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CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 16 aprile 2015
426.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-05350 Causi: Controlli ai fini antiriciclaggio sull'afflusso di banconote da 500 euro negli istituti di credito italiani.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione, l'On. Causi, nel richiamare le notizie di stampa sulla circolazione dei biglietti da 500 euro, chiede se le circostanze che potrebbero aver determinato un anomalo afflusso di banconote possano essere legate a fenomeni di riciclaggio.
  Al riguardo, la Banca d'Italia, ha comunicato di aver pubblicato nei giorni scorsi dati statistici su prelievi, versamenti e prelievi netti (pari alla differenza tra prelievi e versamenti) di banconote presso le proprie Filiali negli anni 2010-2014, (tabelle allegate), consultabili anche sul sito internet dell'istituto: http://www.bancaditalia.it/compiti/emissioneeuro/banconote/statistiche emissionebanconote.pdf).
  I dati in questione evidenziano per vari tagli (es., 5 euro, 10 euro, 100 euro, 200 euro, 500 euro) valori negativi dei «prelievi netti» che possono determinarsi in relazione al riversamento da parte di residenti di banconote accumulate in anni precedenti o anche ad afflussi dall'estero di banconote in euro emesse da altri Paesi dell'area. Infatti, in un'area monetaria integrata è normale (almeno in parte) che una quota delle banconote emesse in uno Stato «migri» in altri Stati dell'area, a seguito di transazioni tra soggetti residenti in Stati diversi.
  Con riguardo al taglio da 500 euro, in Italia, il divario tra versamenti e prelievi di banconote negli anni 2010-2014, maggiore rispetto ai restanti tagli, può essere messo in relazione, almeno in parte, all'introduzione, a fine 2011, di più stringenti limiti alle transazioni in contanti (1.000 euro), nonché a una consistente attenzione, anche a fini di contrasto al riciclaggio, all'utilizzo dei tagli alti nelle transazioni economiche. I due fattori hanno avuto l'effetto di limitare le richieste di banconote da 500 euro da parte del pubblico; di conseguenza, negli ultimi anni, i quantitativi di banconote da 500 euro emessi dalla Banca d'Italia sono divenuti trascurabili. Per questo motivo, gli intermediari nazionali hanno cominciato a riversare presso la Banca d'Italia gran parte dei biglietti di taglio apicale ricevuti in versamento dai propri clienti, mentre in passato mantenevano presso di sé giacenze per soddisfare le richieste di prelievo da parte del pubblico.
  La Banca d'Italia ha, inoltre, precisato che una situazione analoga non si riscontra negli altri Paesi dell'area dell'euro dove le banconote da 500 rappresentano una quota rilevante della circolazione totale (in valore). Il fenomeno dell'afflusso in Italia di banconote da 500 euro provenienti dall'estero potrebbe quindi risultare, entro certi limiti, fisiologico. Tali afflussi non sono compensati da flussi in uscita di analoga entità, stante la rarefazione nelle richieste di tale taglio in Italia. Naturalmente, i versamenti di banconote da 500 euro presso la Banca d'Italia possono derivare anche dallo smobilizzo di scorte accumulate da residenti in passato.
  Il fenomeno dei prelievi e dei versamenti di biglietti di taglio apicale è monitorato dalla Banca d'Italia, la quale chiede informazioni agli intermediari che movimentano maggiormente tali tagli e, laddove emergano elementi di sospetto, segnala le relative operazioni alla UIF.Pag. 109
  Con riferimento, poi, al tema del ritiro dalla circolazione della banconota da 500 euro, tale ipotesi è stata oggetto di recenti considerazioni da parte della Banca Centrale Europea in relazione a quesiti pervenuti in materia dal pubblico e da esponenti di Istituzioni Europee. In tali circostanze, la BCE, nel premettere di essere a favore di un maggiore impegno contro l'evasione fiscale e le altre attività illegali, ha osservato che il ritiro dalla circolazione della banconota da 500 euro non servirebbe a ridurre il fenomeno dell'evasione fiscale e indurrebbe, inoltre, l'effetto negativo di un aumento dei costi economici e gestionali della circolazione monetaria.
  Secondo la BCE, la disponibilità di banconote di taglio elevato in tutti i Paesi dell'area dell'euro a partire dal 2002 – contestualmente a tassi d'interesse contenuti, aspettative d'inflazione bassa e stabile e, più di recente, in condizioni di turbolenza economica – ha contribuito a diffondere l'uso delle suddette banconote come riserva di valore. Dagli studi effettuati emergerebbe, infatti, che solo una parte residuale delle banconote di grosso taglio in circolazione, per circa il 15 per cento del volume, sia effettivamente utilizzata a scopo transattivo (e in parte ovviamente per regolare operazioni del tutto legittime), mentre il rimanente 85 per cento verrebbe usato come riserva di valore all'interno dell'area euro o detenuto all'estero.
  Per contro, il ritiro dei tagli elevati non porrebbe fine all'accumulo di riserve di valore in contanti né è ipotizzabile che gli operatori economici effettuerebbero, soltanto per questo motivo, operazioni in contanti in minor numero o per un valore inferiore. Di conseguenza, sarebbe necessario immettere in circolazione un notevole quantitativo supplementare di banconote di tagli più bassi, con un considerevole aumento dei costi fissi e correnti su base annua per la loro produzione, sicura gestione e distribuzione. Tali costi si aggiungerebbero a quelli connessi con il ritiro dalla circolazione delle banconote del taglio in questione (la BCE stima che, ipotizzando un ritiro delle banconote da 500 e 200 euro, sarebbe necessario immettere in circolazione un ulteriore contingente di 3,3 miliardi di banconote da 100 euro, circa il doppio di quelle attuali).

Pag. 110

ALLEGATO 2

5-05351 Busin: Revisione del sistema di imposizione sugli immobili.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante evidenzia che il gettito derivante dall'imposizione sulla proprietà immobiliare si è quasi triplicato negli ultimi anni.
  In base a quanto rappresentato nel Documento di Economia e finanza, il Governo sembra intenzionato a varare una riforma della tassazione locale immobiliare volta a semplificare il quadro dei tributi locali sugli immobili riducendo le complessità amministrative e i costi per i contribuenti.
  A tal riguardo, l'Onorevole interrogante chiede la disciplina della nuova local tax in via di definizione, realizzi una radicale revisione dell'imposizione sugli immobili, volta ad introdurre un sistema effettivamente più equo e razionale che preveda la tassazione dei cespiti quando questi producano un reddito certo, verificabile e quantificabile in favore dei loro proprietari o utilizzatori, abbandonando il criterio fondato su base catastale/patrimoniale e garantendo, altresì, in tal modo un'efficace riduzione del carico fiscale gravante sugli immobili.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, deve precisarsi che risulta ancora in fase di elaborazione la disciplina della cosiddetta local tax per cui non vi sono elementi certi per conoscere compiutamente gli effetti, anche dal punto di vista del gettito, che potranno derivare dall'introduzione del nuovo tributo.
  In ogni caso qualora la nuova imposta comporti un gettito inferiore rispetto a quello garantito dalla normativa vigente per gli enti locali, sarà necessario comunque provvedere al ristoro della conseguente perdita di gettito, assicurando l'adeguata copertura finanziaria.
  Per quanto riguarda l'ipotesi di abbandonare l'attuale sistema di imposizione sugli immobili fondato su base catastale/patrimoniale, occorre evidenziare che tale sistema è ormai consolidato nell'ambito della tassazione immobiliare locale, poiché già utilizzato per l'imposta comunale sugli immobili (ICI), e continua ad esserlo per l'imposta municipale propria (IMU) e per il tributo per i servizi indivisibili (TASI).
  Peraltro, si deve anche osservare che con la riforma del catasto è stata prevista la modifica dei criteri per il calcolo delle rendite catastali proprio al fine di ottenere una maggiore equità complessiva dell'imposizione immobiliare.
  Infine, in merito all'introduzione di un sistema che riconduca l'imposizione immobiliare ai servizi certi, verificabili e quantificabili, che i titolari ricevono dagli stessi, è opportuno sottolineare che un primo passo in questa direzione è stato fatto con l'introduzione della TASI ai sensi del comma 682, lettera b), punto 2) dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, si prevede che il comune, con proprio regolamento, determina «l'individuazione dei servizi indivisibili e l'indicazione analitica, per ciascuno di tali servizi, dei relativi costi alla cui copertura la TASI è diretta».
  Ulteriori e più stringenti passi potranno senza dubbio caratterizzare la prospettata Local Tax.

Pag. 111

ALLEGATO 3

5-05353 Ruocco: Definizione del concetto di autonoma organizzazione ai fini del non assoggettamento all'IRAP dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame gli Onorevoli interroganti chiedono un'apposita iniziativa di carattere normativo volta a chiarire la definizione di autonoma organizzazione ai fini dell'applicazione dell'imposta regionale sulle attività produttive ai professionisti, artisti e piccoli imprenditori in attuazione dell'articolo 11. comma 2 della legge 11 marzo 2014, n. 23.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Come già evidenziato in sede di risposta ad atti di sindacato ispettivo concernenti questioni in materia di IRAP, riferite più specificamente ai medici di famiglia, l'individuazione di specifici parametri qualitativi e quantitativi per definire la sussistenza di un'autonoma organizzazione può avvenire solo con un eventuale intervento normativo.
  Sul concetto di autonoma organizzazione, infatti, la Suprema Corte di Cassazione non è pervenuta a conclusioni univoche.
  Invero, in relazione ai presupposti rilevanti ai fini della sussistenza dell'autonoma organizzazione, con particolare riguardo alla rilevanza dell'utilizzo di lavoratori dipendenti, anche con «mansioni d'ordine», le pronunce della giurisprudenza di legittimità richiamate dagli interroganti non possono, allo stato, considerarsi dirimenti ai fini della valutazione della questione in argomento, alla luce delle non conformi decisioni della stessa Corte di Cassazione in altre recenti decisioni (tra le altre, sentenze 17 ottobre 2014, n. 22017; 5 settembre 2014, n. 18749; 7 maggio 2014, n. 9790).
  Proprio l'assenza di un indirizzo giurisprudenziale univoco è stata rilevata dalle stesse Sezioni tributarie della Suprema Corte che, nel mese di marzo 2015 (Sezione V, ordinanza 13 marzo 2015, n. 5040 e Sezione VI, ordinanza 27 marzo 2015, n. 6330 ) – preso atto dei contrastanti orientamenti venutisi a creare nella giurisprudenza di legittimità – hanno interessato il Primo Presidente per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite, delle questioni concernenti, tra l'altro, la rilevanza della presenza dell'utilizzo di lavoro altrui ai fini dell'integrazione del presupposto dell'autonoma organizzazione.
  Con specifico riferimento a tale ultima questione, la Suprema Corte ha ravvisato l'esistenza in giurisprudenza di «un contrasto conclamato ed insanabile circa il significato attribuibile, ai fini della configurabilità del presupposto dell'autonoma organizzazione, alla presenza di un lavoratore dipendente, ed in particolare circa il fatto che essa costituisca (o meno) sempre ed in ogni caso elemento di per sé sufficiente a configurare l'esistenza del suddetto presupposto...».
  Per completezza, si rappresenta che la Sezione VI della Corte di Cassazione (ordinanza 25 febbraio 2015, n. 3870) ha sottoposto al Primo Presidente l'opportunità di devolvere alle Sezioni Unite la questione relativa all'assoggettabilità a Irap del «valore aggiunto prodotto nel territorio regionale da attività di tipo professionale espletate nella veste giuridica Pag. 112societaria, ed in particolare di società semplice, anche quando il giudice valuti non sussistente una “autonoma organizzazione” di fattori produttivi».
  Alla luce delle cennate difficoltà interpretative, si giustifica l'espressa previsione contenuta all'articolo 11, comma 2, della legge 11 marzo 2014, n. 23, recante «Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita» secondo cui: «Nell'ambito dell'esercizio della delega di cui al comma 1, il Governo, chiarisce la definizione di autonoma organizzazione, anche mediante la definizione di criteri oggettivi, adeguandola ai più consolidati principi desumibili dalla fonte giurisprudenziale, ai fini della non assoggettabilità dei professionisti, degli artisti e dei piccoli imprenditori all'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP)».
  È in questo ambito pertanto che verranno intraprese le iniziative di carattere normativo chieste anche dagli onorevoli interpellanti.
  Al riguardo, si segnala che la legge 24 marzo 2015, n. 34, ha disposto, con l'articolo 1, comma 2, lettera a), la modifica dell'articolo 1, comma 1, alinea, della citata legge delega 23/2014 al fine di prorogare da 12 a 15 mesi il termine entro il quale il Governo è tenuto ad esercitare la delega fiscale. La modifica in parola ha comportato, pertanto, che il nuovo termine di scadenza per l'adozione dei predetti decreti legislativi è fissato al 26 giugno 2015.

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ALLEGATO 4

5-05354 Paglia: Effetti della liquidazione del TFR in busta paga sulla spettanza del bonus degli 80 euro.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame l'Onorevole interrogante rappresenta che, a partire dal corrente mese di aprile, i lavoratori che hanno esercitato l'opzione prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 29 del 20 febbraio 2015 potranno ricevere in busta paga, insieme alla retribuzione, quota parte del TFR maturato, denominata QUIR (quota integrativa della retribuzione).
  In particolare, l'interrogante rileva che il citato DPCM, all'articolo 4, comma 3, chiarisce che tale quota non incide, «ai soli fini della verifica dei limiti di reddito complessivo», per la determinazione della spettanza del «bonus 80 euro» e, invece, nulla prevede con riferimento all'imposta generata dal concorso della quota di TFR al reddito complessivo, condizione questa che potrebbe far sorgere, in capo ai soggetti che prima erano incapienti, il diritto a percepire il bonus, fino a quel momento negato, non tanto per il requisito reddituale, quanto per assenza d'imposta da versare.
  Ciò premesso, l'Onorevole interrogante chiede al Ministro dell'Economia e delle Finanze se non ritenga di chiarire se la suddetta ipotesi, che attribuirebbe ad una platea d'incapienti il potenziale accesso al «bonus 80 euro», debba ritenersi corretta ed in tal caso cosa intenda fare il Governo al fine di garantire la certezza interpretativa di tali norme così da permettere a ciascun lavoratore interessato di esercitare il diritto di effettuare la scelta più opportuna.
  Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  A decorrere dal 1o gennaio 2015, l'articolo 1, comma 12, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015), ha introdotto a regime il «bonus 80 euro», sostituendo il comma 1-bis dell'articolo 13 del TUIR, con la seguente formulazione: «Qualora l'imposta lorda determinata sui redditi di cui agli articoli 49, con esclusione di quelli indicati nel comma 2, lettera a), e 50, comma 1, lettere a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l), sia di importo superiore a quello della detrazione spettante ai sensi del comma 1, compete un credito rapportato al periodo di lavoro nell'anno, che non concorre alla formazione del reddito, di importo pari a:
   1) 960 euro, se il reddito complessivo non è superiore a 24.000 euro;
   2) 960 euro, se il reddito complessivo è superiore a 24.000 euro ma non a 26.000 euro. Il credito spetta per la parte corrispondente al rapporto tra l'importo di 26.000 euro, diminuito del reddito complessivo, e l'importo di 2.000 euro.».
  Il comma 1-bis citato richiede di verificare tre presupposti per la maturazione del diritto al credito, legati alla tipologia di reddito prodotto, alla sussistenza di un'imposta a debito dopo aver apportato le detrazioni per lavoro, nonché all'importo del reddito complessivo.
  Potenziali beneficiari del credito sono innanzitutto i contribuenti il cui reddito complessivo è formato dai redditi di lavoro dipendente di cui all'articolo 49, comma 1, del TUIR e da taluni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente di cui all'articolo 50, comma 1, lettera a), b), c), c-bis), d), h-bis) e l).Pag. 114
  I contribuenti titolari dei redditi in precedenza indicati devono altresì avere un'imposta lorda, determinata su detti redditi, di ammontare superiore alle detrazioni da lavoro loro spettanti in base al comma 1 dell'articolo 13 del TUIR.
  Per aver diritto al credito è necessario, infine, che il contribuente sia titolare di un reddito complessivo non superiore a 26.000 euro.
  Il comma 27 del citato articolo 1 della legge di stabilità del 2015, ha previsto delle ulteriori disposizioni ai fini della determinazione del reddito complessivo di cui al predetto articolo 13, comma 1-bis del TUIR, in particolare, è stabilito che ai soli fini della verifica dell'importo del reddito complessivo per la maturazione del diritto al credito non si tiene conto delle somme erogate a titolo di parte integrativa della retribuzione di cui all'articolo 1, comma 756-bis, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 introdotto dal comma 26 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015.
  Tale ultima disposizione, prevede, in via sperimentale, che in relazione ai periodi di paga decorrenti dal 1o marzo 2015 al 30 giugno 2018, i lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici e i lavoratori del settore agricolo, che abbiano un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro, possono richiedere al datore di lavoro medesimo, entro i termini definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che stabilisce le modalità di attuazione della presente disposizione, di percepire la quota maturanda di cui all'articolo 2120 del codice civile, al netto del contributo di cui all'articolo 3, ultimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, compresa quella eventualmente destinata ad una forma pensionistica complementare di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturanda come parte integrativa della retribuzione. La predetta parte integrativa della retribuzione (QUIR) è assoggettata a tassazione ordinaria, non rileva ai fini dell'applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 19 TUIR, e non è imponibile ai fini previdenziali.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione in materia di liquidazione del TFR come parte integrante della retribuzione, è stato emanato il 20 febbraio 2015 e all'articolo 4, nel disciplinare la misura del TFR da liquidare, ribadisce i criteri sopra evidenziati, riguardanti l'imponibilità a tassazione ordinaria della QUIR ai fini IRPEF (comma 2) e la non concorrenza delle somme in commento ai soli fini della verifica dei limiti di reddito complessivo per la spettanza del «bonus 80 euro» (comma 4).
  Per quanto evidenziato, si ritiene che, analogamente a quanto già chiarito con circolare n. 9/E del 2014, par. 3.1, per le somme assoggettate ad imposta sostitutiva per gli incrementi di produttività, il reddito derivante dalla percezione del QUIR in esame non deve essere computato nel reddito complessivo al fine di calcolare l'importo del credito spettante in relazione alla soglia dei 26.000 euro di cui al comma 1-bis dell'articolo 13 del TUIR.
  Tuttavia, in coerenza con la ratio della normativa richiamata, il reddito derivante dalla percezione del QUIR deve comunque essere sommato ai redditi di lavoro tassati in via ordinaria per la verifica della «capienza» dell'imposta lorda determinata sui redditi da lavoro rispetto alle detrazioni da lavoro spettanti.
  Ciò posto, se per tali contribuenti si verificano i tre presupposti per la maturazione del diritto al credito, secondo i criteri sopra illustrati, questi avranno diritto alla percezione del «bonus 80 euro».