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CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 18 febbraio 2016
595.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

5-07816 Capezzone: Misure per scongiurare l'incremento della TARI a causa dell'applicazione dell'addizionale del 20 per cento sul tributo di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dei comuni.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il question time in esame, l'Onorevole interrogante fa riferimento alla recente modifica dell'articolo 205 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, ad opera dell'articolo 32 della legge 28 dicembre 2015, n. 221 che ha introdotto un'addizionale del 20 per cento al tributo di conferimento dei rifiuti in discarica a carico dei comuni che non abbiano raggiunto gli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti urbani dallo stesso stabiliti.
  Tale norma, ad avviso dell'onorevole interrogante «comporterà una ulteriore distorsione nella determinazione dei coefficienti utilizzati per far pagare la tassa sui rifiuti».
  Pertanto, l'Onorevole chiede se non si ritenga opportuno monitorare l'applicazione della normativa richiamata al fine di scongiurare l'innalzamento incontrollato della tassa in parola, anche in considerazione del fatto che già la situazione attuale presenta elementi di criticità e differenziazione del costo della stessa tra i vari comuni, e sollecita l'attivazione di un tavolo di confronto fra le diverse componenti interessate al controllo della spesa e alla gestione dei rifiuti.
  Al riguardo, il Dipartimento delle Finanze precisa che il monitoraggio dell'applicazione della normativa introdotta dalla legge n. 221 del 2015 implicherebbe un controllo sulla percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti effettivamente raggiunta da ciascun comune che esula dalla sfera di competenza tecnica del Dipartimento medesimo.
  Il competente Ministero dell'Ambiente rappresenta quanto segue.
  Il previgente comma 3 dell'articolo 205 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 istituiva, qualora a livello di ambito territoriale ottimale non fossero conseguiti gli obiettivi minimi di raccolta differenziata previsti al comma 1 dello stesso articolo, l'applicazione di una addizionale del 20 per cento al tributo di conferimento in discarica a carico dell'autorità d'ambito (ATO), lasciando in capo a quest'ultima la ripartizione dell'onere tra quei comuni del proprio territorio che non avessero raggiunto le percentuali previste.
  Il legislatore, infatti, interviene sul soggetto deputato al raggiungimento degli obiettivi di raccolta ossia il singolo comune nel caso in cui l'ambito territoriale non sia costituito.
  Questa formulazione si è resa necessaria per poter applicare in modo uniforme le disposizioni in argomento, in quanto in molte regioni del territorio nazionale non si sono ancora costituite le autorità d'ambito e la gestione del ciclo integrato dei rifiuti è in capo ai comuni.
  Nella sostanza, nulla cambia per i comuni. Infatti nel caso appartengano ad un ente di ambito e non raggiungano le percentuali previste di raccolta differenziata, l'ecotassa sarà ripartita dall'ente di ambito stesso, mentre nel caso i comuni gestiscano autonomamente il servizio di raccolta dei rifiuti, saranno soggetti all'applicazione automatica dell'ecotassa stessa.
  Per quanto attiene alla possibilità di un innalzamento incontrollato della tassa dei rifiuti (TARI), il Ministero dell'Ambiente evidenzia che in esito alla novità normativa è stato posto in capo ai comuni, che non hanno raggiunto i livelli minimi di raccolta differenziata, l'onere del pagamento dell'addizionale che è computata Pag. 76all'interno del piano finanziario della TARI, esattamente come prima della modifica di cui al collegato ambientale.
  La nuova disposizione, in linea con la cosiddetta «gerarchia» di trattamento dei rifiuti e del principio «chi inquina paga», ha l'obiettivo di disincentivare il ricorso alla discarica da parte degli enti preposti e favorire in tal modo il ricorso alla raccolta differenziata e il riciclo.

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ALLEGATO 2

5-07817 Ruocco: Iniziative per assicurare maggiore chiarezza e trasparenza circa il grado di rischiosità degli strumenti finanziari collocati presso il pubblico.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione immediata in Commissione l'onorevole Ruocco ed altri pongono quesiti in ordine alla necessità di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza sul grado di rischio degli strumenti finanziari in fase di collocamento e se si intenda assumere iniziative volte a reintrodurre gli scenari probabilistici nei prospetti informativi degli strumenti finanziari.
  Al riguardo, sentita la Commissione Nazionale per le società e la Borsa si fa presente quanto segue.
  Con riferimento alla necessità di maggiore chiarezza e trasparenza del grado di rischio degli strumenti finanziari in fase di collocamento, occorre premettere che ogni iniziativa in materia di prospetti informativi deve necessariamente essere coerente con il quadro normativo sovranazionale, soggetto a continua evoluzione e che spesso, come ad esempio nel caso del Regolamento (UE) n. 1286/2014, recante regole uniformi sul documento contenente le informazioni chiave (c.d. KID) per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIP), essendo misure di massima armonizzazione, riducono i margini di intervento da parte del legislatore nazionale.
  In particolare, si richiama il Regolamento UE n. 1286/2014 (relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati) e alla proposta di revisione della Direttiva Prospetto. Il citato Regolamento (n. 1286/2014), che sarà direttamente applicabile negli Stati membri dal 31 dicembre 2016, stabilisce regole uniformi sul formato e sul contenuto del documento recante le informazioni chiave (c.d. KID) che deve essere redatto dagli ideatori di prodotti d'investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (PRIIP), nonché sulla diffusione del documento medesimo agli investitori al dettaglio, proprio «al fine di consentire agli investitori al dettaglio di comprendere e raffrontare le caratteristiche e i rischi chiave dei PRIIP».
  Nel corso del 2015 sono stati avviati i lavori finalizzati alla revisione della Direttiva 2003/71/CE (c.d. Direttiva Prospetto) e il 30 novembre 2015, la Commissione Europea ha pubblicato la proposta di Regolamento che dovrà sostituire tale Direttiva; attualmente, è in corso la procedura legislativa per l'approvazione presso le Istituzioni europee.
  Fra gli obiettivi che tale proposta di Regolamento persegue vi è anche l'introduzione di una serie di semplificazioni della disciplina del prospetto. La nota di sintesi dovrebbe essere tendenzialmente allineata al formato del KID PRIIPs, con l'obbligo di evidenziare non più di 5 fattori di rischio e la facoltà riconosciuta all'emittente, nel caso di prodotti rientranti nell'ambito di applicazione del Regolamento PRIIPs, di sostituire l'informativa relativa al prodotto con le informazioni del KID.
  Per quanto attiene ai fattori di rischio del prospetto, la proposta di Regolamento prevede la necessità di una loro classificazione in gruppi (al massimo tre), secondo la loro rilevanza, basata sulla valutazione dell'emittente circa la «probabilità dell'accadimento» e l'estensione del loro impatto. Per la definizione dei requisiti specifici di questa sezione del Pag. 78prospetto e del criterio di rilevanza da applicare è previsto che l'ESMA emani linee guida sulla materia.
  In ambito nazionale, successivamente all'entrata in vigore della normativa di recepimento della BRRD, la Consob ha pubblicato la Comunicazione n. 90430 del 24 novembre 2015 («decreti legislativi nn. 180 e 181 del 16 novembre 2015 di recepimento della direttiva 2014/59/UE. Prestazione dei servizi e delle attività di investimento, nonché dei servizi accessori»). In tale sede è stata rappresentata la necessità che gli intermediari, «in applicazione dei doveri di diligenza, correttezza e trasparenza imposti dalla disciplina in materia di servizi di investimento: a) forniscano agli investitori informazioni appropriate circa le novità introdotte dai decreti legislativi nn. 180 e 181 del 2015, che li pongano in condizione di assumere consapevoli scelte d'investimento; b) riconsiderino le proprie procedure per la formulazione dei giudizi di adeguatezza e di appropriatezza al fine di valutare l'eventuale impatto sulle stesse delle innovazioni in discorso.
  Per quanto concerne, in particolare, l'informativa, è stata rappresentata la necessità che, in occasione delle singole operazioni di investimento, venga fornita appropriata informativa ai clienti (graduata in funzione delle caratteristiche dei medesimi e dunque del fatto che siano retail piuttosto che professionali) in ordine ai seguenti profili:
   intervenuta introduzione di limitazioni all'intervento pubblico a sostegno di un intermediario che versi in una situazione di crisi;
   possibilità che i titoli siano assoggettati, dal 1o gennaio 2016, a bail-in. Per i titoli azionari, le obbligazioni convertibili e quelle subordinate, dal 16 novembre 2015 essi sono altresì assoggettabili alla riduzione o conversione di azioni, di altre partecipazioni e di strumenti di capitale, quando ciò consenta di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto dell'intermediario;
   gerarchia secondo cui l'ammontare della riduzione o conversione dovrà essere
allocato;
   effetti discendenti dall'applicazione della misura in questione, nonché dall'eventuale esercizio da parte di Banca d'Italia dai poteri alla stessa specificamente attribuiti. Fra questi, in particolare, oltre al potere di ridurre o azzerare il valore nominale di strumenti di capitale e di passività dell'ente sottoposto a risoluzione, andrà segnalato il potere di modificare la scadenza dei titoli, l'importo degli interessi maturati in relazione a tali titoli o la data a partire dalla quale gli interessi divengono esigibili, anche sospendendo i relativi pagamenti per un periodo transitorio.

  È rimessa a ciascun intermediario l'individuazione dello strumento da utilizzare per veicolare le suddette informazioni e dell'effettivo contenuto della comunicazione.
  Inoltre, atteso che la riduzione o conversione di strumenti di capitale e il bail-in trovano applicazione anche con riguardo ai titoli emessi anteriormente al 1o gennaio 2016, gli intermediari che svolgono per il proprio cliente il servizio accessorio di «custodia e amministrazione» di strumenti finanziari dovranno fornire informazioni analoghe a quelle sopra indicate in ordine agli strumenti già detenuti nei depositi amministrati a tale data.
  Al fine di veicolare le informazioni in questione l'intermediario potrà valutare l'impiego dello strumento del rendiconto di cui all'articolo 56 del regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007, ferma restando la necessità di valutare, alla luce delle specificità del caso concreto, la necessità di procedere anche prima del termine previsto per l'invio della rendicontazione.
  Gli intermediari sono stati, altresì, invitati a fornire informazioni analoghe anche nell'ambito del servizio di gestione di portafogli.
  Infine, è stata richiamata l'attenzione degli operatori sulla necessità di valutare Pag. 79gli impatti delle modifiche normative in esame sulle proprie procedure interne per la valutazione dell'adeguatezza e dell'appropriatezza, tenendo conto delle specificità di ogni tipologia di strumento finanziario interessato dalle modifiche medesime.
  Con riguardo alle possibili iniziative per reintrodurre gli scenari probabilistici nei prospetti informativi degli strumenti finanziari, deve premettersi, atteso che la materia è oggetto di discussione in sede comunitaria, che l'adozione dell'iniziativa in esame, sarebbe, allo stato, in contrasto con la disciplina europea di riferimento.
  Nel nostro ordinamento non vi è mai stato alcun obbligo – asseritamente soppresso dalla Consob – di inserire scenari probabilistici di rendimento nei prospetti relativi a obbligazioni (ivi incluse le subordinate).
  Ed invero la Consob aveva posto in consultazione in data 14 luglio 2009 un documento intitolato «Raccomandazione sul prospetto d'offerta o di ammissione alle negoziazioni dei prodotti finanziari non rappresentativi di capitale, diversi dalle quote o azioni di OICR e dai prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione: modalità di presentazione e contenuti dell'informativa sul profilo di rischio-rendimento e sui costi», nell'ambito del quale si raccomandava l'inserimento nella documentazione d'offerta e/o di ammissione a quotazione dei prodotti non equity, fra l'altro, degli «scenari probabilistici dell'investimento finanziario». Tale documento non si è mai tradotto in una Comunicazione.
  Inoltre, l'inserimento di scenari probabilistici di rendimento nella documentazione d'offerta di obbligazioni non risulta più coerente con il quadro normativo di riferimento, attese le innovazioni introdotte a livello europeo con il Regolamento Delegato (UE) n. 486/2012, che ha modificato il Regolamento (CE) n. 809/2004.
  Tale Regolamento infatti mira a creare un livello di armonizzazione massimo, funzionale anche ad assicurare la comparabilità dei prodotti (cfr. artt. 3, par. 2, e 22, par. 2, del Regolamento medesimo), con specifico riferimento, alla dettagliata previsione del contenuto delle condizioni definitive e all'allocazione delle informazioni fra le stesse e il prospetto di base, nonché al contenuto della Nota di Sintesi. La nota di sintesi contiene le informazioni chiave. Quando un elemento non è applicabile a un prospetto, tale elemento figura nella nota di sintesi con la menzione «non applicabile».
  Va ricordato, infatti, che l'offerta al pubblico di obbligazioni bancarie può avvenire sulla base (1) di un prospetto «spot», cioè redatto in occasione della singola emissione e soggetto ad approvazione della Consob; ovvero, come usualmente avviene, (2) sulla base di un prospetto di base (con validità annuale), anch'esso oggetto di previa approvazione da parte dell'Istituto, che contiene la descrizione di un «programma di emissione». La definizione delle caratteristiche del singolo prodotto avviene in occasione dell'emissione dello stesso e viene resa nota mediante la pubblicazione di condizioni definitive, che non sono soggette a previa approvazione da parte della Consob (ma solo di trasmissione alla stessa). Alle condizioni definitive deve essere allegata la nota di sintesi della singola emissione.
  Il quadro prescrittivo risultante dal Regolamento Delegato n. 486 del 2012 risulta dunque più rigoroso e stringente nella definizione dei contenuti della documentazione d'offerta. Esso non lascia spazi a interventi integrativi della disciplina armonizzata, restando dunque esclusa ogni possibilità per le Autorità di Vigilanza nazionali di «esigere» in via generale e astratta l'inserimento nella documentazione d'offerta di elementi informativi non previsti dagli «schemi» di cui al Regolamento n. 809 del 2004.
  In particolare, alla luce di quanto testualmente previsto dall'articolo 22, par. 4, del Regolamento n. 809/2004 (come modificato dal Regolamento Delegato n. 486 del 2012), l'Autorità di vigilanza non può richiedere l'inserimento nelle condizioni definitive di informazioni non comprese fra quelle previste come obbligatorie o come «supplementari».Pag. 80
  Analogamente, non può essere richiesta l'integrazione del contenuto della nota di sintesi.
  L'articolo 3, par. 3, del Regolamento n. 809/2004 (non modificato sul punto dal Regolamento Delegato 486/2012) consente all'Autorità di richiedere, caso per caso (e dunque non in forza di una previsione generale), sulla base di «motivi ragionevoli», l'inserimento nel prospetto ovvero nel prospetto di base di ulteriori informazioni che si rendano necessarie per completare ovvero rendere comprensibile, nel singolo caso, un elemento informativo già previsto dagli schemi di prospetto.
  Tale potere incontra tuttavia un limite intrinseco nell'impossibilità di modificare il modello di schema di prospetto stabilito dal Regolamento medesimo (cfr. articolo 3, secondo cui «Il prospetto è redatto utilizzando uno degli schemi e dei moduli o una delle loro combinazioni di cui al presente regolamento»).
  Una costante e reiterata richiesta, da parte della Consob, di inserire, in via di prassi, nel prospetto determinati elementi informativi non previsti dagli schemi del regolamento comporterebbe una surrettizia elusione del divieto posto dalla disciplina comunitaria.
  Nel medesimo senso va inteso l'articolo 94, comma 5, del TUF.
  Si precisa inoltre che il Regolamento n. 809/2004 (così come modificato dal Regolamento Delegato n. 486/2012) consente l'inserimento, su base volontaria, all'interno delle condizioni definitive di informazioni non rientranti nel contenuto obbligatorio della nota informativa sugli strumenti finanziari, ma che possono comunque ritenersi utili per gli investitori (articolo 22, par. 4).
  Tali informazioni supplementari («Additional information»); indicate all'interno dell'Allegato XXI al medesimo Regolamento, sono da ritenersi un numero chiuso, che non può essere ampliato neppure su base volontaria.
  Fra tali informazioni supplementari sono menzionati anche gli «esempi di strumenti derivati complessi di cui al considerando 18 del regolamento prospetti», ossia esempi che consentano agli investitori «di capire in che modo il valore del loro investimento è influenzato dal valore del sottostante».
  Gli esempi dunque:
   a) possono essere inseriti solo su base volontaria (e dunque non a seguito di prescrizione dell'Autorità di vigilanza);
   b) possono riguardare esclusivamente «strumenti derivati complessi»;
   c) possono svolgere unicamente la funzione di agevolare l'investitore nella comprensione delle modalità secondo cui il valore dell'investimento è influenzato dal valore del sottostante.

  Per quanto concerne il profilo sub b), si osserva che le esemplificazioni in parola possono essere inserite solo con riguardo a strumenti che siano al contempo «derivati» e «complessi». È dunque escluso l'utilizzo degli esempi in parola nel caso di strumenti che soddisfino solamente uno dei due requisiti.
  Il Regolamento n. 809/2004 non fornisce una definizione di «derivati complessi» e nemmeno di «derivati» tout court. Peraltro, dalla lettura complessiva del Regolamento si desume che i «derivati» sono intesi come una categoria residuale rispetto alle azioni e ai titoli di debito.
  La qualificazione di uno strumento come «derivato» (o quantomeno come «titolo di debito con una componente derivativa») risulta strettamente legata alle modalità di determinazione del pay-off. Ed infatti, lo schema di nota informativa relativo a strumenti derivati (Allegato XII) prevede che venga fornita una «spiegazione chiara e dettagliata che consenta agli investitori di comprendere in che modo il valore del loro investimento sia influenzato dal valore degli strumenti sottostanti [...]» (item 4.1.2). Analogamente lo schema di nota informativa relativa a titoli di debito (Allegato V) dispone che «se lo strumento finanziario presenta una componente derivata per quanto riguarda il pagamento degli interessi, fornirne Pag. 81una spiegazione chiara e dettagliata, che consenta agli investitori di comprendere in che modo il valore del loro investimento è influenzato dal valore degli strumenti sottostanti, specialmente in circostanze in cui i rischi sono più evidenti».
  Queste ultime informazioni sono qualificate di «Categoria B»: nel caso di prospetto di base, dunque, tale documento deve contenere tutti i principi generali relativi alle informazioni richieste e soltanto i dati che siano ignoti al momento dell'approvazione del prospetto di base possono essere lasciati in bianco e inseriti successivamente nelle condizioni definitive. Dette informazioni, inoltre, compariranno anche nella nota di sintesi della singola emissione, inserite in un apposito box.
  La presenza di una clausola di subordinazione non è elemento che consente di per sé di qualificare uno strumento quale «derivato». Nell'impianto complessivo del Regolamento n. 809/2004, infatti la «subordinazione» è una caratteristica che può accedere sia ai titoli di debito che agli strumenti derivati, Ed infatti sia lo schema di nota informativa relativa a titoli di debito sia lo schema di nota informativa relativa a strumenti derivati contengono un elemento informativo (rispettivamente 4.5 e 4.1.6) che prevede l'indicazione del «ranking degli strumenti finanziari offerti al pubblico e/o ammessi alla negoziazione, ivi compresa una sintesi di eventuali clausole intese ad influire sul ranking o a subordinare lo strumento finanziario ad eventuali obbligazioni presenti o future dell'emittente».
  Dette informazioni sono qualificate di «Categoria A»: nel caso di prospetto di base, l'informazione deve dunque essere resa nel prospetto di base e non replicata nelle condizioni definitive. Peraltro, alle condizioni definitive deve essere allegata la nota di sintesi della singola emissione, nell'ambito della quale compare anche l'informazione sul ranking, inserita in un più ampio «box» che attiene ai «diritti» di chi sottoscrive o acquista il titolo.
  Del resto, anche il TUF, nel fornire una definizione di «strumenti finanziari derivati» precisa che si intendono per tali «gli strumenti finanziari previsti dal comma 2, lettere d), e), f), g), h), i) e j), nonché gli strumenti finanziari previsti dal comma 1-bis, lettera d)» (articolo 1, comma 3): fra questi non rientrano le obbligazioni subordinate.
  Per quanto concerne poi il profilo sub c), nell'individuare le finalità proprie delle esemplificazioni consentite dalla normativa, il Regolamento n. 809/2004 chiarisce che queste sono finalizzate a meglio illustrare come il valore dell'investimento è influenzato dall'andamento del sottostante, informazioni diversa da quella fornita dagli scenari probabilistici di rendimento, che indicano le probabilità di conseguire un certo pay-off.
  Va, infine, notato che, con riguardo alle «informazioni supplementari», spetta all'emittente e/o all'offerente decidere in ordine alle modalità di rappresentazione degli esempi e alla scelta delle metodologie sottostanti, proprio in quanto si tratta di inserimento volontario. L'Autorità di vigilanza potrà esercitare al riguardo solo un controllo ex post.

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ALLEGATO 3

5-07818 Paglia: Scambio di informazioni tra le autorità di vigilanza in merito all'emissione di obbligazioni da parte della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione immediata in Commissione l'onorevole Giovanni Paglia ed altri, nel richiamare il contenuto del comma 5, dell'articolo 3 del Protocollo d'intesa tra la Banca d'Italia e la Consob del 2012, in materia di scambio di informazioni su banche emittenti titoli di debito, chiedono se le procedure ivi previste «siano siate correttamente seguite, con quale tempistica e con quali risultati» relativamente alle emissioni obbligazionarie della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio.
  Al riguardo, la Banca d'Italia ha comunicato che l'articolo 3 del protocollo disciplina puntualmente, ai commi 1, 2, 3 e 4 le modalità di trasmissione dei dati e delle informazioni, le cui caratteristiche sono individuate negli articoli 1 e 2 del medesimo protocollo, scambiati tra la Banca d'Italia e la Consob. Il comma 5 del medesimo articolo, cui fa riferimento l'interrogazione, prevede che «in casi particolari e/o ingenti, in relazione ad eventuali cambiamenti negativi sostanziali nella situazione finanziaria o nelle prospettive dell'emittente le relative informazioni sono reciprocamente comunicate con le modalità più opportune».
  La Banca d'Italia ha, quindi, fatto presente che, a partire dall'ottobre 2012, la Banca (l'Italia ha costantemente e sistematicamente fornito alla Consob – in risposta a specifiche richieste avanzate da quest'ultima in relazione al collocamento da parte di Etruria di emissioni obbligazionarie – informazioni, dati e indicatori in conformità alle previsioni del citato Protocollo. In particolare, le informative sono state rassegnate alla Commissione nei mesi di ottobre e dicembre 2012, aprile e ottobre 2013 e maggio 2014.
  Con le citate informative la Banca d'Italia ha comunicato tempo per tempo alla Commissione le evoluzioni intervenute nella situazione patrimoniale della banca e le relative iniziative assunte sul piano di vigilanza.
  La Banca d'Italia ha, inoltre, precisato che a partire dall'avvio dell'amministrazione straordinaria di Banca Etruria, la stessa e i Commissari Straordinari hanno intrattenuto una costante interlocuzione con la Consob, in merito alla sospensione del titolo azionario dalla quotazione e, più in generale, agli sviluppi della procedura.
  Nel corso dell'amministrazione straordinaria non sono stati emessi nuovi prestiti obbligazionari.
  Sulla questione, la Commissione Nazionale per le società e la borsa, per gli aspetti di competenza ha comunicato che a seguito della sottoscrizione del Protocollo d'Intesa del 21 maggio 2012, a far data dal 1 luglio 2012, la medesima, in occasione di istanza di approvazione di un documento di offerta di titoli di debito, ha trasmesso alla Banca d'Italia apposita comunicazione al fine di acquisire le informazioni previste dal suddetto Protocollo. Pertanto, a far data dal 1o luglio 2012, anche con specifico riferimento ai procedimenti istruttori avviati su istanza della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, la Consob ha attivato la procedura di scambio di informazioni a partire dalle istanze Pag. 83di parte pervenute, sia sulla base delle regole definite dal suddetto Protocollo, che delle procedure interne.
  In particolare, dal 1o luglio 2012 sono stati avviati n. 9 procedimenti amministrativi relativi a prospetti o supplementi riconducibili a emissioni obbligazionarie della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio. L'attivazione della procedura di scambio di informazioni, ai sensi del suddetto Protocollo, è stata effettuata nell'ambito di tutti i citati procedimenti, salvo che per due procedimenti per i quali l'attivazione non si è resa necessaria, essendo già stato prodotto, in data molto ravvicinata, il riscontro di Banca d'Italia con riferimento al medesimo emittente. Nell'ambito dei medesimi procedimenti sono stati acquisiti ove disponibili gli specifici riscontri trasmessi dalla Banca d'Italia, anche al di fuori del Protocollo, che sono stati valorizzati nell'ambito dell'attività istruttoria, unitamente agli altri dati ed elementi informativi disponibili.

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ALLEGATO 4

5-07819 Pelillo: Problematiche relative al calcolo del volume del carburante ai fini dell'applicazione della relativa accisa.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Il documento di sindacato ispettivo in esame nel mettere in evidenza l'influenza che la temperatura ha sui prodotti energetici, rileva le conseguenze che derivano dal diverso trattamento che viene riservato a tale elemento nel corso della filiera distributiva.
  Se da un lato, infatti, sia la normativa comunitaria che quella nazionale prevedono che, ai fini della liquidazione delle accise, il volume di prodotti energetici da assoggettare a tassazione venga accertato alla temperatura di 15o Celsius, per contra la commercializzazione dei medesimi prodotti avviene, lungo la catena distributiva, senza che vi sia l'obbligo di rilevare la temperatura a cui i prodotti stessi vengono ceduti.
  A detta degli interroganti tale differenza di liquidazione che tiene o meno conto della temperatura del prodotto oltre a determinare «una zona grigia di elusione fiscale», causerebbe rilevanti problemi ai gestori dei distributori di carburante. Questi ultimi sopporterebbero, infatti, gli effetti delle variazioni termiche che il prodotto subisce nel periodo che intercorre tra la consegna da parte dell'autobotte e lo stoccaggio nel serbatoio, effetti che si tradurrebbero per lo più in una riduzione dei volumi.
  Da tale riduzione dei volumi deriverebbero non solo inevitabili conseguenze sul piano economico, ma, in taluni casi, anche sul piano fiscale, in quanto l'Agenzia delle entrate considera le perdite come «vendite in evasione di imposta» ed in conseguenza procede alla comminazione delle sanzioni.
  Le pratiche commerciali in uso penalizzerebbero anche i consumatori che si vedrebbero erogato solitamente prodotto «caldo» vale a dire ad una temperatura ben superiore a quella di 15o Celsius.
  In questo quadro, gli Interroganti chiedono che vengano assunte iniziative «per rendere più trasparente il rapporto tra compagnie petrolifere, gestori, fornitori e consumatori e per far cessare le procedure denunciate in premessa».
  Al riguardo, sentita l'Agenzia delle dogane e dei monopoli si riferisce quanto segue.
  Preliminarmente occorre evidenziare che la problematica rappresentata non ha alcun impatto diretto ai fini della corretta applicazione dell'accisa, in quanto ciò che avviene dal momento in cui i prodotti energetici sono travasati dall'autobotte al serbatoio dell'impianto di distribuzione attiene ad una fase della filiera successiva a quella che assume rilievo nella disciplina tributaria delle accise, contenuta nel decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (testo unico delle accise).
  In ossequio al dettato comunitario, la legislazione nazionale in materia dispone, infatti, che l'accisa diventi esigibile al momento dell'immissione in consumo, vale a dire, di norma, quando il prodotto è estratto dal deposito fiscale per essere trasferito a depositi o impianti ad accisa assolta, tra i quali sono annoverati anche gli impianti di distribuzione carburanti.
  Soggetto obbligato al pagamento dell'accisa è, quindi, il depositario autorizzato. Allorché il prodotto perviene all'impianto di distribuzione di carburante ha Pag. 85già assunto la qualificazione di prodotto «assoggettato ad accisa» (ai sensi dell'articolo 1, comma 2 lettera d), del testo unico delle accise), anche se il depositario autorizzato assolverà il tributo, fatte salve specifiche scadenze, il giorno 16 del mese successivo a quello di immissione in consumo.
  È evidente, quindi, che la circolazione ad accisa assolta e il successivo stoccaggio nel distributore di carburante costituiscono fasi della filiera di commercializzazione che non attengono al vero e proprio rapporto di imposta ai fini accise.
  Ciò detto, l'Agenzia evidenzia, altresì, che ai fini dell'assolvimento dell'obbligazione tributaria, la liquidazione dell'accisa presuppone che si proceda, tra l'altro, all'accertamento quantitativo del prodotto da sottoporre a tassazione per stabilire l'entità della base imponibile.
  Allo scopo di evitare che tale determinazione subisca l'inevitabile influenza della temperatura e che l'imposta non venga applicata in modo equo ed uniforme, il legislatore comunitario – e in conseguenza il legislatore nazionale – ha previsto, per i prodotti la cui tassazione è fissata a volume, che quest'ultimo sia misurato alla temperatura di 15o Celsius, neutralizzando in questo modo la variabile costituita dalla temperatura.
  Una volta esaurito il rapporto tributario, la pericolosità fiscale del prodotto energetico (nel caso di specie carburante), ormai assoggettato ad accisa, si riduce indiscutibilmente, sebbene permangono in relazione allo stesso, obblighi riguardo alla circolazione e alla contabilizzazione di quello stoccato. Ciò evidentemente allo scopo di evitare che prodotto ancora in regime sospensivo possa essere in frode immesso nel circuito di quello ad accisa assolta.
  Conseguentemente il legislatore, non sussistendo ragioni fiscali, non ha ritenuto necessario, finora, interferire nella filiera di distribuzione del prodotto, imponendo l'obbligo che la commercializzazione abbia ad oggetto volumi misurati a 15o Celsius.
  La facoltà di commercializzare volumi di prodotti, tra i soggetti obbligati e i gestori dei distributori di carburante e questi ultimi e i consumatori finali, a temperatura ambiente non genera una concreta «zona grigia di elusione fiscale» perché, come ampiamente chiarito, la commercializzazione ha ad oggetto del prodotto che ha già assolto l'accisa.
  Per quel che riguarda i danni economici che gli esercenti i distributori di carburanti subirebbero da tale pratica commerciale, stante il fatto che le compagnie petrolifere rimborserebbero ai gestori dei distributori solo parzialmente i cali di prodotto conseguenti alle variazioni termiche, va evidenziato che la regolazione dei rapporti contrattuali rientra nell'autonomia delle parti e un intervento del legislatore nella particolare materia costituirebbe comunque una limitazione di tale autonomia.
  Per quel che concerne le contestazioni che l'Agenzia delle Entrate muove ai gestori dei distributori di carburante, ritenendo che le riduzioni dei volumi (tecnicamente si tratta di deficienze) dei carburanti conseguenti alle variazioni termiche configurino vendite in evasione di imposta, si fa presente che la problematica ha trovato soluzione per effetto delle indicazioni fornite nella parte V della circolare n. 6/D diramata dall'Agenzia delle Dogane e dei monopoli in data 18 giugno 2015.
  Nella predetta circolare viene chiarito, con riguardo ai depositi commerciali ad accisa assolta, a conclusione degli approfondimenti condotti anche con l'Agenzia delle Entrate, che «la medesima ratio che giustifica le previsioni di non addebito dell'accisa, ovvero l'esigenza di tener conto dei fenomeni fisici di dilatazione o contrazione di volume dei prodotti per effetto di variazioni della temperatura nonché dell'operatività stessa degli impianti, rileva quale fondamento per l'irrilevanza ai fini dell'IVA. Da qui la piena aderenza della disciplina delle presunzioni di cessione e di acquisto di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 441 del 1997 al regime proprio dell'accisa con applicazione di un trattamento uniforme, Pag. 86in entrambe le discipline impositive, delle deficienze e delle eccedenze di prodotti».
  Successivamente, con apposite istruzioni dirette alle Strutture territoriali dell'Agenzia, trasmesse anche all'Agenzia delle Entrate e al Comando Generale della Guardia di Finanza, la Direzione Centrale Antifrode e Controlli di detta Agenzia ha avuto modo di confermare l'applicazione anche ai distributori di carburante delle indicazioni fornite nella richiamata circolare n. 6/D.
  Può ritenersi, quindi, chiarito che, quando le deficienze non superano i cali ammessi nel periodo di verifica dalla disciplina delle accise, non operi la presunzione di cessione di cui all'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 441 del 1997.
  Per quanto riguarda le penalizzazioni che subirebbero i consumatori a causa del fatto che i rifornimenti sono effettuati a temperatura ambiente non è chiaro rispetto a quali soggetti il raffronto viene operato, stante il fatto che anche agli esercenti-distributori il carburante viene contabilizzato a temperatura ambiente.
  In ogni caso non appare fondata l'asserzione secondo cui solitamente ai consumatori viene erogato un prodotto «caldo», in quanto si tratterebbe di carburante appena travasato dall'autobotte alla cisterna. È vero, infatti che mediamente i distributori non ricevono le consegne di carburante con cadenza giornaliera e pertanto il prodotto erogato agli automobilisti si trova ad avere la temperatura propria della cisterna in cui è detenuto, che normalmente risulta essere piuttosto bassa tenuto conto della circostanza che i serbatoi dei distributori dei carburanti sono sempre interrati.

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ALLEGATO 5

Disposizioni in materia di conflitti di interessi.
(Testo unificato C. 275 e abb.).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La VI Commissione,
   esaminato, ai sensi dell'articolo 73, comma 1-bis del Regolamento, per gli aspetti attinenti la materia tributaria, ai fini del parere alla I Commissione Affari costituzionali, il testo unificato delle proposte di legge C. 275 Bressa, C. 1059 Fraccaro, C. 1832 Civati, C. 1969 Tinagli, C. 2339 Dadone, C. 2634 Rizzetto, C. 2652 Scotto e C. 3426 Rubinato, recante disposizioni in materia di conflitti di interessi, come risultante dagli emendamenti approvati dalla I Commissione nel corso dell'esame in sede referente;
   evidenziato il notevole rilievo del provvedimento, che realizza un importante intervento di riforma rispetto a una tematica cruciale per la trasparenza della vita democratica del Paese e per il corretto funzionamento delle istituzioni,
   esprime

PARERE FAVOREVOLE