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Documento

Doc. XXIII, N. 16

COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SUL FENOMENO DELLE MAFIE E SULLE ALTRE ASSOCIAZIONI CRIMINALI, ANCHE STRANIERE

(istituita con legge 19 luglio 2013, n. 87)

(composta dai deputati: Bindi, Presidente, Attaguile, Segretario, Bossa, Bruno Bossio, Carbone, Carfagna, Costantino, Dadone, Di Lello, Segretario, D'Uva, Fava, Vicepresidente, Garavini, Magorno, Manfredi, Mattiello, Naccarato, Nuti, Piccolo, Piepoli, Prestigiacomo, Sammarco, Sarti, Scopelliti, Taglialatela e Vecchio; e dai senatori: Albano, Buemi, Bulgarelli, Capacchione, Consiglio, De Cristofaro, Di Maggio, Esposito, Falanga, Fazzone, Gaetti, Vicepresidente, Giarrusso, Giovanardi, Lumia, Mineo, Mirabelli, Molinari, Moscardelli, Pagano, Perrone, Ricchiuti, Tomaselli, Torrisi, Vaccari e Zizza).

RELAZIONE SULLA SITUAZIONE DEI COMUNI, SCIOLTI PER INFILTRAZIONE E CONDIZIONAMENTO DI TIPO MAFIOSO O SOTTOPOSTI AD ACCESSO AI SENSI DELL'ART. 143 DEL DECRETO LEGISLATIVO 18 AGOSTO 2000, N. 267, DI SAN SOSTENE (CZ), JOPPOLO (VV), BADOLATO (CZ), SANT'ORESTE (RM), PLATÌ (RC), RICADI (VV), DIANO MARINA (IM), VILLA DI BRIANO (CE), MORLUPO (RM), SCALEA (CS), FINALE EMILIA (MO), BATTIPAGLIA (SA) E ROMA CAPITALE, IN VISTA DELLE ELEZIONI DEL 5 GIUGNO 2016

(Relatrice: On. Rosy Bindi)

Approvata dalla Commissione nella seduta del 31 maggio 2016

Comunicata alle Presidenze il 31 maggio 2016 ai sensi dell'articolo 1, comma 1, lett. o) della legge 19 luglio 2013, n. 87

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INDICE

Premessa Pag. 7
1. SAN SOSTENE » 18
2. JOPPOLO » 22
3. BADOLATO » 30
4. SANT'ORESTE » 35
5. PLATÌ » 40
6. RICADI » 47
7. DIANO MARINA » 55
8. VILLA DI BRIANO » 62
9. MORLUPO » 68
10. SCALEA » 73
11. FINALE EMILIA » 79
12. BATTIPAGLIA » 84
13. ROMA CAPITALE » 92
   13.1 – L'accertamento giudiziario dell'esistenza dell'associazione mafiosa mafia capitale e della sua infiltrazione nel comune di Roma » 95
   13.2 – L'accertamento amministrativo dell'infiltrazione di mafia capitale nel comune di Roma » 105
      13.2.1 – Il quadro normativo sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiosa » 106
      13.2.2 – Gli accertamenti e le conclusioni della Commissione di indagine » 111
      13.2.3 – La posizione del prefetto di Roma » 119
      13.2.4 – La posizione del Ministro dell'interno » 121
      13.2.5 – Le commissioni di accesso presso i comuni di Sacrofano, Morlupo, Sant'Oreste e Castelnuovo di Porto » 122
   13.3 – Gli accertamenti della Commissione parlamentare antimafia » 124
      13.3.1 – L'accertamento sull'associazione «mafia capitale» e sulle altre mafie insistenti nel territorio » 125
      13.3.2 – La prevedibilità e prevenibilità del fenomeno «mafia capitale» da parte dell'amministrazione » 130
      13.3.3 – L'opera di risanamento del comune capitolino » 145
      13.3.4 – L'approfondimento della situazione del X municipio » 149
      13.3.5 – Gli accertamenti sul VI municipio di Roma » 157
      13.3.6 – Gli accertamenti sulle candidature per le elezioni amministrative del comune di Roma » 160
   13.4 – Le conclusioni della Commissione parlamentare antimafia: le criticità rilevate, le proposte » 163
Pag. 7

Premessa

La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, ha approvato, nella seduta del 27 aprile 2016, la Relazione sulla trasparenza delle candidature ed efficacia dei controlli per prevenire l'infiltrazione mafiosa negli enti locali in occasione delle elezioni amministrative (Doc. XXIII, n. 13), di cui è stata relatrice la presidente on. Rosy Bindi.
  Tale documento si colloca nell'ambito dei compiti affidati alla «Commissione Antimafia» dalla legge istitutiva 19 luglio 2013, n. 87, con riguardo al rapporto tra mafia e politica (articolo 1, comma 1, lett. f), e al monitoraggio sui tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali (articolo 1, comma 1, lett. n), e fa seguito a un'ampia attività di inchiesta svolta sull'argomento sin dall'avvio dei lavori (1).
  In tale relazione, la Commissione ha previsto di effettuare, in occasione delle elezioni comunali del 5 giugno 2016, un approfondimento dedicato alla situazione politica e amministrativa, alle candidature agli organi elettivi e allo svolgimento della campagna elettorale in alcuni comuni chiamati al voto e, in particolare, quelli i cui organi elettivi siano stati sciolti in conseguenza di fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, recante il Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL) ovvero quelli per i quali nell'ultimo triennio sia stato disposto un accesso ispettivo ai sensi del medesimo articolo 143 TUEL.
  I comuni individuati come campione all'interno dei 1.342 chiamati al voto sono stati perciò quelli di: Battipaglia (SA), Scalea (CS), Ricadi (VV), Badolato (CZ), insieme a Platì (RC), provenienti da scioglimento per mafia (2); Roma Capitale, Sant'Oreste (RM), Villa di Briano (CE), già sottoposti ad accesso ispettivo ai sensi dell'articolo 143 TUEL e attualmente in gestione commissariale; Finale Emilia (MO), Morlupo (RM), Diano Marina (IM), San Sostene (CZ) e Joppolo (VV), già sottoposti ad accesso ispettivo ai sensi dell'articolo 143 TUEL e attualmente in gestione ordinaria (3).Pag. 8
  Le situazioni di Trentola Ducenta (CE) e San Luca (RC), inizialmente monitorate, sono state per ora accantonate in quanto non vi si terranno le elezioni, nel primo caso a causa del sopravvenuto scioglimento per mafia, nel secondo caso a causa della mancata presentazione di candidati (4).
  Rispetto a quanto convenuto nella relazione approvata nella seduta del 27 aprile 2016, la verifica ha pertanto riguardato tredici comuni, appartenenti a nove province, rientranti in cinque regioni distribuite su tutto il territorio nazionale (5).
  Per ciascuno di tali comuni la Commissione ha pertanto stabilito di dar conto della generale situazione politico amministrativa, del contesto della criminalità organizzata operante sul territorio e della verifica sulla corrispondenza delle liste elettorali alla normativa vigente e al «codice di autoregolamentazione» predisposto dalla Commissione medesima, procedendo alle indagini e agli esami con i poteri previsti dalla legge istitutiva ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione.
  In merito alle candidature agli organi elettivi, la verifica ha riguardato situazioni assunte come indicatori di rischio e ha avuto ad oggetto in particolare la sussistenza delle condizioni di incandidabilità, sospensione e decadenza previste dagli artt. 10, 11 e 12 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (cd. «legge Severino»), nonché dall'articolo 143 TUEL, e la sussistenza delle condizioni previste nella proposta di autoregolamentazione rivolta ai partiti e ai movimenti politici, cosiddetto «codice di autoregolamentazione», contenuta nella Relazione in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali (Doc. XXIII, n. 3), approvata dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014. Il termine stabilito per la conclusione della verifica attraverso l'esame di un'apposita relazione, da discutere prima dello svolgimento delle elezioni, è stato individuato nella data del 31 maggio 2016.
  La presente relazione è pertanto corredata da tredici schede analitiche riferite a ciascun comune, corredate dall'elenco delle liste ammesse alla competizione elettorale. In tale quadro, una disamina maggiormente particolareggiata è stata dedicata al caso del comune di Roma, all'esito dei numerosi approfondimenti dedicati dalla Commissione, Pag. 9nel corso della propria attività, alle vicende note come «mafia capitale» (6).
  L'analisi della situazione e delle candidature in ciascun comune è stata effettuata sulla base della documentazione formata o acquisita dalla Commissione sia nel corso delle audizioni e delle missioni fuori sede, sia attraverso richieste informative rivolte alle prefetture, alla magistratura e alle forze di polizia, dopo averne informato il Ministro dell'interno, il dipartimento della pubblica sicurezza e i rispettivi comandi generali. In un quadro di collaborazione istituzionale, dell'avvio di tali indagini è stata altresì data informazione alle procure della Repubblica, distrettuali e circondariali, competenti per ciascun comune.
  Complessivamente, nei tredici comuni sono state esaminate le posizioni di 3.275 candidati, di cui circa 2.200 nel solo comune di Roma (7).
  Ai fini della verifica delle condizioni previste dalla legge Severino e dal codice di autoregolamentazione è stato acquisito il certificato del casellario giudiziale di ciascun candidato, per il riscontro documentale Pag. 10delle dichiarazioni rese sotto la propria responsabilità, in sede di autocertificazione, in ordine all'insussistenza delle suddette condizioni. Tale acquisizione è stata effettuata direttamente presso le commissioni elettorali circondariali di Roma, Catanzaro e Caserta che si erano appositamente attrezzate a tal fine, attraverso opportune intese tra le prefetture e gli uffici giudiziari competenti (8). Negli altri casi, la Commissione ha acquisito i certificati autonomamente. Sono inoltre stati acquisiti anche i certificati dei carichi pendenti presso le procure distrettuali e circondariali competenti per ciascun candidato di ogni comune di riferimento, ai fini della rilevazione di eventuali condizioni di sospensione di cui all'articolo 11 della legge Severino e in base al codice di autoregolamentazione.
  A completamento dell'indagine, è stata richiesta la collaborazione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA), d'intesa e nel rispetto di quanto stabilito dal Consiglio superiore della magistratura, per la rilevazione delle medesime condizioni presso tutti gli altri uffici giudiziari nazionali attraverso un accesso straordinario alle banche dati giudiziarie che consentisse, almeno in parte, di supplire alla già denunciata, gravissima carenza di un unico casellario nazionale dei carichi pendenti (9).
  Delle risultanze della verifica si dà conto all'interno delle schede dedicate a ciascun comune. Complessivamente, la Commissione Antimafia nei tredici comuni ha registrato otto casi di incandidabilità (legati a condanne definitive) ai sensi della legge Severino, in aggiunta a quelli già rilevati dalle commissioni elettorali nel ridotto tempo a disposizione; se tali situazioni fossero state rilevate tempestivamente, quindi, tali soggetti non avrebbero potuto partecipare alla competizione elettorale. Sei di questi si rinvengono tra i candidati al comune di Battipaglia, uno al comune di Scalea e uno al VI municipio di Roma.
  I nominativi sono stati conseguentemente trasmessi alle prefetture di Salerno, Cosenza e Roma per le valutazioni e gli adempimenti di competenza a termini di legge, compreso il deferimento all'autorità giudiziaria per le conseguenze penali derivanti dalle dichiarazioni mendaci.
  Inoltre, è necessario segnalare che, a margine di tale verifica, la Commissione Antimafia ha appreso di un ulteriore caso di incandidabilità prontamente rilevato dalla prefettura di Catanzaro e soprattutto di altri 19 casi di incandidabilità tempestivamente rilevati dalla prefettura di Caserta, sia pure in comuni diversi da quello presi in considerazione dalla Commissione medesima. Quest'ultima circostanza offre un'ulteriore conferma, che si aggiunge allo spaccato offerto da numerose quanto recenti inchieste giudiziarie, delle difficili condizioni di funzionamento del circuito politico-elettorale in molti Pag. 11comuni di quella provincia, che richiede il mantenimento di un livello sempre molto alto di attenzione da parte degli organi istituzionali (10).
  Al riguardo, occorre ancora ribadire l'esigenza che gli uffici elettorali siano, per il futuro, messi permanentemente in condizione di controllare in modo tempestivo e adeguato le situazioni giuridiche dei candidati, la regolarità non solo formale delle liste e delle sottoscrizioni, nonché la veridicità delle dichiarazioni sostitutive ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, in modo da poter escludere chi si trova in condizione di incandidabilità. Ciò infatti consentirebbe di non ammettere la candidatura – e quindi soprattutto di non ricevere voti – di chi non ha titolo a presentarla.
  Insieme ai casi di incandidabilità, sono stati rilevati tre casi di potenziale sospensione (legati a condanne non definitive) ai sensi dell'articolo 11 della legge Severino, uno tra i candidati al comune di Battipaglia (SA), uno tra i candidati al comune di San Sostene (CZ) e uno tra i candidati al VI municipio di Roma Capitale. Anche questi rientrano tra le segnalazioni per le prefetture di Salerno, Catanzaro e Roma ai fini delle valutazioni e gli adempimenti di competenza, qualora fossero eletti.
  Infine, sono stati rilevati ulteriori tre casi, uno tra i candidati al consiglio comunale di Roma Capitale e due tra i candidati al VI municipio di Roma, di sussistenza delle condizioni contemplate dal codice di autoregolamentazione proposto dalla Commissione nel 2014. In tale codice, giova ricordarlo, le forze politiche presenti in Commissione si erano impegnate a non presentare e nemmeno a sostenere, sia indirettamente, sia attraverso il collegamento ad altre liste, i candidati che non rispondessero alle condizioni ivi previste. Peraltro, i tre casi rilevati appartengono a «liste civiche» che non risultano aver aderito al codice di autoregolamentazione e che quindi non hanno assunto questo impegno con gli elettori.
  Il monitoraggio della campagna elettorale nei tredici comuni si articolerà in più passaggi. La raccolta di informazioni è stata riferita ad una prima fase, relativa sostanzialmente al momento della presentazione delle candidature e all'avvio della propaganda elettorale Pag. 12nelle due settimane seguenti. A seguire si completeranno gli approfondimenti sulla conclusione della campagna elettorale, sulla regolarità delle operazioni di voto e sui relativi esiti.
  Alla data del 23 maggio 2016, le forze di polizia non hanno riferito di episodi macroscopici di condizionamento, almeno in forme violente, da parte della criminalità organizzata nei tredici comuni attenzionati.
  Conclusivamente, è possibile riepilogare alcune considerazioni che scaturiscono dalla disamina che, in occasione delle elezioni comunali del 5 giugno 2016, la Commissione Antimafia ha concordemente inteso svolgere, nei termini deliberati nella seduta del 27 aprile 2016, sui comuni, elencati in ordine crescente di popolazione, secondo i dati dell'ultimo censimento generale della popolazione del 2011, di San Sostene (CZ), Joppolo (VV), Badolato (CZ), Sant'Oreste (RM), Platì (RC), Ricadi (VV), Diano Marina (IM), Villa di Briano (CE), Morlupo (RM), Scalea (CS), Finale Emilia (MO), Battipaglia (SA) e Roma.
  Preliminarmente, sotto il profilo del metodo, occorre formulare alcune osservazioni che sono state largamente condivise da tutte le forze politiche presenti in Commissione.
  Anzitutto, la Commissione ha inteso svolgere la verifica mirata su tredici comuni sulla base di indicatori oggettivi di infiltrazione o condizionamento, conclamati o sulla base di indici sintomatici che hanno dato luogo all'avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 143 TUEL.
  Inoltre, si è cercato di svolgere l'inchiesta parlamentare nei termini più corretti, trasparenti e completi, in un quadro di leale collaborazione attraverso il massimo coinvolgimento delle istituzioni politiche, amministrative e giudiziarie interessate, anche solo potenzialmente, allo scopo di condividere sia la preparazione sia le risultanze dell'attività, nel rispetto delle reciproche competenze.
  Sotto tale aspetto, le indagini svolte nell'ambito dell'inchiesta parlamentare possono rappresentare, in primo luogo, una non comune opportunità messa a disposizione di tutte le forze politiche presenti in Parlamento e quindi nella Commissione di inchiesta che, come noto, è costituita in rappresentanza proporzionale di tutti i Gruppi parlamentari e solo da ciò deriva i penetranti poteri, propri dell'autorità giudiziaria, che le sono attribuiti dalla Costituzione proprio in ragione della diretta derivazione dalla sovranità popolare.
  Si è inteso cioè di agire in linea di continuità con le premesse indicate nel codice di autoregolamentazione approvato nel 2014 e con l'attività svolta in occasione delle elezioni regionali del 2015, ampliando e intensificando il lavoro alla luce della progressiva verifica dell'efficacia delle disposizioni vigenti in materia di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali e della riflessione sul ruolo che su tale materia compete alle forze politiche presenti in Parlamento.
  Naturalmente, occorre distinguere tra le risultanze della verifica che sono non ostensibili e quelle che possono opportunamente essere rese pubbliche, come le informazioni relative a situazioni giudiziarie non coperte da segreto perché relative a sentenze, definitive e non, ovvero alla fase successiva all'esercizio dell'azione penale mediante il rinvio a giudizio. Queste ultime hanno perciò avuto ad oggetto – giova ripeterlo – la verifica del rispetto della legislazione vigente in materia Pag. 13di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi sia da parte dei candidati sia da parte degli organi di controllo a ciò preposti, nell'ambito delle misure per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione.
  Non può, invece, essere divulgato quanto esula da tale cornice, come le informazioni di polizia giudiziaria, anche relative a parentele o frequentazioni con esponenti della criminalità organizzata, di per se stesse non idonee o non sufficienti a fondare responsabilità penalmente rilevanti. Di esse, tuttavia, i rappresentanti di tutte le forze politiche presenti in Commissione, e cioè rappresentate in Parlamento, hanno potuto legittimamente prendere contezza nel rispetto del vincolo del segreto. In alcuni casi tali informazioni si sono rivelate utili per comprendere legami personali e familiari; resta comunque fermo che tali circostanze non incidono in alcun modo sul doveroso rispetto dei fondamentali diritti dell'individuo, come l'elettorato passivo e l'onorabilità, o anche la privacy, per quanto questa si configuri in modo diverso per chi si propone per ricoprire cariche pubbliche.
  L'inchiesta svolta pertanto consente un richiamo delle forze politiche alle proprie autonome responsabilità di selezione preventiva non solo del proprio personale ma anche, più in generale, delle platee delle classi dirigenti a tutti i livelli, al di là delle appartenenze riconducibili anche solo indirettamente a formazioni politiche nazionali o comunque rappresentate in Parlamento.
  Del resto, l'esigenza sostanziale di poter conoscere meglio i propri candidati e le loro situazioni, anche prescindendo dalle formalità e dal rigore giuridico dell'applicazione della legge penale, è stata più volte richiamata dagli stessi dirigenti delle diverse forze politiche ascoltati nel corso del tempo in Commissione. Da questo punto di vista, non possono apparire indifferenti per le forze politiche, operanti a qualsiasi livello territoriale, alcune circostanze sicuramente indicative di rischi quanto meno da «interferenza» con la criminalità, descritte più avanti seppure in forma anonima, come l'aver ricoperto la carica di amministratore in società commerciali partecipanti a gare di appalto colpite da interdittive antimafia ovvero essere stati controllati nottetempo dalle forze di polizia in casa di stretti congiunti di esponenti di spicco della criminalità organizzata.
  Una seconda considerazione riguarda la conferma delle proposte formulate nella relazione sulla trasparenza delle candidature ed efficacia dei controlli per prevenire l'infiltrazione mafiosa negli enti locali in occasione delle elezioni amministrative approvata in Commissione Antimafia il 27 aprile scorso, che vengono qui in toto ribadite, in particolare per ciò che attiene all'esigenza di modificare la legislazione in materia elettorale per stabilire migliori condizioni di trasparenza e dare più tempo e più risorse al sistema dei controlli.
  Tali misure – come ad esempio la predisposizione di un unico casellario a livello nazionale dei carichi pendenti, l'anagrafe dei candidati, la modifica della composizione delle commissioni elettorali – potrebbero, infatti, contribuire a realizzare quelle imprescindibili condizioni di trasparenza che consentano al cittadino di conoscere in anticipo chi è chiamato a eleggere o chi viene incaricato di amministrare la cosa pubblica. In questo, il bene giuridico della trasparenza, Pag. 14nella cornice valoriale della cosiddetta «cultura della reputazione», può essere identificato con quello tutelato dall'articolo 54 della Costituzione, che impone a tutti i cittadini il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi, e che ancor più richiede a coloro a cui sono affidate funzioni pubbliche di «adempierle con disciplina ed onore».
  Un'ulteriore considerazione riguarda le segnalazioni relative alle condizioni della legge Severino e del codice di autoregolamentazione. Il numero di situazioni complessivamente rilevate nei tredici comuni attenzionati – pari in tutto come detto a quattordici unità, otto delle quali relative a condizioni di incandidabilità – è in linea con il numero – pari a sedici – di quelli rilevati lo scorso anno rispetto al solo codice di autoregolamentazione, in occasione delle elezioni in sette regioni a statuto ordinario, a fronte di una platea di candidati di dimensioni analoghe in entrambe le circostanze.
  Sulla rilevazione dei pochi casi di incandidabilità, peraltro concentrate tutte su esponenti di liste civiche, va tuttavia anche osservato che si è registrata la presenza complessiva di 283 candidati – sul totale di 3.275 – con situazioni giudiziarie definitive, passate in giudicato e riportate nel casellario giudiziale, sia pure con un grado di rilevanza e gravità molto diverso e spesso relativo a reati di scarso allarme sociale. In particolare a Roma, il numero di 212 casi positivi al casellario giudiziale è pari a circa il 9 per cento del totale dei candidati locali.
  Ciò può far sorgere qualche dubbio sulla efficacia della legge Severino nel filtrare le situazioni più rilevanti non tanto per le fattispecie analiticamente elencate con riferimento ai reati più gravi, quanto per la soglia di rilevanza delle condanne a pene non inferiori a due anni di reclusione per delitto non colposo, indipendentemente dal titolo del reato, di cui all'articolo 10, lettera e) della legge Severino. Andrebbe, infatti, valutata l'opportunità di considerare, a differenza di quanto oggi previsto, la possibilità del cumulo tra le pene ricevute per più reati ai fini del raggiungimento della soglia dei due anni. Ciò per evitare situazioni, pur rilevate, in cui la recidiva, anche specifica, reiterata e infraquinquennale, per reati comuni, come ad esempio il furto, possa paradossalmente fondare il riconoscimento dell'abitualità nel reato ai sensi della legge penale, senza però costituire condizione rilevante ai fini della candidabilità a ricoprire cariche elettive.
  Ciò premesso, nel confermare l'esistenza e la rilevanza della questione generale, si può registrare un dato senz'altro positivo, ovvero che nella maggior parte dei comuni, e in particolare a Roma, le candidature presentate non hanno denotato criticità rilevanti per la legge vigente in materia. Del resto, allorquando vi è l'attenzione in sede politica – testimoniata in questa occasione anche dalle richieste sottoposte alla Commissione da alcuni presentatori delle liste di verifica preventiva delle situazioni giudiziarie relative ai candidati – e la ragionevole certezza dell'effettuazione dei controlli in sede amministrativa, può scaturirne anche un positivo effetto di deterrenza; quest'ultimo si è verosimilmente prodotto, con qualche eccezione, nei comuni monitorati dalla Commissione, tanto più se si considerano invece situazioni più preoccupanti in comuni confinanti o viciniori, come rilevato in provincia di Caserta o di Catanzaro. Per il futuro, Pag. 15dunque, non potrà né dovrà prescindersi da un deciso irrobustimento legislativo e amministrativo della fase di controllo.
  La terza riflessione sviluppa quanto emerge dal lavoro su Roma, e cioè la necessità di perfezionare i presupposti e il procedimento di scioglimento per infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso dei comuni, con opportune forme di intervento modulabile per far fronte, in modo adatto a ciascun contesto, alle esigenze poste dalle infiltrazioni mafiose nei comuni.
  Come si illustrerà più in dettaglio nella parte dedicata alla situazione del comune di Roma, vanno ripensate le forme di accompagnamento e ripristino della legalità, soprattutto negli apparati burocratici, sia nei comuni sciolti che in quelli non sciolti ma bisognosi di forme di monitoraggio e assistenza rafforzata, nonché di un percorso di riavvio alla sana gestione e al buon andamento dell'amministrazione. A questo ripensamento, inoltre, va affiancata una revisione dei rimedi giurisdizionali e dei meccanismi di impugnazione, particolarmente in sede di giustizia amministrativa, di tutti gli atti, anche di alta amministrazione, adottati nell'ambito del procedimento avviato ai sensi dell'articolo 143 TUEL e nei procedimenti connessi o conseguenti.
  Occorre poi definire e rafforzare le misure che lo Stato, e per il suo tramite più in generale la comunità nazionale, deve adottare in quelle situazioni, come Platì o San Luca, dove le comunità locali non sono in grado da sole di risollevarsi e di avviare in forme democratiche una duratura bonifica degli organi elettivi e degli uffici. In questi casi la paventata misura dissolutoria, a carattere sostanzialmente sanzionatorio, dello scioglimento e la sua durata da dodici a diciotto mesi – prorogabile fino a ventiquattro mesi – si è già dimostrata poco soddisfacente, così come in tutti gli altri comuni oggetti di scioglimento plurimo, dovendosi pensare a ben diverse forme di ripristino – che si proiettano necessariamente su un arco temporale ben più lungo – dei diritti costituzionali di libertà, di sicurezza, di giustizia, di uguaglianza e soprattutto dei diritti sociali su cui rifondare la formazione del consenso e la sua espressione democratica, oggi in alcune realtà del Mezzogiorno inquinata alle fondamenta, se non del tutto vanificata.
  Infine, alcune considerazioni a sfondo politico sulle liste di candidati presentati nei comuni esaminati, in particolare quelli del Meridione.
  Anzitutto si rileva che la maggior parte delle liste presentate nei tredici comuni sono «liste civiche» (con le inevitabili approssimazioni che impone una siffatta classificazione), mentre solo in pochi casi si rinvengono liste presentate da forze politiche rappresentative in ambito nazionale o comunque ad esse chiaramente riconducibili. Più in dettaglio, nei tredici comuni sono state presentate e ammesse complessivamente 118 liste elettorali. Di queste, solo 25 in cinque comuni presentano il simbolo di partiti a rilevanza nazionale. In altri termini, sono state presentate e ammesse esclusivamente liste civiche a: Badolato (due liste), Joppolo (due), Morlupo (due), Ricadi (due), San Sostene (due), Sant'Oreste (tre) e Villa di Briano (cinque). Là dove si sono presentati almeno alcuni dei partiti nazionali, le liste civiche sono comunque numericamente maggioritarie: a Battipaglia sono Pag. 16diciotto su ventidue, a Diano Marina tre su cinque, a Finale Emilia quattro su sette, a Scalea cinque su sei e a Roma venticinque su trentaquattro (11).
  Colpisce, specialmente nei comuni del Meridione, l'elevato tasso di irriconoscibilità dei partiti. Più che i partiti, sono semmai singoli dirigenti che operano, interpretando la campagna elettorale in chiave prevalentemente identitaria, se non del tutto personalistica. Non sono infrequenti le candidature in lista di ispirazione politica di centrosinistra di soggetti provenienti dal centrodestra o viceversa, a dimostrazione che è la collocazione del candidato (sindaco o consigliere che sia) a determinare lo schieramento, e non il contrario.
  Questo fenomeno genera forme di mimetismo e di trasformismo politico locale che rischiano di essere veicoli di più gravi forme di malaffare e di infiltrazioni criminali negli enti locali. Infatti, da una parte vengono meno i ruoli di formazione e selezione dei candidati amministratori, che dovrebbero essere appannaggio e aspirazione delle forze politiche, e dall'altra si può favorire il formarsi di gruppi di potere legati a singoli candidati e ai loro soggetti di riferimento, anche potenzialmente criminali, in cambio del sostegno elettorale.
  Una conseguenza potrà essere la nascita di maggioranze consiliari variabili e provvisorie, basate sui rapporti personali, su interessi ristretti e clientelari. In queste condizioni anche i programmi politici e di governo locale non possono essere molto circostanziati, ma si potranno rimodulare di volta in volta a seconda degli accordi che gli eletti troveranno. Saltano perciò anche le differenze tra una proposta e l'altra, in favore di una politica che si fonda sulla ricerca di un consenso pulviscolare, molto legato a situazioni personali o familiari, e che quindi rischia di alimentarsi di compromessi e di favoritismi.
  Contribuisce non poco ad irrobustire questo fenomeno anche la scarsa democraticità della vita interna alle forze politiche locali, proprio nel momento in cui in Parlamento si discutono le proposte di legge presentate sul tema della disciplina giuridica dei partiti e dei gruppi politici organizzati, nonché sulla trasparenza della loro gestione finanziaria, in attuazione finalmente dell'articolo 49 della Costituzione.
  In alcuni casi, addirittura, il vero, se non l'unico, motivo per la presentazione di una candidatura a sindaco e delle liste che lo sostengono appare essere legato ad un'aspettativa delusa di leadership di un determinato aspirante insieme a quella del gruppo che rappresenta.
  Un'associazione malavitosa che si ponesse l'obiettivo di infiltrarsi nelle amministrazioni locali non potrebbe che giovarsi di questa situazione, non solo cercando di controllare questo o quel candidato, ma, ancor più vantaggiosamente, persino inserendo propri accoliti o soggetti a vario titolo vicini o avvicinabili in liste formalmente contrapposte o solo apparentemente antagoniste.
  Queste considerazioni, e segnatamente la tendenza di molte forze politiche tradizionali a lasciare il campo a movimenti cittadini portatori di istanze locali, mettono in evidenza in modo preoccupante il rischio che il fenomeno del civismo si tramuti da arricchimento della vita politica locale in una forma di indebolimento della Pag. 17partecipazione civile e di esonero dalla responsabilità politica – se non di vera e propria elusione – da parte dei partiti nazionali attraverso lo stratagemma di una sorta di bad companies a cui far carico di impegni politico-amministrativi non spendibili al di fuori di contesti amministrativi limitati e geograficamente definiti.
  Rispetto a tale rischio di degenerazione della rappresentanza, e ancor più rispetto a quello di infiltrazione o, per meglio dire, di vera e propria occupazione degli enti locali da parte dei poteri mafiosi, l'unico rimedio appare essere un'inversione di rotta della politica nazionale «ufficiale» che interrompa la ritirata da territori negletti, soprattutto del Mezzogiorno, ingiustamente considerati periferici o comunque di importanza ridotta. Spetta alla politica, in definitiva, compiere lo sforzo di un passo in avanti per la ricostruzione della legalità sostanziale – fondamentale e strategica infrastruttura di cui parti intere del Paese sono drammaticamente carenti – e per l'assunzione piena dei doveri costituzionali di rappresentanza nazionale e di solidarietà popolare, sussidiari, anche in chiave europea, della garanzia dei diritti dei cittadini messi a repentaglio dall'aggressione criminale mafiosa.

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1. SAN SOSTENE

Regione Calabria
Provincia Catanzaro
Popolazione 1.311 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Il 15 e 16 maggio 2011 i cittadini di San Sostene si sono recati alle urne per le elezioni comunali. All'esito del voto veniva eletta sindaco con la lista civica «Insieme per San Sostene» Patrizia Linda Cecaro, moglie del sindaco uscente Luigi Aloisio, risultata essere il sindaco più votato d'Italia per percentuale di preferenze.
  Il 18 novembre 2014 il prefetto di Catanzaro ha nominato una commissione di accesso per accertare la sussistenza o meno di elementi di collegamento diretti o indiretti con la criminalità organizzata degli amministratori dell'ente ovvero di forme di condizionamento della criminalità organizzata presso il comune di San Sostene.
  La commissione si è insediata il 20 novembre 2014 e il 19 marzo 2015 ha rassegnato le proprie conclusioni sugli accertamenti svolti.
  Il 29 luglio 2015 il Ministro dell'interno ha emanato decreto di conclusione del procedimento senza ravvisare gli estremi per lo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiosi ai sensi dell'articolo 143 TUEL.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  Nell'area sono egemoni le cosche Procopio-Lentini e Procopio-Mongiardo, segnatamente nei comuni di S. Andrea Apostolo dello Jonio, San Sostene, Davoli e Satriano, dedite prevalentemente alle attività estorsive in danno di imprenditori aggiudicatari di pubblici appalti e forniture, nonché al traffico di stupefacenti.
  Il sodalizio criminale Procopio-Lentini, il cui capo indiscusso è Procopio Fiorito, attualmente detenuto a seguito della vasta operazione di polizia denominata «Show Down» (12), ha esercitato nel tempo il proprio predominio nel comprensorio di San Sostene. In data 21 agosto 2014, nell'ambito del procedimento penale n. 491/11 della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, veniva emessa dal tribunale di Catanzaro Sez-GIP, l'ordinanza di custodia cautelare n. 337/11 (13), nei confronti di venti persone indagate per il delitto di cui all'articolo 416 bis commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6, c.p., violazione della legge sulle armi, omicidio, estorsioni (delitti tutti con l'aggravante per mafia di cui all'articolo 7 della legge n. 203 del 1991) e altri reati. Le investigazioni hanno confermato, di fatto, l'operatività, nel comune di San Sostene, del gruppo dei Procopio-Mongiardo, quale Pag. 19promanazione dell'originaria cosca capeggiata da Procopio Vittorio (attualmente detenuto e già in regime di 41-bis dell'ordinamento penitenziario), che risulta aver affidato a Procopio Gerardo gli aspetti particolarmente rilevanti sotto il profilo economico. Le indagini, inoltre, hanno evidenziato l'ingerenza della consorteria mafiosa per il tramite di Procopio Gerardo e di suo nipote Procopio Francesco nell'amministrazione comunale di San Sostene. Di particolare rilievo la gestione e lo sfruttamento del patrimonio boschivo di San Sostene, settore imprenditoriale al quale la cosca era particolarmente interessata, concesso in gestione ad una società, la CIP Srl, che aveva stipulato con il comune di San Sostene un contratto a titolo oneroso per la gestione ecosostenibile del bosco, lo sfruttamento per la produzione di legname o di bio massa da legno vergine per la durata di dieci anni dal 2005 su un territorio di 830 ettari, dietro corrispettivo di 20 mila euro annui; alla CIP era subentrata la Bio For Energy. Procopio Francesco risulta assunto dalla società «La meta società agricola Srl» il cui rappresentante legale è lo stesso della Bio For Energy. Dalle intercettazioni riportate nell'ordinanza di custodia cautelare emerge che l'amministratore si rivolge proprio a Procopio Francesco affinché interceda presso Aloisio per «l'emissione di una delibera che avrebbe permesso la prosecuzione dei lavori dello sfruttamento boschivo» (14); tutti i lavori per il taglio e lo sfruttamento vengono affidati dalla Bio for Energy Srl a ditte riconducibili alle consorterie Lentini-Procopio e Procopio-Mongiardo. Allo stato, l'intero territorio del soveratese è caratterizzato dall'assenza di fenomeni criminali; l'ultimo omicidio legato alla criminalità organizzata è risalente al mese di febbraio del 2013. Al riguardo, è verosimile che le cosche dell'area abbiano deciso di attuare la strategia della «sommersione» evitando il più possibile di attirare l'attenzione delle forze di polizia e della magistratura. Per quanto attiene specificamente al comune di San Sostene la situazione sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblica non fa registrare reati strettamente connessi al contesto e al modus operandi della criminalità organizzata (es. danneggiamenti).

Situazione amministrativa

  A seguito dell'operazione «Hybris», condotta nell'agosto 2014 nei confronti della cosca Procopio-Mongiardo, emergevano collegamenti tra tale sodalizio criminale e la compagine politico-amministrativa facente capo all'ex sindaco Aloisio.
  Il prefetto di Catanzaro, sulla base degli elementi informativi e documentali acquisiti in relazione a detta attività di indagine, richiedeva e otteneva dal Ministro dell'interno la delega per l'esercizio dei poteri di accesso e di accertamento di cui all'articolo 1, comma 4, del decreto legge n. 629 del 1982, convertito con legge n. 726 del 1982, incaricando un'apposita commissione di effettuare le necessarie verifiche tendenti a focalizzare in particolar modo la sussistenza di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata ovvero di forme di condizionamento degli stessi tali da Pag. 20determinare un'alterazione del procedimento di formazione degli organi elettivi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'ente comunale, nonché di accertare la sussistenza degli stessi elementi anche con riferimento al segretario comunale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente stesso, nel rispetto del disposto dell'articolo 143 TUEL.
  L'attività di accesso agli atti del comune di San Sostene, avviata il 20 novembre 2014, è stata circoscritta al periodo di operatività della compagine amministrativa, quale risultata dalle consultazioni elettorali tenutesi in quel comune nel maggio 2011. Nel corso dei lavori e limitatamente al periodo preso in esame sono state prese in visione tutte le delibere di consiglio e di giunta, le determinazioni a firma del responsabile dell'ufficio tecnico, nonché alcune determinazioni assunte dai responsabili degli altri settori competenti per la trattazione delle singole materie. Si è provveduto, inoltre, a esaminare la situazione di cassa e il bilancio, lo stato di riscossione dei tributi e le funzioni oggi trasferite all'unione dei comuni del «versante jonico», che provvede alla gestione dei rispettivi servizi avvalendosi di proprio personale. Giova qui evidenziare al riguardo che non sempre è stato agevole acquisire i documenti richiesti in quanto spesso mancanti agli atti dell'ufficio.
  Il rischio di condizionamento dell'ente da parte della locale organizzazione criminale è stato valutato anche con la disamina dei rapporti di parentela o affinità esistenti fra esponenti della locale criminalità organizzata e amministratori e personale in servizio presso l'ente locale, nonché con un approfondimento in materia di affidamento di lavori e servizi pubblici, procedendo anche all'audizione di funzionari e impiegati del comune. Tenuto conto della complessità delle attività di verifica e per consentire la stesura della relazione, il prefetto di Catanzaro, con decreto del 19 gennaio 2015, ha disposto la proroga dell'accesso di ulteriori due mesi.
  All'esito della attività della commissione di accesso, la prefettura, in data 29 aprile 2015, ritenendo sussistenti quegli elementi univoci, concreti e rilevanti atti a dimostrare forme di condizionamento degli amministratori di quel comune, acquisito il parere favorevole del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ha chiesto ai competenti organi l'adozione della misura di rigore dello scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell'articolo 143 TUEL.
  Il Ministero dell'interno, con nota del 29 luglio 2015, comunicava l'adozione del decreto ministeriale con cui veniva concluso il procedimento avviato nei confronti del comune di San Sostene, non ravvisando la sussistenza dei presupposti per addivenire allo scioglimento del consiglio comunale.
  Il prefetto di Catanzaro ha comunicato, quindi, di avere «disposto un attento monitoraggio, finalizzato a percepire possibili interferenze della criminalità organizzata nella vita dell'ente, che allo stato non ha prodotto alcun esito».

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità Pag. 21ai sensi dell'articolo 10 della legge Severino e non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  È stata presentata una lista civica «Insieme per S. Sostene» collegata alla candidatura a sindaco di Luigi Aloisio, già sindaco per due consiliature (terzultima e penultima) e coniuge del sindaco uscente Patrizia Linda Cecaro. Tra i ventidue candidati, sei nominativi di tale lista, risultano già facenti parte, quali consiglieri di maggioranza e di minoranza, del consiglio comunale sottoposto ad accesso.
  Altra lista civica «Legalità e libertà» con candidatura a sindaco di Fera Domenico ha tra i candidati Codispoti Alessandro, attualmente sottoposto a procedimento penale (n. 5431/2009 RGNR). In questo procedimento Codispoti è stato condannato in primo grado, con sentenza emessa dal tribunale di Catanzaro il 4 luglio 2014, per i delitti di cui agli artt. 110 c.p., 10 e 14 della legge 497 del 1974 e di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 (detenzione illegale di armi e detenzione di sostanze stupefacenti al fine di cessione a terzi) alla pena di cinque anni di reclusione e 35 mila euro di multa. A seguito di impugnazione, la corte di appello di Catanzaro, con decisione del 18 maggio 2016, ha parzialmente riformato la sentenza di condanna, assolvendo Codispoti dai reati in materia di armi per non aver commesso i fatti, rideterminando quindi la pena in quattro anni di reclusione e 30 mila euro di multa per il citato reato in materia di stupefacenti, confermando infine la pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. La condizione di Codispoti potrebbe rientrare, in caso di elezione, nell'ipotesi di sospensione e decadenza di diritto prevista dall'articolo 11, comma 1, lettera a) della legge Severino, avendo riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati dall'articolo 10 comma 1 lettera a) della stessa legge (articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990).

Liste ammesse
   1) lista civica «Insieme per S. Sostene»
   2) lista civica «Legalità e Libertà».

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2. JOPPOLO

Regione Calabria
Provincia Vibo Valentia
Popolazione 2.090 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Il 15 e 16 maggio 2011 si tenevano le consultazioni elettorali comunali che si concludevano con l'elezione del sindaco Giuseppe Dato.
  Il 27 gennaio 2012 il prefetto di Vibo Valentia disponeva un monitoraggio sul comune, al termine del quale (19 marzo 2013) chiedeva al Ministro dell'interno l'autorizzazione per l'esercizio delle funzioni di accesso.
  Il 28 marzo 2013 il Ministro accoglieva la richiesta.
  Sulla base delle conclusioni della commissione di accesso, il prefetto di Vibo Valentia proponeva al Ministro, il 29 ottobre 2013, lo scioglimento degli organi elettivi per infiltrazioni mafiose.
  Il 23 gennaio 2014, con decreto del prefetto, il sindaco Giuseppe Dato veniva sospeso dalla carica (ex articolo 11, comma 2, legge Severino) in quanto sottoposto a misura cautelare personale nell'ambito di un'inchiesta («Pharmabluff») relativa alla sua attività professionale.
  Con decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014, il comune veniva sciolto ai sensi dell'articolo 143 TUEL.
  Lo scioglimento è stato impugnato dagli ex amministratori davanti ai giudici amministrativi e, prima il TAR del Lazio (sent. n. 7786/2015) e poi il consiglio di Stato (sent. n. 876/2016) annullavano la misura dissolutoria.
  In particolare, secondo le conformi valutazioni dei giudici amministrativi, taluni degli elementi posti a sostegno del decreto di scioglimento si fondavano su presupposti inesatti o che tali si erano rilevati. In primo luogo, l'addebito, contenuto negli atti del procedimento amministrativo, secondo cui il sindaco era stato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p., era erroneo dato che egli invece era stato accusato di partecipazione ad associazione per delinquere semplice e non di tipo mafioso. Inoltre, le risultanze dell'operazione «Black money», richiamate negli atti del procedimento amministrativo al fine di dimostrare l'avvenuto condizionamento dell'esito elettorale, non erano «state ritenute dal giudice penale idonee a fondare una sentenza di condanna»; infatti «con sentenza del Gup di Catanzaro, (..) è stata disposta l'assoluzione, per non aver commesso il fatto, del congiunto del consigliere (..) il cui arresto era stato ampiamente enfatizzato nel provvedimento gravato e negli atti istruttori che ne hanno preceduto l'adozione» (cfr. sentenza TAR cit.). Infine, altri degli elementi posti a base dello scioglimento, secondo i giudici, erano imputabili alle amministrazioni precedenti, mentre i restanti indizi, di natura oggettiva Pag. 23e soggettiva, non superavano il vaglio di rilevanza e univocità richiesto dall'articolo 143 TUEL.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  Il comune di Joppolo insiste in un ambito territoriale caratterizzato dal radicamento di organizzazioni criminali «con un raggio di azione che si estende anche ad altri comuni della provincia tra i quali quelli di Mongiana, Mileto, Briatico, Nardodipace, Nicotera, Sant'Onofrio e San Calogero, i cui consigli sono stati recentemente interessati dal provvedimento di cui all'articolo 143 del citato decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267» (15).
  Più in particolare, secondo le ricostruzioni degli inquirenti, quel territorio è stato oggetto di insediamento da parte di soggetti riconducibili alla cosca di ‘ndrangheta Mancuso di Limbadi, costituita dai membri, dai discendenti e dagli affini della cd. «generazione degli undici» (ovvero gli undici figli, maschi e femmine, del capostipite Mancuso Giuseppe, nati tra il 1927 e il 1954) che attualmente conta circa 500 persone.
  Come evidenziato nella sentenza della Corte di cassazione n. 1710 del 2009, emessa nel procedimento penale conosciuto come «Dynasty», la famiglia Mancuso è un clan fondato su legami familiari; legami che garantiscono, nonostante le periodiche contrapposizioni interne, una forte coesione tra i suoi appartenenti e che, soprattutto, trasmettono all'esterno un'immagine unitaria degli appartenenti al clan con conseguente rafforzamento della loro forza intimidatrice.
  Sia pregressi accertamenti, risalenti agli anni ‘70 e ‘80 (da cui emergevano i rapporti della famiglia Mancuso con altre storiche cosche di ‘ndrangheta calabresi), che le più recenti acquisizioni (secondo cui il clan ha esteso il suo raggio di azione nell'Italia del nord e all'estero) dimostrano la potenza militare ed economica di tale associazione.
  Il clan, che opera principalmente nel traffico internazionale degli stupefacenti e nel controllo degli appalti pubblici è presente, oltre che a Joppolo, in diversi comuni della provincia di Vibo Valentia (quali Limbadi, lo stesso capoluogo Vibo Valentia, Tropea, Nicotera, Cessaniti).
  A Joppolo, il primo soggetto della cosca Mancuso di Limbadi che, storicamente, risultava essersi ivi stabilito, era Paparatto Valentino, tratto in arresto perché ritenuto partecipe della predetta associazione (poi deceduto nel 2004). Più di recente, secondo gli accertamenti prefettizi di cui si tratterà più avanti, una delle figure di maggiore rilievo, è quella di Papaianni Agostino, cognato di Paparatto Valentino, raggiunto dall'ordinanza di custodia cautelare del 25 marzo 2013 emessa dal giudice per le indagini preliminari di Catanzaro nell'ambito della citata operazione «Black money» (procedimento n. 1878/07 NR; 2092/07 GIP); il provvedimento, emesso su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia, ha riguardato 38 indagati, taluni dei Pag. 24quali accusati di appartenere proprio alla cosca della ‘ndrangheta dei Mancuso di Limbadi.
  Non appare proficuo ripercorrere puntualmente, in questa sede, le motivazioni poste a fondamento dello scioglimento del comune, né quelle di segno opposto dei provvedimenti giurisdizionali che hanno annullato la misura sanzionatoria. Ciò che invece rileva è che l'insieme degli elementi emersi, sebbene inidonei a fondare un provvedimento dissolutorio, rappresentano tuttavia una situazione ad alto rischio che, da anni, attraversa quella comunità. Invero, come si vedrà, se l'infiltrazione mafiosa nei gangli amministrativi del comune di Joppolo non si è ancora verificata, appare, tuttavia, elevato il rischio che ciò possa accadere.
  Di particolare importanza al riguardo è, in primo luogo, il contesto territoriale ambientale e relazionale di Joppolo che, già solo per le sue piccole dimensioni, soffre della citata presenza di soggetti riconducibili all'associazione Mancuso di Limbadi. Inoltre si sono anche registrati, secondo le indagini prefettizie, numerosi rapporti (intesi come parentele, frequentazioni, incontri o meri contatti) tra gli appartenenti all'amministrazione comunale e soggetti, direttamente o indirettamente, riconducibili alla cosca, alcuni dei quali tratti in arresto nell'operazione «Black money» del 2013.
  Sicuramente, come segnalato dal TAR (sentenza n. 7786/2015), nessuna realtà locale deve «scontare in linea di principio ovvero pregiudizialmente la mera appartenenza a un più vasto territorio ritenuto, sotto il profilo giuridico, ma anche sotto quello storico, pervasivamente interessato dalla presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio», mentre, d'altro canto, le dimensioni estremamente ridotte del paese fanno sì che «le occasioni di incontro tra i cittadini, pregiudicati e non, rientra, più che in altri casi, in una sorta di evenienza fisiologica». Ma, parallelamente, non si può affermare che «gli incontri tra amministratori e persone supposte appartenenti alla criminalità non costituiscano un elemento indiziario di indiscutibile gravità, né che le ridotte dimensioni territoriali dell'ente, comportando l'inevitabilità degli incontri, escludano ogni rilevanza ai medesimi». Semmai si pone un problema diverso: «nel caso di piccole comunità, che per dimensione, coesione interna e eventuale chiusura o limitata apertura verso l'esterno» gli elementi raccolti sono «di incerta o difficile decifrazione» (Cfr. sentenza Consiglio di Stato, n. 876/2016).
  Proprio, dunque, la difficoltà ad attribuire alla presenza di gruppi criminali in realtà territoriali minori valenza condizionante sull'interesse pubblico (e significato diverso da quello di una mera conoscenza) fa sì che l'accertamento dell'infiltrazione mafiosa si risolva talvolta in una probatio diabolica. In questi casi, perciò, a fortiori si dovrebbe stimolare un costante controllo sociale su comunità comunque in pericolo e indurre i pubblici amministratori all'adozione di regole di trasparenza nella gestione della res publica.
  Emblematiche appaiono al riguardo le risultanze acquisite in occasione delle elezioni amministrative della primavera del 2011 svoltesi nel comune di Joppolo. Come emerge dalle indagini prefettizie e da quelle penali, nella lista del sindaco Dato era presente un candidato al consiglio comunale, cugino di un soggetto poi arrestato per il delitto di partecipazione all'associazione mafiosa nell'operazione Pag. 25«Black money», a sua volta genero di uno dei Mancuso colpito dalla medesima ordinanza e per il medesimo delitto.
  Si accertava anche che i parenti del predetto candidato si erano fattivamente adoperati nella campagna elettorale in esplicito appoggio della lista di Giuseppe Dato.
  Emergeva pure, attraverso le intercettazioni, che quest'ultimo, da aspirante sindaco, aveva chiamato uno zio del candidato al consiglio comunale chiedendogli di fare assumere presso un'impresa, anche solo temporaneamente, un giovane appartenente a una famiglia numerosa e di fargli promettere, in cambio, i relativi voti (è una cosa urgente .. ti mando un ragazzo che è una famiglia di sei persone, che così li fai prendere a Gennaro ...e gli dici che vi dà i voti ...se non escono niente .. tu digli a Gennarino che si fa trovare là e che gli dà le carte sue). Lo stesso zio del candidato, in un'altra intercettazione del 14 maggio 2011, aveva ricevuto le lamentele per i comportamenti di taluni sostenitori della lista avversaria, fatto per cui gli si chiedeva genericamente di prendere provvedimenti. La notte successiva, tra il sabato 14 e la domenica 15 maggio 2011, accadeva che ignoti perpetravano un furto e un danneggiamento all'interno di un locale pubblico appartenente a un soggetto attivamente partecipe alla campagna elettorale in favore della lista avversaria a quella di Giuseppe Dato.
  Il predetto candidato consigliere, pur non essendo residente a Joppolo, risultava poi eletto con il maggiore numero di voti, indi nominato assessore con delega all'urbanistica, cioè uno dei settori comunali più delicati. L'assessore, poi, si dimetteva nel mese di marzo 2013, quando, dopo l'esecuzione dell'operazione «Black money», alcuni articoli di stampa avevano evidenziato un suo possibile collegamento con la famiglia Mancuso di Limbadi, tramite il cugino arrestato (ma successivamente assolto).
  Nonostante si tratti di elementi di incerta interpretazione, specie alla luce dell'esito del procedimento penale, tuttavia, ancora una volta si rileva che in un ambito peculiare in cui i confini tra mera conoscenza e accordo/condizionamento mafioso sono assai sfumati, le situazioni di opacità rimangono irrisolte e l'amministrazione, seppure sana, è destinata alla perdita di credibilità.
  Altro dato di particolare importanza emerso dall'indagine della commissione di accesso è il quadro di diffusa illegalità nei settori dell'amministrazione che hanno interessato la programmazione, lo sviluppo, la gestione del territorio e delle risorse, l'assunzione del personale, i contratti per l'esecuzione di opere e l'acquisizione di servizi. Si rilevava, cioè, che molte delle azioni comunali, lungi dall'essere improntate al principio della trasparenza e del buon andamento dell'amministrazione, quantomeno prestavano il fianco a essere ritenute funzionali al perseguimento di finalità illecite.
  Vale la pena ricordare, a titolo di esempio, che, secondo l'indagine prefettizia, le attività di prevenzione, di controllo e di repressione dell'abusivismo edilizio erano assolutamente carenti tanto da far ritenere che quella macroscopica inerzia potesse essere addebitabile alla salvaguardia di precisi interessi personali di amministratori comunali o di persone e/o imprese vicine alla criminalità organizzata.
  Anche per l'opera di delimitazione del centro abitato era emerso che, con le prime elaborazioni del cosiddetto piano strutturale Pag. 26associato, si era tentato di perimetrare, come aree urbanizzate, porzioni del territorio agricolo comprese nel centro abitato, probabilmente al fine di favorire, anche stavolta, qualche singolo amministratore comunale o soggetti collegati alla mafia locale. Del resto, il gruppo di lavoro preposto alla realizzazione del piano, era diretto da un tecnico che, secondo i predetti accertamenti, aveva frequentazioni con pregiudicati e comunque coltivava, in quella stessa zona, interessi di natura economico-professionale.
  Ancora, in materia di servizi e forniture, la commissione di accesso aveva evidenziato il sistematico ricorso agli affidamenti diretti e senza esperire alcuna indagine di mercato. Taluni di questi affidamenti, inoltre, avevano riguardato ditte ritenute sospette: quella appartenente al figlio del predetto Paparatto Valentino; quella per la fornitura del gasolio da riscaldamento, facente capo a un soggetto tratto in arresto nell'operazione «Black Money» per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p.; quella per la fornitura del carburante per gli automezzi comunali, appartenente alla nipote (in quanto figlia del fratello) del citato Paparatto Valentino, ditta scelta dall'amministrazione comunale nonostante distasse circa dieci chilometri da Joppolo, mentre nel più vicino comune di Nicotera insistevano altre due più comode stazioni di servizio.
  Inoltre, con riguardo alla gestione finanziaria, dagli accertamenti dell'organo ispettivo era risultata una grave condizione di crisi acuita dalle anomalie evidenziate in tema di imposizione e riscossione dei tributi che sembravano un segnale evidente dell'incapacità o, addirittura, della mancanza di volontà dell'amministrazione di recuperare il dovuto.
  Orbene, anche queste irregolarità appaiono particolarmente significative sebbene qualificabili come meri episodi di mala gestio, non essendosi dimostrato che fossero il risultato del collegamento o condizionamento mafioso in danno dell'ente. Intanto, è stata la stessa giurisprudenza a sottolinearne l'estrema gravità. Il tribunale amministrativo, ad esempio, nella citata sentenza, affermava che «i fatti descritti attengono a competenze gestionali, gli stessi comunque evidenziano irregolarità, anche importanti», mentre il consiglio di Stato evidenziava l'esistenza di «una pluralità di irregolarità amministrative, contrassegnata dalla reiterata adozione di atti illegittimi ovvero dalla omissione di attività di controllo doveroso» che andava segnalata «per la sua gravità, sul piano della legittimità amministrativa, e su quello della eventuale responsabilità penale e/o per danno erariale dei soggetti agenti». Tuttavia tali anomalie, come evidenziato dal Ministro dell'interno, oltre ad essere gravi «hanno avuto origine nei precedenti consessi e sono proseguite, consolidandosi negli anni successivi»(16). In effetti, anche il tribunale amministrativo, a proposito di talune manifeste irregolarità ritenute dubbie nelle finalità, ha più volte indicato la loro irrilevanza nel procedimento dissolutorio a carico di quella amministrazione comunale, essendosi consumate durante le precedenti compagini consiliari (così per il caso più eclatante di abusivismo edilizio accertato, come anche la gara relativa al servizio di mensa scolastica, così per l'albergo di proprietà comunale affidato Pag. 27in concessione). Se ne ricava dunque che la preoccupante gestione irregolare dell'ente comunale è ormai consolidata, sì da potere agevolare o addirittura determinare l'infiltrazione mafiosa alle cui insidie può solo rispondersi attraverso la rigida osservanza delle regole amministrative.
  Del resto, come in precedenza accennato, l'analisi prefettizia sui rapporti tra amministratori e criminalità organizzata ha appurato «significative, circostanziate e oggettive e concludenti condizioni idonee a configurare fenomeni di condizionamento...» anche in relazione a «una pluralità di parentele e di frequentazioni di alcuni amministratori comunali in carica con soggetti gravati da diversi precedenti penali e di polizia nonché con noti esponenti delle consorterie criminali gravitanti sul territorio»(17).
  In conclusione, il quadro complessivo che ne deriva appare caratterizzato, da un lato, dalla presenza nel contesto territoriale di cosche mafiose in rapporto, necessitato o meno, con il tessuto politico-amministrativo, dall'altro, da una precarietà delle condizioni funzionali dell'ente, favorevoli alla permeabilità degli organi amministrativi rispetto alle infiltrazioni criminali.

Situazione amministrativa

  Con decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014 veniva decretato, ai sensi dell'articolo 143 TUEL, lo scioglimento degli organi elettivi del comune di Joppolo poiché erano «emerse forme di ingerenza della criminalità organizzata che hanno esposto l'amministrazione a pressanti condizionamenti, compromettendo il buon andamento e l'imparzialità dell'attività comunale» (18).
  In particolare, già nel giugno del 2012, il prefetto di Vibo Valentia, sollecitato da numerosi esposti che segnalavano una serie di irregolarità amministrative, aveva disposto un primo monitoraggio del comune per l'eventuale avvio delle procedure volte a verificare la sussistenza di infiltrazioni mafiose nell'amministrazione comunale.
  A ciò si aggiungeva, nel marzo del 2013, l'esecuzione della citata ordinanza di applicazione di misure cautelari nel procedimento «Black money», da cui risultava, tra l'altro, che la cosca Mancuso di Limbadi aveva cercato di condizionare le elezioni amministrative tenutesi nel 2011 in alcuni comuni, compreso quello di Joppolo.
  Pertanto, sulla base degli esiti delle attività di monitoraggio prefettizia e dell'indagine penale, il prefetto di Vibo Valentia otteneva dal Ministro dell'interno, con decreto del 28 marzo 2013, la delega per l'esercizio dei poteri di accesso e di accertamento presso il comune.
  La commissione di indagine – incaricata dal prefetto di verificare la presenza di collegamenti degli amministratori con la criminalità mafiosa ovvero di forme di condizionamento degli stessi tali da determinarne l'alterazione del procedimento di formazione della volontà – all'esito delle proprie verifiche, presentava una relazione dove concludeva per la sussistenza degli elementi che imponevano l'adozione della misura dissolutoria.Pag. 28
  A sua volta, il prefetto, acquisito il parere favorevole del comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato dal procuratore distrettuale di Catanzaro e dal procuratore della Repubblica di Vibo Valentia, riunitosi il 29 ottobre 2013, proponeva lo scioglimento del consiglio comunale di Joppolo, ritenendo, invero, che le vicende accertate dalle indagini prefettizie avessero rivelato una serie di condizionamenti dell'amministrazione comunale che aveva finito per perseguire finalità diverse da quelle istituzionali, in pregiudizio degli interessi della collettività.
  Il 22 gennaio 2014, nelle more del procedimento amministrativo (e poco prima che intervenisse il predetto decreto presidenziale di scioglimento dell'11 febbraio 2014), il sindaco di Joppolo, Giuseppe Dato, veniva sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari essendo accusato, nell'ambito di un procedimento penale della procura della Repubblica di Vibo Valentia (cosiddetta operazione «Pharmabluff»), di avere, quale titolare di una farmacia, fatto parte di un'associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni del servizio sanitario nazionale. Pertanto, all'indomani dell'esecuzione di tale ultima ordinanza, il prefetto di Vibo Valentia emetteva nei confronti di Giuseppe Dato, ai sensi dell'articolo 11, comma 2, della legge Severino, il decreto di sospensione dalla carica di sindaco.
  Tornando alla procedura di cui all'articolo 143 TUEL, il Ministro dell'interno, recependo le indicazioni del prefetto, a sua volta proponeva, con relazione del 5 febbraio 2014, l'adozione del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale di Joppolo e la conseguente gestione commissariale per diciotto mesi; proposta che, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, veniva accolta, come detto, nel citato decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014.
  Lo scioglimento, tuttavia, in seguito ad impugnazione, veniva annullato con sentenza n. 7786/2015 del 20 maggio 2015 del TAR Lazio, successivamente confermata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 876/2016 del 3 dicembre 2015.

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Su tre liste presentate una è stata ricusata poiché, dopo l'esclusione di taluni candidati per irregolarità nell'autentica delle relative sottoscrizioni, risultava avere un numero di candidati inferiore a quello minimo previsto dalla normativa vigente.
  L'ex sindaco, Giuseppe Dato, si è ripresentato come sindaco per le attuali elezioni. Per il procedimento a suo carico, in cui è stato raggiunto dall'ordinanza di applicazione della misura degli arresti domiciliari (poi sostituita con quella dell'obbligo di dimora), non Pag. 29risulta sia stata ancora esercitata l'azione penale. Nella lista di Giuseppe Dato è presente un soggetto che, pur candidabile, ha riportato sette condanne definitive per reati comuni tra il 1993 e il 2002. Tale candidato, già dichiarato fallito, ha riportato quattro condanne per furto aggravato (anche se per pene lievi o lievissime); nella stessa lista, un altro candidato risulta essere il cognato dell'ex sindaco, in quanto coniugato con la sorella, Vittoria Dato.
  Risulta, inoltre, che taluni dei candidati delle tre liste hanno già ricoperto la carica di consigliere/assessore nell'amministrazione uscente.

Liste ammesse
   1) lista civica «Insieme sempre per il comune di Joppolo»
   2) lista civica «Insieme per ricominciare».

Pag. 30

3. BADOLATO

Regione Calabria
Provincia Catanzaro
Popolazione 3.183 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Nelle elezioni comunali del 26 e 27 maggio 2013 è stato riconfermato il sindaco Giuseppe Nicola Parretta.
  In data 28 agosto 2013, il prefetto di Catanzaro ha nominato una commissione di accesso per accertare la sussistenza o meno di elementi di collegamento diretti o indiretti con la criminalità organizzata degli amministratori dell'ente ovvero di forme di condizionamento della criminalità organizzata presso il comune di Badolato.
  La commissione si è insediata il 3 settembre 2013 e il 15 gennaio 2014 ha rassegnato le proprie conclusioni sugli accertamenti svolti.
  Il 23 maggio 2014 il Presidente della Repubblica ha emanato decreto di scioglimento del comune.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  A cavallo degli anni 2008-2013, il territorio di Badolato è risultato gravemente infiltrato dalla criminalità organizzata.
  In particolare, le indagini del comando provinciale dell'Arma dei carabinieri e della squadra mobile della questura di Catanzaro hanno permesso di accertare l'esistenza e l'operatività, nei comuni di Guardavalle e di Badolato e in quelli limitrofi della fascia ionica, del pericoloso gruppo criminale conosciuto come cosca dei Gallace-Gallelli, al quale risultano alleati e altre locali o cosche della provincia di Reggio Calabria.
  Il gruppo si è rivelato dotato di un efficiente apparato organizzativo, con proiezioni operative nel Lazio, in particolare ad Anzio (RM) e Nettuno (RM) e in Lombardia (19) L'attività investigativa individuava la presenza, nel territorio comunale, di tre diversi nuclei familiari (il gruppo di Vincenzo Gallelli, nato nel 1943 alias Cenzo Macineju; quello di Maurizio Gallelli nato nel 1974 alias Maurizio Campione e quello di Antonio Saraco, nato nel 1955 alias U Cianciu) tutti con il ruolo di referenti del locale di Guardavalle facente capo a Vincenzo Gallace. Dagli atti dell'indagine «Free boat-Itaca» si ricavano ulteriori significativi elementi su una serie di azioni estorsive Pag. 31ai danni dei gestori/proprietari delle attività portuali in seno alla darsena Bocche di Gallipari e, in particolare, nei confronti dei soci modenesi della società Salteg che ha realizzato il porto di Badolato. I soci modenesi erano costretti a chiedere l'assenso del gruppo criminale di Vincenzo Gallelli per qualsiasi iniziativa: dalla scelta delle ditte a cui subappaltare i lavori di realizzazione del porto alla fornitura di materiali inerti e di calcestruzzo (con la maggiorazione delle fatturazioni); dall'assunzione di personale per garantire la «guardiania» al pagamento di somme di danaro non dovute che Vincenzo Gallelli dirottava al capo cosca Vicenzo Gallace di Guardavalle, fino all'affidamento della gestione del porto a specifici imprenditori. Le indagini avevano interessato anche l'allora sindaco di Badolato, Giuseppe Nicola Parretta, per il ruolo svolto nell'assegnazione definitiva della gestione della struttura portuale. Il sindaco, tramite la società Immobilgest 2000 s.r.l. con sede a Roma, risultava nella compagine sociale di una società denominata Zinco Sud Srl tra i cui soci figuravano familiari di Maurizio Gallelli, considerato referente diretto su Badolato della cosca Gallace di Guardavalle. Inoltre, esponenti della cosca si sarebbero adoperati per sostenere la sua candidatura nella competizione elettorale in occasione delle elezioni amministrative del 2008. Significative risultavano le affermazioni di Maurizio Gallelli, che durante la campagna elettorale aveva sostenuto che pur di determinare l'elezione del Parretta a sindaco si era deciso di fare «guerra comune» in modo tale da amministrare l'ente «tutti insieme». Le indagini mettevano in luce la capacità d'infiltrazione della ‘ndrangheta nell'amministrazione comunale di cui, secondo gli inquirenti, erano perfettamente a conoscenza gli stessi pubblici amministratori. Nel territorio del Soveratese non si registrano recenti fenomeni criminali cruenti: l'ultimo omicidio legato alla criminalità organizzata risale al febbraio del 2013. Anche nel comune di Badolato non si rilevano reati strettamente connessi al modus operandi della criminalità organizzata (ad esempio danneggiamenti). Questa relativa tranquillità non dipende dalla perdita di forza della ‘ndrangheta ma, più realisticamente, dalla decisione delle cosche dell'area di attuare una strategia di «sommersione» per evitare di attirare l'attenzione delle forze di polizia e della magistratura.

Situazione amministrativa

  Il 3 settembre 2013, il prefetto di Catanzaro, sulla base degli elementi acquisiti con le indagini di cui si è detto, e in particolare con l'operazione «Free boat-Itaca» del 3 luglio 2013 nella quale era coinvolto il sindaco Parretta, avviava l'attività di accesso agli atti del comune di Badolato.
  Nella relazione del Ministro dell'interno al Presidente della Repubblica del 21 maggio 2014 emergono le pesanti ingerenze della criminalità organizzata che hanno compromesso la libera determinazione e l'imparzialità della giunta e del consiglio, nonché il buon andamento dell'amministrazione ed il funzionamento dei servizi.
  L'accesso ispettivo ha rilevato:
   – una sostanziale continuità nelle amministrazioni che si sono succedute alla guida dell'ente. Il sindaco Giuseppe Nicola Parretta, «gravato da precedenti di polizia, è al secondo mandato consecutivo Pag. 32mentre un rilevante numero degli amministratori eletti nel 2013 è stato presente, a diverso titolo, nelle precedenti compagini elettive» (20);
   – forti legami tra alcuni amministratori e dipendenti del comune, molti dei quali con precedenti di polizia;
   – in occasione delle elezioni del 2008 e del 2013 il sindaco è stato appoggiato da imprenditori locali legati alle organizzazioni criminali che hanno sottoscritto la sua lista e lo hanno sostenuto durante la campagna elettorale;
   – negli affidamenti diretti e in quelli di somma urgenza sia l'apparato politico sia quello burocratico si sono avvalsi di società o ditte riconducibili alla cosca locale.

  L'analisi delle gare di appalto ha mostrato che la gestione non è stata in linea con i principi di legalità e trasparenza. Sono emerse significative irregolarità e illegittimità nella gara per la realizzazione della sala consiliare; nella procedura per i lavori di realizzazione di un'isola ecologica (il funzionario competente risulta legato a un locale capo cosca, per rapporti parentali e frequentazioni); nella gara per l'affidamento del servizio di manutenzione del verde pubblico (affidato ad una ditta il cui amministratore «è riconducibile, per rapporti parentali, ad ambienti controindicati»)  (21).
  Le procedure seguite dall'ufficio lavori pubblici e manutenzioni non avrebbero rispettato i principi di trasparenza; la gestione delle spese è fatta in violazione delle norme; quasi tutti i lavori pubblici e gli interventi manutentivi sono assegnati alle stesse ditte, anche se non figurano nell'albo fiduciario, istituito ma non applicato. Inoltre il dipendente del comune responsabile dei procedimenti in materia di lavori pubblici, assunto con un concorso annullato dal TAR e nuovamente assunto nel 2009, risultava riconducibile, per rapporti parentali e per assidue frequentazioni, al locale capo cosca e a titolari di ditte, indagate per articolo 416 bis del codice penale, che avevano ottenuto affidamento di lavori attraverso la procedura per somma urgenza.
  Anche le licenze commerciali risultavano viziate da irregolarità e anomalie: un numero considerevole di autorizzazioni era stato rilasciato a soggetti con precedenti penali, rilevanti ai fini della normativa antimafia.
  Con decreto del Presidente della Repubblica del 23 maggio 2014 il consiglio comunale di Badolato è stato sciolto per la durata di diciotto mesi ed è stata nominata la commissione straordinaria per la gestione dell'ente.
  Il 17 settembre 2015 il prefetto di Catanzaro, su conforme parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ha chiesto una proroga dello scioglimento di ulteriori sei mesi «per proseguire l'avviata azione di riorganizzazione e di ripristino delle condizioni di legalità da parte dell'organo di gestione straordinaria in considerazione della specificità del contesto ambientale e della storica presenza sul territorio di famiglie mafiose» (22).Pag. 33
  Con decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 2015 la durata dello scioglimento è stata prorogata per il periodo di sei mesi.
  La relazione del Ministro dell'interno, allegata al decreto del Presidente della Repubblica, sottolinea che l'azione di recupero e di risanamento non è ancora esaurita e che l'istituzione locale e la realtà sociale sono ancora segnate dalla malavita organizzata. È stata avviata la rideterminazione dei canoni dovuti dal concessionario del porto turistico ed è in fase di perfezionamento la procedura di collaudo della struttura portuale; è stato adottato il regolamento per la graduazione delle posizioni organizzative con la costituzione del nucleo di valutazione ed è stata deliberata una diversa programmazione del bilancio di previsione, operando riduzioni e razionalizzazioni ed è stato dato impulso all'accertamento e alla riscossione dei tributi. Inoltre, è in corso la ricognizione dei debiti pregressi per valutare se attivare la procedura del «predissesto» del comune; è stata avviata una ricognizione degli immobili di proprietà comunale e la verifica delle posizioni degli assegnatari di alloggi comunali e dei casi di occupazioni abusive; è in corso una procedura di gara per la raccolta differenziata dei rifiuti, finora inesistente, ed è altresì in corso la redazione dello strumento urbanistico cosiddetto «piano spiaggia»; sono state intraprese opere di messa in sicurezza e di adeguamento strutturale del patrimonio scolastico e l'efficientamento dell'impianto fognario. Secondo la relazione, il perfezionamento di queste attività deve essere proseguito dall'organo di gestione straordinaria, per assicurare la dovuta trasparenza e imparzialità essendo ancora concreto il rischio di illecite interferenze della criminalità organizzata.
  Nella fase di gestione commissariale si è conclusa la vicenda processuale dell'ex sindaco Parretta, rinviato a giudizio per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e corruzione elettorale (ai sensi dell'articolo 86 del decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, aggravato ex articolo 7, legge n. 203 del 1991).
  Al termine del giudizio abbreviato, il 24 marzo 2015 Parretta è stato assolto perché il fatto non sussiste. La motivazione della sentenza è stata depositata dal GIP del tribunale di Catanzaro il 4 maggio 2016.
  Sul versante amministrativo occorre ricordare che contro il decreto di scioglimento del comune di Badolato, gli ex amministratori avevano ricorso presso il TAR Lazio, che dopo alcuni rinvii, aveva fissato l'udienza per il 20 luglio 2016.
  Tuttavia, dopo il deposito della sentenza di assoluzione, il 10 maggio 2016, i legali di Parretta hanno presentato al TAR Lazio istanza di sospensione cautelare (fino ad allora non presentata) del decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento 23 maggio 2014 al fine di «impedire lo svolgimento delle elezioni, almeno fino alla definizione nel merito del contenzioso», elezioni nel frattempo indette dal prefetto di Catanzaro per il 5 giugno 2016.
  Nell'istanza si sostiene che, alla luce delle motivazioni dell'assoluzione, anche lo scioglimento del consiglio comunale sia illegittimo e che dunque deve essere reintegrata la medesima compagine amministrativa e annullata l'indizione delle elezioni.
  A sua volta, la prefettura ha presentato, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, le proprie controdeduzioni rilevando che il provvedimento di scioglimento ha natura preventiva e che l'esistenza di procedimenti penali o di sentenze non costituisce presupposto per Pag. 34giungere al commissariamento straordinario, come affermato, al riguardo, da numerose sentenze della giurisprudenza amministrativa.
  All'esito dell'udienza, anticipata al 31 maggio 2016, il TAR Lazio ha respinto la domanda per la sospensione cautelare del decreto di scioglimento del comune (23).

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Risulta che, tra i ventisei candidati, figura un solo nominativo già facente parte, quale consigliere di minoranza, dell'amministrazione comunale sciolta per infiltrazioni mafiose.
  Il candidato sindaco Mannello Gerardo si presenta con una lista civica denominata «Nuovi orizzonti». Lo stesso è già stato sindaco del comune di Badolato dal 10 marzo 1997 al 12 maggio 2001 e nella consiliatura avviata nel 13 maggio 2001, conclusa anticipatamente il 30 ottobre 2002 con lo scioglimento del consiglio per le dimissioni di nove consiglieri. Allo stato non risulta avere situazioni giudiziarie tra quelle rilevanti ai fini della legge Severino o del codice di autoregolamentazione. Agli atti acquisiti da questa Commissione risulta peraltro che Mannello è stato responsabile dell'area amministrativa del comune di Badolato (fino al 30 giugno 2013) durante la consiliatura Parretta, sottoposta ad accesso e poi sciolta. E dopo il pensionamento è stato nominato, dall'ex sindaco, responsabile del centro di mediazione.

Liste ammesse
   1) lista civica «Badolato rinasce»
   2) lista civica «Nuovi orizzonti».

Pag. 35

4. SANT'ORESTE

Regione Lazio
Provincia Roma
Popolazione 3.702 abitanti

Ultime elezioni amministrative che hanno interessato il comune

  Con ordinanza emessa il 28 novembre 2014 nell'ambito del procedimento «Mafia capitale» è stato arrestato il sindaco di Sant'Oreste, Sergio Menichelli.
  Con decreto del 5 dicembre 2014 il prefetto di Roma ha interdetto dall'esercizio delle funzioni il sindaco Menichelli, che, dopo tre mesi, il 4 marzo 2015, ha rassegnato le dimissioni. Con decreto n. 87370 del 25 marzo 2015 il prefetto di Roma ritenendo sussistenti i motivi di grave e urgente necessità previsti dal comma 7 dell'articolo 141 TUEL, ha sospeso il consiglio comunale, ha nominato un commissario prefettizio cui, nelle more dell'emanazione del decreto di scioglimento, sono stati conferiti i poteri spettanti al consiglio, alla giunta, al sindaco per assicurare la continuità nell'esercizio di tutte le funzioni proprie e la prosecuzione dell'attività a favore della collettività. Con decreto del Presidente della Repubblica 17 aprile 2015 il consiglio comunale di Sant'Oreste è stato sciolto, il commissario prefettizio è stato nominato commissario straordinario per la provvisoria gestione del comune fino all'insediamento degli organi ordinari di legge.
  I fatti emersi dall'ordinanza emessa nel procedimento «Mafia capitale» hanno determinato anche l'accesso ispettivo al comune di Sant'Oreste e da lì il procedimento disciplinato dall'articolo 141 TUEL si è intrecciato con quello disciplinato dall'articolo 143 dello stesso testo di legge.
  Il prefetto ha nominato una commissione per verificare, ai sensi dell'articolo 143 TUEL, la sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su eventuali collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori o su forme di condizionamento degli stessi tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e amministrativi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione, nonché il regolare funzionamento dei servizi, ovvero risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
  La commissione si è insediata il 13 gennaio 2015 e ha rassegnato le proprie conclusioni con relazione del 7 luglio 2015.
  Con decreto dell'11 novembre 2015 il Ministro dell'interno ha decretato che non sussistevano i presupposti per lo scioglimento del comune di Sant'Oreste o per l'adozione di altri provvedimenti di cui al comma 5 dell'articolo 143 TUEL e ha dichiarato chiuso il procedimento.

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La situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  In ordine ai profili dell'ordine e sicurezza pubblica, a parte quanto emerso dalla nota indagine «Mondo di mezzo», nel territorio comunale di Sant'Oreste non sono state segnalate attività da parte delle organizzazioni criminali. Tuttavia, nella zona, è stata rilevata la presenza di soggetti legati alla ndrangheta calabrese, trasferitisi nei comuni limitrofi a seguito della cosiddetta faida di «Motticella», che ha insanguinato la costa ionica reggina nei primi anni ’80 e che vide contrapporsi, nei comuni aspromontani di Africo, Bruzzano Zeffirio e nella frazione di Motticella, le due ‘ndrine africote, quella dei Palamara-Morabito-Scriva-Mollica, e quella dei Morabito-Palamara-Speranza.
  Il dato è stato segnalato anche nella relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2014 del presidente della corte di appello di Roma. A gennaio e ad agosto 2015 due operazioni delle forze di polizia hanno condotto all'arresto di diversi appartenenti a pericolose cosche residenti proprio nei comuni della cintura richiamata.
  In particolare, si fa riferimento alla figura di Morabito Domenico, residente nel comune di Rignano Flaminio, tratto in arresto, per intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso, nell'ambito dell'operazione antimafia denominata «Fiore calabro», coordinata dalla procura di Roma. Morabito risultava proprietario di un immobile nel comune di Sant'Oreste, confiscato nel 2009 e assegnato allo stesso ente comunale.

Situazione amministrativa

  Sergio Menichelli, già sindaco di Sant'Oreste all'esito delle elezioni amministrative del 6-7 giugno 2009, è stato rieletto a capo di una lista civica con le elezioni di maggio 2014. Di lì a pochi mesi è stata eseguita la prima delle ordinanze del procedimento 30546/2010 RGNR-DDA Roma, più noto come «Mafia capitale». Il sindaco e il capo dell'ufficio tecnico sono stati sottoposti alla misura degli arresti domiciliari. I fatti riferiti nell'ordinanza e la loro ricostruzione – se pur con titoli cautelari confermati dalla corte di legittimità ma con imputazione ancora sub judice quanto al merito – configurano i reati di turbativa d'asta e di corruzione a carico del sindaco e del dirigente nella qualità di responsabile unico del procedimento (RUP) per l'affidamento del servizio di igiene urbana, servizi accessori e fornitura di attrezzature e materiali d'uso per la raccolta differenziata del comune per la durata di sette anni alla cooperativa «29 Giugno».
  Ai due pubblici ufficiali è stato contestato di avere – in concorso tra loro, con Buzzi, Garrone, Guarany e altri, mediante collusioni con Buzzi e altri, con atti diretti a predeterminare il contenuto dell'affidamento mediante condotte fraudolente (con le quali, nell'immediatezza dell'affidamento e a termini scaduti, sono state sostituite le offerte con altre preparate da Alessandra Garrone) – turbato la gara per l'affidamento dell'appalto del servizio di igiene urbana indetta dal comune di Sant'Oreste, con l'aggravante di avere favorito l'associazione mafiosa di cui faceva parte Buzzi, fatto consumatosi a cavallo tra le due giunte, tra marzo 2013 e aprile 2014. La condotta appena descritta è stata messa in atto con la promessa di Buzzi di consegnare al sindaco 30 mila euro e al capo dell'ufficio tecnico 10 mila euro. Pag. 37Le conversazioni intercettate e integralmente trascritte nell'ordinanza del 28 novembre 2014 attestano come l'organizzazione facente capo a Carminati e a Buzzi fosse in grado di agganciare soggetti in ruoli chiave nel comune di Roma come nei piccoli comuni satelliti della capitale e di gestire, integralmente, appalti per importi assai rilevanti come quello appena richiamato, al punto che:
   – il bando di gara è stato confezionato nel corso di una serie di conversazioni tra il sindaco e Buzzi (si veda la conversazione del 20 dicembre 2013 ore 13:27 con la quale il primo chiedeva al secondo delle specifiche di costo per determinare il prezzo della gara «sulla questione della proposta dello spazzamento... lì.. prevedeva nella vostra ...(inc)... settimana, ma era...ma quante ore...come l'avevate...come calcolavate perché io quella... siccome me la faccio io, io la debbo diminuire su...sull'appalto». Buzzi rispondeva che l'avrebbe fatto richiamare da un suo collaboratore ed il sindaco lo sollecitava, spiegando: «stamo a determinare il prezzo eh»; quindi alle 13:31, Buzzi invitava un suo collaboratore a contattare immediatamente il sindaco di Sant'Oreste perché erano in Giunta. Alle 13:39, Buzzi riceveva da un suo collaboratore un sms a Buzzi con cui veniva informato che si era provveduto per quanto richiesto: «A posto»(24));
   – l'impostazione dell'intera operazione illecita veniva modellata su quanto già rilevato e analizzato per i comuni di Morlupo e Castelnuovo di Porto (si veda l'intercettazione delle 18:30 del 9 settembre 2013 nella quale a Salvatore Buzzi veniva prospettata un'analisi sulla situazione di Sant'Oreste previa premessa di aver utilizzato come termini di paragone i comuni di Morlupo e Castelnuovo di Porto);
   – la forza dell'organizzazione era tale per cui Salvatore Buzzi e Alessandra Garrone dimostravano di avere netta contezza delle offerte altrui (si veda la conversazione del 7 aprile 2014 ore 15:40); Buzzi disponeva di modificare l'offerta già depositata sostituendola con altra maggiormente favorevole precisando che l'apertura delle buste e la successiva sostituzione dell'offerta sarebbero dipese da una terza persona identificata proprio nel RUP cui era stata consegnata una tranche di 5 mila euro (si vedano le conversazioni intercettate il 22.4.2014 tra le 15:21 e le 18:09);
   – il 12 maggio 2014, dopo un incontro tra il RUP e Buzzi, quest'ultimo impartiva istruzioni a Garrone per sostituire l'offerta già presentata al fine di pilotare l'assegnazione dei punteggi(«..te domani puoi anda’ all'apertura de sta gara con un'altra busta ?» e la donna domandava: «con un'altra busta all'apertura della gara ?». Buzzi, quindi, spiegava meglio: «si.. se c’è da cambiarla.. tanto alle 4 e mezza (...) alle 5 e mezza era ...(inc)...» ribadendo: «alle 4 e mezza ...(inc)...(inc)... perché vorrei capì se ...(inc)... normale ...(inc)... con il punteggio...»). Alle 17:27, riprendendo il discorso dell'apertura delle buste Salvatore Buzzi, facendo riferimento a un precedente incontro con il RUP della gara, precisava «l'altra volta quando l'ho vi... cambiai la busta.. ho fatto più il ribasso.. dovevamo vince sempre (inc)».

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  Il giorno successivo, alle 16:23, Garrone comunicava l'assegnazione dell'appalto. In precedenza, il 23 gennaio 2014, alle ore 9:21, Buzzi, rivolgendosi a Carminati e altri aveva detto: «se vinciamo mon... Sant'Oreste io devo da’ 30mila euro al sindaco... che glie do un par de cazzi... se vinciamo (inc)... noi c'abbiamo le spese mensili fisse poi c’è... c’è lui che c'ha bisogno di un po’ di soldi».
  Dagli atti di tutto il procedimento penale, non limitandosi al solo esame della vicenda di Sant'Oreste ma allargando lo spettro di osservazione a quanto nel procedimento riguarda tutti i comuni della cintura a nord di Roma, è possibile avvedersi come si tratti di aree e di enti contemporaneamente oggetto dell'attenzione e delle mire espansionistiche del sodalizio di mafia capitale con particolare riguardo alla gestione della raccolta dei rifiuti urbani, alla gestione dei centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e alla realizzazione di nuovi.
  Al riguardo basti pensare che Sacrofano, dove risiedono Carminati e la sua convivente, dista una manciata di chilometri da Sant'Oreste, Morlupo e Castelnuovo di Porto; i comuni di Morlupo e Sant'Oreste si sono avvalsi del medesimo studio legale di consulenza. La lettura di tutte le conversazioni di questo filone di analisi lascia intendere come, con elevata probabilità, la corruzione dei pubblici ufficiali di Sant'Oreste non sia un fatto estemporaneo e isolato ma il frutto di una prolungata attività mirata di Buzzi e Carminati, diretta a estendere l'area di operatività del sodalizio nei comuni della cintura settentrionale della Capitale. Dalle conversazioni registrate il 10 settembre 2013, alle 10:49 e poi alle 15:59, emerge con chiarezza che il sodalizio stava trattando, in contemporanea, la medesima tipologia di «affari» con il sindaco di Morlupo, con il sindaco di Castelnuovo di Porto e con il sindaco di Sant'Oreste tanto è che in una conversazione tra Buzzi e un suo collaboratore si registra «l'importante è avere comunque la stessa tipologia contrattuale dei dipendenti che abbiamo...a coso...a Castelnuovo, a Morlupo eh...» Non a caso Menichelli ha cercato Buzzi, su suggerimento del sindaco di Castelnuovo di Porto, ha avviato il suo rapporto con Buzzi con un'ordinanza contingibile e urgente per poi bandire la gara che sarà oggetto della contestazione del reato di turbativa d'asta e di corruzione, si è avvalso del medesimo studio legale «portato» dal sindaco di Morlupo.
  Dal dicembre 2015 la prefettura di Roma ha avviato un monitoraggio sul comune di Sant'Oreste al fine di prevenire o individuare possibili nuovi segnali di infiltrazione mafiosa anche attraverso l'esame delle procedure di gara, delle attività poste in essere dall'amministrazione dopo la conclusione dell'accesso, delle procedure di affidamento di importi superiori alla soglia «comunitaria», al fine di procedere ai controlli antimafia di cui all'articolo 95, comma 3, del decreto legislativo n. 159 del 2011 (codice antimafia).
  Al riguardo si richiama l'attività intrapresa dall'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nell'ambito del procedimento amministrativo di vigilanza sull'affidamento da parte dell'ente locale del servizio di igiene urbana alla cooperativa «29 Giugno», affidamento che, secondo gli atti di «Mafia capitale» sarebbe stato alterato da fatti di corruzione e di turbativa di asta. L'ANAC, all'esito dell'istruttoria Pag. 39espletata, ha raccomandato la rinnovazione integrale della procedura di gara perché del tutto irregolare e viziata fin dall'origine in ragione delle azioni illecite che ne hanno caratterizzato l'evoluzione.
  Parallelamente sono state avviate interlocuzioni dirette con il commissario straordinario di Sant'Oreste. Al tempo stesso è stata avviata una due diligence nel settore contrattuale e della gestione del patrimonio dell'ente provvedendo a segnalare alla Corte dei conti le irregolarità riscontrate. Un immobile confiscato, non utilizzato per quattro anni, è stato assegnato alla locale associazione di protezione civile. Sono stati irrobustiti il sistema dei controlli interni e il piano anticorruzione ed è stato costituito l'ufficio dei procedimenti disciplinari regolamentandone l'attività e designandone i componenti.
  L'ANAC è intervenuta in questa vicenda a seguito dell'istanza dell'associazione temporanea di imprese (ATI) che ha contestato l'affidamento del servizio di igiene urbana, servizi accessori e fornitura di attrezzature e materiali d'uso per la raccolta differenziata del comune di Sant'Oreste per la durata di sette anni alla società cooperativa «29 Giugno», importo 3.111.325,44 euro, gara oggetto delle imputazioni del procedimento «Mafia capitale». L'ANAC, con delibera del 31 marzo 2016, ha ritenuto che la radicale illiceità della gara e la mancata stipula non autorizzano il subentro del segnalante, ha stabilito che l'azione di predeterminazione del contenuto dell'affidamento e la sostituzione delle buste delle offerte e, in generale, le condotte collusive e le corruttele – per come ricostruite nel procedimento – hanno reso la gara in oggetto del tutto irregolare e viziata fin dall'origine e che la gara debba essere integralmente rinnovata secondo parametri legali «a tutela degli operatori economici che operano legalmente».

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Dagli atti nella disponibilità della Commissione non è emerso nulla di rilevante sulla situazione personale dei candidati.

Liste ammesse
   1) lista civica «Riprendiamo il cammino»
   2) lista civica «Sant'Oreste in movimento»
   3) lista civica «Coraggio e idee».

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5. PLATÌ

Regione Calabria
Provincia Reggio Calabria
Popolazione 3.711 abitanti

Ultime elezioni amministrative che hanno interessato il comune

  Mittiga Francesco, il cui nome è dato ricorrente negli ultimi quindici anni di storia del comune, è stato eletto sindaco di Platì, una prima volta, nel 2001.
  Ad aprile 2002 il prefetto di Reggio Calabria lo ha sospeso dalla carica perché ritenuto ineleggibile; nel novembre 2003 Mittiga è stato sottoposto a custodia cautelare nell'ambito del procedimento «Marine» e, successivamente, assolto da tutte le imputazioni.
  Da novembre 2003 a giugno 2004 il comune di Platì è stato amministrato da una commissione prefettizia.
  Nelle elezioni amministrative del giugno 2004 Mittiga è stato nuovamente eletto sindaco.
  Nel 2006, il comune è stato sciolto per la prima volta, ai sensi dell'articolo 143 TUEL, per essere state rilevate infiltrazioni mafiose nella vita amministrativa dell'ente ed è stata nominata una commissione straordinaria.
  In data 6 e 7 giugno 2009, si sono tenute le consultazioni amministrative con le quali è stato eletto sindaco Michele Strangio.
  Con decreto del 18 aprile 2011 il comune è stato commissariato ai sensi dell'articolo 141 TUEL per le dimissioni del sindaco ed è stato nominato un commissario straordinario per la provvisoria gestione dell'ente.
  Con decreto del prefetto di Reggio Calabria del 18 ottobre 2011 è stato disposto l'accesso ispettivo al comune.
  Con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 2012 l'ente è stato nuovamente sciolto per infiltrazione mafiosa ai sensi dell'articolo 143 TUEL.
  Il 28 maggio 2014 il comune è stato commissariato ai sensi dell'articolo 71, comma 10, TUEL perché le elezioni del 25 maggio 2014 – trattandosi di comune con numero di abitanti inferiore a 15.000 – sono state dichiarate nulle per mancato raggiungimento del quorum. Per tali elezioni, la cittadinanza ha espresso una sola lista, quella dell'ex sindaco Francesco Mittiga.
  Sono state indette nuove elezioni amministrative per il 31 maggio 2015 ma, con decreto prefettizio del 4 maggio 2015, è stato necessario revocare i comizi per la mancata presentazione di candidature.
  Platì non è nuova a gravi vicende che percorrono e – di fatto – sospendono la vita democratica di questo piccolo paese aspromontano, tristemente noto – come San Luca e Africo – per i sequestri di persona prima, per la posizione di sostanziale dominio raggiunta nel traffico internazionale di stupefacenti, prevalentemente della cocaina, poi. Peraltro, risulta che il comune di Platì, è stato affidato a gestioni commissariali per ben sedici volte, dal 1915 a oggi.Pag. 41
  Merita di essere qui menzionato quanto accadde in occasione delle elezioni comunali del 1978, in un tempo che appare lontanissimo, ma di cui ancora recentemente si legge sulla stampa.
  A poche ore dalla scadenza del termine per la presentazione delle liste per il rinnovo del consiglio comunale, mentre iscritti e candidati di un partito erano riuniti all'interno della camera del lavoro per gli ultimi ritocchi e l'approvazione delle liste, dall'esterno furono esplosi numerosi colpi di pistola che ferirono due partecipanti all'assemblea. Intervennero i Carabinieri per ricostruire l'accaduto. Il giorno dopo molte persone che avevano aderito a quella lista ritirarono la loro candidatura e quel partito, che fino ad allora aveva espresso il sindaco, non fu in grado di presentare una propria lista e non partecipò alla competizione elettorale.
  Per le elezioni comunali del 5 giugno 2016 sono state presentate solo due liste civiche.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  Si segnala che il comprensorio di Platì rientra nella zona interna del cd. «mandamento ionico» o «Locride» ed insiste in un'aerea geografica considerata nevralgica per le dinamiche dell'intera ‘ndrangheta.
  Platì, unitamente ai vicini comuni di San Luca ed Africo, costituisce il cuore storico e, in un certo senso, culturale delle organizzazioni criminali calabresi; infatti è alle cosche operanti su questi comuni che si deve la svolta che ha portato la cd. «fibbia» calabrese, come un tempo veniva chiamata quella che era una mafia rurale ed arcaica, a divenire ‘ndrangheta, cioè organizzazione criminale assurta a holding nazionale ed internazionale. Nel territorio comunale sono presenti vari gruppi criminali, riconducibili alle famiglie mafiose Trimboli, Sergi, Perre, Papalia, Romeo, Pelle, e Barbaro, legate tra loro da vincoli di parentela e da cointeressenze nella gestione delle numerose attività illecite. Con il tempo, tali famiglie si sono strette, di fatto, in un unico raggruppamento, su cui si erge in posizione di primazia la cosca dei Barbaro, soprannominata i «Castanu», anche per i legami con le consorterie criminali di San Luca e Careri. Si segnala al riguardo che Barbaro Francesco (classe 1927) ha rafforzato il proprio potere dando in sposa la figlia Marianna a Pelle Giuseppe (classe 1960) figlio di Pelle Antonio «Gambazza» di San Luca. Il sodalizio criminale in questione, la cui esistenza e operatività è stata accertata da numerose indagini giudiziarie sfociate in sentenze definitive, dopo aver monopolizzato l'intero ambito territoriale attraverso l'impossessamento illecito di terreni privati ed aree demaniali, si è dedicato al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, reinvestendo in tale settore i proventi illeciti dei numerosi sequestri di persona avvenuti negli anni ’80. Grazie al narcotraffico, le famiglie di Platì sono riuscite a reperire le risorse per dotarsi dei mezzi d'impresa ed entrare, anche attraverso l'uso della violenza e l'infiltrazione degli apparati istituzionali, nel lucroso settore degli appalti pubblici. Non solo. La cosca Barbaro ha esteso la propria influenza nel nord Italia, in particolare a Buccinasco (MI) grazie Pag. 42all'emigrazione dei cugini Papalia, che in quel territorio hanno avviato micidiali strutture operative nel settore del narcotraffico e nell'accaparramento di appalti pubblici.
  La criminalità organizzata platiese ha costantemente influenzato la vita politico-amministrativa dell'ente, orientando le scelte dei candidati agli organi elettivi e quindi infiltrando i lucrosi settori degli appalti pubblici.
  Tale forma di attenzione criminale è emersa palesemente dagli accertamenti svolti nel tempo, che, nel rilevare la sussistenza delle ipotesi di infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata nell'azione amministrativa di Platì, hanno evidenziato la forte permeabilità dell'ente, consentendo alle organizzazioni criminali di porre in essere una sorta di occupazione delle istituzioni locali, funzionale al perseguimento di fini contrari al pubblico interesse ed utilizzata per favorire illecitamente soggetti collegati direttamente o indirettamente con le consorterie mafiose.
  Un primo tentativo di fare luce sul monopolio degli appalti da parte delle cosche di Platì e l'infiltrazione dell'amministrazione comunale è stato l'operazione «Marine», eseguita nel novembre del 2003. Il contesto criminale è stato oggetto di successive operazioni di polizia tra le quali quella denominata «Saggezza», del novembre 2012, che, nell'accertare il ruolo egemone della cosca Barbaro in quel territorio, ha evidenziato gli interessi criminali della citata consorteria nel settore degli appalti come in quelli tradizionali delle estorsioni e dell'usura, ma anche nella gestione degli enti locali, tanto da influenzare le nomine della comunità montana «Aspromonte orientale».
  Altre operazioni di polizia – quali «Zappa» del 2004, «Cerberus» del luglio 2008, «Parco sud» del novembre 2009, «Tamanaco» del giugno 2010, «Redux-Caposaldo» e «Minotauro» del 2011, «Tamburo» del 2014 – hanno evidenziato ulteriormente la capacità di espansione e di infiltrazione delle consorterie platiesi anche in altri territori nazionali (in particolare Lombardia e Piemonte ) ed internazionali (Colombia, Venezuela e Paesi del nord Europa).

Situazione amministrativa

  L'ultimo consiglio comunale era stato rinnovato con le consultazioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009, che hanno sancito la vittoria del candidato sindaco Michele Strangio, esponente della lista civica, denominata «Platì per l'Europa», con orientamento politico di centro-sinistra, prevalsa sull'altra lista denominata «Per ripartire insieme», di orientamento politico di centro-destra, capeggiata da Rosario Sergi, consigliere di minoranza.
  L'osservazione effettuata dalle forze di polizia sull'attività dell'amministrazione comunale, evidenziava che la lista civica vincitrice della competizione elettorale, riconducibile alla ‘ndrina dei Barbaro, si era affermata proprio grazie agli interventi di esponenti di questa consorteria mafiosa, in grado di gestire un gran numero di voti sufficiente ad ottenere la maggioranza relativa, ma non a superare il quorum del 50 per cento degli elettori, necessario per convalidare l'elezione in competizioni ad una sola lista.Pag. 43
  Proprio per tale motivo, al fine di rendere valide le elezioni, e quindi continuare a mantenere un controllo politico sul territorio, atteso che era previsto, come poi realmente verificatosi, un forte astensionismo, veniva presentata, all'ultimo momento, la seconda lista civica «Per ripartire insieme».
  Inoltre, l'amministrazione comunale di Platì, sin dal suo insediamento, era caratterizzata da frizioni e tensioni all'interno della maggioranza, culminati con le dimissioni del sindaco, alle quali aveva fatto seguito lo scioglimento del consiglio comunale con decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 2011 e contestuale nomina di un commissario straordinario per la provvisoria gestione dell'ente.
  I summenzionati fatti, unitamente ad altri fattori che mostravano condizioni di criticità nella gestione dell'ente, inducevano il prefetto di Reggio Calabria a disporre l'accesso ispettivo, all'esito del quale proponeva, concordando con le conclusioni della commissione d'accesso, lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, ritenendo sussistenti i presupposti previsti dalla legge.
  In particolare gli accertamenti svolti dall'organo ispettivo avevano evidenziato come gran parte degli amministratori e dei dipendenti del comune di Platì, fossero gravati da specifici precedenti di polizia e, in taluni casi, legati da stretti rapporti parentali o di frequentazione con soggetti in organico o contigui alla criminalità organizzata, confermando, quindi, la deduzione che l'attività amministrativa svolta dall'ente fosse sensibile all'influenza criminale esercitata da esponenti delle cosche platiesi.
  La commissione, oltre al suddetto contesto ambientale, verificava anche l'intero andamento gestionale dell'amministrazione comunale, dal quale si aveva l'ulteriore conferma del condizionamento e dell'illegalità dell'azione amministrativa dell'ente.
  Tali aspetti risultavano evidenti nelle procedure di acquisizione di beni e nell'affidamento di lavori e servizi in economia, dove si era fatto ricorso, sistematico, in assenza di una qualsiasi indagine di mercato, all'affidamento diretto, significando che, nella maggior parte dei casi, le società e/o ditte prescelte risultavano collegate ad esponenti della criminalità organizzata.
  Altri aspetti emblematici di un generale contesto di illegalità venivano riscontrati nel settore edilizio-urbanistico, dove, nonostante il fenomeno dilagante dell'abusivismo edilizio, i controlli da parte della polizia municipale erano stati del tutto inesistenti, mentre, nello stesso periodo, le forze dell'ordine individuavano numerosi bunker all'interno di abitazioni private.
  Inoltre, dall'esame delle concessioni edilizie, rilasciate durante l'amministrazione Strangio, emergeva che la maggior parte dei permessi a costruire erano stati dati in favore di persone con precedenti o riconducibili alla criminalità organizzata.
  Lo sviamento dell'azione amministrativa si deduceva, inoltre, sia dall'esame della complessiva gestione dei numerosi beni confiscati alla criminalità organizzata ed acquisiti al patrimonio comunale per essere utilizzati con finalità di carattere sociale, che dall'attività ispettiva svolta nel settore tributario-contabile.
  Difatti l'esame della gestione dei beni confiscati aveva rilevato che la maggior parte di detti beni erano rimasti inutilizzati o peggio erano Pag. 44ancora nella disponibilità degli originari proprietari e l'amministrazione comunale non aveva attuato alcuna concreta iniziativa per un loro utilizzo, vanificando le finalità dell'istituto e privando la collettività di beneficiare del loro utilizzo.
  Quanto al settore tributario e contabile, il controllo metteva in rilievo come il comune fosse interessato da una forte evasione tributaria, attesa una riscontrata incapacità di riscossione, con una conseguente ripercussione negativa sull'assetto economico dell'ente. Risultavano evasori, tra gli altri, anche l'ex sindaco e la maggior parte degli amministratori e dei dipendenti.
  Altro dato di un generale contesto d'illegalità e di diffusa approssimazione nella gestione dell'attività amministrativa emergeva dall'analisi della documentazione concernente gli incarichi di missione disposti per gli amministratori e per il personale. In particolare, veniva evidenziato come il competente ufficio avesse fatto un frequente, improprio, ricorso all'istituto della missione, con irregolarità che poi si sono riverberate negativamente sulla determinazione delle liquidazioni e nei pagamenti effettuati.
  Le suindicate situazioni pregiudizievoli hanno rivelato la sussistenza di elementi idonei a provare forme di condizionamento del procedimento di formazione della volontà degli organi comunali, la compromissione del buon andamento e dell'imparzialità di quell'amministrazione comunale a causa delle deviazioni nella conduzione di settori cruciali nella gestione dell'ente e per tali motivi, con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 2012, il comune di Platì veniva nuovamente sciolto ai sensi dell'articolo 143 TUEL.

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Per le elezioni del 5 giugno 2016 sono state presentate due liste civiche denominate, rispettivamente, «Liberi di ricominciare» il cui candidato sindaco è Sergi Rosario, e «Platì res publica» che ha come candidato sindaco Mittiga Ilaria Denise Giada.
  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Non può omettersi tuttavia di considerare che nel territorio di Platì operano alcune tra le più pericolose organizzazioni della ‘ndrangheta, radicate sul territorio in un contesto sociale, culturale ed economico spesso arcaico, privo di ampio respiro, caratterizzato da forti legami di sangue. L'indice di istruzione è tra i più bassi della regione, si registra un elevato abbandono scolastico delle generazioni più giovani. Si tratta di territori che rischiano di costituire vere enclave, ambienti asfittici in relazione ai quali ci si dovrebbe interrogare sulle possibilità alternative concretamente percorribili. Si tratta di territori dove non si può escludere che sulla vita di relazione Pag. 45dei singoli incida – in qualche modo – la situazione logistica e ambientale del comune. Al tempo stesso si tratta di territori dove è necessario ricorrere spesso ad atti di scioglimento sia ordinario che per infiltrazione mafiosa, dove sono spesso gli stessi cittadini a rinunziare all'esercizio del diritto alla partecipazione attiva alla dialettica democratica.
  Al riguardo, occorre ricordare che la ‘ndrina si fonda su base familiare ed è la cellula base delle organizzazioni criminali che costituiscono la ‘ndrangheta. Quest'ultima, ancor più di cosa nostra e della camorra, ha nel legame di sangue, nel rapporto familiare un tratto fortemente caratterizzante la sua struttura. Il dato è attestato in termini pressoché costanti dalla storia giudiziaria del distretto di Reggio Calabria. Il vincolo di parentela è fattore di primaria importanza e può rimandare a un rapporto che, spesso, travalica il mero legame di sangue e può sovrapporsi e confondersi con il rapporto associativo. In tal senso, e se pur in termini generali, il rapporto di parentela o di affinità non può essere considerato completamente neutro.
  La lista «Liberi di ricominciare», sottoscritta da 49 sostenitori, ha 12 candidati.
  Il candidato sindaco di tale lista, Sergi Rosario, ha concorso per il medesimo ruolo per le elezioni del 2009, a capo della lista «Ripartire insieme». Quelle elezioni sono state vinte da Strangio Michele con il 69 per cento dei voti; Sergi, in quella occasione, ha rivestito la carica di consigliere di minoranza nella compagine amministrativa sciolta per infiltrazioni mafiose.
  Dagli atti di indagine risulta che Sergi Rosario ha rapporti di affinità con esponenti di vertice della cosca Barbaro, tanto con la frangia denominata «Castanu» che con quella denominata «Nigru».
  In particolare, tra i rapporti per vincolo di affinità rientra Barbaro Francesco (classe 1927), «Cicciu u Castanu», il capostipite, condannato definitivamente per l'omicidio del comandante della stazione Carabinieri di Plati, il brigadiere Antonino Marino, ucciso a Bovalino il 9 settembre del 1990, nonché per sequestro di persona a scopo di estorsione. E ancora, tra i rapporti per vincolo di affinità vi sono i fratelli Barbaro «Nigru», alcuni dei quali condannati per gravi reati (estorsione, omicidio, detenzione abusiva di armi, ricettazione) e sottoposti, in passato, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
  Dagli atti acquisiti risulta che Sergi ha organizzato la manifestazione che si è tenuta a Platì il 29 marzo 2016, in dissenso con alcune dichiarazioni esternate dall'on. Marco Minniti. Alla predetta manifestazione erano presenti circa cento persone, tra cui numerosi esponenti di famiglie di ‘ndrangheta operanti nel territorio.
  Oltre Sergi, numerosi candidati annoverano rapporti di parentela, di affinità o frequentazioni con persone ritenute ai vertici dei sodalizi mafiosi dominanti in quell'area territoriale, intranee o contigue a tali sodalizi, oppure intrattengono rapporti o hanno contatti con sorvegliati speciali o con persone sottoposte a libertà vigilata. In molti casi si tratta di sodalizi la cui ingerenza nella vita amministrativa dell'ente ne ha determinato lo scioglimento ex articolo 143 TUEL.Pag. 46  La seconda lista presentata, «Platì res publica» – di cui è promotore Mittiga Francesco, già sindaco del comune sciolto per infiltrazioni mafiose nel 2006 – è sottoscritta da 32 sostenitori e costituita da nove candidati.
  Non solo. Anche un altro candidato della medesima lista ha un identico rapporto di parentela con un ex assessore della giunta sciolta per infiltrazione mafiosa.
  Dalla documentazione acquisita emerge, per «Platì res publica» come per «Liberi di ricominciare» che numerosi candidati hanno parentele e frequentazioni con persone in organico o contigue alla criminalità organizzata o gravate da precedenti di polizia, o già sorvegliati speciali di pubblica sicurezza.
  Allo stesso modo, come già si legge nella relazione del Ministero dell'interno allegata all'ultimo decreto di scioglimento del comune, la stessa «fitta rete di parentela e frequentazioni» riguarda numerosi sottoscrittori di entrambe le liste.
  Deve, dunque, rilevarsi che analoghe situazioni contraddistinguono entrambe le liste per le elezioni amministrative 2016.
  Allo stato, peraltro, la campagna elettorale si sta svolgendo regolarmente e non sono stati segnalati episodi degni di rilievo.

Liste ammesse
   1) lista civica «Liberi di ricominciare»
   2) lista civica «Platì res publica».

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6. RICADI

Regione Calabria
Provincia Vibo Valentia
Popolazione 4.750 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Il 15 e 16 maggio 2011 si sono svolte le elezioni per il rinnovo degli organi elettivi del comune di Ricadi.
  Con decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014 il comune è stato sottoposto a scioglimento conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso ai sensi dell'articolo 143 TUEL.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  La provincia di Vibo Valentia (25) si colloca stabilmente agli ultimi posti, in Italia, quanto a indici economici, servizi e qualità della vita complessiva e si connota per un tessuto economico fragile e un elevatissimo tasso di disoccupazione con rilevanti effetti negativi di ordine sociale.
  La situazione di forte crisi economica che interessa l'intero territorio nazionale sta avendo conseguenze marcatamente negative sul contesto occupazionale provinciale, già in forte sofferenza.
  L'economia si basa essenzialmente sull'agricoltura, sull'allevamento, sul commercio e sul turismo; tuttavia sia il settore agricolo che quello turistico offrono limitate opportunità d'impiego, poiché la proprietà terriera risulta parcellizzata, mentre il turismo è quasi esclusivamente legato alla stagione estiva lungo la fascia costiera. Le scarse prospettive di lavoro incrementano l'emigrazione verso le aree del centro-nord del Paese e creano una condizione favorevole all'impiego della manovalanza per la criminalità.
  Per quanto attiene alla situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica, la principale criticità nella provincia di Vibo Valentia è rappresentata dalla criminalità organizzata. Le consorterie mafiose esercitano un'influenza con la forza dell'intimidazione sulla popolazione e sono in grado di inquinare il tessuto economico in ogni settore.
  Conseguentemente, la percezione della sicurezza da parte dei cittadini è influenzata in maniera negativa in primo luogo dai frequenti atti intimidatori ai danni di imprenditori, commercianti e amministratori locali.
  È segnalata sul territorio la storica presenza delle cosche dei Mancuso di Limbadi e Nicotera, che, oltre a mantenere stretti contatti Pag. 48e intese operative con le vicine cosche reggine della piana di Gioia Tauro e con quelle di Lamezia Terme (CZ), risultano avere ramificazioni e interessi economici in altre zone del territorio nazionale ed estero. La cosca Mancuso da diversi anni, grazie al potere economico acquisito con il traffico internazionale di stupefacenti e con le attività di usura ed estorsione, ha conquistato un ruolo di primo piano nella provincia. Nell'ultimo decennio significativi mutamenti si sono verificati negli equilibri interni della consorteria che hanno portato al formarsi di diverse ramificazioni munite di autonomia, entrate a volte in contrasto tra loro.
  Anche la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA), nell'ultima relazione annuale (26), rileva che nel circondario di Vibo Valentia – caratterizzato da una elevatissima densità criminale, tra le più alte su tutto il territorio nazionale – la cosca egemone continua ad essere quella dei Mancuso, il sodalizio con più solidi rapporti con le famiglie dei tre mandamenti reggini, soprattutto quelle della piana di Gioia Tauro – Pesce, Bellocco, Piromalli, Alvaro – con cui condividono la gestione degli affari nello scalo portuale di Gioia Tauro.
  Il comprensorio costituito dai comuni di Limbadi, Nicotera, Joppolo e Ricadi rappresenta un'area sottoposta al diretto controllo della locale facente capo alla famiglia Mancuso che esercita in modo anche indiretto la propria egemonia avvalendosi di ndrine satellite, sue dirette referenti (così la cosca La Rosa), attraverso le quali gestisce gli affari legati anche alle estorsioni e al traffico di sostanze stupefacenti.
  Le dinamiche criminali del comprensorio della fascia del litorale tirrenico, ad alta vocazione turistica (nel solo territorio del comune di Ricadi insistono oltre 150 strutture ricettizie, in uno dei comprensori più belli della provincia, denominato «Costa degli dei»), si manifestano esercitando una influenza diretta sulla gestione delle remunerative attività economiche della zona, imponendo «guardianie» e forniture di beni e servizi alle strutture turistico-ricettive, anche con modalità estorsive.
  Dalle indagini più recenti emerge il condizionamento dei processi elettorali e una pervasiva penetrazione nel tessuto economico, attraverso il condizionamento delle procedure di appalto; le strette relazioni intessute con personaggi, anche di rilievo, della politica, dell'amministrazione locale e regionale, dell'ambiente forense, di quello ecclesiastico e delle istituzioni, che ha registrato purtroppo, nel recente passato, la denuncia – e in qualche caso anche l'applicazione di misure cautelari – nei confronti di appartenenti alle forze dell'ordine e alla stessa magistratura.
  Il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, nella relazione annuale, ha evidenziato come sintomatico del clima esistente sul territorio il fatto che l'avvenuto disvelamento di tali relazioni di esponenti delle istituzioni con la criminalità organizzata, avvenuto a seguito dell'esecuzione delle ordinanze cautelari emesse, non ha determinato significative reazioni nella opinione pubblica locale e nei media, rimasti, tutto sommato, indifferenti al tema.Pag. 49
  Viene, inoltre, segnalato un dato particolarmente allarmante: nell'ultimo periodo si registra una costante e sistematica attività di intimidazione dei testi prima dei processi, situazione che, in più di una occasione, ha determinato l'assoluzione degli imputati, consolidando la condizione di assoggettamento e di omertà degli abitanti del territorio, sempre più restii a collaborare con le forze dell'ordine.

Situazione amministrativa

  La più recente attività investigativa coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, sfociata nell'operazione di polizia giudiziaria denominata «Black money», del marzo 2013, che ha condotto all'arresto di numerose persone – tra cui noti soggetti appartenenti alla cosca egemone sul territorio e di un dipendente del comune di Ricadi – ha acclarato l'infiltrazione della criminalità organizzata sul tessuto economico-amministrativo locale e, in particolare, il fattivo interessamento della cosca nelle elezioni amministrative del 2011 in alcuni comuni della provincia vibonese, tra cui anche quello di Ricadi.
  Il fenomeno del condizionamento delle elezioni amministrative per il rinnovo degli organi degli enti territoriali locali da parte delle associazioni criminali non è purtroppo nuovo nell'area geografica ove insiste il comune in oggetto. A poca distanza da Ricadi si trovano infatti comuni i cui organi consiliari, nel recente passato, sono stati a loro volta sciolti per condizionamento mafioso, ai sensi dell'articolo 143 TUEL e lo stesso comune di Ricadi era stato già in precedenza sottoposto a un periodo di gestione straordinaria, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2010, adottato in esito alle dimissioni ultra dimidium dei consiglieri eletti nel maggio 2006.
  In esito alle specifiche segnalazioni circa riscontrate irregolarità poste in essere da alcuni rappresentanti della neoeletta amministrazione era stata avviata, nel giugno 2011, un'attività di monitoraggio da parte delle forze dell'ordine, per accertare l'eventuale presenza di elementi sintomatici e di forme di condizionamento. Il prefetto di Vibo Valentia, con decreto del 5 aprile 2013, successivamente prorogato, aveva disposto l'accesso presso il comune, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, TUEL.
  I lavori svolti dalla commissione d'indagine avevano preso in esame, oltre all'intero andamento gestionale dell'amministrazione comunale, la cornice criminale e il contesto ambientale ove si colloca l'ente comunale, prestando particolare attenzione a eventuali rapporti intercorsi e intercorrenti tra gli amministratori ed esponenti delle organizzazioni locali; all'uso distorto nella gestione della pubblica amministrazione stratificatosi nel tempo, diretta a elargire favori a soggetti o imprese collegati direttamente o indirettamente con l'ambiente malavitoso.
  All'esito dell'accesso ispettivo, su conforme parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la partecipazione del procuratore distrettuale antimafia di Catanzaro e del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Vibo Valentia, ravvisando la sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti e indiretti degli amministratori locali con la Pag. 50criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi, il prefetto ha rassegnato al Ministro dell'interno le sue conclusioni richiedendo l'applicazione della misura dissolutoria.
  Su proposta del Ministro dell'interno, la cui relazione è allegata al decreto di scioglimento, in cui si dà atto della riscontrata presenza di forme di ingerenza della criminalità organizzata tali da compromettere la libera determinazione e l'imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011, nonché il buon andamento dell'amministrazione e il funzionamento dei servizi, il decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014 ha decretato lo scioglimento del consiglio comunale del comune di Ricadi e ha nominato la commissione straordinaria a cui è stata affidata la provvisoria gestione dell'ente. La durata dello scioglimento del consiglio comunale, originariamente fissata in diciotto mesi, è stata prorogata per ulteriori sei mesi.
  Gli atti ostensibili acquisti da questa Commissione (27) danno conto di forme di ingerenza e di condizionamento da parte della criminalità organizzata nello svolgimento dell'attività amministrativa e nella gestione politica del comune, esercitate sia sugli amministratori sia sull'apparato burocratico e idonei a compromettere la libera determinazione e l'imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 15 e 16 maggio 2011, nonché il buon andamento dell'amministrazione e il funzionamento dei servizi.
  L'amministrazione di Ricadi si è dimostrata incapace di attuare una solida azione di contrasto agli interessi dei sodalizi criminali, avendo al contrario interagito con gli stessi, eludendo ogni iniziativa finalizzata a far prevalere l'interesse pubblico. Nei fatti l'azione amministrativa si è caratterizzata per comportamenti omissivi sul piano dei controlli e per aver abdicato a ogni funzione diretta a ripristinare il pieno rispetto della legalità.
  L'analisi condotta sugli amministratori e sull'apparato burocratico ha reso altresì evidenti i collegamenti esistenti con ambienti criminali e con gli interessi delle cosche, resi possibili anche grazie anche a un fitto intreccio di parentele e frequentazioni.
  È emerso altresì il fattivo sostegno fornito dalle organizzazioni ndranghetiste al sindaco, in grado di rappresentare l'interesse delle cosche come molti altri amministratori del comune di Ricadi che sono proprietari alberghieri o vantano partecipazioni in società che gestiscono alberghi o sono legati da strettissimi rapporti di parentela con i proprietari delle numerose strutture turistiche presenti in quel comune.
  Con riferimento a detto lucrativo settore di investimento si sono registrate cointeressenze tra i predetti soggetti e personaggi ritenuti esponenti delle cosche malavitose operanti nella zona.
  In particolare, si segnalano:
   – i rapporti e le interazioni tra il sindaco Giuseppe Giuliano, ed esponenti delle organizzazioni. Gli atti d'indagine hanno delineato forme di controllo esercitate dal gruppo esponente di rilievo della Pag. 51cosca Mancuso sulla struttura alberghiera all'epoca amministrata da Giuseppe Giuliano (28);
   – i rapporti e le cointeressenze tra le cosche e altri amministratori. Uno dei candidati alla carica di sindaco, nella tornata elettorale del 2011, era stato poi eletto consigliere grazie al sostegno della cosca dominante, ottenuto attraverso l'intermediazione di un proprio parente. Sono state segnalate dal prefetto di Vibo Valentia, plurime frequentazioni di numerosi altri amministratori con esponenti noti della criminalità organizzata, tra gli altri era stato segnalato l'assessore all'urbanistica, nominato anche responsabile dell'ufficio tecnico comunale, poi raggiunto da provvedimento cautelare (29);
   – la presenza, all'interno della struttura burocratica, di dipendenti coinvolti in procedimenti penali, che attestavano il clima di diffusa illegalità, veicolo del condizionamento dell'ente e dell'infiltrazione malavitosa. Uno di questi dipendenti, attuale responsabile dell'area tecnica, era stato anche sindaco di un comune all'epoca in cui fu emanato il decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 2007 (30) di scioglimento di quel consiglio comunale per infiltrazioni e condizionamento di tipo mafioso, ai sensi del richiamato articolo 143 TUEL (31).
  Sono stati altresì segnalati:
   – comportamenti «anomali» assunti all'indomani dell'insediamento della nuova amministrazione: spiccavano le delibere dirette a vanificare gli indirizzi adottati dal commissario straordinario nominato con decreto del Presidente della Repubblica 4 ottobre 2010, adottate nell'interesse generale e nel tentativo di risanare e bonificare un'amministrazione compromessa (32);
   – l'ampio ricorso all'assunzione di professionisti esterni, con particolare riguardo al personale degli uffici tecnico e finanziario, operata per diretta individuazione da parte del sindaco, talora tra soggetti legati al contesto criminale del territorio o vicini agli Pag. 52amministratori in carica, la cui attività non si è risolta in favore dell'ente (33);
   – rilascio di concessioni edilizie e omissione di interventi ripristinatori in favore di personaggi e imprese vicine o riconducibili alla cosca dominante nel territorio; nonché ritardi nella definizione delle pratiche di condono edilizio, in spregio ai principi di legalità e di buon governo (34);
   – l'aver consentito, come accertato dalla capitaneria di porto, l'occupazione di beni del demanio marittimo da parte di stretti congiunti di amministratori o di persone contigue agli ambienti malavitosi;
   – l'aver consentito l'elaborazione della progettazione del «piano spiaggia», da parte della struttura burocratica dell'ente fin dal 2010, con il supporto di una ditta esterna che si era resa disponibile ad apportare nel tempo le necessarie modifiche, in un settore di grande interesse e appetibilità, in ragione degli interessi economici sottesi, da parte delle organizzazioni mafiose;
   – gli affidamenti diretti di altre progettazioni conferiti a soggetti legati da stretti vincoli familiari al contesto criminale locale o ad amministratori e dipendenti dell'ente nonché a persone vicine alla criminalità organizzata locale;
   – la reiterazione dell'affidamento in via diretta di lavori, classificati come di somma urgenza, ad alcune ditte controindicate e in particolare a una ditta raggiunta da informazione interdittiva antimafia, nota all'ente già dal 2008;
   – la proroga del servizio comunale per la custodia e il mantenimento di cani randagi a una ditta, la cui titolarità è riconducibile all'attuale vicesindaco e a un suo stretto congiunto, legati da vincoli familiari con soggetti ritenuti contigui alla cosca ricadese. Rileva la circostanza che la ditta in questione si fosse aggiudicata il servizio anche a seguito della nuova gara espletata nel 2013, al termine di una procedura connotata da discrasie e con costi per l'ente notevolmente superiori rispetto al passato.
  Altri esempi dell'interferenza degli organi politici nell'attività di gestione dell'ente hanno riguardato:
   – il settore della depurazione. Nel marzo 2012, la giunta aveva impartito direttive alla struttura amministrativa per il temporaneo affidamento, a procedura negoziata e senza pubblicazione del bando di gara, della gestione ordinaria e straordinaria del servizio, nelle Pag. 53more dell'espletamento delle procedure di legge per l'affidamento del project financing per la gestione degli impianti di depurazione. La delibera della giunta era stata poi modificata atteso che gli importi alla base dell'affidamento comportavano la gestione della relativa procedura da parte della stazione unica appaltante (35);
   – i ripetuti abusi e favoritismi, quali l'erogazione di contributi a un'associazione della quale facevano parte soggetti vicini agli amministratori, nonché la presenza agli atti del comune – evidenziata dalla commissione di indagine – di affidamenti diretti di progettazione a stretti congiunti dei professionisti individuati dal sindaco, a dipendenti dell'ente o comunque a soggetti controindicati, vicini al contesto criminale locale;
   – la grave compromissione dei principi di economia e di buon governo che interessavano il settore economico-tributario che, per come emerso dall'accurata indagine ispettiva sulla documentazione contabile, risultava connotata da un rilevante numero di irregolarità e violazioni di legge.
  Sulla scorta di tutto quanto rilevato e segnalato è stato emanato il decreto di scioglimento a cui si è fatto sopra riferimento.
  Il 21 luglio 2015 il TAR del Lazio ha confermato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose degli organi elettivi del comune di Ricadi respingendo il ricorso presentato dall'ex sindaco Giuseppe Giuliano e dagli ex amministratori – ex assessori ed ex consiglieri comunali – nello specifico da Michele Mirabello, Francesco Giuliano, Vera Carone, Francesco Pantano, Giuseppe De Carlo, Francesco Mazzitelli, Nicola Tripodi e Mercurio De Carlo. Il Consiglio di Stato ha, a sua volta, confermato lo scioglimento (sent. n. 1662/2016).

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Tuttavia, si rappresenta che risultano, con riferimento ad alcuni candidati, frequentazioni con soggetti gravati da precedenti penali e di polizia, nonché più specificatamente con personaggi riconducibili alla storica famiglia di ‘ndrangheta dei Mancuso.
  Appare meritevole di segnalazione il fatto che risultano aver già ricoperto cariche amministrative in seno alle stesso comune o altri comuni limitrofi ben sei candidati, pari al 35 per cento circa del totale.

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Liste ammesse
   1) lista civica «Ricadi futura»
   2) lista civica «Ricadi bene comune».

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7. DIANO MARINA

Regione Liguria
Provincia Imperia
Popolazione 6004 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Il 15 e 16 maggio 2011 si sono svolte le elezioni per il rinnovo degli organi elettivi del comune di Diano Marina.
  Il 1o aprile 2015, il prefetto di Imperia ha disposto l'insediamento di una commissione di accesso per accertare l'eventuale presenza di infiltrazioni della criminalità organizzata presso il comune di Diano Marina.
  Il Ministro dell'interno, con provvedimento del 23 dicembre 2015, ha decretato la conclusione del procedimento. Non è stato disposto lo scioglimento.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  La Liguria, in considerazione della posizione geografica strategica rispetto all'Europa e per la presenza di numerosi porti, rappresenta, come attestano le indagini condotte già a partire dal 1995 (36) un territorio appetibile per le organizzazioni mafiose, che hanno sfruttato le particolari condizioni ambientali per i loro traffici illeciti e la vicinanza al confine francese per creare una base logistica per la gestione dei latitanti (37).
  Le peculiari condizioni economiche della regione hanno rappresentato un'opportunità per gli investimenti e hanno consentito alle organizzazioni mafiose di infiltrarsi nel tessuto socio-economico e politico, grazie anche alla capacità degli esponenti dei gruppi di relazionarsi e di stringere rapporti di cointeressenza con una parte dell'imprenditoria locale che, al pari della popolazione, non aveva immediatamente realizzato il pericolo e il rischio di tali contatti. Pur segnalandosi la presenza sul territorio di tutte le storiche organizzazioni criminali di stampo mafioso, un ruolo di preminenza è riconosciuto sicuramente alla `ndrangheta, la cui presenza è segnalata nell'intero territorio ligure, dal capoluogo a Ventimiglia, da Lavagna a Imperia, da Savona a La Spezia, ove vivono e operano personaggi legati alle cosche riconducibili alle organizzazioni criminali di tutti e tre i mandamenti della provincia di Reggio Calabria. Le cosche si sono insinuate lentamente e per lo più in moto silente nel tessuto Pag. 56economico-produttivo, attraverso la gestione, diretta o indiretta, di attività nell'ambito della ristorazione, dell'edilizia e della gestione del ciclo dei rifiuti e reimpiego di danaro derivante, prevalentemente, dal circuito del traffico di sostanze stupefacenti, attività delittuosa che vede il coinvolgimento di scali portuali alternativi a quello storico di Gioia Tauro, tra cui, in primis, proprio quello del capoluogo ligure. Il porto di Genova, di particolare rilievo per le dimensioni dei traffici e la movimentazione di passeggeri, anche quale scalo turistico del Mar Mediterraneo, rappresenta, infatti, uno dei luoghi preferiti dal sodalizio calabrese per importare droga e per distribuirla altrove (38).
  Sono emersi, nel tempo, segnali di presenze ‘ndranghetiste in provincia di Imperia (locali di Ventimiglia, Bordighera, Sanremo, Taggia e Diano Marina), di Savona (Albenga, Borghetto Santo Spirito, Vado Ligure e Varazze), di Genova (omonima locale e locale di Lavagna) e di La Spezia (locale di Sarzana). L'importanza strategico-criminale della Liguria trova conferma anche nel fatto che sul territorio, secondo le risultanze investigative, sarebbero state istituite una camera di controllo e una di transito, ovvero di compensazione: la prima si configurerebbe come una struttura intermedia, parzialmente autonoma, con la funzione di coordinare le locali che rispondono al «crimine» di Reggio Calabria; la seconda avrebbe, invece, funzioni di raccordo con le realtà criminali della Costa Azzurra (39). È stato, infatti, rilevato come la zona di confine italo-francese e monegasca abbia costituito luoghi di elezione ove trascorrere periodi di latitanza da parte di esponenti della criminalità calabrese.
  Le emergenze investigative e gli atti giudiziari – in particolare l'inchiesta «Crimine», coordinata dalla DDA di Reggio Calabria – hanno fatto emergere la presenza sul territorio del ponente ligure, nelle aree più specificatamente individuate di Ventimiglia, del sanremese e dell'imperiese, di una struttura complessa di ‘ndrangheta denominata «La Liguria». Proprio nella provincia di Imperia è stato segnalato uno dei più alti indici di presenza mafiosa tra le regioni dell'intero nord Italia (40).
  L'esistenza di una locale di ‘ndrangheta nell'estremo ponente ligure è stata riconosciuta, di recente, dalla sentenza emessa il 7 ottobre 2014 dal tribunale di Imperia (indagine «La Svolta»), a oggi confermata nell'impianto accusatorio dalla sentenza della corte d'appello di Genova del 10 dicembre 2015, con la condanna di 11 imputati per associazione mafiosa, tra cui i capi e gli affiliati di un sodalizio operante nei comuni di Ventimiglia, Bordighera e Diano Marina, in grado di condizionare l'operato di amministratori locali e di incidere sulle attività imprenditoriali, segnatamente svolte da quelle piccole e medie imprese che costituiscono il tessuto economico prevalente dell'intera area del ponente ligure. La sentenza di appello ha assolto il sindaco di Ventimiglia e il suo city manager, condannati in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa.Pag. 57
  Le motivazioni della sentenza del tribunale di Imperia confermano «l'esistenza sul territorio di Ventimiglia di un'articolazione territoriale della ‘ndrangheta costituita in forma di «locale» in cui l'organizzazione riproduce il modello strutturale, le regole, i rituali, le riunioni, tipici della ‘ndrangheta, e mantiene stretti legami con le cosche calabresi di origine», in grado di muoversi «sul territorio del Ponente Ligure, ove (...) è stabilmente radicata, con autonoma capacità operativa e amplissima discrezionalità, senza prendere ordini o sottostare a controlli, se non nei limiti imposti dalle regole ferree di ‘ndrangheta ovvero dal coordinamento della struttura sovraordinata del «Crimine».
  Si tratta di una vera e propria articolazione territoriale della ‘ndrangheta «dotata di autonomia organizzativa e operativa e di una effettiva capacità di intimidazione percepita nell'ambiente circostante, in virtù della quale essa esercita il proprio controllo capillare sul territorio per realizzare gli obiettivi, leciti o illeciti, di volta in volta prefissati. Attraverso l'assoggettamento ambientale l'organizzazione riesce ad operare per il raggiungimento delle proprie finalità sviluppando interessi in attività economiche (soprattutto nei settori dell'edilizia e movimento terra, guardiania, smaltimento dei rifiuti)» pilotando le scelte elettorali dei consociati verso candidati ritenuti utili al conseguimento dei propri obiettivi, «e realizzando vari tipi di vantaggi, talora apparentemente leciti ma viziati a monte dall'impiego del metodo mafioso» (41).
  La presenza e operatività dell'associazione nel territorio provinciale è, altresì, attestata dai massicci investimenti operati nella zona da parte delle famiglie individuate come referenti ed esponenti delle cosche locali, documentati dai numerosi decreti di sequestro e confisca operati nei confronti di beni e attività riconducibili a soggetti identificati come appartenenti alle cosche mafiose; dai provvedimenti di scioglimento dei comuni di Bordighera e Ventimiglia che, se pur successivamente revocati dai giudice amministrativi, documentano in ogni caso la presenza e i tentativi di penetrazione delle organizzazioni criminali nelle amministrazioni locali; dai numerosi attentati incendiari ad esercizi commerciali della zona; dalle minacce e intimidazioni nei confronti degli amministratori locali e di giornalisti; dagli atti di violenza privata, tra cui è stato segnalato un agguato a colpi di lupara; da un tentato omicidio; dal rinvenimento di un bunker all'interno della villa di Maurizio Pellegrino (arrestato il 1o giugno 2007 poiché dava ospitalità al latitante Carmelo Costagrande esponente di spicco della cosca «Santaiti», colpito da ordine di carcerazione emesso dalla procura della Repubblica di Reggio Calabria), ritenuto dalle forze dell'ordine un covo per i latitanti. È altresì dimostrata dall'operatività della criminalità nel settore del gioco d'azzardo, attestato dalle tanti indagini che hanno interessato a vario titolo il casinò di Sanremo (42); Pag. 58dall'usura ed estorsioni intentate ai danni dei giocatori; dai furti di fiches, messi a segno probabilmente anche per realizzare operazioni illecite di riciclaggio; dalla proliferazione di sale da gioco nel ponente ligure riconducibili agli interessi delle predette associazioni.
  In questo contesto territoriale si colloca il comune di Diano Marina che ha registrato, a partire dai primi anni ’70, un flusso migratorio rilevante costituito in prevalenza da famiglie di origine calabrese, in gran parte provenienti da Seminara, comune della Piana di Gioia Tauro (RC) (43), tra le quali emergono alcuni nuclei di significativa levatura criminale, direttamente legati per vincoli di parentela e affinità a esponenti della criminalità di matrice ‘ndranghetista, protagonisti, nel corso degli anni, di una serie di episodi significativi sul territorio (44). In particolare, è stata segnalata la presenza nel comune di soggetti imparentati o affini nonché in qualche modo collegati con esponenti delle storiche famiglie di ‘ndrangheta, quali quelle dei Di Marte, Papalia, Misitano, Tripepi e Surace.
  A Diano Marina si sono verificati numerosi attentati incendiari e con armi da fuoco; sequestri di armi, munizioni ed esplosivi; cattura di latitanti rifugiatisi dalla Calabria; summit mafiosi e cerimonie religiose con partecipazioni di esponenti delle «locali» di ‘ndrangheta (45).
  Il sospetto di una contaminazione mafiosa dell'amministrazione locale e di un possibile condizionamento della tornata elettorale alle amministrative dell'anno 2011, in ragione delle risultanze di un'indagine della procura distrettuale antimafia di Genova, ha dato l'avvio al procedimento per gli accertamenti promossi ai sensi dell'articolo 143 TUEL nei confronti dell'amministrazione comunale di Diano Marina, dopo che erano già stati sciolti, come ricordato, i comuni di Bordighera (marzo 2011) e di Ventimiglia (febbraio 2012) (46).
  La procura distrettuale antimafia di Genova, nell'ottobre 2011, aveva avviato un'indagine ipotizzando il reato di «scambio elettorale politico mafioso» di cui all'articolo 416 ter c.p., allora vigente. All'esito, il procedimento si era concluso con l'archiviazione per il più grave reato di cui all'articolo 416 ter c.p., e conseguentemente il fascicolo era stato trasmesso, per competenza, alla procura della Repubblica di Imperia, ritenendo i fatti integranti la diversa e meno grave ipotesi di reato di cui all'articolo 86 del decreto Presidente della Repubblica n. 570 del 1960 (cd. «corruzione elettorale») (47).
  Il pubblico ministero della direzione distrettuale antimafia di Genova, nel decreto di archiviazione, aveva evidenziato come «[...] Pag. 59dall'ascolto delle conversazioni» fosse «emersa l'esistenza di un «gruppo ristretto» (così come definito dagli stessi interlocutori) composto dal vice sindaco di Diano Marina Za Cristiano Garibaldi, dagli assessori Francesco Bregolin e Bruno Manitta e dall'amministratore unico della GM Spa, Domenico Surace, in grado di orientare le dinamiche pubbliche e di avere il controllo delle attività sociali del comune dianese. Peraltro si è avuta conferma che Surace Domenico, pur non ricoprendo alcun incarico politico all'interno dell'amministrazione del comune di Diano Marina pare effettivamente il referente degli amministratori locali tanto da essere costantemente aggiornato sulle dinamiche del comune e da fornire direttive o consigli per la soluzione di problematiche [...]» (48).

Situazione amministrativa

  Il prefetto di Imperia, in data 1o aprile 2015, in ossequio al decreto ministeriale 9 marzo 2015, ha disposto l'insediamento di una commissione d'indagine per accertare l'eventuale presenza di infiltrazioni della criminalità organizzata presso il comune di Diano Marina (49). All'esito, con relazione del 30 settembre 2015, ha rassegnato le sue conclusioni e il Ministro dell'interno, con provvedimento del 23 dicembre 2015, ha decretato la conclusione del procedimento non ravvisando la sussistenza dei presupposti richiesti per l'emanazione di un provvedimento dissolutorio, né per l'adozione degli altri interventi di cui al comma 5 dell'articolo 143 TUEL.
  Pur in presenza di collegamenti parentali e di cointeressenze con le varie «famiglie», non è difatti stata comprovata la sussistenza di vicende certe di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso nel comune. In tal senso si è espresso anche il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica in data 10 novembre 2015.
  Le consistenti e diffuse irregolarità ascrivibili alla sfera gestionale (50) non sono risultate idonee a postulare con certezza la permeabilità ad eventuali «pressioni» esterne dell'organo politico, pur se censurabili per il mancato esercizio della funzione di vigilanza e di verifica sull'operato degli uffici al fine di garantire che ogni attività si svolgesse «nella necessaria cornice, formale e sostanziale, di legalità» (51).
  Nonostante la conclusione del procedimento amministrativo, la situazione del comune merita di essere tenuta sotto osservazione.
  Il sindaco, il vice sindaco e un assessore dell'amministrazione in carica sono stati rinviati a giudizio, con decreto del GUP del tribunale di Imperia del 27 aprile 2016 (52), in concorso con altri imputati, tra Pag. 60cui Domenico e Giovanni Surace, per il reato di corruzione elettorale di cui all'art. 86 del decreto Presidente della Repubblica n. 570 del 1960 (53).
  Secondo l'ipotesi accusatoria, Giovanni Surace e il figlio Domenico Surace avrebbero dato pubblico appoggio alla lista capeggiata dal Chiappori alle elezioni del 2011, per ottenere la nomina di Domenico Surace ad amministratore unico della Gestioni Municipali Spa, società municipalizzata partecipata dal comune di Diano Marina. La GM Spa «è senza dubbio una struttura determinante per la politica e l'economia di quel territorio» (54) è evidente dunque che «il controllo della partecipata consente di gestire assunzioni, concessione di spazi per attività economiche e commerciali, nonché opere di manutenzione delle attività gestite (porto, spiagge, parcheggi), incidendo in maniera significativa sulla vita sociale del territorio» (55).
  Domenico Surace che aveva ricoperto nelle due precedenti amministrazioni comunali l'incarico di assessore in settori strategici dell'amministrazione comunale, è risultato nelle precedenti competizioni elettorali, il candidato in assoluto più votato ed è stato poi nominato amministratore unico della GM Spa dal sindaco Chiappori, previa modifica dello statuto della società partecipata.

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.Pag. 61
  Tuttavia, si rappresenta che risultano, con riferimento ad alcuni candidati appartenenti a più liste differenti, frequentazioni con soggetti gravati da precedenti penali e di polizia, nonché più specificatamente con personaggi riconducibili a storiche famiglie di ‘ndrangheta, come le famiglie Papalia (56) e De Marte (57), in quest'ultimo caso anche con vincoli parentali.
  Tali circostanze, di per se stesse non necessariamente rilevanti, appaiono preoccupanti e degne di monitoraggio, anche futuro, in ragione del contesto provinciale e del radicamento della ‘ndrangheta in Liguria come emerso dalle indagini citate.
  Dai controlli eseguiti è emerso, infine, che undici candidati su sessantatré risultano gravati da precedenti penali o carichi pendenti per fatti non gravi e comunque qui non di rilievo.

Liste ammesse
   1) lista civica «Diano riparte»
   2) Partito Democratico
   3) lista civica «Diano oggi per domani»
   4) Viva Diano (58)
   5) Movimento 5 Stelle.it.

Pag. 62

8. VILLA DI BRIANO

Regione Campania
Provincia Caserta
Popolazione 6.066 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Il 6 e 7 maggio 2012 si è votato per le elezioni comunali. È stato riconfermato il sindaco Dionigi Magliulo.
  Dal 27 luglio 2015, a seguito delle dimissioni della maggioranza dei consiglieri, il comune è retto dal commissario straordinario.
  Il 21 ottobre 2015 si è insediata la commissione di accesso presso il comune di Villa di Briano (istituita dal prefetto di Caserta il 9 ottobre 2015).
  Il 18 gennaio 2016 la commissione d'accesso ha presentato le proprie conclusioni sugli accertamenti svolti, ritenendo non sussistenti le condizioni di legge per proporre lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
  Il 15 marzo 2016, il Ministro dell'interno, in conformità alla proposta del prefetto ha decretato la fine del procedimento di accesso.

Situazione dell'ordine e sicurezza pubblica

  Il comune di Villa di Briano si trova al centro dell'agglomerato denominato «agro aversano», ovvero in un contesto territoriale in cui la criminalità organizzata assume contorni di intensa ramificazione nel tessuto economico ed amministrativo delle realtà locali. Il territorio è caratterizzato dalla presenza di varie organizzazioni criminali di tipo camorristico, tutte riconducibili al cd. clan dei casalesi, il cui grado e capacità di infiltrazione e condizionamento è stato tale da richiedere più volte l'adozione di misure di rigore ai sensi del TUEL per rimuovere situazioni di inquinamento della vita amministrativa e democratica dei comuni del comprensorio.
  Tale clan è costituito da un'aggressiva federazione di più famiglie rette da un vertice, che ne coordina le attività illecite e ne regola le conflittualità interne. Profondamente diverso dalla camorra del capoluogo campano, quello dei casalesi – al cui vertice sono collocati i due capi storici, Francesco Schiavone alias Sandokan e Francesco Bidognetti – è il clan più consistente ed antico sotto l'aspetto organizzativo.
  In conseguenza del duraturo stato di detenzione dei due capi della diarchia, a partire dalla metà degli anni ‘90, si è verificata una serie di scissioni per cui il nuovo organigramma casalese vede ora alcune frange, riconducibili a Francesco Schiavone, organizzate in una sorta di confederazione, con a capo i reggenti delle altre famiglie presenti Pag. 63sul territorio; tra queste ultime, le più rappresentative fanno capo a Michele Zagaria e Antonio Iovine, a lungo latitanti e poi catturati (rispettivamente il 7 dicembre 2012 e il 17 novembre 2013), famiglie che, pur nella loro autonomia, appaiono collegate più strettamente al gruppo Schiavone.
  I soggetti citati avevano propri gruppi di riferimento operanti su specifiche zone di influenza o in particolari settori economici, pur nella consapevolezza di far parte di una struttura unitaria, dotata anche di una cassa comune con cui far fronte a particolari necessità.
  Come emerso da numerose e significative indagini dell'autorità giudiziaria, la fazione del clan dei casalesi operante sull'area comprendente anche Villa di Briano ha avuto al vertice Antonio Iovine, ora collaboratore di giustizia, il quale, nell'esercitare il controllo delle tipiche attività illecite del sodalizio, si è avvalso nelle varie cittadine della zona di propri luogotenenti. In particolare, i referenti di Iovine a Villa di Briano erano i fratelli Bruno e Benito Lanza, arrestati nel 2008 e successivamente condannati a severe pene detentive.
  Detta fazione, nonostante l'arresto dello Iovine e di altri sodali di livello apicale, ha poi dimostrato di disporre comunque di una consolidata struttura organizzativa, tale che – avvalendosi della forza di intimidazione e della conseguente condizione di assoggettamento ed omertà tipiche delle organizzazioni mafiose – è stata in grado di continuare a perpetrare attività delittuose negli ambiti elettivi dell'organizzazione, ovvero le estorsioni e l'accaparramento di appalti di opere pubbliche.
  La direzione del gruppo di camorra è stata assunta direttamente dai fratelli Bruno e Benito Lanza, con riguardo, rispettivamente, ai comuni di Villa di Briano e di Frignano.
  In particolare, Bruno Lanza è stato più volte (nel 2008 e nel 2012) destinatario di misure cautelari in carcere tra l'altro per associazione di tipo mafiosa finalizzata all'estorsione unitamente ad altri esponenti del clan; da ultimo, nel febbraio 2015 è stato nuovamente arrestato per associazione mafiosa e gravato dell'interdizione dai pubblici uffici.
  Nonostante l'arresto del capozona, il gruppo camorrista, avvalendosi di numerosi affiliati, ha continuato a operare a Villa di Briano e nei comuni limitrofi condizionando le attività economiche ed imprenditoriali del territorio.
  In particolare, l'indagine ha rivelato come il clan abbia condizionato l'attività amministrativa del comune di Villa di Briano, avvalendosi del contributo di un geometra dell'ufficio tecnico del comune – fratello dell'ex sindaco Dionigi Magliulo – sia in ordine all'aggiudicazione di lavori pubblici, sia in sede di rilevanti scelte urbanistiche.
  Il 10 luglio 2015 è stata eseguita un'ordinanza di misure cautelari (59) nei confronti degli affiliati al clan Lanza, nonché del predetto dipendente comunale, ritenuti, a vario titolo, responsabili dei reati di associazione mafiosa, turbata libertà degli incanti, estorsione, peculato ed altro. Nello scorso mese di aprile 2016, il tribunale di Napoli (60), a seguito del procedimento con il rito abbreviato, ha inflitto severe Pag. 64condanne nei confronti di affiliati al gruppo camorrista di Villa di Briano. Il funzionario comunale coinvolto nella vicenda è attualmente sottoposto a processo penale in via ordinaria.
  Gli arresti eseguiti hanno lasciato il territorio di Villa di Briano senza un referente espressamente designato dal vertice del clan dei casalesi. Tuttavia, si ritiene che, come accaduto nel passato in analoghe circostanze, sia in atto una riorganizzazione del clan tesa a riprendere le attività di controllo e condizionamento sul territorio.

Situazione amministrativa

  Dalle indagini svolte nel tempo dagli inquirenti è emerso che il comune di Villa di Briano, per la peculiare dislocazione geografica, è stato interessato dalle medesime dinamiche di infiltrazione criminale riscontrate nei comuni limitrofi che hanno influito in misura rilevante sul corretto e regolare andamento dell'azione amministrativa.
  Significativo al riguardo è un riepilogo dei casi di scioglimento dei comuni nella medesima area di Villa di Briano: tre volte le amministrazioni di Casal di Principe (1991, 1996, 2012), Casapesenna (1991, 1996, 2012) e San Cipriano di Aversa (1992, 2008, 2012); due volte il comune di Lusciano (1992, 2007); una volta, i vicini comuni di Cesa (1992), Frignano (1993), Teverola (1993), Casaluce (2006), Orta di Atella (2008) e Gricignano di Aversa (2009).
  Il comune di Villa di Briano è stato, nell'ultimo ventennio, già destinatario di due provvedimenti di scioglimento per infiltrazioni di tipo mafioso, nel 1992 e nel 1998, in ragione dell'accertata penetrazione della criminalità organizzata nella locale amministrazione; tale fenomeno, manifestatosi sin dal momento dell'indizione delle relative tornate elettorali, si è poi riflesso nel corso delle gestioni politico-amministrative sull'apparato burocratico dell'ente.
  In conseguenza delle precedenti consultazioni amministrative del 6 e 7 maggio 2012, il sindaco uscente Dionigi Magliulo (61) veniva riconfermato nella carica.
  In corso di sindacatura, il 10 luglio 2015 aveva luogo l'esecuzione di numerosi provvedimenti di custodia cautelare emessi dal GIP di Napoli e che vedevano coinvolto, oltre ad esponenti della camorra, anche il geometra dell'ufficio tecnico comunale, fratello del sindaco, altri dipendenti comunali e un assessore.
  Il successivo 18 luglio 2015, il sindaco Dionigi Magliulo rassegnava le proprie dimissioni, cui hanno fatto seguito, la settimana successiva, le dimissioni contestuali ultra dimidium di sette consiglieri comunali; conseguentemente, veniva disposta la sospensione del consiglio comunale, la nomina di un commissario prefettizio nonché, dopo lo scioglimento del comune ex articolo 141 TUEL, la nomina del commissario straordinario per la provvisoria gestione dell'ente (26 agosto 2015).
  La prefettura di Caserta, il 24 settembre 2015 ha poi formulato al Ministro dell'interno la richiesta di delega di accesso antimafia, al cui esito veniva istituita apposita commissione di indagine (9 ottobre 2015); la commissione presentava il 18 gennaio 2016 la relazione conclusiva sugli accertamenti svolti ritenendo non sussistenti le Pag. 65condizioni di legge per proporre lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni mafiose.
  Il 15 marzo 2016 il Ministro dell'interno ha infine decretato la conclusione del procedimento di accesso.
  Dagli atti esaminati, fondati sugli esiti dell'indagine penale, è emerso l'affidamento di taluni appalti di opere pubbliche, assegnati, secondo la ricostruzione accusatoria, a imprese ritenute contigue al clan dei casalesi, nonché un apparato amministrativo dell'ente che ha operato nella completa inosservanza delle normative di settore ed in assenza di una adeguata attività di indirizzo e di controllo da parte degli organi elettivi. In particolare, è emerso all'interno del comune di Villa di Briano una situazione di generale disordine amministrativo e una carenza del funzionamento del sistema dei controlli interni inerenti la regolarità amministrativo-contabile, di gestione, di legalità e quelli previsti in applicazione della normativa anticorruzione.
  In ordine alla figura dell'ex sindaco, Dionigi Magliulo, va segnalato che il predetto, pur non colpito da provvedimenti restrittivi, risulta dagli atti giudiziari (62) essere «stato eletto grazie all'appoggio del clan dei casalesi, in occasione sia della prima che della seconda tornata elettorale (2007 e 2012) come risulta dal racconto di Iovine Antonio, all'epoca latitante, di Della Corte Francesco e di Pellegrino Attilio».
  In questo ambito, il fratello del sindaco Magliulo – nella sua qualità di geometra dell'ufficio tecnico comunale, in cui operava sin dal 1982 – rivestiva un ruolo centrale nell'inquinamento dell'apparato amministrativo, tanto da essere indicato come «il vero sindaco di Villa di Briano»(63).
  Dagli accertamenti è emerso come questi, anche per conto del fratello sindaco, aveva messo a disposizione del clan Lanza «il potere e l'influenza esercitati nell'ambito dell'amministrazione comunale di Villa di Briano» contribuendo «al rafforzamento del gruppo criminale diretto dallo Iovine Antonio, da tempo specializzato nel lucrare sul denaro pubblico distribuito attraverso gli appalti». Peraltro, «il raffinato disegno criminale» del dipendente comunale «mirava ad una gestione personalistica dell'azione amministrativa del comune di Villa di Briano, tale da generare ingenti utili da investire nelle campagne elettorali di candidati che una volta eletti garantivano ulteriori favori e vantaggi per il Magliulo»(64).
  In particolare, dagli atti giudiziari risulta che il geometra, con altri dipendenti del comune, abbia trasmesso al gruppo camorrista notizie riservate sugli appalti dell'ente prima della pubblicazione dei bandi di gara, rendendo così possibile l'aggiudicazione a ditte compiacenti o collegate al clan. Attualmente, il predetto geometra, oltre ad essere stato sospeso dal servizio a seguito di azione disciplinare, è in stato di detenzione in carcere.

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità Pag. 66e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Tuttavia, risultano evidenze per le quali – in relazione ad un discreto numero di candidature (pari a circa il 30 per cento del totale) – vi sono elementi che, comunque, delineano un contesto che appare meritevole di attenta valutazione ed approfondimento.
  Le posizioni d'interesse riguardano, sia pur in diversa misura e gravità, tutte le formazioni presenti alle prossime elezioni comunali, interamente rappresentate da liste civiche in cui sono presenti candidati collegati o comunque riferibili a formazioni politiche di rilevo nazionale.
  I profili di rischio rilevati dalla Commissione coprono un ampio spettro di situazioni che vanno dalla ricorrenza di frequentazioni con soggetti aventi precedenti per associazione mafiosa sino a quelle, di minore gravità, in cui il candidato è risultato direttamente coinvolto in reati cd. minori (truffa, furto aggravato, gioco d'azzardo, altro) variamente apprezzabili, sul piano generale, sotto il profilo dei doveri di disciplina e onore previsti dall'articolo 54 della Costituzione. Non mancano, inoltre, casi di candidati in rapporti di parentela con soggetti aventi pregiudizi per mafia.
  Si segnala, in particolare, il caso, risalente a pochi anni fa, di un candidato che risulterebbe essere stato controllato nottetempo dalle forze dell'ordine nell'abitazione di un parente sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nonché gravato da precedenti per associazione mafiosa, peraltro coniuge di Giuseppe Setola, noto esponente di spicco del clan dei casalesi, attualmente ristretto in carcere e sottoposto al regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario.
  Così pure è stata segnalata la situazione di un candidato che, sino a pochi anni orsono, ha avuto significative partecipazioni societarie in una ditta colpita da provvedimento interdittivo antimafia per contiguità ai clan di camorra.
  Al di là delle singole posizioni soggettive che, si ribadisce, non rilevano di per sé né sotto il profilo penale, né quale situazione ostativa ai sensi della legge Severino o del codice di autoregolamentazione, si ritiene che il quadro d'assieme rilevato sulle candidature nel comune di Villa di Briano presenti un profilo di rischio meritevole di ulteriore attenzione e vigilanza da parte di questa Commissione e stretto monitoraggio da parte delle competenti autorità locali.
  Nondimeno, è necessaria una riflessione dei partiti e delle formazioni politiche presenti sul territorio di Villa di Briano su modalità di selezione dei candidati che siano più stringenti ed adeguate alla prevenzione del rischio di infiltrazione della camorra nelle istituzioni elettive dell'agro aversano.

Liste ammesse
   1) lista civica «La voce dei brianesi»
   2) lista civica «Futuro per Villa di Briano»Pag. 67
   3) lista civica «Villa di Briano domani»
   4) lista civica «Primavera Villa di Briano»
   5) lista civica «Democrazia e libertà».

Pag. 68

9. MORLUPO

Regione Lazio
Provincia Roma
Popolazione 8.122 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Il 15 e 16 maggio 2011 i cittadini di Morlupo si sono recati alle urne per le elezioni comunali. All'esito del voto veniva eletto sindaco con la lista civica «Insieme per Morlupo» Commissari Marco.
  Il 2 gennaio 2015 il prefetto di Roma ha nominato una commissione di accesso per accertare la sussistenza o meno di elementi di collegamento diretti o indiretti con la criminalità organizzata degli amministratori dell'ente ovvero di forme di condizionamento della criminalità organizzata presso il comune di Morlupo.
  La commissione si è insediata il 15 gennaio 2015 e nel luglio successivo ha rassegnato le proprie conclusioni sugli accertamenti svolti.
  Il 28 ottobre 2015 il Ministro dell'interno ha emanato decreto di conclusione del procedimento, non ravvisando gli estremi di legge per lo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  L'area collocata a nord della Capitale risulta caratterizzata da uno storico radicamento di qualificate proiezioni della criminalità organizzata autoctona, con particolare riferimento a quelle riconducibili alla ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria.
  Nel corso del 2004, il R.O.S. ha condotto l'indagine convenzionalmente denominata «Incantesimo», volta a documentare la presenza stabile in area romana, specificamente nei comuni di Morlupo, Castelnuovo di Porto, Rignano Flaminio, Riano e Capena, dei nuclei familiari facenti capo a Velonà Giuseppe, Ligato Salvatore, Scriva Natale, Morabito Salvatore e Morabito Francesco, storicamente riconducibili e/o contigui alla cosca ‘ndranghetista «Morabito-Mollica-Scriva» di Africo Nuovo (RC), diramazione della cosca Morabito, capeggiata dal noto boss Morabito Giuseppe, classe 1934, detto «Peppe u’ tiradrittu», già inserito nell'elenco dei trenta grandi latitanti in campo nazionale, catturato dal R.O.S. il 18 febbraio 2004 in Cardeto (RC).
  All'esito dell'attività investigativa venivano deferite otto persone (65) per associazione a delinquere, usura, riciclaggio e favoreggiamento reale.Pag. 69
  In particolare, l'indagine consentiva di documentare l'attività usuraria posta in essere dagli indagati in danno di imprenditori e commercianti locali.
  Più di recente, nel gennaio 2015, l'area è stata interessata dall'operazione della Polizia di Stato denominata «Fiore Calabro», conclusasi con l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP presso il tribunale di Roma su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia, nei confronti di Scriva Placido Antonio, Morabito Domenico e Mollica Domenico Antonio, elementi di vertice della ’ndrangheta calabrese appartenenti alle ‘ndrine Palamara-Scriva-Mollica-Morabito, operanti nel settore jonico della provincia di Reggio Calabria con ramificati interessi criminali ed imprenditoriali nella Capitale e nella zona a nord della sua provincia.
  Gli indagati – tutti pluripregiudicati per associazione a delinquere di stampo mafioso, porto d'armi, omicidio, stupefacenti, sequestro di persona ed altro – sono ritenuti responsabili del reato di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso, ovvero dall'aver commesso il reato per favorire l'associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta operante in Calabria e a Roma per il controllo delle attività illecite sul territorio. L'indagine è stata indirizzata verso soggetti appartenenti ad alcune note famiglie della ndrangheta, trasferitisi nel Lazio a seguito della cruenta «faida di Motticella» che, negli anni ‘80/’90, vide contrapporsi nei paesi aspromontani di Africo, Bruzzano Zeffirio e la sua frazione Motticella le ‘ndrine delle due opposte fazioni africesi dei Palamara-Scriva-Mollica-Morabito (cui appartengono gli indagati) e quella dei Morabito-Palamara-Speranza (66).
  Le indagini hanno documentato come i soggetti colpiti dall'ordinanza, in precedenza già colpiti da provvedimenti di sequestro di beni, avessero lasciato la Calabria trasferendosi nei comuni di Rignano Flaminio e Morlupo ove, avvalendosi di una serie di prestanome, sono riusciti a penetrare nel tessuto economico della zona, acquistando aziende commerciali, attività di «compro oro», società che gestiscono la distribuzione di fiori, imprese di allevamento e vendita di carni, attività di ristorazione ed altro.
  Vale la pena evidenziare il ruolo ed il carisma criminale degli arrestati, con particolare riferimento a Scriva Placido Antonio, referente principale dell'omonimo clan calabrese, già residente a Rignano Flaminio e coniugato con Mollica Antonietta, sorella dei più famigerati Mollica Saverio e Mollica Domenico Antonio, entrambi da anni residenti nella provincia di Roma, il primo condannato di recente per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso nell'ambito della nota operazione «Crimine», il secondo oggetto della misura cautelare in argomento.
  A seguito dell'esecuzione della misura cautelare in carcere è stato eseguito un decreto di sequestro preventivo di beni nei confronti di aziende commerciali (vivai e esercizi per la rivendita di combustibili), attività imprenditoriali (ristoranti, trattorie, bar), conti correnti nonché Pag. 70numerosi beni immobiliari tra abitazioni civili e terreni agricoli ubicati sia a Morlupo che a Rignano Flaminio, ritenuti nella disponibilità degli esponenti della ‘ndrangheta e dei loro affiliati per un valore di circa 100 milioni di euro. Tra le attività commerciali/imprenditoriali sequestrate, tre insistono sul territorio di Morlupo: Bios Ottica Foto srl, riconducibile agli interessi di Morabito Domenico classe 1967; l'azienda Scri.Italbest s.r.l., sita a Campagnano (RM), attiva nella compravendita ed allevamento di bestiame, situata in una collina di diverse decine di ettari ai confini con il territorio di Morlupo, nella disponibilità del clan Scriva; il 50 per cento della società Abis s.r.l., operante nel settore del commercio di prodotti da forno, riconducibile a Morabito Domenico.
  Va comunque evidenziato che, sebbene in Morlupo e comuni limitrofi le presenze criminali menzionate siano un dato oramai storicamente e giudiziariamente acquisito, non sono emersi nel corso dell'indagine «Mondo di mezzo» contatti tra le stesse ed esponenti di mafia capitale.
  Non vi sono state turbative di rilievo per quanto concerne l'ordine e la sicurezza pubblica.

Situazione amministrativa

  Il prefetto di Roma, sulla base dell'ordinanza di applicazione delle misure cautelari emessa dal GIP presso il tribunale di Roma il 28 novembre 2014 (indagine «Mondo di mezzo»), in considerazione della strategia del sodalizio di Carminati preordinata all'illecita acquisizione di appalti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti e dei servizi di accoglienza degli stranieri e del coinvolgimento del sindaco di Morlupo, otteneva dal Ministro dell'interno la delega per l'esercizio dei poteri di accesso e di accertamento di cui all'articolo 1, comma 4, decreto-legge n. 629 del 1982, convertito con legge n. 726 del 1982 e disponeva con provvedimento del 2 gennaio 2015 l'accesso presso il comune di Morlupo. L'apposita commissione prefettizia è stata incaricata sia di verificare la sussistenza o meno di elementi di collegamento diretti o indiretti con la criminalità organizzata degli amministratori dell'ente ovvero di forme di condizionamento degli stessi tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione degli organi elettivi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'ente comunale, sia di accertare la sussistenza degli stessi elementi anche con riferimento al segretario comunale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente stesso, nel rispetto del disposto dell'articolo 143 TUEL.
  L'attività di accesso agli atti del comune ha avuto inizio il 15 gennaio 2015 e il 3 luglio 2015 la commissione di indagine ha rassegnato le proprie conclusioni sugli accertamenti svolti; il 7 agosto 2015 il prefetto ha poi consegnato la propria relazione al Ministro dell'interno il quale, il 28 ottobre 2015, ha emanato decreto di conclusione del procedimento, non ritenendo sussistenti i presupposti per la misura dissolutoria.
  Va premesso che le indagini svolte dalla direzione distrettuale antimafia di Roma, durate oltre due anni, compendiate nell'ordinanza Pag. 71di custodia cautelare del 28 novembre 2014, hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza in ordine all'esistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel territorio della città di Roma, la quale si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà, per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di appalti e servizi pubblici. Tale organizzazione, denominata mafia capitale, facente capo a Buzzi e Carminati, oltre a perseguire finalità illecite e gravi delitti di criminalità comune, ha, quale principale scopo, soprattutto l'infiltrazione del tessuto economico, politico ed istituzionale, l'ottenimento illecito dell'assegnazione di lavori, di servizi e di forniture da parte della pubblica amministrazione, la acquisizione di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni e appalti pubblici, realizzata avvalendosi della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo.
  Nell'ordinanza del GIP di Roma del 28 novembre 2014 sono analizzati i rapporti esistenti tra mafia capitale e istituzioni pubbliche, comprensive tanto della dimensione burocratico-amministrativa quanto di quella politica, atteso che la penetrazione della pubblica amministrazione da parte dell'organizzazione ha avuto carattere tipicamente corruttivo, alla continua ricerca di accordi criminali e collusioni illecite.
  Dall'ordinanza di custodia cautelare risulta che Salvatore Buzzi, al fine di perseguire i fini criminosi dell'associazione, si era interessato ai comuni dell'area nord di Roma per acquisire indebitamente appalti pubblici riguardanti la gestione dei rifiuti ovvero autorizzazioni pubbliche, più specificamente nei comuni di Castelnuovo di Porto, Sant'Oreste, Sacrofano e Morlupo.
  A Morlupo, in particolare, Buzzi si era attivato sia per acquisire un terreno/immobile di proprietà comunale ove realizzare un impianto di compostaggio, del tutto sovradimensionato per il territorio del comune, ma tale da poter soddisfare anche le esigenze di altri comuni limitrofi, così ampliando il potere del gruppo criminale nel settore dei rifiuti, sia per fare aggiudicare alla cooperativa «29 Giugno» l'appalto per il servizio di igiene urbana.
  Il sindaco, Marco Commissari – che risulta indagato per turbativa di asta, corruzione aggravata, illecito finanziamento dei partiti per vicende relative alla gestione dei rifiuti solidi urbani – è in carica dal maggio 2011 ed è stato consigliere nella precedente consiliatura.
  In particolare, vi sono conversazioni tra Buzzi e un suo collaboratore nelle quali si fa espresso riferimento, per aggiudicarsi il servizio di igiene urbana del comune di Sant'Oreste, al modello seguito per Morlupo (ordinanza contingibile e urgente e poi pubblicazione del bando di gara con affidamento alla cooperativa «29 Giugno»).
  È Buzzi ad incaricare la sua convivente di predisporre «il bando» di Morlupo da portare al sindaco, precisando i requisiti che avrebbe dovuto inserire.
  Buzzi, pur rilevando, stando alle sue parole intercettate, che il sindaco, Marco Commissari, si era rilevato una persona disponibile ad affidare loro lavori senza chiedere in cambio denaro («..è una persona seria, corretta, non ce chiede niente, non ce chiede soldi...c'ha dato i rifiuti, ce sta a da’ un asilo nido, ce sta a da’ un impianto de Pag. 72congelazione» (67), successivamente, il 9 giugno 2014, riferiva a Carminati che «il sindaco di Morlupo l'ho messo a stipendio» e quest'ultimo commentava «ah perfetto» (68).
  Al di là dell'esito del procedimento penale in corso, vi è da segnalare che due appalti significativi, tenuto conto della grandezza e delle presumibili risorse economiche del comune di Morlupo, quali quello per i rifiuti e quello per il termovalorizzatore potrebbero essere stati condizionati o alterati per favorire gli interessi di mafia capitale, anche mediante il ricorso ad assegnazioni di lavori con procedura di urgenza, ovvero ad incarichi di consulenza affidati in contrasto con le forme della pubblica evidenza.
  Dalle indagini esperite dal R.O.S. emergono plurime conversazioni intercorse, a partire dal 2012, tra Buzzi e Carminati sulla realizzazione dell'impianto. Tale progetto è stato seguito in prima persona da Buzzi e da un suo collaboratore mediante continui contatti con il sindaco Commissari, che proprio Buzzi porta a Cesena per mostrargli un impianto simile a quello che doveva essere realizzato a Morlupo. Successivamente, anche l'intero consiglio comunale, su richiesta del sindaco, viene accompagnato nella cittadina romagnola.
  In sintesi, gli esiti dell'indagine del ROS prospettano una disponibilità del sindaco Commissari agli interessi di mafia capitale.
  Dal dicembre 2015 la prefettura di Roma ha avviato un monitoraggio sui comuni di Morlupo e di Sant'Oreste al fine di prevenire o individuare possibili segnali di infiltrazione mafiosa anche attraverso l'esame di procedure di gara, delle attività poste in essere dall'amministrazione dopo la conclusione dell'accesso, delle procedure di affidamento di importi superiori alla soglia «comunitaria», al fine di procedere ai controlli antimafia di cui all'articolo 95, comma 3, del decreto legislativo n. 159 del 2011 (Codice antimafia).

Candidati alle elezioni del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Dalla documentazione acquisita risulta che tra i ventisei candidati figura un solo nominativo già facente parte, quale consigliere di minoranza, dell'amministrazione comunale sottoposta all'accesso prefettizio.

Liste ammesse
   1) lista civica «Impegno comune»
   2) lista civica «Vivere Morlupo».

Pag. 73

10. SCALEA

Regione Calabria
Provincia Cosenza
Popolazione 10.152 abitanti

Ultime elezioni amministrative che hanno interessato il comune

  Il 28 e 29 marzo 2010 i cittadini di Scalea si sono recati alle urne per le elezioni comunali 2010. Nella circostanza è stato eletto sindaco Pasquale Basile, il quale, in data 21 luglio 2013, è stato tratto in arresto, unitamente ad altri 37 persone, nell'ambito di operazione antimafia denominata «Plinius», coordinata dalla DDA di Catanzaro. L'arresto del sindaco, di quattro su sei componenti la giunta municipale, e dunque la paralisi dell'organo esecutivo, ha determinato la nomina di un commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione dell'ente ai sensi dell'articolo 19, regio decreto n. 383/1934.
  Il 15 luglio 2013 quindici consiglieri hanno rassegnato le dimissioni e il consiglio comunale di Scalea è stato sciolto con decreto Presidente della Repubblica 21 ottobre 2013 ai sensi dell'articolo 141, comma 1, lettera b), n. 4 del TUEL. Parallelamente, dopo l'esecuzione dell'ordinanza che il 12 luglio 2013 ha decapitato i vertici dell'amministrazione comunale, il prefetto di Cosenza, con decreto del 1o agosto 2013, ha disposto l'accesso ai sensi dell'articolo 11, comma 8, della legge Severino.
  Al termine dell'accesso ispettivo, su parere conforme espresso dal comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, il prefetto di Cosenza ha dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione dello scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell'articolo 143 TUEL.
  Con decreto del 25 febbraio 2014, su conforme relazione del Ministro dell'interno, il Presidente della Repubblica ha nominato la commissione straordinaria per la gestione dell'ente con le attribuzioni spettanti al consiglio comunale, alla giunta e al sindaco, per la durata di diciotto mesi, prorogati con decreto Presidente della Repubblica 2 luglio 2015.

La situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  Per quanto attiene il contesto criminale, occorre rilevare che da tempo è stato accertato il predominio nell'area tirrenica della provincia cosentina della consorteria criminale di stampo ‘ndranghetistico denominata clan Muto, facente capo al boss Franco Muto, operante su Cetraro e sui comuni dell'alto tirreno cosentino.
  L'esistenza e operatività della locale di Cetraro è stata accertata da diverse sentenze passate in giudicato, la prima risalente al 1987 allorquando la corte d'appello di Bari riteneva operante in Cetraro una consorteria imperniata sulla figura carismatica del boss Franco Muto. Le successive sentenze hanno confermato la particolare Pag. 74vitalità di tale sodalizio criminale dedito a ogni attività illecita, con particolare riferimento al narcotraffico, dove aveva intrecciato significative alleanze con esponenti di importanti di ‘ndrine di San Luca, con le quali importava ingenti quantitativi di cocaina dal Sudamerica. Nel territorio di Scalea opera un'organizzazione ‘ndranghetistica, denominata «Valente-Stummo», finalizzata al controllo e allo sfruttamento delle risorse economiche della zona, al compimento di delitti contro la persona e contro il patrimonio (estorsioni in pregiudizio di imprenditori e commercianti). Il suddetto sodalizio criminale è direttamente collegato con la consorteria Muto, della quale riconoscono la primazia ‘ndranghetistica; infatti, le attività investigative esperite in merito hanno, da sempre, evidenziato che la malavita organizzata scaleota dipende dalla locale di Cetraro secondo il rapporto «ndrina-locale». Fondamentali, in merito, si sono rivelate alcune conversazioni intercettate nel corso delle varie indagini dalle quali si evince che il gruppo Valente-Stummo doveva rendere conto alla locale Cetraro per gli affari più importanti; tale circostanza è stata ulteriormente avvalorata dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. L'esistenza in Scalea di un'organizzazione criminale composta da due fazioni cui sono, rispettivamente, preposti Stummo Mario e Valente Pietro, si ricava da alcune sentenze passate in giudicato. Le pregresse indagini hanno evidenziato che, a partire dagli anni ’80, si insediava in Scalea una ‘ndrina in rappresentanza della cosca Muto che, inizialmente riconosceva quale loro rappresentante Stummo Mario. A partire dagli anni ‘90, emergevano le figure di Franco e Pietro Valente i quali monopolizzavano, sempre in nome e per conto della locale di Cetraro, le importazioni e l'offerta di sostanze stupefacenti, affiancando Stummo Mario, sempre quali rappresentanti di Franco Muto in Scalea, nel controllo delle estorsioni e dell'usura. Si verificava un ridimensionamento degli Stummo che dovevano ricercare un equilibrio sempre precario con i Valente e ciò sino alle elezioni amministrative del 2010, allorquando si registrava la perfetta collusione tra la fazione Valente e quella degli Stummo che appoggiavano, coese, la candidatura a sindaco di Pasquale Basile. Infatti, nella stessa lista civica che appoggiava Basile si candidavano Galiano Francesco, cugino di Valente Pietro, e Stummo Antonio, figlio di Stummo Mario, entrambi divenuti assessori ed entrambi arrestati nell'ambito della sopracitata operazione «Plinius». Si rappresenta che nell'operazione in argomento, oltre al Sindaco, venivano tratti in arresto anche l'assessore all'ambiente, l'assessore alla protezione civile e arredo urbano, l'assessore al commercio, l'assessore ai lavori pubblici ed un consigliere comunale di minoranza. Inoltre, nei confronti del vice sindaco nonché assessore al bilancio e ai tributi veniva applicata la misura dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Ai destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare si contestavano una serie di reati quali associazione a delinquere di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, corruzione aggravata, turbata libertà degli incanti. Il suddetto sodalizio, quindi, aveva procurato voti, in occasione delle citate elezioni amministrative, in favore del sindaco determinandone l'elezione, utilizzando i poteri sindacali per controllare l'operato della Pag. 75giunta comunale e in particolare gli appalti pubblici che venivano aggiudicati dalle imprese rientranti nella sfera di influenza della consorteria.

La situazione amministrativa

  L'accesso al comune di Scalea è stato l'inevitabile conseguenza di quanto emerso dall'ordinanza di custodia cautelare eseguita il 12 luglio 2013 nell'ambito del procedimento cd. «Plinius». Sono stati sottoposti a custodia cautelare il sindaco della città, tre assessori (ambiente, protezione civile/arredo urbano, commercio), un consigliere di minoranza, tre dirigenti del comune tra i quali il responsabile del settore della Polizia locale del comune, due istruttori; al vice sindaco è stato applicato l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. I reati contestati spaziano dall'associazione di tipo mafioso, all'estorsione aggravata dal metodo o dalle finalità mafiose, dalla corruzione alla turbata libertà degli incanti, alla turbata libertà di scelta del contraente, alla tentata concussione, alla falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atto pubblico, all'istigazione alla corruzione, reati tutti aggravati ex articolo 7, legge 203/1991.
  La commissione di accesso ha esaminato la gestione dell'ente con particolare riguardo al rapporto tra gli amministratori e le locali cosche e all'intero contesto ambientale. Il comune di Scalea, come già evidenziato nella parte dedicata all'analisi dello stato dell'ordine pubblico, rientra in un territorio caratterizzato dalla pervasiva presenza di organizzazioni criminali dedite a narcotraffico, estorsioni, usura i cui appetiti criminali si sono proiettati sulla gestione della res pubblica e delle sue risorse. La commissione ha rilevato la presenza di una rete di amicizie e frequentazioni tra amministratori ed esponenti dei gruppi criminali del luogo o soggetti comunque contigui a tali gruppi, di radicati collegamenti tra la criminalità organizzata e i vertici dell'amministrazione comunale. L'esame di alcune procedure amministrative ha reso evidente come l'attività dell'ente si sia piegata a favorire persone e imprese collegate, in modo diretto o indiretto, con ambienti criminali determinando un vero e proprio sviamento dell'intera attività amministrativa dell'ente in funzione degli interessi e delle regole di ambienti criminali con grave danno per la collettività del luogo. Sono state rilevate forme di condizionamento nei confronti dell'amministrazione comunale e, ancor prima, delle competizioni elettorali da parte dei gruppi criminali del luogo. Secondo le fonti di prova esaminate dall'autorità giudiziaria, in occasione delle elezioni amministrative del 2010, è stata registrata una vera e propria attività di proselitismo a favore del candidato eletto sindaco, posta in essere con l'arma dell'intimidazione, da parte delle locali organizzazioni criminali. I gruppi criminali hanno ottenuto la presenza di propri candidati e di congiunti dei capi cosca nella lista civica a sostegno del futuro primo cittadino. I risultati elettorali hanno condizionato le scelte degli organi amministrativi orientate a consolidare la posizione delle cosche attraverso il controllo nelle istituzioni. L'apporto delle cosche, determinante per l'elezione del sindaco, ha fatto sì che l'attività della giunta comunale e, soprattutto, l'aggiudicazione degli appalti a imprese nella sfera di influenza delle consorterie, fossero Pag. 76condizionati dal potere sindacale. Gli amministratori destinatari del provvedimento cautelare non hanno in alcun modo contrastato il condizionamento operato dalle cosche favorendone, al contrario, gli interessi illeciti attraverso condotte di rilevanza penale. L'illegalità ha caratterizzato diversi settori dell'ente e la confusione amministrativa ha mascherato la disinvolta violazione di leggi e regolamenti a vantaggio di centri d'interessi illeciti radicati sul territorio. Il fenomeno si è manifestato con evidenza, in particolare, in tre procedure: la gara per l'affidamento del servizio raccolta rifiuti urbani; la concessione dei servizi di parcheggio a pagamento; la gara per la concessione di porzioni di terreno demaniale cd. «frangivento». Sono stati registrati ripetuti contatti tra amministratori ed esponenti della criminalità organizzata, un ruolo fattivo del sindaco e di un assessore nell'aggiudicazione della prima delle gare citate ad un'associazione temporanea di impresa (ATI), i cui rappresentanti si impegnavano a corrispondere a una cosca una somma di denaro in cambio dell'aggiudicazione dell'appalto. Illegalità e favoritismi nei confronti di soggetti legati a gruppi criminali hanno connotato la vicenda della concessione dei lotti di demanio marittimo denominati cd. «frangivento». Su questa vicenda si sono concentrati gli appetiti delle cosche che, non riuscendo a raggiungere un accordo spartitorio, avevano paralizzato l'attività dell'ente mentre i vertici del comune mediavano fra le cosche. Nel caso in esame l'ente, in prima battuta, aveva proceduto con affidamento diretto, poi, per l'intervento dell'opposizione, l'amministrazione era stata costretta a revocare la concessione e a bandire la gara, le cui condizioni sono risultate elaborate in modo da favorire una delle due cosche. Non solo. Per favorire l'altra organizzazione criminale attiva nel territorio del comune, l'amministrazione ha prorogato più volte i termini per la presentazione della domanda di assegnazione e ha concesso una porzione del terreno demaniale ad un soggetto riconducibile a questa organizzazione.
  Analoga compiacenza verso gli interessi illeciti delle cosche contrapposte ha caratterizzato la procedura di affidamento del servizio parcheggi.
  Scaduto il contratto, l'amministrazione ha affidato la gestione temporanea del servizio a una società cooperativa senza effettuare uno studio di settore per l'individuazione del canone. Gli atti di indagine hanno rivelato che il sindaco aveva coordinato la gestione della vicenda nell'interesse delle due organizzazioni criminali. È emerso che la cooperativa beneficiaria dell'affidamento era stata costituita appena prima dell'affidamento stesso ed era composta da un amministratore comunale e da un fiduciario della cosca criminale. Negligenze, illegittimità dei competenti uffici comunali sono stati rilevati con riguardo ai provvedimenti per l'istallazione e la posa in opera di manufatti provvisori su aree demaniali marittime; sugli stessi spazi sono stati realizzati manufatti abusivi ove sono state svolte attività commerciali senza autorizzazione. In molti casi si è accertato che i beneficiari delle aree erano gravati da pregiudizi penali, legati in via diretta o indiretta alle organizzazioni criminali. Analoga situazione è stata riscontrata per le occupazioni di suolo demaniale per il temporaneo esercizio di attività ricreativa. È stato accertato che i beneficiari di autorizzazioni a esercitare queste attività entro spazi Pag. 77circoscritti, gravati da pregiudizi penali e legati alle organizzazioni criminali, avevano occupato aeree demaniali di dimensioni superiori a quelle oggetto di concessione. Tali situazioni d'illegalità si sono protratte per anni fino all'insediamento del commissario straordinario nell'agosto del 2013 quando il comune ha – finalmente – diffidato gli occupanti a demolire le opere abusive ed a liberare le aree demaniali.
  Quanto emerso dall'indagine giudiziaria e da quella amministrativa ha portato a concludere per la sussistenza di elementi idonei a provare forme di condizionamento del procedimento di formazione della volontà degli organi comunali, la compromissione del buon andamento e dell'imparzialità di quell'amministrazione comunale a causa delle deviazioni nella conduzione di settori cruciali nella gestione dell'ente. Nella relazione (69) del Ministro dell'interno allegata al decreto di scioglimento dell'ente si legge: «Sebbene il processo di ripristino della legalità nell'attività del comune sia già iniziato da alcuni mesi attraverso la gestione provvisoria dell'ente affidata al commissario straordinario, ai sensi dell'articolo 141 del citato decreto legislativo n. 267/2000, in considerazione dei fatti suesposti e per garantire il completo affrancamento dalle influenze della criminalità, si ritiene, comunque, necessaria la nomina della commissione straordinaria di cui all'articolo 144 dello stesso decreto legislativo, anche per scongiurare il pericolo che la capacità pervasiva delle organizzazioni criminali possa di nuovo esprimersi in occasione delle prossime consultazioni amministrative. L'arco temporale più lungo previsto dalla vigente normativa per la gestione straordinaria consente anche l'avvio di iniziative e di interventi programmatori che, più incisivamente, favoriscono il risanamento dell'ente. Rilevato che, per le caratteristiche che lo configurano, il provvedimento dissolutorio previsto dall'articolo 143 del decreto legislativo citato, può intervenire finanche quando sia stato già disposto provvedimento per altra causa, differenziandosene per funzioni ed effetti, si propone l'adozione della misura di rigore nei confronti del comune di Scalea (Cosenza), con conseguente affidamento della gestione dell'ente locale ad una commissione straordinaria cui, in virtù dei successivi artt. 144 e 145, sono attribuite specifiche competenze e metodologie di intervento finalizzate a garantire, nel tempo, la rispondenza dell'azione amministrativa ai principi di legalità ed al recupero delle esigenze della collettività».
  Con sentenza del 1o aprile 2014, il GUP del tribunale di Catanzaro, all'esito del giudizio abbreviato, ha condannato – tra gli altri – due assessori della Giunta Basile, rispettivamente, a 7 anni e 8 mesi di reclusione e a 4 anni e 8 mesi di reclusione; uno dei promotori dell'associazione a 12 anni e 8 mesi di reclusione, sentenza confermata in appello con lievi riduzioni di pena per uno degli assessori e per il promotore.
  Inoltre, con sentenza del 3 settembre 2015, il tribunale di Paola ha condannato – tra gli altri – il sindaco di Scalea a 15 anni di reclusione e uno dei vertici dell'associazione mafiosa a 14 anni di reclusione. Sono stati, invece, assolti il vice sindaco e l'assessore al bilancio.

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Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione emerge una situazione di incandidabilità ai sensi dell'articolo 10 della legge Severino.
  Non è, invece, stato riscontrato alcun caso di sospensione ai sensi della stessa legge e non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  L'incandidabilità riguarda Bagnato Carmelo (lista «Per la Tua Città»), dal cui certificato del casellario giudiziale risulta una sentenza di condanna a due anni di reclusione per il reato di bancarotta fraudolenta (articolo 216, comma 1, n. 1, legge fallimentare). La sentenza, emessa dalla corte di appello di Perugia il 3 dicembre 2010, è divenuta irrevocabile il 19 aprile 2011.
  L'esame della documentazione ha evidenziato che risultano rapporti di parentela e/o affinità o frequentazione di alcuni candidati delle varie liste con persone destinatarie di ordinanza di custodia cautelare o imputate o, in qualche caso condannate con sentenza di primo grado nel procedimento «Plinius» per reati di criminalità organizzata in relazione alla ‘ndrina Valente-Stummo.

Liste ammesse
   1) Movimento 5 stelle.it
   2) lista civica «Per la tua città»
   3) lista civica «W Scalea»
   4) lista civica «Scalea»
   5) lista civica «Municipalità cittadinanza»
   6) lista civica «Pensiamo a Scalea».

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11. FINALE EMILIA

Regione Emilia Romagna
Provincia Modena
Popolazione 15.713 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune

  Il 15 e 16 maggio 2011 si sono svolte le elezioni per il rinnovo degli organi elettivi del comune.
  L'11 giugno 2015 il prefetto di Modena ha disposto l'insediamento di una commissione di accesso per accertare l'eventuale presenza di infiltrazioni della criminalità organizzata presso il comune.
  Il Ministro dell'interno, con provvedimento del 18 gennaio 2016, ha decretato la conclusione del procedimento senza disporre lo scioglimento del comune.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  La Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA), nell'ultima relazione annuale (70), ha evidenziato che la regione Emilia Romagna – fino a qualche anno fa esempio di buona amministrazione – ha subito una profonda trasformazione e attualmente si presenta come un territorio in cui vi è il rischio che si vada affermando una cultura mafiosa.
  Le indagini condotte negli ultimi anni dalla direzione distrettuale antimafia di Bologna hanno disvelato la presenza di un fenomeno criminale operativo in molte zone del territorio, una ‘ndrangheta insinuata in tutti i settori della vita economica e sociale, in grado di stringere rapporti sfruttando una fitta rete di relazioni con rappresentanti del mondo delle istituzioni, delle professioni e dell'imprenditoria.
  L'operazione «Aemilia», ultima in ordine temporale, ha dato conferma della pervicacia e dell'invasività del potere criminale di matrice ‘ndranghetista in Emilia Romagna, la cui espansione, al di là di ogni pessimistica previsione, si è spinta fino a coinvolgere diversi settori (soprattutto nell'edilizia, nel movimento terra, nello smaltimento dei rifiuti e nella gestione delle cave, nonché nei lavori di ricostruzione post terremoto del 2012, anche attraverso la compiacenza di imprese locali e di alcuni amministratori pubblici (71)) e fino ad interessare le province di Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza.
  Una presenza criminale – formatasi progressivamente in seguito al massiccio insediamento di abitanti della zona di Crotone, perfettamente integratisi nel nuovo contesto socio-economico – riferibile, Pag. 80pressoché esclusivamente, al potente sodalizio di Cutro facente capo a Grande Aracri Nicolino, attivo anche in territori della limitrofa Lombardia e del Veneto. Il sodalizio è apparso in grado di condizionare alcune amministrazioni locali, seppure di piccoli comuni, dove la criminalità di origine calabrese è riuscita a ottimizzare i suoi voti, creando le premesse per il controllo degli appalti e dei servizi pubblici (72).
  L'operazione Aemilia ha messo altresì in evidenza come la strategia di avvicinamento delle compagini mafiose con il mondo delle professioni e dell'imprenditoria si fondi sulla promessa di rilevanti e apprezzabili vantaggi economici che, in periodi di perdurante crisi economica, produce uno straordinario effetto persuasivo, soprattutto in un contesto ancora incapace di difendersi, minato alle sue radici e fortemente provato dalle difficoltà finanziarie e dalla carenza di investimenti.
  Per avere una dimensione del fenomeno, la DNAA ricorda che l'immissione nel circuito legale di denaro di provenienza illecita, il radicamento nel territorio di rappresentanti del sodalizio in «giacca e cravatta» e dotati di competenze professionali e manageriali, il sostegno di una parte della stampa locale, il colpevole silenzio delle istituzioni, preoccupate dalle conseguenze derivanti dalla diffusione di notizie sulle presenze mafiose nei territori amministrati, la forza di intimidazione propria del gruppo operante in Emilia, hanno determinato una vera e propria trasformazione sociale e del tessuto economico e imprenditoriale.
  Tutto ciò rischia di tradursi in una violenta alterazione delle regole del gioco, dei compensi, dei prezzi, della qualità dei servizi determinando una vera e propria aggressione all'ordine democratico, di cui non si può più non tener conto nelle valutazioni sulla presenza delle mafie nel territorio di questa regione.
  Inoltre il silenzio e l'omertà hanno caratterizzato l'atteggiamento della società civile, rallentando il formarsi di una piena consapevolezza della reale dimensione della presenza delle mafie nel territorio, compromettendo e rendendo più complessa una tempestiva ed efficace azione di contrasto. Non è un caso che all'elevato numero delle indagini svolte, confermate dalle prime sentenze di condanna che hanno riconosciuto l'operatività nella zona di gruppi criminali riconducibili alla ‘ndrangheta, non abbia fatto seguito un altrettanto apprezzabile numero di denunce da parte delle vittime.

Situazione amministrativa

  In conseguenza dei fatti emersi dall'indagine «Aemilia» – nel cui ambito era stato «tratto in arresto, tra gli altri, il responsabile del settore lavori pubblici del comune di Finale Emilia e che aveva evidenziato l'esistenza di rapporti di varia natura tra detto funzionario, Pag. 81il sindaco di Finale Emilia e il titolare di una ditta di costruzioni coinvolto nell'inchiesta, parimenti sottoposto a misura cautelare, nonché altre irregolarità nella gestione delle attività connesse alla ricostruzione successiva al terremoto del maggio 2012» (73) – il Ministro dell'interno, con decreto ministeriale 7 maggio 2015 (74), ha incaricato il prefetto di Modena di procedere all'accesso presso il comune per verificare l'eventuale sussistenza di forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata in quella amministrazione.
  Con provvedimento dell'11 giugno 2015, il prefetto di Modena ha costituito l'apposita commissione che, all'esito della attività svolta, ha rassegnato le proprie conclusioni depositando una dettagliata relazione (75) in cui ha evidenziato la presenza di ricorrenti situazioni che rendevano ragionevole concludere per la non impermeabilità dell'attività del comune a ingerenze e pressioni esterne della criminalità organizzata operante nel territorio.
  L'analisi compiuta, che ha preso avvio da una generale disamina dell'organizzazione e del funzionamento della macchina amministrativa, ha rilevato innanzitutto una carenza strutturale. Il comune, infatti, era rimasto privo, per ben quattro anni (dal 2011 ai primi mesi del 2015) e pur avendo una popolazione di oltre 15 mila abitanti, della figura del segretario generale, le cui funzioni erano state assegnate al responsabile del servizio contratti. E ciò proprio in un momento caratterizzato da una difficilissima situazione economico-finanziaria, resa più complessa dall'evento sismico che aveva colpito pesantemente il territorio dell'ente nel maggio del 2012.
  Era, quindi, venuta meno quella diversità di ruoli che, in un comune, appare essenziale per assicurare un efficace controllo della legittimità dell'azione amministrativa e per garantire il buon andamento complessivo e l'imparzialità. Invero, la coincidenza nello stesso soggetto delle funzioni di vice segretario generale e di responsabile del servizio contratti rendeva di per sé controllore e controllata la medesima persona in un settore che, soprattutto nella fase della ricostruzione, risultava particolarmente delicato. L'impropria situazione configurata nell'apparato amministrativo e gestionale del comune di Finale Emilia era apparsa alla commissione di indagine ancor più evidente in relazione alle modalità operative dell'ufficio lavori pubblici, ambiente, manutenzione ed energia, il cui responsabile, geom. Giulio Gerrini (76), era stato coinvolto nella vicenda giudiziaria «Aemilia» e in seguito condannato in data 22 aprile 2016, all'esito del giudizio abbreviato, dal GUP del tribunale di Reggio Emilia, alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione per il reato Pag. 82di abuso d'ufficio (non è stata ritenuta sussistente la contestata aggravante di cui all'art. 7 del decreto legge n. 152 del 1991, convertito dalla legge n. 203 del 1991, per aver favorito l'associazione mafiosa) (77).
  L'attività ispettiva, inoltre, aveva fatto emergere un contesto di diffusa illegalità e di sviamento dell'azione amministrativa riconducibile anche a una ricorrente ingerenza della compagine politica sull'operato degli organi amministrativi, come reso evidente dal caso dell'inserimento di poste illegittime all'interno del bilancio di previsione (i rimborsi assicurativi), dalla vicenda dell'emissione di un'ordinanza sindacale in relazione alla cessione del credito, ovvero da quanto accaduto nella gestione dell'ufficio lavori pubblici dopo il sisma.
  Nel quadro di generale disordine amministrativo è stata, inoltre, riscontrata l'inesistenza di 143 determine e di 39 delibere, assunte fittiziamente solo attraverso la protocollazione. Irregolarità queste che apparivano inserirsi per i commissari prefettizi in un quadro di frequentazioni e contiguità di alcuni amministratori e dipendenti con i titolari di ditte, vicine a noti clan mafiosi.
  Lo scenario complessivo emerso dalle attività di indagine, pur prescindendo dalle singole responsabilità, denotava per la commissione di indagine un quadro tale da poter legittimare l'adozione delle misure normativamente previste in un'ottica di prevenzione.
  Per come riferito dal prefetto di Modena (78), l'intera vicenda, e la documentata relazione rassegnata dalla Commissione ha formato oggetto di valutazione nel corso della riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica (integrato dal procuratore della Repubblica di Modena e dal procuratore della Repubblica di Bologna), conclusasi ritenendo la sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 143 TUEL per lo scioglimento del consiglio comunale di Finale Emilia.
  Il Ministro dell'interno, tuttavia, con provvedimento del 18 gennaio 2016 ha dichiarato concluso il procedimento avviato nei confronti del comune di Finale Emilia, ai sensi del comma 7 dell'articolo 143 TUEL, ritenendo che gli elementi emersi non presentassero la necessaria congruenza rispetto ai requisiti di concretezza, univocità e rilevanza necessari per disporre la misura dissolutoria (79). Tuttavia, tenuto conto che era, in ogni caso, emerso un contesto amministrativo caratterizzato da criticità evidenti tali da ritenere necessaria una riconduzione dell'attività comunale a più rigorosi canoni di legalità e trasparenza, il Ministro ha sottolineato, comunque, l'esigenza di mantenere alto il livello di attenzione per contrastate eventuali, possibili interferenze della criminalità organizzata nella vita dell'ente.
  In particolare, è stata evidenziata la necessità di promuovere: l'adozione di atti di indirizzo e programmazione generale nel settore Pag. 83dei lavori pubblici, dove sono state riscontrate le maggiori criticità; l'adozione delle regole fondamentali che attengono alle procedure di appalto; l'implementazione del sistema dei controlli interni; la predisposizione/aggiornamento di un albo delle ditte fiduciarie per l'affidamento dei servizi e dei lavori in economia.
  In ragione delle indicazioni impartite, il prefetto di Modena ha costituito un gruppo di supporto incaricato di garantire l'adozione di conseguenti iniziative da parte del comune rispetto ai punti indicati (80).
  Si segnala che, il 24 maggio 2016, il prefetto, riscontrata la mancata approvazione da parte della giunta comunale dello schema di rendiconto di gestione per l'anno 2015 e della conseguente impossibilità per il consiglio comunale di approvare tale documento entro i termini di legge, decorso il termine di 20 giorni assegnato per l'approvazione del rendiconto al bilancio dell'esercizio finanziario, ha dato corso alla procedura prevista dall'articolo 141, comma 2, TUEL, procedendo alla nomina di un commissario ad acta per la predisposizione del predetto rendiconto di gestione.

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  Oltre quanto rilevato dagli uffici elettorali, in base agli atti acquisiti dalla Commissione non emerge alcuna causa di incandidabilità e sospensione di diritto ai sensi degli artt. 10, 11 e 12 della legge Severino.
  Ugualmente, non sono state rilevate condizioni ostative alla candidatura in base al codice di autoregolamentazione approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014.
  Non emergono, inoltre, frequentazioni, rapporti amicali o di parentela dei candidati alle elezioni comunali con esponenti della criminalità organizzata.
  Dai controlli eseguiti è emerso che otto candidati su 113 risultano gravati da precedenti penali lievi o carichi pendenti per fatti non gravi e comunque qui non di rilievo.

Liste ammesse
   1) Lega Nord
   2) lista civica «Centro destra finalese» (81)
   3) Movimento 5 stelle.it
   4) Sinistra sinistra civica
   5) lista civica «Elena Terzi sindaco»
   6) Partito Democratico.

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12. BATTIPAGLIA

Regione Campania
Provincia Salerno
Popolazione 50.564 abitanti

Ultime elezioni che hanno interessato il comune di Battipaglia

  Il 6 e il 7 giugno 2009 i cittadini di Battipaglia si sono recati alle urne per le elezioni comunali ed è risultato eletto sindaco l'ex segretario comunale Giovanni Santomauro.
  Dopo che indagini della direzione distrettuale antimafia avevano visto il coinvolgimento del sindaco, con decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2013 veniva disposto l'accesso prefettizio presso il comune.
  Il successivo 19 giugno 2013, ai sensi dell'articolo 141 TUEL, il consiglio comunale di Battipaglia veniva sciolto a causa delle dimissioni rassegnate dalla maggioranza dei consiglieri e veniva nominato un commissario straordinario per la provvisoria gestione dell'amministrazione.
  Con decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2014, ai sensi dell'articolo 143 TUEL, la gestione del comune di Battipaglia è stata affidata – per la durata di diciotto mesi, poi prorogata per ulteriori sei – ad una commissione straordinaria.

Situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica

  Fino al 1929 Battipaglia era una frazione di Eboli; dopo avere conseguito l'autonomia amministrativa, il comune è diventato in pochi decenni la terza città per numero di abitanti della provincia.
  La sua rapida espansione avviene a partire dall'intensa attività di bonifica che aveva reso abitabili vaste zone prima paludose. Ma il suo sviluppo agricolo e industriale si avvia in maniera massiccia a partire dal secondo dopoguerra con l'affluire nella Piana del Sele e, a Battipaglia in particolare, di popolazione richiamata dai comuni collinari e montani vicini, dalla Basilicata e dall'agro nocerino-sarnese, per le opportunità fornite da una agricoltura intensiva, da attività di trasformazione di essa (in particolare latte, tabacco e zucchero), dalla posizione baricentrica tra nord e sud della Campania nei trasporti, grazie allo scalo ferroviario e poi agli snodi autostradali. Ha inciso moltissimo in questa rapida espansione la riforma agraria del dopoguerra che, grazie all'operato degli enti preposti, aveva cambiato la fisionomia dell'agricoltura della Piana; definitivamente debellata la malaria e realizzata una fitta rete di canali di irrigazione e di strade interpoderali, le tradizionali figure del bracciante e del colono avevano lasciato progressivamente spazio a quelle del coltivatore diretto o del piccolo imprenditore agricolo, soggetti impegnati nell'allevamento del bestiame (in particolare bufale) nelle colture specializzate e nella produzione ortofrutticola, sempre più richiesta dal mercato nazionale Pag. 85e internazionale. Era stata proprio la zona tra Pontecagnano e Battipaglia a trarre i maggiori benefici con il sorgere di alcune attività specializzate nei settori della produzione del tabacco, dell'alimentare, del tessile e del comparto meccanico. Il diffondersi di tali attività aveva contribuito anche allo sviluppo del settore terziario, soprattutto del commercio, e del settore edilizio, con una domanda di suolo edificabile sempre crescente
  L'incremento demografico è stato fortissimo tra il 1951 e il 1961, quando Battipaglia diventa anche polo di sviluppo industriale secondo le indicazioni della Cassa per il Mezzogiorno, tale incremento è continuato anche dopo il terremoto del 1980, quando le aree collinari a ridosso furono ampiamente colpite (e in parte distrutte) e spinsero una parte della popolazione verso le cittadine della pianura.
  Battipaglia si trova in un territorio dove non era radicata una storica presenza di malavita organizzata. Contrariamente all'agro nocerino-sarnese (il territorio a nord di Salerno, confinante con la provincia napoletana, di antica presenza camorristica), la Piana del Sele si colloca al di fuori dal recinto storico di quaranta chilometri attorno a Napoli in cui si è manifestata la camorra dall'inizio dell'Ottocento ad oggi. Solo a partire dal secondo dopoguerra la Piana del Sele è stata oggetto di mire espansionistiche dei clan dell'agro nocerino-sarnese e della zona vesuviana, e solo dopo gli anni Settanta del Novecento, di autonomi clan camorristici, che però si sono sviluppati più a sud verso Eboli e verso la zona agricola-turistica di Paestum. Il contesto economico e sociale specifico di Battipaglia non aveva prodotto fino a qualche decennio fa un'autonoma criminalità di tipo camorristico, limitandosi a registrare attività delinquenziali legate all'economia del vizio. Le principali azioni corruttive e penali erano state monopolio di imprenditori dell'edilizia e di tecnici ad essi legati.
  Si era registrata nel 1953 la scomparsa del sindaco Lorenzo Rago (il cui corpo non è stato mai ritrovato) ma quell'episodio era legato alla presenza in zona di intermediari violenti provenienti dall'agro nocerino-sarnese e dalla zona vesuviana, forse entrati in contrasto con le attività imprenditoriali del sindaco, cioè una presenza esterna senza un radicamento locale.
  Nei decenni successivi, invece, l'affluire continuo di popolazione ha fatto dell'edilizia un'attività primaria, trasformando gli imprenditori edili nella classe sociale più influente sulla vita amministrativa assieme ai tecnici (geometri, architetti e ingegneri), condizionandone le scelte, asservendo la politica locale e modellando gli uffici tecnici sui loro interessi. Fino a quando lo sviluppo agricolo e industriale è stato intenso e l'economia locale non dipendeva unicamente dallo sviluppo edilizio, il contenimento della malavita in un ruolo secondario e subalterno alla politica è stato possibile; quando poi la crisi dei settori produttivi si è fatta sentire, e il comparto edilizio ha svolto una funzione monopolistica sugli interessi dell'amministrazione comunale (assieme al comparto commerciale della grande distribuzione, arrivata a fare grandi investimenti proprio tra Battipaglia ed Eboli), allora non è stato più possibile lasciare ai margini o subalterni alla politica le forze criminali.
  Se nella prima fase nel circuito edilizio la presenza malavitosa si limitava a richieste estorsive, poi si è fatta più audace fino ad Pag. 86occupare un peso non secondario nell'attività imprenditoriale attorno ad essa, richiamando da altri territori numerose imprese ai confini tra il mondo economico e criminale.
  Il consiglio comunale di Battipaglia viene sciolto per infiltrazione camorristica nel 2014 dopo che era stato già commissariato a seguito delle dimissioni del sindaco Giovanni Santomauro, arrestato l'8 maggio 2013 per un'inchiesta della direzione distrettuale antimafia di Salerno, cd. operazione «Alma», che aveva coinvolto assessori, consiglieri comunali, diversi esponenti dell'ufficio tecnico comunale, amministratori di società miste e alcuni imprenditori. Tra le varie persone finite in carcere vi è anche Nicola Madonna, imprenditore ritenuto dagli investigatori contiguo al clan dei casalesi, in particolare a quello di Bidognetti. Il Madonna avrebbe ottenuto diversi appalti pubblici dal sindaco di Battipaglia attraverso una società di un prestanome, in quanto la sua ditta e quella del fratello erano state colpite da un provvedimento di interdizione antimafia da parte della prefettura di Caserta. Il coinvolgimento del sindaco Santomauro e dei funzionari comunali è da ricondurre all'ottenimento pilotato dei lavori: il primo avrebbe chiesto e ottenuto dall'imprenditore di Casal di Principe l'assunzione di alcuni operai sui cantieri minacciando di non autorizzare i pagamenti dei lavori già completati; i secondi avrebbero richiesto e ricevuto tangenti per sbloccare i pagamenti.
  A carico dei soggetti coinvolti nell'operazione «Alma» è stato emesso decreto che dispone il giudizio in data 22 maggio 2014. Il provvedimento riguarda in particolare l'ex sindaco, l'ex assessore ai lavori pubblici, il dirigente e alcuni funzionari dell'ufficio, insieme ad esponenti della criminalità organizzata, e le contestazioni di reato hanno ad oggetto condotte di abuso d'ufficio, turbata libertà degli incanti, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale e corruzione.
  A seguito dell'attività investigativa emergeva – in sede amministrativa – anche il coinvolgimento di altri consiglieri comunali, legati ad interessi economici che hanno interessato la ‘ndrangheta e la mafia tramite soggetti inseriti a pieno titolo in gruppi aziendali di livello nazionale e oggetto di indagini da parte della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo per contatti con il boss di cosa nostra, Matteo Messina Denaro.
  L'ex sindaco Giovanni Santomauro, inoltre, era stato per oltre venti anni segretario comunale della stessa città di Battipaglia dove nel 2009 veniva eletto sindaco, dopo che – anche grazie alla sua elevata preparazione ed esperienza nonché al credito di cui godeva presso gli ambienti giudiziari e della locale prefettura – aveva forgiato la macchina comunale al servizio degli interessi clientelari della politica e suoi personali.
  È il sindaco a mettersi in relazione con tre diversi fronti di presenza criminale, camorristica e mafiosa. In particolare:
   – tramite i rapporti intessuti nel comune di Casal di Principe, dove aveva svolto la funzione di commissario straordinario (nel periodo 1993-1997) per la liquidazione del dissesto, egli conosceva bene le ditte di quella zona che arrivano a partecipare ai numerosi appalti indetti dal comune di Battipaglia;Pag. 87
   – tramite le autorizzazioni commerciali stabiliva relazioni con un'importante azienda legata alla ‘ndrangheta e alla mafia di Messina Denaro;
   – tramite alcuni consiglieri comunali (ma anche direttamente) manteneva relazioni con esponenti di clan locali interessati ad assunzioni di loro membri in attività gestite dal comune o dalle sue società;
   – tramite i membri dell'ufficio tecnico, che controllava totalmente, proponeva un'opera di lottizzazione verso il mare, visto che gli spazi urbani erano quasi del tutto saturi, prevedendo la costruzione di 1.600 alloggi ai fini turistici e affidandone la ideazione all'architetto Alberto Francese, già assessore comunale e già presidente della commissione urbanistica del comune di Battipaglia.
  La nascita di numerose società in cui sono confluite le competenze comunali in settori di primaria importanza era stata pure occasione per coltivare interessi clientelari e criminali, come dimostrano, nel caso di Battipaglia, la società Alba e le altre che, per gemmazione, da essa nascono.

Situazione amministrativa

  Il 6 e il 7 giugno 2009 le elezioni comunali tenutesi a Battipaglia vedevano l'elezione a sindaco dell'ex segretario comunale Giovanni Santomauro.
  A seguito dell'esecuzione delle misure cautelari nell'ambito dell'operazione «Alma» della direzione distrettuale antimafia di Salerno, nella quale era coinvolto il sindaco Santomauro, il prefetto di Salerno, sulla base degli elementi informativi e documentali acquisiti, richiedeva ed otteneva dal Ministro dell'interno la delega per l'esercizio dei poteri di accesso e di accertamento di cui all'articolo 1, comma 4, decreto-legge n. 629 del 1982, convertito con legge n. 726 del 1982. È stato, di conseguenza, dato incarico all'apposita commissione prefettizia, sia di effettuare le necessarie verifiche tendenti a focalizzare la sussistenza di collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata ovvero di forme di condizionamento degli stessi tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi e da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'ente comunale, sia di accertare la sussistenza degli stessi elementi anche con riferimento al segretario comunale, ai dirigenti e ai dipendenti dell'ente stesso, nel rispetto del disposto dell'articolo 143 TUEL.
  L'attività veniva disposta con decreto del Presidente della Repubblica 28 maggio 2013 ma, il 19 giugno 2013, a seguito delle dimissioni dalla carica rassegnate dalla maggioranza dei consiglieri, il consiglio comunale di Battipaglia veniva sciolto ai sensi dell'articolo 141 TUEL e veniva nominato un commissario straordinario per la provvisoria gestione dell'amministrazione.
  Nella relazione del 9 gennaio 2014 del Ministro dell'interno al Presidente della Repubblica si evidenzia che nel comune di Battipaglia Pag. 88sono state riscontrate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata, in particolare nel settore tecnico, che hanno compromesso la libera determinazione e l'imparzialità degli organi eletti nelle consultazioni amministrative del 6 e 7 giugno 2009 nonché il buon andamento dell'amministrazione ed il funzionamento dei servizi.
  Secondo la relazione del Ministro, le interferenze che esponenti della malavita riuscivano a produrre sulla struttura comunale, condizionandone l'azione, avevano avuto origine nel corso di precedenti consiliature, ma erano proseguite, consolidandosi in quella in corso, all'atto dell'esecuzione della misura cautelare a carico di esponenti politici e di funzionari del comune.
  L'accesso ispettivo ha rilevato:
   – molte attività svolte nei vari settori dell'amministrazione locale non in linea con i principi di trasparenza e buon andamento dell'amministrazione, con una situazione di estrema confusione negli uffici che in sede di accesso si è rivelata utile per mascherare la gestione svincolata dal rispetto delle disposizioni di legge e di regolamento;
   – diverse violazioni di legge in diversi procedimenti amministrativi, istruttorie avviate e poi interrotte senza puntuale motivazione, procedimenti svolti da dirigenti non competenti «ratione materiae», condotte anomale finalizzate a favorire gli interessi di esponenti della locale criminalità organizzata;
   – procedure anomale e irregolari che avevano interessato gli affidamenti dei lavori pubblici, il settore urbanistico, la gara per l'affidamento del servizio di raccolta rifiuti urbani e per quello di rimozione veicoli, le azioni mirate al rilascio degli immobili di proprietà del comune abusivamente occupati;
   – ripetute illegittimità riscontrate nell'esecuzione del contratto per il completamento degli interventi presso la casa comunale, laddove, all'esito della procedura di gara di rilevante importo economico, la ditta affidataria dei lavori aveva effettuato delle sostanziali e ripetute cessioni d'appalto, vietate dalla normativa di settore, ad altre società tra le quali una ditta risultata positiva ai controlli antimafia;
   – sempre nell'ambito della procedura di appalto per gli interventi presso al casa comunale, la mancata acquisizione delle prescritte informazioni antimafia alla ditta che da ultimo ed effettivamente, aveva eseguito i lavori e della quale peraltro non era stato accertato il possesso dei requisiti attestanti la capacità economica e tecnica ad eseguire appalti pubblici;
   – il ruolo nelle suddetta procedura di appalto di un intermediario, contiguo ad ambienti controindicati, avente rapporti anche con società operanti nel settore degli appalti pubblici raggiunte da interdittive antimafia, di cui una di proprietà di uno stretto familiare;
   – la mancata, volontaria ed interessata, adozione dell'idonea e dovuta attività di vigilanza e controllo da parte degli amministratori e dei vertici burocratici dell'ente locale, nonostante il contesto ambientale fosse notoriamente caratterizzato da elevata presenza di esponenti della criminalità organizzata;Pag. 89
   – la gestione del ciclo dei rifiuti urbani per la quale l'amministrazione comunale si è avvalsa di una società partecipata il cui presidente ed amministratore unico era strettamente legato, per rapporti parentali, ad un esponente delle locali organizzazioni camorristiche. Tale società – gestita in virtù di un regolamento di giunta del 2010 che attribuisce poteri di controllo in capo ad organi esterni o politici in difformità da quanto previsto dal TUEL – in base ad un bando che prevedeva clausole limitative per i partecipanti non discendenti da alcun obbligo di legge, ha affidato servizi che doveva svolgere in proprio ad una cooperativa avente sede fuori provincia; per conto della cooperativa lavoravano tra l'altro, nella quasi totalità dei casi, soggetti non soci, tutti residenti a Battipaglia;
   – gravi irregolarità nell'affidamento del servizio rimozione veicoli sequestrati, affidato alla stessa società sin dal 2006, successivamente prorogato fino al 2012 e poi ancora prorogato nel 2013 a seguito di gara andata deserta, in deroga alla normativa vigente;
   – gravi carenze nel settore edilizio-urbanistico sotto il profilo della disciplina e della vigilanza, con ampia tolleranza dell'esteso fenomeno dell'abusivismo edilizio; particolarmente evidenti sono stati gli abusi consentiti ad un'azienda faunistico-venatoria riconducibile ad un noto esponente dell'organizzazione criminale, all'epoca latitante;
   – predisposizione attraverso organi non legittimati di un piano urbanistico che avrebbe dovuto trasformare zone sottoposte a vincoli paesaggistici in terreni edificabili, in favore della sopra ricordata azienda faunistica proprietaria degli appezzamenti interessati;
   – la riorganizzazione illegittima del riparto delle competenze all'interno dell'ufficio comunale per vanificare l'opera del dirigente delle politiche sociale che nel 2009 aveva avviato un'attività mirata alla regolarizzazione delle situazioni alloggiative negli immobili di proprietà del comune attraverso la formazione di graduatorie pubbliche e lo sgombero degli immobili abusivamente occupati da vari soggetti, molti dei quali legati alle locali organizzazioni camorristiche.
  Con decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile 2014 il consiglio comunale di Battipaglia è stato sciolto per infiltrazioni mafiose ed è stata nominata la commissione straordinaria per la gestione dell'ente nei successivi diciotto mesi.
  Nonostante il processo di ripristino della legalità nell'attività del comune fosse stato già iniziato da alcuni mesi con la gestione del commissario straordinario ai sensi dell'articolo 141 TUEL, il provvedimento si è reso necessario per la gravità dei fatti esposti e per la necessità di avviare ulteriori iniziative ed interventi programmatori che più incisivamente possono favorire il risanamento dell'ente.

Candidati alle elezioni comunali del 5 giugno 2016

  In base agli atti acquisiti dalla Commissione emergono sei condizioni di incandidabilità di cui all'articolo 10, comma 1, della Pag. 90legge Severino. In particolare si segnalano: Fasano Carmine (lista «Azione Civica») condannato in via definitiva con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (articolo 444 c.p.p.) per cessione illecita di stupefacenti (articolo 73, decreto Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) ad anni uno di reclusione e 3 mila euro di multa; Minniti Daniela (lista «Battipaglia popolare») condannata per bancarotta fraudolenta (articolo 216, legge fallimentare) a due anni di reclusione; Carrara Lucio (lista «Battipaglia con cuore») condannato in via definitiva con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (articolo 444 c.p.p.) per bancarotta fraudolenta continuata e aggravata (artt. 216, 219, legge fallimentare) a due anni di reclusione (pena rideterminata includendo la precedente condanna per il medesimo reato); Procida Francesco (lista «Speranza per Battipaglia») condannato in via definitiva per il delitto di riciclaggio (articolo 648 bis c.p.) alla pena di due anni e nove mesi di reclusione ed euro 1.450 di multa; per lo stesso candidato sussiste anche la condizione ostativa prevista dall'articolo 1 lett. f) del codice di autoregolamentazione della Commissione Antimafia; D'Apuzzo Bartolomeo (lista «Battipaglia a testa alta») dopo un precedente patteggiamento per rapina, condannato in via definitiva per cessione illecita di stupefacenti (articolo 73, decreto Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) a un anno e due mesi di reclusione e 3 mila euro di multa; Landi Demetrio (lista «Moderati per Battipaglia») condannato in via definitiva per cessione illecita di stupefacenti (articolo 73, decreto Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) a un anno e sei mesi di reclusione e 4 mila euro di multa e, nella medesima sentenza, condannato in via definitiva per violazione di domicilio (articolo 614 c.p.), lesioni dolose (articolo 582 c.p.) e tentata violenza privata (artt. 56, 610 c.p.) alla pena di due anni e due mesi di reclusione.
  Inoltre, si è rilevato che Del Percio Giuseppe (lista «Battipaglia-la città che verrà») è stato condannato in primo grado per violazione delle norme sugli stupefacenti (articolo 73, decreto Presidente della Repubblica n. 309 del 1990) alla pena di mesi 10 di reclusione e 3 mila euro di multa; sulla condanna pende appello. Se eletto, andrebbe sospeso di diritto ai sensi degli artt. 10, lett. a), e 11, lett. a), della legge Severino.
  La Commissione ha altresì rilevato, sulla base delle informazioni trasmesse, anche altre circostanze meritevoli di attenzione con riguardo a diversi altri candidati. In particolare non si può che evidenziare la situazione di uno di essi, che risulta condannato in primo grado con sentenza del 6 luglio 2012 alla pena di otto mesi di reclusione per i delitti di abuso di ufficio e di rivelazione di segreto di ufficio (artt. 323 e 326 c.p.); sentenza confermata in appello il 6 novembre 2014 e confermata anche dalla Corte di Cassazione solo per le statuizioni civili, essendosi frattanto il reato prescritto. Il venir meno della condanna penale fa pure venir meno ogni possibile ipotesi di sospensione o di incandidabilità ai sensi della legge Severino. Tuttavia, la vicenda giudiziaria segnala una condotta di un pubblico ufficiale che strumentalizzando le sue funzioni ha appreso informazioni riservate di natura investigativa per farle conoscere ad una persona a lui vicina.Pag. 91
  Infine, sono pervenute segnalazioni riguardanti ulteriori sei candidati, che hanno rapporti di parentela o di frequentazione con soggetti nel tempo a vario titolo coinvolti in indagini per fatti di criminalità organizzata e comunque in contatto con persone poi ristrette per vari reati e considerate pericolose tanto da essere sottoposte al regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario.

Liste ammesse
   1) lista civica «Battipaglia popolare»
   2) lista civica «Per un nuovo inizio»
   3) Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale
   4) lista civica «Tozzi sindaco»
   5) lista civica «Città connessa»
   6) lista civica «Azione civica»
   7) lista civica «Movimento cristiano»
   8) Noi con Salvini
   9) Rivoluzione cristiana
   10) lista civica «Con Cecilia Francese sindaco»
   11) lista civica «Etica x il buongoverno»
   12) Forza Italia
   13) lista civica «Battipaglia libera»
   14) lista civica «Battipaglia con cuore»
   15) lista civica «Motta sindaco»
   16) lista civica «Battipaglia a testa alta»
   17) lista civica «Speranza per Battipaglia»
   18) lista civica «Moderati per Battipaglia»
   19) lista civica «Movimento pro Battipaglia»
   20) Partito Democratico
   21) lista civica «La svolta con Lanaro sindaco»
   22) lista civica «Battipaglia la città che verrà».

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13. ROMA CAPITALE

Regione Lazio
Provincia Roma
Popolazione 2.617.175 abitanti

  Questa parte della relazione presenta un primo, corposo risultato del lavoro condotto dalla Commissione parlamentare antimafia sulla vicenda «mafia capitale». Avviata subito dopo l'esecuzione della prima ordinanza della procura di Roma che, nel dicembre del 2014, ha svelato l'esistenza dell'associazione mafiosa guidata da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, l'inchiesta parlamentare si è sviluppata, con una numerosa serie di audizioni, lungo due direttrici principali: acquisire tutti gli elementi di conoscenza sul grado di infiltrazione dell'organizzazione nei vertici dell'amministrazione capitolina e sulle modalità di condizionamento delle scelte; individuare il livello di compromissione e le responsabilità della politica, anche in relazione a eventuali carenze legislative e ambiguità delle norme vigenti riguardo al contrasto dei condizionamenti mafiosi.
  Il lavoro della commissione ha preso le mosse da una approfondita ricognizione degli atti giudiziari e delle risultanze dell'indagine «Mondo di mezzo». Dalla relazione è possibile cogliere le novità di un approccio investigativo che segna un'evidente discontinuità con il passato. Non c’è dubbio che, fino all'arrivo del procuratore Giuseppe Pignatone, anche nel palazzo di giustizia di Roma la «questione mafia» non era percepita nella sua effettiva portata. E si era faticato a riconoscere l'agire mafioso nel territorio romano e ad applicare il paradigma dell'articolo 416 bis, persino in casi eclatanti come quello della banda della Magliana.
  In sostanza si riteneva che le organizzazioni mafiose, in particolare quelle tradizionali, sfruttassero nella capitale soprattutto le opportunità offerte dalle innumerevoli attività economico finanziarie della città per ripulire i proventi dei traffici illeciti, mimetizzandosi nel tessuto produttivo sano. Una mafia imprenditrice e silente, che investiva grandi quantità di denaro sporco e non ricorreva alla violenza, per non attirare l'attenzione degli inquirenti e delle forze dell'ordine. Una mafia che diventava una presenza tollerata, con la quale si poteva, in fin dei conti, convivere in una logica per cui «a Roma c’è posto per tutti» e che non destava particolare allarme sociale, malgrado lo spaccio e il vorticoso traffico di droga e nonostante gli storici insediamenti mafiosi a Ostia.
  La procura di Roma ha scandagliato più in profondità e con più attenzione questa realtà. È stato così possibile ricostruire i nessi tra persone, contesti e fatti solo in apparenza tra loro scollegati. Ne è emersa la fotografia coerente della natura mafiosa, ancorché «originaria» e «originale», dell'organizzazione guidata da Carminati e Buzzi.
  La Corte di Cassazione, con la sentenza del 10 aprile 2015, ha riconosciuto l'impianto accusatorio della direzione distrettuale antimafia circa l'esistenza del metodo mafioso nell'agire del gruppo Pag. 93criminale nelle spregiudicate modalità con cui Carminati e Buzzi si relazionavano con gli imprenditori, le istituzioni pubbliche e la politica. Modalità che, nella relazione, sono ulteriormente scandagliate grazie alle valutazioni rese in commissione dagli inquirenti, dai funzionari pubblici, dai responsabili politici, dai rappresentanti delle imprese, del mondo della cooperazione e dell'associazionismo.
  Al di là degli esiti dei procedimenti penali in corso, la Commissione ritiene che l'indagine su mafia capitale non abbia solamente neutralizzato il gruppo criminale infiltrato con la giunta Alemanno nei gangli dell'amministrazione capitolina, ma abbia anche offerto un contributo prezioso ad una presa di coscienza più diffusa e consapevole sull'evoluzione delle mafie nel nostro paese.
  Le indagini della procura di Roma fanno emergere le responsabilità complessive delle classi dirigenti della capitale che fino all'intervento della magistratura non hanno dimostrato consapevolezza del fenomeno. Non a caso, nel corso dei suoi lavori, la Commissione ha prestato un'attenzione particolare a questo profilo e alle determinazioni assunte dei poteri pubblici alla luce di quanto andava emergendo.
  In questa relazione ampio spazio è dedicato agli accertamenti amministrativi e alle conclusioni della commissione d'accesso presieduta dal prefetto Marilisa Magno.
  La complessa ricognizione si era limitata ai quei settori nei quali, alla luce dell'indagine «Mondo di mezzo», era risultato più marcato ed evidente il pesante condizionamento dell'organizzazione mafiosa. Settori tutt'altro che marginali. Si trattava infatti dei dipartimenti in cui si concentrano le scelte in materia di politiche sociali, assistenziali e abitative; della società partecipata AMA, che gestisce la raccolta dei rifiuti nella capitale; e del municipio di Ostia, il più grande e popoloso della città.
  La commissione Magno delineava un quadro preoccupante di diffusa irregolarità e violazione delle norme e delle procedure in materia di appalti, di grave inadeguatezza dei controlli, di collusioni e contiguità con Salvatore Buzzi, alter ego di Carminati nei rapporti con l'amministrazione capitolina. È noto, perché la relazione Magno è stata successivamente resa pubblica, che la proposta di scioglimento per infiltrazione mafiosa del comune, ai sensi dell'articolo 143 TUEL, avanzata dalla commissione d'accesso non veniva pienamente accolta dal nuovo prefetto di Roma, che nella sua relazione al Ministro dell'interno, rimarcava e sottolineava la «discontinuità» operata della giunta Marino rispetto al passato ma soprattutto non si ravvisava tra i requisiti quello della univocità (82).
  In effetti il Governo, alla fine di agosto, decideva di applicare la misura dello scioglimento solamente al municipio di Ostia ma senza per questo assolvere del tutto l'amministrazione comunale in carica, che veniva affiancata dal prefetto di Roma nella necessaria azione di recupero dei settori più compromessi.
  Una soluzione che, in una certa misura, riecheggiava la proposta formulata dalla presidente Bindi nelle comunicazioni su «mafia capitale» del 22 luglio 2015, mentre si era ancora in attesa di conoscere le determinazioni del governo.Pag. 94
  In quella occasione, la presidente della commissione parlamentare antimafia denunciava l'inadeguatezza della legislazione sullo scioglimento per mafia degli enti locali e le criticità emerse nell'applicazione dell'articolo 143 TUEL già nei comuni di medie dimensioni. Di fronte alla complessa situazione della Capitale, l'alternativa sciogliere o non sciogliere appariva inadeguata e non risolutiva mentre sarebbe stato più utile ed efficace offrire una risposta innovativa, con un provvedimento ad hoc che superasse la normativa vigente delineando una sorta di amministrazione controllata. Una «terza via» tra la misura dissolutoria estrema e il rischio di un nulla di fatto.
  Su questa proposta della presidente e ampiamente condivisa dalla maggioranza della Commissione, si è registrata la contrarietà del Movimento 5 stelle che ha sempre ritenuto necessario lo scioglimento del comune di Roma perché avrebbe consentito ai commissari di fare maggiore chiarezza sulla macchina amministrativa, permettendo alle amministrazioni successive di trovare una situazione diversa.
  L'esigenza di una profonda revisione delle norme sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiose è nuovamente ribadita nelle conclusioni di questa relazione, dove si prende positivamente atto del disegno di legge del Governo depositato al Senato (A.S. 1687) e sul quale la Commissione si riserva di presentare ulteriori proposte migliorative.
  In questa fase viene precisata e sviluppata l'ipotesi della terza via, come un intervento autonomo da applicare nei casi in cui non sia stato possibile riscontrare il condizionamento mafioso ma siano comunque emerse situazioni opache o di criticità che l'amministrazione non è in grado, per debolezza strutturale, di affrontare da sola. Una forma di affiancamento che non priva i cittadini della guida politica, non azzera l'autonomia e le responsabilità di chi è stato eletto ma le accompagna in un percorso di ripristino della legalità che investa in modo particolare la burocrazia che proprio a Roma si è dimostrata tanto fragile e permeabile alla corruzione.
  Con questa proposta non si vuole certo evitare l'ipotesi di scioglimento nei casi in cui si accertino situazioni di condizionamento, così come già previste dalla legislazione vigente, bensì intervenire in quelle situazioni grigie ove oggi non vi è altra alternativa al non scioglimento. Del resto occorre prendere consapevolezza che le mafie sempre più oggi sono particolarmente abili a non far apparire in modo conclamato la loro presenza, proprio sfruttando le criticità della legge.
  Con la proposta di una terza via, si vuole colmare questa lacuna per evitare che il non scioglimento si traduca in una assoluzione di situazioni compromesse.
  Si tratta di uno dei nodi che la Commissione ritiene debbano essere affrontati e risolti anche alla luce delle difficoltà subito emerse nella fase di risanamento amministrativo di Roma Capitale, così come avviata dal gruppo di supporto del prefetto Gabrielli. Ma anche senza la fine anticipata della giunta Marino, il tutoraggio dell'amministrazione deciso dal governo senza poteri specifici al prefetto, difficilmente avrebbe dato i suoi frutti.
  L'inchiesta parlamentare ha comunque registrato le prime immediate reazioni delle istituzioni della politica e del mondo della Pag. 95cooperazione, che questa relazione documenta attraverso alcune significative testimonianze.
  Il lavoro proseguirà con ulteriori audizioni che permettano di completare la fase di ascolto delle forze politiche e delle realtà sociali ed economiche della città.
  Ma fin d'ora, e anche alla luce del monitoraggio di questa campagna elettorale, è possibile dare atto di una maggior consapevolezza dei rischi, del bisogno di ricostruire comunità politiche davvero partecipate e coinvolte in modo costante nella vita della città, della necessità di rafforzare la trasparenza e il rigore nella pubblica amministrazione e in materia di finanziamento della politica.
  È evidente, infatti, che la disinvoltura con cui Buzzi finanziava sia la destra che la sinistra, anche quando ciò non costituiva una violazione della legge perché i fondi erano regolarmente dichiarati, ha messo in luce un intreccio tra politica, impresa cooperativa e pubblica amministrazione che alimenta la corruzione, droga la competizione politica e altera le regole del mercato. Senza considerare il cinismo con cui si è lucrato sulle fragilità più evidenti del nostro tempo.
  Questa Commissione non mancherà di dare un contributo con proposte di riforma tese a impedire ogni forma di complicità e conflitto d'interessi, sia nelle regole del mondo della cooperazione che in quelle del finanziamento della politica, a partire dal divieto alle imprese di finanziare esponenti politici delle amministrazioni con cui ci sono interessi economici o si partecipa a gare d'appalto.

13.1 – L'accertamento giudiziario dell'esistenza dell'associazione mafiosa mafia capitale e della sua infiltrazione nel comune di Roma

  La presenza di organizzazioni criminali di tipo mafioso a Roma, a differenza di quanto avvenuto in altre città italiane, non ha mai suscitato un particolare allarme sociale.
  La «questione mafia», infatti, non si è rivelata esaustiva della variegata «questione criminale» romana che abbraccia fenomeni altrettanto gravi, compresi quelli dell'eversione e del terrorismo.
  Del resto, si è sempre sostenuto che le associazioni di tipo mafioso radicate sul territorio – siano esse proiezioni di organizzazioni tradizionali (soprattutto ‘ndrangheta e camorra) o gruppi autoctoni – non sovrastassero la città. Infatti, dopo la banda della Magliana, nessuna aggregazione criminale era riuscita ad esercitare particolare egemonia. In un contesto così vasto e caratterizzato dall'insediamento di plurime attività imprenditoriali, le mafie, dunque, non hanno potuto trovare un habitat sociale che consentisse loro di insediarsi in modo capillare attuando un rigido controllo del territorio ed esercitando una sistematica pressione estorsiva sul commercio.
  E si è anche ritenuto – per i numerosi provvedimenti di sequestro e di confisca che hanno colpito i patrimoni di esponenti mafiosi che si erano impadroniti persino dei locali storici della città (83) – che il Pag. 96prevalente interesse coltivato dalle mafie romane (specie le «tradizionali») fosse quello del riciclaggio, collegato, appunto, all'esistenza a Roma di una pluralità di esercizi commerciali, di società finanziarie, di enti di intermediazione, di immobili di pregio, e alla conseguente possibilità di mimetizzare gli investimenti più che in altre località meridionali. Un'imprenditorialità mafiosa, dunque, che, pur affondando le radici nei capitali di provenienza delittuosa, si insinuava placidamente nella società, quasi ignara, così confondendosi con il tessuto economico sano del Paese, con il quale convive.
  Ancora, si è constatato che l'ampiezza e la rilevanza delle risorse produttive dell'ambiente romano, dove vi è spazio per tutti, ha permesso la coesistenza pacifica di più organizzazioni criminali che, pertanto, non hanno avuto la necessità di perseguire mire monopolistiche e di ricorrere a sistematici atti sopraffattivi contro gli antagonisti, lasciando il territorio sostanzialmente immune da manifeste attività delittuose. Anzi, secondo le indagini della direzione distrettuale antimafia di Roma, era anche emerso che le varie entità criminali avevano stipulato un patto di non belligeranza per evitare che, in caso di insorgenza di contrasti, i dissidi potessero degenerare in eclatanti guerre tra rivali, con il rischio di attirare l'attenzione degli inquirenti e di minare il clima di indisturbata serenità in cui da tempo operavano.
  Da questa situazione di apparente ordine sociale è conseguita, specie in un passato non tanto remoto, la negazione del fenomeno della penetrazione mafiosa nel territorio romano; negazione che, anche in sede giudiziaria, ha trovato la sua eco. La giurisprudenza, infatti, ha stentato a ricondurre talune organizzazioni autoctone, scollegate dalle mafie tradizionali ma egualmente caratterizzate dall'agire con il metodo mafioso, nel paradigma dell'articolo 416 bis c.p. Il caso più eclatante è costituito dalla banda della Magliana, nota per i crimini efferati commessi nella Capitale negli anni ‘80, i cui relativi processi si sono conclusi con esiti opposti (solo nel rito abbreviato si è affermata la sussistenza del delitto di associazione mafiosa, ma non anche nel rito ordinario) così confermando la difficoltà, anche culturale, di applicare la fattispecie di cui all'articolo 416 bis del c.p. fuori dalle regioni meridionali.
  Ma anche per le aggregazioni criminali che si sono insediate a Roma come proiezioni delle mafie tradizionali, si è assistito ad analoghe ritrosie dei tribunali laziali a causa del diverso modo di atteggiarsi di tali associazioni nel territorio capitolino rispetto ai modelli comportamentali adottati nelle località di origine. Solo le pronunce più recenti della Corte di Cassazione sulla cosiddetta «mafia delocalizzata», hanno elaborato il concetto di mafia silente, riconoscendo che, al di fuori dei contesti natali, essa può operare senza manifestazioni di intimidazione ma comunque avvalendosi, grazie al collegamento con la casa madre, della fama criminale originaria ormai diffusa oltre i confini regionali e finanche nazionali.
  Orbene, se le indagini svolte negli anni passati, come sintetizzate nelle periodiche relazioni della Direzione Nazionale Antimafia e della Direzione Investigativa Antimafia, hanno fotografato una mafia apparentemente non violenta, interessata ad infiltrarsi e a mimetizzarsi nel tessuto imprenditoriale romano, se la stessa giurisprudenza ha Pag. 97faticato ad applicare l'articolo 416 bis del codice penale ad organizzazioni operanti fuori dai limiti meridionali, se la città di Roma, dal proprio canto, non si è imbattuta in un territorio insanguinato e manifestamente vessato, inevitabilmente, le associazioni mafiose non hanno rappresentato per la collettività un motivo di preoccupazione.
  Nessun allarme si era diffuso nemmeno quando un giornalista de L'Espresso, il 12 dicembre del 2012, pubblicava l'articolo «I quattro re di Roma» in cui venivano indicati i capi che si erano spartiti il controllo della Capitale, tra i quali Massimo Carminati, un criminale proveniente dall'estremismo fascista la cui «influenza si è moltiplicata dopo l'arrivo al campidoglio di Gianni Alemanno, che ha insediato nelle municipalizzate, come manager o consulenti, molti di quella stagione di piombo». L'unico effetto concreto della notizia era invece, come si saprà più tardi, la gratificazione dello stesso Carminati per quel pubblico riconoscimento che ne rafforzava la fama delinquenziale (sul lavoro nostro, sono pure cose buone) (84) Neppure l'articolo successivo del 9 settembre 2014 sullo stesso settimanale, intitolato «I fasciomafiosi alla conquista di Roma», impensieriva particolarmente, anche se trattava ancora del potere di Carminati ed evidenziava che la Capitale «non è una città, ma un intreccio di traffici e intrallazzi, delitti e truffe, su cui si è imposta una cupola nera. Invisibile ma potentissima, ha preso il controllo di Roma. Trasformando la metropoli nel laboratorio di una nuova forma di mafia, comandata da estremisti di destra di due generazioni. Al vertice ci sono vecchi nomi, veterani degli anni di piombo, abituati a trattare con le istituzioni e con i padrini, abili a muoversi nel palazzo e sulla strada».
  Eppure, la mattina del 2 dicembre 2014 si apprendeva che un gruppo criminale mafioso, denominato convenzionalmente «Mafia capitale», si era persino « insediato nei gangli dell'amministrazione della capitale d'Italia (..) sostituendosi agli organi istituzionali nella preparazione e nell'assunzione delle scelte proprie dell'azione amministrativa» (85), così demolendo, d'un tratto, quella sorta di generalizzata tranquillità su cui fino ad allora ci si era adagiati.
  In particolare, quel giorno si era data esecuzione ad una prima ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa il 28 novembre 2014 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma su richiesta della locale direzione distrettuale antimafia, nei confronti di 37 indagati (29 in carcere, 8 agli arresti domiciliari). A 18 di loro veniva contestato il delitto di associazione mafiosa la cui peculiarità era costituita dal fatto che l'organizzazione, avvalendosi dell'interazione del metodo mafioso con quello corruttivo, era riuscita ad infiltrarsi nel comune di Roma condizionandone le determinazioni nei settori cruciali dell'amministrazione. E, di conseguenza, venivano contestati a diversi degli indagati, come reati satellite della fattispecie associativa, oltre ai delitti di usura, estorsione, intestazione fittizia di beni ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, anche altri reati contro la pubblica amministrazione, quali la corruzione e la turbativa d'asta, spesso aggravati dall'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991 poiché posti in essere con la finalità di agevolare Pag. 98l'associazione mafiosa ovvero avvalendosi della forza di intimidazione tipica di tale sodalizio. Contestualmente, si sequestravano, su richiesta della procura di Roma e con decreto del tribunale per le misure di prevenzione, beni per un valore complessivo superiore a 220 milioni di euro.
  A distanza di qualche mese, le indagini consentivano di delineare ulteriormente l'operatività di quella associazione criminale con l'individuazione di un altro sodale non raggiunto dalla misura del 28 novembre 2014, e con la ricostruzione di altri episodi di corruzione e di turbativa d'asta, alcuni dei quali ancora aggravati dal citato articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991. Pertanto, il 29 maggio 2015, il giudice per le indagini preliminari di Roma emetteva, per tali altri delitti, una nuova ordinanza di applicazione di misure cautelari personali a 44 indagati (dodici dei quali già detenuti per l'ordinanza precedente), mentre la sezione misure di prevenzione del tribunale di Roma disponeva il sequestro di altri beni per circa 140 milioni di euro (per un totale complessivo, quindi, di circa 360 milioni di euro).
  Dalla lettura dei provvedimenti giudiziari e dalle informative del R.O.S., l'organizzazione mafiosa delineata dalle indagini – chiamata dagli investigatori, per comodità terminologica, «Mafia capitale» e facente capo proprio a Massimo Carminati – si presentava come la più alta espressione del cambiamento della criminalità organizzata che, parallelamente all'evoluzione dei tempi e alla sempre più complessa realtà economico-finanziaria, aveva affinato i metodi di penetrazione nella società, diventando particolarmente insidiosa sia per gli obiettivi perseguiti e conseguiti sia per le modalità di assoggettamento sempre meno esplicite. Alla violenza esteriorizzata si era, cioè, sostituita la tacita sopraffazione-collusione imprenditoriale e la permeazione del sistema burocratico e politico così da rendere invisibile e inafferrabile l'azione del sodalizio il quale, in maniera inversamente proporzionale, si era assicurato ingenti e più facili profitti direttamente dalla res publica.
  «Mafia capitale», dunque, appariva assimilabile alle mafie tradizionali perché, come queste, si avvaleva della forza di intimidazione derivante dal vincolo di appartenenza. Per molti altri versi, invece, l'associazione, definita originaria, cioè propria del territorio romano, e originale, cioè dotata di connotazioni particolari, generate dal combinarsi di fattori criminali, istituzionali, storici e culturali propri della realtà capitolina, rilevava un profilo differente, nuovo e parimenti preoccupante.
  In particolare, «Mafia capitale» rappresentava il punto d'arrivo della trasformazione di organizzazioni criminali romane (che avevano preso le mosse dall'eversione nera, anche nei suoi collegamenti con apparati istituzionali, e che si era evoluta, in alcune sue componenti, nel fenomeno criminale della banda della Magliana) e, pertanto, fruiva, ai fini del ricorso al metodo mafioso, di una «accumulazione originaria criminale»(86) rafforzata dal prestigio, altrettanto criminale, del suo capo, Massimo Carminati. La militanza in movimenti eversivi di estrema destra, la contiguità con la banda della Magliana, la rete di relazioni intessute con gli ambienti più diversi, il coinvolgimento Pag. 99in vicende processuali di estrema gravità (quali il depistaggio per la strage di Bologna, l'omicidio di Mino Pecorelli, il rinvenimento delle armi nei sotterranei del Ministero della salute) da cui era stato assolto (riportando la mite condanna solo per il clamoroso furto al caveau della banca sita nella cittadella giudiziaria), la storia personale raccontata dai mezzi di comunicazione che ne evidenziavano la caratura delinquenziale con compiacimento dello stesso protagonista, avevano consolidato la fama di Massimo Carminati e accresciuto il mito della sua impunità.
  Inoltre, «Mafia capitale» si era saputa dotare di un modello organizzativo compatibile con la realtà romana. Sul piano strutturale, infatti, aveva inglobato soggetti di diversa provenienza (delinquenti di strada, imprenditori, pubblici funzionari) destinati ad operare su due fronti solo formalmente distinti ma strettamente interconnessi in quanto tutti funzionali, in ultima analisi, all'infiltrazione nella pubblica amministrazione come settore economico di elezione del sodalizio.
  Il primo fronte era quello squisitamente criminale, rivolto alla cura delle tradizionali attività lucrative dell'usura, delle estorsioni, del recupero crediti, del traffico di stupefacenti e di armi, governato con metodi violenti, e attraverso cui si rafforzava il potere economico e di intimidazione dell'associazione e si manteneva un rapporto paritetico con le altre organizzazioni criminali del territorio. L'altro fronte era, invece, quello imprenditoriale/istituzionale, costituito da una schiera di imprenditori che, cooptati nell'associazione, sfruttavano l'opportunità di ottenere appalti sicuri, senza doversi confrontare con la concorrenza. Fronte questo in cui si privilegiava lo strumento della corruzione rispetto a quello dell'intimidazione che rimaneva però sullo sfondo come extrema ratio.
  L'elemento di raccordo tra i due fronti era costituito dall'alleanza trasversale tra Massimo Carminati, proveniente dalle file dell'estrema destra, e Salvatore Buzzi (87), proveniente dall'estremo opposto. Quest'ultimo, a capo di un importante gruppo di cooperative con oltre 1.300 soci (in realtà dipendenti), da anni forniva una pluralità di servizi all'amministrazione comunale nei settori delle pulizie, della manutenzione del verde pubblico, dei rifiuti e, soprattutto, del sociale, e già, grazie ai suoi appoggi politici e all'abituale metodica corruttiva, aveva conquistato ampi margini di fiducia nell'amministrazione comunale. Le cooperative, le conoscenze, l'esperienza e la «faccia ripulita» di Buzzi, dunque, sommate al prestigio criminale di Carminati e ai suoi storici legami con esponenti dell'estrema destra romana divenuti negli anni importanti personaggi politici o amministratori pubblici, consentivano effetti altrimenti non raggiungibili, tant’è che il fatturato del gruppo era riuscito a lievitare incredibilmente nell'arco di soli tre anni. Ma il risultato più preoccupante era però il c.d. «mondo di mezzo». Buzzi, formalmente legittimato, per la sua attività, a confrontarsi con pubblici funzionari ed esponenti Pag. 100politici, finiva per essere il tramite attraverso cui il sovramondo, costituito da colletti bianchi, imprenditoria e istituzioni, e il sottomondo di Carminati, costituito da batterie di rapinatori, da trafficanti di droga e di armi, riuscivano ad incontrarsi nel mondo di mezzo. Tale ultima espressione – mondo di mezzo – che ha dato il nome all'indagine su «Mafia capitale», era stata utilizzata proprio da Carminati (88) per sintetizzare, appunto, il particolare ambito in cui agiva il sodalizio, cioè un'area di confine in cui si componevano gli interessi illeciti dei due mondi solo apparentemente opposti e distanti: «è la teoria del mondo di mezzo compà, ci stanno, come si dice, i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo (..) ci sta un mondo in mezzo in cui tutti si incontrano e dici «cazzo come è possibile.. ?» (..) il mondo di mezzo è quello invece dove tutto si incontra, le persone di un certo tipo, di qualunque cosa, si incontrano tutti là.: (..) nel mezzo, anche la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno, e tutto si mischia». È proprio in questo mondo di mezzo che operavano parti politiche di ogni schieramento perché «la politica è una cosa, gli affari so affari !» (89) ed è qui che ottenevano l'elargizione di somme di denaro (90) e, sinallagmaticamente, assoggettavano le pubbliche funzioni al soddisfacimento degli interessi dell'associazione  (91).
  L'accoppiata Carminati-Buzzi, favorita dalla desolante permeabilità del panorama politico amministrativo, aveva pertanto consentito di veicolare «la forza di intimidazione dell'associazione (..) all'interno dei meccanismi di funzionamento propri del mondo imprenditoriale e della pubblica amministrazione, alterando, da un lato, i principi di legalità, imparzialità e trasparenza nell'azione amministrativa e, dall'altro lato, quelli della libertà di iniziativa economica e di concorrenza».(92) Ed era riuscita ad accumulare ciò che gli inquirenti chiamano un capitale istituzionale, consistente in un articolato sistema di relazioni corruttive che coinvolgeva i vertici delle istituzioni locali, grazie al quale l'organizzazione otteneva, per le imprese da essa controllate (società cooperative sociali, ditte operanti nel movimento terra e nello smaltimento dei rifiuti), affidamenti particolarmente Pag. 101redditizi dal comune di Roma (tra cui quelli relativi all'accoglienza degli stranieri e dei minori non accompagnati e cioè il settore in cui, secondo Buzzi «si guadagna più che con la droga», degli appalti nella raccolta dei rifiuti, della manutenzione del verde pubblico); si assicurava lo sblocco di fondi destinati alle proprie cooperative sociali sino ad interferire sulla programmazione del bilancio di Roma; orientava l'assegnazione dei flussi di immigrati verso le proprie strutture; condizionava profondamente il contesto politico ed amministrativo romano, determinando, la nomina di personaggi graditi in posizioni strategiche e, parallelamente, l'allontanamento e la sostituzione da tali ruoli di quanti non si dimostravano sensibili alle esigenze del sodalizio.
  La capacità criminale di «Mafia capitale» e la correlata fragilità della macchina politico-amministrativa capitolina emergevano ancora più evidenti dalla circostanza secondo cui l'associazione era riuscita a raggiungere i suoi obiettivi con entrambe le due ultime giunte capitoline, espressioni di forze politiche contrapposte, che si erano succedute nel corso dei due anni in cui erano state espletate le indagini.
  Con la giunta guidata da Gianni Alemanno, allora indagato nel medesimo procedimento per il reato di cui all'articolo 416 bis del codice penale, si registrava l'esplosione del fatturato delle cooperative di Buzzi, la nomina di alcuni dei partecipi all'associazione mafiosa  (93) o di persone ad essa gradite (94) al vertice di società partecipate dal comune, il dialogo di Carminati, in posizione sovraordinata, e il più stretto collaboratore del Sindaco al fine di risolvere i problemi delle cooperative di Buzzi. Così come si registrava la sicurezza ostentata dall'associazione di Carminati circa la disponibilità di Gianni Alemanno, allora sindaco di Roma, ad assecondare le loro esigenze (Buzzi: «guarda, tra tutti quelli che ci stanno a da’ una mano il migliore è Alemanno, quello oggi mi ha ritelefonato la segreteria di Alemanno»(95); ovvero: al ballottaggio voteremmo Alemanno, perché a noi ce conviene Alemanno...per il rapporto che c’è..(96); oppure: se vinceva Alemanno ce l'avevamo tutti comprati(97); o ancora: «se aveva vinto Alemanno stavamo a cavallo... Perché con Marino siamo andati al sindaco ostile» (98)).
  Ma anche dopo il cambiamento di maggioranza che portava Ignazio Marino e la sua giunta a governare la città, la sinergia e il lavoro di squadra dell'associazione proseguivano egualmente sulla linea già tracciata. Vero è che la mancata elezione di Alemanno costringeva la consorteria a ricercare da capo i giusti appoggi, sia con tecniche allettanti (99), sia, se occorreva, con metodi intimidatori (100); Pag. 102ma è altrettanto vero che Buzzi e il mondo delle cooperative che ruotava attorno a lui, continuavano egualmente ad ottenere il medesimo trattamento privilegiato da parte dell'amministrazione e della burocrazia comunale, e ciò nonostante il nuovo Sindaco avesse cambiato anche i collaboratori posti ai vertici delle società partecipate.
  L'ambizioso disegno criminale di mafia capitale non si fermava sulle soglie del Campidoglio ma, nelle mire espansionistiche, puntava verso l'amministrazione di comuni limitrofi, come Sacrofano, Morlupo, Sant'Oreste, e Castelnuovo di Porto, fino ad arrivare alla Regione Lazio. Emblematica, a tale ultimo proposito, era la vicenda della gara per l'aggiudicazione dei servizi relativi al centro unico prenotazioni (C.U.P.) dal valore di circa 60 milioni di euro in cui, secondo le risultanze investigative, Luca Gramazio, capogruppo dell'opposizione di centrodestra (indagato e sottoposto a misura cautelare per i delitti di partecipazione all'associazione mafiosa e di turbata libertà degli incanti) e Maurizio Venafro, all'epoca capo di gabinetto della Presidenza della Regione (anche lui indagato per il delitto di turbata libertà degli incanti), offrivano il loro ausilio – spingendo finanche per la sostituzione di uno dei componenti la commissione aggiudicatrice già designata con un funzionario di fiducia dell'associazione mafiosa (Scozzafava Angelo, anch'egli tratto in arresto) – pur di fare aggiudicare uno dei quattro lotti di gara ad un raggruppamento di cooperative facenti capo, ancora una volta, al duo Buzzi/Carminati.
  Volendo ora prescindere dalle singole vicende e responsabilità, per offrire una lettura di insieme delle risultanze investigative su mafia capitale, non si può non richiamare la sentenza della Corte di Cassazione del 10 aprile 2015 (101) che, intervenendo nella fase cautelare del procedimento e respingendo i ricorsi di alcuni indagati sottoposti alla custodia in carcere, si è soffermata su temi che assumono, nonostante i confini del processo penale, una portata generale.
  Uno di questi riguarda l'attuale profilo delle mafie, non sempre coincidente con quello tradizionale ma non per questo esulante dal paradigma dell'articolo 416 bis del codice penale, con il quale la collettività, in tutte le sue espressioni, deve imparare a confrontarsi. Al di là di nomenclature e territori, per la Suprema Corte, è il «metodo mafioso» con la conseguente situazione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, che costituisce lo spartiacque tra ciò che è mafia e ciò che non lo è. Metodo mafioso che non può più ravvisarsi soltanto, come del resto condiviso anche dalla dottrina e da quasi tutti gli osservatori del fenomeno, nelle note forme minatorie plateali. Tutte le mafie, quindi sia quelle «tradizionali» che le «nuove», ricorrono ormai alla minaccia e alla violenza solo come extrema ratio, preferendo invece un approccio di tipo collusivo/corruttivo che, peraltro, non è per nulla incompatibile con la forza intimidatrice che caratterizza l'agire mafioso. Infatti, l'intimidazione mafiosa non agisce «direttamente sui pubblici amministratori per condizionarne le scelte» ma interviene per aggregarli «al proprio apparato organizzativo per la Pag. 103diretta realizzazione di illeciti interessi, ovvero inducendoli a favorire il gruppo attraverso accordi di tipo corruttivo-collusivo che hanno deformato l'intero funzionamento dell'amministrazione (..): in tal modo si (..) esalta (..) la capacità di pressione intimidatoria del sodalizio, la cui direzione è (..) orientata nei confronti di tutti coloro che avrebbero potuto avvantaggiarsi dei provvedimenti amministrativi e dei contratti della pubblica amministrazione, scoraggiandone la concorrenza e inducendoli a lasciare il campo quando (sono) .. in giuoco gli interessi delle imprese utilizzate dall'associazione».
  Parallelamente, per definire lo stato di assoggettamento che deriva dalla capacità di intimidazione, il modello normativo penale di cui all'articolo 416 bis del codice penale «non può essere enfatizzato» sino ad arrivare «al punto di postulare condizioni di sostanziale «plagio» sociale generalizzato o addirittura ... un'adesione generalizzata contro lo Stato all'organizzazione criminale che allo Stato si è sostituita». Infatti, «fra le possibili ritorsioni che portano ad una condizione di assoggettamento ed alla necessità dell'omertà, vi è anche quella che possa mettere a rischio la pratica possibilità di continuare a lavorare ed apra la prospettiva allarmante di dovere chiudere la propria impresa, perché altri, partecipanti all'associazione o da essa influenzati, hanno la concreta possibilità di escludere dagli appalti colui che si è ribellato alle pretese.».
  Conclusivamente, la Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui: «Ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano assoggettamento ed omertà può essere diretta tanto a minacciare la vita o l'incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politiche ed elettorali, con l'uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell'assegnazione di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio».
  La Suprema Corte ha anche evidenziato un altro rilevante aspetto della vicenda, e cioè i gravi effetti che tale forma di evoluzione delle mafie comportano a livello istituzionale. Le osservazioni contenute nella sentenza delineano un quadro inquietante. Si è affermato invero che l'intervento di mafia capitale su Roma Capitale è una vera e propria «occupazione dello spazio amministrativo ed istituzionale». In particolare, il gruppo criminale «si è insediato nei gangli dell'amministrazione della capitale d'Italia, cementando le sue diverse componenti di origine – criminali «di strada», pubblici funzionari con ruoli direttivi e di vertice, imprenditori e soggetti esterni all'amministrazione» e così «sostituendosi agli organi istituzionali nella preparazione e nell'assunzione delle scelte proprie dell'azione amministrativa e, soprattutto, mostrando di potersi avvalere di una carica intimidatoria decisamente orientata al condizionamento della libertà di iniziativa dei Pag. 104soggetti imprenditoriali concorrenti nelle pubbliche gare, al fine di controllare gli esiti delle relative procedure e, ancor prima, di gestire gli stessi meccanismi di funzionamento di interi settori della vita pubblica». La Cassazione ha, quindi, affermato che «la dimensione corruttivo-collusiva ha giuocato .. un ruolo determinante nelle strategie di infiltrazione delle organizzazioni mafiose, ed è anzi in tale momento che la lesione dell'ordine economico e la lesione dell'ordine amministrativo raggiungono il loro massimo livello e vengono a congiungersi in una più ampia aggressione allo stesso ordine politico-istituzionale del Paese».
  Questi sono i principali elementi che emergono dalla ricostruzione giudiziaria da cui è scaturita l'inchiesta della Commissione parlamentare antimafia. Non si ignora certo che le risultanze probatorie illustrate non sono ancora divenute oggetto di statuizioni contenute in sentenze definitive. Ma non può trascurarsi che tali ipotesi hanno trovato finora ampia conferma. Ciò è accaduto, innanzitutto, in sede cautelare, sia nelle pronunce del tribunale per il riesame di Roma che in quelle della Corte di Cassazione. Inoltre, per la prima parte del procedimento, è stata esercitata l'azione penale e, il 29 maggio 2015, il giudice per le indagini preliminari di Roma ha emesso il decreto che disponeva il giudizio immediato che, poi, ha avuto inizio il 5 novembre 2015 davanti al tribunale di Roma presso cui è tuttora pendente. Ancora, per alcuni degli imputati che hanno scelto il giudizio abbreviato è già intervenuta la sentenza di condanna, emessa dal GUP di Roma il 3 novembre 2015, in cui è stata riconosciuta, seppure incidentalmente, l'esistenza dell'associazione mafiosa mafia capitale e, da qui, la sussistenza della relativa circostanza aggravante prevista dall'articolo 7, decreto-legge n. 152 del 1991, rientrante nell'oggetto di quel giudizio. Pur rinviando alle dettagliate motivazioni, vale la pena ricordare che anche in quest'ultimo provvedimento si sono segnalati sia il mutamento delle mafie, sicché per il futuro «occorre sganciarsi dalla visione tradizionale della mafia storica, quella che fa i morti, spara e insanguina le strade per incutere timore e garantirsi omertà», sia, soprattutto, l'occupazione da parte di «mafia capitale, dell'intera struttura comunale e delle sue municipalizzate nel corso della precedente amministrazione, garantendosela anche dopo il cambio di maggioranza con lo stesso metodo e con un'intensa ed egualmente efficace attività costruttiva». Si è spiegato infatti che «le risultanze in atti documentano in modo inquietante (..) che l'azione della pubblica amministrazione è eterodiretta, decisa in luoghi esterni a quelli istituzionali ed è orientata al solo fine di assicurare all'associazione profitto e potere ed un controllo totalizzante, che inquina ed altera la democrazia e non lascia spazio al legittimo è libero esercizio della concorrenza (..). L'occupazione della pubblica amministrazione ed il controllo totalizzante acquisito dall'associazione descritta hanno deformato e deviato l'intero funzionamento dell'amministrazione della capitale, e la latitudine imponente dell'azione corruttiva ha emarginato ogni concorrente non allineato, escludendolo dal gioco, ma soprattutto, ha generato nell'imprenditoria onesta e nella collettività, che subito gli effetti di quell'occupazione, sopportando i costi elevati dei servizi di scarsa qualità ed assistendo impotente al degrado della città, il Pag. 105convincimento della ineluttabilità di un sistema criminale che si è sostituito a quello legale».
  Pertanto, nonostante la doverosa cautela necessaria nella valutazione degli esiti investigativi non avallati da sentenze passate in giudicato, l'insieme delle prove acquisite dalla procura di Roma consente sin d'ora, quantomeno, di osservare, al di là delle responsabilità penali e della ricostruzione delle ipotesi di reato, l'evoluzione del fenomeno mafioso, l'ulteriore espansione del modello mafioso in territori ritenuti immuni da tale sistema criminale, considerato a lungo espressione della cultura meridionale, e soprattutto l'evidente indebolimento della struttura pubblica, colta impreparata a contrastare i meccanismi di insediamento, sempre più affinati, delle mafie. Fenomeni questi per i quali non si può attendere la definizione del processo penale per interrogarsi sull'efficacia degli «anticorpi» di un sistema che, evidentemente, non hanno funzionato, e sull'adeguatezza degli strumenti disponibili a prevenire e a impedire il verificarsi di situazioni di siffatta gravità che mettono in pericolo le stesse istituzioni.

13.2 – L'accertamento amministrativo dell'infiltrazione di mafia capitale nel comune di Roma

  Già dalla prima ordinanza di applicazione di misure cautelari del 28 novembre 2014, eseguita il successivo 2 dicembre, scaturiva l'esigenza di verificare l'esistenza e l'entità di condizionamenti mafiosi nell'amministrazione di Roma Capitale e, dunque, di procedere ad un accesso presso il comune capitolino, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, TUEL.
  Il 9 dicembre 2014, il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, veniva delegato dal Ministro dell'interno ad esercitare i poteri di cui all'articolo 1, comma 4, del decreto-legge n. 629/1982 nei confronti di Roma Capitale. In attuazione della delega, il prefetto nominava, con decreto 292944/2014 del successivo 15 dicembre, una commissione d'indagine (chiamata comunemente anche commissione di accesso), composta dal prefetto Marilisa Magno, dal viceprefetto Enza Caporale e dal dirigente del Ministero dell'economia e delle finanze, Massimiliano Bardani, incaricandola di accertare «se vi fosse compromissione tra l'attività amministrativa e politica con la criminalità organizzata (..) tale da condizionare la libertà di autodeterminazione degli organi elettivi, del buon andamento e della trasparenza, nonché del regolare funzionamento dei servizi e dell'ente locale interessato».
  Con i provvedimenti del 24 dicembre 2014 e del 27 febbraio 2015 veniva delineata la struttura tecnica di supporto della Commissione, articolata in due gruppi: uno composto da personale dell'amministrazione civile dell'interno, l'altro da appartenenti alla Polizia di Stato, all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza.
  La Commissione di accesso, dopo avere fruito di una proroga di tre mesi per il completamento dell'incarico, concessa il 9 marzo 2015 ai sensi dell'articolo 143, comma 2, TUEL, concludeva i propri lavori il 15 giugno 2015, depositando al nuovo prefetto di Roma, Franco Pag. 106Gabrielli (nominato nell'aprile 2015), una relazione, suddivisa in due volumi, di 834 pagine oltre i relativi allegati.
  Il prefetto di Roma, a sua volta, sentito il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica di Roma, l'8 luglio 2015 depositava la propria relazione al Ministro dell'interno.
  Il 27 agosto, su conforme proposta di quest'ultimo e previa deliberazione del consiglio dei ministri, il Presidente della Repubblica, con proprio decreto, disponeva la gestione straordinaria del X municipio di Roma Capitale e affidava l'ente, per 18 mesi, ad una commissione straordinaria composta dal prefetto Domenico Vulpiani, dal viceprefetto Rosalba Scialla e dal dirigente Maurizio Alicandro.
  Il comune capitolino, invece, su disposizione del Ministro dell'interno, dal settembre successivo veniva coadiuvato da un gruppo di supporto guidato dal prefetto di Roma. In sostanza, il Governo decideva, come si vedrà più ampiamente in seguito, di non sciogliere l'amministrazione senza però lasciare tutto come prima, ma prevedendo un affiancamento prefettizio sul versante amministrativo.
  Il 30 ottobre 2015, dopo la revoca delle preannunciate dimissioni del sindaco di Roma, Ignazio Marino, 26 consiglieri capitolini si dimettevano dando luogo all'avvio delle procedure previste dall'articolo 141 TUEL. Di conseguenza, il prefetto di Roma, con decreto n. 306580/2735/2013 emanato lo stesso 30 ottobre 2015, nominava quale commissario per la provvisoria amministrazione dell'ente, ai sensi del comma 7 del citato articolo 141, il prefetto Francesco Paolo Tronca.
  Con decreto 3 novembre 2015, infine, il Presidente della Repubblica decretava lo scioglimento dell'Assemblea capitolina e nominava il prefetto Tronca per la provvisoria gestione di Roma Capitale fino all'insediamento degli organi ordinari.

13.2.1 – Il quadro normativo sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiosa

  Al fine di una migliore comprensione delle procedure adottate e delle successive riflessioni sull'adeguatezza della normativa vigente, si riassume, per grandi linee, il quadro normativo sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiosa.
  Il decreto-legge 31 maggio 1991, n. 164, convertito con legge 22 luglio 1991 n. 221, che ha introdotto nel nostro ordinamento la possibilità dello scioglimento di un consiglio comunale o provinciale per infiltrazione mafiosa, venne approvato in brevissimo tempo sull'onda della indignazione per il barbaro omicidio di Giuseppe Grimaldi, decapitato da una scarica di pallettoni, la cui testa venne ripetutamente lanciata in aria e fatta oggetto di tiro a bersaglio nella piazza principale del paese di Taurianova (RC).
  Successivamente, tutti i principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti locali, sono stati disciplinati dal TUEL.Pag. 107
  In particolare, ai fini che qui rilevano, le norme sul controllo degli organi sono state oggetto di numerose modifiche: l'articolo 143 TUEL sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni di tipo mafioso o similare è stato sostituito dall'articolo 2 della legge 15 luglio 2009 n. 94, che ha precisato i presupposti per lo scioglimento ed ha inserito un'analitica disciplina del procedimento al fine di superare le criticità emerse nell'applicazione della norma del 2000, cercando di limitare e regolamentare i confini di discrezionalità.
  Il complesso apparato normativo che disciplina la materia è stato più volte sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato.
  Va altresì evidenziato che, anche dopo la riforma del titolo V della Costituzione, il controllo sugli organi è riservato all'amministrazione centrale dello Stato, potestà coerente e non in contrasto con il sistema delle autonomie locali in quanto «espressione dell'indefettibile momento di unitarietà proprio dell'ordinamento complessivo».
  Il TUEL prevede differenti tipologie di intervento sugli enti:
   – scioglimento e sospensione dei Consigli comunali e provinciali (articolo 141, TUEL): con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, nell'ipotesi di compimento di atti contrari alla Costituzione o gravi e persistenti violazioni di legge, gravi motivi di ordine pubblico ovvero quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi nei casi tassativamente previsti;
   – rimozione e sospensione di amministratori locali (articolo 142, TUEL): con decreto del Ministro dell'interno il sindaco, il presidente della provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i componenti dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali possono essere rimossi quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico; il comma 1-bis, introdotto con la legge n. 210/2008, prevede la rimozione in caso di gravi inosservanze agli obblighi per il recupero e lo smaltimento dei rifiuti.
   – scioglimento dei Consigli comunali e provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso o similare Responsabilità dei dirigenti e dipendenti. (articolo 143, TUEL).
  Quest'ultima fattispecie, che è quella che qui rileva, è innanzitutto una misura sanzionatoria estrema, finalizzata a rispristinare la legalità dell'istituzione, alla quale si ricorre solo per fronteggiare una emergenza di carattere straordinario in quanto incide sul rapporto fiduciario tra gli elettori ed i rappresentanti democraticamente nominati ed influisce sulla libertà di autogoverno delle comunità locali. Il provvedimento di scioglimento è «misura di carattere sanzionatorio, che ha come diretti destinatari gli organi elettivi, anche se caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la sua ricaduta sulle comunità locali che la legge intende sottrarre, nel loro complesso, all'influenza della criminalità organizzata» (Corte costituzionale, 19 marzo 1993 n. 103). Misura urgente, di carattere straordinario, finalizzata alla difesa della collettività dalle infiltrazioni mafiose, che va ad incidere sui principi costituzionali che Pag. 108regolano il rapporto tra gli elettori ed i rappresentanti eletti democraticamente; va pertanto garantita «la ponderazione degli interessi coinvolti, stante la sostanziale identità di tutela tra diritto costituzionale di elettorato e lotta alla criminalità» (TAR Lazio, sez. I, 3 giugno 2014 n. 5856).
  Circa gli atti di scioglimento, la Corte Costituzionale, nella sentenza 23 giugno 2014 n. 182, nel ribadire «la natura di misura governativa straordinaria di carattere sanzionatorio» del provvedimento di scioglimento, funzionale all'esigenza di contrasto della criminalità organizzata mafiosa, escludendo la qualificazione del provvedimento come atto politico, evidenzia che «le caratteristiche del relativo procedimento lo collocano certamente sul piano degli atti di alta amministrazione, adottati dagli organi esponenziali dei vertici dell'amministrazione dello Stato; tale peculiare connotazione emerge con evidenza dalle caratteristiche proprie della fase istruttoria, dalla natura apicale delle autorità amministrative coinvolte in tale fase, dalla forma del provvedimento (decreto del Presidente della Repubblica, adottato su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del consiglio dei Ministri) nonché dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale».
  I provvedimenti di cui agli artt. 142 e 143 TUEL «si qualificano quindi come atti dell'amministrazione centrale dello Stato (in quanto emessi da organi che operano come longa manus del Governo) finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli delle comunità locali ed attengono alla materia dell'ordine pubblico e della sicurezza. (..) Il decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento del consiglio comunale e la relazione ministeriale di accompagnamento costituiscono atti di alta amministrazione perché impingono sulla prevalenza dell'indirizzo politico di contrasto alle mafie rispetto al mero rispetto delle consultazioni elettorali; tra i due valori, entrambi costituzionalmente rilevanti, non si può conservare questo senza che sia pienamente realizzato quello, ossia senza che il dato elettorale non sia genuino o, almeno, quanto più è possibile depurato dal condizionamento mafioso»(Cfr. consiglio di Stato, sezione III, 6 marzo 2012, n. 1266).
  Circa i presupposti della misura sanzionatoria, si evidenzia che i consigli comunali e provinciali sono sciolti – recita l'articolo 143 comma 1, TUEL – quando emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.
  Per giurisprudenza costante, ai fini dello scioglimento devono sussistere contestualmente elementi concreti, univoci e rilevanti, non potendosi far luogo allo scioglimento in assenza di anche uno solo dei suddetti requisiti. «La qualificazione della concretezza, univocità e rilevanza dei fatti accertati va riferita non atomisticamente e partitamente ad ogni singolo elemento, accadimento, circostanza cui l'istruttoria compiuta dalla Commissione di accesso ha ricondotto la sussistenza Pag. 109dei presupposti di cui all'articolo 143 del d.lgs. n. 267 del 2000, ma ad una valutazione complessiva del coacervo di elementi acquisiti, che nel loro complesso siano riferibili a fatti di cui non è in discussione l'accadimento storico (requisito di concretezza); che in base al prudente apprezzamento dell'amministrazione esprimano, con adeguato grado di certezza, le situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell'ente che la norma ha inteso prevenire (requisito dell'univocità) e siano, pertanto, sul piano causale, «rilevanti» agli effetti predetti» (Consiglio di Stato, sez. III, 9 luglio 2012, n. 3998).
  Non è nemmeno necessario che i collegamenti con la criminalità integrino condotte in sé penalmente rilevanti o possano determinare l'applicazione di una misura di prevenzione né occorre l'esistenza di prove inconfutabili sui legami tra l'amministrazione e le organizzazioni criminali, essendo sufficienti meri indizi dai quali emerga una probabile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata.
  La ratio sottesa alla normativa, infatti, «è da ritenersi collegata con un istituto di natura preventiva e cautelare inteso ad evitare che gli indizi raccolti in ordine all'esistenza di un'infiltrazione della criminalità organizzata possano compromettere il regolare e legittimo andamento della res publica»(102) riservando allo Stato l'attività di controllo generale rispetto a condotte o fatti che si reputano idonei a determinare uno sviamento dell'interesse pubblico. Rilevano pertanto tutte quelle situazioni che siano tali da rendere plausibile l'ipotesi di una soggezione degli amministratori e/o dipendenti alla criminalità organizzata, ivi compresi vincoli di parentela, di affinità, rapporti di amicizia, di affari pregiudizievoli per la corretta gestione dell'ente.
  Le cause principali che in concreto hanno finora dato luogo allo scioglimento sono state indicate dal Ministro dell'interno nell'audizione avanti questa Commissione parlamentare antimafia svoltasi il 15 marzo 2016 e di cui si dirà. La casistica, secondo il Ministro, consente di ricavare una sorta di tipizzazione delle circostanze di solito poste alla base dei provvedimenti di scioglimento. Si tratta dei casi di:
   – amministratori che hanno ricevuto l'appoggio delle associazioni criminali per arrivare ad essere eletti, con conseguente rapporto di sudditanza tra amministratori e cosche;
   – partecipazione organica dell'amministratore o suo fiancheggiamento all'organizzazione criminale, con coinvolgimento in indagini o procedimenti penali per associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno nell'associazione o commissioni di reati aggravati dal metodo mafioso;
   – atteggiamento compiacente adottato dagli amministratori nei confronti di esponenti mafiosi, favorendo l'emissione di provvedimenti loro favorevoli ovvero omettendo di adottare quelli a loro contrari, in violazione delle regole di terzietà e trasparenza;
   – assunzioni o affidamenti di incarichi esterni e/o consulenze a soggetti mafiosi ovvero a loro parenti o persone segnalate;
   – anomalie nella predisposizione dei bandi di appalti, contratti pubblici o concessioni e/o nelle modalità di attuazione delle gare;Pag. 110
   – omissioni, indicative di volontà da parte degli amministratori di enti locali di impedire la destinazione sociale dei beni confiscati alla criminalità organizzata, per favorire l'egemonia delle cosche, il controllo del territorio ed il prestigio delle cosche medesime.
  Circa il procedimento, la legge prevede lo svolgimento di un'attività di indagine cognitiva e valutativa da parte di una commissione prefettizia di accesso, cui fa seguito la relazione conclusiva del prefetto diretta al Ministro dell'interno. Su proposta di quest'ultimo e previa delibera del Consiglio dei ministri, lo scioglimento viene disposto con decreto del Presidente della Repubblica. La procedura (103), come detto, si inquadra in un'attività di «alta amministrazione», esplicazione quindi di una potestà caratterizzata da discrezionalità e da «margini particolarmente ampi di apprezzamento» (104) sia nell'accertamento, sia nella relativa valutazione dei fatti ed elementi acquisiti al procedimento, che non può che limitarsi ad una verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale logica e coerente. (105)Pag. 111
  Rilevanti i poteri della commissione straordinaria, attestati dalla giurisprudenza della giustizia amministrativa, alla quale si attribuisce il compito precipuo di «eliminare, con strumenti di tipo amministrativo, le fonti di condizionamento, diretto od indiretto, dell'amministrazione pubblica nei settori di attività concernenti l'affidamento di appalti pubblici e la gestione di pubblici servizi (Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005 n. 7335). Invero, la Commissione può procedere alla rimozione, nell'esercizio di poteri di autotutela, di tutte le scelte illegittime operate dalla precedente amministrazione in quanto riconducibili ad un illecito condizionamento esterno della formazione della volontà degli organi elettivi, essendo preminente l'esigenza pubblica di ripristino della legalità (106).
  Le norme, nell'intenzione del legislatore, avrebbero dovuto essere applicate in via preventiva, prescindendo dalle indagini della magistratura, lunghe e complesse, atteso che l'amministrazione ha ampia discrezionalità nella ricostruzione del contesto ambientale e nella valutazione degli elementi concreti, univoci e rilevanti tali da far ritenere un collegamento tra i consigli degli enti locali ed i gruppi criminali. Lo scioglimento infatti, come già detto, è una misura straordinaria di prevenzione costruita e pensata per combattere l'invasività del fenomeno mafioso; non presuppone la commissione di reati da parte degli amministratori né che i fatti considerati integrino fattispecie delittuose; ha natura sanzionatoria non nei confronti dei singoli ma degli organi elettivi ed è finalizzata a rimediare a situazioni patologiche di compromissione del regolare funzionamento dell'ente locale determinata da una diffusione sul territorio della criminalità organizzata. Non a caso lo scioglimento può essere disposto anche nel corso di un procedimento penale ed indipendentemente dall'esito dello stesso. Di converso, il sindacato di legittimità svolto dal giudice amministrativo sul provvedimento attiene alla sussistenza dei presupposti, alla verifica di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, alla veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e all'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (TAR Lazio – Roma – sez. I, 12 marzo 2015 n. 4060; Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2007 n. 665).
  In realtà va sottolineato come le norme, in particolare quella relativa allo scioglimento per infiltrazioni mafiose, raramente sono state applicate in via preventiva ma solo dopo l'intervento dell'autorità giudiziaria.

13.2.2 – Gli accertamenti e le conclusioni della Commissione di indagine

  La Commissione di indagine, presieduta da Marilisa Magno, nell'arco dei sei mesi previsti dalla legge per l'espletamento del suo Pag. 112incarico, era riuscita ad esaminare tre importanti dipartimenti del comune (tutela ambientale e protezione civile, politiche sociali sussidiarietà e salute, politiche abitative), il X municipio e le numerose vicende contrattuali relative alla società partecipata AMA, cioè i settori che, secondo le risultanze dell'indagine «Mondo di mezzo», apparivano pervasi dall'associazione mafiosa.
  La corposa relazione prodotta, che ha perso carattere di riservatezza poiché il prefetto di Roma disponeva, il 2 novembre 2015, la declassifica dei volumi 1 e 2 (cfr. doc. n. 661.2) e alla cui lettura non può che rinviarsi, concludeva sostenendo la necessità di addivenire allo scioglimento di Roma Capitale ai sensi dell'articolo 143 TUEL. Si riteneva infatti che «vi siano i presupposti richiesti dalla normativa, in base a una pluralità di indizi concludenti che la giurisprudenza del consiglio di Stato richiede ai fini della configurabilità di fenomeni di condizionamento e della ricostruzione dei «collegamenti» che vincolano la vita istituzionale dell'ente locale a dinamiche a questi esterne e riconducibili alle mire di «Mafia Capitale». Atteso che la ratio della normativa è quella non solo di stroncare l'eventuale commissione di illeciti, ma, in via preventiva, anche quella di supportare la vita dell'ente, previa rimozione di quelle cause di infiltrazione che ne abbiano «infettato» il regolare e legittimo andamento, va rilevata, in Roma Capitale, una pluralità di situazioni patologiche connesse all'interferenza del sodalizio, già facente capo a Carminati, più volte documentate in sede di giudicato cautelare e nella presente relazione. Dalle considerazioni che precedono si desume che i gravi fenomeni di condizionamento della vita politico istituzionale dell'ente hanno indebolito i presidi di legalità di Roma Capitale».
  Tali conclusioni si fondavano principalmente sulla situazione di continuità, apprezzata dalla Commissione di accesso, tra la Giunta del sindaco Alemanno e quella del sindaco Marino il quale ultimo, sebbene, a differenza del primo, non coinvolto dalle indagini giudiziarie, aveva anche lui subito il condizionamento mafioso commettendo «l'errore di sottovalutare la corruzione e non identificarla per quello che è: veicolo di contagio mafioso». Veniva del resto descritta anche la parabola di Marino agli occhi del sodalizio: prima lo temevano parlando di «sindaco ostile» e ne auspicavano la caduta («dovrebbero fallo cascà»); poi cercavano di agganciarlo («ce pigliamo le misure con Marino»); più tardi giungevano ad una sorta di pacifica convivenza, sino ad augurarsi la sua amministrazione proseguisse fino alla scadenza naturale («se resta sindaco altri tre anni e mezzo col mio amico capogruppo ce mangiamo Roma»); ed, infine, pensavano di averlo addirittura sconfitto in occasione della seduta di Giunta del 10 luglio 2014, in cui le manovre della consorteria erano riuscite, contro la volontà del Sindaco, ad impedire la rimozione di Giovanni Fiscon dalla direzione generale AMA («Marino/Fiscon 0-2 !» ).
  A riprova che gli illeciti riconducibili alle dirette influenze di mafia capitale erano inseriti in un contesto di complessivo degrado dell'azione amministrativa, profondo «e senza soluzioni di continuità apprezzabili tra le ultime due giunte» nessuna delle quali aveva posto fine alle «diffuse e persistenti anomalie in materia di gestione delle procedure di appalto, già a partire dal dato squisitamente normativo», la commissione di accesso si soffermava, innanzitutto, sulle irregolarità Pag. 113in tema di appalti evidenziando una miriade di criticità ancora attuali che, vale la pena anticiparlo, trovavano sostanziale riscontro negli analoghi accertamenti svolti, pressoché contemporaneamente ma su un campione molto più esteso, dal servizio ispettivo dell'Autorità Nazionale Anticorruzione.
  In particolare, secondo i commissari:
   a) Roma poteva contare solo su un regolamento dei contratti approvato dalla deliberazione del commissario straordinario con i poteri del consiglio comunale n. 302 del 25 settembre 1993, testo mai adeguato alla normativa di settore e dunque pressoché inapplicabile;
   b) allo stesso modo non era mai stato adottato un atto regolamentare in materia di acquisizioni di beni e servizi in economia nonostante la previsione del codice degli appalti (107), così consentendo appalti per l'acquisizione di beni e servizi effettuati mediante cottimo fiduciario o amministrazione diretta;
   c) vi era la totale carenza di programmazione in ordine agli acquisti di beni e servizi che si traduceva in facile alibi per operazioni di frazionamento artificioso degli acquisti, evenienza che la Commissione aveva poi in concreto riscontrato (108);
   d) la mancata centralizzazione della gestione degli appalti (operavano come stazioni appaltanti per Roma Capitale, oltre ai dipartimenti e ai municipi, anche le loro articolazioni interne) si era rivelata fonte di abusi e di interferenze esterne, mentre l'attivazione della centrale unica degli acquisiti, pur programmata dalla giunta Marino, non aveva dato frutti di rilevo;
   e) la diffusa prassi di non adottare, prima dell'avvio di una procedura d'acquisto, una determinazione a contrarre (che è un atto necessario dell’iter di formazione di un contratto pubblico in quanto vale ad individuare, se pur con efficacia interna, la prestazione contrattuale, il suo valore economico, il sistema di gara ed il criterio di aggiudicazione) determinava il ripetuto ricorso a procedure non aperte, sotto forma di procedure in economia, procedure negoziate quando non affidamenti diretti, spesso utilizzando in modo non corretto le procedure di somma urgenza;
   f) le forme utilizzate per gli affidamenti, almeno nei settori interessati dall'indagine, rispondevano ad alcuni «copioni» ricorrenti, che finivano per avere un valore sintomatico di comportamenti illeciti, condizionando i meccanismi di selezione delle imprese da invitare (solo apparentemente le imprese invitate erano una pluralità perché Pag. 114erano tutte riconducibili sostanzialmente a un unico centro di interessi e di controllo, ovvero, in qualche caso si trattava d'imprese che non svolgevano attività riconducibili all'oggetto dell'appalto). Va qui aggiunto che l'ampiezza del problema era già emersa dalla relazione con cui gli ispettori del MEF avevano rassegnato i primi risultati della verifica condotta presso Roma Capitale dal 4 ottobre 2013 al 15 gennaio 2014 (in particolare per i servizi dei dipartimenti politiche sociali, tutela ambientale e politiche abitative, ossia proprio per quei settori in cui l'indagine «Mondo di mezzo» aveva successivamente rilevato la presenza di un forte condizionamento del sodalizio criminale di Carminati) e avevano quindi segnalato che tali prassi non si erano limitate al periodo della giunta Alemanno;
   g) gli affidamenti diretti tout court o proroghe (chiamate «prolungamenti tecnici», fattispecie ignota al codice dei contratti) protratte per anni, senza che fossero previste nel bando originario, consentendo il consolidamento della posizione di alcuni operatori del mercato a discapito della concorrenza;
   h) l'inefficacia del sistema dei controlli amministrativi interni, insufficienti a garantire un'adeguata prevenzione delle patologie degli affidamenti e a sanzionare efficacemente alcune delle irregolarità più macroscopiche. Emergeva, infatti, che l'ufficio contratti, incardinato presso il segretariato generale, aveva svolto un'attività di controllo preventivo esclusivamente sulle procedure ad evidenza pubblica, con ciò programmaticamente escludendo tutte le procedure negoziate, ossia quelle in cui più facilmente possono trovare luogo condotte anomale.
  Ancora, il piano dettagliato dei controlli interni era limitato alle sole determinazioni dirigenziali adottate dalle strutture di Roma Capitale per un impegno di spesa pari o superiore a 200.000 euro per le quali fosse stata attestata, da parte del competente ufficio della Ragioneria generale, la regolarità contabile e la copertura finanziaria. La Commissione di indagine rilevava, quindi, che erano stati sottratti al controllo – anche qui programmaticamente – sia il fenomeno dell'artificioso frazionamento degli appalti sia quello degli affidamenti mantenuti artificiosamente appena sotto tale limite.
  Sempre sul medesimo tema, la commissione Magno evidenziava specifici episodi per sottolineare l'inadeguatezza dei controlli durante la giunta Marino. In particolare, si segnalava, nel solco della continuità fra le due giunte, la scelta del sindaco Marino di confermare, nel ruolo di segretario generale e direttore generale, Liborio Iudicello al quale i commissari imputavano la sostanziale inefficacia dell'azione di controllo, di impulso e coordinamento. Si segnalava inoltre che, nonostante la denuncia del servizio ispettivo del Ministero dell'economia e delle finanze già citata, acquisita dal segretariato nell'aprile 2014, non si era approntata alcuna risposta organizzativa né si era sollecitata l'eventuale adozione di interventi in autotutela per gli affidamenti del settore sociale, delle politiche abitative e del verde pubblico, effettuati in favore del consorzio Eriches 29, della cooperativa «29 Giugno» e della Roma multi servizi s.p.a, cioè proprio per i settori e i soggetti interessati dall'indagine «Mondo di mezzo». Va Pag. 115qui aggiunto che il sindaco Marino, dal suo canto, aveva ribadito con forza, sia durante la sua audizione innanzi questa Commissione sia facendone oggetto di un preciso passaggio della lettera inviata al prefetto Gabrielli prima della riunione del comitato per l'ordine e la sicurezza, di essere stato il primo e unico sindaco a richiedere, già all'indomani del suo insediamento, al Ministro dell'economia e delle finanze, una «Survey su Roma Capitale» al fine di fare chiarezza sulla situazione finanziaria dell'ente. In realtà, il carteggio intercorso tra il sindaco e il Ministro dell'economia e delle finanze, prodotto dallo stesso Marino in occasione della sua audizione del 17 dicembre 2014, attesta cosa diversa. La richiesta del sindaco al MEF non trovava genesi nel sentore di irregolarità o illecità nei conti del comune, ma era diretta ad ottenere contributi straordinari. Infatti, il sindaco intendeva avere una certificazione sul bilancio che quantificasse il disavanzo in modo che lo Stato, con legge speciale, provvedesse a ripianarlo. Il Ministro aveva risposto che non gli competeva di certificare i bilanci e che, semmai, avrebbe inviato gli ispettori. Questi ultimi, poi, esaminavano i conti e la gestione del comune di Roma, scandagliando gli atti dall'ottobre 2013 al 15 gennaio 2014, e inviavano al sindaco una dettagliata relazione che poneva in evidenza macroscopiche irregolarità e numerose criticità strutturali. Dell'esito della segnalazione già si è detto.
  Anche in tema di debiti fuori bilancio, i commissari segnalavano la continuità tra le due giunte. In particolare, per la gestione del servizio accoglienza per minori non accompagnati, in analogia a quanto disposto dall'amministrazione Alemanno, l'assemblea capitolina riconosceva i debiti fuori bilancio maturati nel primo trimestre 2013 verso i gestori, tra cui le cooperative riconducibili a Buzzi, per il complessivo rilevante importo di oltre 11 milioni di euro. Si sottolineava quindi che «il tema del riconoscimento dei debiti fuori bilancio si ripropone nel 2014, così come nei medesimi termini si era proposto nel 2012 e nel 2013 e, come nel 2012, venivano attivati tutti i canali possibili nelle istituzioni».
  La commissione Magno si soffermava, inoltre, su una serie di episodi che, già singolarmente considerati, dimostravano ancora una volta che gli schemi e i copioni utilizzati da Buzzi e Carminati erano rimasti sostanzialmente intatti anche dopo l'elezione del sindaco Marino, sotto il cui mandato si era egualmente perpetrato l'asservimento delle funzioni pubbliche agli interessi del sodalizio. Rinviando alla lettura della dettagliata relazione, si evidenziano di seguito talune vicende ritenute particolarmente sintomatiche.
  Tra queste vi è quella di Italo Walter Politano, dirigente dell'amministrazione capitolina (poi indagato per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p.). Una volta sfumata – per la contrarietà del diretto interessato – l'operazione volta a collocarlo alla testa del dipartimento politiche sociali, gli ambienti politici vicini al sodalizio lo avevano inserito nel segretariato generale, a capo della direzione integrità, trasparenza e semplificazione dell'azione amministrativa, ufficio questo chiamato a svolgere, tra l'altro, il compito di «garantire l'integrità dell'azione amministrativa e prevenire fenomeni di illegalità e corruzione mediante l'individuazione delle aree sensibili e l'adozione delle misure organizzative idonee a contrastare il rischio corruzione». Pag. 116Dall'ordinanza di custodia cautelare emergeva come egli fosse considerato da Salvatore Buzzi «roba de Coratti» e, come tale, assoggettabile ai desiderata dell'associazione. Del resto, Politano aveva già operato, nel periodo della giunta Alemanno, a favore del sodalizio nella sua funzione di presidente del I municipio del centro storico, guadagnandosi la fiducia dell'associazione mafiosa che, in piena continuità, aveva deciso di sfruttarlo al meglio cogliendo l'occasione della riorganizzazione decisa dalla nuova giunta Marino. Il suo caso dimostrava – secondo la commissione di accesso – la continuità nell'azione di condizionamento dell'azione amministrativa da parte del sodalizio che travalicava le diverse giunte e si spingeva fino a collocare un proprio uomo in un delicatissimo snodo del controllo amministrativo interno.
  Secondo la commissione di accesso pure la permanenza di Giovanni Fiscon in un ruolo di vertice dell'AMA (carica ricoperta dal 9 aprile 2013, cioè a partire dalla giunta Alemanno, al 5 dicembre 2014, giorno del suo arresto), aveva favorito il sodalizio a cui quest'ultimo si rapportava.
  Anzi, i rapporti tra Roma Capitale ed AMA erano risultati regolati da contratti di servizio sistematicamente prorogati anche nel corso del mandato del sindaco Marino, mai oggetto di un vero e proprio rinnovo che consentisse di verificarne le effettive condizioni, tenuto anche conto delle innovazioni normative intervenute nel tempo. Ma, soprattutto, sotto la giunta Marino si era consumata la vicenda corruttiva della gara 30/2013 per la raccolta di multimateriale, (che vedeva coinvolti, tra gli altri, Buzzi e Fiscon quale responsabile unico del procedimento) che comprendeva sia gli «assi nella manica» su cui i sodali di «Mafia capitale» potevano contare per aggiudicarsela, sia i valori del bando disallineati in termini sproporzionati rispetto ai valori medi nazionali. La presenza di Fiscon come direttore generale di AMA Spa era così rilevante per il sodalizio al punto che quando, in vista della riunione di giunta del 10 luglio 2014, se ne presagiva la sostituzione per volontà del sindaco, era scattata un'azione concentrica coordinata da Buzzi che neutralizzava il ventilato avvicendamento. La manovra, come prima detto, veniva efficacemente commentata da Buzzi con la frase: «Marino 0, Fiscon 2».
  La Commissione Magno rilevava ancora il caso dell'avvicendamento al vertice del dipartimento delle politiche sociali: Carminati e Buzzi avevano deciso e ottenuto la sostituzione di una dirigente, ritenuta scomoda e di intralcio rispetto ai programmi e alle manovre del sodalizio, con un altro funzionario che poi avrebbe continuato ad avallare prassi illegittime ma vantaggiose per il sodalizio di mafia capitale. La sostituzione era stata fortemente osteggiata dall'assessore competente ma la sua opposizione non aveva sortito effetto alcuno se non la sostituzione dell'assessore medesimo.
  Veniva messa in risalto anche la vicenda di un dirigente amministrativo colluso con «Mafia capitale» che, in una prima fase, era riuscito ad orientare l'assessore appena nominato verso decisioni che riservavano alle cooperative del sodalizio mafioso una serie di affidamenti. Trascorsi i primi otto mesi, l'assessore aveva iniziato a chiedere conto dell'operato al suo dirigente ma questi non si era Pag. 117curato minimamente di rispondere. Tuttavia la vistosa omissione non aveva determinato reazione alcuna.
  Si stigmatizzava, inoltre, il fatto che funzionari e dirigenti non avevano interrotto il meccanismo della giunta Alemanno sulle principali linee di spesa, come il sistema delle proroghe illegittime, sistema rispetto al quale il fatto che la giunta Marino avesse potuto disporre del primo bilancio utile solo l'1 agosto 2014 poteva essere stato un limite ma non un fattore realmente ostativo ad una pur minima programmazione delle gare di appalto, tanto più che molte delle spese oggetto di proroga erano obbligatorie per legge (cfr. audizione del Commissario Bardani dinanzi a questa Commissione parlamentare).
  E, tra le tante, veniva riportata anche la vicenda (per cui si rinvia alla dettagliata relazione commissariale) dell'affidamento alla cooperativa Eriches 29, riconducibile a Salvatore Buzzi, del servizio di assistenza temporanea alloggiativa emergenziale attraverso appositi centri (CAAT), anch'essa particolarmente emblematica della sostanziale continuità tra le due giunte.
  Con riferimento agli accertamenti riguardanti il X municipio di Roma, comprendente Ostia, la commissione di accesso evidenziava innanzitutto che, come emerso da diverse indagini svolte dalla direzione distrettuale antimafia di Roma, quel territorio è caratterizzato dalla pervasiva e radicata presenza di organizzazioni criminali mafiose (facenti capo alle famiglie Fasciani-Spada, Triassi-Cuntrera e Senese), talune di esse proiezioni di sodalizi tradizionali.
  In particolare, nell'ambito dell'operazione «Nuova Alba» (cfr. procedimento penale n. 54911/12 RGNR) si era accertata l'esistenza di un'associazione mafiosa, costituita autonomamente nel territorio del litorale, facente capo alla famiglia Fasciani, a sua volta alleata con il gruppo degli Spada, dedita (oltre che all'usura, alle estorsioni, al traffico di armi e di stupefacenti) alla gestione ed al controllo delle remunerative attività balneari di Ostia.
  Le indagini, partite da alcuni specifici atti intimidatori subiti da Silvio Giacometti (gestore dello stabilimento balneare Il Capanno) e Mauro Balini (109) (presidente del porto turistico di Ostia), si erano rapidamente estese alla sequela di incendi e danneggiamenti che, dal 2007 al 2012, avevano interessato chioschi, stabilimenti balneari ed esercizi commerciali, facendo rilevare che quelle intimidazioni erano invece finalizzate ad un riposizionamento delle gerarchie criminali in Ostia. Era così stato possibile ricostruire la complessa realtà criminale che inquinava il tessuto imprenditoriale di Ostia e accertare, altresì, l'ampia disponibilità dei dirigenti dell'ufficio tecnico del municipio ad assegnare uno dei chioschi ad un esponente del clan Spada. Tali vicende, peraltro, trovavano poi conferma nelle successive sentenze, ancorché non ancora definitive, di condanna della maggior parte degli imputati per il reato di associazione di tipo mafioso (110).Pag. 118
  Successivamente nell'ambito di altro procedimento penale (n. 43914/12 RGNR), il 4 novembre 2014, in esecuzione dell'ordinanza emessa il 28 ottobre 2014 dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, venivano sottoposti a misure cautelari personali Papalini Aldo, all'epoca direttore dell'ufficio tecnico e dell'unità operativa ambiente e litorale del XIII municipio (ora X municipio), Spada Armando e Appeso Cosimo (destinatari della misura della custodia in carcere), unitamente ad altri sei indagati (destinatari della misura degli arresti domiciliari). I delitti oggetto dell'indagine erano quelli di abuso d'ufficio, turbata libertà degli incanti, falsità ideologica, concussione e corruzione, aggravati dall'articolo 7 legge n. 203 del 1991 poiché commessi con la finalità di agevolare il clan Spada- Fasciani, egemone nel territorio di Ostia. In sostanza, era emerso un articolato sistema corruttivo che vedeva Papalini coinvolto in prima linea nella gestione e nell'affidamento a ditte compiacenti di numerosi appalti pubblici banditi dall'ente territoriale. Egli, infatti, secondo le risultanze giudiziarie, aveva permesso ad alcuni imprenditori di gestire i più lucrosi appalti pubblici sul litorale grazie al ricorso a procedure negoziate ristrette senza pubblicazione del bando di gara, in palese violazione della normativa ed in assenza dei presupposti di legge. La vicenda era dunque emblematica della peculiare situazione del territorio lidense, oggetto di appetiti criminali delle locali consorterie mafiose, dedite specialmente all'accaparramento di aree demaniali e stabilimenti balneari, che riuscivano a coinvolgere i pubblici ufficiali per la realizzazione delle loro finalità.
  Inoltre, nella relazione della Commissione di indagine era dedicato ampio spazio anche allo spaccato criminale più recente venuto alla luce con l'indagine «Mondo di mezzo» in cui era emersa la contiguità tra il presidente del X municipio ed i sodali di «Mafia capitale» testimoniata da diverse intercettazioni aventi ad oggetto, soprattutto, l'affidamento del servizio di manutenzione del verde pubblico. Il tenore delle conversazioni evidenziava – oltre ad un'indebita conoscenza, da parte delle cooperative aspiranti all'aggiudicazione, di notizie sulla gestione del servizio – il pesante condizionamento svolto da Salvatore Buzzi e dai suoi accoliti sulla stazione appaltante per ottenere posizioni favorevoli.
  Il presidente del X municipio, Andrea Tassone (dimessosi il 18 febbraio 2015 e poi raggiunto da ordinanza di custodia cautelare), risultava dunque strettamente collegato e funzionale a «Mafia capitale» per far conseguire all'associazione una serie di appalti pubblici e, pertanto, anche in questo caso risultava con chiarezza come le collusioni tra gli appartenenti alla pubblica amministrazione e le organizzazioni criminali mafiose avessero prodotto l'effetto di piegare e condizionare l'azione degli organi amministrativi agli interessi dell'organizzazione capeggiata dal Carminati.Pag. 119
  A parte le risultanze giudiziarie, la commissione di accesso accertava essa stessa plurimi e sintomatici vizi in diverse delle procedure poste in essere dal X municipio (111). Emergevano infatti comportamenti della struttura burocratica e del vertice politico caratterizzati da evidente favore nei confronti dei soggetti e delle imprese legate a Salvatore Buzzi, cui venivano garantiti gli affidamenti attraverso l'inosservanza delle procedure amministrative e la mancanza dei controlli sulla regolarità degli atti e sul possesso dei requisiti dei soggetti affidatari. In particolare, si rilevava la sistematica assenza di determinazione a contrarre (atto necessario nell'iter di formazione del contratto pubblico); l'assenza di determinazione dei criteri di scelta dei soggetti da invitare alle gare e dei successivi criteri di aggiudicazione; l'apparente pluralità di soggetti in concorrenza cui corrispondeva in realtà una sostanziale unicità del centro di imputazione di interessi economici; l'artificioso frazionamento delle gare in più lotti, con l'obiettivo di scendere sotto la soglia comunitaria; il ricorso immotivato alla procedura di somma urgenza; la sistematica aggiudicazione dell'offerta secondo il criterio del massimo ribasso.
  La situazione del X municipio appariva dunque un caso singolare: accanto alle accertate forme di penetrazione legate alla presenza delle mafie locali era intervenuto il condizionamento sulla vita dell'istituzione da parte del sodalizio «Mafia capitale», attuato replicando le modalità operative utilizzate con successo sui dipartimenti centrali, sicché le convergenti pressioni delle varie organizzazioni criminali operavano su un doppio binario, senza escludersi vicendevolmente, anzi intrattenendo relazioni che valorizzavano proficuamente i contatti del Carminati con personaggi ponte, già legati alla banda della Magliana ed ora, mediatamente, al clan Fasciani, quali Fabrizio Franco Testa. Non solo. Erano anche emersi rapporti economici tra i clan Fasciani-Spada, Senese e Triassi-Cuntrera nelle più importanti attività economiche della zona e, soprattutto, nella gestione delle aree demaniali marittime. Ne era derivata, secondo la commissione di accesso, la sconvolgente debolezza della macchina amministrativa di Ostia, la permeabilità rispetto agli interessi e agli appetiti illeciti dei vari gruppi criminali del territorio, il condizionamento da parte dei clan dell'azione municipale, la diffusa illegalità nelle manifestazioni più elementari della vita amministrativa.

13.2.3 – La posizione del prefetto di Roma

  Il preoccupante quadro delineato dalla commissione di accesso e dai provvedimenti giudiziari, e tra questi ultimi, soprattutto dalla citata sentenza della Corte di Cassazione, lasciava ragionevolmente ritenere la concreta possibilità dell'applicazione della misura sanzionatoria al comune di Roma ai sensi dell'articolo 143 TUEL. Ci si trovava, dunque, di fronte ad una situazione inedita ed eccezionale, in cui, da un lato, si profilava come probabile lo scioglimento per Pag. 120infiltrazione mafiosa persino della Capitale d'Italia e, dall'altro lato, si avvertiva comunque, e al di là di ogni considerazione di opportunità, l'urgenza di risanare adeguatamente e tempestivamente il comune.
  Il nuovo prefetto di Roma, Franco Gabrielli, giungeva a diverse conclusioni rispetto a quelle della commissione di accesso. Dalla sua relazione dell'8 luglio 2015, allegata al citato decreto del Presidente della Repubblica 27 agosto 2015 col quale si disponeva la gestione straordinaria del X municipio di Roma Capitale, è possibile apprezzare che il prefetto, in base a quanto rappresentato dalla commissione di accesso, aveva ritenuto che ricorressero i presupposti di legge per proporre lo scioglimento soltanto del consiglio del X municipio di Roma Capitale, evidenziando, a tale ultimo proposito, che le misure previste dall'articolo 143 TUEL trovano applicazione anche, in virtù dell'estensione operata dal successivo articolo 146, nei confronti anche dei consigli circoscrizionali, tra i quali, al di là del nomen iuris, rientrano i consigli municipali di Roma Capitale. In tal senso – si spiegava – l'articolo 26 dello statuto di Roma Capitale definisce espressamente i municipi quali circoscrizioni di partecipazione, consultazione e gestione di servizi, nonché di esercizio delle funzioni conferite da Roma Capitale, similmente a quanto previsto dall'articolo 17 TUEL per le circoscrizioni di decentramento comunale. Il prefetto aveva ritenuto, altresì, che sussistessero i presupposti previsti per l'applicazione delle misure di cui all'articolo 143 comma 5, TUEL nei riguardi dei dirigenti e di altri dipendenti di Roma Capitale e del X municipio, e che fosse anche possibile adottare, in base a tale stessa norma, misure «innominate», come provvedimenti di annullamento di procedure di gara o di affidamento le quali, secondo le analisi della commissione di accesso, erano connotate da palesi illegittimità e risultate agevolatrici degli interessi criminali di «Mafia capitale».
  In considerazione del regime di riservatezza che il citato articolo 143 TUEL attribuisce alle attività di accertamento che non sfociano in provvedimenti di scioglimento, non si ripercorrono in questa sede le motivazioni che hanno condotto il prefetto a discostarsi dalle conclusioni della commissione di indagine che proponeva il provvedimento dissolutorio per il comune capitolino. Certo è, comunque, che il prefetto non ravvisava la sussistenza di tutti i presupposti di legge previsti per lo scioglimento. In ogni caso, sulla stampa si rinvenivano, virgolettati, significativi stralci della relazione prefettizia secondo cui gli elementi raccolti sul condizionamento mafioso nel Campidoglio avevano i «caratteri di rilevanza e concretezza ma non di univocità». Ciò perché la giunta Marino avrebbe «posto in essere sforzi per marcare una discontinuità rispetto al passato, evidentemente percepito come connotato da pericolose anomalie e disfunzionalità», ed anzi «l'azione di discontinuità di Marino è avvenuta in assenza di precisi segnali di allarme che sarebbero dovuti provenire da organi terzi e che avrebbero ben potuto indirizzare l'azione di ripristino della legalità verso percorsi più decisi», pur dovendosi evidenziare «per dovere di obiettività» che «la giunta Marino ha dato alcuni precisi e non trascurabili segnali (..) ma che, almeno all'inizio della gestione, si tratta di scelte non dettate da una precisa e consapevole volontà di contrastare l'illegittimità Pag. 121e il malaffare, quanto piuttosto di comportamenti ispirati agli ordinari parametri di regolarità»(112).

13.2.4 – La posizione del Ministro dell'interno

  Anche per la relazione rassegnata il 27 agosto 2015 dal Ministro dell'interno valgono le medesime considerazioni circa l'opportunità di non riportare in questa sede le motivazioni che non sono state oggetto di divulgazione. Dall'allegato al decreto del Presidente della Repubblica citato, si può comunque trarre che la decisione ministeriale si era formata, in parziale conformità alle proposte del prefetto, solo per lo scioglimento del X municipio. Le proposte prefettizie di annullamento di procedure di gara o di affidamento, il cui potere spetta, ex articolo 145, comma 4, TUEL, alle commissioni straordinarie, apparivano invece rigettate. Circa l'altra sollecitazione del prefetto per l'applicazione delle misure di cui all'articolo 143, comma 5, TUEL nei riguardi dei dirigenti e di altri dipendenti comunali, attuabili con decreto dello stesso Ministero dell'interno, si apprendeva dalla conferenza stampa del 27 agosto 2015 che il Ministro aveva «informato il consiglio dei ministri di aver dato avvio a tutte procedure per l'applicazione del comma 5 dell'articolo 143 del Testo unico sull'ordinamento degli enti locali che riguarda la possibilità di applicare determinate misure, nei confronti di dirigenti e dipendenti comunali, qualora vi fossero gli elementi con un decreto ministeriale, quali la destinazione ad altro ufficio o ad altra mansione con contestuale avvio del procedimento disciplinare». Tuttavia, da ciò che risulta, tali provvedimenti non sono stati emessi essendo stato poi richiesto all'amministrazione capitolina di procedere essa stessa a carico dei suoi dipendenti.
  Con riferimento a Roma Capitale considerata nel suo complesso, il Ministro, avendo preso atto che la commissione di accesso aveva evidenziato una situazione amministrativa caratterizzata da gravi vizi, annunciava, nella medesima conferenza stampa, che avrebbe fatto supportare l'amministrazione capitolina e che, a tal fine, avrebbe incaricato il prefetto di pianificare con il sindaco gli interventi di recupero dei settori che risultavano maggiormente compromessi («intendo incaricare il prefetto di Roma, insieme con il sindaco, di indicare gli interventi da fare su alcuni dipartimenti, atti e procedimenti. Otto gli ambiti su cui lavorare: indirizzo su verde, immigrazione, campi nomadi, servizi e fornitura, albo ditte fiduciarie, monitoraggio centrale unica acquisti, più controlli interni, revisione contratti servizio specie con Ama»). In sostanza, il Ministro, come chiariva più tardi nell'audizione davanti alla Commissione parlamentare antimafia del 15 marzo 2016, aveva adottato «misure di monitoraggio» della situazione di Roma Capitale e, all'uopo, aveva chiesto al prefetto di Roma di «esercitare forme di verifica dell'attività di risanamento dell'ente» così delineando «un processo di ripristino della legalità dell'attività amministrativa, all'interno del quale il ruolo del prefetto si atteggiava in termini di sostegno collaborativo» Spiegava anche, nella medesima audizione, che «questo percorso di ristabilimento, che già in passato era Pag. 122stato applicato per altre amministrazioni locali, trovava il suo fondamento non certo nell'articolo 143 del TUEL ma nei principi generali che regolano la cooperazione istituzionale».
  La soluzione ideata per l'amministrazione capitolina, ed avviata già dal mese di settembre, però, non trovava tempo per una sua approfondita sperimentazione dato che, come ricordato, il 30 ottobre 2015, dopo le dimissioni di 26 consiglieri capitolini, veniva decretato lo scioglimento dell'assemblea del Campidoglio e la nomina di un commissario straordinario.

13.2.5 – Le commissioni di accesso presso i comuni di Sacrofano, Morlupo, Sant'Oreste e Castelnuovo di Porto

  La strategia del sodalizio di Carminati, preordinata all'illecita acquisizione di appalti per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti e dei servizi di accoglienza degli stranieri, si era estesa, secondo le risultanze dell'indagine «Mondo di mezzo», anche in taluni comuni vicini a Roma, come Sacrofano, Morlupo, Sant'Oreste, Castelnuovo di Porto. Fatto per cui, nel gennaio 2015, veniva inviata, ai sensi dell'articolo 143 TUEL, una commissione di indagine anche presso tali enti locali.
  In particolare, Sacrofano risultava collegato a «Mafia capitale» in quanto, innanzitutto era risultato essere il luogo di residenza di molti dei protagonisti dell'indagine e, tra questi, di Massimo Carminati, capo dell'associazione, di Riccardo Brugia, capo dell'ala militare, di Cristiano Guarnera, imprenditore del sodalizio criminale che acquisiva appalti con metodi corruttivi, oltre che di Agostino «Maurizio» Gaglianone, imprenditore di spicco nella comunità locale. Inoltre, secondo le indagini, il sindaco del comune, Tommaso Luzzi, appariva anche lui collegato all'associazione «Mafia capitale», in quanto vicino alla cordata di Domenico Gramazio e del figlio di questi, Luca, il quale, dopo le elezioni, era in grado di orientare il flusso dei finanziamenti e degli affidamenti delle commesse pubbliche. Del resto era stata l'associazione «Mafia capitale» a sostenerlo nella campagna elettorale: Carminati gli aveva organizzato e finanziato una cena per circa 600 persone, mentre Buzzi aveva favorito l'assunzione, in una delle sue cooperative, di soggetti residenti a Sacrofano, segnalati da Luca Gramazio per conto di Luzzi. Quest'ultimo, a sua volta, ormai eletto sindaco, si era posto in posizione debitoria rispetto al sodalizio. E così aveva individuato un terreno necessario a Buzzi (in quanto la cooperativa «29 Giugno» aveva ottenuto un appalto per la gestione dei rifiuti a Morlupo) e aveva anche favorito l'occultamento della documentazione relativa all'accatastamento ed alle varianti del progetto approvato in sanatoria della villa acquistata da Carminati. Emblematiche, a tal proposito, erano le considerazioni dello stesso Carminati nei confronti del sindaco: «lui (Luzzi) non può fare nulla, perché ? Ti dico io perché, perché i soldi vengono dalla Regione. Se lui non fa quello che dimo noi, Luca (Gramazio) gli blocca tutto, fatte servì.»(113).Pag. 123
  Per Morlupo, risultava che Salvatore Buzzi, nell'esasperata ricerca di espansione criminale, si era interessato anche a tale comune. Dopo un iniziale momento in cui, stando alle parole del capo delle cooperative, il sindaco Marco Commissari si era rilevato una persona disponibile ad affidare loro lavori senza chiedere in cambio denaro («..è una persona seria, corretta, non ce chiede niente, non ce chiede soldi...c'ha dato i rifiuti, ce sta a da’ un asilo nido, ce sta a da’ un impianto de congelazione» (114)), successivamente si apprendeva da una conversazione tra lo stesso Buzzi e Carminati, che, come affermato dal primo, «il sindaco di Morlupo l'ho messo a stipendio» mentre il secondo commentava «ah perfetto»(115).
  Circa Sant'Oreste, l'ordinanza cautelare emessa nell'ambito del procedimento su mafia capitale aveva riguardato anche il sindaco e il capo dell'ufficio tecnico del comune. Sergio Menichelli e Marco Placidi, infatti, erano stati posti agli arresti domiciliari per i delitti di corruzione e turbativa dei pubblici incanti, aggravati dalla finalità mafiosa in quanto diretti ad agevolare le cooperative di Salvatore Buzzi.
  Per il comune di Castelnuovo di Porto, il sindaco Fabio Stefoni, primo cittadino dal 2009, veniva posto agli arresti domiciliari nell'ambito della medesima inchiesta per il delitto di corruzione (accettando la promessa di corresponsione di 0,50 centesimi per immigrato al giorno e ricevendo una somma di denaro non inferiore a 10 mila euro), mentre il vicesindaco e assessore ai lavori pubblici, Alfonso Pedicino, secondo gli accertamenti penali, aveva ottenuto il sostegno economico per la campagna elettorale da Salvatore Buzzi il quale, a sua volta, grazie al Pedicino, era riuscito ad aprire un nuovo centro di accoglienza migranti.
  All'esito dell'indagine amministrativa, nessuno dei quattro comuni veniva sciolto per infiltrazione mafiosa. Sarà più tardi il Ministro dell'interno Angelino Alfano, nel corso dell'audizione innanzi alla Commissione parlamentare antimafia del 15 marzo 2016, a spiegare le ragioni della mancata adozione del provvedimento dissolutorio: «con riferimento al comune di Sacrofano l'articolo 143 del testo unico degli enti locali ha trovato applicazione, e specificamente nei confronti di due dipendenti nei cui riguardi sono stati riscontrati comportamenti inequivocabili di compiacenza e di cedevolezza rispetto agli interessi del gruppo malavitoso egemone, facente capo al noto Carminati. Sta di fatto che i due sono stati rimossi dagli incarichi ricoperti, con contestuale avvio del procedimento disciplinare. Tali misure sono state confortate anche dalle decisioni della magistratura amministrativa, che ha rigettato le istanze cautelari proposte dagli interessati. Per quanto riguarda, invece, i rapporti tra il sindaco Tuzzi e la persona di Salvatore Buzzi, è stato rilevato come queste frequentazioni fossero temporalmente collocate nel 2013, cioè prima che si palesasse lo spessore criminale del Buzzi. Inoltre, i rapporti di vicinanza tra l'importante esponente dell'amministrazione di Sacrofano e una figura del calibro di Buzzi, per quanto riprovevoli sul piano deontologico, sono apparsi aderenti a forme di clientelismo politico-amministrative piuttosto che integranti Pag. 124quel condizionamento mafioso richiesto dall'articolo 143 del testo unico degli enti locali.
  Nelle restanti situazioni che hanno interessato gli altri 3 comuni del Lazio le risultanze dell'attività ispettiva non hanno suffragato, come ha evidenziato anche il prefetto di Roma, alcuna ipotesi dissolutoria, né provvedimenti sanzionatori di altra natura. Tuttavia, su mia precisa indicazione, dallo scorso dicembre è stato attivato presso la prefettura di Roma un gruppo di esperti composto da personale del Ministero dell'interno con esperienze di accesso presso enti locali della Campania e della Calabria per un costante monitoraggio dei comuni di Sant'Oreste, Sacrofano e Morlupo. Queste tre amministrazioni verranno controllate nell'attività posta in essere negli ambiti più sensibili fino al prossimo mese di dicembre e anche oltre, se sarà necessaria una proroga della misura. In questo quadro è stata richiesta anche la collaborazione della procura della Repubblica e dell'Autorità nazionale anticorruzione per una valutazione e una lettura più attente di eventuali elementi sintomatici di infiltrazione criminale. Quest'attività di osservazione potrà anche sfociare – questo mi sembra importante sottolinearlo – in una ripetizione dell'accesso, che è espressione di un potere non consumabile ed è, invece, rinnovabile in presenza di nuovi sintomi o di nuovi segnali. Nessuno di questi è un capitolo chiuso».

13.3 – Gli accertamenti della Commissione parlamentare antimafia

  La Commissione parlamentare antimafia è investita dalla stessa legge istitutiva del compito di accertare e valutare la natura e le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni del fenomeno mafioso in tutte le sue connessioni, comprese quelle istituzionali, nonché del compito di svolgere il monitoraggio sui tentativi di condizionamento e di infiltrazione mafiosa negli enti locali e di proporre misure idonee a prevenire e a contrastare tali fenomeni, verificando l'efficacia delle disposizioni vigenti in materia, anche con riguardo alla normativa concernente lo scioglimento degli enti locali, formulando le proposte di carattere normativo e amministrativo per rendere più coordinata e incisiva l'iniziativa dello Stato nelle regioni e negli altri enti.
  Le vicende giudiziarie che avevano evidenziato la permeabilità della Capitale al fenomeno mafioso, pertanto, inducevano sin da subito questa Commissione ad avviare una propria inchiesta.
  Oltre all'immediata acquisizione di copiosa documentazione giudiziaria e amministrativa presso la procura della Repubblica di Roma, il comune e la prefettura di Roma, si procedeva nel tempo allo svolgimento di numerose audizioni volte, sostanzialmente, a verificare le capacità e l'entità dell'associazione «Mafia capitale» e delle altre mafie insistenti nel territorio romano (116); la prevedibilità e prevenibilità Pag. 125da parte degli amministratori degli eventi accertati dall'autorità giudiziaria sull'infiltrazione mafiosa nel comune capitolino (117); il grado e le modalità di condizionamento mafioso nella Capitale e nei comuni limitrofi e la pertinenza dei rimedi adottati (118); la situazione del X municipio e, anche stavolta, l'adeguatezza dei rimedi adottati, specie in riferimento alla particolare gravità di quanto accertato in quel territorio (119); la situazione del VI municipio (120); lo svolgimento delle prossime elezioni amministrative (121). Ciò, in ultima analisi, per accertare le cause di quegli accadimenti e per testare la capacità degli strumenti legislativi disponibili a prevenire e contrastare fenomeni di tal genere.

13.3.1 – L'accertamento sull'associazione «mafia capitale» e sulle altre mafie insistenti nel territorio

  È soprattutto attraverso le dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, che si sono acquisite ulteriori riflessioni rispetto a quanto già abbondantemente emerso nei provvedimenti giudiziari acquisiti agli atti della Commissione. Nella sua audizione dell'11 dicembre 2014, il procuratore, intervenuto con il procuratore aggiunto Michele Prestipino, oltre ad approfondire il Pag. 126contenuto nell'ordinanza di applicazione di misure cautelari relativa all'indagine «Mondo di mezzo», offriva una riflessione più ampia sulla mafia a Roma e sul suo modo di atteggiarsi e di evolversi. Spiegava quindi, anche perché si trattava del quesito che gli organi di stampa in quei giorni ponevano insistentemente, perché può considerarsi mafiosa un'associazione che non controlla il territorio e che non ha i morti per strada: «Cosa dice il 416-bis  ? Ci vuole un numero minimo di tre persone, e lì ci siamo. Non parla di controllo del territorio. Le stesse armi sono un'aggravante, quindi possono esserci o meno. In cosa consiste, allora, l'essenza del reato di associazione mafiosa  ? (..) è il metodo mafioso, cioè la capacità di ricorrere alla violenza per creare assoggettamento, intimidazione, omertà, per il raggiungimento di fini sia leciti sia illeciti, e la consapevolezza in un certo ambiente circostante, che non deve necessariamente essere geografico, cioè il territorio, ma può essere sociale, come quello di cui crediamo di avere trovato le tracce in quest'indagine, per creare omertà e soggezione nell'interlocutore e nell'ambiente circostante. Questa, secondo noi, è l'associazione mafiosa, che è quello che poi dice il 416-bis sia nella parte definitoria sia, dopo aver fatto riferimento con le varie aggiunte (mafia, camorra; nel 2010, è stata inserita la ‘ndrangheta) le altre associazioni comunque localmente determinate. Il legislatore, quindi, già nel 1982 aveva chiaro che possono esserci mafie locali, che ovviamente non hanno una refluenza nazionale, ma locale. (..) 
  Del resto, il procuratore evidenziava che anche le mafie tradizionali hanno cambiato strategia, ricorrendo alle manifestazioni di violenza solo come extrema ratio: «Anzitutto, come dimostrano le inchieste delle varie parti d'Italia, si sono evolute anche le mafie tradizionali. Se andiamo a fare le statistiche degli omicidi non solo in Sicilia, ma anche in Calabria, dove pure certamente la violenza non manca, sono vertiginosamente abbassate rispetto a dieci, quindici o vent'anni fa. (..) La Campania è un po’ diversa, ma lì entrano in ballo altri fattori. Si sono evolute le mafie tradizionali, (..)Ancora una volta, come abbiamo detto e hanno detto tutti gli esperti che hanno studiato il fenomeno, sempre più le mafie tradizionali e, a maggior ragione, questa mafia capitale privilegiano la corruzione alla violenza per i motivi che sappiamo benissimo, evitare di avere l'attenzione dei media, della magistratura, dell'opinione pubblica e così via.»
  Circa le peculiarità di «Mafia capitale», il procuratore, tra le altre cose, ne evidenziava la trasversalità, sia interna che esterna. Interna perché «Carminati e tutta la sua filiera vengono dall'estrema destra; Buzzi dall'estremo opposto». Esterna perché intratteneva rapporti, seppure in modo diverso, con entrambe le giunte che si sono succedute, quella Alemanno e quella Marino, espressioni di schieramenti politici diversi: «Essa si rapporta in modo completamente diverso con le due giunte che si sono succedute – questo è un dato di fatto – con la giunta di cui è stato sindaco Alemanno, a sua volta indagato in questo procedimento. In quella giunta abbiamo a coprire cariche amministrative di vertice tre delle persone cui abbiamo contestato con la misura cautelare anche il reato del 416-bis, e cioè Testa, Mancini e Panzironi. Coprono incarichi di vertice nell'ambito della struttura e sono certamente persone vicinissime anche al sindaco. Con l'amministrazione successiva, questa presenza di vertice non c’è, perché Pag. 127il nuovo sindaco con la nuova amministrazione cambia anche i vertici delle varie società, ma non c’è dubbio che rimanga (..) questa presenza estremamente pesante di Buzzi e del mondo delle cooperative che ruota attorno a lui, che si caratterizza secondo noi con una continuazione del fenomeno corruttivo o tentativi di corruzione anche con la nuova amministrazione. Per amministrazione, forse è bene specificare che si tratta non sono solo di assessori e consiglieri, ma di tutta la burocrazia comunale, che ovviamente a Roma ha dimensioni enormi, come tutte le altre manifestazioni della città di Roma. Con questa nuova consiliatura, quindi, è diverso, ma è anche vero, come abbiamo sottolineato nel provvedimento e ripeto in questa sede, che tutto sommato Carminati e Buzzi erano tranquilli sull'esito delle elezioni. Naturalmente, la loro prima preferenza andava alla continuazione della giunta precedente, ma non si aspettavano sfracelli e sconquassi qualunque fosse stato l'esito e vantavano – sottolineo che vantavano, perché non li abbiamo identificati, non sappiamo neanche se poi siano stati eletti o meno – agganci sia nell'uno sia nell'altro schieramento. Del resto, in una delle centomila intercettazioni interessanti che ci sono state, a un certo punto Carminati dice a Buzzi che con questi ora devono trattare, che devono ricevere appalti, incarichi e così via. Si parla di cavalli e poi c’è la frase, anche questa ampiamente pubblicizzata, «Mettiti la minigonna e va’ a battere con questi, amico mio».
  Su quest'ultimo argomento, il procuratore della Repubblica di Roma ritornava anche nella successiva audizione dell'1 luglio 2015: «l'associazione (..) si rapporta in modo completamente diverso con le due giunte che si sono succedute nel corso dei due anni circa di durata delle indagini. (..) Con la giunta guidata da Gianni Alemanno – che è anch'egli indagato in questo procedimento per il reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale, mentre è detenuto per lo stesso reato Luca Gramazio, all'epoca capogruppo della maggioranza di centrodestra in consiglio comunale e poi in consiglio regionale – si registra l'esplosione del fatturato delle cooperative di Buzzi, la nomina di alcuni dei partecipi all'associazione mafiosa – Testa Fabrizio Franco e Panzironi Franco – o di persone ad essa gradite – Berti Giuseppe e Fiscon Giovanni – al vertice di società partecipate dal comune. Si registra, altresì, il dialogo diretto, in posizione sovraordinata, fra Carminati e il più stretto collaboratore del sindaco di allora, Lucarelli (..). Con l'amministrazione successiva questi contatti di Carminati ai livelli più alti non ci sono più, perché questi contatti non li ha il nuovo sindaco, il quale sindaco cambia anche i vertici delle società partecipate.(..). Del resto, considerando insieme le due ordinanze del giudice per le indagini preliminari, sono state disposte misure cautelari per reati contro la pubblica amministrazione, senza l'aggravante di cui all'articolo 7, nei confronti di ben cinque componenti dell'assemblea capitolina, fra cui l'ex presidente della stessa assemblea e un ex assessore della giunta Marino, oltre che dell'ex presidente del X municipio, quello di Ostia, e del sindaco di Castelnuovo di Porto. Numerosi sono, inoltre, i dirigenti e i funzionari dell'amministrazione di Roma Capitale e della partecipata AMA, nei cui confronti sono state disposte misure cautelari per i reati di corruzione, turbativa d'asta e, in alcuni casi, anche per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale».Pag. 128
  Estremamente rilevanti erano anche le riflessioni riguardanti le similitudini tra mafia capitale e le associazioni tradizionali. E, a tale proposito, il procuratore aggiunto Michele Prestipino, si soffermava sul ruolo dell'imprenditoria romana che, in maniera del tutto allarmante, aveva intessuto con l'organizzazione di Carminati rapporti del tutto analoghi a quelli registrati nelle mafie del sud: «nel rapporto con gli imprenditori Carminati e i suoi si pongono con un obiettivo, con un'ottica, con un approccio che registriamo in modo assolutamente identico, addirittura dal punto di vista della terminologia, a quelli delle mafie tradizionali.(..) Il rapporto con gli imprenditori origina dall'incontro tra l'imprenditore e il gruppo mafioso sul tema della protezione. Così nasce a Palermo, così origina a Reggio Calabria, così si alimenta a Napoli. L'imprenditore si rivolge al mafioso di solito per ottenere «protezione» per poter lavorare senza problemi. Questo stesso schema si ripete anche a Roma con gli imprenditori romani, i quali, quando hanno un problema, qualcuno – c’è più di un caso – si rivolge a Carminati per ottenere protezione dagli altri gruppi malavitosi, dalla malavita spiccia, da tutto quello che sul fronte delle attività criminali si muove in una città come questa. Il meccanismo, però, è lo stesso. L'imprenditore chiede protezione e Carminati, nel momento in cui concede la sua protezione, chiede qualcosa, che va a ben al di là del pagamento di una somma di denaro o di un'utilità immediatamente valutabile in termini economici spiccioli. È Carminati stesso che, nel corso di una conversazione (..) usa parole che (..) si potrebbero leggere in un'intercettazione captata a Palermo o a Reggio Calabria in modo assolutamente indifferente. Spiega ai suoi la sua filosofia col mondo dell'impresa ed è proprio la quintessenza della filosofia mafiosa. «A me mi puoi anche dire che mi dai un milione di euro per guardarmi da tutta questa gentaglia. È normale, ma è normale anche che dall'amicizia deve nascere un discorso che facciamo affari insieme. Io gli faccio guadagnare i soldi a lui e questo è un discorso che io ho fatto a tutti questi. Loro devono essere nostri esecutori, devono lavorare per noi». Questo rapporto tra gruppo organizzato, tra struttura organizzata e imprenditoria è secondo me uno dei tratti distintivi maggiormente significativi per riconoscere la mafiosità di un gruppo, che va ben al di là del fatto di rivolgere verso il sistema impresa un interesse di natura predatoria, per capirci, il pizzo. Questi vogliono le imprese, così come le vuole la ‘ndrangheta quando arriva al nord, così come le ha volute e le ha ottenute cosa nostra dove era presente».  
  Tra le altre similitudini, secondo il dott. Prestipino, vi era anche la capacità di «Mafia capitale», al pari delle associazioni tradizionali, di rapportarsi con altri gruppi malavitosi non soltanto in sede locale, ma anche in sede nazionale: «L'accumulazione del potere criminale, quando è accumulazione di potere criminale mafioso – non sempre, ovviamente, lo è, perché c’è un potere criminale che a volte non ha queste caratteristiche – ottiene la riconoscibilità in stato di parità dalle altre organizzazioni mafiose. Le organizzazioni mafiose si riconoscono reciprocamente. A volte, si riconoscono per farsi la guerra a volte, invece, per convivere su affari o su porzioni di territorio». E, a tal proposito, il procuratore aggiunto riferiva del contenuto di una ulteriore ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di due altri indagati, eseguita proprio il giorno dell'audizione, inerente Pag. 129alcune altre vicende di «Mafia capitale»: «Faccio riferimento a quest'ordinanza del gip di Roma (..). È una vicenda davvero interessante. Parte nel 2008 con l'accreditamento da parte di Buzzi, con la regia esplicita, riconoscibile, riconosciuta ed evidenziata dalle intercettazioni di Carminati, di due persone, formalmente soltanto dipendenti della famosa cooperativa di Buzzi «29 Giugno», presso la famiglia Mancuso di Limbadi, un pezzo molto importante della ‘ndrangheta vibonese, attraverso il canale giusto, quello dei Piromalli di Gioia Tauro. Questi due soggetti accreditati sono, infatti, originari di Gioia Tauro, quindi il canale è quello ufficiale, perché i Piromalli sul versante tirrenico della provincia di Reggio sono il gruppo, insieme ai Pesce, più vicino a quello dei Mancuso, che invece sono nella provincia confinante. (..) Queste due persone ottengono questa sorta di riconoscimento presso i Mancuso. Si costituisce un ente che in territorio calabrese, sul territorio dei Mancuso, gestisce un'attività presso un centro collegato al CPT (centro di permanenza temporanea) di Crotone, centro importante perché gestisce l'accoglienza di 240 immigrati per il valore 1.300 mila euro, per il quale all'epoca erano corrisposti dal Ministero dell'interno 35 euro al giorno per immigrato. Il CPT è di Crotone. Questo centro si trova a Cropani Marina, in provincia di Catanzaro, ed è un CARA (centro di accoglienza per richiedenti asilo), per capirci. Per cinque anni, quest'ente gestisce questo centro di appoggio al CPT di Crotone e, come dice Buzzi in un'intercettazione, «Siamo stati là cinque anni e non ci ha toccato nessuno». Nel 2013, ovviamente c’è la contropartita, lo scambio dell'utilità: questa volta, sono i Mancuso che mandano un imprenditore molto vicino, organico alla famiglia in territorio romano, lo affidano alle cure di Carminati e di Buzzi. Questo signore ottiene in subappalto dei lavori sul territorio di Roma da Buzzi, ovviamente alcuni lavori che riguardano le pulizie nel mercato dell'Esquilino. C’è questo scambio di utilità reciproca, in cui le due organizzazioni, da un lato Mancuso e dall'altro Carminati, si riconoscono vicendevolmente e, ovviamente, si rispettano, si ausiliano reciprocamente. (..) Anche qui, ancora una volta sono i diretti interessati che in un'intercettazione riassumono questa vicenda e dicono: «In quella rete là – e si riferiscono al vibonese – comandano loro. In questa rete qua, comandiamo noi».
  Anche il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, forniva il suo contributo per la ricostruzione della questione mafiosa a Roma, durante la sua audizione del 5 agosto 2016. Riferiva in particolare della gravità nella Capitale del problema abitativo, del fenomeno dell'occupazione abusiva degli immobili, dell'istituzione di tavoli di osservazione della prefettura presso ciascun municipio; del degrado di Roma che rischia di alimentare il terreno di coltura sul quale le manifestazioni di delinquenza comune possono evolversi in forme di criminalità organizzata; di come in un tessuto urbano così ampio come quello della Capitale, in cui singole circoscrizioni arrivano ad avere un'estensione geografica paragonabile a quelle di grandi città come Milano, il fenomeno si presenta con un andamento a macchia di leopardo che non risparmia neanche i quartieri centrali o semicentrali; di come la sospensione dei sindaci di Marino e di Guidonia Montecelio, arrestati per corruzione, rappresentino un campanello di allarme della diffusione anche nella provincia di fenomeni di mala administration; di come Roma sia, per la criminalità Pag. 130organizzata di varia matrice, un luogo strategico e appetibile per il riciclaggio del denaro provento dell'attività illecite delle organizzazioni criminali. E, a tale ultimo proposito, il prefetto spiegava che la criminalità organizzata predilige entrare nel capitale di imprese apparentemente legali, infiltrarsi in aziende gestite da persone apparentemente pulite e che i settori economici di elezione continuano ad essere la ristorazione, l'abbigliamento, le concessionarie di autoveicoli, le società finanziarie, il mercato immobiliare, il settore degli stabilimenti balneari.
  Ed ancora, il prefetto si soffermava sul fenomeno «Mafia capitale» definendolo il prodotto originale e originario dell'evoluzione di alcuni ambienti della criminalità romana sintetizzati dalla figura del suo leader, Massimo Carminati, uomo che già in passato aveva garantito alleanze e saldature tra il mondo dell'eversione nera, cui apparteneva, e quello della delinquenza romana, segnatamente con il sodalizio della banda della Magliana. I numerosi e inquietanti episodi cui era stato associato, talora senza che ne fosse stato possibile accertare processualmente una sua specifica responsabilità, avevano finito per circondare Carminati di una sinistra fama di grande pericolosità e capacità delinquenziale. Di questa sinistra aura, si erano giovati non solo lo stesso Carminati, ma anche i suoi sodali, che l'avevano puntualmente sfruttata per affermarsi, grazie al potere di intimidazione che ne derivava, in numerose attività illecite. L'associazione mafiosa che ne era scaturita era articolata in due rami, entrambi operanti sotto il rigido controllo di Carminati: l'ala militare, dedita ad attività tipiche delle mafie storiche (come l'usura, l'estorsione, il traffico di armi) e il branch economico, impegnato, con il concreto ausilio di un folto gruppo di imprenditori collusi, ad accaparrarsi appalti e provvidenze pubbliche. In quest'ultimo campo era emerso il ruolo di Salvatore Buzzi, anche lui con un passato criminale accreditato da una fama positiva nel mondo della cooperazione sociale e negli ambienti politici vicini a quest'ultima. Costui, sotto la regia di Carminati, aveva agito come volto imprenditoriale dell'organizzazione, adoperandosi per mezzo delle società cooperative a lui riconducibili e a una folta rete di contatti, a realizzare disegni criminali finalizzati a permeare la gestione di appalti e risorse pubbliche di amministrazioni locali. Su questo versante l'indagine rilevava la pluralità di direzioni lungo le quali l'organizzazione aveva sviluppato le sue penetrazioni nella cosa pubblica.

13.3.2 – La prevedibilità e prevenibilità del fenomeno «mafia capitale» da parte dell'amministrazione

  La Commissione ha cercato di approfondire in maniera particolare le ragioni per cui le istituzioni non fossero riuscite, prima ancora dell'intervento dell'autorità giudiziaria, né ad accorgersi di quanto stava accadendo ormai da tempo nel comune capitolino, né, comunque, a porre le basi per prevenire situazioni di tal fatta.
  Veniva quindi sentito, l'11 dicembre 2014 l'allora prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro. Egli riferiva, inizialmente, sulla situazione delle mafie a Roma, confermando la ricostruzione secondo cui si era Pag. 131constatata la presenza di referenti delle principali famiglie mafiose camorristiche e della ‘ndrangheta, nonché dei loro rilevanti investimenti sul territorio, soprattutto nel campo alberghiero e della ristorazione, in cui impiegano i capitali illecitamente acquisiti. Tuttavia non si era mai riscontrato un vero e proprio controllo del territorio da parte della criminalità organizzata, né si erano create forme di allarme sociale tipiche di altre realtà territoriali, sicché le mafie erano riuscite a infiltrarsi e a consolidarsi senza ingenerare particolare attenzione.   
  Con riferimento a «Mafia capitale», che peraltro si era insediata nel settore dell'immigrazione e dei campi nomadi, cioè proprio quello sottoposto al diretto controllo delle prefetture, Giuseppe Pecoraro, richiamando un articolo de L'Espresso (che, come noto, ben prima dell'emissione dell'ordinanza aveva denunciato l'esistenza dell'associazione facente capo a Massimo Carminati), affermava però di avere avuto una conoscenza giornalistica, assolutamente molto generale, .. della situazione, ma mai immaginavo che fosse così pervasiva. Anzi, evidenziava che egli stesso non aveva avuto alcuno strumento che gli consentisse di cogliere indizi di sorta del sistema illecito che si era insinuato nel sistema dell'accoglienza.
  A titolo di esempio, sulla Eriches 29 Consorzio di Cooperative Sociali a.r.l, facente capo a Salvatore Buzzi e attraverso cui l'associazione mafiosa di Carminati si accaparrava la gestione degli immigrati, riferiva un significativo episodio: «Tenuto conto che l'Eriches doveva stipulare dei contratti con noi proprio per l'immigrazione, io feci riunire il gruppo GIA, ossia il gruppo che mi consiglia sull'emanazione o meno di un'interdittiva antimafia. Due mesi fa il gruppo GIA mi ha riferito che non c'era bisogno dell'interdizione antimafia. Qui nasce il problema. Io non metto in dubbio la buona fede di ufficiali e funzionari che fanno parte del GIA. (..). Due mesi dopo l'Eriches è diventata parte importante e significativa di questa operazione. Io capisco che l'ufficiale di Polizia giudiziaria non possa fornire notizia delle indagini in corso e, quindi, ci troviamo di fronte a questa difficoltà». (..) Come faccio io il controllo, se attraverso il gruppo GIA non è emerso nulla ? Questo è un problema normativo, non è un problema di cattiva volontà o di malafede.
  Con riguardo alla centrale figura di Luca Odevaine, già vice capo di gabinetto dell'ex sindaco Veltroni e, fino all'arresto nell'indagine «Mondo di mezzo», componente del Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale del Viminale, il prefetto affermava che «Odevaine è una persona che è stata sempre vicino alle Istituzioni,(..) partecipava ai Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica in rappresentanza della provincia di Roma. Poi è andato al Ministero dell'interno.(..) È una persona che io fino all'altro ieri ho stimato (..) ma mai avrei potuto immaginare di Odevaine una cosa del genere».  
  Anche per Salvatore Buzzi, che il prefetto aveva incontrato personalmente per farsi illustrare taluni progetti in tema di immigrati, era successa la stessa cosa: «Anch'io mi sono trovato in difficoltà, è inutile negarlo. Buzzi è venuto da me perché mi è stato chiesto di riceverlo e io l'ho ricevuto. Noi siamo completamente senza paracadute. (..) Neanche sapevo chi fosse. (..) Il dottor Letta (Gianni Letta, nda) mi Pag. 132ha chiamato e mi ha chiesto se potessi ricevere un attimo Buzzi. Io ho ricevuto Buzzi e, sapendo perché veniva da me, ho detto di no, perché non avevo bisogno delle iniziative che mi voleva proporre. E se ne avessi avuto bisogno  ? (..) Mi metteva a disposizione 100 alloggi, 100 appartamenti a Castelnuovo di Porto. (..) Pertanto, la considerazione che io faccio, onestamente, è che veramente uno si può trovare in questa situazione. Questo è il pericolo di questo tipo di associazione, in cui chiunque può trovarsi. Qual è l'analisi, che cosa dobbiamo ricavarne ? Ne ricaviamo la facilità con cui si arriva alle Istituzioni e il fatto che non ci sia un controllo».
  A questo punto però gli veniva contestato che «Se il suo ruolo è quello del controllo e poi, quando deve incontrare delle persone che in un dato momento non sapeva chi fossero, ma che ha incontrato per la fiducia, perché c'era un altro soggetto che gliele segnalava, non controlla, è un problema. Se lei non controllava chi incontrava e magari aveva bisogno di alloggi, Buzzi le avrebbe fornito gli alloggi e lei non avrebbe mai saputo che cosa stesse facendo. (..) Per fortuna, non aveva bisogno di alloggi, in quel momento, ne aveva già altri. Che cosa sarebbe successo, però, se avesse detto di sì ? Il controllo dove va a finire  ? (..) Forse è il sistema dentro le Istituzioni a non funzionare» (122). Il prefetto, sottolineando che «se non ci fidiamo neanche fra Istituzioni, allora andiamo tutti a casa» ribadiva che «il problema del controllo (..) è un altro e riguarda il fatto che a volte noi non abbiamo la possibilità di sapere talune cose perché ci sono indagini in corso. (..) Io non dovevo, quindi, fare il controllo su una determinata persona. Essendo rappresentante del Governo, forse avrei dovuto essere avvertito su una determinata persona, probabilmente».
  Approfondendo poi il sistema dei controlli sugli enti locali, ed evidenziato che soprattutto nel periodo della giunta facente capo ad Alemanno ma anche in quella Marino si erano insediate, direttamente o indirettamente, figure con precedenti penali, il prefetto lamentava che «nell'ambito dei comuni i controlli non ci sono più. Nei comuni non c’è controllo e nelle regioni non c’è controllo. L'unico controllo lo tiene lo Stato attraverso la Corte dei conti. Quello preventivo è un controllo serio. (..) Se il sindaco, chiunque esso sia, si sceglie un capo di gabinetto, io non posso dire al sindaco che il suo capo di gabinetto non mi piace, né posso andare a controllare lo SDI di tutti coloro che arrivano. (..) Il responsabile è chi assume queste persone. Non può essere responsabile chi sta dall'altra parte. (..) Io ho il controllo sugli organi, non su chi collabora con gli organi, che è una questione ben diversa. Se, per esempio, un presidente di regione o un sindaco ritiene di avere con sé un dato assessore o un proprio collaboratore, non mi riguarda (..) È l'autonomia degli enti locali, che io rispetto. (..) Forse potremmo .. fare una riflessione sui segretari comunali.(..) Io la nomino perché è l'unica figura di controllo che ci sia nell'amministrazione. Forse bisogna rivedere la posizione funzionale dei segretari, ma questo è un discorso che, ovviamente, tocca alla politica»
  Inoltre, poiché dall'indagine «Mondo di mezzo» si era appreso che «si guadagna più con gli immigrati che con la droga», la Commissione cercava di verificare come venissero svolti i controlli che Pag. 133la Prefettura è chiamata ad esercitare sul sistema dell'accoglienza degli immigrati (123).
  Le risposte ottenute, anche in questo caso, non sono apparse rassicuranti. Circa la qualità delle forniture, il prefetto infatti affermava che «per quanto riguarda.. il bando che concerne gli immigrati, noi abbiamo un budget da parte del ministero che va da 30 a 35 euro a persona. Sulla base di quello poi ci sono le offerte. C’è chi si accontenta di ricevere 30 euro a persona ed è primo in graduatoria e c’è chi ne vuole 35 ed è dietro in graduatoria (..). La Commissione andava nei centri a vedere come si mangiava e che tipo di abiti si fornivano, ma non possiamo per ogni abito fare poi la verifica. Le forniture le controlliamo, ma non possiamo sapere tutto. Quanto ai 30 euro a persona, io penso che si lucri non tanto sulla qualità, quanto sulla quantità. Noi, più che prendere le presenze, che cosa potevamo fare ? Per noi sono le presenze quelle che contano. Quanto alle forniture, se vengono date, vengono date. (..) Per dare da mangiare tre volte al giorno, sapone, materiale per lavarsi e abiti, 30 euro si raggiungono. Dove può esserci il guadagno ? L'unico guadagno può essere sui numeri. Questo è il ragionamento che faccio io». Ma se l'indebito guadagno nasceva, quindi, dalla dichiarazione di un maggiore numero di presenze di immigrati rispetto a quello reale, ci si chiedeva come ciò fosse stato possibile in presenza di un controllo serrato. Il prefetto sul punto, pur ribadendo che secondo lui «guadagnino sui numeri», affermava che, tuttavia, «noi il controllo lo facevamo.(..) I numeri sono quelli, perché noi li controllavamo».
  Il 17 dicembre 2014, la Commissione parlamentare procedeva all'audizione del sindaco in carica, Ignazio Marino (insediato in Campidoglio il 12 giugno 2013 sino al 31 ottobre 2015), al quale veniva chiesto in maniera particolare, se, prima dell'indagine «Mondo di mezzo», avesse avuto modo di cogliere ciò che accadeva nell'amministrazione capitolina e, in caso contrario, come fosse stato possibile ignorare un fenomeno così ampio e grave.
  Il sindaco dichiarava di avere avuto contezza, ancor prima della sua elezione, della presenza e dell'operatività delle mafie a Roma anche grazie ai numerosi sequestri di locali e di attività commerciali eseguiti negli ultimi anni che dimostravano chiaramente l'esistenza di investimenti mafiosi nel cuore economico della città. Peraltro, già nel corso di un'intervista rilasciata in tempi non sospetti a la Repubblica (il 14 luglio 2013, quindi 32 giorni dopo il suo insediamento) aveva esposto le sue preoccupazioni sul crescente impiego di capitali con finalità di riciclaggio nei luoghi importanti della Capitale, manifestando l'impegno dell'amministrazione ad attuare con forza un'opera di prevenzione rispetto all'illegalità, che era da subito iniziata contrastando la vendita abusiva in alcune grandi piazze romane. Cosa diversa era però il sospetto che le mafie fossero addirittura in grado di influenzare la giunta capitolina. Tuttavia, solo dopo che erano stati resi noti i fatti dell'inchiesta penale, aveva compreso che la sua nuova gestione «non aveva dato fastidio solo a singoli interessi privati abituati Pag. 134ad occuparsi solo di come arricchirsi illegalmente. Non era solo un sistema di piccoli malaffari, ma una cupola criminale con ramificazioni inquietanti».
  Il sindaco rimarcava il profondo distinguo esistente tra la sua amministrazione e quella precedente del sindaco Giovanni Alemanno. Ricordava infatti che era stato lo stesso procuratore Pignatone, nel corso dell'audizione resa proprio alla Commissione parlamentare antimafia, a precisare che mafia capitale si era rapportata in modo completamente diverso nel periodo della sindacatura Marino rispetto a quella precedente. Del resto erano proprio gli atti di indagine a smentire la presenza della mafia nella sua gestione. Sotto la sua amministrazione si erano verificati solo episodi di corruzione semplice o altri reati senza l'aggravante mafiosa poiché le mafie non erano riuscite a condizionare l'agire politico della sua giunta: «.. la mafia con la giunta precedente aveva posizioni di vertice, mentre con la mia giunta ha certamente tentato di avvicinarsi e di infiltrare, ma non ci è riuscita, perché non aveva nessuna posizione di vertice. L'assessore che si è dimesso, Daniele Ozzimo, è indagato per corruzione e il presidente dell'aula – entrambi appartengono al Partito Democratico – è indagato per corruzione, non per reati di associazione mafiosa».
  Nonostante il breve tempo trascorso dal suo insediamento, si trattava di un solo anno e mezzo, aveva da subito acquisito oggettiva consapevolezza dei tanti e gravi problemi di cui Roma era afflitta da decenni e si stavano individuando i settori di intervento approcciandosi a quelli che apparivano più urgenti. Erano così state compiute «scelte decisive, spesso storiche, che avevano messo le basi per un cambiamento profondo i cui effetti concreti si sarebbero visti solo nel tempo».
  Da subito si era adoperato per bonificare e risanare una pubblica amministrazione di cui aveva avvertito, già all'indomani del suo insediamento, la presenza di gravi irregolarità che lo avevano determinato, innanzitutto, a richiedere al Ministro dell'economia l'invio degli ispettori per una verifica contabile, che era stata poi eseguita.
  Il risanamento economico e la necessità di approvare il bilancio si erano presentate come le priorità del suo mandato. La situazione economica era veramente grave dato che la sua amministrazione aveva ereditato un disavanzo di bilancio con uno squilibrio strutturale pari a circa 800 milioni di euro. E, pertanto aveva dovuto porre in essere diversi e complessi interventi volti al risanamento economico della città.
  Ma, sebbene queste priorità, aveva operato per la legalità e la trasparenza di un'amministrazione complessa, complicata, in parte anche compromessa in determinati settori delicati, come quelli dei rifiuti e dei trasporti, e collaborato da subito con l'autorità giudiziaria inviando una serie di denunce e di documentazione di cui forniva un elenco analitico. Erano stati operati dei cambiamenti nelle principali società partecipate. Anzi, una delle prime persone che, poche settimane dopo il suo insediamento, erano state sostituite era stato proprio Franco Panzironi, poi indagato per il delitto di cui all'articolo 416 bis c.p. nell'inchiesta su «Mafia capitale», sollevato dalla carica di amministratore delegato di AMA. Aveva anche proceduto alla revoca dei componenti del consiglio di amministrazione della società Pag. 135partecipata Le Assicurazioni di Roma, società che aveva dimostrato una gestione a dir poco clientelare, prestando soldi senza garanzie a componenti del consiglio di amministrazione.
  Nell'ottica del risanamento economico ma anche per garantire le esigenze di trasparenza e legalità, era stata istituita la centrale unica di acquisti. Allo stesso modo, nell'ambito dell'organizzazione amministrativa capitolina, era stata disposta la revisione degli incarichi di responsabilità al fine di assicurare sin da subito il rispetto del principio di rotazione. Tuttavia la pianta organica del comune di Roma prevedeva l'impiego di circa 60 mila dipendenti, così che il controllo e la rotazione non potevano essere realizzate ed esaurirsi nel breve tempo a disposizione intercorso dall'inizio del suo mandato. Poi, in ordine alla posizione di una dirigente che in una conversazione intercorsa tra Salvatore Buzzi e un altro indagato veniva indicata come persona designata dall'associazione («ce l'abbiamo messa noi»), spiegava che, prima della diffusione degli atti dell'indagine, non vi erano state segnalazioni sul personale, e che, comunque, dall'inizio del suo mandato era appunto iniziata la rotazione dei dirigenti ed il controllo delle professionalità.
  Lo stesso impegno era stato speso nella politica di contenimento dei costi, specie nell'affrontare il problema «dell'emergenza abitativa» eliminando la cattiva prassi di corrispondere affitti sproporzionati rispetto alle caratteristiche degli immobili locati situati nelle più lontane periferie: «residence, luoghi per l'emergenza abitativa che esistono sin dagli anni del sindaco Rutelli, in molti casi dei veri e propri ghetti, dove sono ospitate poco meno di 2 mila famiglie in emergenza abitativa. Gli edifici appartengono a importanti imprenditori della nostra città e gli appartamenti di 60-70 metri erano affittati al comune di Roma a circa 2.200 euro» il mese.
  Orbene, certamente la cooperativa «29 Giugno», considerata per lungo tempo espressione di recupero e di rinserimento sociale dei detenuti, aveva rappresentato, nell'ambiente politico della sinistra, almeno all'apparenza, un esempio di realizzazione dei valori di riscatto sociale (da qui quel ruolo quasi di autorevolezza che gli aveva consentito di operare da molti anni nel quadro politico e sociale della città di Roma). Certamente, inoltre, dopo l'inchiesta su mafia capitale, il sindaco si era dotato di strumenti più efficaci di controllo e di intervento, nominando un assessore alla legalità e alla trasparenza, e richiedendo la collaborazione della Autorità anticorruzione per estendere la verifica sugli appalti. Certamente, ancora, il sindaco Marino, sin dall'inizio del suo mandato, aveva dichiarato che la legalità era uno dei principali obiettivi della sua amministrazione e che, in effetti, da subito aveva denunciato alla procura di Roma i fatti che riteneva potessero integrare ipotesi di reato. Ma proprio per questo, e a maggior ragione, appariva ancora più stridente la circostanza che al sindaco, non solo fossero sfuggiti i fatti poi emersi nell'inchiesta ma comunque, com'era evidente, nemmeno lui aveva efficacemente strutturato la propria amministrazione all'impronta del rispetto delle regole sì da prevenire o arginare l'insediamento di entità criminali nel comune. Altrettanto insufficienti apparivano le vaghe risposte, alle pur insistenti domande, se avesse avvertito o ancor solo percepito che il sistema criminale fosse collegato proprio alla cooperativa di Buzzi Pag. 136(che aveva finanziato la sua campagna elettorale con un contributo, regolarmente registrato, di 20 mila euro e che poi era stata beneficiaria della prima indennità percepita da Marino).
  Particolare importanza veniva attribuita da questa Commissione all'audizione, svoltasi il 15 aprile 2015, di Giovanni Alemanno, detto Gianni, sindaco di Roma dal 28 aprile 2008 all'11 giugno 2013, e cioè nel periodo in cui, secondo le risultanze investigative, «Mafia capitale» aveva raggiunto il più alto livello di infiltrazione nell'amministrazione capitolina.
  Va premesso che, all'epoca dell'audizione, l'ex sindaco era indagato nel procedimento «Mondo di mezzo» per il delitto di partecipazione all'associazione mafiosa e per quello di corruzione aggravata dalla finalità mafiosa e, pertanto, era già stato destinatario di un decreto, datato 29 novembre 2014, di perquisizione locale e sequestro, e di una contestuale informazione di garanzia. Deve aggiungersi che successivamente, cioè il 18 dicembre 2015, egli veniva rinviato a giudizio per il solo delitto di corruzione, peraltro non aggravato dall'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991. Ciò che interessava a questa Commissione non riguardava certo l'eventuale responsabilità penale dell'ex sindaco il cui accertamento è esclusivamente rimesso all'autorità giudiziaria, ma l'insieme di circostanze che avevano reso possibile quell'allarmante penetrazione mafiosa in seno alla sua amministrazione, senza reazione alcuna. Anzi, in ipotesi, la questione poteva assumere maggiore rilevanza proprio in assenza di un diretto coinvolgimento penale di Alemanno perché, in tal caso, cioè mancando una precisa volontà di commettere reati, ancora più manifesta sarebbe stata la fragilità del sistema i cui vertici non erano in grado di cogliere né le infiltrazioni mafiose né, quantomeno, la corruzione dilagante, e per di più nel periodo, almeno secondo le indagini, della massima espansione del fenomeno criminale.
  Molti erano gli episodi emersi dal procedimento penale che lasciavano trasparire una situazione a dir poco ammorbata e per i quali venivano chiesti chiarimenti all'ex sindaco nel corso dell'audizione. Risultava, infatti, già dal primo filone di indagine compendiato nella prima ordinanza cautelare, l'unica che era stata eseguita alla data dell'audizione di Gianni Alemanno, un intreccio tra criminalità organizzata e amministrazione capitolina nel periodo della sua giunta, che vedeva direttamente coinvolti i suoi stretti collaboratori, divenuti garanti dei rapporti tra l'associazione mafiosa e l'amministrazione comunale.
  In primo luogo, diverse intercettazioni, in parte già riportate nella prima parte di questa relazione, dimostravano la diffusa consapevolezza all'interno della consorteria, a partire dalla sua manovalanza a finire ai suoi vertici, che il sindaco Alemanno, consapevole o meno che fosse, appariva all'associazione il proprio punto di riferimento nevralgico. Addirittura, in occasione delle nuove elezioni comunali, alcuni indagati si rammaricavano della sconfitta di Alemanno sostenendo che, se fosse stato rinominato, «li avevamo comprati tutti» (124). Risultava Pag. 137inoltre che, sin dalla sua nomina a sindaco di Roma, molti soggetti collegati a Massimo Carminati da una comune militanza politica nella destra sociale ed eversiva ed anche, in alcuni casi, da rapporti di amicizia, avevano assunto ruoli di responsabilità nella Capitale e, al contempo, si erano resi funzionali alle esigenze dell'associazione mafiosa (125). A tal proposito un episodio particolarmente significativo, evidenziato nel corso dell'audizione, era quello inerente il capo della segreteria del sindaco Alemanno, Lucarelli, che, almeno in una occasione, proprio perché contattato o fatto contattare da Carminati, si era messo a disposizione delle esigenze delle cooperative (126). Circostanza questa che, volendo escludere il coinvolgimento di Gianni Alemanno, quantomeno lasciava pensare che, di fatto, il capo della sua segreteria aveva poteri decisionali che prescindevano dal sindaco ed, anzi, era assoggettato agli ordini di Carminati, mentre, al contempo, nessuno, sindaco compreso, aveva la consapevolezza o anche solo il sentore di tali accadimenti.
  Risultava, anche, che l'associazione mafiosa, proprio durante l'amministrazione di Alemanno, era pervenuta ad un sostanziale controllo sull'attività del comune di Roma e delle sue società partecipate in quei settori in cui le cooperative di Salvatore Buzzi operavano, tanto che esse, in poco tempo, erano riuscite a conseguire un fatturato che, da 26 milioni di euro nell'anno 2010, aveva superato i 50 milioni di euro nell'anno 2013.
  Appariva, ancora, che in tale medesimo contesto, il sindaco Alemanno, a sua volta, avrebbe percepito taluni «favori» dal circuito di Buzzi. In particolare, era proprio quest'ultimo ad affermare, in una conversazione intercettata, di avere pagato 75.000 euro per le cene organizzate a sostegno della campagna elettorale di Alemanno in occasione della sua ricandidatura a sindaco di Roma (127), circostanza questa, del resto, confermata dallo stesso Alemanno alla stampa. Pag. 138Inoltre, in un'altra conversazione, Franco Panzironi, amministratore delegato di AMA fino al 2011 e, di fatto, anche negli anni successivi, aveva chiesto a Buzzi, il quale aveva acconsentito, di reperire «un po’ di gente per fare volume» alla manifestazione organizzata da Alemanno al cinema Adriano, per il suo rientro in politica  (128). Bastava questo, dunque, per chiedersi come mai un soggetto come Buzzi, cresciuto nella sinistra, si fosse fatto carico di affrontare quelle spese e di rendersi disponibile per reperire una cinquantina di persone da mandare alla manifestazione al cinema Adriano, e comunque se e come Alemanno intendesse ricambiare lo «spirito di liberalità» di Buzzi.
  Lo stesso vale per i versamenti, riportanti di solito la causale «contributo a sostegno delle attività istituzionali», di Buzzi in favore della fondazione Nuova Italia presieduta da Gianni Alemanno (e tra i cui soci fondatori vi era anche Franco Panzironi il quale rivestiva anche la carica di consigliere e segretario). In particolare, un bonifico di circa 30 mila euro, effettuato il 6 dicembre, presentava aspetti inquietanti: era avvenuto il giorno successivo a quello dell'aggiudicazione da parte di Buzzi della gara n.18/2011 relativa alla raccolta dei rifiuti nel comune di Roma; Buzzi, ben prima della formale aggiudicazione, già a partire dal novembre 2012, conosceva l'esito di quella gara (129); il versamento avveniva tramite tre diversi bonifici da 10 mila euro ciascuno in cui Buzzi diversificava il beneficiante (Consorzio Eriches 29, Formula Sociale Soc. Coop. Sociale Integrata a.r.l., Sarim immobiliare s.r.l.), come se cercasse il modo per evitare che quelle somme fossero a lui riconducibili; quello stesso 6 dicembre 2012, Buzzi, in una telefonata con Giovanni Fiscon, affermava di trovarsi ad una cena elettorale di Alemanno (un tavolo lo aveva pagato 5 mila euro) ma il suo interlocutore si mostrava contrariato da quella pubblica presenza perché se «ti fanno due foto, sei fregato»(130). Orbene, a questo punto, i versamenti alla fondazione apparivano ancora più sospetti, non solo perché provenienti da soggetti di diversa estrazione ideologica, ma soprattutto da soggetti beneficiari di appalti, o meglio, da soggetti beneficiari di appalti con gare truccate e che, a loro volta, sentivano la necessità di celare l'autore del bonifico. La vicenda dunque aggiungeva altri interrogativi, di carattere generale, sul dovere, almeno etico, della verifica da parte delle fondazioni circa la provenienza dei bonifici e la loro reale causale, nonché sull'opportunità per un capo dell'amministrazione di accettare finanziamenti da colui che ottiene appalti da quella stessa amministrazione.
  Tra gli altri favori chiesti o comunque ottenuti da Buzzi vi era quello del sostegno elettorale ad Alemanno in occasione della sua candidatura per le elezioni europee del 22-25 maggio 2014. Si Pag. 139ascoltava dalla viva voce dell'ex sindaco, da una conversazione intercettata intercorsa con Buzzi, che lo stesso Alemanno aveva chiesto a quest'ultimo, «capo delle cooperative rosse», di procurargli voti per le elezioni europee. Buzzi, pertanto, rappresentava che si sarebbe avvalso a tal fine degli «amici del sud» che, come poi chiariva in un'altra conversazione intercorsa con la propria moglie, altro non erano che i mafiosi (131). Anche questo episodio aggiungeva ulteriori e ovvi interrogativi sulla classe politica che deve porsi il problema della selezione dei soggetti a cui rivolgersi per chiedere i voti e stando ben attenti quando a prometterli sia gente con un lungo passato carcerario e che, per di più, alluda ad amici di terre, come la Calabria, pervase dalla mafia.
  Nel corso della sua audizione, Gianni Alemanno, oltre a manifestare la «completa estraneità rispetto alle ipotesi di reato e alle connivenze che mi vengono addebitate», premetteva che «il fatto di essere personalmente coinvolto in qualità di indagato in un'indagine difficile e complessa come «Mafia capitale» impone dei limiti a questa testimonianza. L'inchiesta infatti è tuttora in corso, (..). Per questo è impossibile da parte mia, come da parte di chiunque, esprimere un giudizio complessivo sul valore, sulla fondatezza e sul significato di tale inchiesta. Solo quando questa sarà completata e tutti gli atti saranno depositati a disposizione delle parti, sarà possibile realmente esprimersi senza tutte quelle cautele che sono oggettivamente e soggettivamente necessarie in questa fase».Pag. 140
  Ribadiva inoltre che, come già in precedenza dichiarato in alcune interviste rilasciate alla stampa, di non conoscere personalmente Massimo Carminati e di non avere mai intrattenuto rapporti con lui. Del resto, spiegava, le stesse intercettazioni versate negli atti di indagine, dimostravano l'assoluta assenza di contatti con Carminati. Anzi, il disprezzo espresso da quest'ultimo nei suoi confronti dimostrerebbe «la stessa lontananza e ostilità che contrapponeva i «politicanti» che avevano fatto un percorso istituzionale e gli estremisti che avevano invece compiuto scelte profondamente diverse. Per essere ancora più precisi, ci sono esempi di persone che, pur avendo un passato da extra-parlamentare, nel momento della nascita di Alleanza Nazionale hanno deciso di aderire a questo progetto. Tutte le persone di destra che ho coinvolto in posizioni significative nell'amministrazione capitolina sono state selezionate in base a questa scelta: tutti, nessuno escluso, avevano aderito da tempo ad Alleanza Nazionale, professando una chiara scelta di rispetto per le istituzioni democratiche, rompendo (o dicendo di rompere) ogni rapporto politico e sociale con gli ambienti estremisti». Per questo motivo, almeno dal suo punto di vista, non c'era, né ci poteva essere, alcuna continuità tra gli uomini del suo entourage e il mondo di riferimento di Massimo Carminati. Aggiungeva che, sebbene la struttura amministrativa del Campidoglio avesse rapporti con Salvatore Buzzi, tuttavia «nessuno era a conoscenza dei rapporti di Buzzi e Carminati, rapporti che erano emersi solo a seguito dall'indagine «Mafia capitale».
  Circa la percezione che ci potesse essere un'infiltrazione della criminalità mafiosa al Campidoglio, affermava che non c'era nessuna idea, neanche lontana, di un simile rischio. Un sospetto di questo genere non l'aveva neppure sfiorato: «Si potevano temere azioni corruttive, ci si pone da sempre il problema di mantenere entro limiti di legittimità e legalità l'attività di lobbying esercitata dai diversi gruppi economici e imprenditoriali». Del resto, segnalava che anche nel centro-sinistra non si era mai avvertito il pericolo che vi fosse un'influenza mafiosa sull'amministrazione capitolina e, al riguardo, citava l'episodio del sindaco Marino, suo successore, il quale volendo fare una donazione simbolica in campo sociale, aveva conferito la sua prima indennità proprio alla cooperativa «29 Giugno» di Salvatore Buzzi. Né le altre istituzioni avevano intuito alcunché: «Non c’è mai stato un prefetto, un comandante dei carabinieri, un questore che mi abbia detto di stare attento perché il Campidoglio era sotto attacco».
  Con la pubblicazione dell'inchiesta giornalistica «I quattro re di Roma» del 12 dicembre 2012, poi ripresa e ampliata dalla puntata di Report del 14 aprile 2013 su Rai3, secondo Alemanno vi era stato un primo segnale sulla possibile presenza di infiltrazioni mafiose nella città, legate però al traffico di droga, ma non certo a Roma Capitale. Ciò nonostante, dopo l'articolo si era preoccupato di chiedere ai suoi collaboratori provenienti dalla militanza giovanile di destra se avessero rapporti con Massimo Carminati, ma le risposte erano state nettamente negative o si erano limitate ad ammettere un'antica conoscenza, priva di ogni valenza. Anzi, allo stato degli atti, a suo dire, non c'erano prove neanche della conoscenza di Carminati con Lucarelli e Panzironi.
  Con riferimento alla nomina di soggetti che poi sono risultati essere protagonisti del sistema di mafia capitale, evidenziava che «è Pag. 141falsa anche l'immagine secondo cui io mi sia circondato nella mia azione istituzionale soltanto di persone provenienti da militanza di destra. In realtà fra i miei collaboratori erano presenti persone di ogni provenienza (..).Tutto quanto fin qui detto non mi esime da una severa autocritica sui metodi da me seguiti nello scegliere i dirigenti apicali delle municipalizzate. (..) Queste scelte nella stragrande maggioranza dei casi non furono dettate da criteri politici, ma sicuramente, a fronte dell'importanza e della gravità degli incarichi che si dovevano distribuire, non è corrisposta da parte mia un'adeguata attenzione sui metodi di selezione dei candidati. Questo deriva principalmente dall'ordine delle priorità che ho dato alla mia amministrazione. Mi sono concentrato soprattutto sulle infinite emergenze di una città come Roma, mettendo in secondo piano il necessario approfondimento sulla selezione del capitale umano».
  Per quanto riguarda la trasversalità di Buzzi e il fatto che un sindaco di destra favorisse un uomo dichiaratamente di sinistra e le «cooperative rosse», secondo Alemanno la circostanza non doveva stupire: «Buzzi era un personaggio con una straordinaria capacità di creare relazioni, disponibile, amicale, stava sempre in Campidoglio, era amico praticamente di tutti, quindi non nego che si era creata anche una vicinanza personale di questioni, di elementi, di chiacchiere, per cui non ho trovato nulla di male nell'avere questo tipo di rapporto». L'ex sindaco puntualizzava che non andava dimenticato che, quando si era insediato in Campidoglio, Buzzi si presentava come un punto di riferimento imprescindibile, quasi come un monopolista, nei diversi campi della cooperazione sociale già dalle giunte precedenti. Del resto, il tema della cooperazione era per altro familiare anche ad Alemanno in quanto, come spiegava, proveniva egli stesso da esperienze politiche e sociali simili. Pertanto, «su queste basi si è costituito un rapporto di dialogo politico e anche di disponibilità personale fra il sottoscritto e il presidente della cooperativa «29 Giugno», non avendo alcun interesse a interpretare il ruolo del sindaco di destra chiuso in un ostracismo pregiudiziale nei confronti del cooperativismo sociale, della solidarietà e del reinserimento dei detenuti». Ammetteva quindi che «al contrario, con la delibera n. 124 del 23 aprile 2009 la nostra giunta fissò al limite massimo del 5 per cento previsto dalla legge la riserva di appalti per le cooperative sociali, suscitando gli apprezzamenti di tutte le centrali cooperative di ogni colore e di tutto il mondo del terzo settore» Ciò nonostante aveva provato a «ridimensionare il ruolo egemone che la cooperativa «29 Giugno» aveva ereditato dall'amministrazione Veltroni. Questo ha generato una lunga e dura conflittualità fra il sottoscritto e le cooperative sociali guidate da Salvatore Buzzi (..). In sintesi, l'idea che la cooperativa «29 Giugno» abbia avuto un imprevisto salto di livello (..) grazie alla nostra amministrazione deve essere ridimensionata e contestualizzata sia perché questo gruppo era già sulla strada di una progressiva crescita con le due precedenti giunte di centro-sinistra, sia perché durante il nostro mandato sono sopraggiunte una serie di emergenze tali da provocare l'espansione del naturale ambito di attività della cooperazione sociale».
  Con riferimento ai finanziamenti ottenuti da Salvatore Buzzi spiegava che «non posso non render conto dei contributi economici che le diverse imprese legate alla galassia della cooperativa «29 Giugno» Pag. 142hanno dato alla fondazione Nuova Italia di cui sono presidente e le cene di finanziamento delle mie campagne elettorali 2013 e 2014. Si tratta di contributi regolarmente registrati e tracciati, che assommano, secondo il decreto della procura della Repubblica di Roma che mi riguarda, a 75 mila euro più 40 mila euro, in un arco di tempo che va dal gennaio 2012 fino al settembre 2014. Sono somme che rappresentano una frazione assolutamente minoritaria nelle raccolte economiche realizzate in queste circostanze e che non sono immediatamente evidenti nel loro insieme, perché erogate da sigle imprenditoriali e cooperativistiche completamente diverse. Queste sigle possono essere ricondotte a Salvatore Buzzi solo dopo un'attenta ricostruzione della sua vasta galassia societaria, che io personalmente ho potuto compiere soltanto in base ai risultati dell'inchiesta «Mafia capitale». In ogni caso si trattava «di un'attività di lobbying il cui carattere trasversale era molto enfatizzato da Salvatore Buzzi, proprio per dimostrare che, nonostante la sua dichiarata appartenenza al PD, il mondo sociale e imprenditoriale da lui diretto comprendeva lavoratori e interessi di tutti gli orientamenti politici». E sull'argomento, rimarcava che la questione dei finanziamenti era comune anche agli altri partiti: «bisogna sottolineare che il gruppo Buzzi era impegnato anche nel finanziamento legale delle campagne elettorali di Ignazio Marino, di altri gruppi politici di destra e di sinistra, nonché nelle cene di finanziamento promosse dall'attuale Presidente del Consiglio, Matteo Renzi». Ammetteva altresì di avere chiesto l'aiuto di Buzzi in termini di presenza di pubblico alla manifestazione al cinema Adriano del 13 ottobre 2013 e per la raccolta di preferenze per le elezioni europee del 2014. Ciò poiché «Buzzi sottolineava sempre la sua propensione a dare lavoro ai soggetti svantaggiati senza fare discriminazioni politiche, e quindi la presenza tra i suoi lavoratori anche di persone di destra disponibili a partecipare alle nostre attività» Tuttavia, «non c’è in tutta l'ordinanza del GIP Costantini alcuna traccia di un sinallagma, di un collegamento, fra i versamenti fatti e le azioni amministrative, ci sono casualità e possibili correlazioni temporali, ma non sono così rigide, sono molto più ampie e molto più lasche di quanto è stato detto».
  In merito agli «amici del sud» chiariva: «ho chiesto aiuto a tutte le reti sociali (..) Lo chiesi anche a Buzzi, sempre nell'ottica che dentro la Lega delle cooperative non lavorava solo gente di sinistra ma anche gente di destra, e lui mi disse: «Ho degli amici in Calabria». Io non sono abituato a pensare che tutti i calabresi siano mafiosi o ‘ndranghetisti, quindi non potevo immaginare che potesse pensare a questo». Del resto, spiegava, «nelle elezioni europee dove ci sono le preferenze quello che un candidato cerca non sono i voti, ma sono le preferenze, e c’è una differenza fondamentale perché, se io chiedo i voti per il partito in cui sono candidato, significa che chiedo a uno di sinistra di votare per la destra e può sembrare strano (..).Buzzi mi diceva che c'erano nelle sue fila anche persone di destra che potevano essere sollecitate a dare una preferenza (..).quindi non ho mai pensato che Buzzi prendesse voti nel PD e li portasse a un partito di centro-destra: ho pensato che dentro la sua organizzazione ci potessero essere persone di questo genere».
  Gianni Alemanno, infine, svolgeva alcune interessanti considerazioni di carattere sistemico sulle debolezze manifestate dall'amministrazione capitolina rispetto ai problemi evidenziati dall'inchiesta Pag. 143segnalando l'esistenza di: «un'area grigia di tolleranza da parte degli enti locali rispetto a provvedimenti che riguardano le fasce di disagio sociale. Delle problematiche delle emergenze abitative, del reinserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati, dell'assistenza di immigrati, dell'assegnazione di locali ad associazioni sociali, si tende a fare un più disinvolto ricorso a pratiche di emergenza, ad affidamenti diretti e a controlli meno pervasivi. D'altra parte, a livello comunale i settori sensibili in termini di legalità e di controlli sono sempre stati considerati altri (urbanistica e lavori pubblici, grandi appalti di beni e servizi) anche per gli interessi economici che muovono miliardi di euro a fronte di qualche decina di milioni utilizzati per nomadi e immigrati. Tutto questo, mescolato alle crescenti emergenze che segnano la nostra società in una fase di crisi economica, apre uno spazio ampio e pericoloso a inserimenti tutt'altro che trasparenti di strutture organizzate in grado di strumentalizzare le fasce sociali più disagiate. A prescindere dall'insorgere di fenomeni realmente criminali, si pone il problema di aumentare il grado di controllo e la solidità delle procedure in questi contesti. Questo riguarda in particolare la sfera del terzo settore e segnatamente la cooperazione sociale. Recentemente il Governo ha promosso un disegno di legge di riordino delle normative sul non profit, oggi particolarmente frammentarie, lacunose e contraddittorie. L'impresa sociale per sua natura ha la necessità di operare in mercati protetti, attraverso riserve di quote e procedure speciali, ma la normativa che designa queste necessità deve essere oggi precisata e aggiornata, per evitare comportamenti discrezionali e incontrollabili».
  Nella seduta del 22 marzo 2016, la Commissione parlamentare antimafia procedeva all'audizione del governatore della regione Lazio, Nicola Zingaretti. Dopo avere fornito un approfondito quadro ricostruttivo sulla presenza delle associazioni mafiose nel territorio laziale, il presidente evidenziava che, nonostante vi fossero da tempo i sintomi evidenti dell'esistenza di organizzazioni criminali sul territorio, solo dopo l'inchiesta su «Mafia capitale» si era acquisita la consapevolezza di una presenza stabile e diffusa delle mafie nel Lazio, del loro grado di penetrazione e della loro capacità di condizionamento sulle amministrazioni territoriali. Affermava anche che la regione era stata interessata dall'indagine per la gara regionale per l'affidamento del servizio CUP, per cui erano stati rinviati a giudizio un consigliere regionale e un dirigente, con l'accusa, rispettivamente, del delitto di associazione mafiosa e di corruzione, e inoltre il suo capo di gabinetto (che si era dimesso) per un tentativo di turbativa d'asta. Nessun membro della giunta regionale era invece risultato coinvolto. La regione si era poi costituita parte civile nei confronti di tutti gli imputati. E sottolineava: «Tutto questo (...) non significa affatto sottovalutare quanto l'inchiesta ha fatto emergere anche riguardo all'amministrazione regionale. Proprio per questo, dopo l'inchiesta siamo stati ancora più duri e determinati nella costruzione di anticorpi per rendere più resistente questa istituzione dagli attacchi della criminalità e dai rischi di corruzione».
  Se l'indagine «Mondo di mezzo» aveva coinvolto parti politiche di diversi schieramenti, a partire dal sindaco Alemanno e dal suo entourage per arrivare a esponenti del Partito Democratico, appariva evidente che il sistema dei controlli non aveva funzionato neanche Pag. 144nei partiti. Ragione per cui la Commissione, il 17 febbraio 2016, procedeva all'audizione dell'on. Matteo Orfini, nominato commissario straordinario del Partito Democratico a Roma.
  Innanzitutto, l'on. Orfini stigmatizzava la responsabilità di quelle istituzioni che pur avendo «molti strumenti in più rispetto alla politica» non si erano accorte, almeno per l'epoca della «procura della Repubblica «pre-Pignatone», di quanto si stava verificando. Ma segnalava la responsabilità anche della politica: «c'era una responsabilità delle classi dirigenti della città e anche del Partito Democratico di Roma, del mio partito. Non parlo esclusivamente di una responsabilità penale (..) ma di una responsabilità politica (..) che sta tutta nella domanda che molti ci hanno fatto in questi mesi e (..) cioè come è stato possibile non accorgersi di quello che accadeva nella città di Roma».
  E sulle possibili cause affermava: «Credo che una delle principali responsabilità che il mio partito aveva era nelle sua modalità di funzionamento. Parliamo di un partito che a Roma era sempre più ostaggio di uno scontro interno, degenerato nelle modalità, nel senso che molto poco si occupava dei problemi della città e molto di più invece dell'organizzazione in filiere verticali di potere interne al Partito Democratico. Evidentemente ha finito per non vedere quello che accadeva nella città e il combinato disposto tra questa degenerazione e le modalità istituzionali con cui funziona la politica. Del resto un partito degenerato in quel modo, in un sistema in cui tutto si sceglie attraverso il voto di preferenza o le primarie che sono, nel momento in cui si decide sul singolo parlamentare, la traduzione in un altro strumento di un voto di preferenza, è un partito che è più esposto al rischio di infiltrazioni. Alla politica prevale infatti l'ansia di rafforzare il proprio testo, imbarcando «la qualunque» in quel partito, avallando fenomeni di trasformismo e rischiando di essere molto più esposti, perché è una competizione in cui la politica non c’è più, a rischio di infiltrazioni».
  Una particolare riflessione era poi dedicata all'atteggiarsi del PD all'epoca della giunta Alemanno: «Credo che molto di quello che è successo a Roma sia accaduto per il modo in cui i cinque anni della consiliatura Alemanno sono stati vissuti dal Partito Democratico, quando – qualcuno di noi lo denunciò già allora – c’è stata un'opposizione, per certi versi eccessivamente consociativa, alla giunta Alemanno, che ha consentito inconsapevolmente (lo dico a voce alta e lo sottolineo perché ovviamente non c'era un nesso consapevole), che crescesse, in quello che Carminati chiamava mondo di mezzo e mondo di sotto, all'ombra di quel consociativismo politico, un patto criminale tra criminali: Carminati e Buzzi, in questo caso specifico. Credo che molto abbia pesato la mancanza degli anticorpi e della consapevolezza delle classi dirigenti di cui dicevo».
  Inoltre, veniva evidenziato come spesso a Roma sia stato sottovalutato, su tutti i livelli, il rischio delle infiltrazioni mafiose: «nonostante il lavoro prezioso che molte associazioni – parlo di quelle vere, antimafia – hanno fatto in questi anni per segnalare che qualcosa stava accadendo nella città, la politica, e quindi anche noi, ha sicuramente sottovalutato quel rischio. Per queste ragioni, siamo arrivati in ritardo. Il Partito Democratico è arrivato in ritardo e ha questa storica responsabilità nella città».Pag. 145
  Segnalava quindi alcune disfunzioni del sistema che richiederebbero talune soluzioni da parte della politica. La prima di queste riguardava i dirigenti dell'amministrazione comunale e, a tal proposito, evidenziava che «gli strumenti e le norme amministrative, che evidentemente un'amministrazione comunale deve applicare, in questo anno non hanno aiutato. In molte occasioni, l'ex sindaco Marino, i presidenti di municipio e io stesso nel mio ruolo politico ho avvertito l'esigenza, per fare un esempio chiaro, di portare nel comune di Roma, almeno per un periodo limitato di tempo, nuovi dirigenti, presi altrove, invece di ricorrere esclusivamente alla rotazione dei dirigenti stessi. Se hai un sospetto su un dirigente, lo puoi far ruotare, però sempre a dirigere qualcosa lo devi mettere, e poi il numero di dirigenti a disposizione è sempre quello. Ce ne sono di bravissimi, ma ce ne sono anche altri che invece hanno avuto e hanno dei problemi. Ciò non significa che si debbano cambiare quelle norme, ma che forse in alcuni contesti, in alcuni situazioni, avere la possibilità di agire in modo differente aiuterebbe ad affrontare i problemi».
  Anche sul versante della cooperazione, direttamente coinvolto attraverso le cooperative sociali controllate da Buzzi, la Commissione riteneva di svolgere approfondimenti sul loro rapporto con le istituzioni e, in questa prima fase dell'inchiesta, ascoltava il presidente della Legacoop, Mauro Lusetti. Nel corso dell'audizione, Lusetti spiegava il carattere federativo dell'associazione, ricordava il commissariamento della Legacoop Lazio e lo sconcerto per quello che si era scoperto con «Mafia capitale». Una riflessione ulteriore riguardava il percorso di autonomia dai partiti e dalla politica («da questo punto di vista, non ci deve essere una cinghia di trasmissione e neanche un'interdipendenza .. Noi ci dichiariamo autonomi ma, oltre a dichiararlo, dobbiamo anche esserlo e sembrarlo») che aveva determinato l'avvio di un percorso di «moratoria» che portasse l'insieme del movimento, dalla Confcooperative alla associazione generale cooperative italiane (AGCI), ad un progressivo sganciamento dai partiti. Del resto, ricordava, uno degli elementi della recente campagna congressuale della Legacoop era stato «tradotto in una logica da titolo giornalistico, che nel concreto è molto efficace: «Basta soldi alla politica».

13.3.3 – L'opera di risanamento del comune capitolino

  L'inchiesta della Commissione riguardava anche gli accadimenti post «Mafia capitale» al fine di verificare, nel rispetto delle scelte degli organi deputati ad intervenire, se l'attività di risanamento avviata si fosse rivelata congrua e se gli strumenti della legislazione vigente fossero risultati adeguati alla singolare situazione mai prima di allora verificatasi.
  Veniva sentito il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, una prima volta il 5 agosto 2015, cioè dopo che l'8 luglio 2015 aveva depositato la propria relazione al Ministro dell'interno e prima che intervenisse la decisione del Consiglio dei ministri poi giunta il successivo 27 agosto. In questa occasione, oltre a soffermarsi, come si è già riportato, sulla diffusione della mafia a Roma, approfondiva, in seduta Pag. 146segreta, le ragioni per cui aveva ritenuto che vi fosse discontinuità tra la giunta Alemanno e quella, in carica, di Ignazio Marino.
  A sua volta, l'on. Alfano, audito il 15 marzo 2016, dopo un primo excursus, sull'utilizzazione dell'istituto dello scioglimento degli enti locali per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso, durante il periodo del suo incarico di Ministro dell'interno (sottolineando che, dal 28 aprile 2013 alla data dell'audizione i provvedimenti di scioglimento adottati erano 25), si soffermava, come detto, sulle cause principali che in concreto, come deducibile dalle relazioni prefettizie, avevano dato luogo all'applicazione dell'articolo 143 TUEL. Inoltre, evidenziando che in due soli casi la magistratura amministrativa aveva annullato il decreto di scioglimento, ne ricavava che si era fino ad allora ricorso all'istituto di cui all'articolo 143 TUEL con estrema prudenza: «La necessità di rispettare i valori e gli interessi che vengono in gioco nei vari casi esaminati ha fatto sì che le misure di rigore, lungi da ogni automatismo, abbiano corrisposto a un criterio di ponderazione e di cautela in base al quale gli esiti degli accessi sono stati vagliati sotto il profilo della loro stretta congruenza con i requisiti di legge, non sempre derivandone lo scioglimento». Spiegava quindi che, proprio per questo, non si era giunti allo scioglimento, non soltanto del comune di Roma, ma anche degli altri quattro comuni del Lazio in cui gli accessi erano pure scaturiti dall'inchiesta «Mondo di mezzo», ma che, in ogni caso, «anche quando lo scioglimento non è intervenuto, sono state comunque apprestate misure di controllo e di monitoraggio calibrate di volta in volta sulle diverse situazioni disvelate dagli accessi ispettivi».
  Con particolare riferimento al comune di Roma illustrava che erano stati adottati congrui provvedimenti nonostante il mancato scioglimento: «anche per il comune di Roma Capitale, prima che intervenisse lo scioglimento ordinario, erano state definite misure di monitoraggio che avrebbero portato il prefetto di Roma a esercitare forme di verifica dell'attività di risanamento dell'ente. Si era delineato, in altri termini, un processo di ripristino della legalità dell'attività amministrativa all'interno del quale il ruolo del prefetto si atteggiava in termini di sostegno collaborativo. Questo percorso di ristabilimento, che già in passato era stato applicato per le amministrazioni locali, trovava il suo fondamento non certo nell'articolo 143 TUEL, ma nei princìpi generali che regolano la cooperazione istituzionale».
  In ogni caso, anche il Ministro, concordando con quanto espresso nella citata comunicazione della presidente della Commissione antimafia, lamentava che l'articolo 143 TUEL si era rilevato carente per risolvere talune situazioni peculiari, come quella romana «non essendo francamente, a mio avviso, plausibile che tra il provvedimento di scioglimento e la sua mancata adozione non possa trovare spazio intermedio alcuna ipotesi fondata su una più avanzata forma di controllo collaborativo».
  Un'ulteriore riflessione veniva dedicata all'attività di accesso essendo evidente sia che «dalla conduzione delle attività di accesso vengono a dipendere l'esaustività degli accertamenti» sia che, comunque, bisogna indagare anche su elementi diversi «dalle rivenienze giudiziarie, peraltro soggette, per loro natura, alla possibilità di un riesame, con eventuali conseguenze inevitabili sull'impianto accusatorio Pag. 147dell'indagine amministrativa». Pertanto, secondo il Ministro, «è necessario che i componenti delle varie commissioni di accesso, ferma restando la loro autonomia operativa, abbiano a disposizione una metodologia di lavoro basata su un modello di indagine da replicare nei vari contesti. Si tratta, in sostanza, di fare sì che un'attività delicatissima venga a seguire un preciso archetipo, anche per massimizzare l'utilità del tempo a disposizione dei commissari, non più determinato ad libitum, bensì normativamente indicato nella sua massima estensione in 180 giorni. Con apposite linee-guida potranno puntualmente essere definiti gli ambiti amministrativi in cui dovranno concentrarsi l'ispezione, le attività indispensabili da svolgersi e le modalità di raccolta, nonché di analisi dei dati. Si tratta di un documento di indirizzo fondato sui risultati di un'autoanalisi che la stessa nostra amministrazione ha, peraltro, già condotto nel corso di svariati master e che sarà oggetto proprio a breve di una mia direttiva rivolta ai prefetti e ai componenti delle commissioni di indagine».   
  Il Ministro concludeva evidenziando che, nonostante le recenti riforme del 2009, l'istituto dello scioglimento, proprio per il suo «grande ausilio nella prevenzione e nel contrasto dei fenomeni degenerativi dell'amministrazione locale», va ulteriormente migliorato e che, per tale ragione, il Governo aveva già sottoposto alle Camere una proposta di modifica legislativa volta, tra l'altro, a rafforzare la «capacità operativa delle commissioni di gestione degli enti locali sciolti».
  Il 26 gennaio il prefetto Gabrielli veniva ancora sentito dalla Commissione parlamentare antimafia, quando cioè ormai si era giunti al commissariamento di Roma ex articolo 141 TUEL e si era esaurita l'esperienza del gruppo di supporto da lui guidato e voluto dal Ministro dell'interno dopo la decisione di non sciogliere il comune per infiltrazione mafiosa.
  Preliminarmente, il prefetto chiariva che, in ottemperanza dell'incarico del Ministro dell'interno di svolgere un'attività di verifica e di supporto dell'amministrazione capitolina, aveva all'uopo istituito un gruppo di lavoro, coordinato dal vicario e composto da dirigenti della prefettura, che aveva operato dal 7 settembre 2015 sino al 2 novembre successivo, fino cioè allo scioglimento degli organi elettivi. L'esperienza non era stata però facile. Intanto avevano constatato la scarsa collaborazione dei dirigenti capitolini con la sola eccezione del nuovo segretario generale e dell'assessore alla legalità, arrivando a parlare persino di resistenza opposta alle richieste di approfondimento formulate. Riferiva anche della condizione di solitudine in cui si era trovato ad operare il segretario generale, della difficoltà incontrata a creare sinergie fra gli uffici centrali e quelli municipali, del rischio che tale clima di resistenza e diffidenza potesse produrre una paralisi non meno grave del rischio dell'illegalità. Inoltre, alla chiusura dei loro lavori, segnalava le difficoltà ad ottenere il raggiungimento di taluni obiettivi: solo due tra le determine poste alla base di affidamenti illegittimi erano state annullate e per altre quattro era stata avviata la procedura; dei 19 tra dirigenti e dipendenti segnalati dal Ministro dell'interno, erano stati sospesi solo i destinatari di provvedimenti cautelari del procedimento «Mondo di mezzo»; inopinata era stata la scelta del comune di fare ruotare due tra i dirigenti destinatari delle Pag. 148prescrizioni ministeriali su altri municipi ma in posizioni equivalenti; incompleto era il piano anticorruzione di Roma capitale; insufficienti erano i controlli a campione sulle determine alla base di impegni di spesa superiori a 200 mila euro. Al contempo evidenziava alcuni miglioramenti anche se le note vicende dell'autunno 2015 avevano interrotto il percorso avviato: si erano registrati segnali interessanti nella revisione degli strumenti organizzativi, programmatici e regolamentari; con due delibere il sindaco Marino aveva modificato i criteri di affidamento e di rotazione degli incarichi dirigenziali; nel primo semestre 2015 era raddoppiato il volume degli acquisti effettuati dalla centrale unica degli acquisti; il sindaco aveva ipotizzato uno schema di gara per le procedure sotto la soglia di rilevanza comunitaria.
  Come già detto, con decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2015 il dott. Francesco Paolo Tronca era stato nominato commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale fino all'insediamento degli organi ordinari. Il compito di Tronca non era dunque, direttamente, quello del risanamento dalle infiltrazioni mafiose (che non erano state ritenute così condizionanti tanto che, appunto, il comune capitolino era stato sì sciolto ma ai sensi dell'articolo 141 del TUEL e non dell'articolo 143). Del resto già, seppure per un paio di mesi, il Campidoglio aveva beneficiato della task force guidata dal prefetto Gabrielli che si era posta l'obiettivo di contribuire al processo di normalizzazione dell'attività amministrativa. Tuttavia, dall'audizione del commissario straordinario, avvenuta l'1 marzo 2016, non si apprendevano notizie rassicuranti: la Capitale era così compromessa che, nonostante gli sforzi, stentava a rientrare nei canoni di legalità e a porsi al riparo da ogni sorta di malaffare. «Le inefficienze amministrative esistenti, l'entropia causata da una struttura burocratica elefantiaca ed ingessata» evidenziate già durante l'opera del gruppo di supporto guidato dal prefetto Gabrielli, avevano resa necessaria, secondo Tronca, l'attivazione di una nuova strategia organizzativa dell'ente comunale, procedendo a rinnovarne la struttura, nonché l'emanazione, nelle more dell'approntamento di uno strumento generale, di singoli regolamenti nei singoli settori di maggiore urgenza (132). Ma anche la commissione straordinaria guidata da Tronca si imbatteva in una miriade di problemi che cercava di risolvere. Vale la pena ricordare in questa sede, più che la significativa opera di risanamento posta in essere per la quale si rinvia al contenuto integrale dell'audizione, la sclerotizzazione di criticità che ancora manifestavano la debolezza della macchina amministrativa e, dunque, l'ancora immatura produzione di anticorpi all'infiltrazione mafiosa. Il prefetto Tronca evidenziava quindi la situazione del personale, apparsa da subito problematica. Oltre alla riscontrata grave carenza di organico (il deficit complessivo è stimato in circa un quarto del personale previsto, ed in alcuni settori, come in quello della polizia locale, la scopertura è addirittura maggiore, con il rischio che non si Pag. 149riesca a garantire il pienamente il pubblico servizio), si registrava la difficoltà del personale amministrativo, dopo le indagini su mafia capitale, a svolgere persino le ordinarie attività, «come se la macchina del personale si fosse bloccata e fosse intimorita (..) nessuno prende più una decisione, nessuno fa una scelta; nessuno mette una firma. Molti neppure ricevono o incontrano operatori economici». La commissione straordinaria constatava ancora l'elevata frammentazione delle procedure e delle stazioni appaltanti a fronte della totale assenza di regolamenti che disciplinassero le forniture di beni e di servizi in economia. Numerose erano state le criticità riscontrate nel settore degli appalti sociali, nella gestione finanziaria, nella gestione degli impianti sportivi e soprattutto del patrimonio immobiliare del comune di Roma, in quei giorni oggetto denominata dalla stampa come affittopoli e consegnata alle cronache in tutta la sua gravità anche in ragione del fatto che l'amministrazione non disponeva né di un censimento aggiornato e completo dei beni immobili, né della documentazione dei rapporti di locazione. Altre emblematiche criticità avevano riguardato il programma punti verdi qualità, avviato nel 1995 al fine di creare spazi ludici e sportivi nelle periferie dando in concessione aree pubbliche ai privati che, a loro volta, avrebbero dovuto realizzare (in cambio delle attività a pagamento, come piscine e campi da gioco) la sistemazione e manutenzione del verde pubblico. Rispetto alle 75 aree individuate dal programma, 63 erano state interessate dai progetti. In molti casi si era addivenuti anche alla sottoscrizione di una convenzione-concessione che impegnava finanziariamente l'amministrazione comunale, tenuta a garantire, quale fideiussore, i mutui concessi a «privati» per la realizzazione dei lavori per circa 340 milioni di euro. E, in diversi casi, le procedure poste in essere non erano nemmeno in linea con gli strumenti urbanistici comunali.

13.3.4 – L'approfondimento della situazione del X municipio

  Si è già riferito come la relazione della commissione di indagine avesse evidenziato la particolare debolezza della macchina amministrativa di Ostia, la permeabilità del territorio agli interessi illeciti dei gruppi criminali, il condizionamento da parte dei clan dell'azione municipale, la diffusa assenza di legalità, elementi tutti che, come detto, avevano portato allo scioglimento del X municipio per infiltrazioni mafiose e alla nomina della commissione straordinaria presieduta dal prefetto Vulpiani per la gestione dell'ente.
  Prima ancora dell'intervento della commissione di accesso e dunque della commissione straordinaria, il sindaco Ignazio Marino, subito dopo la prima ordinanza su «Mafia capitale», nominava assessore alla legalità del comune di Roma il magistrato Alfonso Sabella, e dopo le dimissioni rassegnate dal presidente del X municipio di Roma, Tassone (poi risultato coinvolto nell'inchiesta), gli affidava anche l'incarico di delegato sul litorale di Ostia, con specifica competenza sulle spiagge, delega conservata fino alla data del 27 agosto 2015, quando il municipio di Ostia veniva sciolto per infiltrazioni mafiose. Questa Commissione, il 19 novembre 2015, Pag. 150procedeva dunque all'audizione del dott. Sabella al fine di ottenere, per il tempo della sua delega, una fotografia della situazione del X municipio specie circa il grado di condizionamento e compromissione della gestione amministrativa.
  La situazione di sostanziale illegalità che aveva contraddistinto l'azione amministrativa del X municipio, poi evidenziata dall'inchiesta su mafia capitale, era emersa, in tutta la sua gravità, già dai primi approfondimenti. L'assessore sin da subito aveva constatato, in tutti i settori ma in particolar modo in quello della gestione del litorale e delle concessioni balneari che rappresentano il business economico preso di mira dagli interessi mafiosi, una gestione deficitaria ancor prima che corrotta, sicuramente non improntata ai principi di trasparenza, legalità e buon andamento della pubblica amministrazione. Il livello dei controlli era stato carente sotto ogni profilo: mai l'amministrazione era intervenuta per ristabilire la legalità, di fatto consentendo che gli interessi privati potessero sovrapporsi o addirittura sostituirsi all'interesse pubblico.
  In particolare, spiegava che, durante la giunta Alemanno, era stata attribuita al municipio di Ostia la competenza esclusiva per le concessioni sul litorale e per il verde che venivano così direttamente gestite dal municipio e, nello specifico, dall'unità organizzativa ambiente e litorale (UOAL). L'anomala attribuzione di tale competenze al municipio, unico caso senza precedenti nell'amministrazione capitolina, aveva determinato la giunta Marino ad approvare immediatamente una modifica dello statuto, così che ritornasse al comune di Roma la competenza sulle 71 concessioni insistenti sul lungomare. Ma l'iter amministrativo non era riuscito a concludersi (la delibera approvata dalla giunta ancora non era stata ratificata dal consiglio) a causa dell'intervenuto scioglimento dell'amministrazione capitolina per le rassegnate dimissioni di taluni consiglieri.
  Le verifiche condotte consentivano di affermare che la pur complessa gestione del litorale era stata condotta dal X municipio al di fuori di ogni regola: non si era mai proceduto alla revoca delle concessioni nonostante le riscontrate violazioni anche per la presenza di abusi edilizi; non si era mai provveduto all'abbattimento dei manufatti abusivi realizzati sul litorale; non si erano mai applicate, né tanto più erano state fatte rispettare, le norme regolamentari pur esistenti che disciplinavano la materia.
  Sintomatica del livello di inefficienza amministrativa era la presenza, sul litorale di Ostia, del lungo muro, cioè uno sbarramento che impediva l'accesso libero alla spiaggia e la stessa visione del mare, realizzato in violazione delle norme di legge, delle previsioni del piano e delle stesse concessioni (che, in molti casi, già prescrivevano che la recinzione non dovesse essere realizzata in muratura) ancorché precedenti all'entrata in vigore della legge regionale di cui si dirà. La situazione era stata tollerata per anni senza che mai l'amministrazione fosse intervenuta per ripristinare la legalità nonostante da più parti si fossero alzate voci di protesta e lo stato di degrado fosse stato segnalato in tutta la sua portata.
  Delle norme e dei regolamenti si era persa completamente memoria negli annali del comune di Roma, che dunque non erano state mai applicate e, di conseguenza, mai fatte rispettare, consentendo Pag. 151che l'accesso al mare venisse precluso in violazione di espresse e vigenti norme cogenti (133). Chiariva quindi che l'amministrazione non aveva mai proceduto a dichiarare, nonostante l'evidenza di situazioni di illiceità, l'immediata decadenza delle concessioni e la conseguente revoca del titolo, trincerandosi dietro al fatto che non si poteva procedere fin quando non si fosse pronunciata l'amministrazione comunale sulle domande di condono edilizio nel frattempo presentate dai titolari delle concessioni. Motivazioni queste del tutto prive di fondamento giuridico posto che mai l'amministrazione avrebbe potuto rilasciare una sanatoria edilizia in presenza di opere che abusivamente insistono su un'area demaniale ed in una zona vincolata.
  Lo stato di soggezione e di condizionamento dell'amministrazione del municipio da parte dei gruppi di potere locali, nonché l'assenza di capacità di reazione alle pressioni, avevano avvalorato il convincimento che ad «Ostia tutto fosse possibile». Paradigmatiche, a tale proposito, erano apparse alcune vicende, come quella dell'avere tollerato che componenti della famiglia Spada, nota famiglia rom della zona già segnalata per comportamenti prevaricatori e metodi mafiosi, gestissero la palestra Femus sita in un immobile di proprietà del comune di Roma occupato in modo abusivo; o quella della «spiaggia delle suore» (dopo la revoca della concessione originariamente affidata alle suore, per il mancato pagamento del canone, la spiaggia era stata lasciata gestire, ormai da alcuni anni, da componenti del gruppo Triassi che vi avevano, addirittura, collocato una piattaforma e un chiosco abusivo); o, ancora, quella del Faber Beach (uno stabilimento gestito dai Fasciani sino all'intervenuto sequestro da parte dalla magistratura). Altrettanto significativa era la mancata esecuzione degli ordini di demolizione delle opere realizzate abusivamente nell'area di Castel Porziano, area della riserva naturalistica ceduta dalla Presidenza della Repubblica al comune di Roma, dove erano stati costruiti dall'ente di consumo del Campidoglio, negli anni ‘60, alcuni chioschi in muratura della superficie di 66 mq, trasformati, nel corso degli anni, in manufatti di 700-800 mq. Solo sotto la giunta Marino si era data esecuzione agli ordini di demolizione rimasti dimenticati. E, a tal proposito, emblematica del livello di abdicazione dell'amministrazione dalla sua funzione istituzionale, era stata la reazione dei titolari delle concessioni nel giorno fissato per Pag. 152le demolizioni: nessuno si era presentato sui luoghi, segno evidente della convinzione che i provvedimenti non sarebbero stati mai eseguiti. Ancora, veniva segnalata la singolare vicenda delle «concessioni francobollo» (concessioni originariamente rilasciate per finalità particolari, come il rimessaggio o i servizi di gestione della spiaggia, denominate «francobollo» in quanto rappresentate da una piattaforma di 20 mq in cui poteva essere autorizzato un chioschetto per vendere bevande o altri servizi) abusivamente trasformate in concessioni balneari. Tra queste spiccava il famoso chiosco Hakuna Matata, situato all'interno di una piattaforma di proprietà della famiglia Balini, presidente del porto, gestita da Cleto Di Maria, pregiudicato coinvolto, anni prima, in un traffico di stupefacenti, arrestato in Brasile in quanto trovato a bordo di una nave che trasportava 200 kg di cocaina.
  La più clamorosa vicenda aveva però riguardato la redazione delle planimetrie per il rinnovo delle concessioni nell'anno 2000, fatta eseguire ad un privato, l'ingegnere Renato Papagni, presidente della Federbalneari, e dunque parte direttamente interessata, assunte, poi, come proprie dall'amministrazione senza alcun controllo e verifica di corrispondenza. Circostanza degna di nota era che nell'ottobre 2014 era scoppiato ad Ostia un incendio in cui erano andate distrutte molte delle planimetrie originali, cioè quelle precedenti alla redazione Papagni, e da subito i controlli eseguiti su alcune concessioni avevano evidenziato la realizzazione di consistenti ampliamenti.
  Anche sul versante degli appalti pubblici, secondo il dott. Sabella, si erano rilevate molteplici irregolarità: molti lavori affidati con finte procedure negoziate in cui venivano invitate ditte selezionate. In un caso, ad esempio, si era addirittura riscontrato che, su cinque ditte invitate, tre erano collegate, una era inesistente ed un'altra era priva dei requisiti; molte procedure di somma urgenza erano irregolari. Così per l'affidamento dei lavori di messa in sicurezza della scuola DoReMi (che aveva subito un incendio nel corso della ristrutturazione) e per cui si era proceduto con la somma urgenza nel 2014, mentre l'evento risaliva a due anni prima, e a tal fine era stata disposta una perizia costata 908 mila euro, e tutto ciò accadeva, peraltro, proprio nel momento in cui il dipartimento patrimonio del Campidoglio stava per cedere quell'area alla Caritas che si era impegnata a bonificarla a proprie spese (essendo emersa anche la presenza dell'amianto).
  A fronte della gravità dei fatti accertati, vi era stata dunque una pronta reazione per ricondurre l'agire amministrativo ai canoni della correttezza. Si era così intervenuti sull'organizzazione del municipio, procedendo alla sostituzione di tutti i dirigenti; erano stati nominati un nuovo direttore del municipio, un nuovo direttore dell'UOAL, una nuova direttrice dei servizi sociali, mentre il direttore dell'ufficio tecnico era stato lasciato al suo posto in quanto sostituito da poco tempo. L'impegno dell'amministrazione a realizzare un sostanziale cambiamento aveva determinato la reazione di gruppi di interesse a che nulla fosse modificato e, proprio in quel periodo, si erano registrati vari gesti intimidatori. Vi era stato un episodio di danneggiamento all'auto della dirigente del municipio, parcheggiata davanti all'edificio comunale; qualche giorno dopo, la direttrice dei servizi sociali aveva subito un tentativo di violenza sessuale; mentre la Pag. 153direttrice dell'UOAL era stata fatta oggetto di pesanti minacce da parte di uno dei gestori dei chioschi abbattuti e poi di una minaccia indiretta che sarebbe arrivata da parte di uno dei Triassi.
  Il radicamento della cultura dell'illegalità nel X municipio, segnalato dal dott. Sabella specie in tema di balneazione, è stato direttamente constatato da questa Commissione soprattutto nelle audizioni svolte a Roma il 14 dicembre 2015 come seguito della missione ad Ostia della quale si dirà, nel cui ambito venivano ascoltati il presidente del sindacato italiano balneari Lazio, Fabrizio Fumagalli, il presidente dell'associazione Volare, don Franco De Donno, il referente per Roma dell'associazione Libera, Marco Genovese.
  Va segnalata in primo luogo l'audizione di Fabrizio Fumagalli, svoltasi, come detto a Palazzo San Macuto il 14 dicembre 2015, quando cioè il caso Ostia era di dominio pubblico e il X municipio era già stato destinatario del provvedimento dissolutorio.
  L'audito premetteva di rappresentare il 30 per cento delle concessioni balneari ad Ostia e di svolgere onestamente il proprio lavoro, essendo la terza generazione ad occuparsi nella propria famiglia di concessioni balneari. Evidenziava poi, negando di avere subito un incendio nel 2013 del suo stabilimento, di non avere mai riscontrato infiltrazioni di malavita nelle concessioni demaniali. Andavano invece distinte le irregolarità mafiose da quelle amministrative, dato che era stato sottoscritto un protocollo tra l'ex sindaco Rutelli e Mauro Balini, ai tempi presidente dell'unica associazione di Ostia, avendo i balneari abbattuto le strutture costruite negli anni ‘50, sostituendole con cabine in legno.
  A fronte delle domande postegli dalla Commissione, volte a contestargli l'atteggiamento riduttivo e a sottolineare l'ormai noto e conclamato problema dell'infiltrazione mafiosa che aveva portato allo scioglimento del X municipio, il presidente Fumagalli precisava che nessuno degli iscritti al sindacato era titolare di concessioni francobollo; che Mauro Balini è un imprenditore le cui azioni non sono sempre condivisibili ma la cui famiglia, grazie all'eredità di uno zio emigrato in America, aveva acquistato negli anni ‘80 stabilimenti balneari in crisi; che non aveva mai avuto rapporti con famiglie malavitose e che non aveva mai subito minacce o pressioni, continuando a prospettare larvati dubbi sulla presenza della mafia ad Ostia; che aveva avuto riserve sulla concessione affidata all'associazione Libera (di cui si dirà); che era comunque disponibile, preso atto delle risultanze processuali, a favorire lo sviluppo economico di Ostia ribadendo comunque la onestà sua e degli iscritti al suo sindacato.
  Di segno opposto, ma altrettanto indicative del radicamento mafioso a Ostia, erano le dichiarazioni rese da don Franco De Donno, presidente dell'associazione Volare (ma anche responsabile della Caritas di Ostia e presidente del Centro per la vita). Egli ripercorreva la storia dello sportello di prevenzione all'usura e al sovraindebitamento, nato nel 2002 e che, nel tempo, si era dedicato, grazie a professionisti volontari, all'ascolto di cittadini in difficoltà (980 dall'apertura fino a settembre 2015, con 481 schede aperte e 395 utenti del X municipio ascoltati), nonché alla promozione della legalità, con formazione nelle scuole per l'uso responsabile del denaro, con conferenze nelle piazze per far comprendere alla cittadinanza, Pag. 154anche grazie all'esperienze dei testimoni di giustizia, che è possibile uscire dall'usura e dalla mafia. Nonostante l'impegno e l'opera di sensibilizzazione, la denuncia fatta, dodici anni prima, della presenza della mafia ad Ostia era caduta nel vuoto, avendo le autorità provinciali e regionali negato l'esistenza della mafia e, anzi, in alcuni casi, le associazioni di categoria avevano platealmente dimostrato la contrarietà alle iniziative assunte (ad esempio, durante una manifestazione a piazza Anco Marzio, presente un testimone di giustizia, i commercianti, in segno di protesta, avevano abbassato le saracinesche dei negozi). Inoltre, la loro attività aveva finito per produrre solo tre denunzie per usura, atteso che «il tipo di mafia che c’è a Ostia non è quello che c’è a Palermo. Avvolge come un serpente, stringe e poi stritola. Inoltre è sotterranea, nel senso che prende in considerazione soprattutto le grandi risorse commerciali di Ostia, dagli stabilimenti balneari alle altre realtà commerciali».
  La Commissione non può non evidenziare, per ben valutare la situazione di Ostia e il perdurante clima di intimidazione, la querela sporta il 17 aprile 2016, da un volontario dell'associazione «L'Alternativa» Onlus, presieduta dallo stesso De Donno (che si occupa, a Ostia, dell'assistenza di persone in difficoltà, come clochard, pensionati, e anziani), per le pesanti minacce subite da esponenti di Casapound e ritenendo che alcuni degli aggressori fossero vicini al clan Spada (cfr. querela inviata alla Commissione parlamentare il 18 aprile 2016).
  Sulla stessa scia si collocano le dichiarazioni rese da Marco Genovese, referente dell'associazione Libera per Roma. L'impegno di Libera a Ostia, ricordava, risaliva agli anni 2008/2009, quando non si parlava ancora della mafia sul litorale, nonostante fossero risapute le storie della banda della Magliana e del dominio sul territorio del clan dei Fasciani. Inoltre, l'associazione aveva più volte denunciato, anche con articoli, sulla rivista Narcomafie, le pressioni sui gestori delle concessioni balneari, in quanto, dal 2011 al 2015 vi erano stati circa 30 attentati violenti o incendiari nei confronti di attività commerciali. Ricordava, tra le altre cose, che, nel tentativo di rafforzare le realtà associative impegnate in attività socialmente utili e di volontariato, Libera aveva sostenuto l'azienda Faber Beach, sequestrata per bancarotta fraudolenta a soggetti riconducibili ai Fasciani nell'operazione «Tramonto» (da non confondersi con il Faber Village, sequestrato direttamente ai Fasciani); sostegno questo offerto su richiesta della stessa amministrazione giudiziaria alla quale, quindi, spettava la gestione del bene. Ciò però aveva determinato immediati attacchi sui blog e su altri social ed intimidazioni ai dipendenti. Marco Genovese rappresentava altresì la falsità delle informazioni fornite da vari blog secondo cui Libera non avrebbe pagato le bollette della luce, dell'acqua, del gas e le altre forniture del Faber Beach, ribadendo che l'azienda è sotto sequestro ed è gestita dal tribunale attraverso un amministratore giudiziario.
  Anche la partecipazione, come ATI, al bando del 2014 per i servizi connessi alla balneazione con risistemazione dei manufatti del lotto di arenile messo a gara, con investimento economico notevole ma con assunzione regolare di 16 persone e con lo svolgimento di «campi» ad Ostia (in particolare con i ragazzi della università itinerante di Pag. 155Nando dalla Chiesa) aveva determinato una serie di attacchi sui blog e di intimidazioni da parte degli aderenti a Casapound.
  La Commissione parlamentare antimafia, come sopra anticipato, il 9 dicembre 2015 si recava in missione ad Ostia per analizzare l'evoluzione della situazione del X municipio dopo l'avvenuto commissariamento e pertanto audiva i componenti della commissione prefettizia (prefetto Domenico Vulpiani, viceprefetto Rosalba Scialla, dirigente Maurizio Alicandro) nonché il direttore del X municipio, architetto Cinzia Esposito, e il comandante ad interim della polizia municipale, Antonio di Maggio.
  Va qui ricordato che la commissione prefettizia si era insediata a metà settembre 2015, subentrando al vertice di un municipio con le competenze delineate dallo statuto di Roma Capitale (134) alle quali, nel 2011, su decisione del consiglio comunale di Roma Capitale, si erano aggiunte quelle sulle aree verdi ed i parchi pubblici (ad esclusione della riserva naturale) e quella sul litorale di Ostia, delega, quest'ultima, che, come detto, il sindaco Marino avrebbe voluto riprendere. Competenza del municipio, quindi, concorrente con quella di Roma Capitale e che si interseca con quella della regione, dell'Agenzia del demanio e della Capitaneria di porto. Va inoltre ricordato che il prefetto Gabrielli, nell'audizione del 5 agosto 2015 aveva affermato di avere istituito, dall'aprile 2015, tavoli di osservazione presso ciascun municipio della Capitale, cui partecipano i presidenti delle circoscrizioni, i rappresentanti della polizia locale e della Polizia di Stato, per individuare le criticità del territorio e per rimuoverle secondo linee di azione destinate a svilupparsi sul breve/medio periodo e che il tavolo del X municipio è presieduto dal prefetto Vulpiani, come dallo stesso riferito.
  Nell'audizione del 9 dicembre 2015, dunque, la commissione del prefetto Vulpiani, a distanza di circa tre mesi dall'insediamento, rappresentava le gravi criticità, anche sistematiche, del municipio e la condizione di isolamento – sia logistico che operativo – della direttrice, affermando che il breve tempo trascorso non aveva consentito ancora di completare l'acquisizione dei dati relativi al litorale e la puntuale ricostruzione delle vicende più gravi (erano stati individuati, ad una prima analisi, almeno ventidue punti di serie criticità) per meglio valutare le possibili soluzioni ed intraprendere un'azione efficace di ripristino dell'imparzialità e della legalità dell'azione amministrativa.
  Il prefetto Vulpiani, in particolare, sottolineava l'opportunità di un ricambio complessivo della struttura amministrativa di Ostia, troppo legata al territorio, la carenza di posizioni organizzative, nonostante l'elevato numero di dipendenti e, soprattutto, segnalava le difficoltà gestionali addebitabili anche alla competenza concorrente di più enti che non consentiva piena autonomia decisionale su diversi aspetti.
  A sua volta, la direttrice del X municipio, ribadiva i problemi del litorale e riferiva di avere ricevuto pesanti minacce da uno dei gestori dei chioschi. A tal proposito segnalava la pericolosità della sede del Pag. 156municipio insistente in uno stabile isolato e dove non venivano effettuati controlli sui soggetti che accedevano negli uffici. Lamentava inoltre la carenza della struttura amministrativa. Ad esempio, mancava personale idoneo a motivare provvedimenti amministrativi in grado di superare il vaglio del TAR e a predisporre i bandi. Del resto, nonostante l'elevato numero di dipendenti, le posizioni organizzative dei settori più delicati del municipio, al suo arrivo, erano scoperte. Pertanto, nonostante tutti gli sforzi, la struttura interna non era in grado di supportare i vertici del municipio.
  Significativa anche la testimonianza di Antonio Di Maggio, comandante ad interim della polizia municipale, il quale segnalava, tra le altre cose, la difficoltà di affermare la legalità in occasione dell'esecuzione di provvedimenti di sequestro e la conseguente opera di delegittimazione, sui social network, del suo ruolo, dell'ex assessore Sabella e della direttrice Esposito.
  Il 9 marzo 2016 questa Commissione audiva ancora una volta la commissione prefettizia guidata da Vulpiani (accompagnata dall'ing. Prisco, dall'ing. De Luca Tupputi, responsabile dell'ufficio demanio del X municipio, dall'arch. Esposito, direttore del X municipio, dalla dott. Daniela Santarelli, dirigente della società «Risorse per Roma») anche per verificare se le criticità rappresentate il 9 dicembre 2015 fossero state superate, atteso che lo spaccato emerso dalle audizioni precedenti aveva evidenziato i limiti dell'autonomia e dei poteri della commissione straordinaria e le difficoltà incontrate dai componenti che, dovendo svolgere contemporaneamente il loro lavoro ordinario, non potevano dedicarsi a tempo pieno alla gestione di un municipio con problemi complessi e che, per estensione e popolazione, era più grande di Reggio Calabria (230.000 abitanti censiti, 150 mila chilometri quadrati di territorio, di cui 14 di litorale).
  Il prefetto Vulpiani prospettava una situazione migliorata grazie all'intenso lavoro svolto per rilevare puntualmente le criticità e trovare le relative soluzioni e concludeva che, comunque, a fronte di situazioni così gravi e complesse, con più persone e più mezzi, l'azione di recupero della legalità avrebbe potuto essere più veloce ed efficace. La stratificazione di illiceità, di illegalità, di abusi consolidatasi nel tempo erano certamente stati riscontrati ma, come affermavano sia Vulpiani che la Esposito, il loro compito non era quello di individuare responsabilità politiche o giuridiche (fatta salva la trasmissione alla procura di atti in presenza di ipotesi di reato) ma quello di riqualificare le aree, eliminare gli abusi edilizi, controllare gli appalti e ricostruire un buon andamento amministrativo. Per espletare tale compito, ad avviso degli auditi, era necessario almeno un anno, e sempre che fossero disponibili risorse umane e finanziarie. Infatti, mancavano tecnici ed ingegneri che il comune di Roma non aveva ancora fornito, così come non aveva erogato fondi. Ma comunque erano necessarie strutture amministrative, avvocati per redigere atti in grado di reggere il vaglio del TAR, dovendosi conciliare diritto urbanistico, amministrativo e penale, il tutto in una situazione in cui le competenze del municipio sono limitate e concorrenti con i dipartimenti di Roma Capitale.
  A segnalare la perdurante gravità della situazione sul litorale di Ostia vi sono altresì i più recenti esiti dell'attività investigativa svolta Pag. 157dalla direzione distrettuale antimafia della procura di Roma, compendiati nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere, acquisita da questa Commissione, emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma in data 12 aprile 2016 a carico di dieci indagati riconducibili al clan Spada.
  Si tratta, in particolare, di risultanze che si pongono in perfetta continuità con quanto evidenziato nella già citata sentenza di condanna n. 6846/15 emessa il 20 gennaio 2015 dal tribunale di Roma nei confronti di Triassi Vito 18 in cui si era accertata l'operatività nel territorio di Ostia non solo di un'associazione criminale riconducibile a cosa nostra (e cioè alla cosca agrigentina Cornera-Cuntrera), ma anche di un'associazione autoctona di tipo mafioso facente capo alla famiglia dei Fasciani (a sua volta alleata con il clan Spada). Infatti gli episodi delittuosi da ultimo emersi (e cioè una serie di estorsioni aggravate dall'articolo 7 decreto legge n. 152 del 1991 volte a gestire le assegnazioni delle case popolari, sottraendone il controllo agli organi istituzionali competenti, nonché il grave ed eclatante episodio della gambizzazione di Cardoni Massimo, cugino di Galleoni Giovanni, detto Baficchio, ucciso ad Ostia il 22 novembre 2011) consentono di affermare, innanzitutto, che la famiglia Spada sia una realtà criminale emergente e attualmente dominante in quel territorio. Ciò per il concomitante stato di detenzione dei principali componenti della famiglia Fasciani e, soprattutto, per l'attuazione, da parte degli stessi Spada, dell'opera di ridimensionamento, realizzata con azioni di inaudita violenza, del gruppo criminale Cardoni/Galleoni (conosciuti come i Baficchio con riferimento al ruolo di vertice rivestito da Giovanni Galleoni), gruppo che, dopo l'uccisione di appartenenti alla banda della Magliana, aveva preso il loro posto, in Ostia, nel traffico di droga e nel racket dell'usura e dell'estorsione. Le emergenze investigative consentono di affermare anche che, nonostante gli stravolgimenti e i riflettori degli ultimi tempi, permane un diffuso clima di omertà anche da parte delle stesse vittime che, nonostante i gravi reati subiti, dopo lungo tempo hanno maturato la decisione di denunciare i fatti e solo per l'impossibilità di resistere ulteriormente alle reiterate vessazioni.

13.3.5 – Gli accertamenti sul VI municipio di Roma

  Il VI municipio è il più popoloso della città con oltre 360 mila abitanti e presenta una serie di criticità, atteso che: ha il numero più alto di soggetti posti agli arresti domiciliari o sottoposti a misure di prevenzione; nel 2013 ospitava nei centri riservati all'accoglienza circa il 60 per cento degli immigrati dell'intera città di Roma nelle strutture facenti capo alla Casa della solidarietà, alla Domus Caritatis, all'associazione Virtus Italia onlus, al Consorzio Eriches 29 (risultato riconducibile alla cooperativa «29 Giugno» di Salvatore Buzzi); ha il maggior numero di minori in affidamento e di minori soggetti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria; nonostante vi sia uno dei poli universitari (università degli studi di Tor Vergata), ha il tasso più alto di analfabetismo e di dispersione scolastica, essendovi poche scuole medie ed elementari; nel suo territorio si concentra il 52 per cento Pag. 158dell'edilizia residenziale pubblica dell'intero comune di Roma e, tuttavia, ha un solo commissariato di polizia che copre un'area di circa 113 chilometri.
  Tra i gruppi criminali operanti sul territorio vi sono i Casamonica, di origine nomade ma stanziali da decenni nella Capitale, dediti all'usura, alla ricettazione, allo spaccio di stupefacenti, ed i Moccia. Inoltre nel VI municipio ricade Castelverde, zona nel cui circolo era iscritto Salvatore Buzzi e ove gli sono stati sequestrati beni di ingente valore.
  La Commissione, proseguendo gli approfondimenti dedicati alla situazione della criminalità organizzata nella città di Roma, audiva, il 9 febbraio 2016, il presidente del VI municipio, Marco Scipioni, su richiesta del 28 gennaio 2016 formulata dallo stesso e inviata con un dossier sull'attività svolta nell'azione di contrasto alle attività criminose sul territorio (doc. 859.1).
  Scipioni, nel rilevare come le attività di natura criminosa fossero articolate e ramificate e come il territorio del municipio fosse difficile da amministrare, rappresentava che le notizie riportate dai giornali, secondo le quali alcuni parlamentari avrebbero chiesto «di chiudere il municipio per azioni che coinvolgevano la classe politica» erano, a suo avviso, infondate, essendo stato rassicurato dallo stesso prefetto Gabrielli.
  Anzi, riferiva di numerose attività di prevenzione svolte, diffondendosi sulle opere realizzate, per le quali si rimanda alla lettura della audizione e del dossier, stante l'analitica disamina effettuata. Ad esempio rivendicava il censimento dei profughi, l'attività di controllo sul territorio, il ripristino della trasparenza e legalità con l'attuazione del progetto «Punto verde qualità Ponte di Nona», (riacquisendo al patrimonio comunale le strutture gestite abusivamente dai concessionari decaduti e trasformate, cambiando la destinazione di uso, in installazioni di slot machine mentre il sito doveva essere un punto ludico-ricreativo per i bambini), il contrasto al degrado urbano ed ambientale per prevenire i roghi tossici, lo smantellamento di campi rom abusivi e relativi sequestri di terreni.
  A fronte delle domande postegli su situazioni di diffusa illegalità e di opacità amministrativa, Scipioni rispondeva:
   di non avere mai avuto rapporti, né politici, né personali, né amministrativi con Buzzi, dato che l'assegnazione dei profughi alle cooperative era stata disposta all'esito dei bandi espletati dalle prefetture e non dal municipio e che, anzi, aveva chiesto più volte la riduzione del numero degli immigrati;
   di avere iniziato la bonifica della discarica di Castelverde quando, nel 2005 o 2006, era capogruppo del partito, bonifica legata alle risorse di compensazione TAV di Corcolle e di avere recuperato, diventato presidente del municipio, circa 9 milioni di euro che non erano stati utilizzati e che saranno destinati, oltre a fare scuole di compensazione, alla bonifica tombale della discarica, essendo state svincolate le somme, rimaste «per dieci anni nel dimenticatoio»;
   che per ben due volte erano stati votati ordini del giorno negativi e contrari all'eco-distretto AMA, come desumibile dalle dichiarazioni rese al TG3 e sui giornali nazionali e locali;Pag. 159
   che si era recato a Corcolle in piena notte, dopo le proteste dei migranti per non avere rispettato la fermata dell'autobus, ed ai successivi episodi di violenza da parte di soggetti appartenenti a movimenti di estrema destra, verificando che esponenti della destra cercavano di cavalcare la situazione; di avere partecipato ai comitati di quartiere sorti ma di avere chiaramente affermato di essere contrario alle ronde, dovendosi privilegiare la vigilanza istituzionale sui territori, in linea con il prefetto Gabrielli, dichiarazioni queste riportate da testate nazionali, quali La Repubblica;
   che la competenza sugli alloggi e sul relativo controllo amministrativo era dell'ATER (Azienda territoriale edilizia residenziale del comune di Roma), non avendo il municipio un database ed intervenendo solo su segnalazioni specifiche dei condomini; di avere interagito solo sui beni di proprietà del municipio, come la Casa della musica, per la quale era stato fatto il bando di assegnazione e per il mercato coperto; di non avere saputo, se non dalla stampa, dell'arresto di un soggetto che estorceva soldi gli inquilini e di disporre di notizie ufficiali solo per le occupazioni abusive; i cittadini non avevano mai riferito al municipio di avere subito estorsioni e che, se ciò fosse capitato, avrebbe portato le denunzie al Tavolo sulla sicurezza per l'inoltro alle autorità competenti; di non potere materialmente sapere chi abita nelle case popolari, non potendo conoscere le 360 mila persone che risiedono nel municipio; di avere posto il problema al tavolo della sicurezza, e fatto, con le forze dell'ordine, interventi mirati su quadranti importanti, quali Tor Bella Monaca, per smantellare le inferriate e le porte messe per ostacolare l'intervento della polizia;
   che all'imprenditore Martella, peraltro presente sul territorio del municipio da tempo, non era stato affidato alcun lavoro ma che il VII municipio aveva fatto nel 2016 un affidamento diretto ad una delle società riconducibili a Martella; di avere conosciuto recentemente Ezio D'Angelo del Partito Socialista; di avere ricevuto Lucarelli, ex capo di gabinetto di Alemanno, il quale gli aveva comunicato che avrebbe dovuto sospendere le attività per il punto verde qualità e che avrebbe fatto ricorso al TAR e, alla sua risposta negativa, era andato via e non si era più fatto sentire.
  Scipioni infine ricostruiva la vicenda di Roma Capital Summer, una delle iniziative dell'estate romana nel VI municipio, festival organizzato con fondi privati sul piazzale Giovanni Paolo II, di proprietà della università di Tor Vergata, precisando che nel 2014 il presidente dell'associazione che si era aggiudicato la manifestazione non era un dirigente del VI municipio, ma un geometra dell'ufficio tecnico; che nel 2015 (come nel 2014) era stato fatto un bando, approvato dal capo dell'avvocatura del comune di Roma, che l'evento si stava svolgendo regolarmente e che per tre sere i vigili avevano effettuato controlli senza rilevare violazioni per la sicurezza o disturbi alla quiete pubblica, mentre la quarta sera, il 3 luglio 2015, erano arrivati ben sessanta vigili della polizia di Roma Capitale che avevano rilevato la mancanza di estintori e di bagni chimici ed avevano sequestrato l'area e gli stand, adombrando che i vigili fossero stati mandati per motivi politici.Pag. 160
  Alle contestazioni rivoltegli su tale vicenda ribadiva che l'avvocatura di Roma aveva attestato per iscritto la regolarità del bando, che nell'aula consiliare erano state chiamate quaranta associazioni per verificare chi volesse svolgere la manifestazione e che le uniche domande formulate erano state rivolte per sapere se sarebbero state investite risorse pubbliche nell'evento.
  Ricordava che anche per i mercatini di Natale non vi era stata alcuna richiesta in quanto le associazioni sono prive di risorse, evidenziava che il geometra del comune era presente nell'evento del 2014 e non in quello del 2015 e che nessun suo parente o familiare era componente dell'associazione che si era aggiudicata il bando del 2015, bando ove erano stati esplicitati tutti i criteri, ivi compreso il fatto che il VI municipio non si assumeva alcun onere economico a favore dell'aggiudicatario che doveva sostenere tutte le spese, compresa quella dell'assicurazione; di avere personalmente portato il bando al sindaco, all'assessore alla legalità e alla prefettura, di non ricordare se vi fosse la clausola che, qualora l'area risultasse occupata non si sarebbe proceduto all'affidamento senza alcun onere a carico del municipio, riservandosi di inviare gli atti ufficiali e prendendo atto che l'assessore alla legalità, in dichiarazioni rese alla stampa aveva affermato «il nostro sospetto è che in qualche modo quest'area sia stata occupata prima che venissero formalizzate le dovute procedure, tra l'altro con un bando di gara che è tuttora in corso».
  In data 4 aprile 2016 Scipioni ha fatto pervenire la determinazione dirigenziale, la nota inviata al sindaco, all'assessore alla legalità, al segretario generale e l'avviso pubblico della manifestazione socio-culturale «Estate Romana 2015 a Tor Vergata» (cfr. doc. 951.1); rinviando alla lettura dell'avviso pubblico contenenti i requisiti per la partecipazione, le modalità di presentazione dell'offerta, gli adempimenti a carico dell'aggiudicatario, si deve rilevare che nell'avviso pubblico vi è la clausola «qualora l'area in questione risultasse occupata abusivamente o comunque concessa da eventuale legittimo detentore non si procederà all'affidamento di che trattasi senza nessun onere risarcitorio da parte del VI municipio»; che le domande con la documentazione allegata dovevano essere presentate, a pena di esclusione, entro e non oltre le ore 12 del 22 luglio 2015.
  L'avviso pubblico è stato oggetto di «errata corrige» ed è stato soppresso il capoverso 1 a pag. 2, relativo proprio alla clausola sopra riportata.

13.3.6 – Gli accertamenti sulle candidature per le elezioni amministrative del comune di Roma

  L'inchiesta parlamentare sull'infiltrazione mafiosa sul comune di Roma non poteva ignorare le prossime elezioni amministrative e, dunque, la fase della formazione della nuova classe dirigente chiamata a guidare un ente già pesantemente colpito dalle vicende di «Mafia capitale».Pag. 161
  Tra le oltre 9 mila candidature (considerando anche i quattordici municipi, con 321 liste ammesse, per i quali sono stati presentati 8.018 candidati), questa Commissione – dovendo ridurre, per ovvie ragioni temporali, l'ambito della propria indagine – si è soffermata su quelle relative al consiglio comunale (con oltre 1.500 candidati), alla presidenza dei municipi (con 130 candidati), al consiglio del VI municipio (con 551 candidati), per un totale di 2.213 posizioni (di cui tredici candidati sindaco).
  Ciò nonostante, trattandosi comunque di un numero di candidature egualmente cospicuo, specie se valutato in relazione al breve arco di tempo entro cui acquisire (a partire dal termine ultimo per la presentazione delle candidature, fissato per il 7 maggio 2016) i dati necessari per poi sottoporli alla conseguente valutazione, il monitoraggio delle elezioni amministrative a Roma si è rivelato molto complesso.
  A ciò si aggiunga che la commissione elettorale circondariale di Roma, alla quale competeva a monte l'esclusione dalle liste (anche) per incandidabilità ai sensi della cd legge Severino, a sua volta aveva potuto esaminare, nelle poche ore previste dalla legge, soltanto dieci liste per il consiglio comunale e, attraverso le sottocommissioni, solo una parte dei candidati ai municipi, giungendo ad un totale di sole sei estromissioni. Così come affermato dalla presidente della commissione elettorale circondariale di Roma, Clara Vaccaro, nell'audizione del 25 maggio 2016, infatti, nonostante l'impegno ad acquisire i certificati penali e il dispiego di tutte le forze possibili, «il nostro lavoro è stato fatto in maniera certosina, il risultato, forse, non lo è», così confermando non solo l'inadeguatezza in sé della legge, ma anche la necessità che il dettato legislativo tenga conto del numero della popolazione entro cui si svolgono le competizioni elettorali («Secondo quanto prescrive la norma dobbiamo verificare l'incandidabilità desumendola anche eventualmente d'ufficio, in un piccolo comune, forse, la cosa è fattibile perché ci si conosce, ma in una città come Roma, salvo casi eclatanti, questo non è possibile. Siamo partiti, quindi, dalla necessità di acquisire il casellario giudiziale di Roma. (..) A ogni modo, a conclusione della mezzanotte di domenica siamo riusciti ad avere un migliaio di certificati del casellario giudiziale, che per noi, come comune di Roma, riguardavano più o meno una decina di liste». (cfr audizione cit.).
  Dall'analisi che questa Commissione di inchiesta ha potuto svolgere entro i limiti evidenziati, sono stati conseguentemente rilevati pochi casi di candidati rientranti nel disposto degli artt. 10 o 11 della cosiddetta legge Severino o in quello dell'articolo 1 del codice di autoregolamentazione.
 Tra i candidati al VI municipio di Roma, si sono evidenziate le seguenti posizioni:
   – Carone Antonio (lista «Viva l'Italia con Tiziana Meloni») il quale, tra le ben otto condanne definitive, ne ha riportato una per il delitto di ricettazione (articolo 648 c.p.) alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed euro 900 di multa, ed è pertanto incandidabile ai sensi dell'articolo 10 lett. e) della legge Severino. Si segnala anche che, come si desume dal provvedimento di cumulo della procura di Verona, Pag. 162la pena complessiva da scontare, e poi espiata, è stata determinata in anni 6, mesi dieci e giorni 20.
   – Schioppa Domenico (lista «Iorio sindaco») è stato prima arrestato in flagranza e poi condannato, in primo grado, con il rito abbreviato, alla pena di anni 2, mesi 4 di reclusione ed euro 400 di multa, per detenzione di armi (artt. 2 e 7 della legge n. 895 del 1967); l'udienza di appello è prevista per il prossimo 12 ottobre 2017. Pertanto, qualora eletto, va sospeso di diritto ai sensi dell'articolo 11 lett. a) in relazione all'articolo 10 lett. a) della legge Severino.
   – Giugliano Antonio (lista «Storace-Marchini sindaco») è stato condannato in primo grado alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione ed mille euro di multa, per diversi reati tra cui quello di tentata estorsione (artt. 56, 629 c.p.); l'appello è stato proposto il 21 marzo 2016. Pertanto, rientra nelle previsioni dell'articolo 1 lett. e) del codice di autoregolamentazione.
   – Vendetti Fernando (lista «Storace-Marchini sindaco») è stato condannato in primo grado per tentata estorsione (artt. 56, 629 c.p.) alla pena di anni 1, mesi 6 di reclusione ed euro 600 di multa; è stata proposta impugnazione e si è in attesa di fissazione dell'udienza da parte della corte di appello di Roma. Pertanto, rientra nelle previsioni dell'articolo 1 lett. e) del codice di autoregolamentazione.
  Tra i candidati al consiglio comunale di Roma, inoltre, si evidenzia la posizione di Marchetti Mattia (lista «Lega Centro con Giovanni Salvini»), nei cui confronti è stato emesso il decreto che dispone il giudizio immediato per il delitto di tentata estorsione, in concorso con altra persona (artt. 110, 56 e 629 c.p.), oltre che per porto e detenzione di armi. Il processo è in fase dibattimentale con udienza fissata al 14 novembre 2016. Pertanto, rientra nelle previsioni dell'articolo 1 lett. e) del codice di autoregolamentazione.
  Nonostante l'esiguo numero, rispetto a oltre duemila candidati di soggetti riconducibili alle fattispecie della legge Severino e del codice di autoregolamentazione, deve però segnalarsi che, in base agli elementi in possesso di questa Commissione, il quadro generale non appare egualmente rassicurante.
  Tralasciando quanto emerso dai carichi pendenti acquisiti, attestanti l'intervenuta condanna ma non in via definitiva, se si guarda invece ai casellari giudiziari, riportanti cioè le sentenze irrevocabili di condanna, emerge un profilo di numerosi candidati che, al di là degli sbarramenti previsti dalla legge, non appare comunque consono alla carica pubblica che aspirano a ricoprire. Si segnalano infatti numerose dichiarazioni di fallimento e altrettanto numerosi casi di condanne, talvolta plurime, per delitti contro il patrimonio o contro la persona, come altri ricorrenti casi di delitto di sfruttamento della prostituzione.
  Inoltre, risulta che uno dei candidati sindaci è stato tratto in arresto in flagranza per il delitto di furto aggravato nel dicembre 2013.
  Ancora, è stato rilevato che una candidata è coniugata con un avvocato, attualmente ristretto in carcere, condannato alla pena di anni 9 e mesi 6 di reclusione per i delitti di concorso in corruzione Pag. 163(articolo 319 c.p.) e di partecipazione ad associazione mafiosa (articolo 416 bis c.p.).
  Ed infine, un candidato risulta imparentato con un soggetto a sua volta indicato come appartenente al clan Gallace della ‘ndragheta.

13.4 – Le conclusioni della Commissione parlamentare antimafia: le criticità rilevate, le proposte.

  L'inchiesta condotta dalla Commissione parlamentare antimafia sull'infiltrazione di «Mafia capitale» in Roma Capitale, ha evidenziato gravi e preoccupanti carenze che hanno dato luogo ad una situazione gravissima, in cui un comune importante, il più grande del Paese, come quello di Roma, si è rivelato fragile e indifeso nei confronti di una «piccola» mafia, sì originale e originaria, sì pericolosa, ma priva della tradizione egemonica e del radicamento profondo sul territorio, come nelle piccole realtà del meridione. Carenze che, almeno con riguardo al sistema dei controlli preventivi, ai cd «anticorpi», non possono certamente imputarsi alla mancanza di norme giuridiche o alla debolezza del sistema legislativo. La costante di tutte le vicende accertate è infatti, al contrario, proprio la sistematica violazione delle regole basilari della pubblica contrattazione, della trasparenza, dei principi di buona amministrazione, agevolata dall'assenza di metodici controlli e dall'indifferenza dei vertici capitolini. Sarebbe allora bastato osservare il fondante e generalizzato dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della sua Costituzione e delle sue leggi e quello, rivolto a chi adempie funzioni pubbliche, di agire con disciplina ed onore, per evitare gli accadimenti che hanno minato la stessa capitale d'Italia.
  Ma ciò che ha particolarmente stupito è anche il senso di impotenza di fronte alle trame di «Mafia capitale», manifestato, quasi all'unisono, dagli stessi rappresentanti istituzionali nel corso dell'inchiesta parlamentare. L'assenza di «anticorpi» è stata da più parti attribuita alla mancata conoscenza preventiva delle informazioni in possesso della magistratura e degli inquirenti durante lo svolgimento delle indagini. E, siccome è impensabile l'abolizione del segreto investigativo posto a salvaguardia della serietà ed efficacia di ogni investigazione penale, nessuna possibilità di contrasto, dunque, può mai residuare. Si rimane in attesa, aspettando il caso fortuito di una microspia ben piazzata dagli investigatori per apprendere, solo in seconda battuta, ciò che si doveva avere già intuito o almeno prevenuto, e per poi sentirsi assolti da ogni responsabilità, politica innanzitutto. Un fatalismo che, a dir poco, cela e alimenta l'incapacità di osservare e cogliere, per prevenirli, i fenomeni diffusi di malaffare che appestano gli stessi ambiti delle proprie competenze. Un fatalismo che diviene il comodo alibi per ignorare che una macchina amministrativa improntata al rispetto capillare delle regole è una fortezza contro qualunque insidia criminale. Un fatalismo che si trasforma in un'arma affilata di Pag. 164neutralizzazione degli strumenti che la legge pur affida agli amministratori per anticipare di un passo la magistratura ed evitare l'abdicazione dalle loro funzioni attraverso l'implicita delega all'intervento repressivo e postumo dell'autorità giudiziaria. Già le norme sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazione mafiosa, pensate per dotare l'amministrazione – che gode di un osservatorio privilegiato per l'analisi del contesto ambientale e la valutazione di elementi rivelatori di condizionamenti – di mezzi immediati, snelli rispetto alle farraginose regole sostanziali e processuali penali, e autonomi rispetto alle risultanze, talvolta caduche, delle indagini del procedimento penale, solo raramente sono state applicate prima dell'intervento della magistratura.
  Le istituzioni, dunque, non sono, come da alcuni affermato nelle audizioni, «senza paracadute», ma talvolta hanno scelto di non usare quel paracadute o se ne sono semplicemente dimenticate.
  Non si può allora non richiamare la classe politica al rafforzamento della dimensione etica della partecipazione all'attività pubblica, attraverso una consapevole scelta della classe dirigente e lo svolgimento della funzione di guida e di controllo con senso di responsabilità.
  Un coacervo di altri fattori ha poi efficacemente contribuito a consentire che un'entità amministrativa come quella della Capitale d'Italia potesse adattarsi, metabolizzandolo, al condizionamento mafioso.
  Già l'inadeguata selezione e preparazione del personale amministrativo, ad esempio, ha permesso che le incompetenze e le negligenze si trasformassero in un terreno fertilissimo per i semi infetti delle mafie.
  Si pensi poi ad una certa imprenditoria che, riflettendo come uno specchio il diffuso pensiero secondo cui la forza dell'impresa non è la libera concorrenza, ma la capacità di percorrere corsie preferenziali e scorciatoie, coperta dal velo di apparente legalità che ammanta ogni libera iniziativa economica, è diventata un'interlocutrice alla pari delle organizzazioni mafiose, alla ricerca di un rapporto sinallagmatico che produca vantaggi reciproci, consistenti per l'imprenditore nell'imporsi sul mercato in posizione dominante e per il sodalizio nell'acquisire sul territorio, potenziandosi, ulteriori risorse, servizi e utilità.
  Anche l'ambito della cooperazione, specie quello che opera nel settore del disagio sociale, dove è più tollerato il ricorso a pratiche di emergenza, ad affidamenti diretti e a controlli meno pervasivi, ha contribuito a creare una falla nel sistema dove, ancora una volta, fiutato l'affare, la criminalità organizzata si è insinuata, si è arricchita e ha corrotto.
  Così come la smagliatura all'impianto dei finanziamenti dei partiti – che non prevede il divieto, per imprese o cooperative di sorta, di rivolgere liberali elargizioni in favore degli appartenenti alle amministrazioni dalle quali ottengono l'affidamento di lavori, e che non prevede, di converso, l'obbligo di verifica della provenienza e della causalità della regalia da parte di chi di essa beneficia – non soltanto ha favorito la patologia dello scambio corruttivo ma, cosa più grave, Pag. 165ha reso fisiologica la non trasparenza, verso cittadini ed elettori, dell'attività di chi ricopre cariche politiche.
  Temi questi, vasti e complessi, che richiederebbero una seria riflessione delle istituzioni e sui quali, comunque, la Commissione parlamentare antimafia continuerà a svolgere i propri approfondimenti.
  Anche per la fase successiva alla scoperta, da parte della magistratura, di «Mafia capitale» in Roma Capitale, e relativa all'attivazione dei meccanismi previsti dal Testo unico delle leggi per gli enti locali, l'inchiesta parlamentare ha rivelato l'inadeguatezza del sistema dei controlli, apparso inidoneo, come si spiegherà, a consentire la completezza degli accertamenti, la pertinenza delle scelte e la proficuità degli interventi.
  In attesa delle decisioni sul possibile scioglimento del comune di Roma, questa Commissione, attraverso la sua presidente, già il 22 luglio 2015, evidenziava già che il caso mafia capitale solleva «un problema di verifica dell'adeguatezza degli strumenti di prevenzione e contrasto, specialmente per l'individuazione di nuove e più efficienti forme di rapporto tra Stato e enti locali. In particolare, è ormai indifferibile un aggiornamento della normativa vigente in materia di scioglimento per infiltrazione mafiosa. Quella legge fu pensata per intervenire, in forma sostanzialmente sanzionatoria, nei casi di realtà amministrative locali tipicamente di piccole dimensioni e collocate nelle regioni di tradizionale insediamento delle organizzazioni criminali mafiose. I primi casi di applicazione della nuova legge, nell'ormai lontano agosto del 1991, riguardarono infatti comuni del Sud di poche migliaia di abitanti, a partire da Casandrino (NA) e Taurianova (RC), e prima ancora dell'entrata in vigore della legge, da Bovalino e Limbadi, in Calabria. Da allora abbiamo assistito, soprattutto negli anni più recenti, ad una vera e propria escalation anzitutto in termini di coinvolgimento e infiltrazioni in comuni in regioni tradizionalmente ritenute immuni, come il Piemonte (Bardonecchia, 1995; Leinì, 2012; Rivarolo Canavese, 2012), la Liguria (Bordighera, 2011, poi annullato; Ventimiglia, 2012) e la Lombardia (Sedriano, 2013), mentre purtroppo già si intravedono nuovi scenari territoriali, come quelli posti dall'inchiesta «Aemilia» che, lo scorso mese di giugno, hanno indotto il prefetto di Reggio Emilia ad inviare una commissione di accesso al comune di Brescello (RE), oppure gli altri quattro comuni della provincia di Roma (Sacrofano, Castelnuovo di Porto, Morlupo e Sant'Oreste) cui è stato disposto l'accesso a seguito dell'inchiesta «Terra di mezzo».
  Inoltre, è cresciuta la rilevanza in termini di popolazione degli enti sciolti, arrivati progressivamente, negli ultimi tre anni, a comuni con decine di migliaia di abitanti: tra i tanti, Augusta (SR, 33.000 ab.), sciolto nel 2013; Quarto (NA, 36.000 ab.) sciolto nel 2013; Battipaglia (SA, 50.000 ab.), sciolto nel 2014; fino al picco di Giugliano (NA), sciolto nel 2013, che ha quasi 100 mila abitanti. Anche la rilevanza amministrativa dei comuni sciolti è cresciuta, e nel 2012 si è purtroppo arrivati a sciogliere per infiltrazioni mafiose la prima volta un capoluogo di provincia importante come Reggio Calabria, comune di 180 mila abitanti».Pag. 166
  L'inchiesta parlamentare aveva infatti focalizzato il divario creatosi tra la regolamentazione del TUEL, ancorato ad una visione rudimentale dell'associazionismo mafioso e pensato su misura per città non metropolitane, e la realtà, caratterizzata invece dalla crescente occupazione delle mafie di nuovi territori e dall'evoluzione delle loro strategie. La legislazione vigente, dunque, è apparsa incapace di confrontarsi sul banco di prova rappresentato da enti locali di grosse dimensioni, fino a qualche tempo addietro ritenuti liberi da fenomeni mafiosi, per i quali, proprio per la loro ampiezza, il condizionamento non può che essere parziale seppure altrettanto grave, mentre il risanamento non può che attuarsi con strumenti di contrasto di maggiore efficacia.
  La prima problematica che va posta nell'analisi della vigente legislazione riguarda l'ampia discrezionalità che governa la materia dello scioglimento per infiltrazione mafiosa sia nel momento dell'individuazione dell'esistenza dei tre presupposti richiesti dall'articolo 143 TUEL per l'emanazione della misura sanzionatoria, sia nel momento decisionale del mancato scioglimento sottratto ad ogni forma di verifica. È indiscutibile che i criteri di concretezza, di rilevanza e, soprattutto, di univocità, per quanto specificati dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, lascino comunque all'interprete ampi margini di valutazione. Si aggiunga anche che, mentre nel caso in cui il procedimento si concluda con l'adozione della misura dissolutoria, è prevista sia la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del relativo decreto presidenziale e delle relazioni del Ministro e del prefetto (articolo 143 comma 9, TUEL), sia il vaglio giurisdizionale, invece nessun controllo è possibile, né attraverso forme di pubblicazione degli atti né attraverso l'intervento della magistratura amministrativa, per il «decreto di conclusione del procedimento», emesso qualora non si ravvisino i presupposti per lo scioglimento (articolo 143, comma 7, TUEL).
  Come si ricorderà, nel caso di Roma, in cui gli atti giudiziari e gli accertamenti della commissione di accesso evidenziavano alcuni degli indici indicativi del condizionamento mafioso elaborati dalla giurisprudenza amministrativa, non è stato ritenuto che sussistessero tutti gli elementi di legge per addivenire allo misura sanzionatoria.
  Orbene, qualunque decisione adottata per un caso così singolare – ove la Capitale di Italia rischiava di essere dissolta per infiltrazione mafiosa, peraltro alle porte del Giubileo, e ove, al contempo, si disponeva dei limitati strumenti di una legislazione che prevede soltanto la grossolana alternativa tra «sciogliere» e «non sciogliere» – poteva non rivelarsi soddisfacente rispetto alla diffusa aspettativa di risanare tempestivamente il comune capitolino.
  Non si vuole certo entrare nel merito dei provvedimenti di alta amministrazione del governo centrale emanati dopo l'esito dell'accesso prefettizio al Campidoglio, né sarebbe comunque utile, per le finalità dell'inchiesta parlamentare, ripercorrere la scelta, indubbiamente aderente al dettato legislativo, tra continuità o discontinuità delle due giunte, Alemanno e Marino.
  Ma non può non prendersi atto che, per l'emblematico caso di Roma, proprio perché straordinario, unico e inaudito, la decisione di non ricorrere a un provvedimento dissolutorio, ha comunque suscitato Pag. 167su diversi fronti, anche all'interno di alcune forze politiche presenti nella Commissione parlamentare antimafia, forti perplessità e la sensazione che, invece, ragioni di opportunità, pur condivisibili, avessero giocato un ruolo determinante nella lettura degli oggettivi elementi di criticità acquisti che invece avrebbero dovuto condurre allo scioglimento della Capitale e all'immediato percorso di ristabilimento della legalità. I gravissimi fatti ricostruiti nelle ordinanze del giudice per le indagini preliminari di Roma (avallate dalle decisioni finora intervenute in sede cautelare e di merito), le trancianti affermazioni della stessa Corte di cassazione che evidenziava la presenza di un potere criminale mafioso insediato nei gangli dell'amministrazione della capitale d'Italia, sostituendosi agli organi istituzionali, la dettagliata relazione della commissione Magno che aveva necessitato di 836 pagine per evidenziare le preoccupanti carenze di soli tre dipartimenti del comune capitolino, di un solo municipio e di una sola società partecipata, le osservazioni della stessa Autorità nazionale anticorruzione perfettamente in sintonia con quanto rilevato dalla commissione prefettizia di accesso, le preoccupanti problematiche riscontrate tempo dopo anche dal commissario straordinario Tronca, hanno evidenziato un indiscutibile quadro di compromissione della Capitale che, per l'opinione pubblica, può apparire difficile da armonizzare con la decisione del mancato scioglimento capitolino e può propagare la sfiducia di quanti pensano che, se non si è sciolto il comune di Roma, allora, a maggior ragione, nessun altro ente locale potrà in futuro essere sciolto per mafia. E, anche quanto accaduto per i quattro comuni in provincia di Roma, per i quali, dopo la lettura dell'ordinanza «Mondo di mezzo» si era diffuso lo sconcerto per la capacità di «Mafia capitale» di espandersi anche oltre le mura capitoline prendendo di mira l’hinterland romano, ha finito per avvalorare, a torto o a ragione, i dubbi e lo scetticismo. Del resto, nessuna di queste decisioni è stata oggetto di divulgazione e, dunque, gli elettori sono rimasti ignari delle ragioni per le quali i cinque comuni laziali, colpiti dalle insidie di «Mafia capitale», non sono stati sciolti, e hanno dovuto accogliere la diagnosi sulla buona salute degli enti come un atto di fede.
  Si registra dunque un'istanza della collettività per un maggiore controllo degli eletti da parte degli elettori, attraverso la conoscenza degli atti che scandagliano l'operato dei pubblici amministratori, e la garanzia di un giudizio che, per quanto discrezionale, sia ancorato a criteri più marcati.
  Si tratta del resto di esigenze avvertite e colte dallo stesso Governo. Il Ministro Alfano, nell'audizione del 15 marzo 2016, riferiva infatti del tentativo di addivenire ad una sorta di tipizzazione delle cause di scioglimento, tratte dall'esperienza concreta, selezionando i casi dai quali presumere l'esistenza del condizionamento mafioso (135).
  Tuttavia, la Commissione ritiene che sia invece necessario un intervento legislativo per ridefinire le condizioni dello scioglimento, presupposto ineludibile per garantire parità di trattamento su tutto il Pag. 168territorio nazionale, per creare una roccaforte contro possibili arbitri rimessi agli interessi politici di un determinato momento storico e, soprattutto, per armonizzare i provvedimenti di cui all'articolo 143 TUEL (anche alla luce della successiva introduzione dell'elezione diretta del sindaco) con i valori di rilevanza costituzionale relativi ai rapporti tra Stato ed enti territoriali e, soprattutto, ai diritti del corpo elettorale.
  Il Governo è anche intervenuto sulla questione inerente la pubblicità del decreto di conclusione del procedimento, emesso in caso di insussistenza dei presupposti della misura sanzionatoria. Il 20 novembre 2014, veniva infatti presentato un disegno di legge (AS 1687), attualmente al vaglio del Senato, in cui, accanto ad altre modifiche del Testo unico delle leggi sugli enti locali in tema di scioglimento per infiltrazione mafiosa di cui si dirà più avanti, si contempla un intervento sul comma 7 dell'articolo 143 che verrebbe così riscritto: «Nel caso in cui non sussistano i presupposti per lo scioglimento, il Ministro dell'interno, entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, emana comunque un decreto di conclusione del procedimento in cui dà conto degli esiti dell'attività di accertamento. I provvedimenti emessi in caso di insussistenza dei presupposti per la proposta di scioglimento sono pubblicati, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto di ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, con le modalità disciplinate dal Ministro dell'interno con proprio decreto» (136).
  Ma, per la migliore conoscenza, sia da parte dell'ente che da parte dei cittadini, dell'attività svolta e degli elementi accertati, la Commissione considera importante prevedere che opportune forme di pubblicazione possano riguardare non solo il decreto ministeriale di conclusione del procedimento, ma anche le relazioni della commissione di accesso e del prefetto (sempre nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto di ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali) che, come visto, talvolta contengono valutazioni diverse e opposte e solo attraverso le quali è possibile garantire l'effettiva comprensione dell'iter decisionale e la cosciente valutazione delle condotte della classe politica eletta.
  Anche l'attuale disciplina della fase preliminare dell'accesso prefettizio presso l'ente che si presume infiltrato, cioè il momento più delicato della procedura da cui dipende la completezza degli accertamenti che saranno posti a base delle successive decisioni, si è Pag. 169rivelata inadeguata. Né il disegno di legge citato si è occupato di tale aspetto della procedura che, solo dopo le vicende della Capitale d'Italia, è invece apparso anch'esso bisognoso di ammodernamento.
  La commissione di indagine guidata da Marilisa Magno disponeva, secondo il dettato legislativo, del termine di tre mesi, prorogabili per altri tre mesi, per espletare i suoi accertamenti e rassegnare le sue articolate conclusioni. In soli sei mesi, e certamente con uno sforzo notevole, i commissari riuscivano ad esaminare tre complessi dipartimenti del comune, un municipio e le numerose vicende contrattuali relative alla società AMA. Dovendo sfruttare al meglio le proprie forze e i ristretti tempi a disposizione, è evidente che la commissione di accesso ha privilegiato i settori in cui, secondo le risultanze dell'indagine «Mondo di mezzo», erano già emerse infiltrazioni mafiose. Ma, ancora una volta, l'indagine amministrativa ha dovuto seguire, stavolta necessariamente, le orme dell'indagine penale e subirne i limiti. L'attività della procura di Roma, infatti, tendente ad accertare la perpetrazione di reati e le relative responsabilità penali, peraltro entro il preciso arco temporale previsto per la durata delle indagini preliminari, si è limitata all'approfondimento della notitia criminis nei settori amministrativi in cui essa si era rivelata, esulando dalla sua competenza l'acquisizione di un panorama più ampio che fornisse lo stato di salute dell'intera amministrazione capitolina. Eppure, se già l'autorità giudiziaria aveva messo in luce che gli unici dipartimenti e l'unico municipio del comune in cui si erano indirizzate le indagini, presentavano un penetrante livello di inquinamento mafioso, a maggior ragione l'indagine amministrativa avrebbe dovuto estendersi, a fronte di tali sintomatici elementi, al comune capitolino in tutta la sua interezza. Ma i tempi ristretti, ovviamente, non permettevano un approfondimento più vasto con l'ovvia conseguenza che il risultato acquisito non poteva che essere oltremodo parziale. Per fare un solo esempio, basti ricordare che già questa Commissione ha potuto constatare, come si è detto, l'esistenza di una situazione particolare presso il VI municipio, situazione che, probabilmente, avrebbe richiesto un'indagine amministrativa dall'interno, anche solo per fugare qualunque dubbio di compromissione. Una situazione che merita maggiori approfondimenti, anche dopo le audizioni presso questa Commissione.
  La normativa del TUEL, quindi, pensata a misura delle piccole realtà del sud del Paese, non permette un'indagine di ampio respiro per le città metropolitane che, tuttavia, come detto, non possono più ritenersi aprioristicamente esenti dalle problematiche del condizionamento mafioso.
  A tal proposito, il Ministro Alfano, nella citata audizione del 15 marzo 2016, nell'intento di fortificare l'attività di indagine prefettizia preannunciava un documento di indirizzo per regolamentare l'esecuzione dell'attività di accesso, atteso che proprio sulla base dell'esaustività degli accertamenti svolti, gli elementi raccolti possono avere «la necessaria congruenza circa il grado e l'intensità dell'inquinamento mafioso». Motivo per cui i commissari devono avere «a disposizione una metodologia di lavoro basata su un modello di indagine da replicare nei vari contesti. Si tratta, in sostanza, di far sì Pag. 170che un'attività delicatissima venga a seguire un preciso archetipo, anche per massimizzare il tempo a disposizione dei commissari, non più determinato ad libitum, bensì normativamente indicato, nella sua massima estensione, in 180 giorni. Con apposite linee-guida potranno puntualmente essere definiti gli ambiti amministrativi in cui dovrà concentrarsi l'ispezione, le attività indispensabili da svolgersi, le modalità di raccolta e di analisi dei dati»(137).
  Tuttavia, accanto alle linee guida, certamente utili, andrebbero altresì previsti termini più ampi entro i quali la commissione di indagine possa svolgere gli accertamenti e rassegnare al prefetto le proprie conclusioni, eventualmente graduando la durata dell'accesso in base alla popolazione (ad esempio tre mesi per i comuni sino a 15 mila abitanti, sei mesi sino a 100 mila abitanti, nove mesi sino a 500 mila abitanti; dodici mesi oltre i 500 mila abitanti), e in considerazione del maggior numero di dipartimenti o di consigli circoscrizionali, di appalti o gare, di dirigenti o di dipendenti.
  Per la medesima fase dell'accesso appare necessaria un'altra riflessione. Se si guarda al caso romano conclusosi senza lo scioglimento del comune capitolino, deve osservarsi che le singole e gravi criticità rilevate durante i lavori dalla commissione Magno hanno però dovuto attendere l'esito del procedimento e la declassificazione della relazione della commissione di accesso (avvenuta il 2 novembre 2015), per potere essere portate a conoscenza all'amministrazione comunale che poi, proprio perché ritenuta sostanzialmente integra, doveva rimuoverle. Allora, a fronte di un ente che, nel corso degli accertamenti, inizia a palesarsi sano, dovrebbe prevedersi, rimettendola alla valutazione discrezionale del prefetto, la possibilità di un dialogo con i vertici amministrativi volto ad eliminare, per quanto possibile e in tempi brevi, talune situazioni di cancrena che, tra l'altro, possono incidere negativamente sugli stessi lavori della commissione di indagine (si pensi all'ipotesi di dipendenti legati ad esponenti mafiosi che non solo continuano ad operare sino all'esito del procedimento amministrativo ma, nelle more, possono deliberatamente ostacolare e inquinare le indagini prefettizie).
  Passando alla fase conclusiva del procedimento amministrativo, deve rilevarsi che entrambi le soluzioni previste – scioglimento e non scioglimento – possono rilevarsi insoddisfacenti rispetto alle situazioni riscontrate.
  Lo scioglimento, talvolta, seppure necessario, può non rivelarsi, di fatto, uno strumento ben attrezzato per il risanamento dell'ente. Si pensi a quanto accaduto a Reggio Calabria, primo capoluogo di provincia destinatario della misura sanzionatoria la cui applicazione, però, aveva dato luogo a una serie di problematiche collegate alle dimensioni dell'ente e alla correlata inidoneità della commissione straordinaria, per come normativamente disciplinata, a svolgere un'adeguata gestione. Era stato lo stesso Ministro dell'interno, nella relazione al Parlamento presentata ai sensi dell'articolo 146, comma 2, TUEL per gli anni 2010-2014, a rimarcare, a pag. 41, che lo scioglimento del comune di Reggio Calabria, – prima applicazione della misura dissolutoria «ad un ente territoriale di dimensioni Pag. 171rilevanti e caratterizzato da un contesto locale particolarmente problematico –, ha reso evidente «l'esigenza di dotare l'organo straordinario di gestione, al fine di rendere più efficace l'azione di ripristino della legalità, di strumenti giuridici ed economici più incisivi, in grado di consentire interventi di più ampia portata in relazione alle problematiche di comuni di siffatte dimensioni ed alle complesse situazioni di illegalità e di condizionamento dell'azione amministrativa che ne hanno determinato lo scioglimento». Si ricorderà che gli organi del comune di Reggio Calabria erano risultati contigui alla locale criminalità organizzata, compromettendo l'imparzialità dell'azione amministrativa: l'apparato burocratico dell'ente aveva cointeressenze con la ‘ndrangheta poiché, tra l'altro, numerosi dipendenti comunali, alcuni dei quali collocati in uffici di diretta collaborazione con il sindaco, risultavano parenti o frequentatori di elementi della criminalità organizzata o addirittura essi stessi gravati da precedenti penali o giudiziari anche per reati associativi. Quella commissione straordinaria insediatasi nel comune di Reggio Calabria, la cui riorganizzazione costituiva una delle priorità per il recupero della legalità e per segnare una discontinuità nei rapporti tra dipendenti e criminalità organizzata, incontrò dunque non poche difficoltà. Nella citata relazione al Parlamento si sottolineava infatti che, pur essendo stato adottato un nuovo regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi del comune, «non è stato, comunque, possibile procedere all'avvicendamento di tutti i dirigenti sia per la carenza di specifiche professionalità all'interno dell'apparato burocratico sia per il divieto di assumere nuovo personale, attesa la condizione di ente strutturalmente deficitario. Proprio l'indisponibilità di dirigenti dotati di professionalità tecnica in grado di assumere la responsabilità di particolari settori unitamente all'impossibilità di reclutare nuovo personale – anche a tempo determinato – hanno impedito alla commissione di sostituire, con l'immediatezza richiesta dalle circostanze, il dirigente del settore lavori pubblici (..); analoghe difficoltà la commissione ha riscontrato nell'avvicendamento del segretario generale dell'ente che, prima della riorganizzazione, aveva assunto la responsabilità di ben sei settori dirigenziali»(138).
  Si pensi ora al recente scioglimento del X municipio del comune capitolino che, sebbene municipio, ha una popolazione superiore al comune di Reggio Calabria. Nell'inquinata realtà del litorale romano, la commissione straordinaria di Vulpiani, composta, come previsto per le commissioni straordinarie, da membri non impegnati a tempo pieno nello svolgimento delle funzioni commissariali, nonostante tutti gli sforzi ha necessariamente avuto bisogno di un certo tempo, breve in assoluto ma lungo se si pensa alla situazione emergenziale di quel momento, già solo per l'acquisizione documentale e per rendersi conto delle criticità più urgenti che richiedevano un intervento immediato. Inoltre, la complessa attività necessaria per ricostruire il buon andamento amministrativo si è scontrata con la mancanza di risorse umane e finanziarie e di figure specializzate.Pag. 172
  Sarebbe opportuno, quindi, prevedere l'esercizio a tempo pieno e in via esclusiva delle funzioni commissariali; il rafforzamento, per numero e competenze tecniche, della struttura della commissione; la dotazione di maggiori strumenti economici (ulteriori rispetto a quelli già previsti dall'articolo 145, comma 2, TUEL, limitati alla realizzazione di opere pubbliche indifferibili), istituendo un fondo presso il Ministero dell'interno, alimentato con una parte delle risorse del fondo unico giustizia destinate, per legge, al medesimo Ministero; la semplificazione delle procedure per l'adozione di provvedimenti urgenti nei confronti di dipendenti e dirigenti.
  Il citato disegno di legge (AS 1687) ha già proposto alcune modifiche del Testo unico delle leggi sugli enti locali in questa direzione. In particolare, con l'obiettivo di rafforzare l'efficacia della sanzione dello scioglimento per infiltrazione mafiosa, accanto all'ampliamento del novero degli enti nei cui confronti possono essere effettuati i controlli (includendo le società partecipate e i consorzi pubblici anche a partecipazione privata) e alla fortificazione dell'istituto della incandidabilità (139), talune norme tendono a ridelineare la struttura e i poteri della commissione straordinaria per la gestione dell'ente sciolto e il ripristino della legalità, prevedendo:
   una nuova composizione e nuove funzioni della commissione straordinaria, con la specializzazione dei membri, designati ed individuati, per gli enti con popolazione superiore a 15 mila abitanti, all'interno di un nucleo appositamente costituito presso il Ministero dell'interno, al quale è stabilmente assegnato un contingente di 45 unità, con l'esercizio a tempo pieno e in via esclusiva delle funzioni commissariali; l'affiancamento, a livello centrale presso il Ministero dell'interno, di una struttura di sostegno e monitoraggio della azione della commissione straordinaria, composta anche da magistrati ordinari, amministrativi e contabili (articolo 144 TUEL);
   ove non sia disposto lo scioglimento, la possibilità nei casi più gravi, di disporre, con decreto del Ministero dell'interno, su proposta del prefetto, in deroga alle norme vigenti, la mobilità obbligatoria presso altro ente o il licenziamento del dipendente stesso, misure che si aggiungono a quelle già esistenti ex articolo 143, comma 5, TUEL, (sospensione dall'impiego, destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare);
   il ripensamento dell'attività di gestione straordinaria dell'ente svolta dalla commissione straordinaria finalizzandola, oltreché all'ordinaria amministrazione, al ripristino della legalità compromessa. Obiettivo questo perseguito attraverso le linee guida elaborate dal comitato di sostegno e di monitoraggio di cui all'articolo 144, per i settori delle opere pubbliche indifferibili, dei servizi pubblici essenziali, dei tributi, dell'edilizia, dell'urbanistica, del commercio, dello smaltimento e recupero dei rifiuti urbani, degli altri servizi pubblici locali e dei servizi sociali. Viene integralmente sostituito l'articolo 145 TUEL. La commissione straordinaria, entro 60 giorni dall'insediamento, Pag. 173deve indicare le opere pubbliche indifferibili per le quali deve adottare o rinnovare la delibera di approvazione; deve altresì indicare le vacanze di organico per le quali possono essere attivate le procedure di mobilità in ingresso o quelle concorsuali; le unità organizzative dell'ente per le quali si ritiene necessario il ricorso a personale esterno di cui richiedere l'assegnazione in via temporanea. Il piano di priorità degli interventi viene comunicato al comitato di sostegno ed al prefetto che può intervenire presso le amministrazioni, regionali o statali, presso la Cassa depositi e prestiti per attivare misure acceleratorie, anche volte a garantire priorità di accesso a contributi, mutui o finanziamenti pubblici per l'attuazione degli interventi previsti nel piano. Il prefetto, su richiesta della commissione straordinaria, può disporre l'assegnazione in posizione di comando o di distacco, anche in deroga alle norme vigenti, di personale amministrativo e tecnico di amministrazioni ed enti pubblici e proporre l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 143, comma 5, qualora nel corso della gestione emergano elementi concreti, univoci di collegamenti con la criminalità organizzata a carico di appartenenti all'apparato burocratico dell'ente sciolto, non emersi o non rilevati nella fase di accesso. Inoltre la commissione, qualora riscontri gravi anomalie nelle procedure di aggiudicazione o di affidamento di contratti pubblici, lavori, servizi e forniture, può avvalersi di personale delle forze dell'ordine o di personale di altre amministrazioni per le verifiche e disporre di autorità, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, la revoca delle deliberazioni già adottate o la rescissione del contratto già concluso. Rimane ferma la potestà di revocare le delibere già adottate o rescindere i contratti già conclusi, già prevista dalla norma vigente (articolo 145, TUEL);
   l'obbligo per gli enti locali sciolti di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica per l'intera durata della gestione straordinaria e per i cinque anni successivi al rinnovo degli organi elettivi, pena la nullità dei contratti conclusi dall'ente locale in violazione dell'obbligo di avvalimento (articolo 101, decreto legislativo n. 159 del 2011);
   la trasmissione al Parlamento di una relazione biennale sull'andamento delle gestioni commissariali al fine di evidenziare anche le eventuali criticità rilevate e di presentare proposte, anche a carattere normativo, migliorative (articolo 146 TUEL).

  Lo spirito di queste riforme è sicuramente condivisibile salvo ulteriori interventi che appaiono necessari per il perfezionamento della disciplina, e sui quali prossimamente la Commissione avanzerà delle sue proposte.
  Anche il caso del «non scioglimento» può non rivelarsi in concreto il rimedio ottimale per situazioni, come quella romana, in cui l'ente, seppure ritenuto politicamente sano, presenti comunque opacità e sviamenti che l'amministrazione non era stata in grado di superare.
  La questione più importante posta dal caso di «Mafia capitale» è dunque quella della cosiddetta terza via, una strada cioè che Pag. 174consenta di superare la rigida dicotomia tra «scioglimento o non scioglimento» prevista dall'attuale legislazione.
  Né il Testo unico delle leggi degli enti locali né il disegno di legge citato, al vaglio del Parlamento, affrontano i problemi connessi al mancato scioglimento di un ente che, seppure immeritevole della misura sanzionatoria, presenti segnali di compromissione irrisolti e, per questo, necessita di un ausilio, di un affiancamento esterno, per favorire il complesso percorso per il ripristino della legalità.
  Né le soluzioni in concreto adottate si sono potute rivelare adeguate, nel silenzio del legislatore, al superamento delle problematicità. Si ricorderà, infatti, che il Ministro dell'interno, non ritenendo sussistenti i presupposti previsti dall'articolo 143 TUEL per addivenire allo scioglimento del comune di Roma, aveva però individuato, uno strumento che «trovava il suo fondamento non certo nell'articolo 143 del testo unico, ma nei princìpi generali che regolano la cooperazione istituzionale» per stimolare e sostenere la necessaria bonifica del Campidoglio. Aveva quindi disposto «misure di monitoraggio che avrebbero portato il prefetto di Roma a esercitare forme di verifica dell'attività di risanamento dell'ente e nel cui ambito «il ruolo del prefetto si atteggiava in termini di sostegno collaborativo» (cfr. audizione citata del 15 marzo 2016). In altri termini, si era pensato ad un gruppo di affiancamento che il sindaco Marino aveva ironicamente sintetizzato e tradotto attribuendo al prefetto di Roma il ruolo di sua «badante».
  Come detto, quel gruppo di supporto riusciva ad operare solo dal 7 settembre al 2 novembre 2015, cioè fino all'intervenuto scioglimento del consiglio comunale a causa delle dimissioni di più della metà dei consiglieri con relativo insediamento della gestione commissariale. Il brevissimo tempo disponibile, di soli circa due mesi, non ha dunque consentito di testare concretamente l'efficacia della soluzione individuata. Ma quanto accaduto in tale breve lasso temporale dà comunque l'idea che il rimedio, in assenza di norme di legge che ne regolamentino ogni aspetto, non sarebbe potuto essere risolutivo o anche solo efficace. Ciò peraltro in una situazione che, anzi, tendeva al peggioramento, posto che lo stesso gruppo di lavoro aveva evidenziato, come riferito dal prefetto Gabrielli nella sua seconda audizione, il «rischio che le inefficienze amministrative esistenti, l'entropia causata da una struttura burocratica elefantiaca, i timori per le recenti vicende giudiziarie finiscano per determinare una paralisi amministrativa non meno pericolosa dei comportamenti elusivi o violativi delle regole».
  I rapporti tra gruppo prefettizio e amministrazione capitolina non potevano che essere improntati al principio della leale collaborazione tra istituzioni che, però, non prevede dirette sanzioni in caso di inosservanza, né poteri decisionali, anche solo limitati, in capo alla prefettura che prevalessero rispetto a quelli degli amministratori. La buona riuscita del percorso di sostegno, dunque, era rimesso all'esistenza di un clima disteso e di spontanea cooperazione che, però, in una situazione amministrativa di quel genere, proprio perché compromessa e condizionata, potrebbe essere difficile da instaurare. Non a caso, a conclusione del lavoro, il gruppo di supporto stigmatizzava, come riferito dal prefetto Gabrielli nella stessa occasione prima citata, «l'atteggiamento serbato dai dirigenti capitolini, improntato a scarsa Pag. 175collaborazione quando non a resistenze, a fronte delle richieste formulate».
  Non può non evidenziarsi, inoltre, che, secondo sempre quanto rappresentato dallo stesso prefetto, al 2 novembre 2015 erano state annullate solo sei determinazioni dirigenziali relative ad affidamenti illegittimi, era stato avviato il procedimento per altre quattro mentre per ulteriori sedici determine non era stata data alcuna risposta; che, rispetto ai diciannove dipendenti per i quali aveva auspicato la rimozione dall'incarico e l'avvio del procedimento disciplinare, Roma Capitale aveva disposto la sospensione dal servizio solo nei confronti dei dipendenti raggiunti dal provvedimento di applicazione di misura cautelare da parte dell'autorità giudiziaria; che la rotazione degli incarichi operata era stata opinabile, essendo stati trasferiti due dirigenti in servizio presso il X municipio ad altro municipio ma con incarichi e funzioni del tutto equivalenti.
  Si comprende, dunque, che si era creata, in sostanza, una situazione di immobilismo. Il gruppo di supporto prefettizio non aveva gli strumenti per sostituirsi all'amministrazione inadempiente né per sanzionarne l'inadempienza (salvo il caso in cui le violazioni avessero assunto le caratteristiche di cui alla lett. a dell'articolo 141 TUEL, e cioè atti contrari alla Costituzione, gravi e persistenti violazioni di legge, gravi motivi di ordine pubblico). Dal suo canto, l'amministrazione comunale, a quel tempo ignara delle risultanze acquisite dalla commissione di accesso rimaste riservate, non disponeva degli elementi per assumere i provvedimenti delicatissimi richiesti, come quelli della rimozione dall'incarico e dell'avvio del procedimento disciplinare per i dipendenti.
  La soluzione del gruppo di sostegno adottata per Roma Capitale che, appunto, trovava il suo fondamento non certo nell'articolo 143 del testo unico, ma nei princìpi generali che regolano la cooperazione istituzionale, se non meglio regolamentata rischia di non produrre effetti, salvo quello dello scioglimento ai sensi dell'articolo 141 comma 1 lett. a) del TUEL, ovvero di creare una situazione di paralisi tanto del tutore che del tutelato.
  Da più parti, allora, è stato evidenziato, dopo le vicende di «Mafia capitale», il vuoto normativo che non solo non ha consentito di trovare una soluzione più aderente alla realtà capitolina ma che, soprattutto, lascia senza adeguate soluzioni altri casi similari, purtroppo non improbabili, che ancora potrebbero verificarsi.
  Già la presidente di questa Commissione, nella sua comunicazione del 22 luglio 2015, allora auspicando l'intervento del Governo con un decreto-legge che potesse offrire strumenti più adeguati, sia per la risoluzione del caso romano che in quei giorni si stava affrontando, sia per adeguare, comunque, per i casi futuri, la normativa attuale alle nuove e più complesse forme di manifestazione del fenomeno mafioso, proponeva una riflessione su una possibile terza via: «Roma è anche il comune più esteso territorialmente, il più popoloso d'Italia con quasi tre milioni di abitanti, oltre ad essere una delle più importanti città d'Europa. Se il fenomeno ha raggiunto tali dimensioni, è evidente che l'alternativa tra scioglimento e non scioglimento è assolutamente inappagante per far fronte alle esigenze di governo di una comunità di milioni di cittadini. Pag. 176Né del resto l'eventuale scioglimento sic et simpliciter delle assemblee elettive potrebbe essere ritenuto soddisfacente per gli effetti sostanzialmente punitivi anche per i cittadini, decisione che genera la misura dissolutoria e che tuttavia non può tradursi, in caso di non scioglimento, in una misura assolutoria della classe politica e soprattutto amministrativa in genere, che con i suoi comportamenti opachi anche nel caso di Roma ha comunque configurato quantomeno i presupposti per l'accesso al comune, al di là delle responsabilità penali personali che accerterà la magistratura. (..) Occorrerebbe introdurre nell'ordinamento (..) anche altri strumenti ad hoc per affrontare le difficoltà della gestione di comuni più grandi che non siano da sciogliere, ma per i quali vi siano comunque elementi che individuano collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare. Occorre pertanto individuare una terza via, che vada oltre la semplice dicotomia tra scioglimento e non scioglimento, strumenti che rischiano di essere rozzi rispetto alla complessità del problema. Tale terza via potrebbe consistere in una forma di tutoraggio o assistenza dello Stato, quale ente esponenziale della comunità nazionale rispetto all'ente espressione della comunità locale, senza che questo debba essere necessariamente commissariato e affidato all'amministrazione temporanea di funzionari dello Stato. Nel rispetto dell'autonomia del comune o dell'ente locale si può provare a immaginare una forma di accompagnamento temporaneo verso il ripristino della legalità e dell'efficienza dell'amministrazione, un processo di rafforzamento continuo che non privi il comune di una guida politica, ma che anzi la rafforzi agli occhi sia dei cittadini che del corpo amministrativo, troppo spesso purtroppo concausa della mala gestio dell'ente. In questo, in via di analogia potrebbe soccorrere la discussione già svolta in Commissione in sede di approvazione della relazione sui beni confiscati e sulla modifica del Codice antimafia nelle parti relative all'amministrazione giudiziaria dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità. Alcuni spunti di riflessione ivi presenti in tema di ruolo dello Stato e degli organi di giustizia per la riconduzione alla legalità dell'impresa mafiosa potrebbero essere in via generale utilmente sfruttati per l'elaborazione di misure amministrative affidate allo Stato e agli uffici territoriali del Governo, per ricondurre alla legalità un'amministrazione infiltrata o compromessa anche in parte mediante anzitutto la riorganizzazione dell'ente, la riduzione dei centri di spesa, il rafforzamento delle funzioni di controllo interno ed esterno».
  La proposta, come già detto, trovava la condivisione anche del Ministro dell'interno che nella sua audizione concordava sui limiti dell'attuale formulazione dell'articolo 143 TUEL che «non contempla misure diverse da quella dissolutoria anche quando gli elementi, sebbene non sufficienti a giustificare l'extrema ratio dello scioglimento, richiedano, tuttavia, soluzioni meno traumatiche ma non meno efficaci a riportare l'amministrazione sui binari di una maggiore correttezza legalitaria. È un vuoto legislativo che non può essere colmato efficacemente da interventi di sola supplenza amministrativa. Del resto, si fa strada da tempo l'idea che, in sostituzione di sanzioni afflittive, si possano proficuamente applicare misure di carattere «terapeutico», che non comportino l'interruzione delle attività da parte degli organi Pag. 177ordinari né il loro allontanamento definitivo, bensì il loro affiancamento con l'intervento mirato di commissari ad acta o di tutor.»(140)
  Da qui la ferma convinzione della necessità di pensare, dunque, a una terza via, consistente, in sostanza, nella previsione legislativa di una terza ipotesi di conclusione del procedimento di accesso che possa definirsi, non solo con il decreto di scioglimento e con il decreto di conclusione del procedimento, ma anche, laddove ne ricorrano le condizioni, in un decreto di nomina, da parte del Ministro dell'interno, di una commissione di affiancamento per il ripristino della legalità che accompagni l'ente nel suo percorso di risanamento. Decreto, anche questo, soggetto a pubblicità insieme alla relazione della commissione di accesso e alla relazione del prefetto, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto di ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali.
  Deve subito precisarsi che l'istituto deve essere pensato in modo tale che non possa risolversi in un commodus discessus per evitare lo scioglimento di un ente irrimediabilmente infiltrato o, al contrario, in un espediente per controllare un ente libero da condizionamenti mafiosi.
  Già l'auspicata maggiore tipizzazione dei presupposti per lo scioglimento potrebbe incidere in maniera determinante a scongiurare tali rischi. Ma, in ogni caso, la terza via va considerata come un'ipotesi autonoma da applicare per i casi di enti per i quali si è accertata, durante l'indagine prefettizia, l'assenza di condizionamento mafioso; la presenza di criticità desumibile da indici rivelatori di infiltrazioni (quali reiterati casi di appalti in cui sia stata turbata la gara o il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o vengano alterate le modalità di scelta del contraente, in favore di soggetti o imprese riconducibili all'associazione mafiosa; ovvero casi in cui una certa percentuale di dipendenti o di dirigenti sia in collegamento con soggetti o imprese riconducibili all'associazione mafiosa), e una situazione di debolezza strutturale nell'affrontare le predette criticità, nonostante l'amministrazione abbia dato, nel corso della sua gestione, segnali positivi di ripresa.
  Si pensi ad esempio a un'amministrazione non scientemente orientata a consentire l'infiltrazione della criminalità organizzata ma che, al contempo, ha dimostrato di non essere adeguatamente attrezzata per fronteggiarne l'attacco. O, meglio, si pensi ad un'amministrazione che eredita una situazione pesantemente compromessa, e, nonostante l'immediato dispiego di uno sforzo per il ripristino della legalità, non abbia gli strumenti sufficienti per il completo risanamento e che, dunque, in assenza di un qualsiasi supporto esterno, sarà costretta, alla fine del proprio mandato, a consegnare ai suoi successori una situazione non interamente risanata, così creando un circolo vizioso dal quale sarà difficile uscire.
  Parallelamente, il ruolo della commissione di affiancamento per il ripristino della legalità, dovrebbe essere costruito in relazione ad una funzione di supporto che, non intervenendo sulla selezione degli obiettivi dell'azione politica, funga da ausilio per l'organizzazione e l'agire amministrativo e sia strumento per attuare, all'interno dei binari di legittimità, la volontà dell'ente attraverso un sistematico controllo di legalità.

Pag. 178

Liste ammesse al comune
   1) Partito comunista
   2) Movimento 5 stelle.it
   3) lista civica «Italia cristiana»
   4) Federazione popolare
   5) Partito liberale italiano
   6) Fratelli d'Italia –Alleanza nazionale
   7) Lista civica «Con Giorgia Meloni sindaco»
   8) Noi con Salvini
   9) lista civica «Codacons x Roma»
   10) lista civica «Assotutela»
   11) lista civica «Patria-Iorio sindaco»
   12) Laici civici socialisti
   13) lista civica «#RomatornaRoma»
   14) Federazione dei Verdi
   15) lista civica «Democratici e popolari»
   16) Italia dei Valori
   17) Radicali Federalisti Laici Ecologisti
   18) Partito Democratico
   19) Casapound Italia
   20) Sinistra Sinistra x Roma
   21) Lista civica «Civica per Fassina sindaco»
   22) Unione pensionati
   23) Lega centro
   24) lista civica «Con gioia ! Viva l'Italia»
   25) Lista del grillo parlante-no euro
   26) lista civica «Movimento per Roma»
   27) Rivoluzione cristiana
   28) Lista Storace
   29) lista civica «Alfio Marchini sindaco»
   30) lista civica «Rete liberale»
   31) Forza Italia
   32) lista civica «Roma popolare»
   33) lista civica «Movimento cantiere Italia»
   34) Il popolo della famiglia.

Pag. 179

Liste ammesse al VI municipio
   1) Partito comunista
   2) Movimento 5 stelle
   3) Il popolo della famiglia
   4) Casapound Italia
   5) Lega centro con Giovanni Salvini
   6) Movimento per Roma
   7) Unione pensionati
   8) Lista del grillo parlante-no euro
   9) Viva l'Italia con Tiziana Meloni
   10) lista civica «Petri presidente – periferie in movimento»
   11) Lega-Noi con Salvini
   12) Con Giorgia Meloni sindaco
   13) Fratelli d'Italia –Alleanza nazionale Meloni sindaco
   14) Iorio sindaco
   15) lista civica «Dario Nanni presidente»
   16) #RomatornaRoma Giachetti sindaco
   17) Democratici e popolari-Più Roma Giachetti
   18) Radicali Federalisti Laici Ecologisti
   19) Partito Democratico Giachetti sindaco
   20) Alfio Marchini sindaco
   21) Roma popolare per Marchini sindaco
   22) Lista Storace Marchini sindaco
   23) Forza Italia
   24) Azione democratica Marco Scipioni presidente
   25) Sinistra x Roma Fassina sindaco
   26) Movimento cantiere Italia.


NOTE:

   (1) Si veda in particolare la Relazione in materia di formazione delle liste delle candidature per le elezioni europee, politiche, regionali, comunali e circoscrizionali (Doc. XXIII, n. 3), approvata nella seduta del 23 settembre 2014 e discussa dalle Assemblee del Senato e della Camera nelle rispettive sedute del 29 ottobre 2014 e del 27 aprile 2015, e il resoconto stenografico della seduta del 29 maggio 2015, recante Comunicazioni della presidente in merito alla verifica di cui all'articolo 4 del codice di autoregolamentazione in materia di formazione delle liste elettorali, approvato dalla Commissione nella seduta del 23 settembre 2014

   (2) Il comune di Battipaglia è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica 19 luglio 2013; il comune di Scalea è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 2013; il comune di Ricadi è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014; il comune di Badolato è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica 23 maggio 2014. Il comune di Platì era stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 2012, prorogato in data 6 agosto 2013: nel 2014 si erano svolte elezioni, poi annullate per il mancato raggiungimento del quorum di votanti

   (3) Il procedimento relativo al comune di San Sostene è stato dichiarato concluso con decreto del Ministro dell'interno del 23 luglio 2015; il procedimento relativo al comune di Morlupo è stato dichiarato concluso con decreto del Ministro dell'interno del 28 ottobre 2015; il procedimento relativo al comune di Sant'Oreste è stato dichiarato concluso con decreto del Ministro dell'interno dell'11 novembre 2015; il procedimento relativo al comune di Diano Marina è stato dichiarato concluso con decreto del Ministro dell'interno del 23 dicembre 2015; il procedimento relativo al comune di Finale Emilia è stato dichiarato concluso con decreto del Ministro dell'interno del 18 gennaio 2016; il procedimento relativo al comune di Villa di Briano è stato dichiarato concluso con decreto del Ministro dell'interno del 15 marzo 2016. Il comune di Joppolo è stato sciolto per mafia con decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014, ma il provvedimento è stato definitivamente annullato dal Consiglio di Stato nel marzo 2016, con conseguente reinsediamento degli organi dell'ente eletti nel 2011. Il X municipio di Roma Capitale, infine, è stato sciolto con decreto del Presidente della Repubblica 27 agosto 2015 all'esito del procedimento di accesso al comune

   (4) Il comune di Trentola Ducenta è stato sciolto per infiltrazione e condizionamento mafioso con decreto del Presidente della Repubblica 11 maggio 2016 e pertanto sono stati revocati i comizi elettorali per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale convocati per il 5 giugno 2016. Nel comune di San Luca, sciolto con decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 2013, nel 2015 si erano svolte elezioni, poi annullate per il mancato raggiungimento del quorum di votanti

   (5) Le province interessate sono: Catanzaro (due comuni), Vibo Valentia (due comuni), Reggio Calabria (un comune) e Cosenza (un comune), in Calabria; Roma (tre comuni), nel Lazio; Caserta (un comune) e Salerno (un comune), in Campania; Modena (un comune), in Emilia-Romagna; Imperia (un comune), in Liguria

   (6) Si vedano, ex plurimis, i relativi resoconti stenografici: seduta dell'11 dicembre 2014, audizione del prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro; sedute dell'11 dicembre 2014 e del 1o luglio 2015, audizioni del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone; seduta del 17 dicembre 2014, audizione del sindaco di Roma, Ignazio Marino; seduta del 15 aprile 2015, audizione dell'ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno; seduta del 22 aprile 2015, audizione del presidente Legacoop nazionale, Mauro Lusetti; sedute del 12 maggio 2015 e del 3 dicembre 2015, audizioni del prefetto, già presidente della commissione di accesso presso il comune di Roma, Marilisa Magno; 22 luglio 2015, comunicazioni della presidente in merito alle vicende note come «mafia capitale»; seduta del 5 agosto 2015, audizione del prefetto di Roma, Franco Gabrielli; seduta del 19 novembre 2015, e del 26 gennaio 2016, audizione del magistrato Alfonso Sabella, già assessore alla legalità del comune di Roma; seduta del 9 febbraio 2016, audizione del presidente del VI municipio di Roma Capitale, Marco Scipioni; seduta del 17 febbraio 2016, audizione dell'on. Matteo Orfini (conclusa nella seduta dell'8 marzo 2016) e del prof. Fabrizio Barca; seduta del 1o marzo 2016, audizione del commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca; seduta dell'8 marzo 2016, audizione del presidente della commissione di accesso presso il comune di Sacrofano (RM), vice prefetto Antonio Tedeschi; seduta del 9 marzo 2016, audizione del presidente della commissione straordinaria incaricata della gestione del X municipio di Roma Capitale, Domenico Vulpiani; sedute del 15 marzo 2016 e del 22 marzo 2016, audizione del Ministro dell'interno, on. Angelino Alfano; seduta del 22 marzo 2016, audizione del presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti

   (7) Il numero relativo a Roma comprende i candidati a sindaco, i candidati al consiglio comunale, i candidati a presidente delle municipalità e i candidati al consiglio del VI municipio. Sono stati esclusi, in ragione dei tempi ristretti e del volume complessivo delle candidature, i candidati ai consigli degli altri municipi al voto, tra i quali, come noto, non rientra il X, sciolto per mafia, che ricomprende il territorio di Ostia. Per la disamina delle notevoli criticità affrontate in sede di ammissione delle candidature, si veda il resoconto stenografico della seduta del 25 maggio 2016, audizione della presidente della commissione elettorale circondariale di Roma, prefetto Clara Vaccaro: «Vorrei iniziare dando uno spaccato dell'attività della commissione elettorale circondariale, che ha cominciato i suoi lavori a partire da venerdì 6 maggio, anche se la maggior parte della presentazione delle candidature è avvenuta nella giornata di sabato 7. Infatti, ricordo che il termine ultimo per la presentazione delle candidature era fissato, appunto, per sabato 7, alle ore 12. La commissione ha, dunque, cominciato a esaminare le liste presentate a partire dalla giornata di sabato, con il termine perentorio di terminare entro domenica 8 maggio. Le conclusioni sono avvenute a tarda notte. Quest'anno per il comune di Roma sono state presentate ben 37 liste, di cui 34 ammesse, con 1.535 candidati per il solo comune di Roma, di cui tredici candidati sindaco. Abbiamo potuto dichiarare l'incandidabilità di tre di questi. Vi spiegherò nel prosieguo le modalità con cui abbiamo operato e il perché di questi numeri. La commissione elettorale circondariale, in questa composizione che vedete oggi, ha preso in esame le candidature per quel che riguarda l'elezione del sindaco di Roma e del consiglio comunale. Inoltre, erano insediate ben sette sottocommissioni circondariali alle quali è stato affidato il compito della verifica dell'ammissione delle candidature per l'elezione dei presidenti di municipio e quindi dei consigli municipali. Ciascuna commissione varava, quindi, due municipi. In totale vi sono quattordici municipi, con 321 liste ammesse, per un totale di 8.018 candidati» Si veda, inoltre, il paragrafo 13, dedicato a Roma Capitale

   (8) Seduta del 17 maggio 2016, audizione del prefetto di Catanzaro, Luisa Latella, e del prefetto di Imperia, Silvana Tizzano; seduta del 25 maggio 2016, audizione del presidente della commissione elettorale circondariale di Roma, prefetto Clara Vaccaro, e del prefetto di Caserta, Arturo De Felice

   (9) La rilevazione è stata effettuata nel rispetto di quanto previsto dalla deliberazione del Consiglio superiore della magistratura del 16 marzo 2016. In base a quanto comunicato dalla DNAA le rilevazioni del sistema informatico delle misure di prevenzione, che hanno dato esito negativo, sono aggiornate al maggio, giugno o dicembre 2015, a seconda dei diversi distretti giudiziari. Più in generale, in merito alle carenze dei sistemi informatici giudiziari, e alle difficoltà nell'assicurare i fondamentali parametri della tempestività e della correttezza nell'inserimento dei dati, si fa rinvio a quanto già illustrato nella relazione approvata dalla Commissione nella seduta del 27 aprile 2016

   (10) Seduta del 25 maggio 2016, audizione del prefetto di Caserta, Arturo De Felice: «I tredici comuni commissariati si aggiungono all'unica azienda ospedaliera italiana commissariata per infiltrazioni camorristiche dal 4 luglio 2013, nonché a quattro commissioni di accesso disposte del corso della legislatura in essere rispettivamente presso i comuni di Roccamonfina, Orta di Atella, Villa di Briano e Trentola Ducenta. Quest'ultimo, su mia proposta, recentemente, il 10 maggio 2016, su proposta del Ministro dell'interno, è stato sciolto dal Consiglio dei ministri (...). A questa brevissima, ma credo significativa fotografia della situazione, si aggiungono le iniziative prima dello screening delle liste, che debbo dire hanno trovato una stretta collaborazione da parte dell'autorità giudiziaria, che ha disposto, su mia esplicita e formale richiesta, di tenere aperti nei giorni di sabato e di domenica i casellari giudiziari delle procure di Santa Maria Capua Vetere e di Aversa-Napoli nord. È stato un caso senza precedenti, che però ci ha consentito di filtrare in tempo reale e di avere contezza immediata della situazione, raggiungendo dei numeri anche ragguardevoli di persone deferite all'autorità giudiziaria per aver dichiarato il falso nell'autocertificazione che consentiva l'ammissione nelle liste. A ogni modo, l'inizio della campagna elettorale non è del tutto foriero di tranquillità dal punto di vista dell'ordine pubblico. Ha visto, infatti, qualche significativo «incidente di percorso» nel corso delle attività di polizia giudiziaria di cui hanno dato conto anche le cronache giornalistiche. In provincia si sono susseguite fino a ieri e si susseguono grosse operazioni, soprattutto dall'Arma dei carabinieri, che vedono coinvolti ex amministratori di passate gestioni con coinvolgimenti diretti e indiretti anche nell'attuale campagna elettorale, benché minimali rispetto alla situazione dei trentadue comuni che andranno al voto e che rappresentano, per popolazione, quasi la metà della popolazione della provincia di Caserta. I comuni commissariati, da soli, rappresentano il 33-35 per cento della popolazione della provincia»

   (11) Nel VI municipio di Roma Capitale, le liste civiche sono circa diciannove su ventisei

   (12) Eseguita il 15 dicembre 2011 con provvedimento di fermo di indiziato di delitto n. 6642/09 RGNR e successivamente con ordinanza del GIP del 18.12.2011

   (13) Cfr. Doc. n. 1033

   (14) Cfr. Doc. n. 1033

   (15) Cfr. relazione del Ministro dell'interno allegata al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014 (doc. n. 976.6)

   (16) Cfr. relazione del Ministro dell'interno allegata al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014 (doc. n. 976.6)

   (17) Cfr. relazione del prefetto di Vibo Valentia (Doc. n. 965.6)

   (18) Cfr. decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2014 (doc. n. 976.6)

   (19) Operazioni di polizia denominate «Caracas» della direzione distrettuale antimafia di Roma, che ha portato all'emissione di ventidue provvedimenti restrittivi eseguiti nei confronti di sodalizi criminali operanti nella Capitale dediti al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e «Ulisse» della direzione distrettuale antimafia di Milano, che ha colpito trentasette presunti affiliati alla cosche di ‘ndrangheta di stanza in Lombardia, ai quali sono stati contestati i reati di associazione mafiosa e quelli di estorsione, porto e detenzione illegale di armi e usura, tutti aggravati dal «metodo mafioso» (prosecuzione dell'indagine «Infinito» dell'estate del 2010 che faceva luce sulle proiezioni extraregionali della ‘ndrangheta calabrese in Lombardia)

   (20) Cfr. decreto del Presidente della Repubblica del 23 maggio 2014 (Doc. n. 385.1)

   (21) Cfr. decreto del Presidente della Repubblica del 23 maggio 2014 (Doc. n. 385.1)

   (22) Cfr. Doc. n. 385.1

   (23) Il TAR Lazio ha in particolare osservato che «è conclusione giurisprudenziale ormai pacifica quella per la quale il presupposto del provvedimento di scioglimento di un consiglio comunale deve fondarsi su vicende considerate nel loro insieme e non atomisticamente, assumendo rilievo sotto tale profilo anche situazioni non traducibili in episodici addebiti personali ma tali da rendere, nel loro insieme, plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata e ciò anche quando il valore indiziario degli elementi raccolti non è sufficiente per l'avvio dell'azione penale o per l'adozione di misure individuali di prevenzione o quand'anche sia intervenuta successivamente una sentenza di assoluzione per fatti specifici (da ultimo, Cons. Stato, III, 2 maggio 2016, n. 1662 e 28 settembre 2015, n. 4529)». Sulla giurisprudenza amministrativa in tema di scioglimento dei comuni si veda anche la parte dedicata a Roma Capitale

   (24) Tutte le conversazioni intercettate cui si fa riferimento nella relazione sono tratte dall'ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del tribunale di Roma nell'ambito del procedimento cosiddetto «Mafia capitale» del 28 novembre 2014, pagg. 675 e segg. (Doc. n. 411.1)

   (25) Preliminarmente, appare necessario fornire qualche dettaglio di carattere generale in relazione alla situazione socio-economica della provincia, anche allo scopo di rendere più agevole la lettura della fenomenologia criminale e della pervasività mafiosa del territorio vibonese. Cfr. relazione predisposta dal prefetto di Vibo Valentia in occasione della missione della Commissione a Vibo Valentia del 7 aprile 2014 (Doc. n. 144.1)

   (26) Cfr. relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1o luglio 2014 – 30 giugno 2015 (Doc. n. 892.1)

   (27) Cfr. il decreto Presidente della Repubblica di scioglimento e l'allegata relazione del Ministro dell'interno con cui è stato chiesto lo scioglimento del comune di Ricadi (Doc. n. 385.1) e la relazione del prefetto di Vibo Valentia pervenuta il 4 maggio 2016 (Doc n. 965.6)

   (28) Plurimi sono gli episodi segnalati di rapporti tra le predette parti. In particolare il sindaco aveva affidato a una ditta, che beneficiava dei favori dalla cosca locale l'esecuzione dei lavori per la realizzazione di un importante complesso immobiliare, di cui è comproprietario unitamente ad altri familiari. Aveva fatto assumere un familiare del capo indiscusso della locale ndrina presso altra struttura turistica di cui è titolare. Aveva assunto, anche in passato iniziative che si erano risolte in elargizioni di favori verso ambienti criminali; è il caso del reclutamento, presso la predetta struttura turistica, di uno straniero, sodale del potente clan locale; o affidato la cosiddetta «guardiania», all'interno di una struttura alberghiera di sua proprietà direttamente al «sodale» dei Mancuso

   (29) Emblematica la vicenda dell'operata liquidazione, prima ancor di aver assunto l'incarico di responsabile dell'ufficio tecnico, di somme in favore di una ditta destinataria di informazione interdittiva antimafia

   (30) Il decreto Presidente della Repubblica 17 settembre 2007 ha sancito lo scioglimento, per la durata di diciotto mesi, del consiglio comunale di Parghelia (Vibo Valentia), a causa delle infiltrazioni e del condizionamento della criminalità organizzata

   (31) La gestione dell'ente, non conforme ai principi di imparzialità e di buon governo, si era connotata per le notevoli anomalie ed irregolarità gestionali riscontrate in sede di accesso, in particolare nei settori più delicati dell'ente, che avevano consentito di coltivare interessi personali di amministratori o di ambienti controindicati

   (32) Così l'annullamento della delibera di approvazione del capitolato d'appalto relativo all'affidamento dei lavori di manutenzione della viabilità comunale, e della delibera relativa all'annullamento della procedura di mobilità volontaria, che era stata avviata dal commissario straordinario per ovviare alle carenze della pianta organica, relativamente all'area finanziaria

   (33) Tra altri venivano segnalati il caso di uno degli esperti, vicino per vincoli parentali e per frequentazioni ad ambienti criminali, che aveva già rivestito la carica di amministratore in un comune raggiunto dalla misura dissolutoria di cui all'articolo 143 TUEL. Altri, pure legati da vincoli familiari alla criminalità organizzata o coinvolti in procedimenti penali in materia di abusivismo edilizio, erano stati assunti e assegnati proprio all'ufficio che tratta la materia urbanistica. Un dato fattuale ed elemento di concretezza, ai fini dello scioglimento del consiglio comunale di Ricadi, era stato evidenziato nel rilascio di un permesso, da parte di uno di questi soggetti, ad operare un cambio di destinazione di un immobile da turistico a residenziale, in favore di una persona legata da vincoli parentali con soggetti contigui alla cosca dominante. Si trattava proprio di quei personaggi della cosca che, secondo le evidenze investigative, avevano supportato l'elezione dell'attuale sindaco (Cfr. relazione del Ministro dell'interno con cui è stato chiesto lo scioglimento del comune di Ricadi, Doc. n. 385.1)

   (34) Tra i quali figura il titolare di una ditta che vanta tra i propri dipendenti un esponente di vertice della cosca ricadese, nonché soggetti contigui alla predetta cosca e persone legate agli attuali amministratori da vincoli di affinità o di amicizia

   (35) Non sorprende la circostanza che l'estrema lentezza dell'ente nel corrispondere alle richieste della stazione unica appaltante non abbia consentito di portare a termine la gara, permettendo invece alla ditta temporaneamente incaricata di svolgere il servizio la prosecuzione della collaborazione con il comune. L'amministratore delegato della società detentrice delle quote di maggioranza della predetta ditta è rimasto coinvolto in un procedimento penale, tuttora in corso, per associazione a delinquere finalizzata a traffici illeciti e allo smaltimento di rifiuti tossici pericolosi

   (36) Cfr. Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1o luglio 2013 – 30 giugno 2014 (Doc. n. 477.1)

   (37) Nel 2008 nella località di Chiusavecchia (IM) era stato tratto in arresto il latitante Mario Altavilla, originario di Agrigento e legato al boss Messina Denaro; così nel 2010 si era proceduto all'arresto del latitante Giovanni Ingrasciotta, infine, nel 2010 nell'ambito della dell'operazione «Golem 2» erano state disposte alcune perquisizioni nella provincia di Imperia finalizzate alla cattura dello stesso latitante Messina Denaro

   (38) Cfr. Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1o luglio 2014 – 30 giugno 2015 (Doc. n. 892.1)

   (39) Cfr. Relazione del Ministro dell'interno al Parlamento, attività svolta e risultati conseguiti dalla direzione investigativa antimafia (DIA) nel 1o semestre 2015 (Doc. n. 836.1)

   (40) Primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali, per la presidenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno mafioso. A cura dell'Osservatorio sulla criminalità organizzata dell'università degli studi di Milano – prof. Fernando dalla Chiesa (Doc. 181.1)

   (41) Sentenza del tribunale di Imperia del 7 ottobre 2014 (Doc. n. 790.1)

   (42) Il casinò di Sanremo è stato oggetto di attività investigativa da parte anche di polizie europee tra il 1993 il 1994 nonché nel 2006, indagine condotta dalla Polizia di Stato, denominata «Aggia mangià». Nel 2009 altre indagini della procura della Repubblica di Sanremo avevano accertato che veniva sottratto denaro mediante la tecnica del cambio fiches, procedimento n. 2712/09 RGNR; nel 2011 ulteriore indagine della procura di Sanremo ha svelato l'esistenza di un gruppo di croupiers che si impossessava illecitamente di fiches, con la complicità di un dipendente comunale impiegato quale controllore al casinò

   (43) Il comune di Diano Marina nel 1981 ha raggiunto il suo picco massimo di popolazione raggiungendo la quota di 7.000 abitanti

   (44) Le indagini «San Marco e Free Pass», condotte dalla procura di Busto Arsizio (VA) hanno interessato esponenti delle cosche Tripepi, De Marte, Spinella, originari di Seminara, in cui figurano parenti dei fratelli Pellegrino di Bordighera e dei De Marte dimoranti in Diano Marina; l'indagine «San Michele» della direzione distrettuale antimafia di Torino ha portato all'arresto del gestore di un hotel a Diano Marina

   (45) Emerge dagli atti dell'indagine «Maglio 3» che al funerale celebrato Il 31 maggio 2010 a Diano Marina di un personaggio ritenuto appartenente alla ‘ndrangheta avevano partecipato i rappresentanti delle «locali» della Liguria

   (46) Come già segnalato i comuni di Ventimiglia e di Bordighera erano stati sciolti all'esito delle disposte commissioni di accesso; in entrambi i casi, con sentenze del consiglio di Stato è stato pronunciato l'annullamento dei predetti provvedimenti di scioglimento pur con differenti corredo motivazionale

   (47) Cass. Sez. I n. 35495/2014, Cass. Sez. I n. 27655/2012

   (48) Cfr. Relazione del prefetto di Imperia (Doc. 965.8)

   (49) Il Ministro dell'interno, con provvedimento del 23 dicembre 2015, ha decretato che il procedimento avviato nei confronti del comune di Diano Marina (Imperia), ai sensi dell'articolo 143 TUEL, è concluso

   (50) Cfr. Relazione del prefetto di Imperia (Doc. 965.8)

   (51) Cfr. Relazione del prefetto di Imperia (Doc. 965.8)

   (52) Il GUP del tribunale di Imperia ha disposto il rinvio a giudizio a carico di Giacomo Chiappori, Francesca Bregolin, Cristiano Za Garibaldi, Bruno Manitta, Giovanni Surace, Domenico Surace, e Giovanni Sciglitano, tra l'altro, per il reato previsto e punito dall'articolo 86 del decreto Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, per aver favorito, tramite l'elezione a primo cittadino di Chiappori, la nomina di Domenico Surace ad amministratore unico della municipalizzata G.M. Spa

   (53) È stato contestato il reato p.p. dagli artt. 110 c.p., 86, comma 1, del decreto Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, «perché il Chiappori, in qualità di candidato sindaco della lista denominata «Viva Diano», in concorso con Za Garibaldi Cristiano, Bregolin Francesco e Manitta Bruno, candidati per la stessa lista nelle elezioni comunali per il comune di Diano Marina – anno 2011, per ottenere il voto elettorale, dava, offriva o comunque prometteva utilità agli elettori Surace Giovanni e Surace Domenico. Nella specie: Surace Giovanni e il figlio Surace Domenico, i quali controllavano un bacino di voti relativi a soggetti di origine calabrese, davano pubblico appoggio alla lista capeggiata dal Chiappori, con contestuale promessa o offerta da parte dei candidati sopraindicati che, all'esito favorevole della consultazione elettorale, Surace Domenico sarebbe stato nominato amministratore unico della GM Spa, società partecipata dal comune di Diano Marina e con successiva dazione dell'utilità atteso che in epoca successiva alle elezioni (in cui la lista «Viva Diano» otteneva n. 1834 preferenze, rispetto alla lista concorrente denominata «Muratorio Sindaco» la quale otteneva n. 934 preferenze, sicché Chiappori diveniva Sindaco e Za Garibaldi, Bregolin e Manitta, ricevendo rispettivamente n. 283 n. 170 e n. 188 preferenze, venivano nominati assessori della giunta municipale), Surace Domenico veniva nominato con decreto del sindaco amministratore unico della GM Spa., previa modifica dello statuto della società partecipata avvenuta con deliberazione del consiglio comunale del 1° luglio 2011 laddove la gestione dell'ente passava da collegiale a quella di amministratore unico. Fatti avvenuti in Diano Marina in epoca antecedente e prossima al maggio 2011 e in data 31 gennaio 2012». Decreto di rinvio a giudizio del 30 marzo 2016, n. 921 RG GIP del tribunale di Imperia (Doc. n. 984.1).
  Chiappori risulta altresì rinviato a giudizio per tentato abuso d'ufficio ai sensi degli artt. 56 e 323 c.p.; Manitta Bruno per più fatti di peculato, ex articolo 314 c.p. e per falsità materiale in atto pubblico, ex articolo 476 c.p

   (54) Cfr. Relazione del prefetto di Imperia (Doc. 965.8)

   (55) Cfr. Relazione del prefetto di Imperia (Doc. 965.8)

   (56) I componenti della famiglia Papalia sono stati intercettati nell'ambito dell'operazione «Crimine», coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria mentre discutevano con Domenico Oppedisano, all'epoca «capo crimine», sulle cariche che sarebbero state assegnate pochi giorni dopo presso il santuario della Madonna di Polsi

   (57) La famiglia De Marte di Diano Marina ha legami accertati con le note cosche calabresi Santaiti-Gioffrè. Sul conto degli appartenenti alla citata famiglia De Marte gravano precedenti per estorsioni, sfruttamento della prostituzione, traffico di droga e detenzione di armi. Operano nel campo dell'edilizia ma, come emerso nel corso delle indagini, ricavano proventi da attività illecite quali traffico di stupefacenti, estorsioni e armi. Ha, inoltre, legami di parentela, oltre che con la famiglia Ditto di Seminara (RC), anche con la famiglia Pellegrino di Bordighera (anch'essa originaria di Seminara), emersa nella recente e nota indagine antimafia «La Svolta» condotta dai Carabinieri del nucleo investigativo di Imperia e terminata nel 2011

   (58) Fonte Ministero dell'interno: CEN-DES(CONTR.UFF.)F.IT-L.NORD-FRAT.D'IT-AN

   (59) N. 64684/10 R.G.N.R. – 42103/11 R.GIP – 267/15 R. OCC, emessa il 29 maggio 2015 dal tribunale di Napoli, Sezione GIP, Ufficio XIII

   (60) Sezione GIP, Ufficio VII

   (61) Dionigi Magliulo, nato a Villa di Briano (CE) il 4 marzo 1971

   (62) Atti del giudice del riesame della citata ordinanza di custodia cautelare di cui alla precedente nota 1

   (63) Cfr. O.C.C. n. 64684/10 R.G.N.R. – 42103/11 R.GIP – 267/15 R. OCC, emessa il 29 maggio 2015 dal tribunale di Napoli, sezione GIP, Ufficio XIII, pag. 253

   (64) V. nota precedente.

   (65)  Velona Giuseppe nato a Bruzzano Zeffiro (RC) il 28 novembre 1954; Ligato Salvatore nato a Bruzzano Zeffiro (RC) il 23 novembre 1964; Scriva Natale nato a Africo Nuovo (RC) il 2 aprile 1976; Scriva Salvatore nato a Africo Nuovo (RC) il 28 agosto 1974; Alfarone Giuseppina nata a Conca dei Marini (SA) il 30 marzo 1953; Velonà Francesca nata a Bruzzano Zeffiro (RC) l'11 giugno 1945; Lancia Maurizio nato a Rignano Flamino (RM) il 21 novembre 1949; Moretti Vincenzo nato a Morlupo (RM) il 31 ottobre 1964

   (66)  L'attrito tra le ‘ndrine scaturisce in occasione del sequestro della farmacista Infantino Concetta (avvenuto il 25 gennaio 1983) per il quale si ritennero responsabili i Mollica, seguito circa due anni dopo dall'assassinio di Scriva Pietro, allora considerato il boss del clan Scriva-Mollica, operato per mano di Mollica Saverio, che rappresentò l’incipit della spaventosa spirale di sangue e omicidi

   (67) Ordinanza di custodia cautelare del GIP di Roma del 28 novembre 2014, pagina 1086

   (68) Intercettazione ambientale presso cooperativa «29 Giugno» (RIT 8416-13, prog. 5040), ore 10 del 9 giugno 2014

   (69) Relazione del Ministro dell'interno del 24 febbraio 2014 allegata al decreto del Presidente della Repubblica 25 febbraio 2014 con cui è stata disposta la gestione commissariale del comune di Scalea e la nomina della commissione straordinaria

   (70) Cfr. Relazione annuale sulle attività svolte dal Procuratore nazionale e dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1o luglio 2014 – 30 giugno 2015 (Doc. 892.1)

   (71) Cfr. Relazione del Ministro dell'interno al Parlamento, attività svolta e risultati conseguiti dalla Direzione investigativa antimafia (DIA) nel 1o semestre 2015 (Doc. n. 836.1)

   (72) In proposito si ricorda che il consiglio dei Ministri, in data 20 aprile 2016, su proposta del Ministro dell'interno, ha deliberato lo scioglimento del consiglio comunale di Brescello (RE), a norma dell'articolo 143 TUEL, nel quale sono state accertate forme di condizionamento della vita amministrativa da parte della criminalità organizzata. È il primo caso in Emilia-Romagna (Doc. 978.5)

   (73) Cfr. Relazione del prefetto di Modena (Doc. 965.2)

   (74) Il provvedimento ministeriale scaturiva da conforme richiesta del prefetto di Modena

   (75) Cfr. Relazione del prefetto di Modena (Doc. 965.2)

   (76) È stato evidenziato che tale responsabile sovente escludeva, in tutto o in parte, dalla conoscenza delle varie questioni anche i suoi più diretti collaboratori, e di norma si relazionava direttamente e in via esclusiva con il sindaco. A parere della commissione di accesso il modus operandi di fatto aggirava il rispetto del codice degli appalti e dei principi contabili. A titolo esemplificativo: era stata operata una «regolarizzazione» di tanti contratti la cui esecuzione era stata avviata prima della redazione dei necessari atti di legge; non era stato predisposto un albo comunale da cui attingere – previa acquisizione del relativo interesse da parte delle ditte a seguito di apposito avviso pubblico – per l'individuazione delle imprese cui affidare lo svolgimento di lavori, servizi o manutenzioni per importi inferiori ai 40 mila euro

   (77) Nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari (ex articolo 415 bis c.p.p.) il pubblico ministero aveva contestato al geometra Giulio Gerrini l'aggravante mafiosa anche in base alle conclusioni rassegnate nella perizia redatta dal consulente tecnico appositamente nominato

   (78) Cfr. Relazione del prefetto di Modena (Doc. 965.2)

   (79) Cfr. Interrogazione a risposta immediata in I Commissione della Camera dei deputati, n. 5-07875, presentata dall'on. Cecconi sulla relazione della commissione di accesso incaricata di ispezionare il comune di Finale Emilia (intervento del Viceministro sen. Filippo Bubbico in Commissione, seduta di mercoledì 24 febbraio 2016)

   (80) Cfr. cit. Doc. 965.2

   (81) Fonte Ministero dell'interno: CEN-DES(LS.CIVICHE) CENTRO DESTRA FINALESE

   (82) Vedi par. 13.2

   (83) Cfr. i casi del ristorante George, del bar California, del ristorante Colonna Antonina, del Grand hotel Gianicolo, del Caffè Chigi e, tra quelli più recenti, dei ristoranti Il Faciolaro e La Rotonda al Pantheon

   (84) Cfr. conversazione tra Massimo Carminati e Riccardo Brugia del 13 dicembre 2012 ore 11,59 (R.I.T. 7974/12)

   (85) Cfr. sentenza della Corte di Cassazione n. 24535 del 10 aprile 2015

   (86) Cfr. ordinanza del GIP di Roma del 28 novembre 2014

   (87) Condannato agli inizi degli anni ‘80 per omicidio doloso, scarcerato il 1o aprile 1991, in libertà vigilata fino al 13 luglio 1992, durante la detenzione iniziava a progettare la creazione di cooperative sociali per l'inserimento dei detenuti e delle persone socialmente svantaggiate nel mondo del lavoro, anche attraverso la stipula di convenzioni con il comune di Roma per la gestione del verde pubblico in alcune aree della città. Nel 1994 il Presidente della Repubblica gli concedeva la grazia

   (88) Cfr. conversazione n. 394 del 13 dicembre 2012, RIT 7974/12

   (89) Cfr. conversazione n. 21401 del 14 aprile 2014, RIT 1676/13

   (90) Buzzi: «lo sai perchè Massimo è intoccabile ? perché era lui che portava i soldi per Finmeccanica ! bustoni di soldi ! a tutti li ha portati Massimo ! (..) tutti ! (..) pure a Rifondazione !»; cfr. conversazione n. 3295 del 28 marzo 2014, RIT 8416/13

   (91) Buzzi: «se fai del bene prima o poi qualcuno te lo rifà (..) Tu devi essere bravo perché la cooperativa campa di politica, perché il lavoro che faccio io lo fanno in tanti, perché lo devo fare io ?»(..) «lo sai a Luca quanto gli do ? Cinquemila euro al mese, ogni mese (..), Schina (Mario Schina, responsabile dell'ufficio decoro urbano di Roma Capitale, ndr) millecinquecento euro al mese (..) un altro che mi tiene i rapporti con Zingaretti (Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, ndr) duemila e cinque al mese. Un altro che mi tiene i rapporti al comune millecinque, un altro a sette e cinquanta; un assessore diecimila euro al mese (..) Pago tutti pago. Anche due cene con il sindaco (Alemanno, ndr) settantacinquemila euro ti sembrano pochi ? Oh so centocinquanta milioni eh...(..) Finanzio giornali, faccio pubblicità, finanzio eventi, pago segretaria, pago cena, pago manifesti, lunedì c'ho una cena da ventimila euro pensa...questo è il momento che paghi di più perché stanno le elezioni comunali (..) «. Mo’ c'ho quattro cavalli che corrono col PD, poi con la PDL ce ne ho tre e con Marchini c’è..., c'ho rapporti con Luca (Odevaine, direttore extradipartimentale di Polizia e Protezione Civile della Provincia di Roma, ndr) quindi va bene lo stesso...» (..) mò pure le elezioni...le elezioni siamo messi bene perché Marino siamo coperti, Alemanno coperti e con Marchini c'ho»; cfr. conversazione nn. 52,53,54,55,56 del 20 aprile 2013, RIT 3240/13

   (92) Cfr. sentenza della Corte di Cassazione n. 24535 del 10 aprile 2015

   (93) Secondo le indagini, ad es., Fabrizio Franco Testa e Franco Panzironi

   (94) Secondo le indagini, ad es., Giuseppe Berti, Giovanni Fiscon

   (95) Cfr. conversazione n. 3295 del 28 marzo 2014, RIT 8416/13

   (96) Cfr. conversazioni nn. 52,53,54,55,56 del 20 aprile 2013,RIT 3240/13

   (97) Cfr. conversazione n. 959 del 28 maggio 2013,RIT 3240/13

   (98) Cfr. conversazione del 17 novembre 2013 n.5119 RIT 3240/13

   (99) Carminati «Bisogna vendere il prodotto amico mio, eh. Bisogna vendersi come le puttane adesso»; (..) mettiti la minigonna e vai a batte co’ questi amico mio, eh... capisci»; cfr. conversazione tra Buzzi e Carminati del 14 giugno 2013 n. 10, RIT 4955/13

   (100) Carminati: «gli si dice adesso che cazzo ..ora che abbiamo fatto questa cosa, che progetti c'avete ? ...Teneteci presenti per i progetti che c'avete, che te serve ? Che cosa posso fare ? Come posso guadagnare, che te serve il movimento terra ? Che ti attacco i manifesti ? Che ti pulisco il culo ..ecco, te lo faccio io perché se poi vengo a sapè che te lo fa un altro, capito ? Allora è una cosa sgradevole...», cfr. conversazione tra il conduttore radiofonico Corsi Mario, ex militante dei NAR, Brugia Riccardo e Carminati n. 5197 del 20 giugno 2013, RIT 1636/13

   (101) Cfr. sentenza n. 24535 del 10 aprile 2015

   (102) consiglio di Stato Sez. IV n. 4467/2004

   (103) Rinviandosi alla lettura delle norme, va sottolineato che:
   -gli accertamenti della commissione di accesso sono svolti anche nei confronti del segretario comunale o provinciale, del direttore generale, dei dirigenti e dei dipendenti dell'ente locale;
   -nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l'interesse pubblico;
   -la proposta indica gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento;
   -il decreto di scioglimento conserva i suoi effetti per un periodo da dodici mesi a diciotto mesi prorogabili fino ad un massimo di ventiquattro mesi in casi eccezionali;
   -nei casi in cui non sia disposto lo scioglimento, qualora la relazione prefettizia rilevi la sussistenza degli elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti o ai dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, con decreto del Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, è adottato ogni provvedimento utile a far cessare immediatamente il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusa la sospensione dall'impiego del dipendente, ovvero la sua destinazione ad altro ufficio o altra mansione con obbligo di avvio del procedimento disciplinare da parte dell'autorità competente;
   -si procede allo scioglimento degli organi per infiltrazione mafiosa anche se ricorrono le situazioni previste dall'articolo 141;
   -con il decreto di scioglimento è nominata una commissione straordinaria per la gestione dell'ente, composta da tre membri e che rimane in carica fino allo svolgimento del primo turno elettorale utile (articolo 144);
   -la commissione straordinaria, per far fronte a situazioni di gravi disservizi e per realizzare opere pubbliche indifferibili, entro 60 giorni dall'insediamento, adotta un piano di priorità degli interventi (articolo 145 comma 2) che, approvato, viene inviato al prefetto che, a sua volta, trasmette all'amministrazione regionale competente o alla Cassa depositi e prestiti che provvedono alla dichiarazione di priorità di accesso ai contributi e finanziamenti;
   -la commissione straordinaria, nel caso di scioglimento per infiltrazioni mafiose connesse all'aggiudicazione di appalti di opere o di lavori pubblici o pubbliche forniture ovvero l'affidamento in concessione di servizi pubblici locali effettua accertamenti e verifiche e, a conclusione, può adottare tutti i provvedimenti ritenuti necessari e può disporre di autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque fase della procedura contrattuale o la rescissione del contratto già concluso (articolo 145 comma 4);
   -le disposizioni di cui agli articoli 143, 144 e 145 si applicano anche ai consorzi di comuni e province, agli organi delle aziende sanitarie locali, alle aziende speciali dei comuni e delle province e ai consigli circoscrizionali (articolo 146)

   (104) Consiglio di Stato V Sez. n. 713/1999; n. 585/20000; 5225/2000; Consiglio di Stato IV Sez.562/2003

   (105) Consiglio di Stato Sez. VI n. 9323/2010

   (106) Ad esempio, è stata annullata la gara su una nuova disciplina urbanistica del comune di Casaluce in quanto condizionata da interessi illeciti (TAR Campania, sentenza 4276/2011); sono state revocate le delibere del comune di Pompei sull'affidamento del servizio di nettezza urbana a società mista con la partecipazione del comune, essendo detta società risultata permeabile a forme di infiltrazione e condizionamento mafioso (TAR Campania, sentenza 918/2004); è stata revocata l'aggiudicazione di appalto a Melito Porto Salvo per il collegamento tra organi decisionali dell'impresa e le locali cosche mafiose (Consiglio di Stato, sentenza 2969/2001)

   (107) «L'acquisizione in economia di beni e servizi è ammessa in relazione all'oggetto e ai limiti di importo delle singole voci di spesa, preventivamente individuate con provvedimento di ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche esigenze.» articolo 125, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE e articolo 330 del decreto Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207, recante il Regolamento di esecuzione del codice dei contratti pubblici

   (108) L'articolo 271 del Regolamento di esecuzione prevede che le amministrazioni aggiudicatrici, contestualmente all'approvazione del preventivo, possano adottare un programma annuale relativo agli acquisti dell'anno successivo, con indicazione dei mezzi finanziari a disposizione. Si tratta di un programma facoltativo ma è evidente che elementari canoni di buona amministrazione ne avrebbero imposto l'adozione in realtà complesse e articolate quali l'Amministrazione capitolina

   (109) Mauro Balini, ritenuto in stretto collegamento con Cleto De Maria, soggetto incaricato dai Triassi di gestire le loro attività economiche, è stato arrestato a fine luglio 2015 per la bancarotta fraudolenta della società ATI srl che aveva costruito il porto di Ostia, per riciclaggio e fittizia intestazione di beni con sequestro di beni per 400 milioni di euro; ordinanza annullata dal tribunale del riesame ed avverso la quale la procura della Repubblica di Roma ha interposto impugnazione

   (110) Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, nel decidere il primo troncone del processo, con sentenza del 13 giugno 2014, condannava anche per il reato di cui all'articolo 416 bis del codice penale la maggior parte degli imputati che avevano scelto di definire la propria posizione mediante il rito abbreviato, riconoscendo l'esistenza, sul territorio di Ostia, di sodalizi di tipo mafioso, che traggono la loro forza economica anche dalla gestione degli esercizi e delle attività commerciali acquisiti; in seguito, con sentenza del 30 gennaio 2015, il tribunale di Roma, X sezione penale, in sede di rito ordinario, ribadendo significativamente e con ampie argomentazioni la qualificazione, in termini di associazione di tipo mafioso, del sodalizio costituito dalla famiglia Fasciani in Ostia, condannava la maggior parte degli imputati per il reato di cui all'articolo 416 bis c.p. e per altri delitti satellite, quali quelli di estorsione e intestazione fittizia di beni aggravati dall'articolo 7 decreto legge n. 152 del 1991

   (111) Cfr. ad esempio: appalto per la gestione del servizio di pulizia e manutenzione degli arenili di Castel Porziano – stagione 2014; gestione servizio potatura delle alberature; spiagge libere – bando 2014; gestione chioschi sulle spiagge di Capocotta; individuazione della nuova sede del gruppo X della Polizia municipale; Ostia «Mon amour» – estate 2014

   (112) Cfr. «Il Fatto quotidiano» del 9 luglio 2015

   (113) Cfr. ordinanza di custodia cautelare del GIP di Roma del 28 novembre 2014, pag. 124

   (114) Cfr. ordinanza di custodia cautelare del GIP di Roma del 28 novembre 2014, pag. 1086

   (115) Cfr. intercettazione ambientale presso cooperativa «29 Giugno». RIT 8416-13 progr. 5040 ore 10,00 del 9 giugno 2014

   (116) Cfr. audizioni: del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, e del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Michele Prestipino in data 11 dicembre 2014; ancora del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, in data 1 luglio 2015; del comandante del ROS dei Carabinieri, Mario Parente in data 2 luglio 2015; del prefetto di Roma, Franco Gabrielli, in data 5 agosto 2015; ancora del prefetto Gabrielli, accompagnato dai componenti del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Roma, dott. Nicolò D'Angelo, questore di Roma, Gen. B. Salvatore Luongo, comandante provinciale dei Carabinieri, Gen. B. Giuseppe Magliocco, comandante provinciale della Guardia di finanza, dott. Carlo Costantini, comandante provinciale del Corpo Forestale, e col. Francesco Gosciu, capo del centro operativo DIA di Roma, in data 26 gennaio 2016; del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti in data 22 marzo 2016

   (117) Cfr. audizioni: del prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, e di Clara Vaccaro, vicario del prefetto di Roma in data 11 dicembre 2014; del sindaco di Roma, Ignazio Marino, in data 17 dicembre 2014; dell'onorevole Gianni Alemanno, già sindaco di Roma, in data 15 aprile 2015, della presidente della commissione di accesso presso il comune di Roma, Marilisa Magno, in data 12 maggio 2015; dell'on. Matteo Orfini e del prof. Fabrizio Barca, in qualità di dirigenti del PD, impegnati rispettivamente come commissario straordinario del partito a Roma e come incaricato della mappatura dei circoli del PD romano, in data 17 febbraio 2016, e con seguito, per l'onorevole Orfini, in data 8 marzo 2016; del presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti in data 22 marzo 2016 già cit.; del presidente di Legacoop nazionale, Mauro Lusetti in data 22 aprile 2015

   (118) Cfr. audizioni: del prefetto Marilisa Magno, già presidente della commissione di accesso presso Roma Capitale, del vice prefetto Enza Caporale e del dottor Massimiliano Bardani, già componenti della medesima commissione, in data 3 dicembre 2015; del prefetto di Roma, Franco Gabrielli in data 5 agosto 2015 e in data 26 gennaio 2016, cit; del Ministro dell'interno, onorevole Angelino Alfano, in data 15 marzo 2016 e in data 22 marzo 2016; del commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca, del vice prefetto Iolanda Rolli, sub commissario vicario di Roma Capitale, del vice prefetto Ugo Taucer, sub commissario di Roma Capitale e capo di gabinetto del commissario straordinario, della dott.ssa Antonella Petrocelli, segretario generale di Roma Capitale, in data 1 marzo 2016; del vice prefetto Antonio Tedeschi, presidente della commissione di accesso presso il comune di Sacrofano, in data 8 marzo 2016

   (119) Cfr. audizione del dott. Alfonso Sabella, già assessore alla legalità del comune di Roma, in data 19 novembre 2015; audizioni, svolte nella missione ad Ostia in data 9 dicembre 2015, dei componenti della commissione straordinaria X municipio, prefetto Domenico Vulpiani, viceprefetto Rosalba Scialla, dirigente Maurizio Alicandro, nonché del comandante ad interim della polizia locale, Antonio Di Maggio, del direttore del X municipio, architetto Cinzia Esposito; audizioni svolte, come seguito della missione, in data 14 dicembre 2015, del presidente del sindacato italiano balneari Lazio, Fabrizio Fumagalli; del referente per Roma dell'associazione Libera, Marco Genovese, del presidente dell'associazione Volare, don Franco De Donno; audizione del prefetto Domenico Vulpiani, presidente della commissione straordinaria incaricata della gestione del X municipio di Roma Capitale in data 9 marzo 2016

   (120) Cfr. audizione del presidente del VI municipio di Roma Capitale, Marco Scipioni in data 9 febbraio 2016

   (121) Cfr. audizione della presidente della commissione elettorale circondariale di Roma, Clara Vaccaro, del 25 maggio 2016

   (122) Cfr. intervento senatrice Elisa Bulgarelli

   (123) I controlli della prefettura riguardano, in particolar la prima accoglienza, cioè i centri di accoglienza cd CDA, i centri di accoglienza richiedenti asilo cd CARA, e i centri di identificazione ed espulsione cd CIE, mentre il controllo sui centri per i minori e sulla seconda accoglienza, e cioè sul sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati cd SPRAR, rientra nella competenza dei comuni

   (124) Cfr conversazione n. 959 delle ore 10.00 del 28.05.2013 a bordo dell'autovettura Audi in uso a Buzzi Salvatore, RIT 3240/13, intercorsa tra Buzzi e Gammuto Emilio: «oh l'avevamo comprati tutti oh.. se vinceva Alemanno ce l'avevamo tutti comprati, partivamo fiuuu .., c'amo l'assessore ai lavori pubblici, Tredicine doveva sta’ assessore ai servizi sociali, Cochi andava al verde, Cochi non è comprato però è un amico, Alemanno... che cazzo voi di più...»; «diciamo che s'eravamo riusciti a crea’ un...quadro..»)

   (125) Si pensi, ad esempio, a Carlo Pucci, con responsabilità formali e di fatto nell'Ente Eur, a Luca Gramazio consigliere comunale e figlio di Domenico Gramazio – storico esponente politico della destra romana – ed a Franco Panzironi amministratore delegato di Ama fino al 2011

   (126) Afferma il tribunale del riesame, nell'ordinanza del 17 dicembre 2014: «Ed ancora la forza d'intimidazione appare evidente nell'episodio del denaro dovuto dal comune ad una cooperativa del Buzzi per un appalto in cui la somma da pagare era passata dai centomila euro preventivati a trecentomila euro; in questa occasione, a fronte delle difficoltà incontrate per il pagamento, il Buzzi fa intervenire il Carminati con esiti positivi e sorprendenti ottenendo la liquidazione del dovuto a seguito di un incontro con il capo della segreteria del sindaco Alemanno che viene costretto ad uscire dal suo ufficio per andare a parlare con il Buzzi (cfr. intercettazione n. 54 del 20 aprile 2013 rit. 3240/2013 citata nell'ordinanza a pag. 698 e segg tra Buzzi e Campennì ove il primo così riferisce «trecentomila euro in più per fatte capì i venti. Dopo l'accordo con Alemanno bisognava rifa’ un altro accordo... non è che tu con Alemanno tu ce puoi parla’ de soldi... de ste cose... non è cosa ......allora praticamente bisognava parlà col suo capo segreteria, quello che ha ammazzato dall'inizio, un Padre Eterno... allora chiamiamo Massimo e faccio «guarda che qui c'ho difficoltà a farmi fa’... i trecentomila euro» me fa <me richiami> visto c'ha il telefono... su quel telefono parla solo lui, me fa dice <<va in Campidoglio, alle tre, che scende Lucarelli [capo della segreteria del Sindaco] e viene parlare con te>> ho fatto <<a Massimo ma io nemmeno salgo su, no quello scende giù ! vai alle tre lì tranquillo>, ahò, alle tre meno cinque scende, dice <ho parlato con Massimo, tutto a posto domani vai..> ahò, tutto a posto veramente ! C'hanno paura de lui c'hanno paura che cazzo devono fare qua..>>) . È inquietante evidenziare che il riferimento a «quel telefono parla solo lui» suggerisce rapporti esclusivi e privilegiati di Carminati con i massimi livelli del comune di Roma»

   (127) Cfr. intercettazione n. n. 52, 53, 54, 55, 56 del 20 aprile 2013 a bordo dell'autovettura Audi Q5 targata EM 442 HN in uso a Buzzi Salvatore, linea 993, RIT 3240/13

   (128) Cfr. intercettazione RIT 1741/13 progressivo n. 16876 ore 09.53.05 del 12 ottobre 2013 tra Buzzi Salvatore e Panzironi Franco

   (129) (15 novembre 2012: «...(...)... oggi ho fatto la transazione eh...abbiamo firmato...entro... tutta la differenziata a Roma è mia ... acquistiamo le quote del Capannone...» 16 novembre 2012: «...preparate che amo firmato tutto, a differenziata è tutta nostra, preparati !» e, in tale stessa data, alla sua compagna, Alessandra Garrone, diceva  «ti volevo di’ una cosa importante, la gara è stata aggiudicata, eh !»; Il 28.11.2012: «No, no...ma te lo posso di’ pure per telefono Rocco ... semplicemente ...eh ... prendiamo ... prende tutto la «29 Giugno»... COSP e Formula Ambiente escono e vanno via...... poi diventa tutto «29 Giugno»...»)

   (130) Cfr. intercettazione RIT 6100/12 progressivo n. 4990 ore 20.07.59 del 6 dicembre 2012 tra Buzzi Salvatore e Giovanni Fiscon

   (131) Secondo il ROS: «Il 22 marzo 2014, Salvatore Buzzi riceveva una telefonata di Giovanni Alemanno il quale gli chiedeva la disponibilità ad incontrarlo «per parlare cinque minuti». I due concordavano di incontrarsi alle ore 11.30 in via dei Cerchi, dove l'Alemanno sarebbe stato impegnato presso la sede della commissione commercio. Alle seguenti ore 11.42, il BUZZI – che si trovava già in via dei Cerchi – contattava la segreteria dell'Alemanno e interloquiva con tale «Simone», il quale forniva indicazioni al Buzzi in merito all'esatta ubicazione dell'ufficio ove avrebbe incontrato l'ex sindaco (primo piano, sala Massimiliano Parsi). Alle ore 12.42, Carminati, evidentemente già informato dell'incontro previsto per quella mattina tra l'ex sindaco e Buzzi, chiamava quest'ultimo, sicuramente per apprendere di cosa si fosse trattato tant’è che Buzzi, prima ancora che gli venisse rivolta una specifica domanda, spiegava: «no, no era pe’ la campagna elettorale... una sottoscrizione e poi se candida al sud», astenendosi dal pronunciare riferimenti individualizzanti e inducendo il Carminati a glissare con ostentata indifferenza: «‘na cazzata, immaginavo».
  Da sottolineare che:
   - era lo stesso Alemanno a rivolgersi a Buzzi per ottenere voti, pur ben sapendo della diversa appartenenza politica di costui, e dunque, allora, sapendo di potere contare sul sostegno del leader delle cooperative per vie ben diverse da quelle ideologiche;
   - la delusione del Carminati, il quale immaginava che l'incontro tra Buzzi e Alemanno avesse ben altro oggetto, lascia pensare che il capomafia era abituato a trattare con l'ex sindaco, per il tramite di Buzzi, di argomenti di maggiore portata.
  Che il Buzzi si fosse poi adoperato per trovare i voti per Alemanno emergeva chiaramente da una conversazione successiva intercorsa tra i due nel pomeriggio dell'11 maggio 2014:
  Legenda (S. Salvatore Buzzi; GA: Giovanni Alemanno)
  GA: devo fare delle telefonate ? Devo far’ qualcosa ? Eccetera, eccetera
  S: no, no, no, tranquillo, tranquillo. Ora manderemo a... a Milardi l'elenco di persone, nostri amici del sud, che stanno al sud, che ti possono dare una mano co’... parecchi voti
  GA: ci pensi te co’ Milardi ?
  S: si, ci penso io con Claudio domani
  GA: va bene, t'abbraccio, grazie
  Chi fossero gli «amici del sud» che avrebbero fatto trovare «parecchi voti» ad Alemanno, veniva chiarito, ove ce ne fosse stato bisogno, dallo stesso Buzzi Salvatore il quale, discutendo qualche giorno dopo con la moglie Garrone Alessandra, spiegava di aver fornito ad Alemanno Giovanni i nominativi di alcuni pregiudicati – indicati espressamente come «mafiosi» – inseriti nel sistema di recupero gestito dalle cooperative: «come dai una mano ad Alemanno ? Dandogli i nomi di sette-otto mafiosi che c'avemo in cooperativa e gli danno una mano...».

   (132) E così: il regolamento dei contratti; del sistema integrato dei controlli interni; dei procedimenti amministrativi; degli impianti sportivi di proprietà di Roma Capitale; degli uffici e dei servizi; di contabilità; del diritto di accesso ai documenti e alle informazioni; delle concessioni sui suoli e contributi; del corpo di polizia municipale locale; della disciplina del telelavoro del personale; di polizia urbana; del patrimonio e di regolamentazione degli eventi

   (133) Va qui ricordato che la giunta Veltroni aveva approvato il piano di utilizzazione degli arenili (PUA) che, ancorché non fosse uno strumento urbanistico vero e proprio, disciplinava la materia dei varchi sul litorale. Proprio per garantire la massima fruibilità della battigia, era stato previsto che tra uno stabilimento balneare e l'altro si dovesse mantenere un passaggio libero di almeno tre metri (un metro e mezzo e un metro e mezzo tra ogni concessione). La regione Lazio – giunta Marrazzo – era intervenuta a regolamentare normativamente l'accesso agli arenili ricadenti in ambito demaniale, (regolamento regionale 15 luglio 2009, n.11, pubblicato sul bollettino ufficiale della regione Lazio 28 luglio 2009 n.28), che espressamente prevede, all'articolo 3, comma 2, che «i titolari delle concessioni hanno l'obbligo di consentire il libero e gratuito accesso e transito per il raggiungimento della battigia, distanza dell'area ricompresa nella concessione, anche al fine di balneazione quindi consentire le operazioni di sicurezza in mare attraverso appositi varchi E con le modalità stabilite dalla regione nel piano di utilizzazione delle aree del demanio marittimo, di cui all'articolo 46 della l.r. 13/2007, ai sensi dell'articolo 1, comma 254, della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria 2007), e, all'articolo 3, comma 1, lettera a), che «le limitazioni perpendicolari alla battigia, interrotte, prima dei 5 metri dalla stessa, sono realizzate con materiali ecocompatibili di facile rimozione, ma non con filo spinato concorrente metallica, con un materiale che possa limitare la visuale».

   (134) Servizi demografici, servizi sociali, servizi scolastici ed educativi, attività e servizi culturali, sportivi e ricreativi, manutenzione urbana, gestione del patrimonio comunale, disciplina dell'edilizia privata di interesse locale, iniziative per lo sviluppo economico nel commercio e nell'artigianato e funzioni di polizia urbana

   (135) Consistenti: nell'appoggio ricevuto dagli amministratori, da parte delle consorterie criminali mafiose, nell'ascesa agli incarichi di vertice dell'ente locale; nel coinvolgimento di figure intranee all'ente locale in riferimento a indagini o accertamenti penali che riguardino il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso, il concorso esterno in tale delitto o ancora reati aggravati dal metodo mafioso; nell'atteggiamento compiacente che l'amministrazione adotta nei confronti di esponenti mafiosi, favorendo il corso di provvedimenti a cui sono interessati ovvero omettendo di adottare quelli a loro contrari, in dispregio, in entrambi i casi, delle regole di terzietà e trasparenza; nelle anomalie nel campo dei contratti pubblici o delle concessioni, settori nei quali notoriamente si esercita l'ingerenza mafiosa; nella passività e nell'indifferenza dimostrate da alcune amministrazioni locali nei riguardi dei beni sottratti alle mafie

   (136) Correlativamente, nel comma 9 della medesima norma che prevede che il decreto di scioglimento sia pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e che siano allegate la proposta del Ministro dell'interno e la relazione del prefetto, verrebbero aggiunte le parole «salvo che il Consiglio dei ministri disponga di mantenere la riservatezza su parti della proposta o della relazione nei casi in cui lo ritenga strettamente necessario» sono sostituite dalle seguenti «salvo che il Consiglio dei ministri, in applicazione delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto di ufficio, di segreto statistico e di protezione dei dati personali, non decida diversamente»

   (137) Cfr. pag. 19-20 relazione depositata al termine dell'audizione

   (138) Ibidem, pagg. 47-48 La commissione ha tuttavia disposto la revoca degli incarichi di direttore generale e di funzionario delegato per le opere previste dal cosiddetto «decreto Reggio» ed avviato il procedimento per la revoca dell'incarico di segretario generale; il personale risultato collegato alla criminalità organizzata è stato collocato presso altri uffici, a seguito di apposita procedura di mobilità interna

   (139) Si prevede una disciplina più rigorosa dell'incandidabilità, per la durata di sei anni e per tutte le elezioni amministrative a decorrere dalla definitività del provvedimento giurisdizionale che determina l'incandidabilità stessa (articolo 143, comma 11, TUEL)

   (140) Cfr. pagg. 17-18 relazione depositata al termine dell'audizione.