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CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 13 dicembre 2017
928.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, concernenti la deducibilità dei compensi per intermediazione corrisposti dalle società sportive professionistiche agli effetti dell'imposta sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive (C. 4365 Bernardo).

EMENDAMENTI

ART. 1.

Sopprimerlo.
1. 1. Busin, Giorgetti.

Sostituire l'articolo con il seguente:

Art. 1.
(Deducibilità dei compensi corrisposti dalle società sportive ai procuratori).

  1. All'articolo 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente:
  «1-ter. Per le società sportive professionistiche sono interamente ammessi in deduzione i costi sostenuti per le prestazioni di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale connesse alla stipulazione di contratti con gli sportivi professionisti, dirette all'ottenimento da parte della società di variazioni di tesseramento in entrata o in uscita ovvero di rinnovi contrattuali».

  2. I costi sostenuti dalla società a beneficio dei procuratori per l'attività di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale connesse alla stipula di contratti tra società sportive e sportivi professionisti sono considerati «oneri pluriennali» e seguono la disciplina fiscale per le spese relative a più esercizi, di cui all'articolo 108, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
  3. All'articolo 51, comma 2, del Testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo la lettera i-bis) è aggiunta la seguente:
  «i-ter) i compensi corrisposti dalle società sportive professionistiche per le prestazioni di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale connesse alla stipulazione di contratti con gli sportivi professionisti dirette all'ottenimento da parte della società di variazioni di tesseramento in entrata o in uscita ovvero di rinnovi contrattuali». 
1. 8. Il Relatore.
(Approvato)

  Al comma 1 apportare le seguenti modificazioni:
   al capoverso comma 1-ter sostituire le parole: interamente ammessi in deduzione con le seguenti: ammessi in deduzione ai sensi del comma 1-quater;
   dopo il capoverso comma 1-ter aggiungere il seguente:
  1-quater. Nel caso in cui il procuratore agisca nell'interesse sia delle società sportive professionistiche che degli sportivi professionisti il contratto tra le suddette società ed il procuratore deve indicare la Pag. 78percentuale di prestazione di cui al precedente comma riferita alle società sportive professionistiche ed agli sportivi professionisti. La deducibilità di tali prestazioni per le società sportive professionistiche coincide con la sola parte di prestazione, indicata nel contratto, riferita alla società sportiva professionistica. In assenza di indicazioni nel contratto della percentuale di prestazione riferita alle società sportive professionistiche ed agli sportivi professionisti la deducibilità è ammessa nella misura del 50 per cento del valore complessivo della prestazione.
1. 2. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.
(Approvato)

  Al comma 1 apportare le seguenti modificazioni:
   al capoverso comma 1-ter sostituire le parole: interamente ammessi in deduzione con le seguenti: ammessi in deduzione ai sensi del comma 1-quater;
   dopo il capoverso comma 1-ter aggiungere il seguente:
  1-quater. Nel caso in cui il procuratore agisca nell'interesse sia delle società sportive professionistiche che degli sportivi professionisti il contratto tra le suddette società ed il procuratore deve indicare la percentuale di prestazione di cui al precedente comma riferita alle società sportive professionistiche ed agli sportivi professionisti. La deducibilità di tali prestazioni per le società sportive professionistiche coincide con la sola parte di prestazione, indicata nel contratto, riferita alla società sportiva professionistica.
1. 3. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.

  Al comma 1, capoverso lettera 1-ter, dopo le parole: ammessi in deduzione inserire le seguenti: purché strettamente inerenti i relativi ricavi di esercizio.
1. 4. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.

  Apportare le seguenti modificazioni:
   a) al comma 1, capoverso comma 1-ter:
    1) dopo le parole: «ovvero di rinnovi contrattuali» aggiungere le seguenti: «, nei limiti e a condizione che la prestazione di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale sia stata posta in essere nell'interesse, esclusivo o parziale, della società sportiva.»;
    2) dopo il primo periodo aggiungere il seguente: «I costi di cui al precedente periodo si presumono sostenuti, in egual misura, nell'interesse della società sportiva e degli sportivi professionisti se non risulta diversamente dal contratto di conferimento dell'incarico di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale.»;
    3) al secondo periodo, dopo le parole: «sportivo professionista tesserato» aggiungere le seguenti: «nei limiti e a condizione che i detti costi concorrano effettivamente al conseguimento di ricavi per la società sportiva».
   b) al comma 2, lettera a), capoverso lettera i-ter), sostituire le parole: «nonché i compensi destinati a migliorare la prestazione dello sportivo professionista tesserato» con le seguenti: «, a condizione che i detti costi siano stati posti in essere nell'interesse esclusivo della società sportiva»;
   c) al comma 2, lettera b), capoverso comma 4-bis, aggiungere, in fine, i seguenti periodi: «I costi di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale sono ammessi in deduzione nei limiti e a condizione che la prestazione di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale sia stata posta in essere nell'interesse, esclusivo o parziale, della società sportiva. I costi di cui al precedente periodo si presumono sostenuti nell'interesse della società sportiva e degli sportivi professionisti se non risulta diversamente dal contratto di conferimento dell'incarico di intermediazione, assistenza e consulenza contrattuale. I compensi destinati a migliorare la prestazione dello sportivo professionista Pag. 79tesserato sono deducibili nei limiti e a condizione che concorrano effettivamente al conseguimento di ricavi per la società sportiva».
1. 5. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.

  Al comma 2, lettera a), capoverso lettera i-ter), prima delle parole: «i compensi corrisposti» inserire le seguenti: «per gli sportivi professionisti».
1. 6. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.

  Al comma 2, lettera a), capoverso lettera i-ter), sopprimere le parole: «nonché i compensi destinati a migliorare la prestazione dello sportivo professionista tesserato».
1. 7. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.

ART. 2.

Sopprimerlo.
*2. 1. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.
(Approvato)

  Sopprimerlo.
*2. 2. Il Relatore.
(Approvato)

ART. 3.

Sopprimerlo.
3. 1. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.

  Al comma 1, sostituire la parola: reddito con le seguenti: valore della produzione netta.
3. 3. Il Relatore.
(Approvato)

  Al comma 1, capoverso comma 5-bis, sopprimere le parole: ovvero, se il bene è stato posseduto per un periodo non inferiore ad un anno, a scelta della società sportiva professionistica, in quote costanti nell'esercizio stesso e nei successivi non oltre il quarto.
3. 2. Pesco, Alberti, Sibilia, Villarosa.

Pag. 80

ALLEGATO 2

Disposizioni concernenti l'impiego della carta d'identità elettronica nell'adempimento degli obblighi di identificazione previsti dalla normativa per il contrasto del riciclaggio dei proventi di attività criminose (C. 4662 Fragomeli).

EMENDAMENTI

ART. 1.

Sostituirlo con il seguente:

Art. 1.

  1. All'articolo 19, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, dopo le parole: «del regolamento EU n. 901/2014.» è aggiunto il seguente periodo: «Il riscontro si considera assolto qualora l'identificazione di cui alla lettera a) del presente comma sia stata effettuata attraverso la lettura, alla presenza del titolare e secondo le specifiche di cui al decreto del Ministro dell'interno 23 dicembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015, dei dati personali e biometrici contenuti all'interno del microprocessore della carta di identità elettronica».
1. 1. Il Relatore.
(Approvato)

  Dopo il comma 2, inserire i seguenti:
  2-bis. In tutte le amministrazioni pubbliche di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge, le successive nuove installazioni o sostituzioni di dispositivi per la rilevazione della presenza tramite timbratura in ingresso e in uscita dal luogo di lavoro, dovranno contenere appositi lettori per consentire l'utilizzo della carta d'identità elettronica in associazione alla lettura dell'impronta digitale del dipendente, da effettuare attraverso la lettura dei dati personali e biometrici contenuti all'interno del microprocessore della carta d'identità elettronica, secondo le specifiche pubblicate nel Portale della stessa carta previsto dal decreto del Ministro dell'interno 23 dicembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015.
  2-ter. Con il decreto del Ministro dell'interno relativo alla completa sostituzione, anche a livello nazionale, della carta d'identità cartacea con la nuova carta d'identità elettronica di cui al comma 2-bis dell'articolo 7-vicies ter del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 marzo 2005, n. 43, sono stabilite le modalità attuative delle disposizioni di cui ai precedenti commi, nonché ulteriori impieghi.
1. 2. Fragomeli.
(Approvato)

Pag. 81

ALLEGATO 3

Indagine conoscitiva sulle tematiche relative all'impatto della tecnologia finanziaria sul settore finanziario, creditizio e assicurativo.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

1. Le premesse dell'indagine conoscitiva.
  L'affermarsi e lo svilupparsi della tecnologia finanziaria (financial technology o FinTech), legata essenzialmente alla digitalizzazione dei servizi finanziari, costituisce uno dei fenomeni più significativi degli ultimi anni e uno dei fattori più importanti per il futuro dei mercati finanziari, creditizi e assicurativi, nonché dell'intera economia mondiale, e merita dunque un approfondimento molto attento.
  La rilevanza dell'impatto che il modello organizzativo e di business del FinTech sta avendo e avrà è del resto ampiamente dimostrata anche dal confronto con altri settori economici che hanno già sperimentato la rivoluzione digitale: basti pensare a musica, viaggi e video, dove, in soli 10 anni, sono nati e si sono imposti alla quotidianità siti quali iTunes o Spotify, Expedia o Booking, Netflix, e dove i soggetti imprenditoriali che per primi hanno colto le opportunità fornite da questo fenomeno hanno visto crescere i profitti, dando vita a un mercato molto concentrato. Con particolare riferimento al settore finanziario, in Cina, ad esempio, società come Alipay e Tencent hanno ormai un numero di clienti paragonabile a quelli degli istituti di pagamento tradizionali e gli investimenti privati in società FinTech, che nel 2010 erano pari a 1,8 miliardi di dollari, nel 2015 sono cresciuti sino alla cifra di 19 miliardi.
  Tale evoluzione ha inciso molto non solo dal lato dell'offerta di servizi, ma anche dal lato della domanda: infatti, se nel 2009 il 70 per cento dei clienti utilizzava le filiali bancarie, oggi due contatti su tre con le banche avvengono in via digitale e, secondo alcuni analisti, entro il 2021 quasi 3 miliardi di utenti potranno accedere ai servizi bancari al dettaglio tramite smartphone, tablet, PC e smartwatches, con una crescita del 53 per cento rispetto al 2017.
  In questo contesto la Commissione Finanze ha maturato la decisione di procedere a un'indagine conoscitiva su tali tematiche, nella consapevolezza che il legislatore, così come il Governo e le Autorità di vigilanza, devono interrogarsi interroghino, in modo responsabile e lungimirante, sulle conseguenze della crescita del settore FinTech rispetto al sistema delle banche e dei mercati finanziari e assicurativi nel loro complesso, nonché rispetto all'ordinamento settoriale vigente. Occorre infatti verificare l'adeguatezza del sistema normativo e di vigilanza rispetto a tale evoluzione, al fine di, da un lato, scongiurare lacune e carenze e, dall'altro, evitare che un eccesso di regolamentazione finisca per rendere l'economia italiana inospitale per questo settore, con la conseguenza negativa di avvantaggiare nazioni più competitive. In tale prospettiva appare opportuno tenere conto di due aspetti: quello sociale e quello industriale.
  Per ciò che attiene al primo aspetto, è necessario cogliere l'opportunità di incrementare l'inclusione finanziaria sia per le persone fisiche sia per le imprese: ad esempio, il peer to peer lending o il crowdfunding consentono l'accesso al credito a soggetti non bancabili o diversamente bancabili; il cosiddetto roboadvisor (servizio automatizzato di investimento) può rendere più accessibile (in termini di Pag. 82costo/efficienza) la gestione del personal finance; i servizi di money transfer e di payment rendono meno onerosi e più semplici pagamenti e scambi di denaro, dando un ulteriore impulso all’e-commerce e rispondendo all'esigenza dei clienti di avere sempre a disposizione la propria disponibilità finanziaria.
  Un altro settore che potrà avvalersi dell'apporto di tali tecnologie è quello assicurativo, nella prospettiva della cosiddetta InsurTech: lo sviluppo dell’information technology e l'analisi dei big data consentiranno infatti una personalizzazione spinta dei profili di rischio, e quindi di prezzo, dei prodotti assicurativi.
  In generale l'indagine conoscitiva è partita dunque dalla convinzione che lo Stato debba governare tali cambiamenti, con lo scopo di mantenere, o meglio accrescere, il benessere della collettività, ripensando necessariamente il modello di sviluppo e le politiche di fronte alla nascita di nuovi settori, nuovi lavori, nuovi modelli di servizio. Un'ulteriore constatazione da cui la Commissione è partita per svolgere la sua attività conoscitiva è che la collaborazione tra banche tradizionali e operatori FinTech è inevitabile, poiché, ad oggi, le prime dispongono delle risorse di cui hanno bisogno i secondi e viceversa.
  Tali nuovi paradigmi, mercati e canali necessitano di un adeguato contesto normativo, al fine di garantire la tutela dei risparmiatori, la privacy dei dati personali trattati, i processi di conoscenza dei clienti e i presidi per il contrasto al riciclaggio di denaro, nonché l'elaborazione di una cornice regolamentare in grado di garantire la pacifica convivenza tra operatori tradizionali e le nuove start-up del settore FinTech.
  Tale considerazione di fondo è ulteriormente rafforzata dal fatto che dal 2018 il recepimento della direttiva PSD2 abbatterà definitivamente ogni barriera residuale all'operatività delle società FinTech, con la conseguenza che lo spazio lasciato libero dalle banche tradizionali sarà certamente occupato dalle nuove società FinTech, permettendo a nuovi attori di affacciarsi sul mercato e consentendo loro di accedere a informazioni e iniziare ad operare sui conti dei clienti.
  In questo ampio e articolato panorama la Commissione Finanze ha ritenuto necessario approfondire tali tematiche attraverso un'indagine conoscitiva, al fine di acquisire una conoscenza del settore, del suo impatto sull'ecosistema finanziario-bancario, nonché degli interventi normativi da realizzare per tutelare i risparmiatori, ridurre i rischi sistemici, creare un contesto favorevole per l'ingresso di nuovi capitali dall'estero e favorire lo sviluppo dell'innovazione nel settore.
  Nel corso dell'indagine, che si è articolata in tempi rapidi, nell'arco di meno di tre mesi, sono state svolte trenta audizioni, che hanno consentito di ascoltare numerosi esponenti delle principali società italiane operanti nel settore del FintTech, alcune banche (Banca Intesa, Banca Sella), nonché diversi altri operatori finanziari, le rappresentanze del settore bancario e assicurativo e di quello della consulenza finanziaria (ABI, ANIA e ANASF), Borsa Italiana, alcuni esperti del settore, nonché i rappresentanti dei soggetti regolatori, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, la CONSOB e la Banca d'Italia.

2. Il FinTech: verso una definizione del comparto.
  Sebbene manchi una definizione codificata di FinTech, dalle risultanze delle indagine è emersa la pressoché unanime tendenza a qualificare il fenomeno come l'affermarsi e lo svilupparsi della tecnologia finanziaria legata alla digitalizzazione dei servizi finanziari (financial technology o FinTech), che coinvolge l'intero ambito dei servizi medesimi.
  Le implicazioni tecnologiche di questo fenomeno sono dirompenti, non solo per il sistema finanziario, in quanto da oltre dieci anni si assiste alla trasformazione digitale della domanda di beni e servizi in tutti i settori dell'economia. Si tratta di un fenomeno intersettoriale su base globale (e ciò interessa i settori finanziario, bancario e assicurativo) che nasce e si sviluppa nel Pag. 83nuovo contesto disegnato dalla tecnologia della comunicazione e dell'informazione.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva svolta dalla Commissione sono emersi suggerimenti e proposte al legislatore ed alle autorità regolatrici. Alcune prospettive sono riferite al particolare settore in cui operano gli stakeholder auditi; altre invece riguardano, più genericamente, l'intero settore della tecnologia digitale applicata ai servizi finanziari.

3. Il contesto di mercato.
  Nel contesto storico-economico attuale le attività FinTech assumono rilievo in specifici segmenti del settore finanziario, quali i pagamenti al dettaglio, i prestiti di importo contenuto, la gestione del risparmio. Esse sono tuttavia in rapida espansione in particolare in comparti innovativi quali il prestito collettivo (lending-based crowdfunding) ed i servizi automatizzati di investimento (robo-advisor) e di aiuto alla clientela (chatbox).
  Ancorché oggi economicamente irrilevante, il robo-advice possiede un enorme potenziale di crescita, in quanto può apportare precisi benefici per i risparmiatori retail. Nel prossimo futuro, l'estensione dei servizi di gestione delle finanze personali (e la relativa trattazione del rapporto con il cliente) via internet ai clienti retail con ricchezza finanziaria modesta (cosiddetto mass-market), ad oggi non assistiti da un consulente finanziario, dischiude notevoli spazi di mercato alle imprese FinTech. Di fatto il recepimento in Italia della citata direttiva PSD2, consentendo l'accesso ai conti correnti delle banche, apre il mercato dei servizi digitali di Personal Financial Management alle imprese FinTech. Si tratta di uno strumento facilmente accessibile (24 ore al giorno, per 7 giorni la settimana), in grado di creare sia economie di scala sia economie di scopo. Inoltre, grazie al robo-advisor il processo di consulenza diventerebbe del tutto tracciabile e trasparente. Vi è dunque per l'utente la possibilità di monitorare i rischi su base continuativa, con un reporting di portafoglio disponibile online. Ciò incide positivamente anche sull'educazione finanziaria del cliente, coi processi di apprendimento mediante tool informativi online.
  Cresce anche il ricorso a tecnologie quali l'intelligenza artificiale, i dati destrutturati (Big Data) e la Distributed Ledger Technology (DLT).
  I Big Data sono banche-dati che ogni giorno immagazzinano, attraverso sofisticati algoritmi, una notevole quantità di informazioni di dettaglio, consentendo di tracciare con crescente precisione preferenze e modelli comportamentali di individui, associazioni e imprese. Le informazioni sono raccolte da una pluralità di fonti: direttamente dalle imprese, dai comportamenti di consumo on-line, dai circuiti di socializzazione via web (social media, blog, forum di discussione), da processi computerizzati senza intervento umano o da sensori (i cosiddetti machine-generated data), da banche-dati di istituzioni pubbliche, dagli operatori dell'informazione.
  Le principali caratteristiche dei Big Data sono il volume (la quantità) dei dati e delle informazioni raccolte ed elaborate, la varietà di informazioni processate (ossia ampiezza delle tipologie di dati ed elevata granularità) e la velocità di acquisizione ed analisi tramite processi automatizzati. Possedere ed utilizzare tali dati conferisce un vantaggio competitivo straordinario nell'offerta di beni e servizi mirati sui consumatori, grazie alla capacità d'identificazione delle loro esigenze e alla comprensione delle strategie concorrenziali in atto nei relativi mercati. I cosiddetti Big Six del digitale (Apple, Google, Microsoft, Facebook, Amazon e Alibaba) sono infatti in grado di dominare i mercati di riferimento grazie alla gestione di Big Data di tipo relazionale e commerciale acquisiti tramite il presidio dello spazio web.
  La Distributed Ledger Technology – DLT è la tecnologia sottostante alle transazioni di valute virtuali. Essa si basa su uno schema decentrato, che prevede lo scambio diretto di messaggi tra i nodi della rete e la registrazione delle transazioni in un univoco registro informatico (distributed ledger) distribuito tra i nodi Pag. 84stessi, che può essere aggiornato, gestito e controllato in modo distribuito, da parte di tutti gli attori.
  Nel corso dell'indagine è emerso come, secondo le stime relative al prossimo decennio, con l'espansione del FinTech in tutti i segmenti di mercato i nuovi operatori potrebbero erodere il sessanta per cento dei profitti che le banche ottengono dalle attività al dettaglio.
  Secondo il Global FinTech Report 2017 di PwC, nel 2017 circa l'88 per cento degli intermediari tradizionali ritiene che parte delle proprie attività è a rischio per la presenza di specifiche società del FinTech nel proprio segmento di affari. Gli intermediari finanziari tradizionali (banche commerciali, in primis) evidenziano infatti una debolezza strutturale nella capacità di gestione delle informazioni di cui dispongono, anche a causa di tecnologia stratificata, modelli organizzativi rigidi e cultura non adattiva.
  È emerso inoltre che alla base dello sviluppo delle attività FinTech vi sono fattori tecnologici, congiunturali e strutturali. Gli esempi di successo, anche a livello internazionale (Microsoft, Samsung) sono dovuti in primo luogo alla complementarità che esiste tra la piattaforma on line, la domanda di servizi da parte dei consumatori e delle imprese presenti sulla piattaforma e l'uso di strumenti di pagamento digitali. La piattaforma consente infatti di interagire con una moltitudine di intermediari e clienti mediante un unico canale ed è una formidabile fonte di informazioni: essa mette a disposizione del gestore i dati sulla qualità dei beni offerti dalle imprese, sulle vendite dei singoli prodotti, sul grado di soddisfazione dei consumatori. Inoltre la capacità competitiva delle aziende tecnologiche beneficia della loro forza finanziaria, rappresentata dall'ampia liquidità accumulata nella loro attività e dalla ingente capitalizzazione di borsa.
  Tali fattori spingono molti intermediari ad accrescere l'impegno nelle nuove tecnologie, ampliando l'offerta di servizi digitali ed aumentando gli investimenti, così come sottoscrivendo accordi con aziende FinTech o acquisendo le azienda stesse.
  In particolare, sono due le condizioni che spingono verso forme di partnership più o meno stringenti tra le parti: da parte degli intermediari tradizionali, una struttura tecnologica complessa e stratificata (cosiddetta tech-legacy); da parte delle imprese FinTech, la mancanza di massa critica, in termini di clienti da servire.
  In Italia, quasi tutte le banche classificate come significative ai fini della vigilanza stanno avviando progetti FinTech volti a innovare il modello di attività, accrescere i margini reddituali, migliorare i servizi alla clientela. Essi riguardano principalmente lo sviluppo di servizi informativi ai clienti sull'operatività dei conti correnti, i servizi di pagamento, la gestione dell'identità elettronica e il riconoscimento a distanza; prevedono l'adozione di tecnologie trasversali, come l'intelligenza artificiale e lo sfruttamento dei dati destrutturati. Gli intermediari minori che hanno avviato progetti tecnologici si sono concentrati su applicazioni analoghe a quelle delle banche più grandi, anche se il loro coinvolgimento in attività innovative appare più limitato.
  Tra le strategie di partnership banche – FinTech si segnalano: la creazione di fondi di investimento dedicati, sia italiani che internazionali; investimenti mirati nel capitale di alcune start-up FinTech; la creazione di acceleratori ed incubatori per lo sviluppo di FinTech; attività di ricerca e sviluppo congiunta con il mondo FinTech.
  Con riferimento ai dati quantitativi sul FinTech in Italia, i soggetti auditi nel corso dell'indagine conoscitiva hanno rilevato come gli investimenti tecnologici in campo finanziario risultino contenuti nel confronto europeo. In base alle indagini svolte dalla Banca d'Italia e alle informazioni disponibili sul complesso dell'Unione Europea, nel Paese gli investimenti FinTech non supererebbero il 5 per cento di quelli totali effettuati in Europa. La debolezza degli investimenti FinTech in Italia è ascritta a più fattori: in primo luogo, si devono considerare la disponibilità limitata delle banche, a seguito dei numerosi Pag. 85anni di crisi economica, e l'elevato costo necessario ad integrare le innovazioni tecnologiche con i sistemi elettronici preesistenti. Inoltre, pesano il basso grado di digitalizzazione del Paese rispetto al resto d'Europa ed il livello contenuto degli investimenti, fattore, quest'ultimo, che riflette l'incertezza sull'evoluzione del mercato.
  Secondo i dati pubblicati dalla Commissione Europea su Digital Economy e Society Index 2017, l'Italia si colloca al 25o posto in Europa per utilizzo delle tecnologie digitali, prima di Grecia, Bulgaria e Romania. Inoltre in Italia le risorse impiegate in R&S, ossia investite in capacità futura di innovazione, sono inferiori al 2 per cento del PIL, livello basso in relazione agli altri paesi sviluppati e lontana dall'obiettivo del 3 per cento fissato dalla Commissione europea nella Strategia UE 2020.
  Lo scenario italiano è costituito da 136 FinTech che hanno lanciato 145 iniziative, ma solo il 15 per cento delle società FinTech hanno ricevuto significativi finanziamenti in capitale di rischio. Al contrario, si stima che nella UE siano presenti oltre 1.500 aziende che rientrano nella definizione FinTech utilizzata dall’European Banking Authority – EBA.
  Tra i fattori rilevanti per lo sviluppo del settore FinTech, un ruolo peculiare è assegnabile dalla collocazione geografica. Il fenomeno FinTech si è sviluppato storicamente in pochi luoghi di matrice anglosassone; negli ultimi anni, però, si sta assistendo alla nascita di nuovi poli di innovazione, sia in Europa (Berlino, Parigi), ancor di più, nel Medioriente (uno su tutti Tel Aviv) e nel Sud-Est asiatico, frutto di una serie di politiche dedicate all'innovazione realizzate da questi Paesi. Ciò è da ascriversi principalmente alla presenza di politiche governative favorevoli all'istituzione di nuclei di aggregazione, di acceleratori, incubatori e distretti, sia pubblici sia privati sia misti.
  Un altro elemento è la possibilità di disporre del sufficiente capitale di rischio per svilupparsi e crescere nelle diverse forme. In tali aree vi è una diffusione di competenze digitali, attraverso percorsi di formazione delle stesse che, alle volte, possono partire anche dai primi anni di scuola, come attraverso l'insegnamento dell'informatica alle elementari. Vi è inoltre la disponibilità di figure di innovation evangelist sia all'interno delle organizzazioni stesse – ad esempio, alcune istituzioni finanziarie hanno costituito e stanno costituendo chief innovation officer – sia a supporto dei neoimprenditori, per seguirli nel percorso di crescita e sviluppo. Non ultimo, riveste un significativo ruolo lo sviluppo di centri pubblici di eccellenza tecnologici a supporto della ricerca pura.
  Lo sviluppo del FinTech offre numerose opportunità per gli investitori, i risparmiatori ed i mercati.
  In primo luogo, esso favorisce l'inclusione finanziaria sia per le persone fisiche sia per le imprese: ad esempio, il peer to peer lending (prestito tra privati) o l'equity crowdfunding (raccolta di capitali di rischio dell'impresa mediante strumenti online) consentono l'accesso al credito a soggetti non bancabili o diversamente bancabili. I servizi di money transfer rendono meno onerosi e più semplici pagamenti e scambi di denaro, dando un ulteriore impulso all’e-commerce e rispondendo all'esigenza dei clienti di avere sempre a disposizione la propria disponibilità finanziaria.
  Si semplificano i processi d'intermediazione finanziaria già esistenti, riducendo i relativi costi di produzione e innalzando la competitività dell'impresa FinTech, e si accelerano le politiche d'integrazione dei mercati dei servizi finanziari in UE (sempre più basati sull’on line).
  Attraverso l'intelligenza artificiale applicata ad ampi set informativi si consente di progettare nuovi servizi finanziari, in grado di intercettare bisogni non espressi dei clienti, rafforzando la competitività basata sulla qualità dei servizi.
  Si semplificano l'accesso alle informazioni disponibili e il loro utilizzo integrato (sfruttandone l'ampiezza e la granularità), con una netta riduzione dei costi di ricerca e di elaborazione dati.
  Si facilitano le relazioni dirette tra le parti grazie alla tecnologia basata sul web, Pag. 86anche via mobile, consentendo una riduzione netta dei costi di transazione e di contrattualizzazione. Si agevola inoltre l'accesso ai mercati dei capitali delle PMI, ampliando le possibilità di scelta di servizi/prodotti finanziari per i consumatori/utenti.
  Dall'altro lato, trattandosi di un settore ancora potenzialmente inesplorato e su cui non vi è una regolamentazione precisa, esso presenta alcuni profili di rischio, di carattere generale – legati precipuamente all'utilizzo della tecnologia – e di carattere specifico, ovvero relativi alle implicazioni tecnologiche in determinati settori.
  Alcuni auditi hanno rilevato come lo sviluppo delle tecnologie digitali faccia emergere importanti profili critici (cosiddetti cyber risk), legati alla maggiore produzione e scambio di dati. L'aumento del grado di interconnessione globale si associa a una crescita esplosiva della vulnerabilità ad attacchi e incidenti di tipo informatico, sviluppando – in parallelo – una preoccupante componente sistemica.
  In particolare, secondo un'indagine condotta presso i maggiori provider di servizi informatici, il costo annuo globale legato alle frodi informatiche è stimato in un intervallo posto tra circa 100 miliardi e un trilione di dollari. Il costo medio per incidente oscillerebbe tra 2,1 e 3,9 milioni di dollari. Si tratta di numeri enormi, capaci di incidere sul PIL degli Stati Uniti, ad esempio, per oltre mezzo punto percentuale; in Germania l'incidenza potrebbe addirittura raggiungere un punto percentuale e mezzo. Le assicurazioni, da un lato, devono gestire con efficienza i rischi di natura informatica cui sono esposte, garantendo la sicurezza dei dati di cui dispongono; dall'altro, però, esse sono le istituzioni più «equipaggiate» per supportare tutte le altre imprese nel far fronte a questa complessa tipologia di rischi. Anche il settore retail dovrà sempre più gestire efficacemente, anche con il ricorso alle coperture assicurative, i rischi informatici. Secondo l’Insurance Information Institute, i premi globali per coperture cyber-risk raddoppieranno in breve tempo, raggiungendo i 7,5 miliardi di dollari entro il 2020. In una prospettiva di più lungo termine, le opportunità di mercato per gli assicuratori si amplieranno ulteriormente con la commercializzazione in larga scala di soluzioni tecnologiche provenienti dal campo della robotica, dell'intelligenza artificiale, del machine learning.
  Sotto un diverso profilo, l'assenza di una specifica regolamentazione e la velocità con sui si sviluppa la tecnologia digitale potrebbero comportare rischi concorrenziali legati alla posizione di vantaggio che deriva dall'ingresso, in settori regolamentati, di nuovi soggetti i quali operano in un mondo regolato senza tuttavia essere soggetti ai medesimi oneri o limitazioni cui sono sottoposti gli operatori finanziari tradizionali. Tali profili emergono con particolare riferimento all'utilizzo dei dati: i Big Data sono infatti asset idonei a creare e/o rafforzare il potere di mercato di alcuni operatori, generare effetti di lock-in per gli utenti e costituire barriere all'entrata di nuovi operatori. La circolazione di tali quantità di dati, con modalità semplificate e veloci, sollecita l'attenzione dei regolatori anche con riferimento alla privacy degli utenti.
  Altri e specifici rischi riguardano alcuni settori del FinTech. Con riferimento, ad esempio, alle cosidette criptovalute, gli auditi e le istituzioni UE hanno messo in luce che si tratta di transazioni caratterizzate da un certo grado di anonimato: dunque vi è un problema di tracciabilità e di utilizzo per fini illeciti (riciclaggio), così come di tutela di chi ne fa uso, cioè dei clienti, perché la moneta virtuale ha un prezzo che varia continuamente.
  Con riferimento al settore assicurativo, l'uso di informazioni riservate a fini assicurativi può portare a ridurre significativamente la mutualità e ridefinire il concetto di assicurabilità: la connettività – in linea teorica – può determinare una classificazione del rischio estrema, arrivando fino al livello individuale. In tali circostanze, alcune categorie di rischio – i cosiddetti «rischi aggravati» – potrebbero non ottenere accesso alla copertura assicurativa. Dal punto di vista del benessere sociale un simile scenario può apparire Pag. 87desiderabile, come nel caso di automobilisti con sinistrosità seriale; in altri casi, invece – come per le persone affette da patologie croniche in cerca di copertura sanitaria – esso rappresenta una criticità.

4. Le istituzioni europee e il FinTech: lo stato dell'arte della normativa UE.
  In Europa e a livello internazionale il settore del FinTech è stato oggetto di specifica attenzione. La BCE, con riferimento al settore delle valute virtuali, ha pubblicato due analisi (l'ultima del 2015) sugli schemi di valuta virtuale (virtual currency schemes). In tale ambito è emerso come le operazioni in valute virtuali sono più economiche, più veloci, sicure e trasparenti; al contempo esse pongono tuttavia anche una serie di sfide, in quanto il consumatore non è tutelato e ci sono alcuni rischi in termini di stabilità delle piattaforme, volatilità del prezzo e minacce digitali come il furto e l’hacking. Sul punto la Commissione europea sta valutando la possibilità di emanare un regolamento che dovrebbe limitarsi alla prevenzione e alla lotta contro la criminalità.
  A livello dell'Unione europea, tuttavia, non esiste ad oggi uno specifico regime regolamentare per il settore e le imprese FinTech, e solo alcuni Stati, come Regno Unito e Francia, hanno introdotto misure ad hoc, come si vedrà più avanti.
  Le misure UE si sono comunque orientate alla realizzazione di un mercato unico dei servizi finanziari destinati ai consumatori. Tra queste figurano la direttiva sui conti di pagamento, che migliora la trasparenza delle spese relative al conto in banca e agevola il trasferimento di conti bancari, e la Strategia della Commissione per il mercato unico digitale, intesa a migliorare l'accesso a prodotti e servizi digitali. Con il piano d'azione per la creazione dell'Unione dei mercati dei capitali la Commissione UE si è impegnata a sviluppare mercati dei capitali più forti in tutta l'UE, incentivando lo sviluppo di fonti di finanziamento alternative per le piccole e medie imprese e migliorando l'accesso ai prodotti d'investimento al dettaglio. L'obiettivo è sviluppare un mercato trasparente, semplificato dal punto di vista regolamentare e standardizzato nei contenuti.
  Per individuare gli ostacoli, nel dicembre 2015 la Commissione europea ha inoltre avviato una consultazione sul Libro verde dei servizi finanziari al dettaglio, che ha analizzato il mercato dei servizi finanziari destinati ai consumatori in tutta Europa per prodotti quali assicurazioni, mutui, prestiti, pagamenti e conti bancari. In tale ambito è emersa l'esigenza di accesso a prodotti finanziari più semplici, migliore consulenza finanziaria e maggiore trasparenza e comparabilità tra i prodotti offerti. Le aziende hanno chiesto una regolamentazione uniforme in tutti i Paesi dell'Unione (level playing field), mentre le associazioni dei consumatori ritengono necessaria una più stringente applicazione delle norme sulla protezione dei consumatori. In generale, il regolatore dovrebbe sostenere le aziende FinTech nel diffondere prodotti innovativi consumer-friendly e identificare i rischi prima che emergano (cybersecurity, verifica a distanza del cliente, antiriciclaggio).
  Nel novembre 2016 la Commissione europea ha altresì istituito una task force sulla tecnologia finanziaria, avente il compito di valutare le innovazioni in corso e, al contempo, sviluppare strategie per rispondere alle sfide potenziali poste dalla tecnologia finanziaria. Ad avviso della Commissione UE, mercati finanziari efficienti necessitano di fare il miglior uso possibile delle opportunità offerte dalla tecnologia, salvaguardando la concorrenza e garantendo che i nuovi sistemi operativi siano sicuri.
  Parallelamente è stato anche avviato un sondaggio speciale Eurobarometro per raccogliere nuovi dati sul mercato dei servizi finanziari destinati ai consumatori, dal quale emerge come la maggioranza degli intervistati in tutti i Paesi fruisca di almeno un prodotto o un servizio finanziario, anche se esistono ampie differenze tra Paese e Paese: tale percentuale ammonta a quasi il cento per cento in Svezia, Olanda e Danimarca, mentre si riduce al Pag. 8859 per cento in Romania, 71 in Bulgaria e 79 in Italia e Ungheria. Un intervistato su sei dichiara di non avere informazioni chiare o di essere preoccupato per la possibilità di frodi o attività criminali; uno su dieci di non avere un accesso sufficiente ai prodotti e servizi finanziari, o di non conoscere i propri diritti in caso di problemi, ovvero di aver riscontrato barriere linguistiche.
  Nel febbraio 2017 l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (European Securities and Markets Authority, ESMA) ha pubblicato un documento in cui si analizzano i rischi e i benefici della DLT applicata ai mercati finanziari e la sua interazione con il quadro normativo (Distributed Ledger Technology). In tale ambito, l'autorità mette in evidenza come lo sviluppo di una nuova tecnologia non esenti gli utenti dal rispettare il quadro regolatorio esistente, che fornisce importanti misure di salvaguardia per assicurare il funzionamento e la stabilità dei mercati finanziari.
  Successivamente la Commissione UE ha presentato, il 23 marzo 2017, un Piano d'azione per i servizi finanziari destinati ai consumatori, che illustra le modalità per offrire ai consumatori europei una scelta più ampia di servizi finanziari e un migliore accesso agli stessi in tutta l'UE. L'iniziativa è incentrata sulla tecnologia. Sono stati individuati tre ambiti principali in cui sono necessari ulteriori lavori per avvicinarsi ad un autentico mercato unico dei servizi finanziari:
   rafforzare la fiducia dei consumatori offrendo loro i mezzi necessari per l'acquisto di servizi nel loro Paese o in altri Stati membri, per esempio riducendo le tariffe per le operazioni transfrontaliere in valute diverse dall'euro, procedendo verso una maggiore trasparenza dei prezzi dell'assicurazione per le auto a noleggio ovvero facendo in modo che i conducenti possano far applicare la loro classe di merito («bonus-malus») all'estero;
   ridurre gli ostacoli giuridici e normativi che le imprese incontrano quando tentano di espandersi all'estero, ad esempio stabilendo criteri comuni in materia di valutazione del merito creditizio e facilitando lo scambio di dati tra i registri dei crediti;
   sostenere lo sviluppo di un contesto digitale innovativo che possa appianare alcuni degli ostacoli al mercato unico esistenti, ad esempio collaborando con il settore privato per studiare come poter utilizzare l'identificazione elettronica e i servizi fiduciari per verificare l'identità dei clienti.

  La Commissione europea intende monitorare anche le prassi dei fornitori di servizi digitali, per decidere se è necessario aggiornare le norme per la vendita di servizi finanziari a distanza, ad esempio on line o per telefono.
  A tal fine la Commissione UE ha avviato una consultazione sulla tecnologia e sull'impatto di quest'ultima sul settore europeo dei servizi finanziari (FinTech) per catalizzare i lavori in questo settore.
  Da parte sua il Parlamento Europeo, nella risoluzione approvata nel maggio 2017 sulla tecnologia finanziaria, con particolare riferimento all'influenza della tecnologia sul futuro del settore finanziario, ha:
   invitato la Commissione europea a elaborare un piano d'azione globale in materia di FinTech nel quadro delle strategie per l'Unione dei mercati dei capitali e per il Mercato unico digitale, che possa contribuire al conseguimento di un sistema finanziario europeo efficiente e competitivo, più approfondito e maggiormente integrato, stabile e sostenibile; fornire benefici a lungo termine all'economia reale e far fronte alle esigenze in termini di protezione dei consumatori e degli investitori e di certezza normativa;
   sottolineato che la legislazione in materia di servizi finanziari sia a livello UE sia a livello nazionale dovrebbe essere rivista, quando necessario, e dovrebbe essere sufficientemente favorevole all'innovazione, in modo da poter ottenere e mantenere condizioni di parità tra gli Pag. 89operatori; al riguardo il Parlamento ha raccomandato in particolare che, conformemente al "principio dell'innovazione", i potenziali effetti della legislazione sull'innovazione siano sottoposti a un'adeguata valutazione d'impatto, affinché questi sviluppi apportino nella maggior misura possibile benefici economici e sociali significativi.

  Il Parlamento Europeo ha inoltre individuato i principi cui dovrebbero essere improntate la normativa e la vigilanza nel settore della tecnologia finanziaria e, in particolare:
   «stessi servizi e stessi rischi», per cui si dovrebbero applicare le stesse norme, indipendentemente dal tipo di entità giuridica interessata o dalla sua ubicazione nell'Unione;
   neutralità tecnologica;
   approccio basato sui rischi, tenendo conto della proporzionalità delle azioni legislative e di vigilanza rispetto ai rischi e della rilevanza dei rischi.

  Il Parlamento Europeo ha altresì evidenziato che le autorità di regolamentazione e di vigilanza dovrebbero sviluppare sufficienti competenze tecniche per controllare adeguatamente i servizi FinTech sempre più complessi. Grazie a questo controllo su base continuativa, le autorità di regolamentazione sarebbero in grado di individuare e anticipare i rischi specifici di diverse tecnologie, nonché di intervenire immediatamente e con un programma chiaro, laddove ciò si renda necessario.
  Inoltre il Parlamento Europeo ha ricordato che i servizi finanziari innovativi dovrebbero essere disponibili in tutta l'UE e pertanto non dovrebbero essere ostacolati indebitamente dall'offerta transfrontaliera all'interno dell'Unione. A tal fine ha invitato la Commissione europea e le autorità europee di vigilanza a monitorare ed evitare sovrapposizioni normative, nuove barriere di accesso al mercato e barriere nazionali a tali servizi; il Parlamento ha altresì invitato la Commissione a prevenire le barriere tra gli Stati membri dovute alle incoerenze tra i regimi nazionali e a promuovere le migliori pratiche nell'ambito degli approcci normativi degli Stati membri.
  Il Parlamento ha evidenziato infine che, essendo i consumatori il motore trainante alla base della crescita delle imprese nel settore FinTech, l'obiettivo di qualunque modifica legislativa futura dovrebbe essere quello di sostenere i consumatori in questa trasformazione. Di conseguenza è necessario prestare particolare attenzione alle necessità dei consumatori al dettaglio e degli investitori nonché ai rischi ai quali potrebbero andare incontro, alla luce della crescente diffusione dei servizi FinTech per la clientela non professionale, ad esempio nell'ambito del crowdfunding e del prestito tra pari; pertanto, ai servizi FinTech e agli altri servizi finanziari dovranno applicarsi le stesse norme in materia di protezione dei consumatori, indipendentemente dal canale di distribuzione o dall'ubicazione del cliente.
  Al riguardo, il Parlamento Europeo ha sottolineato come sia l'alfabetizzazione finanziaria sia quella digitale sono fattori cruciali per un utilizzo efficiente di FinTech, minori livello di rischio e inclusione finanziaria, segnalando quindi l'esigenza di accrescere l'educazione e le competenze digitali nel settore finanziario, all'interno degli organismi di regolamentazione e della società in generale, ivi inclusa la formazione professionale.
  Nell'agosto 2017 l'Autorità Bancaria Europea (European Banking Authority, EBA) ha pubblicato i risultati di una rilevazione sul FinTech su scala europea, sottoponendo al mercato le iniziative che essa intende assumere.
  La Banca Centrale Europea (BCE) ha a sua volta pubblicato, nell'autunno 2017, un documento di guida per la valutazione delle domande di autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria degli enti creditizi FinTech, rivolto ai soggetti con modelli imprenditoriali FinTech interessati a richiedere l'autorizzazione all'esercizio dell'attività bancaria.Pag. 90
  Il Comitato di Basilea ha concluso nell'ottobre 2017 la consultazione su un documento dedicato alle implicazioni delle FinTech sul settore finanziario. Il documento, in particolare, analizza l'impatto delle innovazioni tecnologiche sull'industria bancaria e sulle attività delle autorità di vigilanza nel medio e lungo termine. In tale contesto il Comitato ha individuato 10 osservazioni chiave e formulato le relative raccomandazioni in materia di vigilanza.

5. Le iniziative nazionali in tema di FinTech.
  Nell'attuale quadro giuridico non è agevole ricondurre i nuovi servizi FinTech alle disposizioni vigenti.
  Le norme che disciplinano i servizi finanziari individuano e regolano le attività riservate e i soggetti abilitati a prestarle. Le leggi nazionali, per la maggior parte di derivazione europea, definiscono la nozione di attività bancaria, i soggetti che la possono esercitare e i requisiti loro richiesti. Un approccio analogo si riscontra per i servizi di pagamento e di investimento. Le autorità, applicando tali norme, autorizzano i soggetti a svolgere le attività riservate. In Italia tutto ciò è tutelato dal diritto penale, che punisce i reati di abusivismo.
  Dato che il quadro legislativo attuale fa riferimento alle attività di tipo tradizionale, si generano infatti difficoltà nel comprendere se e in che misura i servizi innovativi si inscrivono nel perimetro di quelli regolamentati. Le autorità stanno quindi intervenendo con norme interpretative per venire incontro alle esigenze dei nuovi operatori: ad esempio, la Banca d'Italia ha recentemente chiarito i limiti entro i quali alcune attività possono essere svolte, soprattutto con riferimento alla riserva di attività di raccolta del risparmio fra il pubblico.
  Inoltre la normativa non sempre offre la flessibilità applicativa sufficiente per adeguarsi in modo tempestivo al progresso tecnologico. I nuovi operatori si caratterizzano infatti sia per l'impiego della tecnologia sia per l'offerta di più servizi, che possono ricadere solo in parte nelle tradizionali fattispecie e interessare competenze di più autorità.
  Attualmente la normativa consente l'offerta di servizi di pagamento anche a intermediari non bancari, quali gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica, prevedendo per essi requisiti meno stringenti rispetto alle banche, data la loro limitata operatività.
  In tale contesto, il recepimento della seconda direttiva sui servizi di pagamento (direttiva 2015/2366/UE, cosiddetta direttiva PSD2) appare destinato ad abbattere definitivamente ogni barriera residuale all'operatività delle società FinTech, con la conseguenza che ogni spazio lasciato libero dalle banche tradizionali sarà certamente occupato dalle nuove società, permettendo a nuovi attori di affacciarsi sul mercato e consentendo loro di accedere a informazioni e iniziare ad operare sui conti dei clienti.
  La direttiva regola nuovi tipi di servizi di pagamento, privi di regolamentazione ancorché meno costosi, così come le nuove istituzioni finanziarie connesse all'evoluzione tecnologica. Tra le principali novità contenute nella direttiva si segnalano:
   misure per rendere più sicuri i pagamenti elettronici, che gli istituti di pagamento, comprese le banche, devono sviluppare obbligatoriamente: si intende così impedire ai fornitori di beni e servizi di porre a carico dei consumatori costi aggiuntivi per l'utilizzo di carte di pagamento;
   misure di sicurezza per proteggere in modo più efficace i consumatori dalle frodi e dagli abusi, in particolare con riferimento alle transazioni non autorizzate;
   l'obbligo di designare autorità specificamente competenti per gestire le denunce degli utilizzatori dei servizi di pagamento e degli altri utenti interessati (tra cui le associazioni dei consumatori) per supposte violazioni della direttiva;
   estensione dell'ambito di applicazione ai pagamenti da/per Paesi terzi;Pag. 91
   l'introduzione dell'autenticazione rafforzata del cliente (strong customer authentication – SCA): si tratta di un processo che convalida l'identità dell'utilizzatore del servizio o la transazione di pagamento (più specificamente, verifica se l'uso di uno strumento di pagamento è autorizzato);
   ulteriori requisiti per le transazioni remote e l'assoggettamento alla SCA di tutti i mezzi di pagamento on line, con specifiche eccezioni definite dalle Autorità europee e adottate dalla Commissione UE in considerazione dei rischi coinvolti, del valore delle transazioni e dei canali di pagamento utilizzati.

  Sotto analogo profilo, si ricorda che con il decreto legislativo 3 agosto 2017, n. 129, è stata recepita in Italia la Direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari (cosiddetta direttiva MiFID II) e sono state introdotte le disposizioni di adeguamento al regolamento (UE) 600/2014 sulla stessa materia (cosiddetto MiFIR).
  Il recepimento di tale disciplina europea ha consentito di regolamentare settori dei mercati finanziari in precedenza non disciplinati, con particolare riferimento ai sistemi di trading ad alta frequenza. Scopo delle norme è sviluppare un mercato unico dei servizi finanziari nel quale siano assicurate trasparenza e protezione degli investitori, in modo che i risparmiatori e le imprese di investimento possano operare a livello transfrontaliero (cosiddetto «passaporto unico») in tutti gli Stati dell'Unione.
  Sono stati ampliati in particolare gli obblighi di comunicazione alla clientela su costi e oneri connessi ai servizi di investimento o accessori che devono includere anche il costo della consulenza (ove rilevante), il costo dello strumento finanziario raccomandato o venduto al cliente e le modalità con cui il cliente può remunerare il servizio d'investimento ricevuto. Sono state inoltre previste nuove norme in tema di consulenza finanziaria, con l'introduzione della consulenza «indipendente» e con alcune specifiche previsioni che devono essere osservate dalle imprese di investimento. È stata quindi definita una disciplina unitaria nell'ambito del sistema finanziario riguardo all'istituto della segnalazione delle violazioni (cosiddetto whistleblowing).
  Peraltro, come sottolineato anche da alcuni auditi è necessario predisporre una revisione di tale disciplina alla luce dei nuovi scenari aperti dal FinTech.
  L'ingresso di nuovi operatori nel settore dei mercati finanziari richiede infatti un rapido rinnovamento delle modalità di interlocuzione con gli attori dei mercati, per definire un quadro di regole armonizzate volte a sostenere uno sviluppo virtuoso dell'innovazione finanziaria. Ciò deve avvenire attraverso la collaborazione tra Governo, autorità di vigilanza e settore produttivo, valorizzando l'innovazione e al contempo mantenendo alti i livelli di protezione del sistema nel suo complesso. Le nuove norme dovranno essere graduali e proporzionate, basate su uno stretto dialogo con gli operatori, per non frenare l'innovazione. Gli interventi dovranno rispondere alle esigenze del mercato, presidiandone i possibili rischi.

6. Le principali questioni emerse nel corso dell'indagine conoscitiva.
  Il dibattito sul FinTech coinvolge, come anticipato in precedenza, un vasto range di servizi finanziari; esso inoltre prolifera in un contesto giuridico nel quale la prestazione di servizi finanziari è ancorata a un modello organizzativo anteriore alle innovazioni apportate dall'economia digitale. Da ciò discende la numerosità e l'ampiezza delle principali questioni emerse durante l'indagine conoscitiva, che vengono sinteticamente delineate di seguito.

6.1 L'interazione tra regolatori e mercato.
  Gli auditi, nella loro quasi totalità, hanno auspicato una pronta predisposizione, da parte del legislatore, di un contesto di regolamentazione favorevole al comparto FinTech.Pag. 92
  Dal dibattito internazionale emergono tre modalità di interazione con il mercato, caratterizzate da un diverso grado di coinvolgimento delle autorità nel sostegno all'innovazione.
  La prima si fonda sulla costituzione di innovation hubs, volti ad aiutare le imprese con prodotti ad alto contenuto tecnologico a rispondere ai requisiti della regolamentazione.
  Al riguardo la Banca d'Italia ha attivato un innovation hub denominato Canale FinTech, che si concretizza in uno spazio sul sito web istituzionale dedicato a tali tematiche. Esso intende favorire il confronto con gli operatori di mercato e rappresenta il punto di contatto dell'Istituto per indirizzare le imprese che intendono realizzare progetti industriali innovativi, svolgendo un esame delle proposte presentate e valutando gli aspetti di competenza dell'Istituto, al fine di fornire una specifica risposta a ciascuna istanza degli operatori. La Banca d'Italia da oltre due anni ha inoltre attivato un tavolo dedicato alla tecnologia blockchain, meccanismo alla base delle monete digitali.
  La seconda modalità di interazione prospettata riguarda la creazione, analogamente a quanto avviene in altri Paesi (tra cui il Regno Unito) di cosiddette regulatory sandbox, cioè di spazi giuridici circoscritti ed osservabili, che creano complessivamente un contesto di favore per le imprese, grazie ad una deregolamentazione circoscritta. All'interno delle sandbox potrebbero concedersi licenze temporanee alle start-up operanti nel settore della tecnologia finanziaria.
  Attualmente, in 12 Paesi dell'Unione Europea sono stati istituiti dalle autorità pubbliche innovation hub; in 2 di questi (Regno Unito e Olanda) sono stati introdotti anche regulatory sandbox. Istituzioni di regulatory sandbox per legge o per via amministrativa si registrano anche in Paesi europei extra-UE (Svizzera) e in importanti Paesi extra-europei (Australia, Singapore, Hong Kong, Malaysia), mentre misure analoghe sono attese in Canada e USA.
  Come anticipato, nella sandbox del Regno Unito le imprese possono sperimentare nuovi prodotti e servizi per un periodo di tempo definito e avere un migliore accesso ai mercati finanziari, con appropriata protezione dei consumatori. Alla Financial Conduct Authority (FCA), l'autorità di regolazione bancaria e finanziaria del Regno Unito, è affidato il compito di supervisionare le varie fasi di test con un meccanismo di verifica personalizzato per ogni progetto.
  In Francia si segnala l'esperienza del Regulatory Sandbox lanciato dall'Authorité des Marchés Financiers (AMF) con l'istituzione di una divisione dedicata a FinTech, Innovation et Compétitivité (FIC). L'obiettivo è quello di supportare lo sviluppo di nuovi business tenendo sotto controllo i rischi emergenti. La Regulatory Sandbox francese offre ai partecipanti l'accesso al mercato unico europeo e al passaporto; un set di possibili status riconosciuti che permettono differenti permessi di attività e un programma di supporto dedicato ai nuovi entranti.
  Un progetto di Sandbox assicurativa è stato avviato anche in Italia, con la partecipazione di IVASS e ANIA.
  La terza soluzione consiste nella creazione dei cosiddetti incubators, dove le autorità sono coinvolte nell'attività di sviluppo in via diretta, anche attraverso forme di partnership e, in talune esperienze, di cofinanziamento dei progetti.
  In attesa di un contesto regolatorio favorevole, Borsa Italiana ha avviato il progetto ELITE: si tratta di una piattaforma internazionale la cui missione è di supportare le imprese ad alto potenziale in tutte le fasi del loro ciclo di vita, da private fino a quotate, facilitando l'accesso ai capitali attraverso l'impiego di tecnologie digitali. ELITE offre accesso ad un network internazionale, fonti di finanziamento diversificate e un percorso di training dedicato. Nel giugno 2016 ELITE è stato trasformato da progetto a società del gruppo London Stock Exchange. A luglio 2017, ha aperto il proprio capitale a Cassa depositi e prestiti e a NUO Capital, per Pag. 93consolidare il proprio ruolo di piattaforma paneuropea e rafforzare la propria espansione sui mercati internazionali.

6.2 L'educazione finanziaria e la formazione degli operatori.
  Nel corso dell'indagine è emersa poi, in relazione alle innovazioni tecnologiche nel settore, la necessità di procedere a un'opera di sensibilizzazione ed educazione finanziaria degli investitori e degli operatori.
  Le indagini condotte a livello nazionale ed internazionale rilevano infatti notevoli carenze strutturali nell'alfabetizzazione finanziaria dei cittadini. In particolare l'investitore italiano medio si caratterizza per basse conoscenze finanziarie, utilizzo di fonti informative non professionali, eccesso di fiducia nelle proprie capacità, errori comportamentali, elevata avversione alle perdite. Egli dimostra inoltre una scarsa capacità di pianificare l'utilizzo delle risorse finanziarie per obiettivi e in una prospettiva di medio-lungo periodo. Da ciò discende il rischio di fragilità finanziaria, dovuta a scelte economiche intertemporali inconsapevoli, non coerenti e non corrette.
  Con riferimento all'educazione scolastica, l'indagine OCSE-PISA del 2012 ha posto l'Italia al penultimo posto tra i Paesi oggetto di indagine, sulla base della valutazione del livello di alfabetizzazione finanziaria dei quindicenni. Il Global Financial Literacy Survey – GFLS del 2015 ha messo in evidenza che solo il 37 per cento degli italiani (a confronto del 55 per cento in Europa) ha risposto correttamente su almeno tre dei quattro concetti di base di educazione finanziaria proposti. Analoghi risultati pervengono dal Rapporto CONSOB del 2015, che conferma i risultati del menzionato GFLS del 2015. Quasi il 50 per cento dei soggetti intervistati dichiara di non conoscere o definisce in modo errato il concetto di inflazione; il 55 per cento non è in grado di indicare correttamente cosa significhi diversificare gli investimenti e circa il 57 per cento non sa spiegare la relazione rischio-rendimento. Inoltre, il 67 per cento e il 72 per cento degli individui non riesce a calcolare, rispettivamente, un montante in regime di interesse semplice e il rendimento atteso di un investimento.
  Al riguardo è stata invocata da più parti (Autorità di vigilanza e stakeholders) l'esigenza che vengano intraprese iniziative estese all'intero spettro dell'educazione finanziaria, assicurativa, previdenziale, fino al concetto generale di «pratica educativa della cittadinanza economica». È stato altresì richiesto di individuare programmi mirati per le esigenze dei diversi segmenti di popolazione, suggerendo comunque di raggiungere il più ampio spettro di utenti, anche grazie all'utilizzo di strumenti innovativi, quali un portale telematico nazionale per l'educazione alla cittadinanza economica.
  In merito deve comunque ricordarsi che il legislatore italiano è intervenuto in concreto sulla questione con misure (articolo 24-bis del decreto-legge n. 237 del 2016) intese a sviluppare l'educazione finanziaria, previdenziale ed assicurativa. In particolare, tali norme prevedono l'adozione, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, di un programma per una Strategia nazionale per l'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, la cui attuazione è affidata ad un apposito organo, il Comitato nazionale per la diffusione dell'educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, che opera attraverso riunioni periodiche e in seno al quale possono essere costituiti specifici gruppi di ricerca.
  I lavori del Comitato, che è stato istituito con il DM del 3 agosto 2017, sono stati avviati nel settembre 2017: nel corso della prima riunione il Comitato ha preso in esame una rassegna internazionale delle esperienze dei paesi (più di 60) che hanno adottato una strategia nazionale per l'educazione finanziaria, il censimento – realizzato da Banca d'Italia, CONSOB, IVASS, COVIP, Feduf e Museo del risparmio – delle numerose ma frammentate iniziative presenti anche nel nostro Paese, nonché i dati disponibili sul livello di Pag. 94educazione finanziaria degli italiani in comparazione con quello di altre nazioni.
  Sotto altro profilo e con specifico riferimento al settore FinTech, è stata evidenziata l'esigenza di colmare le asimmetrie informative tra imprenditori e fornitori di servizi, allo scopo di sviluppare una cultura d'impresa. Con riferimento alle decisioni delle imprese, infatti, un ruolo chiave del FinTech potrebbe essere quello di orientare gli operatori verso fonti di approvvigionamento eterogenee ed indipendenti, oltre che rapide. È stato rilevato come l'imprenditore debba poter attingere a fonti di finanziamento che non siano calmierabili, in quanto – nella logica d'impresa – le diverse negoziazioni convergono in un'unica posizione debitoria, che richiede una logica di armonizzazione. Ove invece la differenza tra approvvigionatori sia meramente nominale e gli strumenti di finanziamento provengano dallo stesso portafoglio o dal medesimo soggetto erogatore, non vi è alcuna innovazione rispetto all'attuale status quo. Il problema degli strumenti alternativi al credito bancario può essere efficacemente riassunto nel cosiddetto «controllo dell'ultimo miglio» della catena del finanziamento, che si evidenzia in particolare nella disciplina nazionale del crowdfunding e dei cosiddetti minibond. La disciplina nazionale infatti è tale che detti servizi possono essere controllati da soggetti in grado di sostenerne la complessità e i costi, quali banche, che – com’è noto – sono anche gli erogatori dei principali finanziamenti di stampo tradizionale.
  Con riguardo alle scelte degli investitori, è stato rilevato come la diffusione del FinTech possa aiutare a creare sustaining innovation (ovvero ad introdurre innovazioni utili a mantenere competitivo un prodotto o servizio già esistente), anziché a realizzare disruptive innovation (innovazione che «distrugge» l'offerta delle aziende, creando eventualmente mercati nuovi).
  Questo effetto innovativo si riferisce all'uso del digitale come strumento che rispetta le propensioni psicologiche degli investitori, aiutandoli a prendere le decisioni e, in particolare, le decisioni d'investimento. In tal modo si passa da un concetto «statico» di educazione finanziaria (mera conoscenza degli strumenti finanziari e del loro funzionamento) ad un concetto dinamico di educazione finanziaria, che consente di orientare le scelte degli investitori.
  Un altro elemento di cruciale importanza emerso riguarda l'esigenza di uno specifico investimento nella formazione degli operatori FinTech: dal momento che il settore può generare lavoro di qualità ed indotto, occorre incentivare i giovani a perseguire studi che consentano di colmare il gap di competenze esistente sul mercato del lavoro italiano per quanto riguarda queste professionalità. È stato infatti rilevato come in Italia vi sia specifica carenza di professionalità formate nel campo dei dati, in quanto poche università formano data scientist e, in particolare, financial data scientists. Occorre, più in generale, creare nuove forme di lavoro che tengano conto della dimensione internazionale e della flessibilità.

6.3 L'allocazione dei diritti di proprietà dei dati.
  Un altro aspetto su cui si è focalizzata l'attenzione dei soggetti auditi riguarda l'allocazione dei diritti di proprietà dei dati ed il loro utilizzo nel sistema finanziario, con particolare riferimento ai dati generati in via automatica (cosiddetti Big Data), che assumono una valenza cruciale nella catena del valore dei servizi finanziari stessi.
  Gli esponenti del mondo accademico ascoltati hanno in merito rilevato alcuni aspetti di natura metodologica, asserendo che una buona analisi dei dati consente di tutelare i risparmiatori dagli inevitabili, maggiori rischi insiti negli strumenti del FinTech. Tali strumenti, in quanto digitali, molto flessibili e interconnessi tra loro, contengono infatti dei rischi relativi sia alla sicurezza informatica, sia al profilo informativo.
  Con riferimento ai rischi informativi (cosiddetti scoring risk) gli elementi noti Pag. 95all'utente, che di norma riceve le informazioni tramite app da parte di piattaforme peer to peer, sono elementi forniti in via unilaterale dal servizio, senza che siano verificabili dall'utente medesimo. Ciò implica che l'utente si deve fidare delle informazioni fornite dalla app (ad esempio, il rating di una società in cui si intende investire); di conseguenza, se l'informazione è sbagliata, l'utente compie scelte errate di prestito o investimento (si pensi alla citata direttiva MiFID sui mercati finanziari e a tutti i temi della valutazione dell'adeguatezza e della comprensione dei rischi da parte degli utenti e, nel caso specifico, dei risparmiatori).
  Inoltre il settore presenta rischi sistemici, in quanto le imprese FinTech sono, per loro natura, collegate in rete, e ciò determina una maggiore potenzialità diffusiva degli eventuali rischi.
  Una buona e completa analisi dei dati consentirebbe – ad esempio – di costruire modelli di rating con una efficacia predittiva maggiore rispetto ai meccanismi automatici di valutazione. In tale contesto, ai fini di una buona analisi, i dati devono essere di qualità. Nel settore FinTech rilevano non solo i dati afferenti la relazione fra banche e imprese (sul modello della Centrale dei rischi), ma anche i dati che riguardano le transazioni tra le imprese.
  È stata poi sottolineata l'importanza di incentivare lo sviluppo di un database comune di transazioni, prima che la regolamentazione e il contesto socioeconomico affidino tali dati alle società big tech che perseguiranno, presumibilmente, interessi di natura privatistica.
  Gli esponenti del settore bancario hanno rilevato come per le banche l'utilizzo dei dati personali e finanziari della clientela sia un processo sottoposto a rigidi protocolli; per quanto riguarda invece i big data, generati dalle macchine, i clienti danno il loro assenso all'utilizzo dei dati ai giganti della tecnologia con modalità molto meno stringenti. Da ciò consegue che tali ultimi operatori hanno accesso a una mole di dati rilevanti e, oltretutto, riutilizzabili.
  Sul punto l’Antitrust, l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e l'Autorità Garante per la protezione dei dati personali hanno avviato un'indagine conoscitiva congiunta riguardante l'individuazione di eventuali criticità connesse all'uso dei cosiddetti Big Data e la definizione di un quadro di regole in grado di promuovere e tutelare la protezione dei dati personali, la concorrenza dei mercati dell'economia digitale, la tutela del consumatore, nonché i profili di promozione del pluralismo nell'ecosistema digitale. Con riferimento alla concorrenza, in particolare, l'analisi verte sul ruolo dei Big Data quali input o asset idonei a creare e/o rafforzare il potere di mercato di alcuni operatori, generare effetti di lock-in per gli utenti e costituire barriere all'entrata. Oggetto di attenzione è inoltre il possibile impatto dei Big Data su fattori concorrenziali attinenti alla sfera qualitativa dei servizi offerti, come il livello di protezione dei dati garantito ai clienti, al fine di valutare la rilevanza di eventuali violazioni della normativa sulla privacy a fini concorrenziali.

6.4 L'Invoice financing.
  Un altro aspetto analizzato nel corso dell'indagine conoscitiva riguarda la specifica attività di invoice financing, ovvero l'attività che consente alle imprese (in particolare alle PMI) di cedere le proprie fatture (in sostanza i propri crediti) sul mercato, anche tramite meccanismi di asta con diversi competitors, consentendo agli investitori di acquistarle e di convertirle quindi rapidamente in liquidità per le imprese stesse. In tale settore, asseriscono gli stakeholders, l'applicazione della tecnologia finanziaria può ridurre i rischi, in quanto vi è corrispondenza tra la durata dei finanziamenti e durata della raccolta, mentre non vi è trasformazione delle scadenze, così elidendo il rischio principale di instabilità sistemica. Un secondo fattore di riduzione del rischio importante delle aziende FinTech è la tracciabilità di tutte le operazioni.
  A tale proposito è stato rilevato che la normativa nazionale, attualmente, prevede alcuni limiti alla pratica di cessione del credito, consentendo al titolare del debito Pag. 96di opporsi alla cessione; in sostanza, le aziende sono costrette ad aspettare il pagamento delle fatture senza potersi finanziare con una cessione, oppure a finanziarsi con una cessione che, per molti versi, non è completamente opponibile al ceduto, anche per esplicita pattuizione. Inoltre il divieto di cessione comporta che le grandi aziende possano pagare con molta flessibilità, a discapito delle PMI.
  La libera cedibilità dei crediti, con modalità semplificate e senza adempimenti complessi, a parere degli auditi creerebbe in Italia uno dei più grandi mercati del mondo di crediti commerciali, che potrebbero diventare uno strumento liquido, circolabile e investibile. I crediti diventerebbero più commerciabili e, di fatto, più vicini ad un vero e proprio titolo da finanziare. Ciò da un lato libererebbe risorse e, dall'altro, creerebbe occasioni di investimento.

6.5 L'InsurTech.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva ha altresì costituito oggetto di analisi, come specifico segmento del FinTech, anche il complementare settore dell'InsurTech, che riguarda l'applicazione delle nuove tecnologie digitali nel settore assicurativo. Diversamente da FinTech, InsurTech si rivolge al servizio della persona per tutte le sue esigenze, non solo quelle finanziarie. Secondo quanto indicato dall'OCSE, i finanziamenti rivolti al settore InsurTech sono passati da 140 milioni di dollari nel 2011 a oltre 2,6 miliardi cinque anni dopo.
  Le principali tipologie di iniziative qualificabili come InsurTech sono:
   i portali comparativi online, che permettono il confronto fra diversi prodotti assicurativi e tipologie di providers;
   i broker digitali, che svolgono attività di distribuzione assicurativa realizzata attraverso portali web oppure tramite specifiche app studiate per la telefonia cellulare;
   gli insurance cross sellers, vale a dire quei soggetti che offrono prodotti assicurativi in via complementare rispetto ad altri prodotti principali (in genere, presso il punto di vendita o tramite un'apposita app);
   la peer-to-peer insurance, ossia la messa in contatto di privati interessati a una copertura assicurativa basata su principi di mutualità;
   l'on-demand insurance, vale a dire l'offerta di prodotti assicurativi per periodi di tempo predeterminati;
   i digital insurers, cioè l'offerta di soluzioni assicurative in forma completamente digitale, il cui accesso risulta possibile soltanto attraverso canali digitali;
   big data analytics & insurance software, costituiti dalla fornitura di soluzioni di software;
   l'internet of things, vale a dire la raccolta di dati attraverso strumenti dotati di tecnologie digitali avanzate (smart devices);
   i blockchain & smart contracts, cioè quelle soluzioni che permettono transazioni realizzate attraverso un database system a prova di manomissione.

  Con riferimento a tale settore, gli auditi hanno rilevato come lo sviluppo dell'InsurTech abbia avuto effetti rilevanti nell'organizzazione delle imprese e per il settore della distribuzione assicurativa.
  L'impatto della tecnologia in tale settore si riverbera altresì sulla profilazione dei clienti e del loro rischio. Le tecnologie digitali, che consentono la trasmissione di grandi quantità e varietà di dati in tempo reale, possono infatti trasformare le modalità di classificazione degli assicurati in funzione del rischio, passando dalle metodologie tradizionali (raccolta di dati incompleta ed ex post) a un approccio di tipo dinamico e prospettico, che riclassifica potenzialmente in continuo il profilo di rischio dell'assicurato. Il monitoraggio delle attività degli assicurati può incentivare dinamiche virtuose, in grado di incidere sul livello generale della sinistrosità Pag. 97attraverso la diffusione di condotte prudenti; si pensi, ad esempio, al ruolo delle scatole nere nelle RC Auto.
  La diffusione delle tecnologie in connessione con i prodotti assicurativi può accrescere nel consumatore la consapevolezza dei rischi e promuovere una loro più efficiente gestione, ponendo anche un focus adeguato sulla prevenzione. Inoltre, l'uso delle nuove tecnologie può essere esteso al processo di liquidazione del danno: dalle risultanze dell'indagine emerge che si stanno diffondendo metodologie di accertamento del danno da remoto, totalmente digitalizzate, spesso gestite in diretta con il cliente danneggiato.
  Al contempo, l'uso di informazioni riservate a fini assicurativi – come esposto nel paragrafo relativo al contesto di mercato – può portare a ridurre significativamente la mutualità e ridefinire il concetto di assicurabilità: in tal modo si può giungere a una classificazione del rischio estrema, arrivando fino al livello individuale. In tali circostanze, alcune categorie di rischio – i cosiddetti rischi aggravati – potrebbero non ottenere accesso alla copertura assicurativa.

6.6 Il crowdfunding.
  Particolare attenzione è stata dedicata dagli auditi ai temi del crowdfunding.
  In sintesi, con tale locuzione si indica una raccolta fondi (funding) di tipo collettivo, realizzata online, in cui molte persone (crowd – folla) effettuano contribuzioni in denaro, anche di modesta entità, attraverso internet, con lo scopo di favorire lo sviluppo di un progetto o di una iniziativa che ritengono interessante sostenere, talvolta anche prescindendo da un ritorno economico.
  In via generale si possono individuare quattro tipologie di crowdfunding:
   il modello donation-based, il quale consiste in una mera donazione di una somma di denaro al fine di sostenere un'attività o un progetto; tale attività rientra nella ordinaria disciplina civilistica della donazione di modico valore, che, in quanto tale, non prevede specifici requisiti di forma e non è oggetto di specifica regolamentazione finanziaria: si pensi, ad esempio, alla raccolta fondi per sostenere le popolazioni colpite da calamità naturali;
   il cosiddetto reward-based crowdfunding, che si sostanzia in un investimento di denaro a cui è collegata una specifica ricompensa: l'esempio classico è il finanziamento di un gruppo musicale emergente, magari nella incisione di un cd master; in tale caso la ricompensa potrebbe essere rappresentata da un biglietto in prima fila ai concerti di tale gruppo ovvero da gadget personalizzati; nemmeno per tale tipologia di crowdfunding esiste una regolamentazione finanziaria specifica;
   il modello del social lending o peer to peer lending, oggi in espansione, che consiste in un prestito da parte di privati ad altri soggetti privati, ricompensato con il pagamento di interessi ed effettuato per il tramite di piattaforme online, che mettono in contatto i soggetti interessati, trattenendo una percentuale quale commissione per il servizio effettuato;
   l'equity crowdfunding, oggetto della specifica regolamentazione finanziaria nazionale (leggi e regolamenti CONSOB), il quale è il meccanismo che consente – tramite l'investimento online – di acquistare un vero e proprio titolo di partecipazione in una società: il finanziamento è remunerato con l'acquisto del complesso di diritti patrimoniali e amministrativi che derivano dalla partecipazione nell'impresa.

  L'istituto dell’equity crowdfunding in Italia è stato introdotto dal decreto – legge n. 179 del 2012 (cosiddetto decreto crescita-bis) in favore delle imprese qualificate come start-up innovative. Successivamente il decreto-legge n. 3 del 2015 ha esteso alle PMI innovative, nonché agli OICR ed alle società che investono prevalentemente in start-up e PMI innovative, la possibilità di effettuare offerte di capitale di rischio tramite i portali on-line.
  La legge di bilancio 2017 ha ulteriormente esteso la possibilità di accesso al Pag. 98crowdfunfing a tutte le piccole e medie imprese; sulla materia è successivamente intervenuto il decreto legislativo 3 agosto 2017, n. 129, di attuazione della direttiva 2014/65/UE (MiFID II), che ha previsto alcune modifiche alle disposizioni del TUF in materia di raccolta di capitali di rischio tramite portali online, le quali entreranno in vigore a partire dal 3 gennaio del 2018. Infine il decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 112 (di riforma del Terzo Settore), ha introdotto nel TUF la definizione di imprese sociali ed esteso la disciplina del crowdfunding anche all'offerta di strumenti di capitale da parte di tali imprese.
  Con l'equity crowdfunding, le imprese individuate dalla legge possono quindi offrire i propri strumenti finanziari (anche) attraverso portali online, a specifiche condizioni di legge. Gli investitori consultano i portali per prendere le decisioni di investimento: si tratta di piattaforme vigilate dalla CONSOB, che forniscono agli investitori alcune informazioni sulle imprese che si avvalgono del crowdfunding e sulle singole offerte, attraverso apposite schede.
  La gestione di portali è riservata a due categorie di soggetti: i soggetti autorizzati dalla CONSOB e iscritti in un apposito registro tenuto dalla medesima Autorità; le banche e le imprese di investimento (SIM) già autorizzate alla prestazione di servizi di investimento (gestori di diritto, annotati nella sezione speciale del registro tenuto dalla CONSOB). L'elenco dei gestori di portali è consultabile sul sito della CONSOB. Il ruolo del portale è, nella sostanza, quello di effettuare una prima selezione, non tanto sulla bontà economica dei progetti, quanto sulla correttezza dei fondatori e sul loro reale interesse nell'iniziativa, e di assicurare che gli investitori possano comprendere caratteristiche e rischi degli investimenti proposti. Una particolare tutela è rivolta nei confronti degli investitori retail, che devono completare un vero e proprio percorso di investimento consapevole: per accedere alla sezione del portale in cui è possibile aderire alle offerte essi devono infatti prendere visione di una presentazione di educazione finanziaria che spiega loro cosa è assolutamente necessario sapere prima di investire su una piattaforma online, e completare un test per determinare l'appropriatezza dell'operazione, svolto dalle banche che ricevono gli ordini o dai portali adeguatamente strutturati, secondo il modello del test previsto per tutti gli strumenti finanziari dalla Direttiva MiFID. È, inoltre, opportuno che gli investitori prendano conoscenza del diritto di recesso a loro garantito (dal Codice del consumo di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005) e delle condizioni per il suo esercizio. Gli investitori retail hanno il diritto di cambiare idea circa il loro investimento, a condizione che ciò avvenga entro i termini di legge (dettagliatamente stabiliti dalla normativa secondaria, articolo 13 del regolamento CONSOB).
  La normativa secondaria in materia è stata adottata dalla CONSOB con il regolamento del 26 giugno 2013 e revisionata successivamente con la delibera n. 19520 del 24 febbraio 2016. Con delibera 29 novembre 2017, n. 20204, la CONSOB ha adottato ulteriori modifiche, allo scopo di estendere a tutte le piccole e medie imprese (PMI) questa forma di accesso al mercato dei capitali, coerentemente alle modifiche apportate dalla legge di bilancio 2017; le norme inoltre attuano le prescrizioni di recepimento della menzionata direttiva MIFID II, che dispone il rafforzamento della tutela degli investitori, grazie all'obbligo, in capo ai gestori dei portali per la raccolta di capitali online, di aderire a sistemi di indennizzo o di dotarsi di copertura assicurativa.
  Sul piano quantitativo, secondo i dati elaborati dall'osservatorio sul crowdinvesting del Politecnico di Milano, dal primo luglio 2016 al 30 giugno 2017, in Italia sono state raccolte, attraverso le piattaforme online, risorse per un ammontare record di 138,6 milioni di euro, il che ha portato il valore totale del mercato cumulato nel corso degli ultimi tre anni a 189,2 milioni di euro, circa un decimo rispetto al mercato europeo, al netto del Regno Unito. Tra i segmenti all'interno del Pag. 99crowdinvesting, quello che mostra i maggiori tassi di crescita è l’equity crowdfunding.
  Alla data del 30 giugno 2017, i portali autorizzati in Italia erano 19, e le campagne di raccolta all'attivo erano 109, di cui 36 chiuse con successo, 53 chiuse senza successo e 20 ancora aperte. Il 2017 ha visto un aumento sensibile del numero di campagne di raccolta, che sono praticamente raddoppiate rispetto al 2016, in un solo trimestre. Il capitale raccolto dall'entrata in vigore della normativa ammonta a 12,4 milioni di euro, di cui 6,85 raccolti negli ultimi dodici mesi.
  Le 106 imprese che hanno presentato campagne di raccolta fino al 30 giugno 2017 sono quasi tutte start-up innovative e sono attive in gran parte nelle piattaforme social sharing (28), nell’information communication technology (25) e nei servizi professionali (14). La finalità della raccolta è legata agli investimenti in marketing nel 56 per cento dei casi o in ricerca, sviluppo e innovazione (42 per cento) o nello sviluppo di piattaforme web e applicazioni (41 per cento). Alla data del 30 giugno 2017, l'osservatorio aveva censito 1.196 investitori nell’equity crowdfunding, di cui 1.068 persone fisiche e 128 persone giuridiche. Questi dati hanno registrato un'ulteriore accelerazione nel corso dei mesi successivi e, da giugno a novembre 2017, risultano attivi ventuno gestori di portali, dei quali due di diritto. Le offerte pubblicate sono salite a 136, delle quali 72 chiuse con successo (61 per cento). Il capitale raccolto totale dall'entrata in vigore della normativa è così cresciuto sino a 17,3 milioni di euro.
  Come evidenziato già in precedenza, gli ostacoli legati all'espansione del settore sono eterogenei: in primo luogo, la disciplina nazionale è tale che i portali possono essere controllati dai medesimi soggetti (banche) i quali erogano i finanziamenti di stampo tradizionale, e dunque il crowdfunding non si pone come reale alternativa per le imprese che vi aderiscono.
  Manca inoltre in Italia un ecosistema adatto e ospitale per le ICO (Initial coin offer), una forma di crowdfunding in cui viene emessa una rappresentazione digitale di valore, nella forma di criptovaluta o di token, che può essere scambiata nella piattaforma stessa in cui è stata emessa, ovvero in un'altra piattaforma.
  La legislazione vigente, a parere degli auditi, sembra dunque restringere le potenzialità operative del crowdfunding anche con riferimento ad ulteriori aspetti: sono di ostacolo i vigenti limiti posti all'investimento, le norme sull'accesso degli investitori professionali, nonché l'ambiente sfavorevole alla creazione di un mercato secondario delle quote di start-up PMI che hanno lanciato offerte su portali di equity crowdfunding.

6.7 Le criptovalute.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva, i soggetti auditi si sono concentrati tra l'altro sulle cosiddette criptovalute.
  Le criptovalute (la più famosa delle quali, attualmente, è il bitcoin) sono radicalmente diverse dalla moneta elettronica disciplinata dalla legge. Quest'ultima è uno strumento di pagamento che fa riferimento alle valute aventi valore legale, mentre le criptovalute sono valute virtuali basate su programmi informatici distribuiti in internet, che tengono traccia delle transazioni e che sfruttano la crittografia per gestire gli aspetti funzionali come la generazione di nuova moneta e l'attribuzione di proprietà delle monete virtuali. Non si tratta dunque solo di una valuta, ma di un complesso sistema di acquisto e vendita delle monete e della circolazione delle stesse per vendere e comprare beni di qualsiasi tipo. Il bitcoin, in estrema sintesi, è una moneta virtuale, slegata dai tradizionali circuiti bancari, che dal 2009 si è diffusa come alternativa ai tradizionali sistemi di pagamento. La rete bitcoin consente il possesso ed il trasferimento anonimo delle monete; i dati necessari ad utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più personal computer sotto forma di "portafogli" digitali, o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili ad una banca. In ogni caso, Pag. 100i bitcoin possono essere trasferiti attraverso internet verso chiunque disponga di un «indirizzo bitcoin». La struttura peer-to-peer della rete bitcoin e la mancanza di un ente centrale rende impossibile per qualunque autorità, governativa o meno, di bloccare la rete, sequestrare bitcoin ai legittimi possessori o di svalutarla creando nuova moneta. All'origine della creazione dei bitcoin ci sono complesse formule matematiche che offrono soltanto una soluzione e che non sono reversibili, le hash. Ogni soluzione è poi legata a quella precedente ed alla successiva in una catena temporale che è iniziata a gennaio del 2009 e finirà quando i 21 milioni di bitcoin in rete saranno stati letteralmente «estratti» dal web. La concatenazione delle soluzioni è il filo conduttore della produzione dei bitcoin al fine di garantire trasparenza e sicurezza contro la contraffazione.
  Con riferimento al trattamento fiscale in materia, la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016 dell'Agenzia delle Entrate ha chiarito il trattamento fiscale, sia ai fini dell'IVA sia ai fini delle imposte dirette (IRES e IRAP), applicabile alle operazioni di acquisto e di cessione di moneta virtuale da parte di una società che svolge un'attività di servizi relativi ai bitcoin, ma che si rende applicabile anche a società che svolgono tali attività relativamente ad altre monete virtuali. L'attività di intermediazione non comporta gli obblighi di sostituto d'imposta. L'Amministrazione finanziaria, che in sede di controllo, può richiedere le liste della clientela per le necessarie verifiche, ha anzitutto ritenuto che non si possa prescindere da quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14. In tale occasione, agli effetti dell'IVA, la Corte ha riconosciuto che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso. Più precisamente, secondo i giudici europei, tali operazioni rientrano tra le operazioni «relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio» di cui all'articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE. In particolare, alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte di giustizia, l'Agenzia ritiene che l'attività di acquisto/vendita di bitcoin, posta in essere da una società debba essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell'articolo 10, primo comma, n. 3), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. La risoluzione evidenzia inoltre che per i clienti di tali società, le persone fisiche che detengono i bitcoin al di fuori dell'attività d'impresa, le operazioni a pronti (acquisti e vendite) non generano redditi imponibili in quanto manca la finalità speculativa. Inoltre, per quanto riguarda le disposizioni in materia di antiriciclaggio, l'Agenzia precisa che le società che svolgono professionalmente l'attività di negoziazione di monete virtuali sono tenute agli obblighi di adeguata verifica della clientela, di registrazione nonché di segnalazione all'UIF (Unità di informazione finanziaria).
  I rischi insiti in tale applicazione della tecnologia finanziaria – sottolineati anche in sede europea ed internazionale – principalmente riguardano il timore di riciclaggio di proventi derivanti da attività illecite.
  Inoltre, un altro fattore di rischio concerne la violazione della riservatezza. Se infatti la transazione in contanti è totalmente ignota, la transazione che si svolge all'interno del sistema bancario rimane all'interno del sistema finanziario; con criptovalute basate su blockchain, come il bitcoin, la transazione diventa pubblica e gli utenti non sono ignoti, ma pseudo-anonimi.
  Le criptovalute hanno subito inoltre, negli ultimi anni, fortissime oscillazioni di valore, che rendono molto rischioso detenere somme denominate in valuta virtuale, qualora si intenda conservarle per un certo periodo di tempo e riconvertirle in moneta legale (ad esempio in euro).
  Tutto ciò a fronte delle inevitabili asimmetrie informative che discendono dalla natura stessa delle criptovalute generate mediante tecnologie a blockchain, pressoché Pag. 101sconosciute all'investitore retail. In assenza di obblighi informativi e di presidi di trasparenza, infatti, può risultare difficile reperire indicazioni affidabili per comprendere il funzionamento, i costi, il valore e i rischi di ciascun tipo di valuta virtuale.
  L'acquisto, lo scambio e l'utilizzo di valute virtuali non sono assistiti da tutele legali e/o contrattuali analoghe a quelle che accompagnano le operazioni in valuta legale; le transazioni in valuta virtuale sono generalmente tecnicamente irreversibili, spesso non supportate da un contratto né da procedure di reclamo e le controparti sono anonime. In ogni caso, la mancanza di definizioni, di standard legali e di obblighi informativi renderebbe difficile provare in giudizio di aver subito un danno ingiusto. È possibile che l'utilizzo o la conversione di valute virtuali siano soggetti a costi e commissioni non chiaramente indicati.
  In questa sede si segnala che la Banca d'Italia, nel gennaio 2015, ha pubblicato un'avvertenza sulle valute virtuali, mentre l'UIF si è espresso sull'utilizzo anomalo di dette valute.

7. Le prospettive emerse nel corso dell'indagine.
  Dalle risultanze dell'indagine è emerso, in linea generale, che le autorità regolatrici e gli operatori del settore invocano un intervento tempestivo del legislatore nel settore FinTech, riconoscendo l'importanza di quanto già avviato in sede europea.
  Da più parti si è rilevato infatti come il compito del legislatore sia quello di favorire lo sviluppo dell'ecosistema dell'innovazione, adottando regole positive per disciplinarlo e così controllando i rischi ad esso connessi. Si richiede un'azione tempestiva per regolare i fenomeni, prima che essi sfuggano al controllo del legislatore. Uno dei punti cardine emersi nel corso dell'indagine è la creazione di un sistema normativo improntato all'organicità ed alla semplificazione, necessari per fornire agli operatori un contesto di regole chiaro ed agevole.
  Dal momento che il settore è multidisciplinare, da più parti si auspica, in tale prospettiva, la redazione di un «Testo unico FinTech», cioè un'unica fonte a cui potersi rivolgere e dove è possibile reperire tutte le norme di settore. A parere degli auditi, occorre infatti evitare l'applicazione di regimi normativi e di vigilanza differenti su soggetti che offrono servizi finanziari simili, solo in virtù della loro differente natura giuridica o della loro localizzazione nel territorio dell'Unione europea. Appare invece necessario garantire condizioni di parità, migliorando al contempo la facilità di accesso per i nuovi operatori del mercato e impedendo l'arbitraggio regolamentare tra gli Stati membri e tra gli statuti giuridici.
  Alcuni auditi hanno inoltre invitato a valutare l'istituzione/individuazione di un interlocutore pubblico unico, che rappresenti un punto di riferimento italiano sulla materia FinTech, sia a livello nazionale sia nei consessi internazionali, e che coordini e metta a sistema le varie iniziative in materia, anche fungendo da raccordo tra pubblico e privato. Appare opportuno infatti diminuire la molteplicità degli enti regolatori, elemento che potrebbe causare incertezza negli operatori ed un aumento dei costi.
  Le Autorità regolatrici del settore finanziario audite nel corso dell'indagine riconoscono alle istituzioni pubbliche il non agevole compito di adeguare il sistema normativo alla trasformazione tecnologica in atto, continuando – al contempo – a garantire la stabilità del sistema e la tutela della clientela.
  Anch'esse auspicano la creazione di un ecosistema compatibile alle innovazioni del FinTech, il che implica il compimento di azioni su diversi fronti: dall'attuazione degli interventi previsti dall'Agenda Digitale Italiana ad un'opera di alfabetizzazione dei cittadini all'utilizzo di servizi finanziari attraverso strumenti digitali.
  Inoltre, occorre formare adeguatamente il management delle imprese (soprattutto le PMI) per l'utilizzo dei diversi strumenti disponibili nel mercato dei servizi finanziari. Con riferimento alla tutela Pag. 102degli investitori, occorre definire elevati standard di trasparenza dei servizi finanziari digitali (attività, funzionalità, costi, spiegazioni).
  Come già anticipato in precedenza, la maggioranza dei soggetti intervenuti nel corso dell'indagine reputa necessario promuovere regimi giuridici che creino ambienti di sperimentazione (le già menzionate sandbox) allo scopo di accelerare l'innovazione nel settore FinTech.
  A tale proposito è stato suggerito, in particolare, di disporre un regime di autorizzazione temporanea (ad esempio, fino al raggiungimento di un determinato numero di clienti o per specifiche tipologie di operazioni) e di definire un regime prudenziale, basato su regole di capitale minimo iniziale, misure ed aspetti organizzativi e requisiti patrimoniali semplificati.
  La sandbox potrebbe avere una prefissata e circoscritta validità temporale (ad esempio un anno o, comunque, un tempo ritenuto sufficiente a testare l'iniziativa sul mercato). L’iter autorizzativo dovrebbe comunque essere più breve e meno complesso rispetto a quello ordinario, con riduzione e semplificazione dei requisiti patrimoniali e organizzativi ordinariamente richiesti per il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio dei servizi finanziari, ferma restando l'esigenza di assicurare una adeguata copertura dei rischi assunti.
  Coloro che forniscono il servizio di rating ritengono che l'apertura di sandbox possa essere anche l'occasione per consentire alle imprese, per testare soluzioni che garantiscano al contempo i diritti e gli interessi di finanziatori e utenti, di accedere a dati acquisiti da enti pubblici (prima fra tutte le Centrali dei rischi, il sistema informativo sull'indebitamento della clientela verso le banche e le società finanziarie tenuto dalla Banca d'Italia).
  La creazione di sandbox è stata auspicata anche dai data scientists, ovvero dagli analisti che utilizzano la tecnologia per elaborare dati da cui costruire modelli di rating con efficacia predittiva maggiore rispetto ai meccanismi automatici di valutazione. Questi ultimi suggeriscono in particolare di esternalizzare le attività dei laboratori di data science presso sandbox, in modo da mettere in contatto diretto l'università con le imprese e con il regolatore, favorendo una ricerca concreta e meno astratta.
  I rappresentanti degli intermediari finanziari tradizionali hanno auspicato l'applicazione al mondo FinTech di un quadro prudenziale di vigilanza, recupero e risoluzione, nonché di un sistema di garanzia dei depositi, analogo a quello previsto per gli enti tradizionali (tra cui le banche). Hanno inoltre invitato il legislatore a favorire la vigilanza delle Autorità competenti sulle società non bancarie che offrono servizi simili agli intermediari tradizionali, sia per assicurare la parità di trattamento tra prestatori di analoghi servizi, sia per garantire il medesimo livello di protezione ai consumatori.
  L'implementazione del settore FinTech, a parere degli operatori di settore, passa anche per l'introduzione di specifici interventi fiscali, tra cui:
   l'equiparazione della tassazione dei ricavi provenienti dai prestiti online alla tassazione degli altri investimenti, evitando in tal modo di discriminare gli investimenti in lending, che oggi sono tassati in aliquota marginale;
   la deduzione fiscale degli interessi pagati dalle aziende che ricevono prestiti online;
   l'utilizzo di parte delle risorse attualmente destinate ai PIR – Piani Individuali di Risparmio – che godono di una sostanziosa detassazione, in favore delle PMI non quotate (anche non innovative), consentendo di investire una quota dei PIR in start-up e PMI innovative direttamente o tramite fondi di venture capital.

  A parere delle Autorità regolatrici del settore finanziario, le misure di politica fiscale sul FinTech dovrebbero iscriversi in un più ampio disegno di promozione della ricerca e della capacità innovativa a largo spettro, in un'ottica di sostegno strutturale di lungo periodo alla crescita economica. Le misure agevolative fiscali e finanziarie Pag. 103da intraprendere dovrebbero migliorare la conoscenza («intangible [knowledge based] capital»), potenziando i centri di ricerca universitari, i centri pubblici di eccellenza scientifica e i poli tecnologici in una logica di network system, con politiche di attrazione dei giovani «cervelli» andati all'estero per mancanza di opportunità in Italia. Esse dovrebbero altresì creare condizioni di incentivo fiscale per il rientro in Italia delle imprese FinTech istituite in altra giurisdizione e per rafforzare le misure di stimolo all'offerta d'innovazione (valutando periodicamente l'efficacia delle politiche di sostegno alle start-up), onde sfruttare appieno le potenzialità applicative delle nuove tecnologie e di nuovi modelli di servizio. Si è dunque suggerito di rendere strutturali gli incentivi fiscali agli investimenti di trasformazione digitale delle imprese (c.d. Industria 4.0) e agli investimenti in ricerca e sviluppo.
  Con riferimento alle valute virtuali, gli stakeholders ne auspicano anzitutto il riconoscimento normativo, in quanto a ciò conseguirebbe la creazione un ecosistema giuridico ed economico adatto e ospitale per le società che ne sfruttano le potenzialità creando un mercato secondario, tra cui le già menzionate ICO (initial coin offer) companies.
  Particolare attenzione è stata rivolta degli auditi alla tematica del crowdfunding e, collateralmente, al sostegno alle piccole e medie imprese, le quali, com’è noto, in Italia si finanziano precipuamente tramite il canale bancario. Le Autorità regolatrici del settore hanno auspicato la creazione di un contesto normativo di respiro europeo per il crowdfunding, in grado di sviluppare questo canale di accesso delle PMI ai capitali privati, così favorendo l'attività cross-border e individuando adeguate ed uniformi tutele per gli investitori. A tale tematica, a parere degli auditi, si lega quella della revisione della Direttiva MiFID II, allo scopo di creare un regime di esenzione dedicato alle PMI ed alle start-up innovative. Conseguentemente, appare opportuno che a livello nazionale sia rivista la definizione di PMI innovativa, ampliando il novero di soggetti che possono accedere ai benefici fiscali collegati all'iscrizione della relativa sezione speciale del registro delle imprese.
  Con specifico riferimento al sostegno finanziario alle società – specialmente PMI – non quotate, nel corso dell'indagine è emerso il generale auspicio di un'azione legislativa volta a ridurre i costi legati alla partecipazione al capitale (a esempio, i costi di trasferimento delle quote sociali) e a rendere le partecipazioni più liquide, così riducendo i rischi per gli investitori al dettaglio e favorendo la creazione di un mercato secondario delle quote.
  Il sostegno del mercato secondario delle società non quotate passa anche, a parere dei soggetti auditi, da riforme che incentivino l'utilizzo dei portali di equity crowdfunding non solo nella fase di sottoscrizione delle quote societarie. Appare infatti opportuno consentire, a chi ha acquistato quote societarie con metodi diversi dalla sottoscrizione online, di intestare le azioni o le quote a una SIM mediante i portali di crowdfunding, riducendo così nettamente il costo di trasferimento della quota (che al momento è effettuato prevalentemente mediante pratiche notarili, finanziariamente ben più onerose).
  Per facilitare gli investimenti in PMI, specialmente in quelle non innovative, si suggerisce inoltre l'eliminazione del vigente obbligo (di cui all'articolo 24, comma 2, del regolamento CONSOB del 2013 in tema di equity crowdfunding) di sottoscrizione di una quota dell'investimento (5 per cento) da parte investitori professionali, per rendere più semplice la sottoscrizione del capitale di aziende non innovative.
  Tale norma fondava la propria ratio nel fatto che gli investimenti in equity crowdfunding erano inizialmente riservati alle start-up innovative, di per sé difficili da valutare in termini di rischiosità. La presenza della quota riservata agli investitori professionali era funzionale alla valutazione da parte di un soggetto esperto di valutazione di aziende – quale un investitore professionale – anche a difesa degli interessi degli investitori retail che Pag. 104avessero deciso di investire nella start-up. Con l'allargamento dell’equity crowdfunding a tutte le PMI, e non più solo a quelle innovative, tale norma appare agli stakeholders eccessivamente limitante.
  Si segnala in questa sede che la CONSOB, con la recente delibera n. 20204 del 2017 ha modificato il predetto regolamento, al fine di ridurre (nuovo comma 2-ter dell'articolo 24 del medesimo regolamento) al 3 per cento la soglia riservata agli investitori professionali, se le offerte sono effettuate da PMI in possesso di specifiche garanzie: certificazione dei bilanci relativi agli ultimi due esercizi precedenti l'offerta, da parte di un revisore contabile o una società di revisione.
  I soggetti auditi hanno inoltre auspicato che il legislatore si attivi per facilitare l'accesso alle quotazioni su sistemi multilaterali di negoziazione, riducendo gli oneri economici iniziali e di gestione a carico della società che intende quotarsi. In tal senso si muove il disegno di legge di bilancio 2018, all'esame della Camera dei deputati al momento della redazione del presente documento, il quale dispone un credito d'imposta per i costi di consulenza sostenuti dalle PMI in relazione alla quotazione (articolo 1, commi da 46 a 49, dell'A.C. 4768).
  In tale contesto molti stakeholders ascoltati nel corso dell'indagine hanno sostenuto che l’equity crowdfunding ben si presta ad essere sperimentato nelle sandbox: è stato in proposito ipotizzato un contesto regolamentare nel quale i portali di equity crowdfunding siano autorizzati alla promozione di offerte pubbliche per la sottoscrizione, anche da parte di clienti retail, di titoli di debito emessi dalle imprese partecipanti al portale medesimo. In tal modo i portali di equity crowdfunding sarebbero incentivati alla creazione e alla gestione di sistemi volti a facilitare l'incontro, sul mercato secondario, della domanda e dell'offerta dei titoli. Si tratterebbe anche del contesto favorevole per disapplicare la soglia minima di sottoscrizione da parte degli investitori professionali.
  Con riferimento specifico al settore assicurativo – InsurTech i rappresentanti del settore auspicano che le iniziative legislative in tale ambito rispettino i principi di neutralità tecnologica, proporzionalità, integrità del mercato e, soprattutto, la protezione del consumatore. Appare infatti necessario garantire che il quadro regolamentare sia digital-friendly e tecnologicamente neutrale, ossia tale da non incoraggiare, né scoraggiare l'innovazione finanziaria e la digitalizzazione, al contempo mostrandosi sufficientemente flessibile per adattarsi all'era digitale. Analogamente a quanto auspicato per il FinTech in generale, si chiede di non porre barriere alle start-up assicurative che intendono accedere al mercato e, al contempo, consentire agli assicuratori tradizionali di sviluppare prodotti innovativi e servizi a beneficio dei clienti, avendo dunque accesso agli strumenti della vigilanza a supporto dell'innovazione.

8. Conclusioni e proposte.
  Un primo risultato che l'indagine conoscitiva ha permesso alla Commissione di raggiungere è stato di consentire al Parlamento di prendere contatto in modo diretto con un mondo estremamente vario e stimolante, costituito in primo luogo da start up nate negli ultimi anni nel settore del FinTech grazie all'iniziativa di soggetti italiani, che stanno mutando il panorama e gli stessi paradigmi del sistema imprenditoriale nazionale.
  Al di là delle specifiche prospettive future delle singole iniziative, si tratta comunque di un notevole patrimonio di idee e di esperienze, che costituisce di per sé una ricchezza per il Paese, sotto molteplici aspetti.
  In primo luogo occorre infatti sottolineare come l'introduzione di tecnologie innovative nel contesto economico, sia nel settore finanziario sia in ogni altro settore, rappresenta in quanto tale un fattore di mutamento che deve essere adeguatamente colto e valorizzato, a vantaggio dello sviluppo complessivo.
  Più in dettaglio, le nuove tecnologie possono costituire un motore fondamentale Pag. 105per realizzare alcuni obiettivi cruciali al fine di contrastare il declino e riprendere un duraturo percorso di crescita:
   dare al Paese la chance di svolgere un ruolo importante in nuovi mercati di beni e servizi a elevato contenuto di innovazione e a maggiore valore aggiunto, facendo fronte in tal modo alle sempre più difficili sfide competitive di un'economia globalizzata;
   modernizzare i processi produttivi, con effetti di scala potenzialmente positivi anche in quei settori che in questo momento appaiono più lontani dalle nuove tecnologie;
   migliorare l'infrastruttura tecnologica del Paese, colmando una serie di ritardi che esso ha accumulato negli ultimi decenni, ad esempio in termini di digital divide;
   qualificare maggiormente il capitale umano, che ha sempre costituito un elemento chiave per la crescita dell'economia italiana, puntando in particolare a formare risorse umane che siano in grado di seguire la sempre più rapida evoluzione tecnologica;
   rafforzare le relazioni tra l'economia italiana e i contesti economici e tecnologici più avanzati a livello mondiale, cogliendo in tal modo le opportunità di crescita che tale confronto può sviluppare, sia internazionalizzando maggiormente le imprese italiane, sia attraendo investimenti e cervelli nel nostro Paese;
   dare nuove prospettive di lavoro qualificato ai giovani, contrastando al contempo i fenomeni di marginalizzazione della classe media professionale, imprenditoriale e commerciale.

  È evidente come tali questioni riguardino non solo i comparti finanziario, creditizio e assicurativo, né profili puramente economici, ma acquistino un rilievo sociale e politico complessivo per il futuro del Paese.
  Fatta tale premessa, è altrettanto evidente come tali tematiche devono costituire oggetto di attenzione prioritaria da parte della politica, in un'ottica che non guardi all'oggi o al domani, ma a un orizzonte di medio – lungo periodo.
  In tale prospettiva il principio fondamentale a cui orientare l'azione della politica, nazionale ed europea, e le sue scelte regolatorie in questo campo, deve essere quello di assicurare che l'azione innovatrice e, in alcuni casi distruttrice, delle nuove tecnologie finanziarie non riproponga i disequilibri, le strettoie concorrenziali e gli abusi di posizione attuali, mutando solo i soggetti che possono goderne, ma assicurare che i «dividendi» dell'innovazione tecnologica siano fruiti da una platea sempre più vasta di cittadini. Occorre cioè, in una prospettiva autenticamente riformista, sfruttare le energie formidabili delle nuove tecnologie come motore non per un mera redistribuzione di rendite di posizione o una sostituzione di vecchie con nuove elites, ma per ampliare il benessere delle persone, favorire l'inclusione, che non può essere solo finanziaria, ma deve divenire sociale, politica e umana.
  In sintesi, riproponendo uno slogan antico, occorre dunque che le tecnologie finanziarie, per costituire vero progresso, possano risultare a beneficio del numero più ampio possibile di persone.
  Alla luce di tali principi, e a seguito delle risultanze dell'indagine conoscitiva, la Commissione Finanze ritiene necessario intraprendere iniziative che si muovano in molteplici direzioni, nella prospettiva di rendere l'Italia un Paese FinTech-friendly. Tale esigenza è motivata, oltre che da considerazioni generali, anche dallo scenario congiunturale, che potrebbe creare ulteriori opportunità legate alla Brexit. A seguito dell'uscita dall'Unione europea della Gran Bretagna, dove è attualmente collocato l’hub FinTech europeo per eccellenza, potrebbero infatti maturare le condizioni per cui banche e istituzioni finanziarie trovino più conveniente lasciare la City di Londra. L'Italia non può non cogliere l'opportunità di candidarsi a nuovo hub FinTech europeo, in quanto ciò significherebbe afflusso di capitali stranieri, Pag. 106creazione di posti di lavoro sostenibili, importazione di risorse con caratteristiche di eccellenza internazionalmente riconosciute, indotto per tutto il settore dell'innovazione, internazionalizzazione delle imprese italiane.
  Anche in questa prospettiva occorre dunque riformare anzitutto il vigente contesto normativo, al fine di creare un contesto sociale e giuridico che accolga l'innovazione nel settore finanziario, nonché intraprendere iniziative volte a valorizzare e specializzare il capitale umano.
  Come esposto nei precedenti paragrafi, il principale punto a favore dello sviluppo del FinTech nei Paesi anglosassoni, in particolare nel Regno Unito, è infatti stata la presenza di una regulatory sandbox, un ambiente di testing per le start-up, assistito dalle autorità regolatrici del settore. Diventa pertanto prioritario introdurre, in Italia, un «sistema regolato graduale» di legislazione, che consenta alle aziende di sperimentare i propri servizi e prodotti con un impatto estremamente limitato, destinato alla sola clientela professionale, per un periodo di tempo circoscritto e sotto la supervisione dei regolatori, i quali in tal modo sono posti in condizione di studiare da vicino l'innovazione e adeguare opportunamente i sistemi di vigilanza. Ciò non deve peraltro comportare un allentamento dei presidi di garanzia a favore della clientela, una deroga strutturale alla regolamentazione vigente, né la creazione di un contesto normativo parallelo di favore. A tale ambiente potrebbero infatti accedere anche gli intermediari tradizionali, con evidente vantaggio sia della competitività sia della spinta ad una continua innovazione.
  In detto ecosistema le Autorità regolatrici, l'Amministrazione pubblica, i Centri di ricerca, i Fondi di venture capital e le start-up del FinTech opererebbero affiancati, così da favorire lo sviluppo del settore e rendere attraente l'investimento delle aziende in Italia. Si pensi ad esempio all'attivazione di una vera e propria FinTech Tower, che possa rappresentare un innovation hub nel quale sviluppare e condividere conoscenza scientifica, metodi applicativi, modelli di business. Ciò rafforzerebbe inoltre un fruttuoso scambio di idee e di conoscenze, fornendo ispirazione alla comunità, stimolando le start-up più creative, così come agli operatori storici, a trovare soluzioni innovative ai problemi globali.
  Le risultanze dell'indagine hanno inoltre fatto emergere l'esigenza di disporre di capitale umano di elevato livello.
  Nel nostro Paese è necessario un urgente adeguamento alla politica di formazione finanziaria diffusa nei paesi anglosassoni, così come è necessario rendere attraente il rientro dall'estero di personale italiano qualificato, al contempo attraendo competenze dal resto del mondo. L'azione politica deve orientarsi al sostegno della ricerca in tutte le aree del FinTech, per costruire una leadership accademica e tecnologica nel settore. Specifici moduli di formazione nel FinTech dovrebbero essere inclusi nei corsi di laurea e di dottorato pertinenti, per esporre gli studenti al comparto e, al contempo, per proporre al settore del FinTech, personale adeguatamente preparato e pronto ad essere inserito nel mondo del lavoro.
  La Commissione Finanze, in tale contesto, formula tre raccomandazioni che investono, verticalmente, tutta questa tematica.
  Da un lato occorre un Piano d'azione del Governo, combinato con un ambiente politico stabile: sono fattori che incoraggiano il settore privato a investire in FinTech. Si ritiene necessario, quindi, un coordinamento tra Governo, regolatori, imprese e università, che dia una governance univoca al settore del FinTech e gestisca correttamente un passaggio così delicato per il nostro sistema economico-finanziario. Coerentemente alle risultanze dell'indagine, occorre dunque individuare uno o più soggetti istituzionali e operativi, che fungano da punto di riferimento del settore e definiscano obiettivi misurabili, programmi e azioni da porre in essere, valorizzando le esperienze, le competenze e le iniziative maturate dai soggetti attivi sul territorio nazionale. Ad essi vanno affidati compiti di promozione, indirizzo, Pag. 107agevolazione, valutazione e monitoraggio degli strumenti della tecnologia finanziaria. Essi devono, in sostanza, promuovere una stretta collaborazione tra i soggetti pubblici e privati. Occorre una corretta scansione dell'orizzonte per anticipare, monitorare e assistere nella gestione dei rischi e delle minacce emergenti nel FinTech, identificando strumenti tecnico-normativi per lo sviluppo della tecnologia digitale sul mercato finanziario, creditizio e assicurativo.
  Una seconda raccomandazione riguarda la diffusione della conoscenza. Le sfide di settore costituiscono una modalità efficace per stimolare l'applicazione e la promozione delle nuove tecnologie in nuovi settori, nei quali il mercato da solo può essere insufficiente. Occorrerebbe quindi creare un programma di «grandi sfide» sul FinTech, al quale partecipino equamente il mondo accademico, le imprese e il terzo settore. Tale programma migliorerebbe lo scambio di idee e conoscenze; esso darebbe ispirazione alla comunità FinTech, stimolando le start-up creative e gli operatori storici a trovare soluzioni innovative ai problemi globali.
  Una terza raccomandazione riguarda infine l'esigenza di sostenere un esteso programma di educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, nonché di alfabetizzazione digitale del Paese, promuovendo così una vera e propria pratica educativa della cittadinanza economica calata nel nuovo contesto tecnologico e garantendo anche sotto questo profilo un'adeguata protezione dei risparmiatori e degli investitori. A tal fine devono essere individuati interventi mirati per le esigenze dei diversi segmenti di popolazione, per raggiungere il più ampio spettro di utenti, anche grazie all'utilizzo di strumenti innovativi quali, ad esempio, un portale telematico nazionale per l'educazione alla cittadinanza economica.