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Focus: Il regime delle quote latte e la struttura produttiva della filiera
informazioni aggiornate a venerdì, 15 maggio 2015

Il Regolamento n. 1308/2013 (UE), nel quale è contenuta la disciplina dell'organizzazione comune di mercato per il nuovo periodo di programmazione 2014-2020, ha abrogato e sostituito la precedente disciplina di cui al Regolamento n. 1234/2007 (UE) a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Tuttavia, ai sensi dell'articolo 230, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1308/2013 (UE) , il regime di contenimento della produzione di latte (le cd. quote latte), ha continuato ad operare fino al 31 marzo 2015 e dunque hanno continuato ad applicarsi le relative norme contenute nel Regolamento n. 1234/2007 (Parte II, Titolo I, Capo III, Sezione III, nonché l'articolo 55, l'articolo 85 e gli all. IX e X del Reg. n. 1234/2007 (CE)).

Il sistema di contingentamento produttivo definito con il regime delle quote latte è stato introdotto a decorrere dal 1984 - con il reg. n. 856/84 (CEE), che ha inserito l'art. 5-quater nel reg. 804/68 sulla Organizzazione Comune di Mercato del settore lattiero caseario e poi perpetrato nelle OCM dei successivi periodi di programmazione UE - per ridurre lo squilibrio tra offerta e domanda in Europa e risanare il settore.

La normativa comunitaria ha richiesto un complesso sistema organizzativo capace di ripartire il quantitativo globale garantito, attribuito dalla UE ad ogni Stato membro, in quote individuali da assegnare ai produttori, per poi procedere – nel caso di splafonamenti - alla riscossione delle multe (il cosiddetto "prelievo supplementare") dovute dai produttori con eccesso di produzione.

Dunque, il superamento del limite di produzione comporta il pagamento di una penale a carico di coloro che hanno commercializzato un quantitativo eccedente la propria quota di riferimento.

Va peraltro precisato che il prelievo è stato impropriamente definito "multa", perché il suo versamento serve invece "a coprire i costi di smaltimento del latte che supera il quantitativo di riferimento" (così disponeva il reg. n. 857/84 (CEE) sull'applicazione del prelievo).

Il meccanismo comunitario peraltro prevede - a decorrere dalla campagna 2003/2004 - la obiettiva responsabilità degli Stati nazionali nei confronti dell'Unione europea nella corretta gestione del sistema, e li rende anche direttamente debitori del prelievo dovuto dalle aziende che viene trattenuto dalla Comunità annualmente decurtandolo dagli aiuti dovuti agli agricoltori per la PAC (art. 3 del reg. 1788/2003 e, successivamente, paragrafo 3 dell'articolo 78 Reg. 1234/2007 il quale ha dettato le regole sul prelievo fino alla campagna 2014/2015).

L'applicazione (tardiva) del sistema - ormai prossimo alla scadenza dopo una trentennale gestione del comparto - è stata segnata da continui "splafonamenti" della quota produttiva assegnata al nostro Paese e da un vasto contenzioso accumulato nelle sedi giudiziarie. D'altra parte, l'assegnazione effettuata dalla Comunità non è mai stata ritenuta dall'Italia adeguata alle sue necessità né corrispondente al dato reale di produzione.

Il regime di contingentamento non trova applicazione interna fino al 1991: in tale anno l'articolo unico della legge 201/91 stabilisce che le norme comunitarie sul prelievo si applicano a partire dal periodo 1991/92, ponendo a carico dell'AIMA i saldi contabili con la Comunità economica dovuti per i periodi dal 1987/88 al 1990/91; subito dopo la legge 468/92 - prima legge di regolazione organica della materia - procrastina l'applicazione del sistema alla successiva campagna 1992/93.

Va chiarito in merito che l'annata di produzione lattiera non coincide con l'anno solare ma inizia il 1° aprile e termina il 31 marzo dell'anno successivo.

La mancata adesione al regime comunitario viene in ogni caso sanzionata dalla Comunità e si risolve con l'accordo Ecofin del 21/10/1994, con il quale l'Italia accetta di pagare 3.620 mld di lire (pari a 1.870 milioni di euro) addossando allo Stato l'onere conseguente alla mancata riscossione del prelievo per tutto il periodo in cui sono state disattese le norme comunitarie (periodi dal 1988/89 al 1992/93). L'applicazione del regime resterà in ogni caso travagliata, e porterà il debito complessivo nazionale nei confronti dell'Unione europea, accumulato fino alla campagna 2008/09, a poco meno di 4,4 miliardi di euro (cfr. sul punto Corte dei Conti, Relazione sulle quote latte, ottobre 2014 approvata con delibera n. 12/2014/G).

Successivamente a tale campagna l'Italia non ha registrato splafonamenti, fino alla ultima campagna 2014/2015, che il presente D.L. va a regolare.

Si consideri che, dei 4,4 miliardi di euro citaticirca 1.870 milioni sono multe non pagate che risultano ormai definitivamente assorbite a carico dello Stato "per scelta politica". I restanti 2.537 milioni sono somme inerenti multe comminate agli agricoltori, già anticipate dallo Stato italiano, e allo stato solo in parte a questo "restituite" e/o imputabili agli agricoltori. Secondo i dati comunicati dal MEF-AGEA aggiornati a ottobre 2014 (e recentemente richiamati dal Ministro Martina al Senato in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 3-01352 l'11 marzo scorso), le somme ancora non recuperate presso gli agricoltori ammontano a 1.343 milioni di euro, di cui circa 511 milioni non ancora esigibili per sospensive giurisdizionali. L'esposizione di tesoreria, sempre secondo le informazioni rese dal MEF, è pari a 1.693 milioni di euro dato (riportato anche dalla Corte dei Conti), che si ottiene aggiungendo al primo importo le rate e i relativi interessi ancora da versare da parte dei produttori che hanno aderito alla rateizzazione disposta a livello nazionale (Legge n. 119/2003 e Legge n. 33/2009).

Si consideri, al riguardo, che il 26 febbraio 2015 l'Italia è stata deferita alla Corte di giustizia UE per l'esiguità dei recuperi dei prelievi dovuti dai produttori di latte nelle campagne dal 1995 al 2009. Ciò sebbene nella legge di stabilità 2015 siano state adottate misure per agevolare la riscossione dei debiti non rateizzati da parte di AGEA anche tramite società del gruppo Equitalia. In particolare, si segnala che – secondo le ultime informazioni fornite dal Direttore di AGEA nel corso dell'Audizione presso la XIII Commissione della Camera, il 30 aprile 2015, a tale data, è in corso il recupero coattivo nei confronti di 1.405 soggetti, per un totale complessivo di 552 milioni di euro (di cui 438 milioni quota prelievo e 114 milioni quota interessi).

La relazione illustrativa al DL in esame afferma che il regime delle quote latte ha avuto significative ripercussioni sulla struttura produttiva della filiera del latte italiano e, il sistema di liberalizzazione delle quote, che è succeduto, rischia di esporre il sistema produttivo ad una perdita di valore delle imprese agricole operanti nel settore, se non adeguatamente accompagnate, in questa fase di transizione, da un idoneo apparato normativo.

La questione relativa alle quote latte in Italia e la necessità di intervenire attraverso meccanismi di rafforzamento della filiera, è stata oggetto, negli ultimi tempi, di numerosi interventi da parte delle associazioni di categoria e di numerosi incontri con le stesse nelle sedi istituzionali, anche alla luce dei dati relativi al settore, diffusi in primis da ISMEA organo competente a raccogliere su base regionale il prezzo del latte crudo corrisposto ai produttori sul loro territorio per le consegne effettuate e ad elaborare la quotazione media nazionale, attraverso adeguata ponderazione, ai fini della comunicazione alla Commissione UE (art. 2 Reg. n. 479/2010 (CE) di esecuzione del Reg. 1234/2007).Con l'articolo 2 del decreto-legge in esame viene attribuita ad ISEMA la competenza ad elaborare i costi medi di produzione del latte.

In particolare, i dati mensili ISMEA mostrano come il prezzo medio nazionale del latte crudo alla stalla si aggiri in media intorno a poco più di 0,36 euro/litro a fronte di costi sensibilmente ben più alti per i consumatore finale.

Sempre secondo i dati forniti da ISMEA, nella campagna 1991/1992, il numero degli allevamenti di latte vaccino, erano 143.341, con una produzione commercializzata di 10.924 tonnellate ed una produzione media per azienda di 76,2 tonnellate. Nella campagna lattiera 2013/2014, il numero degli allevamenti di latte vaccino, erano 34.231, con una produzione commercializzata di 11.161 tonnellate ed una produzione media per azienda di 326 tonnellate. Tale dato oltre ad indicare una sensibile contrazione del numero degli allevamenti esistenti in Italia, indica, per altro verso, che la produzione media aziendale è sensibilmente aumentata, e dunque che vi è stata una crescita dimensionale delle aziende rimaste.

Dati sostanzialmente simili sono stati diffusi da Coldiretti, il 1 aprile scorso, che ha pubblicato un Dossier sull'attuazione delle quote latte in Italia. Secondo tale documento, all'inizio del regime delle quote latte, nel 1984, in Italia erano presenti 180mila stalle, con il latte che veniva pagato in media agli allevatori 0,245 euro al litro, mentre i consumatori lo pagavano 0,40 euro al litro (780 lire), con un ricarico quindi del 63% dalla stalla alla tavola.

Nel 2000, agli allevatori il latte veniva pagato 0,32 euro al litro, mentre i consumatori lo pagavano 1 euro al litro, con un aumento del 213% dalla stalla alla tavola.

Oggi, secondo Coldiretti, la forbice si sarebbe ulteriormente allargata e il prezzo del latte fresco si moltiplica più di 4 volte dalla stalla allo scaffale, con un ricarico del 317% e un compenso per il latte pagato agli allevatori in media 0,36 centesimi al litro, mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro.

Il prezzo pagato agli allevatori è aumentato poco più di 10 centesimi, mentre il costo per i consumatori è cresciuto di 1,1 euro al litro, a valori correnti. Solo 1 stalla su 5 è sopravvissuta, essendovi oggi in Italia solo 36mila allevamenti.

In altre parole, secondo Coldiretti, il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre i costi per l'alimentazione degli animali, con effetti sull'occupazione, sull'economia, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare degli italiani. Ciò sarebbe determinato dal fatto che in Italia esiste un evidente squilibrio contrattuale tra le parti lungo la filiera, che determina un abuso, da parte dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono.

 

L'Autorità garante della Concorrenza e del mercato – competente, ai sensi dell'articolo 62 del D.L. 1/2012 e del D.M. 199/2012 – a perseguire le pratiche commerciali sleali nella filiera dei prodotti agroalimentari sono state presentate, in più di una occasione, segnalazioni (Coldiretti Lombardia nel 2013 e Coldiretti nazionale - Codacons nei primi mesi del 2015) circa taluni prezzi del latte alla stalla ritenuti eccessivamente bassi.

Nell'adunanza del 5 maggio 2015, l'Autorità Antitrust ha deliberato di procedere ad un'indagine conoscitiva riguardante la filiera lattiero-casearia finalizzata ad approfondire le seguenti questioni:

i) le dinamiche contrattuali con le quali si determinano le condizioni di acquisto e di vendita dei prodotti;

ii) i meccanismi di trasmissione dei prezzi lungo la filiera;

iii) l'eventuale rilevanza, per la normativa antitrust, delle condotte tenute dagli operatori nella contrattazione delle condizioni di acquisto;

iv) l'effettivo grado di concorrenza esistente tra operatori attivi nei diversi mercati collegati verticalmente nella filiera produttivo-distributiva.

 

La relazione illustrativa del decreto legge, che intende fronteggiare appunto le questioni concernenti lo squilibrio delle parti all'interno della filiera, afferma che la situazione del settore latte non riguarda solo l'Italia, ma anche altri grandi Paesi produttori di latte, come la Francia.

L'UE ha suggerito di individuare modalità di passaggio, dal regime delle quote a quello liberalizzato, "morbide" (c.d. soft landing), cui la Commissione fa specifico riferimento nei suoi report al Parlamento e al Consiglio sull'Andamento della situazione dei mercati e conseguenti condizioni per estinguere gradualmente il regime delle quote latte – COM(2010) 727 final e COM(2012) 741 final e nella Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla evoluzione della situazione del mercato lattiero-caseario COM(2014) 354 final.

In quest'ultima relazione è dato peraltro conto del funzionamento delle disposizioni del cd. "pacchetto latte" (Reg. 261/2012 (UE) ), adottato già nel 2012 nella prospettiva di un superamento delle quote latte e quale intervento per riequilibrare i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Il pacchetto latte è intervenuto quale integrazione al Regolamento UE 1234/2007 ed è ora confluito nel Regolamento 1308/2013 (articolo 148-151, 152, par. 2 e 157, par. 3).

In quest'ultima relazione è dato peraltro conto del funzionamento delle disposizioni del cd. "pacchetto latte" (Reg. 261/2012 ( UE)), adottato già nel 2012 nella prospettiva di un superamento delle quote latte e quale intervento per riequilibrare i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Il pacchetto latte è intervenuto quale integrazione al Regolamento 1234/2007 (UE) ed è ora confluito nel Regolamento 1308/2013 (articolo 148-151, 152, par. 2 e 157, par. 3).

Nella relazione del 2014 viene al riguardo evidenziata la necessità di "modalità più efficaci per sostenere il settore lattiero e contribuire così a una maggiore competitività e sostenibilità dell'offerta di latte in tutta l'Unione europea, dopo trent'anni di quote latte".

Dai tavoli negoziali europei, afferma il Governo nella relazione illustrativa, non sono tuttavia pervenute, ad oggi, proposte in grado di attenuare l'impatto della fine del regime delle quote, in particolare, con riferimento al controllo della volatilità dei prezzi del latte.

Il Regolamento n. 1308/2013 (UE), nel quale è contenuta la disciplina dell'organizzazione comune di mercato per il nuovo periodo di programmazione 2014-2020, ha abrogato e sostituito la precedente disciplina di cui al Regolamento n. 1234/2007 (UE) a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Tuttavia, ai sensi dell'articolo 230, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1308/2013 (UE) , il regime di contenimento della produzione di latte (le cd. quote latte), ha continuato ad operare fino al 31 marzo 2015 e dunque hanno continuato ad applicarsi le relative norme contenute nel Regolamento n. 1234/2007 (Parte II, Titolo I, Capo III, Sezione III, nonché l'articolo 55, l'articolo 85 e gli all. IX e X del Reg. n. 1234/2007 (CE)).

Il sistema di contingentamento produttivo definito con il regime delle quote latte è stato introdotto a decorrere dal 1984 - con il reg. n. 856/84 (CEE), che ha inserito l'art. 5-quater nel reg. 804/68 sulla Organizzazione Comune di Mercato del settore lattiero caseario e poi perpetrato nelle OCM dei successivi periodi di programmazione UE - per ridurre lo squilibrio tra offerta e domanda in Europa e risanare il settore.

La normativa comunitaria ha richiesto un complesso sistema organizzativo capace di ripartire il quantitativo globale garantito, attribuito dalla UE ad ogni Stato membro, in quote individuali da assegnare ai produttori, per poi procedere – nel caso di splafonamenti - alla riscossione delle multe (il cosiddetto "prelievo supplementare") dovute dai produttori con eccesso di produzione.

Dunque, il superamento del limite di produzione comporta il pagamento di una penale a carico di coloro che hanno commercializzato un quantitativo eccedente la propria quota di riferimento.

Va peraltro precisato che il prelievo è stato impropriamente definito "multa", perché il suo versamento serve invece "a coprire i costi di smaltimento del latte che supera il quantitativo di riferimento" (così disponeva il reg. n. 857/84 (CEE) sull'applicazione del prelievo).

Il meccanismo comunitario peraltro prevede - a decorrere dalla campagna 2003/2004 - la obiettiva responsabilità degli Stati nazionali nei confronti dell'Unione europea nella corretta gestione del sistema, e li rende anche direttamente debitori del prelievo dovuto dalle aziende che viene trattenuto dalla Comunità annualmente decurtandolo dagli aiuti dovuti agli agricoltori per la PAC (art. 3 del reg. 1788/2003 e, successivamente, paragrafo 3 dell'articolo 78 Reg. 1234/2007 il quale ha dettato le regole sul prelievo fino alla campagna 2014/2015).

L'applicazione (tardiva) del sistema - ormai prossimo alla scadenza dopo una trentennale gestione del comparto - è stata segnata da continui "splafonamenti" della quota produttiva assegnata al nostro Paese e da un vasto contenzioso accumulato nelle sedi giudiziarie. D'altra parte, l'assegnazione effettuata dalla Comunità non è mai stata ritenuta dall'Italia adeguata alle sue necessità né corrispondente al dato reale di produzione.

Il regime di contingentamento non trova applicazione interna fino al 1991: in tale anno l'articolo unico della legge 201/91 stabilisce che le norme comunitarie sul prelievo si applicano a partire dal periodo 1991/92, ponendo a carico dell'AIMA i saldi contabili con la Comunità economica dovuti per i periodi dal 1987/88 al 1990/91; subito dopo la legge 468/92 - prima legge di regolazione organica della materia - procrastina l'applicazione del sistema alla successiva campagna 1992/93.

Va chiarito in merito che l'annata di produzione lattiera non coincide con l'anno solare ma inizia il 1° aprile e termina il 31 marzo dell'anno successivo.

La mancata adesione al regime comunitario viene in ogni caso sanzionata dalla Comunità e si risolve con l'accordo Ecofin del 21/10/1994, con il quale l'Italia accetta di pagare 3.620 mld di lire (pari a 1.870 milioni di euro) addossando allo Stato l'onere conseguente alla mancata riscossione del prelievo per tutto il periodo in cui sono state disattese le norme comunitarie (periodi dal 1988/89 al 1992/93). L'applicazione del regime resterà in ogni caso travagliata, e porterà il debito complessivo nazionale nei confronti dell'Unione europea, accumulato fino alla campagna 2008/09, a poco meno di 4,4 miliardi di euro (cfr. sul punto Corte dei Conti, Relazione sulle quote latte, ottobre 2014 approvata con delibera n. 12/2014/G).

Successivamente a tale campagna l'Italia non ha registrato splafonamenti, fino alla ultima campagna 2014/2015, che il presente D.L. va a regolare.

Si consideri che, dei 4,4 miliardi di euro citaticirca 1.870 milioni sono multe non pagate che risultano ormai definitivamente assorbite a carico dello Stato "per scelta politica". I restanti 2.537 milioni sono somme inerenti multe comminate agli agricoltori, già anticipate dallo Stato italiano, e allo stato solo in parte a questo "restituite" e/o imputabili agli agricoltori. Secondo i dati comunicati dal MEF-AGEA aggiornati a ottobre 2014 (e recentemente richiamati dal Ministro Martina al Senato in risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 3-01352 l'11 marzo scorso), le somme ancora non recuperate presso gli agricoltori ammontano a 1.343 milioni di euro, di cui circa 511 milioni non ancora esigibili per sospensive giurisdizionali. L'esposizione di tesoreria, sempre secondo le informazioni rese dal MEF, è pari a 1.693 milioni di euro dato (riportato anche dalla Corte dei Conti), che si ottiene aggiungendo al primo importo le rate e i relativi interessi ancora da versare da parte dei produttori che hanno aderito alla rateizzazione disposta a livello nazionale (Legge n. 119/2003 e Legge n. 33/2009).

Si consideri, al riguardo, che il 26 febbraio 2015 l'Italia è stata deferita alla Corte di giustizia UE per l'esiguità dei recuperi dei prelievi dovuti dai produttori di latte nelle campagne dal 1995 al 2009. Ciò sebbene nella legge di stabilità 2015 siano state adottate misure per agevolare la riscossione dei debiti non rateizzati da parte di AGEA anche tramite società del gruppo Equitalia. In particolare, si segnala che – secondo le ultime informazioni fornite dal Direttore di AGEA nel corso dell'Audizione presso la XIII Commissione della Camera, il 30 aprile 2015, a tale data, è in corso il recupero coattivo nei confronti di 1.405 soggetti, per un totale complessivo di 552 milioni di euro (di cui 438 milioni quota prelievo e 114 milioni quota interessi).

La relazione illustrativa al DL in esame afferma che il regime delle quote latte ha avuto significative ripercussioni sulla struttura produttiva della filiera del latte italiano e, il sistema di liberalizzazione delle quote, che è succeduto, rischia di esporre il sistema produttivo ad una perdita di valore delle imprese agricole operanti nel settore, se non adeguatamente accompagnate, in questa fase di transizione, da un idoneo apparato normativo.

La questione relativa alle quote latte in Italia e la necessità di intervenire attraverso meccanismi di rafforzamento della filiera, è stata oggetto, negli ultimi tempi, di numerosi interventi da parte delle associazioni di categoria e di numerosi incontri con le stesse nelle sedi istituzionali, anche alla luce dei dati relativi al settore, diffusi in primis da ISMEA organo competente a raccogliere su base regionale il prezzo del latte crudo corrisposto ai produttori sul loro territorio per le consegne effettuate e ad elaborare la quotazione media nazionale, attraverso adeguata ponderazione, ai fini della comunicazione alla Commissione UE (art. 2 Reg. n. 479/2010 (CE) di esecuzione del Reg. 1234/2007).Con l'articolo 2 del decreto-legge in esame viene attribuita ad ISEMA la competenza ad elaborare i costi medi di produzione del latte.

In particolare, i dati mensili ISMEA mostrano come il prezzo medio nazionale del latte crudo alla stalla si aggiri in media intorno a poco più di 0,36 euro/litro a fronte di costi sensibilmente ben più alti per i consumatore finale.

Sempre secondo i dati forniti da ISMEA, nella campagna 1991/1992, il numero degli allevamenti di latte vaccino, erano 143.341, con una produzione commercializzata di 10.924 tonnellate ed una produzione media per azienda di 76,2 tonnellate. Nella campagna lattiera 2013/2014, il numero degli allevamenti di latte vaccino, erano 34.231, con una produzione commercializzata di 11.161 tonnellate ed una produzione media per azienda di 326 tonnellate. Tale dato oltre ad indicare una sensibile contrazione del numero degli allevamenti esistenti in Italia, indica, per altro verso, che la produzione media aziendale è sensibilmente aumentata, e dunque che vi è stata una crescita dimensionale delle aziende rimaste.

Dati sostanzialmente simili sono stati diffusi da Coldiretti, il 1 aprile scorso, che ha pubblicato un Dossier sull'attuazione delle quote latte in Italia. Secondo tale documento, all'inizio del regime delle quote latte, nel 1984, in Italia erano presenti 180mila stalle, con il latte che veniva pagato in media agli allevatori 0,245 euro al litro, mentre i consumatori lo pagavano 0,40 euro al litro (780 lire), con un ricarico quindi del 63% dalla stalla alla tavola.

Nel 2000, agli allevatori il latte veniva pagato 0,32 euro al litro, mentre i consumatori lo pagavano 1 euro al litro, con un aumento del 213% dalla stalla alla tavola.

Oggi, secondo Coldiretti, la forbice si sarebbe ulteriormente allargata e il prezzo del latte fresco si moltiplica più di 4 volte dalla stalla allo scaffale, con un ricarico del 317% e un compenso per il latte pagato agli allevatori in media 0,36 centesimi al litro, mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro.

Il prezzo pagato agli allevatori è aumentato poco più di 10 centesimi, mentre il costo per i consumatori è cresciuto di 1,1 euro al litro, a valori correnti. Solo 1 stalla su 5 è sopravvissuta, essendovi oggi in Italia solo 36mila allevamenti.

In altre parole, secondo Coldiretti, il prezzo riconosciuto agli allevatori non copre i costi per l'alimentazione degli animali, con effetti sull'occupazione, sull'economia, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare degli italiani. Ciò sarebbe determinato dal fatto che in Italia esiste un evidente squilibrio contrattuale tra le parti lungo la filiera, che determina un abuso, da parte dei trasformatori, della loro posizione economica sul mercato, dalla quale gli allevatori dipendono.

 

L'Autorità garante della Concorrenza e del mercato – competente, ai sensi dell'articolo 62 del D.L. 1/2012 e del D.M. 199/2012 – a perseguire le pratiche commerciali sleali nella filiera dei prodotti agroalimentari sono state presentate, in più di una occasione, segnalazioni (Coldiretti Lombardia nel 2013 e Coldiretti nazionale - Codacons nei primi mesi del 2015) circa taluni prezzi del latte alla stalla ritenuti eccessivamente bassi.

Nell'adunanza del 5 maggio 2015, l'Autorità Antitrust ha deliberato di procedere ad un'indagine conoscitiva riguardante la filiera lattiero-casearia finalizzata ad approfondire le seguenti questioni:

i) le dinamiche contrattuali con le quali si determinano le condizioni di acquisto e di vendita dei prodotti;

ii) i meccanismi di trasmissione dei prezzi lungo la filiera;

iii) l'eventuale rilevanza, per la normativa antitrust, delle condotte tenute dagli operatori nella contrattazione delle condizioni di acquisto;

iv) l'effettivo grado di concorrenza esistente tra operatori attivi nei diversi mercati collegati verticalmente nella filiera produttivo-distributiva.

 

La relazione illustrativa del decreto legge, che intende fronteggiare appunto le questioni concernenti lo squilibrio delle parti all'interno della filiera, afferma che la situazione del settore latte non riguarda solo l'Italia, ma anche altri grandi Paesi produttori di latte, come la Francia.

L'UE ha suggerito di individuare modalità di passaggio, dal regime delle quote a quello liberalizzato, "morbide" (c.d. soft landing), cui la Commissione fa specifico riferimento nei suoi report al Parlamento e al Consiglio sull'Andamento della situazione dei mercati e conseguenti condizioni per estinguere gradualmente il regime delle quote latte – COM(2010) 727 final e COM(2012) 741 final e nella Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla evoluzione della situazione del mercato lattiero-caseario COM(2014) 354 final.

In quest'ultima relazione è dato peraltro conto del funzionamento delle disposizioni del cd. "pacchetto latte" (Reg. 261/2012 (UE) ), adottato già nel 2012 nella prospettiva di un superamento delle quote latte e quale intervento per riequilibrare i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Il pacchetto latte è intervenuto quale integrazione al Regolamento UE 1234/2007 ed è ora confluito nel Regolamento 1308/2013 (articolo 148-151, 152, par. 2 e 157, par. 3).

In quest'ultima relazione è dato peraltro conto del funzionamento delle disposizioni del cd. "pacchetto latte" (Reg. 261/2012 ( UE)), adottato già nel 2012 nella prospettiva di un superamento delle quote latte e quale intervento per riequilibrare i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Il pacchetto latte è intervenuto quale integrazione al Regolamento 1234/2007 (UE) ed è ora confluito nel Regolamento 1308/2013 (articolo 148-151, 152, par. 2 e 157, par. 3).

Nella relazione del 2014 viene al riguardo evidenziata la necessità di "modalità più efficaci per sostenere il settore lattiero e contribuire così a una maggiore competitività e sostenibilità dell'offerta di latte in tutta l'Unione europea, dopo trent'anni di quote latte".

Dai tavoli negoziali europei, afferma il Governo nella relazione illustrativa, non sono tuttavia pervenute, ad oggi, proposte in grado di attenuare l'impatto della fine del regime delle quote, in particolare, con riferimento al controllo della volatilità dei prezzi del latte.