TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 40 di Martedì 25 giugno 2013

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE UN ADEGUATO RISARCIMENTO A FAVORE DELLE PERSONE CHE HANNO SUBITO DANNI DA INCIDENTI STRADALI

   La Camera,
   premesso che:
    il 20 marzo 2013 l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha aggiornato i valori per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale;
    gli importi sono stati adeguati all'aumento del costo della vita sulla base degli indici Istat nel periodo gennaio 2011-gennaio 2013, con conseguente incremento del 5,65 per cento rispetto ai parametri precedentemente in vigore;
    la Corte di cassazione, a sezioni unite, con sentenza n. 12408 del 2011, ha introdotto il principio della necessità di applicare su tutto il territorio nazionale un unico criterio di liquidazione, affermando che quell'unico criterio è rappresentato dalle cosiddette «tabelle di Milano»;
    la medesima sentenza ha, altresì, affermato che le predette tabelle milanesi «costituiranno d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi “equo”»;
    il Governo ha recentemente elaborato uno schema di decreto del Presidente della Repubblica riferito alla tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
    da una prima lettura della tabella formulata dal Governo emerge che la liquidazione monetaria delle menomazioni all'integrità psico-fisica ivi prevista è notevolmente più bassa rispetto alle cosiddette tabelle di Milano, arrivando addirittura a prevedersi una decurtazione del 60 per cento delle predette liquidazioni;
    già la tabella relativa alle menomazioni di lieve entità emanata ai sensi dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private risulta essere molto più bassa di quella prevista dalle tabelle di Milano;
    da ultimo il cosiddetto decreto Balduzzi, decreto-legge n. 158 del 2012, ha già allargato, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo illegittimamente, la sfera di applicazione della tabella ex articolo 138 del codice delle assicurazioni private alle menomazioni causate da responsabilità medica, e per l'effetto ha tagliato la misura dei risarcimenti a tutt'oggi riconoscibili, con evidenti effetti dissuasivi all'incardinamento del contenzioso giudiziale e con una palese lesione degli articoli 24 e 32 della Costituzione;
    quindi, qualora venisse applicata questa nuova tabella, pazienti e soggetti che hanno subito delle gravi menomazioni non avranno più la tutela accordata dagli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
    l'illegittimità costituzionale di cui si parla è fortemente aggravata da un quadro risarcitorio generale palesemente in contrasto con l'articolo 3 della Costituzione, dato che, in Italia, il medesimo danno finisce con l'essere ingiustamente ed immotivatamente risarcito in maniera differente a seconda della fonte del danno stesso;
    dallo schema di decreto messo a punto dal Governo pro tempore (Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, poco «tecnico» ed assai «politico», soprattutto quando si parla di banche e finanza) emerge con preoccupante chiarezza il tentativo di favorire le lobby delle assicurazioni; quelle stesse lobby che, da sempre, lavorano alacremente assieme ai Governi per vedere tutelate le loro posizioni in spregio dei diritti dei consumatori e dei cittadini;
    la più recente «Indagine sui prezzi r.c.a.» pubblicata in data 1o gennaio 2013 dall'Ivass (Istituto di vigilanza sulle assicurazioni) ha, infatti, evidenziato che, nonostante gli interventi di riforma messi in campo negli ultimi anni, l'aumento dei prezzi delle assicurazioni per responsabilità civile auto imposti ai cittadini non ha arrestato la sua corsa. Negli ultimi dodici mesi, ad esempio, il premio richiesto a una 18enne è cresciuto del 13,5 per cento, mentre il profilo di un virtuoso del volante, un 55enne in massima classe di sconto, ha subito un rincaro del 5,6 per cento;
    sul citato schema di decreto hanno espresso un parere fortemente contrario sia il Consiglio di Stato (parere n. 4209 del 17 novembre 2011, adunanza generale dell'8 novembre 2011), sia il Parlamento attraverso un'apposita mozione approvata a larga maggioranza (atto n. 1-00740 – seduta 24 ottobre 2011, n. 540);
    per il massimo organo di giustizia amministrativa, la sequenza dei coefficienti moltiplicatori della tabella formulata dal Governo «non sembra rispettare il criterio della crescita più che proporzionale rispetto all'aumento dei punti di invalidità» e «un eventuale scostamento del testo regolamentare dal criterio previsto espressamente dalla legge autorizzativa provocherebbe con molta probabilità la disapplicazione della norma regolamentare da parte del giudice civile investito dalla domanda risarcitoria, con conseguente inutilità dell'esercizio della potestà normativa in esame». Il Consiglio di Stato suggerisce poi di adottare, a livello normativo, l'estensione per analogia dei parametri economici anche ad altre discipline risarcitorie quando vengano lesi diritti alla persona sostanzialmente sovrapponibili, ma determinati da fatti diversi dalla circolazione stradale. Se si limitasse l'applicazione ai soli incidenti stradali, «infatti, analoghe conseguenze sul piano lesivo verrebbero ad ottenere differenti trattamenti risarcitori, a seconda del solo fatto che la lesione sia avvenuta nell'ambito della circolazione stradale o meno»;
    con la mozione dell'ottobre del 2011, la Camera dei deputati ha addirittura impegnato il Governo «a ritirare il provvedimento, ingiustificato e lesivo dei diritti dei danneggiati, e a predisporre, in tempi rapidi, un nuovo decreto teso a determinare valori medi di risarcimento del danno biologico per le lesioni di non lieve entità che prendano a riferimento quelli delle tabelle elaborate dal tribunale di Milano»;
    da parte del gruppo Movimento 5 Stelle in Commissione giustizia della Camera dei deputati, in data 28 maggio 2013, è stata presentata la proposta di legge n. 1063 – Bonafede ed altri – tesa ad affermare per via legislativa, senza ulteriori deleghe al Governo, l'adozione dei valori individuati dalle tabelle del tribunale di Milano come parametro unico nazionale per il risarcimento del danno alla persona,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto concernente la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di cui in premessa, in quanto contrario, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, agli articoli 24 e 32 della Costituzione relativi alla tutela del diritto inviolabile alla salute ed al pieno risarcimento del danno;
   ad adottare, nell'ambito della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale comportante lesioni dell'integrità fisica medicalmente accertabili, ai fini di una imprescindibile omogeneità dell'intero quadro risarcitorio, un provvedimento che utilizzi i valori stabiliti dalla tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità approvata dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel marzo 2013 e dalle sue relative successive modifiche;
   a valutare l'opportunità di concorrere alla revisione dell'intero impianto normativo in materia di risarcimento del danno non patrimoniale nell'interesse esclusivo dei cittadini, sulla base dei contenuti enunciati dalla ricordata proposta di legge n. 1063 del 28 maggio 2013.
(1-00021)
(Nuova formulazione) «Colletti, Di Vita, Ciprini, D'Incà, Dadone, D'Uva, Frusone, Mantero, Rostellato, Agostinelli, Nesci, Vacca, Zaccagnini, Bonafede, Businarolo, Ferraresi, Sarti, Baldassarre, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Cecconi, Colonnese, D'Ambrosio, Del Grosso, Fico, Nuti, Terzoni».
(16 aprile 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, e successive modificazioni, recante il codice delle assicurazioni private, stabilisce, all'articolo 138, la predisposizione di una specifica tabella, unica su tutto il territorio della Repubblica, delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, nonché, all'articolo 139, la predisposizione, con la medesima procedura, di una specifica tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra uno e nove punti di invalidità;
    finalità degli articoli 138 e 139 del citato decreto legislativo, e dei successivi provvedimenti attuativi, è pertanto la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa della responsabilità civile automobilistica, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità;
    il Ministro della salute ha istituito, il 26 maggio 2004, una commissione di studio, composta dai rappresentanti del medesimo Ministero, dei Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, dello sviluppo economico, della giustizia, dell'Inail, dell'Ania e da esperti in medicina legale, e successivamente integrata con rappresentanti delle associazioni familiari e vittime della strada e dell'osservatorio della Lega italiana dei diritti dell'uomo;
    i lavori della commissione di studio si sono conclusi con la redazione di uno schema di Tabella, oggetto di una valutazione preliminare del Consiglio dei ministri, il 3 agosto 2011, e successivamente del parere della sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato, l'8 novembre 2011;
    il 7 giugno 2011, tuttavia, era intervenuta in materia la sentenza della Corte di cassazione n. 12408, la quale aveva stabilito che, nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'articolo 1226 del codice civile deve garantire non solo l'adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie sono decise da differenti uffici giudiziari; dall'affermazione del generale principio di uguaglianza, la Corte di cassazione aveva tratto la conclusione che, sempre in assenza dei criteri stabiliti dalla legge e in virtù dei suoi compiti di indicazione ai giudici di merito di criteri uniformi, i criteri per la liquidazione del danno alla persona fossero individuati nelle cosiddette «tabelle» di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale;
    gli effetti distorsivi derivanti dalla differenziazione territoriale dei risarcimenti dei danni non patrimoniali sono stati rilevati anche nel citato parere del Consiglio di Stato, il quale ha ritenuto che l'esigenza di porre rimedio a tali distorsioni «appare sicuramente condivisibile e coerente con le esigenze ordinamentali di parità di trattamento tra situazioni analoghe, nonché in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali della Corte di cassazione», tra i quali viene ricordata proprio la sentenza della Corte di cassazione, sezione III, 7 giugno 2011, n. 12408;
    se lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, datato marzo 2013 ed avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 sembrerebbe, pertanto, risolvere in via definitiva il problema relativo all'adozione di criteri uniformi su tutto il territorio nazionale dei risarcimenti, dal confronto con le tabelle del tribunale di Milano emerge una riduzione dei valori risarcitori che ha suscitato molte proteste da parte delle associazioni delle vittime di sinistri stradali, che lo hanno considerato «fortemente lesivo della dignità umana e non rispondente alle esigenze di solidarietà consolatorie, riparatorie e satisfattive del danno da r.c. auto»;
    va considerato che il danno alla persona è composto da due componenti: il danno patrimoniale, calcolabile oggettivamente, e il danno non patrimoniale, non calcolabile oggettivamente, ma attribuito «equamente» dai tribunali o dalle tabelle, a sua volta distinto tradizionalmente in danno biologico, ossia il valore della perdita della funzionalità biologica dovuta alla lesione, il danno morale, variabile da caso a caso, tra il 25 ed il 50 per cento del danno biologico, e il danno esistenziale, molto soggettivo e variabile;
    la tabella unica è difficilmente comparabile con le tabelle del tribunale di Milano, poiché queste regolamentano tutto il danno non patrimoniale, inglobando accanto al danno biologico anche il danno morale con riferimento ad una liquidazione congiunta complessiva dei danni riconosciuti, mentre la tabella unica prevista nello schema di decreto del Presidente della Repubblica regolamenta il solo danno biologico «standard», ferma restando la necessità di determinazione aggiuntiva dell'eventuale danno morale, poiché, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, gli importi possono essere aumentati nella misura massima del 30 per cento per le macrolesioni e del 20 per cento per le lesioni lievi, quando la menomazione incida su aspetti dinamico relazionali della persona;
    indubbiamente, ragionare sulla congruità dell'ammontare dei risarcimenti è un esercizio difficile, perché attiene a un valore non monetizzabile, pertanto, lo scopo dell'emanando provvedimento dovrebbe essere esclusivamente quello di stabilire convenzionalmente criteri risarcitori certi e uniformi territorialmente, adeguati per le vittime e sostenibili relativamente alla spesa assicurativa;
    peraltro, esiste un'evidente correlazione tra importo dei premi ed entità dei risarcimenti che, per quanto riguarda il settore della responsabilità civile automobilistica, presenta dati articolati e non sempre univoci; tuttavia sono molti i fattori che influenzano il livello dei premi, come rilevato dalle recenti conclusioni dell'indagine svolta dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle procedure di risarcimento diretto e gli assetti concorrenziali del settore;
    tutto ciò rende evidente come sia indispensabile, per il Parlamento, promuovere un approfondimento, mediante un rapido e approfondito confronto sulla materia nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo, sia con tutti gli altri soggetti coinvolti;
    questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti Commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400,

impegna il Governo:

a sospendere l’iter di approvazione del decreto del Presidente della Repubblica avente ad oggetto il regolamento recante le tabelle delle menomazioni all'integrità psicofisica ai sensi degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 fino all'espletamento di un approfondito ma rapido confronto nelle Commissioni parlamentari competenti, così da tenere conto delle indicazioni che emergeranno in tali sedi, anche al fine di garantire l'adeguato contemperamento tra le esigenze di tutelare le vittime degli incidenti stradali e quelle di contenere i costi delle polizze della responsabilità civile automobilistica.
(1-00099)
(Nuova formulazione) «Boccuzzi, Causi, Verini, Martella, Fregolent, Gutgeld, Biffoni, Impegno, Lenzi, Pelillo, Sanga, Antezza, Miotto, Zappulla, Carra, Amoddio».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    relativamente al risarcimento del danno biologico per gli incidenti stradali nei casi di invalidità che vanno dal 10 al 100 per cento, l'articolo 138 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, recante il codice delle assicurazioni private, prevedeva la predisposizione – finora mai attuata – di una specifica tabella, unica su tutto il territorio nazionale e da aggiornarsi annualmente, delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti e del valore pecuniario da attribuire a ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso;
    finora la monetizzazione dei danni subiti a seguito di un incidente stradale veniva calcolata sulla base di tabelle predisposte da ciascun tribunale, con la conseguenza di risarcimenti spesso diversi da regione a regione;
    al fine della predisposizione di un'unica tabella valida per l'intero territorio nazionale per il risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra 10 e 100 punti di invalidità, è in via di emanazione un decreto del Presidente della Repubblica, peraltro predisposto dal precedente Governo;
    detto schema di decreto adegua al ribasso i valori risarcitori (con un abbattimento medio del 60 per cento) che risultano così di gran lunga inferiori ai valori proposti dalle tabelle del tribunale di Milano, come recentemente aggiornate, considerate invece congrue dalla stessa Corte di cassazione;
    già l'Aneis (Associazione nazionale esperti infortunistica stradale), il 4 aprile 2013, ha chiesto di «difendere la dignità delle vittime degli incidenti stradali». L'applicazione della nuova tabella, infatti, ridurrebbe fino al 60 per cento i risarcimenti per tali eventi, rispetto ai parametri dettati dalle nuove tabelle del tribunale Milano;
    la stessa Aifvs (Associazione italiana familiari e vittime della strada) ha protestato contro lo schema di decreto del Presidente della Repubblica in via di emanazione, che peraltro mostrerebbe tutta la sua dubbia costituzionalità per il fatto che disciplinerebbe, in patente violazione del fondamentale articolo 3 della nostra Carta costituzionale, in modo diversissimo sotto il profilo monetario, situazioni relative a lesioni personali soltanto per via della genesi del fatto illecito. Peraltro, si preannunciano anche gravissime sperequazioni sotto il profilo della retroattività del provvedimento;
    si tratta di un provvedimento che, come sottolinea ancora l'Aifvs, «per salvaguardare gli interessi delle assicurazioni, vorrebbe mettere da parte anche le indicazioni della Corte di cassazione (sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011) che ha esteso a tutto il territorio nazionale i diffusissimi valori indicati nella tabella del tribunale di Milano, frutto di scrupolosa elaborazione ed assiduo aggiornamento»;
    si ricorda, infatti, che la Corte di cassazione, con la sentenza n. 12408 del 2011, rilevata la disparità esistente fra i tribunali italiani, ha ritenuto di orientare i risarcimenti sui valori delle tabelle dei giudici di Milano, valutate più eque rispetto a quelle degli altri tribunali, in quanto costruite tenendo conto delle disposizioni normative e dei parametri individuati dalla giurisprudenza ai fini della personalizzazione del danno, così come stabiliti dalle famose sentenze «gemelle» a sezioni unite della Corte di cassazione del 2008, sul danno non patrimoniale;
    con l'eventuale approvazione definitiva di questo decreto del Presidente della Repubblica, il risparmio delle società assicuratrici sarà consistente, soprattutto se le tabelle verranno ritenute – come sembra – applicabili anche retroattivamente a tutti i sinistri per i quali non si siano concluse trattative in sede transattiva o non si sia giunti a sentenza definitiva;
    inoltre, dall'esame delle medesime tabelle dello schema di decreto in oggetto, si ricava una disparità tra l'infortunato uomo e l'infortunata donna, laddove la cifra per ogni punto di invalidità «femminile» è inferiore a quello «maschile»;
    va, peraltro, ricordato come le compagnie assicuratrici abbiano finora «beneficiato» sia del fatto che negli ultimi dieci anni – come certifica l'Istat – il numero degli incidenti stradali è andato progressivamente diminuendo, che della riduzione (prevista dal decreto del Ministero della salute del 3 luglio 2003) in questi anni dei risarcimenti da piccole invalidità. Il tutto a fronte di nessuna riduzione dei premi delle polizze per l'assicurazione obbligatoria da responsabilità civile automobilistica;
    questo schema di decreto del Presidente della Repubblica, qualora approvato definitivamente, anziché riconoscere il diritto delle vittime al congruo ed integrale risarcimento del danno, riducendo i risarcimenti, favorisce di fatto i profitti economici e imprenditoriali privati assicurativi a scapito di quei principi di solidarietà e di eguaglianza, anche sociale, sanciti dalla nostra Costituzione,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto del Presidente della Repubblica, di cui in premessa, in quanto ingiustificato e fortemente lesivo dei diritti dei danneggiati a ottenere un equo risarcimento;
   ad assumere iniziative per stabilire che le tabelle del tribunale di Milano siano prese a riferimento da tutti gli uffici giudiziari italiani, quali tabelle per definire l'entità del risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica a seguito di sinistro stradale o, più in generale, a causa di responsabilità civile;
   ad attuare, nell'ambito delle proprie competenze, azioni di contrasto a truffe e abusi ai danni delle compagnie assicuratrici, finalizzati all'ottenimento illegittimo del risarcimento dei danni.
(1-00100)
«Piazzoni, Migliore, Daniele Farina, Aiello, Sannicandro, Nicchi, Ragosta».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, a seguito della riunione del 6 marzo 2013, ha aggiornato i valori per la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona derivante da lesione all'integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale;
    gli importi sono stati adeguati all'aumento del costo della vita sulla base degli indici Istat nel periodo gennaio 2011-gennaio 2013, con conseguente incremento del 5,6535 per cento rispetto ai parametri precedentemente in vigore;
    con sentenza n. 12408 del 2011 la Corte di cassazione, ritenendo «intollerabile ed iniquo che danni identici possano essere liquidati in misura diversa solo perché le relative controversie siano decise da differenti uffici giudiziari» e «poiché l'equità va intesa anche come parità di trattamento, la liquidazione del danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica presuppone l'adozione da parte di tutti i giudici di merito di parametri di valutazione uniformi», ha indicato le «tabelle milanesi» quali criteri di riferimento per la stima del danno alla persona;
    il Governo ha dichiarato l'intenzione di procedere all'approvazione dello schema di decreto del Presidente della Repubblica recante «tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità, ai sensi degli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209»;
    secondo quanto disposto dallo schema di decreto allo studio del Governo, la liquidazione monetaria delle menomazioni all'integrità psico-fisica ivi prevista è notevolmente più bassa rispetto alle tabelle del tribunale Milano, arrivando addirittura ad una decurtazione del 60 per cento delle predette liquidazioni, il che ha provocato forti reazioni da parte di molte associazioni e familiari delle vittime di incidenti stradali;
    è necessario stabilire criteri risarcitori certi, uniformi, adeguati e sostenibili e assicurare, così, maggiore certezza ai diritti spettanti ai danneggiati, evitando sperequazioni e differenziazioni territoriali ed assicurare tutela del diritto inviolabile alla salute ed un adeguato e dignitoso risarcimento dei danni subiti;
    i costi delle polizze per la copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada stanno subendo continui rincari, i quali hanno un peso considerevole sui bilanci delle famiglie;
    i rincari sono strettamente collegati al fenomeno, sempre più preoccupante, soprattutto nelle zone del Mezzogiorno, delle frodi assicurative. Se pure è stata dimostrata la forte incidenza del peso delle frodi sui costi delle polizze, questa non può tuttavia rappresentare un elemento di giustificazione da parte delle compagnie di assicurazione dell'incremento delle stesse polizze, a danno esclusivo dei consumatori onesti;
    nella XVI legislatura, gli interventi nel settore delle assicurazioni sono stati operati con il decreto-legge n. 1 del 2012 (il cosiddetto «decreto liberalizzazioni»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27 del 2012, e con il decreto-legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto «decreto crescita»), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 221 del 2012. Con il decreto legge n. 1 del 2012, in particolare, sono state previste una serie di disposizioni volte a rendere maggiormente concorrenziale e trasparente il settore assicurativo al fine di ridurre il costo delle polizze, anche attraverso il contrasto delle frodi;
    l'insieme degli interventi adottati non sembra aver avuto effetti decisivi rispetto all'obiettivo del contenimento dei costi delle polizze a beneficio dei consumatori;
    inoltre, la tabella relativa alle menomazioni di lieve entità, emanata ai sensi dell'articolo 139 del codice delle assicurazioni private, risulta essere molto più bassa di quella prevista dalle tabelle del tribunale di Milano;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, ha esteso l'applicazione della tabella ex articolo 138 del codice delle assicurazioni private alle menomazioni causate da responsabilità medica e, pertanto, ha tagliato la misura dei risarcimenti a tutt'oggi riconoscibili, con evidenti effetti dissuasivi all'incardinamento del contenzioso giudiziale,

impegna il Governo:

   a ritirare lo schema di decreto che definisce la tabella unica nazionale per il risarcimento standard del danno biologico alle vittime degli incidenti stradali, in attuazione dell'articolo 138 del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005);
   ad orientare la propria attività politica, nell'ambito della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da sinistro stradale comportante lesioni dell'integrità fisica medicalmente accertabili, ai fini di un'imprescindibile omogeneità dell'intero quadro risarcitorio, nella direzione di un'ottemperanza della tabella per le menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese fra 10 e 100 punti di invalidità approvata dall'Osservatorio sulla giustizia civile di Milano nel marzo 2013 e delle sue relative successive modifiche;
   ad adottare iniziative più incisive per favorire la riduzione del costo dei premi relativi alla copertura assicurativa dei rischi derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada a carico degli assicurati, anche attraverso il rafforzamento delle azioni di contrasto alle frodi che abbiano, come primo obiettivo, quello di evitare che le gravi inefficienze del settore assicurativo vengano pagate dagli onesti assicurati.
(1-00101)
«Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Rondini, Gianluca Pini, Prataviera».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    spetta al Governo procedere all'adozione della proposta di decreto del Presidente della Repubblica contenente il regolamento che attua l'articolo 138 del codice delle assicurazioni private (decreto legislativo n. 209 del 2005); tale provvedimento consente di stabilire in maniera univoca, a livello nazionale, i valori economici e medico-legali per la liquidazione del danno in sede assicurativa in ordine alla responsabilità civile automobilistica;
    una bozza dello schema di decreto citato, di cui è stata data notizia negli scorsi mesi, contiene la tabella unica nazionale per il risarcimento delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra 10 e 100 punti di invalidità;
    la tabella unica in questione si riferisce solo al danno biologico «standard», in quanto gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni consentono di aumentare l'importo risultante dall'applicazione della tabella fino al 30 per cento e al 20 per cento, rispettivamente per le macrolesioni e le microlesioni, laddove la menomazione accertata condizioni pesantemente determinati aspetti della persona;
    risulta ai sottoscrittori del presente atto di indirizzo che il Ministro della salute pro tempore, onorevole Renato Balduzzi, abbia valutato di non sottoporre al Consiglio dei ministri il relativo schema di decreto (frutto di un lungo, ma non costruttivo, confronto tra le parti interessate e gli uffici del Ministero competente), in quanto l'applicazione della nuova tabella avrebbe comportato la riduzione sino al 60 per cento dei risarcimenti per tali eventi, rispetto ai parametri dettati dalle tabelle del tribunale di Milano (alle quali la Corte di cassazione ha fatto rinvio per determinare il valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona da applicare all'intero territorio nazionale; tabelle che contemplano, oltre al danno biologico, anche quello morale), con conseguenze fortemente pregiudizievoli per le vittime degli incidenti stradali;
    spetta al decreto citato di fissare in maniera univoca i valori economici e medico-legali per la valutazione del risarcimento del danno derivante alla persona dalla circolazione stradale, applicabili anche alle persone danneggiate da eventi connessi alla responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189;
    la base giuridica del decreto citato, cioè gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, deve essere integrata con il riferimento all'evoluzione giurisprudenziale della nozione di danno biologico;
    esiste la riconosciuta esigenza, da un lato, di dettare criteri certi per evitare sperequazioni territoriali e un'indiscriminata corsa al rialzo, non correlata al concreto bene giuridico tutelato, dei valori risarcitori; dall'altro, di addivenire ad una progressiva, ma certa, diminuzione dei premi assicurativi, sia per quanto attiene alla responsabilità civile automobilistica, sia per quanto concerne la responsabilità degli esercenti le professioni sanitarie,

impegna il Governo:

a riconsiderare prontamente, sul solco di quanto già avviato dal competente Ministero nei primi quattro mesi dell'anno 2013, l'intera problematica, valutando l'adeguatezza della base giuridica su cui adottare il citato decreto del Presidente della Repubblica e ispirandosi all'esigenza di dare congrua e piena soddisfazione alle vittime di incidenti stradali e di eventi avversi in campo sanitario, nel contempo perseguendo, anche attraverso la prosecuzione dei lavori del tavolo tra le categorie e le associazioni interessate, l'obiettivo di dare certezza all'intero comparto, anche al fine di permettere una graduale, ma significativa, riduzione dei premi assicurativi.
(1-00102)
«Gigli, Binetti, Balduzzi, Sottanelli, Oliaro, Schirò Planeta, Sberna, Cera, Vargiu, Monchiero».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    è in discussione l'approvazione da parte del Governo del decreto del Presidente della Repubblica in attuazione degli articoli 138 e 139 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private), che predispone una specifica tabella unica su tutto il territorio nazionale delle menomazioni all'integrità psicofisica di lieve entità e di quelle comprese tra dieci e cento punti, nonché del valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso;
    finalità dei suddetti articoli è, pertanto, la fissazione in maniera univoca, ai fini del risarcimento del danno in sede assicurativa responsabilità civile auto, dei valori economici e medico-legali per la valutazione del danno alla persona derivante da lesioni che abbiano determinato macrolesioni e lesioni di lieve entità, con l'obiettivo, dunque, di ovviare ad un sistema eterogeneo fondato su tabelle predisposte dai singoli tribunali ed eventualmente suscettibili di dar vita a forti disuguaglianze e disparità di trattamento tra le vittime dei sinistri;
    fino ad oggi infatti tali valutazioni sono riservate alla giurisprudenza; recentemente la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 emessa dalla III sezione della Corte di cassazione ha esteso a tutto il territorio nazionale la tabella seguita dal tribunale di Milano (da tempo spontaneamente adottata da molti altri tribunali), dichiarando che gli importi risarcitori contenuti in quella tabella rappresentano il valore da ritenersi equo. Tale orientamento è stato confermato dalle sentenze Cass. civ. sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402, Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7272, e dall'ordinanza 4 gennaio 2013, n. 134;
    in particolare, con la sentenza n. 12408 del 2011 la Corte di cassazione ha ritenuto le tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano le più «congrue» sia per il metodo di calcolo, sia per i valori risarcitori; va rilevato, inoltre, che le suddette tabelle rappresentavano e rappresentano ancora il frutto di un annoso e meditato dibattito dottrinale e giurisprudenziale in tema di danno alla persona;
    lo schema di decreto del Presidente della Repubblica di cui agli articoli 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005 all'attenzione dell'Esecutivo, risulta essere profondamente penalizzante nei confronti delle vittime, in quanto produrrebbe, rispetto alle tabelle elaborate dall'Osservatorio sulla giustizia civile del tribunale di Milano, una consistente riduzione del risarcimento del danno biologico;
    per questo motivo si sono avute forti reazioni da parte delle molte associazioni dei consumatori e dei familiari delle vittime di incidenti stradali che ritengono il provvedimento fortemente lesivo del diritto di tutti i danneggiati ad un adeguato e dignitoso risarcimento dei danni subiti;
    sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica si è espresso in sede consultiva il Consiglio di Stato, con il parere reso all'adunanza generale in data 8 novembre 2011, rilevando che potrebbero derivare possibili effetti distorsivi connessi all'applicazione ai soli sinistri stradali degli indici parametrici di cui alle tabelle, rispetto ad analoghe situazioni di lesioni, non intervenute nell'ambito della circolazione stradale, chiedendo al Ministero di valutare l'opportunità di un'eventuale modifica normativa;
    pertanto, alla luce della delicatezza e dell'importanza del tema, che incide su diritti costituzionalmente garantiti, si reputa indispensabile per il Parlamento promuovere un approfondimento della materia, nei suoi vari aspetti, sociali, sanitari, economico-finanziari, e un proficuo confronto sia con il Governo che con tutti i soggetti coinvolti, mediante un'indagine conoscitiva e lo svolgimento di specifiche audizioni, che tengano conto della giurisprudenza della Corte di cassazione e dell'importanza che riveste oggi in tale settore l'utilizzo, come parametro di riferimento, dei valori risarcitori previsti nelle tabelle del tribunale di Milano;
    questa urgenza è resa ancor più necessaria dalla circostanza che sullo schema di decreto del Presidente della Repubblica non è previsto un parere delle competenti commissioni parlamentari, dal momento che sarà emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400;
    inoltre, l'approfondimento suddetto risulta necessario in virtù della sopravvenienza normativa costituita dalla disposizione di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012, che in materia di responsabilità professionale ha specificato che il danno biologico conseguente all'attività dell'esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle tabelle di cui ai già citati articolo 138 e 139 del decreto legislativo n. 209 del 2005,

impegna il Governo:

ad adottare il decreto del Presidente della Repubblica recante la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica di cui in premessa, considerata l'importanza di uno strumento che garantisca certezza e uniformità valutativa al risarcimento del danno, solo successivamente ad un rapido, ma approfondito esame della materia da parte delle competenti Commissioni parlamentari, che potranno eventualmente disporre un'indagine conoscitiva sull'argomento, con particolare riguardo al valore pecuniario attribuito ad ogni singolo punto di invalidità, alle modalità di adeguamento periodico della stessa e alle conseguenze sui premi delle polizze, al fine di garantire un giusto risarcimento alle vittime di gravi handicap psicofisici.
(1-00103)
(Nuova formulazione) «Costa, Sisto, Baldelli, Abrignani».
(17 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il Governo sta predisponendo lo schema di decreto del Presidente della Repubblica contenente la tabella delle menomazioni all'integrità psicofisica comprese tra dieci e cento punti, prevista dall'articolo 138 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
    la tabella dovrà riportare il valore pecuniario da attribuire ad ogni singolo punto di invalidità tra dieci e cento punti, comprensiva dei coefficienti di variazione corrispondenti all'età del soggetto leso, analogamente a come è già previsto per le lesioni di lieve entità, cioè comprese tra uno e nove punti di invalidità, dall'articolo 139 dello stesso codice delle assicurazioni private, a decorrere dal marzo del 2012;
    l'emanazione delle tabelle nasce dalla richiesta delle vittime di ottenere un sistema risarcitorio uniforme su tutto il territorio nazionale, posto che, sino a quando l'entità del risarcimento del danno ad esse riconosciuto era affidato unicamente alla discrezionalità dei giudici, venivano a crearsi delle discriminazioni de facto tra residenti nel sud Italia e residenti nelle regioni del Nord, a causa dell'estrema variabilità degli importi riconosciuti;
    sino ad oggi, nelle more dell'emanazione della tabella, si è proceduto ad un'unificazione dei parametri applicando su tutto il territorio nazionale le cosiddette tabelle del tribunale Milano, riconosciute da una sentenza della Corte di cassazione del 2011 quali quelle che meglio rappresentavano il principio di equità nel risarcimento del danno alla salute e all'integrità psicofisica;
    il fenomeno degli incidenti stradali nel nostro Paese, pur essendo lievemente in calo, comporta ancora costi altissimi in termini di vite umane e di danni alla salute, nonché in termini di costi sociali che ne conseguono, stimati in circa trenta miliardi di euro all'anno;
    si pensi che, a tutt'oggi, sulle nostre strade ogni giorno vengono ferite in media ottocento persone, mentre undici perdono la vita, e una percentuale molto elevata di queste vittime interessa i più giovani;
    se si considera che ogni anno il risultato di questo terribile flagello sono migliaia di persone che perdono un proprio caro o che sono condannate alla disabilità permanente, ci si rende conto come già di per sé la quantificazione di un simile danno sia di grandissima difficoltà, posto che alcuna cifra potrà mai degnamente ripagare le vittime;
    peraltro, il diritto che viene ad essere leso non è solo quello alla salute ed all'integrità psicofisica, bensì anche quello al lavoro, considerato che molte vittime, a causa delle menomazioni subite, non riescono più a svolgere il proprio lavoro;
    sembra che nella tabella allo studio del Governo i parametri di riferimento per la liquidazione dei danni siano di entità inferiore a quelli applicati sinora nel rispetto delle tabelle del tribunale Milano;
    questo si tradurrà in un danno ulteriore a carico delle vittime di incidenti, già gravate, peraltro, anche sul versante giudiziario dalla mancanza di effettività della pena in grande parte dei procedimenti giudiziari che riguardano gli omicidi colposi per violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale;
    inoltre, procedere proprio in un momento di crisi economica, come quello che il nostro Paese sta attraversando, ad una riduzione dell'entità dei risarcimenti penalizzerà, in modo ingiustificabile, doppiamente proprio le persone che non possono più lavorare a causa dei danni riportati,

impegna il Governo:

   ad assicurare, nell'approvazione della tabella di cui in premessa, che essa non comporti una riduzione dei parametri sin qui applicati, nel rispetto, da un lato, della citata sentenza della Corte di cassazione, e, dall'altro, delle vittime degli incidenti e dei loro diritti costituzionalmente riconosciuti;
   a promuovere iniziative di sensibilizzazione al tema delle conseguenze derivanti dagli incidenti stradali, anche evidenziando il disvalore sociale della guida irresponsabile e pericolosa.
(1-00104)
«Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa».
(17 giugno 2013)

MOZIONI CONCERNENTI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA AL PROGRAMMA DI REALIZZAZIONE DELL'AEREO JOINT STRIKE FIGHTER-F35

   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto per la realizzazione di questo velivolo è frutto di un accordo tra gli Stati Uniti e 8 Paesi partner, tra cui l'Italia, partner di secondo livello, che prevede la realizzazione di 3.173 velivoli per un costo complessivo stimato di 396 miliardi di dollari, anche se nessuno, allo stato attuale, è in grado di quantificare il costo finale dell'intero progetto e, quindi, di ogni singolo aereo, comunque oggi stimato intorno ai 190 milioni di dollari;
    tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Strategic defence and security review, nel 2015; l'Olanda ha avviato un'inchiesta parlamentare a seguito di un pesante voto contrario al progetto; l'Australia non userà l'F-35 come piattaforma esclusiva acquistando anche altri aerei; la Turchia ha rinviato l'acquisto dei primi F-35; la Norvegia ha minacciato di ripensare le sue scelte sul Joint Strike Fighter; la Danimarca ha riaperto la gara per decidere entro il 2015 di quale aereo dotarsi ed il Canada ha sospeso la gara per l'acquisto del nuovo caccia;
    in Canada, in particolare, il ripensamento nasce dalle polemiche dovute alle omissioni sui costi fatte dal Governo: uno studio indipendente (Kpgm) ed altri organi di controllo pubblici hanno, infatti, stabilito che il costo complessivo in 40 anni, includendo anche l'uso e la manutenzione, è di oltre 45 miliardi di dollari, tre volte le previsioni fatte dal Governo;
    ai quasi 400 velivoli che verrebbero a mancare rispetto alle ipotesi iniziali si potrebbero aggiungere anche ipotesi di tagli da parte del Pentagono rispetto ai 2.443 previsti; questo comporterebbe un ulteriore aumento del costo unitario per tutti gli acquirenti;
    il programma presenta diverse criticità costantemente evidenziate e denunciate sia dal Government Accountability Office (GAO) che dal Pentagono. Oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, al lievitare dei costi; i problemi del casco del pilota, la vulnerabilità ai fulmini, i problemi al motore che hanno portato allo stop dei voli dell'aereo, la denuncia dei piloti dell'incapacità di combattere non avendo nessuna chance di successo in uno scontro reale con un aereo sono solo alcuni dei maggiori problemi finora riscontrati nell'F-35;
    l'Italia partecipa al progetto sin dal suo inizio, nel 1998, con una richiesta iniziale di 131 aerei, ridotta poi nel 2012 a 90 velivoli, considerati dalle Forze armate «indispensabili» perché andrebbero a sostituire tre linee di velivoli: i Tornado, gli AMX e gli AV-8B, senza, tuttavia, alcuna spiegazione circa il ruolo di un aereo tanto sofisticato, considerati gli impegni internazionali italiani;
    nel 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato, esprimendo parere favorevole al programma, hanno posto alcune condizioni: la conclusione di accordi industriali e governativi che consentano un ritorno industriale per l'Italia proporzionale alla sua partecipazione finanziaria, anche al fine di tutelare i livelli occupazionali; la fruizione da parte dell'Italia dei risultati delle attività di ricerca relative al programma; la preventiva individuazione di adeguate risorse finanziarie che non incidano sugli stanziamenti destinati ad assicurare l'efficienza della componente terrestre e, più in generale, dell'intero strumento militare;
    tali condizioni, in parte già espresse anche in precedenza, non hanno trovato riscontro nell'avanzamento del progetto: gli oneri previsti per l'Italia nelle prime tre fasi ammontano a 1.942 milioni di dollari a cui vanno aggiunti gli oltre 800 milioni di euro per la costruzione della FACO (Final Assembly and Check Out) a Cameri (Novara); contestualmente, le industrie italiane hanno ottenuto appalti per circa 800 milioni di dollari: a fronte dei circa 3 miliardi di euro spesi fanno un ritorno di poco sopra al 20 per cento delle spese, che difficilmente renderà possibile un ritorno di circa 14 miliardi di euro, cioè il 100 per cento più volte sbandierato dai Governi che hanno sostenuto questo progetto;
    fonti governative e militari negli anni hanno ipotizzato l'arrivo di 10.000 posti di lavoro, mentre secondo stime sindacali si tratterebbero al massimo di circa 2.000 posti e per di più sarebbero ricollocazioni di lavoratori precedentemente impegnati con l’Eurofighter;
    il Parlamento ha approvato una legge delega al Governo che prevede un taglio di 30.000 militari e del 30 per cento delle strutture, portando i risparmi conseguiti all'investimento, in particolare sull'F35;
    secondo quanto rivelato dal quotidiano britannico Guardian, il Pentagono ha stanziato 11 miliardi di dollari per ammodernare il proprio arsenale di bombe atomiche, comprese quelle depositate nelle basi americane all'estero o in quelle di Paesi alleati;
    si tratta di 200 bombe B61 a caduta libera depositate nelle basi Nato europee in Belgio, Olanda, Germania e Turchia; in Italia risultano esserci 90 bombe di cui 50 custodite nella base di Aviano, in Friuli, e 40 a Ghedi, vicino Brescia, anche se le ultime stime parlano della metà, cioè 20;
   degli 11 miliardi di dollari stanziati, 10 servirebbero per prolungare la vita operativa delle B61 e 1 miliardo di dollari per dotare gli ordigni di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate;
    le nuove B61-12 al contrario delle vecchie B61, che hanno il sistema di puntamento analogico, avranno il puntamento digitale, compatibile con i sistemi elettronici dell'F35-A;
    anche se il nostro Paese ha aderito al trattato di non proliferazione nucleare, in base all'accordo Nato di condivisione nucleare «Nuclear sharing agreements» si prevedono una serie di impegni di condivisione di strutture ed infrastrutture: oltre allo stoccaggio delle bombe, che restano sotto il controllo degli Stati Uniti, è previsto l'addestramento di piloti italiani per il possibile uso delle armi e la partecipazione italiana alle riunioni del Nuclear Planning Group della Nato;
    il programma dell'F35 è diventato un progetto dal costo elevato, a fronte di prestazioni peraltro incerte, non corrispondente alle esigenze difensive del nostro Paese, con ricadute industriali ed occupazionali molto lontane dalle aspettative, e che rischia anche di compromettere le politiche di disarmo;
    in una scuola su tre (su due al Sud) mancano i certificati di sicurezza. Migliaia stanno su territori a rischio sismico o idrogeologico. Si tratta non solo dell'intonaco che cade, dell'infiltrazione d'acqua, dell'umidità. Lo stato dell'edilizia scolastica nel nostro Paese è drammatico, al punto che in alcune città le amministrazioni si trovano nel dilemma se aprire una scuola non a norma o lasciare a casa i bambini;
    dei 42 mila edifici scolastici presenti in tutta Italia il 29 per cento non ha il certificato di agibilità sanitaria, il 42 per cento quello di agibilità statica, il 47,81 per cento non rispetta le norme anti incendio. Più del 60 per cento non è dotato neppure di scale di sicurezza o porte anti panico. E poi ci sono le strutture con l'amianto (11,13 per cento) e quelle con il radon, un gas radioattivo. Oltre il 60 per cento delle scuole ha più di 40 anni. Se poi si aggiunge che per via della loro ubicazione territoriale le scuole italiane sono soggette al rischio sismico, idrogeologico, vulcanico e industriale, il panorama assume tratti drammatici tanto da connotarsi come un'emergenza;
    ma non è solo la messa in sicurezza straordinaria a mancare. Gli enti locali non hanno più i fondi neanche per la manutenzione: crescono, infatti, fino a costituire il 56 per cento del totale, gli edifici che negli ultimi 5 anni non hanno goduto di nessun tipo di intervento;
    secondo un'indagine di Legambiente, sono ben 6.633 i comuni in cui sono presenti aree ad alta criticità idrogeologica, l'82 per cento del totale delle amministrazioni comunali italiane. Dal 1950 al 2009 sono state oltre 6.300 le vittime del dissesto idrogeologico;
    gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni prima degli anni ’90, a 4-5 all'anno;
    secondo i recenti dati forniti dal Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico, e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni. Di questi, sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    a questo si aggiunge il crescente grado di rischio di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    nell'anno scolastico 2010/2011, secondo l'Istat, risultano iscritti agli asili nido comunali 157.743 bambini di età tra zero e due anni, mentre altri 43.897 usufruiscono di asili nido convenzionati o sovvenzionati dai comuni, per un totale di 201.640 utenti;
    nel 2010 la spesa imperniata per gli asili nido da parte dei comuni o, in alcuni casi, di altri enti territoriali delegati dai comuni stessi è di circa 1 miliardo e 227 milioni di euro, al netto delle quote pagate dalle famiglie;
    fra il 2004 e il 2010, nonostante il graduale ampliamento dell'offerta pubblica, la quota di domanda soddisfatta è ancora limitata rispetto al potenziale bacino di utenza: gli utenti degli asili nido sono passati dal 9 per cento dei residenti tra zero e due anni dell'anno scolastico 2003/2004, all'11,8 per cento del 2010/2011, mentre rimangono molto ampie le differenze territoriali: la percentuale di bambini che usufruisce di asili nido comunali o finanziati dai comuni varia dal 3,3 per cento al Sud al 16,8 per cento al Nord-est,

impegna il Governo:

   a cancellare la partecipazione italiana al programma di realizzazione dell'aereo Joint Strike Fighter-F35;
   a procedere in tempi rapidi ad un'attenta ridefinizione del modello di difesa italiano sulla base del dettato costituzionale e della politica estera italiana, affermando un ruolo centrale per la politica europea e sostenendo il ruolo di peacekeeping per le Forze armate;
   a subordinare qualsiasi decisione sui sistemi d'arma da acquisire alla definizione del modello di difesa;
   ad attivare meccanismi che favoriscano la riconversione dell'industria legata alla produzione delle armi, al fine di salvaguardare i posti di lavoro che verrebbero a mancare per la sospensione di alcuni programmi di nuovi sistemi d'arma;
   ad attivarsi presso la Nato e gli Stati Uniti per chiedere un'immediata rimozione di qualsiasi ordigno nucleare presente sul territorio italiano;
   a destinare le somme così risparmiate ad un programma straordinario di investimenti pubblici riguardanti piccole opere e finalizzato, ad esempio, alla messa in sicurezza degli edifici scolastici, alla tutela del territorio nazionale dal rischio idro-geologico e alla realizzazione di un piano pluriennale per l'apertura di asili nido.
(1-00051)
«Marcon, Spadoni, Beni, Sberna, Aiello, Agostinelli, Amoddio, Airaudo, Alberti, Bossa, Boccadutri, Artini, Franco Bordo, Baldassarre, Capone, Costantino, Barbanti, Civati, Di Salvo, Baroni, Coccia, Duranti, Basilio, Fossati, Daniele Farina, Battelli, Incerti, Fava, Bechis, Mognato, Ferrara, Benedetti, Raciti, Fratoianni, Massimiliano Bernini, Scuvera, Giancarlo Giordano, Paolo Bernini, Zanin, Kronbichler, Nicola Bianchi, Zappulla, Lacquaniti, Bonafede, Lavagno, Brescia, Matarrelli, Brugnerotto, Melilla, Businarolo, Migliore, Busto, Nardi, Cancelleri, Nicchi, Cariello, Paglia, Carinelli, Palazzotto, Caso, Pannarale, Castelli, Pellegrino, Catalano, Piazzoni, Cecconi, Pilozzi, Chimienti, Piras, Ciprini, Placido, Colletti, Quaranta, Colonnese, Ragosta, Cominardi, Ricciatti, Corda, Sannicandro, Cozzolino, Scotto, Crippa, Zan, Currò, Zaratti, D'Ambrosio, Dadone, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Furnari, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Labriola, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spessotto, Tacconi, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini, Zolezzi, Gasbarra, Marzano, Decaro, Pastorino, Mattiello, Gigli, Gadda».
(23 maggio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il programma Joint Strike Fighter è stato avviato negli Stati Uniti nella prima metà degli anni ’90, nell'ambito del progetto Joint Advanced Strike Technology (JAST), e prevedeva lo sviluppo di un aereo da combattimento di nuova generazione, che fosse in grado di combinare la capacità di un lungo periodo di impiego con la possibilità di sostituire, con un unico aereo in più versioni, un'ampia gamma di velivoli della flotta militare statunitense, compresi quelli a decollo verticale;
    il programma Joint Strike Fighter si svolge nell'ambito di una cooperazione internazionale tra Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca;
    l'Italia ha aderito al programma già dalla fine del 1998, quando con il Governo D'Alema è stato firmato il Memorandum of agreement per la fase concettuale dimostrativa, con un primo investimento di 10 miliardi di dollari, ed è partner di secondo livello, insieme all'Olanda, con una quota d'investimento totale pari a quasi il quattro per cento;
    in attuazione del programma Joint Strike Fighter, è stato sviluppato un velivolo caccia multiruolo di quinta generazione con spiccate caratteristiche di bassa osservabilità da parte dei sistemi radar (stealth) e di interconnessione di tutti i sistemi di comunicazione, informazione e scambio dati (net-centriche);
    l'F-35 Lightning II sarà prodotto in tre versioni ed è destinato a sostituire circa 250 velivoli attualmente impiegati dalle Forze armate italiane, la cui dismissione è inevitabile per obsolescenza e limiti strutturali;
    nell'aprile del 2009 le Commissioni difesa di Camera e Senato hanno espresso parere favorevole sullo schema di programma predisposto dal Governo in ordine all'acquisto di 131 velivoli F35, al costo di 12,9 miliardi di euro, spalmati fino al 2026, e alla realizzazione, presso l'aeroporto militare di Cameri (Novara), di una linea di assemblaggio finale e di verifica (Faco) per i velivoli destinati ai Paesi europei;
    il 15 febbraio 2012, il Ministro della Difesa pro tempore, ammiraglio Di Paola, nell'illustrare alle Commissioni difesa di Camera e Senato le linee di indirizzo per la revisione dello strumento militare, ha annunciato un ridimensionamento del programma: «l'esame fatto a livello tecnico e operativo porta a ritenere come perseguibile, da un punto di vista operativo e di sostenibilità, un obiettivo programmatico dell'ordine di 90 velivoli (con una riduzione di circa 40 velivoli, pari a un terzo del programma), una riduzione importante che, tuttavia, salvaguarda anche la realtà industriale e che, quindi, rappresenta una riduzione significativa coerente con l'esigenza di oculata revisione della spesa»;
    in quella sede, la necessità di proseguire nel programma è stata, altresì, posta in relazione con la necessità di sostituire tre linee di velivoli, i Tornado, gli Amx e gli AV-8 B, che nell'arco dei prossimi 15 anni usciranno progressivamente dalla linea operativa per vetustà;
    il programma Joint Strike Fighter offre all'industria italiana un ritorno tecnologico e occupazionale di significativo valore: dal punto di vista industriale, l'F35 vede protagoniste le maggiori aziende del settore aeronautica (Alenia aeronautica e Avio solo per citarne alcune) e sosterrà la produzione dell'industria aeronautica italiana per i prossimi anni, mentre l'indotto include sia grandi aziende, sia piccole e medie imprese in numerose regioni;
    sotto il profilo occupazionale, inoltre, oltre alle centinaia di ingegneri coinvolti nelle fasi di studio, progettazione e realizzazione del velivolo, un importante ritorno è legato alla citata Final assembly and check out (Faco) di Cameri, che darà occupazione a millecinquecento persone direttamente e a circa diecimila con l'indotto, la quale si prevede che avvii la propria attività produttiva nel 2016 per proseguirla per almeno 40 anni;
    i mutamenti del quadro geopolitico globale, in cui alla relativa stabilità dell'area atlantica corrisponde la crescente instabilità di aree di rilevante interesse strategico in Asia e Africa e la significativa riduzione della presenza militare statunitense in Europa, impongono nuove e crescenti responsabilità al sistema di difesa, che è chiamato a potenziare la propria autonomia ed efficienza operativa all'interno delle severe compatibilità dettate dagli obiettivi di finanza pubblica;
    in questo quadro, la modernizzazione della componente aerotattica costituisce un'esigenza obiettiva ed irrinunciabile del sistema di difesa euro-atlantica, nell'ambito della quale gli F35 rappresentano un'arma strategica che, qualora si decidesse di rinunciare alla sua messa a punto e produzione, sarebbe impossibile acquisire;
    inoltre, l'abbandono del programma Joint Strike Fighter comporterebbe delle conseguenze gravissime, sia sotto il profilo dell'ammodernamento dei nostri strumenti militari, sia in termini di danni economici, visto che, come già ricordato, l'Italia ha aderito al programma un quindicennio fa ed ha già investito risorse ingenti nella sua attuazione, sia, infine, con riferimento ai citati benefici per le aziende italiane in termini industriali e occupazionali;
    per quanto attiene alle criticità in ordine ai costi di produzione per i nuovi velivoli, appena pochi giorni fa, il 19 giugno 2013, il Sottosegretario alla difesa americano Kendall, nel corso di un'audizione al Congresso, ha dichiarato che i costi per aeromobile si stanno riducendo,

impegna il Governo:

   a rispettare gli impegni internazionali assunti in ordine alla realizzazione del programma Joint Strike Fighter, al fine di tutelare sia l'impegno finanziario sin qui sostenuto, sia l'aumento della produzione industriale nazionale ad esso connesso ed i conseguenti effetti sui livelli occupazionali;
   a proseguire, anche attraverso il costante raccordo con i competenti organi parlamentari, nella valutazione delle modalità di attuazione del programma, nonché, in un quadro più generale, nella scelta degli investimenti che si ritiene debbano essere realizzati, nel breve e nel medio periodo, per assicurare una più efficiente integrazione dello strumento militare italiano nel sistema di difesa euro-atlantica;
   a continuare a sostenere il ruolo dell'Italia, in sede internazionale, in qualità di protagonista e in qualità di partner strategico nella ricerca, individuazione e messa a punto di innovazioni tecnologiche.
(1-00118)
«Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Nastri».
(24 giugno 2013)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA TUTELA E LA SICUREZZA DEL TERRITORIO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL DISSESTO IDROGEOLOGICO

   La Camera,
   premesso che:
    la tutela e la sicurezza del territorio italiano, unitamente alla tutela delle acque, rappresentano un interesse prioritario della collettività; il suolo è una risorsa ambientale non riproducibile, la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio;
    la fragilità del territorio italiano è documentata e sempre più evidente: i dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sul finire della XVI legislatura, classificano circa il 10 per cento del territorio nazionale ad elevata criticità idrogeologica, ossia a rischio di alluvioni, frane e valanghe; i due terzi delle aree esposte a rischio riguardano i centri urbani, le infrastrutture e le aree produttive; più in generale e con diversa intensità, il rischio di frane e alluvioni riguarda tutto il territorio nazionale: l'89 per cento dei comuni è soggetto a rischio idrogeologico e 5,8 milioni di italiani vivono sotto tale minaccia;
    alla particolare conformazione geologica del territorio italiano, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme non è stata contrapposta una tutela specifica dalla forte pressione antropica che si registra nel nostro Paese: l'Italia è, infatti, un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, assai superiore alla media dell'Europa, pari a 118 abitanti per chilometro quadrato, e con fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale;
    secondo i dati Istat, il trend del consumo di suolo nel nostro Paese è cresciuto a ritmi impressionanti, pari a 244.000 ettari all'anno di suolo divorato da cemento ed asfalto; si è assistito, negli ultimi decenni, ad una crescita continua dell'urbanizzazione, al diffondersi di una cementificazione spesso incontrollata, all'artificializzazione di corsi d'acqua minori, di fiumare e di canali e alla sottrazione di aree libere, agricole e boschive, quali presidi per la tenuta del territorio italiano, di cui si paga un prezzo altissimo ogni qualvolta, sul nostro Paese, si abbattono piogge particolarmente intense;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale, da parte degli stessi enti preposti alla gestione del territorio, ed il ricorso improprio agli oneri di urbanizzazione, quale fonte prioritaria di finanziamento per i bilanci comunali, hanno spesso privato il «bene suolo» del suo valore pubblico, riducendolo ad un mero serbatoio da cui attingere risorse;
    la pratica dell'abusivismo ha minato la creazione di una cultura diffusa in materia di sicurezza del territorio, di rispetto delle regole e di salvaguardia del suolo come risorsa per le generazioni future;
    l'assenza di un'adeguata pianificazione territoriale, unita a una cementificazione incontrollata, ha prodotto una rilevante perdita di terreni per la produzione agricola, che, insieme alla desertificazione e all'improduttività dei suoli, sono fattori di rischio per gli equilibri ambientali;
    gli eventi alluvionali che hanno colpito anche in queste ultime settimane i territori dell'Emilia-Romagna e della Liguria, e ripetutamente nei mesi passati anche la Toscana, le Marche, il Veneto, la Campania e la Sicilia, dimostrano quanto il problema del dissesto idrogeologico non sia più catalogabile nella logica dell'emergenza, per la frequenza degli eventi e per la gravità delle ricadute prodotte sui sistemi territoriali coinvolti;
    ciò nonostante, nella gestione delle risorse pubbliche per la tutela dell'ambiente si evidenzia un deficit di pianificazione e programmazione con una spesa improduttiva e molte volte dirottata su altre finalità; uno studio dell'Associazione artigiani e piccole imprese Mestre (Cgia) ha indicato che solo l'1,1 per cento delle imposte «ecologiche» sull'energia, sui trasporti e sulle attività inquinanti, pagate dai cittadini allo Stato e agli enti locali, è destinato alla protezione dell'ambiente; il 98,9 per cento va a coprire altre voci di spesa;
    più in generale, occorre sottolineare come la politica di tutela del territorio continua a destinare la gran parte delle risorse disponibili, che restano comunque scarse, all'emergenza, anziché ad un'effettiva opera di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, che è l'unico modo per prevenire danni economici e perdite di vite umane inaccettabili; ad esempio, a fronte di un finanziamento di cui alla legge n. 183 del 1989 per la difesa «strutturale» del suolo, pari a soli 2 miliardi di euro negli ultimi 20 anni, sono stati spesi ben 213 miliardi di euro per arginare le mille emergenze che si sono verificate: 161 miliardi di euro per coprire i danni provocati dai terremoti e 52 miliardi di euro per riparare i disastri derivanti dal dissesto idrogeologico. Tra il 1999 ed il 2008, inoltre, sono stati spesi 58 miliardi di euro per la difesa del suolo, la riduzione dell'inquinamento e l'assetto idrogeologico, ma di questi oltre il 50 per cento è stato assorbito dalle spese di parte corrente e solo 26 miliardi di euro sono stati destinati ad investimenti per la prevenzione dei rischi;
    gli stanziamenti ordinari riguardanti la difesa del suolo e il rischio idrogeologico, iscritti nei bilanci di previsione degli ultimi anni, indicano pesanti riduzioni di risorse, facendo venir meno la certezza di poter disporre delle risorse necessarie a favore di politiche di prevenzione, che hanno bisogno di continuità per poter essere efficaci, e registrando, nei fatti, uno spostamento delle modalità di finanziamento che privilegia una gestione straordinaria, mediante strumenti che non sempre hanno prodotto risultati soddisfacenti;
    il piano straordinario per la prevenzione del rischio idrogeologico, previsto dalla legge finanziaria per il 2010, che aveva assegnato per interventi straordinari al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare fondi per 1 miliardo di euro a valere sulle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate e diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, non ha mai prodotto i risultati attesi, anche a causa del mancato e tempestivo trasferimento di risorse;
    la situazione determinatasi per effetto della mancata attuazione del piano straordinario contro il dissesto idrogeologico è risultata talmente grave da «costringere» il Governo Monti ad adottare tre apposite delibere del Cipe: la prima (n. 8 del 2012) allo scopo di individuare fra gli interventi di rilevanza strategica regionale quelli per la mitigazione del rischio idrogeologico individuati negli accordi di programma già sottoscritti fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e le regioni del Mezzogiorno, con conseguente assegnazione di complessivi 680 milioni di euro; la seconda delibera (n. 6 del 2012) per lo stanziamento di 130 milioni di euro, anch'essi per interventi diretti a fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico in alcune aree delle regioni del Centro-Nord; la terza delibera (n. 87 del 2012) per l'assegnazione di ulteriori 1.060 milioni di euro, a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione, per il finanziamento di interventi per la manutenzione straordinaria del territorio nelle regioni del Mezzogiorno;
    in ogni caso, comunque, ancora prima dell'individuazione di nuove risorse economiche, occorre mettere mano con decisione all'infrastrutturazione istituzionale nel campo delle politiche per la difesa del suolo. La maggiore criticità oggi riscontrabile è, infatti, dovuta al mancato completamento del riassetto della governance e da una frammentazione e sovrapposizione di competenze: soggetti e strumenti che appesantiscono, rendendolo meno efficiente, a volte paralizzandolo, il sistema di pianificazione, programmazione, gestione e monitoraggio degli interventi;
    a livello nazionale si sconta, a tutt'oggi, la mancanza di una regia unitaria delle azioni di difesa del suolo e di gestione della risorsa idrica; l'adeguamento alle normative comunitarie – direttiva quadro n. 2000/60/CE sulle acque – avrebbe necessariamente richiesto la definizione di ruoli e competenze che sono ancora confuse tra livelli distrettuali e regionali, con l'effetto di non rendere riconoscibile la catena delle responsabilità; l'attuale revisione dei livelli istituzionali e la diversa attribuzione di funzioni in materia di pianificazione territoriale di scala vasta e di tutela delle risorse ambientali rischiano, peraltro, di creare nuove criticità;
    il sistema di gestione proposto per la difesa del suolo, la tutela delle acque e i servizi idrici è di tipo spiccatamente centralistico, incapace di coordinare sinergicamente competenze, ruoli, responsabilità e poteri decisionali delle istituzioni interessate e di armonizzare contenuti, modalità di approvazione, attuazione ed aggiornamento dei diversi strumenti di pianificazione; l'istituzione delle otto autorità di bacino distrettuali, non ancora operative, alle quali viene attribuita la potestà pianificatoria, trova limiti nella stessa delimitazione territoriale dei distretti approvata, nella loro architettura istituzionale, e dovuta ad un eccessivo peso ministeriale e a un conflitto latente con il sistema delle regioni, deleterio per gli organismi che dovrebbero fondarsi sul principio cooperativo tra Stato e regioni a fronte di competenze concorrenti in materia territoriale, e nella stessa operatività economica di tali organismi, a causa delle crescenti difficoltà finanziarie del settore pubblico;
    i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, da predisporre per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE entro il termine di nove anni dalla sua emanazione, sono stati adottati dai comitati istituzionali delle autorità di bacino, ma sono tuttora in attesa di definitiva approvazione da parte del Consiglio dei ministri (ad oggi il Governo ha approvato solo tre schemi di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recanti approvazione di piani di gestione distrettuali), con il risultato di aver prodotto fin qui solo effetti limitativi per i territori interessati, senza avere, invece, dispiegato le azioni positive in essi previste;
    a livello comunitario, oltre alla direttiva quadro sulle acque n. 2000/60/CE, solo parzialmente attuata con il decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto codice ambientale), altri importanti atti legislativi comunitari in materia di gestione delle acque e di difesa del suolo sono stati parzialmente assunti e recepiti dal nostro Paese, tra cui la direttiva sulle alluvioni n. 2007/60/CE, recepita con il decreto legislativo n. 49 del 2010, che, però, mal si integra con il citato codice ambientale;
    tratto fondante del progetto comunitario, cui dovrebbe ispirarsi l'azione del nostro Paese in materia di difesa del suolo, è il perseguimento di un'azione programmatica non limitata al semplice bilanciamento delle esigenze di sicurezza, di quelle ecologiche ed economiche, ma finalizzata all'obiettivo di un cambiamento del modello di sviluppo, attraverso scelte di destinazione ed uso del territorio. Punti caratterizzanti di tale programma sono la ricostruzione ecologica dei corsi d'acqua, lo sfruttamento dei processi di qualificazione dell'agricoltura come cura e presidio del territorio, l'introduzione dell'analisi economica nei processi decisionali, al fine di realizzare gli interventi che portano maggior beneficio alla collettività piuttosto che favorire la redditività immediata del singolo, l'assunzione, nel quadro degli scenari di cambiamento, anche dei cambiamenti climatici, la promozione di politiche di adattamento piuttosto che il ricorso ad interventi strutturali, la valorizzazione di pratiche di tipo «negoziale-dialogico» e di partecipazione e coinvolgimento del pubblico nella ricerca di scelte condivise;
    la maggior parte degli interventi finalizzati alla difesa del suolo, realizzati in Italia, sono interventi strutturali di difesa passiva, nonostante sia ormai dimostrato che il binomio «dissesto-intervento di difesa del dissesto» può dar luogo a soluzioni localmente soddisfacenti, ma se applicato diffusamente può provocare effetti negativi, non solo perché spesso il rapporto costo/efficacia è sfavorevole, ma anche perché la realizzazione di un intervento a monte può aggravare i pericoli a valle. Al contrario, occorre puntare sulle attività di carattere preventivo, che pongano l'enfasi sul valore delle regole di uso del suolo, sul monitoraggio delle situazioni di rischio e sul grado di conoscenza e consapevolezza delle popolazioni in ordine al livello di esposizione al rischio di un territorio;
    anche la gestione delle sempre più frequenti emergenze dovute al dissesto idrogeologico, in capo nel nostro Paese ad un sistema di protezione civile tra i più qualificati al mondo, ha dovuto misurarsi negli ultimi anni con crescenti difficoltà, accentuate dall'incertezza del sistema normativo di riferimento anche a seguito dell'intervento abrogativo della Corte costituzionale con sentenza n. 22 del 2012; la conseguente adozione, da parte del Governo Monti, delle misure del decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012, in materia di protezione civile, non hanno però fugato tutti i dubbi degli amministratori locali in ordine al fatto che, in caso di calamità naturali, gli eventuali interventi di protezione civile messi in atto da organismi statali, in particolare quelli approntati dalle Forze armate, non siano posti a carico degli enti territoriali rappresentanti delle popolazioni colpite dalle medesime calamità naturali;
    in Italia, il mercato assicurativo offre la garanzia per rischi da catastrofi naturali come estensione della garanzia base incendio, ma tale offerta è più diffusa nelle polizze alle imprese e più rara per i privati; occorrerebbe promuovere la diffusione di una moderna cultura che tenga conto del rischio da catastrofi naturali e dei suoi drammatici effetti e costi umani, sociali ed economici, e in tale ottica è da ritenere indispensabile un incisivo intervento dello Stato che affianchi e renda più conveniente e sostenibile per i cittadini i costi di un sistema di copertura assicurativa volontaria degli edifici; andrebbero, pertanto, incoraggiate forme di trasferimento dei rischi catastrofali sul modello di quanto accade in altri Paesi, come la Francia, dove vige un regime assicurativo semiobbligatorio che vede lo Stato nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza;
    è quanto mai necessario richiamare ad un nuovo e più incisivo impegno il Parlamento e il Governo, anche alla luce dei deludenti risultati registrati in questi anni e della necessità di individuare soluzioni tempestive ed avanzate per fronteggiare il ripetersi di episodi calamitosi ed emergenziali, sempre più gravi e difficilmente risolvibili esclusivamente con interventi ex post e sempre più costosi e sostanzialmente inefficaci;
    un piano strutturale di messa in sicurezza e di manutenzione del territorio e dei corsi d'acqua, finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, rappresenta uno straordinario strumento di rilancio economico e di creazione di occupazione, a partire dalla riattivazione degli investimenti immediatamente cantierabili da parte degli enti locali e, quindi, da una revisione delle regole del patto di stabilità interno che, oggi, impediscono la realizzazione di interventi fondamentali sul fronte della prevenzione,

impegna il Governo:

   a contrastare ogni iniziativa di indebolimento della pianificazione territoriale, in passato pesantemente compromessa da indiscriminati interventi di condono edilizio, salvaguardando la centralità della pianificazione territoriale integrata di scala vasta anche nelle scelte in itinere di ridefinizione dei livelli istituzionali esistenti, privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella di gestione dell'emergenza, anche nell'allocazione delle risorse economiche che devono essere rese stabili, utilizzabili in tempi certi e ricondotte ad una gestione ordinaria delle procedure, in primo luogo salvaguardando e sbloccando le risorse previste dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del rischio idrogeologico;
   a prevedere, di concerto con i soggetti istituzionali territorialmente preposti, l'attivazione di un fondo nazionale per la difesa del suolo e la riduzione del rischio idrogeologico finalizzato alla realizzazione di un piano organico, con obiettivi a breve e medio termine per la messa in sicurezza del territorio, che possa consentire agli enti competenti di aggiornare i propri documenti di progettazione e renderli finanziabili nell'ambito delle politiche di coesione per il ciclo di programmazione comunitaria 2014-2020;
   ad adottare politiche che, contrastando il fenomeno dell'abbandono dei terreni, del disboscamento e, quindi, dell'improduttività del terreno stesso, riconoscano il valore strategico dell'agricoltura come presidio del territorio;
   a dare piena attuazione, nell'ambito della propria competenza, ai principi e ai contenuti delle direttive europee in materia di gestione delle risorse idriche e delle alluvioni, assumendo le opportune iniziative di natura amministrativa e normativa che possano portare ad una significativa riorganizzazione del sistema di responsabilità e competenze, che elimini sovrapposizioni ed incongruenze del quadro esistente, puntando ad una maggiore cooperazione tra i livelli amministrativi ed il sistema delle competenze tecniche esterne, ad un effettivo coordinamento tra politiche settoriali e territoriali, nonché ad una reale attuazione dei requisiti di partecipazione pubblica attiva e di informazione/educazione al rischio, anche mediante la valorizzazione di esperienze virtuose di programmazione negoziata territoriale, come i contratti di fiume;
   ad adottare iniziative, per quanto di propria competenza, volte ad apportare le modifiche al quadro normativo vigente nella logica unitaria della difesa idrogeologica, della gestione integrata dell'acqua e del governo delle risorse idriche, al fine di rendere finalmente operative le autorità di bacino distrettuali, secondo una governance che tenga conto delle esigenze di riequilibrio istituzionale sostenute dalle regioni, di una delimitazione più funzionale dei distretti e di un sistema di governo in grado di riconoscere e valorizzare il patrimonio di conoscenze ed esperienze delle strutture tecniche di bacino esistenti a livello regionale e locale, nonché a portare a definitiva e rapida approvazione tutti i piani di gestione dei distretti idrografici e i relativi programmi di azione, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti della direttiva sulle acque n. 2000/60/CE;
   ad assumere iniziative volte a promuovere, nell'ambito della revisione delle regole del patto di stabilità interno, un piano straordinario di manutenzione diffusa del territorio e dei corsi d'acqua, che coinvolga il sistema delle autonomie locali e che rechi forme di incentivazione della partecipazione attiva della popolazione, anche mediante la sperimentazione di progetti che coinvolgano lavoratori temporaneamente beneficiari di ammortizzatori sociali;
   a promuovere, per quanto di propria competenza, le opportune modifiche normative che garantiscano la possibilità del sistema della protezione civile di operare in modo tempestivo ed efficace nel campo del contrasto ai danni provocati dal dissesto idrogeologico, anche mediante la revisione delle criticità eventualmente riscontrate in sede di applicazione della nuova normativa prevista dal decreto-legge n. 59 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 100 del 2012;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per introdurre forme di assicurazione da rischi naturali che vedano, comunque, il coinvolgimento obbligatorio dello Stato anche solo nel ruolo di riassicuratore di ultima istanza.
(1-00017)
(Nuova formulazione) «Speranza, Brunetta, Braga, Mariani, Latronico, Borghi, Sarro, Realacci, Cenni, Zardini, Dallai, Dorina Bianchi, Arlotti, Taranto, Tino Iannuzzi, Alli, Rampi, Oliverio, Fiano, Gadda, Pili, Pastorino, Grassi, Lenzi, Velo, Bratti, Castiello, Vella, Rosato, Tidei, Garavini, Carrescia, D'Incecco, Lodolini, Manfredi, Magorno, Quartapelle Procopio, Cinzia Maria Fontana, Tullo, Cardinale, Maestri, Manzi, Marzano, Marantelli, Moretto, Distaso, Ghizzoni, Giulietti, Gregori, Patriarca, Cimbro, Sereni, Crivellari, Laforgia, Mazzoli, Leonori, Tentori, Giovanna Sanna, Cominelli, Narduolo, Amoddio, Fabbri, Verini, Fregolent, Martella, Rigoni, Giacobbe, Sani, Fontanelli, Rossomando, Guerra, Senaldi, Lorenzo Guerini, Giuseppe Guerini, Morassut, Rotta, Mariastella Bianchi, Lattuca, Basso, Marco Meloni, Marchi, Ferrari, Scuvera, Sbrollini, Rubinato, Valiante, Antezza, Valeria Valente, Bruno Bossio».
(16 aprile 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    il fenomeno del dissesto idrogeologico rappresenta un problema estremamente diffuso nel nostro Paese che risulta, infatti, soggetto a rapidi e periodici processi che ne alterano il territorio e producono conseguenze spesso devastanti; molto spesso si tratta di fenomeni connessi al defluire delle acque libere in superficie e nel sottosuolo che causano l'alterazione dello stato di stabilità dei terreni e dei pendii e/o l'esondazione dei corsi d'acqua per rilevanti e repentini aumenti di portata. Questi fenomeni si manifestano sotto forma di erosioni, frane o alluvioni dovuti a cause strutturali o occasionali. Gli effetti del dissesto incidono sia sulla perdita di vite umane e provocano evidenti alterazioni ambientali e dei territori che si ripercuotono su tutte le attività dell'uomo, con rilevanti danni per le comunità colpite;
    il rischio idrogeologico nel nostro Paese è in gran parte imputabile all'azione dell'uomo nella trasformazione ed edificazione dei territori. La densità della popolazione, la progressiva urbanizzazione, l'abbandono dei terreni montani, l'edificazione in aree a rischio, il disboscamento e la mancata o carente manutenzione dei corsi d'acqua e dei versanti e/o pendii a rischio di instabilità hanno sicuramente aggravato la situazione e messo ulteriormente in evidenza la fragilità del territorio italiano, aumentandone l'esposizione ai rischi di dissesto idrogeologico;
    i pericoli per la popolazione italiana sono evidenti se si osserva l'andamento dei fenomeni di dissesto verificatisi negli ultimi cinquanta anni. L'analisi del documento di studio in materia prodotto da Ance e da Cresme evidenzia un progressivo aumento del rischio per la popolazione dovuto all'espansione urbana, che ha interessato tutta l'Italia in maniera rilevante a partire dal dopoguerra e che ha determinato l'antropizzazione anche dei territori più fragili dal punto di vista idrogeologico. Negli anni il mutato stile di vita della popolazione ha determinato un progressivo allontanamento dalle aree interne a favore dei centri urbani e l'abbandono della funzione di manutenzione e presidio territoriale, che da sempre assicurava un equilibrio del territorio. I versanti boschivi, gli alvei fluviali e i territori agricoli abbandonati hanno lasciato posto a frane e inondazioni;
    la dimensione del problema appare evidente solo se si pensa che, a partire dall'inizio del secolo, gli eventi di dissesto idrogeologico gravi sono stati oltre 4.000 e hanno provocato ingenti danni a persone, case e infrastrutture, ma, soprattutto, hanno provocato circa 12.600 morti, mentre il numero dei dispersi, dei feriti e degli sfollati supera i 700 mila;
    sulla base dei dati raccolti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, attraverso il progetto Avi, tra il 1985 e il 2001 si sono verificati in Italia circa 15.000 eventi di dissesto (gravi e/o lievi), di cui 13.500 frane e 1.500 piene. Alcuni di questi hanno avuto ripercussioni sulla popolazione, provocando vittime o danneggiando i centri abitati. Dei 15.000 eventi, 120 hanno provocato vittime, 95 frane e 25 alluvioni e hanno causato circa 970 morti;
    successivamente al 2002 il progetto Avi è stato interrotto. Il Cresme e l'Ance, sulla base di un lavoro di raccolta dati, sono riusciti a ricostruire l'andamento degli eventi di dissesto nel periodo recente, dimostrando come il territorio italiano sia caratterizzato da un forte rischio naturale;
    secondo i predetti dati, le aree a elevato rischio sismico sono circa il 44 per cento della superficie nazionale (131 mila chilometri quadrati) e interessano il 36 per cento dei comuni (2.893) e quelle ad elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10 per cento della superficie italiana (29.500 chilometri quadrati) e riguardano l'89 per cento dei comuni (6.631);
    nelle aree ad elevato rischio sismico vivono 21,8 milioni di persone (36 per cento della popolazione), per un totale di 8,6 milioni di famiglie, e si trovano circa 5,5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali;
    la popolazione residente nelle aree ad elevato rischio idrogeologico è, invece, pari a 5,8 milioni di persone (9,6 per cento della popolazione), per un totale di 2,4 milioni di famiglie. In queste aree si trovano oltre 1,2 milioni di edifici. Tra questi, particolarmente esposti al rischio, sono i capannoni per le attività produttive, che, richiedendo ampi spazi costruttivi, spesso si trovano ai margini delle città, al confine con aree a rischio, e le aree urbane interessate da corsi d'acqua soggetti a rapide variazioni di regime idraulico;
    geograficamente, il rischio sismico maggiore riguarda le regioni della fascia appenninica e del Sud Italia. Al primo posto c’è la Campania, in cui 5,3 milioni di persone vivono nei 489 comuni a rischio sismico elevato. Seguono la Sicilia, con 4,7 milioni di persone in 356 comuni a rischio e la Calabria, dove tutti i comuni sono coinvolti, per un totale di circa 2 milioni di persone. In queste tre regioni il patrimonio edilizio è esposto a rischio sismico maggiore: Sicilia (2,5 milioni di abitazioni), Campania (2,1 milioni di abitazioni), Calabria (1,2 milioni);
    la superficie italiana ad elevata criticità idrogeologica è per il 58 per cento soggetta a fenomeni di frane (17.200 chilometri quadrati) e per il 42 per cento è a rischio alluvione (12.300 chilometri quadrati). Sommando questi due elementi di criticità, l'Emilia-Romagna è la regione che presenta un maggior livello di esposizione al rischio, con 4.316 chilometri quadrati, pari al 19,5 per cento della superficie. Seguono la Campania (19,1 per cento di aree critiche), il Molise (18,8 per cento) e la Valle d'Aosta (17,1 per cento). Su scala regionale, invece, in cinque regioni – la Valle d'Aosta, l'Umbria, il Molise, la Calabria e la Basilicata – tutti i comuni hanno una quota di superficie territoriale interessata da aree di elevata criticità idrogeologica. Su scala provinciale, invece, al primo posto c’è Napoli, dove 576 mila persone risiedono nelle aree a rischio elevato (208 mila abitazioni), al secondo posto Torino (326 mila persone e 148 mila abitazioni) e al terzo Roma (216 mila persone e quasi 96 mila abitazioni);
    la pericolosità degli eventi naturali è senza dubbio amplificata dall'elevata vulnerabilità del patrimonio edilizio italiano. Oltre il 60 per cento degli edifici (circa 7 milioni) è stato costruito prima del 1971, quindi prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica per nuove costruzioni (1974). Di questi, oltre 2,5 milioni risultano in pessimo o mediocre stato di conservazione e, quindi, più esposti ai rischi idrogeologici;
    il costo complessivo dei danni provocati in Italia da terremoti, frane e alluvioni, dal 1944 al 2012, è pari a 242,5 miliardi di euro, circa 3,5 miliardi all'anno. Il 75 per cento del totale, 181 miliardi di euro, riguarda i terremoti, il restante 25 per cento, 61,5 miliardi di euro, è da addebitare al dissesto idrogeologico. Solo dal 2010 a oggi si stimano costi per 20,5 miliardi (l'8 per cento del totale), considerando i 13,3 miliardi di euro quantificati per il terremoto in Emilia-Romagna;
    i dati innanzi indicati evidenziano la necessità di un piano strategico nazionale, sostenuto da una decisa azione politica, che programmi interventi finalizzati, soprattutto in via preventiva, alla tutela del territorio ed alla salvaguardia della salute e dell'incolumità dei cittadini del nostro Paese in una logica unitaria di gestione del territorio e di semplificazione tra le competenze e le responsabilità dei diversi enti preposti;
    questa necessità emerge anche dalla circostanza che gli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, finalizzati alla tutela e conservazione del territorio, sarebbero stati ridotti del 91 per cento negli ultimi 5 anni come riportato dai dati Ance-Cresme;
    i dati sulla spesa delle risorse stanziate non sono incoraggianti: più della metà degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico finanziati in base al decreto-legge n. 180 del 1998 sembrerebbe che non siano ancora stati conclusi;
    le risorse del «Piano Cipe delle opere prioritarie», destinate, tre anni fa, alla riduzione del rischio idrogeologico (circa 2 miliardi di euro, compresi i relativi cofinanziamenti regionali), risulterebbero impegnate per meno del 10 per cento;
    nel 2009 è stato varato il programma di messa in sicurezza degli edifici scolastici da 1 miliardo di euro, successivamente ridotto a circa 800 milioni di euro: ad oggi, pare che sia stato impegnato meno del 10 per cento dei fondi;
    appare evidente e necessario, dunque, risolvere rapidamente il problema della programmazione ed attuazione degli interventi e dello stanziamento e della spesa effettiva delle risorse per la messa in sicurezza del territorio;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe sottolineato, recentemente, l'urgenza di un piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, il cosiddetto «piano Clini», quantificando gli investimenti necessari in 1,2 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni,

impegna il Governo:

   a considerare la manutenzione del territorio e la difesa idrogeologica una priorità per il Paese in quanto finalizzata a garantire la sicurezza dei cittadini;
   ad individuare, in tempi brevi, soluzioni efficaci, anche di tipo normativo, che possano, nell'ambito di un piano strategico nazionale di intervento finalizzato alla riduzione del rischio idrogeologico, garantire agli enti locali la possibilità di destinare risorse nei bilanci per gli investimenti necessari a garantire la sicurezza e la qualità della vita dei cittadini tramite la messa in sicurezza delle scuole ed interventi di manutenzione dei territori e dei corsi d'acqua, anche prevedendo di escludere queste risorse dal patto di stabilità interno;
   a procedere in tempi rapidi all'attuazione dei lavori relativi al piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio, cosiddetto «piano Clini», elaborato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, affinché sia possibile programmare interventi in una logica integrata ed unitaria di gestione e di semplificazione tra competenze e responsabilità dei vari enti preposti, investendo i previsti 1,2 miliardi di euro all'anno per 20 anni con certezza di risorse in termini di stanziamento e spesa;
   a prevedere, nell'ambito delle risorse disponibili del «piano Clini», incentivi per il rimboschimento e/o l'impianto di colture agricole in aree a rischio, quale primo presidio di difesa idrogeologica.
(1-00111)
«Matarrese, Dellai, Causin, D'Agostino, Piepoli, Vargiu, Vecchio, Sottanelli, Zanetti, Rossi, Schirò Planeta, Monchiero, Rabino, Marazziti».
(21 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    i sempre più frequenti fenomeni alluvionali e calamitosi che colpiscono il nostro Paese, mettono in luce drammaticamente l'estrema fragilità del territorio italiano e la necessità di una sua ormai improcrastinabile messa in sicurezza complessiva, contestualmente a una sostenibile pianificazione urbanistica. A questo si aggiunge il crescente grado di erosione costiera, che interessa oltre 540 chilometri lineari dei litorali italiani, in cui sono direttamente coinvolti beni esposti;
    peraltro, gli effetti conseguenti ai cambiamenti climatici in atto sono ormai tali che gli eventi estremi in Italia hanno subito un aumento esponenziale, passando da uno circa ogni 15 anni, prima degli anni ’90, a 4-5 l'anno;
    secondo dati forniti del Consiglio nazionale dei geologi, dal 1996 al 2008 in Italia sono stati spesi più di 27 miliardi di euro per dissesto idrogeologico e terremoti, oltre al fatto che 6 milioni di italiani abitano nei 29.500 chilometri quadrati del territorio considerati ad elevato rischio idrogeologico e ben 1.260.000 sono gli edifici a rischio per frane e alluvioni. Di questi, sono 6.000 le scuole e 531 gli ospedali;
    circa il 10 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e sono oltre 6.600 i comuni interessati;
    solo nell'ultimo triennio lo Stato ha stanziato circa un miliardo di euro per le emergenze causate da eventi calamitosi di natura idrogeologica in tredici regioni. Per la prevenzione, invece, sono stati stanziati solo 2 miliardi di euro in 10 anni, laddove il fabbisogno necessario per la realizzazione degli interventi per la sistemazione complessiva delle situazioni di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in circa 40 miliardi di euro;
    si continua, invece, a rincorrere le emergenze e le calamità e a contare i danni, e troppo spesso purtroppo le numerose vittime, stanziando ogni volta ingenti risorse economiche necessarie per ricostruire le aree colpite;
    vanno, comunque, segnalati i complessivi 1.870 milioni di euro assegnati dal Cipe, nell'ambito della programmazione del fondo per lo sviluppo e la coesione, con tre diverse delibere (n. 8 del 2012, n. 6 del 2012 e n. 87 del 2012) per il contrasto al rischio idrogeologico di rilevanza regionale;
    rimane il taglio costante che in questi ultimi anni c’è stato agli stanziamenti ordinari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la difesa del suolo, che si sono ridotti in maniera drastica e inaccettabile;
    anche le risorse complessivamente assegnate alla Protezione civile sono assolutamente insufficienti e il relativo fondo ha subito in questi ultimi anni una consistente riduzione;
    parallelamente lo stesso fondo regionale di protezione civile, che ha permesso, dal momento della sua attivazione avvenuta con l'articolo 138, comma 16, della legge n. 388 del 2000, di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio, non è stato più rifinanziato. L'ultima annualità finanziata del suddetto fondo è stata il 2008 (erogata nel corso del 2010);
    si ricorda che l'impiego delle risorse del suddetto fondo regionale, inoltre, ha permesso di fronteggiare con efficacia i numerosi eventi calamitosi di rilievo regionale verificatisi in questi ultimi anni, permettendo alle strutture nazionali della protezione civile italiana di concentrarsi sulle emergenze di grandi proporzioni;
    la legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1 miliardo di euro alla realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico, individuate dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile nazionale. La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate. Detti accordi di programma sono stati sottoscritti praticamente con tutte le regioni;
    le suddette risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010, sono state successivamente ridotte di 200 milioni di euro per far fronte ad eventi calamitosi;
    considerando complessivamente le risorse statali fondo per aree sottoutilizzate, quelle di bilancio del Ministero e le risorse regionali, il valore complessivo degli accordi di programma sottoscritti e registrati è pari a circa 2.155 milioni di euro;
    tuttavia, decorsi due anni dall'entrata in vigore della legge finanziaria per il 2010, il piano straordinario per il dissesto idrogeologico in molte regioni presenta notevoli difficoltà di attuazione. Detto piano, di fatto, non è praticamente mai decollato: si tratta di risorse di fatto in gran parte «virtuali». Quelle poche risorse che risultano a disposizione degli enti territoriali sono difficili da spendere a causa dei vincoli del patto di stabilità;
    è, invece, necessario che le spese sostenute dalle regioni e dagli enti locali per gli interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico possano beneficiare dell'esclusione dai vincoli del patto di stabilità, che rappresentano un evidente fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
    nell'audizione alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati del 30 novembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore, Corrado Clini, aveva sottolineato la necessità di «creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata (....) ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente per la prevenzione del dissesto idrogeologico»;
    l'avvio di un piano pluriennale per la messa in sicurezza del territorio del nostro Paese non solo avrebbe una straordinaria valenza e un reale interesse pubblico, ma rappresenterebbe la vera «grande opera» strategica di cui il nostro Paese ha prioritariamente bisogno. In più, al contrario della miriade di opere infrastrutturali a cui si è data priorità, sarebbe l'unica opera pubblica diffusa su tutto il territorio nazionale, in grado di attivare da subito migliaia di cantieri con evidenti ricadute positive dal punto di vista occupazionale. L'opera di risanamento territoriale, al contrario della grande opera infrastrutturale, è, infatti, distribuita e diffusa sul territorio, realizzabile anche per gradi e per processi di intervento monitorati nel tempo, in grado di produrre attività ed economie durevoli, oltreché un elevato numero di persone impiegate nettamente superiore al modello della «grande infrastruttura»;
    le politiche per la difesa del suolo devono riguardare gli elementi strutturali del rischio, ossia: la messa in sicurezza del territorio e la riduzione dei rischi legati agli usi impropri del territorio, compreso il fenomeno dell'abusivismo;
    sotto questo aspetto il nostro territorio è, infatti, consumato e segnato profondamente, anche «grazie» al contributo nefasto del fenomeno dell'abusivismo troppo spesso ignorato o tollerato, soprattutto in alcune aree del nostro Paese, e anzi alimentato anche dalle deprecabili norme di condono edilizio approvate negli anni scorsi;
    i passati condoni edilizi hanno, infatti, contribuito fortemente ad alimentare la convinzione diffusa che sul territorio si possa compiere qualsiasi azione, anche senza avere l'autorizzazione di legge. È, invece, indispensabile sconfiggere questa cultura e riportare la necessaria trasparenza e rigore su tutti gli interventi urbanistici che trasformano il territorio e il paesaggio;
    peraltro, va evidenziato che gli interessi che sottendono spesso al comparto delle costruzioni, si sommano agli storici interessi legati ai cambi di destinazione d'uso delle aree agricole e all'edificabilità dei suoli, entrando così troppo spesso in conflitto con una seria e corretta programmazione e gestione del nostro territorio. Purtroppo, troppi piani urbanistico-territoriali hanno spesso accompagnato e assecondato questo orientamento, anche perché gli oneri di urbanizzazione vengano spesso usati per ripianare i bilanci dei comuni e questo spinge i comuni stessi a costruire per fare cassa, anche a scapito di una corretta e sostenibile gestione del territorio;
    un lavoro predisposto qualche tempo fa dal Wwf Italia con l'Università dell'Aquila fa, infatti, emergere dati che devono far riflettere: dal 1956 al 2001 la superficie urbanizzata del nostro Paese è aumentata del 500 per cento e si è valutato che dal 1990 al 2005 si è stati capaci di trasformare oltre 3,5 milioni di ettari, cioè una superficie grande quasi quanto il Lazio e l'Abruzzo messi insieme. Fra questi ci sono 2 milioni di fertile terreno agricolo, che oggi è stato coperto da capannoni, case, strade ed altro;
    la pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono, quindi, inevitabilmente strettamente connessi. Il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio;
    gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati – se vogliono essere realmente efficaci – con le leggi urbanistiche e con i piani regolatori – soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali;
    il decreto legislativo n. 49 del 2010, recependo la direttiva 2007/60/CE, ha previsto una specifica disciplina per la gestione dei rischi alluvionali. Esso ha attribuito alle autorità di bacino distrettuali (previste dal codice ambientale) la competenza per la valutazione preliminare del rischio alluvioni, la predisposizione delle mappe della pericolosità e del rischio alluvioni. A dette autorità di bacino distrettuali compete l'adozione dei piani stralcio di distretto per l'assetto idrogeologico e la predisposizione di appositi piani di gestione del rischio alluvione coordinati a livello di distretto idrografico. Dette autorità di bacino distrettuali, peraltro, non sono ancora operative;
    in questo ambito, manca comunque una regia unitaria di gestione della risorsa idrica capace di armonizzare e coordinare con efficacia le diverse competenze e i ruoli tra i vari soggetti istituzionali coinvolti e si registra una mancanza di «coordinamento» tra Stato e regioni;
    un progetto sperimentale, che, se avviato, potrebbe contribuire sensibilmente all'opera capillare di manutenzione del nostro territorio, è quello relativo alla creazione di una sorta di «corpo giovanile per la difesa del territorio», che opererebbe in ambito regionale, composto di giovani iscritti nelle liste di disoccupazione e la cui famiglia abbia un isee non superiore ad una determinata somma, da impiegare per un anno in coordinamento con il Corpo forestale dello Stato, e dopo debita formazione, per le opere di pulizia dei corsi d'acqua, dei bacini lacustri e delle rive, per il rimboschimento dei bacini idrografici e per la difesa del suolo nell'ambito di singoli bacini o sottobacini idrografici. A detti giovani verrebbe corrisposta un'indennità mensile da definire ed esente da imposte e contributi,

impegna il Governo:

   ad avviare, in raccordo con le regioni, un piano pluriennale per la difesa del suolo nel nostro Paese, quale vera e prioritaria «grande opera» infrastrutturale, in grado non solamente di mettere in sicurezza il fragile territorio italiano, ma di attivare migliaia di cantieri distribuiti sul territorio, con evidenti ricadute importanti dal punto di vista economico e occupazionale;
   ad assumere iniziative affinché l'utilizzo delle risorse proprie e delle risorse provenienti dallo Stato, da parte di regioni ed enti locali, per interventi di prevenzione e manutenzione del territorio e di contrasto al dissesto idrogeologico, venga escluso dal saldo finanziario rilevante ai fini della verifica del rispetto del patto di stabilità interno, che finisce per rappresentare un fortissimo freno per l'avvio di interventi concreti da realizzare sui territori;
   a individuare ulteriori risorse, nonché a sbloccare risorse già previste per la prevenzione del rischio idrogeologico, anche attraverso:
    a) la rimodulazione di delibere Cipe e di fondi esistenti;
    b) la revisione – in accordo con le regioni – delle priorità della «legge obiettivo», al fine di mettere in testa le opere di difesa de suolo, a cominciare dai piani stralcio predisposti dalle autorità di bacino per la messa in sicurezza delle aree più a rischio;
   a velocizzare i tempi medi di trasferimento delle risorse, già stanziate, a favore dei territori colpiti da calamità naturali;
   ad adottare le opportune iniziative affinché i comuni provvedano a redigere in tempi brevi dei piani attuativi minimi per la messa in sicurezza del loro territorio, individuando da subito le aree a rischio prioritario;
   ad assumere iniziative per integrare le risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il contrasto al dissesto idrogeologico;
   ad adottare iniziative per provvedere al rifinanziamento del fondo regionale di protezione civile, praticamente azzerato, e che ha finora consentito di realizzare un efficace sistema nazionale di protezione civile articolato sul territorio;
   a prevedere, nell'ambito delle proprie competenze e in stretto coordinamento con gli enti locali interessati, una mappatura degli insediamenti urbanistici nelle aree a più elevato rischio idrogeologico, individuando idonee forme di agevolazioni finalizzate alla loro delocalizzazione, prevedendo contestualmente il divieto assoluto di edificabilità in dette aree;
   ad adottare e sostenere opportune iniziative volte a prevedere una normativa in materia di pianificazione urbanistica e di governo del territorio, che contenga principi irrinunciabili, omogenei e condivisi, in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo e rigoroso per le regioni, con particolare riferimento alla necessità di riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata, perseguendo l'obiettivo di limitare il consumo del suolo, anche attraverso il contenimento della diffusione urbana, disincentivando a tal fine nuovi impieghi di suolo a fini insediativi e infrastrutturali e favorendo il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti;
   a valutare la possibilità di avviare il progetto sperimentale di impiego di giovani, come esposto in premessa, per la manutenzione e la tutela del territorio.
(1-00112)
«Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo, Kronbichler, Piazzoni».
(21 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    l'Italia è uno dei Paesi europei maggiormente colpiti da disastri naturali; dai dati presentati nell'Annuario dei dati ambientali 2008, pubblicato dall'Ispra, emerge che l'Italia è caratterizzata da un territorio fragile per quanto concerne il dissesto idrogeologico: circa il 10 per cento è classificato a elevato rischio per alluvioni, frane e valanghe e più di 2/3 delle aree esposte a rischio interessa centri urbani, infrastrutture e aree produttive. Le dimensioni del fenomeno vengono rese chiaramente se si considera che, negli ultimi 50 anni, sono stati spesi per sopperire ai danni, limitatamente ai fenomeni alluvionali, più di 16 miliardi di euro, circa il 10 per cento del territorio italiano e più dell'80 per cento dei comuni italiani sono interessati da aree a forte criticità idrogeologica; mentre l'Annuario 2011 afferma che «gli eventi con conseguenze disastrose, che si registrano annualmente, dimostrano che l'azione di contrasto al dissesto idrogeologico risulta complessivamente insufficiente. Ne consegue che, oltre alla necessità di investire maggiori risorse, sembra indispensabile intervenire anche su una differente modalità di gestione del territorio»;
    l'enorme criticità del nostro Paese è stata evidenziata anche dal rapporto curato dal dipartimento della protezione civile di Legambiente «Ecosistema rischio 2011 – Monitoraggio sulle attività delle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico», secondo il quale: «Frane e alluvioni comportano ogni anno un bilancio pesantissimo per il nostro Paese, sia per le perdite di vite umane che per gli ingenti danni economici. A fronte di ingenti risorse stanziate per il funzionamento della macchina dei soccorsi, per l'alloggiamento e l'assistenza agli sfollati, per supportare e risarcire le attività produttive e i cittadini colpiti e per i primi interventi di urgenza, è evidente l'assoluta necessità di maggiori investimenti in termini di prevenzione, attraverso cui affermare una nuova cultura dell'impiego del suolo che metta al primo posto la sicurezza della collettività e ponga fine a usi speculativi e abusivi del territorio»;
    i comuni italiani in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico sono ben 6.633, l'82 per cento del totale; una fragilità che è particolarmente elevata in regioni come Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta e nella Provincia autonoma di Trento (dove il 100 per cento dei comuni è classificato a rischio), seguite da Marche e Liguria (99 per cento), da Lazio e Toscana (98 per cento); sebbene in molte regioni la percentuale di comuni interessati dal fenomeno possa essere leggermente inferiore, la dimensione del rischio è comunque preoccupante, come dimostrano i fenomeni alluvionali che colpiscono – con conseguenze spesso gravi – anche zone dove si registra una minore propensione al rischio;
    la superficie delle aree ad alta criticità idrogeologica si estende per 29.517 chilometri quadrati, il 9,8 per cento dell'intero territorio nazionale, di cui 12.263 chilometri quadrati (4,1 per cento del territorio) a rischio alluvioni e 15.738 chilometri quadrati (5,2 per cento del territorio) a rischio frana;
    sempre secondo le stime del rapporto curato da Legambiente, oltre 5 milioni di cittadini si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni; inoltre, ancora riprendendo le valutazioni del dossier di Legambiente «la stima del numero di cittadini quotidianamente esposti al pericolo di frane e alluvioni testimonia chiaramente come, negli ultimi decenni, l'antropizzazione delle aree a rischio sia stata eccessivamente pesante. Osservando le aree vicino ai fiumi, risulta evidente l'occupazione crescente delle zone di espansione naturale dei corsi d'acqua con abitazioni, insediamenti industriali, produttivi e commerciali e attività agricole e zootecniche; l'urbanizzazione di tutte quelle aree dove il fiume in caso di piena può espandersi liberamente ha rappresentato e rappresenta una delle maggiori criticità del dissesto idrogeologico italiano. Anche gli interventi di difesa idraulica continuano a seguire filosofie tanto vecchie quanto evidentemente inefficaci: in molti casi vengono realizzati argini senza un serio studio sull'impatto che possono portare a valle, vengono cementificati gli alvei e alterate le dinamiche naturali dei fiumi. Soprattutto, troppo spesso le opere di messa in sicurezza si trasformano in alibi per continuare a costruire»;
    in 1.121 comuni – l'85 per cento di quelli analizzati in «Ecosistema rischio 2011» – sono presenti abitazioni in aree golenali, in prossimità degli alvei e in aree a rischio frana, e nel 31 per cento dei casi in tali zone sono presenti addirittura interi quartieri. Nel 56 per cento dei comuni campione dell'indagine in aree a rischio sono presenti fabbricati industriali, che, in caso di calamità, comportano un grave pericolo, oltre che per le vite dei dipendenti, per l'eventualità di sversamento di prodotti inquinanti nelle acque e nei terreni. Nel 20 per cento dei comuni intervistati sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili, come scuole e ospedali, e nel 26 per cento dei casi strutture ricettive turistiche o commerciali;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'analisi dei dati ambientali contenuti negli annuari dell'Ispra, ha valutato che il costo complessivo dei danni provocati dagli eventi franosi ed alluvionali dal 1951 al 2009, rivalutato in base agli indici Istat al 2009, risulta superiore a 52 miliardi di euro, quindi circa 1 miliardo di euro all'anno; tale cifra è pari a quasi 3 volte quello che in media è stato stanziato annualmente dal Governo negli anni che vanno dal 1991 al 2011 per le opere di prevenzione; la cifra complessiva risulta, inoltre, superiore a quanto servirebbe per le opere più urgenti di mitigazione del rischio idrogeologico sull'intero territorio nazionale, individuate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico, e quantificate in 40 miliardi di euro;
    il progetto IFFI (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), realizzato dall'Ispra e dalle regioni e province autonome, ha censito ad oggi oltre 486.000 fenomeni franosi che interessano un'area di 20.721 chilometri quadrati, pari al 6,9 per cento del territorio nazionale;
    il 68 per cento delle frane europee si verifica in Italia e, dal 1900, le frane hanno causato 10.000 morti e 350.000 sfollati;
    secondo uno studio effettuato dal 1944 al 1990 sul dissesto geologico e geoambientale, prendendo in considerazione 152 eventi calamitosi tra fenomeni idrogeologici e terremoti tettonici, i fenomeni idrogeologici, rappresentano, con 31 miliardi di euro circa, un quarto delle risorse stanziate nell'intero periodo considerato;
    le cause e concause sono numerose:
     a) la particolare fragilità intrinseca del territorio dovuta alla conformazione geomorfologica, geologica e geografica;
     b) l'enorme peso del fattore umano, a cui bisogna addebitare: l'eccessivo consumo di suolo; un'irrazionale edificazione, sia in termini di pianificazione urbanistica sia in termini di abusivismo e sanatorie; incendi, in gran parte dolosi; una cattiva gestione del territorio, con l'abbandono del terreni agricoli, soprattutto nelle aree caratterizzate da media e alta pendenza, e la mancata osservanza delle prescrizioni di massima della polizia forestale nella gestione dei boschi; l'alterazione delle dinamiche naturali dei fiumi; l'estrazione illegale di inerti; la cementificazione degli alvei; il disboscamento dei versanti collinari e montuosi;
     c) l'indiscutibile ruolo dei mutamenti climatici, ai quali si deve attribuire l'aumento e l'inasprimento dei fenomeni meteorologici eventi ad elevata intensità, che mettono a dura prova il già fragile equilibrio territoriale;
    il rischio è definito come il prodotto di tre fattori: la pericolosità, ossia la probabilità che si verifichi un evento calamitoso, il valore esposto – il valore monetario o umano di ciò che è esposto al rischio – e la vulnerabilità, ossia il grado di perdita, atteso degli elementi esposti al rischio, al verificarsi di un fenomeno calamitoso; la riduzione del rischio dovrebbe agire su tutti questi fattori; nonostante la sua complessità, il problema è noto e si dispone degli strumenti tecnici per affrontarlo e contrastarlo;
    dal 2002 l'Italia ha attivato un piano straordinario di telerilevamento ambientale (PST-A), attraverso un accordo di programma tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile e Ministero della difesa, d'intesa con le regioni e le province autonome;
    sul geoportale nazionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono disponibili in formato digitale i dati che permettono di analizzare i movimenti del suolo e degli edifici ad altissima precisione, consentendo di realizzare, con un'opportuna organizzazione, in brevissimo tempo e a costi sostenibili, un efficiente sistema di sorveglianza dei dissesti a scala nazionale;
    l'insegnamento delle scienze della terra, geologiche ed ambientali nel sistema scolastico e universitario italiano è in evidente declino: riceve poco spazio nell'istruzione inferiore e superiore ed è persino in crisi nell'ambito universitario;
    l'Emilia-Romagna, devastata da sisma, inondazioni, frane, aveva quattro dipartimenti storici di scienze della terra, ma nessuno di essi è sopravvissuto alla «riforma Gelmini» che ha causato la loro soppressione; è chiaro che l'offerta formativa e i risultati della ricerca scientifica ne risentono, sia nel breve che nel lungo periodo;
    tutto questo mentre emerge in maniera sempre più chiara e condivisa che solo la manutenzione del territorio, in particolare delle foreste, gli usi ricreativi che il bosco può offrire, la naturale capacità di depurazione e trattenimento delle acque sono fondamentali per la messa in sicurezza dei nostri centri abitati;
    come ebbe a dire l'economista ed esperto di economia agraria, Arrigo Serpieri, nel 1923, «se si lavora bene in montagna, la gente a valle dorme sonni tranquilli», ed è per questo che oggi è ancor di più necessario sviluppare la consapevolezza che quegli 11 milioni di ettari di foreste, ovvero il 36 per cento del territorio nazionale, sono un patrimonio inestimabile che va tutelato attraverso una gestione attiva, guidata da una vera e propria programmazione forestale; le attività agro-forestali, attraverso pratiche di gestione sostenibile, possono, infatti, incidere positivamente sul presidio del territorio e sulla prevenzione dei fenomeni di dissesto, tenuto conto che buona parte del Paese è tuttora rurale;
    inoltre, è stato ampiamente dimostrato che l'uso dei diserbanti, come pratica per la ripulitura delle scarpate stradali, delle massicciate ferroviarie e delle fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale, aumenta notevolmente il rischio di attivazione di piccoli e medi movimenti di terra, a causa della mancanza della copertura erbacea in grado di attutire l'effetto di erosione superficiale delle acque meteoriche;
    il rischio idrogeologico è diventato anche una priorità politica, così come lo hanno definito il Presidente del Consiglio dei ministri Letta, i Ministri Orlando e Lupi e praticamente tutte le forze politiche nei loro programmi e nei loro discorsi in Aula, all'inizio della XVI legislatura;
    nelle ultime legislature in più circostanze i Governi, a seguito dell'approvazione di atti di indirizzo, si sono impegnati ad assumere iniziative concrete per rafforzare le politiche di prevenzione e di riduzione del rischio idrogeologico; malgrado ciò, il 2010 è stato l'ultimo anno che ha visto l'inserimento di significative risorse destinate alla prevenzione e alla mitigazione del rischio idrogeologico,

impegna il Governo:

   a promuovere un profondo aggiornamento ed un'integrazione dei quadri conoscitivi nazionali e degli enti locali, riguardanti le conoscenze geologiche, geomorfologiche, idrogeologiche e sismiche, allo scopo di produrre nuovi strumenti urbanistici e cartografici geotematici relativi alla pericolosità geomorfologica, idraulica e di microzonazione sismica, finalizzati ad un più razionale e coscienzioso governo del territorio, così come previsto dal quadro normativo comunitario;
   a prendere in considerazione quanto emerso dal gruppo di lavoro tecnico promosso dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ha redatto le linee guida per la valutazione del dissesto idrogeologico e la sua mitigazione attraverso misure e interventi in campo agricolo e forestale, dalle quali emergono indirizzi e metodologie, che, sulla base dell'integrazione di banche dati territoriali dei comparti ambiente e agricoltura, consentono l'individuazione, su tutto il territorio nazionale, delle aree prioritarie di intervento e delle misure di mitigazione più idonee, in aree agro-forestali sia attive sia abbandonate, riavviando l'attività di ricerca e coordinamento del citato gruppo di lavoro costituito dal Governo precedente e mettendo in atto le indicazioni emerse devono essere messe su tutto il territorio italiano;
   ad assumere iniziative per ripristinare le risorse necessarie per rilanciare un piano generale di prevenzione del rischio idrogeologico, attribuendo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una cifra non inferiore ad un miliardo di euro per il prossimo triennio, con l'obiettivo di finanziare gli articoli 67 e 70 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   ad investire fondi, proprio in base a quanto emerso dalle linee guida, per interventi mirati, individuati dai piani di salvaguardia ambientali già predisposti;
   ad individuare adeguati finanziamenti per l'attuazione del programma quadro per il settore forestale come richiesto dalla Conferenza Stato-regioni, nell'ambito degli incontri tecnici e politici che hanno portato all'approvazione finale del programma quadro per il settore forestale già nel 2008;
   a predisporre un'attenta pianificazione territoriale e di salvaguardia del suolo, evitando di ricorrere allo strumento, che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare incivile, del condono, impedendo nuove costruzioni in aree a rischio;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza affinché le pubbliche amministrazioni locali abbiano maggiori vincoli nel riperimetrare aree mappate a rischio, sviluppando forme e misure di controllo, anche mediante l'impiego di tecniche di telerilevamento;
   ad avviare una concreta ed efficace azione di contrasto al fenomeno dell'abusivismo edilizio, garantendo l'assoluta esclusione di ogni ipotesi di condono, nonché adeguate risorse alle amministrazioni locali per l'abbattimento e acquisizione degli immobili realizzati abusivamente;
   ad attuare politiche per la riduzione di emissioni di gas serra, in modo da ridurre nel lungo termine l'impatto del cambiamento climatico in atto;
   ad incentivare e sostenere la piccola agricoltura nel recuperare terreni abbandonati e nell'adottare pratiche rispettose per il territorio e per la protezione del suolo;
   a far rispettare i contenuti della direttiva europea 2009/128/CE, nella parte che riguarda l'applicazione di tecniche alternative all'uso dei diserbanti nelle operazioni di ripulitura delle scarpate stradali, massicciate ferroviarie e fasce di connessione tra seminativi e viabilità interpoderale;
   ad incentivare e sostenere pratiche di cura e salvaguardia del territorio attraverso una gestione forestale attiva e sostenibile, coinvolgendo pienamente i gestori degli usi civici e delle proprietà collettive (comunanze agrarie e consorzi forestali);
   a promuovere strumenti che sostengano la creazione di posti di lavoro per giovani operai forestali, con lo scopo di svolgere l'importantissima attività di manutenzione e gestione attiva dei boschi, posto che tale creazione di posti di lavoro, oltre a rispondere almeno in parte alla grave crisi occupazionale che soffre il nostro Paese, garantirebbe anche di mantenere la presenza e il controllo sul territorio attraverso il ripopolamento delle aree interne, dove l'età media della popolazione supera ormai i 45 anni;
   ad assumere iniziative per escludere dal patto di stabilità per gli enti pubblici territoriali le spese sostenute per: interventi di messa in sicurezza e ripristino in caso di eventi calamitosi, interventi di prevenzione come stabilizzazione di versanti, manutenzione ordinaria e straordinaria di opere accessorie al reticolo stradale, ivi comprese opere per il deflusso delle acque e manufatti atti a favorire la stabilità del terreno, della roccia o della sede stradale, interventi per migliorare il drenaggio delle acque meteoriche e del reticolo idrico superficiale, interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di argini, sponde e manufatti per la protezione delle sponde di corsi d'acqua, interventi di adeguamento o miglioramento antisismico di edifici pubblici;
   ad assumere iniziative per prevedere un sistema di incentivi fiscali, simili a quelli per le ristrutturazioni o gli adeguamenti energetici, o un regime di iva agevolata, per chi investe nella sicurezza del territorio, delle infrastrutture o degli edifici, individuando opportuni strumenti premiali per i privati cittadini o le imprese – in particolar modo agricole e turistiche – che compiono interventi per la riduzione del rischio idrogeologico, come la stabilizzazione dei versanti e il miglioramento del drenaggio, o sismico;
   a valutare l'opportunità di introdurre forme assicurative obbligatorie sui rischi idrogeologici sulle nuove costruzioni, con il coinvolgimento dello Stato come controllore e riassicuratore di ultima istanza, in modo che il mercato si autoregoli verso recuperi/ristrutturazioni, invece che verso nuove costruzioni, e in modo che venga comunque disincentivata la costruzione in aree a rischio;
   ad assumere iniziative per prevedere contributi al finanziamento delle reti di monitoraggio pluviometriche, nivometriche, idrometriche, sismiche, molto spesso dismesse dagli enti pubblici territoriali per carenza di fondi;
   ad offrire più spazio all'educazione ambientale nella scuola inferiore e alle scienze della terra nella scuola superiore e nelle università («legge Gelmini» n. 240 del 2010, articolo 2, comma 2, lettera b)), lasciando autonomia agli atenei in merito alle decisioni sulla numerosità massima e minima dei dipartimenti, consentendo di individuare misure di salvaguardia di settori scientifico-disciplinari, come scienze della terra, ingegneria civile e ambientale, portatori di un impatto scientifico, sociale e culturale rilevante in settori ritenuti strategici, come quello della difesa da catastrofi naturali;
   in tale ambito a promuovere una riorganizzazione dei dipartimenti, assicurando che a ciascuno di essi sia assegnato un congruo numero di professori e ricercatori afferenti a settori scientifico-disciplinari omogenei, anche individuando opportune misure per salvaguardare l'identità di aree disciplinari riconosciute a livello nazionale e internazionale;
   ad accelerare il processo per la valorizzazione della ricerca scientifica e dell'avanzamento tecnologico, già avviato con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2004, in cui la Protezione civile sia preposta anche ad attività di prevenzione e previsione e non solo a gestire le emergenze;
   ad assumere iniziative per prevedere che, in caso di dichiarazione dello stato di emergenza in seguito ad eventi calamitosi, venga innescata una «filiera dei soccorsi e dell'emergenza a chilometro zero», facendo in modo che le ditte, i generi di prima necessità, i materiali acquistati provengano dallo stesso comune interessato dall'emergenza, ove non possibile dalla stessa provincia, ove non possibile dalla stessa regione.
(1-00114)
«Segoni, Daga, De Rosa, Terzoni, Busto, Mannino, Tofalo, Zolezzi, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Catalano, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Currò, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pinna, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tacconi, Toninelli, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zaccagnini».
(21 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    i dissesti idrogeologici, i deboli equilibri tra patrimonio naturale ed insediamenti urbani, la forte antropizzazione di alcune aree del Paese rappresentano costanti criticità che, nei casi di eccezionalità degli eventi naturali, spesso diventano disastrose emergenze;
    si rende indispensabile individuare una strategia politica rivolta maggiormente alla prevenzione, alla cura del territorio, all'adozione di pratiche di vigilanza attiva e di manutenzione costante del suolo, che sia in grado di mantenere in uno stato di concreta sicurezza le aree più sensibili dal punto di vista di rischio idrogeologico;
    l'abbandono dei terreni montani, il disboscamento, la costruzione, spesso abusiva, sui versanti a rischio, la mancata pulizia dei corsi d'acqua e la cementificazione di lunghi tratti dei fiumi e dei torrenti contribuiscono all'aumento dell'esposizione della popolazione al rischio idrogeologico e ad alluvioni;
    in effetti, la situazione di rischio idrogeologico del territorio italiano è nota e conclamata. Uno studio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare evidenzia che il 9,8 per cento della superficie nazionale è ad alta criticità idrogeologica e che sono 6.633 i comuni interessati, pari all'81,9 per cento dei comuni italiani. In particolare, il 24,9 per cento dei comuni è interessato da aree a rischio frana, il 18,6 per cento da aree a rischio alluvione e il 38,4 per cento da aree a rischio sia di frana che di alluvione;
    nella XVI legislatura, la Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati ha approvato, il 21 aprile 2009, la risoluzione n. 8-00040, volta alla definizione di un programma pluriennale di interventi per la difesa del suolo, votata positivamente da tutte le forze politiche presenti nella commissione parlamentare;
    tale risoluzione, facendo presente che il nostro Paese è fortemente compromesso da fenomeni di dissesto idrogeologico e che appare ormai urgente ed inderogabile attivare serie misure di contrasto alla rottura degli equilibri del particolare e rinomato territorio naturale delle regioni italiane, ha segnalato che, per fare fronte a problematiche così complesse ed impellenti, sarebbe necessario prevedere un programma pluriennale di interventi, coordinato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ma da attuarsi da parte degli enti periferici e territoriali competenti per legge, il cui valore non avrebbe dovuto essere inferiore ad almeno 5 miliardi di euro;
    successivamente, il 26 gennaio 2010 è stata approvata all'unanimità dall'Assemblea della Camera dei deputati la mozione n. 1-00324, che, tra l'altro, ha impegnato il Governo ad attuare quanto previsto dalla citata risoluzione n. 8-00040;
    il 30 novembre 2011 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore aveva sottolineato la necessità di creare una capacità di investimento pubblico per la prevenzione del rischio idrogeologico che sia sostenuta da un'entrata stabile e sicura e che non sia assoggettata ai tagli che hanno quasi azzerato il fondo esistente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per la prevenzione del dissesto idrogeologico;
    tuttavia, non risultano attuate azioni concrete e strutturali contro i dissesti idrogeologici;
    nella XVI legislatura per la prima volta si è cercato di attuare un coordinamento tra i soggetti che a vario titolo hanno competenze in materia di dissesto idrogeologico, che in passato attuavano programmazioni di interventi indipendenti;
    l'articolo 2, comma 240, della legge finanziaria per il 2010 aveva destinato 1.000 milioni di euro ai piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico (individuate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile). La stessa norma aveva, altresì, individuato, quale strumento privilegiato per l'utilizzo delle risorse, l'accordo di programma da sottoscrivere con le regioni interessate;
    già dai primi mesi del 2010 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato le procedure per dare attuazione alle citate disposizioni normative, avviando una serie di consultazioni con tutte le regioni interessate, coinvolgendo le autorità di bacino competenti e il dipartimento nazionale della protezione civile, che si sono concluse con la sottoscrizione, con tutte le regioni, di specifici accordi di programma che individuano e finanziano gli interventi prioritari diretti a rimuovere le situazioni a più alto rischio idrogeologico. Tutti gli accordi di programma sono stati, inoltre, registrati alla Corte dei conti;
    le risorse stanziate dalla legge finanziaria per il 2010 sono state dapprima ridotte di 100 milioni di euro, per far fronte ai danni provocati dall'alluvione del dicembre 2009 in Liguria, Toscana ed Emilia-Romagna (articolo 17, comma 2-bis, del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010), successivamente ulteriormente ridotte per 100 milioni di euro, per far fronte alle spese conseguenti allo stato di emergenza in Veneto, Liguria, Campania e Sicilia (articolo 2, comma 12-quinquies, del decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, il cosiddetto «decreto mille proroghe»);
    tenuto conto dei tagli, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha incrementato la dotazione di risorse prevista dalla legge finanziaria per il 2010, con le risorse disponibili sul proprio bilancio per la difesa del suolo (annualità 2008-2009-2010-2011), per un importo di circa 400 milioni di euro, destinando, quindi, al finanziamento dei piani un totale di circa 1.200 milioni di euro di risorse statali;
    a tali risorse sono state aggiunte le risorse regionali per un importo di circa 954 milioni di euro, dato che al momento della sottoscrizione degli accordi di programma tutte le regioni avevano cofinanziato, in misura variabile ma sostanziale, gli interventi inseriti negli stessi accordi di programma stipulati per un totale di circa 2.155 milioni di euro;
    per ogni regione è stato nominato, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, un commissario straordinario delegato all'attuazione degli interventi (articolo 17 del decreto-legge n. 195 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2010); tuttavia, il sistema dei commissari non ha funzionato, le risorse non sono state rese disponibili e, di fatto, il piano straordinario per il dissesto in molte regioni ha presentato evidentemente notevoli difficoltà di attuazione. La mancata assegnazione delle risorse previste ha comportato la necessità di operare rimodulazioni, in parte già effettuate, degli accordi già sottoscritti, con evidente pregiudizio dell'azione dello Stato nel campo della difesa del suolo;
    in particolare, sono stati inseriti, nell'ambito del piano nazionale per il Sud, in ripartizione del fondo per lo sviluppo e la coesione, tutti gli interventi già individuati negli accordi con le regioni del Mezzogiorno. Le regioni coinvolte attivamente nel processo sono state la Basilicata, la Calabria, la Campania, il Molise, la Puglia, la Sicilia e la Sardegna, per un ammontare di risorse pari a 1.870 milioni di euro;
    pertanto, in attuazione delle procedure introdotte a norma delle predette disposizioni, si è riscontrato che non sempre esse si sono dimostrate snelle e in grado di rispondere tempestivamente alle effettive necessità dei territori interessati, evidenziando spesso ritardi nelle fasi di predisposizione dei provvedimenti convenzionali ed amministrativi, impossibilità di poter disporre di risorse adeguate ed effettivamente spendibili, disallineamenti tra i tempi in cui sarebbe necessario effettuare gli interventi rispetto a quelli in cui questi sono necessari o diventano concretamente eseguibili;
    va sottolineato che i veri conoscitori dello stato di salute del territorio e delle relative necessità di interventi per la messa in sicurezza e per la prevenzione dei rischi e dei pericoli derivanti dalle calamità naturali sono gli amministratori locali e, pertanto, sembrerebbe opportuno mettere gli stessi amministratori al centro delle attività relative all'individuazione, alla predisposizione ed all'esecuzione degli interventi di mitigazione allo scopo censiti;
    appare necessaria una revisione delle norme vigenti in campo di prevenzione e di lotta al dissesto idrogeologico, eliminando le disposizioni che, di fatto, rendono farraginose le procedure atte all'esecuzione degli interventi ed all'assegnazione delle risorse;
    nell'auspicato processo di ricognizione delle norme potrebbe essere inserita anche la previsione di un fondo volto a risarcire i soggetti, che, a seguito di eventi calamitosi legati al dissesto idrogeologico, abbiano subito danni ai loro beni;
    al riguardo va fatto presente che il fabbisogno finanziario necessario per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza complessiva delle situazioni di dissesto del territorio nazionale appare essere imponente: nella XVI legislatura è stato calcolato un ammontare di 44 miliardi di euro, di cui 27 miliardi di euro per l'area del Centro-Nord, 13 miliardi di euro per il Mezzogiorno e 4 miliardi di euro per il patrimonio costiero;
    risulta, altresì, evidente che, se non si procederà al più presto ad effettuare un vasto piano di prevenzione e messa in sicurezza del territorio, sarà sempre più difficile ed insostenibile fare fronte agli interventi di risarcimento e di ricostruzione delle opere distrutte o danneggiate a seguito di danni provocati dalle calamità naturali,

impegna il Governo:

   ad intraprendere iniziative urgenti finalizzate a modificare l'attuale disciplina in materia di interventi nelle situazioni a più elevato rischio idrogeologico e a salvaguardare la sicurezza delle infrastrutture e il patrimonio ambientale e culturale, evitando sistemi centralizzati di gestione degli interventi e privilegiando la logica della prevenzione rispetto a quella della gestione dell'emergenza;
   a sbloccare le risorse già previste nella XVI legislatura dagli accordi di programma già sottoscritti con le regioni per gli interventi prioritari di prevenzione del dissesto idrogeologico;
   ad attivare un organico programma di interventi per il riassetto territoriale delle aree a rischio idrogeologico, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con le singole regioni, articolato attraverso azioni che prevedano progetti strategici di difesa dal rischio idrogeologico relativi alle aree urbane e agli insediamenti produttivi di particolare rilievo, interventi puntuali di riduzione del rischio idrogeologico, anche con riferimento ai piccoli comuni, e interventi di manutenzione diffusa del territorio, nonché di singole opere di difesa esistenti;
   ad assumere iniziative volte ad istituire un sistema di finanziamento delle opere basato sia sulla concessione e conseguente erogazione di risorse direttamente ai comuni, alle province, ai consorzi di bonifica, alle comunità montane e agli altri soggetti competenti, ai sensi della normativa vigente in materia di difesa del territorio e tutela dell'ambiente, sia sulla concessione di contributi da parte dello Stato, pari agli oneri per capitale ed interessi di ammortamento di mutui o altre operazioni finanziarie che i predetti soggetti possano essere autorizzati a contrarre con la Cassa depositi e prestiti o istituti finanziari, nell'ambito di autorizzazioni di spesa pluriennali a carico dello Stato, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica;
   ad assumere iniziative normative per prevedere l'esclusione di tali finanziamenti pluriennali e delle risorse provenienti dallo Stato, dalle regioni e di quelle proprie degli enti locali, destinate ad interventi di prevenzione, manutenzione del territorio e contrasto al dissesto idrogeologico, dai vincoli previsti dal patto di stabilità interno;
   ad adottare specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a garantire l'attuazione da parte degli enti locali degli interventi di messa in sicurezza del proprio territorio per le aree a rischio prioritario e di interventi di rimboscamento e di riutilizzo dei terreni agricoli abbandonati;
   ad intraprendere specifiche iniziative, anche di natura normativa, volte a prevedere il rifinanziamento del fondo regionale della protezione civile, ovvero l'istituzione di un fondo compartecipato dallo Stato, dalle regioni e dagli enti locali, finalizzato alla concessione di indennizzi e per il risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali connessi al dissesto idrogeologico del territorio;
   ad assumere iniziative di competenza, anche normative, finalizzate a prevedere che i comuni possano concedere crediti edilizi in favore di soggetti che procedono alla delocalizzazione dei propri immobili, non abusivi, situati in aree classificate a rischio, verso siti sicuri e ad adottare provvedimenti concreti contro l'abusivismo edilizio e per la demolizione degli immobili abusivi in aree soggette a rischio idrogeologico.
(1-00117)
«Grimoldi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini».
(24 giugno 2013)

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