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Documento

Doc. XXII-bis, N. 7

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUI CASI DI MORTE E DI GRAVI MALATTIE CHE HANNO COLPITO IL PERSONALE ITALIANO IMPIEGATO IN MISSIONI MILITARI ALL'ESTERO, NEI POLIGONI DI TIRO E NEI SITI DI DEPOSITO DI MUNIZIONI, IN RELAZIONE ALL'ESPOSIZIONE A PARTICOLARI FATTORI CHIMICI, TOSSICI E RADIOLOGICI DAL POSSIBILE EFFETTO PATOGENO E DA SOMMINISTRAZIONE DI VACCINI, CON PARTICOLARE ATTENZIONE AGLI EFFETTI DELL'UTILIZZO DI PROIETTILI ALL'URANIO IMPOVERITO E DELLA DISPERSIONE NELL'AMBIENTE DI NANOPARTICELLE DI MINERALI PESANTI PRODOTTE DALLE ESPLOSIONI DI MATERIALE BELLICO E A EVENTUALI INTERAZIONI

(istituita con delibera della Camera dei deputati 30 giugno 2015)

(composta dai deputati: Scanu, Presidente; Catalano, Duranti, Vicepresidenti; Paola Boldrini, Rizzo, Segretari; Amato, Capelli, Carrozza, Causin, Cirielli, Cova, Crivellari, Grillo, Lacquaniti, Massa, Nizzi, Pili, Simonetti, Vito, Zardini)

RELAZIONE SULLA SICUREZZA SUL LAVORO E SULLA TUTELA PREVIDENZIALE NELLE FORZE ARMATE

(Relatore: on. Gian Piero SCANU)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 26 maggio 2016

Trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 26 maggio 2016, ai sensi dell'articolo 4, comma 2, della delibera della Camera dei deputati del 30 giugno 2015

I N D I C E

PREMESSA Pag. 5
I precedenti » 6
Profili di continuità e aspetti innovativi rispetto alle inchieste svolte nelle passate Legislature » 8
Una proposta di legge sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale nelle Forze armate » 12
LA SICUREZZA SUL LAVORO » 16
I. L'adattamento del d.lgs. n. 81/2008 alle «particolari esigenze» delle Forze armate » 16
II. L'individuazione del datore di lavoro » 18
III. L'autonomia del RSPP » 25
IV. Dalla valutazione dei rischi alla formazione dei lavoratori » 26
V. Sorveglianza sanitaria e profilassi vaccinale » 28
VI. La tutela ambientale » 29
VII. La vigilanza sui luoghi di lavoro delle Forze armate » 33
VIII. Le abrogazioni » 35
LA TUTELA PREVIDENZIALE » 40
IX. L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali » 40
X. L'abrogazione dell'equo indennizzo » 43
XI. La cumulabilità delle prestazioni » 43
XII. Le norme transitorie » 44
XIII. Le norme finali » 44
PROPOSTA DI LEGGE IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO E TUTELA PREVIDENZIALE NELLE FORZE ARMATE Pag. 45
Art. 1 (Definizione)
Art. 2 (Modifica all'articolo 3 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 3 (Modifica all'articolo 6 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 4 (Modifica all'articolo 9 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 5 (Modifica all'articolo 13 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 6 (Modifica all'articolo 18 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 7 (Modifica all'articolo 28 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 8 (Modifica all'articolo 31 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 9 (Modifica all'articolo 36 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 10 (Modifica all'articolo 41 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81)
Art. 11 (Abrogazioni)
Art. 12 (Entrata in vigore dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali relativa al personale delle Forze armate)
Art. 13 (Abolizione dell'istituto dell'equo indennizzo)
Art. 14 (Cumulabilità delle prestazioni)
Art. 15 (Norme transitorie)
Art. 16 (Norma finale)
Pag. 5

PREMESSA

  La presente relazione si propone di tracciare un primo bilancio dei lavori svolti nel corso dei primi mesi d'inchiesta, relativamente ad una parte estremamente rilevante delle materie oggetto dell'inchiesta, come elencate all'articolo 1 della delibera istitutiva 30 giugno 2015, ovvero alla parte concernente la sicurezza del lavoro e la tutela previdenziale per il personale dell'amministrazione della Difesa. Nell'affrontare questo argomento, che ovviamente non esaurisce l'oggetto dell'inchiesta, la Commissione si è avvalsa dei principi e dei criteri metodologici stabiliti dal testo della citata delibera, non solo per quanto riguarda la continuità rispetto al lavoro ed alle conclusioni delle inchieste svolte nelle precedenti legislature (articolo 1, comma 2), ma anche per quanto attiene alle indicazioni di cui al comma 2 dell'articolo 4, con particolare riferimento all'individuazione di misure di prevenzione e di assistenza da adottare, nonché sull'adeguatezza dei vigenti istituti di indennizzo, di natura previdenziale e di sostegno al reddito. A questo riguardo, la Commissione ha inteso coniugare lo svolgimento dell'attività inquirente con una più accentuata capacità, rispetto al recente passato, di tradurre valutazioni e analisi in proposte operative anche nella forma di uno schema di articolato normativo, con l'auspicio che la Camera, con le modalità previste dal suo Regolamento, possa avvalersi del lavoro d'inchiesta e di elaborazione svolto finora. Resta fermo che, in coerenza con le proposte contenute nella presente relazione, questa Commissione procederà ad approfondite indagini sulla concreta, effettiva attuazione di tali proposte.

Pag. 6

I precedenti.

  La prima Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito fu istituita nella XIV legislatura al Senato. Presieduta dal senatore Paolo Franco (Lega Nord), riprese i temi già trattati, nella precedente legislatura, nel corso di un'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione difesa della Camera dei deputati sulla prevenzione dei rischi e sulle condizioni di sicurezza dei militari italiani impegnati nei Balcani. Tale indagine fu deliberata il 10 gennaio 2001, nella fase conclusiva della XIII legislatura, e il 16 gennaio dello stesso anno, la Commissione difesa del Senato ottenne l'autorizzazione, da parte della Presidenza di Palazzo Madama, a svolgere una parallela indagine conoscitiva, avente ad oggetto il livello di conoscenza, da parte italiana, dell'utilizzo di munizioni all'uranio impoverito da parte della NATO nel corso delle operazioni belliche nei Balcani e delle misure adottate dalle Forze armate italiane per la prevenzione dei rischi derivanti dall'impiego di tale munizionamento. Entrambe le iniziative parlamentari, peraltro, traevano origine dalla diramazione di un documento della NATO SHAPE (Supreme Headquarters Allied Power Europe) in data 1o luglio 1999, contenente la descrizione dei rischi associati all'esposizione all'uranio impoverito e delle precauzioni consigliate per il personale militare in presenza di tali rischi.
  Le attività conoscitive intraprese nei due rami del Parlamento fecero pertanto emergere giustificati motivi di preoccupazione per le condizioni di salute del personale militare che aveva preso parte alle missioni di pace nel Kosovo e in Bosnia-Erzegovina, durante le quali il ricorso al munizionamento all'uranio impoverito era noto e documentato. Per tale ragione, il 17 gennaio 2001, parallelamente all'avvio dell'indagine conoscitiva, la Commissione difesa del Senato intraprese l'esame di due proposte dirette ad attivare un'inchiesta parlamentare sui temi oggetto delle indagini conoscitive suddette, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione: la prima proposta (Documento XXII, n. 72), a firma del senatore Semenzato (Gruppo Verdi-l'Ulivo) e di altri senatori, riguardava l'istituzione di un organismo inquirente monocamerale, mentre il disegno di legge n. 51, d'iniziativa dei senatori Forcieri (Democratici di sinistra-l'Ulivo) e Agostini (Partito Popolare), proponeva di dare vita a un organismo bicamerale. La Commissione difesa approvò in sede referente un testo unificato, con il quale si optava per l'istituzione di un organismo monocamerale (seduta dell'8 febbraio) e, in attesa della deliberazione dell'Assemblea, rinunciò a svolgere l'attività conoscitiva già programmata.
  Tuttavia, la conclusione della XIII legislatura impedì che l’iter di approvazione della proposta giungesse al termine e nella successiva legislatura l'Assemblea del Senato approvò il Documento XXII, n. 27, di iniziativa del senatore Forcieri ed altri senatori, recante «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui casi di morte e grave malattia che hanno colpito il personale militare italiano Pag. 7impiegato nelle missioni di pace, sulle condizioni della conservazione e sull'eventuale utilizzo di uranio impoverito nelle esercitazioni militari sul territorio nazionale». La Commissione, che iniziò i propri lavori il 15 febbraio 2005, a quasi quattro anni dall'inizio della XIV legislatura, fu presieduta dal senatore Salini e, dal 21 marzo, dal senatore Paolo Franco, essendo stato nel frattempo il senatore Salini chiamato a fare parte del Governo.
  I lavori della Commissione si svolsero nella parte finale della legislatura: l'inchiesta, conclusasi il 1o marzo 2006, con l'approvazione della relazione conclusiva predisposta dal presidente Franco, mise in luce diverse criticità e accertò l'esigenza di estendere l'ambito delle indagini al personale italiano impiegato nelle missioni all'estero, non esclusivamente nei Balcani, ai poligoni di tiro, ai siti di stoccaggio dei munizionamenti e ai rischi di esposizione a fattori patogeni di varia natura per le popolazioni civili residenti nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti gli insediamenti militari sul territorio nazionale, dedicando una particolare attenzione agli effetti dell'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e della dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico. Le predette materie di indagine furono puntualmente riportate nella Deliberazione approvata in sede deliberante dalla Commissione difesa del Senato nella XV legislatura, l'11 ottobre 2006. La proposta originaria (Documento XXII, n. 3) era stata presentata il 4 maggio 2006, per iniziativa del senatore Malabarba (Rifondazione comunista-Sinistra europea) e di altri senatori.
  Il 13 febbraio 2007, la Commissione d'inchiesta iniziò i propri lavori sotto la presidenza della senatrice Lidia Brisca Menapace (Rifondazione comunista-Sinistra europea) e li concluse il 12 febbraio dell'anno successivo, con l'approvazione della relazione predisposta dalla Presidente.
  Anche a causa della breve durata della XV legislatura, la Commissione Menapace ebbe poco tempo a disposizione per lo svolgimento dell'inchiesta; tuttavia, come si dirà più oltre, il suo contributo fu assai rilevante. Il Senato, peraltro, ritenne che gli accertamenti dovessero essere proseguiti e, nella XVI legislatura, la Commissione d'inchiesta fu nuovamente istituita dal Senato con l'approvazione della delibera 16 marzo 2010, in un testo derivante dall'unificazione di due proposte di iniziativa parlamentare, la prima, del 22 maggio 2008 (Documento XXII, n. 7), d'iniziativa del senatore Casson (Partito Democratico) e di altri senatori; la seconda, del 1o ottobre 2008, d'iniziativa del senatore Balboni (Il Popolo della Libertà) e di altri senatori. La Commissione iniziò i propri lavori il 15 settembre 2010, sotto la presidenza del senatore Rosario Giorgio Costa (Il Popolo della Libertà), e li concluse, con l'approvazione della relazione predisposta dallo stesso Presidente Costa, il 9 gennaio 2013.
  La conclusione anticipata della XV e della XVI legislatura fece sì che sia la Commissione Menapace sia la Commissione Costa concludessero i propri lavori con l'approvazione di una relazione sulle risultanze delle indagini svolte, a ridosso o successivamente all'atto presidenziale di scioglimento delle Camere, così da tracciare indirizzi la cui realizzazione restava affidata al Parlamento da eleggere e alla maggioranza che sarebbe uscita dalle urne. Questa circostanza ha Pag. 8certamente reso poco agevole l'attuazione delle proposte consegnate dagli organi inquirenti alle Camere e alle amministrazioni competenti; d'altra parte, le analisi, le valutazioni e le proposte elaborate nella XIV, XV e nella XVI legislatura si caratterizzano positivamente per la continuità dell'approccio metodologico, dei contenuti e delle stesse conclusioni, così che, da questo punto di vista, si può parlare di un'unica indagine, ripartita nell'arco di tre legislature, il che è tanto più rilevante se si considera che tutte le relazioni conclusive furono approvate all'unanimità, senza distinzione tra maggioranza e opposizione.

Profili di continuità e aspetti innovativi rispetto alle inchieste svolte nelle passate Legislature.

  È anche sulla base di tale considerazione, che la delibera 30 giugno 2015, con cui la Camera dei deputati ha disposto l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle materie già indagate nelle precedenti legislature, ha inteso esplicitare un principio di continuità, indicando questo raccordo nella disposizione di cui all'articolo 1, comma 2, in forza della quale la Commissione «fonda la propria attività sulle conclusioni e promuove l'attuazione delle proposte contenute nelle relazioni finali presentate al termine dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta istituita con deliberazione del Senato della Repubblica 11 ottobre 2006 [...] e della Commissione parlamentare di inchiesta istituita con deliberazione del Senato della Repubblica 16 marzo 2010 [...]».
  Si tratta di un'opzione certo non vincolante per quanto attiene alle conclusioni che verranno raggiunte al termine delle indagini in corso, ma significativa per quanto riguarda il metodo di lavoro e l'indirizzo che la Commissione è chiamata a perseguire: esso si può sintetizzare nell'intento di capitalizzare conclusioni ormai acquisite e consolidate (che trovano significativi riscontri anche nelle audizioni finora svolte), sulle quali basarsi per delineare soluzioni che diano uno sbocco operativo e concreto alle analisi e alle valutazioni formulate nelle precedenti relazioni, anche mediante l'introduzione di impegnative modifiche dell'ordinamento. Quindi, in sintesi, la Commissione stabilisce un rapporto di continuità con le inchieste passate, senza per questo rinunciare ad apportare un proprio contributo originale, soprattutto nella messa a punto di proposte in linea con i risultati raggiunti fino ad oggi.
  Proprio sulla base di queste brevi considerazioni preliminari la Commissione intende ribadire anche nella presente relazione l'auspicio, più volte espresso dal suo Presidente, di essere l'ultimo organo inquirente incaricato da un ramo del Parlamento di indagare sulle problematiche legate all'esposizione all'uranio impoverito e ad altri agenti patogeni, ed è confortata in tale auspicio anche dalla certezza di operare sulle solide fondamenta offerte dalle risultanze delle precedenti inchieste.
  Se si considera quest'ultimo aspetto, occorre in primo luogo partire dal dato già sopra ricordato del progressivo ampliamento, nell'arco delle tre legislature trascorse, dell'oggetto dell'inchiesta, quale si può desumere da un breve esame dei diversi atti istitutivi. Senza Pag. 9scendere nel dettaglio, sarà qui sufficiente ricordare che l'estensione dell'ambito tematico è conseguente ai risultati degli accertamenti condotti ed alla conseguente elaborazione delle singole Commissioni. La Commissione presieduta dal senatore Franco, chiamata per prima in ordine di tempo a svolgere l'attività di indagine, dovette prendere possesso del tema, peraltro già scandagliato nella precedente legislatura, ed ebbe immediatamente la consapevolezza dell'ampiezza di esso, e soprattutto della circostanza per la quale le problematiche connesse all'esposizione all'uranio impoverito e alle conseguenze della sua utilizzazione sul campo in termini di inquinamento bellico e di esposizione dei militari e delle popolazioni civili, a nanoparticelle di elevata tossicità prodotte dalle conflagrazioni, costituivano, in realtà, parte (non certo secondaria) di una questione più generale, attinente alla pluralità di fattori patogeni e dei conseguenti rischi ai quali il personale militare si trovava esposto in particolari situazioni operative e ambientali, anche non implicanti l'impiego bellico dello strumento militare. Di qui, dunque, la riformulazione e messa a punto dell'ambito dell'indagine quale si esprime negli atti istitutivi varati dal Senato nella XV e XVI legislatura.
  Pur nella brevità del tempo disponibile, la Commissione presieduta dalla senatrice Brisca Menapace concentrò la propria attenzione su un punto cruciale della problematica in esame, esplicitando il principio della probabilità di causa, in base al quale, con particolare riferimento alle patologie per le quali si ipotizzava la riconducibilità all'esposizione all'uranio impoverito, non si poteva né affermare né negare con certezza, in relazione ai risultati conseguiti dalla ricerca scientifica, un nesso direttamente causale, appunto, tra l'esposizione e l'insorgere della patologia. Pertanto, si affermava nella relazione conclusiva, l'applicazione del criterio probabilistico nella valutazione del predetto rapporto che avrebbe dovuto essere inequivocabilmente esplicitata nell'ambito delle norme relative all'indennizzabilità delle patologie gravemente invalidanti o mortali contratte dal personale militare, sia in missioni fuori area sia in patria, e conseguentemente adottata nel procedimento amministrativo di accertamento delle patologie e di attribuzione dei benefici. Così la relazione finale sintetizzava questa impostazione:
   «[...] la Commissione ha operato un mutamento di prospettiva nell'impostazione del problema, invertendo, per così dire, l'onere della prova. Atteso infatti che le ricerche e i dati disponibili non consentivano di confermare, ma neanche di escludere, un possibile legame tra le patologie oggetto dell'inchiesta e l'esposizione all'uranio impoverito o ad altri agenti nocivi, la Commissione ha sostituito al nesso di causalità, il criterio di probabilità, utilizzando strumenti statistico-probabilistici nella valutazione delle possibili cause delle patologie e sganciando, in un certo senso, l'effetto dalla causa. Non potendosi affermare – ma neppure escludere – la relazione tra l'evento morboso e la causa scatenante, il fatto stesso che l'evento si sia verificato costituisce di per sé, a prescindere cioè dalla dimostrazione del nesso diretto, motivo sufficiente per il ricorso agli strumenti risarcitori. In tal modo è consentito l'accesso alle forme di assistenza e risarcimento previste dalle disposizioni vigenti (compreso il riconoscimento della causa di servizio e della speciale elargizione) in base ad un dato Pag. 10obiettivo e inconfutabile, rappresentato, appunto, dal verificarsi dell'evento morboso a prescindere dall'accertamento scientifico e medico della causa scatenante.».

  Questa conclusione fu data per acquisita dalla Commissione istituita nella XVI legislatura, la quale, sin dall'inizio della sua attività, non mancò di constatare come sia la normativa vigente sia le modalità di applicazione della stessa da parte delle amministrazioni interessate, risultassero lacunose e incongruenti rispetto al principio enunciato dalla precedente Commissione (al punto da richiedere modifiche normative che la Commissione, pur nei limiti delle proprie competenze, non mancò di caldeggiare, come si evince dalla lettura degli atti parlamentari), con il risultato di rendere particolarmente farraginosa (e in diversi casi contraddittoria) la procedura di attribuzione del beneficio della cosiddetta «speciale elargizione» per i soggetti equiparati alle vittime del terrorismo, e di dare luogo ad un esteso contenzioso giudiziario, che ha visto spesso soccombente l'amministrazione, soprattutto a causa della carente motivazione degli atti di diniego del beneficio.
  Le lentezze procedurali e le incongruenze normative nella concessione dei benefici previsti dalla legge costituivano peraltro la manifestazione, sul piano normativo e amministrativo, di una realtà ben più significativa, con la quale la Commissione Costa prese contatto attraverso gli accertamenti condotti in relazione alla nocività dell'uranio impoverito e, più in generale, attraverso l'accertamento delle condizioni di rischio riconducibili all'esposizione del personale militare e civile della Difesa a fattori patogeni di varia natura.
  Avendo ribadito la validità del criterio probabilistico, come enunciato nelle conclusioni dell'inchiesta svolta nella XV legislatura, occorreva valutare la realtà delle situazioni di rischio ed indagare sui fattori eziopatogenetici più rilevanti nell'ambito delle Forze armate.
  Nell'esaminare i documenti prodotti su iniziativa del Ministero della difesa (in particolare, peraltro, le conclusioni della Commissione Mandelli e del progetto Signum), nonché la documentazione prodotta da altri soggetti (in particolare, il parere reso alla Commissione europea da un organismo indipendente, lo Scientific Committee on Health and Environmental Risks – SCHER, del 28 maggio 2010, dal titolo Opinion on the Environmental and Health Risks Posed by Depleted Uranium) e nel prendere atto delle risultanze delle audizioni svolte, la Commissione Costa ebbe la conferma che le conoscenze scientifiche non consentivano di affermare con certezza il ruolo causale di tutti i fattori di rischio presi in esame (non soltanto l'esposizione all'uranio impoverito) rispetto agli effetti denunciati, ma, al tempo stesso, non consentivano di escludere che una concomitante ed interagente azione dei fattori potenzialmente nocivi potesse essere alla base delle patologie e dei decessi osservati.
  Ne derivava la raccomandazione rivolta in primo luogo alle amministrazioni chiamate ad assicurare l'osservanza delle norme in materia di tutela della salute del personale militare e civile, di adottare il principio di precauzione, come presupposto «di ogni fase della più complessiva funzione di tutela della salute del personale e delle popolazioni potenzialmente esposte agli effetti militari». Tradotto Pag. 11in termini operativi, sempre secondo la relazione della Commissione Costa, l'applicazione del principio di precauzione avrebbe significato:
   «1) che debbono essere evitate e inibite quelle attività che comportino il verificarsi di situazioni di rischio di natura chimica, fisica o biologica non controllabili con misure di «contenimento» o minimizzazione «alla fonte» ovvero non suscettibili di poter essere contenute o rapidamente risanate per quanto riguarda l'impatto ambientale, le implicazioni sulla catena alimentare, gli effetti di esposizione sull'uomo anche con l'impiego di mezzi di protezione individuale;
   2) che non possano essere effettuate operazioni da parte del personale senza l'impiego delle misure organizzative, delle procedure o istruzioni operative per la sicurezza, ivi compresi gli impieghi obbligatori dei dispositivi di protezione individuale (DPI).»

  Un terzo punto, più riferito alla problematica dei vaccini, segnalava che le «attività di somministrazione di farmaci, vaccini, antidoti e ogni intervento medico-chirurgico suscettibile di determinare effetti iatrogeni» dovessero essere effettuati tenendo conto della particolare situazione individuale del destinatario, in relazione a specifiche indicazioni cliniche, e dovessero essere praticati previa puntuale raccolta e registrazione di anamnesi mirata e specifica per il tipo di intervento da effettuare, nonché previa acquisizione di consenso informato all'effettuazione dell'intervento con illustrazione puntuale degli effetti e dei rischi legati all'intervento stesso e alla sua mancata esecuzione secondo le disposizioni di legge, e con rigoroso rispetto dei protocolli e dei calendari previsti.
  L'enunciazione in questi termini del principio di precauzione si collega strettamente con un'altra conclusione della Commissione Costa, relativa al criterio di multifattorialità della patogenesi. Nel corso dell'indagine svolta nella XVI legislatura, infatti, sono stati ascoltati numerosi esperti e ricercatori, i quali hanno espresso opinioni e valutazioni spesso discordanti, sia per quanto riguarda la tossicità di singoli agenti sia per quanto riguarda i fattori causali delle singole patologie. Per questo profilo, la Commissione condivide e fa proprio l'approccio adottato nella passata legislatura, avendo la Commissione Costa sempre evitato di entrare nel merito di singole ipotesi e tanto meno «di ispirare i propri orientamenti o le proprie conclusioni a questa o quella ipotesi scientifica», ritenendo di doversi attenere strettamente al merito politico, normativo ed amministrativo delle diverse questioni affrontate, lasciando la formulazione di ipotesi sui livelli di tossicità di sostanza specifiche e sull'eziopatogenesi al libero dibattito della comunità scientifica. In particolare, con riferimento all'esigenza di ispirare la legislazione in materia di indennizzi ad un criterio probabilistico, prescindendo dalla ricerca di un nesso causale tra esposizione ad agenti patogeni e l'insorgere della malattia, il più delle volte indimostrabile, la Commissione segnalava l'esigenza di concentrarsi invece «sulle circostanze di fatto che consentono di identificare, in determinati contesti ambientali ed operativi, cause possibili o concomitanza di cause possibili riguardo all'insorgere delle Pag. 12patologie, secondo un principio di multifattorialità causale che consente di prescindere da spiegazioni unilaterali, suscettibili di dare luogo a condanne spesso ingiustificate e ad altrettanto ingiustificate assoluzioni».

Una proposta di legge sulla sicurezza sul lavoro e sulla tutela previdenziale nelle Forze armate.

  Quanto ricordato finora costituisce la sintesi delle conclusioni maturate nelle precedenti legislature che la Commissione intende assumere e fare proprie nella trattazione dei temi che costituiscono l'oggetto della presente relazione, relativi, in sostanza, alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori delle Forze armate. D'altra parte, le audizioni fino ad oggi svolte e gli accertamenti effettuati consentono di pervenire a conclusioni tali da potere tracciare una proposta organica per quello che attiene alla prevenzione e sicurezza del lavoro ed alla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali in ambito militare.
  Le analisi condotte nelle precedenti legislature su questi profili e le risultanze dell'inchiesta in corso inducono a ritenere che l'applicazione delle predette normative nell'ambito del sistema militare presenti notevoli criticità, in particolare per quanto concerne la valutazione dei rischi, la responsabilità del datore di lavoro, l'approntamento di strutture e servizi di prevenzione adeguati. Osservava in proposito la Commissione Costa:
   «Sembrerebbe che in ambito militare l'applicazione delle norme generali poste a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori si arresti in alcuni casi alla previsione di norme di comportamento o disciplinari rispetto all'attuazione delle quali non appaiono implementati appropriati ed efficaci sistemi di verifica e controllo.».

  Rispetto a questa situazione, la Commissione ritiene che debba essere innanzitutto riconsiderata l'applicazione dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 81 del 2008, in materia di sicurezza sul lavoro, in base al quale, per alcune categorie di lavoratori, tra i quali, tra l'altro le Forze armate, l'applicazione della normativa prevenzionistica venga effettuata «tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attività condotte dalle Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, nonché dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei Vigili del fuoco nonché dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale», individuate con appositi decreti ministeriali. È opinione della Commissione, sulla scorta di importanti pronunce giurisprudenziali di cui si darà conto in sede di illustrazione dello schema di elaborato normativo proposto, che in ambito applicativo, il riferimento alle particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative non possa essere invocato in alcun modo per giustificare una riduzione dei livelli di tutela previsti dall'ordinamento per la generalità dei lavoratori, Pag. 13né per ridimensionare la responsabilità del datore di lavoro in materia prevenzionistica, o per creare un qualsiasi tipo di «zona franca» dalla quale si possa desumere l'attenuarsi della portata prescrittiva della disciplina generale. Si tratta, invece, di delineare un quadro normativo in materia di prevenzione e sicurezza del lavoratore militare che sia conseguente rispetto alla disciplina previdenziale che già oggi riconosce provvidenze specifiche a fronte di rischi legati a fattori patogeni riconducibili a particolari condizioni ambientali e operative (articoli da 1078 a 1084 del Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, come modificati dal Decreto del Presidente della Repubblica 24 febbraio 2012, n. 40).
  Per le Forze armate tale compito di adeguamento della disciplina del decreto legislativo n. 81 è stato affidato al Decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante il Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare.
  In estrema sintesi si può affermare che in tale testo normativo viene posta una forte enfasi sulla specialità dell'ordinamento militare che, per quanto attiene alla tutela e sicurezza del lavoro, si esplicita in una organizzazione della stessa ispirata ad un criterio di assoluta autosufficienza, in particolare per quello che riguarda l'assetto dei servizi di prevenzione e protezione e l'esercizio delle funzioni ispettive e di vigilanza.
  Già nelle precedenti inchieste erano emerse le criticità di questo modello organizzativo, confermate anche nelle audizioni svolte nell'ambito dell'inchiesta in corso; in particolare, è stata segnalata l'esigenza di assicurare l'effettività e l'efficacia dell'azione di vigilanza garantendo ai servizi preposti allo svolgimento di tale attività la necessaria autonomia e terzietà, eventualmente trasferendo le relative funzioni al di fuori dell'ambito militare e affidandole ai soggetti già competenti per questa materia nell'ambito del sistema pubblico. Né sono apparse in proposito congrue le rassicurazioni a suo tempo fornite alla Commissione Costa dal Segretario generale della Difesa pro tempore, circa la severità delle ispezioni svolte dal personale della Difesa (rassicurazioni peraltro reiterate dal Segretario generale in carica, generale Magrassi): nessun organo parlamentare inquirente, né attualmente né in passato, ha mai inteso mettere in dubbio la competenza professionale o la correttezza del predetto personale, che è fuori discussione. Quello che suscita perplessità è infatti il dato obiettivo dell'esistenza di un rapporto di subordinazione gerarchica del controllore rispetto al controllato che di per sé fa venire meno i principi di autonomia e terzietà sui quali dovrebbe fondarsi ogni attività ispettiva.
  Occorre dunque ridimensionare l'ambito della specialità nella disciplina della sicurezza del lavoro nelle Forze armate: quest'ultima che deve costituire l'eccezione (del tutto motivata in casi specifici, quali, ad esempio, l'accertamento all'idoneità a svolgere determinati compiti) alla regola per la quale, in questa materia, il personale militare, di norma, è soggetto alla disciplina dettata per gli altri lavoratori.
  A tal fine, la Commissione avanza due proposte, anche in forma di articolato normativo, di cui si darà conto nel dettaglio nel seguito della presente relazione. Esse si propongono:Pag. 14
   a) di effettuare una revisione della normativa vigente in materia di sicurezza e prevenzione del lavoro nelle Forze armate, con riferimento in particolare ai compiti e all'autonomia del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ai criteri di individuazione del datore di lavoro, alla valutazione dei rischi e alla formazione dei lavoratori, alla sorveglianza sanitaria e alla profilassi vaccinale, ai compiti del medico competente, alla tutela ambientale, all'esercizio delle funzioni ispettive, con riferimento alle Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri;
   b) di superare la separatezza ormai anacronistica che caratterizza oggi la disciplina assicurativa per i rischi e le malattie professionali, portando il personale militare nell'ambito della gestione INAIL, con le modalità previste per le altre amministrazioni statali.

  Le modifiche dell'ordinamento di cui al punto b) se da una parte si collegano ai rilievi critici a suo tempo mossi dalla Commissione Costa, dall'altra ne rappresentano un ulteriore sviluppo. Nel corso dell'inchiesta svolta nella XVI legislatura, infatti, fu profuso un particolare impegno per evidenziare e superare le incongruenze e le farraginosità delle procedure per l'attribuzione della speciale elargizione prevista per i soggetti equiparati alle vittime del terrorismo: anche attraverso il riesame di singoli casi, venne individuato un forte fattore di criticità nel modus operandi del Comitato di verifica per le cause di servizio istituito presso il Ministero dell'economia con il compito di accertare la riconducibilità delle patologie insorte alle speciali condizioni ambientali e operative (come previsto dalla legislazione vigente). Come già detto, tale organismo ha spesso motivato i propri pareri contrari alla concessione dei benefici con l'assenza di un nesso causale tra l'esposizione e l'insorgere della patologia, misconoscendo il principio probabilistico sul quale si basa, peraltro non senza qualche ambiguità nella formulazione normativa, la legislazione vigente. Ciò, tra l'altro, come già detto, ha dato luogo ad un esteso contenzioso in sede giudiziale, che ha visto l'amministrazione della Difesa soccombente in numerose occasioni. In questo quadro, si rende necessario intervenire per ridurre gli ambiti di eccessiva discrezionalità amministrativa, che la Commissione coglie soprattutto nell'operato del Comitato di verifica per le cause di servizio.
  La Commissione ritiene che occorra andare alla radice dei limiti sopra indicati che contraddistinguono i procedimenti di attribuzione delle provvidenze previste dall'ordinamento, e che a tal fine non è sufficiente l'introduzione di correttivi specifici, ma occorre un mutamento di prospettiva, consistente, in sostanza, nel riportare la tutela previdenziale del personale militare nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, garantita alla generalità dei lavoratori, prevedendosi pertanto che al personale delle Forze armate, ivi compresa l'Arma dei Carabinieri, si applichino le disposizioni contenute nel Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124. L'assicurazione verrà attuata dall'INAIL, con il sistema della gestione per conto dello Stato.
  La Commissione ha ritenuto necessario, anche sulla scorta di quanto previsto dall'articolo 4, comma 2, della delibera istitutiva 30 Pag. 15giugno 2015, tradurre i principi qui sommariamente riportati nella forma di uno schema di articolato, accompagnato da una illustrazione preliminare che, oltre a dare conto di alcuni dei risultati dell'inchiesta finora conseguiti, si riconduce in larga misura a numerose pronunce giurisprudenziali che mettono in luce le principali criticità nella disciplina delle materie oggetto della presente relazione e nelle relative prassi applicative.
  L'ipotesi normativa che si offre al vaglio della Camera dei deputati si presenta quindi in primo luogo come uno sforzo per raccogliere e sintetizzare analisi, valutazioni e proposte maturate nel corso delle diverse fasi dell'inchiesta, anche nella presente legislatura e nelle passate, con il fine di prospettare soluzioni che consentano di razionalizzare il lavoro delle Forze armate, di approntare tutele previdenziali più efficaci e tempestive per i lavoratori che indossano le stellette, rimuovendo le cause di un contenzioso paralizzante e dispendioso, e soprattutto di assicurare al personale militare non solo una miglior tutela contro infortuni e malattie professionali, ma anche, più in generale, condizioni di maggiore serenità nell'esercizio degli importantissimi compiti loro affidati a tutela della pace e della sicurezza.

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LA SICUREZZA SUL LAVORO

I) L'adattamento del D.Lgs. n. 81 del 2008 alle «particolari esigenze» delle Forze armate.

  In forza dell'articolo 3, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 81/2008, «nei riguardi delle Forze armate e di Polizia, del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, dei servizi di protezione civile», le disposizioni del citato decreto legislativo «sono applicate tenendo conto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato o alle peculiarità organizzative, ivi comprese quelle per la tutela della salute e sicurezza del personale nel corso di operazioni ed attività condotte dalle Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, nonché dalle altre Forze di polizia e dal Corpo dei vigili del fuoco, nonché dal Dipartimento della protezione civile fuori dal territorio nazionale, individuate entro e non oltre ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo con decreti emanati, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, dai Ministri competenti di concerto con i Ministri del lavoro, della salute e delle politiche sociali e per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nonché, relativamente agli schemi di decreti di interesse delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza, gli organismi a livello nazionale rappresentativi del personale militare».
  Per quel che concerne l'esigenza di non cadere in fraintendimenti nella percezione delle «particolari esigenze» prese in considerazione dall'articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008, fondamentale è l'analisi condotta da

Cassazione penale, Sez. I – Sentenza n. 6694 del 18 febbraio 2010 (u.p. 25 novembre 2009) – Pres. Rizzo – Est. Foti – P.M. (Conf.) Gialanella – Ric. P.C. in c. D'Andria.

  Con riguardo al caso di un direttore di casa di reclusione imputato del delitto di lesione personale colposa in pregiudizio di un detenuto lavorante, infortunatosi a un occhio a causa di uno spruzzo di calce viva durante la preparazione di una vernice, la Sez. IV premette che «con il decreto del Ministero della Giustizia del 18 aprile 1996 è stata attribuita al direttore dell'istituto di pena la titolarità di una posizione di garanzia in riferimento al dovere di sicurezza degli istituti penitenziari, per cui egli assume la qualifica di datore di lavoro che comprende tutti i luoghi di lavoro interni (ovvero anche esterni) all'istituto e con riguardo a chiunque vi svolga attività lavorativa». Rimprovera alla corte d'appello il fatto che, «pur partendo dal corretto presupposto dell'applicabilità, anche alla fattispecie in esame, delle norme dettate dal D.Lgs. n. 626/1994, è, tuttavia, in concreto, Pag. 17pervenuta a conclusioni del tutto erronee e sostanzialmente contrastanti con la normativa richiamata, avendo sostenuto che gli obblighi nascenti da detta normativa dovrebbero commisurarsi e raffrontarsi con le condizioni e le caratteristiche di una struttura carceraria, del tutto particolari e diverse da quelle di una normale impresa, ovvero del soggetto al quale sono tipicamente riferibili gli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro», da considerarsi delle “zone franche”, impermeabili al rispetto delle norme di legge, invece che, al contrario, come luoghi in cui debba venir assolutamente perseguita e garantita l'osservanza delle leggi», e, «in specie, proprio delle norme antinfortunistiche e di quelle che attengono alla sicurezza dei luoghi di lavoro, la cui precisa osservanza, pretesa dall'imprenditore privato, non può non essere richiesta a chiunque, nella pubblica amministrazione, ricopra un ruolo di responsabilità del tutto simile a quello dell'imprenditore privato, ed al quale si debba riconoscere una posizione di garanzia nei confronti del lavoratore», «rispetto delle norme che ancor più deve pretendersi in una struttura carceraria, a tutela di un lavoratore detenuto che, in ragione della propria condizione di grave subalternità e di soggezione derivante dalla carcerazione, non ha tutele di alcun genere, se non quella che deve garantirgli la struttura e chi la dirige». Ciò premesso, sviluppa una analisi illuminante in ordine alle «particolare esigenze connesse al servizio espletato» evocate già dall'articolo 1, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 e ora dall'articolo 3, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008. Infatti, nega che un sostegno alla assoluzione dell'imputato possa «rinvenirsi nel riferimento – contenuto sub articolo 1, comma 2, D.Lgs. n. 626/1994 [v. ora articolo 3, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2008] – all'applicazione delle norme contenute nello stesso testo normativo «...tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato, individuate con decreto del Ministero competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica». Espone al proposito due argomenti, utili al di là dello specifico settore preso in considerazione: «a) le particolari esigenze connesse al servizio espletato riguardano evidentemente problemi di organizzazione e di sicurezza interna alle strutture che certamente non possono portare alla sostanziale abrogazione di precise norme di legge ed all'azzeramento, o anche solo alla compressione, delle garanzie riconosciute dalla legge a tutti i lavoratori, senza differenze di sorta, e con riguardo a tutti i luoghi di lavoro, nessuno escluso; mentre il richiamo all'esigenza di “declinare” gli obblighi discendenti dalla citata normativa “secondo i limiti e le caratteristiche proprie delle strutture carcerarie, profondamente diverse da quelle riferibili ad un'impresa o all'imprenditore”, costituisce osservazione del tutto apodittica e, nella sua totale genericità, pericolosa, oltre che inaccettabile, poiché finisce con l'attribuire al dirigente carcerario del momento il potere di individuare, di volta in volta, quali obblighi prevenzionali debbano essere rispettati e quali no, se non, addirittura, nei confronti di chi tra i lavoratori essi debbano essere osservati; b) l'articolo 2 del decreto del Ministero della Giustizia n. 338 del 1997, che ha individuato le «particolari esigenze» delle strutture penitenziarie (e giudiziarie) ai fini delle norme contenute nel D.Lgs. n. 626/1994, ha chiarito che dette esigenze sono quelle preordinate Pag. 18ad evitare la eliminazione di fortificazioni o strutture di vigilanza, ed ancora, pericoli di fuga, aggressioni, sabotaggi di apparecchiature o impianti, pericoli di auto o etero-aggressività, autolesionismo, nonché il conferimento di posizioni di preminenza ad alcuni detenuti o internati per mantenere l'ordine e la disciplina all'interno del carcere; direttive che attengono a specifiche ed irrinunciabili esigenze di sicurezza della struttura carceraria, e di quanti la frequentano, che non possono essere, né sono dalle disposizioni vigenti, ritenute in competizione con le norme prevenzionali che specificamente attengono alla sicurezza del detenuto lavorante». Reputa, pertanto, «del tutto estranee alla normativa di riferimento le pretese limitazioni di responsabilità del direttore dell'istituto di pena». A questo punto, sottolinea che «la richiamata normativa ha ricevuto, con il D.Lgs. n. 81/2008, come novellato dal D.Lgs. n. 106/2009, specifiche conferme quanto alla nozione di “datore di lavoro” ed all'applicazione dello stesso a tutti i settori di attività, privati e pubblici, ed a tutte le tipologie a rischio». Afferma che «solo un'errata interpretazione della normativa di riferimento ha impedito al giudice del gravame di escludere l'esigibilità dall'imputato del rispetto degli obblighi specifici ai quali era tenuto quale datore di lavoro dell'operaio infortunato»: «obblighi che gli imponevano, prima di avviare al lavoro un semplice apprendista, che non aveva nessuna pregressa esperienza lavorativa e nessuna competenza nel settore, di assicurargli una specifica formazione professionale e di fornirgli precise informazioni circa le regole minime di sicurezza da osservare, specie nella manipolazione di preparati pericolosi per la salute; e di renderlo consapevole della necessità di utilizzare i dispositivi individuali di protezione, nel caso di specie gli occhiali»; e che gli imponevano, altresì, di verificare che fosse garantita la perfetta osservanza delle norme di sicurezza, e di dare disposizioni perché fosse costantemente assicurata la presenza del capo d'arte, chiamato, il giorno dell'infortunio, ad altri incarichi».

II. L'individuazione del datore di lavoro.

  Nella cornice or ora delineata, occorre, anzitutto, segnalare il cospicuo e inusuale sforzo compiuto dal Ministero della Difesa nell'individuazione delle «particolari esigenze connesse al servizio espletato e alle peculiarità organizzative delle Forze armate». Emblematiche sono al riguardo le minuziose disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90, recante il Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, in particolare agli artt. 244-271.
  Peraltro, in vista di un ulteriore rafforzamento della sicurezza nei luoghi di lavoro delle Forze armate in linea con le risultanze dell'attività svolta da questa Commissione parlamentare di inchiesta, si ritiene doveroso sottoporre all'attenzione della Camera dei deputati alcune proposte di modifica alla normativa vigente.
  Un primo punto concerne l'organigramma delineato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, e, in particolare, l'individuazione del datore di lavoro.Pag. 19
  1 – In materia di sicurezza del lavoro, l'individuazione del datore di lavoro assume una particolare importanza, in quanto il datore di lavoro – principale destinatario degli obblighi in tale materia – può, sì, delegare ad altri la maggior parte di siffatti obblighi (nel rispetto dei limiti e delle condizioni stabiliti dall'articolo 16 del D.Lgs. n. 81/2008), ma non può delegare due obblighi. Si tratta degli obblighi indicati nell'articolo 17, comma 1, del D.Lgs. 81/2008 («Il datore di lavoro non può delegare le seguenti attività: la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall'articolo 28; la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi»: v., in proposito, da ultimo, per tutte, Cass. 2 marzo 2015 n. 9159; Cass. 28 novembre 2014 n. 49728).
  2 – Nel definire il datore di lavoro con specifico riguardo alle pubbliche amministrazioni, l'articolo 2, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, del D.Lgs. n. 81/2008 non si limita a individuarlo nel «dirigente al quale spettano i poteri di gestione», ovvero nel funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale (come già si esprimeva il corrispondente articolo 2, comma 1, lettera b), del D.Lgs. n. 626/1994), né si limita a prescrivere che il datore di lavoro deve essere «individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività» (in tal guisa riprendendo l'articolo 30, comma 1, del D.Lgs. n. 242/1996). Si preoccupa, altresì, di disporre che il datore di lavoro deve essere «dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa». E specifica che, «in caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo».
  Ne consegue che, in caso di mancata individuazione del datore di lavoro pubblico ovvero di individuazione del datore di lavoro in un soggetto non dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa, «il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice».
  3 – L'articolo 2, comma 1, lettera b), secondo e terzo periodo, D.Lgs. n. 81/2008 ha ispirato due insegnamenti impartiti dalla Corte di Cassazione all'insegna del binomio responsabilità-potere.
  Primo insegnamento: in caso di mancata individuazione del datore di lavoro da parte dell'organo di vertice della pubblica amministrazione, è lo stesso organo di vertice ad assumere la veste di datore di lavoro.
  Secondo insegnamento: il datore di lavoro pubblico deve possedere autonomi poteri decisionali e di spesa.
  Fanno spicco, tra le sentenze più recenti:

Cassazione penale, Sentenza n. 22415 del 27 maggio 2015;

  «Occorre ricordare che, a norma dell'articolo 2, lettera b), D.Lgs. n. 81/2008, per datore di lavoro si intende “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione Pag. 20stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Nelle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per datore di lavoro si intende il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo”. In tale disposizione sono confluite le soluzioni adottate da parte della giurisprudenza nella vigenza della precedente normativa, meno esaustiva di quella attuale, laddove si era specificata la necessità di un atto espresso di individuazione del dirigente o del funzionario quale datore di lavoro, altrimenti rimanendo quella posizione in capo al vertice politico dell'ente pubblico. Si era, in altre parole, riconosciuto carattere costitutivo all'atto dell'organo di vertice dell'ente che attribuisse ad altri la qualità di datore di lavoro, data la natura originaria della posizione datoriale del dirigente, individuato in quanto tale dalla legge. Corollario di tali affermazioni di principio, oggi positivizzate nel testo normativo, è che l'individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro è demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l'attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale, non potendo tale qualifica essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico. Nelle pubbliche amministrazioni, in altre parole, l'attribuzione della qualità di datore di lavoro a persona diversa dall'organo di vertice non può che essere espressa, anche perché comporta i poteri di gestione in tema di sicurezza. Sono gli organi di direzione politica che devono procedere all'individuazione, tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici, non essendo per tale ragione possibile una scelta non espressa e non accompagnata dal conferimento di poteri di gestione alla persona fisica. La conseguenza della mancata indicazione è la conservazione in capo all'organo di direzione politica della qualità di datore di lavoro. Con la precisazione che agli organi di direzione politica del comune (sindaco e giunta comunale) sono attribuiti in via originaria anche i poteri di sovrintendere alle scelte di gestione e direzione amministrativa, con il conferimento di tutti i poteri conseguenti. Anche il potere di individuare il datore di lavoro conferma che all'organo di direzione politica compete un potere originario».

Cassazione penale, Sentenza n. 35295 del 21 agosto 2013.

  «Prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 81/2008, la lettera b) dell'articolo 2, D.Lgs. n. 626/1994 (come modificato dall'articolo 2 del D.Lgs. n. 242/1996) precisava che “per datore di lavoro si intende il Pag. 21dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario, non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale”. La previsione è stata variamente interpretata; non solo si sono formulate tesi diverse da parte di dottrina e giurisprudenza; ma anche tra le pronunce del giudice di legittimità si rinvengono soluzioni contrastanti. Il dubbio attiene in primo luogo alla necessità di uno specifico atto di individuazione del dirigente o del funzionario quale datore di lavoro; necessità che per alcuni non ricorre, risultando sufficiente la titolarità dei poteri indicati dalla norma e che peraltro è indispensabile, altrimenti rimanendo quella posizione in capo al vertice politico dell'ente. Detto altrimenti, la disputa è intorno al carattere costitutivo o meramente ricognitivo di un atto (dell'organo di vertice dell'ente) che attribuisca ad altri la qualità di datore di lavoro. E ciò in ragione del fatto che alla formula utilizzata dall'articolo 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 (nella quale il “si intende” lasciava oggettivamente ipotizzare che fosse operata un'attribuzione ex lege della qualifica datoriale ai dirigenti ed ai funzionari titolari dei poteri indicati) è presto seguita la previsione dell'articolo 30, comma 1, D.Lgs. n. 242/1996, per la quale entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del medesimo decreto gli organi di direzione politica o, comunque, di vertice delle amministrazioni pubbliche procedono all'individuazione dei soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività. Espresso ancora con altra nomenclatura, l'oscillazione era tra natura originaria oppure derivata della posizione datoriale del dirigente e del funzionario descritto dall'articolo 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994. Secondo una prima interpretazione adottata da questa Corte, l'individuazione del dirigente (o del funzionario) cui attribuire la qualifica di datore di lavoro risulta demandata alla pubblica amministrazione, la quale vi provvede con l'attribuzione della qualità e il conferimento dei relativi poteri di autonomia gestionale. Si escludeva quindi che fosse sufficiente la collocazione nell'ambito dell'organigramma per ritenere operata l'individuazione valevole ai sensi del combinato disposto agli artt. 2, comma 1, lettera b), D.Lgs. n. 626/1994 e 30, comma 1, D.Lgs. n. 242/1996. Proprio per la rilevanza dei compiti e per la responsabilità che deriva dal conferimento della qualità in esame non può ritenersi che la qualità di datore di lavoro, ai sensi dell'articolo 2 comma 1, lettera b), D.Lgs. 626/1994, possa essere attribuita implicitamente ad un dirigente o funzionario solo perché preposti ad articolazioni della pubblica amministrazione che hanno competenze nel settore specifico. L'attribuzione della qualità di datore di lavoro non può che essere espressa anche perché comporta i poteri di gestione in tema di sicurezza. Erano dunque gli “organi di direzione politica” che dovevano procedere all'individuazione; è stato puntualmente rilevato che si tratta di una valutazione ricollegata alle caratteristiche specifiche della pubblica amministrazione che viene in considerazione, dovendosi tenere conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici. Anche tale rilievo è stato ritenuto argomento che dà conferma dell'impossibilità di una scelta non espressa e non accompagnata dai ricordati poteri di gestione alla persona fisica. La Pag. 22conseguenza della mancata indicazione è stata ravvisata nella conservazione in capo all'organo di direzione politica della qualità di datore di lavoro, quanto meno nel periodo successivo alla scadenza dei sessanta giorni indicati dalla legge e fino all'individuazione del datore di lavoro da parte dell'organo obbligato a questo adempimento. Con la precisazione che agli organi di direzione politica (sindaco e giunta comunale) sono attribuiti in via originaria anche i poteri di sovrintendere alle scelte di gestione e direzione amministrativa, con il conferimento di tutti i poteri conseguenti. Anche il potere di individuare il datore di lavoro conferma che all'organo di direzione politica compete un potere. A questa ricostruzione si sono accompagnate tesi di diverso segno. Qui è sufficiente ricordare l'affermazione per la quale le funzioni espletate, secondo i principi già contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1955 (articolo 4) e decreto del Presidente della Repubblica n. 303/1956 (articolo 4) ampiamente richiamati anche in dettaglio nel D.Lgs. n. 626/1994, comportano di per sé obblighi di assunzione delle misure per la sicurezza e la salute dei lavoratori, a prescindere anche da atti formali di individuazione dei singoli soggetti gravati dall'obbligo di garanzia, come peraltro previsto solo in via transitoria dall'articolo 30, D.Lgs. n. 242/1996. Ritiene questa Corte che l'interpretazione più persuasiva sia la prima. Agli argomenti in essa ricordati si può aggiungere che appare priva di pregio l'obiezione secondo la quale si verrebbe a determinare una ingiustificata disparità di disciplina fra soggetti di diritto privato, per i quali vale la concreta titolarità dei poteri gestionali e l'autonomia tipici del datore di lavoro, e pubblica amministrazione, nella quale si rende necessaria la formalizzazione del ruolo datoriale. È agevole replicare che tra i due ambiti non vi è perfetta identità, risultando solo l'organizzazione dell'ente pubblico minutamente normata. E che, di conseguenza, l'obiettivo di meglio perseguire la tutela dei beni in gioco risulta più agevolmente conseguibile attraverso una previa e chiara individuazione del soggetto cui compete la qualifica di datore di lavoro. Né con ciò si emargina il principio di effettività (oggi consacrato nell'articolo 299, D.Lgs. n. 81/2008): ove all'attribuzione della qualifica non corrispondesse la dotazione dei correlati poteri, datore di lavoro sarebbe da ritenere ancora e sempre l'organo di vertice politico dell'ente. Peraltro solo l'interpretazione che qui si patrocina permette da un canto di “esaltare”, tra le diverse funzioni, quelle aventi proiezione prevenzionistica; ed inoltre di evitare la concorrenza del tutto teorica di più dirigenti, in concreto mai investiti delle specifiche responsabilità in materia di sicurezza del lavoro. Una conferma a posteriori della correttezza della tesi qui condivisa viene dalla circostanza che essa è stata sostanzialmente fatta propria dal legislatore con il D.Lgs. n. 81/2008, al secondo periodo dell'articolo 2, comma 1, lettera b)».

Cassazione penale, Sentenza n. 30214 del 12 luglio 2013.

  La presente sentenza sviluppa un'analisi collimante con quella contenuta nella sentenza Bendotti sopra riportata, e, con riguardo a un'ipotesi in cui il sindaco di un comune si era limitato a nominare Pag. 23il responsabile di un servizio dotato di autonomia gestionale, sottolinea che una tale nomina non è sufficiente a costituirlo datore di lavoro, esclude «l'equivalenza tra preposizione all'ufficio e trasferimento della posizione di garanzia tipica del datore di lavoro», e considera irrilevante che la valutazione dei rischi sia redatta dal predetto responsabile del servizio e da costui sottoscritta come datore di lavoro.
  4 – Il fatto è che spetta al datore di lavoro l'obbligo indelegabile di effettuare la valutazione dei rischi e di elaborare il relativo documento, ed è, pertanto, inderogabile l'esigenza di connettere la posizione di garanzia del datore di lavoro al possesso di autonomi poteri decisionali e di spesa. Da non dimenticare in proposito è il basilare insegnamento della Corte Suprema:
   «Pur a fronte di una delega corretta ed efficace, non potrebbe andare esente da responsabilità il datore di lavoro allorché le carenze nella disciplina antinfortunistica e, più in generale, nella materia della sicurezza, attengano a scelte di carattere generale della politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza». «Tali principi hanno trovato conferma nel D.Lgs. n. 81/2008, che prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per l'importanza e, all'evidenza, per l'intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (v. articolo 17)»: «trattasi: a) dell'attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dal cit. decreto legislativo, articolo 28, contenente non solo l'analisi valutativa dei rischi, ma anche l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate; nonché b) della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP)» (così, per tutte, Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 38100 del 17 settembre 2014 (u.p. 3 giugno 2014) – Pres. Zecca – Est. Massafra – P.M. (Conf.) Geraci – Ric. Toniolo).

  5 – Né si pensi che possa bastare un atto formale d'individuazione del datore di lavoro in un soggetto sprovvisto di autonomi poteri decisionali e di spesa, per deviare le responsabilità del datore di lavoro dal soggetto effettivamente munito di tali poteri. L'articolo 299 D.Lgs. n. 81/2008 sbarra la strada a un'operazione di tal fatta: «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti».
  Illuminante anche a questo proposito l'insegnamento della Corte Suprema:

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 2536 del 21 gennaio 2016 (u.p. 23 ottobre 2015) – Pres. Romis – Est. Blaiotta – P.M. (Parz.conf.) Viola – Ric. P.C., Bearzi e altro.

  «La posizione di garanzia può essere generata non solo da investitura formale, ma anche dall'esercizio di fatto delle funzioni Pag. 24tipiche delle diverse figure di garante. È spesso di particolare importanza porre attenzione alla concreta organizzazione della gestione del rischio. Tale indicazione si desume testualmente dall'articolo 299 del T.U. sulla sicurezza del lavoro; ma costituisce importante principio dell'ordinamento penale. Si è affermata anche in giurisprudenza una visione eclettica della fondazione del ruolo di garanzia che ha in parte superato la storica concezione formale. Si è sviluppata una elaborazione sostanzialistico-funzionale che non fa più leva tanto su profili formali quanto piuttosto sulla funzione dell'imputazione per omissione, connessa all'esigenza di natura solidaristica di tutela di beni giuridici attraverso l'individuazione di un soggetto gravato del ruolo di garante della loro protezione. Tale individuazione del garante avviene, più che sulla base di criteri formali, alla stregua della posizione di fatto assunta, del ruolo svolto. L'elaborazione in questione, pur dovendosi ecletticamente integrare con l'approccio formale, presenta il pregio ampiamente riconosciuto di aderire allo specifico punto di vista dell'ordinamento penale, selezionando in senso restrittivo il dovere di agire nell'ambito della sterminata congerie di obblighi presenti nell'ordinamento».
  6 – Nel quadro normativo e giurisprudenziale appena tratteggiato, l'articolo 246 decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 non appare coerente, in particolare in quel comma 2 che così recita:
   «In deroga a quanto previsto al comma 1(1), nel rispetto delle peculiarità organizzative istituzionali che prevedono l'unicità di comando e controllo, assolvono le funzioni di datore di lavoro, limitatamente al personale dipendente, anche i dirigenti e funzionari degli organismi centrali e periferici delle aree tecnico-amministrativa, tecnico-industriale e tecnico-operativa dell'amministrazione della Difesa e le strutture di diretta collaborazione del Ministro della difesa che, ancorché non siano dotati di autonomi poteri di spesa, sono però competenti a disciplinare l'organizzazione del lavoro e possiedono piena autonomia per effettuare la valutazione dei rischi, ferme restando le responsabilità dei dirigenti o funzionari che, per effetto delle disposizioni previste dagli ordinamenti di appartenenza, hanno l'obbligo di provvedere all'adozione di misure di prevenzione per le quali sono necessari autonomi poteri decisionali e di spesa. I predetti datori di lavoro sono responsabili limitatamente agli effettivi poteri di gestione posseduti».

  Pertanto, si propone l'abrogazione della norma dettata dall'articolo 246, comma 2, decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, e, a scanso di ulteriori equivoci, l'inserimento nell'articolo 3, comma 2, primo periodo, del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 delle parole «, escluse in relazione alle Forze armate quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo», dopo le parole
  (1) Il comma 1 dell'art. 245 D.P.R. n. 90/2010 dispone: «Nell'ambito dell'amministrazione della difesa, le funzioni di datore di lavoro, salvo quanto previsto ai commi da 2 a 7, fanno capo ai titolari di enti e distaccamenti che, ancorché non aventi qualifica dirigenziale, siano preposti a un comando o ufficio avente autonomia gestionale e dotati di autonomi poteri decisionali e di spesa. Pag. 25«le disposizioni del presente decreto legislativo». Con l'auspicio che, al fine di evitare inammissibili disparità di trattamento, analogamente si provveda per le ulteriori Amministrazioni prese in considerazione dall'articolo 3, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008, e, in particolare, per le Forze di polizia e per i Vigili del fuoco.
  Resta da sottolineare che, nell'intento di soffocare sul nascere qualsiasi dubbio in proposito, all'articolo 1 della proposta di legge, si è esplicitamente stabilito che, ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui alla presente legge, l'Arma dei Carabinieri è compresa nelle Forze armate (in linea con la lettera della norma dettata dall'articolo 3, comma 2, primo periodo, D.Lgs. n. 81/2008 («Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri»).

III. L'autonomia del RSPP.

  Nel settore della sicurezza sul lavoro, la posizione di garanzia riservata al RSPP è basilare. Illuminanti sono al riguardo gli insegnamenti impartiti dalla Corte di Cassazione:

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 4340 del 2 febbraio 2016 (u.p. 24 novembre 2015) – Pres. D'Isa – Est. Grasso – P.M. (Parz.conf.) Selvaggi – Ric. P.M., R.C., P.C., Zelanda e altri.

  «Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all'interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l'obbligo giuridico di adempiere diligentemente l'incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all'attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all'occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri».
  S'intende, a questo punto, che, al fine di porre l'RSPP nella condizione di espletare adeguatamente il proprio incarico, appare irrinunciabile garantirne la piena autonomia. Si spiega, pertanto, perché l'articolo 31, comma 2, secondo periodo, si preoccupi di stabilire che i responsabili e gli addetti del SPPR «non possono subire pregiudizio a causa della attività svolta nell'espletamento del proprio incarico». Un'esigenza, questa, che risulta particolarmente pressante in un ambito quale quello dell'amministrazione della Difesa, a maggior ragione per il fatto che, a norma dell'articolo 249, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, «nell'ambito dell'amministrazione della Difesa, al fine di tutela delle informazioni di cui, nell'interesse della difesa militare e della sicurezza nazionale, è vietata la divulgazione, ai sensi delle vigenti norme unificate per la protezione e la tutela delle informazioni classificate e per la tutela del segreto Pag. 26di Stato, il servizio di prevenzione e protezione di cui agli articoli 31 e seguenti del decreto legislativo n. 81 del 2008, è costituito esclusivamente dal personale militare o civile dell'amministrazione della Difesa, in possesso delle capacità e dei requisiti professionali di cui all'articolo 32 del medesimo decreto legislativo, nonché di adeguata abilitazione di sicurezza».
  Pertanto, si propone l'inserimento nel secondo periodo del comma 2 dell'articolo 31 D.Lgs. n. 81/2008 delle parole «e adempiono alle proprie funzioni in piena autonomia anche nei confronti di autorità gerarchicamente sovraordinate».

IV. Dalla valutazione dei rischi alla formazione dei lavoratori.

  Una saliente linea ispiratrice del nostro sistema di prevenzione nei luoghi di lavoro – sviluppatasi in termini avvincenti con il D.Lgs. n. 626/1994 prima e con il D.Lgs. n. 81/2008 poi – è costituita dall'esigenza di acquisire e diffondere la cultura della sicurezza. È un'esigenza che si manifesta sotto un duplice aspetto: anzitutto, come obbligo di effettuare la valutazione dei rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori e di redigere il relativo documento, disciplinato in via generale dagli artt. 17, comma 1, lettera a), e 28-29 D.Lgs. n. 81/2008; e, in secondo luogo, come obbligo di informazione e formazione dei lavoratori, contemplato negli artt. 36 e 37 D.Lgs. n. 81/2008.
  Si tratta di obblighi che assumono un particolare rilievo nei luoghi di lavoro delle Forze armate, in considerazione dei rischi specifici che la presente Commissione, ancor più nettamente delle precedenti Commissioni parlamentari, ha avuto modo di apprezzare, e che in ogni caso sono sapientemente rimarcati dalla stessa disciplina dettata in materia di sicurezza negli ambienti di lavoro e durante le attività dell'amministrazione della Difesa, in territorio nazionale o all'estero (v., in particolare, il D.Lgs. n. 66/2010 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010).
  In questa ottica, si propone, in primo luogo, di apportare una modifica all'articolo 28, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, aggiungendo, tra i «gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari» ivi richiamati anche «le attività o mansioni comportanti operazioni connesse ad attrezzature presenti nei luoghi di lavoro delle Forze armate quali equipaggiamenti militari speciali, armi, munizioni, sistemi d'arma, materiali di armamento, o la frequentazione di tali luoghi in prossimità di tali attrezzature, comprese le operazioni indicate negli articoli 2185 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e 1079, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90». E parallelamente si propone di apportare una modifica all'articolo 36, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008 mediante l'aggiunta di una lettera b-bis) che valga ad estendere l'obbligo di informazione dei lavoratori ai pericoli connessi alle attrezzature presenti nei luoghi di lavoro delle Forze armate di cui all'articolo 28, primo comma, anche in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e scientifico. Pag. 27
  Al proposito, preziose sono le indicazioni fornite dallo stesso D.Lgs. n. 66/2010:
   Art. 2185 – Personale civile e cittadini italiani esposti all'uranio impoverito e ad altro materiale bellico.

  1. La speciale elargizione di cui all'articolo 1907, è corrisposta, con le stesse modalità, alle seguenti categorie di personale e loro superstiti:
   a) al personale civile italiano impiegato nelle missioni internazionali svolte al di fuori del territorio nazionale, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata al dipendente;
   b) al personale civile italiano impiegato nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti;
   c) al personale civile italiano impiegato nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
   d) ai cittadini italiani operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell'ambito di programmi aventi luogo nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
   e) ai cittadini italiani residenti nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e nelle aree di cui alla lettera b).

  Coerenti e illuminanti sono le statuizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010:

  Art. 1079 – Principi generali e ambito di applicazione.

  1. In attuazione dell'articolo 1907 del codice, ai soggetti indicati al comma 2, che abbiano contratto menomazioni dell'integrità psicofisica permanentemente invalidanti o da cui sia conseguito il decesso, è corrisposta l'elargizione di cui agli articoli 6 della legge 13 agosto 1980, n. 466, 1 e 4 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407 e 5, commi 1, 2 e 5, della legge 3 agosto 2004, n. 206, quando l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico abbiano costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle menomazioni.
  2. I soggetti beneficiari dell'elargizione di cui al comma 1 sono:
   a) il personale militare e civile italiano impiegato nelle missioni internazionali;
   b) il personale militare e civile italiano impiegato nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti;
   c) il personale militare e civile italiano impiegato nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);Pag. 28
   d) i cittadini italiani operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell'ambito di programmi aventi luogo nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
   e) i cittadini italiani residenti nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree di cui alla lettera b). Per zone adiacenti si intendono quelle rientranti nella fascia di territorio della larghezza di 1,5 chilometri circostante il perimetro delle basi militari o delle aree di cui alla lettera b);
   f) il coniuge, il convivente e i figli superstiti dei soggetti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e), i genitori ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti, in caso di decesso a seguito delle patologie di cui all'articolo 1907 del codice».

  Quell'articolo 1907 del D.Lgs. n. 66/2010 ove efficacemente si precisa:

  Art. 1907 – Personale esposto a particolari fattori di rischio.

  1. I termini e le modalità per il riconoscimento della causa di servizio e per la corresponsione di adeguati indennizzi per il personale che a causa dell'esposizione a particolari fattori di rischio ha contratto infermità o patologie tumorali sono disciplinati dall'articolo 603, che detta altresì il relativo limite massimo di spesa, e dal regolamento.

  Agevole è cogliere le indispensabili ricadute di queste norme sulle attività di prevenzione nei luoghi di lavoro dell'amministrazione della Difesa.
  Al fine di agevolare l'amministrazione della Difesa nello svolgimento delle attività dirette a garantire la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, si propone, altresì, di attribuire all'INAIL il compito di fornire alle Forze armate assistenza e consulenza in tale materia, con l'inserimento di una apposita lettera d-bis nell'articolo 9, comma 4, D.Lgs. n. 81/2008.

V. Sorveglianza sanitaria e profilassi vaccinale.

  Tra i temi approfonditi dalla presente Commissione, fanno spicco quelli concernenti la sorveglianza sanitaria e la profilassi vaccinale sul personale dell'amministrazione della Difesa.
  A) A proposito della profilassi vaccinale, la Commissione Difesa presso la Camera dei Deputati, nell'esaminare lo schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 28 gennaio 2014, n. 7 e n. 8 ha espresso parere favorevole all'inserimento nel D.Lgs. n. 66/2010 di una apposita norma, l'articolo 206-bis, intitolato «Profilassi vaccinale del personale militare».Pag. 29
  Si propone di collocare la profilassi vaccinale nella appropriata cornice del D.Lgs. n. 81/2008, e, a questo scopo, di introdurre un insieme coordinato di modifiche a tale decreto:
   1) inserimento delle «profilassi vaccinali previste da appositi protocolli sanitari per il personale dell'amministrazione della Difesa» tra le misure di prevenzione e di protezione da individuare nel documento di valutazione dei rischi a norma dell'articolo 28, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008;
   2) attribuzione all'apposita Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro di cui all'articolo 6 D.Lgs. n. 81/2008 del compito di elaborare, sentita ciascuna Forza armata, appositi protocolli sanitari per la somministrazione della profilassi vaccinale al personale dell'amministrazione della Difesa, protocolli recanti, altresì, l'indicazione delle cautele e degli accertamenti da eseguire al fine di ridurre o escludere, per quanto consentito dalle conoscenze scientifiche acquisite, i rischi derivanti dalle modalità di somministrazione dei vaccini;
   3) aggiunta delle profilassi vaccinali tra le misure mirate al rischio ritenute necessarie dal medico competente nell'ambito delle visite mediche ai sensi dell'articolo 41, comma 4, primo periodo, D.Lgs. n. 81/2008.

  B) D'altra parte, occorre tener presente che, nel D.Lgs. n. 81/2008, la sorveglianza sanitaria sui lavoratori deve essere effettuata dal medico competente esclusivamente «nei casi previsti dalla normativa vigente, nonché dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all'articolo 6», oltre che nell'ipotesi in cui «il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi» (articolo 41, comma 1, lettere a) e b), D.Lgs. n. 81/2008).
  Le specifiche caratteristiche delle attività e delle mansioni svolte dal personale dell'amministrazione della Difesa e le conoscenze scientifiche sui relativi rischi attualmente in piena evoluzione inducono a liberare un adempimento preventivo essenziale quale la sorveglianza sanitaria dalle strettoie dei c.d. rischi tabellati, e, dunque, a ricollegare siffatto adempimento alle risultanze della valutazione dei rischi inerente alle attività o mansioni comportanti operazioni connesse ad attrezzature presenti nei luoghi di lavoro delle Forze armate quali equipaggiamenti militari speciali, armi, munizioni, sistemi d'arma, materiali di armamento, o la frequentazione di tali luoghi in prossimità di tali attrezzature, comprese le operazioni indicate negli articoli 2185 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e 1079, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90.

VI. La tutela ambientale.

  La specifica disciplina dettata in materia di sicurezza nelle attività dell'amministrazione della Difesa, e segnatamente gli artt. 2185 D.Lgs. n. 66/2010 e 1079 decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, Pag. 30pongono in luce un'ulteriore esigenza che non può rimanere insoddisfatta sul piano della prevenzione. Rileggiamo queste norme:

  Art. 2185 – D.Lgs. n. 66/2010 Personale civile e cittadini italiani esposti all'uranio impoverito e ad altro materiale bellico.

  1. La speciale elargizione di cui all'articolo 1907, è corrisposta, con le stesse modalità, alle seguenti categorie di personale e loro superstiti:
   a) al personale civile italiano impiegato nelle missioni internazionali svolte al di fuori del territorio nazionale, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sopra ordinata al dipendente;
   b) al personale civile italiano impiegato nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti;
   c) al personale civile italiano impiegato nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
   d) ai cittadini italiani operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell'ambito di programmi aventi luogo nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
   e) ai cittadini italiani residenti nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e nelle aree di cui alla lettera b) .

  Art. 1079 – decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 Principi generali e ambito di applicazione.

  1. In attuazione dell'articolo 1907 del codice, ai soggetti indicati al comma 2, che abbiano contratto menomazioni dell'integrità psicofisica permanentemente invalidanti o da cui sia conseguito il decesso, è corrisposta l'elargizione di cui agli articoli 6 della legge 13 agosto 1980, n. 466, 1 e 4 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, 1 della legge 23 novembre 1998, n. 407 e 5, commi 1, 2 e 5, della legge 3 agosto 2004, n. 206, quando l'esposizione e l'utilizzo di proiettili all'uranio impoverito e la dispersione nell'ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte da esplosione di materiale bellico abbiano costituito la causa ovvero la concausa efficiente e determinante delle menomazioni.
  2. I soggetti beneficiari dell'elargizione di cui al comma 1 sono:
   a) il personale militare e civile italiano impiegato nelle missioni internazionali;
   b) il personale militare e civile italiano impiegato nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccati munizionamenti;
   c) il personale militare e civile italiano impiegato nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);Pag. 31
   d) i cittadini italiani operanti nei settori della cooperazione ovvero impiegati da organizzazioni non governative nell'ambito di programmi aventi luogo nei teatri di conflitto e nelle aree di cui alle lettere a) e b);
   e) i cittadini italiani residenti nelle zone adiacenti alle basi militari sul territorio nazionale presso le quali è conservato munizionamento pesante o esplosivo e alle aree di cui alla lettera b). Per zone adiacenti si intendono quelle rientranti nella fascia di territorio della larghezza di 1,5 chilometri circostante il perimetro delle basi militari o delle aree di cui alla lettera b);
   f) il coniuge, il convivente e i figli superstiti dei soggetti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e), i genitori ovvero i fratelli conviventi e a carico qualora siano gli unici superstiti, in caso di decesso a seguito delle patologie di cui all'articolo 1907 del codice.

  Queste puntuali disposizioni fanno capire che i rischi ambientali non colpiscono soltanto il personale dell'amministrazione della Difesa. Fanno capire che i rischi ambientali non possono essere confinati dentro le mura delle strutture militari, ma possono espandersi in danno dell'intera comunità. Sino ad assumere le dimensioni del disastro ambientale, e, cioè, di un disastro che, a differenza di un crollo o di un incendio, può prolungarsi nel tempo per anni e anni.
  Si propone, pertanto, di prevedere che l'articolo 18, comma 1, D.Lgs. n. 81/2008, là dove alla lettera q) prescrive al datore di lavoro e ai dirigenti di «prendere appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio», estenda esplicitamente tale obbligo alle «zone di cui all'articolo 2185, primo comma, lettere b) ed e), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66».
  Utili sono a proposito della norma dettata dall'articolo 18, comma 1, lettera q), D.Lgs. n. 81/2008 le delucidazioni date dalla Corte Suprema:

Cassazione penale, Sez. III – Sentenza n. 2207 del 20 gennaio 2016 (u.p. 3 giugno 2015) – Pres. Squassoni – Est. Gentili – P.M. (Conf.) Corasaniti – Ric. Corinaldesi.

  Condannato per il reato di cui all'articolo 18, comma 1, lettera q), del D.Lgs. n. 81/2008, l'imputato nega «la sussistenza del rischio per la salute della popolazione». La Sez. III ribatte: «Il reato per cui si procede, avendo la relativa previsione penale la funzione precipua di sollecitare la attivazione e la conservazione in adeguato stato di efficienza delle opportune misure volte ad assicurare la prevenzione degli infortuni sul lavoro, è una tipica ipotesi di reato di pericolo per la realizzazione della quale si deve ritenere sufficiente l'attitudine della condotta dell'agente a pregiudicare, anche solo astrattamente, la sicurezza del lavoratore nonché l'integrità fisica delle altre persone, anche estranee ed occasionalmente presenti, gravitanti attorno l'ambiente di lavoro».

Pag. 32

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 1715 del 14 gennaio 2013 (u.p. 17 luglio 2012) – Pres. Romis – Est. Ciampi – P.M. (Conf.) Spinaci – Ric. Ciurletti e altro.

  «Il D.Lgs. n. 626/1994, articolo 4, comma 5, lettera n), [ora articolo 18, comma 1, lettera q), D.Lgs. n. 81/2008], ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno, dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa».

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 37079 del 30 settembre 2008 (u.p. 24 giugno 2008) – Pres. Licari – P.M. (Conf.) Bua – Ric. Ansaloni.

  «Le norme antinfortunistiche non sono dettate soltanto per la tutela dei lavoratori, ossia per eliminare il rischio che i lavoratori possano subire danni nell'esercizio della loro attività, ma sono dettate finanche a tutela dei terzi, cioè di tutti coloro che, per una qualsiasi legittima ragione, accedono là dove vi sono macchine che, se non munite dei presidi antinfortunistici voluti dalla legge, possono essere causa di eventi dannosi. Ciò, tra l'altro, dovendolo desumere dall'articolo 4, comma 5, lettera n), D.Lgs. n. 626/1994 [ora articolo 18, comma 1, lettera q), D.Lgs. n. 81/2008], che, ponendo la regola di condotta in forza della quale il datore di lavoro «prende appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l'ambiente esterno», dimostra che le disposizioni prevenzionali sono da considerare emanate nell'interesse di tutti, anche degli estranei al rapporto di lavoro, occasionalmente presenti nel medesimo ambiente lavorativo, a prescindere, quindi, da un rapporto di dipendenza diretta con il titolare dell'impresa».
  Dove si evoca un principio consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione:

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 2525 del 21 gennaio 2016 (u.p. 10 aprile 2015) – Pres. Romis – Est. Ciampi – P.M. (Conf.) Fodaroni – Ric. Del Rio e altri.

  «Il datore di lavoro ha l'obbligo di garantire la sicurezza nel luogo di lavoro per tutti i soggetti che prestano la loro opera nell'impresa, senza distinguere tra lavoratori subordinati e persone estranee all'ambito imprenditoriale e ricorre l'aggravante della violazione di norme antinfortunistiche anche quando la vittima è persona estranea all'impresa, in quanto l'imprenditore assume una posizione di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei Pag. 33lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell'area della loro operatività».

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 51190 del 30 dicembre 2015 (u.p. 10 novembre 2015) – Pres. Brusco – Est. Bianchi – P.M. (Conf.) Fodaroni – Ric. Passamonti.

  «Il soggetto beneficiario della tutela è anche il terzo estraneo all'organizzazione dei lavori, sicché dell'infortunio che sia occorso all’“extraneus” risponde il garante della sicurezza, sempre che l'infortunio rientri nell'area di rischio definita dalla regola cautelare violata e che il terzo non abbia posto in essere un comportamento di volontaria esposizione a pericolo».

VII. La vigilanza sui luoghi di lavoro delle Forze armate.

  In forza dell'articolo 13, comma 1-bis, D.Lgs. n. 81/2008, «nei luoghi di lavoro delle Forze armate, delle Forze di polizia e dei Vigili del fuoco la vigilanza sulla applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro è svolta esclusivamente dai servizi sanitari e tecnici istituiti presso le predette amministrazioni».
  A sua volta, il decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, agli artt. 260-264, stabilisce che «ai servizi di vigilanza istituiti nell'ambito dell'amministrazione della Difesa è attribuita, in via esclusiva, la competenza di vigilanza preventiva tecnico-amministrativa e di vigilanza ispettiva prevista dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2008».
  In questo quadro di «giurisdizione domestica», appare palese – e trova conferma nelle esperienze ispettive – la difficoltà del personale addetto ai servizi di vigilanza di operare con la indispensabile autonomia e serenità, trattandosi di personale «individuato tra il personale militare e civile dell'amministrazione della Difesa». È necessario affidare la vigilanza anche nelle aree militari a personale non appartenente alla stessa amministrazione sottoposta a controllo. Sotto pena altrimenti di non raggiungere l'obiettivo di una effettiva e sistematica azione di vigilanza sul rispetto delle norme di sicurezza.
  Si propone, pertanto, di abolire le parole «delle Forze armate» nel comma 1-bis dell'articolo 13 D.Lgs. n. 81/2008, di abrogare gli artt. 260, 261, 262, 263, 270 decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, e di aggiungere nel comma 2 dell'articolo 13 D.Lgs. n. 81/2008 una lettera d) che attribuisca al personale ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'esercizio dell'attività di vigilanza sull'applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza anche nei luoghi di lavoro delle Forze armate, comprese le aree riservate o operative e quelle che presentano analoghe esigenze, anche in rapporto alle attività che comportano un rischio derivante Pag. 34dalle radiazioni ionizzanti, indicate all'articolo 1 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230. Con l'auspicio che si provveda analogamente per quanto riguarda le Forze di polizia e i Vigili del fuoco.
  La proposta mira, anzitutto, a garantire un'effettiva unitarietà dell'attività ispettiva nei luoghi di lavoro dell'amministrazione della Difesa, affidandola al personale del Ministero del Lavoro peraltro in possesso di adeguata abilitazione di sicurezza; e in secondo luogo, a consentire a tale personale di avvalersi dei servizi sanitari e tecnici individuati dall'amministrazione della Difesa.
  Al primo proposito, si ricorda che, in base al D.Lgs. n. 149/2015, risulta in corso di realizzazione un'Agenzia unica per le ispezioni del lavoro denominata Ispettorato nazionale del lavoro, chiamato anche ad esercitare su tutto il territorio nazionale, sulla base di direttive emanate dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali la vigilanza in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nei limiti delle competenze attribuite al personale ispettivo del predetto Ministero dall'articolo 13, comma 2, D.Lgs. n. 81/2008.
  Sotto questo profilo è diventata pressante l'esigenza di costruire una nuova organizzazione, un'Agenzia nazionale, altamente specializzata e con competenza estesa a tutto il territorio italiano, un'organizzazione che nei settori della salute e dell'ambiente abbia le competenze e le forze anche per indagini, che sappia allargare i propri orizzonti oltre i confini di illeciti ormai consumati e promuova azioni sistematiche a carattere preventivo, che non fermi la propria attenzione alle responsabilità dei livelli più bassi dell'organigramma aziendale e ove del caso individui tali responsabilità nelle stanze in cui si esercitano i poteri decisionali e di spesa.
  Con eccezionale lungimiranza, la Francia, nell'articolo 706-2 del codice di procedura penale, ha creato il Pôle de la santé, e, cioè, la competenza dei Tribunali di grande istanza di Parigi e Marsiglia «dans les affaires relatives à un produit de santé ou à un produit destiné à l'alimentation de l'homme ou de l'animal ou à un produit ou une substance auxquels l'homme est durablement exposé et qui sont réglementés en raison de leurs effets ou de leur dangerosité, qui sont ou apparaîtraient d'une grande complexité» per infrazioni quali «atteintes à la personne humaine, infractions prévues par le code de la santé publique, infractions prévues par le code rural et de la pêche maritime ou le code de la consommation, infractions prévues par le code de l'environnement et le code du travail».
  Quali le finalità di questa nuova organizzazione ?
   affrontare con indagini incisive e rapide le grandi tragedie che continuano a verificarsi nel nostro Paese;
   non limitarsi ad operare in seguito a tragedie ormai consumate, ma svolgere finalmente azioni sistematiche e organiche di prevenzione in ordine ai problemi che maggiormente insidiano la salute e l'ambiente;
   adottare metodologie di indagine realmente penetranti;
   andare in tutto il territorio nazionale alla ricerca dei tumori perduti negli archivi dei comuni e degli ospedali;Pag. 35
   porre rimedio all'attuale, fuorviante frammentazione delle indagini su situazioni analoghe quando non identiche che si verificano in diversi luoghi del territorio nazionale.

VIII. Le abrogazioni.

  A) In coerenza con le modifiche illustrate nei paragrafi che precedono, si prevede l'abrogazione di norme del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 che appaiono contrastanti con tali modifiche: gli artt. 246, comma 2, e 248 (v. paragrafo II sull'individuazione del datore di lavoro); gli artt. 260-263 e 270 (v. paragrafo VII in tema di vigilanza sui luoghi di lavoro dell'amministrazione della Difesa).
  B) Ulteriori abrogazioni si rendono indispensabili in vista di un'adeguata tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro delle Forze armate:
   1) L'articolo 250, comma 10, decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 prevede che «nell'amministrazione della Difesa, tenuto conto delle peculiarità organizzative istituzionali che prevedono l'unicità di comando e controllo, l'autorità cui i rappresentanti, militari o civili, dei lavoratori per la sicurezza possono far ricorso, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera o), del decreto legislativo n. 81 del 2008, se ritengono inadeguate le misure prevenzionistiche adottate, si identifica nell'autorità gerarchicamente sovraordinata al datore di lavoro». Una norma, questa, doppiamente inappropriata: in primo luogo, perché appare in contrasto con l'esigenza di affidare la vigilanza sui luoghi di lavoro delle Forze armate ad organi esterni a tale amministrazione (v. paragrafo VII); e in secondo luogo, perché prospetta la presenza di un'autorità gerarchicamente sovraordinata al datore di lavoro destinata a metterne a repentaglio l'irrinunciabile possesso di autonomi poteri decisionali e di spesa (v. paragrafo II).
   2) L'articolo 253, comma 7, decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 stabilisce che «l'obbligo gravante in capo al datore di lavoro, ai dirigenti e preposti di esigere, con la costante sorveglianza, l'osservanza delle misure di sicurezza da parte dei lavoratori militari si intende assolto, e a tal fine esonerativo da responsabilità, con l'aver impartito ordini certi e adeguati all'osservanza di dette misure, essendo legittima l'aspettativa da parte dei superiori gerarchici del rispetto dell'ordine, la cui inosservanza è particolarmente sanzionata in relazione ai vincoli propri della disciplina militare». L'aspettativa del rispetto dell'ordine non appare sufficiente a soddisfare l'esigenza di sicurezza perseguita dall'obbligo di vigilanza previsto negli artt. 18, commi 1, lettera f), e 3-bis, D.Lgs. n. 81/2008 a carico del datore di lavoro e dei dirigenti e 19, comma 1, lettera a), D.Lgs. n. 81/2008 a carico dei preposti. Non a caso, ricca è la giurisprudenza della Corte Suprema al riguardo, come emerge a mero titolo di esempio da:

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 2539 del 21 gennaio 2016 (u.p. 3 dicembre 2015) – Pres. Romis – Est. Menichetti – P.M. (Diff.) Policastro – Ric. Ferrari.

  «L'articolo 18, lettera f), del D.Lgs. n. 81/2008 è applicabile a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio».

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Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 49817 del 17 dicembre 2015 (u.p. 14 novembre 2015) – Pres. D'Isa – Est. Pavich – P.M. (Diff.) Selvaggi – Ric. Schillaci e altro.

  «Qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di lesione colposa aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche».

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 40719 del 9 ottobre 2015 (u.p. 9 settembre 2015) – Pres. Brusco – Est. Dovere – P.M. (Diff.) Baldi – Ric. Paladini.

  La Sez. IV evoca «il consolidato principio secondo il quale, in tema di prevenzione di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve non solo predisporre le idonee misure di sicurezza ed impartire le direttive da seguire a tale scopo, ma anche e soprattutto controllarne costantemente il rispetto da parte dei lavoratori, di guisa che sia evitata la superficiale tentazione di trascurarle». Precisa che, «sul piano modale, l'obbligo di vigilanza può essere adempiuto, quando la legge non ne preveda di specifici, in differenti modi, dovendosi optare per le forme che appaiono più adeguate allo scopo, nelle circostanze date». Rileva che «certamente può farsi ricorso, da parte del datore di lavoro, ad altro soggetto, al quale vengano delegate le particolari attività di vigilanza che siano state individuate come necessarie ed esorbitanti da quanto già insito nei doveri che la legge, in via originaria, pone in capo al dirigente ed al preposto», e che, «in tale ipotesi, l'obbligo datoriale di vigilanza non ha (più) ad oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni – che la legge affida al garante – concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato, con l'effetto che esso non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni». Aggiunge che, «ove non sia possibile tale delega, e le competenze, l'esperienza o altre circostanze rendano specificamente inadeguati i collaboratori del datore di lavoro, sarà questi a dover assicurare, se del caso anche con la presenza, l'osservanza delle disposizioni che garantiscono la sicurezza del lavoro». (Circa l'obbligo del datore di lavoro di vigilare «personalmente o a mezzo del preposto» v. pure Cass. 2 dicembre 2015 n. 47742).

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 29794 del 10 luglio 2015 (u.p. 17 giugno 2015) – Pres. Romis – Est. Piccialli – P.M. (Conf.) Fodaroni – Ric. Blanco.

  «L'articolo 18, comma 3-bis, cristallizza, con apposita previsione normativa, l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro e del dirigente Pag. 37sull'adempimento degli obblighi previsti a carico di lavoratori, preposti, progettisti, fabbricanti, fornitori, installatori, medici competenti, come peraltro già ritenuto dalla giurisprudenza consolidata; la violazione di tale obbligo di vigilanza è stata autonomamente sanzionata ai sensi del successivo articolo 55 del D.Lgs. n. 81/2008. La responsabilità del datore di lavoro non è, pertanto, esclusa dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio. Ciò in quanto al datore di lavoro è imposto (anche) di esigere il rispetto delle regole di cautela da parte del lavoratore: cosicché il datore di lavoro è “garante” anche della correttezza dell'agire del lavoratore (cfr. articolo 18, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 81/2008)».
   3) L'articolo 253, comma 8, decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 dispone che, «salvo quanto previsto al comma 7, gli importi dei pagamenti in sede amministrativa previsti dal decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e delle sanzioni amministrative previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008, eventualmente irrogate al personale militare e civile dell'amministrazione della Difesa per violazione commesse presso organismi militari, sono imputate, in via transitoria sul pertinente capitolo dello stato di previsione della spesa del Ministero della difesa, fatta salva ogni rivalsa dell'amministrazione nei confronti degli interessati che siano riconosciuti responsabili per dolo o colpa grave a seguito di specifica inchiesta disposta ai sensi del titolo III del libro III». Palese è che il meccanismo contemplato da questa disposizione toglie mordente all'efficacia dissuasiva delle sanzioni previste a carico delle persone fisiche di datori di lavoro, dirigenti, preposti, medici competenti. Anche in considerazione della difficoltà di operare un distinguo tra presenza e assenza di dolo o colpa grave, e senza che un sostanziale ausilio possa in proposito sopraggiungere dall'autorità giudiziaria, visto che i procedimenti penali relativi alle contravvenzioni antinfortunistiche sono abitualmente destinati a chiudersi con l'estinzione del reato per intervenuta oblazione a norma del D.Lgs. n. 758/1994.
   4) Infine, l'articolo 255, comma 3, decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 dispone che «nell'ambito dell'amministrazione della Difesa, tenuto conto che le vigenti disposizioni in materia di organizzazione del lavoro, rapporti gerarchici, relazioni con i superiori e doveri propri di quest'ultimi, di cui, fra gli altri, al libro IV del codice, titolo VIII e al libro IV del regolamento, titolo VIII, sono già preordinate anche alla prevenzione dei rischi psicosociali e dei loro possibili effetti sulla salute negli ambienti di lavoro militari, la valutazione dei rischi collegati allo stress lavoro-correlato, di cui all'articolo 28, comma 1, del decreto legislativo n. 81 del 2008, al fine di adottare le conseguenti misure di prevenzione e sorveglianza sanitaria, è effettuata dal datore di lavoro se ne è segnalata la necessità dai competenti servizi sanitari delle Forze armate a seguito delle attività espletate in applicazione delle vigenti disposizioni in materia di idoneità fisica, psichica e attitudinale al servizio per il personale militare e civile della difesa». Questa norma finisce per snaturare l'obbligo di valutazione di un rischio, lo stress lavoro-correlato, tutt'altro che irrilevante nell'ambito di un'amministrazione Pag. 38gerarchicamente ordinata. E indebitamente attribuisce in esclusiva al medico competente la gestione di un'area di rischio affidata dal D.Lgs. n. 81/2008 a tutte le funzioni, ivi incluso il SPPR (v. articolo 32, comma 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 81/2008).

  C) Di grande rilievo è nel D.Lgs. n. 81/2008 il ruolo assegnato alla figura del committente, anche con riguardo agli appalti c.c. interni. Eloquente è l'analisi condotta dalla Corte Suprema:

Cassazione penale, Sez. IV – Sentenza n. 14770 dell'11 aprile 2016 (u.p. 3 marzo 2016) – Pres. Ciampi – Est. Gianniti – P.M. (Conf.) Galli – Ric. Serafini e altri.

  «Il legislatore, tenuto conto della complessità dei processi produttivi moderni, che sempre più coinvolge un numero ampio di imprese, ha di recente rivisitato la materia relativa al contratto di appalto, che, passando dalla disciplina originariamente prevista dagli artt. 4 e 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 547/1995, ha trovato una sua prima regolamentazione nell'articolo 7 del D.Lgs. n. 626/1994, per poi giungere alla elaborazione del complesso normativo di cui al D.Lgs. n. 494/1996, oggi sostanzialmente trasfuso nel D.Lgs. n. 81/2008. In relazione a lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto, il dovere di sicurezza trova il suo referente, in primo luogo, nell'appaltatore, cioè nel soggetto che si obbliga verso il committente a compiere l'opera appaltata, con propria organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio: l'appaltatore, invero, quale datore di lavoro, è il primo destinatario delle disposizioni antinfortunistiche. Ma nell'articolata disciplina posta da detto ultimo decreto, sono previste specifiche figure alle quali vengono affidati precisi compiti con connesse responsabilità. In particolare, il D.Lgs. n. 494/1996 prima, e il T.U. in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (D.Lgs. n. 81/2008) ora, hanno effettuato e confermato una scelta di campo: il committente resta coinvolto nell'attuazione delle misure di sicurezza. Chiara è la ratio: il legislatore, al fine di contenere il fenomeno degli infortuni sul lavoro nel campo degli appalti e costruzioni, ha optato per la responsabilizzazione del soggetto per conto del quale i lavori vengono eseguiti».
  L'articolo 256 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, nel prescrivere al comma 3, che «per il personale utilizzato dalle imprese appaltatrici per lo svolgimento dei servizi, lavori, opere o forniture, gli obblighi e gli adempimenti previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008 sono a carico del datore di lavoro delle medesime imprese», appare in stridente contrasto con un'ispirazione di fondo di tale decreto. Pertanto, si propone di far salvi gli obblighi del datore di lavoro committente di cui all'articolo 26 del predetto decreto.

  D) Da salvaguardare, poi, in vista di un espletamento della sorveglianza sanitaria da parte di specifici soggetti individuati dal datore di lavoro (o dal dirigente delegato) nell'ambito di un rapporto Pag. 39fiduciario e titolari di obblighi penalmente sanzionati, è il ruolo del medico competente.
  In questa prospettiva si rendono necessarie due modifiche.
  Anzitutto, l'articolo 257 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010, nel comma 8, prevede che «le visite e gli accertamenti sanitari finalizzati alle verifiche previste dall'articolo 41, comma 4, del decreto legislativo n. 81 del 2008, sono effettuati dai servizi sanitari delle Forze armate, ai sensi dell'articolo 929 del codice e del libro IV, titolo II, capo II del presente regolamento». E in tal modo finisce per sostituire generici servizi sanitari a una figura appositamente designata e penalmente responsabile quale il medico competente. Si propone, quindi, di confermare la paternità delle visite e degli accertamenti sanitari in capo al medico competente, e di precisare che per accertamenti diagnostici il medico competente può avvalersi dei predetti servizi sanitari in linea con la lettera e la ratio dell'articolo 39, comma 5, D.Lgs. n. 81/2008 («il medico competente può avvalersi, per accertamenti diagnostici, della collaborazione di medici specialisti scelti in accordo con il datore di lavoro che ne sopporta gli oneri»).
  Una seconda modifica concerne il comma 8 dello stesso articolo 257 decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010: «Ai fini della tutela della salute dei lavoratori dell'amministrazione della Difesa, la Direzione generale della sanità militare: a) effettua attività di studio e ricerca in materia di medicina occupazionale, trasferendone i risultati a favore degli organismi delle aree tecnico-operativa, tecnico-amministrativa e tecnico-industriale della Difesa, per incrementare le misure sanitarie finalizzate a prevenire danni alla salute del personale militare e civile dell'amministrazione della Difesa; b) fornisce consulenza e indirizzi generali in materia di medicina occupazionale, tenendo conto della necessità di salvaguardare l'operatività e l'efficienza delle Forze armate; c) definisce eventuali procedure per la valutazione dei rischi per la salute elaborando, altresì, protocolli standardizzati per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori militari e civili dell'amministrazione della Difesa, tenendo conto dei rischi tipici dell'attività svolta». Pur apparendo apprezzabile il coinvolgimento dell'organo di vertice della sanità militare, appare necessario far comunque salva la piena autonomia del medico competente nell'assolvimento di obblighi previsti e sanzionati a suo carico.

  E) Resta da sottolineare che, laddove disposizioni di legge o regolamentari prevedano un rinvio alle disposizioni abrogate, tale rinvio deve intendersi riferito alle disposizioni della presente proposta di legge.

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LA TUTELA PREVIDENZIALE.

IX. L'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

  L'attività d'indagine condotta dalla Commissione ha evidenziato la non adeguatezza della tutela previdenziale garantita al personale delle Forze armate dalle attuali prassi applicative.
  Tale inadeguatezza trova causa non già nell'entità delle provvidenze previste dall'ordinamento vigente, ma nelle incongruenze e criticità del procedimento di attribuzione di tali provvidenze.
  Tanto è stato ripetutamente sottolineato dalla giurisprudenza sviluppatasi a seguito delle azioni proposte dagli interessati, cui veniva negato il riconoscimento delle prestazioni richieste.
  Le decisioni assunte dai giudici ordinari e delle giurisdizioni speciali che si sono reiteratamente occupati della materia hanno evidenziato che:
   gli atti di diniego abitualmente non rispettano l'obbligo motivazionale e istruttorio;
   i pareri del Comitato di verifica per le cause di servizio risultano redatti «con motivazioni di stile, stereotipate, meramente apparenti, apodittiche o generiche» (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 1o dicembre 2015) e «aprioristicamente in contrasto con quanto sostenuto dalla comunità scientifica e persino recepito dalle istituzioni politiche, che hanno riconosciuto con legge dello Stato l'esistenza del rischio specifico» (T.A.R. Lazio, sez. I; cfr. inoltre, ex multis, Cons. St. n. 837 del 29 febbraio 2016; T.A.R. Toscana Sez. I n. 462 del 15 marzo 2016; T.A.R. Lazio sez. I-bis, n. 7363 del 16 agosto 2012);
   l'accertamento in ordine al nesso di causalità il più delle volte ha avuto esito negativo, perché effettuato secondo canoni di certezza assoluta, anziché fondato sul consolidato principio probabilistico-statistico, affermato da costante giurisprudenza, proprio per «l'impossibilità di stabilire sulla base delle attuali conoscenze scientifiche un nesso diretto di causa-effetto» (T.A.R. Lazio, sez. I-bis, n. 7777 del 21 luglio 2014).

  La Commissione ha inoltre appurato che il percorso amministrativo che porta al riconoscimento della c.d. «causa di servizio» prevede:
   il parere della CMO (Commissione medica ospedaliera) composta da medici militari, che si pronuncia sulla gravità della patologia e sulla corrispondente percentuale di invalidità che ne deriva, ma non sull'eziopatogenesi;
   il parere del CVCS (Comitato di verifica per le cause di servizio), organo del MEF, nel quale i medici militari sono in maggioranza e determinanti nella formulazione del giudizio sulla sussistenza del Pag. 41nesso di causalità, pronunciato su base esclusivamente documentale ed in assenza di un reale contraddittorio con l'interessato.

  Ne discende che, nell'ambito del procedimento or ora descritto, non appare sufficientemente garantita la terzietà di giudizio.
  A fronte delle sopra evidenziate criticità, che costituiscono un rilevante ostacolo all'effettività della tutela previdenziale presso le Forze armate, la Commissione ha ritenuto necessario affrontare il tema, individuando la soluzione nell'ambito dei principi ordinamentali vigenti.
  In particolare, ha ritenuto di procedere al riordino dell'intera materia della tutela previdenziale del personale delle Forze armate, riconducendola nell'ambito dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, garantita alla generalità degli altri lavoratori.
  La soluzione prospettata, d'altro canto, oltre a non richiedere radicali interventi di modifica all'ordinamento vigente, costituisce piena attuazione della norma di interpretazione autentica di cui all'articolo 12-bis del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, con legge 23 aprile 2009 n. 38, secondo il quale le Forze armate dovevano intendersi escluse dal predetto sistema di tutela soltanto «fino al complessivo riordino della materia».
  In tale ottica la Commissione ha individuato nell'INAIL il soggetto istituzionale più idoneo a tal fine.
  Si è pertanto previsto che al personale delle Forze armate, ivi compresa l'Arma dei Carabinieri, si applichino le disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124.
  Conformemente a quanto è previsto per tutti i dipendenti di ruolo dello Stato, l'assicurazione di tale personale verrà attuata dall'Istituto nazionale dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) con il sistema della gestione per conto dello Stato.

  Con la gestione per conto, le Amministrazioni dello Stato non corrispondono all'INAIL il premio assicurativo previsto per il regime ordinario, di cui al titolo I del Testo Unico n. 1124/1965 (settore industria), ma rimborsano all'Istituto gli importi delle prestazioni erogate ai dipendenti dello Stato infortunati e tecnopatici, le spese dovute per accertamenti medico-legali e per prestazioni integrative, nonché una quota unitaria per le spese generali di amministrazione relative alla gestione degli infortuni denunciati e delle rendite in vigore in «conto Stato», come disposto dall'articolo 2 del decreto ministeriale 10 ottobre 1985.
  I dipendenti dello Stato hanno diritto a tutte le prestazioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, con la sola eccezione dell'indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta. La predetta indennità, infatti, è una prestazione economica finalizzata a indennizzare la mancata retribuzione dovuta all'astensione dal lavoro in conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale e, pertanto, in caso di gestione per conto, non viene riconosciuta per mancanza del presupposto, dal momento che Pag. 42le Amministrazioni dello Stato continuano ad erogare la retribuzione anche durante il periodo di temporanea astensione dal lavoro.
  Anche nel regime della gestione per conto, il lavoratore ha facoltà di proporre opposizione avverso l'atto con il quale l'INAIL definisce il caso. Se l'opposizione attiene a questioni di carattere medico-legale, la stessa viene solitamente trattata in sede di visita collegiale, con la presenza di un sanitario di fiducia del lavoratore, così assicurando quella fase di contraddittorio che, come già segnalato, è, invece, del tutto assente nel procedimento innanzi al CVCS.
  È ovviamente nelle facoltà dell'infortunato o tecnopatico ricorrere all'assistenza di un legale di fiducia in corso di procedimento amministrativo.
  In particolare, per quanto riguarda le malattie professionali, vige il c.d. sistema misto: accanto a malattie indicate in tabella, con previsione delle lavorazioni e delle malattie dalle stesse causate, sono tutelabili anche quelle non tabellate, purché ne sia dimostrata la eziopatogenesi lavorativa.
  La differenza tra le due categorie di patologie professionali riguarda la distribuzione dell'onere della prova.
   Nel caso delle malattie tabellate, sul lavoratore incombe l'onere di provare di essere stato addetto alla lavorazione indicata in tabella e di essere affetto dalla patologia prevista nella medesima tabella. Il nesso di causalità tra lavorazione e patologia è assistito da presunzione legale, che può essere superata soltanto laddove l'INAIL fornisca la prova certa di una diversa causa extra lavorativa.
   Nel caso delle malattie non tabellate, il lavoratore deve provare non soltanto di essere stato addetto a lavorazione che lo ha esposto ad un determinato agente e di essere affetto dalla patologia denunciata, ma anche il nesso di causalità tra l'agente patogeno e la malattia.

  È da notare che le patologie a genesi multifattoriale, per la maggior parte delle quali non è possibile esprimersi in termini di certezza scientifica, sono valutate e definite nel pieno rispetto dei principi di diritto dettati in materia dalla giurisprudenza di legittimità. La prova del nesso di causalità tra l'agente patogeno e la malattia si ritiene raggiunta quando sussista una probabilità qualificata, fondata sulle risultanze di accreditate indagini epidemiologiche e di studi condivisi dalla comunità scientifica. Se concorrono cause lavorative con fattori eziologici extra lavorativi, in forza del principio di equivalenza causale di cui all'articolo 41 c.p., la malattia si considera professionale. Ai fini della corretta applicazione della regola contenuta nell'articolo 41 c.p. in tema di nesso causale tra attività lavorativa e malattia professionale, deve, pertanto, escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge solo nel caso in cui possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni.
  In relazione a quanto sopra e ai fini di una coerente ed efficace applicazione dei principi che governano la materia si dovrà comunque procedere, con le modalità previste dalle norme vigenti, ai tempestivi Pag. 43aggiornamenti delle tabelle delle malattie professionali, inserendovi le specifiche patologie afferenti al personale delle Forze armate, tenendo conto delle risultanze scientifiche e di quanto accertato da questa Commissione d'inchiesta e da quelle che l'hanno preceduta, e anche in linea con le stesse indicazioni fornite dai richiamati D.Lgs. n. 66/2010 (articolo 2185) e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 90/2010 (articolo 1079).
  La disposizione di cui all'articolo 12 della proposta legislativa non comporta oneri per lo Stato proprio per l'evidenziata insussistenza dell'obbligo di versamento dei premi che consegue alla scelta della formula della «gestione per conto».

X. L'abrogazione dell'equo indennizzo.

  Il riconoscimento del diritto del personale delle Forze armate alla prestazioni indennitarie previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 non comporta maggiori oneri per la finanza pubblica, poiché il rimborso all'INAIL delle prestazioni riconosciute al personale delle Forze armate è compensato dall'abrogazione dell'istituto dell'equo indennizzo per il predetto personale.

XI. La cumulabilità delle prestazioni.

  Al fine di non determinare diminuzioni del livello di tutela garantito al personale delle Forze armate e in considerazione delle peculiarità di natura e funzione esercitate, è riconosciuta la cumulabilità delle speciali provvidenze – già previste dall'ordinamento a suo favore – con le prestazioni indennitarie garantite dall'INAIL.
  Inoltre, per evitare ogni possibile duplicazione di indennizzo, in coerenza con i principi che governano la compatibilità delle prestazioni previdenziali, è stata espressamente prevista la non cumulabilità di quelle che traggono origine dalla stesso evento lesivo ed assolvono alla medesima funzione.
  Per garantire il raccordo tra i diversi istituti e scongiurare ogni possibilità di valutazioni contraddittorie è previsto che la presentazione della domanda di infortunio sul lavoro o di malattia professionale sia condizione di procedibilità della domanda di riconoscimento del diritto alle specifiche provvidenze previste in favore delle Forze armate. A tal fine si è previsto che l'accertamento effettuato dall'INAIL sul nesso di causalità tra l'attività lavorativa e l'evento lesivo sia vincolante anche ai fini del riconoscimento del diritto a tali provvidenze e che il relativo procedimento rimanga sospeso sino all'esito dell'accertamento predetto.
  L'impianto normativo come ricostruito determina una spinta alla maggiore efficienza dell'azione amministrativa nell'ambito dei procedimenti di riconoscimento di causa di servizio, evitando le duplicazioni del ricorso alla CMO e al CVCS e, con esso, le criticità già evidenziate al paragrafo IX.

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XII. Le norme transitorie.

  Risulta necessario disciplinare la fase transitoria in relazione, per un verso, ai procedimenti in corso e, per l'altro, agli infortuni verificatisi e alle malattie professionali manifestatesi prima dell'entrata in vigore del nuovo regime e per i quali, a tale data, non pende il relativo procedimento.
  Per i primi è prevista una loro interruzione con obbligo a carico dell'amministrazione della Difesa di trasmissione all'INAIL della denuncia di infortunio sul lavoro o di malattia professionale entro 180 giorni, con relativa sanzione in caso di inottemperanza.
  Per i secondi è previsto un termine di decadenza (12 mesi) entro il quale l'interessato dovrà denunciare l'evento infortunistico o la malattia professionale manifestatasi.
  Sempre nell'ottica di garantire un'ordinata transizione tra i due regimi è altresì previsto che il rigetto con sentenza passata in giudicato della domanda di equo indennizzo, per insussistenza del nesso di causalità tra l'attività di servizio e la patologia, precluda la proposizione della domanda di riconoscimento di infortunio sul lavoro o di malattia professionale per la patologia oggetto del giudizio.

XIII. Le norme finali.

  Come norma di chiusura, è parso opportuno prevedere la non applicazione della normativa ipotizzata con riferimento alle patologie per cui, alla data di entrata in vigore della medesima, sia stato riconosciuto, in via definitiva, il diritto all'equo indennizzo o alla pensione per causa di servizio.

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PROPOSTA DI LEGGE IN MATERIA DI SICUREZZA SUL LAVORO E TUTELA PREVIDENZIALE NELLE FORZE ARMATE

Art. 1.
(Definizione).

  1. Ai fini ed agli effetti delle disposizioni di cui alla presente legge, l'Arma dei Carabinieri è compresa nelle Forze armate.

Art. 2.
(Modifica all'articolo 3 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

1. All'articolo 3 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 è apportata la seguente modificazione: al secondo comma, nel primo periodo, dopo le parole: «le disposizioni del presente decreto legislativo», sono aggiunte le seguenti: «, escluse in relazione alle Forze armate quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo,».

Art. 3.
(Modifica all'articolo 6 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 6 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 è apportata la seguente modificazione: nell'ottavo comma, dopo la lettera m-quater, è aggiunta la seguente lettera m-quinquies:
   «m-quinquies) elaborare, sentita ciascuna Forza armata, appositi protocolli sanitari per la somministrazione della profilassi vaccinale al personale dell'amministrazione della Difesa. Tali protocolli recano, altresì, l'indicazione delle cautele e degli accertamenti da eseguire al fine di ridurre o escludere, per quanto consentito dalle conoscenze scientifiche acquisite, i rischi derivanti dalle modalità di somministrazione dei vaccini».

Art. 4.
(Modifica all'articolo 9 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 9 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 è apportata la seguente modificazione: nel quarto comma, dopo la lettera d-bis, è aggiunta la seguente lettera d-ter:
   «d-ter) fornisce alle Forze armate assistenza e consulenza in materia di salute e sicurezza sul lavoro».

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Art. 5.
(Modifica all'articolo 13 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 13 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) nel comma 1-bis, sono abolite le parole: «delle Forze armate,»;
   b) al comma 2, dopo la lettera c), è aggiunta la seguente lettera d):
    «d) i luoghi di lavoro delle Forze armate, comprese le aree riservate o operative e quelle che presentano analoghe esigenze, anche in rapporto alle attività che comportano un rischio derivante dalle radiazioni ionizzanti, indicate all'articolo 1 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230»;
   c) dopo il comma 2, è inserito il seguente comma 2-bis:

  «2-bis. Nello svolgimento delle attività di vigilanza di cui alla lettera d) del precedente comma 2, il personale ispettivo, in possesso di adeguata abilitazione di sicurezza, può avvalersi dei servizi sanitari e tecnici individuati dall'amministrazione della Difesa.».

Art. 6.
(Modifica all'articolo 18 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 18 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 è apportata la seguente modificazione: al primo comma, nella lettera q), dopo le parole: «la perdurante assenza di rischio», sono aggiunte le seguenti: «anche nelle zone di cui all'articolo 2185, primo comma, lettere b) ed e), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66.».

Art. 7.
(Modifica all'articolo 28 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 28 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al primo comma, dopo le parole: «interessati da attività di scavo», sono aggiunte le seguenti: «, e comunque le attività o mansioni comportanti operazioni connesse ad attrezzature presenti nei luoghi di lavoro delle Forze armate quali equipaggiamenti militari speciali, armi, munizioni, sistemi d'arma, materiali di armamento, o la frequentazione di tali luoghi in prossimità di tali attrezzature, comprese le operazioni indicate negli articoli 2185 del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e 1079, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90»;Pag. 47
   b) nel secondo comma, alla lettera b), dopo le parole: «lettera a)», sono aggiunte le seguenti: «incluse le profilassi vaccinali previste da appositi protocolli sanitari per il personale dell'amministrazione della Difesa».

Art. 8.
(Modifica all'articolo 31 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 31 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 è apportata la seguente modificazione: al secondo comma, nel secondo periodo, dopo le parole: «nell'espletamento del proprio incarico», sono aggiunte le seguenti: «, e adempiono alle proprie funzioni in piena autonomia anche nei confronti di autorità gerarchicamente sovraordinate».

Art. 9.
(Modifica all'articolo 36 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 36 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 è apportata la seguente modificazione: nel secondo comma, dopo la lettera b), è aggiunta la seguente lettera b-bis):
   «b-bis) sui pericoli connessi alle attrezzature presenti nei luoghi di lavoro delle Forze armate di cui all'articolo 28, primo comma, anche in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e scientifico;».

Art. 10.
(Modifica all'articolo 41 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81).

  1. All'articolo 41 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) al primo comma, nella lettera a), dopo le parole: «all'articolo 6», sono aggiunte le seguenti: «, e nei casi in cui è resa necessaria dalla valutazione dei rischi inerente alle attività o mansioni svolte nei luoghi di lavoro dell'amministrazione della Difesa di cui all'articolo 28, primo comma, del presente decreto legislativo»;
   b) al quarto comma, nel primo periodo, dopo le parole: «indagini diagnostiche,», sono aggiunte le seguenti: «nonché le profilassi vaccinali di cui all'articolo 28, secondo comma, lettera b), del presente decreto legislativo».

Pag. 48

Art. 11.
(Abrogazioni).

  1. Gli articoli 246, secondo comma, 248, 250, decimo comma, 253, settimo e ottavo comma, 255, terzo comma, 260, 261, 262, 263, 270, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 sono abrogati.
  2. Laddove disposizioni di legge o regolamentari prevedono un rinvio alle disposizioni di cui al comma 1, tale rinvio si intende riferito alle disposizioni della presente legge.
  3. All'articolo 256 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 è apportata la seguente modificazione: nel terzo comma, dopo le parole: «a carico del datore di lavoro delle medesime imprese» sono aggiunte le parole seguenti: «, fatti salvi gli obblighi del datore di lavoro committente di cui all'articolo 26 del predetto decreto.».
  4. All'articolo 257 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90 sono apportate le seguenti modificazioni:
   a) nell'ottavo comma, le parole «sono effettuate dai» sono sostituite dalle parole «dal medico competente che può avvalersi per accertamenti diagnostici dei»;
   b) nel nono comma, dopo le parole «Ai fini della tutela della salute dei lavoratori dell'amministrazione della Difesa,» sono inserite le parole seguenti: «, fatta salva la piena autonomia del medico competente,».

Art. 12.
(Entrata in vigore dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali relativa al personale delle Forze armate).

  1. Si applicano al personale delle Forze armate, compresa l'Arma dei Carabinieri, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, le disposizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n.1124 e successive modificazioni e integrazioni.
  2. L'obbligo di assicurazione di cui al precedente comma è limitato al personale che vi sia soggetto ai sensi degli artt. 1 e 4 del decreto del Presidente della Repubblica del 30 giugno 1965, n. 1124.
  3. L'assicurazione del personale di cui ai precedenti commi è attuata dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, per l'amministrazione dalla quale il personale dipende, con il sistema di gestione per conto dello Stato di cui al decreto del Ministro del Tesoro del 10 ottobre 1985 e successive modificazioni.

Pag. 49

Art. 13.
(Abolizione dell'istituto dell'equo indennizzo).

  1. L'istituto dell'equo indennizzo è abolito per il personale di cui all'articolo 11 della presente legge a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge medesima.

Art. 14.
(Cumulabilità delle prestazioni).

  1.Rimangono ferme le speciali provvidenze previste dal libro settimo, titolo terzo, capi terzo e quarto del decreto legislativo 15 marzo 2010 n. 66 e sono cumulabili con le prestazioni garantite dall'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.
  2. La presentazione all'INAIL della denuncia di infortunio sul lavoro o di malattia professionale costituisce condizione di procedibilità della domanda di riconoscimento del diritto alle provvidenze previste nel comma 1 del presente articolo. L'accertamento sul nesso di causalità tra l'attività lavorativa e l'evento lesivo effettuato dall'INAIL è vincolante anche ai fini del riconoscimento del diritto a tali provvidenze. Il procedimento relativo al riconoscimento di tali provvidenze rimane sospeso sino all'esito dell'accertamento predetto.
  3. L'assegno ordinario di invalidità e la pensione ordinaria di inabilità al lavoro non sono cumulabili con la rendita vitalizia liquidata per lo stesso evento invalidante, a norma del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 , fino a concorrenza della rendita stessa.

Art. 15.
(Norme transitorie).

  1. Sono interrotti, alla data di entrata in vigore della presente legge, i procedimenti amministrativi in corso relativi all'accertamento della dipendenza dell'infermità da causa di servizio e del diritto al rimborso delle spese di degenza per causa di servizio nonché del diritto all'equo indennizzo e alla pensione privilegiata.
  2. È fatto obbligo all'amministrazione della Difesa di trasmettere all'INAIL per via telematica, entro centottanta giorni dalla data di interruzione del procedimento, la denuncia di infortunio sul lavoro o di malattia professionale per l'evento lesivo che costituisce oggetto del procedimento interrotto, corredata della documentazione sanitaria acquisita agli atti.
  3. L'inosservanza dell'obbligo di cui al comma precedente comporta l'applicazione delle sanzioni amministrative previste in caso di Pag. 50omessa o tardiva denuncia di infortunio sul lavoro o di malattia professionale.
  4. Sono fatti salvi i termini del procedimento che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di ricevimento della documentazione da parte dell'INAIL.
  5. Gli infortuni sul lavoro verificatisi e le malattie professionali manifestatesi prima della data di entrata in vigore della presente legge devono essere denunciate, a pena di decadenza, entro dodici mesi da tale data.
  6. Il rigetto con sentenza passata in giudicato della domanda di equo indennizzo, per insussistenza del nesso di causalità tra l'attività di servizio e la patologia, preclude la proposizione della domanda di riconoscimento di infortunio sul lavoro o di malattia professionale per la patologia oggetto del giudizio.

Art. 16.
(Norma finale).

  1. La presente legge non si applica con riferimento alle patologie per le quali, alla data della sua entrata in vigore, sia già stato riconosciuto in via definitiva il diritto all'equo indennizzo o alla pensione per causa di servizio.