TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 50 di Mercoledì 10 luglio 2013

 
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MOZIONE CONCERNENTE INIZIATIVE IN MERITO ALLA DIFFUSIONE IN AGRICOLTURA DI ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'ESERCIZIO DELLA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA

   La Camera,
   premesso che:
    l'agroalimentare è uno dei settori dell'economia italiana che meglio resiste e reagisce alla crisi economica in atto in termini di valore aggiunto e, in particolare, di export, con un nuovo record di 32 miliardi di euro di fatturato nel 2012 (+5,4 per cento sul 2011);
    i dati Istat sui «Conti economici trimestrali» evidenziano che nel primo trimestre del 2013 l'agricoltura ha fatto registrare un aumento del valore aggiunto sia in termini congiunturali (+4,7 per cento), che tendenziali (+0,1 per cento), confermandosi come comparto in attivo anche sul piano occupazionale, con l'aumento delle assunzioni dello 0,7 per cento, in netta controtendenza con l'andamento recessivo del prodotto interno lordo e degli occupati dell'industria e dei servizi;
    i suddetti dati evidenziano per l'Italia un calo tendenziale del prodotto interno lordo nel primo trimestre del 2013 del 2,4 per cento, provocato dalle flessioni dell'industria (-4,1 per cento) e dei servizi (-1,4 per cento);
    le performance economiche del comparto agricolo sono positive, nonostante gli effetti negativi sulle coltivazioni provocati dal maltempo, che ha causato in agricoltura danni stimabili in un miliardo di euro, e dai segnali depressivi sui consumi che hanno interessato anche l'agroalimentare; l'agricoltura è stato l'unico settore che nel 2013 sta dimostrando segni di «vitalità economica» e occupazionale, a conferma questo della validità e della modernità del modello di sviluppo agricolo made in Italy, che è fondato sulla valorizzazione dell'identità, della qualità e delle specificità che consentono di affrontare e vincere la competizione internazionale;
    il modello di sviluppo agricolo fondato sul made in Italy è realizzabile grazie all'impegno crescente e costante dei produttori italiani che tutelano la qualità, la tracciabilità e la produzione agroalimentare nazionale, che si contrappone ad una visione che a livello internazionale tende a considerare la produzione agricola solo come una commodity che, al pari del petrolio, può determinare ingenti fortune finanziarie; in tale ultimo contesto, l'attività lobbistica delle multinazionali che vogliono trarre profitto dal transgenico, a prescindere dalle conseguenze che derivano dalla loro coltivazione e commercializzazione, ha spesso il sopravvento nelle decisioni in materia di alimentazione, ponendo ostacoli alla ricerca indipendente a causa dei brevetti sui semi detenuti;
    il comparto agricolo nell'ultimo lustro ha dimostrato di essere una realtà economica d'eccellenza e di peculiare differenziazione della qualità agroalimentare rispetto agli altri partner intra-europei ed extra-europei e, per questi dati incontrovertibili, esso necessita di essere posto nell'agenda politica italiana quale uno dei volani principali della ripresa economica;
    la Monsanto è una multinazionale americana che, grazie al pressoché indiscusso monopolio delle sementi geneticamente modificate, rappresenta oggi il sinonimo mondiale di organismi geneticamente modificati. Il 22 aprile 1998, la Monsanto Europe ha ricevuto l'autorizzazione dalla Commissione europea per l'immissione in commercio del mais Mon810, il quale produce la proteina insetticida cryA per l'inclusione del gene del batterio bacillus thuringiensis, ai sensi della direttiva 90/220/CEE;
    il Mon810 non ha ancora ricevuto il rinnovo dell'autorizzazione ai sensi dalla direttiva 90/220/CEE abrogata dalla direttiva 2001/18/CE;
    nel luglio del 2004 prima e nel maggio del 2007 poi, la Monsanto ha fatto richiesta di riconoscimento del Mon810 come prodotto esistente al momento dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1829/2003 che ha sostituito parte della direttiva 2001/18/CE sull'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati;
    è recente la notizia che a Vivaro (Pordenone) seimila metri quadrati sono stati seminati con mais biotech, Mon810, creando un altissimo rischio di contaminazione nei confronti della biodiversità del nostro Paese;
    risulta sempre più evidente che le sollecitazioni delle società multinazionali favorevoli alla produzione di organismi geneticamente modificati, estranee all'interesse comune dei cittadini comunitari, sono in grado, molto spesso, di condizionare le scelte dell'Unione europea ad ogni livello, in particolare per quel che riguarda la produzione agricola, convenzionale e biologica;
    la stragrande maggioranza dei cittadini europei vuole mantenere integre, ossia non inquinate da organismi geneticamente modificati, le produzioni agricole di qualità che rappresentano il vero valore aggiunto sul mercato alimentare globale;
    una vasta parte della comunità scientifica continua ad esprimere forti e rinnovate perplessità rispetto all'impiego di tecnologie transgeniche in agricoltura, richiamando l'attenzione sull'importanza delle ricadute globali ed incontrollabili su salute e ambiente che potrebbero derivare da eventuali errori di valutazione e sull'impossibilità di coesistenza fra colture transgeniche, convenzionali e biologiche, dato che non esistono misure idonee ed efficaci per evitare la contaminazione che determina un inquinamento dell'ambiente irreversibile;
    i recenti studi di Gilles-Eric Seralini, ricercatore dell'Istituto di biologia fondamentale e applicata presso l'Università degli Studi di Caen (Francia), condensati nel libro Tous co-bayes, conducono verso la «prova» della tossicità – tuttora molto dibattuta – degli organismi geneticamente modificati e degli erbicidi ad essi collegati; si tratta di un campo certamente da approfondire, ma, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo, ciò è sufficiente per adottare tutti quei provvedimenti prudenziali per evitare futuri eventuali disastri ambientali e sanitari che potrebbero rivelarsi irreversibili;
    nei diversi dossier tecnici redatti dalle aziende biotech, ai fini della loro valutazione da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), vengono evidenziate differenze statisticamente significative nella composizione biochimica degli organismi geneticamente modificati rispetto alle varietà di origine, nonché negli effetti sulla salute degli animali oggetto degli studi di tossicità, i quali presentano generalmente alterazioni del sistema enzimatico, epatico e renale;
    l'Efsa ha sin qui giustificato le differenze statisticamente significative di diversi organismi geneticamente modificati, incluso il Mon810, come dovute alla variabilità naturale;
    la direttiva 2001/18/CE del 12 marzo 2001 costituisce il testo normativo fondamentale per quanto concerne sia l'immissione in commercio di organismi geneticamente modificati, sia l'emissione deliberata di organismi geneticamente modificati nell'ambiente e prevede, per i singoli Stati membri, la possibilità di dichiarare l'intero territorio nazionale come libero da colture biotech attraverso l'applicazione della clausola di salvaguardia;
    il decreto legislativo n. 224 del 2003, all'articolo 25, recepisce quanto stabilito dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, in relazione alla cosiddetta «clausola di salvaguardia» mediante la quale le autorità nazionali preposte (per l'Italia sono i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute) possono bloccare l'immissione nel proprio territorio di un prodotto transgenico ritenuto pericoloso;
    con il decreto-legge n. 279 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 5 del 2005, venivano previste disposizioni per assicurare la «coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 116 del 2006, ha dichiarato la parziale incostituzionalità del decreto-legge n. 279 del 2004, nella parte in cui si richiama l'esclusiva competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, venendosi così a determinare un pericoloso vuoto normativo, poiché sono stati mantenuti in vigore sia il principio della libertà della scelta dell'imprenditore, sia il principio della coesistenza, mancando però del tutto le parti operative e tecniche per attuare la coesistenza. Il risultato è che ogni norma nazionale o regionale che vieta l'utilizzo di colture transgeniche diventa contraria al principio di coesistenza stabilito a livello europeo;
    fin dal 2010 il Parlamento italiano si è espresso a favore della proposta di regolamento di modifica della direttiva 2001/18/CE - attualmente in fase di stallo presso le istituzioni europee - che consentirebbe agli Stati membri di decidere in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati sulla base di più ampi criteri, oltre a quelli già previsti di tutela della salute e dell'ambiente; più in generale, e in ambito comunitario, l'Italia ha da sempre sottolineato l'importanza dell'impatto socio-economico derivante dall'uso del transgenico, che deve essere valutato a pieno titolo accanto a quelli già riconosciuti in merito all'ambiente e alla salute;
    nel mese di aprile 2013 il Ministro della salute pro tempore ha inviato una lettera a Bruxelles chiedendo di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais Mon810 in tutta Europa, ma nessuna azione risulta essere stata intrapresa nelle sedi preposte;
    nella seduta del 21 maggio 2013 il Senato della Repubblica ha approvato all'unanimità l'ordine del giorno sulle colture biotech con cui si impegna il Governo: «(...) ad adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE e/o ad adottare la misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, in base alla procedura prevista dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano; a rafforzare la già efficace opera di monitoraggio e controllo posta in essere con il coinvolgimento del Corpo forestale dello Stato, il quale da tempo effettua verifiche per evitare la contaminazione tra colture geneticamente modificate e non e per controllare l'eventuale presenza di sementi transgeniche non autorizzate; a potenziare la ricerca scientifica pubblica in materia agricola e biologica e, in caso di organismi geneticamente modificati, in ambiente confinato di laboratorio (...)»;
    il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, Nunzia De Girolamo, nell'illustrazione delle linee programmatiche del suo dicastero rese il 12 giugno 2013 in seduta congiunta alle Commissioni agricoltura della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, ha affermato che: «(...) l'importanza di un positivo relazionarsi tra Governo e istituzioni parlamentari ha già trovato, in questa legislatura, un'ottima dimostrazione in Senato sul delicato tema degli organismi geneticamente modificati, con l'assunzione del mio personale impegno sull'ordine del giorno congiunto di tutti i gruppi rappresentati, finalizzato all'adozione di regole coerenti con la tutela della salute umana e dell'ambiente, nonché del modello socio-economico e del patrimonio agroalimentare italiano, al contempo rafforzando la ricerca scientifica e le azioni di monitoraggio e controllo (...)»;
    il sistema delle regioni e delle province autonome ha ripetutamente dichiarato in sede di Conferenza delle regioni, con l'approvazione di un ordine del giorno e con una fitta corrispondenza istituzionale con le istituzioni europee e nazionali, la loro ferma opposizione all'introduzione di colture transgeniche in Italia, sottolineando la necessità che il futuro regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che andrà a modificare la direttiva 2001/18/CE, per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di organismi geneticamente modificati sul loro territorio, sia il più possibile adeguato a salvaguardare l'agricoltura italiana, la biodiversità agroalimentare, la qualità e le specificità dei suoi prodotti;
    specificatamente, l'ordine del giorno della Conferenza delle regioni e delle province autonome recita: «(...) impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, nelle more dell'approvazione della proposta di modifica della direttiva 2001/18/CE in materia di possibili divieti alla coltivazione di piante geneticamente modificate, a procedere con l'esercizio della clausola di salvaguardia ai sensi dell'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE del Parlamento e del Consiglio europeo del 12 marzo 2001(...)»; ed ancora: «(...) tenuto conto delle competenze in materia riconosciute dalla Costituzione, impegna il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali a rappresentare al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e in occasione delle riunioni in sede comunitaria, la posizione unanime delle regioni e delle province autonome di assoluta contrarietà rispetto alla autorizzazione della coltivazione degli organismi geneticamente modificati sul territorio nazionale (...)»;
    in presenza di rischi concreti per il sistema agricolo nazionale di inquinamento da colture transgeniche lo stesso Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali pro tempore, il 28 gennaio 2013, ha chiesto formalmente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità nazionale in materia, di: «(...) guardare concretamente alla prospettiva di una clausola di salvaguardia per le coltivazioni di organismi geneticamente modificati in Italia (...)»;
    ad oggi, otto nazioni (Francia, Germania, Lussemburgo, Austria, Ungheria, Grecia, Bulgaria e Polonia) hanno già adottato delle clausole di salvaguardia per vietare le colture di organismi geneticamente modificati autorizzate nei loro territori;
    l'ultimo rapporto del mese di febbraio 2013 del Servizio internazionale per l'acquisizione delle applicazioni biotecnologiche per l'agricoltura, Isaa, riguardante lo «Status globale della commercializzazione di colture biotech/ogm», ha evidenziato che in Europa sono rimasti solo cinque Paesi – Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania – a coltivare organismi geneticamente modificati, con 129 ettari di mais transgenico seminati nel 2012, una percentuale irrisoria della superficie agricola comunitaria;
    in data 29 marzo 2013 il Ministro della salute pro tempore ha inoltrato alla direzione generale salute e consumatori della Commissione europea la richiesta di sospensione d'urgenza dell'autorizzazione della messa in coltura in Italia, e nel resto d'Europa, di sementi di mais Mon810, con allegato il dossier elaborato dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, a norma dell'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003;
    il rischio che corre il sistema agroalimentare nazionale è evidenziato dalla semina di mais geneticamente modificato già avvenuta nei giorni scorsi nella regione Friuli Venezia Giulia ed alla possibilità di replica di tali atti in altre parti del territorio nazionale;
    a seguito della semina di mais Mon810 avvenuta a Vivaro (Pordenone), le autorità competenti recintavano e ponevano sotto sequestro il campo seminato da mais biotech e si apriva un procedimento penale a carico dell'agricoltore, Giorgio Fidenato, autore della semina;
    la Corte di giustizia dell'Unione europea, IX sezione, con ordinanza dell'8 maggio 2013, causa C-542/12, ha deciso in via pregiudiziale che:«(...) il diritto dell'Unione europea dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais Mon810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e dette varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, come modificata dal regolamento n. 1829/2003. L'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2008, dev'essere interpretata nel senso che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di detti organismi geneticamente modificati per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di organismi geneticamente modificati in altre colture (...)»;
    la pronuncia in via pregiudiziale (articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) della Corte di giustizia europea scaturisce dal procedimento penale in corso presso il tribunale di Pordenone a carico di Giorgio Fidenato, titolare dell'azienda agricola dove sono state messe a coltura sementi di organismi geneticamente modificati, mais Mon810, in assenza della specifica autorizzazione (articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 212 del 2001);
   esiste il fondamentale «principio di precauzione», sia nella normativa comunitaria (articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) che in quella nazionale (articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006, e successive modifiche ed integrazioni), e, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, sarebbe opportuno e non più rinviabile, che il legislatore europeo introduca nel regolamento comunitario, in materia di organismi geneticamente modificati, l'inclusione di una «clausola di garanzia» in favore degli Stati membri che intendano avvalersene;
    al riguardo, si evidenzia l'intenzione del commissario europeo per la salute e la politica dei consumatori Tonio Borg di rilanciare il negoziato europeo sugli organismi geneticamente modificati, rendendo gli Stati membri maggiormente autonomi sulle linee guida da autorizzare a livello nazionale;
    la risposta fornita dal Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, ad un'interrogazione a risposta immediata in Commissione agricoltura della Camera dei deputati, ha espresso le seguenti considerazioni: «(...) il Senato della Repubblica ha recentemente approvato un ordine del giorno unitario, accolto dal Governo, in tema di organismi geneticamente modificati che si tradurrà nell'emanazione di un decreto interministeriale (salute, ambiente e tutela del territorio e del mare e politiche agricole, alimentari e forestali), con il quale verrà disposto il divieto di coltivazione di varietà di mais Mon810 sul territorio nazionale. Tuttavia, considerato che non ci troviamo nelle condizioni per ricorrere alla clausola di salvaguardia «vera e propria» di cui all'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE (strada preclusa da una sentenza della Corte di giustizia europea dell'8 settembre 2011), interverremo con il decreto interministeriale facendo ricorso all'articolo 34 del regolamento (CE) 1829/2003 che consente di adottare misure di emergenza qualora sia manifesto che prodotti geneticamente modificati autorizzati possano comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l'ambiente. Al riguardo, preciso che le misure di emergenza sono adottate con le procedure previste dagli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) 178/2002 sulla sicurezza alimentare (la cui autorità competente in Italia è il Ministero della salute)»; ed ancora «(...) vorrei inoltre far presente che, sebbene lo scorso mese di aprile il Ministro della salute abbia richiesto alla Commissione europea di adottare misure di emergenza che proibissero la coltivazione del mais transgenico Mon810 in tutta Europa (considerando che l'autorizzazione del 1998 non è stata rinnovata), al momento, tuttavia, nessuna azione al riguardo è stata intrapresa dalla competente istituzione europea. Da qui, la possibilità di adottare il decreto di divieto di coltivazione per il solo territorio nazionale a cui stanno lavorando i servizi giuridici dei tre Ministeri. Saranno naturalmente utilizzati, allo scopo, sia il dossier predisposto dal Cra (ove è stato messo in evidenza che il Mon810 potrebbe modificare le popolazioni di lepidotteri non bersaglio e favorire lo sviluppo di parassiti potenzialmente dannosi per le altre colture), sia il parere dell'Ispra (che conferma i rischi per le popolazioni di lepidotteri non target e non esclude la possibilità di impatto negativo sugli organismi acquatici sensibili alle tossine)». Da ultimo: «(...) da parte nostra, intendiamo proseguire sulla strada di un'azione forte e determinata a sostegno di una modifica della normativa comunitaria (peraltro già predisposta dalla stessa Commissione europea nel 2010), che consenta agli Stati membri di opporsi alla coltivazione degli organismi geneticamente modificati per motivi non solo sanitari e ambientali, ma anche di politica economica agraria, come quelli esposti dagli interroganti e assolutamente condivisibili (...)»,

impegna il Governo:

   a perseguire, con tutta la necessaria energia negoziale, un radicale miglioramento della normativa comunitaria in materia di coltivazione di sementi transgeniche e di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati che si ispiri alle linee seguenti:
    a) una rigorosa applicazione del principio di precauzione in tutti i procedimenti di autorizzazione alla coltivazione o al commercio di eventi transgenici;
    b) un regime obbligatorio di tracciabilità per tutte le sementi e gli organismi geneticamente modificati idoneo a segnalarne la presenza in tutti gli stadi della filiera;
    c) un regime di etichettatura a beneficio del consumatore finale che metta a disposizione del medesimo tutte le informazioni assicurate dal predetto regime di tracciabilità;
    d) regole generali idonee a tutelare pienamente, attraverso le disposizioni attuative demandate agli Stati membri, i produttori convenzionali e biologici;
    e) un'adeguata sussidiarietà, che consenta agli Stati membri, per motivazioni di carattere oggettivo, di interdire temporaneamente o definitivamente, in tutto il proprio territorio o in parte di esso, la coltivazione di sementi transgeniche;
   ad avviare comunque e tempestivamente la procedura per l'adozione della misura cautelare di cui all'articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003, secondo quanto previsto dall'articolo 54 del regolamento (CE) n. 178/2002, e ad adottare la clausola di salvaguardia prevista dall'articolo 23 della direttiva 2001/18/CE, a tutela della salute umana, dell'ambiente e del modello economico e sociale del settore agroalimentare italiano;
   ad assumere iniziative immediate in relazione all'avvenuta semina di mais geneticamente modificato, su tutto il territorio italiano, al fine di evitare ogni forma di possibile contaminazione ambientale e delle produzioni agricole locali;
   a prevedere, in relazione alla stagione delle semine avvenuta in gran parte del Paese, l'incremento delle attività di controllo e monitoraggio per potenziare, d'intesa con le regioni, la sorveglianza sui prodotti sementieri ed intervenire in presenza di sementi transgeniche non autorizzate;
   a sostenere la ricerca scientifica pubblica in materia agricola, biologica ed agroalimentare secondo le migliori prassi scientifiche nazionali ed internazionali e in caso di organismi geneticamente modificati in ambiente confinato, sotto il controllo del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, anche al fine di salvaguardare le specificità del sistema agroalimentare italiano.
(1-00015) (Ulteriore nuova formulazione) «Cenni, Zaccagnini, Lupo, Faenzi, Catania, Franco Bordo, Caon, Rampelli, Rosato, Braga, Gnecchi, Benamati, Mongiello, Realacci, Lenzi, Arlotti, Magorno, Fanucci, Lodolini, Miotto, Manfredi, Rubinato, Murer, Moscatt, Antezza, D'Incecco, Petrini, Fossati, Marantelli, Marchi, Mariastella Bianchi, Mariani, Fregolent, Dallai, Bratti, Velo, Tullo, Terrosi, Fiorio, Oliverio, Zanin, Carra, Lombardi, Parentela, Benedetti, Gagnarli, Massimiliano Bernini, Zolezzi, Gallinella, D'Uva, L'Abbate, Brescia, Dieni, Liuzzi, Cozzolino, Villarosa, Cristian Iannuzzi, D'Incà, Segoni, Mannino, Sorial, Spessotto, Fico, Caso, Baldassarre, Cariello, Dadone, Battelli, D'Ambrosio, Tofalo, Terzoni, Del Grosso, Lorefice, Marzana, Crippa, Brugnerotto, Toninelli, Mantero, Micillo, Nesci, Carinelli, Grillo, Cancelleri, Colonnese, Nuti, Di Battista, Sibilia, Grande, Spadoni, Manlio Di Stefano, Ciprini, Cominardi, Baldelli, Bosco, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Romele, Russo, Dellai, Schirò Planeta, Binetti, Capua, Caruso, Causin, Cesa, Fauttilli, Matarrese, Molea, Monchiero, Nissoli, Rossi, Vargiu, Nesi, Gigli, Tinagli, Zanetti, Cimmino, Marazziti, Vecchio, Rabino, Antimo Cesaro, Vitelli, D'Agostino, Vezzali, Oliaro, Palazzotto, Zan, Pellegrino, Zaratti, Migliore, Di Salvo, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Buonanno, Busin, Caparini, Fedriga, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro, Amoddio».
(9 aprile 2013)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE A SALVAGUARDIA DEL BILINGUISMO NELLA TOPONOMASTICA DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO

   La Camera,
   premesso che:
    nel mese di settembre 2012 il consiglio provinciale di Bolzano ha approvato la legge n. 15, recante «Istituzione del repertorio toponomastico provinciale e della consulta cartografica provinciale»;
    tale legge, approvata dai soli consiglieri del gruppo linguistico tedesco, affida ad una commissione di sei membri, di cui solo due di lingua italiana, il compito di decidere, sulla base delle indicazioni ad esso formulato dalle comunità comprensoriali, tutte a maggioranza tedesca, quali nomi avranno la titolarità ad essere usati nella toponomastica ufficiale;
    attualmente la toponomastica della provincia è composta approssimativamente da 120.000 toponimi tedeschi e solo 8.500 di lingua italiana; negli ultimi anni sono stati «inventati» centinaia di toponimi per denominare strade forestali, sentieri, bacini montani e piccoli corsi d'acqua con nomi intraducibili, ovviamente in lingua tedesca, e anche la segnaletica sui sentieri di montagna è quasi ovunque esclusivamente in lingua tedesca, persino i cartelli che segnalano i pericoli;
    al contrario, appare evidente come la legge provinciale n. 15 porterà alla cancellazione di migliaia di toponimi di lingua italiana;
    inoltre, il consiglio provinciale di Bolzano ha legiferato su questa materia assai delicata e complessa eccedendo, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, le proprie competenze, e in violazione di una normativa di rango superiore, posto che lo Statuto di autonomia è legge costituzionale e prevede espressamente l'obbligo del bilinguismo nella toponomastica;
    in particolare, l'articolo 8 dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, in base al quale le province autonome hanno la potestà di emanare norme legislative, tra l'altro, in materia di toponomastica, precisa, tuttavia, che l'esercizio di siffatto potere normativo deve rispettare alcuni limiti, tra i quali, precisamente, la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica, il rispetto degli interessi nazionali, tra cui la tutela delle minoranze linguistiche locali, e l'obbligo della bilinguismo nel territorio della provincia di Bolzano;
    alla stessa stregua l'articolo 101 dello Statuto prevede che nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche debbano usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione;
    durante lo svolgimento di un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea sullo stesso tema, svolto nella seduta del 19 settembre 2012, il Ministro Giarda, per il Governo, aveva annunciato che l'intervento normativo della provincia di Bolzano sarebbe stato attentamente vagliato ed esaminato dal dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'attesa che lo stesso fosse pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione, adempimento a partire dal quale decorrono i termini per l'eventuale impugnativa costituzionale;
    in data 16 novembre 2012, il Consiglio dei ministri ha poi effettivamente deliberato l'impugnativa, dinanzi alla Corte Costituzionale, della legge in oggetto, «in quanto contenente disposizioni in materia di toponomastica in contrasto con norme internazionali e, quindi, con l'articolo 117, primo comma, della Costituzione e con diversi articoli dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige»;
    il Governo, nella sua impugnativa, ha, in particolare, eccepito sia i principi della legge provinciale in oggetto, sia la procedura in essa prevista: per quanto attiene al primo profilo, ha sottolineato che sia l'Accordo di Parigi, sia gli articoli 8 e 101 dello Statuto, «danno per presupposta l'esistenza storica e l'obbligatorietà giuridica della toponomastica in lingua italiana già introdotta al momento della loro entrata in vigore, in quanto precedentemente codificata dalla relativa legislazione statale tuttora vigente, prevedendo (e consentendo) unicamente la reintroduzione ufficiale e l'utilizzazione su un piano di parità della toponomastica in lingua tedesca (e ladina) in precedenza vietata e rimossa», ricordando anche che l'Accordo di Parigi e lo Statuto fissano «l'obbligo della bilinguità», muovendo «dal presupposto che quella in lingua italiana esiste già e che ad essa va semplicemente parificata quella in lingua tedesca (e ladina)», e che lo Statuto stesso prevede l'italiano quale «lingua ufficiale dello Stato»;
    per quanto attiene, invece, alle procedure, ha formulato rilievi fortemente critici rispetto al metodo indicato dalla legge, secondo cui «ogni toponimo è raccolto nelle versioni in lingua tedesca, italiana e ladina, in quanto in uso in ciascuna di tali lingue a livello di comunità comprensoriale», e approvato poi dal comitato paritetico, traendone la conclusione «che in futuro alcuni toponimi possano essere solamente monolingui e, in particolare, che quelli in lingua italiana già previsti dalla legislazione statale in vigore possano essere eliminati dalla toponomastica ufficiale sulla base del criterio puramente empirico, peraltro neppure minimamente specificato, dell'uso a livello di comunità comprensoriale»;
    secondo le deduzioni formulate dal Governo, quindi, né lo Statuto «attribuisce alla provincia la competenza ad intervenire sulla toponomastica ufficiale in lingua italiana», né tantomeno, il criterio dell'uso può essere utilizzato per intervenire «riduttivamente sui toponimi ufficiali in lingua italiana»;
    nei mesi scorsi la stampa ha pubblicato l'accordo tra la Svp e il leader del Partito democratico Bersani, il quale, in cambio dell'appoggio elettorale ottenuto dal partito etnico altoatesino, avrebbe promesso il ritiro del ricorso da parte del nuovo Governo, ad ulteriore conferma dell'assoluta fragilità dell'azione della provincia, che è ben consapevole del fatto che una simile violazione dello Statuto assai difficilmente potrebbe essere tollerata dalla Corte costituzionale,

impegna il Governo

a non ritirare il ricorso proposto alla Corte costituzionale contro la legge della provincia di Bolzano che mira a cancellare i nomi italiani dalle principali località dell'Alto Adige.
(1-00071) «Giorgia Meloni, Cirielli, Corsaro, La Russa, Maietta, Nastri, Rampelli, Taglialatela, Totaro».
(6 giugno 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione all'articolo 6 «tutela con apposite norme le minoranze linguistiche», all'articolo 116 stabilisce «che il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Suedtirol e la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con la legge costituzionale» e all'articolo 3 afferma che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»;
    ai sensi dell'articolo 101 dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige «nella Provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione»;
    l'articolo 99 dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige precisa che «nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana» ed è, dunque, riconosciuta come lingua ufficiale, al pari di quella francese in Valle d'Aosta, con pari diritti tra i diversi gruppi linguistici, come riconosciuto dalla pronuncia della Corte costituzionale, 30 settembre 1983, n. 312;
    analoghi principi sono riconosciuti dallo Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige, all'articolo 102, per le «popolazioni ladine e quelle mochene e cimbre» e, in particolare, all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 574 del 1951 che stabilisce che nelle Valli Ladine può essere usato nella toponomastica locale, oltre all'italiano e al tedesco, anche il ladino;
    l'Italia aderisce al Genung (Gruppo degli esperti delle Nazioni Unite sui nomi geografici), nelle cui linee guida si afferma che il tedesco e il francese come lingue ufficiali sono parificate ed hanno i medesimi diritti dell'italiano, e si danno indicazioni, sul sistema ortografico e grammaticale, per le lingue minoritarie «riconosciute ma non parificate» come il ladino;
    la legge provinciale 20 settembre 2012, n. 15, con la quale la provincia autonoma di Bolzano ha disposto l'istituzione del repertorio toponomastico provinciale e della consulta cartografica provinciale, assolve allo scopo di risolvere, sulla base di criteri oggettivi e non politicizzati e nel rispetto dei dettati costituzionali ricordati, questa materia sicuramente delicata, e rientra nella potestà legislativa primaria attribuita dall'articolo 8, comma due, dello Statuto di autonomia della regione Trentino-Alto Adige, alla provincia autonoma di Bolzano in materia di toponomastica;
    a mente del secondo comma dell'articolo 1 della legge 20 settembre 2012, n. 15, «il repertorio dei toponimi rappresenta lo strumento per la corretta denominazione del territorio della provincia di Bolzano e per la diffusione della conoscenza, della pronuncia, dell'uso, del significato, della tradizione e dell'origine dei toponimi stessi»;
    a norma dell'articolo 2, secondo comma, della legge provinciale 20 settembre 2012, n. 15, «le denominazioni sono registrate nelle versioni in lingua tedesca, italiana e ladina, in quanto in uso in ciascuna di tali lingue»; si stabilisce pure che «l'ordine di precedenza è dato dalla consistenza dei gruppi linguistici nei luoghi di pertinenza, risultante dall'ultimo censimento generale della popolazione alla data della registrazione»;
    all'articolo 3, primo comma, della medesima legge provinciale si stabilisce che «la valutazione e l'approvazione delle proposte avanzate dalle comunità comprensoriali territorialmente competenti (...) spettano ad un comitato composto da sei persone esperte in materia storica, geografica e cartografica, che viene nominato dalla Giunta provinciale» e che di tale comitato «tre componenti, uno per ciascun gruppo linguistico, vengono designati dal Consiglio provinciale, su proposta dei consiglieri dei rispettivi gruppi linguistici, e tre dalla Giunta provinciale su proposta degli assessori dei rispettivi gruppi linguistici»;
    ne consegue che, in ragione della legge 20 settembre 2012, n. 15, non vi è alcuna negazione dei principi e delle norme relative al bilinguismo che in Trentino-Alto Adige/Suedtirol, in Valle d'Aosta, nel Friuli Venezia-Giulia, tutelano le lingue tedesca nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen e francese nella Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste come lingue ufficiali e riconoscono le altre lingue minoritarie come il ladino in Trentino-Alto Adige Suedtirol, lo sloveno ed il friulano in Friuli Venezia Giulia;
    si tratta di lingue minoritarie che, al di fuori delle province e delle regioni autonome laddove abbiano competenza in materia, sono tutelate dalla legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» e per quanto riguarda lo sloveno dalla legge 23 febbraio 2001, n. 38, recante «Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della regione Friuli-Venezia Giulia»;
    la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie – che l'Italia ha firmato il 27 giugno 2000 ma non ancora ratificato – afferma che «il diritto di usare una lingua regionale o minoritaria nella vita privata e pubblica costituisce un diritto imprescrittibile, conformemente ai principi contenuti nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici delle Nazioni Unite e conformemente allo spirito della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d'Europa (...) coscienti del fatto che la tutela e il promovimento delle lingue regionali o minoritarie nei diversi Paesi e regioni d'Europa contribuiscano in modo considerevole a costruire un'Europa fondata sui principi della democrazia e della diversità culturale, nell'ambito della sovranità nazionale e dell'integrità territoriale»;
    non sembra, inoltre, contestabile il fatto che la competenza legislativa esclusiva in materia di toponomastica della provincia autonoma di Bolzano comprenda anche la competenza di intervenire sulla toponomastica «ufficiale» in lingua italiana;
    la Corte costituzionale «ha più volte affermato che la tutela delle minoranze linguistiche costituisce un principio dell'ordinamento costituzionale», con particolare riferimento all'articolo 6 della Costituzione ed ai principi di eguaglianza e non discriminazione affermati e ormai consolidati in ripetuti atti internazionali relativi al diritto all'uso delle lingue;
    il 16 novembre 2012, il Consiglio dei Ministri ha promosso un giudizio di legittimità costituzionale avverso l'articolo 1, commi 4 e 5, della legge 20 settembre 2012, n. 15, dinanzi alla Corte costituzionale, per violazione degli articoli 1, secondo comma, 101 e 156 dello Statuto speciale per il Trentino Alto Adige/Suedtirol;
    il Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, nelle sue dichiarazioni programmatiche alle Camere e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Graziano Delrio, in audizione presso la Commissione parlamentare affari costituzionali della Camera dei deputati, hanno ribadito l'obiettivo di valorizzare il ruolo delle autonomie speciali nell'azione di governo e per le riforme costituzionali ed hanno indicato nell'accordo di Milano un punto di riferimento essenziale;
    il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Graziano Delrio, ha affermato che: «abbiamo praticamente tenuta impegnata quasi esclusivamente la Corte costituzionale per sanare contenziosi tra le regioni e lo Stato», e come sia sua intenzione «ridurre questo contenzioso tra Stato e regioni del 40 per cento nel 2013 e altrettanto nel 2014», auspicando la collaborazione delle regioni e delle autonomie in questa prospettiva,

impegna il Governo

ad avviare opportuni colloqui con la provincia autonoma di Bolzano al fine di individuare una soluzione del contenzioso, d'intesa con la provincia autonoma di Bolzano, che, in base all'accordo raggiunto, provvederà ad apportare le modifiche alla legge provinciale 20 settembre 2012, n 15, e, in generale, ad individuare opportune soluzioni dei contenziosi d'intesa con la provincia autonoma di Bolzano.
(1-00138) «Alfreider, Bressa, Dellai, Kronbichler, Marguerettaz, Blazina, Gebhard, Gnecchi, Ottobre, Plangger, Schullian».
(5 luglio 2013)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge della Provincia autonoma di Bolzano 20 settembre 2012, n. 15, recante «Istituzione del repertorio toponomastico provinciale e della consulta cartografica provinciale», avrebbe la finalità di redigere un repertorio dei toponimi dell'Alto Adige e regolare l'uso di questi ultimi nella cartografia ufficiale e nella denominazione delle aree e dei luoghi pubblici, nel «rispetto dell'articolo 8 comma 1 punto 2 dello Statuto di autonomia speciale per il Trentino-Alto Adige e per le finalità degli articoli 101 e 102 dello Statuto speciale»;
    l'articolo 8 dello Statuto del Trentino Alto Adige-Sudtirol prevede che le province hanno la potestà di emanare norme legislative nella materia «toponomastica, fermo restando l'obbligo della bilinguità nel territorio della provincia di Bolzano». Questa previsione chiaramente impone che la toponomastica della provincia di Bolzano sia sempre e in ogni caso bilingue;
    disponendo in tal modo, lo Statuto ha operato in conformità all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, secondo cui l'attività legislativa deve svolgersi nel rispetto degli obblighi internazionali. Infatti, la disposizione statutaria costituisce, sostanzialmente, espressione del principio codificato all'articolo 1, comma 2, lettera b), del cosiddetto Accordo di Parigi, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, che stabilisce, a sua volta, che «ai cittadini di lingua tedesca» sarà specialmente concesso «l'uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue»;
    conformemente a questi principi internazionali e costituzionali, l'articolo 101 dello Statuto precisa che «nella provincia di Bolzano le amministrazioni pubbliche devono usare, nei riguardi dei cittadini di lingua tedesca, anche la toponomastica tedesca, se la legge provinciale ne abbia accertata l'esistenza ed approvata la dizione», mentre l'articolo 102 prevede che anche le popolazioni ladine hanno diritto, tra l'altro, «al rispetto della toponomastica» nella propria lingua;
    queste previsioni significano, dunque, che la toponomastica italiana è imprescindibile e che la redazione bilingue della toponomastica su tutto il territorio altoatesino si attua prevedendo sempre anche una dizione tedesca e inoltre, nei casi dell'articolo 102, ladina;
    gli articoli 101 e 102, che dettano disposizioni specifiche in tema di toponomastica, vanno poi letti nella cornice generale dell'articolo 99 dello Statuto, secondo il quale: «Nella regione la lingua tedesca è parificata a quella italiana che è la lingua ufficiale dello Stato. La lingua italiana fa testo negli atti aventi carattere legislativo e nei casi nei quali dal presente statuto è prevista la redazione bilingue»;
    nessun atto pubblico, e, quindi, per quanto qui interessa, nessuna cartografia ufficiale e nessuna indicazione toponomastica, può, quindi, essere redatto soltanto in lingua tedesca o ladina. È sempre necessaria la redazione italiana, a cui quella bilingue o trilingue viene parificata;
    chiariti questi concetti, appare evidente l'illegittimità costituzionale della legge provinciale in questione;
    la legge provinciale n. 15 del 2012, che, tra l'altro, è stata approvata dai soli consiglieri del gruppo linguistico tedesco (il gruppo italiano è composto dai consiglieri del PdL-PD-Lega-Unitalia-Verdi), stabilisce che ogni toponimo è raccolto nelle versioni in lingua tedesca, italiana e ladina, in quanto in uso in ciascuna di tali lingue a livello di comunità comprensoriale, e approvato da un comitato composto da sei persone esperte in materia storica, geografica e cartografica, che viene nominato dalla giunta provinciale per la durata di una legislatura. Tre componenti, uno per ciascun gruppo linguistico, vengono designati dal consiglio provinciale, su proposta dei consiglieri dei rispettivi gruppi linguistici, e tre dalla giunta provinciale, su proposta degli assessori dei rispettivi gruppi linguistici; appare di tutta evidenza che tale comitato, data la composizione, sia a prevalenza di componenti di lingua tedesca;
    sempre secondo quanto previsto dalla legge provinciale, la proposta di inserimento dei toponimi è indirizzata al comitato dal consiglio della comunità comprensoriale territorialmente competente, tenuto conto delle denominazioni diffusamente utilizzate nelle rispettive lingue e del mantenimento invece della dizione originaria dei nomi storici;
    tale disposizione consente, pertanto, che in futuro alcuni toponimi possano essere solamente monolingui (come già, di fatto, predisposto dall'associazione provinciale privata a sovvenzione pubblica Alpenverein, che ha arbitrariamente sostituito tutti i cartelli di montagna riportando la sola lingua tedesca) e, in particolare, che quelli in lingua italiana, già previsti dalla legislazione statale in vigore, possano essere eliminati dalla toponomastica ufficiale sulla base del criterio (puramente empirico, peraltro neppure minimamente specificato) dell'uso a livello di comunità comprensoriale, prefigurando chiaramente la possibilità della deroga all'obbligo della bilinguità della toponomastica;
    ciò comporta come conseguenza che sia – non importa se solo potenzialmente e parzialmente – introdotta nel «territorio della provincia di Bolzano» (articolo 8 dello Statuto) una toponomastica ufficiale monolingue. Cioè, un tipo di toponomastica vietato dalle disposizioni internazionali e costituzionali sopra commentate;
    una simile ipotesi, chiaramente delineata nella legge provinciale, lede, perciò, il principio del «separatismo linguistico», che regge l'ordinamento statutario della provincia autonoma di Bolzano (si confronti la sentenza della Corte costituzionale n. 159 del 2009) e che comporta per l'appunto, nella materia in esame, la rigida bilinguità della toponomastica affermata dallo Statuto (come sottolineato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 188 del 1987, che ha ribadito l'inderogabilità del principio del bilinguismo nella provincia di Bolzano);
    le comunità comprensoriali sono enti di diritto pubblico (ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, recante «Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino Alto Adige-Sudtirol in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste»), istituite solo allo scopo di promuovere la valorizzazione e la tutela ambientale delle zone montane o parzialmente montane interessate, favorendo la partecipazione della popolazione allo sviluppo economico, sociale, culturale ed ecologico delle stesse;
    considerate le limitate funzioni e la struttura territoriale e demografica delle comunità comprensoriali, appare evidente l'estraneità istituzionale di questi enti alla materia della toponomastica. Questa, infatti, non attiene se non in via secondaria alla valorizzazione culturale dei luoghi; mentre, in primo luogo, attiene alla libertà di circolazione delle persone sul territorio nazionale (articoli 16 e 120, primo comma, della Costituzione);
    sulla base di queste motivazioni, il Consiglio dei ministri ha deliberato, in data 16 novembre 2012, l'impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale della legge provinciale in questione, «in quanto contenente disposizioni in materia di toponomastica in contrasto con norme internazionali e, quindi, con l'articolo 117, primo comma, della Costituzione e con diversi articoli dello Statuto speciale della regione Trentino-Alto Adige»; il ricorso per questione di legittimità costituzionale è stato depositato in cancelleria il 4 dicembre 2012; la prima udienza pubblica in merito è prevista l'8 ottobre 2013;
    l'atto costituisce un passaggio di straordinario valore istituzionale e politico, teso a circoscrivere l'autonomia legislativa della provincia di Bolzano in materia di toponomastica nella cornice dei limiti posti dal principio assoluto ed inderogabile del bilinguismo sancito dallo Statuto;
    in Alto Adige la popolazione tedesca è di gran lunga maggioritaria rispetto a quella italiana e la Suedtiroler volkspartei rappresenta il principale partito di raccolta dell'elettorato di lingua tedesca dell'Alto Adige;
    purtroppo, il tema della toponomastica in Alto Adige è stato troppo spesso strumentalizzato, diventando «oggetto» di controversia politica in quanto percepito come mezzo di lotta per l'autonomia e di cancellazione dello Stato italiano;
    il precedente accordo Fitto-Durnwalder si poneva l'obiettivo di una soluzione definitiva ed equilibrata del tema della cartellonistica, affidando ad una commissione, pariteticamente composta da rappresentanti statali e della provincia, l'individuazione delle ipotesi in cui i toponimi dovessero essere riportati nelle due lingue e quelle in cui – secondo la Svp – invece dovessero mantenere la sola lingua tedesca; una commissione che aveva già concluso i lavori e che aveva affidato ai due rappresentati politici, il Ministro e il presidente della provincia, la soluzione delle poche questioni ancora controverse;
    l'accordo prevedeva la rimozione, all'esito dei lavori, dei cartelli di montagna (apposti appunto dall’Alpenverein) non più conformi in quanto recanti solo la lingua tedesca, ma l'interruzione dell'attività del Governo Berlusconi ne ha impedito la conclusione;
    l'accordo era stato salutato come la soluzione equilibrata che avrebbe eliminato le forti contrapposizioni che animano le diverse formazioni politiche presenti nella provincia, per porre in essere un modello – quello della decisione comune – che avrebbe indicato una nuova via;
    rispetto al precedente accordo la legge ora rappresenta un'evidente forzatura politica, in quanto in modo unilaterale e senza alcun confronto con lo Stato individua i toponimi continuando un percorso che amplia i confini della lingua tedesca a scapito dell'italiano, in modo non conforme ai principi statutari, percorso che, peraltro, era già iniziato con la vicenda della segnaletica di montagna che, nella misura di oltre 1500 toponimi, era tutta posta in lingua tedesca;
    nei mesi scorsi la stampa ha pubblicato i termini di presunti accordi elettorali del Partito democratico con la Suedtiroler volkspartei in merito ad eventuali azioni relative al ricorso presso la Corte costituzionale sopra richiamato;
    qualsiasi «patto» relativo all'impugnativa di leggi provinciali che non tutelano il bilinguismo nella Provincia autonoma di Bolzano risulta essere non solo inaccettabile per la popolazione di lingua italiana dell'Alto Adige, ma anche assolutamente privo di ogni fondamento giuridico;
    il ritiro dell'impugnativa risulterebbe il suggello a violazioni di leggi dello Stato ed internazionali a fini politici e ad un percorso all'indietro che la provincia ha iniziato già con l'approvazione della legge e che il Governo ora confermerebbe, non contribuendo alla soluzione del problema ma, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, solo alla «vittoria» degli estremismi linguistici di matrice tedesca;
    a tutto ciò si aggiunge, comunque, il fatto che ogni eventuale «patto di coalizione elettorale» non può continuare a sussistere, alla luce del risultato elettorale e dell'attuale assetto di Governo e di maggioranza, e che le parole espresse dal Presidente del Consiglio dei ministri Letta nel corso delle dichiarazioni programmatiche e dal Ministro Delrio nelle audizioni circa «l'obiettivo di valorizzare il ruolo delle autonomie speciali» non hanno nulla a che vedere con un lasciapassare per la violazione di leggi costituzionali italiane;
    la stessa Suedtiroler volkspartei, come tutte le forze politiche, che, tra l'altro, si apprestano ad affrontare la sfida elettorale prevista in Trentino Alto Adige-Sudtirol nell'autunno 2013, non dovrebbe mettere in evidenza problemi di natura etnica in un momento così delicato per il Paese, in cui l'unico obiettivo comune per il bene collettivo dovrebbe essere quello di rilanciare l'economia, anche in Alto Adige;
    tra l'altro, è in gioco un'esigenza di carattere naturale e pratica, quale è quella di consentire a chiunque l'identificazione dei luoghi con i nomi della lingua nazionale; anzi, sarebbe il caso di aggiungere la lingua internazionale per attrarre turismo, maggior fonte di sostentamento della provincia di Bolzano. Un'esigenza alla quale si aggiungono particolari attenzioni quando trattasi di toponimi militari o di interessi economici, burocratici, amministrativi e turistici;
    la polemica relativa alla soppressione della maggior parte della toponomastica italiana ha avuto grande rilievo anche sui media nazionali, provocando effetti anche sulle scelte dei turisti italiani che hanno abbandonato l'Alto Adige preferendo la vicina Austria, che accoglie i nostri connazionali con cartellonistica in lingua italiana e, dunque, in maniera adeguata e ospitale,

impegna il Governo

a proseguire con determinazione, nell'ambito delle proprie competenze e nel pieno rispetto dello Statuto di autonomia speciale per il Trentino Alto Adige-Sudtirol, nel contrasto ad ogni iniziativa, anche normativa, non rispettosa del bilinguismo e delle peculiarità di una provincia plurilingue, dando seguito al ricorso davanti alla Corte costituzionale esposto in premessa, partendo dal presupposto di imprescindibilità della presenza della toponomastica italiana, e ad assumere ogni iniziativa utile ad assicurare la tutela del bilinguismo prevista dall'articolo 8 dello Statuto di autonomia.
(1-00140) «Baldelli».
(8 luglio 2013)

INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA

   MIGLIORE, FRATOIANNI, PILOZZI, COSTANTINO, KRONBICHLER, NICCHI, AIELLO, PIAZZONI e PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   come ogni anno, con l'avvio della stagione estiva e con il conseguente miglioramento delle condizioni del mare, si intensificano gli sbarchi di migranti in tutto il territorio nazionale e, in particolare, in Sicilia, Calabria e Puglia;
   la situazione dei centri di accoglienza per richiedenti asilo in tutto il territorio nazionale è caratterizzata da una costante situazione di criticità determinata dal numero eccessivo di presenze; basti pensare, ad esempio, a Lampedusa, che versa in una situazione preoccupante di sovraffollamento, con una presenza, ad oggi, di oltre 1.000 persone, a fronte di una capienza di 300 posti;
   il Governo italiano, negli ultimi anni, è stato oggetto di moniti da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo rispetto alla mancata osservanza dei diritti dei migranti sul suolo italiano e al trattamento disumano e degradante degli ospiti all'interno dei centri di accoglienza;
   la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, trattano dei diritti da assicurare anche ai migranti, come anche la Convenzione sullo status dei rifugiati (1951), nella quale, in particolare, si afferma il principio che gli esseri umani senza distinzione debbano usufruire dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in considerazione - come indicato nel preambolo della stessa - dell'interesse per i rifugiati e della preoccupazione affinché ad essi venga garantito l'esercizio dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nel senso più ampio possibile;
   gli interroganti hanno più volte denunciato pubblicamente la grave condizione di sovraffollamento in cui versano i centri di ospitalità per i migranti, una situazione decisamente inaccettabile per i migranti ospitati e per gli operatori, come anche la necessità di provvedere alla chiusura definitiva dei centri di accoglienza – di fatto, veri e propri centri di detenzione amministrativa – sostituendoli con altri strumenti di accoglienza adeguati e, soprattutto, legittimi;
   ogni anno, inevitabilmente, l'assenza di un intervento tempestivo e strutturale finisce per produrre una condizione di cosiddetta emergenza, con tutte le intuibili conseguenze, assolutamente inaccettabili, in merito alla situazione dei migranti presenti sul territorio italiano, nonché alle risorse pubbliche che potrebbero essere utilizzate in modo più efficace;
   la situazione al riguardo è talmente critica che, da ultimo, anche il Papa si è recato a Lampedusa per commemorare i numerosi morti in mare, nonché per incontrare persone che si trovano nei centri di accoglienza;
   oltre alla criticità descritta, sussiste il grave problema relativo ai lunghissimi tempi di attesa per le procedure legate alla richiesta di asilo;
   i tempi di accesso alla procedura relativa alla domanda di protezione internazionale sono, di fatto, molto più lunghi rispetto a quanto stabilito nel decreto legislativo n. 251 del 2007, nonché a quanto previsto dalla recente circolare del Ministero dell'interno 400/C/2013 dell'8 febbraio 2013, che, in particolare, chiarisce come la domanda di asilo si debba considerare presentata a seguito dell'avvenuta «manifestazione di volontà dell'interessato»;
   è del tutto evidente che, dunque, dovrebbe esserci contestualità tra tale manifestazione di volontà e la ricezione amministrativa della domanda tramite modulo C3;
   il mancato rispetto della normativa richiamata comporta inevitabilmente, ad avviso degli interroganti, il determinarsi di situazioni di «sospensione» dei diritti connessi alla richiesta di asilo, con conseguenze di estrema gravità nei confronti di soggetti particolarmente vulnerabili;
   ferma restando la necessità di un piano di interventi per evitare che si produca l'ennesima emergenza a fronte di un fenomeno evidentemente ormai strutturale (e dunque prevedibile con largo anticipo), nonché di iniziative per un'immediata soluzione dei problemi evidenziati, relativi alla situazione delle diverse strutture di accoglienza, più in generale, sarebbe, quindi, indispensabile arrivare ad una revisione dell'intero sistema di protezione internazionale, onde garantire finalmente la piena attuazione del dettato costituzionale sulla materia, ivi compresa quella delle norme e dei trattati internazionali richiamati e rispetto ai quali il nostro Paese è chiamato ad ottemperare a precisi impegni –:
   se, in considerazione di quanto illustrato in premessa, il Governo non ritenga di dover intervenire con urgenza sull'intero sistema di protezione internazionale, dalla fase di accesso alla fase dell'accoglienza, onde garantire finalmente la piena attuazione del dettato costituzionale, nonché delle norme e dei trattati internazionali richiamati dall'articolo 10 della Costituzione, nel contempo sollecitando fortemente a livello europeo iniziative che consentano l'effettiva tutela dei diritti di rifugiati, richiedenti asilo e migranti.
(3-00190)
(9 luglio 2013)

   NUTI, VILLAROSA, LOMBARDI, NESCI, D'AMBROSIO, CANCELLERI e SPESSOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il prefetto Gianni De Gennaro, ex capo della polizia ai tempi della repressione del G8 di Genova, ex commissario straordinario per l'emergenza dei rifiuti a Napoli, successivamente promosso direttore del Dipartimento per l'informazione e la sicurezza (i servizi segreti) e poi, nel Governo Monti, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega ai servizi segreti, è stato recentemente nominato presidente di Finmeccanica;
   Finmeccanica, travolta da scandali, come l'arresto dell'ex presidente Giuseppe Orsi per una tangente di 51 milioni di euro per la vendita di 12 elicotteri Augusta al Governo indiano, e da operazioni industriali disastrose, come la sciagurata acquisizione dell'americana Drs, avrebbe bisogno di una guida autorevole e competente per uscire dall'attuale drammatica situazione di crisi, rappresentando una colonna strategica del nostro sistema industriale;
   la legge 20 luglio 2004, n. 215 – la famosa «legge Frattini» sul conflitto d'interessi – all'articolo 2, comma 4, prevede espressamente che il titolare di cariche di Governo non può, per dodici mesi dal termine della carica di Governo, ricoprire incarichi nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta;
   risulta da fonti di stampa, che, secondo un parere trasmesso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, su richiesta del Ministro Saccomanni – parere, tra l'altro, mai reso pubblico – non esisterebbero incompatibilità nel passaggio dell'ex Sottosegretario con delega ai servizi segreti alla holding industriale della difesa, perché l'attività di Finmeccanica non si svolge «prevalentemente» nell'ambito dei servizi segreti. Il profilo della «prevalenza» sarebbe stato valutato in base al giro d'affari del gruppo e alle commesse per le aziende, da cui emergerebbe che Finmeccanica non avrebbe contratti o appalti «prevalenti» con i servizi segreti, benché sia fornitrice anche di forze di polizia e di ambienti della sicurezza. Insomma, secondo gli interroganti un tentativo neanche troppo elegante di aggirare la ratio della legge: per un avverbio Gianni De Gennaro sarebbe così diventato presidente di Finmeccanica –:
   se ritenga che il Governo abbia valutato compiutamente tutti i profili di incompatibilità formale e sostanziale del prefetto De Gennaro, sia con riferimento a quanto espressamente previsto dalla legge, sia in generale con riferimento alla correttezza ed alla trasparenza nell'azione di Governo, e se non ritenga comunque di adottare iniziative normative per rendere più stringenti gli obblighi della legge 20 luglio 2004, n. 215.
(3-00191)
(9 luglio 2013)

   BRUNETTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da un primo consuntivo sulla tempistica seguita nel procedere al pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni fornito dal Ministero dell'economia e delle finanze il 5 luglio 2013 emerge che i termini previsti dal decreto-legge n. 35 del 2013 sono stati rispettati solo in misura modesta;
   le responsabilità sono da attribuire principalmente agli enti locali, alle regioni, alle province autonome, agli enti del servizio sanitario nazionale e alle amministrazioni dello Stato titolari delle singole procedure, ma è mancata una forte azione coordinatrice a livello centrale per monitorare l'intero procedimento ed intervenire tempestivamente sui soggetti preposti;
   si corre il rischio che alla fine dell'anno 2013 gli obiettivi che si erano prefissati in termini di maggiore liquidità per le aziende non saranno conseguiti;
   dal successo dell'azione, che dovrebbe essere accelerata per consentire di effettuare nel secondo semestre del 2013 anche i pagamenti inizialmente previsti per il 2014, dipende un cambiamento delle aspettative degli imprenditori, capace di anticipare i tempi di una possibile ripresa;
   fallire questo obiettivo avrebbe conseguenze negative anche a livello europeo, in quanto dimostrerebbe che la fiducia riposta dalla Commissione europea, che ha consentito una deroga, seppur limitata, al patto di stabilità, nelle capacità gestionali del nostro Paese era mal riposta;
   per evitare tutto quanto sopra esposto è necessario recuperare rapidamente il tempo perduto, con un'azione di impulso rispetto a tutti i soggetti coinvolti nell'operazione –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per rimediare ai ritardi e alle inefficienze evidenziate nelle premesse.
(3-00192)
(9 luglio 2013)

   GIANCARLO GIORGETTI, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, MATTEO BRAGANTINI, BUONANNO, BUSIN, CAON, CAPARINI, FEDRIGA, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, PRATAVIERA e RONDINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nella notte fra il 29 e il 30 maggio 2013 circa 50 agenti della Digos hanno fatto irruzione in una abitazione privata di Casal Palocco, prelevando a forza una donna e la sua bambina di sei anni, con l'accusa, rivelatasi poi infondata, di un'irregolarità nel passaporto della donna; immediatamente entrambe vengono portate al centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria;
   senza attendere le verifiche sul documento e nonostante la loro richiesta di asilo politico, madre e figlia vengono immediatamente rimpatriate, con aereo privato di proprietà kazaka, con una procedura lampo, secondo gli interroganti in spregio alle procedure previste dalla legge, a qualunque considerazione in merito alla tutela dei diritti delle due straniere e ai rischi per la loro incolumità che sarebbero conseguiti al rimpatrio;
   il rimpatrio avviene a 3 giorni dal fermo, con un contrasto evidente rispetto ai normali tempi di rimpatrio (quando esso venga davvero operato, cioè in una minima parte dei casi) registrato per immigrati la cui clandestinità è stata accertata;
   le circostanze che hanno determinato questa condotta da parte del Governo italiano, come ricostruite dalla stampa, fanno emergere una condotta secondo gli interroganti illegittima, vile e vergognosa: le due donne sono, infatti, congiunte di un rifugiato politico, la moglie e la figlia di Mukhtar Ablyazov, uomo d'affari kazako di 50 anni, ex banchiere e politico. Un personaggio controverso, ma che è coinvolto in questa vicenda certamente per essere il principale oppositore politico del Presidente plenipotenziario del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev;
   Ablyazov, nonostante sia sotto processo da parte del Kazakistan per questioni relative alle sue gestioni bancarie, dal 2011 ha ottenuto asilo e protezione da parte del Regno Unito, che ne ha riconosciuto il rischio per la sua vita nel caso di rientro in Kazakistan;
   una sentenza del tribunale di Roma del 5 giugno 2013 ha acclarato che non c'era alcuna irregolarità nei documenti della moglie di Ablyazov;
   le poche notizie filtrate sulla vicenda evidenziano un comportamento degli organismi pubblici coinvolti del tutto irrispettosa dei ruoli istituzionali e, quindi, in definitiva della legge: sarebbe stata l'ambasciata kazaka a chiedere l'intervento, rivolgendosi, però, al Ministero dell'interno e non al Ministero degli affari esteri, come vorrebbe la prassi. Il Ministero dell'interno avrebbe proceduto direttamente, senza confrontarsi con il Ministero degli affari esteri, né con il Ministero della giustizia, usando, dunque, le procedure previste per l'immigrazione clandestina in modo del tutto inappropriato, assecondando la richiesta di un'autorità straniera;
   questo comportamento a giudizio degli interroganti vergognoso del Governo, oltre a mettere a rischio la vita di due persone, scredita tutta la legislazione italiana e tutti gli sforzi per il contrasto all'immigrazione clandestina compiuti negli ultimi anni, laddove tale fattispecie, gestita correntemente con garanzie esorbitanti a favore di clandestini veri, viene invece usata dal Governo, per ragioni di pura opportunità, in spregio a qualunque principio umanitario;
   il Presidente del Consiglio dei ministri Letta ha in seguito dichiarato la volontà di avviare una verifica interna agli organi di Governo «che ricostruisca i fatti ed evidenzi eventuali profili di criticità». Una simile risposta appare piuttosto diplomatica e rituale, a fronte della gravità dell'accaduto, e non può ritenersi sufficiente a ridare credibilità ad un Paese che si è macchiato della consegna di due ostaggi ad un Paese che non offre garanzie di Stato di diritto;
   si tratta peraltro di un Paese, il nostro, che sul fronte del prestigio e della considerazione internazionale, nonostante il susseguirsi negli ultimi 2 anni di Governi che fanno della loro immagine uno dei principali punti di forza, sta registrando risultati umilianti: non è in grado di fare estradare verso l'Italia assassini pluricondannati come Cesare Battisti, non sa gestire il sequestro di due militari di eccellenza dall'India, nessun vero clandestino viene davvero rimpatriato e i rivoli di mille ricorsi fanno permanere sul territorio soggetti già riconosciuti come socialmente pericolosi e che si sono macchiati in seguito di crimini efferati –:
   se, quanti e quali altri casi si registrino di applicazione immediata, nell'arco di tre giorni, della procedura di espulsione di stranieri, con immediato imbarco su volo dedicato, operato a spese del Paese di origine, e con la conseguente certezza sull'avvenuto rimpatrio.
(3-00193)
(9 luglio 2013)

   GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da più di un anno i due fucilieri del reggimento «San Marco» della Marina militare italiana, ritenuti responsabili della morte di due pescatori indiani, sono in stato di fermo nello Stato del Kerala, in attesa che gli inquirenti chiariscano la loro posizione;
   l'incidente sarebbe avvenuto in acque internazionali, sicché tale localizzazione avrebbe dovuto sin dal principio far venir meno la giurisdizione indiana a favore di quella italiana;
   un accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica dell'India stabilisce, altresì, la possibilità per i detenuti condannati dell'uno o dell'altro Paese di scontare la pena nel proprio Paese d'origine, quindi, nel caso dei marò, l'Italia;
   nonostante ciò, il 18 gennaio 2013 la Corte suprema indiana, pur accertando che i fatti si erano effettivamente verificati al di fuori delle acque territoriali indiane, negava la giurisdizione dello Stato italiano e, senza adeguata motivazione, rivendicava l'esercizio dei diritti sovrani di giurisdizione dell'India, disponendo, inoltre, che il processo venisse affidato a un tribunale speciale da costituire a New Delhi;
   nel frattempo, nel dicembre 2012 e nella prima metà di febbraio 2013 venivano accolte dal Governo indiano le richieste di due permessi speciali per consentire ai militari di trascorrere in famiglia le festività natalizie e di votare alle elezioni politiche, con l'obbligo di tornare in India;
   la crisi si accentuava l'11 marzo 2013 quando il Ministro degli affari esteri pro tempore, Giulio Terzi, in pendenza dell'avvio di un processo che desse reali garanzie di affidamento alla parte italiana, annunciava che i due militari non avrebbero fatto rientro in India;
   la posizione indiana si irrigidiva fino alla decisione, del tutto illegittima, da parte della Corte suprema, di disporre un'ordinanza nei confronti dell'ambasciatore italiano a New Delhi, che ne limitava in maniera inaccettabile la libertà di movimento;
   contestualmente, il Governo indiano si rendeva disponibile a risolvere la controversia in tempi brevi, a condizione che i marò rientrassero in India alla data prevista;
   il Ministro pro tempore Terzi sottoponeva all'attenzione del Governo la necessità che un eventuale ritorno dei due fucilieri in India fosse preceduto dall'accettazione di alcune rassicurazioni, necessarie, tra l'altro, a tutelare pienamente la sicurezza dei militari italiani e a ripristinare immediatamente l'immunità diplomatica dell'ambasciatore italiano;
   le riserve poste dal Ministro degli affari esteri pro tempore alla decisione di un rientro dei marò in India sarebbero, però, rimaste inascoltate dal Governo, che, in maniera del tutto inattesa e opinabile, decideva di sacrificare la libertà di Latorre e Girone, anche in contrasto con la normativa sull'estradizione, ritenendo, oltretutto, le rassicurazioni ottenute dall'India sufficienti;
   tali rassicurazioni potranno essere valutate nei loro effetti solo con il rientro in patria definitivo e legittimo dei marò nei tempi più brevi possibili;
   le profonde divergenze d'opinione all'interno dell'Esecutivo sono sfociate nell'annuncio da parte del Ministro degli affari esteri pro tempore delle sue dimissioni al termine della seduta d'Aula del 26 marzo 2013 alla Camera dei deputati;
   tale vicenda, che ad oggi non ha ancora assurdamente trovato risposta, ha pienamente dimostrato l'incapacità politica del Governo tecnico nel gestire una situazione di crisi e sta minando fortemente la credibilità internazionale del nostro Paese;
   è di queste ultime ore l'incredibile notizia dell'esistenza di prove dell'innocenza di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone: ben cinque ore separerebbero, infatti, la testimonianza del capitano e armatore del peschereccio St. Anthony, che fissa alle 21.30 circa la morte dei pescatori, dall'incidente con la nave italiana, avvenuto tra le 16.00 e 16.30, per il quale i due marò saranno processati a Delhi;
   da una più accurata ricostruzione degli eventi di quel fatidico 15 febbraio 2012 stanno emergendo altri importanti dettagli, che porterebbero a sostenere la totale innocenza di Latorre e Girone, da sempre convinti di non aver ucciso alcun pescatore;
   come riportato da notizie di stampa di questi giorni, la nave italiana potrebbe essere stata, addirittura, il «capro espiatorio perfetto in tempi di campagna elettorale locale con il risultato che Latorre e Girone vengono incastrati» (Il Giornale, lunedì 1o luglio 2013);
   tali nuove circostanze impongono un immediato e incisivo intervento del Governo italiano –:
   quali opportune ed urgenti iniziative il Governo intenda adottare, anche alla luce delle nuove risultanze delle indagini, al fine di risolvere in modo tempestivo e definitivo la questione dei marò, garantendo il rispetto delle norme internazionali, anche attraverso il coinvolgimento dei competenti organismi internazionali, e l'immediato ritorno in patria dei due militari.
(3-00194)
(9 luglio 2013)

   SPERANZA, MARTELLA, DE MICHELI, GIACOMELLI, GRASSI, VELO, BELLANOVA, DE MARIA, FREGOLENT, GARAVINI, POLLASTRINI, ROSATO e MAURI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Governo, sin dall'atto del suo insediamento, è intervenuto per contrastare gli effetti della crisi e favorire la ripresa dell'economia, mettendo in campo importanti iniziative, tra le quali assumono particolare rilievo il pagamento dei debiti pregressi delle amministrazioni pubbliche, i provvedimenti volti a dare sostegno al settore delle infrastrutture e delle costruzioni, gli interventi per l'occupazione giovanile;
   gli sforzi fatti per chiudere la procedura per disavanzo eccessivo consentiranno all'Italia di godere della maggiore flessibilità di bilancio per gli investimenti pubblici produttivi dei Paesi il cui deficit annuale si trova sotto il limite del 3 per cento, linea sostenuta, da lungo tempo, dal Governo italiano;
   restano, tuttavia, difficili le condizioni del mercato del lavoro, in particolare per quanto riguarda la disoccupazione giovanile che colpisce in Italia ormai oltre il 40 per cento dei giovani tra i 15 e i 24 anni, tanto che nelle conclusioni del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013 si legge che, stante l'inaccettabile elevato numero di giovani europei privi di occupazione, la lotta alla disoccupazione giovanile è l'obiettivo immediato dell'Europa;
   in questo senso, è necessario concentrare l'azione politica sull'apertura di nuovi spazi all'interno delle procedure e degli strumenti vigenti, anche attraverso le necessarie innovazioni: la maggior forza politica riacquistata dall'Italia, per effetto dell'uscita dalla procedura per deficit eccessivo e della ritrovata stabilità di Governo, deve infatti essere spesa per modificare l'impianto inefficiente del complesso delle politiche dell'Unione europea, piuttosto che per perorare pericolosi alleggerimenti sulle condizioni di consolidamento fiscale sul medio termine relative soltanto al nostro Paese;
   se è da accogliere con soddisfazione lo stanziamento di 1,5 miliardi per la Youth guarantee che l'Italia potrà utilizzare nel 2014 e nel 2015 per la lotta alla disoccupazione giovanile, è evidente che un'azione davvero incisiva in materia non possa prescindere dal rilancio del fondo sociale europeo, sia in termini di ampliamento della dotazione finanziaria, sia di modalità di assegnazione territoriale, sia di criteri di ammissibilità delle spese;
   in particolare, sarebbe necessario che l'azione del Governo italiano nelle sedi europee fosse orientata a far sì che il fondo sociale europeo possa:
    a) seguire, in analogia a quanto previsto dalla Youth guarantee, criteri asimmetrici, assegnando risorse non sulla base del prodotto interno lordo regionale pro capite raffrontato alla media dell'Unione europea, ma sulla base del numero di disoccupati;
    b) ampliare il ventaglio di spese ammissibili a tutte le politiche attive di job creation;
   sul piano interno, è indispensabile migliorare il coordinamento fra Stato e regioni, concentrando le risorse a disposizione su precisi obiettivi e strumenti –:
   se il Governo intenda configurare quanto esposto in premessa in un piano straordinario per la creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani, che contempli non solo incentivi e sussidi all'offerta, ma anche e soprattutto alla domanda di lavoro – specie nei settori non delocalizzabili, più ricettivi e strategici, quali, ad esempio, i beni culturali, le nuove tecnologie, il turismo, i servizi alla persona, i servizi legati all'innovazione digitale – illustrando quali ulteriori azioni intenda promuovere in ambito europeo per il raggiungimento di tali obiettivi.
(3-00195)
(9 luglio 2013)

   PISICCHIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese rappresenta l'1 per cento della popolazione mondiale e detiene il 5,7 per cento del totale della ricchezza del pianeta. Da dati della Bundesbank si apprende che il patrimonio netto delle famiglie italiane risulta pari al triplo di quelle tedesche, rispettivamente 163.900 euro contro i 51.400 euro. Uno studio della Banca d'Italia riporta una graduatoria mondiale relativa alla ricchezza netta pro capite, nella quale il nostro Paese si colloca nei primi 20 posti su 200;
   il mercato nazionale dei beni di lusso, nel 2012, si attestava intorno ai 15 miliardi di euro, primo in Europa secondo dati Eurispes;
   alla fine del 2011 in Italia la ricchezza nazionale media era pari a otto volte il reddito disponibile lordo delle famiglie;
   il quadro che ne deriva è estremamente contraddittorio, indicando una palese macroscopica distorsione derivante da quel fenomeno grave rappresentato dall'evasione fiscale. Un fenomeno dai contorni indefiniti, variamente articolato nella distribuzione territoriale;
   i dati di Tax research UK parlano di un'evasione pari al 27 per cento sul prodotto interno lordo, mentre la Germania si attesta a quota 16 per cento e la Francia al 15 per cento;
   la verità è che non si hanno dati certi relativi alla dimensione di questo fenomeno, vero cancro del sistema produttivo italiano, causa dello squilibrio dei conti pubblici, dell'elevato costo del lavoro e del conseguente malessere che mina l'equilibrio della nostra società;
   la Confcommercio stima l'evasione fiscale in 154 miliardi di euro, mentre la Confindustria parla di 124,5 miliardi di euro;
   il fisco pesa per l'82 per cento su chi ha un impiego fisso e sui pensionati, con una pressione fiscale effettiva su queste categorie che ha toccato quota 53 per cento;
   nel rapporto sul coordinamento della finanza pubblica la Corte dei conti ha rilevato come negli anni la lotta all'evasione sia stata caratterizzata da andamenti ondivaghi e contraddittori, come nel caso degli elenchi clienti-fornitori telematici o nelle limitazioni al pagamento mediante utilizzo di denaro contante, sui quali le modifiche sono state continue, mentre il contrasto all'evasione dovrebbe essere caratterizzato da piena condivisione e continuità;
   il sistema fiscale italiano generato dalla riforma del 1971-1973 si basa su un controllo ex post. La strategia per combattere l'evasione si è basata su obblighi formali di tenuta delle scritture contabili, di presentazione delle dichiarazioni e sull'esecuzione di limitati controlli approfonditi;
   l'amministrazione è ormai dotata di strumenti avanzati per identificare gli evasori, dal sistema Serpico, sintesi di tutte le informazioni di interesse fiscale di ciascun contribuente, al «redditometro», metodo di accertamento sintetico del reddito che consente all'amministrazione finanziaria una determinazione indiretta del reddito complessivo del contribuente, basata sulla capacità di spesa del medesimo;
   il presidente della Corte dei conti, nell'audizione che si è svolta il 19 giugno 2013 presso le Commissioni bilancio e finanze della Camera dei deputati, ha sostenuto che gli strumenti informatici e telematici che ormai ben consentono di individuare gli evasori, dovrebbero essere utilizzati per prevenire l'evasione, riducendo le possibilità di comportamenti scorretti nella fase dell'adempimento. Tali strumenti dovrebbero gestire il contribuente, non lavoratore dipendente, nella fase dell'adempimento fiscale, durante la quale è costretto a ricorrere all'assistenza professionale offerta dal mercato, visto il deficit di ruolo del sistema informativo pubblico rispetto alla gestione del rapporto con il contribuente;
   un utile strumento che dovrebbe essere potenziato è quello del contrasto di interessi, ovvero della possibilità per i contribuenti di dedurre/detrarre le spese per far emergere buona parte della base imponibile oggi evasa –:
   quali siano gli intendimenti del Governo per affrontare la grave piaga dell'evasione e se non ritenga di dover intervenire, con iniziative normative anche a carattere di urgenza, al fine di evitare che il peso fiscale gravi sempre e solo sui cittadini dipendenti e pensionati.
(3-00196)
(9 luglio 2013)

   DELLAI, GALGANO, CAPUA, SANTERINI, VEZZALI, MOLEA, ROSSI, CARUSO, VITELLI, CAUSIN e SCHIRÒ PLANETA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nonostante ricopra un'importanza fondamentale per la sua vastità e per il forte impatto su altri settori ad esso collegati, come quello del turismo, il sistema dei beni culturali ha risentito fortemente dei tagli alla spesa pubblica, imposti dalla contingenza economica, che hanno limitato le risorse a disposizione per il settore;
   le cronache quotidiane segnalano continuamente episodi di incuria, abbandono e cattiva conservazione del patrimonio artistico-culturale e ambientale nei confronti dei quali l'intervento dello Stato o è tardivo o spesso assente per la mancanza di risorse adeguate;
   l'allarme lanciato dal Ministro Bray in questi giorni di un bilancio per la cultura ridotto del 24 per cento è da questo punto di vista la conferma di una situazione insostenibile;
   fermi restando il ruolo decisionale dello Stato ed il mantenimento della competenza della tutela e della conservazione in capo alle soprintendenze, si è spesso invocato l'ingresso dei privati nel settore dei beni culturali per attrarre risorse fresche;
   la partecipazione dei privati al settore dei beni culturali è, peraltro, espressione del principio di sussidiarietà orizzontale, sancito dall'articolo 118, comma 4, della Costituzione –:
   se non ritenga di individuare iniziative, anche di tipo normativo, che agevolino l'intervento dei privati nel settore dei beni culturali, al fine di attrarre sia capitali che professionalità in un settore strategico per l'economia italiana.
(3-00197)
(9 luglio 2013)

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