Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser
Documento

Doc. XXIII, N. 13

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FENOMENO DELLE MAFIE E SULLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI, ANCHE STRANIERE

(istituita con legge 19 luglio 2013, n. 87)

(composta dai deputati: Bindi, Presidente; Attaguile, Segretario, Bossa, Bruno Bossio, Carbone, Carfagna, Costantino, Dadone, Di Lello, Segretario, D'Uva, Fava, Vicepresidente, Garavini, Magorno, Manfredi, Mattiello, Naccarato, Nuti, Piccolo, Piepoli, Prestigiacomo, Sammarco Sarti, Scopelliti, Taglialatela e Vecchio; e dai senatori: Albano, Buemi, Bulgarelli, Capacchione, Consiglio, De Cristofaro, Di Maggio, Esposito, Falanga, Fazzone, Gaetti, Vicepresidente, Giarrusso, Giovanardi, Lumia, Mineo, Mirabelli, Molinari, Moscardelli, Pagano, Perrone, Ricchiuti, Tomaselli, Torrisi, Vaccari e Zizza).

RELAZIONE SULLA TRASPARENZA DELLE CANDIDATURE ED EFFICACIA DEI CONTROLLI PER PREVENIRE L'INFILTRAZIONE MAFIOSA NEGLI ENTI LOCALI IN OCCASIONE DELLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE

(Relatrice: On. Rosy Bindi)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 27 aprile 2016

Comunicata alle Presidenze il 28 aprile 2016 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lett. o) della legge 19 luglio 2013, n. 87

Pag. 6

1. Premessa

  La legge 19 luglio 2013, n. 87, istitutiva della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali similari, anche straniere, prevede che, tra i suoi compiti, la «Commissione antimafia» abbia quello di indagare sul «rapporto tra mafia e politica, con riguardo alla sua articolazione nel territorio e negli organi amministrativi, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e delle candidature per le assemblee elettive» (articolo 1, comma 1, lett. f), e quello di svolgere «il monitoraggio sui tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali e proporre misure idonee a prevenire e a contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia» (articolo 1, comma 1, lett. n).

2. Il rapporto tra mafia e politica nei lavori della Commissione antimafia

  Il tema del rapporto tra mafia e politica è presente nei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafia sin dai primi anni della sua istituzione e lungo tutto il corso delle dodici legislature repubblicane in cui essa ha operato.
  Proprio quaranta anni fa, il 15 gennaio 1976, i lavori della prima Commissione antimafia, istituita nel 1962, si concludevano con l'approvazione della relazione conclusiva e con il deposito della relazione di minoranza del deputato Pio La Torre (1).
  Le sue coraggiose proposte furono approvate dal Parlamento, purtroppo, solo nel 1982 dopo il suo assassinio e quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Da allora, quelle misure – dall'introduzione della fattispecie penale dell'associazione per delinquere di tipo mafioso alle misure di prevenzione patrimoniale – sono l'architrave della legislazione antimafia italiana che oggi legittimamente si propone come modello in sede europea e internazionale per il contrasto alla criminalità organizzata.
  Il rapporto tra mafia e politica è stato inoltre oggetto di una specifica relazione alle Camere nel 1993 (XI legislatura, Doc. XXIII n. 2) e anche in seguito è stato chiaramente indicato come tema nelle leggi istitutive, che hanno progressivamente ampliato i compiti della Commissione di inchiesta.
  A partire dalla XIV legislatura (legge 19 ottobre 2001, n. 386) compare infatti un esplicito riferimento alle connessioni «istituzionali» del fenomeno mafioso; dalla XV (legge 27 ottobre 2006, n. 277) sono attribuiti alla Commissione i compiti, citati in premessa, di Pag. 7monitorare i tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali e, dalla XVI (legge 4 agosto 2008, n. 132), di «indagare sul rapporto tra mafia e politica».
  In un contesto più ampio, il tema – oggi sempre più legato a quello del contrasto alla corruzione – può essere ricollegato alla cd. «questione morale», che iniziò a porsi più o meno in concomitanza con l'introduzione della prima legislazione antimafia, era indicata quale una delle cause, se non quella prevalente, della crescente disaffezione al voto e del progressivo allontanamento dei cittadini dalla vita politica, non abbia trovato nel tempo adeguata soluzione. Quella stessa questione, che oggi si inquadra nel connubio tra potere della corruzione e poteri mafiosi, continua a riproporsi ciclicamente nel dibattito politico e per poi finire preda di argomentazioni manieristiche o divenire strumento di lotta partitica, spesso sterile nei risultati.
  Tuttavia, nei lavori della Commissione antimafia emerge costantemente la convinzione che solo attraverso un recupero credibile, e non di facciata, del senso di legalità della politica, e anche all'interno della politica, sarà possibile ricostruire il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni cui si fonda il canone costituzionale della sovranità popolare.

3. I «codici di autoregolamentazione» per la formazione delle liste elettorali

  Nel corso della propria attività, sulla delicata materia del rapporto tra mafia e politica, la Commissione ha esercitato le proprie attribuzioni non solo in senso investigativo e ha proposto ai partiti e alle formazioni politiche codici di autoregolamentazione volti a far sì che dalla formazione delle liste elettorali fossero esclusi soggetti imputati o condannati, anche in via non definitiva, per gravi reati. Già nel 1991 la Commissione inviò alle Camere una «Relazione illustrativa per un codice di autoregolamentazione dei partiti in materia di designazione dei candidati alle elezioni politiche ed amministrative, comprendente il testo predisposto per il suddetto codice» (X legislatura, Doc. XXIII, n. 30); successivamente, nel 2007 la Commissione approvò una «Relazione sulla designazione dei candidati alle elezioni amministrative» (XV legislatura, Doc. XXIII, n. 1); nel 2010 una «Relazione in materia di formazione delle liste dei candidati per le elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali» (XVI legislatura, Doc. XXIII, n. 1); nel 2014, una «Relazione in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali» (XVII legislatura, Doc. XXIII, n. 3).
  Tali relazioni offrono alcuni esempi di come la Commissione abbia, in questo come in altri settori, esercitato un ruolo fortemente propositivo, intervenendo direttamente, con intento preventivo, su un tema decisivo quale quello delle candidature.
  La relazione sulle candidature da ultimo approvata dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014 è stata anche discussa, Pag. 8a differenza delle precedenti, dalle assemblee del Senato e della Camera nelle sedute, rispettivamente, del 29 ottobre 2014 e del 27 aprile 2015. Più in dettaglio, essa contiene una proposta di autoregolamentazione rivolta ai partiti politici, alle formazioni politiche, ai movimenti e alle liste civiche affinché si impegnino – in occasione di qualunque competizione elettorale – a non presentare e nemmeno a sostenere, sia indirettamente sia attraverso il collegamento ad altre liste, candidati che non rispondano alle condizioni previste dalla citata proposta di autoregolamentazione, in quanto imputati o condannati, anche non definitivamente, per un ampio catalogo di fattispecie penali.
  Tali condizioni, peraltro, hanno ricevuto anche un diretto riconoscimento legislativo nelle previsioni delle leggi 4 agosto 2008, n. 132, e 19 luglio 2013, n. 87, istitutive della Commissione antimafia nella XVI e nella XVII legislatura, che prescrivono ai componenti della Commissione l'onere di dichiarare alla Presidenza della Camera di appartenenza se nei loro confronti sussista una delle condizioni indicate nella proposta di autoregolamentazione in precedenza approvata, anche quando sopravvenga successivamente alla nomina (articolo 2, comma 1, della L. 132/2008 e articolo 2, comma 1, della L. 87/2013).

4. La verifica delle previsioni del codice in occasione di consultazioni elettorali

  Nell'ambito dei lavori della Commissione, un tema strettamente collegato all'adozione del «codice di autoregolamentazione» è stato poi quello della verifica effettiva della corrispondenza delle liste elettorali, presentate dalle forze politiche aderenti, rispetto alle indicazioni del codice medesimo.
  Tale verifica, la cui effettuazione è espressamente contemplata nella relazione della XVII legislatura, è stata effettuata dalla Commissione antimafia in tre diverse occasioni, sia in un tempo precedente sia in un tempo successivo allo svolgimento delle consultazioni elettorali.
  Nella X legislatura, la Commissione presieduta dal senatore Gerardo Chiaromonte comunicò alla stampa le risultanze della verifica in data 31 marzo 1992, prima dello svolgimento delle elezioni politiche del 5 e 6 aprile 1992 (2).
  Nella XVI legislatura, la Commissione presieduta dal senatore Giuseppe Pisanu rese note le risultanze della verifica nelle sedute del 9 febbraio 2011, del 25 gennaio 2012 e del 22 gennaio 2013, dopo lo Pag. 9svolgimento delle elezioni amministrative del 2010, del 2011 e del 2012 (3).
  Nella XVII legislatura, la Commissione attualmente in carica, presieduta dall'on. Rosy Bindi, ha reso note le risultanze della verifica nella seduta del 29 maggio 2015, prima dello svolgimento delle elezioni regionali del 30 e 31 maggio 2015 (4).
  La sede della Commissione antimafia si è perciò rivelata particolarmente sensibile, negli ultimi anni, nel recepire le esigenze di trasparenza e legalità della vita pubblica, molto avvertite dall'opinione pubblica alla luce di numerose inchieste giudiziarie su vicende di criminalità organizzata, rivelatesi sempre più spesso collegate a gravi fatti di corruzione.

5. Il quadro normativo

  Rispetto ai temi affrontati nei codici di autoregolamentazione proposti dalla Commissione, sulla materia dell'accesso alle cariche elettive è indispensabile ricordare che, in tempi recenti, è intervenuta la legge 6 novembre 2012, n. 190, recante «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione», in base alla quale il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 contenente il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190, ha stabilito le coordinate fondamentali in tema di limitazioni alla capacità elettorale e rappresenta attualmente il caposaldo della legislazione vigente in materia di requisiti minimi di onorabilità di chi è chiamato a ricoprire cariche elettive.
  Del resto, le tematiche della difesa degli organi rappresentativi da ogni tentativo di infiltrazione mafiosa e di condizionamento criminale e il contrasto alla corruzione hanno infatti ormai assunto una rilevanza centrale nella più recente vita politica, economica e amministrativa nazionale e internazionale (5), come dimostrano – a titolo Pag. 10esemplificativo tra i più recenti interventi normativi nell'ordinamento giuridico italiano – la modifica, introdotta con la legge 17 aprile 2014, n. 62, della fattispecie del delitto di scambio elettorale politico-mafioso, di cui all'articolo 416-ter c.p., l'istituzione dell'Autorità nazionale anticorruzione, effettuata con il decreto-legge 11 agosto 2014, n. 90, convertito con la legge 11 agosto 2014, n. 114, la modifica delle sanzioni per i reati di riciclaggio e l'introduzione del reato di autoriciclaggio effettuate con la legge 15 dicembre 2014, n. 186, le disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio di cui alla legge 27 maggio 2015, n. 69, e le norme per la revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza contenute nella legge 7 agosto 2015, n. 124.

6. Verso le elezioni amministrative del 5 giugno 2016

  In vista delle prossime elezioni amministrative, la Commissione antimafia intende pertanto tornare a richiamare l'attenzione sulla necessità di un ulteriore innalzamento della soglia di protezione delle istituzioni nella fase della selezione dei gruppi dirigenti e in particolare delle candidature per le assemblee elettive e dei relativi controlli.
  La Commissione, anzitutto, rinnova a tutte le formazioni politiche che parteciperanno alla prossima tornata elettorale del 5-19 giugno 2016 l'invito a conformarsi alle previsioni del codice di autoregolamentazione approvato il 23 settembre 2014.
  La funzione istituzionale di conoscenza e proposta che la Costituzione e la legge attribuiscono alla Commissione di inchiesta non può tuttavia, in quest'occasione, essere adempiuta direttamente in forma integrale e in modo autonomo attraverso un'attività di verifica preventiva del rispetto del codice, di cui offrire i risultati al Parlamento e all'opinione pubblica prima dello svolgimento delle consultazioni elettorali.
  I comuni al voto nella primavera del 2016 saranno infatti circa 1.370 e i candidati in proporzione un numero elevatissimo, pari probabilmente a decine di migliaia.
  L'esperimento di conoscenza effettuato nel 2015, in occasione dello svolgimento delle elezioni per i presidenti di giunta e i consigli di sette regioni, nei confronti di circa 4.000 candidati, ha infatti avuto caratteri di straordinarietà, difficilmente riproducibili sia per le modalità sia per gli strumenti della verifica, che si è giovata della collaborazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA).
  Di fronte di una tornata elettorale di vasta scala, quell'iniziativa non può tuttavia essere ripetuta dalla Commissione con le medesime garanzie di completezza nei confronti di tutti gli enti al voto – senza cioè che nessuno sia escluso dalla verifica – e con un accertamento, Pag. 11sicuro e tempestivo al massimo grado possibile, di tutte le situazioni giudiziarie pendenti previste dal codice di autoregolamentazione, le quali non sono coperte – è bene ribadirlo – da profili di riservatezza, in quanto attinenti ad una fase successiva al promovimento dell'azione penale.
  Ciononostante, in quella circostanza non è stato possibile, nemmeno con la collaborazione della DNAA, ricevere un riscontro tempestivo di alcune situazioni previste dal codice (quali esistenza di misure cautelari, stato di latitanza o di esecuzione di pena, ecc.) perché di tali dati non è disponibile una aggregazione sistematica e unitaria nelle banche dati giudiziarie.
  Ciò evidenzia ancor più l'eccezionalità dell'impegno profuso per la verifica del codice effettuata nel 2015, che va rimarcata con la consapevolezza delle inevitabili criticità legate alla ristrettezza dei tempi a disposizione per qualsiasi verifica che preceda lo svolgimento delle consultazioni, la quale evidentemente non può che intervenire nel breve lasso di tempo – pari a meno di trenta giorni – intercorrente tra la presentazione delle liste e la conclusione della campagna elettorale.
  A tale proposito, non si può non rilevare che da quella iniziativa sono scaturiti sentimenti contrastanti all'interno dell'opinione pubblica e anche alcune contestazioni individuali, peraltro non dissimili da quelle insorte nelle analoghe occasioni delle precedenti legislature. Senza entrare nel merito di tali contestazioni, occorre tuttavia ricordare che esse hanno trovato il proprio corretto inquadramento giuridico allorché sono state messe a confronto con l'interesse pubblico e le finalità istituzionali perseguite dalla Commissione (6).
  Piuttosto, la delicatezza della materia rende inoltre ancor più grave il fatto che nessun organo istituzionale, nell'era delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, sia nelle condizioni materiali di disporre effettivamente e immediatamente, in forma aggregata e sicura, di dati fondamentali attinenti ai cittadini quali quelli relativi alle situazioni giudiziarie ancorché non definitive, nella misura in cui non è ancora stato realizzato un casellario nazionale dei carichi pendenti.
  Allo stesso modo e per le stesse finalità, per le situazioni giudiziarie definitive risulta fondamentale il corretto e tempestivo inserimento dei dati nel casellario giudiziario, da parte delle cancellerie dei tribunali, come segnalato già dal Procuratore nazionale antimafia antiterrorismo (7).
  Sul tema, il Ministro della giustizia ha chiarito alla Commissione che, attualmente, a causa della carenza di risorse negli uffici giudiziari, «i tempi medi di iscrizione delle condanne definitive nel casellario giudiziale sono di circa undici mesi», calcolata dalla data di passaggio in giudicato del provvedimento e la data di iscrizione, e che «il ritardo dell'iscrizione ha un significativo impatto sull'attendibilità della certificazione e sulle verifiche relative all'ineleggibilità/incandidabilità di taluni soggetti». Per di più, «la banca dati nazionale Pag. 12dei carichi pendenti, invece, pur essendo prevista dal Testo unico sul casellario, non è stata ancora realizzata» (8).
  Sul punto, peraltro, sono in corso di esame alle Camere (A.C. 2798) disposizioni di modifica al codice penale e al codice di procedura penale, contenenti anche la delega al Governo per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, la cui importanza ai fini delle procedure elettorali è persino pleonastico richiamare.
  Il problema della disponibilità di tali informazioni è di sicura rilevanza, non solo ai fini del codice ma soprattutto ai fini dell'applicazione della legislazione già vigente con riferimento alle procedure previste per la verifica, su cui si dirà più avanti, delle condizioni di incandidabilità ed ineleggibilità di cui al citato d. lgs. n. 235/2012, che proprio in occasione delle prossime elezioni amministrative troverà un nuovo importante test di funzionamento su larga scala.
  Ai fini di una sempre maggiore conoscenza del fenomeno, in vista delle elezioni comunali del 2016 la Commissione ha pertanto convenuto di procedere ad una verifica sulla corrispondenza delle liste elettorali alla normativa vigente e al rispetto del codice di autoregolamentazione, focalizzando la propria attenzione attraverso un'apposita relazione sulla situazione politica e amministrativa, sulle candidature agli organi elettivi e sullo svolgimento della campagna elettorale su alcuni comuni al voto nel giugno 2016, individuati tra quelli che provengano da uno scioglimento conseguente a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) o per i quali nell'ultimo triennio sia stato disposto un accesso ispettivo ai sensi del medesimo articolo 143 TUEL (9).
  La verifica avrà ad oggetto la sussistenza delle condizioni di incandidabilità, sospensione e decadenza previste dagli articoli 11 e 12 del d. lgs. n. 235/2012, e la sussistenza delle condizioni previste nel «codice di autoregolamentazione» approvato dalla Commissione il 23 settembre 2014.
  I comuni al voto provenienti da scioglimento per mafia sono Battipaglia (SA), Scalea (CS), Ricadi (VV), Badolato (CZ), oltre a San Luca (RC), a seguito dell'annullamento delle elezioni del 2015, e Platì (RC), sciolto nel 2012, dove nelle precedenti elezioni non si sono presentati candidati.
  I comuni al voto destinatari di accessi ispettivi per i quali il procedimento ex articolo 143 TUEL è stato concluso senza scioglimento sono: Roma, Sant'Oreste (RM), Trentola Ducenta (CE), Villa di Briano (CE), attualmente in gestione commissariale; e Finale Emilia (MO), Morlupo (RM), Diano Marina (IM), San Sostene (CZ), attualmente in gestione ordinaria.
  Tra i comuni al voto a giugno prossimo c’è infine anche Joppolo (VV), il cui scioglimento per mafia, disposto nel 2014, è stato annullato Pag. 13dal Consiglio di Stato nel marzo 2016, con reinsediamento degli organi dell'ente eletti nel 2011.
  Complessivamente si tratta di quindici comuni in cinque regioni.

7. Gli enti locali come varco di ingresso delle mafie

  L'importanza della prossima tornata elettorale, per i fini che qui interessano della prevenzione contro l'infiltrazione della criminalità organizzata negli organi elettivi degli enti locali, è infatti di notevole rilevanza.
  Anzitutto perché le inchieste giudiziarie e gli studi dimostrano che la principale porta di ingresso delle mafie nella gestione delle risorse pubbliche, da un punto di vista strettamente criminale, risiede nella politica e nell'amministrazione locale, intese come destinatarie dirette e immediate del condizionamento degli amministratori pubblici con le forme tipiche della violenza, dell'intimidazione mafiosa e della corruzione (10).
  Inoltre, dal punto di vista della tenuta democratica delle istituzioni, le consultazioni locali rappresentano il più pericoloso luogo d'elezione – è il caso di dire – per un ingresso «legale» della criminalità nella vita dell'ente, attraverso la via politica della raccolta del consenso elettorale, libero o indotto, per propri esponenti o fiancheggiatori. È purtroppo ormai noto che questa è la principale strada che è stata seguita per l'insediamento ormai conclamato delle mafie al nord del Paese, attraverso la penetrazione soprattutto nei piccoli comuni, dove anche pochi voti possono influire in modo determinante sull'esito delle consultazioni.
  Sotto tale profilo, è appena il caso di ricordare che negli ultimi anni si assiste ad una impressionante progressione, per qualità e quantità, degli accessi prefettizi e degli scioglimenti dei consigli comunali ai sensi del citato articolo 143 del d. lgs. n. 267/2000 (TUEL) (11).
  A questi andrebbe affiancato, inoltre, il numero oscuro di scioglimenti «ordinari» formalmente disposti per altre cause, quali le dimissioni volontarie di sindaci e consiglieri, ma comunque riconducibili a episodi di criminalità e malaffare.
  In costante crescita è infatti il numero dei comuni e degli altri enti, anche a più riprese a distanza di pochi anni, sciolti per mafia o comunque sottoposti ad accesso (12).Pag. 14
  Si è ampliata la diffusione del fenomeno su tutto il territorio nazionale, non solo nelle aree di tradizionale inserimento nel Meridione ma sempre più anche al nord del Paese, a dispetto di superate tesi «culturaliste» che attribuivano alla popolazione delle regioni meridionali una maggiore propensione all'insediamento delle mafie rispetto a quelle delle regioni settentrionali (13).
  Questa anacronistica tesi, peraltro, è smentita anche dal persino maggiore grado di assoggettamento omertoso e di indisponibilità alla collaborazione con le forze di polizia e la magistratura denunciato in occasione di importanti inchieste giudiziarie sulla presenza delle mafie al nord (14). L'omertà, in particolare, va intesa anche e soprattutto come un atteggiamento di disponibilità e connivenza che contraddistingue le relazioni tra la ‘ndrangheta ed esponenti della società civile, secondo il noto paradigma della «borghesia mafiosa» (15).
  È cresciuto anche il dato relativo alla rilevanza amministrativa e alla popolazione degli enti coinvolti: attualmente, il X Municipio di Roma Capitale – che ricomprende il circondario di Ostia, con oltre 200.000 abitanti – dall'agosto 2015 è il più popoloso ente rappresentativo in gestione commissariale straordinaria ex articolo 143 TUEL, superando i 180.000 di Reggio Calabria, primo capoluogo di provincia sciolto solo nel 2012 (16).
  Complessivamente, nel quinquennio 2011-2015 gli enti sciolti per mafia in gestione commissariale sono stati, in base ai dati forniti dal Ministero dell'interno, 20 unità nel 2011 per una popolazione complessiva di 152.220 abitanti; 37 unità nel 2012 per una popolazione complessiva di 546.356 abitanti; 45 unità nel 2013 per una popolazione complessiva di 779.950 abitanti; 51 unità nel 2014 per una popolazione complessiva di 842.005 abitanti; 33 unità nel 2015 per una popolazione complessiva di 713.682 abitanti (17).
  E l'impatto, anche sull'immagine internazionale del Paese, dell'inchiesta romana «Terra di mezzo», e del paventato rischio di uno scioglimento per mafia della Capitale della Repubblica a seguito dell'accesso ispettivo disposto dal Ministro dell'interno, non necessita di ulteriori aggiunte in questa sede e si fa rinvio alle numerose sedute della Commissione in cui è stato approfonditamente affrontato il tema della presenza delle mafie a Roma e nel Lazio (18).Pag. 15
  Piuttosto, occorre rilevare che l'infiltrazione delle organizzazioni criminali di tipo mafioso in aree diverse dal meridione avviene con modalità sempre più diversificate, e al contempo pericolose, che vanno dalla più antica presenza diretta, spesso conseguente al vecchio istituto del soggiorno obbligato, all'insediamento a carattere coloniale, in cui gli affiliati locali, oramai nativi nelle regioni del centro-nord restano vigorosamente collegati alla «madre patria», pur conservando un certo margine di autonomia.
  Più di recente, si assiste invece al proliferare del fenomeno mafioso come puro metodo criminale, capace di proiettarsi oltre le regioni tradizionali e anche oltre il dato strettamente territoriale per occupare luoghi a torto ritenuti immuni e conquistare soprattutto spazi economici, politici e amministrativi non adeguatamente presidiati.
  In quest'ultima categoria, in un certo senso la più preoccupante per autonoma capacità di riproduzione, rientrano infatti le nuove consorterie criminali che pur essendo prive di un retroterra criminale mafioso consolidato si formano ex novo e operano in toto con le modalità previste dall'articolo 416-bis del codice penale, ovunque trovino terreno fertile.
  Di queste forme di mafia «originale e originaria», come è stata autorevolmente definita (19), quella scoperta con l'inchiesta «Terra di mezzo» - che ha dato luogo al già citato accesso al comune di Roma Capitale - è naturalmente l'esempio più noto, su cui la Corte di cassazione ha avuto già occasione di pronunciarsi, in merito alla natura autenticamente mafiosa, in termini di chiarezza assoluta (20).

8. Gli allarmi istituzionali

  Né, al riguardo, si può dire che siano mancati i campanelli d'allarme, anche nelle massime sedi istituzionali del Parlamento e del Governo.
  La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali, nella relazione conclusiva approvata all'unanimità il 26 febbraio 2015, ha descritto un fenomeno di dimensioni allarmanti «che riguarda ormai tutta la Penisola e colpisce soprattutto i sindaci dei comuni medi e piccoli. Da gennaio 2013 ad aprile 2014 gli atti di intimidazione sono stati 1265, per il 62,6% al sud e nelle isole e al centro-nord soprattutto nel Lazio, in Toscana e in Lombardia» (21).Pag. 16
  Nel luglio del 2015, il Ministero dell'interno ha costituito un «Osservatorio permanente sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti di amministratori pubblici locali», con l'obiettivo di monitorare il fenomeno, approfondire le cause che lo determinano e individuare adeguate iniziative di supporto alle vittime. A febbraio 2016 sono state altresì istituite presso sei prefetture le sezioni provinciali dell'Osservatorio, due al nord due al centro e due al sud, a riprova della dimensione nazionale e dell'attualità del fenomeno.
  In tema di rischi di infiltrazione e condizionamento negli enti locali, in questa sede può inoltre essere colta l'occasione per dar conto, a posteriori, di alcune ulteriori risultanze della verifica delle liste elettorali effettuata dalla Commissione antimafia della XVI legislatura alla luce della proposta di «codice di autoregolamentazione» del 2010, che non sono state contenute nei documenti pubblicati in quanto non tutte strettamente attinenti alle fattispecie penali contemplate nel predetto «codice».
  Con riferimento alla tornata elettorale a suo tempo presa in considerazione, ovvero le amministrative 2011, dall'analisi dei dati relativi a solo alcune aree territoriali, principalmente del Meridione, emerge un quadro definito «devastante» di centinaia di candidati (eletti e non, ed appartenenti sia a liste locali sia a liste nazionali di ogni tipo) gravati da precedenti penali o comunque sottoposti a processo per fatti-reato, alcuni dei quali gravissimi anche se non rientranti nel codice di autoregolamentazione (22).
  A tale proposito, deponevano purtroppo nello stesso senso i dati relativi a candidati ad alcuni comuni, in particolare calabresi, pervenuti alla Commissione antimafia a margine della verifica del «codice» effettuata nel maggio 2015, focalizzata come noto soltanto sulle sette regioni al voto. Tuttavia, non è stato possibile effettuare, nei tempi ristretti a disposizione, una raccolta completa di tutti i dati, e soprattutto un loro puntuale riscontro con le informazioni giudiziarie, di modo che il quadro complessivo è rimasto al livello indiziario. Gli elementi emersi tratteggiano ugualmente uno scenario potenzialmente assai preoccupante.
  Infine, l'ultima relazione annuale del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo illustra in termini preoccupanti, se non quasi emergenziali per la nostra democrazia, l'evoluzione delle organizzazioni criminali in alcune realtà territoriali sia del Meridione – e non si tratta di quelle abitualmente considerate più esposte o degradate – sia del Settentrione.
  In particolare, in certi territori del distretto giudiziario di Lecce le mafie sono state in grado di esercitare funzioni regolative della vita civile in modo addirittura sostitutivo dello Stato (23).Pag. 17
  L'inchiesta Aemilia ha invece rivelato la capacità delle mafie di condizionare, in alcune aree del distretto giudiziario di Bologna, anche le elezioni amministrative (24).
  Lo stesso Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nel rimarcare l'assoluta peculiarità del fenomeno delinquenziale mafioso e la pluralità dei beni giuridici primari che esso minaccia, ha posto la questione dell'attualità della qualificazione, all'interno del codice penale, dell'associazione mafiosa come un delitto «contro l'ordine pubblico».
  La minaccia rappresentata dalle organizzazioni mafiose è invece molto più grave, e tale da indurre il Procuratore nazionale a suggerire una diversa collocazione codicistica, inserendo tale reato associativo tra i «delitti contro la personalità dello Stato» in cui sono ricompresi tra gli altri, i delitti contro lo Stato (come quelli di associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell'ordine democratico, usurpazione di potere politico, etc.), e i delitti contro i diritti politici dei cittadini. L'associazione mafiosa è infatti considerata un reato «contro gli assetti democratici del nostro Paese» (25).
  A giudizio della Commissione, la prospettazione è sicuramente meritevole di considerazione, pur con la cautela che richiede ogni ipotesi di modifica di una fattispecie di reato che è alle fondamenta del sistema penale italiano.
  Del resto, i più qualificati modelli di analisi storica concordano sull'interpretazione della mafia come fenomeno criminale dotato anche di un carattere politico.
  Se così non fosse, e si trattasse soltanto di un problema di ordine pubblico come per lungo tempo si è cercato di far credere, non sarebbe comprensibile lungo un arco di cinquant'anni (per limitarsi alle legislature repubblicane) l'istituzione di dieci commissioni parlamentari di inchiesta, l'adozione di una legislazione «di emergenza» da circa trent'anni, l'istituzione da ormai 25 anni di uffici giudiziari e di forze di polizia specializzate, come la DNA e antiterrorismo, le procure distrettuali, la Direzione investigativa antimafia (DIA) e i servizi centrali e interprovinciali della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza (SCO, ROS, SCICO).

Pag. 18

9. Conoscenza e controllo

  È ormai dato universalmente acquisito che la prevenzione e il contrasto dei poteri criminali mafiosi non possono essere affidate esclusivamente all'azione di repressione portata avanti, anche con eccezionali risultati, dagli organismi investigativi e giudiziari.
  Per essere efficace, l'azione di prevenzione richiede un passo in avanti anche dei cittadini e dei corpi intermedi, delle forze istituzionali e sociali.
  L'obiettivo può e deve essere quello di un'antimafia plurale e dei diritti, fondata da un lato su di una ritrovata fiducia da parte dei cittadini nei confronti dei loro rappresentanti e governanti e in generale delle istituzioni (26), e dall'altro sulla garanzia della effettività dell'azione dei poteri pubblici di controllo, prima ancora che di repressione di qualsiasi illegalità.
  Sotto il profilo della fiducia, questa può fondarsi soltanto sulla conoscenza e incrocia la questione della moralità pubblica e di quali siano i requisiti di onorabilità di chiunque sia chiamato a ricoprire cariche pubbliche, incarichi e uffici pubblici. In base alla Costituzione, la legge indica infatti i casi di indegnità morale in cui il diritto di voto, e con ciò sia l'elettorato attivo sia passivo, può essere limitato.
  La legalità è quindi il limes, presidiato dalla magistratura e dalle forze di polizia, prima del quale deve collocarsi una più ampia azione di bonifica che spetta alla buona politica e alla sana amministrazione, alle quali competono valutazioni, di ordine diverso da quello giuridico, che possano però fondarsi su elementi di conoscenza sicuri e trasparenti.
  Sotto tale profilo, appare auspicabile che la conoscenza delle situazioni giudiziarie di coloro i quali si candidano in rappresentanza di una comunità territoriale escano da una dimensione quasi privata, in cui si è a volte cercato di relegarle impropriamente, per entrare a far parte a pieno titolo di un sistema di conoscenza a disposizione della collettività.
  D'altra parte, non possono essere invocati profili di riservatezza rispetto a situazioni dotate di rilevanza penale, e il tema della trasparenza è sempre più spesso posto dalla più recente legislazione con riferimento a tutte le informazioni detenute dalle amministrazioni pubbliche, fino a diventare il vero e proprio perno del sistema normativo di prevenzione della corruzione, come dimostra da ultimo Pag. 19la citata legge 124/2015 e gli schemi dei relativi decreti attuativi, attualmente in corso di esame presso le Camere.

10. Proposte
  Si è pertanto dell'avviso che gli sforzi verso il rafforzamento della legalità e della trasparenza delle consultazioni elettorali debbano essere orientati sulle seguenti linee direttrici:
   a) prevedere quanto necessario per rendere più efficaci i vigenti presidi normativi posti dalla legge a tutela degli enti locali dall'infiltrazione e dal condizionamento mafioso in occasione delle consultazioni elettorali e, tra questi, in primo luogo il d. lgs. n. 235/2012 (cd. «legge Severino»), le norme sullo scioglimento dei comuni e il voto di scambio;
   b) procedere ad attuare l'articolo 49 della Costituzione e proseguire sulla via dell'autoregolamentazione dei partiti politici, delle formazioni politiche, dei movimenti e delle liste civiche nella designazione dei candidati, non solo attraverso la condivisione del codice predisposto dalla Commissione antimafia, ma anche attraverso lo sviluppo di buone pratiche e sistemi di controllo interno ai predetti partiti, liste e formazioni politiche in grado di intercettare situazioni di candidature poco trasparenti;
   c) accanto all'antimafia normativa e a quella politica di cui alle precedenti alinea, sviluppare, con azioni concrete, una «antimafia sociale» che orienti e renda consapevole l'elettore dei rischi di legalità connessi a ciascuna candidatura.

  Le proposte sono illustrate più in dettaglio come segue.

10.1 La formazione delle liste. Mettere a sistema le banche-dati esistenti. Costituzione dell'anagrafe unica dei candidati.
  Occorre verificare la congruità della normativa vigente ed adottare gli strumenti legislativi, organizzativi e di funzionalizzazione tecnico-informatica necessari affinché gli uffici e le commissioni elettorali competenti siano poste in condizione, in vista delle consultazioni elettorali politiche ed amministrative, di rilevare d'ufficio, con completezza e tempestività, la sussistenza delle condizioni di incandidabilità.
  La prassi ha fatto emergere la sussistenza di condizioni che impediscono agli uffici preposti all'esame delle liste dei candidati di ottenere, negli stringenti termini imposti dalla normativa vigente (di cui al d. lgs. n. 235/2012), le informazioni necessarie per garantire un controllo effettivo sull'eventuale sussistenza di condizioni di incandidabilità, al ricorrere delle quali si applicherebbe il provvedimento di esclusione dalle liste elettorali.
  Invero, il controllo finisce per consistere nella sola verifica della presentazione della dichiarazione sostitutiva fornita dai candidati attestante l'insussistenza delle cause di incandidabilità (27). Gli uffici, Pag. 20infatti, non sono posti nelle effettive condizioni per accertare «dagli atti o documenti in possesso» le condizioni di incandidabilità.
  Tra le ragioni sottostanti a tale condizione di sostanziale inefficienza vi è l'assenza, già ricordata, di un sistema informatizzato accessibile che risponda all'esigenza di acquisizione delle informazioni.
  Occorrerebbe procedere, con l'ausilio del Ministero della giustizia e del Ministero dell'interno, a una completa ricognizione dell'attuale stato di informatizzazione, sia considerando le modalità di accesso, sia le condizioni di «versamento» delle informazioni. Più di ogni altra cosa, tuttavia, occorre con assoluta urgenza il completamento dell'informatizzazione del casellario giudiziale e soprattutto dei carichi pendenti su base nazionale.
  Inoltre, tra le proposte per perfezionare la rete di «infrastrutture della legalità», andrebbe contemplata anche la predisposizione di un'anagrafe unica dei candidati o altro strumento equivalente, in cui confluiscano le pertinenti basi informative di giustizia messe opportunamente a sistema, raccogliendo cioè in un unico contenitore i dati non solo relativi alle condizioni rilevanti ai sensi del d. lgs. n. 235/2012, ma anche quelli relativi la causa specifica di incandidabilità di cui all'articolo 143 del d. lgs. n. 267/2000 (28).

10.2 Termini di presentazione delle liste e di esecuzione delle verifiche sulle incandidabilità. Composizione degli uffici e delle commissioni elettorali.

  In fase di applicazione del d.lgs. n. 235/2012, una delle maggiori criticità emerse a ostacolo dell'efficace accertamento della condizione Pag. 21di incandidabilità concerne il rispetto dei termini del procedimento elettorale, in particolare di quelli entro i quali gli uffici competenti devono adempiere alla funzione di accertamento ed eventuale cancellazione delle liste.
  Con riferimento alla normativa statale, si registra un decisivo condizionamento al corretto controllo delle candidature da parte degli uffici elettorali preposti, i quali entro soli due giorni devono provvedere alla verifica della presentazione della dichiarazione sostitutiva attestante l'insussistenza della condizione di incandidabilità nonché all'accertamento d'ufficio sulla base di atti o documenti di cui vengano comunque in possesso comprovanti la condizione di limitazione del diritto di elettorato passivo.
  È evidente che i termini suddetti andrebbero ampliati, poiché così come configurati condizionano il corretto funzionamento del sistema di controllo, nei fatti rendendolo pressoché impossibile un controllo completo. Le difficoltà operative sono ad esempio rintracciabili nell'accesso al casellario giudiziale e, in particolare, nel rilascio del certificato penale che contiene le sentenze passate in giudicato.
  Con la conseguenza che una «falsa dichiarazione» – a prescindere dalle responsabilità in cui incorre il dichiarante – impedisce il rispetto della legge, determinando numerosi effetti, tra cui quelli sulla formazione del consenso, che risulterà alterato, oltre che per la presenza nelle liste di persone condannate per reati gravi e che, in molti casi, sono in grado di influenzare la formazione del consenso, alterandolo, anche per l'effetto simbolico, soprattutto in alcuni contesti in cui tale effetto è altrettanto rilevante quanto quello del rispetto della legalità formale. In questi casi, infatti, l'accertamento della causa di incandidabilità e la conseguente cancellazione avverrà solo a elezioni avvenute. In altri termini, consentire a chi non è candidabile di raccogliere voti partecipando alla campagna elettorale costituisce un inquinamento alle falde della democrazia, pregiudicandone in modo difficilmente reversibile il momento genetico e più autentico.
  A ragione di ciò, occorrerebbe uno sforzo complessivo di riordino normativo, idoneo a collocare in una posizione centrale di tutela la fase dei controlli. Tra le possibilità di riforma da analizzare si potrebbe considerare la previsione, in occasione della presentazione delle liste, del deposito del certificato penale, a cura dell'interessato, in aggiunta all'autocertificazione in considerazione del ritardo che sconta l'aggiornamento dei casellari. Su tale base, l'autocertificazione richiesta ai candidati andrebbe estesa anche alle condizioni che determinano la sospensione dalle cariche regionali e alle condizioni che determinano la sospensione degli amministratori locali.
  Inoltre, al fine di rafforzare e uniformare le procedure elettorali, andrebbe valutata l'opportunità della presenza anche di magistrati all'interno di tutte le commissioni e sottocommissioni elettorali, comprese quelle circondariali (che operano in ordine all'esame delle candidature alla carica di sindaco e delle liste dei candidati alla carica di consigliere comunale), prevedendo al contempo adeguate risorse di supporto per l'effettuazione tempestiva delle necessarie verifiche insieme a ulteriori misure per rafforzare la salvaguardia delle Pag. 22operazioni di voto in tutte le loro fasi, in particolare nei comuni provenienti da scioglimento per mafia (29).
  Un'ulteriore proposta da valutare per «alleggerire» la fase di controllo potrebbe essere l'anticipazione dei termini di presentazione delle liste.
  Per completezza, occorre evidenziare come qualunque tipo di intervento riformatore della legislazione che abbia a oggetto i termini debba naturalmente essere considerato nel «procedimento elettorale» lato sensu, in cui vanno considerati anche i termini di impugnazione nelle competenti sedi giudiziarie e quelli entro i quali gli stessi organi giudiziari, di diverso ordine e grado, sono tenuti a pronunciarsi.
  L'auspicato intervento di riforma richiede particolare attenzione. Ciò non di meno, l'incisività gli interessi costituzionali a tutela del corretto svolgimento del momento della formazione del consenso, del respingimento di ogni forma di infiltrazione mafiosa e, più in generale, di soggetti che si trovino nelle condizioni ostative previste dalla legge, anche nel momento successivo dell'esercizio delle funzioni elettive, impongono una netta presa di coscienza e la prosecuzione dell'azione di riforma avviata nel 2012.

10.3 Rafforzare gli anticorpi della politica attraverso il codice di autoregolamentazione

  Il Codice di autoregolamentazione amplia il novero delle cause ostative alla candidabilità lato sensu nelle elezioni politiche, regionali e amministrative. A fronte di una normativa statale che circoscrive l'incandidabilità a taluni gravi reati accertati con sentenza definitiva, molti partiti e formazioni politiche hanno condiviso l'esigenza di dotarsi di uno strumento di emersione delle responsabilità dei candidati più severo rispetto a quello di cui alla fonte normativa statale.
  In questo caso, infatti, le regole contenute nel codice trovano attuazione al di fuori dello schema formale-giuridico che impone agli uffici preposti di cancellare dalle liste coloro che si trovano nelle condizioni di incandidabilità. Non sussiste, infatti, un obbligo giuridico all'applicazione del codice, piuttosto l'assunzione di un impegno (etico e politico) da parte dei destinatari del codice a non presentare e non Pag. 23sostenere coloro che si trovino nelle condizioni ivi indicate, o di esprimere le ragioni che indurrebbero a non provvedere in tal senso.
  In considerazione di ciò, l’«elemento volontaristico» assume una posizione centrale, rispetto alla quale occorrerebbe definire un percorso di adesione chiara e inequivocabile al codice di autoregolamentazione, che costituisca il presupposto per la successiva fase di attuazione e controllo.

10.4 Diffusione capillare del codice di autoregolamentazione. Le liste civiche

  Il codice di autoregolamentazione ha per destinatari siano i partiti, le formazioni politiche, i movimenti e le liste civiche.
  Il codice ha maggiori possibilità di concreta attuazione là dove aumentino i destinatari sia per tipologia sia per numero. Occorre che vi sia un'ampia condivisione politica nel raggiungimento di tale obiettivo, anche in considerazione delle difficoltà, talvolta strumentali, in cui si può incorrere in fase attuativa. Così, ad esempio, è necessario ottenere l'adesione delle liste civiche nelle competizioni elettorali comunali, di cui è noto il peso per tali elezioni.
  A tale fenomeno deve collegarsi il rischio di infiltrazione mafiosa e, più in generale, di soggetti che siano incorsi nelle situazioni definite come ostative dal codice. Si deve quindi immaginare un processo di sensibilizzazione e di formalizzazione del codice chiedendo a ogni lista civica di darvi attuazione, anche attraverso l'adesione ad appositi protocolli di legalità.

10.5 Politica trasparente. Utilizzo del web

  Considerato l'impegno etico e politico che i soggetti politici volontariamente assumono nella condivisione e nell'attuazione del codice, la trasparenza e la massima diffusione divengono elementi essenziali per la migliore implementazione del sistema. Ciò sia a garanzia degli elettori sia degli stessi soggetti politici. Per questi ultimi, infatti, la trasparenza sui nominativi e sul ricorrere delle condizioni politiche di insostenibilità dei candidati determina un elemento di contenimento di azioni di condizionamento minaccioso o violento, ma anche rispetto a offerte vantaggiose in termini di formazione elettorale del consenso o di acquisizione di fondi utili per la campagna elettorale.
  Lo strumento più efficiente per garantire maggiori possibilità di condivisione e controllo sull'attuazione del codice è il web sia in quanto media sia in quanto fonte di informazione per gli altri mezzi di informazione. I soggetti politici devono servirsi di questo mezzo, anche creando pagine ad hoc sui loro siti ufficiali dedicate alla «politica trasparente», per garantire la massima trasparenza sia sui candidati sia sull'operato degli stessi soggetti politici, nell'evidenza che più sono alti livelli di trasparenza più è alto il rischio di incidere sui diritti (es. tutela dei dati personali e privacy). Anche se, preliminarmente, l'adesione di un potenziale candidato a un partito, a un movimento, a una lista civica che abbiano aderito al codice, impegnandosi Pag. 24ad attuarlo, garantisce consapevolezza sui «costi della trasparenza».

10.6 Sviluppare all'interno di ciascun partito o formazione politica, movimento o lista civica l'elaborazione di buone prassi, sistemi di controllo interno e verifica per il rispetto del codice di autoregolamentazione e per l'emersione di eventuali criticità sotto il profilo della legalità da sottoporre al confronto politico interno

  Questo nuovo strumento di garanzia potrà progressivamente essere sempre più diffuso, condiviso e attuato. Se da un lato occorre sin d'ora riflettere sulle criticità e sul bilanciamento degli interessi che i partiti politici vorranno garantire, gli ‘aggiustamenti’ potranno essere operati in corso d'opera. Un attento monitoraggio sull'attuazione del codice, sulle interrelazioni dello stesso con la normativa vigente e sulle norme a tutela dei diritti potrebbe essere estremamente utile. Nella perdurante attesa di una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, occorre ripensare la governance dei partiti. Sarebbe utile immaginare, sin da questa prima fase, una metodologia per garantire il controllo interno, l'emersione delle criticità e la condivisione delle buone pratiche, anche nella fase di preselezione pubblica delle candidature, quali le cosiddette «primarie» o meccanismi similari, anche via web (30).

10.7 Offrire all'elettore le condizioni per un voto informato sulla legalità

  In prospettiva, si potrebbe pensare di rendere accessibile a tutti, anche via web, l'anagrafe unica dei candidati nella quale per ciascun candidato sono indicate, alla data di convocazione dei comizi elettorali, in relazione a qualsiasi tipologia di reato, le situazioni di condanna definitiva o non definitiva, di emissione di decreto che dispone il giudizio o la citazione diretta a giudizio, di pronuncia di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, emissione di misura cautelare personale; nonché emissione di decreto di applicazione di prevenzione personale o patrimoniale; danno erariale per reati commessi nell'esercizio delle funzioni di cui alla carica elettiva; situazione di incandidabilità temporanea e territorialmente limitata, conseguente allo scioglimento dell'ente ai sensi dell'articolo 143 del d. lgs. n. 267/2000.
  Ancora, andrebbe valutata l'opportunità di individuare una autorità appositamente incaricata di garantire la correttezza, completezza e indipendenza dei dati inseriti e di gestire tale sistema informativo (31).Pag. 25
  L'iniziativa volta a realizzare l'anagrafe unica potrebbe poggiare su quella dell'anagrafe degli amministratori locali e regionali, prevista dall'articolo 76 del Testo unico degli enti locali, sebbene realizzata con contenuti più limitati, per finalità di massima trasparenza (32).

10.8 Rafforzare la tutela dell'ordinamento nei confronti dei pubblici amministratori

  Vanno previste forme di tutela rafforzata nei confronti dei pubblici amministratori sottoposti a minacce e/o danneggiamenti, anche attraverso un inasprimento delle pene nei confronti dei soggetti responsabili di tali atti e un potenziamento degli strumenti investigativi.
  Al fine di garantire un effettivo e libero esercizio delle funzioni attribuite agli enti e alle amministrazioni locali, è opportuno prevedere misure tese a prevenire e contrastare gli atti di intimidazione in danno di amministratori pubblici e, ancor prima dell'assunzione della carica elettiva, in danno dei soggetti che si candidano a ricoprire cariche elettive. Si tratta di interventi necessari al fine di tutelare non solo l'integrità individuale dell'amministrazione locale, ma anche il buon andamento della pubblica amministrazione e la personalità interna dello Stato.

10.9 Modifiche ai reati in materia elettorale (voto di scambio, falso nell'attestazione delle condizioni di incandidabilità)

  In quest'ambito si potrebbe rafforzare la tutela dei candidati nell'ambito della disciplina dei reati elettorali (33).
  Potrebbero altresì essere inasprite le pene anzitutto per il reato di scambio elettorale politico-mafioso di cui all'articolo 416-ter c.p., nonché per la falsa o incompleta attestazione del candidato di non trovarsi in una delle cause di incandidabilità previste dalla legge, ed eventualmente prevedere che la dichiarazione mendace diventi essa stessa una condizione di incandidabilità. Inoltre, occorre impedire ai sorvegliati speciali per come previsto dall'articolo 67, comma 7, del d. lgs. n. 159/2011, oltre che di essere eletti, anche di svolgere propaganda elettorale.
  Per l'ipotesi di reato prevista dal d.P.R. 445/2000 occorrerebbe poi prevedere l'obbligo, e non la facoltà per il giudice, di applicare l'interdizione temporanea dai pubblici uffici.Pag. 26
  Potrebbero poi essere ricomprese almeno le ipotesi più gravi dei reati elettorali tra quelli per cui trova applicazione il d. lgs. n. 235/2012.
  Infine, andrebbe naturalmente perfezionato e rafforzato il procedimento e tutte le misure previste dall'articolo 143 del d. lgs. n. 267/2000, non solo nei confronti dei componenti della giunta e del consiglio comunale, ma anche nei confronti dei dirigenti e funzionari dell'ente.

11. Mafie, consenso, autorità

  In base alla legge istitutiva, la Commissione ha il compito di riferire alle Camere al termine dei suoi lavori, nonché ogni volta che lo ritenga opportuno.
  In vista della tornata di elezioni amministrative del 2016, la Commissione, in assolvimento della propria funzione istituzionale, intende pertanto porre al Parlamento la questione dell'aggiornamento della legislazione in tema di cariche elettive in chiave di ancor maggiore trasparenza e al Governo quella del rafforzamento delle misure volte a rendere più efficace il sistema dei controlli elettorali contro la minaccia del condizionamento e dell'infiltrazione delle organizzazioni criminali mafiosa negli enti locali e nelle selezione dei gruppi dirigenti e delle candidature per le assemblee elettive.
  La questione va posta alle Camere e al Governo affinché valutino quanto prima presupposti, tempi e modi per intervenire al riguardo, nelle forme e nei modi ritenuti più opportuni, alla luce delle proposte che la Commissione ha inteso elaborare, svolgendo un ruolo di cerniera politico-istituzionale che ne contraddistingue da tempo l'attività.
  Sin dalla sua istituzione, la Commissione antimafia si è infatti posta come «foro parlamentare» del tema della mafia, luogo del dibattito aperto al contributo degli organi specializzati e sede pubblica di conoscenza e di elaborazione di proposte rimesse alle Istituzioni e all'opinione pubblica.
  Le proposte qui illustrate hanno lo scopo di evidenziare senza pregiudizi un problema essenziale per il buon funzionamento delle istituzioni democratiche che sempre più spesso affiora in concomitanza con l'accertamento della presenza di organizzazioni criminali mafiose sul territorio, e di affrontare senza riserve, in occasione delle elezioni comunali (ma il discorso può valere in relazione allo svolgimento di qualsiasi consultazione elettorale) il tema del consenso che tali organizzazioni generano o sono in grado di condizionare, usurpando funzioni di regolazione della società in determinati ambiti (e persino di «welfare»), o ancora di cui esse si servono per fini illeciti, allorquando non è necessario l'uso della violenza, attraverso la corruzione.
  La questione del consenso delle mafie va posta con coraggio. Tutte le forze politiche devono farsene carico insieme, per rendere il contrasto ai poteri mafiosi un elemento non di divisione, ma di unione Pag. 27delle forze politiche, come avvenuto nelle stagioni migliori della storia della Repubblica.
  L'attività di inchiesta ha dimostrato inoltre che nessuna forza politica, anche con le migliori intenzioni, può ritenersi immune dal condizionamento o peggio dall'infiltrazione, a meno di non voler compiere lo stesso errore di sottovalutazione che ha consentito la penetrazione delle organizzazioni criminali nelle regioni del centro-nord.
  Le mafie sono infatti organizzazioni innegabilmente dotate di politicità, che agiscono ormai, dopo gli anni delle stragi, con modalità sempre meno antagoniste e visibili e sempre più liquide e opache, capaci di infiltrarsi negli spazi lasciati liberi o non adeguatamente presidiati dalla società civile, dalla politica, fino a creare crepe che mettono a rischio parti dell'impianto dello Stato e delle Istituzioni.
  A tale proposito, il loro carattere naturalmente segreto – che le associa ad altre consorterie che hanno tale carattere, allorquando questo diventa il mezzo per perseguire scopi criminali, come le massonerie deviate o illegali – non lascia dubbi sull'importanza dello strumento della conoscenza per capirle e della trasparenza per combatterle, sia per la natura stessa dell'attività criminale, sia per la sempre maggiore dissimulazione dell'illiceità all'interno delle attività lecite.
  Esse dunque costituiscono un fattore che va obiettivamente tenuto presente, con l'obiettivo di neutralizzarlo, negli ambiti istituzionali, politici, partitici, sociali ed economici. Occorre però anzitutto conoscere di più e capire meglio le dinamiche, perché soprattutto il metodo mafioso-corruttivo è il più insidioso perché il più difficile da investigare, da scoprire e da sanzionare.
  Il Ministro dell'interno ha riferito che la causa principale dello scioglimento per mafia, nell'ambito di una sorta di «tipizzazione» dei motivi da cui più frequentemente scaturisce la misura di rigore sono l'appoggio diretto, inteso come vera e propria sudditanza (quando non si tratta di non come partecipazione diretta all'organizzazione) degli amministratori rispetto alle cosche, e l’«atteggiamento compiacente» che favorisce l'adozione di provvedimenti graditi o che omette quelli sgraditi (34).
  E l'attività illegale non può essere meno pericolosa, anzi, allorché si svolge in forma non violenta; le modalità consensuali delle condotte illecite non possono in alcun modo affievolirne la condanna o addirittura legittimarle.
  Pericolosa è dunque, da questo punto di vista, l'opzione, sia pure considerata in via di prima esperienza dagli istituti di statistica europei e nazionali, di computare all'interno del prodotto interno lordo il valore economico presunto di alcune attività illegali – come prostituzione, contrabbando di tabacchi lavorati e commercio di stupefacenti – soltanto perché fondate su di una transazione volontaria (35).Pag. 28
  L'economia illegale non può concorrere alla misurazione della ricchezza delle nazioni e del benessere delle persone, perché non è un fattore di sviluppo ma di sottosviluppo economico, prima ancora che civile.
  È purtroppo noto, come ha ricordato anche il Governatore della Banca d'Italia (36), che l'economia illegale e ancor più quella strettamente criminale hanno costituito – e costituiscono tuttora – un grave impedimento alla crescita del Mezzogiorno d'Italia, per il quale le analisi economiche concordano nel ritenere il contrasto della criminalità organizzata presupposto indefettibile di ogni prospettiva di sviluppo socio-economico (37).
  Sarebbe paradossale, tra l'altro, dover considerare l'azione repressiva della magistratura e delle forze dell'ordine come una distruzione di ricchezza nazionale e non come il presidio dei diritti e dei doveri dei cittadini.
  Occorrono dunque saldi parametri valoriali e giuridici alla stregua dei quali analizzare gli effetti letali dell'azione dei poteri mafiosi e perfezionare l'efficacia delle misure di prevenzione e cura.
  Queste ultime vanno realizzate, e soprattutto fatte rispettare, con fermezza, e con tutta l'autorità che compete a istituzioni democratiche autenticamente sovrane, che trovano la propria ragion d'essere nel tutelare i diritti dei propri cittadini, preservando al contempo se stesse.
  La lotta alle mafie non è solo una sfida allo Stato, come si è creduto nella stagione delle stragi che pure ha generato tante positive risposte investigative, giudiziarie e civili. Il tempo ha dimostrato che le metamorfosi e il mimetismo delle mafie sono soprattutto una sfida per lo Stato, e per la sua capacità di esercitare la propria autorità in via esclusiva come unico ente a cui è legittimamente affidato il monopolio della forza, e una sfida per la politica e per la sua capacità di essere autorevole e credibile a tutti i livelli di rappresentanza e di governo.

12. Conclusioni

  Il metodo mafioso è infatti il più pericoloso per la democrazia, perché allorquando si insinua nel corpo elettorale inquina alla sorgente il circuito democratico, e genera una malattia sistemica – una malattia al contempo morale e potenzialmente mortale – che richiede pertanto una terapia «di sistema», che giunga ad ogni singola cellula dello Stato e della società, cioè ad ogni singolo individuo, passando per le tutte le formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.Pag. 29
  Soprattutto le formazioni sociali politiche vanno oggi tutelate, nel loro interesse e in quello dei cittadini che intendono rappresentare o associare.
  La cronaca giudiziaria quotidiana rilancia troppo spesso il tema, già evidenziato (38), della fragilità e dell’impasse degli apparati politici e amministrativi di molte istituzioni locali, che vanno protette ancor di più alla luce del loro crescente peso negli assetti costituzionali presenti e soprattutto futuri.
  Parimenti, le dinamiche collettive influenzano sempre più la selezione dei gruppi dirigenti all'interno delle forze politiche sia nella fase propriamente elettorale e in quella, che sempre più frequentemente la precede, delle «primarie», conferendo rilevanza generale, al di là delle procedure interne ai partiti e alle formazioni politiche, ai temi della garanzia della libertà nella formazione del consenso e della sicurezza nella sua raccolta.
  Bisogna intervenire, con funzione regolativa e obiettivi chiari di trasparenza e legalità, per dare le coordinate corrette alle tante associazioni di carattere nazionale o locale che significativamente operano nel contrasto delle attività delle organizzazioni criminali di tipo mafioso – come le indica legge istitutiva che ha dato alla Commissione antimafia un compito specifico in tale ambito – soprattutto per difendere il ruolo fondamentale che esse hanno svolto soprattutto nel riutilizzo sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali, a venti anni esatti dall'entrata in vigore, sull'onda di una vasta iniziativa popolare, della legge 7 marzo 1996, n. 109.
  In questo, l'oggetto della presente relazione interseca sicuramente l'altro filone di inchiesta che la Commissione ha inteso aprire, dedicato al movimento antimafia e ai casi di uso distorto, mistificante o strumentale, del sentimento e dell'azione antimafia, con lo scopo di farla uscire da un ambito ristretto, riservato a specialisti o mestieranti, e comunque da una dimensione di parte, per rilanciarla come espressione di un valore politico ampiamente condiviso da tutti (39).
  L'intento è anche in un certo senso quello di secolarizzare l'antimafia, per esorcizzare un'idea della mafia come altro da noi tutti, un nemico esterno facile da demonizzare, da cui potersi salvare credendo che non ci riguardi personalmente o che se ne possa facilmente stare distanti.
  In questo, la chiamata al «combattimento spirituale» contro il doloroso male delle mafie è giunta anche dal mondo religioso, di nuovo in modo chiarissimo, al massimo livello della Chiesa cattolica (40).Pag. 30
  L'esortazione morale a voltare pagina e ad agire con un impegno consapevole che il «doloroso male» delle mafie non è un mondo a parte ma «parte del nostro mondo», da combattere con la responsabilità dei comportamenti quotidiani, è stata ascoltata anche nella sede istituzionale della Commissione (41).
  Con la conoscenza matura del fenomeno e una ritrovata fiducia negli strumenti di contrasto, la lotta ai poteri mafiosi potrà finalmente liberarsi da alcune storture ed essere davvero l'espressione dei diritti costituzionali di giustizia, libertà e sicurezza, fondata su doveri di tutti, all'occorrenza anche sacri, intesi come difesa di valori supremi della collettività nazionale.
  L'impegno richiesto a ogni individuo sarà così semplicemente la difesa del proprio status di cittadino, contro la minaccia di regressione a una condizione impoverita, prossima a quella di suddito, in cui si ritrovano alla fine gli abitanti dei territori – a qualunque latitudine – in cui imperversano le organizzazioni criminali, prime responsabili di quel «furto di democrazia» – secondo l'autorevole definizione del Capo dello Stato – che sono la corruzione e l'illegalità (42).
  In questo modo, quello dell'antimafia potrà finalmente essere un valore generale ed entrare nella politica dalla porta principale, cioè nella vita e nel sentimento democratico di tutti i cittadini, uscendo dai confini della repressione criminale, che pure – grazie alla legislazione nazionale e all'opera della magistratura e delle forze di polizia – ha reso l'Italia in Europa non tanto il Paese delle mafie ma anche e soprattutto, orgogliosamente, quello dell'antimafia.

******

   (1) Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, istituita con legge 20 dicembre 1962, n. 1720. Relazione conclusiva (relatore: Carraro), relazione di minoranza (relatori: La Torre, Benedetti, Malagugini, Adamoli, Chiaromonte, Lugnano, Maffioletti; Terranova) e relazione di minoranza (relatori: Nicosia, Pisanò, Giuseppe Niccolai), comunicate alle Presidenze delle Camere il 4 febbraio 1976 (VI legislatura, Doc. XXIII n. 2)

   (2) Alcune rettifiche furono divulgate nei giorni del 1o e 2 aprile 1992. In precedenza, in occasione delle elezioni amministrative del 12 e 13 maggio 1991 in alcuni comuni del mezzogiorno e in occasione delle elezioni regionali siciliane del 16 giugno 1991, le notizie in merito in merito alle risultanze della verifica sull'osservanza del «codice di autoregolamentazione» furono rese pubbliche in data 25 settembre 1991. Con riferimento alle elezioni amministrative del 29 settembre, 24 novembre e 15 dicembre 1992, in data 4 febbraio 1992 fu inviata una nota ai segretari di partito con l'indicazione dei nomi dei candidati per i quali erano state rilevate violazioni del «codice». In data 30 gennaio 1992 la Commissione rese pubbliche le informazioni relative ai partiti e al numero dei candidati che non rispondevano ai criteri del codice

   (3) Gli accertamenti svolti nel corso della XVI Legislatura in merito all'osservanza del codice di autoregolamentazione hanno riguardato i candidati per le seguenti tornate elettorali: elezioni amministrative (regionali, provinciali e comunali) del 28 e 29 marzo 2010; elezioni comunali province di Bolzano e Trento del 16 maggio 2010; elezioni amministrative in provincia di Pordenone e di Udine del 16 e 17 maggio 2010; elezioni provinciali e comunali in Sardegna del 30 e 31 maggio 2010; elezioni provinciali e comunali in Sicilia del 30 e 31 maggio 2010; elezioni amministrative primavera 2011; elezioni regionali in Sicilia del 28 ottobre 2012. I risultati dell'indagine sono confluiti: in una proposta di relazione illustrata dal presidente della Commissione nella seduta del 9 febbraio 2011; nella Relazione sulla prima fase dei lavori della Commissione approvata nella seduta del 25 gennaio 2012 (Doc. XXIII n. 9); nella Relazione conclusiva approvata nella seduta del 22 gennaio 2013 (Doc. XXIII n. 16)

   (4) Commissione antimafia, seduta del 29 maggio 2015, allegato al resoconto stenografico. La tornata elettorale interessava le regioni Calabria, Campania, Liguria, Puglia, Toscana, Umbria e Veneto

   (5) Anche in campo internazionale è stato costituito il GRECO (Gruppo di Stati contro la Corruzione), a cui aderiscono 49 Paesi (gli Stati membri del Consiglio d'Europa e gli Stati Uniti), è stato costituito nel 1999 dal Consiglio d'Europa per effettuare periodici monitoraggi sull'azione degli Stati nella lotta alla corruzione, allo scopo di promuovere e rafforzare la capacità degli Stati membri nella lotta allo specifico fenomeno attraverso il monitoraggio del livello di attuazione degli standard predisposti dal Consiglio d'Europa. Attraverso le procedure di valutazione reciproca, il GRECO identifica le carenze delle politiche nazionali anticorruzione e individua le riforme normative, organizzative ed operative necessarie per farvi fronte. Il GRECO ha già completato tre cicli di valutazione degli Stati membri, ciascuno dedicato all'approfondimento di specifiche aree tematiche. Il 1o gennaio 2012 è stato avviato un nuovo programma di auditing dei Paesi, noto come «quarto round» di valutazioni

   (6) Commissione antimafia, XVII legislatura, Doc. 837.1, tribunale di Roma, sezione GIP, 19 gennaio 2016

   (7) Commissione antimafia, XVII legislatura, doc. 608.1, lettera del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, 20 maggio 2015

   (8) Commissione antimafia, seduta del 30 maggio 2015, audizione del Ministro della giustizia, on. Andrea Orlando; v. anche il doc. 660.3 «Ritardi nell'iscrizione delle condanne definitive nel casellario e assenza di una banca dati dei carichi pendenti. Verifiche su incandidabilità/ineleggibilità», depositato dal Ministro in occasione della citata audizione

   (9) Commissione antimafia, XVII legislatura, doc. 914.2, depositato dal Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano, in occasione dell'audizione del 15 marzo 2016

   (10) Commissione antimafia, seduta del 6 maggio 2014, audizione del professore Nando Dalla Chiesa; doc. 181.1, I rapporto sulle mafie al Nord redatto dall'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'Università di Milano, predisposto su incarico della Commissione antimafia, pubblicato in allegato al resoconto stenografico di seduta

   (11) Commissione antimafia, seduta del 15 marzo 2016, audizione del Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano

   (12) Nel nord del Paese sono stati finora sottoposti ad accesso ispettivo, dal 1995 ad oggi, circa una dozzina di comuni nelle regioni: Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia e Piemonte, a cui vanno aggiunti, per il centro, quelli del Lazio. Considerando per il sud le quattro regioni di tradizionale inserimento (Calabria, Campania, Puglia, Sicilia) e la Basilicata, sono ormai dieci le regioni italiane interessate da accessi ispettivi o scioglimento di Comuni per mafia, il cui numero complessivo, in valore assoluto, è ormai prossimo a duecento.
  Altrettanto vasta è la diffusione sul territorio nazionale di beni confiscati alla criminalità organizzata, che – limitando il dato alle sole confische in via definitiva – sono presenti nel 65% delle province italiane

   (13) Commissione antimafia, seduta del 2 dicembre 2015, audizione del professore Salvatore Lupo; seduta del 15 dicembre, audizione del professore Isaia Sales

   (14) Commissione antimafia, missioni a Milano del 16 dicembre 2013, 24 novembre 2014 e 19 aprile 2016, audizioni del procuratore aggiunto presso il tribunale di Milano, coordinatore della direzione distrettuale antimafia, Ilda Boccassini

   (15) Commissione antimafia, XVII legislatura, doc. 892.1, Relazione sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1o luglio 2014 – 30 giugno 2015, depositata il 1o marzo 2016, distretto di Milano, pag. 735: « La ‘ndrangheta è radicata nel territorio lombardo, cioè ne costituisce una presenza stabile e costante. Ciò ovviamente ne determina una forma di visibilità e riconoscimento (...). Il radicamento della ‘ndrangheta in Lombardia determina la presenza di una condizione di assoggettamento e omertà diffusa, frutto della forza di intimidazione che promana dall'associazione mafiosa armata e radicata sul territorio lombardo»

   (16) Commissione antimafia, missioni a Reggio Calabria del 10 dicembre 2013 e del 29 aprile 2014

   (17) Relazione sull'attività svolta dalle commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamenti di tipo mafioso (Anni dal 2010 al 2014, presentata dal Ministro dell'interno Alfano, trasmessa alla Presidenza il 22 dicembre 2015 (Doc. LXXXVIII, n. 1), e successivo aggiornamento

   (18) Commissione antimafia, seduta del 22 luglio 2015, comunicazioni della presidente sulle vicende note come Mafia Capitale; missione a Ostia, 9 dicembre 2015. Da ultimo, si vedano: seduta del 26 gennaio 2016, audizione del prefetto di Roma, Franco Gabrielli; seduta del 1o marzo 2016, audizione del prefetto Francesco Paolo Tronca, commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale; seduta del 9 marzo 2016, audizione del prefetto Domenico Vulpiani, presidente della commissione straordinaria incaricata della gestione del X municipio di Roma Capitale

   (19) Commissione antimafia, seduta dell'11 dicembre 2014, audizione del procuratore distrettuale di Roma, Giuseppe Pignatone

   (20) Corte di cassazione, sezione VI, sentenza 9 giugno 2015, n. 24535

   (21) Senato della Repubblica, XVII legislatura, Doc. XXII-bis, n. 1. L'Assemblea del Senato ha fatto proprie le conclusioni contenute nella relazione con la risoluzione approvata nella seduta del 20 maggio 2015. Dal lavoro della Commissione e dalle proposte contenute nella relazione conclusiva è inoltre scaturito un disegno di legge (A.S. 1932, Doris Lo Moro e altri) recante «Disposizioni in materia di contrasto al fenomeno delle intimidazioni ai danni degli amministratori locali», attualmente all'esame del Senato

   (22) Commissione antimafia, XVI legislatura, doc. 524.2, pag. 20

   (23) Commissione antimafia, XVII legislatura, doc. 892.1, Relazione sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1o luglio 2014 – 30 giugno 2015, depositata il 1o marzo 2016, Distretto di Lecce, pag. 706: "le organizzazioni criminali locali si sono infatti aperte nuovi spazi di intervento, «avendo le stesse assunto un ruolo di interlocuzione con la società civile, segnale di un conseguito consenso sociale o, comunque, di un'accettazione e condivisione di logiche criminali e mafiose, con conseguente legittimazione per i clan, abbassamento della soglia di legalità e, nella sostanza, il riconoscimento di un loro ruolo nel regolare i rapporti nella società civile in una prospettiva della loro definitiva sostituzione agli organi istituzionali dello Stato"

   (24) Commissione antimafia, XVII legislatura, Doc. 892.1, idem, Distretto di Bologna, pag. 486 e ss.: «una presenza di tale dimensione in una area circoscritta del nord Italia che, inevitabilmente, ed anche a prescindere dal contagio mafioso, consente di condizionare le elezioni amministrative, creando le premesse per il controllo degli appalti e dei servizi pubblici. Una lenta ed inesorabile diffusione di una malattia nei gangli vitali dei più svariati ambiti ed una aggressione ai principi etici e di buona amministrazione già pesantemente colpiti dalle vicende politiche di corruzione degli apparati amministrativi. L'immissione nel circuito legale di denaro di provenienza illecita, il radicamento nel territorio di rappresentanti del sodalizio in giacca e cravatta e dotati di competenze professionali e manageriali, il sostegno di una parte della stampa locale, il colpevole silenzio delle istituzioni, preoccupate dalle conseguenze derivanti dalla diffusione di notizie sulle presenze mafiose nei territori amministrati, la forza di intimidazione propria del gruppo operante in Emilia, hanno determinato una vera e propria trasformazione sociale, e del tessuto economico ed imprenditoriale... Merito della indagine cd. Aemilia e delle misure cautelari è stato quello di misurarne la consistenza, mostratasi, con tutta la sua portata dirompente, come una vera e propria permeazione ed un autentico avvelenamento dei gangli vitali della economia, della politica e di alcune istituzioni»

   (25) Commissione antimafia, seduta del 2 marzo 2016, audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti

   (26) Con riferimento all'amministrazione dei comuni sciolti per mafia, si vedano a titolo esemplificativo, alcuni passi della Relazione sull'attività svolta dalle commissioni per la gestione straordinaria degli enti sciolti per infiltrazione e condizionamenti di tipo mafioso (Anni dal 2010 al 2014, presentata dal Ministro dell'interno Alfano, trasmessa alla Presidenza il 22 dicembre 2015 (Doc. LXXXVIII, n. 1): «Il recupero della credibilità e della fiducia nelle istituzioni è sicuramente uno degli obiettivi più delicati delle commissioni che si trovano, in un arco temporale limitato, ad affrontare uno serie di problemi annosi, in contesti spesso ostili e caratterizzati, inoltre, da un generalizzato scetticismo dello popolazione circa la possibilità di operare un vero e proprio cambiamento, con una sostanziale sfiducia sull'efficacia dell'intervento statale. La commissione di Nicotera (VV) ha riferito del clima di ostilità con il quale la popolazione locale ha accolto la notizia di una nuova gestione commissariale, a breve distanza dalla precedente, e della sostanziale indifferenza che poi ha connotato i rapporti con la cittadinanza nel corso di tutto il periodo di commissariamento». Risultanze analoghe sono emerse in occasione delle audizioni delle commissioni straordinarie incaricate della gestione dei comuni, sciolti per mafia, di Bovalino (RC) e Africo (RC), svolte in occasione della missione effettuata dalla commissione a Reggio Calabria e Locri il 31 marzo e il 1o aprile 2016

   (27) D. lgs. n. 235/2012, articolo 12 (Cancellazione dalle liste per incandidabilità alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali):
  1. In occasione della presentazione delle liste dei candidati per le elezioni del presidente della provincia, del sindaco, del presidente della circoscrizione e dei consiglieri provinciali, comunali e circoscrizionali, oltre alla documentazione prevista da altre disposizioni normative, ciascun candidato, unitamente alla dichiarazione di accettazione della candidatura, rende una dichiarazione sostitutiva, ai sensi dell'articolo 46 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e successive modificazioni, attestante l'insussistenza delle cause di incandidabilità di cui all'articolo 10.
  2. Gli uffici preposti all'esame delle liste dei candidati, entro il termine previsto per la loro ammissione, cancellano dalle liste stesse i candidati per i quali manca la dichiarazione sostitutiva di cui al comma 1 e dei candidati per i quali venga comunque accertata, dagli atti o documenti in possesso dell'ufficio, la sussistenza di alcuna delle predette condizioni di incandidabilità.
  3. Per i ricorsi avverso le decisioni di cui al comma 2 trova applicazione l'articolo 129 del d. lgs. n. 104/2010.
  4. Qualora la condizione di incandidabilità sopravvenga o sia accertata successivamente alle operazioni di cui al comma 2, la condizione stessa viene rilevata, ai fini della mancata proclamazione, dall'ufficio preposto alle operazioni di proclamazione degli eletti.

   (28) D. lgs. n. 267/2000, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, articolo 143, comma 11: «Fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l'ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo. Ai fini della dichiarazione d'incandidabilità il Ministro dell'interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa. Si applicano, in quanto compatibili, le procedure di cui al libro IV, titolo II, capo VI, del codice di procedura civile». Sull'interpretazione della norma si è recentemente pronunciata la Corte di cassazione, sez. I, sentenza 5 giugno – 22 settembre 2015, n. 18696, la quale ha precisato che l'ambito applicativo si riferisce a tutte le tornate elettorali indicate nella norma che prevede tale specifica misura interdittiva nei confronti di amministratori colpevoli della cattiva gestione della cosa pubblica. Si tratta infatti di una misura che le sezioni unite (sent. 1747/2015) «hanno configurato come un rimedio volto alla salvaguardia di beni primari della collettività nazionale».

   (29) Commissione antimafia, seduta del 23 marzo 2016, audizione del prefetto di Napoli, Gerarda Pantalone: «Un altro tratto a fattor comune per tutti questi comuni che abbiamo esaminato: durante le consultazioni elettorali, durante le operazioni di voto o durante la campagna elettorale vi sono state denunciate delle situazioni oggetto di attenzione da parte della magistratura. Parlo delle semplici operazioni di voto: abbiamo persone denunciate, a cominciare dai presidenti di seggio, dagli scrutatori o dagli stessi elettori che hanno compiuto reati o irregolarità in materia di consultazioni elettorali. A questo proposito vorrei segnalare che la prefettura mette massima attenzione, anche d'intesa con il presidente della corte d'appello, sulla nomina dei presidenti di seggio, degli scrutatori, di coloro che materialmente devono fare le operazioni di voto. Noi ci troviamo da un lato con delle circolari molto farraginose, con una serie di adempimenti, con un lavoro abbastanza difficoltoso e che cambia continuamente, dall'altro lato, soprattutto negli ultimi anni, ci troviamo di fronte a una situazione che appare degna di rilievo. Dal 2014 in poi, infatti, proprio per una disposizione contenuta nella legge finanziaria, quindi come provvedimento di rigore finanziario, i presidenti di corte d'appello possono nominare presidenti di seggio soltanto coloro che risiedono nel comune, evidentemente per evitare le spese di missione. Ritengo che questo non sia in perfetta linea con una esigenza di assoluta garanzia e trasparenza laddove ci troviamo in comuni dove spesso le irregolarità prima ancora che vi siano accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria sono abbastanza frequenti»

   (30) Cfr. Commissione antimafia, seduta del 17 febbraio 2016, audizione dell'on. Matteo Orfini e del professor Fabrizio Barca; seduta dell'8 marzo 2016, seguito dell'audizione dell'on. Matteo Orfini

   (31) Cfr. Doc. 882.1 Mappa il PD di Roma, rapporto conclusivo del 19 giugno 2015, depositato dall'on. Matteo Orfini in occasione della sua audizione, congiuntamente al professor Fabrizio Barca, del 17 febbraio 2016, allegato 5, proposte dei circoli, pag. 27 « Primarie: La maggioranza dei direttivi incontrati chiede a gran voce regole più stringenti su primarie e tesseramento, con l'introduzione di strumenti per l'attuazione delle stesse a garanzia di una maggiore trasparenza (filtri, registri/database degli eletti, anagrafe degli iscritti, in un caso "authority esterna" al partito)»

   (32) D. lgs. n. 267/2000, Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. «Art. 76. Anagrafe degli amministratori locali e regionali. 1. Avvenuta la proclamazione degli eletti, il competente ufficio del Ministero dell'interno in materia elettorale raccoglie i dati relativi agli eletti a cariche locali e regionali nell'apposita anagrafe degli amministratori locali nonché i dati relativi alla tenuta ed all'aggiornamento anche in corso di mandato. 2. L'anagrafe è costituita dalle notizie relative agli eletti nei comuni, province e regioni concernenti i dati anagrafici, la lista o gruppo di appartenenza o di collegamento, il titolo di studio e la professione esercitata. I dati sono acquisiti presso comuni, province e regioni, anche attraverso i sistemi di comunicazione telematica. 3. Per gli amministratori non elettivi l'anagrafe è costituita dai dati indicati al comma 2 consensualmente forniti dagli amministratori stessi. 4. Al fine di assicurare la massima trasparenza è riconosciuto a chiunque il diritto di prendere visione ed estrarre copia, anche su supporto informatico, dei dati contenuti nell'anagrafe»

   (33) In questo senso si pronuncia anche la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle intimidazioni nei confronti degli amministratori locali nella già citata Relazione conclusiva. Cfr. nota 21

   (34) Commissione antimafia, seduta del 15 marzo 2016, audizione del Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano

   (35) Commissione antimafia, seduta dell'8 ottobre 2014, audizione del presidente dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), Giorgio Alleva

   (36) Commissione antimafia, seduta del 14 gennaio 2015, audizione del Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco

   (37) Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ), Rapporto SVIMEZ 2015 sull'economia del Mezzogiorno: «Nessuna vera prospettiva di benessere sociale e di sviluppo si intravede senza la liberazione dal ricatto delle mafie, senza l'affermazione di una legalità diffusa, come prima infrastruttura non solo nel Mezzogiorno, ma in tutto il Paese». V. in particolare cap. VIII, Il peso dell'economia illegale sullo sviluppo. Criminalità mafiosa e corruzione, pag. 315-333

   (38) Commissione antimafia, seduta del 1o marzo 2016, audizione del prefetto Francesco Paolo Tronca, commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale: «È una realtà, quella del personale dell'amministrazione capitolina, a mio parere, bloccata e intimorita, alla quale l'indagine mafia capitale ha dato il colpo di grazia. Nessuno prende una decisione, nessuno fa una scelta, nessuno mette una firma. Molti neppure ricevono o incontrano operatori economici o imprenditori, associazioni, ditte. Nessuno segnala criticità o problematiche in atto»

   (39) Sull'interpretazione del movimento antimafia come parte, per quanto «civile», intesa come espressione della componente della società che si definisce tale, nata dopo la stagione delle stragi, si veda in particolare la seduta del 2 dicembre 2015, audizione del professore Salvatore Lupo, resoconto stenografico, pag. 6

   (40) Papa Francesco, Visita pastorale a Cassano allo Jonio, omelia della santa messa, Sibari 21 giugno 2014: «La ‘ndrangheta è questo: adorazione del male e disprezzo del bene comune. Questo male va combattuto, va allontanato ! Bisogna dirgli di no ! La Chiesa deve sempre più spendersi perché il bene possa prevalere. I mafiosi sono scomunicati, non sono in comunione con Dio», cit. in Conferenza episcopale calabra, Testimoniare la verità del Vangelo. Nota Pastorale sulla ‘ndrangheta, pag. 3, Doc. 573.1. Le parole di Francesco riportano naturalmente alla memoria il celebre anatema contro la mafia pronunciato da Giovanni Paolo II il 9 maggio 1993 ad Agrigento

   (41) Commissione antimafia, seduta del 13 gennaio 2016, audizione del presidente dell'associazione Libera, don Luigi Ciotti: «L'antimafia dovrebbe essere un fatto di coscienza e una responsabilità. Dobbiamo voltare pagina. Le mafie non sono un mondo a parte, ma parte del nostro mondo». V. anche missione a Lamezia Terme e Catanzaro, 22 giugno 2015, incontro con la Conferenza episcopale calabra

   (42) Dichiarazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della «Giornata mondiale contro la corruzione», 9 dicembre 2015.