TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 27 di Lunedì 3 giugno 2013

 
.

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL CONTRASTO DI OGNI FORMA DI VIOLENZA NEI CONFRONTI DELLE DONNE

   La Camera,
   premesso che:
    la comunità internazionale già si è mossa da tempo in relazione al tema della violenza sulle donne con la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna del 1979, la dichiarazione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sull'eliminazione della violenza contro le donne del 1993, la risoluzione del 20 dicembre 1993 sull'eliminazione della violenza nei confronti delle donne, la risoluzione del 19 febbraio 2004 sull'eliminazione della violenza domestica nei confronti delle donne, la risoluzione del 20 dicembre 2004 sulle misure da adottare per eliminare i delitti d'onore commessi contro le donne e la risoluzione del 2 febbraio 1998 sulle misure in materia di prevenzione dei reati e di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne;
    fra le iniziative più importanti, si segnalano anche la piattaforma per l'azione approvata dalla IV conferenza mondiale sulla donna dell'ONU a Pechino nel 1995, la conferenza mondiale di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei minori del 1996, la risoluzione dell'Assemblea mondiale della sanità «Prevenzione della violenza: una priorità della sanità pubblica» del 1996, nella quale l'Organizzazione mondiale della sanità riconosce la violenza come problema cruciale per la salute delle donne, la risoluzione (n. 52 del 1986) dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite sulla «Prevenzione dei reati e misure di giustizia penale per eliminare la violenza contro le donne», solo per citare le iniziative più importanti;
    il Parlamento europeo si è ripetutamente espresso sul tema con la risoluzione del 2 febbraio 2006 sulla situazione nella lotta alla violenza contro le donne ed eventuali azioni future; la risoluzione del 17 gennaio 2006 sulle strategie di prevenzione della tratta di donne e bambini, vulnerabili allo sfruttamento sessuale; la risoluzione del 24 ottobre 2006 sull'immigrazione femminile: ruolo e condizione delle donne immigrate nell'Unione europea;
    la Commissione europea con la Carta delle donne 2010 ha introdotto, nella strategia di attuazione della parità di genere, anche la lotta e il contrasto alla violenza contro le donne;
    il Consiglio dell'Unione europea nel 2004 ha adottato una direttiva (n. 2004/80/CE) relativa all'indennizzo delle vittime di reato che, al paragrafo 2 dell'articolo 12, stabilisce che: «Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l'esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime»; nel patto europeo per la parità di genere 2010-2015, inoltre, ha evidenziato la stretta connessione tra la strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva e la Carta delle donne 2010 della Commissione europea, ribadendo la centralità della lotta alla violenza di genere per un «rafforzamento democratico ed economico dell'Unione»;
    l'Italia ha ratificato fin dal 1985 la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1979, impegnandosi ad adottare «misure adeguate per garantire pari opportunità a donne e uomini in ambito sia pubblico che privato». Le ultime raccomandazioni del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne al nostro Paese sono state fatte in occasione della quarantanovesima sessione di valutazione, tenutasi nel luglio 2011 presso le Nazioni Unite a New York, e sono state pubblicate il 3 agosto 2011;
    il rapporto ombra elaborato dalla piattaforma «Lavori in corsa: 30 anni CEDAW», presentato il 17 gennaio 2012 alla Camera dei deputati, insieme alle raccomandazioni del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, riferisce che la violenza maschile sulle donne è la prima causa di morte per le donne tra i 16 anni e i 44 anni in tutta Europa e nel mondo e, in Italia, più che altrove. Nel nostro continente ogni giorno 7 donne vengono uccise dai propri partner o ex partner;
    il primo rapporto dell'ONU tematico sul femminicidio, presentato il 25 giugno 2012, frutto del lavoro realizzato in Italia dalla special rapporteur Rashida Manjoo, afferma che «Il continuum della violenza nella casa si riflette nel crescente numero di vittime di femminicidio in Italia». Il rapporto sottolinea che, nel nostro Paese, gli stereotipi di genere sono profondamente radicati e predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società. Analizzando i dati relativi alla presenza nei media, il 46 per cento delle donne appare associato a temi quali il sesso, la moda e la bellezza e solo il 2 per cento a questioni di impegno sociale e professionale;
    il legislatore italiano si è attivato dando nuovo impulso alla riforma della normativa in questo settore, approvando, ad esempio, la legge 15 febbraio 1996, n. 66 «Norme contro la violenza sessuale», la legge 3 agosto 1998, n. 269 «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù»; la legge 5 aprile 2001, n. 154 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»; il decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, la cosiddetta «legge anti-stalking»;
    il 27 settembre 2012, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali pro tempore, con delega alle pari opportunità, ha firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l'11 maggio 2011 (Convenzione d'Istanbul);
    secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero dell'interno, nel 2011 in Italia ci sono stati 160 omicidi le cui vittime erano donne, di questi 84 compiuti per mano di partner o ex partner. Secondo una stima, sono state 124 le donne uccise nel 2012 e 35 le vittime nei primi mesi del 2013. Per quanto riguarda i dati sulla violenza sulle donne, forniti dalle forze dell'ordine al Ministero dell'interno, essi sono parziali, trattandosi di dati basati sulle denunce. Secondo fonte Istat il 93 per cento di questi fenomeni restano nel sommerso;
    quanto sinora esposto porta a considerare la violenza di genere come un fenomeno di carattere universale, un atto discriminatorio che nega alle donne – o riduce – il semplice godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali; per violenza si devono, pertanto, intendere tutte quelle azioni verbali, fisiche, sessuali, psicologiche, economiche o morali che intendono colpire le donne e ricondurle ad una posizione di inferiorità e dipendenza;
    la violenza contro le donne riguarda tutti i ceti sociali e colpisce donne di tutte le età, etnie, religioni e, in alcuni, casi può assumere il drammatico aspetto di violenza contro bambine;
    alla base della violenza di genere vi è la concezione di impari rapporti di potere fra uomini e donne che minano le basi democratiche della società stessa; per questo un'efficace lotta alla violenza contro le donne non può prescindere dal coinvolgimento degli uomini e da un forte contrasto delle diseguaglianze economiche e sociali tra i generi e una vera e propria rivoluzione culturale sull'eguaglianza;
    nonostante la produzione normativa internazionale, europea e nazionale atta a contrastare la violenza di genere, i fatti di cronaca dimostrano l'incapacità di incidere efficacemente nella regressione del fenomeno,

impegna il Governo:

   nell'ambito delle sue competenze, ad adottare, sostenere ed accelerare ogni iniziativa normativa volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione d'Istanbul, nel rispetto dello spirito della stessa, che si fonda sulle linee guida necessarie ad un'efficace lotta alla violenza di genere: prevenzione, protezione, repressione, monitoraggio e integrazione delle singole politiche;
   a provvedere alla formazione specializzata di tutti quegli operatori sociali, sanitari o giudiziari che vengono a contatto e prestano assistenza alle vittime;
   ad assumere iniziative per rendere omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza alle vittime di violenza sessuale e domestica presso i pronto soccorso ospedalieri come ambito privilegiato per l'apertura di sportelli dedicati in cui sia presente personale specializzato, dedicato alla presa in carico delle vittime di violenza, in stretto collegamento con la rete territoriale e che costituiscano il punto di riferimento nell'emergenza;
   a prevedere l'obbligo per questure e commissariati della presenza, nei propri uffici, di una quota di personale, titolare di una formazione specifica in materia di delitti contro la personalità individuale e la libertà sessuale, competente a ricevere le denunce o querele da parte di donne vittime di tali reati;
   ad individuare programmi di assistenza specifica dei minori che siano stati vittime, anche se indirettamente, di fenomeni di violenza domestica;
   a promuovere l'adozione di un codice di deontologia recante principi e prescrizioni volti a tutelare, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nell'ambito della comunicazione pubblicitaria, nella costruzione dei palinsesti televisivi e radiofonici, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere e di femminicidio;
   ad individuare tutte le risorse economiche finanziarie atte a ripristinare il fondo contro la violenza alle donne, istituito dall'articolo 2, comma 463, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008), finalizzato alla prevenzione, all'informazione e alla sensibilizzazione nei confronti del fenomeno della violenza contro le donne, nonché al sostegno finanziario dei centri antiviolenza e delle case-rifugio;
   a rendere piena e concreta l'attuazione della direttiva 2004/80/CE e, in particolare, dell'articolo 12, paragrafo 2, predisponendo iniziative per l'istituzione di un fondo per l'indennizzo delle vittime dei reati a sfondo sessuale;
   ad istituire in tempi rapidi un osservatorio permanente sulla violenza contro le donne, nel quale convergano flussi stabili di dati sulla violenza, provenienti dai vari Ministeri coinvolti, dall'Istat, dai centri antiviolenza e da soggetti pubblici e privati;
   a predisporre, insieme alle regioni e agli altri enti locali, un piano nazionale contro la violenza di genere sulle donne, di concerto con la Conferenza unificata;
   ad istituire un tavolo interministeriale al fine di affrontare il femminicidio da tutti i punti di vista, approntando anche progetti integrati che garantiscano una maggiore incisività nella prevenzione e nel contrasto al problema della violenza di genere;
   ad approntare una campagna di sensibilizzazione che spinga sempre più donne vittime di violenza a denunciarne gli episodi e a promuovere nell'inserimento nei programmi scolastici l'educazione alla relazione al fine di sensibilizzare gli studenti e prevenire la discriminazione di genere e la violenza;
   ad assumere iniziative normative per estendere la sfera di applicazione del permesso di soggiorno, di cui all'articolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo n. 286 del 1998, anche alle donne vittime di violenza;
   ad attuare il programma contro la tratta e lo sfruttamento degli esseri umani e per la tutela delle vittime;
   a presentare alle Camere con cadenza annuale una relazione sullo stato d'attuazione della normativa in materia di violenza di genere, femminicidio, stalking, e delle iniziative poste in essere da tutti i soggetti coinvolti.
(1-00039)
(Nuova formulazione) «Speranza, De Micheli, Giacomelli, Grassi, Martella, Velo, Bellanova, De Maria, Fregolent, Garavini, Pollastrini, Rosato, Mauri, Roberta Agostini, Amoddio, Antezza, Arlotti, Bazoli, Biffoni, Biondelli, Bonaccorsi, Bonafè, Braga, Paola Bragantini, Brandolin, Campana, Carnevali, Cimbro, Cuperlo, Ermini, Ferranti, Gasparini, Giuliani, Greco, Gribaudo, Gullo, Ghizzoni, Lenzi, Leonori, Madia, Malpezzi, Manfredi, Magorno, Marroni, Marzano, Mazzoli, Miotto, Mogherini, Mongiello, Montroni, Moretti, Mosca, Murer, Nardella, Orfini, Paris, Pes, Petitti, Giorgio Piccolo, Piccoli Nardelli, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rossomando, Sbrollini, Scalfarotto, Scuvera, Sereni, Tartaglione, Tidei, Valeria Valente, Vazio, Verini, Villecco Calipari, Zappulla».
(15 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    non è certo la prima volta che l'Italia si trova a dover affrontare momenti alquanto critici: si sono già verificate pesanti crisi economiche, unitamente a fasi di estrema incertezza politica che hanno dilaniato il Paese; tutti concordano, però, nel dire che in passato una delle forze – anzi, forse la principale – su cui gli italiani hanno sempre potuto contare per ricostruire una società migliore è stata la famiglia, un'istituzione coesa in cui la solidarietà interna ha attutito e contrastato la durezza delle condizioni esterne;
    oggi la violenza crescente al suo interno segnala che questa forza non è più così compatta e non è più in grado di sostenere il peso delle sconfitte individuali e degli smottamenti sociali; la crisi familiare, tuttavia, viene occultata e lo si vede nei sempre più frequenti casi di femminicidio che, purtroppo, funestano le pagine dei giornali;
    negli ultimi anni, in diversi consessi internazionali, lo Stato italiano è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per il suo scarso e inefficace impegno nel contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne; le osservazioni all'Italia di Rashida Manjoo, special rapporteur delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, sono pesanti: «In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale. Femmicidio e femminicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita. In Italia, sono stati fatti sforzi da parte del Governo, attraverso l'adozione di leggi e politiche, incluso il piano di azione nazionale contro la violenza, ma non hanno però portato a una diminuzione di femmicidi e non si sono tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine». E successivamente ha aggiunto: «Le leggi per proteggere le vittime ci sarebbero. Non sono, però, sufficienti. Dipendenza economica, inchieste malfatte, un sistema d'istituzioni e regole frammentato, lungaggine dei processi e inadeguata punizione dei colpevoli le rendono poco efficaci»;
    nell'agosto del 2011, il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne (Comitato per l'attuazione della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna) e, nel giugno 2012, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, hanno rivolto allo Stato italiano una serie di raccomandazioni: ad oggi, si è ancora del tutto inottemperanti rispetto agli standard e agli impegni internazionali;
    rappresentano cifre da brivido quelle del femminicidio in Italia (il Paese è ai primi posti nel mondo, calcolando che viene uccisa una donna ogni tre giorni): in otto anni sono state più di novecento le vittime nel nostro Paese, ma la cosa più grave è che il 70 per cento di quelle uccise nel 2012 aveva denunciato il proprio assassino per stalking, maltrattamenti e abusi;
    quello che emerge e che fa più orrore, sia a leggere le statistiche che i casi di cronaca nera, è che il maggior numero di violenze sessuali è messo in atto da un uomo che la donna conosce; di solito, infatti, i responsabili di questi reati (consumati nel 63 per cento dei casi tra le mura domestiche) sono coloro che dichiarano di «amare» le loro donne: mariti lasciati, fidanzati traditi o che non accettano la fine di una storia. E tutto ciò, indipendentemente da alcune caratteristiche della donna, quali l'età, la nazionalità, lo status sociale, il carattere, l'istruzione e l'occupazione;
    nello specifico, sono 124 le donne uccise nel 2012 (nel 2013 già circa una quarantina), in leggero calo rispetto alle 129 del 2011. Ma ci si trova davanti ad un dato altrettanto preoccupante, se si considerano i 47 tentati femminicidi e le otto vittime, tra figli e altre persone;
    questo è quanto risulta dal rapporto sul femminicidio in Italia nel 2012 della Casa delle donne di Bologna che, dal 2005, raccoglie dati sul fenomeno sempre più allarmante e, quindi, meritevole di immediata attenzione da parte della politica;
    le regioni del Nord restano quelle in cui i delitti sono più frequenti (52 per cento), nonostante le donne vivano situazioni di maggior autonomia e indipendenza: evidentemente sono meno propense ad accettare di subire violenza e disparità di potere nella relazione e, forse, per questo sono anche maggiormente a rischio di finire vittime della violenza maschile;
    il rapporto sottolinea l'unico dato positivo, ovvero una maggiore attenzione della stampa nella descrizione dei femminicidi, tralasciando, a volte, la solita etichetta «omicidio passionale» che ingenera confusione e non descrive adeguatamente la situazione; finalmente, i giornalisti focalizzano la propria attenzione sui maltrattamenti e le denunce che hanno preceduto il delitto, escludendo il cosiddetto «raptus»: il femminicidio, infatti, raramente è frutto di un accesso d'ira incontrollata, ma costituisce soltanto l'ultimo scalino di una lunga escalation;
    se fino al 2011, in quasi il 90 per cento dei casi riportati dalla cronaca, tale informazione non era reperibile, oggi si apprende frequentemente dai mezzi di informazione che il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subito violenza da parte del partner o dell'ex compagno che poi l'ha uccisa: è questo un dato importante che dimostra come la consapevolezza dei media sul legame profondo tra violenza di genere e femminicidio, in questi anni, è cresciuta e si è consolidata;
    il femminicidio è sempre preceduto da altre forme di violenza sul corpo, la mente, l'emotività e gli affetti di una donna. Comincia con una forma di potere e controllo che si esprime attraverso atti o minacce di sopruso fisico, psicologico, sessuale, economico o persecutorio contro le donne in quanto donne, per mantenerle in una condizione di inferiorità nei rapporti privati (la coppia, la famiglia) e pubblici (il lavoro, la scuola, la collettività). Ognuno di questi abusi costituisce una forma di violenza che va tenuta sotto controllo, a prescindere dal fatto che sia punito dalla legge come reato e/o che sia accettato e considerato «normale» nella società di appartenenza;
    la prevenzione di questi delitti è necessaria e praticabile e richiede una tipologia di interventi diversificati a seconda della situazione concreta in cui vive la donna: dalla sua autonomia economica alla presenza o meno di figli, dalla sua capacità di reagire con energia alla sua tendenza, invece, a subire passivamente le situazioni; la prevenzione si può realizzare offrendo una protezione sempre maggiore e sempre più qualificata alle donne che vivono situazioni di violenza, prima che giunga a conseguenze irreparabili;
    fondamentale importanza assume la formazione di tutti i soggetti che lavorano nei vari settori con le vittime di violenza e i minori: l'assenza di un'adeguata specializzazione rappresenta un fattore di rischio per l'incolumità psicofisica delle donne che si rivolgono alle autorità ed ai servizi territoriali per chiedere aiuto, e può determinare prassi deleterie e percezioni soggettive che sminuiscono e giustificano gli abusi, determinando una condizione di vittimizzazione secondaria ed aumentando il pericolo di ulteriori violenze;
    infine, si deve porre fine all'umiliazione ed alla frustrazione delle donne che, in sede civile, combattono per il riconoscimento dei propri diritti e di quelli dei propri figli, vagando da una sede all'altra a seconda delle diverse competenze territoriali dei diversi giudici;
    secondo l’Helsinki foundation for human rights serve un'attività di osservazione condotta per un periodo prolungato di tempo, in maniera costante o intermittente (Helsinki foundation for human rights, 2001). Secondo il report della Human rights monitoring and documentation series, serve l'attenta osservazione della situazione generale condotta in modo tale da determinare quali azioni future andranno intraprese,

impegna il Governo:

   a monitorare con rinnovata sensibilità e lucidità la violenza alle donne, considerandola come un fenomeno e un'azione sociale molto complessa che va contro i diritti umani di tutti;
   ad attuare politiche di supporto alla famiglia per contrastare i livelli di povertà e di disagio che spesso hanno, nella donna, la prima e principale vittima di un sistema sociale, in cui la disoccupazione può generare frustrazione e degrado;
   a sostenere l'inserimento professionale delle donne e la loro autonomia economica, in modo che possano interrompere prontamente rapporti caratterizzati da aggressività e da violenza domestica, senza dover temere per la loro successiva autonomia;
   a rispettare ed attuare le osservazioni conclusive 2011 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, nonché le raccomandazioni della relatrice speciale delle Nazioni Unite contro la violenza sulle donne;
   a riconoscere i centri anti violenza come nodi strategici di ogni politica e come parte integrante dei servizi da offrire sul territorio per accogliere donne vittime di violenza e, nel caso, i loro figli e, per questo, a garantire che siano affidati a personale altamente specializzato, oltre ai volontari;
   a destinare alle sopracitate strutture maggiori risorse, attraverso finanziamenti regolari e continuati nel tempo, proprio per creare una rete di interventi sistematici che possano aiutare le donne nella fase acuta del distacco dall'aggressore e, successivamente, accompagnarle in un itinerario di progressiva riconquista della propria autonomia, anche sul piano psicologico;
   a rafforzare le reti di contrasto al fenomeno tra istituzioni e privato sociale qualificato, potenziando la capacità di ascolto e di pronto intervento, in modo da non lasciare le donne sole o in balia della potenziale violenza dell'uomo;
   a promuovere una forte campagna di prevenzione e di sensibilizzazione culturale, debitamente pubblicizzata, che segnali fino a che punto la violenza è una piaga della società italiana e un fattore concreto di disgregazione familiare e sociale;
   a favorire una corretta formazione di operatori sanitari, sociali, del diritto e dell'informazione, soprattutto per imparare a gestire i primi contatti con la vittima e aiutarla a raccontare in modo esaustivo ciò che le accade, perché troppo spesso appare impaurita, prigioniera di uno strano senso di protezione nei confronti del suo aguzzino e, quindi, reticente;
   ad assumere iniziative normative per un severo inasprimento delle pene previste per lo stalking e l'inserimento nel codice penale dell'aggravante del «femminicidio», unitamente ad una maggiore tempestività tra la denuncia del caso e la tutela del soggetto;
   ad assumere iniziative per evitare, in ogni modo, che chi ha ricevuto una denuncia per stalking possa disporre di un'arma, prevedendo in tali casi la revoca delle relative licenze;
   ad assumere iniziative per prevedere, negli uffici giudiziari, sezioni specializzate in questo specifico campo, in modo che le donne possano superare la paura e divenire consapevoli che sconfiggere e sopravvivere alla violenza è possibile, aiutando a trasformare velocemente in denuncia anche gli sfoghi o le confidenze addolorate delle donne che giungono in questura accompagnate da amici o familiari, ma che poi non sanno porre un punto fermo e decisivo alla loro condizione.
(1-00036)
(Nuova formulazione) «Binetti, Dellai, Buttiglione, Cesa, Gigli, Gitti, Adornato, Cera, Balduzzi, Capua, Caruso, Causin, Cimmino, D'Agostino, Dambruoso, De Mita, Galgano, Marazziti, Matarrese, Mazziotti Di Celso, Nissoli, Oliaro, Piepoli, Quintarelli, Rabino, Rossi, Santerini, Sberna, Schirò Planeta, Tinagli, Vargiu, Vecchio, Vitelli».
(14 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    nonostante da tempo la violenza maschile sulle donne abbia assunto il carattere della sistematicità e sia la prima causa di morte delle stesse in Europa e nel mondo, il tema troppo a lungo è rimasto al margine del dibattito «ufficiale», imponendosi nell'agenda del nostro Paese solo quando i numeri sono diventati intollerabili: ogni due, tre giorni una donna viene uccisa, con casi estremi di cinque donne uccise nella stessa settimana come è successo recentemente;
    la violenza maschile sulle donne non può più essere considerata una questione privata, non avrebbe mai dovuto esserlo: è questione politica in quanto fenomeno di pericolosità sociale che riguarda tutta la società;
    purtroppo, le istituzioni del nostro Paese non hanno mostrato un forte ed efficace impegno nel contrasto a questo tragico fenomeno, tant’è che il Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne e la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne hanno rivolto allo Stato italiano una lunga lista di raccomandazioni che evidenziano la nostra inadeguatezza e incapacità a contrastare la violenza in tutte le sue forme;
    fermare questa tragedia è un impegno che riguarda tutti e tutte, in particolare chi si trova a ricoprire ruoli istituzionali, e significa assumere impegni precisi per avviare azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione con politiche attive, coerenti e coordinate che coinvolgano i diversi attori, istituzionali e non, a tutti i livelli, ponendo il tema della violenza contro le donne come priorità assoluta dell'agenda politica,

impegna il Governo:

   ad affrontare con urgenza il tema della violenza sulle donne in tutte le sue forme e la definizione delle politiche necessarie ad azioni di contrasto, protezione, prevenzione e sensibilizzazione, politiche che scaturiscano da decisioni ampie e condivise;
   a coinvolgere in quest'azione le associazioni attivamente impegnate sul tema della violenza contro le donne cui va il merito, tra gli altri, di aver sensibilizzato l'opinione pubblica sull'entità e la drammaticità del fenomeno, troppo a lungo tollerato.
(1-00040)
(Nuova formulazione) «Locatelli, Bueno, Gebhard, Pisicchio, Di Lello».
(15 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il concetto di femminicidio, tornato in primo piano con le cronache di questi giorni, comprende non solo l'uccisione di una donna in quanto donna, ma ogni atto violento o minaccia di violenza esercitata nei confronti di una donna, in ambito pubblico o privato, che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale o psicologico o sofferenza alla donna. L'uccisione è, quindi, solo una delle estreme conseguenze, l'espressione più drammatica della violenza sulle donne esistente nella società;
    nel 1993, l'antropologa messicana Marcela Lagarde utilizza il termine femminicidio per comprendere: «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l'impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l'uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia»;
    la cronaca riporta, infatti, casi di violenza generata da motivi che spesso non appaiono riconducibili all'odio di genere e alla misoginia ma alla violenza in famiglia, alla gelosia, alla possessività; il «femminicidio» diventa quindi non un omicidio inaspettato, ma l'ultimo atto di violenza dopo una serie di maltrattamenti all'interno della coppia. Le donne, uccise da mariti, da compagni, da padri o da fratelli, hanno solo provato a sottrarsi alla loro tirannia o hanno violato presunte regole sociali o codici d'onore; «femminicidi» che sembrano troppo spesso delitti annunciati, perché in tanti casi sono preceduti da anni di violenza, frutto di silenzi e complicità da parte di coloro che sono vicini alle donne che subiscono maltrattamenti, ma anche frutto di mancanze da parte delle istituzioni, che hanno il dovere di implementare il funzionamento dei centri antiviolenza e di mettere in campo una serie di politiche di prevenzione e di promozione di una cultura del rispetto tra i generi, nella convinzione che la violenza è un problema pubblico, di violazione dei diritti umani delle cittadine che la subiscono e non una questione da relegare all'ambito privato;
    nonostante il riconoscimento di fondamentali diritti civili, sociali e culturali a favore delle donne, la violenza fisica e sessuale è quindi, ancora oggi, una delle forme di violazione dei diritti umani più grave e più diffusa nel mondo; combattere con forza ogni atteggiamento e comportamento che tendono a tollerare, giustificare o ignorare la violenza commessa contro le donne è, pertanto, assoluta priorità di ogni livello di Governo; a livello mondiale, le cronache riportano con puntuale periodicità episodi di violenza commessi nei confronti di donne molestate, minacciate, violentate, stuprate e uccise, cui si aggiungono le donne vittime di ogni forma di violenza per il loro rifiuto di sottoporsi ad irragionevoli dettami fanatico-religiosi, nonché altre forme di violazione dei diritti delle donne o che con la violenza contro le donne sono connesse, come la violenza sui luoghi di lavoro, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali femminili e la tratta di donne e di bambine;
    se si esamina il fenomeno nel nostro Paese, il quadro è comunque allarmante: dal 2005 al 2012 sono stati 903 i casi di donne uccise da uomini. Nel 2012, in Italia sono state uccise più di 120 donne, una ogni due giorni. Il 40 per cento delle donne uccise nel 2012 aveva già subito violenza da parte del partner o ex partner. Il 68 per cento delle violenze avvengono in casa e i due terzi delle vittime subisce più episodi di violenza (soprattutto da parte del partner). Gli assassini sono uomini, nella maggior parte dei casi appartenenti al nucleo familiare e alla cerchia degli affetti più vicini. Secondo i dati Istat relativi al 2006, sono 6 milioni e 743 mila le donne che tra i 16 e i 70 anni sono state, almeno una volta nella vita, vittime di violenza, fisica o sessuale. Ma nel nostro Paese solo il 18,2 per cento delle donne considera la violenza subita in famiglia un reato, per il 44 per cento è stato qualcosa di sbagliato e per il 36 per cento solo qualcosa che è accaduto. Inoltre, i dati svelano che il 93 per cento delle violenze perpetuate dal coniuge o dall'ex non viene denunciato;
    il 4 marzo 2013 Telefono Rosa ha presentato la sua nuova ricerca sulla violenza domestica, basata sulle telefonate e gli interventi realizzati dall'associazione. Cercando di conoscere meglio l'identità delle vittime, la ricerca indica due fasce maggiormente in pericolo: quella compresa tra i 35 e i 54 anni (33 per cento), mentre nella fascia 45-54 anni gli abusi scendono al 25 per cento. Tra le donne italiane si riscontra una maggiore concentrazione di vittime tra i segmenti più adulti (35enni-44enni: 32 per cento; 45enni-55enni: 26 per cento); spostando l'attenzione sulle straniere, è possibile osservare una maggiore concentrazione di violenze nelle classi anagrafiche più giovani (25enni-34enni: 31 per cento; 45enni-55enni: 39 per cento). Allarmante è il legame tra l'omicidio e le violenze pregresse sulla vittima o su altre donne: nel 40 per cento dei casi emerge che la vittima ha subito violenze (psicologiche, fisiche, sessuali e stalking) precedenti al femminicidio. La percentuale di donne che ha subito violenza e ha prole è altissima: nel 2012 l'82 per cento delle vittime ha figli, in particolare il 65 per cento sono minorenni. Nel 2012 l'82 per cento dei figli ha ripetutamente assistito alle violenze in famiglia. Aumentano nel 2012 i casi di abusi di lunga durata, nel 18 per cento coprono un arco di tempo compreso tra i 5 e i 10 anni; raggiunge il 28 per cento la percentuale dei maltrattamenti che dura da più di 10 anni; il 12 per cento di questi vede le donne rassegnate alla loro condizione da oltre 20 anni;
    soltanto in questi primi mesi del 2013 sono state uccise 34 donne. Un numero rilevante che, purtroppo, conferma il drammatico trend di questi ultimi anni;
    questi numeri sottolineano l'ampiezza del fenomeno e il suo profondo radicamento nella cultura del nostro Paese e nella vita delle famiglie: non si tratta dell'epilogo estremo di una storia personale, ma di un comportamento strutturato, che attraversa una parte grande del Paese, in centinaia di migliaia di case-prigioni sparse nelle campagne, nei paesi, nelle grandi città;
    in particolare, continui episodi riportati dalla cronaca, in particolare nell'ultimo periodo, dimostrano l'ampia portata di questa quotidiana tragedia, specie in termini di vite perdute, il che impone di mettere in campo ogni possibile misura normativa; lo studio e l'attuazione di interventi volti a prevenire gli episodi di violenza, abuso e vessazione di cui le donne sono vittime rappresentano una priorità dell'intero Esecutivo;
    nel 2009, l'introduzione nell'ordinamento giuridico italiano del reato di stalking è stata una chiara dimostrazione dell'attenzione del Governo e del Parlamento all'individuazione di strategie di contrasto, di prevenzione della violenza e di reinserimento delle vittime di tale reato; lo stesso decreto-legge n. 11 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 38 del 2009, che ha introdotto il reato di stalking, ha inoltre previsto ulteriori interventi in materia di violenza sessuale; il provvedimento, in particolare, ha introdotto l'arresto obbligatorio in flagranza per la violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo, nonché disposizioni volte a rendere più difficile ai condannati per taluni delitti a sfondo sessuale l'accesso ai benefici penitenziari, tra cui le misure alternative alla detenzione. La medesima legge ha, inoltre, consentito l'accesso al gratuito patrocinio, anche in deroga ai limiti di reddito ordinariamente previsti, a favore della persona offesa da taluni reati a sfondo sessuale. Il decreto-legge n. 11 del 2009 ha poi previsto, quale aggravante speciale dell'omicidio, il fatto che esso sia commesso in occasione della commissione del delitto di violenza sessuale, di atti sessuali con minorenne e violenza sessuale di gruppo, nonché da parte dell'autore del delitto di atti persecutori nei confronti della stessa persona offesa;
    va segnalato, inoltre, che nel corso della XVI legislatura, per la prima volta l'Italia ha adottato un Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, finanziato con più di 18 milioni di euro, con una strategia di contrasto delineata su base nazionale, con l'obiettivo di mettere in rete l'esperienza dei centri antiviolenza nelle regioni italiane e del numero verde 1522 e le professionalità delle forze dell'ordine;
    servono, comunque, altri segnali forti: un investimento certo e sicuro per i centri antiviolenza e per il sistema dei servizi di prevenzione che si occupano della violenza sulle donne e, in secondo luogo, l'unificazione di tutte le informazioni in un'unica banca dati, che consenta alle forze dell'ordine e all'intero sistema dei servizi antiviolenza di reperire in tempi rapidi le notizie sulle vittime e sugli autori del reato;
    a ciò si aggiunga che l'Italia ha sottoscritto, nel settembre 2012, la «Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica» dell'11 maggio 2011 (Convenzione di Istanbul), la cui legge di autorizzazione alla ratifica è stata già approvata dalla Camera dei deputati il 28 maggio 2013;
    la Convenzione di Istanbul è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante che si prefigge di creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza, grazie a misure di prevenzione, di tutela in sede giudiziaria e di sostegno alle vittime;
    la Convenzione di Istanbul, ove si riconosce esplicitamente la violenza sulle donne quale violazione dei diritti umani e forma di discriminazione, obbligherà, dunque, lo Stato italiano ad adottare specifiche misure legislative per contrastare l'allarmante fenomeno;
    partendo dal presupposto che la volontà di sopraffazione trae spesso origine da atteggiamenti discriminatori e che, dunque, solo un profondo mutamento culturale potrebbe combattere in modo efficace il fenomeno, possono essere messe in campo iniziative, anche in sede legislativa, per porre un freno all'incontenibile sequenza di violenze perpetrate nei confronti delle donne,

impegna il Governo:

   ad adottare e sostenere ogni iniziativa legislativa volta ad adeguare l'ordinamento interno alle prescrizioni contenute nella Convenzione di Istanbul, nonché, più in generale, ad adottare le norme regolamentari e i provvedimenti amministrativi idonei a promuovere realmente una cultura della soggettività femminile, contrastando il femminicidio quale negazione della soggettività, dei diritti fondamentali e della dignità delle donne;
   ad agire sul piano della prevenzione e del contrasto della violenza, della promozione della soggettività femminile e della tutela delle vittime di violenza sessuale, di stalking e di maltrattamenti, in particolare dando piena attuazione al Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking, utilizzando le risorse all'uopo stanziate e individuando specifiche iniziative volte a potenziare i servizi e le misure di assistenza delle vittime di violenza, prevedendo un'organica risposta a livello territoriale e di rete e rendendo omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza, attraverso la collaborazione e la cooperazione tra i soggetti pubblici e privati (pronto soccorso, associazioni, sportelli anti violenza, forze dell'ordine, servizi sociali e comuni) che operano per la prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e che forniscono servizi di supporto ed assistenza;
   ad istituire un tavolo interministeriale al fine di affrontare il femminicidio da tutti i punti di vista e di predisporre progetti coordinati per tutto il territorio nazionale che garantiscano maggiore incisività nel contrasto alla violenza di genere;
   ad istituire un osservatorio nazionale permanente sulla violenza alle donne che predisponga e tenga aggiornati i dati relativi ai fenomeni di violenza sulle donne, provenienti da soggetti pubblici e privati, accessibili anche ai fini della ricerca e dell'elaborazione di interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza;
   ad adottare le opportune iniziative volte a promuovere, nell'esercizio dell'attività giornalistica, nei messaggi pubblicitari, nei palinsesti e nelle trasmissioni di radio e televisione, il rispetto della dignità delle donne e della soggettività femminile, nonché a prevenire ogni forma di discriminazione di genere o di femminicidio;
   a sostenere la promozione dell'inserimento nei programmi scolastici dell'educazione alla relazione, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne, la discriminazione di genere e il femminicidio e promuovere la soggettività femminile;
   a promuovere in Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano azioni volte ad incentivare la realizzazione di misure a favore delle vittime di violenza e a coinvolgere le stesse, laddove sia necessario, in percorsi di formazione e di inserimento lavorativo, in linea con le esperienze europee più avanzate;
   a presentare alle Camere annualmente una relazione sullo stato di attuazione delle normative e delle iniziative poste in atto da tutti i soggetti coinvolti.
(1-00041)
(Nuova formulazione) «Brunetta, Carfagna, Centemero, Prestigiacomo, Bergamini, Dorina Bianchi, Brambilla, Calabria, Castiello, Faenzi, Garnero Santanchè, Giammanco, Milanato, Petrenga, Polidori, Polverini, Ravetto, Saltamartini, Elvira Savino, Sandra Savino, Scopelliti».
(15 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del femminicidio e, più in generale, della violenza sulle donne ha assunto dimensioni allarmanti nel nostro Paese, tanto da essere definito dalla relatrice speciale Onu sul tema, Rashida Manjoo, nel suo rapporto del 2012 relativo alla sua missione in Italia, una vera e propria emergenza nazionale;
    in base alle ultime rilevazioni Istat, sono quasi 7 milioni le donne tra i 16 ed i 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della loro vita, pari al 31,9 per cento: circa 5 milioni hanno subito violenze sessuali (23,7 per cento), quasi 4 milioni violenze fisiche (18,8 per cento) – di cui 1 milione ha subito stupro o tentato stupro. Il 24,7 per cento ha subito violenze da un uomo non partner ed il 14,3 per cento delle donne con un rapporto di coppia dal partner/ex;
    dall'inizio degli anni ’90, mentre è diminuito il numero di omicidi di uomini su uomini, il numero di donne uccise da uomini è aumentato esponenzialmente;
    negli ultimi anni il nostro Paese è stato fortemente redarguito dalle Nazioni Unite per l'impegno troppo poco efficace per contrastare la violenza maschile nei confronti delle donne;
    il Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), nonché la relatrice speciale per le Nazioni Unite, Manjoo, in relazione all'Italia, hanno espresso preoccupazioni: per l'elevata prevalenza della violenza nei confronti di donne e bambine italiane, migranti, rom e sinte; per l'allarmante numero di donne uccise dai propri partner o ex partner; per il persistere di tendenze socio-culturali che minimizzano o giustificano la violenza domestica; per l'assenza di un rilevamento ufficiale e costante sul fenomeno; per la mancanza di un coinvolgimento attivo delle realtà della società civile competenti sul fenomeno del contrasto alla violenza; per l'attitudine a rappresentare donne e uomini in maniera stereotipata e sessista nei media e nell'industria pubblicitaria;
    ad oggi l'Italia si mostra ancora inadempiente al riguardo;
    la violenza sulle donne va considerata quale fatto politico, attinente alla cultura nelle relazioni fra uomini e donne, ovvero al fondamento dell'affettività e della democrazia;
    le associazioni e i movimenti, che vantano un impegno di numerosi anni su un tema tanto delicato, quale è la violenza sulle donne, hanno agito spesso in solitudine e senza le risorse necessarie;
    analogamente può dirsi in relazione ai centri antiviolenza, ancora poco radicati sul territorio, anche per l'esiguità degli stanziamenti economici a supporto dell'attività;
    anche alla luce del dibattito che anima il Paese da tempo sul tema, occorre favorire in ogni modo la più rapida approvazione dei progetti di legge di autorizzazione alla ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa, fatta ad Istanbul nel 2011, in tema di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, firmata dal nostro Paese in data 27 settembre 2012,

impegna il Governo:

   a provvedere all'attuazione delle osservazioni conclusive del 2011 del Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), nonché delle raccomandazioni della relatrice speciale Onu contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, riportate nel rapporto relativo alla missione in Italia;
   ad istituire un osservatorio nazionale in tema di violenza di genere, coinvolgendo nell'attività le associazioni e i movimenti che si occupano da anni del tema, nonché i centri antiviolenza, incentivandone il ruolo e il radicamento sul territorio con la previsione di stabili ed adeguati finanziamenti;
   a verificare l'efficacia e l'attuazione del piano nazionale contro la violenza, il cui termine è previsto nel 2013, nonché a prevedere una revisione e un rilancio dello stesso che consideri, quali elementi centrali, la promozione di una cultura differente, la prevenzione, la protezione delle donne, nonché la persecuzione del persecutore;
   a introdurre nelle scuole di ogni ordine e grado specifici corsi di sensibilizzazione sulla parità di genere, nonché sull'affettività;
   ad assumere iniziative per prevedere l'accesso al patrocinio gratuito per le parti offese senza limitazioni reddituali;
   a rafforzare, nel quadro degli interventi volti a garantire i livelli essenziali delle prestazioni sociali, di cui alla legge n. 328 del 2000, anche attraverso la previsione di adeguati stanziamenti, i centri e le reti di prevenzione, le case rifugio, nonché la protezione e il sostegno alle donne vittime di violenza.
(1-00043)
(Nuova formulazione) «Migliore, Di Salvo, Aiello, Airaudo, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Claudio Fava, Ferrara, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piazzoni, Pilozzi, Piras, Placido, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan, Zaratti».
(16 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    i numeri sulla violenza in Italia sono ormai tristemente noti. Una donna su tre, in un'età compresa tra i 16 e i 70 anni, è stata vittima di forme di violenza; il 35 per cento delle vittime non presenta denuncia, mentre solo il 13 per cento ha fatto richiesta di aiuto per stalking;
    secondo Telefono Rosa, nel 2012 le vittime femminili hanno superato di poco le 120 unità e si è passati da un omicidio ogni tre giorni registrato nel 2011 a uno ogni due giorni; la gran parte delle violenze rimane sommersa, impunita e avviene tra le pareti domestiche; un dramma diffuso che riguarda tutte le classi sociali e che va aumentando;
    nonostante i mutamenti sociali, i diritti acquisiti e le leggi varate in questi anni, il fenomeno rimane ancora un problema irrisolto: mancano serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione; la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani che ostacola o rende impossibile il godimento di altri diritti umani, compromettendo, altresì, il raggiungimento della parità di opportunità tra donne e uomini. Si è davanti ad un grave reato, una forma di discriminazione che non riguarda la sfera privata perché è solo l'aspetto più evidente e brutale dell'ineguaglianza esistente nella società;
    è sempre più urgente affrontare il problema nella sua gravità per risolverlo, ma per far ciò è necessario un radicale cambiamento culturale nella nostra società. Ciò anche alla luce dei dati del Global gender gap report 2012, la classifica stilata ogni anno dal World economic forum sul divario di opportunità tra uomini e donne in 135 Paesi e secondo il quale appare evidente che i risultati sono sempre più sconfortanti per l'Italia: complessivamente all'ottantesimo posto (nel 2011 era al settantaquattresimo); nello specifico: centounesimo posto, in quanto a partecipazione economica e opportunità; sessantacinquesimo posto, in quanto ad accesso all'istruzione di base e di livello superiore; settantaseiesimo posto per quanto riguarda la salute e la sopravvivenza; al settantunesimo posto in materia di rappresentanza politica;
    la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne e la violenza domestica, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d'Europa e degli Stati non membri che hanno partecipato alla sua elaborazione a Istanbul l'11 maggio 2011, rappresenta il primo strumento internazionale, giuridicamente vincolante, finalizzato a creare un quadro giuridico completo per proteggere le donne contro qualsiasi forma di violenza;
    si tratta di un trattato corposo che analizza il fenomeno nella sua complessità e fornisce un quadro giuridico completo, sia in chiave di prevenzione che di repressione di questa odiosa forma di violenza;
    questa Convenzione – che l'Italia deve recepire nelle parti in cui il nostro ordinamento ancora non ha raggiunto gli auspicati standard, lasciando impregiudicati gli eventuali livelli di maggior tutela – potrebbe, se attuata da tutti i Paesi membri, salvare e cambiare le vite di milioni di vittime e dare un contributo concreto al miglioramento del rispetto dei diritti umani e dello status delle donne. È una battaglia di civiltà cui la politica non può e non deve sottrarsi;
    il grande valore di tale Convenzione risiede anche nel sancire la necessità di un cambiamento radicale di mentalità all'interno della società, per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini. In essa si afferma, infatti, che spetta agli Stati prevenire, fermare e sanzionare la violenza sulle donne, sia domestica sia esterna, e che la violenza verso le donne non può essere giustificata da nessun argomento di natura culturale, storica o religiosa;
    l'inserimento nel codice penale italiano del nuovo articolo 612-bis sugli atti persecutori (stalking) e la giurisprudenza costituzionale che si è venuta formando sulla presunzione assoluta di pericolosità degli accusati dei delitti a sfondo sessuale e, da ultimo, l'approvazione definitiva, nel 2012, della legge n. 172 del 2012 di adeguamento interno alla Convenzione di Lanzarote, hanno costituito un segnale di un'evoluzione importante ma che ancora non basta; l'Italia è, tra i Paesi europei, agli ultimi posti per contrasto al fenomeno della violenza di genere: infatti, il report di Rashida Manjoo, relatore speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, in visita nel nostro Paese nel 2012, ha condannato pesantemente l'Italia rilevando che «Femmicidio e femmicidio sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita»;
    da più parti, ormai, si sollecita l'introduzione di un'aggravante generale per i delitti commessi per motivi di genere, oltre che di un'aggravante specifica per il caso di omicidio, che riguarda anche il delitto commesso nei confronti dell'ex coniuge o dell'ex convivente. È auspicabile, quindi, che su questo campo possa presto attivarsi un più determinato intervento legislativo che tocchi anche aspetti apparentemente procedurali (ma in realtà sostanziali), quali il divieto di sospensione condizionale della pena, il divieto di bilanciamento per equivalenza tra aggravanti e attenuanti o il divieto di patteggiamento, come segnale ulteriore di contrasto e dissuasione alla commissione di crimini del genere;
    ma il passo ulteriore dovrà essere necessariamente di carattere culturale, in quanto la sanzione penale non potrà mai esaurire lo spettro delle azioni da intraprendere su questo fronte, tenuto conto che da quasi trent'anni, e precisamente dalla legge 14 marzo 1985, n. 132, è stata ratificata e resa esecutiva la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979;
    a tutt'oggi, solo quattro Paesi hanno ratificato la Convenzione di Istanbul, ovvero hanno concluso il processo di creazione di una legge nazionale che renda effettivo nel proprio Paese il testo della stessa. Questi Paesi sono (e, su alcuni c’è da stupirsene, per tanti versi): Turchia, Albania, Montenegro e Portogallo. Mancano dunque ancora almeno 6 ratifiche,

impegna il Governo:

   a valutare tutte le iniziative necessarie affinché, per quanto riguarda l'educazione delle nuove generazioni, venga agevolata la creazione di una nuova materia obbligatoria nelle scuole superiori: «l'educazione per l'uguaglianza e contro la violenza di genere» per avviare un radicale cambiamento culturale nella nostra società e per estirpare i pregiudizi fondati sulla cosiddetta inferiorità delle donne o sui ruoli stereotipati attribuiti a donne e uomini;
   ad attivarsi, anche con iniziative normative e con fondi adeguati, per l'adozione di serie politiche di contrasto della violenza, ricerche e progetti di sensibilizzazione e di formazione di personale qualificato in grado di affrontare e gestire situazioni di emergenza;
   a sostenere e attuare con più determinazione sia quanto già contenuto nella Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, sia quanto è stato osservato dalla relatrice speciale ONU contro la violenza sulle donne, Rashida Manjoo, di cui in premessa;
   ad avviare una campagna capillare di informazione di utilità sociale a qualsiasi livello su questa drammatica realtà che ancora oggi presenta aspetti sempre più inquietanti.
(1-00042)
(Nuova formulazione) «Mucci, Crippa, Prodani, Mannino, Brescia, Dieni, D'Ambrosio, Nuti, Spadoni, Fantinati».
(16 maggio 2013)

Per tornare alla pagina di provenienza azionare il tasto BACK del browser