TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 43 di Lunedì 1 luglio 2013

 
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MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MERITO ALLA DIFFUSIONE IN AGRICOLTURA DI ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ESERCIZIO DELLA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA

   La Camera,
   premesso che:
    la Monsanto è una multinazionale americana che, grazie al pressoché indiscusso monopolio delle sementi geneticamente modificate, rappresenta oggi il sinonimo mondiale di organismi geneticamente modificati (ogm). Il 22 aprile 1998, la Monsanto Europe ha ricevuto l'autorizzazione dalla Commissione europea per l'immissione in commercio del mais MON810, che produce la proteina insetticida cryA per l'inclusione del gene del batterio bacillus thuringiensis, ai sensi della direttiva 90/220/CEE;
    il Mon810 non ha ancora ricevuto il rinnovo dell'autorizzazione ai sensi dalla direttiva 90/220/CEE abrogata dalla direttiva 2001/18/CE;
    nel luglio del 2004 prima e nel maggio del 2007 poi, la Monsanto ha fatto richiesta di riconoscimento del MON810 come prodotto esistente al momento dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1829/2003 che ha sostituito parte della direttiva 2001/18/CE sull'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati;
    il Mon810 è attualmente sul mercato in applicazione dell'articolo 20.4 del suddetto regolamento;
    a tutt'oggi, le uniche piante transgeniche autorizzate alla coltivazione sono il suddetto mais ed una patata (varietà Amflora) prodotta dalla Basf e destinata prevalentemente all'industria cartaria;
    in Italia non esistono coltivazioni di piante transgeniche mentre la commercializzazione dei loro prodotti avviene nel rispetto delle regole che riguardano l'immissione sul mercato di alimenti e mangimi contenenti organismi geneticamente modificati;
    risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati, estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
    la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integre, ossia non inquinate da organismi geneticamente modificati, le produzioni agricole di qualità che rappresentano il vero valore aggiunto sul mercato alimentare globale;
    nei Paesi sul cui territorio è stata autorizzata la coltivazione degli organismi geneticamente modificati, nonostante l'adozione dei piani di coesistenza, non è stato possibile evitare la contaminazione con varietà tradizionali e colture biologiche;
    questo inquinamento, irreversibile, era previsto già nella direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001, che per l'emissione deliberata nell'ambiente degli organismi geneticamente modificati, al 4 punto dei considerando riporta: «gli organismi viventi immessi nell'ambiente in grandi o piccole quantità per scopi sperimentali o come prodotti commerciali possono riprodursi e diffondersi oltre le frontiere nazionali, interessando così altri Stati membri; gli effetti di tali emissioni possono essere irreversibili»;
    la normativa comunitaria sull'emissione in ambiente di organismi geneticamente modificati è assai confusa, come dimostrato dalla decisione del Consiglio di Stato di Francia ed Italia di ricorrere alla Corte di Giustizia dell'Unione europea per ottenere l'interpretazione su come dirimere cause nazionali riguardanti la coltivazione del summenzionato mais geneticamente modificato;
    nei diversi dossier tecnici prodotti dalle aziende biotech, ai fini della loro valutazione da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), vengono evidenziate differenze statisticamente significative nella composizione biochimica degli organismi geneticamente modificati rispetto alle varietà di origine, nonché negli effetti sulla salute degli animali oggetto degli studi di tossicità, i quali presentano generalmente alterazioni del sistema enzimatico, epatico e renale;
    l'Efsa ha sin qui giustificato le differenze statisticamente significative di diversi organismi geneticamente modificati, incluso il Mon810, come dovute alla variabilità naturale;
    il MON810 può essere usato solo nei mangimi e non per l'alimentazione umana (in quanto autorizzato ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 che si trova nel capo III relativo ai mangimi geneticamente modificati laddove gli organismi geneticamente modificati per alimenti sono regolamentati al Capo II);
    diversi membri del panel di esperti sugli organismi geneticamente modificati dell'Efsa sono stati accusati di conflitto di interessi per la loro appartenenza ad aziende con chiari interessi economici nel mercato delle piante transgeniche;
    nonostante la normativa di riferimento si ispiri al principio di precauzione, l'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003 carica la società civile dell'onere della prova definitiva circa la pericolosità degli organismi geneticamente modificati autorizzati;
    avendo valutato l'urgenza di riavviare con determinazione il percorso per mettere un freno alla possibilità di coltivazioni di organismi geneticamente modificati nel nostro Paese e con lo scopo di riportare l'attenzione del Governo sull'urgenza di emanare la cosiddetta clausola di salvaguardia, sancita dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (come già sollecitato nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-00050) relativa al mais geneticamente modificato Mon810, che consentirebbe di scongiurare l'eventuale semina da cui potrebbe derivare una contaminazione ambientale irreversibile, una delegazione del gruppo parlamentare «Movimento Cinque Stelle» ha incontrato il 28 marzo 2013 il Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, e il 3 aprile 2013 il Ministro pro tempore dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, e il Ministro pro tempore della salute, Renato Balduzzi;
    dagli incontri suddetti, anche secondo quanto riportato da numerose agenzia stampa, è emersa la reale disponibilità dei Ministri pro tempore ad un concreto intervento in questa direzione, in particolare il giorno 4 aprile 2013, il Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali ha dichiarato: «Il Ministero della salute ha dato seguito alla nostra richiesta e al dossier predisposto dal Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), chiedendo alla Commissione europea la sospensione d'urgenza dell'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di mais Mon810 in Italia e nel resto dell'Unione europea»;
    è necessario ricordare che la clausola di salvaguardia è già stata attuata da Stati membri dell'Unione europea quali Germania, Francia, Austria, Ungheria, Polonia, Grecia e Lussemburgo,

impegna il Governo:

   a mettere in atto tutte le azioni possibili al fine di procedere all'attuazione della clausola di salvaguardia, così come previsto dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE;
   a richiedere la sospensione dell'uso del Mon810 sino al rilascio di una nuova autorizzazione che risponda pienamente ai requisiti richiesti di dimostrata innocuità nella coltivazione e nell'uso come alimento o mangime;
   a promuovere la ridefinizione, in particolare nelle competenti sedi europee, in maniera precisa e puntuale, del concetto di «rilascio in ambiente» per gli organismi geneticamente modificati che differisce in maniera sostanziale dal concetto di «immissione in commercio» e che da questo deve essere efficacemente separato.
(1-00019)
«Zaccagnini, Lombardi, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Zolezzi, Gallinella, D'Uva, L'Abbate, Brescia, Dieni, Liuzzi, Cozzolino, Villarosa, Cristian Iannuzzi, D'Incà, Segoni, Mannino, Sorial, Spessotto, Fico, Caso, Baldassarre, Cariello, Dadone, Battelli, D'Ambrosio, Tofalo, Terzoni, Del Grosso, Lorefice, Marzana, Crippa, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Micillo, Nesci, Carinelli, Grillo, Cancelleri, Colonnese, Nuti, Di Battista, Sibilia, Grande, Spadoni, Manlio Di Stefano, Ciprini, Cominardi».
(16 aprile 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    l'agroalimentare è uno dei settori che resiste meglio alla crisi economica in atto e, in particolare, l'agricoltura italiana registra risultati migliori dell'industria e dell'economia nel complesso sia in termini di contributo alla crescita economica (prodotto interno lordo) che di occupazione; ancora meglio si posiziona l'industria alimentare che presenta indicatori in termini di valore aggiunto che sono costantemente migliori della media dell'industria in generale; l’export si conferma il motore dell'agroalimentare italiano, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011), e un avvio di 2013 molto promettente (Ismea su dati Istat);
    le performance attuali del settore dipendono sia da fattori generali del sistema Paese, che da fattori specifici del settore caratterizzati da un enorme sforzo dei produttori italiani a tutela della qualità e della tracciabilità della produzione agroalimentare nazionale che si contrappone ad una visione che, a livello internazionale, tende a considerare la produzione agricola solo una commodity che, al pari del petrolio, può determinare ingenti fortune finanziarie; in tale ultimo contesto, l'attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dal transgenico, a prescindere dalle conseguenze che derivano dalla loro coltivazione e commercializzazione, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti;
    ad oggi, i nodi da sciogliere connessi al transgenico sono ancora molti: oltre ai rischi per la salute e l'economia del nostro Paese, che si contraddistingue per i suoi tradizionali prodotti tipici e di qualità, resta irrisolto il problema dell'impossibilità di coesistenza tra le colture di organismi geneticamente modificati e quelle convenzionali, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione che determina un inquinamento dell'ambiente irreversibile;
    una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità e significative resistenze all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza che sia la comunità dei cittadini a prendere le decisioni di merito sull'uso di tali tecnologie, in considerazione delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione;
    un'eventuale introduzione di colture transgeniche avrebbe, inoltre, come diretta conseguenza la messa in discussione di uno dei principali fattori di creazione di valore aggiunto del Paese e, cioè, il modello agricolo italiano, fondato su produzioni di qualità apprezzate sul mercato interno ma, anche di più, all'estero e che danno vita a quel made in Italy così apprezzato da essere costantemente minacciato da imitazioni e falsificazioni;
    in realtà, la maggioranza dei cittadini italiani ed europei ha già manifestato la propria volontà di non autorizzare la coltivazione di sementi transgeniche sui propri territori, al fine di tutelarne l'integrità per le future generazioni;
    la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale, in punto sia di «immissione in commercio» di organismi geneticamente modificati, sia di «emissione deliberata» di organismi geneticamente modificati nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da organismi geneticamente modificati attraverso l'applicazione del principio di «salvaguardia»;
    la direttiva 2001/18/CE sull'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati è stata recepita in Italia con il decreto legislativo n. 224 del 2003. Con tale atto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato indicato quale autorità competente a livello nazionale, con il compito di coordinare l'attività amministrativa e tecnico-scientifica, il rilascio delle autorizzazioni e le comunicazioni istituzionali con la Commissione europea, con il supporto della commissione interministeriale di valutazione. Il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia» mediante la quale le autorità nazionali preposte - per l'Italia i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute - possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso. Con l'attivazione di tale clausola si dà luogo ad una serie di consultazioni fra la Commissione europea, le autorità nazionali, il produttore, gli organismi che sono intervenuti nella procedura di valutazione della conformità e tutte le parti interessate. La normativa comunitaria consente comunque alla Commissione europea di annullare il ricorso alla clausola di salvaguardia in caso di evidenze scientifiche contrarie;
    la direttiva 2001/18/CE costituisce anche la norma che getta le basi per regolamentare la cosiddetta coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Infatti, con l'articolo 22 è previsto che gli organismi geneticamente modificati autorizzati, in conformità alla direttiva, devono poter circolare liberamente all'interno dell'Unione europea, mentre con l'articolo 26-bis (introdotto dal regolamento (CE) n. 1829/2003), si dispone che «gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altri prodotti». Questa disposizione consente, quindi, agli Stati membri di poter introdurre, nel proprio ordinamento, norme specifiche per regolare la coesistenza;
    con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, erano state previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004 nella parte ritenuta di esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura. L'intervento della Corte costituzionale ha causato un vuoto normativo molto dannoso, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà di scelta dell'imprenditore sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
    tale orientamento è stato da ultimo riconfermato nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea dell'ottobre 2012 (sul caso di specie Pioneer Hi Bred Italia Srl contro Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali) con cui la Corte di giustizia dell'Unione europea si è pronunciata in via pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE. Per la Corte di giustizia dell'Unione europea uno Stato membro, ai sensi del citato articolo 26-bis, può disporre restrizioni e divieti geograficamente delimitati solo nel caso e per effetto delle misure di coesistenza realmente adottate. Viceversa, uno Stato membro non può, nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture, vietare in via generale la coltivazione di prodotti geneticamente modificati autorizzati ai sensi della normativa dell'Unione europea e iscritti nel catalogo comune; fin dal 2010, il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE – attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee – che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni degli organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
    al riguardo, si evidenzia l'intenzione del commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori Tonio Borg di rilanciare il negoziato europeo sugli organismi geneticamente modificati, rendendo gli Stati membri maggiormente autonomi sulle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
    anche le regioni hanno ripetutamente dichiarato la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che modifica la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la qualità e la specificità dei suoi prodotti;
    a tal proposito, la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato un ordine del giorno con cui impegna il «Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, di procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 marzo 2001» e «tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e in occasione delle riunioni in sede comunitaria la posizione unanime delle Regioni e delle Province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale»;
    il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale, in assenza di una chiara posizione del Governo con l'adozione della clausola di salvaguardia, potrebbe essere imminente se, come si apprende da alcune notizie stampa, fosse vero che nei silos di stoccaggio della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia e del Friuli ci sono 52 mila sacchi di mais transgenico autorizzato dalla UE MON810, sufficienti a coltivare 32 mila ettari, pronti per le semine di primavera;
    la tutela e la valorizzazione della qualità del sistema agroalimentare italiano è un obiettivo di rilevanza strategica che trova attuazione attraverso una concreta tutela istituzionale del comparto primario dall'inquinamento transgenico ed un efficace sistema di tracciabilità, di riconoscibilità e di etichettatura dei prodotti agroalimentari;
    in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche, che potrebbe verificarsi a causa di una normativa nazionale e comunitaria contraddittoria e incompleta, lo stesso Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentare e forestali, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità nazionale in materia, di «guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di ogm in Italia»; ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
    in realtà, l'ultimo rapporto del Servizio internazionale per l'acquisizione di applicazioni di biotecnologia agricola (Isaa) sullo status globale della commercializzazione di colture biotech/organismi geneticamente modificati del mese di febbraio 2013, ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi (Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania) a coltivare organismi geneticamente modificati, con 129.000 ettari di mais transgenico piantati nel 2012: una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria che conferma l'opposizione in Europa alla diffusione del transgenico in agricoltura al fine di difendere le produzioni nazionali da possibili contaminazioni da colture geneticamente modificate e collocarne i prodotti ad un livello di maggiore interesse e competitività nel panorama economico mondiale;
    in data 29 marzo 2013, il Ministro pro tempore della salute, Renato Balduzzi, ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia e nel resto d'Europa di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro pro tempore delle politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003,

impegna il Governo:

   ad avvalersi della clausola di salvaguardia, di cui all'articolo 25 del decreto legislativo n. 224 del 2003, di recepimento della direttiva 2001/18/CE, al fine di evitare ogni forma di coltivazione in Italia di organismi geneticamente modificati autorizzati a livello europeo e di tutelare la sicurezza del modello economico e sociale di sviluppo dell'agroalimentare italiano;
   a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avviata in gran parte del Paese, l'incremento delle attività di controllo per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri in corso di distribuzione ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate.
(1-00015)
«Cenni, Rosato, Braga, Gnecchi, Benamati, Mongiello, Realacci, Lenzi, Arlotti, Magorno, Fanucci, Lodolini, Miotto, Manfredi, Rubinato, Murer, Moscatt, Antezza, D'Incecco, Petrini, Fossati, Marantelli, Marchi, Mariastella Bianchi, Mariani, Fregolent, Dallai, Bratti, Velo, Tullo, Terrosi».
(9 aprile 2013)

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