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CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 17 dicembre 2013
144.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 138

SEDE REFERENTE

  Martedì 17 dicembre 2013. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.10.

  Michele BORDO, presidente, propone di procedere, su richiesta del deputato Tancredi, ad un'inversione dell'ordine dei lavori nel senso di svolgere dapprima l'esame in sede consultiva del nuovo testo della proposta di legge Madia C. 362 e, quindi, l'esame dell'atto del Governo n. 49, Pag. 139per riprendere poi con l'esame in sede referente e con gli altri punti previsti all'ordine del giorno.

  La Commissione concorda.

  La seduta, sospesa alle 14.15, è ripresa alle 14.35.

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013 bis.
C. 1864 Governo.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Michele BORDO, presidente e relatore, ricorda che la Commissione avvia oggi l'esame del disegno di legge recante Legge europea 2013 bis, presentato in prima lettura alla Camera, a pochi giorni di distanza dall'avvio del disegno di legge recante Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre.
  Rileva che, come evidenziato nella relazione illustrativa che accompagna il provvedimento, la trasmissione dei due provvedimenti a breve distanza dall'approvazione delle leggi di delegazione europea e della legge europea per il 2013, nello scorso mese di luglio, si correla all'esigenza che il nostro Paese giunga preparato al meglio all'appuntamento del semestre italiano di presidenza dell'UE nella seconda metà del 2014, in cui sarà chiamato a farsi carico di fondamentali responsabilità.
  Già con la Legge europea 2013 – si sottolinea nella relazione – è stato avviato un percorso virtuoso finalizzato alla veloce chiusura dei casi di pre-infrazione, avviati dalla Commissione europea nel quadro del sistema di comunicazione EU Pilot, e dei casi che hanno dato origine a procedure di infrazione, ai sensi degli articoli 258 e 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE).
  Residuando ancora una parte di precontenzioso e contenzioso, per la quale il Governo ha riconosciuto la fondatezza delle censure della Commissione europea, occorre quindi fare ricorso nuovamente allo strumento legislativo fornito dalla legge n. 234 del 2012, al fine di porvi rimedio entro i ristretti tempi dettati dall'obiettivo prioritario del Governo di presiedere il semestre europeo nel 2014 con il minor numero di infrazioni possibile a carico dell'Italia.
  Sono infatti otto le procedure di infrazione e nove i casi EU pilot che il provvedimento consente di risolvere, oltre all'attuazione di una sentenza pregiudiziale della Corte di giustizia dell'Unione europea, all'attuazione di due regolamenti (UE) e all'attuazione di una decisione EURATOM del Consiglio.
  Fa presente che il provvedimento consta di 25 articoli.
  Il capo I contiene disposizioni in materia di libera circolazione delle persone, dei beni e dei servizi. L'articolo 1 è diretto a risolvere le contestazioni sollevate dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 5015/13/EACU in materia di ammissione a borse di studio universitarie per il perfezionamento all'estero. Con nota del 13 maggio 2013, infatti, la Commissione ha rilevato un contrasto tra la condizione di nazionalità imposta della legislazione italiana vigente (articolo 5, co. 2 della L. 398/1989) e il principio di non discriminazione posto dall'articolo 18 del TFUE. La norma interviene quindi per modificare i requisiti attualmente richiesti al laureato aspirante alla borsa: sarà infatti sufficiente avere una laurea presso università italiane e non necessariamente la cittadinanza italiana. Si prevede inoltre che le istituzioni presso cui il laureato aspirante alla borsa di studio in questione potrà svolgere l'attività di perfezionamento devono comunque trovarsi in uno Stato diverso da quello di residenza.
  L'articolo 2 interviene su diverse disposizioni in materia di espulsione dello straniero irregolare, principalmente per adeguare il diritto interno all'interpretazione delle norme comunitarie contenute in alcune sentenze della Corte di giustizia europea. Pag. 140
  Scopo della disposizione è l'adeguamento dell'ordinamento alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 6 dicembre 2012, C-430/11 (caso Sagor). Con questa sentenza la Corte UE ha ravvisato l'incompatibilità di alcune disposizioni del testo unico in materia di immigrazione con la direttiva 2008/115/UE (cosiddetta direttiva «rimpatri»).
  La novella operata al testo unico in materia di immigrazione prevede che, nel caso dei reati di immigrazione illegale e di violazione all'ordine di allontanamento, qualora la pena dell'ammenda sia sostituita con la pena della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità, l'espulsione amministrativa sia comunque eseguita celermente.
  La lettera e) prevede l'interruzione del trattenimento dello straniero in attesa di espulsione qualora non esista una ragionevole prospettiva che questa sia eseguita (sentenza CGUE del 30 novembre 2009, C-357-09).
  Le lettere f) e g) rimodulano la durata del divieto di reingresso a seguito di condanna per il reato immigrazione irregolare, attualmente di non meno 5 anni, equiparandola a quella del divieto di reingresso per altre ipotesi, ossia da 3 a 5 anni (sentenza CGUE 6 dicembre 2011, C-430/11).
  Le altre lettere, anch'esse di adeguamento al diritto comunitario, non sono riconducibili a specifiche sentenze del giudice comunitario.
  Le lettere a), e b) prevedono che lo straniero in possesso del permesso di soggiorno rilasciato da un altro Paese membro sia espulso solo se si trattenga oltre 3 mesi, periodo massimo previsto per la libera circolazione nell'area Schenghen (attualmente la normativa italiana prevede l'espulsione dopo 60 giorni nel caso lo straniero non abbia ottemperato all'obbligo di dichiarare la propria presenza in questura).
  La d) dispone l'inserimento del divieto di reingresso, irrogato dal prefetto con il decreto di espulsione, nel sistema informativo Schenghen.
  L'articolo 3 interviene sul Codice ambientale (D.Lgs. 152/2006) sostituendo la richiesta dell'obbligo di marcatura CE per i camini con il concetto di idoneità degli stessi all'uso previsto, come richiamato dalla direttiva comunitaria sui prodotti da costruzione. Si intende in tal modo ottemperare alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea concernente la causa C-385/10, al fine di risolvere la procedura di infrazione n. 2008/4541, attualmente allo stadio di messa in mora, avviata dalla Commissione europea in materia di commercializzazione dei camini e dei condotti in plastica in Italia. Con tale sentenza la Corte ha stabilito che la normativa dell'Unione (articoli 34 e 37 del TFUE e direttiva 89/106/CEE, come modificata dal regolamento (CE) n. 1882/ 2003), «osta a prescrizioni nazionali che subordinano d'ufficio la commercializzazione di prodotti di costruzione, quali quelli di cui trattasi nel procedimento principale, provenienti da altro Stato membro, all'apposizione della marcatura CE».
  L'articolo 4 è volto a superare i rilievi formulati dalla Commissione europea (EU Pilot 3690/12/MARKT), che ha sostenuto la necessità di prevedere per le attività occasionali e transfrontaliere di investigazione privata un regime autorizzatorio semplificato, rispetto a quello previsto dal comma 2 per le analoghe attività di vigilanza privata. Pertanto, ai fini dello svolgimento dei servizi anzidetti, viene prevista la semplice notifica alla competente autorità nazionale, la quale si riserva dieci giorni di tempo per la valutazione di eventuali circostanze ostative. Si tratta, in sostanza, di un'ipotesi di silenzio-assenso che concilia le esigenze di flessibilità organizzativa e di completo adeguamento alla direttiva 2006/123/CE, evidenziate dalla Commissione europea, con quelle di tutela della sicurezza.
  Il Capo II reca disposizioni in materia tributaria.
  L'articolo 5 estende le agevolazioni fiscali previste per i soggetti residenti nel territorio dello Stato – in termini di deduzioni, detrazioni e regime fiscale agevolato dei cd. «minimi» – ai contribuenti che, pur essendo fiscalmente residenti in un altro Stato membro dell'UE o dello Spazio economico europeo (SEE), producono Pag. 141almeno il 75 per cento del proprio reddito complessivo in Italia (cosiddetti «non residenti Schumacker»).
  Per questi ultimi l'IRPEF sarà calcolato dunque in base alle norme ordinarie, senza le vigenti limitazioni agli oneri deducibili dal reddito o detraibili dall'imposta lorda; alle condizioni di legge, essi saranno dunque eleggibili per l'applicazione del regime dei cosiddetti «contribuenti minimi».
  La modifica si è resa necessaria in seguito all'apertura, da parte della Commissione europea, della procedura di infrazione n. 2013/2027 (Regime fiscale delle persone non residenti Schumacker che traggono reddito sul territorio nazionale). La Commissione ha ritenuto che l'esclusione dell'applicabilità ai «non residenti Schumacker» del regime fiscale dei cosiddetti contribuenti minimi (di cui all'articolo 1, commi da 96 a 117, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, regime ora modificato dall'articolo 27 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111) possa costituire una violazione dei princìpi di libera circolazione delle persone e dei lavoratori dipendenti e autonomi e che, pertanto, la Repubblica italiana sia venuta meno ai relativi obblighi.
  L'articolo 6 del disegno di legge apporta modifiche alla disciplina dell'imposta sulle successioni e sulle donazioni; in primo luogo equipara gli enti pubblici, le associazioni e le fondazioni istituite in uno stato UE o SEE a quelli italiani, ai fini del godimento del regime fiscale agevolato riconosciuto dalla legge in relazione alla predetta imposta.
  Sono infine esentati da imposta sulle successioni i titoli del debito pubblico e gli altri titoli similari emessi da altri Stati aderenti all'UE o allo SEE.
  Ricorda che le modifiche intendono sanare due procedure di infrazione (2012/2156 e 2012/2157) relative a taluni regimi di esenzione dalle imposte sulle successioni e sulle donazioni, entrambe avviate il 26 febbraio 2013, con l'invio, da parte della Commissione europea, di una lettera di messa in mora.
  L'articolo 7, apportando modifiche all'articolo 19 del decreto-legge n. 201 del 2011, restringe l'ambito oggettivo dell'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero (IVAFE) dalle persone fisiche residenti nel territorio dello Stato. Si prevede in particolare che, a decorrere dall'anno 2014, l'imposta è dovuta su valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all'estero, in luogo della precedente formulazione che la rapportava al più ampio concetto di «attività finanziarie».
  La norma è finalizzata a risolvere i rilievi mossi dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 5095/12/ TAXUD. In particolare, la Commissione ha evidenziato criticità relative all'applicazione della disciplina dell'imposta sulle attività finanziarie detenute all'estero (IVAFE) con riferimento alla disparità di trattamento che si determina rispetto alla norma concernente l'applicazione dell'imposta di bollo sui prodotti finanziari. In particolare, è stato rilevato che la normativa sul bollo si applica ai «prodotti finanziari» mentre quella dell'IVAFE si applica alle «attività finanziarie», determinando una disparità di trattamento tra attività finanziarie detenute in Italia e attività finanziarie detenute all'estero.
  L'articolo 8 del disegno di legge in esame dispone che, per la riscossione di somme da corrispondere a titolo di dazi doganali e dell'Iva all'importazione, di ammontare fino a mille euro, non si applica la sospensione di 120 giorni delle azioni cautelari ed esecutive, decorrenti dall'invio al debitore delle comunicazioni concernenti il dettaglio delle iscrizioni a ruolo, di cui all'articolo 1, comma 544, della legge n. 228 del 2012. Infatti tale disposizione, se applicata alla riscossione coattiva delle risorse proprie tradizionali, comporta un allungamento dei tempi di riscossione che contrasta con gli obblighi imposti dalle norme dell'Unione europea in materia di accertamento e riscossione di tali risorse.
  L'articolo 9 è volto a recepire alcune norme in materia di autorità competenti per il rispetto degli obblighi posti dal regolamento n. 648 del 2012 (cosiddetto Pag. 142EMIR – European Market Infrastructure Regulation). Esso specifica che la Banca d'Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), l'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) e la Commissione di vigilanza sui fondi pensione sono le autorità competenti per il rispetto degli obblighi posti dal regolamento a carico dei soggetti già vigilati dalle medesime autorità, nonché per l'applicazione delle sanzioni, secondo le rispettive attribuzioni di vigilanza previste dall'ordinamento vigente.
  Il capo III contiene disposizioni in materia di lavoro e politica sociale.
  L'articolo 10 reca disposizioni in materia di tutela e sicurezza sui luoghi di lavoro, al fine di risolvere la procedura di infrazione n. 2010/4227, attualmente allo stadio di parere motivato ex articolo 258 del TFUE. Essa prevede che fin dai giorni immediatamente successivi all'avvio dell'attività dell'impresa o al verificarsi delle condizioni che rendono necessario l'aggiornamento della valutazione dei rischi, il datore di lavoro debba disporre di idonea documentazione volta a dimostrare che i singoli obblighi di riferimento in materia di salute e sicurezza sul lavoro siano stati adempiuti e che, dunque, il medesimo datore di lavoro abbia provveduto immediatamente ad effettuare la valutazione dei rischi.
  L'articolo 11 delega il Governo ad adottare un decreto legislativo in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori per il settore delle navi da pesca, al fine di coordinare le disposizioni speciali del settore con quelle generali in materia di sicurezza sul lavoro. La norma riprende, per la sola parte relativa al settore delle navi da pesca, la delega al Governo contenuta nel disegno di legge in materia (C. 5368) predisposto nel corso della XVI legislatura e il cui iter non si è completato prima della fine della stessa legislatura. Il presente articolo, nel rinnovare i contenuti del citato disegno di legge, mira a procedere celermente e compiutamente all'approvazione della normativa di attuazione per la cui mancanza la Commissione europea ha avviato la procedura di infrazione n. 2011/2098, attualmente allo stadio di messa in mora ex articolo 258 del TFUE.
  Il capo IV reca disposizioni in materia di ambiente.
  L'articolo 12 disciplina le modalità attraverso le quali l'autorità competente all'elaborazione ed all'approvazione di taluni piani o programmi in materia ambientale assicura la partecipazione del pubblico al procedimento di elaborazione, modifica e riesame dei medesimi piani o programmi. In particolare, l'articolo 12 novella l'articolo 3-sexies del decreto legislativo n. 152/2006 (recante norme in materia ambientale) allo scopo di rispondere ai rilievi avanzati dalla Commissione europea, nell'ambito della procedura EU Pilot 1484/10/ENVI, e di un corretto recepimento dell'articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2003/35/UE.
  L'articolo 13, allo scopo di recepire i rilievi avanzati dalla Commissione europea nell'ambito della procedura EU Pilot 1611/10/ENVI, prevede che l'autorizzazione alla gestione degli impianti che svolgono l'attività di cattura per l'inanellamento e per la cessione a fini di richiamo degli uccelli tutelati dalla direttiva 79/409/UEE deve essere data dalle regioni nel rispetto delle condizioni e delle modalità che definiscono l'attività di caccia in deroga.
  L'articolo 14 reca modifiche alla disciplina nazionale vigente riguardante l'istituzione di un'infrastruttura per l'informazione territoriale nell'Unione europea (Inspire) con la finalità di consentire lo scambio, la condivisione, l'accesso e l'utilizzo di dati geografici e ambientali interoperabili e di servizi legati a tali dati. In particolare l'articolo novella in più punti il d.lgs. n. 32/2010, attuativo della direttiva 2007/2/UE, allo scopo di rispondere alle considerazioni e ai rilievi della Commissione europea nell'ambito della procedura EU Pilot 4467/13/ENVI. Le modifiche alla disciplina investono profili di carattere formale e sostanziale e riguardano: l'ambito di applicazione; i metadati; il Geoportale nazionale; l'interoperabilità dei set di dati territoriali e dei servizi ad essi relativi; l'accesso al pubblico dei servizi di Pag. 143rete; la condivisione e il riutilizzo dei dati tra le autorità pubbliche; l'attività di monitoraggio.
  L'articolo 15 modifica in più punti la disciplina relativa alla valutazione di impatto ambientale (VIA) ed alla valutazione ambientale strategica (VAS), contenuta nella parte seconda e nei relativi allegati del d.lgs. 152/2006 (recante norme in materia ambientale), al fine di superare le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2009/2086. Le modifiche alla disciplina vigente riguardano: la definizione di «progetto»; i progetti soggetti a verifica di assoggettabilità alla VIA (screening); l'accesso alle informazioni ed alla partecipazione al pubblico ai processi decisionali in materia di VIA e VAS.
  L'articolo 16 reca disposizioni di delega al Governo per il riordino dei provvedimenti normativi vigenti inerenti la tutela dell'ambiente esterno e dell'ambiente abitativo dall'inquinamento acustico prodotto dalle sorgenti sonore fisse e mobili. In particolare, la disposizione elenca una serie di principi e criteri direttivi per l'adozione dei decreti legislativi al fine di semplificare ed aggiornare al progresso tecnologico la normativa nazionale vigente, anche al fine di renderla maggiormente coerente con talune prescrizioni previste dalla disciplina europea. In tale ambito, peraltro, si rammenta che è in corso la procedura d'infrazione 2013/2022, avviata per una non corretta attuazione della direttiva 2002/49/UE relativa alla determinazione ed alla gestione del rumore ambientale, recepita dall'Italia con il D.Lgs. 194/2005.
  L'articolo 17 modifica in più punti la disciplina in materia di danno ambientale, incidendo sulle fattispecie giuridiche di riferimento e sulla qualificazione del danno, sull'azione risarcitoria e sulle misure preventive e di ripristino, nonché sulla riassegnazione delle somme derivanti dalla riscossione dei crediti in favore dello Stato per il risarcimento del danno ambientale medesimo. In particolare, le modifiche si traducono in una serie di novelle alle disposizioni del decreto legislativo 152/2006 (recante norme in materia ambientale), alcune delle quali già modificate dall'articolo 25 della legge europea 2013 (legge 6 agosto 2013, n. 97), con il duplice intento di una piena armonizzazione della normativa nazionale a quella europea in tema di riparazione del danno ambientale e del rafforzamento degli strumenti di tutela del bene costituito dall'ambiente in situazioni di verificato pregiudizio esulanti dagli specifici casi previsti dalla direttiva 2004/35/CE.
  Il capo V reca disposizioni a tutela della concorrenza.
  L'articolo 18 è finalizzato a modificare la disciplina della progettazione, nel settore dei contratti pubblici, al fine di chiarire che il divieto di affidamento dei contratti pubblici medesimi agli affidatari del relativo incarico di progettazione non si applica laddove i progettisti possano dimostrare che l'esperienza acquisita nell'ambito dell'espletamento dell'incarico non determina un vantaggio rispetto agli altri concorrenti. Le modifiche alla disciplina vigente previste dall'articolo 18, che novellano l'articolo 90 del decreto legislativo n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), sono finalizzate a superare i rilievi della Commissione europea nell'ambito della procedura EU Pilot 4680/13/MARKT.
  L'articolo 19 integra i poteri dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) al fine di attuare il regolamento UE n. 1227/2011, concernente l'integrità e la trasparenza del mercato dell'energia all'ingrosso (cosiddetto REMIT).
  L'articolo 20 interviene sulla disciplina della rete di distribuzione dei carburanti al fine di liberalizzare maggiormente i distributori self-service. Si prevede in particolare l'eliminazione dell'obbligo di presidio delle stazioni di distribuzione dei carburanti previsto esclusivamente nei centri urbani.
  Nell'ambito del caso EU Pilot 4734/13/ MARKT, la Commissione europea ha rilevato che la legislazione nazionale e regionale relativa alle stazioni di servizio ubicate nei centri urbani, limitando l'apertura di impianti di distribuzione di carburante Pag. 144non presidiati nell'arco delle ventiquattro ore, vìola il principio della libertà di stabilimento, previsto dall'articolo 49 del TFUE, e il divieto di restrizione territoriale, previsto dall'articolo 15, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2006/ 123/CE (cosiddetta «direttiva servizi»).
  Con comunicazione in data 30 luglio 2013, in risposta alle controdeduzioni da parte italiana, la Commissione europea ha espressamente preannunziato l'apertura di un procedura di infrazione qualora l'Italia entro l'autunno non comunichi di avere intrapreso la modifica legislativa della norma contestata.
  Il capo VI reca altre disposizioni.
  L'articolo 21 riduce a 5 anni, rispetto ai 13 attualmente vigenti, il periodo transitorio di sospensione della protezione del diritto d'autore per i modelli di design industriale divenuti di pubblico dominio prima del 19 aprile 2001. La norma è volta a chiudere la procedura di infrazione n. 2013/4202, attualmente allo stadio di messa in mora ex articolo 258 del TFUE, riguardante la protezione del diritto di autore dei disegni e dei modelli industriali. Tale procedura è stata avviata in quanto l'attuale formulazione dell'articolo 239 del codice della proprietà industriale, sospendendo per un periodo transitorio di tredici anni la protezione del diritto di autore per i modelli di disegno industriale divenuti di pubblico dominio anteriormente alla data del 19 aprile 2001, si pone in contrasto col diritto dell'Unione, come interpretato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con sentenza pregiudiziale del 27 gennaio 2011, nella causa C-168/09 (caso Flos contra Semeraro). In particolare, la Corte ha ritenuto che un corretto bilanciamento tra l'interesse del titolare del diritto di autore, da un lato, e, dall'altro, gli interessi dei terzi che in buona fede avevano fabbricato e posto in commercio prodotti caduti in pubblico dominio prima dell'entrata in vigore della nuova disciplina europea in materia di diritto d'autore, non possa consentire alle imprese di sfruttare modelli di disegno industriale senza pagare i relativi diritti di autore per un periodo superiore a cinque anni.
  L'articolo 22 chiarisce alcuni dubbi interpretativi per l'applicazione della direttiva di disciplina dei ritardi nei pagamenti tra privati, e fra le pubbliche amministrazioni e i privati. In particolare, si esplicita che la normativa di attuazione della direttiva europea relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali si applica anche ai contratti pubblici di lavori servizi e forniture. Le disposizioni relative ai termini di pagamento e al tasso degli interessi dovuto in caso di ritardato pagamento contenute nelle leggi che regolano il settore che prevedono termini e tassi difformi rispettivamente da quelli previsti dalla normativa di recepimento delle regole europee in materia, si applicano solo se più favorevoli per i creditori.
  La disposizione è volta a chiudere il caso EU Pilot 5216/13/ENTR aperto dalla Commissione europea.
  L'articolo 23 senza novellare la legge sulla responsabilità civile dei magistrati, disciplina gli obblighi risarcitori dello Stato per il caso di pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive, conseguente alla violazione grave e manifesta del diritto dell'Unione europea da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado (comma 1). Il comma 2 individua alcuni elementi che dovranno essere valutati per stabilire se possa parlarsi di violazione grave e manifesta del diritto dell'Unione europea (come il grado di chiarezza e di precisione della norma violata; il carattere intenzionale della violazione; la scusabilità o inescusabilità dell'errore di diritto; la posizione adottata eventualmente da un'istituzione dell'Unione europea; la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale, dell'obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE). L'articolo stabilisce che l'azione per il risarcimento dei danni nei confronti dello Stato si prescrive in tre anni.
  La disposizione interviene al fine di adeguare la disciplina nazionale alle indicazioni della giurisprudenza europea, in particolare a quelle della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 24 novembre 2011, nella causa C-379/10, Pag. 145pronunziata nel contesto della procedura di infrazione n. 2009/2230, avviata dalla Commissione europea nei confronti dell'Italia, giunta allo stadio di messa in mora ai sensi dell'articolo 260 del TFUE.
  L'articolo 24 reca la consueta clausola di invarianza finanziaria.
  L'articolo 25 indica l'ammontare degli oneri derivanti dalle disposizioni degli articoli 5, 6 e 7 – rispettivamente in materia di estensione di agevolazioni fiscali a non residenti, imposta di successione e Ivafe – nella misura di 3,7 milioni di euro per l'anno 2014, 20,44 milioni di euro per l'anno 2015 e 15,3 milioni di euro dall'anno 2016 (comma 1), disponendo che alla relativa copertura si provveda mediante riduzione e i consumi medi standardizzati di gasolio da ammettere all'impiego ad aliquota agevolata in agricoltura (comma 2).
  Il comma 4 quantifica gli oneri derivanti dall'articolo 23 – relativo all'obbligo dello Stato di risarcire il danno derivante dalla violazione grave e manifesta del diritto dell'Unione europea da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado – in 100.000 euro annui a decorrere dall'anno 2014 e dispone che ad essi si provveda mediante utilizzo delle maggiori entrate derivanti dalla riduzione dei consumi medi standardizzati di gasolio ad aliquota agevolata di cui al comma 2 del medesimo articolo.

  Vega COLONNESE (M5S) chiede quali siano i tempi a disposizione della Commissione per l'esame del provvedimento in titolo, evidenziando che alcune Commissioni che lo stanno esaminando in sede consultiva, come la VI Commissione Finanze, hanno programmato lo svolgimento di audizioni.

  Michele BORDO, presidente e relatore, fa presente che i tempi per il relativo esame non sono ancora stati definiti ma assicura che, in ogni modo, saranno congrui.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea – Legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre.
C. 1836 Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento in oggetto, rinviato nella seduta del 28 novembre 2013.

  Marina BERLINGHIERI (PD) premette, in via generale, che il suo gruppo accoglie favorevolmente e apprezza molto il nuovo corso del Ministro Moavero, che – con la tempestiva presentazione di ben due leggi di delegazione europea e due leggi europee – va addirittura oltre la presentazione annuale, cogliendo la possibilità di presentarle semestralmente, permettendo così all'Italia di recuperare il forte ritardo e la maglia nera del recepimento delle direttive UE e nelle procedure d'infrazione. Ritiene quindi che si stia sulla strada giusta: con questi provvedimenti il Governo ha accolto tutto ciò che era scaduto o in scadenza.
  Fa presente che il suo gruppo si riserva, nelle prossime sedute, di approfondire i diversi temi contenuti nella legge di delegazione europea.
  Quello su cui oggi intende richiamare l'attenzione è quanto disposto dall'articolo 7, che ritiene di particolare rilevanza. Tale previsione dà infatti seguito alla giusta correzione impressa dal Governo in tema di immigrazione, flussi migratori, protezione internazionale, rifugiati e diritto di asilo, adeguando il nostro ordinamento alle recenti norme europee sul tema. In particolare laddove, con l'obiettivo di attuare l'articolo 78 del Trattato sul funzionamento dell'UE, che prevede che l'UE sviluppi una politica comune in materia di diritto d'asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea rendendo ancora più stringente il ravvicinamento delle normative nazionali e restringendo lo spazio di autonomia degli Stati membri, delinea tre direttive di rifusione delle precedenti che vanno a completare il quadro Pag. 146della protezione internazionale che gli Stati membri riconoscono a chi fugge da guerre e persecuzioni.
  Ritiene sia da apprezzare l'intento di pervenire a un corpus unico di norme su questa materia complessa e che negli ultimi anni aveva visto una stratificazione di norme (in alcuni casi anche contrastanti con la disciplina europea e che fortunatamente con le ultime leggi europee si è riusciti a sanare). Fa notare, tra l'altro, che sulla necessità di pervenire a una disciplina omogenea in materia, in grado di raccordare in modo chiaro le norme riguardanti la protezione sussidiaria e temporanea internazionale e la tutela dei rifugiati con quella più generale del diritto d'asilo, il suo gruppo è particolarmente attento e sensibile da anni; ha infatti presentato una proposta di legge che va proprio in questa direzione e per la quale è stata chiesto la procedura d'urgenza per il relativo esame.
  Svolge quindi due precisazioni in ordine all'articolo 7: la prima riguarda i tempi per l'esercizio della delega. Comprende le motivazioni nello stabilire che l'esercizio della delega sia fissato in 12 mesi decorrenti dall'entrata in vigore delle due direttive comunitarie, contenute nell'allegato B, il cui termine di recepimento è previsto una per il 2015 (cd nuova direttiva procedure), l'altra per il 2018 (cd nuova direttiva accoglienza). Si tratta di direttive che dovremo ancora recepire compiutamente, tenendo conto dei tempi per l'effettiva attuazione con i decreti legislativi.
  Tuttavia, segnala l'opportunità di specificare meglio il termine (qui non univoco e mobile) per l'esercizio della delega, che potrebbe essere fissato per esempio entro il 2018 (termine riferito alla scadenza di una delle direttive).
  L'altra precisazione riguarda il contenuto della delega: si tratta di una delega ampia e ci si rende conto che questo è anche in considerazione delle direttive che dovranno ancora essere recepite, in quanto la scadenza è prevista una per il 2015 e l'altra per il 2018, comprende anche che il testo unico in materia avrà soprattutto un carattere compilativo e di riordino.
  Segnala tuttavia, la necessità di specificare meglio i principi e i criteri direttivi che presiedono la delega al Governo di cui all'articolo 7, al fine di assicurare che nella compilazione del testo unico siano in ogni caso salvaguardati tutti gli standard già riconosciuti in Italia con riferimento al diritto di asilo, alla protezione sussidiaria e alla protezione temporanea, avuto specifico riguardo alla necessità di tutela dei diritti fondamentali nel sistema di accoglienza dei richiedenti asilo e dei beneficiari di protezione internazionale, nonché assicurando che il testo unico sia completato, per le parti non disciplinate a livello comunitario, con particolare riguardo all'ambito dell'integrazione sociale.
  Rileva anche che in merito alle direttive 32 e 33, contenute nell'allegato B, coerentemente con quanto detto il suo gruppo si riserva di presentare proposte emendative nelle Commissioni di merito che siano volte a specificare i principi e i criteri direttivi. Evidenzia che, sempre rispetto all'allegato B, ritiene importante approfondire (e ci si riserva di effettuare tale approfondimento con la Commissione di merito) la direttiva n. 42, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, per quanto riguarda un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA, proprio in virtù del fatto che esiste nel nostro Paese una stratificazione di norme che va, a suo modo di vedere, unificata.

  Elvira SAVINO (FI-PdL) intende anzitutto sollevare delle perplessità in merito ai tempi e alla necessità di avere a disposizione più ampi elementi di conoscenza rispetto al disegno di legge in esame.
  Ritiene non si possa accettare di approvare in modo sbrigativo una legge di delegazione europea che incide così pesantemente sulla nostra vita e dei nostri concittadini.
  Ritiene utile richiamare due esempi. L'articolo 4 della legge di delegazione, che reca i principi e i criteri direttivi specifici Pag. 147per il recepimento nell'ordinamento nazionale della nuova disciplina europea in materia di agenzie di rating del credito, contenuta nella direttiva 2013/14/UE e nel regolamento (UE) n. 462/2013. In particolare il legislatore, all'atto del recepimento, dovrà prevedere – ove opportuno – il ricorso alla disciplina secondaria, al fine di ridurre l'affidamento esclusivo o meccanico ai rating del credito emessi da agenzie di rating del credito. La direttiva impone agli investitori istituzionali l'obbligo di non affidarsi esclusivamente o meccanicamente ai rating del credito o di non utilizzarli come unico parametro ai fini della valutazione del rischio insito negli investimenti da essi realizzati. Il termine di recepimento della direttiva è il 21 dicembre 2014.
  Rileva come sia ben noto a tutti quanto l'Italia e le sue aziende siano state penalizzate dalle agenzie di rating e come queste si siano dimostrate in vari casi del tutto inaffidabili, se non addirittura in malafede ed quindi necessario fare molta attenzione.
  Richiama poi l'articolo 7 della legge di delegazione, che delega il Governo all'emanazione di un testo unico delle disposizioni di attuazione della normativa dell'Unione europea in materia di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria) e di protezione temporanea, senza indicare princìpi e criteri direttivi di delega. Il termine per l'esercizio della delega è fissato in 12 mesi, che decorrono dall'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione delle due ultime direttive comunitarie in materia di protezione internazionale approvate il 26 giugno 2013 e incluse nell'allegato B del presente provvedimento.
  Anche questo, a suo avviso, è un punto dolente per il nostro Paese. La direttiva 2013/33/UE disciplina le condizioni materiali di accoglienza, assistenza e reinserimento sociale di coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale (riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o del diritto di asilo) o ne hanno fatto richiesta. La direttiva sostituisce, abrogandola, la direttiva 2003/9/CE (la cosiddetta direttiva accoglienza) del 27 gennaio 2003, recepita dall'ordinamento italiano con il decreto legislativo 140/2005. La nuova direttiva accoglienza fa parte, come la direttiva 2013/32/UE, del pacchetto di norme comunitarie volte ad attuare il nuovo Sistema europeo di asilo.
  A questo proposito fa notare che il termine per il recepimento della direttiva scade il 20 luglio 2015: ritiene quindi che l'urgenza in cui si trova l'Italia da molti anni non debba spingere a predisporre una normativa frettolosa, solo per farne uno spot elettorale del Governo in carica.

  Sebastiano BARBANTI (M5S) intende preannunciare che la VI Commissione Finanze, di cui è componente, ha programmato lo svolgimento di alcune audizioni, all'inizio del mese di gennaio, per approfondire alcuni punti su cui interviene il disegno di legge in esame. Richiama l'articolo 3 che riguarda, in particolare, due aspetti. In primo luogo, si prevede un potenziamento della Banca d'Italia e, dall'altra parte, si dispone il recepimento della direttiva Basilea 3. Rileva che quest'ultima contiene alcuni profili positivi, che attengono al rafforzamento del sistema bancario, ma reca un aspetto problematico che va in una direzione opposta a quella che sta seguendo la VI Commissione per rivitalizzare il circuito del credito in favore delle piccole e medie imprese, nel momento in cui dispone l'istituzione di due riserve di capitale (cosiddetti buffer): una riserva di conservazione del capitale e una riserva di capitale anticiclica. Ritiene sia una previsione contraddittoria in quanto si chiede alle banche di detenere più capitale nel momento in cui l'economia va male. Un'altra zavorra è a suo avviso l'obbligo di detenere un ampio buffer di liquidità. Rileva dunque di non essere contrario di per sé alle previsione della direttiva Basilea 3 ma ritiene che in un momento di decrescita economica, come quello attuale, occorrerebbe valutare e ponderare attentamente le decisioni.
  Rileva poi che con il provvedimento in esame si rafforzano i poteri della Banca Pag. 148d'Italia attribuendole il potere di rimuovere esponenti aziendali. Ciò andrà valutato tenendo conto anche delle previsioni del decreto-legge che riguarderà la materia dell'IMU e della Banca d'Italia perché tale provvedimento rischia di far perdere il controllo nazionale della Banca d'Italia in un quadro non roseo per le istituzioni del credito nazionali e per le piccole e medie imprese italiane quasi totalmente dipendenti dal credito bancario.
  Invita, quindi, la Commissione ad una attenta riflessione su tali aspetti.

  Rocco BUTTIGLIONE (PI) si unisce al plauso espresso nei confronti del ministro Moavero Milanesi per aver utilizzato fino in fondo le potenzialità della legge n. 234 del 2012, così come quelle che erano previste dalla legge n. 11 del 2005. Ritiene positiva la struttura del provvedimento in esame che reca, agli articoli 1 e 2, i criteri generali di delega senza che vi siano specifici criteri per la maggior parte delle direttive da attuare. Ritiene tale impostazione positiva perché la previsione di numerosi e specifici criteri di delega per l'attuazione di ciascuna direttiva rischia di creare molte difficoltà in sede attuativa anche alla luce del fatto che le direttive sono sempre più spesso molto dettagliate.
  Esprime inoltre apprezzamento per la cadenza semestrale nella presentazione dei disegni di legge e sottolinea come, in particolare la legge di delegazione europea, rechi disposizioni di grande rilevanza e sono quindi necessari tempi congrui per il relativo esame.
  Rileva come con l'articolo 3 del provvedimento in esame si approvi una tranche di riforma del sistema bancario europeo, quale primo passo di una strategia più ampia finalizzata ad uscire dalla crisi.
  Ritiene che su questo i ministri Saccomanni e Moavero Milanesi siano intervenuti positivamente salvaguardando la posizione e le esigenze dell'Italia. Si tratta, in ogni modo, di un tema su cui occorrerà tornare e ricorda come sia stato evidenziata la differenza tra banche che svolgono attività che hanno rischi speculativi molto minori rispetto ad altre; vi sono dunque proposte che prevedono distinti requisiti patrimoniali, tenendo conto che alcuni possono essere adeguati per banche che hanno profili di rischio elevato mentre altri sono più consoni a banche che svolgono, ad esempio, attività di credito ad artigiani. Rileva come si sia scelta, allo stato, una via diversa ed evidenzia quindi come si sia ottenuto molto ma per alcuni aspetti è necessaria un'ulteriore riflessione nell'interesse dell'Italia.
  Sottolinea poi come il testo rechi disposizioni che riguardano le società di rating: rileva come si tratti di un tema di estrema delicatezza su cui è stata trovata una soluzione abbastanza soddisfacente.
  Ricorda come fosse stata prospettata anche l'istituzione di un'Agenzia di rating europea ma rileva in ogni caso come in questo modo si svincoli la banca dall'obbligo di seguire la valutazione data dall'agenzia di rating.
  Rileva dunque come sia importante che, compatibilmente con l'esigenza di procedere nei tempi necessari, si svolga un'attenta riflessione sui vari punti all'esame della Commissione alla luce della delicatezza e della centralità di alcune tematiche.

  Emanuele PRATAVIERA (LNA) rileva come per la seconda volta, quest'anno, si discuta di come «staccare un assegno in bianco» al Governo perché possa occuparsi delle tematiche in esame, anche se lo fa con la professionalità che contraddistingue il ministro Moavero Milanesi.
  Evidenzia infatti come il testo non rechi alcun riferimento al costo che, per il sistema della spesa pubblica italiana, può avere il recepimento delle direttive contenute nel testo in esame né alle ricadute sul sistema Paese, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese e alle banche.
  Richiama quanto evidenziato da più parti nel dibattito e sottolinea come ultimamente la politica dell'Unione europea stia andando in una direzione diversa, per quanto riguarda le banche, rispetto a quanto si sta oggi discutendo. In tale modo Pag. 149si crea una grande confusione anche nella percezione di quello che si fa nel Parlamento.
  Evidenzia, quindi, l'opportunità che – alla luce del fatto che si tratta di oneri che vanno a gravare su ogni cittadino – la XIV Commissione acquisisca elementi informativi che rechino una proiezione chiara di quanto costerà l'attuazione delle direttive previste dal provvedimento in titolo oltre che dal disegno di legge recante legge europea.

  Paolo ALLI (NCD), relatore, intende svolgere alcune osservazioni soprattutto di metodo, tenendo conto di quanto emerso dal dibattito odierno. Concorda sull'esigenza di assicurare tempi adeguati all'esame del provvedimento soprattutto in considerazione della delicatezza di molti temi oggetto del disegno di legge che necessitano di congruo approfondimento.
  Riguardo all'articolo 3, che interviene sul sistema bancario, rileva come il disegno di legge in esame recepisca decisioni che sono già state assunte mentre ulteriori e diverse misure potranno essere valutate dai Governi a partire dal prossimo Consiglio europeo. Il lavoro dunque va fatto a monte e per tale ragione la XIV Commissione ha evidenziato l'esigenza di svolgere incontri con il ministro nelle fasi precedenti ai più rilevanti momenti decisionali in sede UE.
  Per quanto attiene al tema dei costi, ritiene sia un profilo importante e delicato e sottolinea come vadano altresì considerati i benefici che possono derivare dall'attuazione delle direttive. Rileva inoltre come sia i costi sia i benefici vadano comunque valutati soprattutto in relazione alle direttive di maggiore portata ed esprime quindi la disponibilità a chiedere al Governo di fornire maggiori elementi in relazione a talune direttive.

  Michele BORDO, presidente, nessuna altro chiedendo di intervenire rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.10.

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 17 dicembre 2013. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.15.

Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in materia di professioni dei beni culturali.
Nuovo testo C. 362 Madia.

(Parere alla VII Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del nuovo testo in oggetto.

  Paolo TANCREDI (NCD), relatore, ricorda che la proposta di legge novella il Codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 42/2004, attraverso l'inserimento di due nuovi articoli. Essa reca disposizioni in materia di esercizio della professione dei soggetti impegnati nelle attività di tutela, vigilanza, ispezione, protezione, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali, a tal fine prevedendo l'istituzione di elenchi nazionali di professionisti.
  Fa presente che la VII Commissione, dopo aver adottato un primo nuovo testo nella seduta del 6 agosto 2013 – sul quale la XIV Commissione aveva espresso parere favorevole con un'osservazione nella seduta del 17 settembre 2013 – ha adottato un ulteriore nuovo testo nella seduta del 5 dicembre 2013, recependo le condizioni formulate dalla I e dalla V Commissione e apportando ulteriori modifiche.
  Per quanto riguarda in particolare le modifiche presenti nel nuovo testo del 5 dicembre rispetto al nuovo testo del 6 agosto 2013, segnalo che nell'articolo 1 del nuovo testo in esame – che inserisce nella parte prima (Disposizioni generali) del Codice dei beni culturali e del paesaggio l'articolo 9-bis – è stato operato un richiamo Pag. 150alla competenza relativa alla tutela e a quella relativa alla valorizzazione dei beni culturali, sono state esplicitamente fatte salve le competenze degli operatori delle professioni già regolamentate, ed è stato specificato che si fa riferimento ad interventi «operativi» di tutela, vigilanza, conservazione, valorizzazione e fruizione dei beni culturali (e non più anche ad interventi di vigilanza e ispezione).
  Rileva inoltre che l'articolo 2 dell'ulteriore nuovo testo non è più proposto in forma di novella al decreto legislativo n. 42 del 2004.
  Da presente che, rispetto al precedente nuovo testo, è stata eliminata la previsione in base alla quale l'iscrizione negli elenchi nazionali (istituiti presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) doveva comunque essere consentita ai soggetti in possesso di certificazione della qualificazione professionale rilasciata dalla rispettiva associazione professionale, purché rappresentativa, ed è stato disposto che tale decreto ministeriale preveda, fra gli stessi requisiti, il possesso, da parte dei professionisti, della certificazione di conformità alla norma tecnica UNI.
  Infine, recependo il parere espresso dalla V Commissione, nel nuovo testo è stata inserita la clausola di neutralità finanziaria.
  Con riguardo al parere espresso dalla XIV Commissione il 17 settembre 2013 segnala che il testo in esame non contiene riferimenti espliciti in merito all'opportunità che il decreto ministeriale previsto al comma 2 tenga conto, nell'individuazione dei requisiti per l'iscrizione dei professionisti negli elenchi, dei requisiti richiesti negli altri Stati membri dell'Unione europea per l'esercizio delle medesime professioni.
  Quanto ai documenti all'esame delle istituzioni dell'Unione europea ricorda che, nell'ambito delle iniziative volte a completare e rafforzare il mercato interno, prospettate dall'Atto per il mercato unico, la Commissione europea ha presentato, il 19 dicembre 2011, una proposta di modifica della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali in tutta l'UE (COM(2011)883). Con l'obiettivo, in particolare, di introdurre una maggiore automaticità nel riconoscimento delle qualifiche, la proposta prevede la definizione di un quadro comune di formazione o verifiche professionali comuni, che dovrebbe sostituire lo strumento delle piattaforme comuni previsto dalla direttiva vigente. La proposta, che è stata approvata secondo la procedura legislativa ordinaria, è in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, presumibilmente entro la fine dell'anno.
  Preannuncia quindi l'intenzione di presentare una proposta di parere favorevole.

  Michele BORDO, presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta, da convocare nella giornata di domani.
  Sospende quindi la seduta in sede consultiva che riprenderà, come deciso, al termine degli argomenti già previsti all'ordine del giorno in sede referente.

  La seduta, sospesa alle 14.25, è ripresa alle 15.10.

DL 136/2013: Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate.
C. 1885 Governo.

(Parere alla VIII Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Paolo ALLI (NCD), relatore, ricorda che la XIV Commissione avvia oggi l'esame in sede consultiva del decreto legge n. 136, presentato dal Governo alla Camera il 10 dicembre. Il provvedimento reca una serie di misure rilevanti in materia di emergenze ambientali e industriali: un primo gruppo di disposizioni è volto a fronteggiare la grave situazione di emergenza ambientale nel territorio compreso tra le province di Napoli e Caserta, interessato dal fenomeno dei roghi di rifiuti tossici, Pag. 151denominato «Terra dei fuochi». Un secondo gruppo di disposizioni interviene sulla disciplina concernente le imprese di interesse strategico nazionale, e segnatamente l'Ilva. Ulteriori disposizioni riguardano infine la proroga di emergenze ambientali nella regione Campania e la disciplina dei commissari per il dissesto idrogeologico.
  Passando al contenuto del provvedimento, ricordo che l'articolo 1 disciplina lo svolgimento di indagini tecniche di mappatura dei terreni agricoli della regione Campania, al fine di accertare l'eventuale esistenza di contaminazione a causa di sversamenti e smaltimenti abusivi di rifiuti, anche in conseguenza della relativa combustione (commi 1-4). In esito alle predette indagini, si prevede l'individuazione di un elenco di terreni che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, nonché di quelli che sono destinati solo a particolari produzioni agroalimentari (commi 5-6).
  L'articolo 2 disciplina l'istituzione un Comitato Interministeriale e una Commissione (commi 1-2), con l'obiettivo di individuare e potenziare azioni e interventi di monitoraggio e di tutela ambientale per i terreni agricoli della regione Campania che non possono essere destinati alla produzione agroalimentare, ma esclusivamente a colture diverse, nonché di quelli che sono destinati solo a particolari produzioni agroalimentari. Alla Commissione è affidato il compito di coordinare un programma straordinario e urgente di interventi (comma 4) finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei predetti territori, per i quali viene indicata la copertura finanziaria (comma 5).
  L'articolo 3 affronta sul piano sanzionatorio la grave situazione dei roghi illeciti nella cd. terra dei fuochi (la nota porzione di territorio campano compreso tra le province di Napoli e Caserta) attraverso l'introduzione nel Codice dell'ambiente (D.Lgs 152 del 2006) di una specifica figura di reato – relativa alla «combustione illecita di rifiuti» – attualmente assente dall'ordinamento.
  L'articolo 4 integra – con un comma 3-ter – l'articolo 129 delle disposizioni di attuazione del codice processuale penale, relativo a specifici obblighi informativi del pubblico ministero in sede di esercizio dell'azione penale. La disposizione estende gli obblighi di informazione di cui al citato articolo 129 in relazione a reati ambientali previsti sia dal Codice dell'ambiente (D.Lgs 152/2006) che dal codice penale; ciò allo scopo di garantire un efficace coordinamento tra la magistratura procedente e le autorità pubbliche interessate dal reato ai fini dell'adozione da parte di queste ultime dei provvedimenti necessari alla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica.
  L'articolo 5, al comma 1, proroga al 31 dicembre 2015 l'operatività dell'Unità Tecnica-Amministrativa (UTA) istituita per l'emergenza rifiuti in Campania. I commi 2 e 3 dettano ulteriori disposizioni concernenti l'UTA: il comma 2 disciplina la composizione, il funzionamento e il trattamento economico dell'UTA, mentre il comma 3 dispone che gli enti locali della Regione Campania utilizzino le risorse della Sezione enti locali del Fondo anticipazioni liquidità, di cui al decreto-legge n. 35/2013, per il pagamento dei debiti per oneri di smaltimento dei rifiuti maturati al 31 dicembre 2009 nei confronti dell'Unità Tecnica-Amministrativa, ovvero per il pagamento dei debiti fuori bilancio nei confronti della stessa Unità.
  Il comma 4 dell'articolo 5 ribadisce il versamento all'I.N.P.S. dei versamenti contributivi relativi ai trattamenti economici del personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato dal commissario delegato, per la gestione degli impianti di collettamento e depurazione di Acerra, Marcianise, Napoli nord, Foce Regi Lagni e Cuma, secondo quanto previsto dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali, applicati alla società ex concessionaria dei lavori per l'adeguamento, realizzazione e gestione dei richiamati impianti.Pag. 152
  Il comma 5 dell'articolo 5 proroga dal 31 dicembre 2013 al 31 dicembre 2014 le gestioni commissariali riguardanti gli interventi urgenti di messa in sicurezza e bonifica delle aree campane di Giugliano e dei Laghetti di Castelvolturno, e la situazione di inquinamento determinatasi nello stabilimento Stoppani, sito nel comune di Cogoleto in provincia di Genova.
  L'articolo 6 reca disposizioni concernenti i commissari straordinari per il dissesto idrogeologico. Tali disposizioni – recate da modifiche all'articolo 17, comma 1, del decreto legge n. 195 del 2009 – sono volte, per un verso, a introdurre un termine per l'acquisizione dei pareri sulla richiesta di nomina dei medesimi commissari e, per l'altro, a consentire la nomina a commissari anche dei presidenti o degli assessori all'ambiente delle regioni interessate. Ulteriori disposizioni consentono, inoltre, ai commissari di avvalersi per l'espletamento dei propri compiti degli uffici tecnici e amministrativi dei comuni e delle regioni interessati dagli interventi, nonché dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche.
  L'articolo 7 modifica la procedura di approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell'ILVA di Taranto, nel contempo specificando la portata di tale piano e le sue relazioni con le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.). Ulteriori disposizioni sono volte a definire i presupposti per la progressiva attuazione dell'AIA da parte del commissario straordinario, nonché a intervenire sull'iter autorizzativo per la realizzazione dei lavori e delle opere prescritti dall'A.I.A. o dai piani ambientale e sanitario.
  Tali modifiche, pur essendo specificamente destinate allo stabilimento ILVA di Taranto, vanno a novellare in più punti l'articolo 1 del decreto legge n. 61 del 2013, recante la disciplina di carattere generale che regola il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'AIA.
  Con particolare riferimento alla lettera b), che incide sulla portata del piano di tutela ambientale e sanitaria rispetto all'Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), segnalo che la disposizione sembrerebbe configurare, limitatamente alle fattispecie disciplinate dall'articolo 1 del decreto legge n. 61 del 2013, una disciplina derogatoria rispetto a quanto previsto dal cd. Codice dell'ambiente (d.lgs 152/2006), attuativo della normativa europea: il terzo periodo del comma 7 dell'articolo 1 del decreto-legge 61/2013 prevede infatti che l'approvazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria «equivale a modifica dell'A.I.A., limitatamente alla modulazione dei tempi di attuazione delle relative prescrizioni, che consenta il completamento degli adempimenti previsti nell'A.I.A.» non oltre trentasei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del medesimo decreto legge n. 61 del 2013. La norma in commento, diversamente, sembrerebbe estendere la portata della citata norma all'intera A.I.A. atteso che configura il piano come «integrazione alla medesima autorizzazione integrata ambientale».
  L'articolo 8 introduce una speciale procedura per l'autorizzazione alla realizzazione degli interventi previsti dall’ A.I.A. e dal piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria (disciplinato dall'articolo 7 del presente decreto) nell'area dello stabilimento ILVA di Taranto.
  L'articolo 9 riguarda i casi in cui gli atti e i provvedimenti di liquidazione dei beni di imprese in amministrazione straordinaria, siano oggetto di ricorso al tribunale in confronto del commissario straordinario e degli altri eventuali interessati. In tali casi, nelle more della definizione del giudizio i termini di durata del programma redatto dal commissario straordinario sono prorogati e allo stesso commissario è attribuito Pag. 153il potere di negoziare con l'acquirente dell'azienda o di rami di azienda, modalità gestionali volte a garantire la ordinata prosecuzione dell'attività produttiva.
  L'articolo 10 dispone l'entrata in vigore del provvedimento il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  Con particolare riferimento all'articolo 8, relativo all'area dello stabilimento ILVA di Taranto, ricordo che la Commissione europea, avviando il 26 settembre 2013 una specifica procedura di infrazione (n. 2177/2013), ha dichiarato la messa in mora dell'Italia per il mancato rispetto della normativa europea sia in materia di emissioni industriali sia di responsabilità ambientale.
  Ad avviso della Commissione, il gestore dello stabilimento ILVA di Taranto risulta inadempiente in relazione a numerose prescrizioni previste dall'AIA dell'ottobre 2012. Secondo la Commissione risulta evidente che lo stabilimento siderurgico di Taranto è gestito in violazione dell'articolo 14, lettera a), della direttiva 96/61/CE (Integrated Pollution Prevention and Control – IPCC), a norma del quale gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il gestore rispetti, nel proprio impianto, le condizioni dell'autorizzazione.
  Inoltre, la Commissione sottolinea che l'AIA, che doveva essere rilasciata entro il 30 ottobre 2007, è stata rilasciata solo nell'agosto 2011, malgrado la sentenza del marzo 2011 a conclusione della procedura di infrazione n. 2008/2071.
  A questo proposito ricordo che lo stabilimento siderurgico ILVA di Taranto era uno degli impianti industriali oggetto della procedura di infrazione n. 2008/2071, riguardante numerosi stabilimenti industriali privi di autorizzazione ai sensi della direttiva 2008/1/CE (IPCC). In esito a tale procedura di infrazione, la Corte di giustizia dell'UE, nel marzo 2011, ha dichiarato l'inadempienza dell'Italia per la mancata adozione delle misure necessarie a garantire che il funzionamento degli impianti industriali sia conforme a quanto disposto dalla direttiva (causa 50/10).
  La Commissione elenca una serie di circostanze dalle quali risulta evidente la consapevolezza delle autorità italiane delle conseguenze inquinanti della condotta del gestore dello stabilimento. Tale consapevolezza è ulteriormente dimostrata, secondo la Commissione, dalla decisione, nel DL n. 61/2013, di nominare un commissario straordinario per l'ILVA, per oggettivi pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute a causa della reiterata inosservanza dell'autorizzazione integrata ambientale.
  Il comportamento dell'Italia, ad avviso della Commissione, è in violazione anche dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera b), della direttiva IPCC, a norma del quale gli Stati membri devono garantire che gli impianti siano gestiti in modo da evitare fenomeni di inquinamento significativo.
  Infine, la Commissione ritiene che l'Italia abbia violato anche l'articolo 6, paragrafo 3, e l'articolo 8, paragrafo 2, della direttiva sulla responsabilità ambientale (2004/35/CE). In base a tali norme, infatti, l'operatore responsabile del danno ambientale deve adottare le necessarie misure di riparazione o, quanto meno, sostenere i relativi costi (principio «chi inquina paga»). Se l'operatore non adempie, lo Stato può adottare le misure di riparazione necessarie e recuperarne i costi dall'operatore inadempiente.
  Secondo la Commissione, non risulta che le autorità italiane abbiano preso provvedimenti in tale senso, dal momento che lo stabilimento ILVA di Taranto continua a inquinare, funzionando in violazione della direttiva IPCC e del'AIA, le cui scadenze, inoltre, sono state prorogate, differendo nel tempo l'adozione dei provvedimenti che potrebbero ridurre l'impatto ambientale dell'attività produttiva.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.25.

Pag. 154

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 17 dicembre 2013. — Presidenza del presidente Michele BORDO.

  La seduta comincia alle 14.25.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2013/1/UE di modifica della direttiva 93/109/CE relativamente a talune modalità di esercizio del diritto di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini.
Atto n. 49.

(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Paolo TANCREDI (NCD), relatore, ricorda che lo schema di decreto legislativo in esame – emanato in attuazione della delega contenuta nella legge di delegazione europea 2013 – è volto a dare attuazione alla direttiva n. 2013/1/UE, recante modifica della direttiva 93/109/UE relativamente a talune modalità di esercizio del diritto di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non sono cittadini.
  La direttiva 93/109/UE reca le disposizioni per l'esercizio di tale diritto. Essa prevede, tra l'altro, che ogni cittadino dell'Unione che sia decaduto dal diritto di eleggibilità in forza del diritto dello Stato membro di residenza o di quello dello Stato membro d'origine sia escluso dall'esercizio di questo diritto nello Stato membro di residenza, in occasione delle elezioni al Parlamento europeo.
  Le modifiche apportate dalla direttiva n. 2013/1/UE sono volte a semplificare la procedura per l'accertamento del requisito dell'eleggibilità nello Stato di origine, che attualmente pone a carico del candidato, residente in Stato di cui non è cittadino, l'onere di dimostrare tale eleggibilità, producendo un apposito attestato rilasciato dalle autorità competenti dello Stato di origine. Le difficoltà incontrate dai cittadini per ottenere tale certificato nei tempi necessari hanno costituito un ostacolo all'esercizio del diritto di elettorato passivo nello Stato di residenza. La direttiva del 2013 sostituisce la certificazione dello Stato di origine con una semplice dichiarazione del candidato, affidando allo Stato di residenza la verifica sull'eleggibilità nel paese di origine.
  Nel dettaglio, fa presente che la direttiva n. 2013/1/UE interviene nei seguenti ambiti: con riferimento alla decisione da cui deriva la decadenza dal diritto di eleggibilità, prevede che si tratti di «una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, purché quest'ultima possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale» (anziché di una decisione individuale in materia civile o penale) (articolo 1, num. 1, lett. a)); la direttiva rimette poi allo Stato di residenza la verifica della eleggibilità nello Stato di origine, eliminando l'obbligo del cittadino dell'Unione che intende candidarsi di presentare un attestato ad hoc rilasciato dalle autorità competenti dello Stato di origine (articolo 1, num. 1, lett. b), e num. 2, lett. c)); la direttiva definisce la procedura per la predetta verifica di eleggibilità. In particolare, si prevede una notifica dello Stato di residenza allo Stato di origine; lo Stato di origine deve fornire le informazioni necessarie entro 5 giorni o, ove richiesto, in un tempo più breve. In caso di mancata ricezione delle informazioni, la candidature è ammessa; se invece le informazioni, anche se trasmesse oltre il termine, invalidano la dichiarazione del candidato, lo Stato di residenza prende le misure opportune per impedire la presentazione della candidatura o, ove ciò non sia più possibile, per impedire l'elezione o l'esercizio del mandato. Gli Stati membri designano un referente incaricato di ricevere e trasmettere le informazioni; la Commissione europea redige un elenco dei referenti, a disposizione degli Stati membri Pag. 155(articolo 1, num. 1, lett. c)); la direttiva modifica il contenuto della dichiarazione che il cittadino dell'Unione deve effettuare all'atto del deposito della candidatura, aggiungendovi l'indicazione di data e luogo di nascita e dell'ultimo indirizzo nello Stato di origine e la dichiarazione di essere eleggibile nello Stato di origine medesimo (articolo 1, num. 2, lett. a) e b)).
  Passando al contenuto dello schema di decreto, rileva che l'articolo 1 modifica la normativa vigente in materia di esercizio del diritto di elettorato passivo al Parlamento europeo da parte dei cittadini di uno Stato membro dell'Unione europea, residenti in Italia, al fine di adeguarla alle nuove disposizioni della direttiva n. 2013/1/UE (articolo 2 legge n. 408/1994).
  In particolare, viene modificato il contenuto della dichiarazione formale richiesta al momento della candidatura al cittadino dell'Unione europea che intenda candidarsi in Italia alle elezioni del Parlamento europeo, aggiungendovi l'indicazione di data e luogo di nascita e dell'ultimo indirizzo nello Stato di origine e l'indicazione di non essere decaduto dal diritto di eleggibilità nello Stato membro d'origine per effetto di una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, che possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale (comma 1, lettere a) e b)). Viene contestualmente soppresso l'obbligo di presentare una certificazione dell'autorità competente dello Stato d'origine, attestante che l'interessato gode nello Stato stesso dell'elettorato passivo o che non risulta che egli sia decaduto da tale diritto (comma 1, lettera c)). Viene definita la procedura per l'accertamento dell'eleggibilità del candidato nel Paese di origine (comma 1, lettere c) e d), capoverso 9). L'ufficio elettorale presso la Corte di appello ammette con riserva la candidatura del cittadino dell'Unione europea residente in Italia ed avvia il procedimento per la verifica dell'eleggibilità. Il referente italiano contatta il referente dello Stato di origine del candidato, che fornisce le informazioni entro 5 giorni o, ove richiesto, in un termine più breve. Le informazioni sono trasmesse all'ufficio elettorale, che provvede alla ricusazione della candidatura entro il 22esimo giorno antecedente la votazione. Il termine di 22 giorni è stato fissato tenendo conto dei tempi necessari per un eventuale ricorso giurisdizionale da parte del candidato escluso. Ove le informazioni riguardanti la decadenza dal diritto di eleggibilità nello Stato di origine pervengano dopo il 22esimo giorno antecedente la votazione, non viene modificata la lista dei candidati e l'ufficio procede alla eventuale dichiarazione di mancata proclamazione; ove esse pervengano successivamente alla proclamazione, l'ufficio centrale nazionale delibera la decadenza dalla carica dell'interessato. Viene disciplinata la trasmissione delle informazioni richieste dal referente di altro Stato membro ai fini dell'accertamento dell'eleggibilità in Italia al Parlamento europeo del cittadino italiano che intenda candidarsi nello Stato membro dell'Unione europea in cui risiede. In particolare, il referente richiede le relative informazioni al comune indicato dal candidato come ultimo indirizzo ovvero al comune di iscrizione anagrafica, che deve trasmetterle entro 24 ore (comma 1, lettera d), capoverso 9-bis).
  Al riguardo, rileva l'opportunità di chiarire le modalità con cui il comune procede alla verifica della eventuale condizione di incandidabilità prevista dal decreto legislativo n. 235/2012 (cosiddetta legge Severino); l'incandidabilità, diversamente dalla altre ipotesi di ineleggibilità in senso stretto, non comporta infatti la cancellazione dalle liste elettorali e potrebbe pertanto non essere nota al comune.
  Viene poi rimessa ad un decreto del Ministro dell'interno la designazione del referente per le informazioni sull'eleggibilità al Parlamento europeo (comma 1, lettera d), capoverso 9-ter). Viene infine soppresso l'obbligo della corte di appello di comunicare alle autorità degli Stati di origine i nominativi dei cittadini che hanno presentato la propria candidatura al Parlamento europeo in Italia.
  Fa presente che l'articolo 2 modifica la legge sull'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia (legge n. 18 del 1979). Tale legge riconosce il Pag. 156diritto di elettorato passivo ai cittadini degli altri Paesi membri dell'Unione che risultino in possesso dei requisiti di eleggibilità al Parlamento europeo previsti dall'ordinamento italiano e che non siano decaduti dal diritto di eleggibilità nello Stato membro di origine (articolo 4, secondo comma, legge n. 18 del 1979). Tale previsione viene integrata con la specificazione che la decadenza dal diritto di eleggibilità nello Stato membro di origine deve essere effetto di una decisione giudiziaria individuale o di una decisione amministrativa, che possa essere oggetto di ricorso giurisdizionale, in conformità a quanto previsto dalla direttiva n. 2013/1/UE.
  È inoltre disciplinata la pubblicazione del manifesto con i contrassegni delle liste ed i candidati, che deve avvenire entro l'ottavo giorno antecedente la data delle elezioni.
  Secondo la normativa vigente, la pubblicazione del manifesto deve invece avvenire entro il 15esimo giorno antecedente l'elezione. Tale termine non è previsto espressamente dalla legge per l'elezione dei membri del Parlamento europeo, ma si ricava dal rinvio che questa legge fa (articolo 51) al testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati (articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 57).
  Tale riduzione del termine si rende necessaria per coordinare la disciplina sui termini di pubblicazione dei manifesti elettorali con l'introduzione della tutela giurisdizionale anticipata avverso gli atti immediatamente lesivi del diritto di partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni europee (quali, ad esempio, gli atti di esclusione delle candidature), tutela prevista dal codice del processo amministrativo (articolo 129 del decreto legislativo n. 104/2010, nel testo modificato dal decreto legislativo n. 160/2012).
  L'articolo 3 reca, infine, la clausola di invarianza finanziaria e dispone in ordine all'entrata in vigore del decreto al 15esimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
  Ricorda che il termine per l'attuazione della direttiva scade il 28 gennaio 2014.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.
  Sospende quindi la seduta in sede di atti del Governo che riprenderà, come deciso, al termine degli argomenti già previsti all'ordine del giorno.

  La seduta, sospesa alle 14.35, è ripresa alle 15.25.

Schema di decreto legislativo concernente recepimento della direttiva 2011/95/UE recante norme sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.
Atto n. 47.

(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Antonino MOSCATT (PD), relatore, fa presente che lo schema di decreto legislativo in esame recepisce la direttiva 2011/95/UE del 13 dicembre 2011 recante norme comuni sull'attribuzione della qualifica di protezione internazionale, sullo status che questa attribuzione conferisce e sul contenuto della protezione medesima.
  La direttiva 2011/95 costituisce rifusione della direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004, recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (la cosiddetta «direttiva qualifiche»), recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251. Pag. 157
  La legge di delegazione europea 2013 (legge 96/2013) reca la delega al Governo per il recepimento della direttiva.
  Rileva che lo schema di decreto legislativo in esame attua la delega e procede al recepimento della direttiva 2011/95/UE apportando le conseguenti modifiche al citato decreto legislativo 251/2007, in conformità del principio di cui all'articolo 32, comma 1, lettera e) della legge 24 dicembre 2012, n. 234 dove si prevede che «al recepimento di direttive o all'attuazione di altri atti dell'Unione europea che modificano precedenti direttive o atti già attuati con legge o con decreto legislativo si procede, se la modificazione non comporta ampliamento della materia regolata, apportando le corrispondenti modificazioni alla legge o al decreto legislativo di attuazione della direttiva o di altro atto modificato».
  Ricorda che la determinazione della politica in materia di rifugiati dei Paesi dell'Unione europea è da tempo prevalentemente di competenza comunitaria. Nel 2005 è stato realizzato un Sistema comune di asilo per l'armonizzazione delle disposizioni nazionali in materia di rifugiati al fine di assicurare un approccio comune degli Stati membri che garantisca elevati standard di protezione per i rifugiati.
  La base normativa del sistema comune è costituita principalmente da tre direttive. Si tratta, oltre della direttiva qualifiche oggetto del presente provvedimento, della direttiva accoglienza recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (dir. 2003/9/CE del 27 gennaio 2003 recepita dall'ordinamento italiano con il decreto legislativo 140/2005) e della direttiva procedure che disciplina il procedimento per l'attribuzione (e la revoca) dello status di rifugiato (direttiva 2005/85/CE del 1o dicembre 2005 recepita con il decreto legislativo 25/2008).
  Come la direttiva qualifiche, anche le altre due direttive sono state modificate recentemente e il loro recepimento negli ordinamenti nazionali realizzerà il nuovo sistema comune di asilo che dovrebbe consolidare una vera e propria politica comune in materia. In particolare, i provvedimenti di modifica sono la nuova direttiva accoglienza: dir. 2013/33/UE del 26 giugno 2013 (termine per il recepimento 20 luglio 2015) e la nuova direttiva procedure: dir. 2013/32/UE del 26 giugno 2013 (termine per il recepimento 20 luglio 2015, ad eccezione di alcune disposizioni da recepire entro il 20 luglio 2018).
  L'autorizzazione al loro recepimento è contenuta nel disegno di legge di delegazione europea per il II semestre 2013, attualmente all'esame della Camera (C. 1836) che reca anche una ulteriore delega per l'emanazione di un testo unico delle disposizioni di attuazione in materia di asilo, protezione sussidiaria e di protezione temporanea (articolo 7). Il termine per l'esercizio della delega è fissato in 12 mesi, che decorrono dall'entrata in vigore dei decreti legislativi di attuazione delle due ultime direttive citate (accoglienza e procedure).
  Il provvedimento si compone di 4 articoli. L'articolo 1 contiene le disposizioni occorrenti ad adeguare il decreto legislativo 251/2007 (di attuazione della direttiva qualifiche 2004/83/CE al contenuto della direttiva di rifusione 2011/95/UE anche tenendo conto dei principi e criteri direttivi dettati dalla della legge (L. 96/2013, articolo 7).
  In particolare, la lettera a) dell'articolo 1 sostituisce il riferimento alle due qualifiche (di rifugiato o di protezione sussidiaria) con il riferimento alla qualifica di beneficiario di protezione internazionale, coerentemente con l'obiettivo di una maggiore armonizzazione del contenuto dei due status.
  La lettera b) incide sull'apparato definitorio recato nell'articolo 2 del decreto legislativo 251/2007 (in attuazione dell'articolo 2 della direttiva 2011/95), inserendo, tra l'altro, la definizione di beneficiario di protezione internazionale (punto 1) e di richiedente, ossia di colui che ha presentato domanda di protezione internazionale sulla quale non è ancora intervenuta una decisione (punto 3).
  La lettera c) modifica l'articolo 3 del decreto legislativo 251/2007, specificando Pag. 158che nel valutare l'attendibilità del richiedente minore, ai fini dell'esame di elementi o aspetti delle sue dichiarazioni non suffragati da prove, si tiene conto del grado di maturità e di sviluppo personale.
  La lettera d) modifica l'articolo 6 del decreto legislativo 251/2007, specificando che quando la protezione nel Paese di origine non è offerta dallo Stato ma da altri soggetti (partiti o organizzazioni anche internazionali), deve trattarsi di soggetti che abbiano la volontà e la capacità di offrire tale protezione e che tale protezione sia effettiva e non temporanea (attua articolo 6 direttiva).
  La lettera e) modifica l'articolo 8 del decreto legislativo 251/2007, prevedendo che per il riconoscimento dello status di rifugiato si tiene conto non solamente degli atti di persecuzione, provocati da una serie tassativa di motivi, ma anche della mancanza di protezione contro tali atti, dovuta ai medesimi motivi (attua articolo 9, § 3 direttiva). Inoltre, viene integrato il concetto di gruppo sociale, la cui appartenenza costituisce motivo di discriminazione: ai fini della determinazione dell'appartenenza a un determinato gruppo sociale si deve tener conto delle considerazioni di genere, compresa l'identità di genere (attua articolo 10, § 1, lett. d).
  Le lettere f) e h) modificano gli articoli 9 e 15 del decreto legislativo 251/2007 escludendo, rispettivamente per il rifugiato e per il titolare di protezione sussidiaria, la cessazione dello status quando, pur essendo venute meno le circostanze che hanno determinato il riconoscimento della protezione, il beneficiario possa invocare motivi imperativi, derivanti da precedenti persecuzioni, che giustificano il rifiuto ad avvalersi della protezione del Paese di cui ha la cittadinanza (articolo 16, § 3, dir. 2011/95).
  La lettere g) modifica l'articolo 10 del decreto legislativo 251/2007 intervenendo su una delle cause di esclusione dallo status di rifugiato, ossia la commissione di un reato grave al di fuori del territorio italiano, prevedendo che questo, per costituire causa di esclusione, debba essere stato compiuto prima dell'ammissione nel territorio italiano in qualità di richiedente, e non prima del rilascio del permesso di soggiorno in qualità di rifugiato, come attualmente previsto. La nuova direttiva di rifusione, come del resto la direttiva qualifiche, pur prevedendo tra le cause di esclusione in reati gravi, non specifica il momento della loro commissione e la diversa scansione temporale avanzata dal provvedimento in esame è piuttosto riconducibile al criterio di delega di cui alla lettera c) dell'articolo 1 della legge 96/2013, con cui si chiede di disciplinare gli istituti del diniego, dell'esclusione e della revoca, in conformità con la Convenzione di Ginevra, anche con riferimento ai beneficiari di protezione sussidiaria. Infatti, viene riprodotto parzialmente quanto disposto dall'articolo 1, § F, lett. b) della Convenzione che prevede che le disposizioni della medesima Convenzione non si applicano alle persone di cui vi sia serio motivo di sospettare che «hanno commesso un crimine grave di diritto comune fuori dei paese ospitante prima di essere ammesse come rifugiati».
  Anche la lettera i), che modifica l'articolo 6 del decreto legislativo 251/2007 è riconducibile al medesimo criterio direttivo in quanto uniforma i presupposti per il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria a quello di rifugiato sotto il profilo della pericolosità per l'ordine e la sicurezza pubblica che dovrà essere ricondotta, come per i rifugiati, all'esistenza di una condanna definitiva per un reato grave, individuato tra quelli elencati all'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale. Tale articolo, già richiamato allo stesso fine nel capo dedicato ai rifugiati (articolo 12, decreto legislativo 251/2007), prevede una tipologia di ipotesi delittuose, attinenti ai profili dell'ordine e della sicurezza pubblica, particolarmente gravi per i quali la durata massima delle indagini preliminari è di 2 anni in luogo dei 18 mesi ordinariamente previsti.
  Tuttavia, osserva in proposito che non appare completamente attuato il principio di delega che prevede l'applicazione della Convenzione di Ginevra agli istituti del Pag. 159diniego, dell'esclusione e della revoca. Ad esempio, la commissione di reati o il fatto di costituire un pericolo per la sicurezza dello Stato non sono compresi nella Convenzione tra le cause ostative alla concessione dello status di rifugiato dalla Convenzione. Tali cause sono sì previste dalla direttiva di rifusione (e del resto anche dalla direttiva qualifiche originaria), ma sembrerebbero applicarsi alla concessione della sola protezione sussidiaria e non anche dello status di rifugiato, per il quale dette cause valgono come motivi di revoca, cessazione e rifiuto di rinnovo, ma non anche di esclusione.
  La lettera I) modifica l'articolo 19 del decreto legislativo 251/2007, inserendo le vittime di tratta e le persone con disturbi psichici tra le categorie vulnerabili ai fini del contenuto della protezione internazionale, come richiesto dalla direttiva che si recepisce (articolo 20, § 3), ed enunciando espressamente che nell'attuazione delle norme di cui si tratta va attribuito carattere di priorità al superiore interesse del minore (articolo 20, § 5).
  La lettera m) interviene in materia di protezione dall'espulsione inserendo nell'articolo 20 del decreto legislativo 251/2007 un richiamo esplicito a tutti gli strumenti internazionali ratificati dall'Italia che concorrono ad assicurare il rispetto del principio di non respingimento (disposizione già prevista nella prima direttiva qualifiche e confermata nella direttiva rifusione, articolo 21, § 1).
  La lettera n) corregge (punto 1) una incongruenza rilevata nell'articolo 22, comma 3, del decreto legislativo 251/2007, che prevedendo il rilascio di un permesso per motivi familiari, ai sensi dell'articolo 30 del decreto legislativo 286/1998, ai familiari del titolare di protezione sussidiaria, presenti sul territorio nazionale, che non hanno individualmente diritto allo status, potrebbe ingenerare equivoci sul rilascio di analogo permesso ai familiari dello status di rifugiato. La successiva disposizione (punto 2) della medesima lettera n) è volta a garantire ai titolari di protezione sussidiaria il ricongiungimento familiare alle stesse condizioni dei rifugiati, in conformità al criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 7 della legge n. 96/2013 e all'articolo 23 della direttiva 2001/95.
  La lettera o), che modifica l'articolo 23 del decreto legislativo 251/2007, equipara la durata del permesso di soggiorno dei titolari di protezione sussidiaria (attualmente tre anni) a quella dei rifugiati (cinque anni). Si rammenta che la direttiva rifusione non ha innovato sul punto la prima direttiva qualifiche e la durata del permesso di soggiorno per i rifugiati è stabilita in almeno tre anni e per i protetti sussidiari in almeno un anno (articolo 24).
  La lettera p), intervenendo all'articolo 25 del decreto legislativo 251/2007, specifica che l'equiparazione dei beneficiari di protezione internazionale ai cittadini italiani sotto il profilo della formazione professionale riguarda anche i corsi di aggiornamento, e che tale equiparazione si estende anche alla possibilità di usufruire dei servizi di consulenza dei centri regionali per l'impiego di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 469/1997 (articolo 26, § 2, direttiva rifusione).
  La lettera q) introduce l'obbligo per le amministrazioni competenti al riconoscimento di qualifiche professionali, diplomi, certificati ed altri titoli professionali conseguiti all'estero di individuare sistemi di valutazione, convalida e accreditamento adeguati laddove i beneficiari della protezione internazionale non possano produrre certificazioni provenienti dal Paese in cui è stato conseguito il titolo.
  La lettera r), che modifica l'articolo 27 decreto legislativo 251/2007, prevede l'adozione, da parte del Ministero della salute, di linee guida per il trattamento dei disturbi psichici dei beneficiari di protezione internazionale che hanno subito violenze. Viene così recepita una integrazione apportata dalla direttiva di rifusione che include il trattamento dei disturbi psichici tra le misure di assistenza sanitaria che gli Stati membri devono garantire ai beneficiari di protezione internazionale (articolo 30, § 2). La direttiva, inoltre, elimina la facoltà per gli Stati membri (prevista dalla prima direttiva qualifiche) di limitare l'assistenza Pag. 160sanitaria per i beneficiari di protezione internazionale alle sole prestazioni essenziali. Tale facoltà non è stata esercitata e l'articolo 27, del decreto legislativo 251/2007 già prevede l'equiparazione ai cittadini italiani per tutti i titolari di protezione internazionale.
  La lettera s) modifica l'articolo 28 del decreto legislativo 251/2007 specificando che le iniziative per rintracciare i familiari del minore non accompagnato già previste dal medesimo articolo sono assunte quanto prima a seguito del riconoscimento della protezione ove non siano già state avviate in precedenza, come previsto, peraltro, dal nostro ordinamento per ogni minore non accompagnato anche non richiedente protezione internazionale (D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535, Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, articolo 2, comma 2, lett. f).
  La lettera t), integrando l'articolo 29 del decreto legislativo 251/2007, prevede che nell'attuazione delle misure e dei servizi destinati all'accoglienza dei beneficiari di protezione internazionale si tenga conto anche delle esigenze di integrazione degli stessi e che sia adottato un Piano nazionale degli interventi e delle misure volte a favorire l'integrazione dei beneficiari di protezione internazionale. La predisposizione del Piano è demandata al Tavolo di coordinamento nazionale istituito presso il Ministero dell'interno sulla accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale. La disposizione corrisponde al criterio di delega di cui alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 7 della legge n. 96/2013 che richiede l'introduzione di uno strumento di programmazione.
  Inoltre, la lettera t) riformula il comma 3 dell'articolo 29 specificando che l'accesso all'alloggio ai titolari dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria è consentito in condizioni di parità con i cittadini italiani. Nel testo vigente, la parità con i cittadini italiani si evince dal richiamo all'articolo 40, comma 6 del testo unico, che equipara tutti gli stranieri ai cittadini italiani per l'accesso all'edilizia residenziale pubblica, purché siano in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo ovvero di un permesso di soggiorno almeno biennale e svolgano una regolare attività di lavoro.
  Tale riferimento all'articolo 40, comma 6, permane nel testo novellato. Si osserva che se la finalità della norma – come si evince dalla relazione illustrativa – è di escludere le condizioni di cui sopra ai fini dell'accesso dei rifugiati all'alloggio andrebbe valutata la opportunità di esplicitare che tali condizioni non si applicano ai rifugiati.
  L'articolo 2 del provvedimento contiene una modifica all'articolo 29 del testo unico in materia di immigrazione che disciplina i ricongiungimenti familiari di coordinamento con l'articolo 22, comma 4 del decreto legislativo n. 251/2007 come modificato dalla lettera n) del presente decreto.
  L'articolo 3 reca una disposizione di aggiornamento dei riferimenti alla direttiva «qualifiche», contenuti in ogni altra disposizione legislativa, regolamentare o amministrativa vigente, alla direttiva che si recepisce con il presente decreto.
  L'articolo 4 contiene la clausola di invarianza finanziaria. Ricordo che con lettera di costituzione in mora del 24 ottobre 2012 la Commissione europea ha aperto la procedura di infrazione (n. 2012/2189) nei confronti dell'Italia contestando la violazione di obblighi imposti dal diritto dell'UE, previsti dalle direttive 2005/85/CE (direttiva «procedure»), 2003/9/CE (direttiva «accoglienza»), 2004/83/CE (direttiva «qualifiche», sostituita dalla direttiva attuata dallo schema di decreto delegato in esame), e dal regolamento n. 343/2003 (regolamento «Dublino», recante i criteri di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo).
  In particolare le violazioni contestate consisterebbero: nella limitata capacità dei centri di accoglienza dei richiedenti asilo, e l'inconsistenza di fatto dell'accesso alle condizioni di accoglienza; nelle procedure di domanda di asilo, in particolare la Pag. 161mancanza, nella pratica, di un accesso effettivo alla procedura pertinente, sia in generale, sia con particolare riferimento ai richiedenti asilo per i quali è prevista la procedura Dublino. Rinvio alla documentazione predisposta dagli uffici per una illustrazione dettagliata dei contenuti della direttiva 2011/95, che interviene sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale e sul contenuto della protezione riconosciuta.

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante recepimento della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro.
Atto n. 61.

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Giuseppe GUERINI, relatore, illustra lo schema di decreto legislativo in esame, che attua la delega contenuta nell'articolo 1 della Legge di delegazione europea 2013) per il recepimento della direttiva 2011/98 del 13 dicembre 2011, inserita nell'allegato B della medesima Legge di delegazione.
  L'articolo 1 non stabilisce specifici criteri di delega, in quanto rinvia ai criteri di natura generale stabiliti dall'articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante le norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea.
  L'atto è composto da un solo articolo, che novella il Testo Unico in materia di immigrazione (decreto legislativo n. 286/1998) per introdurvi la disciplina prevista dalla direttiva 2011/98.
  Le novelle comportano le seguenti modifiche: nei permessi di soggiorno che consentono attività di lavoro subordinato, anche se rilasciati a diverso titolo, deve risultare tale informazione, attraverso la dicitura «perm. unico lavoro» (lettera a) che inserisce un comma 8.1 nell'articolo 5 del D.Lgs. 286/1998); la dicitura non è inserita nei permessi rilasciati ai lavoratori autonomi, ai lavoratori stagionali, ai lavoratori marittimi, ai lavoratori distaccati, ai lavoratori «alla pari», nonché ai titolari (o richiedenti) di protezione internazionale o di una protezione temporanea e ai titolari di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, che soggiornano per motivi di studio o formazione; la relazione illustrativa motiva tale esclusione con la considerazione che tali soggetti sono titolari di uno status più favorevole (lettera a), che inserisce un comma 8.2 nell'articolo 5); il termine vigente di 20 giorni per il rilascio del permesso di soggiorno è aumentato a 60 giorni (lettere b) e c) che novellano l'articolo 5, commi 9 e 9-bis); la relazione motiva tale aumento per «la necessità sopravvenuta» di rilasciare il titolo autorizzatorio in formato elettronico, in conformità al regolamento CE 1030/2002, evidenziando che poiché gli interessati possono comunque soggiornare regolarmente e svolgere la propria attività lavorativa pur nelle more del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, il termine più ampio non ne comprimerebbe i relativi diritti.
  Rileva come occorrerebbe tuttavia chiarire come la previsione contenuta nel regolamento citato, che risale al 2002, possa costituire una necessità sopravvenuta e, comunque, appare opportuno verificare se il notevole ampliamento di tale termine non abbia alcun effetto sui diritti in questione. Rileva peraltro che si tratta di termini ordinatori ed è comunque possibile introdurre disposizioni con cui sono equiparati i diritti goduti dal cittadino nelle more del rilascio del permesso.
  Ricorda poi che il termine vigente per il rilascio del nulla osta all'ingresso per lavoro da parte dello sportello unico per l'immigrazione – istituito in ogni provincia Pag. 162presso la prefettura-ufficio territoriale del Governo, responsabile dell'intero procedimento relativo all'assunzione di lavoratori subordinati stranieri a tempo determinato ed indeterminato – è aumentato da 40 a 60 giorni (lettera d) che modifica il comma 5 dell'articolo 22) e si tratta anche in questo caso di un termine ordinatorio; solo le domande di nulla osta che rientrano nelle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato per lavoro, fissate annualmente con decreto del Presidente del Consiglio, possono essere esaminate. Le domande eccedentarie rispetto a tali limiti numerici possono essere esaminate solo nell'ambito delle quote che si rendano successivamente disponibili tra quelle stabilite. In merito a ciò la relazione specifica che «la trattazione di queste ultime domande sarà avviata dal momento in cui la direzione territoriale del lavoro comunicherà telematicamente allo sportello unico la disponibilità della quota. Il portale informatico del Ministero dell'interno appositamente dedicato a tale procedura sarà adeguato in modo da consentire al datore di lavoro di conoscere in tempo reale la posizione della propria richiesta rispetto alle quote assegnate alla provincia di riferimento, nonché in modo da consentire l'interazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai fini del monitoraggio dell'andamento dei flussi» (lettera e) che introduce un comma 5.1 nell'articolo 22).
  Rinvio alla documentazione predisposta dagli uffici per una illustrazione dei contenuti della direttiva 2011/98, adottata il 31 dicembre 2011, che lo schema di decreto in esame è volta a recepire, che – ricordo – è finalizzata a semplificare le procedure di ingresso e soggiorno a fini lavorativi dei cittadini di paesi terzi (soprattutto mediante la previsione di un permesso unico di soggiorno) e a garantire un insieme comune di diritti su un piano di parità rispetto ai cittadini dello Stato membro.
  L'ambito di applicazione della direttiva concerne gli stranieri che chiedono di soggiornare in uno Stato membro (oppure sono già stati ammessi da altro Stato membri al soggiorno) a fini lavorativi. Parimenti si applica a coloro che sono stati ammessi ad altro titolo e ai quali è consentito lavorare.
  Quanto ai documenti in materia all'esame delle istituzioni dell'UE, ricorda che il 25 marzo 2013 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva COM (2013)151 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi per motivi di ricerca, studio, scambio scolastico, tirocinio (remunerato e non), attività di volontariato e alla pari. Si tratta di una proposta di refusione delle direttive «studenti 2004/114/CE e «ricercatori» 2005/71/CE che pertanto, in caso di approvazione, risulteranno modificate e sostituite.
  Segnala, in particolare, che il paragrafo 1 dell'articolo 21 (Parità di trattamento) del CAPO V (Diritto) della proposta prevede che in deroga all'articolo 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/98/UE, i ricercatori cittadini di paesi terzi abbiano il diritto a un trattamento pari a quello riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante nei settori della sicurezza sociale, comprese le prestazioni familiari, di cui al regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale.
  Ricorda che è inoltre all'esame delle Istituzioni europee una proposta di direttiva COM(2010)379 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro stagionale. Segnala poi la proposta di direttiva COM(2010)378 sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi nell'ambito di trasferimenti intrasocietari.
  Evidenzia infine due aspetti che ritiene vadano approfonditi nel prosieguo dell’iter: i diritti pensionistici ed assistenziali dei cittadini regolarmente soggiornanti e la permanenza del contratto di soggiorno nel nostro ordinamento, di cui andrebbe valutata la compatibilità con la citata direttiva n. 98.

  Gea SCHIRÒ (PI) chiede chiarimenti sulle quote massime fissate annualmente considerato che attualmente vi sono liste distinte e non vorrebbe che chi era in graduatoria Pag. 163in fondo ad una lista rischi di veder comparire una nuova lista in parallelo.
  Condivide inoltre quanto da ultimo evidenziato dal relatore sottolineando, sul profilo pensionistico, che vi è anche il «tesoretto» sui contributi silenti su cui occorrerebbe svolgere una riflessione.

  Giuseppe GUERINI, relatore, per quanto riguarda la questione richiamata dalla collega Schirò riguardo alle liste, fa presente che si tratta della medesima lista con cui si seguirà un criterio cronologico e non vi è quindi il rischio che chi è attualmente presente venga «scavalcato».

  Michele BORDO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.55.