TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 36 di Mercoledì 19 giugno 2013

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE UN ADEGUATO RISARCIMENTO A FAVORE DELLE PERSONE CHE HANNO SUBITO DANNI DA INCIDENTI STRADALI

   La Camera,
   premesso che:
    il 20 marzo 2013 l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha aggiornato i valori per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale;
    gli importi sono stati adeguati all'aumento del costo della vita sulla base degli indici Istat nel periodo gennaio 2011-gennaio 2013, con conseguente incremento del 5,65 per cento rispetto ai parametri precedentemente in vigore;
    la Corte di cassazione, a sezioni unite, con sentenza n. 12408 del 2011, ha introdotto il principio della necessità di applicare su tutto il territorio nazionale un unico criterio di liquidazione, affermando che quell'unico criterio è rappresentato dalle cosiddette «tabelle di Milano»;
    la medesima sentenza ha, altresì, affermato che le predette tabelle milanesi «costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi »equo«»;
    il Governo ha recentemente elaborato uno schema di decreto del Presidente della Repubblica riferito alla tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
    da una prima lettura della tabella formulata dal Governo emerge che la liquidazione monetaria delle menomazioni all'integrità psico-fisica ivi prevista è notevolmente più bassa rispetto alle cosiddette tabelle di Milano, arrivando addirittura a prevedersi una decurtazione del 60 per cento delle predette liquidazioni;
    già la tabella relativa alle menomazioni di lieve entità emanata ai sensi dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private risulta essere molto più bassa di quella prevista dalle tabelle di Milano;
    da ultimo il cosiddetto decreto Balduzzi, decreto-legge n. 158 del 2012, ha già allargato, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo illegittimamente, la sfera di applicazione della tabella ex articolo 138 del codice delle assicurazioni private alle menomazioni causate da responsabilità medica, e per l'effetto ha tagliato la misura dei risarcimenti a tutt'oggi riconoscibili, con evidenti effetti dissuasivi all'incardinamento del contenzioso giudiziale e con una palese lesione degli articoli 24 e 32 della Costituzione;
    quindi, qualora venisse applicata questa nuova tabella, pazienti e soggetti che hanno subito delle gravi menomazioni non avranno più la tutela accordata dagli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
    l'illegittimità costituzionale di cui si parla è fortemente aggravata da un quadro risarcitorio generale palesemente in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, dato che, in Italia, il medesimo danno finisce con l'essere ingiustamente ed immotivatamente risarcito in maniera differente a seconda della fonte del danno stesso;
    dallo schema di decreto messo a punto dal Governo pro tempore (Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, poco «tecnico» ed assai «politico», soprattutto quando si parla di banche e finanza) emerge con preoccupante chiarezza il tentativo di favorire le lobby delle assicurazioni; quelle stesse lobby che, da sempre, lavorano alacremente assieme ai Governi per vedere tutelate le loro posizioni in spregio dei diritti dei consumatori e dei cittadini;
    la più recente «Indagine sui prezzi r.c.a.» pubblicata in data 1o gennaio 2013 dall'Ivass (Istituto di vigilanza sulle assicurazioni) ha, infatti, evidenziato che, nonostante gli interventi di riforma messi in campo negli ultimi anni, l'aumento dei prezzi delle assicurazioni per responsabilità civile auto imposti ai cittadini non ha arrestato la sua corsa. Negli ultimi dodici mesi, ad esempio, il premio richiesto a una 18enne è cresciuto del 13,5 per cento, mentre il profilo di un virtuoso del volante, un 55enne in massima classe di sconto, ha subito un rincaro del 5,6 per cento;
    sul citato schema di decreto hanno espresso un parere fortemente contrario sia il Consiglio di Stato (parere n. 4209 del 17 novembre 2011, adunanza generale dell'8 novembre 2011), sia il Parlamento attraverso un'apposita mozione approvata a larga maggioranza (atto n. 1-00740 – seduta 24 ottobre 2011, n. 540);
    per il massimo organo di giustizia amministrativa, la sequenza dei coefficienti moltiplicatori della tabella formulata dal Governo «non sembra rispettare il criterio della crescita più che proporzionale rispetto all'aumento dei punti di invalidità» e «un eventuale scostamento del testo regolamentare dal criterio previsto espressamente dalla legge autorizzativa provocherebbe con molta probabilità la disapplicazione della norma regolamentare da parte del giudice civile investito dalla domanda risarcitoria, con conseguente inutilità dell'esercizio della potestà normativa in esame». Il Consiglio di Stato suggerisce poi di adottare, a livello normativo, l'estensione per analogia dei parametri economici anche ad altre discipline risarcitorie quando vengano lesi diritti alla persona sostanzialmente sovrapponibili, ma determinati da fatti diversi dalla circolazione stradale. Se si limitasse l'applicazione ai soli incidenti stradali, «infatti, analoghe conseguenze sul piano lesivo verrebbero ad ottenere differenti trattamenti risarcitori, a seconda del solo fatto che la lesione sia avvenuta nell'ambito della circolazione stradale o meno»;
    con la mozione dell'ottobre del 2011, la Camera dei deputati ha addirittura impegnato il Governo «a ritirare il provvedimento, ingiustificato e lesivo dei diritti dei danneggiati, e a predisporre, in tempi rapidi, un nuovo decreto teso a determinare valori medi di risarcimento del danno biologico per le lesioni di non lieve entità che prendano a riferimento quelli delle tabelle elaborate dal tribunale di Milano»;
    da parte del gruppo Movimento 5 Stelle in Commissione giustizia della Camera dei deputati, in data 28 maggio 2013, è stata presentata la proposta di legge n. 1063 – Bonafede ed altri – tesa ad affermare per via legislativa, senza ulteriori deleghe al Governo, l'adozione dei valori individuati dalle tabelle del tribunale di Milano come parametro unico nazionale per il risarcimento del danno alla persona,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto concernente la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di cui in premessa, in quanto contrario, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, agli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
   ad adottare, nell'ambito della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale comportante lesioni dell'integrità fisica medicalmente accertabili, ai fini di una imprescindibile omogeneità dell'intero quadro risarcitorio, un provvedimento che utilizzi i valori stabiliti dalla tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità approvata dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel marzo 2013 e dalle sue relative successive modifiche;
   a valutare l'opportunità di concorrere alla revisione dell'intero impianto normativo in materia di risarcimento del danno non patrimoniale nell'interesse esclusivo dei cittadini, sulla base dei contenuti enunciati dalla ricordata proposta di legge n. 1063 del 28 maggio 2013.
(1-00021)
(Nuova formulazione) «Colletti, Di Vita, Ciprini, D'Incà, Dadone, D'Uva, Frusone, Mantero, Rostellato, Agostinelli, Nesci, Vacca, Zaccagnini, Bonafede, Businarolo, Ferraresi, Sarti, Baldassarre, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Cecconi, Colonnese, D'Ambrosio, Del Grosso, Fico, Nuti, Terzoni».
(16 aprile 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni, recante il codice delle assicurazioni private, stabilisce, all'articolo 138, la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, nonché, all'articolo 139, la predisposizione, con la medesima procedura, di una specifica tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità;
    finalità degli articoli 138 e 139 del citato decreto legislativo, e dei successivi provvedimenti attuativi, è pertanto la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa della responsabilità civile automobilistica, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità;
    il Ministro della salute ha istituito, il 26 maggio 2004, una commissione di studio, composta dai rappresentanti del medesimo Ministero, dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico, della giustizia, dell'Inail, dell'Ania e da esperti in medicina legale, e successivamente integrata con rappresentanti delle associazioni familiari e vittime della strada e dell'osservatorio della Lega italiana dei diritti dell'uomo;
    i lavori della commissione di studio si sono conclusi con la redazione di uno schema di Tabella, oggetto di una valutazione preliminare del Consiglio dei ministri, il 3 agosto 2011, e successivamente del parere della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, l'8 novembre 2011;
    il 7 giugno 2011, tuttavia, era intervenuta in materia la sentenza della Corte di cassazione n. 12408, la quale aveva stabilito che, nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'articolo 1226 del codice civile deve garantire non solo l'adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie sono decise da differenti uffici giudiziari; dall'affermazione del generale principio di uguaglianza, la Corte di cassazione aveva tratto la conclusione che, sempre in assenza dei criteri stabiliti dalla legge e in virtù dei suoi compiti di indicazione ai giudici di merito di criteri uniformi, i criteri per la liquidazione del danno alla persona fossero individuati nelle cosiddette «tabelle» di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale;
    gli effetti distorsivi derivanti dalla differenziazione territoriale dei risarcimenti dei danni non patrimoniali sono stati rilevati anche nel citato parere del Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che l'esigenza di porre rimedio a tali distorsioni «appare sicuramente condivisibile e coerente con le esigenze ordinamentali di parità di trattamento tra situazioni analoghe, nonché in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione», tra i quali viene ricordata proprio la sentenza della Corte di cassazione, sezione III, 7 giugno 2011, n. 12408;
    se lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, datato marzo 2013 ed avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 sembrerebbe, pertanto, risolvere in via definitiva il problema relativo all'adozione di criteri uniformi su tutto il territorio nazionale dei risarcimenti, dal confronto con le tabelle del tribunale di Milano emerge una riduzione dei valori risarcitori che ha suscitato molte proteste da parte delle associazioni delle vittime di sinistri stradali, che lo hanno considerato «fortemente lesivo della dignità umana e non rispondente alle esigenze di solidarietà consolatorie, riparatorie e satisfattive del danno da r.c. auto»;
    va considerato che il danno alla persona è composto da due componenti: il danno patrimoniale, calcolabile oggettivamente, e il danno non patrimoniale, non calcolabile oggettivamente, ma attribuito «equamente» dai tribunali o dalle tabelle, a sua volta distinto tradizionalmente in danno biologico, ossia il valore della perdita della funzionalità biologica dovuta alla lesione, il danno morale, variabile da caso a caso, tra il 25 ed il 50 per cento del danno biologico, e il danno esistenziale, molto soggettivo e variabile;
    la tabella unica è difficilmente comparabile con le tabelle del tribunale di Milano, poiché queste regolamentano tutto il danno non patrimoniale, inglobando accanto al danno biologico anche il danno morale con riferimento ad una liquidazione congiunta complessiva dei danni riconosciuti, mentre la tabella unica prevista nello schema di decreto del Presidente della Repubblica regolamenta il solo danno biologico «standard», ferma restando la necessità di determinazione aggiuntiva dell'eventuale danno morale, poiché, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, gli importi possono essere aumentati nella misura massima del 30 per cento per le macrolesioni e del 20 per cento per le lesioni lievi, quando la menomazione incida su aspetti dinamico relazionali della persona;
    indubbiamente, ragionare sulla congruità dell'ammontare dei risarcimenti è un esercizio difficile, perché attiene a un valore non monetizzabile, pertanto, lo scopo dell'emanando provvedimento dovrebbe essere esclusivamente quello di stabilire convenzionalmente criteri risarcitori certi e uniformi territorialmente, adeguati per le vittime e sostenibili relativamente alla spesa assicurativa;
    peraltro, esiste un'evidente correlazione tra importo dei premi ed entità dei risarcimenti che, per quanto riguarda il settore della responsabilità civile automobilistica, presenta dati articolati e non sempre univoci; tuttavia sono molti i fattori che influenzano il livello dei premi, come rilevato dalle recenti conclusioni dell'indagine svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle procedure di risarcimento diretto e gli assetti concorrenziali del settore;
    tutto ciò rende evidente come sia indispensabile, per il Parlamento, promuovere un approfondimento, mediante un rapido e approfondito confronto sulla materia nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo, sia con tutti gli altri soggetti coinvolti;
    questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti Commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400,

impegna il Governo

a sospendere l’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 fino all'espletamento di un approfondito ma rapido confronto nelle Commissioni parlamentari competenti, così da tenere conto delle indicazioni che emergeranno in tali sedi, anche al fine di garantire l'adeguato contemperamento tra le esigenze di tutelare le vittime degli incidenti stradali e quelle di contenere i costi delle polizze della responsabilità civile automobilistica.
(1-00099)
(Nuova formulazione) «Boccuzzi, Causi, Verini, Martella, Fregolent, Gutgeld, Biffoni, Impegno, Lenzi, Pelillo, Sanga, Antezza, Miotto, Zappulla».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    relativamente al risarcimento del danno biologico per gli incidenti stradali nei casi di invalidità che vanno dal 10 al 100 per cento, l'articolo 138 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il codice delle assicurazioni private, prevedeva la predisposizione – finora mai attuata – di una specifica tabella, unica su tutto il territorio nazionale e da aggiornarsi annualmente, delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso;
    finora la monetizzazione dei danni subiti a seguito di un incidente stradale veniva calcolata sulla base di tabelle predisposte da ciascun tribunale, con la conseguenza di risarcimenti spesso diversi da regione a regione;
    al fine della predisposizione di un'unica tabella valida per l'intero territorio nazionale per il risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra 10 e 100 punti di invalidità, è in via di emanazione un decreto del Presidente della Repubblica, peraltro predisposto dal precedente Governo;
    detto schema di decreto adegua al ribasso i valori risarcitori (con un abbattimento medio del 60 per cento) che risultano così di gran lunga inferiori ai valori proposti dalle tabelle del tribunale di Milano, come recentemente aggiornate, considerate invece congrue dalla stessa Corte di cassazione;
    già l'Aneis (Associazione nazionale esperti infortunistica stradale), il 4 aprile 2013, ha chiesto di «difendere la dignità delle vittime degli incidenti stradali». L'applicazione della nuova tabella, infatti, ridurrebbe fino al 60 per cento i risarcimenti per tali eventi, rispetto ai parametri dettati dalle nuove tabelle del tribunale Milano;
    la stessa Aifvs (Associazione italiana familiari e vittime della strada) ha protestato contro lo schema di decreto del Presidente della Repubblica in via di emanazione, che peraltro mostrerebbe tutta la sua dubbia costituzionalità per il fatto che disciplinerebbe, in patente violazione del fondamentale articolo 3 della nostra Carta costituzionale, in modo diversissimo sotto il profilo monetario, situazioni relative a lesioni personali soltanto per via della genesi del fatto illecito. Peraltro, si preannunciano anche gravissime sperequazioni sotto il profilo della retroattività del provvedimento;
    si tratta di un provvedimento che, come sottolinea ancora l'Aifvs, «per salvaguardare gli interessi delle assicurazioni, vorrebbe mettere da parte anche le indicazioni della Corte di cassazione (sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011) che ha esteso a tutto il territorio nazionale i diffusissimi valori indicati nella tabella del tribunale di Milano, frutto di scrupolosa elaborazione ed assiduo aggiornamento»;
    si ricorda, infatti, che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12408 del 2011, rilevata la disparità esistente fra i tribunali italiani, ha ritenuto di orientare i risarcimenti sui valori delle tabelle dei giudici di Milano, valutate più eque rispetto a quelle degli altri tribunali, in quanto costruite tenendo conto delle disposizioni normative e dei parametri individuati dalla giurisprudenza ai fini della personalizzazione del danno, così come stabiliti dalle famose sentenze «gemelle» a sezioni unite della Corte di cassazione del 2008, sul danno non patrimoniale;
    con l'eventuale approvazione definitiva di questo decreto del Presidente della Repubblica, il risparmio delle società assicuratrici sarà consistente, soprattutto se le tabelle verranno ritenute – come sembra – applicabili anche retroattivamente a tutti i sinistri per i quali non si siano concluse trattative in sede transattiva o non si sia giunti a sentenza definitiva;
    inoltre, dall'esame delle medesime tabelle dello schema di decreto in oggetto, si ricava una disparità tra l'infortunato uomo e l'infortunata donna, laddove la cifra per ogni punto di invalidità «femminile» è inferiore a quello «maschile»;
    va, peraltro, ricordato come le compagnie assicuratrici abbiano finora «beneficiato» sia del fatto che negli ultimi dieci anni – come certifica l'Istat – il numero degli incidenti stradali è andato progressivamente diminuendo, che della riduzione (prevista dal decreto del Ministero della salute del 3 luglio 2003) in questi anni dei risarcimenti da piccole invalidità. Il tutto a fronte di nessuna riduzione dei premi delle polizze per l'assicurazione obbligatoria da responsabilità civile automobilistica;
    questo schema di decreto del Presidente della Repubblica, qualora approvato definitivamente, anziché riconoscere il diritto delle vittime al congruo ed integrale risarcimento del danno, riducendo i risarcimenti, favorisce di fatto i profitti economici e imprenditoriali privati assicurativi a scapito di quei principi di solidarietà e di eguaglianza, anche sociale, sanciti dalla nostra Costituzione,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, di cui in premessa, in quanto ingiustificato e fortemente lesivo dei diritti dei danneggiati a ottenere un equo risarcimento;
   ad assumere iniziative per stabilire che le tabelle del tribunale di Milano siano prese a riferimento da tutti gli uffici giudiziari italiani, quali tabelle per definire l'entità del risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica a seguito di sinistro stradale o, più in generale, a causa di responsabilità civile;
   ad attuare, nell'ambito delle proprie competenze, azioni di contrasto a truffe e abusi ai danni delle compagnie assicuratrici, finalizzati all'ottenimento illegittimo del risarcimento dei danni.
(1-00100)
«Piazzoni, Migliore, Daniele Farina, Aiello, Sannicandro, Nicchi, Ragosta».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, a seguito della riunione del 6 marzo 2013, ha aggiornato i valori per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona derivante da lesione all'integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale;
    gli importi sono stati adeguati all'aumento del costo della vita sulla base degli indici Istat nel periodo gennaio 2011-gennaio 2013, con conseguente incremento del 5,6535 per cento rispetto ai parametri precedentemente in vigore;
    con sentenza n. 12408 del 2011 la Corte di cassazione, ritenendo «intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie siano decise da differenti uffici giudiziari» e «poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi», ha indicato le «tabelle milanesi» quali criteri di riferimento per la stima del danno alla persona;
    il Governo ha dichiarato l'intenzione di procedere all'approvazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209»;
    secondo quanto disposto dallo schema di decreto allo studio del Governo, la liquidazione monetaria delle menomazioni all'integrità psico-fisica ivi prevista è notevolmente più bassa rispetto alle tabelle del tribunale Milano, arrivando addirittura ad una decurtazione del 60 per cento delle predette liquidazioni, il che ha provocato forti reazioni da parte di molte associazioni e familiari delle vittime di incidenti stradali;
    è necessario stabilire criteri risarcitori certi, uniformi, adeguati e sostenibili e assicurare, così, maggiore certezza ai diritti spettanti ai danneggiati, evitando sperequazioni e differenziazioni territoriali ed assicurare tutela del diritto inviolabile alla salute ed un adeguato e dignitoso risarcimento dei danni subiti;
    i costi delle polizze per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada stanno subendo continui rincari, i quali hanno un peso considerevole sui bilanci delle famiglie;
    i rincari sono strettamente collegati al fenomeno, sempre più preoccupante, soprattutto nelle zone del Mezzogiorno, delle frodi assicurative. Se pure è stata dimostrata la forte incidenza del peso delle frodi sui costi delle polizze, questa non può tuttavia rappresentare un elemento di giustificazione da parte delle compagnie di assicurazione dell'incremento delle stesse polizze, a danno esclusivo dei consumatori onesti;
    nella XVI legislatura, gli interventi nel settore delle assicurazioni sono stati operati con il decreto-legge n. 1 del 2012 (il cosiddetto «decreto liberalizzazioni»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, e con il decreto-legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto «decreto crescita»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012. Con il decreto legge n. 1 del 2012, in particolare, sono state previste una serie di disposizioni volte a rendere maggiormente concorrenziale e trasparente il settore assicurativo al fine di ridurre il costo delle polizze, anche attraverso il contrasto delle frodi;
    l'insieme degli interventi adottati non sembra aver avuto effetti decisivi rispetto all'obiettivo del contenimento dei costi delle polizze a beneficio dei consumatori;
    inoltre, la tabella relativa alle menomazioni di lieve entità, emanata ai sensi dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private, risulta essere molto più bassa di quella prevista dalle tabelle del tribunale di Milano;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, ha esteso l'applicazione della tabella ex articolo 138 del codice delle assicurazioni private alle menomazioni causate da responsabilità medica e, pertanto, ha tagliato la misura dei risarcimenti a tutt'oggi riconoscibili, con evidenti effetti dissuasivi all'incardinamento del contenzioso giudiziale,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto che definisce la tabella unica nazionale per il risarcimento standard del danno biologico alle vittime degli incidenti stradali, in attuazione dell'articolo 138 del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005);
   ad orientare la propria attività politica, nell'ambito della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale comportante lesioni dell'integrità fisica medicalmente accertabili, ai fini di un'imprescindibile omogeneità dell'intero quadro risarcitorio, nella direzione di un'ottemperanza della tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità approvata dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel marzo 2013 e delle sue relative successive modifiche;
   ad adottare iniziative più incisive per favorire la riduzione del costo dei premi relativi alla copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada a carico degli assicurati, anche attraverso il rafforzamento delle azioni di contrasto alle frodi che abbiano, come primo obiettivo, quello di evitare che le gravi inefficienze del settore assicurativo vengano pagate dagli onesti assicurati.
(1-00101)
«Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Rondini, Gianluca Pini, Prataviera».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    spetta al Governo procedere all'adozione della proposta di decreto del Presidente della Repubblica contenente il regolamento che attua l'articolo 138 del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005); tale provvedimento consente di stabilire in maniera univoca, a livello nazionale, i valori economici e medico-legali per la liquidazione del danno in sede assicurativa in ordine alla responsabilità civile automobilistica;
    una bozza dello schema di decreto citato, di cui è stata data notizia negli scorsi mesi, contiene la tabella unica nazionale per il risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra 10 e 100 punti di invalidità;
    la tabella unica in questione si riferisce solo al danno biologico «standard», in quanto gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni consentono di aumentare l'importo risultante dall'applicazione della tabella fino al 30 per cento e al 20 per cento, rispettivamente per le macrolesioni e le microlesioni, laddove la menomazione accertata condizioni pesantemente determinati aspetti della persona;
    risulta ai sottoscrittori del presente atto di indirizzo che il Ministro della salute pro tempore, onorevole Renato Balduzzi, abbia valutato di non sottoporre al Consiglio dei ministri il relativo schema di decreto (frutto di un lungo, ma non costruttivo, confronto tra le parti interessate e gli uffici del Ministero competente), in quanto l'applicazione della nuova tabella avrebbe comportato la riduzione sino al 60 per cento dei risarcimenti per tali eventi, rispetto ai parametri dettati dalle tabelle del tribunale di Milano (alle quali la Corte di cassazione ha fatto rinvio per determinare il valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona da applicare all'intero territorio nazionale; tabelle che contemplano, oltre al danno biologico, anche quello morale), con conseguenze fortemente pregiudizievoli per le vittime degli incidenti stradali;
    spetta al decreto citato di fissare in maniera univoca i valori economici e medico-legali per la valutazione del risarcimento del danno derivante alla persona dalla circolazione stradale, applicabili anche alle persone danneggiate da eventi connessi alla responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189;
    la base giuridica del decreto citato, cioè gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, deve essere integrata con il riferimento all'evoluzione giurisprudenziale della nozione di danno biologico;
    esiste la riconosciuta esigenza, da un lato, di dettare criteri certi per evitare sperequazioni territoriali e un'indiscriminata corsa al rialzo, non correlata al concreto bene giuridico tutelato, dei valori risarcitori; dall'altro, di addivenire ad una progressiva, ma certa, diminuzione dei premi assicurativi, sia per quanto attiene alla responsabilità civile automobilistica, sia per quanto concerne la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie,

impegna il Governo

a riconsiderare prontamente, sul solco di quanto già avviato dal competente Ministero nei primi quattro mesi dell'anno 2013, l'intera problematica, valutando l'adeguatezza della base giuridica su cui adottare il citato decreto del Presidente della Repubblica e ispirandosi all'esigenza di dare congrua e piena soddisfazione alle vittime di incidenti stradali e di eventi avversi in campo sanitario, nel contempo perseguendo, anche attraverso la prosecuzione dei lavori del tavolo tra le categorie e le associazioni interessate, l'obiettivo di dare certezza all'intero comparto, anche al fine di permettere una graduale, ma significativa, riduzione dei premi assicurativi.
(1-00102)
«Gigli, Binetti, Balduzzi, Sottanelli, Oliaro, Schirò Planeta, Sberna, Cera, Vargiu, Monchiero».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    è in discussione l'approvazione da parte del Governo del decreto del Presidente della Repubblica in attuazione degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), che predispone una specifica tabella unica su tutto il territorio nazionale delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra dieci e cento punti, nonché del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso;
    finalità dei suddetti articoli è, pertanto, la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa responsabilità civile auto, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità, con l'obiettivo, dunque, di ovviare ad un sistema eterogeneo fondato su tabelle predisposte dai singoli tribunali ed eventualmente suscettibili di dar vita a forti disuguaglianze e disparità di trattamento tra le vittime dei sinistri;
    fino ad oggi infatti tali valutazioni sono riservate alla giurisprudenza; recentemente la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 emessa dalla III sezione della Corte di cassazione ha esteso a tutto il territorio nazionale la tabella seguita dal tribunale di Milano (da tempo spontaneamente adottata da molti altri tribunali), dichiarando che gli importi risarcitori contenuti in quella tabella rappresentano il valore da ritenersi equo. Tale orientamento è stato confermato dalle sentenze Cass. civ. sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402, Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7272, e dall'ordinanza 4 gennaio 2013, n. 134;
    in particolare, con la sentenza n. 12408 del 2011 la Corte di cassazione ha ritenuto le tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano le più «congrue» sia per il metodo di calcolo, sia per i valori risarcitori; va rilevato, inoltre, che le suddette tabelle rappresentavano e rappresentano ancora il frutto di un annoso e meditato dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di danno alla persona;
    lo schema di decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 all'attenzione dell'Esecutivo, risulta essere profondamente penalizzante nei confronti delle vittime, in quanto produrrebbe, rispetto alle tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano, una consistente riduzione del risarcimento del danno biologico;
    per questo motivo si sono avute forti reazioni da parte delle molte associazioni dei consumatori e dei familiari delle vittime di incidenti stradali che ritengono il provvedimento fortemente lesivo del diritto di tutti i danneggiati ad un adeguato e dignitoso risarcimento dei danni subiti;
    sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica si è espresso in sede consultiva il Consiglio di Stato, con il parere reso all'adunanza generale in data 8 novembre 2011, rilevando che potrebbero derivare possibili effetti distorsivi connessi all'applicazione ai soli sinistri stradali degli indici parametrici di cui alle tabelle, rispetto ad analoghe situazioni di lesioni, non intervenute nell'ambito della circolazione stradale, chiedendo al Ministero di valutare l'opportunità di un'eventuale modifica normativa;
    pertanto, alla luce della delicatezza e dell'importanza del tema, che incide su diritti costituzionalmente garantiti, si reputa indispensabile per il Parlamento promuovere un approfondimento della materia, nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo che con tutti i soggetti coinvolti, mediante un'indagine conoscitiva e lo svolgimento di specifiche audizioni, che tengano conto della giurisprudenza della Corte di cassazione e dell'importanza che riveste oggi in tale settore l'utilizzo, come parametro di riferimento, dei valori risarcitori previsti nelle tabelle del tribunale di Milano;
    questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
    inoltre, l'approfondimento suddetto risulta necessario in virtù della sopravvenienza normativa costituita dalla disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, che in materia di responsabilità professionale ha specificato che il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui ai già citati articolo 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005,

impegna il Governo

ad adottare il decreto del Presidente della Repubblica recante la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di cui in premessa, considerata l'importanza di uno strumento che garantisca certezza e uniformità valutativa al risarcimento del danno, solo successivamente ad un rapido, ma approfondito esame della materia da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che potranno eventualmente disporre un'indagine conoscitiva sull'argomento, con particolare riguardo al valore pecuniario attribuito ad ogni singolo punto di invalidità, alle modalità di adeguamento periodico della stessa e alle conseguenze sui premi delle polizze, al fine di garantire un giusto risarcimento alle vittime di gravi handicap psicofisici.
(1-00103)
(Nuova formulazione) «Costa, Sisto, Baldelli, Abrignani».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il Governo sta predisponendo lo schema di decreto del Presidente della Repubblica contenente la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti, prevista dall'articolo 138 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
    la tabella dovrà riportare il valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità tra dieci e cento punti, comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, analogamente a come è già previsto per le lesioni di lieve entità, cioè comprese tra uno e nove punti di invalidità, dall'articolo 139 dello stesso codice delle assicurazioni private, a decorrere dal marzo del 2012;
    l'emanazione delle tabelle nasce dalla richiesta delle vittime di ottenere un sistema risarcitorio uniforme su tutto il territorio nazionale, posto che, sino a quando l'entità del risarcimento del danno ad esse riconosciuto era affidato unicamente alla discrezionalità dei giudici, venivano a crearsi delle discriminazioni de facto tra residenti nel sud Italia e residenti nelle regioni del Nord, a causa dell'estrema variabilità degli importi riconosciuti;
    sino ad oggi, nelle more dell'emanazione della tabella, si è proceduto ad un'unificazione dei parametri applicando su tutto il territorio nazionale le cosiddette tabelle del tribunale Milano, riconosciute da una sentenza della Corte di cassazione del 2011 quali quelle che meglio rappresentavano il principio di equità nel risarcimento del danno alla salute e all'integrità psicofisica;
    il fenomeno degli incidenti stradali nel nostro Paese, pur essendo lievemente in calo, comporta ancora costi altissimi in termini di vite umane e di danni alla salute, nonché in termini di costi sociali che ne conseguono, stimati in circa trenta miliardi di euro all'anno;
    si pensi che, a tutt'oggi, sulle nostre strade ogni giorno vengono ferite in media ottocento persone, mentre undici perdono la vita, e una percentuale molto elevata di queste vittime interessa i più giovani;
    se si considera che ogni anno il risultato di questo terribile flagello sono migliaia di persone che perdono un proprio caro o che sono condannate alla disabilità permanente, ci si rende conto come già di per sé la quantificazione di un simile danno sia di grandissima difficoltà, posto che alcuna cifra potrà mai degnamente ripagare le vittime;
    peraltro, il diritto che viene ad essere leso non è solo quello alla salute ed all'integrità psicofisica, bensì anche quello al lavoro, considerato che molte vittime, a causa delle menomazioni subite, non riescono più a svolgere il proprio lavoro;
    sembra che nella tabella allo studio del Governo i parametri di riferimento per la liquidazione dei danni siano di entità inferiore a quelli applicati sinora nel rispetto delle tabelle del tribunale Milano;
    questo si tradurrà in un danno ulteriore a carico delle vittime di incidenti, già gravate, peraltro, anche sul versante giudiziario dalla mancanza di effettività della pena in grande parte dei procedimenti giudiziari che riguardano gli omicidi colposi per violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale;
    inoltre, procedere proprio in un momento di crisi economica, come quello che il nostro Paese sta attraversando, ad una riduzione dell'entità dei risarcimenti penalizzerà, in modo ingiustificabile, doppiamente proprio le persone che non possono più lavorare a causa dei danni riportati,

impegna il Governo:

   ad assicurare, nell'approvazione della tabella di cui in premessa, che essa non comporti una riduzione dei parametri sin qui applicati, nel rispetto, da un lato, della citata sentenza della Corte di cassazione, e, dall'altro, delle vittime degli incidenti e dei loro diritti costituzionalmente riconosciuti;
   a promuovere iniziative di sensibilizzazione al tema delle conseguenze derivanti dagli incidenti stradali, anche evidenziando il disvalore sociale della guida irresponsabile e pericolosa.
(1-00104)
«Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa».
(17 giugno 2013)

MOZIONI CONCERNENTI MISURE PER IL RILANCIO DELL'OCCUPAZIONE GIOVANILE

   La Camera,
   premesso che:
    fra i segnali più indicativi, sul piano economico e sociale, della gravità dell'attuale crisi economico-finanziaria che sta vivendo l'Unione europea, il più evidente risulta la crescita del tasso di disoccupazione;
    particolarmente preoccupante è l'andamento della disoccupazione giovanile: nel marzo 2013 ben 5,7 milioni di giovani, di cui 3,6 milioni nell'area euro, erano privi di lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile ha superato il 23,5 per cento nell'Europa a 27 e il 24 per cento nell'area euro, in aumento di 1,5 punti percentuali su base annua;
    la situazione, addirittura drammatica in Grecia, dove il tasso di disoccupazione giovanile tocca quasi il 60 per cento, e in Spagna (oltre il 55 per cento), appare tuttavia ormai insostenibile anche in Italia: nel nostro Paese il tasso di disoccupazione giovanile ha, infatti, toccato il 40,5 per cento;
    i dati sono ancora più allarmanti nelle aree in ritardo di sviluppo, dove l'elevatissimo tasso di disoccupazione giovanile si inserisce in un contesto già profondamente segnato dal disagio economico e sociale, acuendo i rischi di tensioni e conflittualità;
    la crescente difficoltà di trovare occasioni di lavoro stabili e regolari priva le giovani generazioni del diritto di guardare al proprio futuro con ragionevoli aspettative di realizzazione e li costringe a un'umiliante condizione di vulnerabilità, incertezza e precarietà e di dipendenza economica dalle famiglie di origine;
    non possono esservi solide prospettive di ripresa economica e di crescita se le giovani generazioni sono costrette a una condizione di inattività; significativa, al riguardo, è la crescita costante della percentuale di giovani che appaiono totalmente privi di fiducia nel loro avvenire non lavorando e non partecipando a nessun ciclo di formazione e istruzione (i cosiddetti neet): nell'Unione europea si tratta ormai di circa il 13 per cento dei giovani compresi tra i 15 e i 29 anni;
    le dimensioni del fenomeno impongono l'immediata adozione di misure appropriate, per entità delle risorse da stanziare e per la necessità di invertire rapidamente le tendenze in atto, al fine di allargare la base occupazionale, di offrire alle giovani generazioni credibili prospettive di formazione e di lavoro stabile e non precario, attraverso quelle reali politiche attive del lavoro che sono elemento essenziale del rilancio del modello sociale europeo;
    in questa materia l'adozione di iniziative a livello europeo risulta imprescindibile, in primo luogo perché l'esperienza ha dimostrato che non è possibile affidare alle limitate forze dei singoli Stati membri il compito di affrontare un'emergenza che ha assunto ormai le dimensioni cui si è fatto riferimento a prescindere da una strategia complessiva ed organica. Ciò vale, in particolare, per i Paesi i cui margini di intervento finanziari sono particolarmente ristretti per i vincoli derivanti dall'obbligo di perseguire politiche di risanamento del bilancio pubblico. In secondo luogo, non va sottovalutato il rischio che l'assenza di adeguate risposte da parte dell'Unione europea alimenti anche nelle giovani generazioni la disaffezione, già ampiamente diffusa, nei confronti delle istituzioni europee e mini la fiducia nel progetto dell'integrazione europea, che si aggiunge al rischio socio-politico già evidenziato dalla fase recessiva. Ciò sarebbe particolarmente grave, stante il fatto che le giovani generazioni sono quelle che hanno una più elevata consapevolezza dell'identità europea e appaiono più propense alla mobilità e allo scambio di esperienze formative e di lavoro: una mobilità che necessità di adeguato sostegno, con particolare riferimento ai programmi di scambio come il programma Erasmus (che attualmente rappresenta appena lo 0,35 per cento del budget europeo, che a sua volta rappresenta circa l'1 per cento del prodotto interno lordo europeo). In terzo luogo, il differenziale tra le condizioni occupazionali per i giovani all'interno dell'Unione europea (dal 59,1 per cento della Grecia al 7,6 per cento di Austria e Germania) può alimentare le frizioni interne che mettono a repentaglio la tenuta e la solidità dell'Unione stessa;
    nel dicembre del 2012 la Commissione europea ha delineato, con il Youth employment package, una strategia volta a contrastare la disoccupazione giovanile e l'esclusione sociale attraverso una serie di misure dirette a promuovere l'offerta di lavoro, l'istruzione e la formazione, raccomandando l'impegno degli Stati membri a tradurre concretamente, per quanto di loro competenza, le indicazioni fornite;
    il Consiglio europeo ha successivamente stanziato 6 miliardi di euro, nell'ambito del quadro finanziario pluriennale per il periodo 2014-2020, allo scopo di sostenere le misure in materia di occupazione giovanile proposte dalla Commissione europea nel dicembre 2012, con particolare riguardo al progetto denominato Youth guarantee;
    tale progetto, ispirato alle esperienze di alcuni Paesi (come Austria e Finlandia), è diretto a sostenere l'investimento nel capitale umano dei giovani fino ai 25 anni, al fine di conseguire gli obiettivi previsti dalla strategia «Europa 2020»: un tasso di occupazione del 75 per cento; il 40 per cento di laureati nella fascia tra 30 e 34 anni; un tasso di dispersione scolastica al di sotto del 10 per cento e la sottrazione alla povertà e all'esclusione sociale di 20 milioni di persone all'interno dell'Unione europea;
    le iniziative finora adottate richiedono, come prospettato dall'Unione europea, una forte mobilitazione degli Stati membri (i Governi dell'Unione europea si sono impegnati a istituire programmi nazionali di Youth guarantee sulla base del modello sociale comunitario) e delle parti sociali secondo una logica di partenariato attivo;
    come notato nel memo della Commissione europea «EU measures to takle youth unemployment» del 28 maggio 2013, il costo dell'adozione di queste misure è molto più basso del costo dell'inazione, per le condizioni economiche presenti e per i rischi conseguenti di esclusione, povertà e salute;
    il prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013 dovrebbe dedicare un'attenzione particolare a questo tema, anche a seguito delle sollecitazioni e delle iniziative adottate al riguardo da diversi Paesi, tra cui in particolare l'Italia,

impegna il Governo:

   a intervenire, in occasione del prossimo Consiglio europeo, per verificare la possibilità di stanziare ulteriori risorse nell'ambito del fondo sociale europeo per il finanziamento di progetti volti a contrastare in maniera efficace la disoccupazione giovanile attraverso l'offerta di lavoro stabile e regolare e a sostenere programmi di elevata qualità di istruzione e formazione per i giovani adeguati alle esigenze più avanzate del mercato del lavoro, verificando in questo contesto anche l'adeguata implementazione dei programmi per la mobilità, con particolare riferimento a Eures e al programma Erasmus for all, volto a supportare le opportunità di studio, formazione e volontariato all'estero per 4 milioni di europei dal 2014 al 2020, con un budget complessivo di 14,5 miliardi di euro (il doppio dei programmi attuali);
   a ottenere che la quota parte delle risorse spettante all'Italia nell'ambito dello stanziamento complessivo di 6 miliardi di euro per la Youth employment initiative possa essere impegnato nella massima misura possibile già nel 2014;
   a promuovere con urgenza le misure necessarie in materia di adattamento dei centri per l'impiego (attraverso cui, secondo alcune stime, attualmente trovano lavoro solo il 2,7 per cento dei giovani) per supportare al meglio le iniziative a favore dell'occupazione giovanile;
   a manifestare l'esigenza di un più stretto collegamento tra le politiche attive del lavoro e il circuito scuola-università-lavoro, utilizzando le sinergie nell'ambito del fondo sociale europeo per portare il livello di istruzione italiano all'altezza delle esigenze del sistema produttivo e per abbattere il «costo dell'ignoranza», ovvero il divario che impedisce all'Italia una piena partecipazione a una società europea della conoscenza, intervenendo, in particolare, sugli elementi essenziali per conseguire gli obiettivi europei della «strategia 2020» in merito al livello di laureati nella popolazione adulta e alla riduzione della dispersione scolastica, favorendo azioni mirate di sostegno al diritto allo studio e l'avvio di un piano nazionale per l'edilizia scolastica;
   a impegnarsi, nel contesto delle misure del pacchetto e di un generale orientamento sul capitale umano come base per crescita attraverso la creazione di un circuito virtuoso europeo tra formazione e impresa, a promuovere l'entrata in vigore entro l'estate 2013 dell'alleanza europea per l'apprendistato, volta a promuovere i programmi di apprendistato che hanno avuto maggior successo e a sviluppare curricula comuni per le professioni e adeguati sistemi di riconoscimento degli apprendistati effettuati all'estero;
   a valutare la possibilità di promuovere a livello europeo l'introduzione di misure premiali e/o sanzionatorie con riferimento all'impiego delle risorse utilizzabili allo scopo, per cui una quota dei fondi disponibili verrebbe assegnata ai Paesi che conseguono gli obiettivi stabiliti e la parte non utilizzata di risorse preassegnate sarebbe revocata se non utilizzata, in questo modo introducendo un meccanismo volto a responsabilizzare gli Stati membri ad impiegare rapidamente e in maniera efficace le risorse a disposizione;
   ad adottare sul piano nazionale tutte le iniziative necessarie per realizzare al più presto progressi concreti e apprezzabili in materia (con particolare riferimento alla possibilità di defiscalizzazione per le assunzioni dei giovani a tempo indeterminato da parte delle imprese), anche utilizzando quota parte delle risorse ancora disponibili e non impegnate relative alle politiche di coesione per il periodo 2007-2013, oltre che quelle previste per il periodo 2014-2020, come prospettato dal Consiglio europeo del 22 maggio 2013.
(1-00070)
(Nuova formulazione) «Ascani, Rostellato, Calabria, Tinagli, Scotto, Prataviera, Giorgia Meloni, Alfreider, Speranza, Bonomo, Boschi, Bosco, Braga, Capozzolo, Chaouki, Cimbro, Coccia, Cominelli, Crimì, Culotta, Marco Di Maio, Donati, Fanucci, Fedriga, Gadda, Gregori, Gribaudo, Laforgia, Lattuca, Lotti, Madia, Moretto, Moscatt, Narduolo, Paris, Picierno, Giuditta Pini, Quartapelle Procopio, Raciti, Rampi, Scopelliti, Tentori, Ventricelli, Zardini, Manzi, Damiano, Rizzetto, Baldassarre, Ciprini, Pinna, Giammanco, D'Incecco, Cardinale, Costantino, Ricciatti, Dorina Bianchi, Antezza, Boccuzzi, Miotto».
(5 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Unione europea ha recentemente lanciato un'importante iniziativa a favore dell'occupazione giovanile, mirata, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione, i cosiddetti neet, nelle regioni dell'Unione europea con un tasso di disoccupazione giovanile, nel 2012, superiore al 25 per cento. Si tratta della cosiddetta garanzia per i giovani (youth guarantee), il nuovo pacchetto occupazionale europeo;
    la principale novità è legata all'istituzione di un fondo europeo di garanzia per l'occupazione giovanile, circa sei miliardi di euro dal 2014 al 2020, dei quali 3 miliardi di euro provenienti da una linea di bilancio specifica e gli altri 3 miliardi di euro dal Fondo sociale europeo. I fondi destinati all'iniziativa intendono rafforzare e accelerare le misure descritte nel pacchetto per l'occupazione giovanile del dicembre 2012. Tali fondi verranno messi a disposizione degli Stati membri per finanziare, nelle regioni per le quali è ammessa la contribuzione, misure attuative della raccomandazione relativa alla garanzia per i giovani concordata nell'ambito del Consiglio dei ministri del lavoro e degli affari sociali dell'Unione europea del 28 febbraio 2013;
    va ricordato che l'Italia rientra, purtroppo, nei parametri fissati di accesso al fondo. Infatti, secondo quanto riportano i dati Istat, nel gennaio 2013 il tasso di disoccupazione per i 15-24enni è salito al 38,7 per cento rispetto al 37,1 per cento del dicembre 2012. In particolare, il fenomeno dei neet in Italia è cresciuto esponenzialmente. Stando al Rapporto sul benessere equo e sostenibile del 2013, nel 2009, anno di inizio della crisi, i neet erano il 19,5 per cento, mentre in due anni, nel 2011, sono cresciuti di oltre tre punti percentuali, raggiungendo il 22,7 per cento. Il dato sui neet è particolarmente allarmante in quanto spia di un disagio estremo, prima di tutto psicologico, che diventa particolarmente acuto se si considera che tra tutti i neet, l'8,8 per cento è costituito da laureati che, quindi, non possono neppure accedere ad un livello più alto di formazione per potersi rimettere in gioco. Del resto, gli strumenti comunitari di garanzia per i giovani sono già attivi in alcuni Stati membri, come la Svezia e la Finlandia, e si sono dimostrati particolarmente positivi nel rilancio del mercato del lavoro dei giovani;
    l'esperienza della partecipazione italiana agli strumenti finanziari europei dimostra come sia assolutamente necessario approntare meccanismi di coordinamento a livello nazionale e territoriale in grado di operare a livello di sistema Paese, per ottenere i massimi benefici in termini di messa in atto delle politiche europee;
    la garanzia per i giovani dovrebbe essere rivolta, in particolare, a tutti i giovani compresi nella fascia di età dai 15 ai 29 anni che hanno appena terminato gli studi, hanno perso un lavoro, sono inseriti in percorsi formativi e di apprendistato, nel rispetto delle definizioni stabilite dalla normativa europea. A differenza della proposta comunitaria, che fissa il limite di 25 anni per i giovani che possono accedere agli schemi di garanzia per i giovani, tali misure andrebbero estese fino ai 29 anni, in virtù della particolare configurazione demografica del nostro Paese e visto che tale limite è quello utilizzato dai principali istituti di statistica per inquadrare la problematica dei neet in Italia,

impegna il Governo:

   a riconoscere l'estrema importanza degli strumenti comunitari messi in atto per il rilancio dell'occupazione giovanile, mirati, in particolare, a favorire l'integrazione nel mercato del lavoro di giovani disoccupati al di fuori di ogni ciclo di istruzione e formazione (neet);
   a mettere in campo tutte le misure necessarie a recepire il sistema europeo di garanzia per i giovani, istituendo una serie di meccanismi d'intervento differenziati su più livelli, e, quindi: a) misure di contrasto alla dispersione scolastica e di sostegno al rientro nei percorsi di studio; b) misure a sostegno dell'inserimento lavorativo dei giovani diplomati e laureati; c) contrasto alla segmentazione generazionale del mercato del lavoro e della segregazione di genere;
   a potenziare ed armonizzare il ruolo dei centri per l'impiego, e di tutti gli strumenti per le politiche attive sul lavoro, su tutto il territorio nazionale, rafforzandone le prerogative e istituendo una figura professionale di consulenza in materia di politiche europee per l'occupazione, attivazione dei fondi specifici e orientamento mirato;
   ad attivare adeguate sedi di confronto con i rappresentanti delle regioni e delle amministrazioni locali nonché con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su base nazionale, al fine di predisporre un'azione coordinata e condivisa per dare attuazione alle misure volte a favorire l'occupazione giovanile previste dal programma di garanzia per i giovani;
   a valutare la possibilità di assumere le necessarie iniziative per istituire, al più presto e in armonia con le previsioni di bilancio, un fondo nazionale per l'attuazione della garanzia per i giovani, composto dalla quota assegnata al nostro Paese da parte del fondo europeo di garanzia per i giovani e da ulteriori risorse previste anche da altre linee di intervento comunitarie, nel quadro della programmazione 2013-2020;
   ad assumere iniziative per dare vita alla defiscalizzazione ed alla decontribuzione delle nuove assunzioni a tempo indeterminato per i giovani per un periodo adeguato.
(1-00034)
(Ulteriore nuova formulazione) «Gregori, Rizzetto, Polverini, Epifani, Speranza, Damiano, Ferro, Miccoli, Bellanova, Pastorino, Carella, Casellato, Carnevali, Culotta, Cinzia Maria Fontana, Tino Iannuzzi, Giuseppe Guerini, Gribaudo, Lorenzo Guerini, Guerra, Marco Di Maio, Antezza, Moretto, Cominelli, Moscatt, Ascani, Bonomo, Narduolo, Quartapelle Procopio, Raciti, Baruffi, Faraone, Paris, Giorgio Piccolo, Gnecchi, Madia, Tentori, Zappulla, Albanella, Pizzolante, Coccia, Boccuzzi, Martelli».
(8 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la crisi dell'occupazione giovanile, inasprita dalla crisi globale economica e finanziaria, si rispecchia nell'alto tasso di disoccupazione, nella scarsa qualità dell'offerta di lavoro per i giovani e nell'ingresso lento e tardivo nel mercato del lavoro a condizioni dignitose;
    nel 2012, quasi 75 milioni di persone giovani nel mondo sono risultate fuori dal mercato del lavoro, 4 milioni in più rispetto al 2007; più di 6 milioni di loro, inoltre, hanno smesso di cercare lavoro;
    i dati del primo trimestre 2013 non sono più confortanti: nel marzo 2013 5,7 milioni di giovani erano privi di occupazione, dei quali 3,6 milioni nell'area euro; il tasso di disoccupazione giovanile ha registrato un più 23,5 per cento nell'Europa a 27 ed un 24 per cento pieno nell'area euro, in aumento di 1,5 punti percentuali su base annua;
    per affrontare il problema occorrono misure urgenti ed innovative, affinché nel lungo periodo non si erediti una generazione persa con relative problematiche socio-economiche-assistenziali;
    la carenza di posti di lavoro regolari e stabili impedisce alle giovani generazioni di pianificare il proprio futuro, relegandoli ad una permanente condizione adolescenziale di dipendenza dalle proprie famiglie;
    nelle conclusioni della Conferenza internazionale del lavoro 2012 è emersa l'urgenza di promuovere politiche macroeconomiche a favore dell'occupazione e incentivi fiscali che supportino una maggiore domanda aggregata e aumentino gli investimenti produttivi che migliorano la capacità di creare posti di lavoro e l'accesso al credito;
    in particolare, il rapporto della Commissione sull'occupazione giovanile ha rilevato l'urgente bisogno, per promuovere e mantenere posti di lavoro dignitosi e produttivi per i giovani, di invertire la tendenza, perché le politiche macroeconomiche messe in campo sono state inefficaci e non hanno portato un numero sufficiente di posti di lavoro, in generale, e per i giovani, in particolare;
    le recenti dichiarazioni del Ministro per la coesione territoriale, Carlo Trigilia, di destinare 1 miliardo di euro dei fondi dell'Unione europea in favore del lavoro dei giovani, ma solo al Sud del Paese, non lasciano supporre alcun cambio di rotta nelle strategie occupazionali;
    il Ministro, infatti, nel corso dell'audizione parlamentare del 12 giugno 2013, ha illustrato l'obiettivo del Governo di creare 50 mila nuovi posti di lavoro grazie alla decontribuzione e condizioni per ulteriori 100 mila giovani di avvicinarsi all'attività di impresa attraverso tirocini, incentivi all'imprenditorialità o alla formazione di cooperative, ma soltanto nelle regioni Campania, Calabria e Puglia;
    la scelta di assegnare, nel quadro di un'azione di riprogrammazione delle risorse dei fondi europei a rischio disimpegno, solo al Mezzogiorno le risorse per il lavoro è, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, palesemente discriminante ed irresponsabile nei confronti dei tanti giovani disoccupati del Nord,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per garantire l'uniformità di trattamento sul territorio nazionale – in termini di agevolazioni, esenzioni ed incentivi – a tutti i giovani disoccupati del nostro Paese ed alle imprese che intendano ampliare la base occupazionale, senza priorità alcuna ai lavoratori/disoccupati del Mezzogiorno.
(1-00105)
«Prataviera, Fedriga, Allasia, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la pesante crisi economica che l'Europa sta attraversano colpisce in modo particolarmente duro i giovani. Dati recenti parlano di 5,7 milioni di giovani che non lavorano in Europa: di questi, 3,6 milioni si concentrano nell'area euro;
    a questo fenomeno si aggiunge quello altrettanto preoccupante dei cosiddetti neet (not in education, employment or training), i giovani tra i 15 ed i 29 anni che non studiano e non lavorano;
    molti studi informano che in Europa circa 14 milioni di giovani possono essere considerati a tutti gli effetti neet. Si tratta di una cifra impressionante, pari al totale della popolazione di vari Stati componenti l'Unione europea;
    in Italia il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato ormai quota 40,5 per cento, ma ha superato il 50 per cento nelle aree del Mezzogiorno, con alcune punte ancora maggiori in varie zone del Sud del nostro Paese. I neet italiani, invece, sono circa 2,2 milioni;
    sommando le due tipologie di giovani non occupati risulta che il costo stimato della disoccupazione giovanile si aggira intorno ai 32 miliardi di euro;
    oltre ai costi economici, però, la disoccupazione di larga parte della popolazione giovanile, sia europea sia italiana, ha pesanti ricadute negativi anche in campo sociale e politico, allontanando drasticamente i giovani dalle istituzioni e rendendo sempre più difficile una loro emancipazione dalle famiglie di origine;
    per contrastare questo preoccupante fenomeno, l'Unione europea si è attivata mettendo in atto concrete politiche di contrasto alla disoccupazione che tentano di consentire un maggiore e più rapido inserimento dei giovani nel mercato del lavoro;
    strumento principale di questa azione europea è la misura detta Youth guarantee, che mette per ora a disposizione sei miliardi di euro per le regioni europee che abbiano un tasso di disoccupazione giovanile molto alto, al fine di reinserire i giovani in percorsi di studio o nel mercato del lavoro in tempi molto brevi. Si sta cercando di ottenere un aumento delle risorse messe a disposizione da questa misura;
    le iniziative europee, però, da sole non bastano. La stessa Unione europea, infatti, ha chiesto un importante impegno dei singoli Stati membri nell'azione di affiancamento di quanto messo in campo dalle istituzioni sovranazionali;
    per quel che riguarda in particolare l'Italia, ed ancor più il Mezzogiorno del nostro Paese, le misure comprese nella Youth guarantee, ed anche tutti gli altri provvedimenti quali la riduzione del cuneo contributivo e fiscale e quelli finalizzati al sostegno della domanda, sono certamente importanti, ma non portano a risultati immediati;
    è, invece, di tutta evidenza il fatto che in Italia sia necessario mettere in campo in tempi brevissimi concrete misure di sostegno all'occupazione giovanile;
    la cosiddetta «staffetta generazionale» appare strumento estremamente utile per affrontare con decisione una situazione che, se è difficile ovunque, è particolarmente tragica nel Mezzogiorno d'Italia, cronicamente afflitto dal fenomeno della disoccupazione ed ora colpito con particolare durezza dalla crisi che si sta vivendo;
    la staffetta generazionale non è certo un'idea peregrina o utopistica. Infatti, già la cosiddetta «legge Treu», la legge n. 196 del 1997, all'articolo 13, comma 4, lettera b), stabiliva che la maggiore misura della riduzione delle aliquote contributive prevista si applica ai «contratti di lavoro a tempo parziale in cui siano trasformati i contratti di lavoro intercorrenti con lavoratori che conseguono nei successivi tre anni i requisiti di accesso al trattamento pensionistico, a condizione che il datore di lavoro assuma, con contratti di lavoro a tempo parziale e per un tempo lavorativo non inferiore a quello ridotto ai lavoratori predetti, giovani inoccupati o disoccupati di età inferiore a trentadue anni»;
    successivamente, molte sono state le proposte per migliorare l'istituto della staffetta tra generazioni nel mondo del lavoro e oggi essa viene sperimentata in regioni quali il Piemonte, la Lombardia, l'Emilia-Romagna, mentre è utilizzata con successo in vari Stati europei, tra i quali la Germania, laddove lo Stato ha accettato di aiutare chi voleva lasciare il lavoro, per farsi sostituire da un giovane, riconoscendo i contributi figurativi mancanti per il raggiungimento della pensione;
    già il Presidente del Consiglio dei ministri Letta, nel suo discorso alla Camera dei deputati del 29 aprile 2013, in occasione del voto di fiducia al nuovo Governo, aveva fatto un accenno a questo strumento utile per affrontare la situazione;
    la staffetta generazionale è stata poi ripresa ed approfondita dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini nelle successive audizioni in Commissione lavoro del Senato, il 14 maggio 2013, e della Camera dei deputati, il giorno successivo;
    il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non ha nascosto le difficoltà che si possono incontrare nell'attuazione di questa misura di contrasto immediato alla disoccupazione dei giovani, ma ha dichiarato che potrebbe avere dei vantaggi importanti;
    non appaiono sinceramente fondate le obiezioni di vari tecnici, che sembrano ispirarsi più a pregiudizi che a fattori concreti;
    appare difficile, infatti, negare che l'introduzione della staffetta tra generazioni non comporti, se, ovviamente, non lasciata isolata e con un attento studio dei costi e dei benefici, effetti positivi sull'occupazione ed anche sul piano macroeconomico e su quello delle imprese;
    la staffetta tra generazioni non intende in alcun modo espellere i lavoratori anziani dal mercato del lavoro, contro la loro volontà. Non si tratterebbe di un'espulsione coatta ma di un incentivo a lasciare il lavoro o ad accettare un part time, favorendo l'inserimento di un giovane;
    inoltre, si è detto sino a poco tempo fa che la riforma che ha ritardato la pensione anche di cinque anni ha imposto un pesante sacrificio ai lavoratori. Ora, invece, si afferma che mandare in pensione in anticipo lavoratori anziani, che si ritirerebbero due o tre anni prima del previsto, sarebbe un sacrificio. Appare evidente che le due tesi non stanno insieme e che l'illogicità ne mostra la debolezza concettuale e concreta;
    si afferma, inoltre, che l'andare in pensione più tardi non sottragga posti di lavoro ai giovani, e che anzi pesi meno sul sistema previdenziale in modo da liberare risorse utili a costruire nuovi posti di lavoro. Anche qui la logica del ragionamento appare quantomeno labile. Non è difficile immaginare che, al contrario, se una quota di anziani accettasse di andare in pensione prima del tempo, le aziende potrebbero assumere giovani. Non vi sarebbero, certo, nuovi posti di lavoro ma posti di lavoro per i giovani sì;
    si deve anche ricordare un altro dato: il costo del lavoratore prossimo alla pensione è doppio rispetto a quello di un neo assunto. Incentivando, quindi, la staffetta generazionale si potrebbe raggiungere lo scopo di inserire nel mondo del lavoro due giovani al posto di un anziano;
    ma se anche l'azienda interessata al turn over decidesse di sostituire il lavoratore anziano con un solo giovane, ciò potrebbe ridurre in misura netta il costo del lavoro, con un risultato che in prospettiva sarebbe positivo per la stessa azienda, che diverrebbe maggiormente competitiva, potendosi anche permettere di pagare contributi più alti, con l'evidente recupero dei maggiori oneri contributivi sopportati nell'immediato dal sistema previdenziale per consentire l'uscita anticipata dei lavoratori anziani;
    se, invece, i lavoratori anziani restano sino alla fine al lavoro ed a tempo pieno, si blocca il mercato del lavoro e si chiudono le possibilità per i giovani di iniziare a lavorare presto, rendendo più efficiente e produttiva l'azienda;
    se è vero che gli anziani non possono essere sostituiti da un giorno all'altro dai giovani, che non hanno la loro, indispensabile, esperienza lavorativa, è anche vero che la staffetta generazionale, con un'introduzione del part-time, consentirebbe il giusto mix tra esperienza e freschezza necessario per il progresso dell'azienda;
    il brusco aumento dell'età pensionabile che, in alcuni casi, è passata rapidamente da 57 a 67 anni, ha bloccato il turn over e impedito l'immissione annuale di nuovi elementi che assicurassero il naturale ricambio delle compagini aziendali, con effetti prevedibilmente negativi sull'efficienza, sull'innovazione, sulla qualità dei prodotti e sulla capacità produttiva delle aziende;
    nella pubblica amministrazione, inoltre, dove fino al 1994 si andava in pensione con diciannove anni, sei mesi e un giorno (e anche meno in molti casi), il turn over è, sostanzialmente, bloccato da allora con effetti deleteri evidenti;
    a livello macroeconomico, poi, l'assunzione con contratti a tempo indeterminato di un numero di giovani che potrebbe superare i duecentomila avrebbe effetti altamente positivi sui consumi e, soprattutto, sul mercato delle abitazioni e dei beni durevoli che, come è noto, hanno un ruolo trainante e possono rimettere in moto tutto il processo produttivo;
    inoltre, la staffetta generazionale potrebbe aiutare i giovani a rendersi autonomi da quella famiglia che sino a poco tempo fa è stato il vero welfare italiano, ma che ora comincia a sentire gli effetti della crisi, dato che anche i genitori, pur non in età pensionabile, vedono messo a rischio spesso il loro posto di lavoro;
    è certamente vero che la staffetta generazionale da sola non risolve il problema complessivo dell'occupazione giovanile, ma – come affermato anche dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini – è necessario evitare che i giovani restino troppo tempo fuori dal mercato del lavoro;
    infine, la staffetta tra generazioni potrebbe essere molto utile nella ricostruzione di un patto tra generazioni evidentemente rottosi per colpa della crisi in corso, ma anche per un insensato clima di scontro tra «giovani» e «vecchi» che ha preso piede negli ultimi venti anni e che ha ritenuto che l'unico modo per aiutare i giovani fosse quello di colpire i vecchi,

impegna il Governo:

   a continuare, come annunciato dal Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta e dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali Enrico Giovannini, sulla strada della staffetta tra generazioni, quale primo strumento per affrontare la crisi occupazionale giovanile, mettendo in atto tutte quelle iniziative necessarie per consentire un turn over generazionale pacifico, efficiente e capace di dare risposte immediate alle esigenze dei giovani delle aree più svantaggiate del nostro Paese, anche seguendo l'esempio delle regioni che stanno sperimentando concretamente la misura;
   in particolare, in modo da ottenere un risultato quanto più rapido possibile e duraturo, ad adottare, pur nei limiti attuali del bilancio, tutte le iniziative necessarie per la concessione di sgravi alle imprese per le tasse sui contributi figurativi dei lavoratori, evitando, così, il rischio di una totalmente controproducente doppia imposizione;
   ad intervenire, in occasione del prossimo Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, dedicato proprio al tema dell'occupazione giovanile, per ottenere un aumento della dotazione del Fondo sociale europeo, in modo da finanziare progetti che favoriscano l'occupazione dei giovani, passo successivo ma indispensabile anche per la riuscita della staffetta tra generazioni;
   ad operarsi in tutte le sedi opportune, a partire dallo stesso Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, per ottenere un aumento della dotazione complessiva di 6 miliardi di euro per la Youth guarantee, cifra che, vista la grave situazione in cui versa l'occupazione giovanile in Europa, con Paesi come Spagna e Grecia che vedono percentuali enormi di giovani fuori dal mercato del lavoro, non appare sufficiente per consentire concreti interventi in tutte quelle regioni che ne hanno necessità.
(1-00106)
«Formisano, Pisicchio, Capelli, Lo Monte, Tabacci».
(18 giugno 2013)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, attuativo dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, rendeva operative le disposizioni sulla mediazione civile obbligatoria;
   con sentenza della Corte costituzionale n. 272 del 2012 il sopra citato decreto legislativo veniva dichiarato incostituzionale per eccesso di delega;
   la pronuncia della Corte costituzionale assorbiva tutta una serie di ricorsi relativi all'obbligatorietà, onerosità, assenza di garanzie circa la preparazione dei mediatori, che, quindi, non venivano discussi ma venivano nemmeno dichiarati infondati;
   il Governo con il cosiddetto «decreto del fare», il 15 giugno 2013 ha ripristinato la mediazione obbligatoria per numerose tipologie di cause, allo scopo, a suo dire, di diminuire il numero dei procedimenti giudiziari in entrata, come richiesto anche dall'Unione europea;
   secondo il Governo questa procedura, assieme ad altri interventi sulla giustizia civile, dovrebbe portare alla riduzione dei tempi e del numero dei processi, che nei prossimi cinque anni dovrebbero essere un milione in meno;
   si può, però, notare che la mediazione come viene concepita in Italia è una sorta di unicum europeo e che la stessa Unione europea non ha mancato di esprimere critiche alla sua estensione a quasi tutto il contenzioso civile;
   appare preoccupante il fatto che la mediazione nuovamente introdotta dal Governo sia «condizione di procedibilità», negando al cittadino il diritto di ricorrere senza lungaggini ulteriori al proprio giudice naturale;
   il Consiglio nazionale forense, e molte altre importanti associazioni di avvocati, hanno lamentato la mancanza di consultazione da parte del Governo precedente alla reintroduzione della mediazione obbligatoria;
   si è fatta notare la forte discrepanza tra quanto previsto dai precedenti Governi, per quel che riguarda la riduzione del numero dei processi, e i dati reali, che parlano, invece, solo di poche migliaia in meno;
   come sin troppo spesso accaduto in passato, si è proceduto per decreto-legge, mentre a parere dell'interrogante sarebbe stato quantomeno necessario consultare tutte le parti interessate e coinvolgere il Parlamento in una questione di tale importanza;
   la procedura scelta e le norme inserite nel decreto-legge appaiono all'interrogante foriere di nuove pronunce di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale –:
   se non si intenda riconsiderare l'introduzione della norma sulla mediazione nel decreto-legge citato, nonché i relativi contenuti, e procedere ad una consultazione delle parti interessate, assumendo un più corretto comportamento nei confronti del Parlamento, che non può essere solo chiamato a ratificare una questione che riguarda in maniera fondamentale i diritti dei cittadini, ai quali non può essere impedito di adire il proprio giudice naturale qualora lo ritengano necessario per tutelare i loro interessi, senza procedure dilatorie spesso inutili. (3-00123)
(18 giugno 2013)

   NICCHI, MIGLIORE, DANIELE FARINA, PIAZZONI, AIELLO, SANNICANDRO e COSTANTINO. — Al Ministro della giustizia.— Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al 31 dicembre 2012 (ultimo dato disponibile), negli istituti di pena italiani sono presenti 40 detenute madri e 41 bambini di età inferiore a tre anni;
   il Parlamento, in considerazione del delicato rapporto tra detenute madri e figli minori e al fine di limitare la presenza nelle carceri di bambini in tenera età, è intervenuto sulla questione approvando la legge 21 aprile 2011, n. 62;
   tale legge, come disposto nella disciplina transitoria, con riferimento alle previsioni relative alle misure cautelari produrrà i propri effetti solo dopo l'attuazione del piano straordinario penitenziario e, in ogni caso, a decorrere dal 1o gennaio 2014, scadenza ormai prossima;
   gli istituti a custodia attenuata per madri (i.c.a.m.), previsti all'articolo 3 della legge n. 62 del 2011, non sono stati ancora regolamentati;
   nonostante in alcune realtà, ad esempio in Toscana, si sia proceduto alla firma di protocolli d'intesa per la creazione di sezioni a custodia attenuata per detenute madri, gli istituti a custodia attenuata per madri risultano avviati soltanto in forma sperimentale e in una sola città, Milano. Trattasi, in particolare, di un modello realizzato in una sede esterna agli istituti penitenziari, dotata di sistemi di sicurezza non riconoscibili dai bambini;
   conseguentemente, i tribunali si trovano spesso nella condizione di non poter accordare un'alternativa alla custodia cautelare in carcere per le detenute madri con figli piccoli in ragione del fatto che la funzione degli istituti a custodia attenuata per madri non è ancora regolamentata da alcuna fonte di rango normativo;
   la Corte di cassazione, con la sentenza n. 11714 del 2012, ha ritenuto che la previsione di favore prevista all'articolo 275, comma 4, del codice di procedura penale possa prevalere sulla previsione di sfavore del comma 3 e relativa ai casi nei quali può essere disposta la custodia cautelare in carcere;
   tale previsione di favore viene spesso disattesa per la mancanza delle strutture «alternative»;
   la Corte di cassazione nella sentenza citata ha sottolineato che «sarebbe davvero paradossale ed in contrasto con più parametri di costituzionalità, far dipendere l'applicazione di un regime carcerario di indubbio favore dalla semplice esistenza e disponibilità di «posti» presso una struttura sperimentale dell'amministrazione penitenziaria»;
   all'emanazione del decreto legislativo, cui il Governo avrebbe dovuto procedere entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge n. 62 del 2011, per determinare le caratteristiche delle case famiglia protette previste dall'articolo 284 del codice di procedura penale, nonché dagli articoli 47-ter e 47-quinquies della legge 26 luglio 1975, n. 354, si è provveduto solo il 26 luglio 2012;
   a parere degli interroganti, già da tempo si sarebbe dovuto intervenire per la completa attuazione del piano straordinario penitenziario, prevedendo un'apposita regolamentazione degli istituti a custodia attenuata per madri, con particolare riguardo agli aspetti igienico-sanitari e alla sorveglianza, come pure per la stipula delle convenzioni con gli enti locali per l'individuazione delle strutture idonee ad essere utilizzate come case famiglia protette, ai sensi del comma 2 dell'articolo 3 della medesima legge n. 62 del 2011;
   forte è la preoccupazione che alla data del 1o gennaio 2014 poco possa cambiare rispetto all'applicabilità delle nuove norme sulle detenute madri, considerato che, nonostante lo stanziamento economico disposto in relazione alla costruzione degli istituti a custodia attenuata per madri, nulla è stato fatto e, rispetto alle case famiglia protette, l'onere viene accollato agli enti locali, senza previsione di alcuno stanziamento ad hoc –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire con urgenza per dare attuazione a quanto previsto dalla legge n. 62 del 2011 sulle detenute madri, tanto più che è fissata alla data del 1o gennaio 2014 la decorrenza del termine per la sua applicazione. (3-00124)
(18 giugno 2013)

   VERINI, AMODDIO, BAZOLI, BIFFONI, CAMPANA, ERMINI, GIULIANI, GRECO, GULLO, MAGORNO, MARRONI, MARZANO, MATTIELLO, MORANI, MORETTI, PICIERNO, ROSSOMANDO, SCALFAROTTO, TARTAGLIONE, VAZIO, MARTELLA, POLLASTRINI, ROSATO e DE MARIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 13 settembre 2013, in base alle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 155 del 2012, concernente la nuova organizzazione della giustizia, verranno soppressi 31 tribunali ordinari e 220 sezioni distaccate di tribunale;
   si segnalano da più parti difficoltà negli accorpamenti, nei trasferimenti e nelle soppressioni, poiché spesso mancano gli spazi fisici, la logistica è insufficiente, l'orografia territoriale è complessa e gli organici sono largamente sottodimensionati;
   da più parti, a partire dagli operatori della giustizia, viene chiesto un monitoraggio attento di ogni situazione per evitare che la riforma sia applicata parzialmente e in modo non coerente con le sue finalità;
   è giusto applicare con serietà la riforma, perché, in caso contrario, sarebbe il sistema Paese a perdere di credibilità, perché rappresenta un tassello di una modernizzazione indifferibile del sistema giustizia, essendo pressante la richiesta di una giustizia efficiente, rapida e giusta che contribuisca in maniera determinante alla crescita civile ed economica dell'Italia –:
   se il Governo, al fine di rendere effettiva ed efficace la riforma, intenda intervenire con un'azione di monitoraggio sul campo, prevedendo, in corso d'opera, misure correttive della riforma stessa e investimenti nella logistica, nell'informatizzazione e negli spazi fisici degli uffici giudiziari del Paese, tenendo in considerazione anche le proposte del gruppo del Partito democratico presentate presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati, tese a migliorare i contenuti della legge delega, a razionalizzare e semplificare, evitando congestionamenti, rallentamenti e ulteriori criticità. (3-00125)
(18 giugno 2013)

   COSTA e BALDELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i problemi di sovraffollamento carcerario sono noti e sono in fase avanzata in Commissione giustizia della Camera dei deputati i lavori sul disegno di legge in materia di detenzione domiciliare e messa alla prova;
   il Ministro interrogato ha, inoltre, in più circostanze annunciato come imminente un'iniziativa del Governo sul tema;
   è innegabile che una delle ragioni che concorrono a generare il sovraffollamento carcerario è costituita dal numero altissimo di detenuti in custodia cautelare: su 65.891 detenuti, ben 24.691 sono in custodia cautelare e, di essi, circa la metà è in attesa del giudizio di primo grado;
   tale fenomeno ad avviso degli interroganti è in evidente contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza;
   in particolare, è molto consistente il fenomeno delle cosiddette porte girevoli, per cui la permanenza nelle carceri di una gran parte dei detenuti in attesa di giudizio è limitata a pochissimi giorni;
   è fondamentale porre in essere provvedimenti che affrontino l'emergenza carceraria, anche nella prospettiva della custodia cautelare e non soltanto in quella dei detenuti condannati in via definitiva;
   la Commissione giustizia della Camera dei deputati sta esaminando proposte di legge sulla materia –:
   se e come il Governo intenda intervenire sulla materia dell'emergenza carceraria anche attraverso una propria iniziativa legislativa sul tema dell'utilizzo della custodia cautelare, anche in riferimento al fenomeno delle cosiddette porte girevoli.
(3-00126)
(18 giugno 2013)

   MOLTENI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'8 gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato nuovamente l'Italia per trattamento inumano e degradante di sette detenuti nel carcere di Busto Arsizio e in quello di Piacenza, concedendo al nostro Paese un anno di tempo per trovare una soluzione al problema del sovraffollamento carcerario;
   tale condanna segue una precedente del 2009, sempre da parte dei giudici di Strasburgo, a seguito della quale nel gennaio 2010 il Consiglio dei ministri aveva varato il cosiddetto piano carceri, che prevedeva la costruzione di nuovi penitenziari e l'ampliamento di quelli già esistenti, per un totale di 21.709 nuovi posti, e l'assunzione di duemila agenti di polizia penitenziaria;
   dopo l'ultima sentenza di condanna di gennaio 2013, recentemente, invece, il Ministro interrogato ha preannunciato che per risolvere il problema del sovraffollamento carcerario del nostro Paese non bastano nuove carceri, ma occorre ripensare il sistema delle pene, valutando se non ci siano spazi ulteriori per quelle alternative;
   il problema del sovraffollamento delle carceri italiane è stato in passato risolto con amnistie e indulti, ma tali strumenti si sono rivelati del tutto inidonei a risolvere il problema, tanto che gli istituti penitenziari sono tornati in breve tempo nella situazione precedente, salvo nel contempo aver causato rilevanti problemi alla sicurezza dei cittadini e alla loro incolumità pubblica;
   dal 1942 a oggi, sono stati varati tra indulti e amnistie 25 provvedimenti (circa uno ogni 2,8 anni) e l'ultimo in ordine di tempo, che risale al 2006 (legge n. 241 del 2006), ha avuto effetti devastanti: dopo solo sei mesi dal provvedimento di clemenza il tasso di crescita dei delitti è aumentato dal 2,5 per cento al 14,4 per cento;
   la legge n. 199 del 2010, benché prevedesse la possibilità di scontare in stato di detenzione domiciliare l'ultimo anno di pena residua, con esclusione di soggetti che scontavano una pena per i reati gravi, quali quelli previsti dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario, e persone particolarmente pericolose, aveva una durata transitoria, con validità «fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario», e faceva riferimento anche ad un adeguamento dell'organico del Corpo di polizia penitenziaria occorrente per fronteggiare la situazione emergenziale in atto;
   parimenti inefficaci, e comunque sempre nel solco della minor tutela per il cittadino, i provvedimenti, in particolare del precedente Governo, che hanno previsto, nei casi di arresto in flagranza, per diversi reati, molti di grave allarme sociale, che l'imputato prima di essere giudicato, o condotto dinanzi al giudice per la convalida dell'arresto o per la celebrazione del processo per direttissima, è prioritariamente assegnato agli arresti in un luogo diverso dal carcere (propria abitazione ed altri);
   il testo unificato dei progetti di legge atto Camera 331 (Ferranti) e atto Camera 927 (Costa), recante «Delega al Governo in materia di pene detentive non carcerarie a disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili», attualmente in discussione in Commissione giustizia della Camera dei deputati – che segue a solo un anno di distanza quello voluto dall'allora Ministro della giustizia Paola Severino (decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2012), recante «Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri», che ha previsto l'innalzamento da dodici a diciotto mesi della pena residua per poter accedere alla pena detentiva domiciliare, introdotta, come detto, dalla legge n. 199 del 2010 –, prevede e prosegue «l'obbiettivo» di «liberare» anticipatamente il maggior numero di detenuti che scontano pene per reati (molti di grave allarme sociale) fino a sei anni di reclusione – a seguito dell'emendamento del Governo – ed applica un «perdonismo», privo di tutela effettiva della persona offesa del reato, per chi commette reati punti fino a quattro anni di reclusione;
   di queste misure, in particolare degli arresti domiciliari, potranno beneficiare gli autori di gravi reati di allarme sociale, che, anche di recente, destano forte preoccupazione nell'opinione pubblica, quali, a titolo esemplificativo, gli atti persecutori (stalking), alcune ipotesi di reato di maltrattamento in famiglia o verso i fanciulli, prostituzione minorile, violenza privata, furto ed altri. Al contrario, tale provvedimento non prevede alcun investimento (né in dotazione di mezzi, né per l'incremento delle piante organiche) a favore delle forze dell'ordine, cui sarà demandato il compito di effettuare i controlli sull'effettività delle detenzioni domiciliari;
   per stessa ammissione del Ministro interrogato, beneficeranno di tale provvedimento circa 3/4 mila detenuti attualmente presenti nelle carceri italiane, una cifra irrisoria se si conta che l'esubero nei nostri istituti penitenziari riguarda circa 20 mila detenuti;
   nei giorni scorsi sempre il Ministro interrogato aveva annunciato di voler proporre al Consiglio dei ministri un ulteriore decreto-legge che dovrebbe prevedere, per i reati punibili fino a quattro anni, anziché la pena detentiva in carcere, lo svolgimento di lavori socialmente utili, e che anche in questo caso riguarderebbe circa 3 mila detenuti, e ciò in «linea» con il testo unificato dei progetti di legge atto Camera 331 (Ferranti) e atto Camera 927 (Costa) sopra citati;
   inoltre la proposta di legge atto Camera 548 dell'onorevole Gozi prevede la concessione dell'amnistia e dell'indulto per una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni di reclusione, oltre alla concessione per altre ipotesi dell'indulto;
   secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero della giustizia, la capienza regolamentare dei 206 istituti penitenziari presenti nel nostro Paese è di 47.045 posti e se dal totale dei detenuti presenti nelle nostre carceri (65.917) vengono sottratti quelli stranieri, (23.438), si ottiene un numero di detenuti (42.479), ben al di sotto della capienza regolamentare (47.045) –:
   se il Governo intenda affrontare il problema del sovraffollamento del sistema carcerario mediante provvedimenti d'urgenza, come quelli citati, o di clemenza, quali l'amnistia o l'indulto, o altre misure di fatto similari, anziché approntare un piano articolato di costruzione e ampliamento dei penitenziari e la negoziazione di accordi con i Paesi di origine dei detenuti stranieri per far scontare loro la pena in patria. (3-00127)
(18 giugno 2013)

   LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO, BATTELLI, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   a causa delle scelte politiche assunte senza carattere di discontinuità dai Governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni, il numero di docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario precario assunto attraverso contratti annuali o fino al termine delle attività didattiche, ha ormai toccato le trecentomila unità secondo le più recenti rilevazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   a questo già consistente numero si deve aggiungere quello dei vincitori del concorso per docenti e i nuovi abilitati attraverso i tirocini formativi attivi ordinari e speciali;
   annualmente, attraverso la lettura dei dati del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, vengono effettuate circa centomila nomine a tempo determinato di personale docente e circa 50.000 di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, a fronte delle quali lo Stato italiano decide di non stabilizzare queste unità in modo definitivo, in luogo di reiterate assunzioni pro tempore;
   con l'attuazione della riforma del mercato del lavoro dell'ex Ministro Fornero, si stima che le domande di pensionamento a settembre 2013 saranno dimezzate rispetto a quelle del 2012; in particolare, dati forniti dai sindacati di categoria, al vaglio del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, parlano di 10.000 domande di pensionamento dei docenti e poco più di 3.000 per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario;
   per il triennio 2014-2017, lo stesso Ministro interrogato, in sede di audizione presso le competenti commissioni di Camera e Senato, ha parlato, proprio al fine di dare un «serio segnale al personale precario», dell'elaborazione di un nuovo piano triennale di assunzione in ruolo del personale precario per il 2014-2017;
   non è da sottovalutare l'incidenza preponderante dell'ultima riforma del sistema pensionistico sulle cessazioni dal servizio; infatti, per il triennio 2014-2017 è previsto un turn over complessivo di 44.000 unità –:
   in che modo, di fronte alle inequivocabili cifre esposte in premessa, il Ministro interrogato intenda assicurare l'assorbimento delle consistenti masse di personale precario, risultando evidente che i 44.000 posti resi disponibili dal turn over non possono da soli essere sufficienti.
(3-00128)
(18 giugno 2013)

   ANTIMO CESARO, CAPUA CARUSO CIMMINO D'AGOSTINO, DE MITA, MOLEA, NESI, OLIARO, SANTERINI, SCHIRÒ PLANETA, TINAGLI, VECCHIO e VEZZALI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   attualmente la Reggia di Caserta, monumento vanvitelliano proclamato patrimonio dell'umanità dall'Unesco, ospitante nei suoi ambienti personale del Ministero per i beni e le attività culturali, dell'Aeronautica militare e reparti dei Nas e dei Ros, versa in condizioni di degrado. Sebbene l'ultimo restauro risalga all'anno 2006, nei mesi scorsi si sono verificati crolli alle facciate esterne, ai cortili interni e negli appartamenti reali, in seguito ai quali si è reso necessario transennare le aree interessate;
   in forza di ciò è stata prevista una spesa di 22 milioni di euro utile ad un imminente e fondamentale recupero della Reggia, di cui, al momento, solo 9,3 milioni di euro risulterebbero in corso di erogazione;
   i cortili interni e vari ambienti del monumento vedono presenti venditori abusivi, che, sfuggendo ai controlli dei custodi, «assalgono» i turisti e deturpano il decoro degli ambienti;
   la sicurezza del sito risulta assai carente, esponendo al pericolo di sottrazioni o di atti di vandalismo le collezioni, e, come gli interroganti hanno potuto verificare personalmente in un recente sopralluogo, non è garantita l'efficienza del sistema antincendio e certamente quella del sistema antifulmine, stante il recente furto dell'intero reticolo di rame costituente la gabbia di Faraday dai tetti della Reggia –:
   quali iniziative intenda adottare, viste le inaccettabili condizioni del monumento, al fine di procedere in tempi rapidi all'effettiva erogazione dei 9,3 milioni di euro utili all'inizio dei lavori di restauro e di rendere disponibili le ulteriori risorse necessarie a garantire la sicurezza dei visitatori dello stabile e quella del patrimonio artistico custodito nella Reggia di Caserta.
(3-00129)
(18 giugno 2013)

   TAGLIALATELA. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:
   la Reggia di Caserta, edificata nel diciottesimo secolo per volere di Carlo di Borbone, costituisce uno dei siti culturali e museali più importanti del Mezzogiorno ed è stata inserita già nel 1997 nella lista dei beni considerati come patrimonio dell'umanità dall'Unesco;
   negli ultimi decenni la monumentale opera, comprensiva anche di un grande parco, sta subendo un lento ma inarrestabile declino, dovuto all'incuria e alla scarsezza dei fondi a disposizione, che sta determinando anche una crescente disaffezione da parte dei turisti, passati in poco meno di un decennio da oltre un milione di visitatori l'anno a meno della metà;
   da settembre 2012 la facciata della dimora è parzialmente ostruita dalle transenne in seguito al crollo di alcuni pezzi dai cornicioni, ma la prima tranche di risorse per eseguire il restauro è attesa solo per l'autunno 2013, ed è notizia di pochi giorni fa che i giardini antistanti il Palazzo siano divenuti una piazza per lo spaccio della droga;
   in merito ai fondi a disposizione della Reggia, va rilevato che, rispetto a quanto viene incassato con i biglietti d'ingresso, per un importo pari a circa sei milioni di euro l'anno, neanche un centesimo rimane nelle casse della struttura;
   il Ministro interrogato, in occasione di una recente visita della struttura, ha promesso di voler rendere la Reggia «luogo di eccellenza del patrimonio artistico, culturale e turistico italiano», attraverso la creazione di una soprintendenza speciale strutturata come una società privata, con consiglio di amministrazione formato da soggetti pubblici e privati, e soprattutto dotata di autonomia finanziaria;
   presso il Ministero per i beni e le attività culturali è istituita da tempo la soprintendenza per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della città di Napoli, che esercita le attività di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale della città e dei musei dipendenti, tra i quali la Reggia di Capodimonte;
   la «somiglianza» tra quest'ultima, anch'essa voluta dai Borboni, e la Reggia di Caserta permette di pensare ad una possibile presenza dei due siti all'interno della stessa struttura organizzativa, quale il Polo museale di Napoli;
   l'autonomia finanziaria della quale sono dotati i poli museali, con la conseguente gestione diretta degli incassi ricavati dagli ingressi dei turisti, appare l'unica possibilità reale di riorganizzazione e rilancio della Reggia di Caserta –:
   in alternativa alla soluzione ipotizzata, se non si ritenga di considerare la possibilità di includere la Reggia di Caserta all'interno delle strutture gestite dal Polo museale di cui in premessa, al fine di garantire che la struttura torni alla piena funzionalità con la massima celerità.
(3-00130)
(18 giugno 2013)

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