TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 32 di Mercoledì 12 giugno 2013

 
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INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

    PRATAVIERA e MATTEO BRAGANTINI. — Al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   i dazi antidumping sono miranti a scoraggiare la pratica del dumping, cioè l'esportazione di beni ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel Paese d'origine. Con questa azione il produttore si assicura un certo grado di penetrazione nei mercati grazie alla concorrenzialità dei suoi prezzi;
   la libera circolazione delle merci all'interno dell'Unione europea in una fase iniziale era stata concepita nell'ambito di un'unione doganale tra gli Stati membri con l'abolizione dei dazi doganali, delle restrizioni quantitative agli scambi e di tutte le altre misure di effetto equivalente, e con la fissazione di una tariffa doganale comune nei rapporti della Comunità con i Paesi terzi. In seguito, è stato posto l'accento sull'eliminazione di tutti gli ostacoli restanti alla libera circolazione, in modo da realizzare il mercato interno, definito come uno spazio senza frontiere interne, ove le merci circolano liberamente come all'interno di un mercato nazionale;
   le sentenze della Corte di giustizia che hanno introdotto la libera circolazione dei beni all'interno dell'Unione europea e l'istituzione dell'unione doganale hanno riguardato e riguardano i 27 Stati membri e il processo di progressiva creazione del mercato interno;
   la politica commerciale dell'Unione europea e il suo ruolo in seno all'Organizzazione mondiale del commercio riguardano la fissazione delle tariffe doganali per l'ingresso nell'Unione europea di beni prodotti in Paesi terzi, così come fatto con il regolamento della Commissione europea che istituisce i dazi antidumping sulle importazioni di fotovoltaici di provenienza della Repubblica popolare cinese;
   la globalizzazione, oltre ad alcune conseguenze positive, come l'apertura di nuove opportunità di mercato per il nostro tessuto produttivo, ne ha prodotte altre assai nefaste. Il venir meno, secondo le regole imposte dall'Organizzazione mondiale del commercio, delle barriere di carattere protezionistico alla libera circolazione delle merci ha indubbiamente alimentato il diffondersi di fenomeni negativi. Tra essi figurano: la dilagante violazione dei diritti di proprietà intellettuale, la contraffazione dei prodotti e dei marchi dei Paesi europei, l'ingresso nell'Unione europea di prodotti che non rispettano le normative ambientali, sociali e gli standard di sicurezza. Si tratta, quasi sempre, di pericoli provenienti da produttori situati nell'area asiatica e, in particolare, della Cina. Gli effetti negativi di questi fenomeni sono particolarmente preoccupanti per i settori produttivi del cosiddetto made in Italy e per i distretti produttivi locali che ne costituiscono l'ossatura portante;
   la lentezza e l'atteggiamento renitente con cui la Commissione europea sta operando, si manifesta con l'assenza dei necessari provvedimenti antidumping che penalizza le molte piccole e medie imprese, in particolare del Nord, che hanno scelto di produrre prodotti di qualità sul proprio territorio senza delocalizzare e che oggi sono seriamente minacciate dalla sleale concorrenza proveniente dai Paesi del Sud-Est asiatico, dove i metodi di produzione sono difficilmente controllabili dall'Unione europea e la qualità dei prodotti non è sempre garantita. Inoltre, le modalità con cui sono regolamentati a livello europeo gli strumenti di difesa commerciale, oggetto peraltro di imminente riforma, rendono assai difficile al nostro tessuto produttivo la possibilità di presentare denuncia con gli elementi di prova per ottenere in tempi brevi l'apertura di procedure antidumping;
   il tessuto produttivo del nostro Paese già fortemente provato dalla crisi economica in atto e che si trova anche a dover affrontare la concorrenza di Paesi, come la Cina, che non osservano le regole di un mercato equilibrato e leale, che usufruiscono di manodopera a bassissimo costo e di politiche di dumping a discapito dei lavoratori e dei consumatori italiani ed europei;
   la Commissione europea, con il regolamento 513/2013 del 4 giugno 2013, istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese e che modifica il regolamento (UE) n. 182/2013, che dispone la registrazione delle importazioni dei suddetti prodotti originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese;
   non si è fatta attendere la reazione da parte della Repubblica popolare cinese che, per voce del Ministero del commercio, ha annunciato l'avvio di un'indagine antidumping e anti-sussidi contro il vino importato dall'Europa;
   sarà adottato un approccio graduale: l'aliquota del dazio sarà fissata all'11,8 per cento sino al 6 agosto 2013. A partire da tale data il dazio sarà quindi fissato al 47,6 per cento, che è il livello necessario per eliminare il pregiudizio causato dal dumping all'industria europea;
   la Germania, come altri Paesi dell'Unione europea, per voce del Ministro dell'economia tedesco, Philipp Roesler, ha espresso la sua contrarietà all'applicazione di questa misura nei confronti della Cina, perché intenzionata a risolvere la controversia con il dialogo e negoziato e non andando allo scontro;
   la volontà della Commissione europea e del Ministro europeo del commercio, De Gucht, è quella di arrivare ad una soluzione accomodante, nata dalla volontà di puntare al dialogo, non una mera misura punitiva e ciò si evincerebbe anche dalla fissazione di un'aliquota molto bassa e insufficiente per i primi due mesi di entrata in vigore del provvedimento;
   la Commissione europea afferma di essere pronta a partecipare a una riunione del comitato congiunto Unione europea-Cina nelle prossime settimane per discutere in maniera costruttiva di tutti gli aspetti delle nostre relazioni commerciali, in linea con gli impegni comuni in sede di Organizzazione mondiale del commercio e nello spirito del nostro partenariato strategico –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire la posizione del Governo su quanto riportato in premessa, facendosi portavoce in sede europea di una politica intesa ad applicare, quando possibile ed opportuno, le misure doganali necessarie per impedire pratiche di concorrenza sleale a tutela del made in Italy. (3-00109)
(11 giugno 2013)

   TINAGLI, ANTIMO CESARO, DELLAI, ANDREA ROMANO e SCHIRÒ PLANETA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto «salva-Italia» (decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214) sono stati introdotti, nel dicembre 2011, aiuti fiscali alle imprese che avrebbero assunto giovani under 35. Si trattava di un intervento che prevedeva la deducibilità integrale delle imposte dirette dell'irap, relativa alla quota imponibile per le spese per il personale. In pratica si cercava di dare una spinta all'occupazione giovanile riducendo in modo consistente, e diretto, sia le tasse che il costo del lavoro per chi assumeva gli under 35;
   nello specifico l'articolo 24, comma 27, del citato decreto-legge n. 201 del 2011 prevedeva che venissero integrate le risorse sull'autorizzazione di spesa relativa al fondo per il finanziamento di interventi in termini quantitativi e qualitativi a favore dell'occupazione giovanile e delle donne;
   il comma 252 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228, (legge di stabilità 2013), introducendo il comma 12-bis all'articolo 4 della legge n. 92 del 2012 (riforma del mercato del lavoro), ha ribadito quanto precedentemente disposto dal decreto interministeriale del 5 ottobre 2012 emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   in definitiva è stato riproposto l'incentivo di euro 12.000 qualora un'azienda decida di trasformare un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato. Tale incentivo è previsto ogni qual volta si proceda a una stabilizzazione di rapporti di lavoro, trasformando le collaborazioni coordinate e continuative, anche a progetto, e i contratti di associazioni in partecipazione con apporto di solo lavoro in contratti a tempo indeterminato, anche a tempo parziale;
   il decreto interministeriale ha previsto anche incentivi per coloro che assumono donne di qualunque età e giovani fino a 29 anni assunti a tempo determinato, fino a un massimo di dieci contratti di lavoro per ogni datore di lavoro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati relativi al numero dei giovani, delle donne e dei disoccupati/inoccupati che hanno usufruito del varo dei sopra citati incentivi, ai fini di una valutazione dell'impatto delle norme stesse sull'occupazione. (3-00110)
(11 giugno 2013)

   PIAZZONI, NICCHI, AIELLO e DURANTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il fondo per le non autosufficienze, finalizzato a garantire su tutto il territorio nazionale l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore delle persone non autosufficienti, ha visto in questi ultimi anni ridurre sensibilmente le risorse ad esso assegnate;
   i disabili sono oltre 2,6 milioni di persone, mentre gli anziani sono oltre 4 milioni di persone. Le famiglie con almeno un disabile grave sono circa un milione e mezzo, pari a quasi il 7 per cento delle famiglie italiane;
   in aggiunta alle risorse stanziate per le medesime finalità dalle regioni, la legge finanziaria per il 2007 (articolo 1, comma 1264) aveva istituito il fondo per le non autosufficienze, con una dotazione di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. Successivamente la legge finanziaria per il 2008 (articolo 2, comma 465), ne ha incrementato lo stanziamento di 100 milioni per l'anno 2008 e 200 milioni per il 2009. Per il 2010 il fondo ha potuto contare su 400 milioni di euro;
   per il 2011, il 2012 e il 2013, i Governi non hanno più voluto rifinanziare organicamente, e con carattere pluriennale, il fondo per le non autosufficienze;
   nel 2011 sono state assegnate alle non autosufficienze solo 100 milioni di euro e finalizzati ad interventi integrati socio-sanitari per i malati di sclerosi laterale amiotrofica;
   per il 2012 il fondo per le non autosufficienze è stato, di fatto, azzerato. Le risorse, infatti, che inizialmente erano state previste dal decreto-legge n. 95 del 2012, sono state soppresse dalla legge di stabilità per il 2013;
   il 2013 vede uno stanziamento di 275 milioni di euro (più ulteriori 40 milioni di euro che dovrebbero arrivare dai risparmi attesi dal piano straordinario di verifiche Inps sulle invalidità), per le non autosufficienze – inclusi gli interventi a sostegno dei malati di sclerosi laterale amiotrofica – ma il decreto di riparto delle risorse a favore delle regioni non è ancora stato emanato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   peraltro, andrebbero anche rivisti i criteri di assegnazione alle regioni delle risorse statali stanziate, laddove il criterio della ripartizione in base alla popolazione, andrebbe rivisitato considerando il numero reale dei malati interessati;
   l'insufficiente rifinanziamento del fondo obbliga molti parenti dei pazienti non autosufficienti a provvedere da sé, e in sostanziale «solitudine», alle cure del malato o ricorrendo al «badantato», con costi sostanzialmente a carico delle famiglie;
   in questi ultimi anni molte associazioni di disabili chiedono più possibilità di assistenza, più sostegno economico, più impegni certi da parte delle istituzioni;
   il Governo deve farsi carico di questa realtà, promuovendo politiche che mirino ad estendere significativamente la rete dei servizi puntando sull'assistenza a domicilio e sul territorio, per fornire risposte ai bisogni quotidiani di ogni singola persona non autosufficiente e delle famiglie, così da pervenire a un universalismo vero, superando la frammentarietà e i forti squilibri territoriali che sino ad ora hanno contraddistinto la rete dei servizi esistenti;
   sotto questo aspetto è, quindi, indispensabile provvedere non solo ad un congruo rifinanziamento su base pluriennale del fondo per le non autosufficienze, ma sviluppare un opportuno programma che miri prioritariamente all'assistenza territoriale e alle cure domiciliari e finalizzato a consentire – laddove possibile e richiesto – il permanere in famiglia, con particolare riferimento ai disabili gravissimi e per tutti quei casi bisognosi di assistenza vigile per i bisogni vitali, favorendo a tal fine la formazione di assistenti familiari e l'attività di soggetti specializzati nell'erogazione delle relative prestazioni;
   l'attuazione di detto obiettivo, peraltro, consentirebbe nel tempo un sensibile risparmio di risorse complessive investite e avrebbe ricadute positive in termini di occupazione –:
   se non si ritenga indispensabile adottare iniziative al fine di incrementare le risorse complessivamente destinate al fondo per le non autosufficienze, prevedendo il ritorno ad un finanziamento su base pluriennale, nonché il concreto avvio di un programma finalizzato al potenziamento della rete dei servizi socio-sanitari in questo ambito, volto a incentivare le strutture territoriali e l'intervento assistenziale e di cura domiciliare per i disabili gravi, sulla base di progetti individuali, stabiliti da equipe multidisciplinare, anche favorendo, laddove possibile, il permanere del disabile grave in ambito famigliare. (3-00111)
(11 giugno 2013)

   ALFREIDER, GEBHARD, PLANGGER e SCHULLIAN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 12 maggio 2012, n. 57, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2012, n. 101, ha modificato la normativa in materia di valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro di cui all'articolo 29, comma 5, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, prevedendo che le aziende che occupano fino a 10 dipendenti debbano effettuare la valutazione dei rischi sulla base di procedure standardizzate;
   attraverso varie proroghe, da ultimo l'articolo 1, comma 388, della legge di stabilità per il 2013 (legge 24 dicembre 2012, n. 228) è stato disposto che fino al 30 giugno 2013 i datori di lavoro di che hanno meno di 10 lavoratori potessero autocertificare l'avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi;
   in realtà, però, una circolare ministeriale della direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro ha poi specificato che l'autocertificazione della valutazione dei rischi nei luoghi di lavoro terminava il 31 maggio 2013;
   la procedura standardizzata per la valutazione dei rischi, ai sensi dell'articolo 6, comma 8, lettera f), del medesimo decreto legislativo n. 81 del 2008, è una procedura troppo onerosa per le piccole imprese, soprattutto per quelle artigiane, le quali potrebbero, invece, continuare agevolmente a produrre la dichiarazione sostitutiva;
   in funzione anticrisi sarebbe auspicabile agevolare il lavoro delle piccole imprese, che risultano essere quelle più colpite dalla crisi, come emerge dai dati della Cgia di Mestre, secondo la quale tra le 85.500 imprese che non ci sono più ben 77.670 (il 90,9 per cento) erano imprese artigianali –:
   se ritenga opportuno adottare iniziative volte a prorogare ulteriormente l'entrata in vigore della procedura standardizzata per la valutazione dei rischi in azienda per le piccole imprese fino a 10 dipendenti o, in alternativa, prevedere una semplificazione, per esempio mantenendo la dichiarazione sostitutiva. (3-00112)
(11 giugno 2013)

   TERZONI, GALLINELLA, CECCONI, CIPRINI, CASTELLI e GRILLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si assiste per l'ennesima volta nel nostro Paese in ambito lavorativo a un'azienda, che dopo aver ricevuto finanziamenti da parte dello Stato italiano, sta delocalizzando all'estero, gettando nello sconforto migliaia di famiglie e provocando una forte depressione a livello occupazionale e sociale di intere aree che già stanno subendo le conseguenze della crisi economica;
   è il caso di Indesit company che ha annunciato 1451 esuberi. Le produzioni italiane non sarebbero sostenibili e alcuni impianti saranno spostati in Polonia e Turchia, dove da diversi anni ormai i lavoratori italiani altamente specializzati sono mandati a trasmettere le proprie conoscenze ai lavoratori del posto;
   si rileva che tra il 2011 e il 2012, Indesit company ha sostenuto elevatissimi costi per investimenti a dir poco discutibili e che non hanno portato ritorni, né in termini di fatturato, né di quote di mercato e le cui conseguenze ora vengono fatte ricadere sulla vita di migliaia di famiglie che non sono solo quelle toccate dagli esuberi, ma anche di tutto l'indotto;
   sarebbe giusto in questi casi che le aziende che delocalizzano lascino qui in Italia sedi, capannoni, mezzi di produzione, macchine, progetti, perché è frutto del lavoro e dell'intelligenza dei lavoratori, pena la restituzione dei finanziamenti pubblici ricevuti e il risarcimento del danno causato alla collettività locale. A riguardo bisogna prevedere forme di partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende in ossequio all'articolo 46 della Costituzione –:
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di tutelare i lavoratori a rischio, anche attivando un tavolo di confronto che coinvolga pienamente i rappresentanti dei lavoratori, la dirigenza aziendale e i Ministeri competenti, che individui ogni possibile soluzione volta ad evitare ripercussioni negative sugli attuali livelli occupazionali, e, in particolare, al di là della specifica grave situazione collegata ad Indesit, quali misure il Ministro interrogato intenda porre in essere per incentivare misure di sostegno a favore del mantenimento sul territorio italiano delle realtà lavorative nazionali. (3-00113)
(11 giugno 2013)

   BELLANOVA, GNECCHI, DAMIANO, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, FARAONE, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GREGORI, GRIBAUDO, INCERTI, MADIA, MAESTRI, MARTELLI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SIMONI, ZAPPULLA, MARTELLA, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo il recente rapporto dell'area attuariale dell'Inps sugli effetti finanziari che si determineranno a seguito della riforma pensionistica introdotta con il cosiddetto decreto-legge «salva Italia», nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021, si determineranno risparmi per 80 miliardi di euro, pur tenendo conto dei costi delle salvaguardie, aggiuntivi rispetto a quelli conseguiti a seguito delle normative varate dal 2004 al 2011;
   in base a detto studio si evince una dinamica della spesa pensionistica che registra una notevole contrazione, con un picco nel 2019 quando si raggiungerà una riduzione di oltre un punto di prodotto interno lordo, con una soglia complessiva di poco superiore all'8,6 per cento del prodotto interno lordo;
   come si vede, si tratta di importi e percentuali ben superiori a quanto indicato nei documenti che accompagnarono la recente riforma e sui quali si basò la discussione e il confronto nelle aule parlamentari, nella società civile e sugli organi di informazione;
   già in occasione dell'esame del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, da parte del Partito Democratico, si sottolineò come la gran parte degli effetti positivi sul bilancio dello Stato della manovra poggiassero essenzialmente sulle misure previdenziali, con il brusco innalzamento dell'età pensionabile e l'eliminazione delle pensioni di anzianità;
   il protrarsi della crisi economica e le pesanti ricadute sull'occupazione, in particolar modo di quella giovanile, come opportunamente sostenuto dal Governo, richiedono una nuova strategia, anche in ambito comunitario, di rilancio dell'economia anche attraverso la predisposizione di un vigoroso piano per il sostegno dell'occupazione;
   come noto, la distribuzione del reddito negli ultimi decenni ha visto un netto peggioramento nel nostro Paese a tutto danno del lavoro, risultato a cui ha certamente contribuito il diffondersi dei contratti atipici, soprattutto tra i giovani lavoratori. Al riguardo, vanno sottolineate le opportune riflessioni recentemente sviluppate dal Presidente della Banca centrale europea: «Una più equa partecipazione ai frutti della produzione della ricchezza nazionale contribuisce a diffondere la cultura del risparmio e, dunque, della compartecipazione. Sentirsi parte integrante della nazione e cointeressati alle sue sorti economiche aumenta la coesione sociale e incentiva comportamenti economici individuali che conducono, nell'aggregato, al successo economico della collettività»;
   appare di tutta evidenza, soprattutto alla luce dei citati dati dell'Inps sugli effetti della riforma pensionistica, che il mondo del lavoro vanta un credito con lo Stato e con la società tutta in termini di equità e di opportunità;
   le anticipazioni di stampa sulle prossime iniziative del Governo sembrano delineare misure che si inseriscono in questa strategia –:
   quali urgenti iniziative si intendano adottare per favorire il sostegno dell'occupazione, soprattutto quella giovanile e femminile, oltre che per porre rimedio ai più vistosi errori della riforma pensionistica, quali la rottura del patto tra stato e cittadini e la mancanza di gradualità nelle modifiche, stante il carico di sacrifici chiesti al mondo del lavoro in questi ultimi anni. (3-00114)
(11 giugno 2013)

   POLVERINI e BALDELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha modificato le regole per l'accesso al trattamento pensionistico, prevedendo una disciplina in deroga per determinate tipologie di lavoratori (i cosiddetti esodati) con una copertura pari a 65 mila unità;
   successivamente, il Parlamento, in due distinti atti, ha ampliato ulteriormente la platea, stanziando risorse per 65.300 unità, di cui 55 mila a valere sul decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, e 10.300 sulla legge 24 dicembre 2012, n. 228;
   in base alle informazioni fornite anche dalle associazioni che tutelano gli interessi dei salvaguardati, al 3 aprile 2013 risultano essere state accolte 62 mila domande, di cui 2.950 in attesa di verifica, sulle 65 mila iniziali, con circa 7.500 lavoratori che alla data dell'8 maggio 2013 hanno già avuto accesso al trattamento pensionistico; con riferimento al secondo scaglione; la procedura è ancora in larga parte ferma alle direzioni territoriali del lavoro;
   un particolare rilievo assumono le situazioni del personale dipendente transitato in Inps, in particolare ex Ipost, relativamente all'impossibilità di procedere ai versamenti contributivi volontari a causa del mancato invio dei relativi bollettini, e del personale dipendente licenziato o esodato in seguito ad accordi collettivi o individuali stipulati prima del 2007 –:
   se sia intenzione del Governo rendere disponibili le risorse non impiegate nella prima e nella seconda procedura per le istanze che saranno presentate successivamente e se dal monitoraggio effettuato dall'Inps si evidenzino particolari criticità nella procedura di istanza e/o nelle attività delle singole direzioni territoriali del lavoro, valutando a riguardo anche la situazione relativa al personale dipendente transitato in Inps, in particolare ex Ipost, e quella del personale dipendente licenziato o esodato in seguito ad accordi collettivi o individuali stipulati prima del 2007. (3-00115)
(11 giugno 2013)

   GIORGIA MELONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista a Il Corriere della Sera del 25 maggio 2013, il Ministro interrogato, con riferimento all'ipotesi di un taglio delle pensioni più elevate, ha dichiarato che «non si vede perché nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti qualcuno debba essere escluso» e che «una misura del genere non porterebbe molti soldi ma sarebbe un'operazione di giustizia sociale»;
   nel corso delle passate settimane alcuni quotidiani hanno, inoltre, riportato la notizia secondo la quale il Ministro interrogato avrebbe pensato di destinare i proventi del taglio delle pensioni d'oro alle misure per contrastare la disoccupazione giovanile;
   è notizia di pochissimi giorni fa che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2013, ha dichiarato l'illegittimità del contributo di solidarietà, introdotto nell'estate 2011 dal Governo Berlusconi e poi confermato dal Governo Monti, ovvero il prelievo extra sulle cosiddette pensioni d'oro, cioè quelle pensioni pubbliche e private superiori rispettivamente ai 90 mila, ai 150 mila e ai 200 mila euro lordi l'anno –:
   quali siano le intenzioni del Ministro interrogato, a fronte della più recente pronuncia della Corte costituzionale, e quali metodi alternativi di copertura siano allo studio per finanziare le annunciate misure contro la disoccupazione giovanile. (3-00116)
(11 giugno 2013)

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