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CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 2 febbraio 2017
760.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Interrogazione n. 5-10442 Palazzotto: Sulla gestione del «Fondo per l'Africa», istituito dall'articolo 1, comma 621, della legge 11 novembre 2016, n. 232.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Colgo l'occasione di questa interrogazione per fornire qualche chiarimento sul Fondo Africa, anche alla luce delle precisazioni fornite ieri dal Ministro Alfano in occasione della conferenza stampa che ha tenuto alla Farnesina dopo la firma del decreto.
  Con la firma del decreto sul Fondo Africa diamo attuazione concreta a quanto previsto dalla legge di Bilancio 2017 che assegna 200 milioni di euro per «interventi straordinari volti a rilanciare il dialogo e la cooperazione con i Paesi africani d'importanza prioritaria per le rotte migratorie».
  Il Viminale ha recentemente reso noti i dati sugli arrivi irregolari in Italia nel 2016: oltre 180.000 persone, con un aumento del 18 per cento rispetto al 2015. Il 96 per cento dei migranti irregolari giunti in Italia nel 2016 è partito dalle coste libiche. Il 47 per cento dei migranti irregolari giunti in Italia nel 2016 ha dichiarato di possedere la cittadinanza di Paesi dell'Africa Occidentale (Nigeria, Guinea, Costa d'Avorio, Gambia, Senegal, Mali).
  Seguendo le indicazioni contenute nella legge di bilancio e considerate le cifre che ci fornisce il Viminale, vogliamo quindi perseguire il rafforzamento della nostra frontiera esterna senza costruire muri ma rafforzando la sintesi tra solidarietà e sicurezza. Si tratta in buona sostanza di individuare modalità concrete per frenare le partenze dei migranti irregolari e, parallelamente, colpire il business dei trafficanti di esseri umani.
  Riteniamo che per fare questo occorra creare un nuovo quadro di collaborazione con alcuni Paesi africani che noi consideriamo di prioritaria importanza. Innanzitutto con Libia, Niger e Tunisia. Questi tre Stati rivestono un ruolo centrale e cruciale nella gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo Centrale. E poi con Nigeria, Senegal, Egitto, Etiopia, Costa d'Avorio, Eritrea, Ghana, Guinea, Somalia e Sudan.
  Noi sappiamo per esperienza che non esiste una soluzione tutta italiana alla questione. Insieme ai Paesi interessati individueremo quindi delle iniziative che potranno essere realizzate direttamente dal MAECI, oppure attraverso altre Amministrazioni dello Stato. Siamo inoltre pronti a lavorare con UE e Agenzie specializzate ONU, come l'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, nonché con le organizzazioni della società civile.
  Il Fondo Africa consentirà di finanziare iniziative specificamente mirate al contrasto all'immigrazione irregolare: penso a equipaggiamenti, strumenti tecnici, programmi di formazione per le forze di sicurezza. Vorremmo anche che i registri di stato civile fossero digitalizzati, che fossero costruite strutture di accoglienza per i migranti, e che fossero messe a punto misure di rimpatrio volontario assistito.
  È evidente che le iniziative che si qualificano come Aiuto pubblico allo sviluppo, che pure sono previste dal Fondo Africa, saranno realizzate secondo le modalità previste dalla legge n. 125 del 2014. Una legge che il Ministro Alfano ha sostenuto nella sua nascita e nel suo iter parlamentare.
  Tengo anche a confermare che il Ministro Alfano resta pienamente impegnato Pag. 11a continuare ad incrementare le risorse da destinare alla cooperazione allo sviluppo, in vista di un progressivo allineamento del nostro aiuto pubblico allo sviluppo ai benchmark internazionali.
  Questo andamento crescente lo vorremmo confermare già a partire dalla delibera sulle missioni internazionali, che sarete chiamati ad esaminare nei prossimi giorni, in cui è previsto che la quota destinata alla cooperazione verrà portata a 120 milioni circa, rispetto ai 90 milioni che erano stati previsti nel decreto missioni 2016.

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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-10443 Quartapelle Procopio: Sui recenti provvedimenti in tema di ingresso degli stranieri adottati dagli Stati Uniti.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Ringrazio l'Onorevole interrogante per avermi dato la possibilità di chiarire la posizione del Governo italiano a seguito delle misure annunciate dal Presidente Trump sull'immigrazione da alcuni Paesi.
  Innanzitutto vorrei ripercorrere brevemente quali sono queste misure. Con un ordine esecutivo, il Presidente Trump ha interrotto temporaneamente i flussi di persone provenienti da Paesi ritenuti a rischio per la sicurezza nazionale, sospendendo per 90 giorni l'ingresso negli USA di quanti provengono da Iran, Iraq, Sudan, Somalia, Siria, Yemen e Libia (ad eccezione di detentori di visti d'ingresso diplomatici) e per 120 giorni il programma di reinsediamento dei rifugiati, il cui limite per il 2017 viene contestualmente ridotto a 50.000 unità, dando priorità alle minoranze religiose (essenzialmente cristiane, come ha dichiarato lo stesso presidente Trump) e sospeso del tutto, a tempo illimitato, per i provenienti dalla Siria.
  Com’è stato poi precisato da parte del Capo di Gabinetto del Presidente Trump, Reince Priebus, il provvedimento non riguarderebbe i detentori di «green card», che verranno ammessi negli USA con scrutinio effettuato «caso per caso», né i possessori di doppia cittadinanza, purché viaggino con passaporto di uno Stato non compreso tra i 7 indicati e abbiano un visto d'ingresso negli USA.
  La Commissione europea, che ritiene necessario mantenere una voce unica in tema, ha assicurato massima attenzione e costante monitoraggio, anche alla luce della centralità che il tema migrazione in vari formati internazionali (quali, in particolare, il G7). Nel contatto telefonico avuto il 31 gennaio tra il Commissario Avramopoulos e lo U.S. Secretary of Homeland Security Kelly, quest'ultimo avrebbe confermato l'interpretazione favorevole sui già citati casi di doppia cittadinanza – peraltro già inserita in quello stesso giorno nei siti web USA – mentre il Commissario Avramopoulos ha evidenziato il rifiuto UE di ogni approccio discriminatorio basato su nazionalità, religione o razza. Entrambi avrebbero auspicato il prosieguo della cooperazione tecnica (una riunione ministeriale UE-USA è tra l'altro prevista in giugno).
  Sul piano più generale, ricordo che, nella giornata di domani, si svolgerà il consiglio europeo informale di Malta, che contribuirà ad aggiungere un ulteriore tassello alla dimensione esterna della politica migratoria dell'Unione europea. Grazie anche agli sforzi del nostro Paese, un'attenzione più marcata verrà finalmente dedicata alla collaborazione anche con i Paesi del Nord Africa, in particolar modo con la Libia.
  Più che la politica del Presidente Trump ci interessa infatti promuovere una visione italiana ed europea. La decisione del Presidente americano non costituisce una sorpresa. Non fa altro che realizzare le promesse fatte nel corso della campagna elettorale. Si tratta tuttavia di una impostazione che, come ha precisato il Ministro Alfano, diverge da quella finora seguita dal Governo italiano. La linea che abbiamo sempre tenuto è che non ci debba essere alcuna omologazione tra migrazioni e terrorismo quanto piuttosto attenzione al caso concreto. Il nostro approccio unisce rigore e umanità, sicurezza e solidarietà. I Pag. 13risultati ottenuti finora sul piano della sicurezza stanno a testimoniare che siamo sulla giusta strada.
  Da una parte, infatti, abbiamo salvato e continueremo a salvare migliaia e migliaia di vite che scappano da guerre e persecuzioni. Dall'altra abbiamo espulso – e continueremo a farlo – i radicalizzati, gli elementi più pericolosi per la nostra sicurezza, intensificando la cooperazione con i Paesi di provenienza e di transito dei migranti irregolari.

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ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-10444 Spadoni: Sulla compatibilità tra le politiche del Governo italiano in tema di esportazioni di armamenti e di tutela dei diritti umani.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Vorrei rispondere all'Onorevole interrogante facendo innanzitutto presente che abbiamo una legge (la n. 185 del 1990) molto rigorosa, che mira ad evitare che si verifichi una mancanza di coerenza quale quella prefigurata dall'On. Spadoni.
  Come sapete, la legge disciplina le movimentazioni dei materiali di armamento, prevedendo un sistema di controllo e di autorizzazione rigoroso ed articolato che, in materia di armamenti convenzionali, è tra i più avanzati in ambito europeo ed internazionale. L'applicazione del disposto normativo viene scrupolosamente garantita da un sistema di concertazione interministeriale, che, oltre al Ministero degli affari esteri e della Cooperazione internazionale, coinvolge direttamente i Ministeri della difesa, dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze, dell'ambiente, dell'interno, l'Agenzia delle Dogane e la Presidenza del Consiglio.
  Già nella sua concreta attuazione, specie in caso di esportazione di materiali d'armamento verso destinazioni sensibili in termini di sicurezza e stabilità interna e regionale – e qui vengo al quesito posto dall'Onorevole interrogante – vengono svolte le opportune considerazioni, nonché ottenute le adeguate garanzie, non solo in merito all'utilizzatore finale dei beni, ma anche in ordine all'impiego finale dei materiali esportati.
  Tali considerazioni, oltre che alla base del procedimento autorizzativo delineato dalla legge n. 185 del 1990, sono espressamente previste dalla Posizione Comune 2008/944/PESC del Consiglio Europeo dell'8 dicembre 2008 («Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari»). Gli otto criteri cui fa riferimento la Posizione Comune implicano una serie di valutazioni in merito alla situazione interna e regionale dei Paesi destinatari delle forniture, tra le quali il rispetto di obblighi ed impegni internazionali, l'eventuale rischio di sviamenti o cessione a terzi, il rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale da parte dei Governi destinatari.
  Stringenti valutazioni vengono sistematicamente condotte «caso per caso» ogniqualvolta le esportazioni di materiali d'armamento riguardino destinazioni sensibili, acquisendo tutte le necessarie informazioni e garanzie.
  La legge e la sua applicazione quindi fornisce tutte le adeguate garanzie in ambito di esportazione di armamenti. Quanto infine al caso dell'Arabia Saudita, citata dall'Onorevole interrogante, ribadisco che, a differenza di altri Paesi, non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti. Naturalmente, ove in sede ONU o UE fossero accertate eventuali violazioni, l'Italia si adeguerebbe prontamente al dispositivo precettivo internazionale adottato.

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ALLEGATO 4

Interrogazione n. 5-10262 Manlio Di Stefano: Sulla partecipazione dell'Italia alla Conferenza sul disarmo nucleare del marzo 2017.

TESTO DELLA RISPOSTA

  La questione del disarmo nucleare è seguita con grande attenzione dal Governo che ha continuato a mantenere, negli ultimi anni, una posizione coerente con gli impegni internazionali assunti dal nostro Paese.
  Insieme ai Paesi militarmente non nucleari dell'Alleanza Atlantica, nonché a Giappone, Australia e Corea del Sud, l'Italia è tradizionalmente fautrice di un «approccio progressivo» al disarmo, che riafferma la centralità del Trattato di Non Proliferazione, la sua universalizzazione e l'interdipendenza dei suoi tre pilastri (disarmo, non-proliferazione e uso pacifico dell'energia nucleare).
  Tale approccio è stato sviluppato in piena coerenza con la nostra adesione agli impegni assunti in seno all'Alleanza Atlantica, la cui dottrina di deterrenza è stata confermata, da ultimo, da tutti gli Alleati al Vertice di Varsavia del 2016.
  Abbiamo inoltre ritenuto inopportuno sostenere iniziative suscettibili di portare ad una forte contrapposizione in seno alla Comunità internazionale su una questione che richiede un impegno universale ed il pieno coinvolgimento anche dei Paesi militarmente nucleari.
  Sulla base di tali premesse, desidero chiarire che l'intenzione di voto dell'Italia durante la sessione plenaria della 71ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla Risoluzione «Taking forward multilateral disarmament negotiations», è stata alterata da un errore tecnico-materiale che ha interessato anche altri Paesi. L'erronea indicazione di voto favorevole è stata successivamente rettificata dalla nostra Rappresentanza Permanente presso le Nazioni Unite, che ha confermato il voto negativo espresso in Prima Commissione. Secondo quanto mi segnalano, tale errore sembra essere dipeso dalle circostanze in cui è avvenuta la votazione, a tarda ora della notte del 23 dicembre.
  La decisione di votare contro la Risoluzione è stata assunta a seguito di una ampia riflessione, pur avendo l'Italia seguito con la massima attenzione la precedente «Campagna sull'impatto umanitario dell'arma nucleare» organizzata dai Paesi proponenti.
  Pur condividendo gli obiettivi di fondo che persegue la Risoluzione, riteniamo che la convocazione, nel 2017, di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisca un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare. Un nostro sostegno avrebbe, in altre parole, rischiato di erodere la credibilità politica del «progressive approach» e del Trattato di Non Proliferazione.
  In spirito costruttivo, assieme ai Paesi like-minded, abbiamo ritenuto invece preferibile continuare a promuovere o sostenere una serie di iniziative che prevedono un percorso graduale, realistico e concreto in grado di condurre a un processo di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile.
  Posso citare, come esempio: le iniziative miranti a favorire la conclusione di un Trattato sulla messa al bando del materiale fissile atto alla fabbricazione di armi nucleari; l'approfondimento degli strumenti e del ruolo delle verifiche nel progresso Pag. 16del disarmo nucleare, in un'ottica inclusiva che preveda il coinvolgimento di Paesi non militarmente nucleari; promozione dell'entrata in vigore del Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari; creazione di Zone libere da armi nucleari, soprattutto in Medio Oriente, e misure di trasparenza degli Stati militarmente nucleari.
  Alla medesima logica è altresì da ricondurre il convinto sostegno italiano alla Dichiarazione di Hiroshima dei Ministri degli Esteri del G7 dello scorso aprile. Quest'ultima, riafferma – con forte valenza simbolica – l'impegno ad una piena applicazione del Trattato di Non Proliferazione, incluso per quanto riguarda il pilastro del disarmo. Essa sottolinea, inoltre, che ulteriori progressi in materia potranno essere raggiunti soltanto tramite un approccio «determinato, realistico ed incrementale» e che contribuisca al rafforzamento della sicurezza internazionale.
  Con lo stesso spirito propositivo, l'Italia si prepara a intraprendere il percorso preparatorio della Conferenza di riesame del Trattato di Non Proliferazione del 2020, che sarà occasione per riaffermare la centralità del Trattato, in tutte le sue componenti, compresa quella del disarmo nucleare.