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Temi dell'attività parlamentare

Politica economica e finanza pubblica
Commissione: V Bilancio
Contabilità e strumenti di controllo della finanza pubblica

Il quadro normativo che presiede alla disciplina ed agli strumenti di controllo dell'ordinamento contabile è costituito, oltre che dalla legge di contabilita' e finanza pubblica n.196 del 2009 approvata nella XVI^ legislatura, dalle nuove regole costituzionali sul pareggio di bilancio, anche esse introdotte nella precedente legislatura, con la legge costituzionale n.1 del 2012 e dalla legge attuativa n.243 del 2012, la cui applicazione decorre dal 2014, salvo che per alcune norme relative al bilancio dello Stato ed alle regole contabili per gli enti territoriali, divenute operative nel corso del 2016. A tale scopo nel corso di tale anno è stato operato un significativo intervento di modifica delle regole contabili,  con l'unificazione in un unico provvedimento - costituito dalla nuova legge di bilancio -  della legge di stabilità e della legge di bilancio, nonché con la semplificazione - operata dapprima con la legge di stabilità 2016 e poi messa a regime mediante alcune modifiche alla legge n.243 del 2012 sopraddetta - delle regole sugli equilibri di bilancio delle regioni e degli enti locali. Concorrono inoltre alla definizione di un quadro complessivo di regole finalizzate alla sostenibilità delle finanze pubbliche la nuova disciplina sulla armonizzazione contabile dei bilanci  di regioni ed enti locali introdotta nel corso del 2011, poi aggiornata nel 2014, nonché il miglioramento dei meccanismi di controllo della spesa, anche mediante l'istituzione dal 2012 (Poi ridefinita l'anno successivo) del Commissario straordinario per la spending review.

 

Le difficoltà delle finanze pubbliche di molti paesi dell'Unione europea emerse a seguito della crisi finanziaria e del debito sovrano iniziata nel 2007 ha reso necessario anche per l'Italia operare un rafforzamento delle regole contabili volte a meglio garantire la sostenibilità degli equilibri di bilancio e la stabilità finanziaria del Paese. A tal fine, oltre alla  legge di contabilita' e finanza pubblica n.196 del 2009,  nella XVI^ legislatura sono state introdotte nuove regole costituzionali sul pareggio di bilancio e ne è stata nel contempo anche dettata le necessaria disciplina attuativa, parte della quale in vigore dal 2014, mentre una restante parte lo sarà del 2016  .

Le nuove regole sono state  n particolare disposte con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1, che, sostituendo l' articolo 81 della Costituzione, ha sancito il principio del "pareggio di bilancio" in termini strutturali, in base al quale lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle diverse fasi - avverse o favorevoli - del ciclo economico. La medesima legge costituzionale ha altresì novellato gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, incidendo sulla disciplina di bilancio dell'intero aggregato delle pubbliche amministrazioni, compresi pertanto gli enti territoriali.

La puntuale definizione del contenuto della legge di bilancio, delle norme fondamentali e dei criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stati demandati a un'apposita "legge quadro" di attuazione del pareggio di bilancio, costituita dalla legge 24 dicembre 2012, n. 243. Essa, che sotto il profilo delle fonti costituisce una legge  cosiddetta "rinforzata", in quanto approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, ribadisce l'obbligo per le amministrazioni pubbliche, già sancito ai sensi del nuovo comma 1 dell'articolo 97 della Costituzione, di assicurare l'equilibrio dei bilanci, specificando che tale equilibrio corrisponde all'obiettivo di medio termine ossia al valore del saldo individuato sulla base dei criteri stabiliti dall'ordinamento dell'Unione europea, che per l'Italia coincide, nel 2013, con il pareggio di bilancio calcolato in termini strutturali, ossia corretto per tenere conto degli effetti del ciclo economico e al netto delle misure una tantum. A seguito del protrarsi della crisi economica, d'intesa con le autorità europee e utilizzando le regole sulla flessibilità consentite dal Patto di stabilità e crescita europeo - che in presenza di determinate condizioni consentono deviazioni temporanee dall'obiettivo di medio termine -  il raggiungimento di tale obiettivo è stato poi posposto ad  anni successivi, risultando ora previsto, secondo quanto riportato nel Documento di economia e finanza  2016, dal 2019.

Come sopra detto, le nuove regole hanno efficacia dal 2014, ad eccezione delle norme concernente l'equilibrio dei bilanci degli enti territoriali e della nuova disciplina in materia di contenuto della legge di bilancio, di cui si prevede l'applicazione a decorrere dal  2016, come più avanti si dettaglia .

Va sottolineato come tali modifiche alla struttura istituzionale delle regole della contabilità pubblica siano state operate in relazione all'emergere in sede di Unione Europea, in concomitanza con l'acuirsi ed il persistere delle tensioni sui debiti sovrani dell'area dell'euro, dell'esigenza di prevedere negli ordinamenti nazionali ulteriori e più stringenti regole (rispetto a quella già vigenti) di consolidamento fiscale e di introdurre, preferibilmente con norme di rango costituzionale, il vincolo del pareggio di bilancio.

Tale esigenza è stata esplicitamente affermata nel Trattato sulla stabilita', il coordinamento e la governance nell'unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact), firmato in occasione del Consiglio europeo dell'1-2 marzo 2012.

Le medesime modifiche hanno altresì inteso rispondere all'esigenza di recepire nell'ordinamento interno le nuove disposizioni intervenute in ambito comunitario per assicurare una più rigorosa applicazione del Patto di stabilita' e crescita. Si tratta delle disposizioni introdotte per effetto di tre regolamenti approvati dalle Istituzioni europee nel novembre 2011 nell'ambito di un insieme complessivo di sei atti legislativi (il c.d. six pack).

Tali tre regolamenti introducono una più rigorosa applicazione del Patto di stabilità e crescita , stabilendo: - l'obbligo per gli Stati membri di convergere verso l'obiettivo il pareggio di bilancio con un miglioramento annuale dei saldi pari ad almeno lo 0,5%; - l'obbligo per i Paesi il cui debito supera il 60% del PIL di adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, nella misura di almeno 1/20 della eccedenza rispetto alla soglia del 60%, calcolata nel corso degli ultimi tre anni; - un semi-automatismo delle procedure per l'irrogazione delle sanzioni per i Paesi che violano le regole del Patto.

Ad esse si sono aggiunte quelle denominate come two pack, costituite da due ulteriori regolamenti del 21 maggio 2013, n.472 e n.473, recanti rispettivamente il rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio sugli stati membri in difficoltà per la propria stabilità finanziaria e regole per la valutazione ed il monitoraggio dei documenti programmatici di bilancio. Tale ultimo regolamento dispone in particolare che entro il 15 ottobre di ogni anno gli Stati membri trasmettano alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio (DPB), che deve riportare gli obiettivi  dell'azione di politica economica del Governo che saranno poi implementati nella manovra annuale di finanza pubblica;  la Commissione formulerà entro il mese di novembre  il proprio parere sul Documento.

Il  quadro delle regole contabili è integrato dalla nuova disciplina sui principi e criteri di redazione dei bilanci pubblici, per i quali, anche in tal caso in coerenza con il Patto di stabilità e crescita europeo, il legislatore nazionale ha dato attuazione in particolare alla richiesta di comporre regole minime comuni per i quadri di bilancio nazionali, allo scopo di superare criticità da tempo presenti nella diversità dei sistemi contabili tra Stato, regioni ed enti locali, quali le carenze di uniformità anche tra enti appartenenti allo stesso comparto e la difficoltà di verificare la rispondenza dei conti pubblici ai criteri di trasparenza e affidabilità dei dati necessari in sede europea. La nuova disciplina, necessaia anche per ottenere un miglior grado di conoscenza e controllo della spesa pubblica, è stata introdotta con due decreti legislativi, il D.Lgs. 31 maggio 2011, n. 91 e il D. Lgs. 23 giugno 2011, n. 118, relativi rispettivamente agli enti centrali ed alle amministrazioni territoriali.

Nel corso del 2016, in vista dell'applicazione da tale anno delle nuove regole attuative del nuovo principio del pareggio di bilancio, come dettate dalla legge di attuazione del nuovo principio costituzionale medesimo, costituita dalla legge n.243 del 2012, è stata effettuata una importante rivisitazione delle regole di bilancio dettate dalla legge di contabilità  e finanza pubblica  n.196 del 2009, su cui è intervenuta la legge n.163 del 2016. Tae legge, in particolare, ha integrato in un unico provvedimento i contenuti degli attuali disegni di legge di bilancio e di stabilità. L'integrazione dei due provvedimenti di manovra finora previsti nella (sola) nuova legge di bilancio persegue la finalità di incentrare la decisione di bilancio sull'insieme delle entrate e delle spese pubbliche, anziché sulla loro variazione al margine come finora avvenuto, portando al centro del dibattito parlamentare le priorità dell'intervento pubblico, considerato nella sua interezza. Concorrono alla nuova funzione della legge di bilancio anche la significativa ridefinizione sia della struttura del bilancio dello Stato che del ruolo in esso affidato al bilancio di cassa, operata, in prossimità dell'entrata in vigore della legge n.163/2016 suddetta, da due decreti legislativi, costituiti rispettivamente dal D.Lgs. n.90 del 2016 quanto alla struttura del bilancio e dal D.Lgs. n.93 del 2016 quanto alla funzione del bilancio di cassa.

Alla modifica delle legge di contabilità  si affianca un altro importante intervento sulle regole contabili degli enti territoriali, mediante cui è stata parzialmente ridefinita la disciplina sull'equilibrio dei bilanci degli enti medesimi ed il concorso degli stessi alla sostenibilità del debito pubblico, come dettata da alcune disposizioni - in particolare gli articoli da 9 a 12 - della legge di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio n.243 del 2012 già più volte richiamata. A tale scopo è stata approvata la legge n. 164 del 2016, che interviene sui suddetti articoli  con lo scopo di superare - in vista della imminente applicazione alla sessione di bilancio 2017 delle nuove regole da essi dettate - talune prescrizioni  della legge n. 243 che presentavano più d'una difficoltà di applicazione. In sintesi le modifiche sono finalizzate a definire un solo saldo di equilibrio di regioni ed enti locali, in luogo dei quattro saldi che erano previsti, a semplificare le procedure per il ricorso all'indebitamento degli enti e, infine, a ridefinire le modalità sia del concorso dello Stato verso regioni ed enti locali nelle fasi avverse del ciclo economico che degli enti medesimi alla sosteniblità del debito pubblico.

Va inoltre rammentato come al controllo degli andamenti della spesa pubblica, nonchè della qualità della stessa, cui già nel corso della precedente legislatura era stata dedicata una specifica attenzione da parte del legislatore, ha continuato a costituire uno dei principali obiettivi di politica economica anche nella XVII legislatura, nel corso della quale, oltre al rafforzamento  dell'istituto del Commissario straordinario per la spending review, il controllo della spesa è stato stabilmente incorporato nella legge di contabilità mediante la legge 163 del 2016 sopra citata, venendo in tal modo ad operare in via ordinaria nellegislazione vigente, sia ai fini di una efficiente gestione finanziaria che in qualità di  importante strumento per il reperimento di risorse pubbliche.

Un ulteriore filone normativo che connota il quadro delle regole contabili di riferimento per la finanza pubblica ad inizio legislatura è costituito dalla nuova contabilità armonizzata, resa necessaria dalle norme europee introdotte in particolare con la Direttiva 2011/85/UE , che ha fissato criteri e procedure minime comuni per i quadri di bilancio nazionali finalizzate a renderli più trasparenti, confrontabili ed il più possibile completi e veritieri, anche con riguardo alla necessaria uniformità delle regole e delle procedure. L'ingresso nel nostro ordinamento della disciplina sull'armonizzazione dei sistemi contabili, operato mediante il decreto legislativo n.118 del 2011 per le ammministrazioni terriotriali e dal decreto legislativo n.91/2011 per  le altre amministrazionisi muove in coerenza con la regola dell'equilibrio di bilancio delle pubbliche amministrazioni normata dal nuovo articolo 81 della Costituzione, introducendo – in particolare per le regioni e gli enti locali – un criterio di pareggio complessivo di competenza finanziaria rafforzata che deve tener conto, anche in sede di rendicontazione, di tutti i flussi di entrata di spesa: tale saldo viene in tal modo a costituire la nuova modalità con cui gli enti in questione concorrono agli equilibri di finanza pubblica.

 

 


 

Temi
Speciale provvedimenti
Finanza regionale e locale

Nella prima parte della legislatura la finanza regionale e locale ha continuato a caratterizzarsi - come già nella legislatura precedente -  sotto il profilo del controllo della finanza degli enti territoriali, imposto anche ai fini del rispetto dei vincoli di finanza pubblica derivanti dall'ordinamento comunitario, per il quale lo strumento utilizzato è stato il  Patto di stabilita' interno. Contestualmente, peraltro, sia per l'esigenza di consentire comunque agli enti, pur in presenza del Patto, di adempiere ai propri obblighi finanziari verso le imprese, sia per introdurre strumenti volti a favorire la ripresa economica,  nel biennio 2014-2014  sono state adottate misure per fornire agli enti  la necessaria liquidità per il pagamento dei debiti pregressi  . Con la nuova disciplina dell'armonizzazione dei bilanci  pubblici e' stato  ridisegnato ad opera del decreto legislativo n.118 del 2011 il sistema contabile di regioni ed enti locali, con la cui entrata in vigore a regime nel 2015 si sono uniformate le regole contabili  all'interno del comparto degli enti territoriali ed si sono per gli stessi  introdotti schemi comuni di bilancio la cui struttura si basa su quella del bilancio dello Stato, definendosi in tal modo un quadro armonizzato della finanza pubblica nel suo complesso. Il sistema dei rapporti finanziari tra Stato ed enti territoriali viene nel corso della legislatura profondamente innovato dalla nuova disciplina del pareggio di bilancio introdotta dalla legge n.243 del 2012 (in attuazione del nuovo articolo 81 della Costituzione ai sensi della legge costituzionale 1 del 2012) costituisce per le regioni e gli enti locali la nuova regola contabile - in sostituzione del previgente patto di stabilità interno - mediante cui gli enti territoriali concorrono alla sostenibilità delle finanze pubbliche. Essa, operante nell'ordinamento nel 2016, viene così a sostituire da tale anno il patto di stabilità interno, che nel corso del tempo aveva portato ad addensamento normativo di regole complesse e frequentemente mutevoli. Nel corso della legislatura si determina inoltre un progressivo ridimensionamento del percorso di attuazione del federalismo fiscale: il ridisegno del sistema dei rapporti finanziari tra Stato ed autonomie territoriali prefigurato dalla legge n.42 del 2009  viene infatti attenuato e sostanzialmente modificato a seguito delle conseguenze determinate sui conti pubblici dalla crisi economico finanziaria, e risulta pertanto ancora in una situazione di indeterminatezza.

 

Sotto il profilo del controllo della finanza degli enti territoriali, le regole del Patto di stabilità interno sono state considerate funzionali al conseguimento degli obiettivi finanziari fissati per le regioni e gli enti locali quale concorso al raggiungimento dei più generali obiettivi di finanza pubblica assunti dal nostro Paese in sede europea, con l'adesione al Patto europeo di stabilità e crescita.

Nel corso della prima parte della legislatura, pertanto, la partecipazione delle autonomie territoriali al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica è garantita, per gli enti locali, dall'applicazione del Patto di stabilità interno, la cui disciplina si incentra sul controllo dei saldi finanziari. Peraltro, in considerazione delle persistenti difficoltà conseguenti alla crisi economica e finanziaria, particolarmente intense nella prima parte della legislatura,  la disciplina del patto di stabilità interno ha mostrato alcune criticità connesse, da un lato, ai meccanismi di definizione degli obiettivi finanziari del patto di stabilità interno e, dall'altro, ai criteri di distribuzione del peso complessivo dei vincoli finanziari fra gli enti territoriali soggetti al patto. Misure di  flessibilità nell'applicazione del patto di stabilità interno sono state pertanto introdotte nell'ordinamento al fine di rendere più sostenibili gli obiettivi individuali degli enti soggetti ai vincoli al patto di stabilità e, al contempo, allentare la compressione sulle spese di investimento degli enti locali, determinata dai meccanismi di calcolo dei saldi obiettivi in termini di competenza mista.

Le gravi difficoltà in cui si sono venute a trovate le autonomie territoriali per garantire il rispetto del patto di stabilità interno, ha reso necessario, nel 2013 - in un contesto economico e finanziario costantemente negativo ormai da un quinquennio ed in presenza di vincoli via via più stringenti sia sui saldi finanziari che sul versante della spesa - un intervento di urgenza, realizzato con il D.L. 8 aprile 2013, n. 35, volto a garantire un allentamento dei vincoli del patto sia per le regioni che per gli enti locali con la finalità specifica di risolvere il problema del pagamento dei debiti in conto capitale degli enti territoriali verso le imprese, scaduti alla data del 31 dicembre 2012. Più in dettaglio, il decreto-legge ha previsto l'esclusione dai vincoli del patto per il 2013 dei pagamenti di debiti di parte capitale per un importo di 5 miliardi di euro per quanto riguarda gli enti locali e di 1,4 miliardi per quanto riguarda le regioni. Un ulteriore allentamento dei vincoli è disposto per le regioni, in relazione alle spese per gli investimenti cofinanziati dai fondi strutturali europei, per ulteriori 800 milioni. Ulteriori deroghe in tal senso, che in questa sede non si ripercorrono, sono state poi concesse anche per gli anni successivi.

L'obbligo di partecipazione delle regioni e degli enti locali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica cui è finalizzato il patto di stabilità ha in seguito assunto valenza costituzionale con la nuova formulazione dell'articolo 119 della Costituzione, operata dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 volta ad introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale, il quale, oltre a specificare che l'autonomia finanziaria degli enti territoriali (Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni) è assicurata nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, prevede al contempo che tali enti sono tenuti a concorrere e ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Alla nuova disciplina è stato dato seguito nell'ordinamento mediante la legge 24 dicembre 2013, n. 243, recante, per l'appunto, disposizioni per l'attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio, ed i cui articoli da 9 a 12 disciplinano specificamente l'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, a decorrere dal 2016. La nuova regola, la cui applicazione è stata prevista a decorrere dal 2016, viene così a sostituire da tale anno il patto di stabilità interno, che nel corso del tempo aveva portato ad addensamento normativo di regole complesse e frequentemente mutevoli. Esso, va rammentato, aveva finora costituito, fin dalla sua introduzione nel 1999, lo strumento mediante cui sono stati stabiliti gli obiettivi ed i vincoli della gestione finanziaria di regioni ed enti locali, ai fini della determinazione della misura del concorso dei medesimi al rispetto degli impegni derivanti dall'appartenenza all'Unione europea. L'impostazione del patto di stabilità interno è stata incentrata fino al 2014 per le regioni sul principio del contenimento delle spese finali e, per gli enti locali (fino al 2015), sul controllo dei saldi finanziari. La regola del pareggio, dopo essere stata anticipata per le sole regioni a decorrere dal rendiconto 2015  viene introdotta nel 2016 dalla legge di stabilità per  tale anno sia per le regioni stesse che per gli enti locali. La regola viene declinata in termini di equilibrio di bilancio, definendola in termini di saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. La sostituzione del patto di stabilità interno con la disciplina del pareggio di bilancio, quale nuova regola contabile per gli enti territoriali e quale modalità del concorso degli stessi alla sostenibilità delle finanze pubbliche, si realizza pertanto mediante un percorso che: - è stato avviato con la legge di stabilità 2015, anticipando l'applicazione della normativa sul pareggio alle regioni a statuto ordinario ed alla Sardegna; - è poi proseguito con la legge di stabilità 2016 attraverso il definitivo superamento del patto e la individuazione di un unico saldo di equilibrio per il 2016; – è continuato con il consolidamento ad opera della legge n.164/2016 del nuovo saldo di equilibrio nel testo della legge 243/2012, rispetto al più complesso saldo recato dal testo originario delle legge 243 medesima ( nonché con altre modifiche attinenti ai rapporti finanziari tra Stato ed enti territoriali); - si è infine concluso con la messa regime da parte della legge di bilancio 2017 delle regole sul pareggio in questione. Va segnalato come l'introduzione del vincolo in questione sia stata contestualmente accompagnata da misure di flessibilità in ambito sia regionale che nazionale, volte a favorire la spesa per investimenti, che era risultata fortemente compressa dai vincoli del patto di stabilità, consentendo in talune situazioni il ricorso all'indebitamento mantenendosi comunque il rispetto del saldo. Tali misure sono costituite dalle intese regionali e dai patti di solidarietà nazionali, entrambi previsti dall'articolo 10 della legge n. 243/2012 di attuazione del principio del pareggio di bilancio.

Nel corso dei primi anni della legislatura è stata altresì affrontata la questione specifica dei debiti commerciali delle amministrazioni pubbliche, dovuta ai ritardi nei tempi di pagamento da parte delle Amministrazioni, riguarda in maniera particolare le regioni e gli enti locali, posto che la parte preponderante dell'intera massa debitoria della P.A. è costituita dalle passività delle amministrazioni locali, nell'ambito delle quali assumono una dimensione importante i debiti del settore sanitario. Con il D.L. n. 35/2013 si è definito un insieme di procedure volte ad accelerare il recupero dei crediti nei confronti delle amministrazioni vantati da imprese, cooperative e professionisti, per un importo complessivo di 40 miliardi di euro, da erogare negli anni 2013-2014. Ad esso ha fatto seguito il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, che ha incrementato di 7,2 miliardi le risorse previste per il 2014, e poi la legge di stabilità 2014 (L. n. 147 del 2013) che ha stanziato altri 0,5 miliardi per il 2014. E' da ultimo intervenuto il decreto-legge n. 66 del 2014, con il quale le risorse suddette sono state ulteriormente incrementate di 9,3 miliardi, per un totale complessivo, quindi, di circa 57 miliardi.

In ordine al controllo sull'indebitamento delle Regioni e degli Enti locali, sono state inoltre introdotte misure per ridurre sia la dinamica crescente della consistenza del debito già in essere sia la possibilità di ulteriore indebitamento degli enti. Nel corso degli ultimi anni, tuttavia, si è manifestata una inversione di tendenza su questo ultimo punto, al fine di favorire la ripresa degli investimenti degli enti locali, ed il tema è stato interessato anche dallle nuove regole dettate dalla nuova disciplina del pareggio di bilancio  per regioni d enti locali dettata dalla legge n.243 del 2012.

Un altro importante intervento normativo nel campo della finanza di regioni ed enti locali è costituito dall'armonizzazione delle regole che presiedono la redazione dei rispettivi sistemi di bilancio, con l'introduzione anche per gli enti territoriali di criteri omogenei volti a migliorare la trasparenza, l'attendibilità e la confrontabilità delle scritture contabili rispetto a quelle del bilancio dello Stato. A tal fine si e dato seguito alle indicazioni contenute in proposito delle regole europee mediante il decreto legislativo n. 118 del 2011, che introdotto la nuova disciplina dell'armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle amministrazioni pubbliche territoriali, vale a dire regioni, comuni, province, città metropolitane, ed enti del Servizio sanitario nazionale. Il decreto legislativo ha costituito una ampia e organica riforma, diretta a garantire la qualità e l'efficacia del monitoraggio e del consolidamento dei conti pubblici ed a superare la sostanziale incapacità del vigente sistema contabile di dare rappresentazione ai reali fatti economici. Tra le principali innovazioni introdotte dal decreto legislativo, che è stata introdotta dal D.Lgs. n.118 del 2011 e poi più volte modificata - venendo poi a a completarsi, dopo una necessaria fase di sperimentazione, solo nel 2016, con l'applicazione progressiva delle nuove regole nel corso del successivo biennio a tutti gli enti, ivi comprese le autonomie speciali -, possono qui richiamarsi: l' adozione di regole contabili uniformi e di un comune piano dei conti integrato per consentire il consolidamento e il monitoraggio in fase di previsione, gestione e rendicontazione; Ia introduzione di schemi comuni di bilancio articolati sul lato della spesa in missioni e programmi e macroaggregati coerenti con la classificazione economica e funzionale; la definizione di un sistema di indicatori di risultato associati ai programmi di bilancio; infine, l'introduzione di regole per gli enti strumentali degli enti locali in contabilità civilistica, che consiste nella predisposizione di un budget economico e nell'obbligo di riclassificare i propri incassi e pagamenti in missioni e programmi al fine di consentire l'elaborazione del conto consolidato di cassa delle amministrazioni locali.

Va segnalato, infine, che nel corso di questa legislatura non ha trovato significativo seguito il processo di riforma diretto a dare attuazione al principio dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali sancito dalla legge delega n. 42/2009 sul federalismo fiscale: sistema, si rammenta, incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull'attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa a comuni, province, città metropolitane e regioni, nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale. In questo quadro, uno degli obiettivi principali della legge è stato il passaggio dal sistema dei trasferimenti fondato sulla spesa storica a quello dell'attribuzione di risorse basate sull'individuazione dei fabbisogni standard necessari a garantire sull'intero territorio nazionale il finanziamento integrale dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e delle funzioni fondamentali degli enti locali. Tale processo resta al momento ancora in transizione, sia per gli effetti delle perduranti necessità di consolidamento dei conti pubblici che si sono determinate soprattutto nei primi anni della legislatura, sia per l'insorgere di difficoltà applicative nell'ambizioso obiettivo del ridisegno dei rapporti finanziari tra Stato ed autonomie perseguito dalla legge delega; difficoltà accentate dalla circostanza che negli anni dal 2012 in poi le modifiche apportate, spesso sotto la pressione dell'emergenza finanziaria, al sistema di finanziamento delle amministrazioni territoriali hanno reso via via più complesso il proseguimento del disegno di riforma delineato dalla legge delega.

 

Temi
Speciale provvedimenti
Politica economica e manovre finanziarie

Nel corso della prima parte della XVII legislatura, il persistere di un quadro economico sfavorevole, pur se in misura meno intensa di quanto si era verificato nel biennio 2011-2012, ha comportato il mantenimento di una linea di politica economica orientata al consolidamento dei conti pubblici, cui  si sono  tuttavia nel contempo affiancati interventi volti a favorire la ripresa dell'economia. Nel rispetto di vincoli europei, che nel corso del 2013 ha comportato l'uscita dell'Italia dalle procedure europee sui disavanzi eccessivi, è stato peraltro avviato con il decreto-legge n. 35 del 2013 un programma di pagamento dei debiti pregressi delle amministrazioni pubbliche nei confronti dei propri fornitori, cui ha fatto seguito un intervento, con il decreto-legge n. 54 del medesimo anno, volto a ridurre il carico fiscale derivante dall'IMU. Benché il protrarsi anche al 2014 di un andamento economico negativo abbia determinato, in accordo con le autorità europee, un posticipo dell'obiettivo del conseguimento del pareggio di bilancio, con il decreto-legge n. 66 del 2014 sono state introdotte varie misure fiscali per il rilancio dell'economia, tra cui un bonus fiscale in favore di alcune categorie di lavoratori. Successivamente la legge di stabilità per il 2015 ha operato una manovra espansiva, inizialmente programmata per poco meno di 11 miliardi, poi ridotta  a circa 6 miliardi di euro a seguito di alcune osservazioni avanzate in proposito dalla Commissione europea. Nella medesima direzione risulta orientato il Documento di Economia e Finanza 2015, che sulla base di un miglioramento del quadro economico previsto a partire dal 2015, stima una evoluzione dei saldi di bilancio più favorevole di quella precedentemente stimata, che consentirebbe di conseguire l'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio già nel 2016, anziché nell'anno successivo (come già concordato secondo le regole europee). Il Documento mantiene invece l'obiettivo al 2017 e destina parte delle maggiori risorse disponibili al sostegno della crescita, assicurando nel contempo il percorso di risanamento dei conti pubblici. Questo orientamento moderatamente espansivo della politica di bilancio, poi implementato mediante la legge di stabilità 2016, viene mantenuto anche nei documenti di programmazione finanziaria del 2016, vale a dire sia nel Documento di Economia e Finanza  2016 che nella relativa Nota di aggiornamento, mantenendo da un lato una linea di intervento favorevole alla crescita e confermando nel contempo il percorso di consolidamento fiscale già avviato, che viene articolato su un più lungo periodo temporale mediante il posponimento al 2019 dell'obiettivo del pareggio di bilancio. Ciò anche alla luce dei nuovi orientamenti su una maggiore flessibilità di bilancio nel frattempo intervenuti, a far data dal 2015, da parte della Commissione europea. In coerenza con tale quadro, la manovra finanziaria per il 2017, operata congiuntamente dal decreto fiscale  n.193 del 2016 e dalla legge di stabilità per il 2017, immette risorse nel sistema economico (vale a dire opera un intervento in deficit) per circa 12 miliardi. L'obiettivo del pareggio di bilancio per il 2019 viene confermato nel Documento di Economia e Finanza 2017, il cui quadro programmatico di finanza pubblica prevede un indebitamento netto per il 2017 pari a 2,1 punti percentuali di Pil ( anche per opera di un intervento correttivo dei conti pubblici effettuato con il decreto-legge n.50 del 2017), in diminuzione poi all'1,2 per cento nel 2018, allo 0,2 per cento nel 2019 ed pari a zero nel 2020. Evoluzione analoga ha anche l'evoluzione strutturale del saldo in questione, che dall' 1,5 per cento del 2017 perviene al sostanziale pareggio nel 2019, ove risulta pari a 0,1 punti percentuali, raggiungendo poi il pieno pareggio nell'anno successivo. Sulla base del quadro programmatico del DEF, inoltre, nel 2017 dovrebbe registrarsi l'avvio della riduzione del rapporto debito-Pil, con una prima diminuzione di circa 0,1 punti percentuali, che poi proseguirà a ritmo più sostenuto nei restanti anni del periodo di previsione, posizionandosi nel 2020 al 125,7 del Pil. Tale orientamento di politica economica, volto a continuare il sostegno alla crescita, viene confermato anche nei successivi documenti di programmazione, da ultimo nella Nota di aggiornamento al DEF 2017, con la quale il pareggio di bilancio viene previsto nel 2020.

 

Poco dopo l'inizio della XVII legislatura il Governo ha presentato al Parlamento, il 25 marzo 2013, una Relazione  recante le nuove previsioni sulla crescita economica e sull'evoluzione dei conti pubblici per gli anni 2013 e 2014, al fine di dar conto di un andamento del quadro macroeconomico, e di una conseguente evoluzione dei conti pubblici, più sfavorevole rispetto a quanto previsto nella Nota di aggiornamento al Documento di Economia e finanza 2012, presentata nel settembre 2012.

Va rammentato che tale Relazione è prevista dalla legge di contabilità del 2009 (legge n. 196/2009) qualora il Governo intenda aggiornare gli obiettivi di finanza pubblica per il verificarsi di eventi eccezionali ovvero in caso di scostamenti rilevanti degli andamenti di finanza pubblica rispetto alle previsioni, tali da rendere necessari interventi correttivi. In particolare la Relazione stima una contrazione del Pil per il 2013 pari all'1,3 per cento, rispetto al -0,2 indicato nella Nota; un peggioramento si registra anche con riguardo ai conti pubblici, con un risultato 2012 che vede l'indebitamento attestarsi al 3 per cento del Pil, a fronte di una previsione del 2,6 per cento, e con un peggioramento tendenziale del medesimo saldo di 0,6 punti nel 2013 (da -1,8 a -2,4 per cento) e di 0,3 punti nel 2014 (da -1,5 a -1,8 per cento).

La Relazione evidenzia pertanto la necessità di affiancare all'opera di consolidamento dei conti pubblici specifiche azioni di sostegno, capaci di fronteggiare l'accentuata debolezza della domanda interna, facendola ripartire già a decorrere dalla seconda metà dell'anno in corso. A tal fine, il Governo individua nello sblocco dei pagamenti dei debiti della Pubblica Amministrazione verso i propri fornitori lo strumento idoneo a favorire un'immediata immissione di liquidità nel sistema economico, manifestando l'intenzione di procedere in questa direzione attraverso un provvedimento d'urgenza.

Le misure che il Governo intende adottare interesseranno, precisa la Relazione medesima, le Amministrazioni centrali, gli enti territoriali e quelli del Servizio Sanitario Nazionale, per importi previsti pari a circa 20 miliardi di euro nella seconda parte del 2013 e ulteriori 20 miliardi nel corso del 2014.

Dando seguito a tali indicazioni, viene emanato il decreto-legge 8 aprile 2013, n. 35, recante disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché norme in materia di versamento dei tributi degli enti locali.

Le risorse impiegate dal decreto, per l'importo complessivo di 40 miliardi sopra indicato, determinerebbero secondo le stime del Governo - riferite nel corso dell' audizione del Ministro dell'economia e delle finanze svoltasi il 28 marzo 2013 presso le Commissioni speciali riunite della Camera e del Senato - una maggiore crescita di 1,2 punti nel triennio: 0,2 punti nel 2013, 0,7 punti nel 2014 e 0,3 punti nel 2015.Tale effetto è stato scontato nelle stime del PIL contenute nel quadro macroeconomico esposto nella predetta Relazione (pari, rispettivamente, a -1,3 per cento nel 2013 e a + 1,3 per cento nel 2014). Tali risorse verrannno poi incrementate da un successivo provvedimento, costituito dal decreto-legge 31 agosto 2013, n.102, che aumenta di 7,2 miliardi di euro per il 2013 il Fondo per il pagamento dei debiti pregressi istituito dal decreto-legge n.35 del 2013 (e conseguentemente aumenta di 8 miliardi il limite massimo di emissione di titoli di Stato) e detta specifiche disposizioni volte a consentire la concessione di ulteriori anticipazioni (rispetto a quelle già previste del decreto- legge n.35) per il pagamento dei debiti sanitari da parte delle regioni.

Mentre era in corso l'esame del predetto decreto-legge n.35, viene presentato alle Camere, alla fine del mese di aprile, il Documento di economia e finanza che, nel delineare il quadro macroeconomico, evidenzia come la recessione, manifestatasi nuovamente nella seconda metà del 2011 - dopo i moderati segnali di ripresa di inizio anno – si sia protratta, in Italia per tutto il 2012, nel quale il Pil ha registrato una contrazione del 2,4 per cento, a fronte della crescita dello 0,4 per cento registrata nel 2011. Le prospettive di crescita dell'economia italiana per il 2013 permangono negative, stimandosi per il una contrazione del Pil medesimo pari a -1,3 per cento. Per l'anno 2014, anche a seguito del progressivo esplicarsi degli effetti del provvedimento sul pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, si stima una più decisa ripresa delle attività economiche, con un livello di crescita del PIL che dovrebbe attestarsi all'1,3%; gli effetti positivi di tale provvedimento influenzeranno l'andamento del prodotto anche negli anni successivi, in cui il PIL è previsto crescere dell'1,5% nel 2015, dell'1,3% nel 2016 e dell'1,4% nel 2017.

Con riguardo ai dati di finanza pubblica, il consuntivo 2012 espone un indebitamento netto pari al 3% del Pil, in miglioramento per gli anni successivi, passando dal 2,9% del 2013 allo 0,4 nell'anno terminale (2017). Tale andamento assicura comunque un valore dell'indebitamento netto strutturale – vale a dire al netto delle una tantum e corretto per il ciclo –  che consente comunque il conseguimento del pareggio di bilancio in termini strutturali. 

Al fine di affrontare nell'immediato alcune delle criticità della situazione economica viene poi effettuato un ulteriore intervento d'urgenza, costituito dal decreto-legge 21 maggio 2013, n. 54, in cui si dispone in particolare la sospensione dell'imposta municipale propria IMU, unitamente ad altre misure in tema di ammortizzatori sociali, precari della pubblica amministrazioni e riduzione dei costi della politica. Tale decreto costituisce il primo provvedimento emanato dal nuovo Governo, che attua quanto annunciato dal Presidente del Consiglio nelle dichiarazioni programmatiche sulle quali il nuovo esecutivo ha ottenuto la fiducia delle Camere. Con riguardo all' IMU viene disposta la sospensione del versamento della prima rata, previsto per il 16 giugno 2013, con riguardo a specifiche categorie di immobili (abitazioni principali ed assimilati, quali IACP e cooperative edilizie a proprietà indivisa, nonché terreni agricoli e fabbricati rurali), compensandone il minor gettito per i comuni mediante una corrispondente anticipazione di tesoreria, pari a circa 2,400 milioni di euro. Tale sospensione opera nelle more di una complessiva riforma della disciplina dell'imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare, da approvare entro il 31 agosto 2013 ed in mancanza della quale la rata sospesa andrà versata entro il 16 settembre 2013. Tale evenienza viene successivamente esclusa a seguito dell'emanazione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102,che, oltre all'intervento per il pagamento dei debiti da parte delle amministrazioni pubbliche di cui sopra si è detto, stabilisce in via definitiva che la rata IMU in questione non è più dovuta, provvedendo contestualmente al reperimento delle risorse (circa 2,4 miliardi nel 2013) per la copertura finanziaria del minor gettito.

Un intervento con finalità più generali viene successivamente emanato il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, recante disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia. Il provvedimento, denominato come "decreto fare", ha l'obiettivo di dare impulso alla crescita del Paese attraverso misure di semplificazione amministrativa e normativa, efficienza del sistema giudiziario, sostegno alle imprese e rilancio delle infrastrutture. Il decreto, che ha come base le Raccomandazioni rivolte all'Italia dalla Commissione europea il 29 maggio 2013 nel quadro della procedura di coordinamento delle riforme economiche per la competitività ("semestre europeo"), consta di un ampio articolato (86 articoli nel testo iniziale, poi consistentemente aumentati a seguito dell'esame parlamentare), recando un elevato novero di misure che rispondono alle esigenze di semplificare il quadro amministrativo e normativo per i cittadini e le imprese, nonché di abbreviare la durata dei procedimenti civili, riducendo l'alto livello del contenzioso civile e promuovendo il ricorso a procedure extragiudiziali; esse mirano altresì a sostenere il flusso del credito alle attività produttive, anche diversificando e migliorando l'accesso ai finanziamenti, e, infine, a proseguire la liberalizzazione nel settore dei servizi e migliorare la capacità infrastrutturale, incluso il settore dei trasporti. Si tatta di un intervento che non determina effetti sui saldi di finanza pubblica, atteso che alcune norme onerose in esso contenute - quali in particolare l'istituzione di un Fondo per le infrastrutture, con una dotazione di circa 2 miliardi di euro nel quinquennio 2013-2017_ trovano copertura in corrispondenti misure di risparmio.

Pur in presenza di tali interventi di sostegno, il quadro economico si evolve negativamente - rispetto alle previsioni - nel corso dell'anno, secondo quanto espone la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2013. La Nota, pur rilevando i primi segnali di una progressiva stabilizzazione del ciclo economico, evidenzia un peggioramento per gli anni 2013 e 2014 rispetto alle previsioni formulate nel DEF di aprile. Soltanto a partire dal 2015 si stima una crescita dell'economia italiana superiore alle previsioni del DEF, che dovrebbe attestarsi, in media all'1,8 per cento negli anni 2015-2017.

In particolare, per il 2013 la contrazione del PIL italiano è stimata pari a -1,7 per cento, in relazione alla fase recessiva che ha interessato l'economia italiana e che ha raggiunto la sua maggiore intensità nella parte finale del 2012. Tale fase, che persiste sostanzialmente dal 2008, ha comportato per l'Italia, la perdita di oltre 8 punti percentuali di PIL; per il 2014, nel confermare le prospettive favorevoli di ripresa dell'economia, già prefigurate nel DEF di aprile, la Nota rivede al ribasso (1 per cento, anziché 1,3 per cento) la previsione di crescita del PIL, principalmente per l'effetto di trascinamento negativo del 2013 sul 2014. 

Il peggioramento del quadro macroeconomico si riflette sull'evoluzione della finanza pubblica, con un valore dell' l'indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche che viene posizionato al 3,0% del PIL, incorporando una correzione di 0,1 punti percentuali rispetto al dato risultante a legislazione vigente, come nell'intendimento del Governo espresso nella Nota. In termini strutturali, ossia al netto della componente ciclica e delle misure una tantum, viene confermato l'obiettivo di risanamento delle finanze pubbliche già prefigurato dal DEF, benché il dato dell'indebitamento netto strutturale risulti ora pari a zero dal 2015, rimanendo comunque su valori prossimi al pareggio (close to balance) già dall'anno 2013.

Per quanto concerne il rapporto debito pubblico/PIL, il quadro programmatico riportato nella Nota di aggiornamento lo rivede in aumento rispetto alle stime contenute nel DEF 2013, in quanto tale rapporto (comprensivo del sostegno finanziario ad altri stati dell'Unione Europea) passa dal 127,0 per cento del 2012 al 132,9 per cento nel 2013, valore cui rimane sostanzialmente anche nel 2014, per poi iniziare - anche a seguito dell'esaurirsi dei pagamenti dei debiti commerciali della P.A., previsti in 1,2 punti di PIL nel 2014, precisa la Nota – una significativa riduzione nel triennio successivo, nel corso del quale dovrebbe diminuire di 12,7 punti percentuali di Pil fino a situarsi al 120,1 per cento nel 2017.

Al fine di conseguire l'obbiettivo di indebitamento indicato nella Nota, viene emanato il decreto-legge 15 ottobre 2013, n.120 (c.d."manovrina"), recante misure che migliorano di circa 1,6 miliardi l' indebitamento netto. In tal modo si produce una correzione di 0,1 punti percentuali di Pil, che consente di posizionare tale saldo al 3,0 per cento del Pil medesimo, anziché al 3,1 cui si sarebbe attestato in assenza dell' intervento correttivo effettuato dal provvedimento. L'importo di 1,6 miliardi viene reperito principalmente tramite l'inasprimento del patto di stabilità interno per gli enti locali, (450 milioni), la costituzione di accantonamenti indisponibili delle spese di alcuni Ministeri (590 milioni), nonché con un programma di dismissioni immobiliari, da adottare con procedure a legislazione vigente, da realizzare entro l'anno, che dovrà generare entrate per 525 milioni. Il provvedimento reca anche altre misure in materia di finanza locale e per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione.

 Sulla base del quadro di finanza pubblica delineato dalla Nota di aggiornamento, la legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013, n. 147) reca le misure necessarie a conseguire gli obiettivi di consolidamento dei saldi di finanza pubblica indicati nella Nota medesima. Le misure contenute nel provvedimento hanno un effetto moderatamente espansivo nel 2014, nel quale le risorse utilizzate per la manovra eccedono quelle reperite per circa 2,6 miliardi che, pur elevando corrispondentemente il disavanzo di bilancio dell'anno, che è previsto arrivare al 2,5% del Pil, lo mantengono comunque all'interno del quadro programmatico di finanza pubblica previsto nella Nota. Per il biennio successivo, invece, le misure producono un effetto restrittivo, con una eccedenza delle risorse reperite rispetto a quelle utilizzate per circa 3, 5 miliardi nel 2015 e 7,3 miliardi nel 2016, in modo da consentire il conseguimento degli obiettivi di indebitamento, rispettivamente dell'1,6 per cento nel 2015 e dello 0,8 per cento l'anno successivo, indicati nella Nota suddetta.Nell'ambito di tale quadro finanziario, il provvedimento reca un intervento normativo di portata ampia e molto diversificata, anche a seguito delle numerose modifiche operate nel corso dell'esame presso le due Camere.

Il Documento di economia e finanza 2014, presentato nel mese di aprile di tale anno, espone, come già per i due anni precedenti, un risultato macroeconomico negativo anche per l'anno 2013, con un Pil in contrazione dell'1,9 per cento:ciò comporta un protrarsi di un ulteriore anno della recessione inziata nel 2007 (ed interrottasi per un breve intermezzo sostanzialmente nel solo 2010), con una diminzione del prodotto interno lordo di circa 9 punti percentuali rispetto ai livelli pre-crisi. Benché l'indebitamento si sia comunque mantenuto entro il livello del 3% già prefissato dalla Nota di aggiornamento del settembre 2013, ed in graduale miglioramento dal -2,6 per cento nel 2014 fino al -0,3 nel 2018, il percorso di risanamento della finanza pubblica risulta più graduale rispetto a quanto precedentemente ipotizzato, prevedendosi ora il raggiungimento del pareggio di bilancio - costituito dal saldo di indebitamento strutturale - solo dal 2016, anziché dal 2015. In osservanza delle nuove regole dettate dalla legge di attuazione del pareggio di bilancio n.243 del 2012, il Governo ha presentato alle Camere una Relazione con la richiesta di autorizzazione allo scostamento rispetto a tale obiettivo del pareggio:tale autorizzazione è intervenuta con una Risoluzione in data 17 aprile 2014, approvata da ciascuna Camera. Nella medesima data, con una altra Risoluzione ciascuna Camera ha inoltre preso atto dei contenuti del DEF, impegnando il Governo al conseguimento dei saldi di finanza pubblica come indicati nel Documento medesimo, nonché al perseguimento di specifici obiettivi volti alla crescita economica e dell'occupazione.

Un primo intervento in tale direzione è stato operato con il decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure di carattere fiscale e per il rilancio dell'economia con riguardo, in particolare, all'introduzione di un bonus fiscale pari a 640 euro per i lavoratori dipendenti con redditi non superiori a 26 mila euro: il credito viene riconosciuto automaticamente dai sostituti d'imposta a partire dal mese di maggio 2014. Vengono inoltre ridotte le aliquote dell'imposta regionale sulle attivitià produttive (IRAP) nei confronti dei diversi soggetti passivi del tributo, ad eccezione delle amministrazioni pubbliche. Viene poi accelerato il processo in corso, avviato dal decreto-legge n. 35 del 2013, di pagamenti dei debiti dello Stato e degli Enti territoriali nei confronti delle imprese, a cui vengono destinate risorse superiori agli 8 miliardi di euro; a tal fine viene inoltre estesa la garanzia dello Stato sulla cessione dei crediti da parte delle imprese creditici ed ampliato il ruolo della Cassa depositi e prestiti. Ai fini della copertura finanziaria di tale intervento viene innalzata da luglio 2014 la tassazione dei redditi di natura finanziaria dal 20 al 26 percento, disponendosi inoltre la rivalutazione delle quote di partecipazione al capitale di Banca d'Italia. Viene inoltre predisposto un ampio intervento per la revisione e la razionalizzazione della spesa pubblica, con lo scopo di conseguirne un significativo contenimento. L'effetto complessivo dell'intervento operato dal decreto-legge risulta sostanzialmente neutrale sui saldi di finanza pubblica, in quanto a fronte di impieghi pari complessivamente a circa 22 miliardi nel triennio 2014-2016 vengono reperite risorse di pari ammontare.

Pur in presenza del suddetto intervento, nel corso dell'anno nella Nota di aggiornamento al DEF 2014 si evidenzia un peggioramento delle stime di crescita dell'economia italiana per l'anno in corso e per l'anno 2015 rispetto alle previsioni formulate nel DEF di aprile 2014, in relazione ad un persistere dell' indebolimento congiunturale in corso. In particolare, per il 2014, viene stimata una contrazione del PIL italiano pari allo 0,3 per cento, rispetto alla crescita dello 0,8 per cento precedentemente indicata dal DEF. Il peggioramento del quadro macroeconomico rispetto al quadro previsionale contenuto nel DEF 2014 di aprile – rispetto al quale il Pil oltre a diminuire in termini reali decresce anche in termini nominali – si riflette sull'evoluzione della finanza pubblica, ove si prevede per il 2014 un indebitamento netto del 3,0% del PIL, (anziché al 2,6% previsto nel DEF). Tale livello viene confermato nella Nota, mentre per il 2015, con una sostanziale novità rispetto agli orientamenti di politica economica contenuti nei precedenti documenti programmatici di bilancio, l'indebitamento netto viene fissato ad un valore superiore a quello del DEF, vale a dire al 2,9% del PIL, e non più al 2,2% individuato nel DEF. Ciò in quanto il Governo ritiene di dover finanziare gli impegni di spesa e la riduzione della pressione fiscale che saranno contenuti nella prossima legge di stabilità soltanto in parte mediante riduzioni di spesa, operando, pertanto, una manovra di orientamento espansivo pari all' 0,7 del Pil, vale a dire circa 11,5 miliardi. Si tratta di un percorso di risanamento e crescita più graduale di quello contenuto nella Documento di Economia e Finanza 2014, che si riflette necessariamente sul raggiungimento del pareggio di bilancio in termini strutturali, che viene ora previsto nel 2017, con un allungamento di un anno rispetto a quanto stabilito nel DEF 2014, ivi riferito all'anno 2016.

Dando seguito a quanto prefigurato dalla Nota, la legge di stabilità 2015 (L.n.190/2014) utilizza pressoché totalmente lo spazio di bilancio, delineando una manovra espansiva (con corrispondente effetto peggiorativo dei saldi) per circa 10,4 miliardi. Successivamente, in conseguenza delle osservazioni formulata dalla Commissione europea, cui sulla base del c.d.Two Pack (ed in particolare del Regolamento UE n. 473/2013) è stato trasmesso il provvedimento, nel corso dell'esame presso la Camera sono state introdotte misure aggiuntive di reperimento di nuove risorse per circa 4,5 miliardi (con un effetto di riduzione dal 2,9 al 2,6 per cento dell'indebitamento netto 2015). La quota di finanziamento in disavanzo della manovra per il 2015 risulta corrispondentemente ridotta, attestandosi a circa 5,9 miliardi , pari a circa lo 0,4 del Pil, mentre, per gli anni successivi, il saldo della manovra rimane fermo ai valori già riportati nel testo originario del disegno di legge, vale a dire circa 0,14 e 6,9 miliardi rispettivamente nel 2016 e nel 2017.Nella medesima direzione risulta orientato il Documento di Economia e Finanza 2015, che sulla base di un miglioramento del quadro economico previsto a partire dal 2015 stima una evoluzione dei saldi di bilancio più favorevole di quella precedentemente stimata, che consentirebbe di conseguire l'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio già nel 2016, anziché nell'anno successivo (come già concordato secondo le regole europee). Il Documento mantiene invece l'obiettivo al 2017 e destina parte delle maggiori risorse disponibili al sostegno della crescita economica per tutto il quinquennio 2015-2019 di previsione, per un ammontare pari a 0,1 punti di Pil nel 2015, 0,4 punti di Pil nel 2016, 0,6 punti di Pil nel 2017 e 0,5 punti di Pil in ciascun anno dell'ultimo biennio.

Tale miglioramento si conferma nel corso dell'anno, per cui la Nota di aggiornamento al DEF 2015 presenta una revisone al rialzo delle precedenti stime, indicando una crescita del Pil che sale dallo 0,7 previsto nel DEF allo 0,9 per cento, riflettendosi positivamente sui saldi di finanza pubblica, anche essi migliori della precedente stima. In considerazione, tuttavia, della necessità di dare ulteriore impulso all'evoluzione favorevole del quadro macroeconomico, il Governo ritiene comunque necessario un orientamento di politica fiscale più favorevole alla crescita, fermo restando l'obiettivo del consolidamento dei conti pubblici. A tal fine nella Nota si prevede per il 2016 il   pieno utilizzo dei margini di flessibilità consentiti dall'Unione Europea in presenza di  riforme strutturali.  Il margine di flessibilità richiesto ammontacomplessivamente per tale anno a 0,8 punti percentuali di PIL, metà dei quali già inclusi nel DEF di aprile, mentre gli 0,4 ulteriori vengono previsti nella Nota. Conseguentemente gli obiettivi di indebitamento programmati nel Def sono rivisti in senso peggiorativo (per 0,4 punti di Pil nel 2016 e per complessivi 0,5 punti per il triennio 2017-2019) venendo ora a posizionarsi ad un livello del 2,2 per cento nel 2016, 1,1 per cento nel 2017, 0,2 per cento nel 2018 e, nel 2019, in un valore positivo di 0,3 punti percentuali di Pil (divenendo quindi un accreditamento netto). Rispetto, quindi, ai valori tendenziali di tale saldo – vale a dire ai valori che si determinerebbero in assenza di interventi di modifica – si realizza un allentamento dei vincoli per circa 14,6 miliardi di euro nel 2016, 19,2 miliardi di euro nel 2017, 16,2 miliardi di euro nel 2018 e 13,9 miliardi di euro nel 2019, che concorrono ai margini della manovra di finanza pubblica da attuare per il periodo.La modifica del percorso di consolidamento fiscale comporta il rinvio del conseguimento dell'obiettivo del pareggio strutturale di bilancio, che viene ora previsto nell'anno 2018 rispetto al 2017 indicato nel Def.  Per quanto concerne, infine, l'evoluzione del rapporto debito pubblico/PIL, il 2015 è previsto chiudersi con un rapporto debito/Pil pari al 132,8%, in lieve risalita (0,3 punti percentuali) rispetto al Def, iniziando poi un percorso di riduzione negli anni successivi, fino a posizionarsi al 119,8 % nel 2019.

In attuazione al percorso di consolidamento fiscale indicato nella Nota  di aggiornamento 2015, la legge di stabilità per il 2016 (L.n.208 del 2015) reca un intervento volto , nel rispetto dei vincoli di bilancio stabiliti nella Nota medesima, al sostegno della crescita, operando sia sul versante del contenimento del carico fiscale, sia sul lato dell'aumento della domanda aggregata e del miglioramento della competitività del sistema. Si tratta di un orientamento di politica fiscale di carattere espansivo, che si avvale anche, secondo quanto esposto nel Documento Programmatico di Bilancio trasmesso il 15 ottobre 2015 alle istituzioni europee, del pieno utilizzo dei margini di flessibilità consentiti in sede europea.

In relazione a ciòla legge di stabilità prevede il reperimento per gli anni 2016, 2017 e 2018 di risorse pari rispettivamente, nel testo iniziale del relativo disegno di legge, a circa 14,3, 11,1 e 14 miliardi di euro, a fronte di impieghi, per i medesimi anni, consistentemente superiori, in quanto pari rispettivamente a 32, 30,3 e 30,1 miliardi. Conseguentemente la manovra contenuta nel provvedimento comporta un peggioramento del saldo delle amministrazioni pubbliche (indebitamento netto) pari nel 2016 a circa 17,6 miliardi e poi, rispettivamente nei due anni successivi, a 19,1 ed a 16,1 miliardi, importi che equivalgono all' 1,0 per cento di Pil nel primo anno, all'1,1 nel 2017 ed allo 0,9 per cento di Pil nel 2018. Tali importi sono poi stati aumentati nel corso dell'esame parlamentare, quando il Governo ha dichiarato di volersi avvalere da subito degli ulteriori margini finanziari connessi alla clausola relativa alle spese per l'afflusso di migranti, cifrata intorno allo 0,2 per cento di Pil, introducendo contestuamente nel provvedimento una serie di interventi in tema di sicurezza e cultura cui destinare le nuove risorse, per un importo di circa 3,1 miliardi di euro nel 2016. In conseguenza di tale modifica il deficit di bilancio (indebitamento netto) per tale anno sale dal 2,2 per cento del Pil al 2,4 per cento. Concorre a tale risultato il ricorso fino a circa 1,0 punti di PIL della flessibilità consentita dalle istituzioni europee, vale a dire: il margine dello 0,5 per cento previsto per l'attivazione delle riforme strutturali, l'ulteriore margine dello 0,3 per cento di Pil consentito dall'applicazione della clausola degli investimenti e, come detto, quello dello 0,2 della clasula c.d. migranti. Su tali margini si è espressa la Commissione europea nel documento di valutazione dei  Documenti programmatici di bilancio (DPB),  nel quale, con riguardo all'Italia la Commissione non ha chiesto modifiche al DPB, previsando tuttavia che valuterà, con riguardo alle tre clausole sopradette se: a) verranno compiuti progressi nell'attuazione delle riforme strutturali; b) risultano rispettate le condizioni per l'attivazione della clausola sugli investimenti, ma la Commissione " valuterà con attenzione" se la deviazione dal percorso di aggiustamento determinato dalla clausola in esame "sia effettivamente usata per aumentare gli investimenti"; c) quanto infine alla clausola migranti, se ne effettuerà un valutazione finale degli importi ammissibili sulla base dei dati che verranno trasmessi dall'Italia.

  Per quanto concerne il debito, pur in presenza del minor sforzo fiscale determinato dalla manovra, rimane fermo il previsto inizio del suo percorso discendente dal 2016, quando diminuirà dal 132,8% punti di Pil del 2015 a 131,4 punti.

Alla luce del ritorno alla crescita che si verifica nel 2015, in cui il Pil cresce dello 0,8 per cento, anche sul versante della finanza pubblica si ha un risultato positivo, con un deficit di bilancio (indebitamento netto) che scende dal 3 per cento del 2014 al 2,6 per cento, in linea con le previsioni. Il Documento di economia e Finanza 2016 ritiene che il miglioramento debba proseguire anche nel 2016, nel quale l'indebitamento è previsto scendere al 2,3 per cento, nonché negli anni successivi, per opera di vari fattori, tra cui un lieve miglioramento dell'avanzo primario ed una consistente diminuzione della spesa per interessi sul debito pubblico, da tempo in progressiva discesa. Nel triennio 2017-2018 deficit si attesterebbe pertanto, nel quadro tendenziale, rispettivamente ad 1,4 e 0,3 punti percentuali di Pil, passando poi in territorio positivo (risultando quindi un accreditamento netto, anziché un indebitamento) nel 2019, per 0,4 punti di Pil.

Come già avvenuto nel 2015, del quale il Governo ne replica ora la strategia anche per il 2016, tale percorso, che deriva anche dagli interventi di consolidamento della finanza pubblica adottati negli anni precedenti, viene rallentato nel quadro programmatico dei conti pubblici, in quanto il Governo intende destinare parte delle risorse derivanti dai risultati di bilancio al sostegno della crescita: viene pertanto mantenuto il percorso di riduzione del deficit di bilancio, ma con un profilo discendente attenuato rispetto a quello tendenziale, rispetto al quale l' indebitamento netto risulta superiore di 0,4 punti percentuali di Pil nel 2017 e di 0,6 punti nel 2018 (attestandosi rispettivamente a 1,8 e 0,9 punti percentuali). Nel 2019 si mantiene l'obiettivo del passaggio ad un saldo positivo, ma dello 0,1 per cento di Pil, anziché dello 0,4 per cento tendenziale. L'aumento del deficit comporta il prodursi di una corrispondente azione espansiva di pari valore , allo scopo di sostenere una ripresa meno brillante del previsto.

Tale scelta comporta tuttavia la necessità di posporre il conseguimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio in termini strutturali (Medium Term Objective, MTO) di un anno, dal 2018 al 2019, anno in cui il deficit strutturale si attesta allo 0,2 per cento, quindi in sostanziale pareggio. Pertanto unitamente al Documento di Economia e Finanza 2016 è stata trasmessa alle Camere anche la Relazione prescritta dall'articolo 6 della legge di attuazione del pareggio di bilancio n. 243 del 2012, in cui si richiede l'autorizzazione parlamentare - poi concessa da entrambe le Camere  a tale nuovo percorso programmatico.

Quanto infine al debito, dopo una ulteriore crescita nel 2015 che ne ha portato il livello al 132,7 per cento del Pil, dal 2016 si prevede avviarsi la fase di discesa, con una prima riduzione di 0,3 punti percentuali. La discesa prosegue nel 2017 e nel 2018, rispettivamente per circa 2,1 e 3 punti percentuali di Pil, fino a raggiungere il livello del 123,5 per cento nel 2019, con una riduzione complessiva nel periodo medesimo di 9,2 punti percentuali.

Lo scenario economico muta bruscamente nel corso del 2016, a seguito dei segnali di indebolimento della congiuntura europea ed internazionale manifestatesi a partire dal secondo trimestre dell'anno.  La Nota di aggiornamento del DEF 2016 presenta pertanto, rispetto al Def 2016 medesimo, una revisione al ribasso delle stime sull'andamento dell'economia italiana, sia per l'anno in corso che per quello successivo. In particolare la crescita del PIL per il 2016 scende dall'1,2 per cento del DEF  allo 0,8 per cento,e viene ridotta – dall'1,2 allo 0,6 per cento - anche la crescita prevista per il 2017 (che poi in seguito all'azione di governo la Nota stima salire fino all'1 per cento, nel quadro programmatico) mentre rispetto alle previsioni dello scorso aprile risultano confermati gli incrementi del Pil già previsti per il 2018 e 2019, rispettivamente dell'1,2 e dell'1,3 per cento.

ll ridursi delle prospettive di crescita risultante dall'aggiornamento delle previsioni macroeconomiche si riflette sul quadro previsionale di finanza pubblica che, pur mantenendosi entro il previsto percorso di miglioramento, con il saldo di indebitamento che si attesta in sostanziale pareggio nel 2019, ne ridimensiona l'intensità: nella Nota pertanto  viene rivisto dal Governo rispetto a quanto prefigurato nel  DEF di aprile, indicandosi ora un rallentamento nel conseguire i miglioramenti dei saldi di finanza pubblica necessari al raggiungimento dell'obiettivo di medio termine del pareggio strutturale di bilancio (Medium Term Objective, MTO). L'obiettivo di indebitamento per il 2017 sale pertanto dall'1,8 per cento dello scorso aprile al 2,0 per cento ed, analogamente, quelli previsti per il 2018 ed il 2019 peggiorano entrambi di 0,3 punti percentuali, rispettivamente dallo 0,9 e +0,1 all'1,2 ed allo 0,2 per cento.

I nuovi obiettivi, otre a tener conto delle mutate condizioni economiche, sono tuttavia anche derivanti da una scelta da parte del Governo- come chiarito nella Nota – di mantenere una impostazione di politica di bilancio più orientata alla crescita, come evidenziato anche da un andamento dell' avanzo primario (che, si rammenta, dà conto della differenza tra le entrate e le spese al netto degli interessi):', che continua, nell'orizzonte programmatico, a mostrare una dinamica con percentuali di crescita a ritmi crescenti, ma minore che nelle previsioni  dello scorso aprile. L'impostazione espansiva dell'azione di finanza pubblica contenuta nella Nota viene a confermare quanto già prefigurato nel DEF 2016, riscontrandosi anche nella Nota medesima come il saldo di indebitamento programmato risulti meno stringente rispetto a quello tendenziale (vale a dire quello che si avrebbe in assenza di manovra per il 2017): quest'ultimo, posizionato nel triennio 2017-2019 rispettivamente all'1,6, 0,8 e 0 (pareggio) per cento, peggiora nel quadro programmatico al 2,0, 1,2 e 0,2 per cento, e le relative risorse (cifrabili in circa 6,8 miliardi nel 2017, 7 miliardi nel 2018 e 3,6 miliardi nel 2019) sono utilizzae nella manovra di bilancio.  Viene in tal modo ribadita la scelta,già avviata dai documenti di bilancio del 2015, di accompagnare la conservazione di un profilo discendente dell'indebitamento con l'adozione di misure espansive, assumeno consapevolmente nella strategia di fiscal policy un allentamento del rigore di bilancio.

La deviazione dal percorso di rientro già previsto determina, come già per il DEF 2016, i presupposti per la presentazione della Relazione  prevista dall'articolo 6 della legge di attuazione del principio costituzionale del pareggio di bilancio n.243 del 2012. Unitamente alla Nota viene pertanto presentata, come annesso alla stessa, la Relazione  in questione, nella quale, oltre ad esporre la deviazione dal percorso programmatico  si richiede l'autorizzazione a utilizzare, ove necessario, ulteriori margini di bilancio sino a un massimo dello 0,4 per cento del PIL per il 2017.Per quanto concerne infine il debito la Nota stima che il rapporto debito/pil si attesti nel 2016 al 132,8 per cento, in aumento di 0,4 punti percentuali rispetto alle previsioni del DEF, rimanendo pertanto in  crescita rispetto al 2015; tale rapporto inizierà poi  un percorso discendente dal 2017,quando diminuirà al 132,5 per cento, fino a raggiungere il livello del 126,6 per cento del Pil nel 2019.

Sulla base di quanto previsto nella Nota, il  Documento programmatico di Bilancio (DPB) 2017  posiziona il deficit di bilancio a 2,3 punti percentuali di Pil. Tale obiettivo di disavanzo – inferiore, si rammenta, al 3 per cento del 2014 ed al 2,6 del 2015 - è la risultante di interventi espansivi e di misure di contenimento: i primi costituiti dalla c.d. sterilizzazione delle clausole di salvaguardia – vale a dire la decisione di non procedere ai previsti aumenti dell'IVA ed accise per il 2017 – che vale lo 0,9 per cento di Pil, cui si aggiungono misure espansive per lo sviluppo pari ad un altro 0,6 per cento, al netto della spesa straordinaria per gli eventi eccezionali per terremoti e migranti per quasi 0,5 punti; i secondi volti al reperimento di risorse a per circa 0,7 punti di Pil, basati su riduzioni di spesa ed aumenti di gettito derivanti da una maggiore compliance fiscale (efficientamento dei meccanismi di riscossione IVA, estensione della voluntary disclusure) nonché delle aste per le frequenze della telefonia mobile. La misura complessiva della manovra, contenuta nella legge di bilancio 2017 incorpora anche gli effetti del decreto-legge fiscale n.193 del 2016, che produce per il 2017 risorse per circa 4,2 miliardi, destinate per un quasi pari importo (mediante versamento ad un apposito fondo) a copertura degli interventi previsti dal disegno di legge di bilancio. Tenuto conto di ciò, l'intervento di manovra reperisce risorse per circa 21,3 miliardi, a fronte di impieghi di ammontare superiore, pari a 33,3 miliardi. Il saldo della manovra è pertanto negativo per circa 12 miliardi (0,7 punti percentuali di Pil), che peggiorano per un pari importo il deficit (indebitamento netto), che dai 27,8 miliardi (1,6% del Pil) previsti a legislazione vigente – cioè in assenza di manovra – sale a 39,8 miliardi, vale a dire al livello del 2,3 per cento di Pil indicato nel DPB. Il suddetto importo di 12 miliardi costituisce pertanto la parte di manovra finanziata in deficit, ai fini degli obiettivi di sostegno della crescita perseguiti con la manovra medesima. Il maggior deficit derivante dalla manovra incide sull'andamento strutturale del saldo di indebitamento, che rispetto a quanto prima previsto viene peggiorato di 0,4 punti percentuali (posizionandosi quindi all'1,6 per cento): questo maggior deficit è riconducibile alle circostanze eccezionali connesse agli eventi sismici ed all'emergenza migranti, che il Governo ritiene di non considerare ai fini del saldo strutturale, che, in tal caso, risulterebbe sulla stessa posizione del 2016. Su tale questione è intervenuto un confronto con la Commissione europea, che sul punto ha espresso nel novembre 2016  il proprio parere.,nel quale viene segnalato il rischio di non conformità dell'Italia ad alcune disposizioni del patto di stabilità e crescita, invitandosi conseguentemente all'adozione di misure in tal senso per il bilancio 2017.

Di tale circostanza si tiene conto nel Documento di economia e finanza 2017, anche alla luce di quanto poi  raccomandato dalla Commissione nella  Relazione per l'Italia del febbraio 2017, prodotta nel quadro delle procedure europee sui disavanzi eccessivi. A tale scopo il quadro programmatico di finanza pubblica espone un più rapido percorso di miglioramento dei conti pubblici, stabilendo una riduzione di 0,2 punti percentuali dell' obiettivo di indebitamento netto per il 2017, che viene portato dal 2,3 per cento previsto dal DPB sopra citato al 2,1 per cento.

Il DEF precisa che al fine di assicurare l'immediata operatività dell'intervento di riduzione del deficit, questo sarà operato con decreto-legge, poi intervenuto mediante il decreto-legge 24 aprile 2017, n.50, con il quale si effettua un intervento correttivo sui conti pubblici per il 2017 pari,  ad una correzione di circa 3,1 miliardi, corrispondente allo 0,2 per cento di Pil in questione. Tale obiettivo di indebitamento del 2,1 per cento, nonché quelli prefissati per gli anni successivi - vale a dire 1,2 punti percentuali di Pil nel 2018, 0,2 punti nel 2019 ed il pareggio nel 2020, confermano il percorso di consolidamento fiscale avviato negli ultimi anni,con un deficit di bilancio che dopo essere sceso dal 3 per cento di Pil del 2014 al 2,7 nel 2015 è poi diminuito ulteriormente nel 2016, posizionandosi a 2,4 punti percentuali di Pil. Come esposto nel DEF 2017, tale progressiva stabilizzazione dei conti pubblici tiene conto anche del progressivo miglioramento del quadro macroeconomico, con un Pil che dopo il biennio di crescita 2015 e 2016 (rispettivamento 0,8 e 0,9 punti percentuali) è previsto proseguire in tale direzione anche nel 2017 e nel triennio successivo, su livelli fissati rispettivamente all'1,0 per cento nel 2018 e nel 2019 e poi all'1,1 per cento nel 2020.

Il Def ribadisce inoltre l'impegno del Governo,  di continuare anche negli anni 2018 e successivi - come già effettuato per gli anni 2016 e 2017 -  il processo di disattivazione delle clausole di salvaguardia. A tale inpegno dà attuazione il decreto-legge n.50/2017 sopra citato,che destina le risorse dallo stesso reperite per gli anni 2018 e successivi (pari a circa 3,8 miliardi nel 2018, 4,4 miliardi nel 2019 e 4,1 miliardi nel 2020) ad una parziale disattivazione delle clausole medesime. A seguito di tale intervento, gli importi che rimangono affidati all'operare delle clausole medesime risultano pari a circa 15,7 miliardi nel 2018, 18,9 miliardi nel 2019 e 19,2 miliardi nel 2020.

Quanto al rapporto debito-Pil, dopo l'ulteriore, benché lieve, crescita del 2016 rispetto all'anno precedente, (dal 132,1 al 132,6 del Pil), nel 2017 dovrebbe nel quadro programmatico registrarsi la prima inversione di tendenza (a 132,5 punti di Pil), che poi proseguirà a ritmo più sostenuto nei restanti anni del periodo di previsione, posizionandosi nel 2020 al 125,7, con una calo complessivo nel quadriennio, quindi, di quasi sette punti percentuali in quota Pil.

Il progressivo risanamento della finanza pubblica r viene confermato anche dal quadro programmatico delienato dalla Nota di aggiornamento del DEF 2017, nel quale tuttavia viene ridimensionata l'intensità del percorso di miglioramento, in ragione dell'intendimento del Governo di destinare maggiori risorse al sostegno dell'economia, per conseguire tassi di crescita più elevati ed in tal modo favorire la discesa del rapporto debito/Pil. In relazione a tale obiettivo il quadro programmatico differisce da quello tendenziale, sulla base della decisione, già anticipata alle istituzioni europee, di ridurre l'aggiustamento strutturale di bilancio per il 2018, che viene operato per 0,3 punti percentuali in luogo dei circa 0,8 punti precedentemente previsti. In coerenza con il nuovo obiettivo del saldo strutturale 2018, che riduce lo sforzo fiscale previsto per tale anno a legislazione vigente – principalmente disattivando il previsto aumento delle aliquote Iva – viene aumentato il deficit di bilancio previsto per l'anno medesimo, innalzando l'indebitamento netto dall'1,2 all'1,6 per cento del Pil.

Pur in presenza del minor aggiustamento strutturale per il 2018, rimane fermo il conseguimento del pareggio strutturale di bilancio (Obiettivo di Medio Termine- OMT) già previsto per il 2020, in quanto l'indebitamento netto strutturale manterrebbe un profilo discendente posizionandosi allo 0,2 per cento (vale a dire close to balance) in tale anno.

Sulla base del quadro programmatico contenuto nella NADEF la legge di bilancio 2018  (L.n.205/2017) implementa mediante le misure in essa contenute i più ampi margini di manovra consentiti dalla Nota medesima, come precisati e comunicati alle istituzioni europee con il Documento programmatico di bilancio 2018 . I. Tale linea di policy viene declinata nella legge di bilancio con un insieme di interventi ammontanti nel loro complesso a circa 29,1 miliardi nel 2018, a fronte dei quali vengono reperite risorse per circa 18,3 miliardi, con una prevalenza, quindi, degli impieghi sulle risorse per 10,8 miliardi, che cifrano la misura espansiva della manovra di bilancio, vale a dire la quota degli impieghi finanziata in deficit.  


 

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Politiche di coesione territoriale

Nell'ambito europeo la riduzione dei divari di sviluppo territoriale degli Stati membri è affidata alla politica di coesione, la cui finalità è la riduzione delle disparità di sviluppo fra le regioni degli Stati membri ed il rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale, con il concorso degli altri livelli di governo nazionali, vale a dire, per l'Italia, sia lo Stato che le regioni. Essa è ripartita in cicli di programmazione della durata di 7 anni, che indirizzano le risorse  derivanti da due fondi comunitari e da un fondo nazionale, costituiti rispettivamente dal Fondo sociale europeo, dal Fondo europeo di sviluppo regionale e,  per quanto concerne il nostro Paese, dal Fondo per lo sviluppo e la coesione (già Fondo per le aree sottoutilizzate), verso specifiche aree che richiedono interventi per la promozione dello sviluppo e la rimozione degli squilibri economico-sociali.

L'attuale ciclo  di programmazione concerne il periodo 2014-2020, in relazione al quale nel mese di ottobre 2014 la Commissione europea ha adottato l'Accordo di Partenariato con l'Italia, che reca l'impianto strategico e la selezione degli obiettivi tematici su cui si concentrano gli interventi finanziati dai fondi strutturali e di investimento europei per tale ciclo. Per quanto riguarda il precedente ciclo 2007-2013, ormai concluso ma le cui risorse sulla base delle regole vigenti continueranno ad essere erogate fino a tutto l'anno 2015, il quadro di riferimento finanziario è costituito dal Quadro strategico nazionale, approvato dalla Commissione europea nel luglio del 2007.

 


La politica di coesione 2007-2013

In Italia il quadro di riferimento per la programmazione delle risorse relative al settennio 2007-2013, ormai concluso ma le cui risorse continueranno, in base alle regole vigenti, ad essere erogate per tutto il 2015, con termine per la certificazione delle spese che scade nel mese di marzo del 2017, è costituito dal Quadro strategico nazionale 2007-2013 - approvato dalla Commissione europea con decisione del 13 luglio 2007. Tale Quadro espone, in un progetto unitario, la programmazione dei fondi strutturali e delle risorse aggiuntive nazionali per le aree del Mezzogiorno e del Centro Nord, secondo un sistema teso all'unificazione della politica regionale comunitaria e di quella nazionale. Elemento centrale di tale sistema  è il principio di addizionalità dei Fondi comunitari: questo prevede, infatti, che in corrispondenza delle quote di risorse comunitarie che transitano dai fondi strutturali per il raggiungimento degli obiettivi delle politiche di coesione, i singoli Stati membri debbano stanziare un ammontare pressoché pari di cofinanziamento nazionale. L' unitarietà del sistema comporta inoltre che in caso di ritardi nell'attuazione dei programmi e di conseguente definanziamento delle risorse comunitarie, si determini una corrispondente riduzione del cofinanziamento nazionale.

Considerando entrambi i canali di finanziamento, la dotazione complessiva delle risorse destinate alle politiche di coesione in Italia ammontavano inizialmente, per il periodo 2007-2013, ad oltre 60 miliardi di euro, di cui:

  • 28,5 miliardi di risorse UE, a valere su due fondi comunitari (Fondo europeo di sviluppo regionale – FESR e  Fondo sociale europeo - FSE);
  • 31,6 miliardi di cofinanziamento nazionale, sulla base del predetto criterio di addizionalità, che transitano dal Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie.

Nel corso del periodo, tuttavia, le amministrazioni centrali e regionali hanno incontrato rilevanti difficoltà nell'utilizzare le risorse comunitarie secondo la tempistica definita dalle norme comunitarie, con il rischio costante di disimpegno delle stesse, atteso che le regole europee prevedono il definanziamento (che comporta altresì la parallela riduzione della quota di cofinanziamento nazionale) delle risorse non spese entro il biennio successivo all'annualità di riferimento. Si è, pertanto, proceduto all'adozione di alcune misure operative volte a garantire un maggiore ed efficiente utilizzo delle risorse destinate alle aree sottoutilizzate, in particolare con l'adozione del Piano di azione coesione, con l'obiettivo di colmare i ritardi ancora rilevanti nell'utilizzo delle risorse, ed ottemperare agli impegni assunti in sede europea sull'utilizzo delle stesse.

Il Piano, nell'impegnare le amministrazioni centrali e locali a rilanciare i programmi in grave ritardo, mira ad una concentrazione degli investimenti in quattro ambiti prioritari di interesse strategico nazionale (Istruzione, Agenda digitale, Occupazione e Infrastrutture ferroviarie), reperendo i necessari stanziamenti attraverso una riduzione della quota complessiva del cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali nell'ambito dei programmi operativi regionali del Mezzogiorno, con conseguente riutilizzo delle risorse per il finanziamento, nelle medesime regioni, delle azioni e degli interventi previsti nel Piano stesso. A seguito di tale riduzione l'importo complessivo dei circa 60 miliardi sopra detti si è ridimensionato, al termine del periodo di programmazione, sulla cifra di circa 47,4 miliardi, a seguito della riduzione  del cofinanziamento da 31,6  a  circa 18,9 miliardi.

Il nuovo strumento  del Piano ha peraltro permesso il raggiungimento di risultati positivi: innanzitutto, è stato evitato il disimpegno delle risorse comunitarie non utilizzate; inoltre, con l'introduzione del sistema degli obiettivi (target) si è ridefinita l'ammontare della quota percentuale di realizzazione da raggiungere alle scadenze prefissate, in modo da fornire alle amministrazioni interessate una tabella di marcia maggiormente vincolante.

Va infine tenuto presente che alla riduzione dei divari di sviluppo territoriale sono altresì destinate le risorse proprie nazionali, di natura aggiuntiva rispetto alla quota di cofinanziamento dei fondi comunitari, stanziate nel Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), ora ridenominato Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC). Si tratta in particolare di circa 64,4 miliardi di risorse  proprie nazionali, iscritte nel FSC all'inizio del periodo di programmazione, mediante la legge finanziaria del 2007. Parte di tali risorse, sono state peraltro destinate nel corso degli anni, ad altre finalità.

La necessità di superare i ritardi e le difficoltà di attuazione della programmazione 2007-2013, nonché di favorire l'avviamento del nuovo ciclo di programmazione delle risorse comunitarie 2014-2020, ha inoltre portato ad una ridefinizione del quadro della governance delle politiche di coesione, in particolare, affidando l'azione di programmazione e coordinamento alla Presidenza del Consiglio e alla nuova Agenzia per la coesione territoriale, istituita nel 2014, che, nel suo primo anno di attività ha operato in accompagnamento alle Amministrazioni centrali e regionali impegnate nell'attuazione della programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali, individuando misure di accelerazione della spesa ed intensificando l'attività delle task force istituite a supporto dei programmi delle Regioni Calabria, Campania, Sicilia e del MIT, in maggior ritardo d'attuazione. Tale attività ha trovato riscontro nelle ultime fasi di attuazione dei programmi operativi attuativi della programmazione 2007-2013, ormai giunta a conclusione, che ha consentito la pressoché piena utilizzazione delle risorse programmateSi rammenta che l'ultima fase del ciclo di programmazione 2007-2013 si è conclusa il 31 marzo 2017, termine ultimo per la definitiva certificazione delle spese, come previsto dai regolamenti comunitari. Secondo le regole previste per la chiusura dei programmi 2007-2013, infatti, i pagamenti effettuati dalle Amministrazioni titolari di programmi operativi entro il 31 dicembre 2015 hanno potuto trasformarsi in certificazioni e richieste di rimborso fino al 31 marzo 2017

La necessità di superare i ritardi e le difficoltà di attuazione della programmazione 2007-2013, nonché di favorire l'avviamento del nuovo ciclo di programmazione delle risorse comunitarie 2014-2020, ha inoltre portato ad una ridefinizione del quadro della governance delle politiche di coesione, in particolare, affidando l'azione di programmazione e coordinamento alla Presidenza del Consiglio e alla nuova Agenzia per la coesione territoriale, istituita nel 2014, che, nel suo primo anno di attività ha operato in accompagnamento alle Amministrazioni centrali e regionali impegnate nell'attuazione della programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali, individuando misure di accelerazione della spesa ed intensificando l'attività delle task force istituite a supporto dei programmi delle Regioni Calabria, Campania, Sicilia e del MIT, in maggior ritardo d'attuazione.

Tale attività ha trovato riscontro nelle ultime fasi di attuazione dei programmi operativi attuativi della programmazione 2007-2013, ormai giunta a conclusione, che ha consentito la pressoché piena utilizzazione delle risorse programmate.

La politica di coesione per la programmazione 2014-2020

All'esito di un complessivo negoziato presso le istituzioni dell'Unione Europea, l'assetto della politica di coesione per il periodo 2014-2020  è stato definito dall'Accordo di Partenariato per il periodo medesimo In base al Regolamento UE n. 1303/2013 - che disciplina i Fondi strutturali e di investimento europei (Fondi SIE) nell'ambito di un quadro comune strategico - nell'impostazione strategica dell'Accordo  sono considerate il complesso delle risorse comunitarie assegnate all'Italia a titolo dei due Fondi strutturali per la politica di coesione - Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)e al Fondo sociale europeo (FSE) - pari a circa 32,2 miliardi euro, a titolo di Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), nell'importo di 10,4 miliardi di euro, e di Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (FEAMP), per 537,3 milioni di euro. Considerando anche i 567 milioni di euro assegnate per l'iniziativa in favore dell'occupazione giovanile "Youth Employment Initiative", si tratta, nel complesso, di oltre 43,8 miliardi di euro, cui  vanno ad aggiungersi le risorse provenienti dal cofinanziamento nazionale (a carico del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie), stimabili al momento in circa 24 miliardi di euro. L'impostazione strategica definita per i Fondi strutturali (FESR e FSE) e di investimento europei per il 2014-2020 è articolata su 11 obiettivi tematici, corrispondenti a quelli individuati dall'articolo 9 del Reg. UE n. 1303/2013: rafforzare la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l'innovazione; migliorare l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché l'impiego e la qualità delle medesime; promuovere la competitività delle piccole e medie imprese, il settore agricolo (per il FEASR) e il settore della pesca e dell'acquacoltura (per il FEAMP); sostenere la transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio in tutti i settori; promuovere l'adattamento al cambiamento climatico, la prevenzione e la gestione dei rischi; tutelare l'ambiente e promuovere l'uso efficiente delle risorse; promuovere sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali infrastrutture di rete; promuovere l'occupazione e sostenere la mobilità dei lavoratori; promuovere l'inclusione sociale e combattere la povertà; investire nelle competenze, nell'istruzione e nell'apprendimento permanente; rafforzare la capacità istituzionale e promuovere un'amministrazione pubblica efficiente. L'Accordo individua, nel complesso, 60 Programmi regionali e 14 Programmi nazionali attuativi dei fondi, i cui contenuti specifici saranno definiti a conclusione del negoziato attualmente in corso con la Commissione Europea su ciascuno di essi. Nel mese di febbraio 2015 la Commissione europea ha adottato 11 Programmi Operativi regionali della programmazione 2014-2020: Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio e le due provincie autonome di Trento e di Bolzano.

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