitivamente in stato di abbandono (artt. 11 e 12).

  Le legge sul diritto del minore ad una famiglia, peraltro, circoscrive questo ruolo ai parenti entro il quarto grado «che abbiano rapporti significativi con il minore».

  Altra novità di rilievo, già segnalata poc'anzi, contenuta nella proposta di modifica esaminata dalla Camera, consiste nell'istituzionalizzare il ruolo degli assistenti sociali nella procedura coattiva d'urgenza di allontanamento del minore. Infatti, la norma attualmente vigente prevede che siano “gli organi di protezione dell'infanzia” – attualmente non più esistenti – a svolgere tale ruolo.

  Si osserva, tuttavia, che nell'ambito dell'istituto dell'affidamento familiare (disciplinato dagli articoli da 2 a 5 della legge n. 184 del 1983 e successive modificazioni), non è riconosciuto alcun ruolo specifico ai parenti e quindi, nel caso di approvazione della riforma, sarebbe utile introdurre un correttivo in tal senso.

  La proposta di modifica, introducendo un secondo comma all'articolo 403 c.c., specifica che l'autorità che adotta il provvedimento di allontanamento debba darne notizia al PM presso il tribunale per i minorenni entro 24 ore. Il PM, verificata la fondatezza delle ragioni dell'intervento della pubblica autorità, promuove i provvedimenti più opportuni, applicando le disposizioni sulle misure a tutela dei minori previste dal codice civile ( artt. 330 e seguenti del codice civile) (61) nonché, ove ne ricorrano le condizioni, gli articoli 4, 9 e 10 della legge sul diritto del minore ad una famiglia (62).

  Si ricorda peraltro che tale principio è già contenuto nell'articolo 9 della legge n. 184 del 1983 che impone di riferire «al più presto al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova» le situazioni di abbandono del minore di età.

  Nel caso di approvazione della riforma occorrerà uniformare le due previsioni onde evitare interpretazioni difformi quanto al termine entro cui deve essere informato il PM.

4.2. Le criticità segnalate dalle associazioni di tutela dei minori e delle loro famiglie nel procedimento di allontanamento dalla famiglia d'origine.

L'avvocatessa Maria Carsana, presidente dell'Associazione per la tutela dei minori e della persona vittima di violenza, in merito agli allontanamenti disposti ex articolo 403 del codice civile replicando alla domanda posta da alcuni componenti la Commissione su quanti decreti di allontanamento vengano successivamente convalidati, ha affermato che, sulla base della sua esperienza diretta, tutti i provvedimenti d'urgenza adottati sulla base della richiamata disposizione sono sempre stati convalidati. Si tratta di un dato che dovrebbe far riflettere, considerato che si tratta di provvedimenti emessi se c'è un sospetto di forte disagio o comunque di inidoneità delle famiglie ad accudire i propri figli (63).

  Particolarmente significativo a tale riguardo è che nella gran parte dei casi trattati in qualità di difensore delle famiglie coinvolte in tali procedimenti, tali allontanamenti vengono disposti a seguito della richiesta di aiuto di queste famiglie, da parte di chi è preposto ad aiutarle. Anche tale dato dovrebbe far riflettere tutti. Una volta che una famiglia fa ingresso nel circuito dei servizi socio-assistenziali difficilmente riesce ad uscirne, per cui prima di consigliare ad una famiglia di rivolgersi allo Stato per chiedere aiuto, è bene valutarne tutte le conseguenze.

  Tra le ulteriori criticità rilevate in materia di allontanamento coattivo dei minori dalla famiglia di origine, è stato prodotto uno studio dell'associazione poc'anzi citata orientato a comprendere i motivi per cui tanti bambini (circa 30 mila) si trovino negli istituti e da cui emerge che il 63% di questi bambini, come motivo primario o secondario, ha un problema di indigenza economica, abitativa e lavorativa dei genitori (64).

  A tale riguardo è stato citato il caso di una famiglia povera di Anzio con 6 figli a carico collocati in un istituto ecclesiastico gestito dalle suore, per il cui mantenimento il comune di Anzio versava 18 mila euro al mese. Il caso fu risolto grazie ad una puntata di “Presa diretta” che se ne occupò, altrimenti probabilmente questi bambini sarebbero ancora in istituto. Prima di risolverlo, tuttavia, il comune interessato spese circa 700-800 mila euro per il loro mantenimento. Probabilmente sarebbe stato più facile dare un alloggio a questa famiglia o fornirle un aiuto di tipo economico, ovviamente con una progettualità definita, in quanto la prima cosa che mancava alla famiglia era la disponibilità di un alloggio idoneo.

  Tuttavia, nonostante le numerose richieste in tal senso rivolte all'assessore ai servizi sociali di quel comune la risposta fornita fu la seguente: «Se lo chiede il tribunale, io ho la possibilità di far saltare le liste d'attesa per le case popolari e dare una casa a questa famiglia ».

  In questo ed in altri casi l'avvocatessa Maria Carsana afferma di aver proceduto ad inoltrare una espressa richiesta ex articolo 79-bis della legge n. 184 del 1983, come novellata dal decreto legislativo n. 154 del 2013, che prevede che i tribunali sollecitino i comuni di residenza dei minori in difficoltà economica per ottenere interventi di sostegno. Tuttavia, tali richieste sono state sempre del tutto ignorate, nel senso che non è mai stata fornita alcuna riposta, nemmeno di diniego.

  Sugli aiuti economici alle famiglie in difficoltà, si veda infra. n. 8: Gli interventi di sostegno alle famiglie con minori.

  È stata quindi rilevata l'opportunità di chiedersi a livello istituzionale cosa significhi per una famiglia vedersi togliere i figli, nella maggior parte dei casi, per motivi economici, anche se la normativa vigente lo vieta espressamente (cfr. articolo 1, comma 2, l. n. 184/83, come modificata dalla l.149/2001). Le famiglie coinvolte in tali procedure entrano in una sorta di inferno dantesco, dove vi sono operatori spesso oberati di lavoro, che devono occuparsi di minori, di anziani in difficoltà, di disabili.

  Senza generalizzare, in alcuni casi si trovano operatori bravi e preparati, seppure troppo pochi numericamente rispetto ai casi da seguire, mentre in altri, piuttosto frequenti, capita che l'assistente sociale che deve relazionare al tribunale non sia competente o abbia delle presunzioni del tutto personali del concetto, assolutamente non codificato, di capacità genitoriale. Peraltro, la mancata definizione di tale concetto implica una molteplicità di interpretazioni circa il suo effettivo significato.

  Pertanto, in molte situazioni i tribunali per i minorenni prendono per oro colato tali relazioni, che determinano la permanenza in istituto dei minori nel 42% dei casi, secondo lo studio citato, oltre 48 mesi e nel 22% dei casi, da 24 a 48 mesi. Si tratta complessivamente del 64% degli affidamenti ad istituti, comunità familiari o a famiglie affidatarie che si protraggono ben oltre i 24 mesi previsti dalla legge. Infatti, tranne casi eccezionali, la permanenza fuori dalla famiglia di origine, come prescritto dalla legge, non dovrebbe superare tale periodo di tempo.

  Sulle criticità della procedura di allontanamento dei minori dalla famiglia di origine, si è soffermato anche l'avvocato Francesco Morcavallo, ex giudice del Tribunale per i minorenni di Bologna, che ha premesso come non sia possibile svolgere una generalizzazione secondo cui la critica al sistema di protezione, di cui fa parte l'allontanamento dei minori dalla famiglia, sia una critica all'intervento di allontanamento in assoluto. Infatti, non si può negare che ci siano delle situazioni – peraltro, le statistiche dicono essere di assoluto margine – in cui può essere necessario un intervento così radicale. Nessuno vuole escludere che un bambino o un ragazzo in pericolo possa fruire di un pronto intervento, anche di tipo cautelativo. Il problema, però, è evitare che il rimedio diventi più dannoso del male, cioè che per garantire protezione a queste situazioni di margine, si crei un sistema monstrum che sostanzialmente fa poi dell'allontanamento del bambino o del ragazzo dalla famiglia l'intervento normale e più frequente. Le statistiche, per quanto disomogenee, dimostrano non solo che l'intervento di allontanamento sia il più frequente nell'ambito del sistema di protezione, sia amministrativo sia giurisdizionale del minore, ma anche che tale intervento sia quello che più frequentemente manifesta una divergenza rispetto alla finalità normativa che è quella di garantire al minore il diritto ad una famiglia, che sia possibilmente la sua famiglia di origine.

  Al riguardo si ricorda che la legge n. 184 del 1983 come modificata dalla legge n. 149 del 2001, sancisce espressamente in materia di affido che esso debba avere carattere temporaneo e la sua durata debba essere rapportabile al complesso degli interventi volti al recupero della famiglia di origine.

  Sono state quindi affrontate nel corso di tale audizione le tre questioni relative all'an, al quomodo e al quantum dell'allontanamento dei minori dalla famiglia di origine.

  Per quanto attiene al primo aspetto, è stato ricordato come l'allontanamento, secondo la giurisprudenza sovranazionale, cui è conforme in modo assoluto la normativa e anche la giurisprudenza costituzionale di legittimità interna, dovrebbe essere l'extrema ratio, non una soluzione immediata, e dovrebbe essere disposto soltanto allorché si manifesti l'immediata impossibilità di soluzioni alternative, prima di tipo assistenziale (articoli 30 e 31 della Costituzione e articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), poi eventualmente di tipo autoritativo. Solo nel caso in cui tali rimedi siano inattuabili, ed è constatata la presenza di un pericolo grave, concreto e provato in caso di permanenza del bambino o del ragazzo nell'ambito della propria famiglia, è consentito ricorrere all'allontanamento.

  Tuttavia, come è stato sottolineato, questa graduazione di criteri in ambito giurisdizionale, come in ambito amministrativo, dovrebbe comportare anche una graduazione dei momenti di accertamento che sostanzialmente non viene mai compiuta.

  Purtroppo l'esperienza conferma che l'allontanamento viene disposto inaudita altera parte, quindi come primo provvedimento del procedimento giurisdizionale, se non addirittura in via preprocessuale ai sensi dell'obsoleto, salva l'auspicata riforma, articolo 403 del codice civile. Si può trattare anche di un rimedio che, se non attuato immediatamente, in alcuni casi, anche se statisticamente più rari, viene attuato in corso di giudizio, ma senza una motivazione specifica sulla impossibilità di dare seguito in modo efficace a tutti gli interventi di sostegno in favore della famiglia e del minore che dovrebbero essere svolti in precedenza.

  Ciò accade perché nel 100% dei casi la motivazione dell'allontanamento si rinviene in valutazioni assolutamente generiche e addirittura in certi casi di “incidenti” sulle opinioni personali degli interessati: assistenti sociali-famiglia di origine.

  Capita spesso che, se durante il percorso di tutela e il relativo procedimento giurisdizionale, i genitori mostrino di non condividere gli interventi dell'assistenza sociale, del tribunale e della casa famiglia, per cui manifestano un'opinione divergente rispetto al progetto assistenziale, ovvero chiedano che tali interventi siano attuati previo rientro in casa del minore, anche se viene meno il motivo originario dell'allontanamento, se ne trova subito un altro.

   In tali casi sembra quasi che l'intervento autoritativo voglia incidere non solo sullo status iuris familiare, ma addirittura sulla mentalità, sulle opinioni stesse e sul carattere delle persone, come se dovesse indurre addirittura un ravvedimento interiore tale da portare le persone da un paradigma di supposta anormalità a uno di presunta normalità, nel senso di adesione all'intervento autoritativo quale che sia, anche se in alcuni casi si accerti che non sia rispondente alle esigenze del minore.

  È chiaro infatti che se un allontanamento può essere sostituito da un intervento di assistenza domiciliare - peraltro molto meno costoso – e questa strada non viene percorsa, la normativa non viene applicata in modo conforme rispetto ai princìpi in essa fissati.

  A tale riguardo è stato sottolineato come nei casi più gravi si dia addirittura corso alla dichiarazione di adottabilità di minori che hanno una famiglia di origine che li rivuole e che rischia di perderli per sempre.

  A volte in tali ipotesi l'unica strada percorribile a livello giurisdizionale, qualora non si riesca ad impugnare nei termini una sentenza in cui è dichiarato lo stato di adottabilità, è quella del ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU).

  È stato sottolineato al riguardo come vi siano state anche in epoca recentissima pronunce di condanna, sia nella giurisprudenza interna sia in quella europea, che hanno riguardato addirittura procedimenti di adottabilità definiti con sentenze passate in giudicato.

  In tali casi si è al limite dell'errore irrimediabile o forse oltre il limite, considerato che ancora nell'ordinamento italiano non vi è un sistema per adeguare gli effetti dell'ordinamento interno, a fronte di un giudicato già formato, alla statuizione di condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo.

  Sempre per quanto attiene alle motivazioni dell'allontanamento, è stato ribadito che, essendo configurato lo stesso dalla attuale normativa quale estremo rimedio, esso dovrebbe essere attuato solo nei casi in cui la permanenza nella famiglia di origine sia pericoloso per il minore e tali casi sono statisticamente del tutto marginali, anche se vi sono, rispetto alla stragrande maggioranza degli allontanamenti che, essendo ingiustificati, appaiono arbitrari.

  Nelle situazioni che non sono di pericolo vero, l'allontanamento non ci dovrebbe essere, perché è dannoso non solo per le famiglie che lo subiscono, ma soprattutto per il minore. L'allontanamento per un bambino o per un ragazzo è un danno e si può praticare solo quando il danno sia considerato inferiore al pericolo a cui è esposto il minore: “questo è un passaggio logico che l'ordinamento e la giurisprudenza interna e sovranazionale danno assolutamente per assodato. Tuttavia, la giurisprudenza di merito, cioè i Tribunali per i minorenni e le Sezioni minorili delle Corti d'appello, misteriosamente non lo fanno”.

  Il pericolo deve essere reale e comprovato perché il processo, anche minorile, si basa su fatti e prove e non deve basarsi su indicatori di pericolo genericamente intesi nelle linee-guida di alcune associazioni o comitati di associazioni che poi sono, guarda caso, gestori di istituti di ricovero per minori.

  I casi marginali di pericolo impeditivo della permanenza del bambino nella famiglia ci sono, ma vengono offuscati dal mare magnum di allontanamenti indebiti, perché intervenire su decine di migliaia di casi in cui quello specifico intervento è indebito ed è conseguentemente inefficiente dal punto di vista dell'assistenza alla famiglia, comporta anche una dispersione di risorse che, invece, potrebbero essere canalizzate su quei pochi ma importantissimi casi di pericolo vero e comprovato.

  Vi è quindi una generalizzazione del rimedio dell'allontanamento a ipotesi che non costituiscono un presupposto normativo idoneo per giustificarlo; tanto più, dove la motivazione, riguardi una valutazione personologica o generica sull'idoneità o meno ad essere genitori.

  Tale concetto peraltro, come è stato detto da molti degli auditi, è difficilmente individuabile, perché non esiste un parametro di idoneità genitoriale e le norme del codice civile di riferimento, cioè gli articoli 330 (Decadenza dalla potestà genitoriale) e 333 (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli), sono carenti su questo punto.

  Le norme richiamate, peraltro, fanno riferimento a fatti, cioè a condotte violative dei doveri parentali. Tuttavia, è così indeterminata la proposizione normativa che, nella giurisprudenza di merito (tribunale dei minori e sezione per i minorenni dalla Corte d'appello), si è ricondotta questa fattispecie, quella cioè delle condotte violative dei doveri parentali, ad una generica sintomatologia di inidoneità ad essere genitori normali, anche se non si sa cosa voglia dire essere un “genitore normale” perché non esiste un parametro normativo o scientifico che lo definisca.

  Pertanto, chiunque, a fronte di un'accusa generica di inidoneità a essere il migliore dei genitori o un buon genitore, non avrebbe modo di difendersi perché il processo è fatto in modo che ci si possa difendere solo dai fatti.

  Per quanto riguarda il quomodo, cioè come si svolge il periodo di allontanamento e come vengono fatti gli accertamenti di monitoraggio, cioè come incide sul benessere del minore, che è l'aspetto prioritario, e sulle dinamiche familiari, è stato ricordato come, in base alla normativa vigente (leggi nn. 184/83 e 149/2001), dovrebbe essere attuato mediante l'organizzazione di ogni intervento idoneo a rendere tale periodo di permanenza del minore lontano dalla famiglia il più breve possibile. Tali interventi dovrebbero essere congrui al fine di determinare il pronto rientro del bambino in famiglia.

  Tuttavia, nell'attuazione pratica, nella stragrande maggioranza dei casi la frequentazione tra i genitori e i figli, anche in tenera età, è ridotta, quando tutto va bene, a un'ora a settimana. Per un bambino di un anno o di due anni vedere i genitori o i nonni o i fratelli per un'ora a settimana significa perdere la cognizione stessa del proprio nucleo familiare, ma è dannoso anche per un adolescente perché perde dei riferimenti fondamentali. È stato ricordato come spesso tra le conseguenze dell'allontanamento si verifichino anche casi di grave autolesionismo, mentre in altri si arriva addirittura al suicidio.

  Nelle decine di migliaia di casi seguiti prima come magistrato, successivamente in qualità di difensore, l'avvocato Morcavallo ha riferito di non aver mai potuto constatare, a fronte dell'allontanamento, la sussistenza di un solo beneficio o anche solo la predisposizione di un «progetto di riavvicinamento», cioè di quegli interventi che il dettato normativo impone per sollecitare il pronto rientro del bambino in famiglia.

  A questo deve aggiungersi il difetto di controlli. (Sul sistema di vigilanza delle comunità familiari, v. infra paragrafo n. 9).

  Infine, in materia di termini di durata (quantum) anche prevedibile da indicare nel provvedimento, come da qualche tempo avrebbe prescritto anche la CEDU, ma, evidentemente, con statuizione rimasta costantemente inattuata, è stato segnalato come addirittura alcune strutture, per ricevere finanziamenti privati, indicano alla fondazione privata finanziatrice la durata prevedibile, esprimendola in anni, anche se non è dato sapere sulla base di quale criterio, e sostituendosi al giudice. Così come succede che l'accertamento sulla opportunità o meno che la collocazione in istituto debba proseguire, si basi su quanto riferiscono i gestori o gli operatori delle strutture ospitanti.

  In tali casi ci si chiede come si può essere sicuri che i gestori e gli operatori delle strutture di accoglienza riferiscano secondo il criterio del diritto soggettivo dell'interesse del minore o vi possa essere il dubbio che, nella ponderazione, in qualche modo, possa assumere rilievo, se non addirittura prevalenza, il dato del gestore?

  Certo, il principio di trasparenza vorrebbe, se si cerca la prospettiva di una modifica normativa, che sull'an – l'esempio è quello della riforma dell'articolo 403 – fosse individuata la fattispecie di riferimento, ossia il pericolo comprovato alla salute e alla vita del minore derivante dalla permanenza nella famiglia. Sul quomodo e sull'accertamento del quantum temporis, cioè della durata dell'allontanamento, trasparenza vorrebbe che si prevedesse che la prova dei dati di fatto su cui si deve basare la valutazione e la durata della collocazione fuori dalla famiglia venga formata nel contraddittorio processuale e non fosse limitata soltanto a quanto riferito dai gestori dell'istituto; altrimenti si crea una commistione di ruoli in cui gli operatori diventano anche giudicanti, invece occorre separare le funzioni per evitare conflitti di interesse, come avviene peraltro nei casi diffusi di coinvolgimento di giudici onorari nella gestione di case famiglia (65).

  Questa possibile prospettiva di riforma di tipo processuale porterebbe a superare un dato ormai obsoleto, cioè la collocazione del processo minorile, anche in quei casi delicatissimi che portano all'allontanamento dalla famiglia o addirittura alla dichiarazione dello stato di adottabilità e soprattutto in quelli de potestate, nell'alveo della volontaria giurisdizione.

Ancora adesso, dimenticando e pretermettendo un secolo e mezzo di riflessione processuale civilistica, la volontaria giurisdizione viene intesa come una sorta di arbitrium iudicis, in cui il giudice fa quello che vuole e l'occhio del giudice è l'assistente sociale o l'operatore della casa famiglia. Sostanzialmente, non c'è possibilità di difesa in giudizio e la volontaria giurisdizione diventa sinonimo di arbitrium iudicis, cioè di decisione del giudice sulla base di un dato impressionistico costruito sul riferito altrui.

Questi sono, anche al di là dei dati statistici, dei punti di criticità assolutamente rimediabili.

  Riguardo l'an, la riforma è all'esame del legislatore e c'è un'indicazione determinata della fattispecie normativa, mentre per il quomodo basterebbe poco, sarebbe cioè sufficiente introdurre una norma di una riga sulla formazione della prova e dare, sul piano amministrativo, attuazione ai poteri di sorveglianza e controllo sulle strutture e specifica attuazione alle norme che tendono a impedire che le stesse divengano o continuino ad essere, perché non hanno mai smesso di farlo, degli istituti.

  È una questione di politica amministrativa quella di distribuire le risorse in modo diverso, cioè nell'assistenza alla famiglia piuttosto che nel finanziamento di lontani surrogati della famiglia. Tuttavia, è una questione politico-amministrativa che sarebbe consequenziale alle riforme normative suggerite perché, se fosse chiaro e se fosse ineludibile un dettato stringente, tale da rendere necessariamente marginale il rimedio dell'allontanamento, sarebbe consequenziale indirizzare le risorse e gli sforzi anche di organizzazione verso la famiglia.

Tra le criticità riscontrate nel procedimento di allontanamento del minore, alcune delle associazioni audite dalla Commissione, tra cui la rappresentante legale dell'Associazione Rete sociale, avvocatessa Catia Pichierri, hanno evidenziato in particolare: l'impossibilità per i genitori di difendersi, in quanto il decreto di affido e/o di allontanamento viene emesso dal Tribunale, in camera di consiglio, inaudita altera parte; l'irragionevolezza dei tempi processuali nelle fasi successive all'allontanamento, nonché la circostanza che l'attuazione del provvedimento venga lasciata in genere allo stesso operatore sociale che ha effettuato la segnalazione (66).

È stata anche sottolineata l'eccessiva rapidità nella valutazione della necessità dell'allontanamento, che si contrappone ai tempi eccessivamente lunghi ritenuti “necessari” per valutare la fondatezza delle motivazioni su cui il provvedimento stesso si basa.

Come rilevato nel corso dell'audizione infatti, “il decreto di allontanamento è sine die, nel senso che viene definito provvisorio, però lo è solo formalmente, perché di fatto, non avendo un tempo determinato di efficacia, può durare tutta una vita” (67).

  Per quanto attiene alle altre criticità evidenziate, nonostante le ottime linee guida elaborate in materia dal CNOAS, è stato evidenziato come spesso le relazioni di segnalazione elaborate dagli assistenti sociali non siano sempre oggettive e quindi idonee a fornire all'organo giurisdizionale le informazioni necessarie per assumere una decisione corretta.

  Nel corso del procedimento, per legge deve essere nominato un tutore provvisorio che rappresenti il minore, ma nella maggior parte dei casi è nominato a tutela del minore stesso il responsabile del servizio sociale che ha elaborato la relazione di allontanamento, con un evidente conflitto di interessi.

  Per quanto concerne l'avvocato del minore, che ha anch'egli diritto di difendersi nell'ambito della procedura, in genere viene nominato dallo stesso tutore provvisorio che, come detto, in molti casi è il responsabile del servizio sociale che ha redatto la segnalazione di allontanamento.

  È stata poi evidenziata la necessità di riformare l'articolo 403 del codice civile sulla cui base avvengono gli allontanamenti d'urgenza, che sembrerebbero essere pari a circa il 26% del totale, sulla base dei dati riferiti dalla citata associazione.

  In materia di tutela dei minori e inadeguatezza genitoriale, tra le disfunzioni e contraddizioni presenti a livello normativo e applicativo, è stato segnalato l'eccessivo ricorso alla formula “dell' inadeguatezza genitoriale”, che è presente in circa il 39% dei casi di allontanamento, a fronte dei casi di maltrattamento o abuso, pari solo al 4%. A tale riguardo è stato ricordato come in Italia la maggior parte degli allontanamenti dei minori dalle proprie famiglie avvenga sulla base di tale valutazione, che appare discrezionale e arbitraria, ma che rappresenta il criterio principale degli affidi etero-familiari.

  È stato evidenziato come il giudizio di “adeguatezza genitoriale”, essendo privo di qualsiasi fondamento scientifico ed essendo basato su opinioni o punti di vista, peraltro mutevoli sulla base di culture e contesti sociali diversi, non dovrebbe essere utilizzato quale criterio fondamentale teso a legittimare un provvedimento di allontanamento del minore. Sarebbe pertanto auspicabile una revisione di tale giudizio di valore largamente utilizzato dagli operatori sociali e dai giudici minorili per motivare gli allontanamenti.

Il professor Paolo Cioni, psichiatra clinico e forense nonché membro del comitato scientifico dell'associazione Rete sociale, ha illustrato alla Commissione il ruolo della consulenza tecnica d'ufficio psicologico-psichiatrica, nell'ambito della procedura di allontanamento del minore e, successivamente, quello della consulenza tecnica di parte.

Al riguardo è stato ricordato come in Italia per valutare la personalità dei genitori spesso venga utilizzato il test di Rorschach (68), assolutamente opinabile, mentre per valutare la personalità della madre si utilizzino i criteri di Winnicott (69).

L'utilizzo di tali strumenti ritenuti inadeguati per effettuare le valutazioni, siano essi di tipo psicodinamico o relazionale-sistemico, da un lato possono comportare la patologizzazione del normale e, dall'altro, determinare una inadeguata valutazione di situazioni altamente patologiche, come il bipolarismo o la paranoicità.

Al di là degli spunti di tipo scientifico offerti nel corso dell'audizione, è stato ricordato come spesso, quando le consulenze tecniche d'ufficio (CTU) non rispondono alle esigenze di una delle parti del procedimento e si è di fronte ad una elevata conflittualità genitoriale, vi è il rischio nel criticare la metodologia impiegata dal CTU per definire il regime di gestione del minore tra padre e madre, di sconfinare nel penale: tipico l'esempio della madre che accusa il marito di reati molto gravi come i maltrattamenti, gli abusi o addirittura la pedofilia.

Per tali ragioni sarebbe preferibile utilizzare tecniche psicofisiologiche “oggettive” per svolgere le valutazioni di tali casi. Sarebbe inoltre auspicabile, de iure condendo, la previsione di una maggiore dialettica tra CTU e consulente tecnico di parte (CTP), in modo da lasciare spazio nel procedimento alle valutazioni di entrambe le aprti.

In linea generale è stata evdenziata sia la necessità di una maggiore oggettività nella valutazione delle personalità dei genitori, che tenga conto delle più recenti acquisizioni delle neuroscienze, al fine di fornire una diagnosi adeguata ed anche per evitare interpretazioni soggettive non sempre veritiere; sia l'opportunità di riformare l'articolo 194 del codice di procedure civile, in materia di consulenza tecnica d'ufficio, al fine di inserire nella relazione del consulente, ove le indagini siano compiute senza l'intervento del giudice, anche le osservazioni e le istanze delle parti.

Si suggerisce inoltre una più attenta valutazione dei curricula, nonché l'introduzione di un esame di ammissione per l'iscrizione all'albo dei consulenti, disponendo altresì l'obbligatorietà dell'aggiornamento professionale; infine, si ritiene necessaria l'elaborazione di linee guida in cui siano definiti modelli classificativi condivisi per l'elaborazione delle diagnosi in ambito giuridico, con conseguente cautela nell'utilizzo di test psicodiagnostici datati e standardizzati.

In materia di allontanamento, Carla Lettere, componente del Direttivo dell'Unione nazionale Camere minorili (UNCM), associazione di avvocati per i minori e la famiglia che promuove lo studio e il monitoraggio degli istituti giuridici inerenti l'infanzia (70), si è soffermata in particolare su le «Linee guida sui processi di sostegno e di tutela dei minorenni e delle loro famiglie», pubblicate nel novembre del 2015, ricordando come l'UNCM abbia partecipato al tavolo istituzionale promosso dal Consiglio nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali (CNOAS), che ha portato alla loro stesura, e auspicandone l'applicazione da parte di tutte le professionalità coinvolte (71).

  In esse sono state previste azioni differenziate a seconda del momento dell'intervento, per cui sono stati individuati quattro punti centrali rispetto all'allontanamento dei minori, uno rivolto ai familiari, uno al minore e naturalmente alla casa-famiglia e a coloro che devono intervenire nel procedimento.

  Per la tutela della famiglia, è necessaria una corretta comunicazione ed informazione rispetto alla situazione dell'allontanamento, proprio per evitare una esecuzione coatta con il trauma che ne deriva. Il minore deve essere ascoltato e deve essere comunicato correttamente anche a lui l'evento che si sta per determinare, con modalità tali da impedire quanto più possibile un trauma, evitando la pubblicità rispetto a tali avvenimenti, le riprese, la pubblicazione e relativa divulgazione.

  Per quanto riguarda il giusto processo e l'applicazione dei princìpi nazionali e internazionali, le linee guida ritengono fondamentale in tale materia garantire un obbligo di informazione rispetto al minore, che deve essere ascoltato e di cui devono essere garantiti i diritti nel procedimento di allontanamento, attraverso la nomina, ove necessario, di un curatore speciale, in caso di contrasti tra gli interessi del minore e la famiglia di origine, ed eventualmente anche di un avvocato.

  Si precisa inoltre la necessità di garantire un'adeguata assistenza nei processi anche nei riguardi dei genitori e della famiglia, ricercandone quanto più possibile la partecipazione ed il consenso rispetto al percorso proposto.

  I tempi della giustizia devono considerare che si tratta di bambini e le decisioni dei tribunali e delle corti d'appello devono essere rapide rispetto a provvedimenti di incontro tra il minore e i genitori, perché riattivare gli incontri con i familiari dopo un anno può determinare un ulteriore trauma rispetto all'allontanamento iniziale o al divieto di incontro.

  Si ritiene inoltre opportuno evitare l'allontanamento e lasciarlo sempre come ultimo intervento, provando a prevedere una progettualità personalizzata rispetto alla famiglia, per cui la presa in carico da parte delle istituzioni dovrebbe essere rivolta sia alla tutela del minore, sia alla sua famiglia, al fine di comprenderne le criticità ed attivarsi per un loro superamento, anche con interventi di sostegno alla capacità genitoriale.

  Privilegiare decisamente l'istituto dell'affido parentale e solo in via residuale scegliere l'affido etero-familiare, comunicando nell'immediato, subito dopo l'allontanamento, le modalità di incontro tra il minore e i genitori, e, ove non sia possibile, garantendo almeno il mantenimento delle relazioni tra fratelli, a volte trascurate a causa del collocamento dei minori coinvolti in contesti diversi.

  A tale riguardo è stato sottolineato come sia necessario garantire, anche se il minore viene allontanato, il diritto alla continuità affettiva con le figure di riferimento - anche con parenti che non sono in grado di chiederne l'affido - nel senso che l'allontanamento non deve essere pregiudizievole rispetto alle relazioni emotive del minore, garantendo in tal modo la corretta applicazione della nuova normativa sulla continuità affettiva (legge n. 173 del 2015).

  Infine, appare indispensabile garantire nell'ambito di tali procedure il diritto allo studio, perché in molti casi gli allontanamenti causano la perdita di anni scolastici e tale situazione crea una svalutazione del sé da parte del minore assolutamente negativa che bisognerebbe evitare.   

  Occorre inoltre garantire strutture e comunità anche terapeutiche. Infatti si assiste di frequente a problematiche connesse ad allontanamenti legati a problemi intra familiari per uso di sostanze da parte di adolescenti anche molto giovani, che determina l'allontanamento su richiesta della famiglia. In questo caso le comunità terapeutiche devono essere in grado di offrire un corretto intervento rispetto al minore allontanato, non solo di recupero da tossicodipendenze, ma anche da problemi psichiatrici.

  Vi sono poi casi di allontanamento causati dall'uso di sostanze da parte dei genitori o di uno di essi, che spesso determinano atteggiamenti ritorsivi nei confronti delle comunità ospitanti. In tal caso occorre garantire le comunità. Tipico il caso del genitore tossicodipendente al quale hanno tolto il figlio che, nel corso di incontri protetti, cerca di creare la situazione necessaria per denunciare la casa famiglia, come ad esempio imbrattare il pavimento, fotografarlo, per poi denunciare la struttura per inadeguatezza sotto il profilo della salubrità degli ambienti.

Infine, la rappresentante dell'Unione nazionale delle camere minorili ha sottolineato l'importanza di tutelare i diritti di tutte le parti coinvolte nella procedura di allontanamento dei minori, così come prescritto nelle citate linee guida.

5. I minori stranieri non accompagnati: la legge n. 47 del 2017.

Il tema dei minori stranieri non accompagnati (MSNA) è stato affrontato dalla Commissione in numerose audizioni. La Ministra della salute, Beatrice Lorenzin (72), ha preliminarmente evidenziato come i flussi di rifugiati e migranti in Europa abbiano raggiunto livelli senza precedenti: circa 1 milione di persone hanno affrontato il viaggio della speranza verso l'Europa, un terzo dei quali bambini, e di questi, 700 sono morti, in massima parte nell'Egeo; molti sono rimasti orfani, altri sono stati abusati, picchiati, maltrattati, subendo ogni tipo di trauma. In Italia, secondo i dati del Dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, i MSNA, o che si dichiarano tali, sbarcati nel 2014 sono stati 13.026, il 50% di tutti i minori sbarcati (26.122).

Per mettere in atto politiche di accoglienza dei MSNA è fondamentale individuare chi è effettivamente minorenne, elemento indispensabile per la corretta identificazione dei beneficiari delle politiche di accoglienza. Tale procedura è stata definita dalla legge n. 47 del 2017.

L'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, Filomena Albano (73), ha confermato l'aumento dei minori stranieri, che hanno situazioni di vulnerabilità e di fragilità particolari, collocati in comunità residenziali; ha anche dichiarato di aver ricevuto segnalazioni secondo cui in talune regioni, come la Sicilia, vi sarebbero degli standard diversi, per quanto riguarda le comunità di accoglienza, per i minori italiani rispetto a quelle per i MSNA.

Dei MSNA ha parlato anche Massimo Rosselli Del Turco (74), direttore dell'Istituto studi parlamentari (ISPA) dell'Associazione nazionale familiaristi italiani (ANFI), ricordando come già nel 2009 il ministro Maroni, in tema di bambini migranti non accompagnati, avesse lanciato l'allarme sul traffico di organi, affermando che «su 1320 minori approdati a Lampedusa, circa 400 sono spariti»: forse sono andati con conoscenti o hanno raggiunto i genitori in Germania, resta il fatto che non si sa dove siano andati a finire.

Il fenomeno si è acuito nel tempo; l'allora Ministro dell'interno, Angelino Alfano, nel corso di una seduta della Commissione parlamentare antimafia in Sicilia nel gennaio del 2015, ha affermato che 3707 MSNA sono scomparsi nel 2014 dai centri di accoglienza, su un totale di 14.243 sbarcati sulle nostre coste. Solo in Sicilia i MSNA scomparsi sono stati 1882; in tutta Italia scompaiono più di dieci minori al giorno.

Anche il presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM), Giovanni Fulvi, si è soffermato sul tema dei MSNA scomparsi. Per molti di essi, di cui si perdono le tracce, la problematica che si pone è spesso legata alla lingua: nomi trascritti male, inversioni di nomi e cognomi, o altro ancora, che creano poi errate identificazioni e incrementano il numero dei minori che si ritengono scomparsi; un altro problema, anche economico, è nei rapporti con i consolati, che bisogna contattare per esercitare un primo controllo: la certificazione dell'identità, per esempio, deve essere pagata; i consoli dovrebbero esercitare una tutela sui minori propri concittadini, ed invece le associazioni devono pagare dichiarazioni consolari e richieste di passaporto (170 euro circa); per il permesso di soggiorno per minorenni ci vogliono altri 160 euro e per i maggiorenni 170.

Il Sottosegretario all'interno, Domenico Manzione (75), ha ricordato che dei MSNA si occupava il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tramite il Fondo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati; dal 2015 una modifica normativa intervenuta con la legge di stabilità (76) ha trasferito tale Fondo al Ministero dell'interno (che prima si occupava solo dei minori richiedenti asilo), incardinato nel Dipartimento immigrazione e libertà civili.

Il Fondo, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dall'articolo 23, comma 11 (quinto periodo), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (77) (convertito con modificazioni dalla l. n. 135/2012), con una dotazione di 5 milioni di euro per l'anno 2012, è incrementato di 12,5 milioni di euro all'anno a decorrere dal 2015 (78).

Attraverso il Fondo, il Ministro provvede alla copertura dei costi sostenuti dagli enti locali per l'accoglienza dei MSNA, nei limiti delle risorse stanziate.

Antonio Naddeo (79), Direttore dell'Ufficio di Segreteria della Conferenza Stato-Regioni e Capo Dipartimento per gli affari regionali autonomie e sport del Ministero per gli affari regionali e le autonomie, ha ricordato che nel 2014 sono stati ripartiti 30 milioni di euro (80) e risorse aggiuntive per 60 milioni; nel 2015 sono state ripartite somme residue del Fondo per l'accoglienza dei MSNA per 21.400.000 euro (81).

Si osservi che la dotazione del Fondo è stata progressivamente incrementata: di 20 milioni per l'anno 2013 (82), di 40 milioni di euro per il 2014 e di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015 e 2016 (83). Nel bilancio 2016 le risorse destinate al Fondo risultano pari a 170 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017 e 120 milioni per il 2018. La legge di bilancio 2017 (l. n. 232/2016) dispone, infine, un incremento del Fondo di 50 milioni di euro a decorrere dal 2018 per adeguamento al fabbisogno. Pertanto, il Fondo per l'accoglienza dei MSNA ha uno stanziamento pari a 170 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2017 al 2019.

Il precedente sistema, come ha ricordato il sottosegretario Manzione, in base alla “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” (l. n. 328/2000), faceva gravare direttamente sui comuni il primo intervento, ed il Fondo interveniva a ristoro, creando seri problemi nei comuni di sbarco, che dovevano prendere in carico un numero significativo di MSNA. Inoltre, il sistema si andava divaricando rispetto al primo Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari, approvato in Conferenza unificata il 10 luglio 2014 (84), che cercava di strutturare il sistema di accoglienza in tre passi, dal primo soccorso nei luoghi di sbarco a una prima accoglienza di durata limitata, fino al meccanismo più adeguato per la gestione del fenomeno, lo SPRAR (Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati), gestito dall'ANCI, e quindi dai comuni, d'intesa con il Ministero dell'interno.

È stato anche approvato il decreto legislativo n. 142 del 2015 (85), che all'articolo 19 prevede per i MSNA la realizzazione di strutture di prima accoglienza istituite con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata, per il tempo strettamente necessario e comunque non superiore a 60 giorni, quindi il passaggio allo SPRAR. Il Fondo non lavora più a ristoro, ma per entrare nello SPRAR si presentano dei progetti, quindi c'è l'aggiudicazione della gara e l'erogazione avviene immediatamente.

Dal 2012 al 2015 è raddoppiato il numero dei MSNA, da 5821 a 11.921. Desta allarme la cifra dei ragazzi che scompaiono dalle strutture alle quali vengono destinati, con un trend in crescita, in proporzione maggiore rispetto all'incremento delle presenze: nel 2012 si sono resi irreperibili 1754 minori; nel 2013 sono passati a 2142; nel 2014 a 3707; nel 2015 a 6135.

Bisogna ricordare che il Commissario straordinario per le persone scomparse ha segnalato che nel quadriennio 2012-2015 circa il 31% dei minori stranieri scomparsi è stato poi rintracciato.

La maggior parte degli allontanamenti sembra dovuta a trasferimenti in altri paesi, ove sono presenti parenti che già vi si trovano; inoltre, le strutture italiane, in particolare per i minori, tendono a non limitarne i diritti, permettendo di entrare e uscire in libertà. Le statistiche sui minorenni “scomparsi” sarebbero diverse se essi sapessero di potersi allontanare liberamente, per andare all'estero.

Il Commissario straordinario per le persone scomparse, ha avviato un censimento mensile con tutte le prefetture, per monitorare la reale entità del fenomeno e comprenderne meglio le cause. A tal fine, è stato firmato un protocollo operativo tra Prefettura, forze dell'ordine e Tribunale dei minori, Comune di Roma, ANCI e Università La Sapienza di Roma, anche per introdurre una procedura semplificata in ordine alle denunce di scomparsa.

A livello internazionale, per prevenire e agevolare la ricerca nella scomparsa di MSNA, il Dipartimento di pubblica sicurezza ha affrontato la tematica con gli organismi internazionali di riferimento, giungendo alla definizione di modalità operative condivise.

Il Ministero ha realizzato con il circuito denominato «Sirene» una serie di procedimenti finalizzati al miglioramento della collaborazione interforze. Alla ricezione di una denuncia di scomparsa, le forze di polizia adottano un circuito informativo interno affinché la segnalazione abbia la massima diffusione, raggiungendo gli uffici di polizia di tutto il territorio nazionale e dell'area Schengen; l'ufficio di polizia che ha avuto la notizia della scomparsa la comunica al Prefetto, e questi al Commissario straordinario per le persone scomparse.

Fin dal 2009 è attivo il servizio interistituzionale 116000, una linea telefonica diretta per i minori scomparsi, gestita dall'associazione Telefono Azzurro sulla base di un protocollo d'intesa siglato con il Ministero dell'interno; presso la sala operativa internazionale del Dipartimento della pubblica sicurezza è stato realizzato dall'agosto 2013 il Sistema di allarme scomparsa minori; lo stesso Dipartimento ha attivato il sito www. missingkids. com, che aderisce al Global Missing Children Network, di cui fanno parte 22 Paesi.

Altro aspetto è quello relativo ai reati nei confronti dei minori scomparsi, della cui prevenzione e repressione si occupano specifici uffici delle forze di polizia.

Per quanto riguarda la Polizia di Stato, nelle singole questure vi sono gli Uffici minori, specializzati nelle indagini relative alla delittuosità legata all'immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani. Sono particolarmente attenzionati la tratta e lo sfruttamento della prostituzione, due dei reati che vedono più frequentemente coinvolti i MSNA. Le strutture delle questure sono coordinate dal Servizio centrale operativo del Dipartimento della pubblica sicurezza, meglio noto come SCO della Polizia. C'è poi l'aspetto delle investigazioni che vedono coinvolti i minori attraverso internet, di cui si occupa essenzialmente la Polizia postale, soprattutto della pedofilia e pedopornografia, ma anche dell'eventuale traffico di organi.

Nell'aprile del 2017 è stato definito un protocollo d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, grazie al quale il Dipartimento della pubblica sicurezza potrà acquisire le informazioni sui MSNA scomparsi contenute nel Sistema informativo minori, gestito dal Ministero del lavoro.

Nell'ambito del tavolo di coordinamento istituito presso la Prefettura di Palermo per l'accoglienza dei MSNA, il Ministero ha proposto di creare un organismo interistituzionale, formato da rappresentanti della polizia giudiziaria e da componenti dei servizi socio-sanitari, in grado di valutare tutti gli aspetti e venire incontro alle richieste delle istituzioni locali e statali.

Un'accoglienza di buona qualità produce frutti positivi, come ragazzi che decidono di restare in comunità e dare il proprio contributo per una buona accoglienza dei nuovi arrivati, ma spesso la qualità del trattamento non è soddisfacente. Si è dovuto prendere atto della decisione di collocare nelle strutture di primo livello fino a 60 ragazzi, un numero già eccesivo, ma spesso superato, data la carenza di strutture di prima accoglienza, specie nei momenti di particolare emergenza. Le comunità devono essere di piccole dimensioni, altrimenti succede che i responsabili neanche conoscono i ragazzi per nome; è stata quindi prevista nelle strutture di secondo livello una recettività fra le 12 e le 15 unità.

In rappresentanza dell'Associazione nazionale comuni italiani, è stato audito Matteo Biffoni (86), Sindaco di Prato e delegato ANCI all'immigrazione e alle politiche per l'integrazione, nonché presidente di ANCI Toscana. I comuni che accolgono il numero maggiore di MSNA sono al sud (Reggio Calabria, Palermo, Catania), ma la maggioranza dei comuni che li accoglie si trovano al nord, dove i minori arrivano autonomamente. Se in un comune arriva un giovane straniero, per legge deve essere preso in carico, anche se viene da una nazione come l'Albania, che ormai vive un notevole rilancio economico.

I diciottenni entrano poi nello SPRAR, organizzato e strutturato per far acquisire autonomia ai migranti, con una formazione linguistica, lavorativa, culturale, in un percorso che si conclude con l'acquisizione di un permesso di soggiorno: lo SPRAR riporta alla modalità del migrante «normale», non più profugo o minore straniero non accompagnato fuggito.

È importante un sistema strutturato per l'accoglienza dei profughi, ancor più per i MSNA: di questi ragazzi solo il 13% gode dell'accoglienza familiare, mentre il restante 87% è ospitato in servizi residenziali di vario genere.

I comuni non condividono la creazione di “percorsi ghetto” dedicati esclusivamente ai MSNA, che devono invece essere inseriti, dopo la primissima accoglienza, in un sistema generale. A tal fine, va agevolato il percorso di affidamento familiare. Non è semplice avere un minore in affido, ancor più se straniero, bisogna individuare modalità d'intervento valide, con iniziative per far conoscere quest'istituto.

Una delle idee è l'affido part time, che permetta una modulazione rispetto all'inserimento del ragazzo, prevedendo dei controlli e dei professionisti che lo gestiscano.

Quanto al tutore (altro settore innovato dalla l. n. 47/2017), i sindaci si assumono la responsabilità, ma la maggioranza dei minori che entrano nel percorso di tutela viene presa in carico dall'ente che gestisce la struttura in cui il minore si trova.

Il Piano nazionale del 2014, citato dal sottosegretario Manzione, accoglie una fondamentale richiesta degli amministratori, stabilendo due fasi dell'accoglienza. La prima prevede l'attivazione di strutture governative ad alta specializzazione, con funzioni di identificazione, eventuale accertamento di età, status, tentativo di gestire eventuali percorsi di ricongiungimenti familiari in Italia o in altri paesi dell'Unione europea; successivamente, c'è l'ingresso dei MSNA nell'ambito dello SPRAR.

A seguito dell'approvazione di questo Piano, il Ministero dell'interno ha iniziato ad attivare una serie di strutture di primissima accoglienza per i minori stranieri appena sbarcati. Contestualmente ha adempiuto all'impegno di emettere un nuovo bando SPRAR di mille posti per i MSNA, portandone la capacità di gestione a circa 2000 persone. Si è molto parlato di gestioni truffaldine o addirittura con infiltrazioni mafiose, relativamente al fenomeno dei migranti; c'è bisogno di trasparenza e rispetto delle leggi nelle gare per gli affidamenti, è necessario sapere a chi si affida il centro d'accoglienza per minori o chi gestisce lo SPRAR.

I comuni chiedono l'aumento dei posti, sia nella primissima accoglienza sia nello SPRAR; nei momenti di sbarchi particolarmente massicci, il rischio è che alcuni di questi ragazzi non riescano a rientrare nel circuito protetto, ma seguano il percorso degli adulti, con le problematiche che ciò comporta.

I minori sono tutti fragili, ma molti vengono da situazioni tragiche: hanno subìto violenze, soprattutto le ragazze sono a rischio tratta, molto spesso vittime di violenza sessuale; alcuni presentano traumi non solo fisici, ma anche di tipo psicologico. I comuni chiedono l'aumento della quota per un approccio di qualità in centri specializzati. Un'altra richiesta è la deroga al blocco del turnover nell'assunzione del pubblico impiego, almeno nei settori particolarmente esposti, come servizi sociali e polizia municipale.

Nel 2016 è stato edito il VI Rapporto “I comuni e le politiche di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati(87), curato da ANCI-Cittalia (88), con gli ultimi dati risalenti però al 2014, da cui si evince che il numero di MSNA presenti in Italia dal 2006 al 2010 risulta variabile; da allora si ha un costante incremento annuale, passandosi da quasi 4600 del 2010 ad oltre 13.500 del 2014, quindi il triplo. Complessivamente, dal 2006 al 2014, si registra un incremento differenziato per aree geografiche, con una lieve diminuzione al nord, un aumento leggero al centro e più deciso al sud (380,9%) e soprattutto nelle isole (594,3%).

Per quanto riguarda le singole regioni, il Lazio occupa in tutti questi anni tra il primo e il terzo posto per i MSNA accolti (solo nel 2007 è quinto dopo Sicilia, Friuli-Venezia Giulia, Veneto ed Emilia-Romagna); fino al 2009 è notevole il numero di minori che giungono nel nord-est (Veneto e Friuli-Venezia Giulia), mentre da allora aumentano le presenze al sud (Sicilia, Calabria e Puglia in particolare; significativo il dato della Basilicata, che da 1 minore presente nel 2006 e nel 2010 passa a 156 nel 2014). Questo indica un maggiore afflusso di minori provenienti dagli sbarchi e una diminuzione degli ingressi dal confine nordorientale.

Costantemente significativo è il dato della Lombardia, forse dovuto alle opportunità di occupazione e di strutture sociali in regione, come del Lazio, con il polo attrattivo di Roma, dove probabilmente si incontrano le provenienze sia dagli sbarchi al sud che dalla frontiera nordorientale. La presenza dei minori stranieri è prevalente (più del 40%) nelle città oltre i 250.000 abitanti, e un altro 21% nelle città tra 100.000 e 250.000 abitanti, sebbene tra il 2013 e il 2014 tali percentuali subiscano notevoli variazioni, pur restando oltre il 60% del totale. Globalmente, l'85% dei minori stranieri risultano presi in carico in soli 87 comuni, con una maggiore concentrazione nelle città metropolitane (nel 2014 la prima risulta essere Roma, seguita da Reggio Calabria e Palermo), nelle città di confine del Friuli-Venezia Giulia e anche in Lombardia ed Emilia-Romagna, ed una distribuzione abbastanza concentrata nel sud (Puglia, Calabria e Sicilia).

Relativamente all'età, dal 2006 al 2014, si nota un notevole aumento dei ragazzi 16-17enni, corrispondente ad una diminuzione nelle fasce di età minori (per gli 0-10 anni si passa dal 4,4 all'1%; dimezzati i ragazzi 11-14enni, da 12,2 a 6,4%, e diminuiti i 15enni, dal 16,4 al 10,3%, anche se di questi ultimi si ha un lieve aumento in termini assoluti e, rispetto al 2012, anche in termini percentuali); i 16enni passano dal 19,8 al 24,1% e i 17enni, dal 46,3 al 55,6%, pur diminuiti in percentuale rispetto al 59,7 del 2012. Sono il 2,8% i MSNA di cui nel 2014 non si conosce l'età, un valore enormemente accresciuto rispetto agli anni dal 2006 al 2012, quando non raggiungevanono l'1%.

Quanto al genere, si ha un'assoluta prevalenza di maschi, oltre il 95% del totale, aumentata via via dal 2006, unico anno in cui si aveva una presenza femminile di circa il 20%.

Le nazionalità dei giovani stranieri, per quanto riguarda le prime 10, sono Egitto, Bangladesh, Albania, Afghanistan e paesi dell'Africa sub-sahariana, che trovano un'accoglienza prevalente in determinate aree: i minori di nazionalità egiziana e bengalese sono contattati o presi in carico per lo più dai servizi sociali del centro; i minori di Gambia, Senegal, Mali, Somalia e Nigeria da quelli delle isole; i minori albanesi e afghani dai servizi del nord-est mentre i minori eritrei nella maggior parte dei casi sono contattati o presi in carico dai servizi sociali del sud.

Dal 2008 al 2014 si è avuto un grande incremento in termini assoluti e percentuali di quelle che attualmente sono le nazionalità prevalenti: gli egiziani passano dal 6,6 al 22,3%; i bangladesi da 4,6 a 10,75%; gli eritrei da 1,2 a 9,15% (89); seppure minoritari in termini percentuali (da 0,1 a 3,6%), crescono di molto in termini assoluti i maliani (da 4 a 335). Si ha invece una notevole diminuzione di gambiani (da 27,6 a 8,3%) e afghani (da 16,9 a 4,7); aumenta notevolmente la percentuale di ragazzi oltre le prime 10 nazionalità (da 7,0 a 16,9%), mentre diminuisce (da 16,7 a 4,9%) quella di cui il dato non è disponibile, resta quindi prevalente il numero di MSNA di sole 10 nazionalità.

Si ha un costante aumento della presenza di ragazzi che restano nelle strutture di accoglienza per oltre un mese (da un terzo nel 2006 a due terzi nel 2014), pur con forti variazioni sia nel tempo che per aree geografiche; esemplificativo di questa variabilità è il dato della Campania, che passa dal 92,9%, 13 su 14 ragazzi accolti nel 2013, a 30 su 209, quindi solo il 14,4%; inverso il caso della Toscana, che negli stessi anni passa da 126 ragazzi su 503, il 25%, a 224 su 438, quindi il 51,1% del totale.

Un dato positivo è quello relativo ai MSNA accolti nelle strutture resisi poi irreperibili, pari al 62,3% nel 2006 e diminuiti al 29,4% nel 2014. Desta però qualche preoccupazione l'aumento degli ultimi anni, per quanto lieve: nel 2013 erano scesi al 25,4%.

Relativamente all'affido dei MSNA, i dati non sono confortanti, in quanto meno del 10% (in alcuni anni molto meno) accedono a tale percorso; il dato massimo è quello del 2008, con il 9,9% dei minori affidati, mentre quello minimo è del 4,4% nel 2013, risalito nel 2014 al 5,7%. Per lo più vengono dati in affido a parenti, e solo nel 2013 questo dato scende sotto la metà, attestandosi al 47,2%; le altre voci (connazionali, italiani, stranieri non connazionali) subiscono variazioni anche notevoli nel corso degli anni. Per il 2013 e il 2014 i dati sono incompleti, in quanto rispettivamente per il 9,2 e addirittura il 31% dei minori dati in affido non si hanno informazioni disponibili; nel sud i dati non disponibili nel 2014 sono oltre l'80%.

Dopo un periodo iniziale in cui i MSNA sono accolti in una struttura di prima/pronta accoglienza, verificata l'impossibilità di un affidamento o un rimpatrio volontario, i servizi sociali elaborano un progetto educativo ed individuano la soluzione più idonea per il minore: collocamento in comunità; affidamento a famiglie o persone singole; trasferimento in abitazioni autonome, spesso con altri ragazzi, finalizzato allo sviluppo dell'autonomia. Nella maggior parte dei casi sono accolti in strutture residenziali di tipo familiare e comunità di accoglienza, dove possono rimanere sino al compimento della maggiore età. La percentuale di ragazzi passati a questa fase è progressivamente diminuita dal 55,5% del 2009 al 43% del 2012, conoscendo poi un incremento nel 2013 e nel 2014, quando si è attestata al 58,2%.

In costante aumento il numero dei ragazzi che hanno ricevuto una tutela: dal 36,2% del 2008 si è avuta un'impennata al 65,1% nel 2009, e poi un aumento costante, fino all'83,8% del 2014.

I MSNA che possono subire persecuzioni nel loro Paese, per motivi di etnia, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le proprie opinioni politiche, hanno diritto di presentare, con il supporto del tutore, domanda di protezione internazionale; tale domanda viene esaminata dalla Commissione territoriale e se viene riconosciuta al minore una qualche forma di protezione, questi riceve un permesso di soggiorno. Negli anni, pur continuando a rappresentare un segmento particolare e ridotto dell'universo complessivo, questi minori, che sono molto fragili e vulnerabili, sono aumentati.

Dal 2006 al 2010 la loro percentuale è stata molto inferiore al 5%, che invece è stato sfiorato negli anni dal 2011 al 2013, con una vera impennata nel 2014, quando hanno raggiunto una quota pari al 10% del totale complessivo.

Informazioni più aggiornate presenta il “Report di monitoraggio sui minori stranieri non accompagnati (MSNA) in Italia(90) edito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, documento a cadenza quadrimestrale. L'ultima edizione riporta dati riferiti al 31 agosto 2017. A tale data risultano presenti in Italia 18.486 MSNA, il 33,6% in più rispetto allo stesso periodo di rilevazione dell'anno precedente e addirittura il 106,7% in più rispetto al 2015.

I MSNA che risultano irreperibili al 31 agosto 2017 sono 5433, e le cittadinanze più numerose sono rappresentate da Somalia (16,7%), Egitto (16,3%) ed Eritrea (15,6%). I MSNA sono in prevalenza di genere maschile (93,1%). Riguardo all'età, il 7,1% dei minori stranieri che scompaiono ha meno di 15 anni, e quasi il 60% è prossimo al compimento del 18° anno di età; i sedicenni costituiscono poco più di un quinto e il 9,5% dei minori ha 15 anni. Rispetto allo stesso periodo dei due anni precedenti, prosegue il trend di aumento dell'età, in particolare dei diciassettenni ( 5,9% rispetto al 2015), e una diminuzione contenuta della quota di minori con meno di 15 anni (-1%).

La Sicilia si conferma ad agosto 2017 come la Regione che accoglie il maggior numero di MSNA (42,9% del totale), seguita da Calabria (9,2%), Emilia-Romagna (5,8%), Lombardia (5,5%), Lazio (5,1%) e Puglia (5,1%).

Le minori straniere non accompagnate sono 1277, ovvero il 6,9% delle presenze totali di MSNA. Rispetto al 31 agosto del 2016, il peso della componente femminile sul totale delle presenze è aumentato di 1,2 punti percentuali. Il 52,6% delle minori presenti ha 17 anni e il 22,4% ne ha 16, mentre le quindicenni rappresentano il 10% del totale. Rispetto all'anno precedente, nel 2017 la quota di diciassettenni ha subìto un netto incremento, pari a 10 punti percentuali; un incremento minore si è registrato per le minori con meno di 15 anni ( 2,3%).

La maggioranza delle minori straniere non accompagnate proviene dalla Nigeria (589, pari al 46,1%), dall'Eritrea (192, pari al 15%), dall'Albania (91, pari al 7,1%) e dalla Somalia (89, il 7%).

Rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente e ai primi sette paesi di provenienza delle MSNA, si evidenzia un aumento consistente del peso delle ragazze nigeriane sul totale delle minori ( 12,1%) e un aumento più contenuto di ragazze provenienti dalla Costa d'Avorio ( 3,5%), dalla Guinea ( 0,9%) e dalla Somalia ( 0,1%). Decresce, al contrario, la percentuale delle minori eritree (-8%), albanesi (-4,8%) e, in misura minore, marocchine (-1,2%).

Con riferimento alle regioni di accoglienza, similmente a quanto si verifica per l'intera popolazione di MSNA, nel 2017 la presenza delle minori straniere non accompagnate è più consistente in Sicilia (57,2%).

Nei primi due quadrimestri del 2017 sono state presentate 5960 domande di protezione internazionale relative a MSNA. Rispetto ai primi due quadrimestri del 2016, anno in cui le richieste presentate erano state 3181, il dato è quasi raddoppiato.

Riguardo alla cittadinanza, il continente africano si conferma la principale area di provenienza dei MSNA richiedenti protezione internazionale (5074). Il primo Paese di origine è il Gambia (1371 minori, pari al 23%) seguito da Nigeria (784, pari al 13,2%) e Bangladesh (687, pari al 11,5%). Il dato relativo al genere evidenzia la netta prevalenza della componente maschile (5531, il 93% del totale).

I 18.486 MSNA presenti in Italia al 31 agosto 2017 sono accolti per il 93,4% del totale presso strutture di accoglienza, e il 3,3% presso privati. Per il restante 3,4%, non è nota la tipologia di collocamento.

I MSNA accolti in strutture di seconda accoglienza sono 11.144 e rappresentano il 60,3% dei MSNA presenti sul territorio italiano. Il 33,1% dei minori è accolto in strutture di prima accoglienza, al cui interno rientrano: i centri governativi di prima accoglienza finanziati con risorse a valere sul Fondo asilo migrazione e integrazione (FAMI) (91); le strutture ricettive temporanee attivate dai prefetti sulla base dell'articolo 19, comma 3-bis del decreto legislativo 142 del 2015 (cd. “CAS, Centri di accoglienza straordinaria, minori”); le strutture di prima accoglienza accreditate/autorizzate dai comuni o dalle Regioni competenti e, infine, quelle a carattere emergenziale e provvisorio. Nella seconda accoglienza rientrano invece le strutture afferenti alla rete SPRAR, le strutture di seconda accoglienza finanziate con il FAMI e tutte le strutture di secondo livello accreditate/autorizzate a livello regionale o comunale. Al 31 agosto 2017 risultano finanziati 2865 posti SPRAR dedicati ai MSNA (92).

Le strutture di accoglienza censite nella Banca dati della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione che ospitano MSNA sono 2039. Le regioni italiane che hanno un maggior numero di strutture di accoglienza sono la Sicilia con il 24,9%, la Lombardia il 10,1%, la Campania il 9,2%, la Calabria il 7,1%, la Puglia il 6,9%, l'Emilia Romagna il 6,8%, il Lazio il 6,2% e il Piemonte il 5,8%, che, complessivamente, rappresentano il 77% del totale delle strutture.

Al 31 agosto 2017 risultano attivi in totale 19 progetti di prima accoglienza finanziati con fondo FAMI, a cui afferiscono circa 60 strutture distribuite nelle regioni Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria per un totale di 950 posti. I progetti sono stati avviati il 23 agosto 2016 in seguito all'avviso “Qualificazione del sistema nazionale di prima accoglienza dei Minori Stranieri non Accompagnati (MSNA)(93).

In base alle segnalazioni ricevute dalla Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione, a partire dall'avvio delle attività progettuali (23 agosto 2016) al 31 agosto 2017, sono stati accolti all'interno di queste strutture 2487 minori. La principale cittadinanza di provenienza è quella del Gambia (19%), seguita da Guinea (15%) e Nigeria (10%).

L'articolo 32, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (così come modificato dal d.l. n. 89 del 2011, convertito con modificazioni dalla l. n. 129 del 2011) disciplina le modalità con le quali può essere rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro ovvero di lavoro subordinato o autonomo ai MSNA al compimento della maggiore età.

Tale norma prevede che per i MSNA, affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge n. 184 del 1983 ovvero sottoposti a tutela, che siano presenti in Italia da almeno due anni e siano stati ammessi ad un progetto di integrazione sociale e civile, possa essere richiesta la conversione del permesso di soggiorno da minore età o affidamento in permesso di soggiorno per studio, accesso al lavoro subordinato o autonomo, previo parere positivo della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione.

Dal primo gennaio 2017 al 31 agosto 2017, il totale dei pareri emessi, ai sensi del sopracitato articolo 32, è pari a 1222. In particolare, circa due terzi dei pareri rilasciati al raggiungimento della maggiore età riguarda gli ex minori provenienti dall'Egitto (34,2%) e dall'Albania (26,2%). A seguire, il 16,9 % dei pareri emessi ha riguardato minori di cittadinanza bangladese e l'11,5% minori di cittadinanza kosovara.

A livello territoriale, il Lazio, il Friuli-Venezia Giulia, la Lombardia e l'Emilia-Romagna sono le regioni in cui vengono rilasciati il numero maggiore di provvedimenti ex art. 32 (63,4% dei pareri emessi).

Da ultimo, sembra opportuno soffermarsi sulla legge n. 47 del 7 aprile 2017, “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati” (prima firmataria della proposta di legge, Sandra Zampa, vicepresidente della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza), che reca una disciplina unitaria organica della materia, rafforzando gli strumenti di tutela e assicurando maggiore omogeneità in tutto il territorio nazionale.

L'articolo 1 circoscrive l'applicazione della legge ai MSNA, definiti dall'articolo 2 come i minorenni non aventi cittadinanza italiana o dell'Unione europea che si trovano per qualsiasi causa nel territorio dello Stato, privi di assistenza o rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti legalmente responsabili; l'articolo 3 introduce esplicitamente il divieto assoluto di respingimento alla frontiera.

Con l'articolo 4 si riduce da 60 a 30 giorni il tempo massimo di permanenza nelle strutture di prima accoglienza destinate esclusivamente ai minori, nel cui ambito si svolge l'identificazione del minore - per la quale è introdotto il termine massimo di 10 giorni - e l'eventuale accertamento dell'età, e dove ricevono le informazioni sui loro diritti, compreso quello di chiedere la protezione internazionale.

L'articolo 5 impone una disciplina uniforme sul territorio nazionale per l'identificazione del minore e l'accertamento dell'età, da cui dipende la possibilità di applicare le misure di protezione in favore dei MSNA.

La procedura, precedentemente basata sulla radiografia del polso sinistro, si articola ora in varie fasi: il personale della struttura di prima accoglienza svolge un colloquio con il minore per approfondirne la storia personale e familiare e far emergere ogni elemento utile alla sua protezione (secondo la procedura che dovrà essere definita con DPCM entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge) (94), in presenza di un mediatore culturale.

Qualora sussista un dubbio circa l'età dichiarata dal minore, questa è accertata in via principale attraverso un documento anagrafico, anche avvalendosi della collaborazione delle autorità diplomatico-consolari. Nel caso in cui tali dubbi permangano, la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni o il giudice tutelare competente possono disporre esami socio-sanitari volti all'accertamento dell'età (art. 5, co. 4), sulle cui modalità e conseguenze il ragazzo viene informato. L'accertamento deve essere svolto con un approccio multidisciplinare, secondo modalità meno invasive possibili e rispettose dell'età presunta, del sesso e dell'integrità fisica e psichica.

Il risultato è comunicato allo straniero, all'esercente la responsabilità genitoriale e all'autorità giudiziaria che ha disposto l'accertamento; qualora anche dopo l'accertamento sociosanitario, permangano dubbi sulla minore età, questa è presunta ad ogni effetto di legge (art. 5, co. 8). Il provvedimento di attribuzione dell'età può essere impugnato in sede di reclamo; in tal caso, il giudice decide in via d'urgenza entro 10 giorni e ogni procedimento amministrativo e penale conseguente all'identificazione come maggiorenne è sospeso fino alla decisione.

L'articolo 6, intervenendo sul decreto legislativo n. 142 del 2015 (95), dispone l'avvio di iniziative per l'individuazione dei familiari del minore richiedente protezione internazionale, al fine di garantire il diritto all'unità familiare. L'articolo 7 prevede che gli enti locali possono promuovere la formazione di affidatari, in modo da favorire l'affidamento familiare in luogo del ricovero in una struttura di accoglienza.

Qualora siano individuati familiari idonei a prendersi cura del minore straniero non accompagnato, l'articolo 8 accorda la preferenza all'accoglienza da parte loro; concluse le indagini familiari, si valuta se procedere al rimpatrio assistito o operare con altri strumenti di protezione e tutela, come l'affidamento a una famiglia o una comunità.

L'autorità di pubblica sicurezza deve dare immediata comunicazione della presenza del minore non accompagnato, oltre che al giudice tutelare e al Tribunale per i minorenni, anche al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, presso il quale l'articolo 9 istituisce il Sistema informativo nazionale dei minori non accompagnati, che è alimentato dalle cosiddette cartelle sociali dei minori non accompagnati, compilate dal personale qualificato che svolge il colloquio con il minore nella fase di prima accoglienza.

L'articolo 10 disciplina le questioni relative al permesso di soggiorno, prevedendone due tipologie: per minore età o per motivi familiari. In caso di minore straniero non accompagnato, rintracciato nel territorio nazionale, il questore rilascia il permesso di soggiorno per minore età, valido fino al compimento della maggiore età; il permesso per motivi familiari, invece, viene rilasciato al minore di quattordici anni affidato o sottoposto alla tutela di un cittadino italiano con lui convivente, oppure al minore ultraquattordicenne affidato o sottoposto alla tutela sia di un cittadino italiano con lo stesso convivente, sia di uno straniero regolarmente soggiornante.

L'articolo 11 prevede che presso ogni Tribunale per i minorenni sia istituito un elenco di tutori disponibili ad assumere la tutela di uno o (nel caso di fratelli o sorelle) più MSNA.

L'articolo 12 stabilisce che i MSNA possono accedere allo SPRAR, la cui capienza dovrà essere commisurata alle presenze dei minori sul territorio nazionale, nei limiti delle risorse del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.

L'articolo 13 prevede la possibilità di convertire il permesso di soggiorno (ottenere un titolo al soggiorno per un motivo diverso da quello originario) al compimento della maggiore età, stabilendo che il silenzio dell'amministrazione competente equivalga ad accoglimento della domanda. La medesima disposizione, al comma 2, prevede inoltre la possibilità dell'affidamento ai servizi sociali fino al ventunesimo anno di età per quei MSNA che hanno intrapreso un percorso di integrazione, ma che raggiunta la maggiore età necessitano di un supporto prolungato di assistenza. In caso di temporanea indisponibilità in strutture di lungo periodo, l'assistenza e l'accoglienza del minore sono temporaneamente assicurate dal comune in cui si trova.

L'articolo 14 dispone per i MSNA l'iscrizione obbligatoria al Servizio sanitario nazionale; i minori stranieri senza permesso di soggiorno non possono iscriversi al SSN, ma hanno comunque diritto alle cure ambulatoriali e ospedaliere essenziali, a quelle urgenti o continuative, a quelle per malattie e infortunio e di medicina preventiva. Il comma 3 del medesimo articolo incentiva l'adozione di specifiche misure per favorire l'assolvimento dell'obbligo scolastico e formativo da parte dei minori. Le amministrazioni provvedono alle relative azioni con le risorse disponibili a legislazione vigente.

L'articolo 15 stabilisce che l'assistenza affettiva e psicologica è assicurata attraverso la presenza di persone idonee oppure di gruppi o altre realtà di comprovata esperienza nell'assistenza ai MSNA, previo consenso del minore, e ammessi dall'autorità giudiziaria o amministrativa che procede. Viene riconosciuto il diritto del minore a partecipare per mezzo di un suo rappresentante legale a tutti i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che lo riguardano e ad essere ascoltato nel merito, con la presenza di un mediatore culturale.

L'articolo 16 riconosce al minore straniero coinvolto in un procedimento giurisdizionale il diritto di essere informato sull'opportunità di nominare un legale di fiducia e di avvalersi del gratuito patrocinio a spese dello Stato.

Riguardo alle vittime di tratta, l'articolo 17 stabilisce la predisposizione di un programma specifico che assicuri adeguate condizioni di accoglienza e di assistenza psico-sociale, sanitaria e legale, prevedendo soluzioni di lungo periodo, anche oltre il compimento della maggiore età.

L'articolo 18 riguarda i MSNA richiedenti protezione internazionale; nel corso della procedura si applicano al minore particolari accorgimenti anche in relazione al colloquio che viene di norma richiesto dalla Commissione che esamina la domanda. In particolare, il colloquio del minore si svolge innanzi ad una componente della Commissione con specifica formazione, alla presenza del tutore, nonché del personale di sostegno per prestare la necessaria assistenza; se lo ritiene necessario, la Commissione territoriale può procedere nuovamente all'ascolto del minore, senza la presenza del tutore.

L'articolo 19 autorizza gli enti e le associazioni che svolgono attività a favore dell'integrazione sociale degli stranieri, registrati presso il Ministero del lavoro, ad intervenire nei giudizi riguardanti i MSNA e a ricorrere per l'annullamento di atti illegittimi in sede di giustizia amministrativa.

Ai sensi dell'articolo 20, l'Italia promuove la più stretta cooperazione internazionale, in particolare attraverso accordi bilaterali e il finanziamento di programmi di cooperazione allo sviluppo nei paesi di origine, al fine di armonizzare la regolamentazione giuridica, internazionale e nazionale, del sistema di protezione dei MSNA.

L'articolo 21 reca infine disposizioni finanziarie. Il comma 1 introduce l'assistenza ai MSNA tra le destinazioni alle quali è vincolato l'utilizzo della quota di spettanza statale del gettito dell'8 per mille dell'Irpef, ai sensi dell'articolo 48 della legge n. 222 del 1985 (96).

Il comma 2 quantifica la spesa conseguente alle previsioni recate dagli articoli 16 e 17, comma 3 (relative rispettivamente al gratuito patrocinio e all'assistenza alle vittime di tratta) in 925.550 euro annui a decorrere dal 2017 e ne dispone la copertura finanziaria tramite riduzione di stanziamenti di altri fondi e utilizzando parzialmente l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia.

Ai fini dell'attuazione delle disposizioni di legge, nell'agosto del 2017 il Ministero dell'interno ha adottato un avviso, con una dotazione complessiva di 52.030.000 euro (97), per la realizzazione di progetti destinati alla prima accoglienza di MSNA; tali interventi si aggiungeranno ai 20 progetti già finanziati dal FAMI con l'avviso del 22.04.2016 (98).

Il 7 novembre 2017 si è svolto un Tavolo di lavoro (99), cui ha partecipato la vicepresidente della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, Sandra Zampa, in cui sono stati esaminati vari aspetti della nuova legge e sono state avanzate proposte per la sua migliore attuazione.

Tra gli aspetti considerati, il primo riguarda i tutori volontari. I bandi per il reclutamento e la formazione sono stati emanati in 18 su 20 regioni, escluse Puglia e Veneto (dove era già in atto una sperimentazione), e in diverse regioni i corsi di formazione sono già partiti o stanno per iniziare. Più di 2000 persone hanno presentato richiesta, e si dovrà fare ogni sforzo per avvicinare questo numero il più possibile a quello dei 18.000 MSNA presenti in Italia.

Una novità positiva potrebbe essere la nomina dei tutori attribuita ai Tribunali per i minorenni invece che ai giudici tutelari, secondo lo schema di decreto correttivo del decreto legislativo 142 del 2015, approvato dal Consiglio dei Ministri, ed esaminato in sede consultiva dalle competenti commissioni di Camera e Senato per l'espressione del parere (100).

Si richiede che enti locali ed istituzioni centrali investano risorse affinché ai tutori volontari venga garantito un adeguato supporto, anche psico-sociale, e venga garantito il finanziamento per la formazione all'esercizio corretto della funzione, nonché il suo monitoraggio.

Ferma restando la gratuità del ruolo, bisognerebbe prevedere dei rimborsi per le spese vive sostenute dal tutore, nonché permessi lavorativi per la frequentazione dei corsi e, dopo la nomina, per occuparsi delle procedure che richiedano la loro presenza nella rappresentanza del minorenne; possibilità analoghe di formazione vanno offerte ai tutori provvisori, responsabili delle strutture di accoglienza. Occorre infine prevedere opportune procedure di prevenzione dei rischi di abusi o comportamenti inadeguati da parte dei tutori. La possibilità per gli enti locali di promuovere la formazione di affidatari, prevista dall'articolo 7, è una misura a carattere facoltativo e senza aggravio di spesa, rimessa alla discrezionalità degli enti locali.

Sarà importante tenere presenti i diritti già riconosciuti ai minorenni dalla legge n. 184 del 1983, che prevede di affidare il minorenne in prima istanza ad una famiglia, ed in seconda istanza ad una comunità di tipo familiare che rispetti determinati requisiti previsti dalle norme regionali, nonché garantire un sistema di accompagnamento alle famiglie affidatarie e ai minorenni pre- e post- affido, anche attraverso il riconoscimento del ruolo delle reti di famiglie quale sostegno complementare al ruolo fondamentale dei servizi sociali.

Particolare importanza assumono, nel sistema delineato dalla legge, il primo colloquio, che prevede la presenza del tutore o tutore provvisorio e di un mediatore culturale; la cartella sociale, compilata dal personale della struttura di accoglienza, strumento centrale nel processo di valutazione del superiore interesse del minorenne ed, infine, l'istituzione del Sistema informativo minori (SIM), già in avanzato stato di attuazione da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

La procedura relativa al primo colloquio è demandata ad un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ed è importante che contenga un chiaro riferimento al superiore interesse del minorenne e, in particolare, alle modalità procedurali di tale valutazione.

I regolamenti di attuazione dovrebbero definire sia gli elementi essenziali della cartella sociale, sia chi ha il compito di gestirne le informazioni; in tale documento dovranno confluire le segnalazioni sulla vulnerabilità del minorenne, sulla sua condizione fisica, sociale e psicologica, ed anche indicare il motivo per cui viene presa una determinata decisione. Occorre infine prevedere che la cartella sociale venga trasmessa alle comunità di seconda accoglienza, per assicurare il passaggio di tutte le informazioni e il raccordo tra i servizi. L'attuazione dovrà inoltre garantire un raccordo tra la cartella sociale e il SIM, al fine di ottimizzare le risorse e armonizzare il sistema.

Le regole sul primo colloquio e per l'accertamento dell'età dovrebbero dettagliare un'appropriata procedura, in quanto una corretta identificazione e un accurato accertamento dell'età sono essenziali per l'individuazione dei minorenni e quindi per la loro protezione.

Quanto agli aspetti procedurali, appare opportuno prevedere che: la richiesta di disporre l'accertamento dell'età, in caso di dubbio fondato, possa essere presentata alla procura minorile, oltre che dall'autorità di pubblica sicurezza, anche dal diretto interessato; sia la richiesta che il provvedimento con cui la procura minorile dispone l'accertamento abbiano forma scritta e siano motivati; la valutazione dovrà essere eseguita nei centri dedicati e non in luoghi di sbarco e/o hotspot. Il dubbio sull'età è da ritenersi fondato se si basa su una considerazione integrata di più fattori; la valutazione dell'aspetto fisico deve riguardare elementi che depongano fortemente e ragionevolmente contro la minore età, non sono sufficienti l'assenza di documenti di identità né il contrasto tra l'età con cui il minore è stato registrato all'arrivo e quella dichiarata successivamente.

La previsione di un sistema di accoglienza integrato tra strutture di prima accoglienza (per soli minorenni) e un sistema di seconda accoglienza per minorenni stranieri non accompagnati affidato allo SPRAR è uno dei punti qualificanti delle nuove norme.

Si ritiene positiva la riduzione a 30 giorni dei tempi massimi di permanenza del minorenne in prima accoglienza, che gli permette di essere accolto in un centro che possa garantire una presa in carico più adeguata. Si segnala, però, che nella prassi il sistema resta carente e i tempi di permanenza massima vanno quasi sempre oltre i 30 giorni. Altrettanto positiva è la conferma dell'accesso allo SPRAR in seconda accoglienza dei MSNA a prescindere dalla presentazione della domanda di protezione internazionale.

Inoltre, la distribuzione territoriale dell'accoglienza dei minorenni stranieri non accompagnati è disomogenea: al 31 dicembre 2016, più del 40% dei minorenni stranieri erano accolti in Sicilia, mentre regioni popolose come il Piemonte e il Veneto, considerate congiuntamente, ne ospitavano insieme meno del 5% (101) del totale.

È stato altresì evidenziato come, pur con l'estrema carenza di posti di accoglienza nelle strutture di primo e di secondo livello per i minorenni, occorre lavorare sempre più al superamento dei Centri di accoglienza straordinaria (CAS), che, quando necessari, dovrebbero assicurare standard di accoglienza armonizzati a quelli degli SPRAR quanto a inserimento scolastico, accesso alla formazione professionale e accompagnamento all'inserimento lavorativo, tenendo presente che la normativa sulle strutture di accoglienza per minorenni prevede comunità di “tipo familiare” o comunque di dimensioni ridotte; andrebbe invece evitata la permanenza di minorenni all'interno degli hotspot e si dovrebbe intervenire anche nella distribuzione territoriale delle prime accoglienze, ora eccessivamente concentrate in prossimità dei luoghi di arrivo.

Sarebbe opportuno che le norme di attuazione introducano il criterio di omogeneità territoriale, nel passaggio dalla prima alla seconda accoglienza, per facilitare il percorso intrapreso e ridurre i disagi legati al trasferimento.

Particolare attenzione va dedicata ai neo-maggiorenni non richiedenti la protezione internazionale, i quali, al compimento della maggiore età, incontrano serie difficoltà.

È importante che i comuni facciano la propria parte e che la presa in carico dei MSNA e la sostenibilità delle accoglienze da parte degli stessi sia facilitata dalla previsione di incentivi per i comuni che aderiscono allo SPRAR.

Attraverso l'introduzione dei commi 2-bis e 2-ter all'articolo 18 del decreto legislativo n. 142 del 2015 sul diritto all'ascolto (art. 15 della legge n. 47/2017), sono garantite in ogni fase del procedimento la presenza di persone idonee indicate dal minorenne o di rappresentanti di associazioni specializzate e l'assistenza di un rappresentante legale e di un mediatore culturale.

Una grande novità (art. 10, co. 1, lett. a) è la possibilità per il minorenne di presentare direttamente alla Questura la richiesta di permesso di soggiorno, senza attendere la nomina del tutore. Utile appare inoltre la semplificazione dei permessi rilasciabili ai MSNA (se non richiedenti protezione internazionale o vittima di tratta), ridotti a due, per minore età e per motivi familiari, in caso di affidamento. Si evidenzia però che diverse questure non rilasciano permessi per minore età ai MSNA vicini al compimento dei 18 anni, e non in tutte le questure è possibile per un MSNA senza documenti di identità ottenere un permesso per minore età, nonostante specifiche circolari esplicative. Appare quindi necessario chiarire il dettato della legge incorporando nelle norme di attuazione quanto previsto dalle circolari esplicative. Risulta inoltre importante chiarire in sede di circolari esplicative che il permesso di soggiorno per minore età consente di esercitare attività lavorativa; altro chiarimento necessario è relativo ai diritti del neomaggiorenne nelle more della conversione del permesso di soggiorno al compimento del diciottesimo anno, chiarendo che il neomaggiorenne resta titolare di tutti i diritti a lui riconosciuti sulla base del permesso di soggiorno precedentemente posseduto.

La legge stabilisce infine, come già ricordato, il diritto dei MSNA all'iscrizione al SSN “anche nelle more del rilascio del permesso di soggiorno”, nonché all'istruzione e alla formazione. Per una corretta applicazione della norma, si ritiene necessaria l'emanazione di una direttiva ministeriale su alcuni aspetti che possono diventare veri e propri ostacoli, come: la modalità di attribuzione del codice fiscale e di iscrizione al SSN; l'iscrizione al SSN, nel caso in cui siano privi di residenza o di dichiarazione di ospitalità; l'assegnazione di un pediatra di libera scelta, o di un medico di base se il minorenne ha più di 14 anni; l'identificazione di un codice di esenzione specifico fino alla maggiore età ed, infine, le modalità per il rinnovo del libretto sanitario nel periodo di conversione del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età.

6. I minori nel circuito della giustizia penale.

  Occorre preliminarmente rilevare che la competenza del Dipartimento per la giustizia minorile è limitata ai minori ed ai giovani adulti autori di reato che, in esecuzione appunto di un provvedimento giudiziario, vengono in misura cautelare allontanati dal nucleo di origine ed inseriti presso comunità di accoglienza - ministeriali o convenzionate - per l'attuazione di progetti educativi alternativi alla pena detentiva (102).

  All'interno del sistema penale minorile, la previsione del collocamento in comunità venne introdotta dal legislatore con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 (103), quale modalità intermedia, tra la libertà e il carcere, volta al perseguimento delle finalità di coinvolgere la comunità territoriale in chiave educativa del minore, evitando possibili effetti negativi legati alla detenzione, e di facilitare il reinserimento del ragazzo.

  Il Sottosegretario alla giustizia, Cosimo Maria Ferri (104), ha ricordato, come dai dati elaborati dal servizio statistica del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, al 31 dicembre 2015, risultassero 803 i giovani - di cui 423 minori e 380 giovani adulti fino ai 25 anni - entrati nel circuito penale e collocati in comunità su provvedimento della magistratura. Di questi 803, ben 542 erano italiani (il 67,5%), 55 (6,8%) provenienti da altri paesi UE (in primo luogo Romania), 53 (6,6%) provenienti da paesi europei extra UE (in primis Albania e Bosnia-Erzegovina), 120 (14,9%) di origine africana, provenienti soprattutto da Marocco ed Egitto, 21 (2,6%) provenienti dall'America del centro-sud e 12 (1,5%) di origine asiatica.

  Appare anche significativo il dato relativo alla presenza di minori o giovani adulti stranieri non accompagnati pari, su un totale di 803, a 44 ragazzi. Si tratta prevalentemente di giovani migranti clandestini maschi, provenienti per l'86% da paesi africani (soprattutto Egitto, Gambia e Tunisia) e collocati nel 50% dei casi (ben 22 su 44) in comunità private convenzionate con il Centro di giustizia minorile di Palermo.

  Rispetto ai dati al 31 dicembre 2010, vi è stata una leggera flessione delle presenze che allora erano pari a 844, di cui 348 giovani adulti e 496 minori. Anche nel 2010, le presenze in comunità si caratterizzavano per una predominante componente maschile, contandosi 794 ragazzi (94%) e solo 50 ragazze (6%), con una presenza molto accentuata, pari al 72% del totale, di cittadini italiani.

  Per quanto riguarda la tipologia dei reati commessi, si evidenzia come la criminalità minorile sia caratterizzata dalla prevalenza di reati contro il patrimonio, in particolare furto e rapina, così come risultano frequenti anche le violazioni delle disposizioni in materia di sostanze stupefacenti, mentre tra i reati contro la persona, prevalgono le lesioni personali volontarie.

La maggior parte dei minori autori di reato è in carico agli uffici di servizio sociale per i minorenni (USSM), che seguono i minori in tutte le fasi del procedimento penale, in particolare nell'attuazione di provvedimenti giudiziari che non comportano una limitazione totale della libertà, in quanto la detenzione, come accennato, assume per i minorenni carattere di residualità, per lasciare spazio a percorsi e risposte alternativi, sempre a carattere penale (105).

Negli ultimi anni, si sta assistendo peraltro ad una sempre maggiore applicazione dei collocamenti in comunità, non solo quale misure cautelare, ma anche nell'ambito di altri provvedimenti giudiziari, per la sua indubbia capacità di contemperare le esigenze educative con quelle contenitive di controllo.

Tra i servizi minorili residenziali si ricordano i Centri di prima accoglienza (CPA), che ospitano temporaneamente i minori arrestati, fermati o accompagnati in flagranza di reato; le comunità, ministeriali e del privato sociale, in cui sono collocati i minori sottoposti alla specifica misura cautelare del collocamento in comunità, di cui all'articolo 22 del D.P.R. 448 del 1988 ed infine, gli istituti penali per i minorenni, in cui sono collocati i minori detenuti in custodia cautelare o in esecuzione di pena. Per quanto di interesse in questa sede, si analizzeranno esclusivamente i dati concernente i minori collocati presso comunità ministeriali o del privato sociale.

Al riguardo occorre ricordare l'importante modifica introdotta dal decreto legge n. 92 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 117 del 2014, che, all'articolo 5, ha esteso la competenza dei servizi minorili, per quanto riguarda i giovani adulti, da 21 a 25 anni di età (106).

Si tratta di una norma che consente ad esempio a chi abbia commesso un reato prima del raggiungimento della maggiore età e debba scontare una lunga pena detentiva di essere considerato minore nel circuito penitenziario, fino al compimento dei 25 anni.

Come rilevato dal Sottosegretario Ferri, ciò ha richiesto una maggiore attenzione da parte del Ministero sul circuito penitenziario minorile, in quanto si è posto il problema di accogliere negli Istituti penali minorili i ragazzi dai 22 anni in su, che erano nelle carceri per adulti. Con tale disposizione si evita dunque il brusco passaggio dalla struttura minorile a quella per adulti, che ha caratteristiche molto diverse. Ai fini della convivenza nelle medesime strutture con i minori «classici», è stato necessario controllare tutte le fasi di tale integrazione, separando i giovani adulti dai minori in senso stretto.

Analizzando i dati dei collocamenti dei minori in comunità negli ultimi dieci anni, si è registrato un leggero decremento tra il 2006 e il 2015, passandosi da 1772 collocamenti del 2006 ai 1688 del 2015, pur rilevandosi picchi più alti nel 2008, nel 2011 e nel 2012, con valori pari rispettivamente a 1965, 1926 e 2038 (107).

La progressiva crescita dell'utilizzo della comunità pone in evidenza come essa sia intesa quale strategia intermedia idonea a garantire un percorso di contenimento educativo, senza ricorrere al carcere, nella sempre maggiore consapevolezza dell'importanza della crescita del minore in famiglia e della necessità di limitare il ricorso alla comunità educativa alle sole situazioni ritenute indispensabili dal giudice. Peraltro, dai dati si rileva che la maggiore consistenza dei collocamenti in comunità non è stata determinata dall'aumento della componente “straniera”, quanto dal progressivo aumento della componente “italiana”.

Riguardo le fattispecie per le quali si ricorre al collocamento in comunità, è stato ricordato che, in termini generali, l'autorità giudiziaria può ricorrere al collocamento in comunità nei casi di arresto o di fermo ai sensi dell'articolo 18, comma 2, del D.P.R. n. 448 del 1988, nel caso in cui si disponga l'accompagnamento, ai sensi dell'articolo 18-bis, e in tutti i casi di applicazione di misura cautelare e di affidamento in prova al servizio sociale.

Sulla base dei dati statistici riferiti al 31 dicembre 2015, si rileva che tra i motivi che hanno concorso in maniera più significativa a tale soluzione vi sono: l'applicazione della misura cautelare (61% sul totale), ex articolo 22 del D.P.R. n. 448 del 1988; l'adozione di un provvedimento di messa alla prova (17% sul totale), ex articolo 28 del D.P.R. n. 448 del 1988; la fine del periodo di aggravamento in IPM (11% sul totale); la trasformazione della custodia cautelare in IPM nella misura meno afflittiva del collocamento in comunità (6% sul totale) ed, infine, l'applicazione di una misura alternativa alla detenzione (3% sul totale). Sono invece risultati meno frequenti i collocamenti disposti come applicazione di una misura di sicurezza o per trasformazione di una misura di permanenza in casa.

Per quanto riguarda i collocamenti presso le comunità ministeriali e private, il dato concernente la relativa ripartizione per l'anno 2015 consente di cogliere subito le dimensioni del coinvolgimento delle due tipologie di strutture. Dai dati statistici forniti dal Sistema informativo dei servizi minorili (SISM), si evince il consistente aumento del collocamento presso le comunità private. Infatti, su un totale di 1957 collocamenti in comunità - compresi i trasferimenti tra comunità - ben 1772 (95% del totale) hanno riguardato le comunità del privato convenzionate e solo 185 (5%) quelle ministeriali (108). Importante è il dato relativo alla presenza media giornaliera annua, da intendersi come il numero di minori presenti nelle comunità in media ogni giorno dell'anno, che risulta circoscritto nel caso delle comunità ministeriali e pari a 44,9 presenze medie giornaliere e che risulta molto più consistente, essendo pari a 762,8 presenze medie giornaliere, nel caso delle comunità private.

Alla luce di tali valori, si può dire che le comunità ministeriali, nel 2015 pari a dieci e distribuite sull'intero territorio nazionale, rivestano sostanzialmente quel ruolo di comunità filtro che è finalizzato all'osservazione del minore ed al suo successivo eventuale indirizzamento nelle strutture private più idonee, monitorate dai Centri per la giustizia minorile.

  Si tratta di un aspetto importante perché è compito dell'amministrazione centrale e del Ministero, insieme a queste comunità ministeriali, capire l'indirizzo che deve essere dato al minore. Questa integrazione di pubblico-privato è fondamentale perché, se funziona, può appunto reggere in un sistema integrato dove lo Stato, con queste comunità, ascolta, capisce le esigenze e indirizza nel privato, che poi può integrare e continuare quel percorso che è fondamentale per il reinserimento del minore nella società. Altro aspetto fondamentale è il collegamento con la famiglia d'origine. Occorre al riguardo verificare se al termine del percorso il minore troverà una famiglia pronta a recuperarlo e riaccoglierlo. Infatti, in molti casi, i minorenni autori di reati, una volta terminato il percorso di riabilitazione, non hanno nessuno che li accolga e quindi occorre capire come possano essere indirizzati ai fini di un pieno reinserimento sociale.

Per quanto attiene alla distribuzione regionale di tali comunità private, si rileva che la maggiore concentrazione si ha in Piemonte, Valle D'Aosta e Liguria - complessivamente considerate - (181) e in Lombardia (176).

Dati relativi alle comunità private attive, suddivise per Regione o gruppi di Regioni

(Fonte: Sistemi informativi del Dipartimento della Giustizia minorile – SISM - al 31.12.2015)

In materia di caratteristiche strutturali delle comunità ministeriali, si ricorda che esse sono disciplinate dal decreto legislativo n. 272 del 1989 e devono soddisfare alcuni criteri tra cui innanzitutto l'organizzazione di tipo familiare, la presenza di operatori con professionalità riconosciuta, la capienza massima di 10 unità e l'integrazione nel territorio (109).

Tuttavia la disciplina dei requisiti minimi e degli standard qualitativi delle comunità private è definita da ciascuna regione, responsabile del riconoscimento della struttura. Solo successivamente a tale autorizzazione regionale, la comunità privata può essere convenzionata con il Centro per la Giustizia minorile competente a livello territoriale.

Si fa comunque presente che il Ministero della giustizia ha impartito a tutte le comunità, sia ministeriali sia private, specifiche indicazioni organizzative con apposite circolari (110). È stato inoltre redatto un vademecum operativo per le comunità del privato sociale al fine di assicurare una razionalizzazione ed armonizzazione delle procedure di gestione delle stesse. Si ricorda altresì che i Centri per la giustizia minorile, mediante i propri Uffici di servizio sociale per i minorenni (U. S. S. M.), sono preposti a monitorare e controllare le comunità del privato sociale attraverso visite ed ispezioni, volte a verificarne nel tempo il mantenimento dell'idoneità.

Si ricorda infine un'ulteriore circolare del Ministro della Giustizia in materia di rapporti tra la giustizia minorile e il privato sociale e le comunità di accoglienza su cui si veda infra paragrafo 9.

Appare opportuno ricordare che per favorire adeguati percorsi di tutela, cura e crescita del minore, anche i collocamenti nelle comunità del sistema penale minorile avvengono tenendo conto delle caratteristiche del minore e della compatibilità del suo personale progetto educativo (PEI) con quello quadro delle comunità presenti sul territorio in grado potenzialmente di accoglierlo. A tale scopo, gli uffici dei Centri per la Giustizia minorile supportano l'Autorità giudiziaria nell'identificazione della comunità più idonea, anche attraverso intese con gli enti locali e le ASL per definire i livelli di collaborazione e garantire la continuità e la coerenza con i percorsi di presa in carico dei minori interessati.

Per fornire adeguato supporto ai giovani che hanno problemi di trattamento di dipendenze o problematiche di salute mentale, i Centri per la Giustizia minorile fanno riferimento a comunità private terapeutiche specializzate, regolate oltre che dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 01.04.2008 (111) in materia di sanità penitenziaria, anche da specifici protocolli sottoscritti tra la comunità e il centro territorialmente competente. Si ricorda al riguardo che, essendo la medicina penitenziaria passata alla competenza del Servizio sanitario nazionale, le aziende sanitarie territoriali sono i soggetti titolari del trattamento terapeutico in collaborazione con i Servizi della giustizia minorile.

  Tra le criticità segnalate nel circuito della giustizia minorile, c'è il fenomeno degli allontanamenti arbitrari, cioè dei casi in cui il minore o il giovane adulto contravviene al provvedimento del giudice e si allontana dalla comunità.

  Dall'analisi dei dati al 2015, si rilevano 49 allontanamenti arbitrari ogni 100 collocamenti in comunità private e, disaggregando tale dato per nazionalità, si osservano tassi di allontanamento arbitrario superiori per gli stranieri, con 61 allontanamenti, rispetto agli italiani per i quali se ne contano 39. Tale fenomeno risulta in evidente crescita, infatti nel 2010, il tasso di allontanamento era pari al 31% dei collocamenti complessivi presso le comunità private, mentre a partire dal 2012 ha superato il 40% del totale.

  Anche dalla lettura di tali dati si evince, dunque, la necessità di definire al più presto un nuovo ordinamento penitenziario minorile per dare più articolate risposte a speciali esigenze e sanzioni più adeguate alla fascia di età dei destinatari.

Si ricorda al riguardo che la legge n. 103 del 2017 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario”, all'articolo 1, comma 85, lettera p), autorizza il Governo ad adottare decreti correttivi e integrativi in materia di adeguamento delle norme dell'ordinamento penitenziario alle esigenze educative dei detenuti minori di età, stabilendo al riguardo specifici princìpi e criteri direttivi. I relativi schemi di decreto non risultano essere stati ancora sottoposti all'esame del Consiglio dei Ministri.

Di seguito si forniscono dati dettagliati sugli allontanamenti arbitrari dalle comunità ministeriali (v. Tabella 1) e da quelle private (v. Tabella 2) per gli anni dal 2010 al 2015.

Tabella 1

Tabella 2

7. I profili sanitari nelle strutture di accoglienza semiresidenziali e residenziali terapeutiche per minori.

La materia del collocamento dei minori fuori famiglia ha indubbiamente una valenza sanitaria – come sottolineato dal Ministro della salute, Beatrice Lorenzin (112) – “atteso che ogni persona manifesta fin dal momento della nascita bisogni che richiedono risposte diversificate non solo in rapporto alle condizioni di salute, ma anche in relazione allo sviluppo motorio, psichico, relazionale, emotivo e sociale”.

Ogni persona ha infatti il diritto di godere del miglior stato di salute possibile e di accedere a cure sanitarie appropriate in tutte le fasi della propria vita, in particolare nell'età evolutiva, ma spesso i minori sfuggono alle attenzioni e alle cure di cui avrebbero bisogno, non solo da parte del legislatore, ma anche da parte delle autorità. Ciò è comprovato dai dati in possesso del Governo e dalle continue denunce, anche per quanto concerne bambini all'interno del contesto familiare.

Crescere in un ambiente familiare adeguato con i giusti affetti e le dovute cure è la condizione che più di ogni altra favorisce le migliori condizioni di salute e di sviluppo del bambino e dell'adolescente. L'importanza della crescita nell'ambito della propria famiglia di origine è stata peraltro sottolineata dal legislatore sin dalla fondamentale previsione contenuta nella legge n. 184 del 1983. È infatti dimostrato che l'allontanamento dagli affetti familiari, anche in caso di adeguate motivazioni, ha un impatto altamente negativo sullo sviluppo psicofisico del minore.

Per tali ragioni il Ministero della salute ha partecipato attivamente ai lavori di predisposizione del IV Piano nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, prendendo parte ai lavori del sottogruppo - costituito nell'ambito dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza - a sostegno della genitorialità, del sistema integrato dei servizi e del sistema dell'accoglienza.

Al riguardo è stato ricordato come il Ministero abbia contribuito per i profili di competenza alla tematica concernete l'organizzazione di strutture semiresidenziali e residenziali terapeutiche per i disturbi neuropsichici dell'infanzia e dell'adolescenza. Dall'analisi svolta in ambito territoriale sono emerse gravi criticità per quanto riguarda la neuropsichiatria infantile, soprattutto nella fase successiva all'acuzie, quando si pone la necessità di garantire la continuità assistenziale.

Occorre infatti ricordare che molti dei minori ospitati nelle strutture di accoglienza di tipo residenziale o familiare, proprio in ragione delle motivazioni che ne hanno determinato l'allontanamento dalla famiglia, soffrono di patologie neuropsichiche e necessitano pertanto di cure appropriate.

Il Ministro della salute ha quindi sottolineato come si tratti di un ambito su cui è attivo da tempo il confronto con la Conferenza Stato-regioni, sia per quanto attiene l'aspetto sanitario, sia relativamente a quello socio-assistenziale. È un tema che riguarda le demenze in genere, ma anche problemi del comportamento e una delle carenze principali si rileva proprio in ambito territoriale: la presa in carico assistenziale, nel percorso a scuola e durante l'attività diurna. Vi è quindi l'esigenza di un accompagnamento che aiuti il bambino nel suo sviluppo, in caso di disturbi neuropsichiatrici, che non possono essere gestiti esclusivamente in ambito familiare, necessitando di sostegni specialistici continui di più tipologie.

È inoltre importante ricordare che spesso il fallimento di affidi e adozioni è determinato proprio da questo tipo di disturbi, quale conseguenza delle storie di grave disagio e dolore vissute dai minori. Peraltro, la mancanza di un supporto adeguato comporta inevitabilmente l'insuccesso dell'affido e dell'adozione, con la conseguenza che si sommano esperienze negative. Si aggrava infatti sia la situazione del minore, che sperimenta sulla sua pelle un ulteriore fallimento, che quella delle coppie affidatarie o adottive, che si sentono inadeguate rispetto al percorso familiare.

Sono infatti noti i tanti casi di bambini «restituiti», ed è evidente che quando questo accade si aggiunge un ulteriore trauma a quello dell'abbandono.

Un'altra esperienza riscontrata sul territorio, soprattutto nell'ambito dei comuni in difficoltà economiche che sotto-finanziano le strutture di accoglienza per i minori, è che alcune di esse non possono fornire un adeguato supporto psicologico, quindi bambini che si trovano affidati alle cure di tali strutture non sono seguiti e supportati da un'adeguata terapia di accompagnamento.

Vi sono problemi patologici oppure fasi che necessitano semplicemente di ascolto o di una terapia di sostegno, in un percorso di superamento di un dramma o di elaborazione di un lutto, che, se è difficile per qualsiasi bambino, si pensi per un bambino che si trova da solo in una casa famiglia! In tali casi sarebbe necessario un intervento immediato, continuativo e monitorato.

Al riguardo è stato ricordato come il 13 novembre 2014 sia stato definito l'accordo in Conferenza unificata relativo agli interventi residenziali e semiresidenziali terapeutico-riabilitativi per i disturbi neuropsichici dell'infanzia e dell'adolescenza (113).

Le strutture semiresidenziali e residenziali terapeutiche sono dedicate al trattamento di minorenni con disturbi neuropsichici che necessitano di interventi terapeutico-riabilitativi associati ad interventi di supporto socio-sanitario e costituiscono un'importante componente della rete dei servizi di neuropsichiatria per l'infanzia e l'adolescenza.

È di tutta evidenza che i minori con un disturbo neuropsichico manifestano bisogni complessi, ivi comprese problematiche connesse ad una comorbilità somatica e con necessità di interventi multiprofessionali. Per tali ragioni vengono presi in carico dal servizio territoriale di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, che elabora un piano di trattamento individuale.

Nell'ambito di detto piano può essere previsto l'invio ed il temporaneo inserimento in una struttura semiresidenziale o residenziale per un trattamento terapeutico riabilitativo. L'inserimento in tali strutture, nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, avviene esclusivamente a cura del Servizio territoriale di neuropsichiatria dell'infanzia e dell'adolescenza, tramite una procedura di consenso professionale per la buona pratica clinica, basata su criteri di appropriatezza come processo attivo e non di autorizzazione passiva.

Il piano di trattamento individuale prevede la sottoscrizione di un accordo-impegno di cura con il minorenne, con la partecipazione della famiglia ed il coinvolgimento della rete educativa scolastica, al fine di favorire la volontarietà e l'adesione al trattamento. Il servizio inviante segue e monitora, tramite un proprio operatore di riferimento che ha la funzione di case manager, l'andamento degli interventi.

È stato evidenziato come le strutture semiresidenziali e quelle residenziali, pure entrambe con finalità riabilitative, hanno indicazioni e caratteristiche differenti. Le semi-residenze forniscono un servizio diurno, ospitando un'utenza con bisogni assistenziali che consentono comunque la permanenza nell'ambito familiare e nel contesto socio-educativo di riferimento. Rappresentano pertanto l'intervento da privilegiare nel trattamento dei disturbi neuropsichici dei minorenni, anche al fine di prevenire la necessità di ricovero ospedaliero o di inserimento in una struttura residenziale terapeutica e di minimizzarne la durata.

L'inserimento residenziale è invece collegato alla presenza di bisogni assistenziali che comportano la necessità di interventi terapeutico-riabilitativi maggiormente intensivi, non erogabili né ambulatorialmente, né in regime semiresidenziale, o nei quali vi sia anche l'indicazione all'allontanamento temporaneo dal contesto familiare o sociale.

Un aspetto rilevante da tenere in considerazione per tutti gli utenti con disturbi neuropsichici dell'età evolutiva è l'istituzionalizzazione, che va limitata al tempo strettamente indispensabile a garantire la terapia necessaria. Si tratta di un aspetto estremamente importante in quanto, se prolungata, la permanenza in struttura può avere ricadute negative sia sul percorso di crescita e sviluppo dei minorenni che sulla integrazione nel contesto di appartenenza.

Sono di significativa importanza i criteri di appropriatezza relativi all'inserimento e alla sua durata, la connotazione puntuale dei percorsi di cura in rapporto alle caratteristiche del programma terapeutico riabilitativo adottato e la presenza di strutture territoriali semi-residenziali e di ricovero per gestire adeguatamente tutte le fasi del percorso.

Purtroppo nel Paese non tutte le regioni e le ASL sono organizzate nello stesso modo, quindi ci sono ambiti di eccellenza e di presa in carico garantita e continuativa del paziente, altri assolutamente inadeguati o carenti.

Un altro aspetto importante è la territorialità. Dai dati disponibili risulta che la maggior parte degli inserimenti residenziali terapeutici e riabilitativi dei minori con disturbi neuropsichici avviene oggi ad una significativa distanza dal luogo di residenza. Ciò implica numerose conseguenze negative, rendendo più difficile il raccordo tra struttura residenziale e servizio inviante, il mantenimento delle relazioni significative, il reinserimento sociale nell'ambiente di provenienza.

È importante quindi che l'inserimento venga effettuato in una struttura ubicata nel territorio di residenza o comunque nel territorio regionale, al fine di favorire la continuità terapeutica ed il coinvolgimento della rete familiare e sociale, ad eccezione ovviamente dei casi in cui vi sia la necessità di un allontanamento del minore.

L'inserimento in struttura residenziale terapeutica è più frequente in età adolescenziale, ma può avvenire anche in altre fasi della vita. Premesso che nelle strutture residenziali e semiresidenziali terapeutiche non è in genere opportuna la contemporanea presenza di utenti con età molto diverse, qualora ciò avvenga, devono essere previste modalità organizzative che consentano la gestione con moduli differenziati per età.

Quanto all'integrazione socio-sanitaria, che è uno dei temi più critici e complessi, è stato sottolineato come nei minorenni con disturbi neuropsichici sono necessari interventi sanitari terapeutico-riabilitativi ed interventi sociali educativo-pedagogici, sostegno alle famiglie, con una prevalenza variabile fra gli uni e gli altri. Tale necessità si presenta anche quando i minori sono inseriti in strutture semi-residenziali.

Le soluzioni adottate dalle varie regioni sono diversificate, sono previste infatti strutture residenziali terapeutico-riabilitative a gestione sanitaria e strutture residenziali socio-educative a gestione sociale, nelle quali gli eventuali interventi sanitari sono garantiti dalle ASL, anche tramite protocolli di collaborazione con i servizi di neuropsichiatria per l'infanzia e l'adolescenza.

  Peraltro, nelle strutture di accoglienza la massima richiesta è quella di supporto psicologico per problemi di comportamento che rientrano nella norma in bambini che hanno subìto traumi.

Alla domanda posta dalla senatrice Blundo sull'aumento delle patologie neuropsichiatriche causate dal vissuto familiare ovvero dall'alienazione parentale del bambino, che necessitano di risposte adeguate, il Ministro ha replicato che tale incremento è causato da vari fattori che solo in alcuni casi coinvolgono il contesto familiare, mentre in altri si tratta di patologie di tipo neuropsichiatrico. L'aumento è anche determinato dal fatto che alcune di tali patologie in passato non erano diagnosticate, né trattate in modo adeguato. Si tratta in particolare dei cd. disturbi da deficit di attenzione e iperattività (ADHD – Attention Deficit Hyperactivity Disorder).

  Ci sono poi le terapie da trauma e tutto ciò che riguarda il campo cognitivo-comportamentale, che è altrettanto importante e va rafforzato, in particolare per quanto riguarda quei minori senza una diversa forma di tutela.

  Sono state quindi evidenziate al riguardo le carenze e le disparità a livello territoriale che comportano la necessità di rafforzare il tema della tutela delle disabilità intellettive e delle demenze, che è un aspetto che ovviamente riguarda anche i bambini che si trovano fuori famiglia.

  Tutto ciò necessita di un monitoraggio sul territorio dal punto di vista terapeutico, ma anche dell'assistenza sociale, perché anche i progetti che riguardano i bambini ospitati nelle case famiglia durante la settimana e che il weekend sono con uno dei due genitori, andrebbero seguiti e monitorati per comprendere i contesti in cui si trovano nelle famiglie di origine.

A tale riguardo è stato quindi posto il tema della necessità di una maggiore integrazione socio-sanitaria relativamente ai minori da parte della senatrice Mattesini che, nell'ottica di aiutare i comuni rispetto alle carenze nel sostegno psicologico, auspica la creazione di un tavolo tecnico tra MLPS e Ministero della Salute per predisporre un progetto in tal senso. Il Ministro ha evidenziato di aver proposto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali una bozza di iniziativa per far dialogare meglio e di più il sistema salute e quello della socio-assistenza.

Quanto agli auspici espressi dal Ministro per quanto riguarda i minori fuori famiglia, al di là delle sue specifiche competenze in materia, vi è in primo luogo quello relativo alla necessità di aiutare i comuni e le ASL nell'esercizio delle rispettive funzioni nelle diversità territoriali nel seguire i minori che si trovano in strutture di accoglienza.

8. Gli interventi di sostegno alle famiglie con minori.

  Al fine di prevenire gli allontanamenti dei minori dalle proprie famiglie di origine è fondamentale, come sottolineato da tutti gli auditi e dai componenti la Commissione, il sostegno alla genitorialità e quindi gli interventi di prevenzione e di aiuto nei confronti dei nuclei familiari più fragili sotto il profilo culturale ed economico.

  I primi interventi in tal senso sono stati disposti dalla legge n. 285 del 1997, recante “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza”, che ha segnato una fondamentale innovazione nell'ambito delle politiche per l'infanzia, istituendo un apposito Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (114), finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale, per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, nonché la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando in tal senso la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Il Fondo nazionale è ripartito tra Regioni e Province autonome ed una quota riservata di esso, pari al 30%, è destinato al finanziamento di interventi da realizzare nelle 15 città cd. riservatarie, sulla base di specifici criteri indicati dalla legge (115).

Tale legge, nel costruire un sistema di valorizzazione delle buone pratiche, di raccolta di documentazione e di prassi progettuali virtuose, riconoscendo tra l'altro alle periferie un ruolo strategico con la promozione di una progettazione partecipata, prevede tra gli strumenti di attuazione un tavolo di coordinamento tra le città riservatarie, il MLPS e la Banca dati dei progetti.

Per quanto riguarda nel dettaglio gli interventi di sostegno alla genitorialità, si ricorda che l'articolo 4 della citata legge n. 285 prevede interventi in materia di servizi di sostegno alla relazione genitore-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali. Tale disposizione appare di particolare rilievo in quanto stabilisce che le finalità dei progetti ammessi al finanziamento del Fondo possano essere perseguite attraverso misure specifiche in favore delle famiglie come ad esempio: l'erogazione di un minimo vitale in favore di minori in stato di bisogno inseriti in famiglie particolarmente fragili; attività di informazione e sostegno alle scelte di maternità e paternità; azioni di sostegno per prevenire le situazioni di rischio psico-sociale, con il potenziamento dei servizi per interventi domiciliari e di sostegno alla frequenza scolastica; servizi di mediazione familiare e di consulenza per famiglie e minori per superare le difficoltà relazionali.

Si ricorda che il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza viene annualmente rifinanziato nell'ambito del disegno di legge di stabilità e il successivo riparto di fondi avviene in base ad uno schema di decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza unificata (116).

  Nel triennio 2014-2016 sono state ripartite annualmente somme comprese tra i 28 e i 30 milioni di euro circa. Tali somme vengono trasferite con vincolo di destinazione sulla base della progettazione di servizi per l'infanzia e l'adolescenza ai sensi della citata normativa.

  Da ultimo, per l'anno 2017, il predetto Fondo è stato rifinanziato in favore delle 15 città riservatarie per un importo complessivo di 28.794.000 e le città di Roma, Napoli e Palermo hanno ottenuto, rispettivamente, il 21,7, il 16,2 e l'11,28% del totale delle risorse disponibili (117).

Successivamente, la legge n. 328 del 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, all'articolo 16, ha introdotto disposizioni in materia di valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari, prevedendo che il sistema integrato di interventi e servizi sociali riconosca e sostenga il ruolo peculiare delle famiglie nella formazione e nella cura della persona, nella promozione del benessere e nel perseguimento della coesione sociale; sostenga e valorizzi i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana; sostenga la cooperazione, il mutuo aiuto e l'associazionismo tra le stesse; valorizzi il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di proposte e di progetti per l'offerta dei servizi e nella valutazione degli stessi. Si dispone inoltre che, al fine di migliorare la qualità e l'efficienza degli interventi, gli operatori coinvolgano e responsabilizzino le persone e le famiglie nell'ambito dell'organizzazione di tali servizi.

La medesima norma, al comma 2, prevede altresì che i livelli essenziali delle prestazioni sociali erogabili nel territorio nazionale (art. 22), e i progetti obiettivo (art. 18, co. 3, lettera b), tengano conto delle esigenze di favorire le relazioni, la corresponsabilità e la solidarietà fra generazioni, di sostenere le responsabilità genitoriali, di promuovere le pari opportunità e la condivisione di responsabilità tra donne e uomini, riconoscendo altresì l'autonomia di ciascun componente della famiglia.

Si stabilisce inoltre che, nell'ambito del sistema integrato di interventi e servizi sociali, abbiano priorità: a) l'erogazione di assegni di cura e altri interventi a sostegno della maternità e della paternità responsabile, da realizzare in collaborazione con i servizi sanitari e con i servizi socio - educativi della prima infanzia (118); b) le politiche di conciliazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura, promosse anche dagli enti locali ai sensi della legislazione vigente; c) i servizi formativi ed informativi di sostegno alla genitorialità, anche attraverso la promozione del mutuo aiuto tra le famiglie; d) le prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di carattere economico, in particolare per le famiglie che assumono compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani; e) i servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia, ed in particolare i componenti più impegnati nell'accudimento quotidiano delle persone bisognose di cure particolari ovvero per sostituirli nelle stesse responsabilità di cura durante l'orario di lavoro; f) i servizi per l'affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e percorsi formativi, i compiti educativi delle famiglie interessate.

La citata disposizione prevede altresì che, per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l'autonomia finanziaria di nuclei monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in difficoltà, di famiglie che hanno a carico soggetti non autosufficienti con problemi di grave e temporanea difficoltà economica, di famiglie di recente immigrazione che presentino gravi difficoltà di inserimento sociale, i comuni - nell'ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19 (119) - in alternativa a contributi assistenziali in denaro, possano concedere prestiti sull'onore, consistenti in finanziamenti a tasso zero secondo piani di restituzione concordati con i destinatari degli stessi (120).

Si stabilisce infine che i comuni possano prevedere agevolazioni fiscali e tariffarie rivolte alle famiglie con specifiche responsabilità di cura, nonché deliberare ulteriori riduzioni dell'aliquota dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) per la prima casa, nonché tariffe ridotte per l'accesso a più servizi educativi e sociali.

Si ricorda poi l'istituzione del Fondo nazionale per le politiche sociali (FNPS), ad opera della legge n. 449 del 1997 (l. finanziaria per il 1998) che è la fonte nazionale di finanziamento specifico degli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie, così come previsto dalla legge quadro di riforma del settore n. 328 del 2000. Tale Fondo, in particolare, va a finanziare un sistema articolato di Piani sociali regionali e Piani sociali di zona che descrivono, per ciascun territorio, una rete integrata di servizi alla persona rivolti all'inclusione dei soggetti in difficoltà o, comunque, all'innalzamento del livello di qualità della vita. Tale modalità di intervento ridisegna un nuovo sistema di welfare che intende partire da una visione di insieme delle problematiche, per operare sugli specifici settori, sempre tenendo conto delle interdipendenze tra i fenomeni sociali e le politiche pubbliche.

Tra le risorse del FNPS una parte delle quote è riservata a 15 Comuni italiani, come previsto dalla legge 285/97, per la realizzazione di progetti destinati ai diritti dell'infanzia e all'adolescenza. Le risorse contenute nel FNPS finanziano due aree d'intervento: da una parte trasferimenti economici alle persone e alle famiglie che vengono gestiti attraverso l'INPS; dall'altra, contribuiscono a finanziare la rete integrata di servizi sociali territoriali. Tale parte viene ripartita tra le Regioni che, a loro volta ed in base alle proprie normative e programmazioni sociali, attribuiscono le risorse ai comuni. Sono questi ultimi gli enti responsabili dell'erogazione dei servizi ai cittadini, organizzati e programmati all'interno dei Piani sociali di zona, dentro i quali più comuni possono associarsi per una gestione integrata dei propri servizi.

All'interno del Fondo, ripartito tra le Regioni, esistono peraltro macro aree relative all'argomento oggetto dell'indagine, con particolare riguardo alle “comunità e residenze a favore dei minori e persone con fragilità” (121). Si ricorda che nel 2014 sono state ripartite complessivamente somme per un importo di 262.618.00,00, mentre per l'anno 2015 sono state ripartite somme per 278.192.953,00, con appositi schemi di decreto del MLPS, di concerto con il MEF, acquisita l'intesa in sede di Conferenza unificata (122).

Si ricorda poi che l'articolo 19, comma 1, del decreto-legge 223/2006 (convertito dalla l. 248/2006), ha istituito il Fondo per le politiche della famiglia presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è stato ridisciplinato dalla finanziaria per il 2007 che ha fra l'altro istituito l'Osservatorio nazionale sulla famiglia.

Le risorse destinate nel loro complesso alle politiche familiari sono assegnate mediante un apposito decreto di ripartizione. Dal 2010 le risorse afferenti al Fondo sono ripartite fra interventi relativi a compiti ed attività di competenza statale ed attività di competenza regionale e degli enti locali. Nell'ultimo quinquennio, gli stanziamenti finalizzati alle politiche di sostegno alla famiglia hanno registrato una considerevole riduzione. Nel 2011, il Fondo ha subito un forte ridimensionamento, legato, secondo quanto affermato dal MEF, alla necessità di alimentare il costituendo Fondo per il federalismo, con conseguente azzeramento dei trasferimenti di risorse al sistema delle autonomie.

Il Fondo per le politiche della famiglia è stato dotato di 3 milioni di euro per il 2006 e di 10 milioni a decorrere dal 2007. La legge finanziaria per il 2007 (123) ne ha incrementato gli stanziamenti di 210 milioni di euro per il 2007 e di 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, definendone alcuni specifici utilizzi quali: l'istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia; il finanziamento di iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro (124) (cd. flessibilità di orario) con quote annualmente individuate con decreto (del Presidente del Consiglio o suo delegato alle politiche per la famiglia), per l'erogazione di risorse in favore di datori di lavoro privati, aziende sanitarie o ospedaliere al fine di attuare accordi contrattuali finalizzati allo scopo; iniziative sperimentali di abbattimento dei costi dei servizi per le famiglie con numero di figli pari o superiore a quattro (125).

Nel 2010, le risorse del Fondo, quantificate dalla legge finanziaria per il 2010 (126) ammontavano a 185,3 milioni di euro, mentre nel 2011 le stesse, come prima accennato, hanno subito un forte ridimensionamento, con un ammontare quantificato nella legge di stabilità 2011 pari a 51,5 milioni di euro, di cui solo 25 milioni di competenza statale. (127) Nel 2012, l'importo del Fondo, quantificato nella legge di stabilità 2012, è stato pari a circa 32 milioni di euro, di cui solo 10,8 milioni di competenza statale (128). Nel triennio 2013-2015, le quantificazioni nella legge di stabilità ammontavano, rispettivamente, a 19,8 milioni (di cui 16,9 milioni di competenza statale), 20,9 milioni (con successive decurtazioni di circa 4,3 milioni in corso d'anno) e 18,3 milioni di euro (129).

La legge di stabilità per il 2014 (130) ha, inoltre previsto, per il solo anno 2015, l'istituzione di un Fondo nello stato di previsione del MEF, con dotazione di 112 milioni, da destinare ad interventi a favore della famiglia, specificamente finalizzato: per una quota di 100 milioni, al rilancio del piano per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia (131), in attesa della definizione dei livelli essenziali delle prestazioni; e, per la restante quota di 12 milioni, ai programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti (132).

Più recentemente, la quantificazione del Fondo per le politiche della famiglia fissata dalla legge di stabilità per il 2016 (133) è stato pari a 22,6 milioni, somma che è stata poi decurtata di 15 milioni di euro annui a decorrere dal 2016, ai sensi della medesima legge (134). Nel 2017, la legge di bilancio n. 232 del 2016 ha infine autorizzato la spesa di 5,14 milioni di euro, cifra che ha subito decurtazioni in corso d'anno, arrivando ad una somma di competenza nel 2017 pari a 2,8 milioni di euro (135).

  Da ultimo, si ricorda che la legge n. 205 del 27 dicembre 2017 - legge di bilancio 2018 - ha introdotto una serie di novità in materia di sostegno alle politiche per la famiglia, tra cui si evidenziano, in particolare, la tutela per i diciottenni che vivono fuori dalla famiglia di origine in base ad un provvedimento dell'autorità giudiziaria, per i quali si riserva, un ammontare pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019, 2020, nell'ambito della quota del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, al fine di prevenire tali situazioni, e permettere a questi ragazzi di completare il percorso di crescita verso l'autonomia, garantendo la continuità dell'assistenza fino al compimento del ventunesimo anno di età (articolo 1, comma 250).   

  L'istituzione di un Fondo, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare, con una dotazione iniziale di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019, 2020. Tale fondo è destinato alla copertura finanziaria e ad interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell'attività di cura non professionale del caregiver familiare definito come la persona che assiste e si prendere cura: del coniuge; dell'altra parte dell'unione civile; del convivente di fatto; di un affine entro il secondo grado; di un familiare entro il terzo grado (136) che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, e sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ex lege. n. 104 del 1992 o sia titolare di indennità di accompagnamento ex lege n. 18 del 1980.

                                  Si prevede altresì la detraibilità fiscale - in misura pari al 19% ex articolo 15, comma 1, del D.P.R. n. 917 del 1986 - delle spese sostenute per minori o maggiorenni con disturbi specifici dell'apprendimento (DSA), fino al completamento della scuola secondaria di secondo grado, per l'acquisto di strumenti compensativi e sussidi tecnici e informatici necessari all'apprendimento, oltre alle spese sostenute per l'uso di strumenti che favoriscano la comunicazione verbale e assicurino ritmi graduali di apprendimento delle lingue straniere. In tali ipotesi è necessario produrre un certificato medico che attesti il collegamento funzionale tra sussidi e strumenti acquistati e il tipo di disturbo dell'apprendimento diagnosticato. 216.

                                  L'articolo 1, comma 216, della citata legge di bilancio per il 2018, prevede inoltre che, per il soddisfacimento delle nuove e maggiori esigenze dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza connesse all'adempimento, anche in sede locale, dei compiti in materia di minori stranieri non accompagnati, previsti dall'articolo 11 della legge 7 aprile 2017, n. 47, la stessa Autorità garante sia autorizzata ad avvalersi di ulteriori 10 unità di personale, collocate in posizione di comando obbligatorio ai sensi e per gli effetti dell'articolo 5, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 112, per gli anni 2018, 2019 e 2020.

Si ricorda infine che, nel presente ddl di bilancio per il 2018, la dotazione del Fondo per le politiche della famiglia risulta pari a circa 5 mln di euro per il triennio 2017-2019.

Alla domanda relativa a quanto si spenda complessivamente sui minori, posta dalla senatrice Mattesini e alla mancanza di una regia unitaria in tal senso, è stato replicato dal direttore generale della D.G. per l'inclusione e le politiche sociali, Raffaele Tangorra, come il MLPS lavori costantemente per riportare alle origini (circa 44 mln di euro) la capienza del Fondo nazionale per le politiche sociali, di cui alla legge n. 285/1997, in prossimità della discussione annuale del disegno di legge di stabilità. Peraltro, al fine dell'utilizzo di tali risorse il Ministero, nel corso degli ultimi anni, ha cercato di delineare tre grandi aree di intervento (infanzia, disabilità e non autosufficienza e povertà) al fine di programmare le risorse con i relativi interventi sulla base di tale suddivisione e con l'impegno a monitorare.

Per quanto riguarda i finanziamenti europei, è stato poi ricordato come nei prossimi anni, si utilizzeranno per la prima volta i fondi strutturali, anche in misura consistente per le politiche di lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

Dal punto di vista delle risorse del Fondo sociale europeo, il PON Inclusione - per la prima volta è previsto un programma operativo nazionale che si occuperà di inclusione sociale - rivolge la sua attenzione alla parte di attivazione legata a quello che oggi si chiama SIA, cioè il Sostegno per l'inclusione attiva, dato alle famiglie con figli, alle quali si guarda nella loro interezza. Non è un sussidio che guarda solo all'adulto e alla ricerca di una possibile occupazione, ma ai bisogni complessivi della famiglia, dei minori, essendo sottoposto il sostegno a una condizionalità legata alla frequenza scolastica dei bambini, nonché alla partecipazione ad attività legate allo sviluppo dell'infanzia. Si tratterà, quindi, di risorse aggiuntive che arriveranno ai territori rispetto a quelle già stanziate.

È stato anche osservato come l'accompagnamento genitoriale in molti casi potrebbe servire a prevenire gli allontanamenti dei minori dalle famiglie di origine ed, in tal senso, è stato prospettato l'utilizzo del fondo per la lotta alla povertà educativa previsto nella legge di stabilità, per questo tipo di attività di sostegno alla genitorialità difficile.

Si ricorda inoltre che, nel 2012, il Consiglio dei Ministri ha approvato, su proposta del Ministro della cooperazione internazionale e dell'integrazione con delega alla famiglia, il Piano nazionale per la famiglia (137), che, in attuazione della disposizione contenuta nella l. 296/2006, (l. finanziaria per il 2006) (138), prevede che il Ministro delle politiche per la famiglia si avvalga del Fondo per le politiche della famiglia anche al fine di finanziare l'elaborazione, realizzata d'intesa con le altre amministrazioni statali competenti e la Conferenza unificata, di un piano nazionale per la famiglia che costituisca il quadro conoscitivo, promozionale e orientativo degli interventi relativi all'attuazione dei diritti della famiglia, nonché l'acquisizione di proposte e indicazioni utili per il Piano e verificarne successivamente l'efficacia, attraverso la promozione e l'organizzazione con cadenza biennale di una Conferenza nazionale sulla famiglia.

Il testo del Piano nazionale per la famiglia è stato elaborato nell'ambito delle attività dell'Osservatorio nazionale sulla famiglia e reca una serie di interventi in materia di: equità economica (fiscalità generale, tributi locali, revisione dell'ISEE); politiche abitative per la famiglia; lavoro di cura familiare (servizi per la prima infanzia, congedi, tempi di cura e interventi sulla disabilità e non autosufficienza); pari opportunità e conciliazione tra famiglia e lavoro; privato sociale, terzo settore e reti associative familiari; servizi consultoriali e di informazione (consultori, mediazione familiare, centri per le famiglie); immigrazione (sostegni alle famiglie immigrate); alleanze locali per le famiglie e, infine, il costante monitoraggio di tali politiche.

Le tre aree di intervento ritenute urgenti sono quelle relative alle famiglie con minori, in particolare, quelle numerose con 3 o più figli; a quelle con persone con disabilità o anziani non autosufficienti ed infine alle famiglie con disagi conclamati sia nella coppia, sia nelle relazioni genitori-figli.

Infine, nel Piano si accenna all'importante tema dell'identificazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali. Al riguardo si sottolinea “l'urgente necessità dell'Italia di avere un quadro organico e di medio termine delle politiche familiari”, facendosi riferimento alla modifica delle competenze in materia di politiche familiari a seguito dell'attuazione del nuovo Titolo V della Costituzione e della riforma in senso federale dello Stato italiano, e specificandosi altresì che sarà necessario trovare “misure che potranno e dovranno essere messe in capo alle istituzioni secondo i vari livelli territoriali, nel quadro di uno Stato sociale plurale, sussidiario e societario, che tenga conto anche della necessità di assicurare i livelli essenziali di prestazione su scala nazionale".

  Ulteriori disposizioni recanti interventi di sostegno alle famiglie in difficoltà sono contenute nel decreto legislativo n. 154 del 2013 che, ha aggiunto l'articolo 79-bis alla legge n. 184 del 1983, che prevede che il giudice minorile segnali ai comuni le situazioni di indigenza di nuclei familiari che richiedono interventi di sostegno per consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia.

  Infine, si ricorda che nel corso della legislatura è stata varata l'attesa riforma dell'ISEE e si è proseguito con il finanziamento della Carta acquisti, utilizzata sia come misura di sostegno al reddito (Carta acquisti ordinaria) per anziani al di sopra dei 65 anni o bambini al di sotto dei 3 anni, sia come strumento di inclusione sociale (Carta acquisti sperimentale/Sostegno per l'inclusione attiva-SIA) per i nuclei familiari in situazione di disagio lavorativo ove siano presenti minori.

  Successivamente, la legge di stabilità per il 2016 ha prefigurato l'avvio di una misura nazionale di contrasto alla povertà, intesa come rafforzamento, estensione e consolidamento della Carta acquisti sperimentale – SIA. A conclusione di tale percorso, il decreto legislativo n. 147 del 2017 ha reso operativo, dal 1° gennaio 2018, il Reddito di inclusione sociale - ReI, la prima misura nazionale di contrasto alla povertà.

  Misure di carattere temporaneo a sostegno del nucleo familiare sono state inoltre introdotte dalle leggi di stabilità per il 2015 e per il 2016. Nel dettaglio, la legge di stabilità per il 2015 ha previsto un beneficio economico per i nuovi nati e per i bimbi adottati nel periodo 1° gennaio 2015 - 31 dicembre 2017 all'interno di nuclei familiari con determinati redditi ISEE (bonus bebé) e misure economiche di sostegno per l'acquisto di beni e servizi a favore dei nuclei familiari disagiati.

  Più recentemente, la legge di bilancio per il 2017 ha previsto un premio alla nascita o all'adozione di un minore, pari ad 800 euro, ed ha introdotto, a regime, l'erogazione di un buono per il pagamento di rette relative alla frequenza di asili nido pubblici o privati. Il beneficio è anche utilizzabile per il supporto, presso la propria abitazione, dei bambini al di sotto dei tre anni affetti da gravi patologie croniche. La legge n. 205 del 27 dicembre 2017 - legge di bilancio 2018 ha inoltre disposto la proroga del bonus bebè, nel senso che l'assegno previsto dall'articolo 1, comma 125, della legge n. 190 del 2014, viene riconosciuto anche per ogni figlio nato o adottato dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2018 e potrà essere corrisposto esclusivamente fino al compimento del primo anno di età ovvero del primo anno di ingresso del minore nel nucleo familiare a seguito di adozione.

Nel corso dell'audizione del Presidente del Consiglio dell'ordine degli assistenti sociali, Gianmario Gazzi, sono stati approfonditi, tra gli altri, anche gli aspetti relativi al sostegno dei nuclei familiari al fine di prevenire gli allontanamenti. In tal senso si è ricordato come, a partire dagli anni 70, gli assistenti sociali si siano impegnati nei processi di deistituzionalizzazione, nella progettazione e realizzazione di interventi finalizzati al sostegno della famiglia naturale nell'esercizio di una genitorialità adeguata (139).

  In tale direzione si è inserito il Programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione (cd. progetto PIPPI), avviato a partire dalla fine del 2010, che si è proposto di innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie negligenti, al fine di ridurre il rischio di allontanamento dei bambini dal nucleo familiare di origine.

  Il programma di ricerca, intervento e formazione si è articolato in tre fasi:

  · 2011-2012 adesione di 10 città riservatarie della legge 285/97 (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Torino, Venezia); 89 famiglie target nel gruppo sperimentale, 122 bambini; 35 famiglie e 37 bambini nel gruppo di controllo;

  · 2013-2014 adesione di 9 città (Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Palermo, Reggio Calabria, Torino, Venezia) con 170 famiglie e 249 bambini del gruppo sperimentale; 54 famiglie e 49 bambini del gruppo di controllo;

  · 2014-2015 estensione a 50 ambiti territoriali appartenenti a 17 regioni e una provincia autonoma, coinvolgimento di 500 famiglie.

Le famiglie target della sperimentazione hanno figli minori tra 0-11 anni e non comprendono situazioni di bambini o ragazzi in condizioni di grave pregiudizio per la loro incolumità e sviluppo psico-fisico, quali forme di maltrattamento o abuso, per le quali sono necessari più urgenti e tempestivi interventi di protezione.

  Il progetto PIPPI se, da un lato, ha ripreso alcuni assunti fondamentali della professione di assistente sociale contenuti nel codice deontologico, quali la valorizzazione dell'autonomia, della soggettività, della capacità di assunzione di responsabilità delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali, dall'altro, ha avuto il merito di definire un protocollo d'intervento e di sperimentare con le famiglie più vulnerabili un metodo di lavoro che, in futuro, potrebbe diventare stabile e integrato nelle prassi dei servizi socio-sanitari e educativi dell'intero Paese.

  Infatti, a fronte di un sostanzioso corpus legislativo che regolamenta i diritti dei bambini, è indubbia l'esistenza di un'ampia disomogeneità a livello nazionale relativamente alle modalità di implementazione delle leggi, anche esito della riforma in senso federalista dello Stato, che rischia di non garantire in ugual misura l'esigibilità dei diritti dei minori.

  La sperimentazione mira a valutare l'efficacia di programmi multidimensionali specifici volti a rispondere ai bisogni delle famiglie negligenti e basati sulle risorse loro e del loro ambiente vitale, attraverso la formulazione e realizzazione di progetti di intervento intensivi e integrati fra organizzazioni e professioni, che consentano alle famiglie di affrontare progressivamente i loro problemi, migliorare le competenze genitoriali e la qualità delle proprie relazioni familiari e sociali, divenendo protagoniste attive del progetto che le riguarda. La realizzazione di ogni singolo progetto di intervento è demandata ad un'équipe multidisciplinare che svolge una funzione operativa che garantisce qualità, continuità e correttezza nei processi di presa in carico, nell'implementazione del processo e nell'utilizzo degli strumenti previsti.

  Ogni équipe multidisciplinare dovrebbe essere composta da un operatore responsabile del caso; uno psicologo; un'assistente sociale; un educatore domiciliare; il pediatra di famiglia; persone (professionisti e non) appartenenti alla comunità: famiglie di appoggio in primis; educatore e/o insegnante dei bambini coinvolti; membri della famiglia target.

  Anche in tale caso, il progetto, attraverso la previsione delle équipe multidisciplinari, intende dare concretezza al dettato normativo che prevede la realizzazione di interventi socio-sanitari finalizzati a sostenere e valorizzare i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana; sostenere la cooperazione, il mutuo aiuto e l'associazionismo delle famiglie; valorizzare il ruolo attivo delle famiglie nella formazione di proposte e di progetti per l'offerta dei servizi e nella valutazione dei medesimi (articolo 16, l. n. 328/2000). Il programma PIPPI prevede l'attivazione dei seguenti dispositivi di intervento che sono inseriti nella progettazione concordata all'interno delle équipe multidisciplinari con la famiglia e con i vari operatori coinvolti: educativa domiciliare, sostegno sociale (famiglia d'appoggio), gruppi con i genitori. Gli educatori domiciliari realizzano il loro intervento a casa delle famiglie per valorizzare le risorse esistenti e per accompagnare i genitori nel superamento delle difficoltà, consentendo loro di apprendere strategie di fronteggiamento che li rendano sempre più autonomi. L'intervento domiciliare è finalizzato al miglioramento della relazione tra genitori e figli; al sostegno dei genitori nello sviluppo delle competenze educative per rispondere ai bisogni dei bambini; al sostegno dei bambini nel processo di apprendimento nei diversi contesti di vita di abilità affettivo relazionali.

L'intervento della famiglia di appoggio rappresenta una forma di solidarietà tra famiglie, presente in moltissime culture, che ha quale finalità il sostegno di un nucleo familiare attraverso la solidarietà di un altro nucleo. Tale modulo privilegia la dimensione informale dell'intervento e promuove la creazione di reti sociali che potranno continuare ad essere presenti anche dopo la chiusura dell'intervento istituzionale.

L'invito a sostenere e valorizzare il mutuo aiuto e l'associazionismo delle famiglie contenuto nell'articolo 16 della legge n. 328 del 2000 ha orientato le politiche degli enti gestori dei servizi socio-assistenziali che, in differenti realtà territoriali, hanno sperimentato questa forma di aiuto tra famiglie, ripresa poi nel progetto PIPPI.

Dal report relativo alla seconda implementazione del programma PIPPI (2013-2014) si evince l'efficacia dello stesso, resa evidente dal raffronto tra la situazione iniziale delle famiglie coinvolte e quella finale che risulta essere complessivamente migliorata e dagli obiettivi di cambiamento, concordati nell'ambito della progettazione partecipata, che risultano essere stati, in buona parte, raggiunti. Si fa presente che è stato anche pubblicato il Rapporto di valutazione del programma relativo agli anni 2015-2016 (140).

Infine si ricorda che, a sostegno del contrasto al fenomeno della povertà, la legge di stabilità per il 2016 ha istituito, in via sperimentale per il triennio 2016/2018 il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, che sarà alimentato dalle fondazioni di origine bancaria (FOB), alle quali è riconosciuto un contributo, sotto forma di un credito di imposta, pari al 75% dei versamenti effettuati al fondo. Per l'istituzione del fondo, la legge di stabilità ha previsto uno stanziamento di 100 milioni per ogni anno di sperimentazione. Le modalità di organizzazione e governo del Fondo sono state definite con un Protocollo d'intesa tra le fondazioni bancarie, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali nell'aprile del 2016.

Successivamente, sono stati emanati i primi due bandi nazionali, elaborati sulla base delle linee guida tracciate da un comitato di indirizzo strategico dedicati, rispettivamente, alla prima infanzia (0-6 anni) e all'adolescenza (11-17 anni). Complessivamente, sono stati stanziati 115 milioni di euro, di cui 69 destinati alla prima infanzia e 46 all'adolescenza. Si prevede al riguardo che le organizzazioni del terzo settore e le istituzioni scolastiche presentino proposte di progetti per combattere la povertà educativa.

8.1 Il IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva.

Anche il IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva – cd. Piano nazionale infanzia (PNI) – per il biennio 2016-2017, tra gli obiettivi tematici e le azioni previste, prevede il sostegno alla genitorialità, al sistema integrato dei servizi e a quello dell'accoglienza (141).

L'attenzione al sistema di sostegno alla genitorialità deve integrare la dimensione della promozione delle competenze genitoriali nei normali contesti di vita e quella della prevenzione e protezione rispetto a specifiche situazioni di rischio e/o di pregiudizio, cui è necessario rispondere in modo appropriato attraverso i contesti sociali, istituzionali e normativi, con l'obiettivo primario del recupero delle competenze genitoriali.

Tale fine dovrà essere perseguito attraverso l'individuazione, il rafforzamento e l'implementazione nelle comunità locali di tutte le occasioni e le opportunità di costruzione di relazioni di prossimità, legami e reti (il cd. capitale sociale), tali da favorire attenzione solidale, inclusione e pari opportunità per genitori e figli.

Le capacità di risposta da parte del sistema pubblico dei servizi e delle istituzioni introduce il tema ampio e complesso delle risorse disponibili, in particolare della necessità di reindirizzare e qualificare il sistema dell'accoglienza dei bambini e degli adolescenti allontanati dalla famiglia di origine.

In tale prospettiva, gli obiettivi tematici generali e specifici che il Piano intende valorizzare sono rappresentati dal sostegno alla genitorialità, attraverso azioni atte a rinforzare il sistema di promozione, prevenzione e protezione dei bambini in situazione di vulnerabilità e attraverso l'azione di promozione della genitorialità nei diversi contesti di vita.

Da questo obiettivo generale discendono ulteriori obiettivi specifici che delineano già linee di intervento prioritarie costituite principalmente: dalla riorganizzazione/implementazione del sistema locale dei servizi di prossimità e degli interventi di sostegno per garantire risorse uniformi, stabili e complementari a tutte le famiglie, secondo il principio delle pari opportunità; nonché dalla diffusione e messa a sistema di pratiche innovative di intervento basate sulla valutazione multidimensionale delle relazioni familiari e sulla valutazione di processo ed esito dei percorsi di accompagnamento e di presa in carico delle famiglie vulnerabili.

  Per quanto riguarda il primo obiettivo generale, le azioni proposte per la sua attuazione prevedono una governance del sistema pubblico che sappia promuovere una corresponsabilità tra la dimensione professionale espressa dagli operatori pubblici, della cooperazione sociale e del volontariato. La differenziazione territoriale in termini di sistemi di offerta delle prestazioni e risorse investite pro-capite pone anche in tale ambito problemi molto rilevanti di equità e di pari opportunità di accesso ai servizi di promozione, prevenzione, e protezione per i bambini, gli adolescenti e le famiglie. Il riallineamento e una maggiore uniformità nella gamma di prestazioni sono obiettivi da perseguire in via prioritaria al fine di ridurre il divario sociale tra le varie parti del Paese: situazione destinata ad accrescere il rischio di esclusione sociale e di aggravamento delle situazioni familiari sino alla cronicizzazione di situazioni di vulnerabilità e pregiudizio.

In tale ottica, si individuano alcune funzioni che è possibile qualificare come livelli essenziali afferenti a tale ambito e che prevedono: l'attivazione omogenea in tutto il territorio nazionale di azioni di sistema strutturali, durature, adeguatamente finanziate, programmate, monitorate e verificate dagli Uffici di Piano quali ambiti di presidio delle politiche socio-sanitari del Paese; l'attivazione di interventi e servizi di cura e sostegno alla quotidianità e di promozione delle competenze genitoriali, capaci di riconoscere e implementare le risorse e accogliere e prevenire le fragilità. Tali azioni sono caratterizzate da: interventi professionali, socio-sanitari e pedagogici, che promuovono la conoscenza e l'integrazione di servizi a sostegno delle famiglie con carichi di cura e valorizzano forme di reciprocità, mutuo-aiuto e solidarietà tra famiglie; dall'attivazione e cura degli interventi di prevenzione e promozione della salute; dall'attivazione di livelli di integrazione e complementarietà tra ente pubblico e servizio sociale, consultori familiari, istituzioni scolastiche, servizi socio-educativi e Centri per le famiglie, medicina e pediatria di base, servizi e sportelli informativi a supporto delle famiglie, cooperazione sociale e soggetti della società civile (reti associative, gruppi volontari, ecc.).

Tali obiettivi possono essere garantiti grazie al potenziamento ed alla riqualificazione della rete dei consultori familiari, vero e proprio servizio di prossimità caratterizzato da un approccio multidisciplinare che si esprime con la compresenza di diverse figure professionali.

Sempre nell'area della promozione e della prevenzione e in stretta sinergia e complementarietà con i servizi consultoriali, il Piano intende promuovere le funzioni e le esperienze dei Centri per le famiglie, servizi di supporto “precoce” alle normali fatiche familiari, destinati alle famiglie con figli di minore età, orientati al potenziamento delle competenze genitoriali, alla promozione di pratiche di reciprocità e alle funzioni di corretta informazione ed orientamento sulle risorse ed opportunità attive sul territorio.

Tali funzioni, nel rispetto dell'organizzazione locale dei servizi, vengono promosse nella consapevolezza che lo sviluppo di azioni di inclusione sociale e di promozione delle competenze genitoriali comporta innanzitutto favorire e implementare azioni di sistema nei contesti territoriali al fine di costruire complementarietà, integrazione e sinergie tra i diversi soggetti istituzionali e non   Spostando l'asse di attenzione sulla prevenzione e protezione, a partire dalle famiglie vulnerabili, è opportuno evidenziare come sia la legislazione internazionale, sia quella nazionale hanno affermato la fondamentale importanza di strategie ed interventi centrati sul riconoscimento e sul conseguente sostegno della genitorialità, quale condizione necessaria a garantire un contesto familiare adeguato ai bisogni di crescita e di relazione dei bambini.

Un approccio all'intervento sulle problematiche causate dalla trascuratezza dei genitori verso i figli ispirato da questa cornice legislativa e concettuale scommette sulla costruzione e/o sulle possibilità di recupero di un rapporto relazionale tra figli e genitori nel quale ai primi non venga meno la garanzia di un adeguato livello di sicurezza ed i secondi siano messi in condizione di apprendere cosa è necessario fare in termini di educazione, di accudimento fisico e psicologico, ecc. per prevenire l'aggravarsi delle situazioni e quindi l'allontanamento temporaneo. Lavorare, quindi, sulle potenzialità e sulle risorse che anche le famiglie vulnerabili possono attivare significa lavorare per promuovere un convinto investimento sull'infanzia, l'adolescenza e le giovani generazioni, ma ciò richiede che i servizi siano in grado di offrire percorsi di sostegno ed accompagnamento alle famiglie durante i loro diversi cicli di vita e nei loro mutevoli contesti sociali. Le politiche integrate sulla famiglia necessitano di un posizionamento culturale forte che si fondi sul riconoscimento del valore da attribuire alla dimensione preventiva dell'intervento sociale ed educativo, attenta all'intercettazione precoce dei bisogni come al riconoscimento delle risorse personali, familiari e sociali che ogni nucleo può portare alla luce.

Il IV Piano di azione privilegia programmi e percorsi capaci di riconoscere e attivare la rete formale ed informale che si muove intorno alla famiglia, che ne perimetra lo spazio relazionale, di vita e di crescita, in modo che possa essere strutturato un sistema di sostegno, cura e protezione allargato, che travalichi la tradizionale dimensione del servizio sociale e chiami piuttosto in causa forze e attori diversificati, anche esterni, nell'assunzione di una responsabilità condivisa. La necessità di finalizzare le risorse disponibili propone anche al settore delle politiche sociali l'esigenza di adottare la valutabilità degli interventi come un criterio di qualità imprescindibile, quale modus operandi rintracciabile in tutte le fasi del percorso di sostegno: dalla valutazione della situazione del bambino e della famiglia da attivarsi nell'assessment, passando per la progettazione personalizzata e condivisa, fino alla valutazione di esito che restituisca, in una dimensione misurabile e documentabile, gli scostamenti e i cambiamenti effettivamente prodotti. Da ciò discende l'opportunità di rendere strutturali e continuative sull'intero territorio nazionale le azioni e i programmi già sperimentati con esito positivo in alcuni ambiti al fine di prevenire gli allontanamenti impropri e garantire condizioni di benessere familiare-relazionale, a partire da esperienze, quali, ad esempio, quelle portate avanti tramite il programma PIPPI, e contestualmente valorizzando altre forme di intervento orientate al raggiungimento dello stesso obiettivo e basate su un approccio metodologico sperimentato e validato da esiti documentabili.

  Si ricorda che la Commissione ha svolto specifiche audizioni di rappresentanti dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza aventi ad oggetto il IV PNI, prima di esprimere il parere di competenza - favorevole con osservazioni - (142) che, in particolare, per quanto riguarda gli interventi di sostegno alla genitorialità, si sostanziano nell'opportunità di una sua maggiore implementazione che appare quanto mai urgente a causa delle rilevanti trasformazioni della famiglia e della società e dell'aumento delle conoscenze sull'impatto della genitorialità sullo sviluppo dei bambini e dei loro comportamenti a livello sociale.

  Il sostegno alla genitorialità implica tra le azioni ritenute urgenti e prioritarie interventi e servizi di cura e sostegno alla quotidianità e di promozione delle competenze genitoriali, per riconoscere e implementare le risorse, accogliere e prevenire le fragilità; favorire il recupero delle relazioni familiari disfunzionali tramite la valutazione e cura dei genitori maltrattanti.

Nel parere della Commissione è stata altresì sottolineata l'opportunità che gli obiettivi di sostegno familiare siano garantiti dal potenziamento e dalla riqualificazione della rete dei consultori familiari e attraverso la promozione delle funzioni ed esperienze dei centri per le famiglie. In tal senso sono ritenute indispensabili azioni di sistema nei contesti territoriali tra soggetti istituzionali e non (Enti locali, ASL, istituzione scolastica, medicina e pediatria di base, cooperazione sociale, volontariato, reti e aggregazioni di cittadini).

La Commissione ha inoltre espresso l'auspicio che l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza continui ad approfondire sia la tematica del sostegno alle diverse situazioni di criticità genitoriale (dall'insicurezza educativa, alle nuove forme di genitori separati, single, omo-genitorialità ecc.); sia quella del rapporto delle famiglie con l'istituzione scolastica, sia la collaborazione educativa tra famiglie, stante la crescente solitudine educativa, cercando di ridisegnare il crocevia educativo tra famiglie e comunità territoriali.

Anche nel corso dell'audizione di Arianna Saulini (143), responsabile monitoraggio e advocacy di Save the Children e coordinatrice del Gruppo CRC-Italia, è stato trattato il tema del sostegno alla genitorialità, considerato una delle priorità previste dal Piano. È stato però osservato come la formula standard “nei limiti degli stanziamenti previsti” utilizzata ormai abitualmente in documenti quali il PNI, determini la necessità di reperire le risorse necessarie per la sua attuazione e implementazione: “Bisogna quindi verificare se effettivamente, magari all'interno dei vari dipartimenti e ministeri, grazie a finanziamenti di fondi propri e così via, sia possibile fare cornice e soprattutto fare sistema”.

9. Il sistema di vigilanza e controllo.

  Per quanto attiene al sistema dei controlli previsti a livello normativo sulle comunità che ospitano i minori, si ricorda il dettato della legge n. 149 del 2001 che, novellando la precedente normativa del 1983, stabilisce all'articolo 9, comma 2, che: “Gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comunità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l'elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l'indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiede al tribunale, con ricorso, di dichiarare l'adottabilità di quelli tra i minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pubblici o privati o presso una famiglia affidataria, che risultano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi.

Il medesimo articolo, al comma 3, prevede poi che: “Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che trasmette gli atti al medesimo tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati ai fini di cui al comma 2. Può procedere a ispezioni straordinarie in ogni tempo” (144).

  La norma, se da un lato ha lo scopo di mettere in grado il PM di promuovere, ove necessario, il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, dall'altro, fissa criteri stringenti per i controlli su tali strutture ai fini della tutela dei diritti dei minori che vi sono ospitati.

  Inoltre, come si evidenzia nell'ultima raccolta dati curata dall'AGIA “il descritto ruolo di vigilanza affidato alle procure minorili assume ulteriore centralità costituendo il principale strumento di attuazione del diritto a una verifica periodica di ogni circostanza relativa alla collocazione di un minore fuori dalla propria famiglia, sancito dall'articolo 25 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (145).

  Peraltro, in un recente incontro organizzato dall'Autorità garante nel marzo 2017, con i procuratori della Repubblica presso i tribunali per i minorenni, i magistrati intervenuti hanno espresso il proprio consenso in merito all'opportunità di dare seguito al progetto di monitoraggio avviato dall'AGIA con le procure, sottolineando, in particolare, l'importanza, anche per le stesse procure, di avere a disposizione un quadro nazionale aggiornato e di dettaglio del fenomeno dei minori fuori dalla famiglia di origine, al fine di poter svolgere al meglio la loro funzione di verifica volta a comprendere quando, durante un inserimento in comunità, sussistano situazioni di abbandono di bambini e ragazzi di minori di età. Si ricorda inoltre che l'Autorità garante, nel corso della sua audizione in Commissione, si è soffermata sulla necessità di potenziare e rafforzare l'attività di vigilanza e controllo sulle comunità familiari (146).

  Tuttavia, come denunciato dal Gruppo CRC fin dal 2° Rapporto Supplementare del 2009, e ribadito in quelli successivi, tale meccanismo nella prassi è stato sinora disatteso, mentre sarebbe auspicabile una sua piena attuazione (147). Peraltro si osserva che, “per svolgere tali competenze, i Procuratori della Repubblica dovrebbero avvalersi della collaborazione di personale qualificato, ed autonomo rispetto agli Enti gestori, escludendo ogni forma di delega alla Polizia Giudiziaria”.

Per quanto attiene invece al livello locale, le relative competenze sono esercitate dalla Regione che svolge i controlli sui requisiti degli accreditamenti e autorizza l'attività delle case famiglia e delle comunità residenziali. Gli enti territoriali, attraverso i servizi sociali o le ASL, sono altresì competenti in materia di rispetto dei requisiti igienico-sanitari delle comunità residenziali per minori.

Come sottolineato dall'Autorità Garante, il problema è innanzitutto la sinergia tra queste tipologie di controlli, che devono essere effettivi. Naturalmente, questo significa però potenziare questi soggetti di controllo, ad esempio attraverso una polizia giudiziaria specializzata per quanto riguarda il Procuratore della Repubblica, o comunque attraverso la definizione di strumenti di raccordo tra Procura, regioni e comuni.

L'attuale situazione italiana presenta, invece, delle notevoli differenze in ordine alle dotazioni strumentali e di personale nell'ambito del territorio nazionale: in tal senso occorre senza dubbio un potenziamento di quelle ritenute inefficienti.

Si ricorda altresì che nel documento di proposta dell'AGIA in materia di comunità residenziali per minorenni (148) si sottolinea come sia “compito” obbligatorio dello Stato garantire un adeguato e rigoroso controllo circa l'operato delle realtà di accoglienza e il mantenimento degli standard e dei criteri di qualità resi cogenti sull'intero territorio nazionale. La richiesta di controlli rigorosi e certi è la strada per rispondere seriamente alle richieste avanzate sia dalle istituzioni che dalla società civile e per rifiutare definitivamente qualunque forma di strumentalizzazione ideologica, superficialità, disinformazione che oggi invece caratterizza tale realtà (vedi servizi sulla stampa, in TV, ecc.). In diversi documenti prodotti anche dai componenti del gruppo di lavoro – promosso dalla Consulta delle Associazioni presso l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza – si chiede che “vengano resi operativi i luoghi e gli strumenti di controllo già previsti e vengano chiuse le comunità che non rispondono ai requisiti e al superiore interesse dei minorenni”.

Si ribadisce pertanto la necessità di rendere effettivi ed efficienti, sull'intero territorio nazionale, i controlli previsti e le connesse responsabilità istituzionali poste in capo alle Procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni; alle aziende sanitarie locali e agli enti locali (comuni singoli e/o associati).

A tal fine occorre, tuttavia, che i soggetti preposti allo svolgimento di tali attività possano disporre di adeguate risorse finanziarie e professionali e che siano previste sanzioni nel caso in cui i controlli non siano regolarmente eseguiti (almeno ogni 6 mesi). Per tali ragioni, non si ritiene utile istituire ulteriori tipi e/o strutture di controllo delle comunità, ribadendosi invece la necessità di “far funzionare” luoghi e responsabilità istituzionali già previsti, al fine di dare concretezza all'importante funzione di controllo delle comunità residenziali, così come di tutte le realtà di accoglienza etero-familiare, come le famiglie affidatarie.

  L'Autorità garante ha peraltro ribadito l'importanza dei controlli nell'ultima relazione annuale al Parlamento (2016), sottolineando la necessità di realizzare quella auspicata sinergia tra tutti gli organi preposti per legge allo svolgimento di tale funzione (149).

  Molti degli auditi si sono soffermati sul tema dei controlli delle comunità per minori, lamentando al riguardo disfunzioni e difetti nell'esecuzione. In particolare, l'avvocato Francesco Morcavallo, ex giudice del tribunale per i minorenni di Bologna, nel corso della sua audizione, ha evidenziato in materia le responsabilità che fanno capo alle amministrazioni locali, cioè agli assessori alle politiche sociali e ai procuratori minorili, rilevando nel contempo di non aver mai visto un procuratore minorile in visita ad una comunità (150).

  Di tali controlli vi sarebbe necessità non soltanto per fare emergere casi di particolare gravità, ma anche e soprattutto a livello ordinario per analizzare aspetti di grande rilievo che ineriscono alla sensibilità di un minorenne nella vita quotidiana. A tale riguardo ha ricordato il caso di alcune strutture, ex istituti, divenuti case famiglie e/o comunità residenziali, in cui vi sono sbarre alle porte e alle finestre, pur non essendo strutture detentive.

  Nel corso dell'audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo, Amalia Settineri (151), è stato rilevato come i controlli svolti a livello regionale, consistano di fatto nella richiesta di una mera autocertificazione ai responsabili delle comunità sulla sussistenza di determinati requisiti. I Comuni dovrebbero invece svolgere controlli tramite i propri assistenti sociali, cosa che in alcuni casi avviene in altri no, considerata la carenza di personale di molti dei servizi sociali ubicati sul territorio. Al riguardo è stato citato il caso di Lampedusa che, pur essendo un'isola di piccole dimensioni, si è trovata a fronteggiare negli ultimi anni il fenomeno migratorio disponendo di un solo assistente sociale.

  La dottoressa Settineri ha quindi dato conto dell'esperienza maturata sul territorio in qualità di Procuratore, ricordando come insieme ad altre colleghe abbia ritenuto indispensabile potenziare il sistema delle ispezioni, creando nell'ambito dei rispettivi uffici, servizi a ciò dedicati, e delegando le relative funzioni alla polizia giudiziaria. Infatti l'articolo 9 della legge n. 184 del 1983 (come novellata dalla legge n. 149/2001), nel prevedere lo svolgimento delle stesse, pur stabilendo la delegabilità della funzione, non individua l'organo cui conferire la relativa delega.

  Non sarebbe peraltro stato possibile delegare tali funzioni ai servizi sociali, non essendo questi ultimi alle dipendenze funzionali dell'ufficio del Pubblico ministero. Tuttavia, tale esperienza ad un certo punto è stata interrotta essendo arrivata da parte del Ministero la richiesta di soprassedere a tale prassi a causa dei costi legati allo svolgimento di tali attività fuori dalle rispettive sedi territoriali. È stato quindi richiesto alla Procura di limitarsi ad utilizzare la Polizia giudiziaria nell'ambito territoriale di Palermo.

  Sono state anche evidenziate le difficoltà inerenti la formazione del personale preposto ai controlli, considerato che la polizia giudiziaria specializzata, insufficiente peraltro sotto il profilo numerico, dovrebbe essere formata a tale nuova attività. Infatti, per svolgere questo tipo di controllo, oltre alla verifica della struttura, è necessaria una specifica attitudine all'ascolto, per comprendere la reale situazione della vita dei minori all'interno delle comunità.

  Si è quindi ritenuto di affidare alla polizia municipale dei singoli comuni la delega alle ispezioni, in quanto essendo a maggior contatto con il territorio, è sembrata la soluzione migliore.

  La questione della formazione si è posta, però, anche in riferimento ai vigili urbani che, peraltro, in molti piccoli comuni non hanno anch'essi una dotazione organica sufficiente.

  Per tali ragioni è stata proposta la creazione di un tavolo di coordinamento presso la Prefettura del capoluogo per l'accoglienza dei minori stranieri, sebbene il problema riguardi anche i minori italiani, formato da rappresentanti della polizia giudiziaria, possibilmente specializzata e da componenti dei servizi socio-sanitari, che potrebbe costituire un organismo idoneo a valutare i vari aspetti connessi, rispondendo in tal modo alle funzionalità del comune, della regione e della procura.

  Queste tre istituzioni potrebbero avvalersi del medesimo organismo per effettuare ispezioni che, allo stato attuale, vengono svolte a campione, mentre un organismo unitario potrebbe farle su delega, ovvero intervenire quando il sostituto procuratore va ad effettuarle egli stesso. Tale proposta per essere attivata richiederebbe comunque un protocollo di intesa - anche sperimentale - con le istituzioni coinvolte, comune, regione e procure.

  Anche Liviana Marelli, responsabile del settore “Minori e famiglie” del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza e direttore generale della Società cooperativa sociale ONLUS «La Grande Casa», nel corso della sua audizione in Commissione, si è soffermata sul tema dei controlli, evidenziando la necessità di intensificarli. Occorre infatti rendere più efficace il controllo delle procure e degli enti locali, in modo da far sì che le comunità che non funzionano siano chiuse (152). Il controllo deve inoltre avvenire anche sulla scelta della struttura e sulla sua corrispondenza rispetto alle necessità del singolo minore.

  Vittorio Carlo Vezzetti (153), medico pediatra, nonché membro del Comitato scientifico dell'International Council on Shared Parenting and European Platform for Joint Custody e Presidente dell'Associazione «Figli per sempre», in materia di controlli, ha stigmatizzato l'assenza di verifiche sul personale che opera nelle comunità, citando casi di responsabili di strutture per minori, che hanno compiuto abusi per anni, in alcuni casi su minori disabili, sotto gli occhi distratti delle istituzioni. Eclatante al riguardo il caso del Forteto, su cui la Cassazione dovrebbe esprimersi definitivamente per la conferma delle condanne a breve. Si è poi soffermato brevemente sul tema dell'affido condiviso, in merito al quale ha rilevato un grandissimo deficit formativo, non solo degli assistenti sociali, ma anche dei magistrati. C'è, a suo giudizio, un problema formativo che riguarda un po' tutto il sistema della giustizia familiare (154).

  Fabio Nestola, consigliere nazionale dell'Associazione di aderenti nazionali per la tutela dei minori (Adiantum) (155), si è soffermato su alcuni casi di abusi sessuali, percosse, somministrazioni di farmaci scaduti, sfruttamento del lavoro minorile, ponendo anch'egli la questione dei controlli sul personale che lavora presso le strutture per minori. Al riguardo, oltre al notissimo caso del Forteto, che è andato avanti per circa trent'anni, è stato citato il caso di una casa famiglia di Ostia in cui un educatore, pluricondannato per abusi sessuali su minori, dopo aver scontato la pena, è tornato a lavorare nella stessa struttura. Pertanto, sarebbero necessari controlli più approfonditi sugli operatori, per evitare che minori sottratti alle famiglie, anziché essere aiutati, siano ulteriormente danneggiati dalla permanenza in strutture che andrebbero chiuse, o in cui opera personale del tutto inadeguato.

  Si ricorda al riguardo quanto previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 39 del 2011 che introduce l'obbligo, per il datore di lavoro che intenda impiegare una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti o regolari con minori, di richiedere il certificato penale del casellario giudiziale al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati previsti in danno dei minori, ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con i minori (156).

  Sotto il profilo normativo, occorre anche ricordare che le strutture di accoglienza per minori, così come peraltro tutte le altre strutture a ciclo residenziale o semiresidenziale (ad es. quelle per anziani), devono possedere una serie di requisiti minimi a livello strutturale ed organizzativo definiti dal decreto ministeriale 21 maggio 2001, n. 308 (157), per le comunità di tipo familiare con sede in abitazioni civili. In particolare, l'articolo 3 del citato decreto, nel definire i requisiti che devono possedere le strutture di tipo familiare e le comunità di accoglienza per minori, prevede che le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento con funzioni di accoglienza e bassa intensità assistenziale, che accolgono fino ad un massimo di sei utenti – anziani, disabili, minori o adolescenti, adulti in difficoltà, per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale – debbano possedere requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione. La medesima norma stabilisce altresì che per le comunità che accolgono minori gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti, siano stabiliti dalle regioni. Lo stesso decreto prevede all'articolo 4 che, fino all'entrata in vigore delle singole normative regionali, siano i comuni a rilasciare le autorizzazioni all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo diurno e residenziale dopo averne verificato il possesso dei requisiti minimi strutturali e organizzativi. La medesima norma, facendo salvo quanto stabilito dall'articolo 2, comma 2, rinvia, per le strutture che erogano prestazioni socio-sanitarie, all'articolo 8-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 (come modificato dal d.lgs. n. 229/99) ed ai requisiti ivi previsti (158). Si dispone altresì che fino all'adozione da parte delle regioni di ulteriori disposizioni in materia, continuino ad applicarsi le norme regionali relative ai procedimenti di autorizzazione emanate prima dell'entrata in vigore della legge n. 328 del 2000.

  Il citato decreto stabilisce inoltre che, tra le condizioni organizzative che costituiscono requisiti minimi, vi siano la presenza di figure professionali qualificate in relazione alla tipologia di servizio erogato, secondo standard definiti dalle regioni; la presenza di un coordinatore responsabile del servizio; l'adozione, da parte del soggetto erogatore, di una Carta dei servizi sociali secondo quanto previsto dall'articolo 13 della legge n. 328 del 2000, comprendente la pubblicizzazione delle tariffe praticate con indicazione delle prestazioni ricomprese; ed infine l'adozione di un registro degli utenti del servizio, con l'indicazione dei piani individualizzati di assistenza.

Al di là dei controlli sulle strutture, uno specifico obbligo di vigilanza e controllo si pone rispetto all'attuazione e allo svolgimento del progetto quadro, del progetto di affidamento, del progetto educativo di comunità (PEC) e del progetto individualizzato (PEI).

In particolare, il progetto quadro indica complessivamente la progettazione e l'esito previsto a favore del minorenne cui si riferisce e della sua rete parentale di riferimento. È di competenza dell'ente locale inviante e deve rispettare le prescrizioni disposte dall'autorità giudiziaria competente. Deve indicare inoltre le azioni da intraprendere, i soggetti coinvolti nella gestione del progetto, le modalità di monitoraggio e verifica, nonché i tempi dell'intervento ritenuto appropriato e pertinente rispetto al caso concreto (159). In esso sono quindi indicati gli interventi sociali, sanitari ed educativi, finalizzati a promuovere il benessere del minore e a rimuovere la situazione di rischio o di pregiudizio in cui si trova. In alcuni casi particolari - allontanamenti di urgenza – il progetto quadro viene redatto successivamente all'allontanamento, ma il più tempestivamente possibile. La sua redazione avviene in forma scritta e l'ente inviante lo definisce nell'ambito di una equipe multidisciplinare sul caso, composta da più operatori con competenze diverse e integrate (160).

Il progetto di affidamento familiare è parte integrante ma distinta dal progetto quadro, viene definito solo nei casi di affidamento familiare ed in esso sono indicati gli obiettivi socio-educativi, la permanenza del bambino nella famiglia affidataria, i rapporti tra la stessa e la famiglia d'origine e i servizi sociali. In esso sono definiti altresì i tempi e le responsabilità di ciascuno dei soggetti coinvolti, le specifiche attività volte a rinsaldare il legame tra il bambino e la sua famiglia, tra cui il piano delle visite e degli incontri, ed infine l'ammontare del contributo economico disposto in favore della famiglia affidataria, con eventuale partecipazione alle spese della famiglia d'origine del bambino (161). La verifica del progetto di affidamento familiare deve essere garantita dagli operatori che hanno la responsabilità del progetto quadro e del progetto di affidamento, che attuano un monitoraggio costante del progetto volto a valutare i cambiamenti e le condizioni che possono permettere un riavvicinamento tra il bambino e la sua famiglia.

Venendo al progetto educativo di comunità (PEC), si ricorda che di esso non esiste alcuna univoca definizione, pur potendosi affermare che lo stesso definisce gli standard educativo-assistenziali offerti dalle comunità di tipo familiare e trova fondamentalmente espressione nella Carta dei servizi. Si tratta in sostanza della traduzione della dimensione comunitaria in cui è resa evidente la caratteristica di “tipo familiare” della struttura attraverso: l'esistenza effettiva di processi di vita comunitaria e di rapporti significativi tra adulti e minori e all'interno del gruppo dei pari; l'effettiva pratica di rapporti quotidiani e legami di rete strutturati informali di scambio con il territorio in cui abita la comunità; l'evidenza di un adeguato piano formativo (e relativo programma formativo) a sostegno dei processi di formazione permanente per gli operatori; l'evidenza di adeguati percorsi di supervisione per tutti gli operatori; l'esistenza comprovata di adeguata metodologia di lavoro: definita, formalizzata, documentabile; documentati processi di positive e corretti rapporti di collaborazione e di gestione della presa in carico con la rete dei soggetti coinvolti e con il Servizio sociale titolare (162).

Il progetto individualizzato, detto anche piano educativo individuale (PEI) (163), è definito puntualmente dalla comunità ed è lo strumento che accompagna il percorso fuori dalla famiglia d'origine del minorenne (164). Come rilevato dal Sottosegretario alla Giustizia, Cosimo Maria Ferri, e da tutti gli operatori del settore auditi dalla Commissione, è fondamentale che per ciascun minore venga elaborato un progetto ad hoc, che tenga conto delle sue specifiche caratteristiche, problematiche e necessità.

Il PEI, redatto in forma scritta dall'equipe educativa della comunità di accoglienza, definisce puntualmente il percorso educativo-assistenziale in favore del minore accolto, in connessione con il progetto quadro; gli obiettivi da verificare, confermare e ridefinire dopo un periodo di osservazione di almeno tre mesi. È verificato periodicamente nel rispetto degli obiettivi posti in fase di accoglienza ed è costantemente monitorato in sede di incontri di rete a cadenza periodica definita. È comunicato da parte della comunità al servizio sociale inviante, che provvede alla sua validazione, come assunzione di corresponsabilità. Qualora non sussistano specifici impedimenti nell'interesse superiore del minore, è comunicato e se possibile condiviso con la famiglia d'origine, e deve tener conto del punto di vista del minore, garantendo il suo diritto all'ascolto e alla partecipazione (165).

Di fondamentale importanza è il monitoraggio sul PEI e la sua periodica revisione sulla base delle necessità del minore.

Come rilevato da Matteo Zappa, responsabile minori Caritas ambrosiana di Milano, occorre evitare la categorizzazione, cercando di confezionare un progetto individualizzato per ogni famiglia, attraverso la collaborazione virtuosa che può nascere dall'assistenza sociale, dal terzo settore e dai soggetti gestori del territorio, con un coinvolgimento dei bambini, dei ragazzi e delle loro famiglie come attori protagonisti del progetto, non come coloro che lo subiscono, in modo che concorrano a costruirlo insieme agli operatori dei servizi pubblici (166). È dunque necessario «un progetto per ogni bambino», evitando categorizzazioni rispetto ai servizi di accoglienza. Ogni ragazzo, che sia solo o non accompagnato, che sia nato in Italia o no, ha bisogno, per il principio di appropriatezza, di un progetto ad hoc. “Quindi, tutti i sistemi di risposta che si possono attivare devono partire non tanto dalla categoria, quanto dalla capacità di attenzione al singolo minorenne per quello che chiede”.

Come sottolineato da Liviana Marelli, direttore generale della Società cooperativa sociale onlus “La Grande Casa”, nel corso della sua audizione, la fase di gestione del PEI, comprende l'osservazione, la conferma e il monitoraggio dello stesso. Ciascun minorenne ha diritto a un progetto per sé, mai preconfezionato, mai ispirato a ideologiche affermazioni più o meno di principio, mai strumentalizzato. Gli enti invianti titolari della competenza sul minore inserito devono verificare i progetti e fare gli opportuni controlli previsti dalla legge al riguardo.

L'iter di verifica nelle comunità di accoglienza comporta la necessità di conoscere: quanti minorenni sono ospitati, cosa fanno nella comunità, da quanti anni vi si trovano e che progetto hanno.

In alcuni casi, come osservato da Giovanni Fulvi, Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM) (167), molto spesso si assiste a passaggi di minori da comunità a comunità, durante i quali queste non si parlano e non si capisce perché quel minore abbia lasciato un determinato progetto. La fase del controllo e delle verifica del PEI, anche ai fini della conclusione del periodo di affidamento familiare o etero-familiare, ovvero ai fini di un suo prolungamento, ha una importanza fondamentale, come è stato rilevato dagli auditi e dai componenti la Commissione nel corso delle audizioni svolte.

Annamaria Columbu, rappresentante del Coordinamento associativo «Ubi Minor», - portavoce delle istanze delle famiglie affidatarie, ha rilevato come, nell'ambito del tema che è stato sempre al centro dell'attenzione della sua associazione, che è il progetto per l'affido familiare di neonati e bambini piccolissimi, occorra evitare a questi minori a rischio il prolungamento di ospedalizzazioni e la permanenza in strutture. Pertanto, si ritiene necessaria l'obbligatorietà del progetto di affido e la sua costante verifica ed il suo monitoraggio (168): “Spesso ci sono dichiarazioni di intenti fatte a voce o soltanto i calendari degli incontri. Chiediamo l'ascolto del minore, per quanto è possibile, cioè sempre, perché, secondo le sue capacità, si senta importante in questo progetto”.

Il progetto a volte non è unitario e chi si occupa degli adulti vede il bambino spesso come terapia per i genitori e non condivide il progetto educativo sul bambino. Non c'è raccordo tra i vari servizi e le istituzioni, che si muovono alla giornata e navigano a vista e, talvolta, i servizi appaiono muoversi in modo punitivo nei confronti dei genitori naturali.

Monya Ferritti, Presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE) (169), ha sottolineato la necessità di investimenti per progetti di recupero e di accompagnamento all'autonomia, di quei ragazzi che restano in comunità fino ai 18-21 anni, che quando escono non sanno cosa fare e dove andare, sono privi di riferimenti della propria famiglia di origine e si trovano sostanzialmente da soli (170).

Di seguito si forniscono i dati, suddivisi per regione, circa la definizione o meno del PEI.

Per il bambino/a o il ragazzo/a è stato definito il Progetto educativo individuale”? (171)

Altra criticità rilevata da parte dei soggetti auditi (172) sulla quale andrebbe effettuato un attento controllo è data dalla circostanza che il 20% dei giudici onorari è proprietario, direttore o ha rapporti di cointeressenza con case famiglia. Tale situazione sembrerebbe essere stata risolta con la circolare del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) del 26 ottobre 2015, sebbene dopo anni di latenza. Si ricorda che il caso è per così dire esploso a seguito di un'inchiesta giornalistica pubblicata sul settimanale “Panorama” nell'aprile 2015, in cui si è dato conto delle risultanze dell'indagine svolta dalla Onlus “Finalmente liberi”, da cui è emerso che circa 211 giudici onorari dei tribunali per i minorenni e delle relative corti d'appello avrebbero operato in totale e palese conflitto di interessi rispetto alle funzioni esercitate, avendo contatti professionali con le strutture presso le quali essi stessi disponevano il collocamento di minori allontanati dalla propria famiglia d'origine. In alcuni casi prestavano consulenze professionali, in altri risultavano soci fondatori, soci, ovvero componenti dei consigli di amministrazione. La citata associazione ha dunque denunciato che il 20% dei magistrati minorili onorari italiani avrebbe avuto un qualche interesse, anche di tipo economico, nelle strutture di accoglienza per minori.

Si evidenzia, come peraltro rilevato nella citata inchiesta (173), che i giudici onorari minorili hanno comunque un certo peso nelle decisioni dei tribunali per i minorenni, essendo i relativi collegi giudicanti in primo grado composti da due giudici togati e due onorari, mentre i colleghi delle corti d'appello sono formati da tre togati e due onorari.

Si ricorda al riguardo che i giudici onorari affiancano i magistrati di carriera nell'attività giurisdizionale e nel caso dei giudici onorari minorili possono essere nominati cittadini benemeriti dell'assistenza sociale ovvero cultori di biologia, psichiatrica, antropologia criminale, pedagogia e psicologia (174).

Su tale questione è stata emanata, come ricordato, la citata circolare del CSM dell'ottobre 2015, recante “Criteri per la nomina e conferma dei giudici onorari minorili per il triennio 2017 -2019”, in cui vengono definite all'articolo 7 (commi 6 e 7) specifiche incompatibilità che, per quanto di interesse, sono costituite dallo svolgimento da parte del giudice onorario minorile di attività di operatore socio-sanitario dei servizi territoriali, pubblici e privati, o di collaborazione con essi a qualsiasi titolo. In tali casi è necessario che ne sia assicurata la posizione di terzietà rispetto ai procedimenti trattati ed in ogni caso, il giudice onorario minorile non può trattare procedure seguite dai servizi territoriali con i quali egli a qualsiasi titolo collabori, venendosi altrimenti a configurare una ipotesi di obbligo di astensione (175). Ulteriori incompatibilità sono costituite dal rivestire cariche rappresentative in strutture comunitarie ove vengono inseriti minori da parte dell'autorità giudiziaria o dal partecipare alla gestione complessiva delle strutture stesse o ai consigli di amministrazione di società che le gestiscono.

La stessa previsione si applica a coloro che svolgono attività di operatore socio-sanitario o collaboratore a qualsiasi titolo delle strutture comunitarie medesime, pubbliche e private. Si prevede altresì che il giudice onorario minorile, all'atto della nomina, debba impegnarsi a non assumere, per tutta la durata dell'incarico, i ruoli o le cariche suddette e, se già ricoperti, debba rinunziarvi prima di assumere le funzioni.

Tali incompatibilità ricorrono anche nel caso in cui tali cariche o quei ruoli siano rivestiti da parenti sino al secondo grado, da affini in primo grado, dal coniuge o dal convivente. Spetta in ogni caso al Presidente dell'ufficio giudiziario interessato fornire al CSM ogni utile elemento di giudizio ai fini della valutazione della domanda di nomina o di conferma ovvero ai fini della revoca dell'incarico.

L'articolo 12 della circolare prevede inoltre che il Presidente del tribunale per i minorenni e della sezione per i minorenni della Corte d'appello vigilino sull'attività dei giudici onorari minorili addetti ai rispettivi uffici e riferiscano con apposita relazione, entro il 31 dicembre di ciascun anno, al Consiglio giudiziario sull'andamento del servizio.

Si ricorda infine che il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nell'ottobre del 2016 ha anche emanato una direttiva sui rapporti tra la giustizia minorile, il privato sociale e le comunità di accoglienza, chiarendo che la stessa si è resa necessaria dopo una approfondita disamina della situazione in cui versa in questo momento storico il “mondo della giustizia minorile”. Infatti, nonostante il contributo fornito dal privato sociale e dalle cooperative nell'ambito del sistema di accoglienza, è apparsa urgente l'esigenza di una ricognizione dei metodi di selezione dei contraenti e di costante verifica della qualità dei servizi resi rispetto ai costi, talvolta esorbitanti, che vengono sostenuti dal Ministero e dagli enti territoriali. Il Ministero ha il dovere di svolgere una attenta azione di coordinamento dei controlli e di verifica costante su procedure, prassi e costi con l'obiettivo di accompagnare e sostenere l'azione della magistratura finalizzata alla protezione e alla tutela dei diritti dei minori.

È stata dunque invocata dal Ministro la “massima trasparenza” nella esecuzione dei provvedimenti di collocamento di minori nelle comunità nell'ambito di procedimenti penali (176).

10. I costi variabili delle comunità e dei collocamenti dei minori fuori famiglia.

Un aspetto importante che la Commissione ha esaminato nell'ambito dell'indagine conoscitiva è stato quello dei costi sostenuti dagli enti locali per il collocamento dei minori nelle strutture di accoglienza, nonché quelli di gestione delle strutture stesse.

Giovanni Fulvi, presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori (CNCM) (177), ha presentato un quadro del fabbisogno economico di una comunità di accoglienza per minori non accompagnati, constatando che a volte le comunità vengono scelte in base ai costi. C'è ancora una ricerca della risorsa al ribasso e si inserisce il minore nella comunità che costa meno per la mancanza di risorse degli enti locali. In tal caso, il superiore interesse del minore non è molto considerato: ovviamente, se in una comunità la retta costa la metà rispetto a un'altra, probabilmente i servizi forniti non saranno gli stessi.

Bisogna prima di tutto chiarire che quando si parla di rette di 3-400 euro al giorno, si tratta di strutture particolari, come quelle di tipo sanitario, che accolgono ragazzi con doppia diagnosi, in cui la proporzione degli operatori e la presenza della parte sanitaria sono rilevanti.

In realtà, normalmente si hanno cifre molto più basse: la retta media in Piemonte è di 105 euro, in Lombardia di 107 euro, in Veneto di 118 euro, in Emilia-Romagna di 108 euro, nelle Marche di 93 euro, in Toscana di 90 euro, in Campania di 115 euro, in Calabria di 92 euro, a Milano di 78 euro e in Sicilia di 76 euro; l'ultima in classifica è Roma, con una retta media che va dai 69 ai 75 euro.

La qualità delle strutture è data soprattutto dalla professionalità degli operatori, che devono essere capaci di entrare in relazione in maniera stabile e continuativa con i minori ivi collocati. Con cifre che non corrispondono realmente alle spese, non è possibile garantire questa stabilità e continuità e la qualità viene meno. C'è anche chi lucra e non paga gli operatori; tuttavia, la stragrande maggioranza delle comunità sono attestate su una sufficiente adeguatezza rispetto alla gestione.

In una comunità con 8 minori lavorano educatori che si alternano 24 ore al giorno, presenti 365 giorni l'anno e un coordinatore per almeno 20 ore la settimana. In alcune ore del giorno è sufficiente la presenza di un solo educatore, in altri momenti il numero varia da due a tre. Pertanto, in un giorno, è necessario impiegare personale educativo per un totale di almeno 42 ore.

Calcolando che un educatore costa mediamente 18 euro lordi l'ora, pari a 275.940,00 euro annui per l'insieme degli operatori, con una maggiorazione di circa il 10% per il costo dei sostituti (per malattia o ferie dei titolari), cui va aggiunto il costo del coordinatore per un importo di 22.680 euro l'anno, nonché i costi sostenuti per la supervisione che gli educatori devono fare per quattro ore al mese, per un importo totale di 4.800 euro l'anno, con un professionista esperto, nonché i costi per la formazione, pari a tre ore mensili per un importo di 3600 euro annui, oltre a quelli relativi al personale amministrativo e contabile (12.000 euro), è facilmente desumibile il costo totale annuo, pari a 346.520,00 euro, equivalenti a 118,67 euro al giorno per ciascun minore ospitato.

Calcolo della retta: i costi di gestione di una comunità (178)

Alcuni di questi costi possono essere ridotti, ad esempio nel caso l'immobile sia di proprietà o in comodato d'uso; ovvero nel caso in cui le spese sanitarie, scolastiche, per vacanze, tempo libero e sport siano a carico del servizio sociale inviante; ovvero se il coordinatore viene retribuito come un normale educatore; oppure reperendo risorse aggiuntive attraverso fondi, donazioni, supporto di volontari e così via.

Calcolando l'ipotetico risparmio in 26 euro circa, si viene così a definire un range di spesa che varia tra circa 125 e 151 euro giornalieri. Purtroppo, a causa della carenza di risorse e dei ritardi nei pagamenti, molte comunità hanno chiuso o stanno chiudendo, altre hanno un bilancio negativo, come è il caso dell'Emilia-Romagna per oltre il 70% delle strutture.

A fronte del fabbisogno ipotizzato, la realtà effettiva è molto diversa. Il quadro delle rette medie erogate in alcune regioni e città mostra come le stesse siano inferiori, spesso di molto, rispetto ai reali costi sostenuti.

Per quanto concerne i finanziamenti delle comunità, è stata segnalata una disomogeneità a livello territoriale, tanto che la media delle rette è notevolmente diversa a seconda della regione o città interessata, come illustrato nella precedente tabella.

Le comunità devono quindi fare ogni sforzo nella raccolta di fondi da donatori privati, per integrare le insufficienti rette pubbliche; ma in tempi di crisi è concreto il rischio di non raggiungere l'obiettivo.

La Commissione ha affrontato in una seduta (179) il caso del Centro assistenza minori (CAM) della Città metropolitana di Milano, a rischio di chiusura, anche per i suoi elevati costi. Pierfrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali e cultura della salute del Comune di Milano, ha riconosciuto che la retta del CAM è piuttosto elevata, essendo pari a 160,88 euro pro die, visti gli alti standard di servizio offerti, mentre una retta media è di 76,83 euro.

Marcello Correra, Direttore del CAM, ha presentato la situazione del suo Centro all'aprile del 2014, con un costo annuo superiore ai 3 milioni 500 mila euro, a fronte di entrate che si attestavano nella previsione del bilancio 2014, a 1 milione 700 mila euro all'anno.

La componente maggiore era costituita dal personale, con circa 1 milione 800 mila euro all'anno per quanto riguardava la fascia educativa e 370.000 euro all'anno per i servizi di natura trasversale, mentre il costo di gestione dei servizi collaterali, ossia il vitto, gli aspetti ludici, le pulizie e via discorrendo, si aggirava attorno ai 400.000 euro. Si tratta però di un servizio reso sette giorni su sette per 365 giorni all'anno, per complessive 8700 ore di lavoro.

È stato anche ricordato come la natura giuridica del servizio in economia non permette di utilizzare direttamente il volontariato all'interno della pubblica amministrazione.

Per quanto riguarda la composizione dei costi, la prima voce di spesa è quella per il personale socio-educativo, che comprende gli educatori, i supervisori e le collaborazioni specialistiche.

Poi ci sono dei costi amministrativi generali, che sono la gestione amministrativa in senso stretto e le spese di gestione; ci sono componenti che, pur non corrispondendo a un servizio, gravano lo stesso sui costi complessivi, come le aspettative per maternità: nel settore privato, infatti, la maternità è corrisposta dall'INPS, mentre nel settore pubblico rimane a carico dell'ente. Dopo la cosiddetta legge Delrio (7 aprile 2014, n. 56, “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”), a fronte di un problema di competenze derivanti dalle funzioni fondamentali assegnate alla Città metropolitana e alle Province, questo servizio si è trovato con un problema di tenuta della spesa.

Si è quindi proceduto al rallentamento nell'accoglienza di nuovi bambini, di pari passo con il divieto anche di assumere personale, e i bambini ospitati dal centro da 50 sono scesi a 17. È bene ricordare che già precedentemente il trend era in diminuzione, perché c'è stata una scelta di sostenibilità e di maggiore concentrazione sulle fasce della primissima età, che comportano spese maggiori.

Massimiliano Porcelli (180), presidente della società cooperativa sociale «Utopia 2000 Onlus», si è soffermato sui finanziamenti delle strutture e sui loro costi; dal momento che si parla molto del business delle comunità familiari, si avverte l'esigenza di un serio sistema di controlli, anche a tutela dell'onorabilità professionale di chi lavora all'interno delle comunità. Ha quindi evidenziato la necessità di controlli semplici e severi, da rendere pubblici, per scongiurare il rischio di illegittimi arricchimenti da parte dei gestori delle comunità.

La trasparenza sulle cifre sarebbe di aiuto per chi lavora seriamente e onestamente, che potrebbe poi reclamare, a ragione, pagamenti più puntuali e un impiego delle risorse più razionale. Essendo consapevole del fatto che attorno alla gestione dei minori stranieri non accompagnati esistono fenomeni di spreco di denaro pubblico, ritiene che un più efficace sistema di controlli potrebbe arrestare il fenomeno. Se in sede di ispezione non emergono evidenti carenze strutturali o igienico-sanitarie, ciò non significa che la struttura fornisca un servizio adeguato. Sarebbe invece utile dialogare con gli insegnanti e i componenti del contesto sociale di rifermento sia per valutare l'integrazione della comunità nel territorio in cui opera, sia per capire quanto il ragazzo partecipi al proprio progetto educativo. Si devono adottare nuovi protocolli operativi basati su reti territoriali per avere un quadro complessivo fondato sul vissuto effettivo dei minori all'interno delle strutture.

Andrea Carletti, sindaco di Bibbiano (181), intervenuto in rappresentanza del Servizio sociale integrato dell'Unione dei comuni della Val d'Enza (RE), ha riferito come nel suo territorio negli ultimi cinque anni sia stato dimezzato l'impiego di risorse per l'inserimento di minori in comunità, mentre è raddoppiato quello per gli affidi; inoltre sono aumentate le risorse impegnate per l'educazione nel territorio, come strada da seguire con coerenza di azioni e anche di investimenti da parte degli enti locali.

11. Il punto di vista delle associazioni dei genitori e quello dei gestori delle comunità familiari.

La Commissione ha audito numerosi rappresentanti delle associazioni, delle comunità educative residenziali, delle case famiglia o delle altre strutture che forniscono servizi residenziali per i minori che vivono al di fuori dal proprio nucleo familiare d'origine, o che coordinano l'attività di tali strutture, al fine di approfondire al meglio la conoscenza delle problematiche dell'infanzia e dell'adolescenza grazie a chi opera sul campo per dare soluzione a questa particolarissima situazione di disagio.

Proprio l'aspetto relativo alla disponibilità e alla diffusione di dati in grado di ampliare l'informazione e la conoscenza del fenomeno è stato oggetto dell'intervento di Massimo Rosselli del Turco (182), coordinatore e rappresentante di 31 associazioni che tutelano i diritti dei minori. Nel corso dell'audizione egli ha evidenziato la carenza di informazione istituzionale che connota il fenomeno in esame. Ciò rende difficile compiere scelte e assumere decisioni ottimali perché, non conoscendo con precisione il problema, è difficile individuare e adottare soluzioni adeguate, come nel caso della scelta della struttura più idonea a ospitare il minore.

Nella stessa seduta è intervenuto Giovanni Fulvi (183), Presidente del Coordinamento nazionale delle comunità per minori, il quale ha specificato come il numero di case famiglia gestite da famiglie residenti sia molto limitato. Anche quando nella casa famiglia vi sono degli adulti residenti, nella gran parte dei casi si tratta di religiosi, pur se coadiuvati da operatori professionisti laici. Ciò è possibile perché la legge n. 149 del 2001 definisce le strutture dove possono essere inseriti i minori come «comunità di tipo familiare con un'organizzazione analoga a quella di una famiglia». L'organizzazione deve ricordare e rappresentare le relazioni familiari, ma non necessariamente deve essere una famiglia.

Il presidente del Gruppo consorzio cooperative sociali (CeIS), Giovanni Mengoli (184), ha espresso dubbi sull'efficacia della normativa che regola l'accoglienza dei minori in comunità, di fonte regionale. Poiché i bisogni dei minori sono omogenei sull'intero territorio nazionale mentre le modalità di accoglienza sono diverse, a causa delle diverse normative di riferimento, a suo avviso è necessaria una maggiore omogeneità normativa per risolvere problemi uguali ma affrontati in modo diverso.

È stato segnalato poi che non dovrebbe esserci contrapposizione tra affido e inserimento in comunità, supponendosi l'affido familiare sempre preferibile. Ciò è evidente, ad esempio, nel caso di adolescenti presi in carico proprio a causa di conflittualità con i propri genitori. Scegliendo una struttura con altri genitori si rischia di riprodurre le conseguenze negative sperimentate nella famiglia d'origine. Meglio invece optare per un intervento di educatori professionisti, che possano svolgere anche la funzione di genitori, ma col distacco necessario a costruire relazioni empatiche. I gestori di comunità, insieme alle famiglie che fanno affido, costituiscono un unico sistema d'accoglienza armonico e complementare. Naturalmente l'accoglienza in una comunità ha un costo maggiore, facendo così preferire l'affido. Non sempre però, a suo giudizio, esiste un numero di famiglie disponibili adeguato alle esigenze. Un ulteriore elemento da segnalare riguarda il ritardo con il quale avviene l'inserimento del minore in una struttura, di solito quando la situazione è già fortemente compromessa, con ragazzi quasi maggiorenni, fatto che impedisce alle comunità di operare al meglio.

Per Luca Zottoli (185), socio e volontario del CeIS, l'educazione alla genitorialità è materia complessa e stimolante, necessaria per prevenire ed evitare di allontanare i minori dalla famiglia di origine. A questo fine il CeIS ha aperto un consultorio specificamente dedicato alle dipendenze. Più in generale, il Centro fornisce un supporto al recupero.

Alessandra Maggi (186), Presidente dell'Istituto degli Innocenti, ritiene che ci sia bisogno di tutto per i bambini fuori famiglia, a partire dalle strutture di accoglienza, poiché nel nostro Paese non esistono più gli istituti. A questo riguardo solo alcune regioni hanno adottato linee di indirizzo per accreditare le strutture, affinché offrano a tutti i bambini accolti le stesse opportunità. In altre regioni il processo è ancora in fieri. A suo avviso sarebbe necessaria una riflessione generale sugli indirizzi nazionali da dare alle strutture di accoglienza, per uniformare al meglio i servizi resi ai minori fuori famiglia. L'alternativa è l'affido, istituto giuridico che storicamente ha garantito ospitalità a circa la metà dei minori fuori famiglia. È importante definire quali siano le condizioni che determinano la fuoriuscita del minore dalla propria famiglia d'origine e la risposta è semplice: l'inadeguatezza genitoriale. Le famiglie sono sempre più fragili, la situazione di difficoltà economica pone oggettivamente le famiglie in condizioni di inadeguatezza e incapacità a gestire il rapporto con i figli. C'è poi la dipendenza, ma la prevalenza è data proprio dall'inadeguatezza genitoriale. Esistono problemi relazionali, maltrattamenti, incuria e problemi sanitari dei genitori. Questi sono gli aspetti che devono affrontare i tribunali per i minorenni, i servizi sociali, quando ritengono che le condizioni esistenti impongano, per il bene del minore, l'allontanamento temporaneo dalla propria famiglia. Passando all'affido, la legge prevede il limite massimo di due anni. Si verifica invece la prevalenza di affidi familiari che superano i quattro anni. Questo è un dato importante su cui riflettere, perché se le comunità garantiscono maggiore flessibilità, l'affido familiare garantisce una assistenza più prolungata nel tempo.

Resta un ultimo problema su cui riflettere legato al compimento della maggiore età, soprattutto per i minori stranieri, che costituisce il termine finale della tutela. Ci si deve occupare di loro anche dopo, predisponendo sostegni per l'alloggio e l'inserimento nel mondo lavorativo. È necessario prevedere un percorso di ulteriore affiancamento e aiuto per affrontare la sfida di una vita in autonomia.

Lara Sgobbi (187), responsabile della Linea tutela minori de «L'Albero della Vita – Onlus», un'organizzazione che da diciott'anni, fra i vari temi di intervento, si occupa dei minori fuori famiglia e della loro protezione, ha sottolineato come l'intervento sociale attuato dalla citata Onlus è riferito soprattutto alla protezione dell'infanzia, con particolare attenzione per la formazione e la cura degli operatori sociali coinvolti come educatori, coordinatori e psicologi. Si tratta di una chiara metodologia di intervento pedagogico che mira allo sviluppo delle capacità del bambino.

È stata inoltre evidenziata l'importanza di verificare effettivamente e non solo formalmente gli standard esistenti nelle comunità di accoglienza. Quelli gestionali e organizzativi, pur con delle differenze regionali relative, ad esempio, al rapporto metri quadri destinati a ogni piccolo ospite, al rapporto tra educatore e bambini e alla verifica dell'idoneità dei titoli di studio dell'équipe che lavora con i minori, sono realizzati. Analogamente si verificano le modalità di redazione dei progetti educativi individualizzati, in aggiunta alle verifiche interne fatte dalla comunità stessa. Quello descritto le appare tuttavia un sistema ridondante. Servirebbe invece una verifica della qualità effettiva dell'intero ambiente-comunità, per capire se sia o meno idoneo. Si pone, dunque, la necessità di adottare monitoraggi della qualità offerta dal cd. privato sociale, fatto di organizzazioni e associazioni, che si occupano di prendere in carico i minori.

La propria esperienza la porta ad affermare che esistono collaborazioni costanti e quotidiane con i servizi sociali, durante le quali si assiste a un evidente sovraccarico di lavoro. Per questo motivo i tempi di intervento di tutti i soggetti coinvolti non sono compatibili. Vi sono minori che crescono in comunità dove si progettano interventi educativi monitorati al meglio, ma il tribunale e i servizi sociali sono difficilmente reperibili o tacciono per un tempo che rende inefficace l'azione svolta.

Servirebbe un progresso culturale ed economico, ossia maggiori risorse destinate all'opera di prevenzione dell'allontanamento, rafforzando contemporaneamente l'istituto dell'affido. Per questo fine è necessario dotarsi di sistemi nazionali di raccolta dati, così come una più dettagliata conoscenza anche riguardo al numero complessivo di comunità alloggio, per giungere alla creazione di un database che raccolga le famiglie affidatarie disponibili, per mettere in rete tutte le risorse in campo.

Matteo Zappa (188), responsabile minori della Caritas ambrosiana di Milano, ha introdotto una riflessione più ampia sul tema della famiglia e su quello dei minori, a prescindere dalla condizione di allontanamento. A suo avviso si dovrebbe preliminarmente analizzare il fenomeno nel suo complesso. Esiste una sorta di sconnessione tra i ragionamenti sul tema dei minori allontanati, quindi sulle comunità, l'istituto dell'affido e la politica sociale ordinaria. Devono essere, invece, le politiche familiari il punto di partenza per affrontare al meglio il tema dei minori fuori famiglia. La frammentarietà dell'approccio rende inadeguato il sistema di politiche esistenti. Le famiglie più fragili e negligenti dovrebbero essere accompagnate preventivamente rispetto al percorso di cura e di responsabilità nei confronti dei loro figli. Esiste un deficit delle capacità delle comunità nel loro insieme di identificare situazioni di fragilità o di maltrattamento e violenza che impedisce adeguate azioni di politica economica aventi carattere sociale, psicologico e pedagogico. È necessario unire competenze, sistemi e servizi per concorrere a supportare le famiglie rispetto al mantenimento, al loro interno, dei propri figli.

Esiste dunque un evidente problema di risorse economiche e di discrezionalità di investimento operata dagli enti locali. Ciò è vero anche se il fenomeno non appare dettato dalla volontà, quanto dall'impossibilità di avere a disposizione risorse adeguate per supportare, da un punto di vista dell'accompagnamento, le famiglie fragili. Ha poi ricordato che la Costituzione riconosce la necessità di colmare le distanze che impediscono a molte famiglie l'espressione piena delle proprie capacità di responsabilità e di cura genitoriale. Ha portato alcuni esempi, come nel caso di una madre fragile che chiede aiuto per necessità quotidiane di tipo economico, emergendo solo poi anche delle fragilità psicologiche causate dal difficile rapporto con il proprio figlio a cui si può aggiungere un problema di ulteriore conflittualità dovuta a un padre assente. Sono molti i fattori che determinano un allontanamento. Essi dovrebbero essere prevenuti grazie al lavoro di professionisti che in equipe possano intervenire sul nucleo nel suo insieme, al fine di fornire il miglior supporto necessario, ben più ampio di quello inizialmente chiesto e fornito.

Ha sottolineato inoltre il fatto che non sempre le famiglie sono le istituzioni adatte per la crescita dei figli. Il fenomeno è causato anche da un investimento economico insufficiente. Propone quindi un nuovo welfare che integri le diverse competenze specialistiche con la cultura di accoglienza all'interno di tutte le comunità di vita delle persone, fondata meno sulle prestazioni e più sulle relazioni. Se si considera poi che i numeri dell'affido rimangono scarsi a causa dell'impossibilità di conciliare l'accoglienza di un figlio in casa, dovuta a tempi di vita e a relazioni sociali molto frammentati, si potrebbero incrementare i numeri solo garantendo un sostegno economico anche alle famiglie affidatarie. Ciò finanzierebbe una rete adeguata e di supporto e, di conseguenza, aumenterebbe il numero di famiglie disponibili ad essere affidatarie di un minore. Le istituzioni devono mostrare maggiore fantasia e coraggio per fornire soluzioni opportunamente diversificate, capaci di andare incontro alle reali e specifiche necessità della vita, garantendo una possibilità di scelta effettiva tra comunità, affido o accompagnamento personalizzato per i genitori, individuate in base allo specifico bisogno esistente.

In chiusura ha affrontato il tema dei minori stranieri non accompagnati che quindi vivono nel nostro Paese da soli. Si dovrebbe dare concreta attuazione alla Convenzione di New York, garantendo loro diritti in base al solo fatto di essere minori, senza alcuna differenza derivante dalla condizione di stranieri, per garantire loro un diritto pieno a ricevere un'accoglienza adatta all'età.  Per un ragazzo che ha vissuto un percorso di migrazione o è cresciuto in un percorso comunitario, è necessario immaginare un sistema di cura che vada ben oltre la parte educativa della comunità, creando una ulteriore rete di opportunità che lo sostenga dopo la sua uscita dalla stessa. È necessario considerare i bambini e i ragazzi come un bene comune e garantire loro politiche strutturali e processi che forniscano una soluzione di lungo termine. Occorrono quindi più risorse per politiche, servizi e strutture per minori, in particolare per l'infanzia.

Riccardo Ripoli (189), presidente dell'associazione Amici Della Zizzi Onlus, ha affermato con decisione come in questo ambito la prevenzione sia preferibile alla cura. Pur riconoscendo all'affido un ruolo importante e necessario, si deve modificare la normativa vigente.

Utile appare la proposta avanzata dalla vicepresidente della Commissione, senatrice Blundo, di modificare l'articolo 403 del codice civile, per approntare strumenti più efficaci al fine di impedire l'allontanamento del minore in presenza di presupposti vaghi e spesso in violazione del diritto al contraddittorio sancito dall'articolo 111 della Costituzione. Ha espresso poi perplessità sull'efficacia del sistema di sanzioni nei confronti degli amministratori. La legge sull'affido prevede obblighi che, pur se non ottemperati, sono privi di sanzione. Sarebbe utile anche l'ulteriore proposta avanzata nel corso delle audizioni in Commissione di creare un progetto di rientro in famiglia entro un breve termine. Poiché l'affido giunge quando si è già in un momento di difficoltà, senza aver avuto tempo di svolgere una analisi attenta del caso, il rientro in famiglia deve essere realizzato nel più breve tempo possibile, ma solo dopo accertamenti approfonditi. Analogamente concorda con l'osservazione fatta sempre dalla senatrice Blundo relativamente alla figura del sindaco o del responsabile dei servizi sociali, che si viene a trovare nella condizione di tutore di diversi minori, senza però potergli dedicare il necessario tempo e cura. Si dovrebbero quindi creare figure ad hoc che abbiano competenze di doppia natura, sia professionale che familiare.

In questo ambito non soccorre l'informazione pubblica dalla quale emerge una forte avversità sia contro le case famiglia che contro l'affidamento in generale. La stampa sostiene che i bambini vengono tolti alle famiglie perché povere. Quanto affermato non è esatto poiché dati ufficiali ci dicono che a fronte di 19.200 bimbi in affido ne esistono 1.045.000 in condizioni di povertà assoluta. Non esiste quindi un legame tra povertà e affido, altrimenti oltre un milione di bambini sarebbero in affidamento. Al contrario, essendo i comuni a sostenere i costi dell'affido, sono proprio le istituzioni preposte ad ostacolarlo.

La disparità di risorse disponibili, maggiori nel centro-nord del Paese, rende difficile la concreta attuazione dell'affido in forma omogenea sul territorio nazionale. Infatti, i ragazzi che nascono e crescono in famiglie disagiate al nord sono maggiormente tutelati che al sud. Lo Stato dovrebbe intervenire per la promozione dell'affido anche attraverso l'istituzione di un apposito fondo destinato allo scopo.

In altra sede sono stati auditi ulteriori esperti della materia.

Gianni Casale (190), ideatore del Progetto Anthea che ha il fine di dare soluzione a problematiche di conflittualità genitoriale, è intervenuto in Commissione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla salute psicofisica dei minori. Nel suo intervento ha specificato che, in qualità di avvocato, ha dovuto affrontare la questione di come fornire strumenti utili per prevenire la conflittualità tra i coniugi in sede di separazione.

Ha infatti constatato che, una volta emessa la sentenza di separazione, il comportamento dei genitori rispetto alla prole non è adeguatamente vigilato, quindi la conflittualità sopita in tribunale riesplode in tutta la sua pienezza. La proposta suggerita al riguardo consiste in un'applicazione per smartphone attraverso cui i genitori possono utilmente colloquiare tra di loro, con i servizi sociali, le istituzioni scolastiche e, in caso di adesione, con l'autorità giudiziaria.

L'adozione di tale strumento potrebbe recare vantaggio anche agli assistenti sociali che non sempre sono apprezzati dalle famiglie, a causa del compito ingrato che svolgono, dando loro la possibilità di utilizzare uno strumento con cui interfacciarsi in tempo reale con tutti i componenti del nucleo familiare. Ciò gli permetterebbe di essere più duttili e coinvolti più negli aspetti familiari e meno in quelli burocratici delle singole vicende.

In altra sede (191) sono stati auditi rappresentanti della Comunità Giovanni XXIII. Valter Martini, responsabile del Servizio affidamento della citata Comunità, ha proposto una modifica alla legge n.184 del 1983 - Diritto del minore ad una famiglia - volta a differenziare le diverse tipologie di comunità oggi esistenti, a far riconoscere le case famiglia multiutenza e a vietare il ricovero dei bambini sotto i sei anni nelle comunità educative (non familiari).

Un punto di vista interessante è stato ritenuto dalla Commissione quello delle associazioni che rappresentano i genitori dei bambini e ragazzi fuori famiglia o che accolgono questi minori in qualità di affidatari. Nel corso di tali audizioni sono state evidenziate alcune criticità, condivise da tutti, cui in parte si è già fatto cenno, come:

  - la necessità di riformare radicalmente l'articolo 403 del codice civile, relativo agli allontanamenti d'urgenza dei minori dalla famiglia d'origine;

  - il problema degli affidi sine die, in contrasto con quanto previsto dalla legge 184 del 1983 che prevede una durata massima di 24 mesi, mentre oltre il 70 % dei bambini vi permane a volte fino a quattro, cinque o sei anni;

  - l'importanza di una vera continuità affettiva, con la prosecuzione dei rapporti sia con la famiglia biologica (nel caso di affidi o adozioni), sia con la famiglia affidataria (nel caso di un rientro nella famiglia d'origine);

  - la mancanza di dati aggiornati circa la realtà attuale dei minori dati in affido o collocati presso comunità di accoglienza;

  - la necessità di una migliore formazione degli operatori e di un maggior sostegno alle famiglie, sia di origine che affidatarie, nonché una più dettagliata progettualità basata sulle necessità del singolo minore, anche oltre il raggiungimento della maggiore età.

  Elena Cianflone (192), presidente dell'Unione famiglie adottive italiane (UFAI), ha rilevato l'esigenza di prevedere per chi fa l'affido a lungo termine un decreto così come previsto per i casi di adozione, per garantire in caso di cessazione dello stesso una certa continuità affettiva con la famiglia affidataria. Vi è poi la questione legata all'eventuale interruzione del progetto di affidamento che, di fatto, comporta gli stessi problemi della fine di un percorso adottivo, tanto che spesso questi ragazzi subiscono più di un abbandono. La legge n. 173 del 2015 colma un vuoto legislativo sulla continuità affettiva, ma resta l'incertezza del futuro.

Gli affidi sine die devono essere trasformati in adozioni aperte, che tutelino il legame biologico, ma anche il rapporto con i genitori affidatari e consentano al bambino, anche nel caso di rientro nella famiglia di origine, di mantenere rapporti affettivi con chi per anni si è occupato di lui: per il bambino non è mai positivo troncare di colpo una relazione affettiva. In tal senso, l'adozione aperta ridurrebbe il bisogno di risorse economiche rispetto all'istituzionalizzazione. Sarebbe opportuno inserire le coppie disponibili all'affido in liste differenziate in base alla possibilità di accoglienza ed approntare delle linee guida, utili per le famiglie e gli operatori.

Monya Ferritti (193), presidente del Coordinamento delle associazioni familiari affidatarie ed adottive in rete (CARE), a cui aderiscono 33 associazioni, si è soffermata sul sostegno all'adozione e all'affido di bambini diversamente abili o gravemente malati. Il ministro Orlando ha individuato in 300 il numero dei bambini o dei ragazzi non adottati per condizioni di salute psicofisica o per patologie irreversibili (194).

Occorre riflettere su diverse tipologie di affido familiare, oltre quello temporaneo, l'unico previsto dalla legislazione vigente, come l'affido di vicinanza, in cui i bambini restano in famiglia e le famiglie “vicine” si occupano di loro; ovvero affidi a lungo termine per famiglie ritenute recuperabili; ed infine l'adozione aperta, che in Italia ancora non esiste. Ha poi rilevato mutamenti significativi concernenti l'adozione, essendo l'età media sempre più alta e riguardando bambini con caratteristiche psicofisiche complesse. È quindi di particolare importanza individuare i fattori di rischio delle adozioni interrotte di minori che tornano in comunità, con un vissuto fatto di abbandoni e traumi. Bisogna curare la selezione delle famiglie per quanto riguarda l'affidamento dei bambini piccolissimi (fino agli 8 anni) che, al contrario di quanto avviene, dovrebbero essere dati in affido e non collocati in comunità familiari.

  Annamaria Columbu (195), rappresentante del coordinamento associativo «Ubi Minor», nonché presidente dell'associazione “Famiglia Aperta” di Pisa, ha posto l'accento sul sostegno alla famiglia naturale da attuare con interventi educativi, psicologici, sociali, economici. Queste famiglie spesso non riescono a dimostrare i propri cambiamenti positivi ai servizi sociali. A loro volta, le famiglie affidatarie spesso si sentono prive di diritti e poco tutelate nel loro legame affettivo con il minore.

È anche importante gestire la conflittualità tra affidatari e famiglia naturale: gli affidatari non devono essere lasciati da soli nella gestione di tali relazioni. In materia di affido, si suggerisce l'istituzione di un registro nazionale degli affidi e linee guida che vincolino i comuni e le ASL, nonché pratiche uniformi anche per i contributi all'affido, ora difformi a seconda dei territori. Si dovrebbe agevolare l'accesso ai nidi dei bambini in affidamento, con la gratuità per mense e libri scolastici, ma anche facilitare i permessi di soggiorno per i bambini extracomunitari in affido.

Antonella Massaro (196), coordinatrice delle attività e responsabile delle relazioni istituzionali dell'associazione Civiltà cittadina Onlus, ha rilevato l'esigenza di una collaborazione continua e concreta tra le istituzioni e chi vive il trauma dell'allontanamento dei figli o corra tale rischio. Al riguardo evidenzia la prevalenza dell'aspetto giuridico su quello affettivo.

L'istituzionalizzazione deve essere l'extrema ratio e deve avvenire, come rilevato dalla vicepresidente Zampa, per mettere in sicurezza i minori, ma se ne devono curare le modalità. A volte intervengono le Forze dell'ordine con il prelievo dalle abitazioni o dalla scuola, e i minori si vedono sradicati dal loro ambiente, non riuscendo ad elaborare ciò che stanno subendo; si ritrovano in strutture sconosciute, spesso con minori di età diversa ed educatori a loro estranei.

Altro aspetto rilevante è il tipo di vita dei minori nelle comunità genitore-bambino. In molte strutture è presente un numero eccessivo di minori, con la mancanza di riferimenti stabili; a volte ne risente la crescita didattica e spesso questi bambini presentano carenze a livello scolastico; inoltre non è favorita la cooperazione con l'équipe educativa. Le strutture dovrebbero diventare più simili all'ambiente familiare, con spazi più ridotti e ambiti privati, come i servizi o la cucina.

Nelle comunità familiari è prevista la presenza di un assistente sociale, di uno psicologo e di educatori professionali, ma gli approcci sono estremamente diversi da comunità a comunità: è necessario invece un lavoro comune.

Gabriele Bartolucci, vicepresidente dell'Associazione «Genitori sottratti» (197) - associazione per la tutela della bigenitorialità, aderente all'Associazione «Rete sociale», che raccoglie professionisti della giurisprudenza e della psicologia - ha sottolineato come elementi critici la carenza di risorse economiche e culturali e l'isolamento sociale delle famiglie, quindi la difficoltà di interazione con il servizio sociale.

Walter Correnti, presidente dell'Associazione «Un genitore per amico» (198), ha osservato che uno dei motivi dell'allontanamento dei minori dalle coppie separate con cui lavora l'associazione, è la mancanza di un'abitazione. L'associazione si sta attivando per chiedere in tutti i comuni strutture in disuso, per dare alle famiglie povere una sistemazione a costo zero. Ritiene infine che debbano essere previste forme di controllo anche sull'operato dei servizi sociali.

Antonella Della Pina, rappresentante della campagna nazionale «Nidi violati», ha introdotto il tema dei problemi di natura psicofisica vissuti dai minori a seguito dell'allontanamento coatto, rivelatosi poi ingiusto (199). Ciò accade quando vi sono genitori accusati di molestie, maltrattamenti, abusi e incapacità genitoriale dei quali, però, successivamente, si accerti l'innocenza. Anche nel corso di questa audizione è emerso con forza il dato relativo alla carente informazione e alla mancanza di dati precisi sugli allontanamenti. Molti dei dati disponibili non sono aggiornati, quelli del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Dipartimento della giustizia minorile non considerano i casi risoltisi positivamente, pertanto non è noto il numero dei minori allontanati ingiustamente dai genitori. Per una efficace azione di prevenzione al danno esistenziale e alla salute psicofisica dei bambini il primo dato necessario è proprio quello numerico.

Gli adulti che hanno subìto l'allontanamento coatto ingiusto in età minorile hanno riferito il dramma del momento dell'allontanamento; il trasporto e l'abbandono in un ambiente sconosciuto; il timore di conoscere e incontrare figure autoritarie, come l'assistente sociale, il carabiniere, il giudice, l'avvocato, percepiti come soggetti ostili che inducono i minori al silenzio. L'audita ha quindi sollecitato i commissari a individuare una formula risarcitoria per queste persone, considerando che i danni maggiori emergono a distanza di anni dai fatti vissuti, inficiando la qualità della vita di questi soggetti che hanno subìto un ingiusto allontanamento.

C'è poi l'ulteriore necessità di “sanare” la giustizia minorile: da anni le associazioni di genitori hanno rilevato criticità nel sistema, come nel caso di segnalazione di sospetti maltrattamenti e abusi sui minori, senza che le agenzie sociosanitarie ed educative abbiano opportunamente verificato i fatti. Spesso vengono proposti ai minori, anche in ambito scolastico, test per confermare presunti comportamenti impropri dei genitori. Attualmente può accadere che i minori siano avvicinati da psicologi nelle scuole, anche in assenza di consenso informato dei genitori, non essendo questo ritenuto obbligatorio dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Il referto dello psicologo, peraltro, è considerato probatorio perché il professionista dipende dal Ministero della giustizia. La proposta è quella di ricollocare gli psicologi nell'ambito dei servizi sociali. Può quindi accadere che uno psicologo si comporti come un giudice e, di converso, alcuni giudici agiscano come psicoterapeuti. L'anomalia deve essere sanata, facendo tornare sia lo psicologo che l'assistente sociale nell'alveo dei servizi alla persona, senza permettergli di svolgere indagini indirette sui minori e le loro famiglie. Termina quindi proponendo di novellare l'articolo 403 c.c. per evitare ulteriori casi di allontanamento coatto di minori, operato senza le opportune verifiche e garanzie giurisdizionali.

Fabio Gerosa (200), direttore della Consulta diocesana in favore dei minori e delle famiglie Onlus di Genova, ha sostenuto l'importanza di un'alleanza con la famiglia, senza la quale il processo di tutela e recupero fallisce. Ha quindi sottolineato il dramma dei ragazzi dai 18 ai 21 anni, la cui tutela spesso si interrompe per mancanza di risorse finanziarie: è uno spreco di denaro, se quanto investito fino alla maggiore età va perduto. Oltre alle politiche di integrazione sociosanitaria, è necessario un discorso sulle politiche abitative e di sostegno al lavoro.

Dora Artiaco, vicepresidente del coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso dell'infanzia (CISMAI) (201), ha affermato che l'articolo 403, pur avendo bisogno di riforma, resta importante nel momento in cui vi è un imminente rischio psicofisico per il minore. Ha poi evidenziato che ci sono alcuni miti da sfatare: il primo che è siano i bambini poveri ad andare in struttura, l'altro è quello della famiglia «a tutti i costi»; infine quello del conflitto di coppia, che si configura piuttosto come «incompetenza genitoriale».

Vincenzo Spavone (202), presidente dell'Associazione genitori separati dai figli (GESEF), ha affermato che i protocolli di lavoro tra tribunali e servizi sociali escludono proprio la famiglia, che non riesce ad inserirsi nella procedura di allontanamento per tutelare i propri diritti.

Riguardo agli abusi familiari e ai casi di pedofilia, evidenzia come più del 90% delle denunce siano archiviate, e solo un decimo vada a sentenza, mentre il 70% dei casi si conclude con un'assoluzione.

Antonio Maria La Scala (203), presidente nazionale di Penelope Italia Onlus, associazione dei familiari e degli amici delle persone scomparse, sulle quali i dati vengono forniti ogni sei mesi dal Commissario straordinario di Governo per le persone scomparse, ha ricordato come dal 1974 al 2015 i minori italiani scomparsi siano stati 1912 (204). L'associazione chiede che siano riaperti i fascicoli archiviati, quando possibile, e sollecita maggiore attenzione sul fenomeno del tutto ignorato del traffico di organi di minori.

Sulla situazione della città di Roma si sono in particolare soffermati i rappresentanti del Centro Alfredo Rampi Onlus (205), richiamando la necessità di rivedere la strategia nei confronti delle nuove generazioni che vivono e crescono nella Capitale. Auspica quindi che l'amministrazione capitolina avvii un percorso partecipato per l'adozione di un nuovo Piano cittadino per l'infanzia e l'adolescenza dopo quello predisposto nel 2001, in attuazione della legge n. 285 del 1997.

Si chiedono pertanto maggiori certezze sui fondi; uniformità delle procedure (prassi amministrative per la selezione degli enti a cui affidare i progetti); bandi per il sociale coerenti con gli obiettivi strategici dei progetti; adozione anche di misure di natura sanzionatoria, per assicurare una tempistica ragionevole dell'iter amministrativo ed evitare che i municipi lascino inutilizzate per lunghi periodi le risorse loro assegnate; scelta dei progetti che non sia basata sul ribasso economico; continuità dei servizi e della relazione educativa; rispetto del Terzo settore nei rapporti con l'amministrazione pubblica ed, infine, il rispetto dei termini di pagamento.

Conclusioni

La Commissione, a conclusione della presente indagine, intende offrire, da un lato, un quadro riassuntivo di quanto emerso nel corso delle audizioni, che rappresenta la realtà del fenomeno come percepita dai soggetti coinvolti a vario titolo nella gestione dei minori fuori famiglia, dall'altro, valutazioni di carattere tecnico-politico ai fini di un eventuale miglioramento della normativa attualmente vigente.

Si evidenzia innanzitutto l'inadeguatezza del sistema di rilevazione dei dati concernenti i minori fuori famiglia, che non appare idoneo a garantire informazioni aggiornate e fruibili.

  Le diverse rilevazioni disponibili svolte da organismi diversi, in tempi diversi e con modalità diverse – Ministero del Lavoro e delle politiche sociali (2014), ISTAT (2014), Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza (2015) – non consentono di disporre di dati esaustivi sulla esatta consistenza del fenomeno.

  Per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati, si dispone di dati più aggiornati, avendo le relative rilevazioni cadenza quadrimestrale, sulla base di monitoraggi mensili. Si esprime pertanto soddisfazione rispetto a tale ultimo sistema di rilevazione, che consente peraltro di organizzare le politiche sull'immigrazione, anche in relazione agli stanziamenti di risorse necessarie per l'accoglienza dei MSNA.

La Commissione auspica quindi la più rapida realizzazione ed entrata a sistema di una rete integrata di raccolta dati - un sistema informativo nazionale - che consentirebbe di conoscere in tempo reale i dati effettivi sul numero complessivo dei minori fuori famiglia e la loro relativa collocazione. Tale sistema potrebbe essere costituito attraverso l'integrazione delle reti di rilevazione già esistenti, quella del Ministero della Giustizia per i minori inseriti nel circuito penale e per quelli oggetto di decreti di affido intra-familiare, consensuale, etero-familiare e quella del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, collettore dei dati rilevati dalle Regioni e dalle Province autonome, sulla base delle rilevazioni effettuate dal Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza. A tale proposito sarebbe anche auspicabile individuare un responsabile a livello nazionale della gestione di tale rete.

  Per conoscere la reale consistenza dei minori fuori famiglia accolti nelle strutture residenziali o comunità familiari è auspicabile e urgente, come suggerito anche dall'Autorità garante, rendere operativo il Casellario dell'Assistenza del Sistema Informativo dei Servizi Sociali (SISS) (l.n.328/2000), nel cui ambito peraltro è prevista una banca dati delle valutazioni multidimensionali relative alle prestazioni sociali associate ad una presa in carico da parte dei servizi sociali, costituita tra le altre anche da una specifica sezione relativa all'infanzia, all'adolescenza e alla famiglia, il cd. SINBA: “Sistema informativo sui bambini e gli adolescenti”.

Quando lo strumento andrà a regime, sarà possibile disporre di indicatori molto più tempestivi delle prese in carico operate dai servizi territoriali, in particolare anche con riferimento agli eventuali allontanamenti dalla famiglia di origine.

Al riguardo si ricorda che la recente attuazione della legge delega sulla povertà e il reddito di inclusione (l. n. 33/2017) ad opera del decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147 ha riformato il SISS, ora chiamato Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS) che riassorbe, tra l'altro, le funzioni del Casellario dell'assistenza dell'INPS.

Tale sistema informativo prevede la definizione di un fabbisogno informativo minimo comune fra le regioni, condiviso e standardizzato, che permetta l'individuazione di indicatori comuni e la raccolta di dati omogenei in tutte le realtà regionali sul fronte degli interventi sociali rivolti ai bambini e alle famiglie. Questo sistema sarà lo strumento fondamentale per connettere le informazioni anche nell'ambito dell'accoglienza dei bambini e dei ragazzi temporaneamente allontanati dal proprio nucleo familiare di origine, permettendo di disporre di dati costantemente aggiornati. La messa a regime di tale sistema è imminente, essendo all'attenzione del Garante per la privacy lo schema di Accordo in Conferenza Unificata che prevede, in riferimento al SINBA, che i flussi siano attivati su tutto il territorio nazionale, almeno con riferimento ai minorenni per cui si dispone l'affidamento o l'inserimento in comunità con provvedimento successivo alla data dello stesso Accordo.

  La Commissione ritiene inoltre urgente ed essenziale - come peraltro evidenziato nel Piano nazionale per la famiglia - la definizione dei c.d. LIVEAS, livelli essenziali delle prestazioni sociali, la cui nozione risale addirittura alla legge n.328 del 2000, ed è stata costituzionalizzata dalla riforma in senso federale dello Stato del 2001. L'attuazione di tale disposizione determinerebbe la concreta garanzia di un livello di eguale godimento dei diritti sociali in tutto il territorio nazionale, senza compromettere la potestà regionale di definire le modalità di organizzazione dei servizi e la possibilità di prevedere livelli ulteriori di assistenza.

Anche per quanto riguarda la tipologia e il numero delle strutture di accoglienza per minori, la Commissione ha potuto constatare che i dati disponibili non sono univoci e aggiornati come dovrebbero. In particolare, solo dall'analisi svolta da ultimo dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza è possibile desumere il numero complessivo di strutture residenziali riservate ai minorenni pari a 3.192 al 31.12.2014 e a 3.352 al 31.12.2015, nonché il numero medio di ospiti per struttura pari, rispettivamente, a 6,7 e a 6,9 nei predetti anni.

La Commissione raccomanda ancora una volta il pieno rispetto del dettato della legge n. 149 del 2001, che dispone espressamente che “le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia”, e le altre disposizioni normative che prevedono interventi di sostegno alle famiglie con minori, sia di tipo economico, sia di tipo sociale, affinché siano evitati allontanamenti dal nucleo familiare per problemi economici.

  Aiutare le famiglie per prevenire gli allontanamenti è fondamentale, come sottolineato da tutti gli auditi e dai componenti la Commissione, al fine di attuare politiche familiari in linea con quanto previsto dal Piano nazionale per la famiglia del 2012 e dal IV Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva.

In tal senso si valutano positivamente gli interventi come il progetto PIPPI, “Programma di intervento per la prevenzione dell'istituzionalizzazione”, avviato a partire dalla fine del 2010, che si è proposto di innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie negligenti, proprio al fine di ridurre il rischio di allontanamento dei bambini dal nucleo familiare di origine.

La Commissione esprime altresì un giudizio positivo per la recente attivazione, in via sperimentale per il triennio 2016-2018, del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, istituito con la legge di stabilità per il 2016 con uno stanziamento di 100 milioni per ogni anno di sperimentazione.

Si ritiene inoltre di grande rilievo la recente introduzione, ai sensi del decreto legislativo n.147 del 2017, del reddito di inclusione (REI), quale misura di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale previsto per i nuclei familiari in condizione di povertà, che sarà operativo a decorrere dal 1° gennaio 2018.

Gli interventi di prevenzione e di sostegno alla genitorialità nei confronti dei nuclei familiari più fragili sotto il profilo culturale ed economico appaiono necessari per garantire quanto più possibile il diritto del minore a crescere nella propria famiglia di origine, rendendo gli allontanamenti l'extrema ratio, praticabile solo laddove tutte le misure di sostegno al nucleo familiare non abbiano dato esiti positivi. Anche in tali situazioni, la famiglia di origine deve però continuare ad essere supportata, perché l'allontanamento, per sua vocazione, o il collocamento in comunità hanno finalità provvisorie. Tali interventi assumono peraltro un rilievo ancora maggiore nei casi di elevata conflittualità genitoriale, caratterizzati da atteggiamenti che possono rilevarsi particolarmente dannosi nei confronti della prole.

La Commissione stigmatizza l'eccessiva durata della permanenza di minori nelle comunità familiari, oltre i 2 anni previsti dalla legge, che attualmente riguarda il 23% del totale dei casi, secondo gli ultimi dati rilevati dall'Autorità Garante, se non quando ritenuti effettivamente necessari dall'autorità giudiziaria nell'interesse superiore del minore.

Esprime apprezzamento per l'istituzione del Fondo sperimentale di 15 milioni di euro annui, a decorrere dal 2018, per il sostegno al percorso di autonomia dei giovani “fuori famiglia”, in uscita da comunità per minorenni o percorsi di affido familiare prevedendo continuità nell'assistenza fino al 21° anno di età.

Il collocamento dei minori fuori dalla propria famiglia di origine per le conseguenze traumatiche sul percorso evolutivo dei minori e delle rispettive famiglie e per gli elevati costi sociali deve essere dunque sempre attentamente valutato e limitato nel tempo per quanto possibile e costituire l'ultimo rimedio, cui si ricorre qualora non vi siano alternative possibili nell'interesse del minore.

  In tal senso, oltre a privilegiare l'affido intra familiare rispetto al collocamento presso le comunità familiari, occorre sempre una verifica circa il possibile affidamento del minore a parenti entro il IV grado, così come previsto dalla normativa vigente. Inoltre appare necessario garantire nei casi di allontanamento dalla famiglia di origine non determinati da pericoli incombenti per il minore, la continuità delle relazioni familiari ed in tal senso è fondamentale che il servizio sociale, nell'àmbito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso, svolga opera di sostegno educativo e psicologico, agevolando i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell'opera delle associazioni familiari.

  In materia di allontanamenti disposti in via d'urgenza, ex articolo 403 del codice civile, anche in considerazione dell'opportunità condivisa da tutte le forze politiche di una sua riforma, la Commissione auspica la massima cautela nel ricorso a tale procedura, cui peraltro è comunque necessario ricorrere qualora sia constatata l'esistenza di un grave pericolo psicofisico, concreto e provato di permanenza del bambino o dell'adolescente nell'ambito della propria famiglia di origine, garantendo un tempestivo contraddittorio giudiziale.

  Infine, la Commissione ritiene assolutamente indispensabile rendere effettivi i controlli sulle strutture di accoglienza da parte delle procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni, nonché i controlli previsti a livello sia nazionale, sia locale. Sotto il primo profilo si ricorda che le comunità di accoglienza devono possedere una serie di requisiti minimi a livello strutturale ed organizzativo che le rendono idonee all'esercizio dell'attività di accoglienza di minori.

Per quanto attiene invece ai controlli previsti dalla normativa regionale, si ritiene necessaria una attenta vigilanza da parte degli assessorati regionali alle politiche sociali, competenti in materia, sia sulle autorizzazioni all'esercizio delle attività delle case famiglia, sia sul rispetto dei requisiti minimi che devono essere adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti.

Inoltre uno specifico e più attento controllo deve essere svolto sulle strutture che erogano prestazioni socio-sanitarie, in cui sono ospitati minori con gravi problematiche fisiche o psichiche.   La Commissione auspica altresì serrati ed attenti controlli sulle figure professionali che operano all'interno di tali contesti, al fine di garantire al minore le migliori condizioni di sviluppo e crescita relazionale.

  Si ricorda al riguardo quanto previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 39 del 2011, che introduce l'obbligo, per il datore di lavoro che intenda impiegare una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti o regolari con minori, di richiedere il certificato penale del casellario giudiziale al fine di verificare l'esistenza di condanne per taluno dei reati previsti in danno dei minori, ovvero l'irrogazione di sanzioni interdittive all'esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con i minori.

Una attenta vigilanza deve inoltre riguardare l'attuazione dei piani educativi individuali previsti per ciascun minore ospite di una comunità di tipo familiare, ovvero di analoghi progetti educativi condivisi con la famiglia affidataria.

Infine, la Commissione, nel valutare positivamente le ultime circolari del Ministro della Giustizia sulle incompatibilità previste per i giudici onorari componenti dei collegi giudicanti di primo grado o delle sezioni per i minorenni delle corti d'appello, raccomanda che la vigilanza su tale aspetto sia rafforzata onde evitare situazioni, già verificatesi nel recente passato, di potenziale conflitto di interessi anche di tipo economico nelle comunità di accoglienza presso cui gli stessi giudici onorari dispongono in via giurisdizionale il collocamento del minore.

 

NOTE:

(1) La medesima disposizione stabilisce inoltre che: “Se la separazione è il risultato di provvedimenti adottati da uno Stato parte, come la detenzione, l'imprigionamento, l'esilio, l'espulsione o la morte (compresa la morte, quale che ne sia la causa, sopravvenuta durante la detenzione) di entrambi i genitori o di uno di essi, o del fanciullo, lo Stato parte fornisce dietro richiesta ai genitori, al fanciullo oppure, se del caso, a un altro membro della famiglia, le informazioni essenziali concernenti il luogo dove si trovano il familiare o i familiari, a meno che la divulgazione di tali informazioni possa mettere a repentaglio il benessere del fanciullo. Gli Stati parti vigilano inoltre affinché la presentazione di tale domanda non comporti di per sé conseguenze pregiudizievoli per la persona o per le persone interessate”.

(2) Si ricorda che la CEDU, firmata a Roma il 4 novembre 1950 dai 12 stati al tempo membri del Consiglio d'Europa e entrata in vigore il 3 settembre 1953, è stata ratificata dall'Italia con la l. 4 agosto 1955, n. 848: “Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952”.

(3) Cfr. in tal senso:“Il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all'art. 8 della CEDU, nell'interpretazione della Corte Edu: il rilievo del detto principio sul piano del diritto internazionale e su quello del diritto interno”, di M. G. Putaturo Donati, Magistrato, assistente di studio presso la Corte costituzionale. Cfr. altresì le considerazioni espresse dall'avv. ssa Catia Pichierri, responsabile dell'ufficio legale dell'ass. Rete sociale, in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 2.02.2016.

(4) Si ricorda che nel 1999 il Consiglio europeo ha ritenuto che fosse opportuno riunire in una Carta i diritti fondamentali riconosciuti a livello dell'UE, per dare loro maggiore visibilità. La Carta è stata proclamata ufficialmente a Nizza nel dicembre 2000 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione ed è diventata giuridicamente vincolante nell'UE con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, nel dicembre 2009, ed ora ha lo stesso effetto giuridico dei trattati dell'Unione.

(5) Sulla scelta del tutore si veda quanto previsto dall'art. 348 c.c.

(6) Si ricorda che ai sensi dell'art. 357 c.c. , tra le funzioni del tutore rientra la cura della persona del minore, la rappresentanza in tutti gli atti civili e l'amministrazione dei suoi beni.

(7) Si ricorda che la legge n. 184 del 1983 ha previsto la chiusura degli istituti a partire dal 31 dicembre 2006, disponendo il collocamento dei minori presso le comunità di tipo familiare.

(8) Cfr. in tal senso il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva “Sullo stato di attuazione delle disposizioni legislative in materia di adozioni ed affido”, svolta nella XVII leg. dalla Comm. Giustizia della Camera, approvato nella seduta del 7 marzo 2017.

(9) Cfr. l'art. 31, primo comma, lettera m), del ddl di riforma costituzionale: “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione», approvato in seconda deliberazione dalla Camera il 12/04/2016, e pubblicato in G. U. n. 88 del 15/04/2016.

(10) Cfr. in tal senso la segnalazione fatta nel corso dell'audizione (31.03.2015) del procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del Piemonte e della Valle D'Aosta, Anna Maria Baldelli, nell'ambito di altra indagine conoscitiva in materia di prostituzione minorile.

(11) Cfr. l'audizione dell'Autorità garante per l'inf. e l'ad. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 28.06.2016.

(12) Cfr. la l. n. 173 del 2015 recante: “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare”.

(13) Cfr. sul punto i dati contenuti nel quaderno n. 31 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS): “Affidamenti familiari e collocamenti in comunità al 31.12.2012. Rapporto finale”, a cura della Direzione generale per l'inclusione e le politiche sociali, https://www. minori. gov. it/it/minori/affidamenti-familiari-e-collocamenti-in-comunita-al-31122012, da cui si evince che al 31 dicembre 2012 i bambini e gli adolescenti in affidamento familiare da oltre due anni, costituiscono circa il 60% del totale: erano il 62,2% nel 1999, il 57,5% nel 2007, e il 56% nel 2008. Lo stesso Rapporto riferisce che i bambini in affido da oltre 4 anni sono ben il 31,7% del totale.

(14) Cfr. sull'adozione mite, l'audizione del prof. Massimo Cesare Bianca, libero docente di diritto civile, svolta dalla II Comm. Giustizia della Camera, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legislazione in materia di adozioni ed affido, svoltasi il 23 maggio 2016.

(15) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 15.05.2015, audizione del dott. Tangorra. I dati richiamati nel testo sono pubblicati nella collana “Quaderni della ricerca sociale”, n. 31 (dicembre 2014), con aggiornamento al 31 dicembre 2012.

http://sitiarcheologici.lavoro.gov.it/Strumenti/StudiStatistiche/sociale/Documents/Quaderni _Ricerca _Sociale _31 Report MFFO 2.pdf.

(16) Cfr. l'art. 3 della legge n. 451/97.

(17) Cfr. il Quaderno del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza “I bambini e gli adolescenti fuori dalla famiglia”, indagine sulle strutture residenziali-educativo-assistenziali in Italia, 1998, Ist. degli Innocenti, ottobre 1999.

(18) Cfr in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 10.11.2015.

(19) Cfr. l'all. al Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 10.11.2015, pag. 18.

(20) La tabella, fornita dalla Sottosegretaria, Franca Biondelli, nel corso della citata audizione, è contenuta nell'allegato ai documenti di seduta, pag. 17.

(21) Cfr. l'all. al Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 10.11.2015, pag. 18.

(22) Si ricorda che il predetto tavolo è composto da referenti delle regioni Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Piemonte, Puglia e Sicilia; un rappresentante dell'ANCI; consulenti esperti; un rappresentante dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, in qualità di invitato permanente al tavolo; referenti del Centro nazionale di documentazione e analisi per l'infanzia e l'adolescenza, nonché un rappresentante dell'Associazione nazionale magistrati per la famiglia.

(23) Cfr il documento “Comunità residenziali per minorenni: per la definizione dei criteri e degli standard. Documento di proposta”(maggio 2015).

http://www. garanteinfanzia. org/sites/default/files/documenti/Comunita_residenziali_minorenni_doc_proposta. pdf.

(24) Cfr. le Linee guida per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni nella versione sottoposta al parere della Conferenza unificata in http://www.ancicalabria. it/public/allegati/LI_Serv_Res_versione definitiva. pdf.

(25) Cfr. il decreto 16 dicembre 2014, n. 206 “Regolamento recante modalità attuative del Casellario dell'assistenza, a norma dell'articolo 13 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”. (15G00038) (GU n. 57 del 10-3-2015).

(26) Cfr. le domande poste dalle on.li Zampa, Iori e dalla sen. Mattesini.

(27) Cfr. il Rapporto finale su: “Affidamenti familiari e collocamenti in comunità. I presenti al 31.12.2014 e i dimessi nel corso del 2014”, nella serie Quaderni della ricerca sociale n. 40 (ottobre 2017).

(28) Cfr. in tal senso le considerazioni della sen. Mattesini, in Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 10.11.2015.

(29) Cfr. in tal senso le considerazioni del dott. Tangorra, in Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 10.11.2015.

(30) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 28.06.2016, l'audizione dell'Autorità garante, dott.ssa Albano.

(31) Cfr. il report ISTAT: “I presidi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari” (17.12.2015).

(32) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 28.06.2016.

(33) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 29.09.2015.

(34) Cfr. http://www.istat.it/it/files/2015/12/Presidi-residenziali_2013.pdf?title=Presidi residenziali - 17/dic/2015 - Testo integrale e nota metodologica.pdf.

(35) Cfr. http://dati. istat. it/.

(36) Per il carattere della residenzialità cfr. il nomenclatore degli interventi e servizi sociali – versione anno 2013 su http://www.cisis.it/nomenclatore/nomenclatore13.pdf, che reca la seguente classificazione: 1. Struttura familiare: di piccole dimensioni caratterizzata dall'organizzazione di tipo familiare, che riproduce le caratteristiche della vita in famiglia. Nel caso di strutture per minori vi è la presenza di una coppia o di uno o due adulti che svolgono funzioni genitoriali; 2. Struttura comunitaria: di dimensioni variabili a secondo dell'area di utenza (di norma superiore a 6 – 10 posti) caratterizzata dalla presenza di operatori assistenziali, socio-sanitari o educatori e da un'organizzazione di tipo comunitario.

(37) Cfr. sul punto la definizione contenuta nel Nomenclatore degli interventi e servizi sociali, Versione 2 – Anno 2013. La prevalente funzione tutelare comprende: l'osservazione sociale (il tipo di protezione da parte dei servizi è leggero ed è finalizzato all'osservazione. Ad esempio: strutture per adulti che, pur non prevedendo un progetto individuale, oltre ad offrire prestazioni specifiche, fungono anche da punto di osservazione per monitorare ed arginare lo sviluppo della marginalità); l'accompagnamento sociale (accoglienza rivolta a utenti che hanno concordato un progetto di assistenza individuale e sono in fase di riacquisizione dell'autonomia. I tempi di permanenza sono strettamente correlati e funzionali al progetto individuale) ed infine il supporto all'autonomia (accoglienza in alloggi privi di barriere architettoniche e attrezzati con tecnologie e servizi per offrire una permanenza sicura e funzionale finalizzata al mantenimento dell'autonomia dell'utente. Ad esempio: alloggi protetti con servizi per anziani o disabili con una buona condizione di autosufficienza).

(38) Cfr. “La tutela dei minorenni in comunità, La seconda raccolta dati sperimentale elaborata con le procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni”.

http://garanteinfanzia.s3-eu-west-1.amazonaws.com/s3fs-public/documenti/La Tutela dei minorenni in comunita.pdf.

(39) Cfr. Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 10.05.2016.

(40) Cfr. http://www.gruppocrc.net/IMG/pdf/VIIIrapportoCRC.pdf.

(41) Cfr. “I diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia. 9° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia,” anno 2015-2016 (giugno 2016) in http://www.gruppocrc.net/-pubblicazioni-del-gruppo-crc.

(42) Consultabile in http://www.gruppocrc.net/-pubblicazioni-del-gruppo-crc.

(43) Si veda http://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/infanzia-e-adolescenza/Pagine/Studi-e-statistiche.aspx.

(44) Cfr. il decreto del Ministro della solidarietà sociale n. 308 del 2001, “Requisiti minimi e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale”, adottato a norma dell'articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328, che fa riferimento ai cd. “gruppi appartamento” nonché a strutture “a carattere comunitario”.

(45) Cfr. il documento di proposta dell'AG per l'infanzia e l'adolescenza “Comunità residenziali per minorenni: per la definizione dei criteri e degli standard”, pag. 16, maggio 2015.

(46) Cfr. https://www.istat.it/it/archivio/176622

(47)Cfr. http://www.regioni.it/upload/DOCCRP10)NOMENCLATORE_SERVIZI_SOCIALI.pdf(2009).

https://www.minori.it/sites/default/files/nomenclatore_cisis_2013.pdf

(48) Cfr. “La tutela dei minorenni in comunità. La seconda raccolta dati sperimentale elaborata con le procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni” (ottobre 2015) in http://garanteinfanzia.s3-eu-west-1.amazonaws.com/s3fs-public/documenti/La Tutela dei minorenni in comunita.pdf.

(49) Si tratta in particolare delle procure di Catanzaro, Palermo e Venezia, che pur partecipando attivamente alla rilevazione, non sono riuscite a fornire tutti i dati relativi al genere, alla cittadinanza e alle fasce d'età degli ospiti minorenni.

(50)Cfr. sul punto la scheda pubblicata sul sito del MLPS: http://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/infanzia-e-adolescenza/focus-on/minorenni-fuori-famiglia/Pagine/default.aspx.

(51) Si ricorda che la legge n. 184 del 1983 ha disposto all'art. 2, co. 4, il definitivo superamento del ricovero in istituti per minori entro il 31.12.2006.

(52) Si ricorda che l'art. 330 c.c. prevede l'ipotesi di pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale, mentre l'art. 333 disciplina i casi di condotta del genitore pregiudizievole ai figli.

(53) Cfr. https://www.minori.it/sites/default/files/linee_guida_affidamento_familiare_2013.pdf.

(54)Cfr. http://www.cnoas.it/files/000003/00000317.pdf.

(55) Cfr. le in https://www.minori.it/sites/default/files/sussidiario-affido-familiare.pdf.

(56) Cfr. le in http://www.gruppocrc.net/IMG/pdf/Linee_Guida_Allontamento.pdf.

(57) Cfr. le in http://www.cnoas.it/Attivita/Processi_di_sostegno_e_tutela_dei_minorenni_e_delle_famiglie.html.

(58) Cfr. sul punto il paragrafo 2. Le dimensioni del fenomeno: il sistema di rilevazione e la mancanza di dati certi.

(59) Cfr. il dossier di documentazione del Servizio Studi della Camera dei deputati n. 300 “Modifica dell'articolo 403 del codice civile, in materia di intervento della pubblica autorità a favore dei minori” - A. C. 4299. Si ricorda che al Senato è stato presentato dalla vicepresidente della Commissione, Enza Rosetta Blundo, come prima firmataria il ddl S. 1755 recante: Modifica dell'articolo 403 e introduzione nel libro I del codice civile del titolo XI-bis in materia di provvedimento d'urgenza a tutela del minore, assegnato alla Comm. giustizia, di cui non è mai iniziato l'esame, essendo stato avviato alla Camera l'iter sulla p.d.l. prima citata.

(60) Al riguardo si ricorda che è stato approvato il 3 ottobre 2017 dalla Commissione giustizia della Camera il mandato al relatore a riferire favorevolmente all'Assemblea sul testo di modifica alla norma sopra richiamata ed è stato richiesto il trasferimento dell'esame alla sede legislativa per una rapida conclusione dell'iter, in considerazione dell'imminente fine della legislatura.

(61) Si ricorda che l'art. 330 c.c. disciplina l'ipotesi più grave, di allontanamento del minore per decadenza dalla responsabilità genitoriale, mentre l'art. 333 c.c. quella, meno grave e più frequente, di condotta pregiudizievole ai figli, idonea comunque a giustificare la misura dell'allontanamento.

(62) Si ricorda che l'art. 4 della legge n. 184/83 disciplina l'istituto dell'affidamento del minore; mentre gli artt. 9 e 10 si inseriscono nella procedura per dichiarare il minore adottabile e disciplinano la segnalazione al tribunale per i minorenni delle situazioni di abbandono dei minori (art. 9) e la conseguente apertura del procedimento per dichiararne l'adottabilità con l'indicazione dei provvedimenti che il giudice può adottare anche in via d'urgenza (art. 10).

(63) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 16.02.2016.

(64) Cfr l'all. al Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 16.02.2016 in cui è pubblicata la ricerca: “Bambine e bambini temporaneamente fuori dalla famiglia di origine (al 31.10.2010)”.

(65) Su tali aspetti si veda il paragrafo n. 9: Il sistema di vigilanza e controllo.

(66) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 2.02.2016.

(67) Cfr. in tal senso le considerazioni espresse dall'avv.ssa Pichierri nel corso della citata audizione.

(68) Il test di Rorschach, che può essere categorizzato tra i test psicodiagnostici della personalità viene utilizzato in ambito clinico e giuridico per valutare alcuni aspetti strutturali legati alla personalità e altri dinamici, ossia del perché un soggetto funziona in un certo modo. Può essere in grado di dare indicazioni ad esempio su: disturbi d'ansia, fobie, disturbi dell'umore, disturbi depressivi, psicosi. Cfr. sul punto www.dottori.it/salute/test-di-rorschach-applicazioni-specialisti-risultati#definizione.

(69) Su tali test ed il loro uso nell'ambito delle consulenze tecniche effettuate nei procedimenti di allontanamento dei minori dalla famiglia per valutare le personalità dei genitori cfr. l'allegato al res. sten. cit. della seduta del 2.02.2016.

(70) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 27.04.2016.

(71) Cfr. le in http://www.cnoas.it/Attivita/Processi_di_sostegno_e_tutela_dei_minorenni_e_delle_famiglie.html.

(72) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 12.04.2016.

(73) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 28.062016.

(74) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 29.09.2016.

(75) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 15.03.2016.

(76) Cfr. la l. n. 190 del 2014, art. 1, co. 180.

(77) “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini”. Testo coordinato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, Serie generale n.189 del 14.08.2012 - Suppl. ordinario n. 173: http://www.gazzettaufficiale.it/atto/stampa/

serie_generale/originario.

(78) L. 23 dicembre 2014, n. 190, “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015). art. 1, comma 181.

(79) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 12.06.2016.

(80) D.M. 07 agosto 2014, in

http://sitiarcheologici.lavoro.gov.it/AreaSociale/Immigrazione/minori_stranieri/Documents/DD 10.11.14 - ripartizione primo semestre.pdf.

(81) http://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2015/Decreto_Ministeriale_5_agosto_2015.pdf.

(82) Art. 1, co. 1, del d.l. 120/2013 (testo coordinato con la legge di conversione n. 137/2013, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 15 ottobre 2013, n. 120, recante misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione).

(83) Art. 1, co. 202 e 203, della l. 147/2013 (Legge di stabilità 2014).

(84) Cfr. http://www.interno.gov.it/sites/default/files/sub-allegato_n._25-intesa_conferenza_stato_regioni_del_10_luglio_2014.pdf.

(85)Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”.

(86) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 12.06.2016.

(87) http://www.cittalia.com/images/2016_MSNA_Rapporto.pdf

(88) Cittalia è la struttura dell'ANCI di studi e ricerche su temi di interesse per i comuni italiani.

(89) Con forti oscillazioni intermedie: nel 2012 egiziani, bangladesi ed eritrei erano rispettivamente l'11,1%, il 30,7% e lo 0,7%.

(90) A cura della Direzione generale dell'immigrazione e delle politiche di integrazione – Div. II http://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Report di monitoraggio II Quadrimestre - I Minori Stranieri Non Accompagnati (MSNA) in Italia/Report-di-monitoraggio-MSNA-31-agosto-2017.pdf

(91) Istituito con Regolamento UE n. 516/2014 con l'obiettivo di promuovere una gestione integrata dei flussi migratori sostenendo tutti gli aspetti del fenomeno: asilo, integrazione e rimpatrio.

(92) Fonte: Banca dati Servizio centrale SPRAR.

(93) Cfr. http://www.interno.gov.it/it/amministrazione-trasparente/bandi-gara-e-contratti/qualificazione-sistema-nazionale-prima-accoglienza-dei-minori-stranieri-non-accompagnati-msnafami

(94) Tale DPCM non è stato ancora emanato.

(95)Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale”.

(96)Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi”.

(97) http://www. libertaciviliimmigrazione. dlci. interno. gov. it/it/documentazione/bandi-gara/qualificazione-del-sistema-nazionale-prima-accoglienza-dei-minori

(98) Cfr. http://www. interno. gov. it/sites/default/files/avviso_fami_i_accoglienza_msna. pdf

(99) Osservazioni e raccomandazioni del Tavolo di lavoro sui minori stranieri non accompagnati sull'attuazione della l. 47/2017 “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, con la partecipazione di Action Aid, Ai. Bi., Amnesty International, Asgi, Caritas Italiana, Centro Astalli, CNCA, CIR, Emergency, OIM, Terre des Hommes, Save the Children, UNHCR, UNICEF. https://www.savethechildren.it/sites/default/files/files/Attuazione Legge Zampa.pdf

(100) Cfr. i pareri espressi sull'AG 464 in: http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/docnonleg/35022 http://www.camera.it/leg17/682?atto=464&tipoatto=Atto&leg=17&tab=1.

(101) Report di monitoraggio al 31.12.2016 MSNA in Italia – Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, DG Immigrazione e politiche di integrazione, Div. II. http://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/immigrazione/focus-on/minori-stranieri/Documents/Report-MSNA-mese-dicembre2016-31122016.pdf

(102) Sono pertanto esclusi da tale analisi i minori detenuti negli istituti penali minorili (IPM).

(103) Cfr. il D.P.R. n. 448 del 1988, recante: “Codice del processo penale minorile”.

(104) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 23.02.16.

(105) Cfr. al riguardo i dati del servizio statistica dei Servizi della giustizia minorile (al 31.12.2015) pubblicati nell'all. 3 al Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 23.02.2016.

(106) Cfr. l'art. 5 della l. n. 117 del 2014, recante modifiche all'art. 24 del d.lgs. n. 272 del 1989.

(107) Cfr. i dati riportati nella tabella 12, allegata al res. sten. della seduta del 23.02.2016, p.52.

(108) Cfr. i dati riportati nella tabella 18, allegata al res. sten. della seduta del 23.02.2016, p.56.

(109) Cfr. il d.lgs n. 272 del 1989: “Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del D.P.R. n. 448/88”.

(110) Cfr. al riguardo la Circolare del Capo Dipartimento del MG n. 1 del 18 marzo 2013 recante “Modello di intervento e revisione dell'organizzazione e dell'operatività del Sistema dei Servizi minorili della Giustizia e relativi disciplinari”.

(111) Cfr. il D.P.C.M. 01.04.2008: “Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria”.

(112) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 12.04.2016.

(113) Cfr. in http://www. salute. gov. it/portale/documentazione/p6_2_2_1.jsp?lingua=italiano&id=2462.

(114) Cfr. l'art. 1 della l. 285/1997.

(115) Si tratta di 15 grandi città metropolitane in cui sono stati attivati interventi di sperimentazione in materia di infanzia e adolescenza.

(116) Per la serie storica del riparto del fondo per l'infanzia e l'adolescenza, di cui alla legge n. 285/97 - finanziamenti per annualità, cfr. https://www.minori.it/it/finanziamenti-285.

(117) Cfr. da ultimo lo schema di decreto del Min. del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Min. dell'economia e finanze, del maggio 2017.

(118) Si tratta di misure ulteriori rispetto agli assegni e agli interventi di cui agli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, alla legge 6 dicembre 1971, n. 1044, e alla legge 28 agosto 1997, n. 285.

(119) Si ricorda che l'art. 18 della l. 328 prevede la predisposizione da parte del Governo ogni tre anni del Piano nazionale degli interventi dei servizi sociali, nonché la predisposizione da parte delle Regioni del Piano regionale degli interventi e dei servizi sociali entro 120 giorni dall'adozione del Piano nazionale, sulla base delle indicazioni in esso contenute; l'art. 19 disciplina l'adozione da parte di comuni associati di piani di zona per gli interventi sociali e socio-sanitari, secondo le indicazioni contenute nei Piani regionali.

(120) L'onere dell'interesse sui prestiti è a carico del comune; all'interno del Fondo nazionale per le politiche sociali è riservata una quota per il concorso alla spesa destinata a promuovere il prestito sull'onore in sede locale.

(121) Per un'attenta disamina delle consistenze dei fondi esistenti in materia di politiche per l'infanzia e l'adolescenza, cfr. l'audizione di Antonio Naddeo, direttore dell'Uff. di segr. della Conf. Stato Regioni e capo dip. per gli aff. reg. aut. e sport del Min. per gli aff. reg. e le autonomie, in Res. sten. della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 12 luglio 2016.

(122) Cfr. in tal senso l'art. 46, co. 2, della l. 289/2002.

(123) Cfr. la l. 296/2006, art. 1, commi 1250-1256.

(124) Cfr. l'art. 9 della l. 53/2000.

(125) In proposito si ricorda la voce di bilancio “Fondo assegni nucleo familiare con quattro o più figli” (cap. 2140 del MEF); per sviluppare interventi che diffondano e valorizzino le migliori iniziative in materia di politiche familiari adottate da enti pubblici e privati, enti locali, imprese e associazioni.

(126) Cfr. la l. 191/2009, Tab. C.

(127) Cfr. la l. 220/2010, Tab. C.

(128) Cfr. la l. 183/2011.

(129) Cfr. , per ciascuno degli anni di riferimento, la l. 228/2012, l. 147/2013, l. 190/2014.

(130) Cfr. la l. 190/2014 (art. 1, comma 131).

(131) Ai sensi dell'art. 1, co. 1259, della legge finanziaria 2007 (l. 296/2006)

(132) Si tratta, in particolare, del Fondo previsto all'articolo 58, comma 1, del d.l. 83/2012 (per l'efficientamento della filiera della produzione e dell'erogazione e per il finanziamento dei programmi nazionali di distribuzione di derrate alimentari alle persone indigenti nel territorio della Repubblica italiana).

(133) Cfr. la l. 208/2015.

(134) Le decurtazioni avvengono in base all'art. 1, comma 412.

(135) Si ricorda che con decreto del Min. per gli affari regionali e le autonomie con delega in materia di politiche per la famiglia (luglio 2017) è stato ripartito il Fondo per l'anno 2017, che ammonta complessivamente ad euro 2.780.032,00. Tali somme sono state interamente destinate ad interventi di competenza regionale e degli enti locali volti a favorire la natalità, che abbiano carattere di innovatività rispetto alle misure previste a livello nazionale.

(136) Di cui all'art. 33, comma 3, l. n. 104/1992.

(137) Cfr. il Piano approvato in https://www.minori.it/sites/default/files/piano_famiglia_approvato.pdf.

(138) Cfr. la l. 296/2006, art. 1 co. 1251, lett. a.

(139) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 10.05.2016.

(140) Per la valutazione di tale programma si consultino i relativi quaderni della ricerca sociale del MLPS (n. 34 e n. 39 in http://www.lavoro.gov.it/archiviodocpregressi/Strumenti_StudiStatistiche_sociale/Quaderni Ricerca Sociale 34-PIPPI 2013-2014 Executive Summary A4.pdf#search=pippi 2013-2014; http://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Quaderno della Ricerca Sociale n. 39/QRS-39-2017-PIPPI.pdf.

(141) Cfr. il PNI in https://www.minori.it/it/node/5804.

(142) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 12.12.2015 e del 12.01.2016.

(143) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad . del 12 gennaio 2017.

(144) Cfr. l'art. 9 della l. n. 184/1983 nella sua formulazione originaria che già stabiliva: “Il giudice tutelare, ogni sei mesi, procede ad ispezioni negli istituti ai fini di cui al comma precedente. Può procedere ad ispezioni straordinarie in ogni tempo”.

(145) Cfr. il Rapporto dell'AGIA: “La tutela dei minorenni in comunità. La seconda raccolta dati sperimentale elaborata con le procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni” (ottobre 2017) http://garanteinfanzia.s3-eu-west-1.amazonaws.com/s3fs-public/documenti/La Tutela dei minorenni in comunita.pdf.

(146) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 28.06.2016.

(147) Cfr. il rapporto in http://www.gruppocrc.net/IMG/pdf/2_Rapporto_supplementare-2.pdf , p 71.

(148) Cfr. il Documento di Proposta dell'AGIA del 5 maggio 2015: “Comunità residenziali per minorenni: per la definizione dei criteri e degli standard”:

http://garanteinfanzia.s3-eu-west-1.amazonaws.com/s3fs-public/documenti/Comunita_residenziali_minorenni_doc_proposta.pdf.

(149) Cfr. la Relazione al Parlamento 2016 dell'AGIA (giugno 2017) - Doc. CCI, n. 5.

(150) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 16.02.2016.

(151) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 1.03.2016.

(152) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 19.03.2016.

(153) Ibidem nota prec.

(154) Si ricorda che la vicepresidente Blundo ha presentato un ddl (AS 1756), recante “Disposizioni in materia di affido condiviso dei figli”, che riforma la l. 54 del 2006, in quanto a suo giudizio tali disposizioni sono state applicate per anni facendo riferimento a prassi e stereotipi tipici dell'affido esclusivo che, in caso di elevata conflittualità genitoriale, non garantiscono il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.

(155) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 5.06.2016.

(156) Cfr. il d.lgs. n. 39/2011 recante: “Attuazione della direttiva 2011/93/UE relativa alla lotta contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile, che sostituisce la decisione quadro 2004/68/GAI. (14G00051) (GU Serie Generale n. 68 del 22-03-2014).

(157) Cfr. il Regolamento concernente “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell'art. 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328”.

(158) Cfr. l'art. 8-ter del cit. decreto: “Autorizzazioni alla realizzazione di strutture e all'esercizio di attività sanitarie e sociosanitarie”.

(159) Cfr. in tal senso il documento di proposta “Comunità residenziali per minorenni: per la definizione dei criteri e degli standard, dell'AGIA, del maggio 2015”; nonché le Linee di indirizzo per l'affidamento familiare del MLPS del 2013.

(160) Cfr. in tal senso il documento del MLPS citato alla nota precedente, in cui si ricorda che in alcune realtà territoriali i servizi che si occupano di protezione e cura dei minori sono distinti dai servizi che curano l'affidamento familiare (centri per l'affidamento). In tali ipotesi, in cui intervengono due gruppi di operatori sullo stesso caso, si costituisce una unica equipe.

(161) Cfr. per maggiori dettagli quanto previsto nelle citate linee guida del MLPS.

(162) Cfr. in tal senso il documento “Nuove sperimentazioni nel lavoro sociale e psicologico per la tutela dei minori e il supporto alle famiglie in difficoltà” di Liviana Marelli in http://www.provincia.piacenza.it/Allegati/Livelli/MARELLI 20-04-20121335773875.pdf.

(163) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 19.04.2016.

(164) Ibidem nota prec.

(165) Ibidem nota prec.

(166) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 26.01.2016.

(167) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 29.01.2015.

(168) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 17.05.2017.

(169) Ibidem, nota prec.

(170) Si ricorda che sul tema del sostegno ai minori neomaggiorenni provenienti da comunità di tipo familiare, sono state presentate nella XVII leg. varie p.d.l. tra cui AS 64 (Amati ed altri) e AC 2005 (Brambilla), di cui non è mai iniziato l'esame.

(171) Documentazione presentata dal vicepresidente dell'Associazione “Genitori sottratti”, Gabriele Bartolucci, allegata al resoconto della seduta del 5.04.2016 (Fonte: Istituto degli Innocenti).

(172) Cfr. sul punto le considerazioni svolte da Vezzetti nel corso dell'audizione cit. del 19.04.2016.

(173) Cfr. l'articolo pubblicato sul settimanale Panorama del 28 aprile 2015 https://www.panorama.it/news/in-giustizia/scandalo-giudici-minorili-onorari/.

(174) Cfr. articolo 2 del R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404 e successive modificazioni.

(175) L'articolo 7, comma 6, prevede altresì che il dirigente dell'ufficio giudiziario abbia cura che ogni interferenza o confusione dei ruoli sia evitata, anche attraverso l'applicazione delle regole fissate dal CSM nella circolare sulla formazione delle tabelle degli uffici giudiziari.

(176) Sull'affidamento dei minori inseriti nel circuito della giustizia penale nelle comunità ministeriali ovvero in quelle del privato sociale, si v.infra il par. n.6.

(177) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 29.09.2015.

(178) Cfr. per le tabelle l'all. al res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'in. e l'ad. del 29.09.2015, pagg. 35 e ss: “I minorenni fuori dalla famiglia d'origine: i numeri”, a cura di Liviana Marelli (CNCA).

(179) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 3.11.2015.

(180) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 27.04.2016.

(181) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 14.07.2016.

(182) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 29.09.2015.

(183) Ibidem nota prec.

(184) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 24.11.2015.

(185) Ibidem nota prec.

(186) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 12.01.2016.

(187) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 19.01.2016.

(188) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 26.01.2016.

(189) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 24.05.2016.

(190) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 23.05.2017.

(191) Cfr. Res. sten. del 13.01.2015, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla prostituzione minorile.

(192) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. dell'8.06.2016.

(193) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 17.052016.

(194) Ibidem, n. prec.

(195) Ibidem, n. prec.

(196) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 3.05.2016.

(197) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 5.04.2016.

(198) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 5.04.2016.

(199) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 24.10.2017; audizione svolta nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, focus sulla salute mentale.

(200) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 26.01.2016.

(201) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 2.02.2016.

(202) Ibidem.

(203) Cfr. in Atti parl. XVII leg., Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 5.07.2016.

(204) Cfr. la XIV Relazione del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse (anno 2015), nonché, da ultimo, la XVI Relazione semestrale, al 31 dicembre 2016, da cui si evince che i MSNA scomparsi sono 6114.

(205) Dott. Daniele Biondo e Dott. Tommaso Romani, cfr. in Res. sten. della seduta della Comm. parl. per l'inf. e l'ad. del 09.02.2016.