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CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 9 luglio 2014
268.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale
ALLEGATO

ALLEGATO

RELAZIONE SULLE INIZIATIVE PER L'UTILIZZO DEL RISPARMIO PREVIDENZIALE COMPLEMENTARE A SOSTEGNO DELL'ECONOMIA REALE DEL PAESE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

Indice

1. Le nuove competenze della commissione e l'attività svolta
2. Le ragioni per l'impiego del risparmio previdenziale a sostegno dell'economia reale
3. Le iniziative in sede comunitaria
4. Misure di incentivazione
  4.1. Interventi fiscali
   4.1.1. Ipotesi di agevolazioni fiscali
   4.1.2. Coperture finanziarie
  4.2. Interventi di carattere ordinamentale
   4.2.1. Interventi sulle casse private
   4.2.2. Interventi per i fondi pensione
    4.2.2.1. Modalità per incrementare le adesioni e la platea dei FP
    4.2.2.2. Meccanismi di compensazione per le imprese in rapporto alla mancata disponibilità del TFR per autofinanziamento impiegato nei FP
    4.2.2.3. Limiti quantitativi e tipologici agli investimenti
   4.2.3. Campagne informative
   4.2.4. Utilizzo delle risorse dell'INAIL depositate presso la Tesoreria centrale dello Stato
  4.3. Modalità finanziarie della destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale
  4.3.1. Investimenti diretti in strumenti finanziari specializzati per il sostegno allo sviluppo
  4.3.2. Ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti
5. Conclusioni.

1. Le nuove competenze della commissione e l'attività svolta.

  Le originarie competenze della Commissione parlamentare sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale risalgono al 1989, ai sensi dell'articolo 56 della legge 9 marzo 1989, n. 88, «Ristrutturazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro», prevedevano che tale organismo bicamerale vigilasse: a) sull'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili; Pag. 218b) sulla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza; c) sull'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema con le linee di sviluppo dell'economia nazionale.
  Nella XVII legislatura la Commissione – costituitasi in data 26 settembre 2013 con l'elezione del Presidente – ha avviato la programmazione dei propri lavori prendendo innanzitutto atto del mutamento intervenuto, a livello ordinamentale, nel settore oggetto della vigilanza ad essa attribuita: il riassetto della previdenza italiana causato dalle riforme intervenute a partire dagli anni novanta ha determinato la realizzazione di un sistema complesso costituito da tre pilastri comprendenti, oltre l'originaria e tradizionale gestione della previdenza pubblica, con la ristrutturazione degli enti preposti, le casse private e le forme di previdenza complementare (fondi pensione) e i piani pensionistici individuali realizzati mediante polizze assicurative.
  La legge 27 dicembre 2013, n. 147 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014) ha pertanto ampliato l'ambito di vigilanza della Commissione estendendolo al riscontro dell'efficienza contabile e finanziaria dei fondi gestiti dall'intero sistema previdenziale, inteso come l'intero settore previdenziale ed assistenziale, in senso allargato, con un'attività di analisi e valutazione finalizzata a verificarne non solo la coerenza con le esigenze dell'utenza, ma anche con la scelta di modalità gestionali delle risorse finanziarie che risultino macroeconomicamente utili a garantire lo sviluppo dell'economia nazionale.
  In virtù di ciò l'attività di vigilanza della Commissione ha avuto una sua ridefinizione, essendo ora estesa:
   a) all'efficienza del servizio in relazione alle esigenze degli utenti, sull'equilibrio delle gestioni e sull'utilizzo dei fondi disponibili, anche con finalità di finanziamento e sostegno del settore pubblico e con riferimento all'intero settore previdenziale ed assistenziale;
   b) alla programmazione dell'attività degli enti e sui risultati di gestione in relazione alle esigenze dell'utenza;
   c) all'operatività delle leggi in materia previdenziale e sulla coerenza del sistema previdenziale allargato con le linee di sviluppo dell'economia nazionale.

  La Commissione ha deliberato, nella seduta del 18 dicembre 2013, lo svolgimento di una indagine conoscitiva dal titolo «Funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», allo scopo di procedere ad una ricognizione organica e generale dello stato attuale del sistema previdenziale, anche alla luce dell'evoluzione organizzativa del settore tuttora ancora in corso.
  In particolare tra i filoni di indagine è stato enucleato il tema della previdenza complementare. La Commissione ha inteso approfondire le caratteristiche evolutive della previdenza complementare, che costituisce il secondo settore del c.d. modello di welfare integrato, Pag. 219ove si realizza la cooperazione tra soggetti pubblici e privati, e che può costituire modello anche per sistemi connessi quale quello del welfare sanitario integrativo. Si è voluto approfondire il tema dell'adeguatezza della vasta gamma di strumenti, quali i fondi pensione preesistenti, i fondi pensione negoziali, i fondi pensione aperti, i piani individuali pensionistici di tipo assicurativo, ecc., che saranno oggetto di un nuovo Regolamento predisposto dal MEF in via di emanazione per quanto concerne le modalità di investimento del risparmio previdenziale, alla luce delle esperienze internazionali e della disciplina comunitaria in materia.
  In tale ambito la Commissione ha ritenuto anche di avviare un tavolo informale con rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dello Sviluppo economico, con esponenti delle autorità di vigilanza e gli enti rappresentativi del settore, nonché con propri consulenti di riferimento, per approfondire le problematiche del settore.

2. Le ragioni per l'impiego del risparmio previdenziale a sostegno dell'economia reale.

  Il legislatore, per ovviare alla contrazione dei finanziamenti alle imprese, a prescindere dalle misure per incentivare gli istituti bancari ad aumentare il credito, deve favorire il reperimento di risorse finanziarie con modalità alternative rispetto al ricorso ai prestiti bancari. Il settore della previdenza complementare è essenziale in questa ottica.
  La CONSOB ha rilevato come il peso degli investitori istituzionali domestici sulla capitalizzazione delle società italiane quotate sia inferiore all'8 per cento, mentre è del 30 per cento nel Regno Unito. L'aggregato dei fondi pensione e delle assicurazioni italiane è pari al 4 per cento, contro il 12 per cento del Regno Unito; solo l'1 per cento del totale del patrimonio gestito dai fondi comuni d'investimento italiani aperti è raccolto da fondi azionari con specializzazione Italia, con un peso pari a poco più dell'1 per cento della capitalizzazione totale del nostro mercato azionario; il mondo della previdenza complementare domestico mostra una ridotta propensione all'investimento in titoli di capitale, ivi compresi quelli italiani. I fondi pensione aperti destinano il 3 per cento dei loro asset all’equity italiano e quelli negoziali meno dell'1 per cento. La stessa dinamica si registra per le riserve tecniche delle assicurazioni. Particolarmente scarsa è la presenza di fondi di investimento italiani specializzati in PMI quotate, i quali sono attualmente solo 5 e mobilitano complessivamente, la cifra, sostanzialmente trascurabile, di 180 milioni di euro di asset. (1)
  Analogamente nell'audizione del sottosegretario del Ministero dell'economia e delle Finanze Baretta del 25 giugno 2014 si sottolinea che la quota di risparmio previdenziale investito in azioni ammonta Pag. 220«a poco più di 14 miliardi di cui soltanto 716 milioni impiegati in azioni di imprese italiane, quasi totalmente costituiti da titoli quotati. Una percentuale dello 0,8 per cento sul totale azionario».
  La Banca d'Italia, nel corso dell'audizione dell'11 giugno 2014 ha sottolineato che la scarsa quota investita nel settore privato dipende in primo luogo dal «basso numero di imprese italiane quotate e più in generale della scarsa articolazione del mercato dei capitali privati nel nostro Paese (a sua volta connessa con ben note peculiarità dimensionali e patrimoniali del tessuto delle imprese)
  Il risparmio previdenziale del secondo pilastro può costituire una importante risorsa per favorire lo sviluppo del Paese.
  Nella citata audizione del sottosegretario Baretta si è rilevato che «si aprono spazi d'iniziativa importante per le istituzioni pubbliche nel loro ruolo di governo e regolamentazione del mercato al fine di favorire la creazione di prodotti e strumenti di mercato in grado di intercettare, più efficacemente, una parte delle risorse a disposizione dei fondi pensione, coerenti con la loro finalità previdenziale».
  L'ipotesi di impiegare tale importante risorsa finanziaria per sostenere lo sviluppo del Paese risponde all'esigenza di utilizzare la finanza per favorire la crescita dell'economia reale, opzione particolarmente necessaria dopo la crisi dell'economia mondiale, largamente ascrivibile alla crisi del modello di capitalismo finanziario degli ultimi anni.
  Tale impostazione risponde al dettato costituzionale, che al terzo comma dell'articolo 41 riserva alla legge «determinare i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali» e che nell'articolo 47, primo comma, attribuisce alla Repubblica il compito di incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme e di disciplinare, coordinare e controllare l'esercizio del credito e nel secondo comma ultima parte «favorisce l'accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.»
  Le istituzioni audite dalla Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale si sono espresse in senso favorevole a tale prospettiva.
  La Corte dei conti, nel corso dell'audizione dello scorso 27 febbraio, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Funzionalità del sistema previdenziale pubblico e privato, alla luce della recente evoluzione normativa ed organizzativa, anche con riferimento alla strutturazione della previdenza complementare», ha rilevato che «un significativo contributo al finanziamento delle imprese può essere assolto dalle casse privatizzate e dalla previdenza complementare, nella peculiare funzione di intermediazione del risparmio previdenziale di lungo periodo».
  La Consob nell'audizione presso la Commissione del 16 aprile 2014, ha affermato che «Il ridotto sviluppo del settore dei fondi pensione in Italia emerge anche con riferimento agli attivi riferibili a tali fondi. Nel 2012, il totale attivo dei fondi pensione privati italiani rappresentava il 5,6 per cento del Pil, a fronte di un valore medio dei paesi OCSE superiore al 35 per cento.» Sempre la Consob nell'audizione Pag. 221presso la VI Comm. Finanze della Camera, nel corso dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, ha sottolineato che, oltre alle misure per migliorare il canale del finanziamento bancario, è necessario potenziare il canale extrabancario, con particolare riferimento alla crescita della previdenza complementare che potrebbe favorire l'afflusso di ingenti capitali sul mercato, riducendo al contempo i costi sociali legati all'incapacità del sistema di garantire in futuro adeguati livelli di reddito.
  Circa le ridotte dimensioni della previdenza complementare la Banca d'Italia, nell'audizione dell'11 giugno 2014, ha evidenziato che le attività dei fondi pensioni in Italia rappresentano il 5,6 per cento del PIL, a fronte di percentuali pari al 96 per cento nel Regno Unito e 75 per cento in USA e alla media dei Paesi europei pari al 21 per cento. (2)
  Sempre la Banca d'Italia ha rilevato che fermo restando che il criterio che deve orientare gli organi di governo dei fondi pensione è quello dell'ottimizzazione delle scelte di investimento e «a condizione che i fondi si dotino di competenze e assetti organizzativi adeguati, potrebbero esistere margini per una composizione dei portafogli meno tradizionale.»

3. Le iniziative in sede comunitaria.

  Le proposte che qui si illustrano si muovono in sintonia non solo con questi orientamenti, ma anche con le tendenze normative in atto nell'Unione Europea, che appaiono finalizzate a favorire le forme di finanziamento a medio-lungo termine dell'economia reale utilizzando gli investimenti finanziari, segnatamente con l'uso dei Fondi pensione.
  In ambito europeo, i fondi pensione sono regolati da normative differenziate nei vari Paesi, non ancora oggetto di un'adeguata armonizzazione.
  La disciplina di settore è contenuta nella Direttiva IORP (Institutions for Occupational Retirement Provision, direttiva 2003/41/CE relativa alle attività e alla vigilanza degli enti pensionistici aziendali o professionali), attualmente interessata da una proposta di revisione che si propone di adeguare la normativa all'innovazione e all'integrazione dei mercati finanziari europei, al fine di favorire una maggiore armonizzazione delle discipline nazionali e sostenere le forme di finanziamento dell'economia alternative al credito bancario, per investimenti a lungo termine a sostegno della crescita dell'economia reale.
  In tale direzione vanno: il Libro verde della Commissione europea del marzo 2013 (IP/13/274) sul finanziamento a lungo termine dell'economia europea, che ha avviato un ampio dibattito suscitando interventi da tutti i segmenti dell'economia; la proposta di regolamento sui fondi europei di investimento a lungo termine (European Long-Term Investment Funds – ELTIF); i regolamenti comunitari Pag. 222n. 345/2013 EuVeca, relativo ai fondi europei per il venture capital e n. 346/2013 EuSef, relativo ai fondi europei per l'imprenditoria sociale, che si propongono di facilitare la raccolta e l'investimento transfrontaliero da parte di organismi finanziari al fine di consentire di raggiungere una massa critica adeguata ed agevolare il finanziamento di attività produttive in settori specifici, quali l'innovazione e le attività a sfondo sociale.
  La Commissione ha varato nel 2014 un ulteriore intervento con: il Piano della Commissione europea per soddisfare le esigenze di finanziamento a lungo termine dell'economia europea del 27 marzo 2014; la comunicazione in tema di crowdfunding (finanziamento collettivo) per offrire possibilità di finanziamento alternative per le PMI (MEMO/14/240); la proposta COM(2014) 167 final 2014/0091 (COD) del 27.3.2014 (c.d. IORP 2) di revisione della c.d. Direttiva IORP. Il pacchetto, che si basa sulle risposte ricevute nel corso dell'esame del Libro verde del 2013 e sulle discussioni avvenute in vari consessi internazionali, come il G20 e l'OCSE, identifica una serie di misure specifiche che l'UE deve adottare per promuovere il finanziamento a lungo termine dell'economia europea. Il tema centrale proposto dalla Commissione europea è quello dell'istituzione di fondi comuni europei specializzati nell'investimento di lungo termine in determinate attività produttive in tutto il territorio dell'Unione.
  Nella comunicazione si afferma che «L'Europa ha notevoli esigenze di finanziamento a lungo termine per favorire la crescita sostenibile, il tipo di crescita che aumenta la competitività e crea occupazione in modo intelligente, sostenibile e inclusivo. Il nostro sistema finanziario deve recuperare e aumentare la sua capacità di finanziamento dell'economia reale. Questo si applica sia alle banche che agli investitori istituzionali, come le imprese di assicurazione e i fondi pensione. Ma dobbiamo anche diversificare le fonti di finanziamento in Europa e migliorare l'accesso ai finanziamenti per le piccole e medie imprese, che rappresentano la spina dorsale dell'economia europea». Con riferimento specifico alle norme sulle pensioni aziendali o professionali, si rileva che «Tutte le società europee devono affrontare una duplice sfida: si tratta di approntare un quadro pensionistico che tenga conto dell'invecchiamento della popolazione e, nel contempo, di realizzare investimenti a lungo termine che favoriscano la crescita. I fondi pensionistici aziendali o professionali sono doppiamente coinvolti nella questione: dispongono di oltre 2500 miliardi di euro di attivi da gestire con prospettive a lungo termine, mentre 75 milioni di europei dipendono in gran parte da loro per la propria pensione. La proposta legislativa di oggi permetterà di migliorare la governance e la trasparenza di tali fondi in Europa, migliorando quindi la stabilità finanziaria e promuovendo le attività transfrontaliere, per sviluppare ulteriormente i fondi pensionistici aziendali e professionali come imprescindibili investitori a lungo termine».
  Tra le azioni previste vi sono la finalizzazione dei dettagli del quadro prudenziale per banche e imprese di assicurazione che sostengono i finanziamenti a lungo termine all'economia reale, una maggiore mobilitazione di risparmi pensionistici personali e la valutazione delle modalità per incoraggiare maggiori flussi transfrontalieri di risparmio.Pag. 223
  La IORP 2 si propone complessivamente di tutelare gli aderenti alle forme di previdenza complementare adeguatamente dai rischi di gestione, di incentivare i benefici derivanti da un mercato unico delle pensioni aziendali o professionali, eliminando gli ostacoli alla fornitura transfrontaliera di servizi e di rafforzare la capacità dei fondi pensionistici aziendali o professionali di investire in attività finanziarie con un profilo economico a lungo termine, sostenendo quindi il finanziamento della crescita nell'economia reale. Altre finalità perseguite sono quelle del miglior uso dei finanziamenti pubblici, per favorire le attività delle istituzioni finanziarie pubbliche che finanziano lo sviluppo economico e una migliore collaborazione tra sistemi di credito all'esportazione nazionali esistenti, dello sviluppo dei mercati dei capitali europei, dell'uso dei finanziamenti privati per le infrastrutture per realizzare gli obiettivi di Europa 2020 e del miglioramento del quadro complessivo del finanziamento sostenibile a lungo termine (ad esempio per quanto riguarda la partecipazione dell'azionariato, l'azionariato dei dipendenti, l'informativa sul governo societario e le questioni di carattere ambientale, sociale e di governance).
  Tali prospettive sono state oggetto di un importante confronto tra il Vicepresidente della Commissione europea e commissario per il mercato interno e i servizi Michel Barnier e i componenti della Commissione bicamerale nel corso di una importante audizione svoltasi alla Camera il 3 luglio 2014. Barnier ha illustrato i contenuti del pacchetto di misure riguardanti il l'incentivazione dell'uso del risparmio previdenziale per il finanziamento a medio e lungo termine dell'economia reale in Europa, nel quadro del complesso delle iniziative assunte dalla competente Direzione generale per lo sviluppo dell'economia e la liberalizzazione delle attività economiche.

4. Misure di incentivazione.
  Alla Commissione appaiono auspicabili interventi per modificare taluni aspetti della normativa relativa ai Fondi Pensioni e alle Casse private, sia per incentivare il settore e favorire il consenso di tali soggetti previdenziali ad investire in iniziative di supporto all'economia reale, sia per convogliare tali risorse finanziarie verso iniziative di sviluppo che possano utilizzare il risparmio previdenziale.
  In termini finanziari secondo una stima prudenziale (prof. Brambilla), considerato che ogni anno in media tra patrimoni dei Fondi e delle Casse private, sono in scadenza circa 8 miliardi di euro investiti in titoli e che una cifra analoga è ipotizzabile per nuovi flussi finanziari da investire, si può ipotizzare una massa critica pari ad almeno 5 miliardi di euro per anno per almeno dieci anni di investimenti gestiti dal settore del risparmio previdenziale.
  Di seguito sono ipotizzate tre linee di intervento:
   4.1 Interventi fiscali per stimolare gli investimenti della previdenza complementare in iniziative di sviluppo del Paese: la leva fiscale non deve rispondere solo all’esigenza contingente di ripristinare o mantenere la tenuta dei conti pubblici ma anche costituire una leva di politica economica a disposizione del Governo e del Parlamento per una politica di sviluppo, così come avviene in altri Paesi europei che Pag. 224utilizzano la linea fiscale per incentivare l'economia e per operare in senso competitivo con gli altri Stati, in assenza ormai dello strumenti di politica monetaria devoluti all'Unione europea e alla banca centrale europea.
   4.2 Interventi ordinamentali concernenti la normativa della previdenza complementare, sia per i Fondi pensione che per le Casse previdenziali, con misure di agevolazione per stimolare il settore e favorire l'impiego, in condizioni di sicurezza del risparmio, di parte delle risorse ottenute per la promozione di interventi a sostegno dell'economia del Paese; altre misure possono riguardare lo sblocco di parte delle risorse degli enti previdenziali pubblici, segnatamente l'INAIL, attualmente immobilizzati nel conto di Tesoreria unica.
   4.3 Modalità finanziarie della destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale, attraverso investimenti diretti ovvero ampliando il ruolo della Cassa Depositi e prestiti, per favorire l'impiego di interventi strutturali a sostegno dell'economia, in connessione con lo sviluppo dell'impiego di risorse a sostegno del Paese derivanti dalla previdenza complementare.

4.1 Interventi fiscali.
  Diversi interventi legislativi degli ultimi anni hanno utilizzato la leva tributaria per incentivare il settore delle infrastrutture: tale meccanismo potrebbe dunque essere utilizzato anche nel caso di destinazione di parte dei patrimoni dei FP e delle Casse per iniziative di sviluppo del Paese. Eventuali agevolazioni nella tassazione del risparmio previdenziale, se destinato a iniziative di sviluppo infrastrutturale di rilevanza pubblica, rispetto alla tassazione previste per risparmi di altro tipo può costituire una misura efficace per convogliare risorse sull'iniziativa.
  Tra le forme di tassazione agevolata o esenzione fiscale previste nella legislazione di sostegno all'impresa più recente, e che costituiscono modelli utilizzabili anche per l'iniziativa in oggetto, si ricordano al proposito: la tassazione agevolata dei cosiddetti project bond (articolo 1 decreto-legge n. 83/2012), che prevede l'applicazione di un'imposta sostitutiva con aliquota al 12,5 per cento sulle emissioni obbligazionarie effettuate nei tre anni successivi al 26 giugno 2012 da parte delle società di progetto per finanziare gli investimenti in infrastrutture o nei servizi di pubblica utilità; l'esenzione fiscale (articolo 31 del decreto-legge n. 98/2011) dei proventi derivanti dalla partecipazione ai Fondi di Venture Capital (FVC) specializzati nelle fasi iniziali di avvio delle imprese, per sostenere i processi di crescita di nuove imprese tramite fondi comuni di investimento che investano almeno il 75 per cento dei capitali raccolti in società non quotate e con sede operativa in Italia da non più di 36 mesi e con un fatturato non superiore ai 50 milioni di euro, nella fase di sperimentazione (seed financing), costituzione (start-up financing), avvio dell'attività (early-stage financing) e sviluppo del prodotto (expansion financing); la non applicazione (articolo 1 del D.Lgs. n. 239/1996) della ritenuta del 12,50 per cento di cui al primo comma dell'articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/1973 sugli interessi, premi ed altri Pag. 225frutti delle obbligazioni e titoli similari emessi da banche e da società per azioni con azioni negoziate in mercati regolamentati italiani, nonché delle obbligazioni e degli altri titoli indicati nell'articolo 31 del decreto del Presidente della Repubblica n. 601/1973 ed equiparati, ivi compresi quelli emessi da enti pubblici economici trasformati in società per azioni in base a disposizioni di legge. Tra gli interessi, premi ed altri frutti è compresa anche la differenza fra la somma percepita alla scadenza dai possessori dei titoli e il prezzo di emissione.
  La Corte dei conti, nel corso dell'audizione dello scorso 20 marzo presso la Commissione, ha rilevato che «relativamente al sistema di tassazione del risparmio previdenziale, alla luce della capacità di sostenere gli investimenti che caratterizza questo tipo di risparmio, nella generalità dei Paesi il regime di tassazione del risparmio previdenziale è più favorevole di quello riconosciuto al risparmio di altro tipo. Almeno in astratto, sarebbero auspicabili in Italia interventi che favorissero ulteriormente il risparmio previdenziale».

4.1.1 Ipotesi di agevolazioni fiscali.

  Il regime fiscale delle rendite finanziarie è stato recentemente innovato dall'articolo 3 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale).
  Tale tema, in un quadro di equilibrio finanziario complessivo ed attento a tutti gli effetti potenzialmente suscettibili di prodursi per effetto della riforma, potrebbe essere oggetto di ulteriori interventi finalizzati ad introdurre forme di incentivazione che prevedano un carico fiscale decrescente al crescere del periodo di detenzione delle attività, agevolando per tale via gli investimenti di lungo periodo, ovvero di esenzione totale.
   a) Il regime tributario delle forme pensionistiche complementari prevede (articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252) che i FP siano soggetti ad imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura dell'11 per cento, da applicarsi sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta. Tale aliquota è stata elevata per il 2014 al 11,5 per cento dall'articolo 4, comma 6-ter, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 recante «Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale», mentre è rimasta invariata l'aliquota per le Casse private al 20 per cento.
  Il calcolo del risultato netto è diverso per i fondi pensione in regime di contribuzione definita ed equiparati (si determina sottraendo dal valore del patrimonio netto al termine di ciascun anno solare, al lordo dell'imposta sostitutiva, aumentato delle erogazioni effettuate per il pagamento dei riscatti, delle prestazioni previdenziali e delle somme trasferite ad altre forme pensionistiche, e diminuito dei contributi versati, delle somme ricevute da altre forme pensionistiche, nonché dei redditi soggetti a ritenuta, dei redditi esenti o comunque non soggetti ad imposta e il valore del patrimonio stesso all'inizio dell'anno) per quelli in regime di prestazioni definite ed equiparate (si determina sottraendo dal valore attuale della rendita in via di costituzione, calcolato al Pag. 226termine di ciascun anno solare, ovvero determinato alla data di accesso alla prestazione, diminuito dei contributi versati nell'anno, il valore attuale della rendita stessa all'inizio dell'anno).
   b) Per le casse previdenziali private le plusvalenze finanziarie generate dagli investimenti da parte delle Casse sono tassate, come detto, al 20 per cento. Nel corso delle audizioni l'ADEPP ha rilevato criticamente la sperequazione con i FP, trattandosi in entrambi casi di risparmio previdenziale, nonché la differenza di tassazione rispetto ad altri Paesi, ad esempio la Francia, nei quali vi sono forme di riduzione o esenzione fiscale per fattispecie analoghe. Un secondo profilo fiscale riguarda la tassazione degli immobili, per i quali la tassazione IMU e legislazione successiva è applicata integralmente, mentre sono esenti soggetti di rilevanza sociale e religiosa. L'ADEPP ha chiesto di intervenire anche in tale materia. Un ulteriore profilo rilevato dall'ADEPP riguarda il regime dell'IVA che per le Casse previdenziali, in quanto enti pubblici inclusi nell'elenco ISTAT, rappresenta un costo finale da pagare e non scaricabile. (3)

  L'imposizione della previdenza complementare possono essere confrontati, con riferimento ad una visione comparatistica dei sistemi in uso nei principali Paesi occidentali, come emerso nel corso delle audizioni con il MEFOP del 24 giugno 2014 e della Banca d'Italia dell'11 giugno 2014, con riguardo a tre diversi indici di base imponibile: l'accantonamento dei contributi, l'accumulo dei rendimenti, la percezione della rendita.
  In prima analisi occorre osservare che il regime fiscale della previdenza complementare è differente nei vari Paesi dell'Unione europea. In generale prevale un modello di tassazione sulle tre fasi definito come EET (acronimo di: Esente, Esente, Tassato).
  Il sistema della previdenza complementare nel Regno Unito, in particolare, è stato oggetto di una missione di studio da parte della Commissione nelle giornate del 9 e 10 giugno 2014.
  In tale sistema, ove i Fondi Pensione sono molto sviluppati, rispetto alle tre fasi dell'accantonamento, in cui vengono versati contributi provenienti dai redditi di lavoro, dell'accumulazione, in cui i contributi versati fruttano un rendimento che costituisce un reddito di capitale in capo al gestore del Fondo, e della prestazione, in cui si ha l'erogazione della pensione a favore del lavoratore, composta da tre voci (i contributi versati, i redditi di capitale maturati nella fase di accumulazione e i redditi di capitale che continuano a maturare nella fase di erogazione della prestazione pensionistica), esiste un regime di tassazione qualificato come EET (acronimo di: Esente, Esente, Tassato):
   la prima fase è di fatto esente, in quanto l'accantonamento annuale non assoggettato ad imposizione e deducibile dal reddito da lavoro dipendente, da lavoro autonomo o di impresa, è pari a 50.000 sterline (ridotto a 40.000 per l'anno di imposta 2014/2015); vi è un'ulteriore deduzione sino a 3.660 sterline qualora si abbiano solo Pag. 227redditi diversi dai precedenti. La deduzione non utilizzata può essere riportata in avanti per 3 anni. L'ammontare complessivo dei contributi versati in esenzione di imposta è pari ad 1,5 milioni di sterline (ridotto a 1,25 milioni per il 2014/2015, lifetime allowance); l'eventuale eccesso di contribuzione è tassato in fase di percezione con un'aliquota del 25 per cento se usufruito sotto forma di rendita, del 55 per cento se usufruito sotto forma di capitale;
   la fase dell'investimento è anch'essa esente poiché il fondo pensione non è soggetto ad imposte sui rendimenti ottenuti con la gestione;
   le prestazioni sono sottoposte all'imposizione progressiva al momento della percezione, quando percepite sotto forma di rendita, con aliquote del 20 per cento, del 40 per cento e del 45 per cento; la quota percepita sotto forma di capitale non può superare il 25 per cento del montante accumulato ed è esente da imposte; vi sono regole specifiche per la tassazione di somme prelevate dal montante prima di averne maturato il diritto (per motivi di salute o in caso di morte, ecc...).

  Il modello EET è il modello prevalente utilizzato in Europa. In dottrina (prof. Onofri) se ne auspica l'adozione anche in Italia o quantomeno di passare da una aliquota applicata sul maturato a una sul realizzato, come ormai per tutti gli strumenti di investimento a disposizione degli italiani.
  Il sistema italiano, viceversa, è riconducibile ad un modello di tassazione ETT: la fase dell'accumulazione, è sostanzialmente esente, in quanto l'articolo 8, comma 4 del D.Lgs. 252/2005 prevede che i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, alle forme di previdenza complementare, sono deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57; i contributi versati dal datore di lavoro usufruiscono altresì delle medesime agevolazioni contributive di cui all'articolo 16; ai fini del computo del predetto limite di euro 5.164,57 si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza di cui all'articolo 105, comma 1, del citato TUIR; la tassazione dei rendimenti maturati in ciascun anno è fissata all'11,5 per cento (11 per cento fino al 2013); la tassazione delle prestazioni pensionistiche complementari erogate in forma di rendita, infine, ai sensi dell'articolo 11, comma 6 del citato D.Lgs n. 205, sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta e a quelli di cui alla lettera g-quinquies) del comma 1 dell'articolo 44 del TUIR: sulla parte imponibile delle prestazioni pensionistiche erogate è pertanto operata una ritenuta a titolo d'imposta con l'aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali (sino al 9 per cento, quindi, nell'ipotesi di una anzianità contributiva di 35 anni). Le prestazioni pensionistiche Pag. 228complementari erogate in forma di capitale sono imponibili per il loro ammontare complessivo al netto della parte corrispondente ai redditi già assoggettati ad imposta.
  Per le Casse private rispetto alle tre fasi della tassazione (accantonamento dei contributi, accumulo dei rendimenti, percezione della rendita), si ha una situazione del tipo ETT, ma, come sostenuto dall'ADEPP nel secondo Rapporto sulla previdenza privata italiana del luglio 2013 e nel Manifesto per un welfare dei professionisti italiani del gennaio 2013, più gravoso rispetto a quello previsto per i FP. I contributi versati dagli iscritti sono esenti da tassazione fiscale in forza di quanto previsto dall'articolo 38, comma 11 del decreto-legge n. 78/2010 conv. con mod. dalla legge n. 122/2010, che ha esteso anche all'esercizio di attività previdenziali e assistenziali da parte di enti privati di previdenza obbligatoria la disciplina dell'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 che prevedeva tale esenzione per gli enti pubblici. Il trattamento fiscale dei rendimenti mobiliari (esclusi i dividendi, le commissioni retrocesse e i rendimenti immobiliari, quali i canoni di locazione, che sono assoggettati all'IRES) sono tassati al 20 per cento in forza dell'articolo 2, comma 6 del decreto-legge n. 138/2011, a partire dal 2012. Infine, il trattamento fiscale delle prestazioni prevede l'assoggettamento delle prestazioni percepite alle aliquote IRPEF: la relativa base imponibile è data dal valore della prestazione pensionistica al lordo dei rendimenti conseguiti dall'ente previdenziale. L'ADEPP parla espressamente al proposito, perciò, nel citato Rapporto di «regime di doppia tassazione».
  È stato osservato (prof. Onofri) che per la previdenza privata in Europa prevale lo schema EET e che se questo schema fosse adottato anche in Italia potrebbe determinarsi l'effetto di destinare il patrimonio a investimenti a capitalizzazione almeno fino a quando il saldo attuariale consenta di pagare le prestazioni con le contribuzioni, non pagando di conseguenza imposte ovvero prevedere che l'imposta su cedole/dividendi e capital gain sia calcolata ma non versata bensì inserita in apposito fondo a bilancio e investita obbligatoriamente in titoli di Stato a zero coupon appositamente emessi dal Tesoro, con l'effetto di incrementare gli attivi destinati alle prestazioni e migliorare nel tempo i ridotti funding ratio che caratterizzano questi Enti. Si sottolinea poi l'esigenza di valutare di consentire a questi Enti di recuperare l'IVA pagata.
  Vanno affrontati perciò sia il tema sia del sistema di tassazione dei Fondi Pensione, in rapporto ad esperienze estere in Paesi ove la previdenza complementare è molto più sviluppata, sia quello dell'armonizzazione della tassazione delle due forme di risparmio previdenziale (Fondi pensione e Casse private).
  Tale concetto è stato peraltro già sancito in sede normativa dal comma 6-bis dell'articolo 4 del recente decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 che prevede l'armonizzazione, a decorrere dal 2015, della «disciplina di tassazione dei redditi di natura finanziaria degli enti previdenziali di cui al decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e al decreto legislativo 10 febbraio 1996, n. 103, con quella relativa alle forme pensionistiche e complementari di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252». Per intanto tale norma ha riconosciuto alle Pag. 229Casse private un credito d'imposta pari alla differenza tra l'ammontare delle ritenute e imposte sostitutive applicate nella misura del 26 per cento sui redditi di natura finanziaria relativi al periodo dal 1o luglio al 31 dicembre 2014, dichiarate e certificate dai soggetti intermediari o dichiarate dagli enti medesimi e l'ammontare di tali ritenute e imposte sostitutive computate nella misura del 20 per cento.
  È stato osservato (prof. Onofri) che occorre distinguere tra tassazione per i lavoratori (nella fase di accantonamento e di erogazione della rendita) e per i gestori del risparmio previdenziale (fase di accumulo). Nel caso di implementazione di sistemi di adesione obbligatoria ai FP con meccanismi di opting out si propone di rendere più elevato il contributo deducibile, mentre per il dipendente pubblico va reso conveniente il passaggio al TFR così come occorre valutare forme di incentivazione per l'adesione dei lavoratori autonomi, salvo restituire il beneficio in caso di infedeltà fiscale acclarata.
  Un'ipotesi possibile sarebbe quella di detassare, nelle forme possibili, gli utili derivanti da investimenti finanziari nell'economia reale, con finalità di incentivazione dell'impiego dei patrimoni dei FP e delle casse per investimenti infrastrutturali di lungo periodo o per finalità sociale, differenziando a fini fiscali gli investimenti mobiliari da quelli immobiliari. In tal senso si è espresso il prof. Onofri affermando che «una possibile e semplice soluzione potrebbe essere data dall'esenzione dei redditi derivanti da tali tipologie di investimenti in capo ai Fondi Pensione e Casse». Ciò potrebbe avvenire sia per i FP che investano in fondi comuni specializzati in iniziative di sostegno infrastrutturale sia per le Casse che siano disponibili ad investimenti finalizzati a sostegno del Paese: ad esempio, per investimenti a favore della ricerca o dell'innovazione tecnologica nel settore della sanità la Commissione ha acquisito un interesse della cassa di riferimento dei medici (l'ENPAM) e analogamente per interventi in iniziative di sviluppo infrastrutturale vi potrebbe essere quello della Cassa degli ingegneri (l'INARCASSA) ovvero per investimenti in immobili, nei casi di destinazione all’housing sociale.
  Nella citata audizione del 25 giugno 2014 il sottosegretario Baretta ha affermato come «in sede di conversione del decreto-legge 66/2014, il Governo abbia già previsto un percorso finalizzato a un trattamento uniforme dei diversi enti previdenziali. In particolare, nell'attesa di una revisione del profilo giuridico e fiscale delle casse di previdenza private, unitamente alla tassazione dei fondi pensione, il Governo ha ritenuto di neutralizzare l'aumento dell'aliquota dal 20 per cento al 26 per cento (previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 66/2014) sui proventi delle casse previdenziali private, concedendo alle stesse un credito di imposta pari all'ammontare delle maggiori ritenute pagate nel periodo luglio – dicembre 2014.» «Pertanto, in prossimità dell'applicazione dell'incremento dell'aliquota sui redditi di natura finanziaria è stato deciso di evitare un nuovo allargamento del divario di trattamento fiscale tra fondi pensione e casse previdenziali private, nelle more di una revisione del regime di tassazione delle casse, e di una loro equiparazione ai fondi pensione.». In particolare è stato espresso l'avviso che «si potrebbe ipotizzare una tassazione del rendimento del patrimonio finanziario delle Casse con un'imposta che sostituisce le imposte sui redditi dovute dalle Casse, mantenendo sui rendimenti del patrimonio immobiliare la Pag. 230tassazione propria degli enti non commerciali. A tal fine sarebbe necessario prevedere una separazione ai fini fiscali del patrimonio c.d. mobiliare e tassare il rendimento di tale patrimonio con un sistema analogo a quello previsto dal D. Lgs. n. 252 del 2005, relativo alla disciplina delle forme pensionistiche complementari.»

4.1.2 Coperture finanziarie.

  La detassazione implica il tema delle coperture finanziarie necessarie a compensare le minori entrate fiscali per lo Stato (prof. Pizzuti); Un punto da approfondire riguarda perciò le coperture, in sede di definizione del bilancio pubblico, onde definire gli eventuali differenziali di aliquota praticabili e i volumi degli investimenti finanziari incentivabili, in quanto incentivi fiscali del tipo «tax expenditure» hanno ovviamente effetti di finanza pubblica (prof. Geroldi). Tale questione va esaminata alla luce delle coperture ritenute necessarie alla luce del ciclo economico complessivo che tali operazioni di investimento istituzionale potrebbero ragionevolmente innescare: basti pensare all'effetto di incremento dell'IVA per lo Stato derivante dall'avvio di attività economiche, che potrebbe compensare il minore introito per lo Stato.
  Per quanto attiene alle problematiche legate alla copertura finanziaria dei temi oggetto dell'audizione nell'audizione del sottosegretario Baretta si sottolinea che «le previste maggiori entrate per lo Stato nel medio termine e i loro potenziali effetti positivi, legati alla creazione di nuove attività economiche, sulla base di un circuito virtuoso di crescita, non sono ricompresi tra le modalità di copertura previste dall'articolo 17, c. 1 della legge di contabilità e finanza pubblica (L. 196/2009). In particolare le maggiori entrate indicate dalla Commissione rappresentano effetti indotti che quindi non possono essere utilizzati come forme di copertura di oneri certi, poiché legati a potenziali comportamenti che ne rendono aleatoria una puntuale quantificazione. Nondimeno il tema esiste e va affrontato con una riflessione più generale. Negli ultimi tempi, infatti, si è constatato come vi siano investimenti o spese che provocano maggiori entrate, anche sufficientemente prevedibili e certe. È il caso, ad esempio, della legge sull'efficientamento energetico o della stabilizzazione a ribasso dello spread, che determina nuove e maggiori entrate nelle casse dello Stato».

4.2 Interventi di carattere ordinamentale.

4.2.1 Interventi per le Casse private.
  È attualmente in atto una controversia giuridica circa la natura, privata o pubblica, delle Casse, originata da un ricorso proposto dall'ADEPP e dalle Casse avverso l'inclusione nell'elenco dell'ISTAT degli enti pubblici. Tale questione è emersa in sede di audizioni dei Pag. 231rappresentanti dell'ADEPP presso la Commissione Enti Previdenziali come punto necessario eventualmente di un'interpretazione in sede legislativa.
  Con sentenza del TAR Lazio, Sezione III Quater n. 1938/2008, era stato accolto il ricorso di ADEPP e delle casse private contro l'inclusione delle stesse nel conto consolidato con l'elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nell'elenco ISTAT, dal quale discende la natura «pubblicistica» delle Casse; il Consiglio di Stato, con sentenza n. 06014/2012REG ha annullato la sentenza del TAR, statuendo la natura pubblicistica di tali enti e l'inclusione dell'elenco ISTAT, considerando che «la trasformazione operata dal d.lgs.509/1994 ha lasciato, quindi, immutato il carattere pubblicistico dell'attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli Enti in esame, che conservano una funzione strettamente correlata all'interesse pubblico, costituendo la privatizzazione una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo».
  Dalla declaratoria della natura pubblicistica o privatistica dipendono la definizione di una serie di questioni sul regime di attività delle Casse (bilancio di natura privatistica o pubblicistica; regime dei controlli, essendo le Casse, a differenza dei Fondi Pensione, sottoposte alla vigilanza sia della Covip che riferisce al Ministero del lavoro sia della Corte dei conti e alla vigilanza, applicazione delle normative relative al pubblico impiego – spending review, blocco turn-over – ecc.). L'impostazione pubblicistica comporta in sostanza l'applicazione alle Casse della normativa in tema di gestione previdenziale, amministrativa e finanziaria prevista per le pubbliche amministrazioni. Tale situazione va esaminata alla luce della realtà economica di un comparto (c.d. secondo pilastro della previdenza) che dal punto di vista finanziario è comparabile e potrebbe pertanto richiedere un intervento legislativo, eventualmente nel quadro di misure complessive per potenziare l'utilizzabilità del risparmio previdenziale delle casse per le iniziative di sostegno all'economia reale.
  Da parte di alcuni consulenti della Commissione (prof. Onofri) è stato affermata «la necessità di un intervento legislativo per escluderle definitivamente dagli Enti di cui all'elenco ISTAT, pur ribadendo che la natura privatistica si accompagna a funzione pubblicistica». Altro tema rilevante è quello della riforma della governance secondo un modello di governance duale, con i rappresentanti elettivi delle categorie presenti negli Organi di Indirizzo e Controllo e la presenza nel Consiglio di amministrazione di manager ed esperti di previdenza e finanza e la cessazione della presenza di designati dagli organi di vigilanza ministeriale negli organi decisionali, per ovviare alla possibile commistione tra vigilato e vigilante.
  Altra questione evidenziata è quella (prof. Geroldi) concernente «l'ampiezza della gamma e la flessibilità delle scelte di portafoglio dei due soggetti (Casse e Fondi) alla luce delle differenti norme che regolano le rispettive gestioni di portafoglio (valutazione in sede referente di Covip con relazione ai Ministeri vigilanti in un caso; decreto 703 nell'altro caso) e del diverso obbligo previdenziale che nasce da una gestione a ripartizione (peraltro regolata in modo difforme per le casse del 509 rispetto a quelle del 103) e una gestione a capitalizzazione come quella dei Fondi di previdenza complementare».

Pag. 232

4.2.2 Interventi per i Fondi Pensione.

  Sono ipotizzabili modifiche al Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 recante Disciplina delle forme pensionistiche complementari.

4.2.2.1. Modalità per incrementare le adesioni e la platea dei FP.
  Mentre per i lavoratori dipendenti i FP sono finanziati mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del TFR maturando, per gli autonomi e i liberi professionisti il finanziamento è attuato mediante contribuzioni a carico dei soggetti stessi.
  Il conferimento del TFR per i lavoratori privati avviene sia con modalità esplicite, sia con il meccanismo del silenzio-assenso. Tale sistema, che è stato adottato di recente anche nel Regno Unito (c.d. opting out), non è previsto per i lavoratori del pubblico impiego in regime di TFS, per i quali la possibilità di aderire ai fondi pensione è subordinata alla conversione del TFS in TFR. Su tale situazione, che nella pratica si è rivelato un deterrente all'adesione, risultando più conveniente per il dipendente pubblico il mantenimento del regime di TFS, occorre una riflessione, secondo quanto sollecitato dalla COVIP nel corso dell'audizione in Commissione del 2 aprile 2014, ipotizzando forme di incentivazione legate all'adozione del silenzio-assenso anche per i lavoratori del pubblico impiego, eventualmente condizionato all'impiego delle risorse per iniziative di investimento infrastrutturale.
  Va peraltro ricordato (prof. Pizzuti) che in tal caso lo Stato, in qualità di datore di lavoro, dovrebbe anticipare il TFS dei suoi dipendenti in attività che aderissero ai Fondi, per convertirlo nel TFR, comportando quindi un problema di copertura finanziaria.
  Il sistema di tutela pensionistica, già dalle riforme degli anni novanta, è stato concepito, infatti, come un sistema a due pilastri e sempre più è apparso che, in particolare per le coorti di lavoratori la cui pensione di base è da calcolare integralmente con il sistema contributivo, la promessa costituzionale di una pensione adeguata è affidata anche al concorso delle pensione complementare.
  Considerando che tali coorti hanno cominciato a formarsi a partire dalla metà degli anni novanta, il meno che può dirsi è che la non soddisfacente diffusione delle adesioni alle forme pensionistiche complementari ha facilmente coinvolto fasce di lavoratori ampiamente in ritardo nel costruirsi un trattamento pensionistico complessivo, composto da una pensione di base e da una pensione complementare.
  L'urgenza di addivenire a soluzioni in grado di indurre le adesioni è, dunque, innegabile e, a questo punto, dopo tante ipotesi di intervento è il caso di tirare le fila e di sviluppare le ipotesi che si ritengono più efficaci rispetto allo scopo di diffondere la partecipazione alla previdenza complementare.
  L'obbligatorietà per legge, che sotto questo profilo parificherebbe le forme pensionistiche complementari alle forme di previdenza pubblica di base, incontra convincenti obiezioni.
  A parte altre considerazioni, si tratterebbe di un'opzione che, se introdotta, ne trascinerebbe molte altre, non esclusa una diretta Pag. 233responsabilizzazione del soggetto – lo Stato – che in ipotesi imponesse l'obbligo. Il MEFOP nell'audizione del 24 giugno 2014 rileva che: «un approccio di tipo obbligatorio non appare al momento percorribile né auspicabile, per le implicazioni conseguenti, soprattutto in termini di garanzie».
  La soluzione più convincente è quella prospettata, nel corso delle audizioni, centrata su meccanismi di adesione automatica, comportanti l'adesione dei lavoratori alla forma pensionistica di riferimento, con la facoltà di revocare l'adesione entro un determinato periodo: ad esempio, 3 mesi (v. anche MEFOP e prof. Onofri).
  Tale meccanismo dovrebbe scattare al momento dell'assunzione, dovrebbero operare, a partire da una ben determinata data, anche per i lavoratori già in servizio, opportunamente non per tutti ma solo per quelli che più hanno bisogno del concorso di una pensione complementare e che, in ragione dell'età, hanno davanti un congruo periodo di accumulo nella previdenza complementare.
  Problema molto delicato è quello riguardante il tipo di contratto di lavoro di cui il lavoratore deve essere parte, perché nei suoi confronti operi l'adesione automatica.
  Il problema, in particolare, riguarda i lavoratori con contratti di varie caratteristiche, ma comunque a termine.
  Ragioni di carattere generale, oltre il principio di non discriminazione ripetuto più volte dall'ordinamento comunitario a favore dei cosiddetti lavoratori atipici, suggeriscono scelte inclusive, ma forse sarebbe opportuno considerare un minimo di durata del contratto: ad esempio, almeno sei mesi.
  Un punto comunque deve essere chiaro: scelte inclusive assumono davvero valore solo se si collocano in un insieme di specifiche misure volte a sostenere la partecipazione al welfare complementare e integrativo anche dei lavoratori che vivono situazioni di discontinuità lavorativa.
  Nel parlare di adesione automatica, non si può fare a meno di riflettere sulla fonte che tale soluzione dovrebbe prevedere.
  Qualche passo verso tale soluzione potrebbe essere affidato ai contratti collettivi.
  Sennonché, l'esperienza che ha fatto registrare fughe dai contratti collettivi allo scopo di evitare i costi relativi alla contribuzione destinata agli enti bilaterali, suggerisce di puntare alla legge come fonte della prospettata soluzione.
  Infine, non ci si può non interrogare sull'area soggettiva di applicazione della adesione automatica.
  Viene in rilievo, in primo luogo, la situazione delle categorie dei dipendenti da pubbliche amministrazione, a suo tempo esclusi dal meccanismo del silenzio-assenso di cui al d.lgs. n. 252/2005.
  La proposta di coinvolgere ora anche questa platea di lavoratori con esclusivo riferimento a quelli assunti dopo il 1° gennaio 2001, per i quali già opera il regime del Tfr (Covip), appare realistica, a fronte di altre ipotesi che porrebbero maggiori problemi di incidenza sulla spesa pubblica, e utile anche perché viene a coinvolgere fasce di lavoratori pienamente coinvolte negli interventi di razionalizzazione delle pensioni di base.Pag. 234
  Il D. Lgs. n. 252/2005, costruendo il meccanismo dell'adesione come effetto di un periodo semestrale di «silenzio», si è basato sul Tfr (articolo 8, comma 7) e, in questo modo, ha mantenuto del tutto estranee a tale meccanismo tutte le fasce di lavoratori che non conoscono l'istituto del TFR: lavoratori parasubordinati, lavoratori autonomi, anche se economicamente dipendenti.
  Considerando che l'esigenza della integrazione rappresentata dalla pensione complementare è generale, è da valutare se non sia il caso di estendere anche a tali categorie di lavoratori la regola che vede la partecipazione alla previdenza complementare come riflesso naturale dello status professionale, fatta salva la facoltà del recesso.
  Data l'eterogeneità del mondo del lavoro autonomo, andrebbero comunque definiti dei particolari criteri di estensione di tale regola, in modo da distinguere fra aree in cui ha ancora senso continuare a puntare sull'auto-responsabilità e aree in cui è opportuno orientare con più forza le scelte individuali.
  A fronte di esperienze lavorative minime, se non marginali, e di redditi di lavoro autonomo contenuti e magari di processi di innalzamento dei livelli contributivi a favore della previdenza pubblica/obbligatoria, può essere opportuno non intervenire.
  In ogni caso, andrebbe comunque considerato che per i lavoratori autonomi sono meno univocamente individuabili le forme pensionistiche a cui affidare le attese di tutela complementare, per cui occorrerebbe contestualmente riflettere anche sugli sbocchi della partecipazione indotta e su come, in particolare, riuscire a salvaguardare la libertà individuale al riguardo.
  Più in generale, non si può pensare di incentivare la partecipazione alla previdenza complementare ignorando le diversificate situazioni dei regimi previdenziali di base che interessano le varie categorie.
  Per le categorie di professionisti dotate di proprie Casse, ove si pensi ad ulteriori impegni contributivi in vista di una futura copertura pensionistica può apparire prioritario l'incremento delle aliquote contributive di finanziamento di tali Casse, oggi ben lontane da quella dei lavoratori dipendenti, affidato alle loro autonome valutazioni. Ciò ben sapendo che le Casse hanno una rilevante componente a capitalizzazione, cosicché la loro presenza non fa avvertire l'esigenza di una diversificazione ripartizione e capitalizzazione.
  Concludendo sul punto della incentivazione delle adesioni, può essere utile ribadire che questo è un tema che risulta rilevante anche ai fini del potenziamento degli investimenti nell'economia nazionale.
  Dal crescere delle adesioni non solo deriva un aumento delle risorse da investire e delle possibilità di diversificazione su di un più ampio spettro di attività, ma deriva anche la possibilità di diversa qualità degli investimenti.
  Nella nostra esperienza, si tratta soprattutto di conquistare al risparmio previdenziale le fasce di lavoratori più giovani ed è soprattutto per rispondere alle loro esigenze che possono realizzarsi investimenti che richiedono orizzonti temporali più estesi, ossia quegli investimenti più utili anche dal punto di vista delle imprese.

Pag. 235

4.2.2.2. Meccanismi di compensazione per le imprese in rapporto alla mancata disponibilità del TFR per autofinanziamento impiegato nei FP.
  Altra questione rilevante riguarda la non disponibilità per le imprese delle risorse destinate a TFR impiegate in FP, non più utilizzabili quindi come forma di autofinanziamento per le imprese stesse.
  Per ovviare a tale inconveniente il D.Lgs 252/2005 prevedeva alcune modalità di compensazione finanziaria per le imprese.

  Si ricordano: la deducibilità (articolo 10) dal reddito d'impresa di un importo pari al 4 per cento (6 per cento per le imprese per le imprese con meno di 50 addetti) dell'ammontare del TFR annualmente destinato a forme pensionistiche complementari; l'esonero per il datore di lavoro dal versamento del contributo al Fondo di garanzia previsto dall'articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 nella stessa percentuale di TFR maturando conferito alle forme pensionistiche complementari; è stata invece abrogata dall'articolo 1, comma 764, lettera b), della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 la riduzione del costo del lavoro, attraverso una riduzione degli oneri impropri, correlata al flusso di TFR maturando conferito facendo ricorso al Fondo di garanzia, alimentato da un contributo dello Stato, di cui all'articolo 8 del decreto-legge n. 203/2005 – L. n. 248/2005. Va valutato l'effetto di tale abrogazione sulla crescita limitata dei FP, che scontano quindi una tendenziale «sofferenza» delle imprese che perdendo la disponibilità del TFR vedono ridotti i meccanismi di autofinanziamento.
  La questione è di grande rilevanza se si considera che i Fondi pensione sono costituiti prevalentemente da contributi dei dipendenti del settore privato (nel 2012 risultavano 4.160.898 iscritti ai FP, di cui 3.488.479 per i quali risultano accreditati versamenti contributivi nell'anno di riferimento, rispetto ad un totale di occupati nel settore pari a 13.826.000 (dati ISTAT 2012), con un tasso di adesione del 30,1 per cento; i lavoratori autonomi iscritti ai FP nello stesso periodo erano 1.513.010, di cui 995.603 con contributi versati, a fronte di un totale potenziale pari a 5.684.000 lavoratori autonomi, con un tasso di adesione del 26,6 per cento; la partecipazione dei dipendenti del settore pubblico ai FP è estremamente bassa, essendo 154.766 gli iscritti, di cui 152.486 con versamenti a fronte di un totale potenziale di 3.389.000 ed un tasso di adesione del 4,6 per cento.
  Dall'analisi della Banca d'Italia (audizione dell'11 giugno) si evince che costituisce un elemento di criticità della previdenza complementare la bassa adesione della tipologia di lavoratori – giovani (pienamente soggetti al regime contributivo), autonomi (con aliquote contributive inferiori ai lavoratori dipendenti) e dipendenti di PMI (con il rischio di buchi contributivi dovuti all'intermittenza delle carriere) – per cui è maggiore il rischio che il primo pilastro non sia sufficiente per raggiungere una pensione adeguata. Costituisce inoltre disincentivo alla previdenza complementare il rischio connesso alle fluttuazioni dei rendimenti delle attività finanziarie con volatilità delle quotazioni. La Banca d'Italia rileva al proposito che limitate e trasparenti garanzie di rendimento minimo da parte del settore pubblico, tali da proteggere da rischi estremi, potrebbero incoraggiare le adesioni. Altro elemento di criticità evidenziata dalla relazione COVIP per il 2013 è l'elevato numero (20 per cento) di contribuenti «silenti».Pag. 236
  Questi dati confermano la necessità di incentivare ulteriormente il secondo pilastro della previdenza, in quanto l'adesione al 2012 dei potenziali interessati risulta nel complesso estremamente bassa, essendo pari solo al 22,7 per cento. Rispetto a tale soluzione andrebbero ovviamente valutate le connesse problematiche di copertura finanziaria.
  Il meccanismo del Fondo di garanzia o analogo potrebbe essere reintrodotto (prof. Brambilla), anche in rapporto soli impieghi delle risorse versate nei FP per iniziative infrastrutturali di sviluppo del Paese. Nell'originaria versione del D. Lgs. n. 252/2005 erano previsti il finanziamento da parte delle banche, per 10 anni con due anni di preammortamento, della quota annuale di TFR destinata dall'azienda a fondi pensione; il tasso di interesse era individuato con riferimento all'Euribor più un massimo di 150 punti base ed era stata definita una griglia di accesso a seguito di accordo tra l'Abi, le organizzazioni datoriali e i Ministeri interessati; il finanziamento delle banche alle imprese che devolvevano il TFR ai FP era assistito da una garanzia prestata dallo Stato. Tale strumento rispondeva alla logica di evitare di contrapporre il finanziamento della previdenza complementare con le esigenze di autofinanziamento delle imprese, segnatamente delle PMI, per le quali il TFR costituisce risorsa essenziale, particolarmente in periodi credit crunch. Proprio per le PMI i tassi di adesione alla previdenza complementare sono modesti, ed il problema è rilevante dal momento che le piccole imprese che occupano meno di 15 addetti rappresentano il 97 per cento delle aziende attive nel nostro Paese nel 2011. Se le grandi aziende possono più facilmente destinare il TFR ai fondi pensione in quanto hanno accesso sul mercato a forme di finanziamento quali emissioni obbligazionarie corporate, prestiti e finanziamenti dal settore bancario e accesso al mercato borsistico, e le medie imprese che fatturano oltre 15 miliardi di euro sono di sovente partecipate da fondi di private equity o finanziate dal settore bancario, per le piccole e micro imprese invece la impossibilità di accedere a questi tipi di finanziamento invoglia a mantenere in azienda il TFR che in quanto «retribuzione differita» si trasforma di fatto in «circolante interno» per far fronte alle esigenze economiche dell'impresa stessa (prof. Brambilla).

4.2.2.3. Limiti quantitativi e tipologici agli investimenti.
  La CONSOB nell'audizione del 16 aprile 2014 ha sollecitato la Commissione a valutare la possibilità di allentare alcuni limiti quantitativi all'investimento per i fondi pensione.
  La CONSOB ha rilevato che «vincoli quantitativi troppo rigidi all'autonomia gestionale del fondo, traducendosi in una potenziale deresponsabilizzazione dei gestori del fondo stesso, potrebbero avere effetti controproducenti e tradursi, in pratica, in una riduzione dell'efficienza complessiva della gestione e quindi in una minore tutela degli investitori. Al contrario norme relative alla condotta dei gestori e alla disclosure agli aderenti possono essere più efficaci nel garantire una gestione del fondo prudente e in linea con gli interessi dei beneficiari, favorendo anche un maggior coinvolgimento dei fondi pensione nel finanziamento dell'economia senza tradursi in una riduzione del grado di tutela dei beneficiari. Nella medesima prospettiva, per favorire forme di investimento a lungo termine in società quotate, così da attrarre l'interesse di investitori istituzionali Pag. 237attenti a questo profilo, quali particolarmente i fondi pensione, si potrebbe valutare l'introduzione di ulteriori meccanismi di incentivazione, come, ad esempio, le azioni a voto plurimo o loyalty shares, ossia azioni che prevedono una maggiorazione del numero dei diritti di voto in funzione del periodo di detenzione.»
  Il tema, peraltro, va approfondito anche sotto il profilo della adeguatezza in termini di competenza degli organi di governo dei fondi, come rilevato dalla Banca d'Italia nella citata audizione, che ha osservato che «Per quanto riguarda l'adeguatezza delle scelte dei fondi pensione, l'investimento in titoli privati non pare penalizzato dai limiti quantitativi imposti dalla normativa. Può invece essere ostacolato dalla mancanza di competenze degli organi di governo dei fondi: ampliare il ventaglio di attività detenute richiede infatti l'adozione di più sofisticati strumenti per la valutazione e il controllo dei rischi».
  Si deve osservare che il D.Lgs n. 252/2005 ha dettato un'impostazione di carattere prudenziale, positivamente finalizzata a garantire la miglior tutela del risparmio previdenziale. L'attività di investimento deve svolgersi, pertanto, nell'esclusivo interesse degli aderenti e in modo da assicurare la sicurezza, la qualità, la liquidità e la redditività del patrimonio del fondo. Le attività oggetto d'investimento devono essere rappresentate, in misura predominante, da titoli negoziati sui mercati regolamentati e garantire un'adeguata diversificazione del portafoglio complessivo. In particolare, la normativa prevede limiti quantitativi agli investimenti, in termini sia di tipologie di strumento finanziario sia di emittente, che sono più stringenti nel caso di attività illiquide.
  La norma fondamentale è quella dell'articolo 6 (Regime delle prestazioni e modelli gestionali) del D.Lgs, n. 252/2005, come modificato dall'articolo 1, comma 1, del D.lgs. 6 febbraio 2007, n. 28, che (commi 5-bis e seguenti) ha demandato ad un decreto del MEF, sentita la COVIP, l'individuazione dei limiti quantitativi agli investimenti. Il testo vigente è il decreto del Ministero del Tesoro 21 novembre 1996, n. 703, oggetto attualmente di revisione ed attualmente in via di emanazione, sul cui testo di modifica il Consiglio di Stato ha espresso parere favorevole nel febbraio 2014. È tale decreto che disciplina la tipologia di impieghi dei FP, con un'impostazione che si presta a due osservazioni:
   a) a fronte della specificazione di nuovi criteri di gestione, ispirati alla necessità di evitare di ripetere investimenti rischiosi, come avvenuto dopo la crisi finanziaria internazionale degli anni scorsi, e come tale senz'altro condivisibile, si osserva che in esso non sono contenute previsioni esplicite circa modalità di investimento della raccolta del risparmio previdenziale in attività finanziarie finalizzate allo sviluppo infrastrutturale del Paese, purché assistite da garanzia dello Stato, idonee a garantire la rimuneratività degli investimenti e l'equilibrio della gestione dei Fondi pensioni, al fine di garantire in ogni caso l'erogazione delle prestazioni previdenziali agli aderenti;
   b) sono mantenuti limiti quantitativi agli investimenti e tale impostazione va valutata rispetto all'ipotesi di un approccio più flessibile e meno dirigistico, che attribuisce alla COVIP un ruolo molto rilevante nell'orientare la tipologia degli investimenti, da valutare rispetto alle funzioni proprie di un organo di vigilanza.Pag. 238
  La CONSOB nell'audizione del 16 aprile 2014 ha rilevato che il legislatore comunitario ha già da diversi anni adottato un approccio diverso «volto a garantire un'adeguata tutela degli investitori tramite norme in materia di trasparenza e correttezza dei comportamenti, evitando così di incidere direttamente sulle scelte strategiche e gestionali degli intermediari. In tali materie, pertanto, la tutela degli investitori si è tradotta progressivamente in obblighi di disclosure sempre più stringenti e in numerose regole di condotta per gli intermediari. Questo approccio, sebbene richieda, da un lato, una più intensa attività di monitoraggio ed enforcement da parte delle autorità di vigilanza e, dall'altro, maggiori sforzi organizzativi e gestionali per i soggetti vigilati, può risultare più adeguato a perseguire efficacemente l'obiettivo di tutela del risparmio. Tale impostazione inoltre, si connota per una maggiore flessibilità, caratteristica essenziale in un contesto sottoposto a continue innovazioni di prodotto.»
  La proposta è pertanto quella di modificare tale impostazione, modificando l'articolo 6, c. 1, lettera d) che pone un limite quantitativo per la sottoscrizione e acquisizione di quote di fondi comuni di investimento mobiliare chiusi (non superiori al 20 per cento del proprio patrimonio e al 25 per cento del capitale del fondo chiuso) e conseguentemente il decreto ministeriale attuativo, di modifica del DM n. 703/1996, onde evitare l'apposizione di vincoli quantitativi predeterminati, mantenendo l'obiettivo della salvaguardia della solidità della gestione.
  In linea generale, a prescindere dagli interventi di carattere legislativo, è stato sottolineato (prof. Brambilla, MEFOP) che un obiettivo per lo sviluppo della capacità di intervento dei Fondi Pensione, anche su iniziative a sostegno dell'economia reale, riguarda la costituzione di Fondi di Fondi, ovvero forme di concentrazione e specializzazione di Fondi, finalizzate ad operare nel settore degli investimenti innovativi.

4.2.3. Campagne informative.
  L'articolo 22 del D.Lgs. n. 252/2005 aveva autorizzato una spesa di 17 milioni di euro per la realizzazione di campagne informative intese a promuovere adesioni consapevoli alle forme pensionistiche complementari nel 2005. Tale iniziativa potrebbe essere rifinanziata, con un piano nazionale di informazione sulla previdenza pubblica e complementare, per sensibilizzare i lavoratori interessati sulla convenienza di aderire a FP destinati a sostenere l'economia reale, per informarli sulle agevolazioni conseguenti a tale opportunità. Su tale prospettiva si è espresso positivamente in audizione il sottosegretario al MEF Baretta nell'audizione del 25 giugno 2014.

4.2.4. Utilizzo delle risorse dell'INAIL depositate presso la Tesoreria centrale dello Stato.
  Altro tema rilevante per l'individuazione di risorse finanziarie aggiuntive da destinare ad investimenti è quello dell'utilizzo di riserve dell'INAIL attualmente vincolate presso la Tesoreria unica. L'articolo 40 della legge n. 119/1981 (legge finanziaria 1981) ha stabilito che gli enti di cui agli articoli 25 e 31 della legge 5 agosto 1978, n. 468, che abbiano un bilancio di entrata superiore ad un miliardo di lire (tra cui quindi gli Enti pubblici che gestiscono forme di previdenza e di assistenza sociale) non possono mantenere presso Aziende di credito Pag. 239disponibilità a qualsiasi titolo per un importo superiore ad una data percentuale (previsto originariamente al 12 per cento e poi portato al 3 per cento) delle entrate previste dal bilancio di competenza o superiori ad uno specifico tetto fissato con decreto ministeriale, con l'obbligo di versare le eccedenze in appositi conti correnti aperto presso la Tesoreria Centrale dello Stato; successivamente l'articolo 2 della legge n. 720/1984, istitutiva della Tesoreria Unica, ha confermato la predetta disposizione di cui all'articolo 40 della Legge n. 119/1981 per tutti gli enti elencati nella Tabella B, nella quale è inserito anche l'INAIL.
  Il deposito di somme sul conto di Tesoreria unica non dà luogo a rendimenti, essendo infruttifero.
  Secondo il dato riferito dall'INAIL nel corso dell'audizione del 20 novembre 2013 scorso, la liquidità presente sui conti correnti infruttiferi aperti presso la Tesoreria Centrale dello Stato è per l'INAIL di quasi 21 miliardi di euro, contabilmente posta a copertura delle riserve tecniche.
  La Commissione Enti gestori rileva – anche in coerenza con il disposto di cui all'articolo 55, comma 2, della legge 9 marzo 1989, n. 88 – che l'INAIL deve adempiere alle funzioni attribuitegli con criteri di economicità e di imprenditorialità, tra l'altro «realizzando una gestione del patrimonio mobiliare ed immobiliare che assicuri un idoneo rendimento finanziario».
  Pertanto vanno valutate iniziative, anche di carattere legislativo (riferibili al citato articolo 40), che consentano di individuare soluzioni idonee a consentire lo svincolo di una quota parte delle somme dell'INAIL depositate sui conti infruttiferi in Tesoreria, al fine sia di garantire una maggiore redditività di tali somme, anche superiori al tasso di attualizzazione delle riserve tecniche che per legge per l'INAIL è fissato al 2,5 per cento, sia al fine di destinare quota parte di tali risorse verso investimenti che, assistiti da adeguata rimuneratività finanziaria attraverso garanzie assicurate dallo Stato, presentino una loro utilità ed ulteriore valore aggiunto in termini di crescita economica del Sistema Paese.
  Nell'audizione del 25 giugno 2014 del sottosegretario Baretta si rileva al proposito che «l'avanzo di gestione dell'INAIL determinerebbe effetti sul fabbisogno, derivanti dalla necessità di ripristinare la liquidità che verrebbe a fuoriuscire dalla tesoreria. Nondimeno, come avvenuto nell'ultima legge di stabilità, il tema delle risorse eccedenti l'avanzo di bilancio dell'INAIL, e non solo, possono diventare oggetto di interventi finalizzati che trovano in questa fattispecie un particolare valore».

4.3. Modalità finanziarie della destinazione del risparmio previdenziale a sostegno di investimenti nell'economia reale.

  Le risorse del risparmio previdenziale, che già oggi ammontano a diverse decine di miliardi di euro, potrebbero essere utilizzate per sostenere l'economia reale, a condizione di individuare gli opportuni canali di finanziamento.
  La Commissione rileva che il risparmio previdenziale gestito dai Fondi pensione e dalle Casse private, fermo restando l'obiettivo di Pag. 240diversificare il portafoglio, massimizzare il rendimento e ridurre il rischio per i lavoratori, con l'obiettivo fondamentale di garantire l'erogazione delle pensioni agli iscritti, può essere gestito differenziandolo per classi di attività (investimenti finanziari in titoli di Stato, azioni e obbligazioni, immobili, investimenti in iniziative a sostegno dell'economia reale), con l'obiettivo di evitare che quota rilevante delle risorse nazionali, come avviene adesso, siano destinate all'estero e anzi favorendo l'afflusso di ulteriori risorse dall'estero in iniziative italiane, nel quadro della libera circolazione dei capitali propria dell'Unione europea.
  Per ipotizzare forme di investimenti in fondi specializzati in investimenti a sostegno dell'economia reale l'articolo 6 del D.Lgs. 252/2005, relativo alle forme di gestione del risparmio, potrebbe essere modificato, aggiungendo dopo lettere da a) ad e) del comma 1 ulteriori previsioni che oltre alle convenzioni con le banche, le imprese assicurative, le società di gestione del risparmio ovvero la sottoscrizione o acquisizione di azioni o quote di società immobiliari o di fondi comuni di investimento mobiliare chiusi, prevedano tra le forme di impiego anche:
   investimenti diretti in strumenti finanziari specializzati per il sostegno allo sviluppo, segnatamente in alcuni degli strumenti innovativi per lo sviluppo dell'economia (covered bonds, mini bond), particolarmente a sostegno della PMI;
   un rapporto convenzionale con la Cassa Depositi e Prestiti, affinché la provvista così ottenuta, a fronte eventualmente di sottoscrizione o acquisto di obbligazioni emesse da CDP, sia sommato alla provvista derivante dal risparmio postale per il finanziamento degli interventi a sostegno dell'economia già esistenti nell'ambito della normativa che riguarda la CDP;
   iniziative per promuovere, in collaborazione con associazioni professionali interessate, la creazione e/o l'individuazione di strumenti finanziari coerenti con le particolari esigenze di investimento dei fondi pensionistici complementari.

  Per selezionare i settori strategici di intervento, ipotizzando ad esempio proposte del MISE al riguardo, occorre individuare i settori produttivi, le aree di intervento da privilegiare in un'ottica di investimenti promossi dai Fondi, anche ipotizzando forme di garanzia dello Stato. A tal fine si richiama la necessità di promuovere gli investimenti prevalentemente in quei settori capaci nei prossimi anni di rappresentare innovazione tecnologica e al tempo stesso di incanalare gli investimenti su progetti ad alta concentrazione, determinando in tal modo garanzia e qualità dell'investimento stesso.
  Appare utile l'individuazione di una fonte legislativa capace di incentivare la collaborazione tra le forme pensionistiche anche in considerazione delle dimensioni talora ridotte delle stesse. Ciò per facilitare la formazione di masse di risorse investite di una qualche consistenza e, prima ancora, per agevolare una strutturazione di competenze e professionali all'altezza dell'attività da svolgere e, aspetto non secondario, per ridurre i costi connessi.Pag. 241
  È stato rilevato (prof. Onofri) che sono già consentiti allo stato due modalità di investimento da parte dei Fondi Pensione a sostegno dello sviluppo del Paese: la sottoscrizione e acquisizione diretta di quote di Fondi Comuni di investimento mobiliare chiusi (fattispecie già consentita entro i limiti sopra riportati) tra cui anche quelli promossi da Cassa Depositi e Prestiti: Fondo Italiano d'Investimento, Fondo di Fondi di private debt e un Fondo di Fondi Venture Capital; la sottoscrizione da parte delle società che gestiscono le risorse dei Fondi pensione di titoli di debito e di capitale emessi da CdP o da società controllate da CdP (buoni fruttiferi postali, obbligazioni emesse da CdP nell'ambito di programmi EMTN, quote di FSI S.p.a o di CDP Reti S.p.a.) o di altri strumenti quali i project-bond, i covered bonds ecc. In quest'ultimo caso andrebbe valutato l'eventuale ampliamento dei limiti di concentrazione previsti dal DM 703 (in particolare il limite del 5 per cento relativo alla concentrazione per singolo emittente).
  La diversa natura tipologica dei fondi pensione (negoziali, aperti, preesistenti e Piani d'investimento individuali) è rilevante per differenziare eventualmente le misure di incentivazione. I dati COVIP mostrano che il totale di risparmio veicolato in tali strumenti nel 2012 era di 104.401 milioni di euro. Di tutte le forme di previdenza complementare sono i fondi chiusi e i PIP gli strumenti che registrano la di maggiore adesione, e quindi quelli rispetto ai quali occorre valutare le forme di incentivazione a sostegno dell'iniziativa in oggetto.
  Dalla Relazione COVIP per il 2012 emerge che per la previdenza complementare i lavoratori iscritti erano così ripartiti:
   ai 39 Fondi pensione negoziali (chiusi), costituiti in base all'iniziativa delle parti sociali (mediante contratti o accordi collettivi, regolamenti aziendali, accordi fra lavoratori autonomi o liberi professionisti promossi dai sindacati o dalle associazioni di categoria) e riservati ai lavoratori del settore, con il risparmio gestito da enti non profit (associazioni ex articolo 36 cod. civile) tenuti ad affidare a gestori specializzati le proprie risorse) aderivano 1.969.771 lavoratori;
   ai 59 Fondi pensione aperti, istituiti da banche, SGR, SIM e imprese di assicurazione rivolti a tutti i lavoratori, con adesione su base individuale o su base collettiva o anche a soggetti che non svolgono attività di lavoro, nella forma di patrimonio di destinazione (articolo 2117 cod. civile) e gestiti direttamente da operatori finanziari, bancari e assicurativi, aderivano 913.913 lavoratori;
   ai 361 Fondi pensione preesistenti, già istituiti all'entrata in vigore del D.Lgs 124/1993, autonomi se dotati di soggettività giuridica e interni se costituiti come poste di bilancio o patrimonio di destinazione delle imprese – banche, imprese di assicurazione e società non finanziarie – presso cui sono occupati i destinatari dei fondi stessi, aderivano 659.920 lavoratori;
   ai 76 PIP, Piani pensionistici individuali realizzati attraverso contratti individuali di assicurazione sulla vita da parte di imprese di assicurazione, «nuovi» (se conformi al D.Lgs 252/2005) aderivano 1.777.024 lavoratori e ai PIP «vecchi» (istituiti prima della riforma del 2005) aderivano 534.816 lavoratori.
  Come rilevato dal MEFOP nel corso dell'audizione del 24 giugno 2014, a fronte di una quota di investimento in Italia di circa il 30 per cento del patrimonio detenuto dai Fondi Pensione, le risorse che Pag. 242affluiscono al sistema produttivo italiano sotto forma di quote del capitale di rischio e di debito, è assolutamente residuale, in quanto circa il 92 per cento dell'investimento in Italia è destinato a titoli di Stato. Secondo il MEFOP «Le ragioni alla base del basso afflusso di risorse al tessuto produttivo italiano sono molteplici, a partire dalla struttura finanziaria e industriale del nostro paese. Il nostro sistema è costituito soprattutto da piccole e medie imprese non quotate, da sempre caratterizzate da una scarsa trasparenza, da una tradizione di gestione familiare e un rapporto difficile con il mercato; la capitalizzazione di borsa è limitata rispetto a quella di altre realtà internazionali e ciò fa sì che il peso dell'Italia negli indici mondiali sia irrilevante. L'adozione da parte dei fondi pensione di un modello a benchmark, basato su indici di mercato azionari globali, determina dunque investimenti marginali nel mercato italiano dei titoli di capitale. Vi sono poi difficoltà tecniche legate alle caratteristiche degli strumenti finanziari, attraverso i quali sarebbe possibile convogliare risorse al nostro paese, che si configurano, dal punto di vista giuridico, come fondi chiusi. Ci si riferisce agli investimenti in private equity, infrastrutture, mini-bond ed energie rinnovabili, soltanto per citarne alcuni. Seppur ammissibili già con la normativa vigente, questi strumenti presentano peculiarità tali che i fondi pensione, al momento, non ne hanno ancora sfruttato le potenzialità, fatta eccezione per alcuni fondi preesistenti. Il minor grado di liquidabilità, i costi più elevati, la valorizzazione delle quote, la maggiore complessità gestionale sono alcuni degli aspetti critici su cui i fondi pensione si stanno confrontando per individuare soluzioni condivise a livello di settore.»

  Circa il possibile interesse degli investitori per la destinazione del risparmio previdenziale in iniziative finalizzate ad investimenti a medio-lungo termine a sostegno dell'economia reale, vanno favorite le condizioni per rendere convenienti tali prospettive, sempre tenuto conto degli indicatori di rischio delle singole attività e del portafoglio nel suo complesso e dell'avversione al rischio degli investitori.
  Circa i rendimenti si osserva che la COVIP (dati ripresi dalla Banca d'Italia nella citata audizione dell'11 giugno) ha rilevato che dal 2000 il rendimento medio annuo, al netto degli oneri di gestione e fiscali, dei fondi pensione negoziali è stato del 2,8 per cento, per quelli aperti l'1,3 per cento, mentre la rivalutazione media del TFR, al netto dell'imposta sostitutiva, è stato del 2,7 per cento.
  Il sottosegretario del Ministero dell'economia e delle Finanze Baretta nella citata audizione ha rilevato che le misure per favorire l'utilizzo del risparmio previdenziale in forme d'investimento in infrastrutture ed opere pubbliche «che più direttamente potrebbero interessare fondi pensione e casse di previdenza private riguardano l'investimento in strumenti finanziari legati al finanziamento di infrastrutture o di piccole e medie imprese (emessi eventualmente anche da CDP) che abbiano un regime agevolato alla stregua di altri strumenti che negli anni precedenti sono stati appositamente introdotti da specifiche disposizioni normative. È opportuno dirci con grande chiarezza che la positività di questo processo risiede non solo nel raggiungimento di obiettivi d'investimento condivisi e chiaramente finalizzati alla crescita ma anche nella capacità di evitare il rischio che Pag. 243gli investimenti dei fondi nell'economia reale si trasformino in una nuova EFIM o GEPI. Al contrario, invece, sottolineo nuovamente la possibilità d'interventi nel patrimonio pubblico italiano e nella sua valorizzazione nonché nella costruzione di reti digitali, di welfare, ecc., da gestire sia al livello nazionale che locale».
  Si osserva inoltre che «l'utilizzo delle risorse dei fondi pensione per interventi di sviluppo dell'economia reale non pone particolari problemi sui saldi di finanza pubblica, nel presupposto che non vi siano forme di sostegno pubblico a tali investimenti».

4.3.1. Investimenti diretti in strumenti finanziari specializzati per il sostegno allo sviluppo.
  Gli intermediari finanziari abilitati alla gestione e gli investitori istituzionali che investono risorse finanziarie per conto di altri sulla base di un mandato di gestione (le SIM-Società di intermediazione mobiliare, banche italiane e soggetti extracomunitari autorizzati all'esercizio dell'attività di gestione su base individuale di portafogli di investimento per conto terzi ovvero soggetti che svolgono la medesima attività, con sede in uno dei paesi aderenti all'Unione europea, che abbiano ottenuto il mutuo riconoscimento; le SGR-Società di gestione del risparmio, s.p.a. con sede legale e direzione generale in Italia autorizzata a prestare il servizio di gestione collettiva del risparmio; gli OICR-organismi di investimento collettivo del risparmio, ossia i Fondi comuni di investimento e le SICAV-Società per azioni di investimento a capitale variabile, aventi per oggetto esclusivo l'investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l'offerta al pubblico di proprie azioni; gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco previsto dall'articolo 107 del testo unico bancario e le banche italiane, le banche comunitarie con succursale in Italia e le imprese di assicurazione di cui all'articolo 2 del Decreto lgs. 209/2005), potrebbero investire il risparmio previdenziale, sia derivante dai FP che dalle Casse private, direttamente in strumenti finanziari disciplinati dalla legislazione più recente per il sostegno allo sviluppo.
  Si tratterebbe di un investimento diretto in strumenti di debito delle imprese, che la recente legislazione ha già inteso incentivare, nell'ottica della diversificazione degli impieghi del patrimonio gestito, in presenza di agevolazioni fiscali e di garanzia pubbliche idonee a salvaguardare la remuneratività degli investimenti, previe modifiche normative alla legislazione previgente che prevede tali strumenti, assicurando condizioni di favore allorquando gli investimenti di risparmio previdenziale siano effettuati da investitori istituzionali.
  Tale ipotesi andrebbe tuttavia resa compatibile con le previsioni della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, intervenendo forme di garanzia pubblica che potrebbe essere considerata incompatibile con la disciplina della concorrenza comunitaria.
  Tra gli strumenti esistenti utilizzabili si ricordano:
   i Mini-bond (articolo 32 del decreto-legge 83/2012): sono obbligazioni emesse da imprese non quotate, il cui trattamento fiscale dei proventi è però attualmente «penalizzante» in rapporto a quello garantito ai titoli di Stato e che richiederebbe delle forme di garanzia statale parziale per il rischio di credito (quali i credit default swap).Pag. 244
   le obbligazioni che prevedono clausole di partecipazione agli utili d'impresa e di subordinazione (articolo 32 del decreto-legge 83/2012) emesse da società non quotate diverse dalle banche e dalle micro-imprese.
   i Project Bond (titoli di debito) emessi da società di progetto e società titolari di un contratto di partenariato pubblico-privato (articolo 41 del decreto-legge n. 1/2012 «liberalizzazioni» allo scopo di realizzare una singola infrastruttura o un nuovo servizio di pubblica utilità, anche in deroga ai limiti previsti dal Codice civile.
i Fondi di Venture Capital (FVC) specializzati nelle fasi iniziali di avvio delle imprese: l'articolo 31 del decreto-legge n. 98/2011 ha introdotto un regime fiscale (esenzione da imposizione fiscale dei proventi derivanti dalla partecipazione ai fondi di venture capital) di favore per l'afflusso di capitale di rischio (venture capital) per sostenere i processi di crescita di nuove imprese tramite fondi comuni di investimento. I fondi comuni di investimento devono investire almeno il 75 per cento dei capitali raccolti in società non quotate e con sede operativa in Italia da non più di 36 mesi e con un fatturato non superiore ai 50 milioni di euro, nella fase di: sperimentazione (seed financing); costituzione (start-up financing); avvio dell'attività (early-stage financing); sviluppo del prodotto (expansion financing). Per implementare il funzionamento del private equity e del venture capital potrebbe essere auspicabile la creazione di un «Fondo di fondi» di venture capital, nella forma di un fondo di investimento a partecipazione pubblica e privata (come richiesto in audizione presso la Commissione dall'AIFI-Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital), cui potrebbero affluire risorse derivanti dal risparmio previdenziale.
   Covered bonds: l'articolo 2, comma 4-ter, del decreto-legge n. 35/2005 consente alle banche italiane di emettere obbligazioni garantite (covered bonds), utilizzabili nelle operazioni di rifinanziamento presso la Banca centrale europea, a fronte della cessione da parte di una banca a una società-veicolo (cessionaria, che li inserisce in un patrimonio separato) di un portafoglio di attivi creditizi (crediti fondiari e ipotecari, crediti verso pubbliche amministrazioni o da esse garantiti); la società cessionaria presta una garanzia sugli attivi posti nel patrimonio separato in favore dei portatori di covered bonds, a fronte di un finanziamento bancario volto a fornire i mezzi per l'acquisto degli attivi, il cui rimborso è subordinato all'integrale soddisfacimento dei diritti dei portatori delle obbligazioni garantite. Si tratta di un meccanismo simile a quello delle cartolarizzazioni (legge n. 130 del 1999).
   Dall'esperienza estera sono derivabili profili di «finanza etica», quali il modello francese dei fondi «solidaire», fondi d'investimento aperti (c.d. fondi 90/10) che investono dal 5 al 10 per cento del capitale in titoli di imprese sociali e solidali e il restante 90 per cento in titoli quotati o i private equity sociale (FCPR), fondi che investono almeno il 40 per cento in investimenti sociali.

4.3.2. Ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti.
  Centrale per il sostegno all'economia è il ruolo della Cassa depositi e prestiti s.p.a. (CDP), partecipata maggioritariamente dal MEF e non ricompresa nel perimetro delle pubbliche amministrazioni, ciò che rileva per escludere la questione della compatibilità con gli aiuti di Stato e ai fini della inclusione di tali attività nell'ambito dei parametri di finanza pubblica rilevanti in sede europea.
  La CDP già opera con una gamma amplissima di strumenti di intervento a sostegno dell'economia, sia di corporate di area imprenditoriale privata che di soggetti pubblici.Pag. 245
  Circa il 95 percento delle risorse in gestione separata sono costituite dalle risorse della raccolta postale, che nel 2013 ammontava a 242 mld. di euro. In gestione separata, vi sono altresì le risorse relative ad emissioni obbligazionarie «Euro Medium Term Notes» (EMTN), strumento di raccolta a medio lungo termine riservato a investitori istituzionali. Dal 2008 le potenzialità di utilizzo del risparmio postale sono state ampliate dagli investimenti pubblici ai programmi a sostegno dell'economia.
  Gli interessi e gli altri proventi dei titoli di qualsiasi natura e di qualsiasi durata emessi dalla CDP S.p.A. sono soggetti al regime dell'imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura del 12,50 per cento, di cui al decreto legislativo 1 aprile 1996, n. 239.
  Si tratterebbe pertanto di favorire l'acquisizione da parte dei FP e delle Casse di obbligazioni emesse dalla Cassa sul mercato, e in quanto tali acquistabili da ogni operatore finanziario. La massa finanziaria raccolta, ulteriore rispetto a quella attualmente gestita del risparmio postale, potrebbe essere destinata ad iniziative di investimento infrastrutturale per il Paese, utilizzando gli strumenti già esistenti e diversificati di sostegno alle imprese e agli enti pubblici, segnatamente per quanto riguarda gli interventi di realizzazione di infrastrutture.
  I destinatari degli interventi veicolati tramite la CDP sono sia soggetti pubblici che imprese. Nei confronti degli enti pubblici:
   a) concede finanziamenti, sotto qualsiasi forma, ivi compreso l'acquisto di crediti di impresa e il rilascio di garanzie, a Stato, Regioni, Enti locali, Enti pubblici e organismi di diritto pubblico.
  L'utilizzo di tali fondi è consentito anche per il compimento di ogni operazione di interesse pubblico prevista dallo statuto sociale della CDP S.p.A., a favore di tali soggetti o dai medesimi promossa, tenuto conto della sostenibilità economico-finanziaria di ciascuna operazione: la finalità di interesse pubblico è stata individuata nel sostegno al tessuto economico produttivo nazionale, anche per ciò che concerne l'internazionalizzazione delle imprese.
   b) concede finanziamenti alle opere, gli impianti, le reti e le dotazioni destinati alla fornitura di servizi pubblici, utilizzando, risorse reperite mediante operazioni finanziarie «ordinarie», cioè attraverso fondi provenienti dall'emissione di titoli, dall'assunzione di finanziamenti e da altre operazioni finanziarie, senza garanzia dello Stato e con preclusione della raccolta di fondi a vista. CDP offre anche strumenti di Project Financing, svolgendo il ruolo di advisory in fase di proposta, gara, gestione dei finanziamenti e strutturazione dei finanziamenti.
  Nei confronti delle imprese è previsto:
   a) il sostegno all'internazionalizzazione delle imprese (c.d sistema «export banca»): sulla base dell'articolo 8 del decreto-legge n. 78/2009 il Ministro dell'economia e finanze, con decreto 22 gennaio 2010 ha autorizzato CDP, con l'utilizzo dei fondi in gestione separata, a fornire alle banche italiane ovvero alle succursali di banche estere comunitarie ed extracomunitarie operanti in Italia la provvista per interventi a sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese nazionali, se assistite da garanzia o assicurazione della SACE S.p.a. (nel frattempo totalmente partecipata da CDP ai sensi del decreto-legge n. 95/2012), o di istituto assicurativo le cui obbligazioni siano garantite da uno Stato (articolo 1, co. 47 della legge di stabilità 2014). CDP ha stipulato, prima con l'ABI il 6 aprile 2011 e poi il 3 luglio 2013 con, SACE, ABI e SIMEST una Pag. 246convenzione per il credito all'esportazione alle imprese italiane e alle loro controllate: in base ad essa CDP fornisce provvista vincolata per la quota di finanziamento garantita al 100 per cento da SACE per operazioni di credito all'esportazione, di internazionalizzazione e per operazioni concernenti settori di interesse strategico per l'economia italiana sotto il profilo dell'internazionalizzazione, con un intervento indiretto (CDP fornisce alla Banca la provvista di scopo, non inferiore a 1 milione di euro, necessaria a quest'ultima per effettuare il finanziamento al debitore finale) o diretto (CDP finanzia direttamente il debitore finale, anche in cofinanziamento con altra Banche, per quote di finanziamento superiori a 25 milioni di euro); l'articolo 3, c. 4-bis, del decreto-legge n. 5/2009 e dall'articolo 3 dello Statuto sociale di CDP prevede che gli interventi di interesse pubblico possono essere effettuati in via diretta (se di importo pari o superiore a 25 milioni di euro) o attraverso l'intermediazione di enti creditizi; per gli interventi di sostegno finanziario alle imprese è previsto l'intervento solo con intermediazione o mediante la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio, il cui oggetto sociale realizza uno o più fini istituzionali di CDP;
   b) Sostegno alle imprese (Plafond PMI-Investimenti, Plafond PMI-MID e Plafond PMI-Reti. L'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge n. 5/2009 consente alla CDP di utilizzare i fondi della raccolta del risparmio postale per concedere finanziamenti, garanzie, assumere di capitale di rischio o di debito, a favore delle PMI e delle grandi imprese (articolo 1, comma 42 della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014). Tali operazioni possono essere effettuate in via diretta o indiretta, tramite il sistema bancario (ad es. per operazioni di acquisto da parte delle Banche di crediti vantati dalle PMI nei confronti della P.A.) o con la sottoscrizione di fondi comuni di investimento gestiti da una società di gestione collettiva del risparmio. Dal 2009 al 2014 CDP ha messo a disposizione, attraverso appositi plafond, 20,5 miliardi di euro. Per le micro, piccole e medie imprese sono stati concessi finanziamenti a tasso agevolato per investimenti, anche tramite leasing, di macchinari, impianti, attrezzature ad uso produttivo, nonché per l'acquisto di beni strumentali d'impresa, hardware, software e tecnologie digitali (articolo 2, decreto-legge n. 69/2013). A seguito di convenzione stipulata il 14 febbraio 2014 tra il Ministero dello sviluppo economico (sentito il Ministero dell'economia e delle finanze), CDP S.p.A. e ABI è stato fissato un Plafond Beni Strumentali da 2,5 miliardi di euro dedicato esclusivamente al finanziamento, attraverso il sistema bancario, dell'acquisto di beni strumentali da parte delle Piccole e medie imprese. La legge di stabilità 2014 prevede inoltre il sostegno alle PMI attraverso l'acquisto di titoli di credito cartolarizzati aventi ad oggetto crediti verso piccole e medie imprese, assistiti dalla garanzia dello Stato, secondo criteri decisi con DM del Ministero dell'economia e finanze. Inoltre CDP può, sempre in forza di quanto previsto dall'articolo 1, comma 52 della legge n. 147/2013 (legge di stabilità 2014), prestare garanzia sui finanziamenti relativi agli interventi di incremento dell'efficienza energetica delle infrastrutture pubbliche, compresi quelli relativi alla illuminazione pubblica, realizzati attraverso il ricorso a forme di partenariato tra pubblico e privato o a società private appositamente costituite, garantendo il pagamento dei corrispettivi dovuti dalla PA per la realizzazione degli interventi e per la fornitura dei servizi;
   c) CDP partecipa anche in società di gestione del risparmio volte alla costituzione di Fondi mobiliari chiusi destinati al sostegno, diretto ed indiretto, delle piccole e medie imprese, CDP a tal fine partecipa alla SGR Fondo Italiano di Investimento S.p.A., Fondo equity per le Piccole e medie imprese costituito nel 2010 con il MEF, l'ABI, Confindustria, Banca MPS S.p.A., Banca Intesa San Paolo S.p.A., Istituto centrale delle Banche popolari e Banca Unicredit S.p.a. (ognuno con il 12,5 per cento del capitale). La SGR si propone di creare nel medio termine una fascia più ampia Pag. 247di aziende di media dimensione, per stimolare e sostenere la capitalizzazione, l'aggregazione e la maggiore competitività anche sui mercati internazionali. A tal fine opera attraverso investimenti diretti, acquisendo capitale di rischio (private equity), in prevalenza in posizioni di minoranza, di società di piccole e medie dimensioni, con un fatturato indicativo tra i 10 e i 250 milioni, operanti nei settori dell'industria, commercio e servizi, oppure effettua investimenti indiretti in strumenti finanziari non quotati rappresentativi di quote di fondi di private equity (OICR) o di società finanziarie ex artt. 106 e 107 TUB (fondo di fondi). La relazione sull'attività svolta al 31 dicembre 2011 ha evidenziato la realizzazione di 18 investimenti diretti in imprese, per 186,5 milioni di euro complessivi, e di 9 investimenti indiretti in fondi per 230,5 milioni di euro.
   d) Ulteriore profilo di attività di CDP è (articolo 7 del decreto-legge n. 34/2011) l'assunzione di partecipazioni, prevalentemente di minoranza, tramite il Fondo Strategico Italiano Spa (FSI), holding di partecipazioni controllata da CDP all'80 per cento e da Banca d'Italia al 20 per cento, in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore operativo, di livelli occupazionali, di fatturato o di ricadute sul sistema economico-produttivo del Paese, in stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e caratterizzate da adeguate prospettive di redditività. Il DM 3 maggio 2011 del MEF ha individuato le società aventi fatturato netto non inferiore a 300 milioni di euro e numero medio di dipendenti non inferiore a 250 nell'ultimo esercizio, nei settori della difesa, sicurezza delle infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni, intermediazione finanziaria, ricerca e innovazione HI-TECH e pubblici servizi). Allo stato FSI ha investito complessivi circa 2,55 miliardi di euro in 8 società, di cui 7 in portafoglio e 1 con contratto sottoscritto in corso di perfezionamento. CDP opera nelle infrastrutture anche attraverso altri Fondi equity infrastrutturali: F2i-Fondi italiani per gli investimenti, che investe principalmente in progetti brownfield (progetti basati su lavori precedenti o di ricostruzione di prodotto già esistenti), nei settori delle infrastrutture di trasporto, reti di trasporto e distribuzione di elettricità, gas e acqua, reti di telecomunicazione e media, impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili e tradizionali, sanità, servizi pubblici locali e infrastrutture sociali; due fondi promossi iniziative promosse dal Long-Term Investors Club (LTIC), di cui CDP è membro Fondatore insieme alla francese Caisse des Dépôts (CDC), alla Banca europea per gli investimenti (BEI) e alla tedesca Kreditanstalt für Wiederaufbau (KfW): Marguerite Fund, per investimenti in infrastrutture in materia di cambiamenti climatici, sicurezza energetica e reti europee e Inframed, per il finanziamento delle infrastrutture nei Paesi del Sud e dell'Est del Mediterraneo.
   e) Altre partecipazioni azionarie di CDP (articolo 5, comma 8, del decreto-legge n. 269/2003) sono quelle (articolo 9 decreto ministeriale 5 dicembre 2003) in ENEL, ENI, ecc. Nel CDP ha ceduto al MEF le proprie partecipazioni in ENEL (17,36 per cento), in Poste Italiane (35 per cento), nonché in STMicroelectronics Holding N.V. (50 per cento) e, a titolo di corrispettivo, il MEF ha ceduto a CDP le proprie partecipazioni in ENI S.p.a (16,38 per cento). Il decreto-legge n. 95/2012 ha attribuito a CDP un diritto di opzione per l'acquisto del 100 per cento delle partecipazioni azionarie detenute dallo Stato in Fintecna S.p.A. e Sace S.p.A. e del 76 per cento delle partecipazioni in Simest S.p.A, con un trasferimento allo Stato da CDP, a titolo di corrispettivo per la cessione delle predette partecipazioni, pari a 8,8 miliardi di euro.
  In particolare, ai sensi dell'articolo 5 del decreto-legge n. 269/2003, conv. con mod. dalla L. n. 326/2003 e poi modificato dall'articolo 22 del decreto-legge n. 185/2008, conv. con mod. dalla L. Pag. 248n. 2/2009 e dall'articolo 3, comma 4-bis del decreto-legge n. 5/2009, n. 5, conv. con mod. dalla legge n. 33/2009, la CDP svolge le seguenti funzioni, assistite dalla garanzia dello Stato:
   a) assume partecipazioni societarie (assunzione di capitale di rischio) e svolge le attività, strumentali, connesse e accessorie; tali attività sono assegnate ad una gestione separata; può altresì assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese, operanti in una stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico e con adeguate prospettive di redditività.
   b) sottoscrive quote di fondi comuni d'investimento nei confronti dei soggetti pubblici o promosse dai medesimi;
   c) può acquistare obbligazioni bancarie garantite (assunzione di capitale di debito) emesse a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali e/o titoli emessi ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali;
   d) può acquistare titoli emessi ai sensi della legge 30 aprile 1999, n. 130, nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione aventi ad oggetto crediti verso piccole e medie imprese, anche garantiti dallo Stato;
   e) può emettere obbligazioni, destinando propri beni e rapporti giuridici al soddisfacimento dei diritti dei portatori di titoli da essa emessi e di altri soggetti finanziatori. Se la deliberazione di destinazione del patrimonio non dispone diversamente, delle obbligazioni nei confronti dei soggetti a cui vantaggio la destinazione è effettuata la CDP S.p.A. risponde esclusivamente nei limiti del patrimonio ad essi destinato e dei diritti ad essi attribuiti:
   f) costituzione della società finanziaria per azioni «Infrastrutture S.p.a.» (articolo 8 del decreto-legge n. 63/2002 conv. con mod. L. n. 112/2002), assistita da garanzie dello Stato per i titoli e i finanziamenti, per gli strumenti derivati impiegati dalla società, nonché per le garanzie prestate, che in via sussidiaria rispetto ai finanziamenti concessi da banche e altri intermediari finanziari, e senza poter procedere alla raccolta di fondi a vista e la negoziazione per conto terzi di strumenti finanziari:
    finanzia sotto qualsiasi forma le infrastrutture e le grandi opere pubbliche suscettibili di utilizzazione economica;
    finanzia gli investimenti per lo sviluppo economico.
    concede garanzie per tali finanziamenti;
    assume partecipazioni non di maggioranza o di controllo ai sensi dell'articolo 2359 codice civile;
    detiene immobili e esercita ogni attività strumentale, connessa o accessoria ai suoi compiti istituzionali.
    acquisisce quote azionarie di società già partecipate dalla CDP operanti nel settore delle infrastrutture.
   g) Effettua altri interventi a sostegno dell'economia:
    CDP interviene a supporto del settore residenziale, acquistando (articolo 6 del decreto-legge n. 102/2013) obbligazioni bancarie garantite (3 miliardi di euro per il Plafond Acquisto OBG/ABS) emesse a fronte di portafogli di mutui garantiti da ipoteca Pag. 249su immobili residenziali e/o titoli cartolarizzati aventi ad oggetto crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali (ABS) o fornendo ad istituti di credito (2 miliardi di euro per il Plafond Casa, previa Convenzione con ABI del 20 novembre 2013) finanziamenti destinati a mutui, garantiti da ipoteca, su immobili residenziali, da destinare all'acquisto dell'abitazione principale (con preferenza per le classi energetiche elevate) e ad interventi di ristrutturazione ed efficientamento energetico, con priorità per le giovani coppie e le famiglie numerose.
    CDP fornisce, finanziamenti assistiti da garanzia dello Stato per il sostegno al tessuto sociale e produttivo di territori colpiti da calamità naturali: 2 miliardi di euro per la ricostruzione per l'Abruzzo colpito dal sisma del 2009 (articolo 3, comma 3 del decreto-legge n. 39/2009-legge n. 77/2009) e 12 miliardi di euro per l'Emilia Romagna, Veneto e Lombardia colpiti dal sisma del maggio 2012 (articolo 11, comma 7 del decreto-legge n. 174/2012 e articolo 3-bis del decreto-legge n. 95/2012).
    Altri interventi riguardano specifici interventi di CDP relativi al Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti in ricerca (FRI) e al cd. Fondo Kyoto.
  Nel corso dell'audizione del 7 maggio 2014 la Cassa Depositi e prestiti ha consegnato un documento alla Commissione nella quale, manifestando la disponibilità e l'interesse di CDP all'iniziativa di utilizzo delle risorse impiegabili dal risparmio previdenziale, individuando quattro aree di collaborazione con i Fondi Pensione:
   a) Sottoscrizione di strumenti finanziari ad hoc emessi da CDP.

  Un primo strumento è rappresentato dai Buoni fruttiferi postali, nei diversi tipi: BFP ordinari (di durata ventennale, con interessi calcolati su base bimestrale e corrisposti al momento del rimborso), BFP indicizzati all'inflazione (di durata decennale, con un rendimento minimo garantito più la rivalutazione del capitale e degli interessi per l'inflazione, ecc.
  Un altro strumento fondamentale è rappresentato dall'emissione di obbligazioni, con differenti strutture, scadenze e valute, riservate ad investitori istituzionali, per beneficiare delle potenziali opportunità di funding offerte dal mercato dei capitali, nell'ambito del Programma EMTN (Euro Medium Term Note Programme).
  Le obbligazioni non godono della garanzia esplicita dello Stato e sono emesse principalmente attraverso collocamenti privati (tramite Banca IMI, Barclays, BofA Merrill Lynch, Citi, Commerzbank, Credit Suisse, Deutsche Bank, HSBC, JP Morgan, Morgan Stanley, MPS, Nomura, Société Générale, UBS, UniCredit). Il Programma EMTN è uno strumento di raccolta a medio-lungo termine per il finanziamento delle infrastrutture, delle opere di interesse pubblico e dei servizi di pubblica utilità, operativo dal 2005 e dal 2013 è stato esteso anche al finanziamento della c.d. «Gestione Separata» di CDP che ricomprende, tra le altre cose, l'attività di finanziamento degli enti territoriali, dei servizi pubblici locali e il supporto al sistema delle PMI italiane. In EMTN investono inoltre varie tipologie di investitori esteri (fondi di Investimento, assicurazioni, banche francesi, tedesche, lussemburghesi, svizzere, austriache, inglesi, iberiche e giapponesi).
   b) Ingresso nel capitale di FSI (Fondo Strategico Italiano S.p.a.).

  La FSI è una holding di partecipazioni controllata da CDP all'80 per cento e da Banca d'Italia al 20 per cento, che a fronte di un Pag. 250capitale disponibile di 4,4 miliardi di euro ha investito 1,22 miliardi (in Kedrion Stopharma, Ansaldo Energia, Metroweb, Grupopo Hera e IQ MAde in Italy Investment Company), contribuito per 0,88 miliardi (in Generali) e impegnato 0,55 miliardi (Kedrion Stopharma, Ansaldo Energia, Sia e Valvitalia), per un totale di 2,55 miliardi. Un'ipotesi segnalata da CDP potrebbe essere la partecipazione dei FP a tale strumento.
   c) Ingresso nel capitale di CDP RETI.

  CDP RETI S.p.a., società controllata al 100 per cento da CDP, detiene una partecipazione del 30 per cento circa in SNAM S.p.A ed è stato altresì avviato lo studio per il conferimento in essa della partecipazione detenuta da CDP in Terna S.p.A., pari a circa il 30 per cento. CDP ha avviato il processo di cessione di una quota fino al 49 per cento del capitale di CDP RETI ad uno o più investitori di lungo termine, mantenendo comunque il controllo della stessa. CdP ha manifestato l'interesse di vendere una quota di CDP RETI pari a circa il 14 per cento) ad un nucleo di fondi pensione italiani, mentre il rimanente 35 per cento potrebbe essere acquistato da un investitore (o da un consorzio di investitori) estero.
  L'investimento in CDP RETI presenterebbe un profilo di rischio/rendimento attraente e una coerenza settoriale con alcuni di questi fondi.
  Rispetto al tema dei divieti e i limiti agli investimenti stabiliti dalla normativa di riferimento, segnatamente dal D.Lgs. n. 252/2005 e dal DM Tesoro 21 novembre 1996, n. 703, per la quale, che prevede che l'organo amministrativo dei FP debbano rispettare, per quanto attiene le azioni non quotate (come nel caso di CDP RETI), il limite del 10 per cento del patrimonio di ciascun comparto del fondo pensione e il limite del 5 per cento del patrimonio di ciascun comparto per azioni emesse da un singolo emittente, si renderebbe necessario modificare tale normativa. In alternativa, al fine di favorire la partecipazione dei fondi pensione a future iniziative di CDP, CDP segnala la propria disponibilità a costituire un fondo di investimento mobiliare di tipo chiuso.
   d) Compartecipazione in nuove iniziative del Fondo Italiano d'investimento (FII), fondo equity per le PMI.

  Gli investimenti di FII, che dispone di 1,2 miliardi di euro di risorse, riguardano circa 80 società e fondi, aventi un fatturato complessivo di oltre 4 miliardi di euro, con circa 25.000 dipendenti. Sono allo studio nuove iniziative di FII, per le quali CDp valuterebbe la possibilità della partecipazione dei FP, consistenti in un Fondo di Fondi di private debt e un Fondo di Fondi Venture Capital.
  La Commissione di controllo sugli enti previdenziali, in questo ambito, ritiene opportuno vedere ampliate le proprie competenze, estendendole anche alla vigilanza sulle forme di investimento del risparmio previdenziale (FP e patrimoni delle Casse private), anche nei confronti di CDP e di altri enti che intervengano in tale iniziativa.

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5. Conclusioni.

  La Commissione, con questa relazione, propone quindi al Parlamento e al Governo la riflessione su quanto approfondito in tema di previdenza complementare.
  In questo quadro va condiviso quanto affermato dal sottosegretario del Ministero dell'Economia e delle Finanze Baretta, che nel corso dell'audizione ha espresso «la massima disponibilità a continuare insieme questo importante percorso che si è avviato, il cui significato va ben oltre lo specifico fiscale e previdenziale ma si configura come una vera e propria tessera di quel mosaico economico e sociale che possiamo definire democrazia economica».
  Questi temi costituiranno oggetto di successive iniziative di legge congiunte da parte dei componenti della Commissione, al fine di favorire l'avvio del processo di riforma di un settore rilevante per lo sviluppo dell'economia reale del Paese e per garantire la solidità del sistema della previdenza complementare, per le quali sono auspicabili ampie convergenze parlamentari, al fine di favorire la ripresa economica del Paese.
  L'obiettivo potrebbe essere quello, oltre a intervenire in sede legislativa con una serie di modifiche alla disciplina della previdenza complementare, nei sensi sopra indicati, di stimolare la realizzazione di iniziative condivise tra i soggetti previdenziali del c.d. secondo pilastro, i Ministeri competenti e il Parlamento, per la definizione di un vero e proprio Patto per lo sviluppo del Paese, a sostegno dell'economia reale.
   a) La Commissione ha fatto propria l'idea che il risparmio previdenziale possa costituire un'importante risorsa per lo sviluppo del Paese.
  Nel sostenerlo, non si cede affatto ad impostazioni disposte a sacrificare le finalità proprie ed esclusive delle forme previdenziali/pensionistiche, istituite e regolate per concorrere ad assicurare ai lavoratori un trattamento pensionistico adeguato.
  La convinzione che sta alla base di quanto si sostiene è che non solo sia possibile, ma che sia anche utile per le stesse forme pensionistiche, conciliare la migliore e più responsabile gestione delle risorse raccolte con finalità previdenziale con più consistenti investimenti nell'economia reale nazionale.
  È un circolo virtuoso quello che si può innescare se si riesce ad intervenire con equilibrio ed efficacia.
  Anche nell'era della globalizzazione e dei mercati aperti, le forme pensionistiche ricercano le adesioni fra i lavoratori e le imprese di un determinato sistema economico.
  Se questo si sviluppa, cresce la disponibilità ad effettuare risparmi previdenziali di medio/lungo periodo e cresce la stessa entità delle risorse destinate e ciò non solo per effetto del moltiplicarsi delle adesioni ma anche per la crescita delle retribuzioni e, di riflesso, della contribuzione che ad esse si rapporta.
  D'altra parte, se sul sentiero dello sviluppo e della crescita si incammina un crescente numero di imprese, sempre più si accresce la possibilità di diversificare, anche a favore di imprese che fanno Pag. 252parte del sistema in cui le stesse forme pensionistiche sono inserite. Ampliamento delle possibilità di diversificazione che consente, in prospettiva, anche di allontanare non dichiarate, ma verosimilmente esistenti, riserve da parte delle imprese nei confronti delle forme pensionistiche, che concorrono a depauperare finanziariamente le imprese senza nel sistema ritornino investimenti in percentuali almeno comparabili a quelle che si riscontrano in altri Paesi.
  La crisi, del resto, fa sentire il suo peso direttamente anche sulle forme pensionistiche. Sono ormai divenute notizie giornalistiche quelle che danno conto del fenomeno della sospensione della contribuzione e, si può aggiungere, la crisi incide anche sul riscatto delle posizioni previdenziali preferito al trasferimento presso alla altra forma pensionistica. Il superamento della crisi, dunque risponde ad un diretto interesse anche dei fondi pensione.
  Nel sostenere tutto ciò, non si ha una visione miracolistica di quanto le forme pensionistiche, come investitori istituzionali, possono assicurare.
  Si ha piena consapevolezza che sono tante e di diversa natura le misure da adottare, ma comunque troppo diffuse e convincenti le analisi e le concrete esperienze di altri Paesi che mostrano i vantaggi di un mix più equilibrato dei finanziamenti alle imprese per non pensare ai vantaggi potenzialmente insiti nell'operare di investitori istituzionali radicati in Italia.
   b) Per quanto riguarda, le Casse di previdenza è da tempo che si propone l'esigenza di una più precisa definizione della loro configurazione istituzionale.
  Nel procedere in tal senso, non si può dimenticare quella che è stata la premessa della legislazione che le riguarda. Tale premessa, come è noto, consiste nella dichiarazione dello Stato, coerentemente seguita in fase attuativa, di assoluta e completa estraneità al finanziamento delle Casse. Premessa che, ad essere coerenti, spiega e al tempo stesso legittima l'autonomia delle Casse, sul piano gestionale/amministrativo e anche della regolazione.
  Lo Stato, peraltro, attraverso la legge impone l'obbligatorietà delle adesioni alle Casse e questo concorre a confermare che le Casse, dalla legge considerati soggetti di diritto privato, hanno la responsabilità di condurre regimi previdenziali di rilevanza pubblica, riconducibili all'articolo 38, comma 2, della Costituzione che per tutti i lavoratori, anche i lavoratori che esercitano professioni, riconosce il diritto ad una tutela previdenziale adeguata.
  Essendo queste le complesse indicazioni normative riguardanti le Casse, si comprende l'interesse dello Stato a verificare, tempo per tempo, la stabilità e solvibilità anche prospettiche dei regimi previdenziali delle Casse, dato che stabilità e solvibilità sono condizioni dell'effettività di forme di previdenza che fruiscono dell'obbligatorietà in quanto attuano il diritto costituzionale di cui all'articolo 38 Cost.
  Al tempo stesso, per il dovere di coerenza di cui si è detto, la legge è tenuta a riconoscere autonomia alla Casse per quanto attiene al come regolare e amministrare, sotto i vari profili, regimi previdenziali in grado di fondare la propria effettività, nell'immediato come nel lungo termine, sull'equilibrio finanziario. Ciò, peraltro, sapendo che il carattere pubblico/obbligatorio dei regimi previdenziali amministrati Pag. 253fa direttamente riflettere su di essi alcuni principi costituzionali, come quello di solidarietà fra gli appartenenti al gruppo organizzato a fini previdenziali.
  Sulla scorta di queste considerazioni, si ha modo di apprezzare ipotesi di revisione ordinamentale presenti nella relazione; sulla base degli stessi si può pensare ad una più ampia revisione della legislazione che auspicabilmente rimuova le cause del contenzioso giudiziario che ha avuto come protagoniste le Casse o che, per altri aspetti, ha visto le Casse contraddette da interventi giudiziari proprio quando hanno virtuosamente posto in essere riforme dei regimi previdenziali. Contenzioso, quest'ultimo, certamente favorito da normative non proprio ineccepibili (si pensi alla formulazione iniziale dell'articolo 3, comma 12, L. 335/1995).
   c) Nel momento in cui si auspica un'attività di investimento in determinate direzioni, è giusto interrogarsi su quali possano essere i meccanismi da adottare allo scopo, sapendo che in termini generali si può pensare a meccanismi di tipo incentivante o, all'opposto, a meccanismi di tipo vincolistico.
  In termini altrettanto generali, appaiono da privilegiare i meccanismi di tipo incentivante, come risulta anche dai contributi ricevuti dalla Commissione.
  In questa prospettiva, assumono rilievo le agevolazioni di carattere fiscale, su cui la relazione e, prima ancora, i contributi inviati alla Commissione si sono ampiamente cimentati.
  L'idea generale è quella di applicare un prelievo attenuato sui rendimenti per investimenti infrastrutturali di lungo periodo, effettuati per finalità sociali, a favore delle imprese contribuenti ai fondi, a sostegno di progetti pubblici o privati che favoriscano lo sviluppo dell'occupazione, della produttività e della valorizzazione del capitale umano nel territorio nazionale.
  Questo delle agevolazioni fiscali differenziate è un punto particolarmente delicato, non privo di problematicità (cfr., in particolare, le audizioni dei prof. Geroldi e Pizzuti).
  In primo luogo, non si può pensare alle convenienze fiscali come ad un vantaggio capace di rendere congruo un investimento solo perché, in astratto, può assicurare rendimenti meno gravati dal carico fiscale.
  Anche nella prospettiva che vogliamo rendere concreta, rimane fermo che gli investimenti devono essere attuati solo se ed in quanto intrinsecamente congrui rispetto alle politiche di investimento che la forma pensionistica decide avendo fra l'altro presente la composizione demografica dei propri iscritti.
  Questo è bene sottolinearlo sia perché non si può pensare alle convenienze fiscali differenziate come meccanismo che legittimi le forme pensionistiche a deviare rispetto al loro delicato compito di definire proprie adeguate linee di investimento, sia perché l'apprezzabile interesse a favorire il travaso di risorse nell'economia reale nazionale non può spingere a pensare ad una molteplicità di incentivi fiscali.
  La premessa giusta da cui partire è che le forme pensionistiche destinano maggiori risorse ad investimenti in Italia e questo, in primo luogo, perché tali investimenti sono di per sé congrui e convenienti Pag. 254anche perché – e questo è un punto essenziale – possono realizzarsi utilizzando strumenti finanziari che proprie caratteristiche ben rispondono alle esigenze di quei particolari investitori che sono le forme pensionistiche.
  Alla luce di queste considerazioni, risalta come questione prioritaria quella attinente all'offerta degli strumenti finanziari disponibili.
  Una ricognizione critica di tutti questi va fatta, e peraltro spunti al riguardo sono presenti nei contributi ricevuti dalla Commissione, anche perché è proprio utile pervenire ad una conclusione circa la sussistenza, o meno, dell'esigenza di introdurne di nuovi che siano calibrati appositamente per le forme pensionistiche.
  Solo vedendo così i problemi a cui vogliamo dare soluzione si evita di sovraccaricare di attese l'uso della leva fiscale, evitando di prospettare soluzioni destinate a risultare irrealistiche anche perché in grado di aggravare il problema delle coperture già di per sé difficile (v. audizione del sottosegretario Baretta).
   d) Restando fedeli al principio che l'impiego delle risorse delle forme pensionistiche deve rispondere esclusivamente agli interessi degli iscritti, si ritiene che tali interessi possano essere meglio soddisfatti incrementando le risorse riversate nelle imprese italiane.
  Ovviamente, tanto più questo si realizzerà quanto più gli investimenti andranno a collocarsi in imprese che, rafforzate sul piano finanziario, almeno nelle attese sono in grado più di altre di assicurare i ricercati effetti macro-economici.
  L'individuazione dei settori e delle aree, non delle singole imprese, in cui è più utile investire è un problema generale, che travalica le valutazioni di ogni singola forma pensionistica ove, per l'appunto, si voglia che dagli investimenti scaturiscano il massimo delle utilità generali che si perseguono.
  Per questo, sarebbe opportuno che alle forme pensionistiche venga fornito come ulteriore oggetto di valutazione una griglia di indicazioni, che potrebbe essere elaborata e messa a loro disposizione dal Ministero dello sviluppo economico, che aiuti ad individuare con precisione i settori, le aree, le traiettorie tecnologiche da privilegiare.
  Altrimenti, potrebbe anche aversi un incremento delle risorse destinate al sistema economico nazionale, ma magari le risorse, indirizzate verso settori che non hanno un grande futuro o che comunque mal si collocano in una politica industriale nazionale e europea volta a favorire uno sviluppo di qualità, non innescherebbero nella maniera migliore il circolo virtuoso di cui è detto.
  Il protagonismo di ciascuna forma pensionistica va, dunque, guidato a proposito di queste fondamentali opzioni, anche perché è ben possibile che solo il travaso di una massa di risorse di una certa entità in specifici settori e in particolari aziende può assicurare quei salti di qualità nell'innovazione e, più in generale, nella riorganizzazione che si ricercano in funzione dello sviluppo.
  In un quadro in cui non si pensa a soluzioni dirigistiche, si tratta di offrire all'insieme delle forme pensionistiche elementi e ragioni per concentrare le risorse verso direzioni prioritarie ai fini dello sviluppo, evitando che si disperdano in tanti rivoli.
  Una volta definiti i criteri generali di orientamento, opera che si sta considerando prioritaria, la valutazione degli strumenti finanziari Pag. 255disponibili e la stessa rideterminazione dell'insieme delle agevolazioni fiscali potranno fruire di utili punti di riferimento e tutto si potrà regolare e gestire in maniera complessivamente coerente ed efficace.
  In particolare, dimostrare che, dando seguito a indicazioni provenienti dall'istituzione pubblica competente, gli accresciuti investimenti delle forme pensionistiche in Italia si collocano sulla frontiera più avanzata, dove si combatte la battaglia per la competitività e il rilancio delle imprese nazionali, non può che concorrere a sdrammatizzare il problema della copertura delle agevolazioni fiscali.
  Non si può ignorare quanto oggi prescrive l'articolo 17 della l. 196/2009 circa le modalità di copertura di nuove spese o di cadute di gettito nell'immediato, ma certamente è avvertita l'esigenza di una riflessione generale circa investimenti in grado di produrre positivi effetti macro-economici anche in termini di prevedibili maggiori entrate.
  Non c’è dubbio, pertanto, che le forme pensionistiche non potranno che avvantaggiarsi, almeno in prospettiva, ove possano dimostrare di praticare proprio gli investimenti che massimizzano gli effetti positivi della qualificazione dell'apparato produttivo nazionale e della crescita.
   e) Per quanto riguarda la diretta regolamentazione dell'attività di investimento, si pongono questioni diverse a seconda che si considerino i fondi pensione o le casse di previdenza.
  Per le casse sussiste il problema di addivenire alla definizione di una regolamentazione, tuttora non presente.
  Nel procedere in tale opera, che opportunamente potrà essere realizzata sulla base di specifiche indicazioni legislative e su di una successiva fonte regolamentare (Ministero del lavoro e Ministero dell'economia), ci si potrà ispirare alla disciplina che riguarda i fondi pensione, nella versione più aggiornata.
  Nel considerare tale disciplina, è prevalsa la valutazione che essa non sia di ostacolo, anche nella parte in cui pone limiti quantitativi, agli investimenti nelle direzioni volute.
  Un aspetto di particolare rilievo, non a caso segnalato in più interventi, riguarda le particolari capacità e professionalità richieste allorquando si tratta di procedere al tipo di investimenti in questione.
  A tal riguardo, appare utile pensare ad indicazioni, comunque a maglie larghe, fornite direttamente da una fonte legislativa, che in particolare appare opportuna per consentire/incentivare la collaborazione fra le forme pensionistiche, tanto più utile in considerazione delle dimensioni talora ridotte delle stesse. Ciò per facilitare la formazione di masse di risorse investite di una qualche consistenza e, prima ancora, per agevolare una strutturazione di competenze professionali all'altezza dell'attività da svolgere e, aspetto non secondario, per ridurre i costi connessi.
  Fornite tali indicazioni, sarà l'Autorità di vigilanza del settore, attualmente la Covip, che potrà provvedere a dettagliare tutto quanto opportuno sotto il profilo della ulteriore regolamentazione e della organizzazione.
   f) Fermo restando quanto si è detto a proposito dell'esigenza di sviluppare la disciplina dell'attività di investimento delle Casse, è da Pag. 256valutare l'opportunità di una parziale revisione dell'articolo 6 del d.lgs. 252/2005 riguardante l'attività di investimento dei fondi pensione.
  Ci si riferisce, in particolare, alle sue lett. d) e c).
  Invero, la lett. d), riferita ad investimenti nel settore immobiliare, sicuramente merita dei chiarimenti, a causa del suo generico riferimento alla sottoscrizione o acquisizione di azioni o quote di non meglio definite società immobiliari. Più in generale, è da verificare se, dati gli obiettivi che ci si propone e l'arricchimento degli strumenti finanziari registratosi negli ultimi anni anche per quanto riguarda strumenti utilizzabili in funzione degli obiettivi perseguiti, c’è da chiedersi, revisionando le due lettere, se non sia il caso di andare oltre l'indicazione che i fondi possono investire direttamente, oltre che nelle predette società immobiliari, solo in quote di fondi mobiliari chiusi o di fondi immobiliari chiusi.
  Nel procedere a tale revisione, è anche il caso di mettere a punto un documento descrittivo/valutativo che contenga una completa rassegna degli strumenti presenti nel mercato finanziario italiano, distinguendoli per: grado di rispondenza alla finalità di rafforzamento delle imprese aventi sedi in Italia; trasparenza; onerosità; liquidabilità.
  Un documento del genere, che ovviamente potrebbe raccogliere anche altri elementi, sarebbe particolarmente utile non solo per l'attività legislativa che si è ipotizzata, ma anche per le autonome decisioni di investimento delle forme pensionistiche.

   (1) Dati tratti dalla Relazione conclusiva della VI Comm. Finanze della Camera nel corso dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita

   (2) Nella citata audizione della Banca d'Italia si sottolinea peraltro che «Date le dimensioni del primo pilastro, non ci si può però attendere che la previdenza complementare in Italia raggiunga dimensioni analoghe a quelle di altri paesi, dove le contribuzioni e le prestazioni previdenziali pubbliche sono inferiori».

   (3) L'Ilva è un costo anche per le SGR che gestiscono i fondi pensione, in quanto connesso all'esenzione IVA prevista dalla direttiva per i servizi finanziari.